ANNALI DELLE UHEVERSITÀ TOSCANE —— e — — TOMO SECONDO ANNALI DELLE UNIVERSITA TOSCANE PARTE PRIMA SCIENZE NOOLOGICHE TOMO SACONDO PISA DALLA TIPOGRAFIA NISTRI 1851 4 i | , ot" sia conessa dios. * Ò bi ° kat4 è > rniratvi A frnogo AO. Lu ast x ce d (e i rà Na 2. vr'* veni | v. Ga i DS) he DICHIARAZIONE DELLA L. 15. D. DE TUTELIS (XXVI, 1) DELLO STATO DEI TRANSFUGHI E DEL DIRITTO DI MUTARE CITTADINANZA PRESSO I ROMANI DEL PROF. PIETRO CAPEX >= L'argomento che ora imprendo a trattare, e che concerne una famosa e molto intricata questione di gius romano, fu da me discorso il dì 21 decem- bre 1858 nella Accademia Sanese, che tuttavia si appella dei Fisiocritici. Ma la gravità di quello, e il molto amore che di se mi aveva inspirato, fecero sì, che in seguito, a mente più tranquilla e in minori angustie di tempo, tornassi a spendervi intorno. nuove e migliori cure; onde, restando inleso per la so- stanza, in assai più ampie e severe forme or esce fuori questo mio qualsiasi lavoro. 1. Egli è cosa volgare e notissima a quanti salutarono appena i limitari della romana giurisprudenza, che la media diminuzione di capo toglie la cit- tadinanza e riduce l’uomo a peregrinità: onde, chi soffre siffatta diminuzione di capo, questa morte civile, perde e non può serbare i dritti che prima aveva del cittadino romano. Adunque; per vedere quali persone abbiano, quali non abbiano in gius romano la capacità de’ dritti civili, è necessario sapere altresì chi sieno appunto que” cittadini i quali, per l’una o per l’altra causa, patirono o non patirono la sopraddetta diminuzione di capo. 2. Ad ascoltare la più parte degli andati interpetri di gius romano, quattro sarebbono le classi di persone che di quel modo perdono la romana cittadi- nanza: 1.° gli interdetti aqua et igni; 2.* i deportati (che gli uni e gli altri si hanno per esuli); inoltre 3.* i giudicati nemici dello stato o per decreto del Scienze Noolog. T. II. a [d 2 CRAUPINEGI Senato o per legge; 4.* e finalmente i transfughi (1), perchè dei transfughi sta- tuirebbero così la L. 5. $. 1. D. de capite minutis (IV, 5); la L. 14. D. ex quib. caus. maj. in int. rest. (IV, 6) e la L. 19. S. 4—8. D. de caplivis et postlim. (XLIX, 15). 5. Sennonchè appunto rispetto ai transfughi, e di qualunque modo vo- gliansi interpretare i testè citati frammenti di Paolo e di Callistrato, la opi- nione contraria leggesi apertamente scritta in un famoso luogo di Ulpiano (Lib. XXXVIII. ad Sabinum) che è la L. 15. D. de tutelis (XXVI, 1); il quale afferma rimanere tuttavia tutore quegli che si rendette transfuga. Eccone le parole: « Si quis tutor non sit captus ab hostibus, sed missus ad eos quasi le- « gatus, aut etiam receptus ab eis, aut transfugerit, quia servus non efficitur, « tutor manet; sed interim a preesidibus alius tutor dabitur ». Ora la tutela è certamente-un dritto ed un uflicio del cittadino romano; e se il tutore, in così fuggire la patria, diminuisse di capo, perdesse la cittadinanza, non rimarrebbe invero tutore. 4. Sopraffatti da questa si chiara e ferma testimonianza di Ulpiano, cerca- rono gl’interpetri conciliare ad ogni costo il recitato di lui frammento con gli altri, che, a mente loro, affermerebbero perdere la cittadinanza il transfuga, o quegli insomma che ripara presso al nemico. I. Il DoxeLLO in caso disperato, ricorre a estremo rimedio. Nel Comm. Jur. Civ. Lib. III. c. 14. S. 10. cangia quell’ « aut transfugerit » (o « abbia trafuggito al nemico ») in « haud transfugerit » ( ossia « non abbia trafuggito al nemico ») e così, barattando numero, salda le partite. II. Il Cusacio, Observationum L. IV. c. 9. (2) propone a credere che quel tutore rimanga tuttavia tutore; perchè, a sua detta, un peregrino ancora è capace della tutela almanco testamentaria; e cita in appoggio la Z. 10. D. de tutelis; la quale null’altro ferma se non che: potere i magistrati di un munici- pio, e massime in difetto di idonei communicipi, dare per tutore al pupillo del municipio loro un cittadino romano di altro municipio, come confessò dipoi lo stesso schiettissimo Cusacio (5). " (1) Per la nozione dei transfughi v. Festus in v. Perfuga. L. 19. S. 8. D. de captio. et postlim. (XLIX. î5): sembra però che più propriamente transfuga significasse quello de” nostri che passò al nemico; perfuga quegli che dal nemico si rifugiò (perfugium, profugium) presso noi. Di Famea e dei 2200 cavalieri punici da lui capitanati, per tal modo perfugi, e di molti premj donati dai Romani, parla Appian. de bello pun. 107—109; agli eredi de’ quali vedonsi mantenute per la L. Thoria e. 56. le terre che ad essi erano già state date e assegnate. (2) V. anche Cuyac. in Pauli XI ad Edict. L. 5. L. 7. D. de cap. min. (IV, 5) dove ritiéne essere i defectî una cosa istessa dei transfugae e gli dichiara quindi diminuiti me- diamenie di capo. (3) Comm. in Lib. TX. Paul. Responsor. ad L. 24. D. de tutor. et curat. datis (XXVI, 5) e in Recitat. s. comm. in Lib. V. Cod. tit. 354. Non vi è pertanto causa di credere che nella L. 10. D. de tutelis, la dizione «non municeps » sia circonlocuzione viziosa e inutile di peregrinus. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 3 III. Antonio Fagro, Jurisprud. Papinian. XII. I. 21, afferrata la parola « @ Praesidibus » che stà in fondo alla nostra Z. 15, e ricordando essere i Presidi magistrato delle provincie, opina che in quella Legge trattisi di un pupillo provinciale o peregrino, e ne arguisce aver voluto Ulpiano soltanto significare; che al provinciale, perchè peregrino, poteva anche essere tutore altro peregrino, quale appunto il mediamente diminuito di capo. Ma sente ognuno quanto fal- lace sia l'argomento, ricavato dalla espressione « a Praesidibus ». Posciachè, da un lato, tanto ci avea nelle provincie di peregrini, quanto di cittadini romani; e in questo frammento di Ulpiano non vi è, dall’altro, il minimo chè per fon- darvi sopra il sospetto aver lui voluto parlare del tutore di un peregrino. O1- tracciò; per credere che quivi parlisi di peregrini, bisognerebbe essere molto sicuri (e da ogni grado di tal certezza siamo assai discosti) che l’opera su Sa- bino, onde si estrasse quel frammento di Ulpiano, fosse anteriore alla comuni- cazione della romana cittadinanza, per ingorda generosità di Antonino Caracalla (L. 17. D. de Statu hom. I, 5) donata agli abitatori tutti dell’orbe romano. In- fine, e ciò più monta, se fosse vera la pretesa regola che il transfuga diviene peregrino, talchè quindi innanzi non può essere tutore del cittadino romano; ma sì e soltanto di un peregrino, sarebbe molto malagevole il credere che Tri- boniano nei Digesti, al titolo delle tutele, ossia laddove si dee segnatamente cercare il principio regolatore e direttivo in proposito, avesse accolto questo luogo di Ulpiano, che tornava cotanto alieno da quanto doveva osservarsi in seguito nella pratica de’ giudizj; imperciocchè ai cittadini romani non si poteva quello applicare; ed ai liberi peregrini più non ci avea cagione di provvedere, dacchè Giustiniano ebbe cancellato nell'impero ogni orma persino, ed ogni re- liquia delle libertà latina e peregrina (4), le quali (rispetto almeno ai liberti) ci aveano ripullulato dopo la costituzione di Caracalla. Onde si sarìa sforzati a scendere nello strano e inverosimile concetto, che Triboniano ce lo avesse accolto meramente per amore della istoria, e senza badare alla dubbiezza così gettata nella dottrina che voleva esporre; posciachè niun segno apponeva onde apparisse, che il detto di Ulpiano si riferiva solo ai tempi andati, quando liberi peregrini in copia vivevano nelle provincie romane. IV. P. Lorior nel suo libro « de tutela et cura » (5), edifica di sana pianta la favola, che quegli il quale trafuggì al nemico soffra soltanto una minima dimi- nuzione di capo, onde si perdono i dritti di famiglia, ma salvi restano quelli di cittadinanza. (4) Cod. v. 5, 6 de dediticia (et) de latina libert. tollenda. a. chr. 551. (5) L'opera del Loriot non mi è caduta fin’ ora sotl’occhio, la conosco soltanto per citazione. Io mi suppongo però che aberrasse per applicare al caso il principio stabilito nella L. 5. e 6. D. de cap. min. dove si dice che non è permesso ai privati interverlire con la capitis diminuzione i pubblici diritti, e segnatamente quelli della tutela; principio che si ri- ferisce per esse leggi soltanto alla minima cap. dem. Se, come spero, otterrò copia dei luo- ghi, ove così discorre il Loriot, saranno per me riferiti in piè di questa dissertazione. 4 CAPEI V. G. Ferp. pe RerEs, nel suo Comment. ad Tit. de interdietis et releg. Lib. I. c. 4 (6), ritenendo anch’ egli per cosa certa, che in gius romano i tran- sfughi perdano la cittadinanza, ecco in qual modo sciogliesi dalle strette di Ulpiano. Premesso che, per gius pubblico delle antiche genti, que’ cittadini, i quali in seguito ad una infrazione di quel gius venivano dati, consegnati (dediti) al nemico, doventavano proprii di lui se gli riceveva (recepti); ma se per contra- rio non gli riceveva (non recepti) o ritenevano essi indubitevolmente, secondo al- cuni (Cic. p. Caecina c. 34) o era dato almeno secondo altri dubitare e nel dubbio credere che conservassero la romana cittadinanza (L. 4. $. 1 D. de captiv. et postlim. L. ult. D. de Legation. 50.7), opina: che Ulpiano ci parli di un le- gato, il quale per qualche sua violazione del gius delle genti sia stato consegnato al nemico, ma il nemico o non lo abbia ricevuto, o dopo averlo ricevuto sia quegli trafuggito, o stato riscattato a pace fatta; epperò rimanga cittadino e tutore. E per attribuire siffatto astruso intendimento alle parole del giurecon- sulto, suppone il Retes o non poche ellissi nel discorso di Ulpiano o non poche mutilazioni, invece, per parte di Triboniano; e finalmente vuole che « tutor manet » significhi ricuperare la tutela. Sennonchè il Retes diffidò, lui stesso, della propria opinione (7); e volentieri gli assentiremo, quando confessa essere un pò diflicile ricavare questo costrutto dalle parole di Ulpiano (8). VI. Niccorò Antonio, nel suo egregio libro che s'intitola: de Exilio (9) troncata l’a dell’aut precedente al « transfugerit », riduce quella particella in ut, epperò legge « aut receptus ab eis ut transfugerit »: e quindi suppone che Ulpiano parli di un tutore, il quale sia stato ricettato dai nemici come se fosse un transfuga, mentre di fatto e per sua volontà tale non era quel tutore, colà recatosi a solo fine di esplorare il nemico. E la cagione onde il dotto interprete così racconcia le parole di Ulpiano è, al solito, questa: perchè ancora egli crede che se il tutore in discorso si fosse veramente renduto transfuga, avrebbe al- tresì incontrato la media diminuzione di capo, la perdita della cittadinanza; nè più sarebbe rimasto tutore. - VII. Il CosrantInéo, Sublilium enodationum Lib. II. c. 24 (10): notato come di più guise può il cittadino farsi reo di transfugio, reca in mezzo una di- stinzione per gli effetti che appunto ne derivano, secondo i varii modi del tran- sfugio medesimo. Alcuni adunque dei transfughi perderebbero, altri non per- (6) V. OrtoNIS Thesaur. T. 5. p. 1207. (7) Que mihi, fateor, non satis fida est; modestamente egli dice prima di spiegare la sua opinione. (8) Dopo aver delto: Sed si ab eis non recipitur, vel receptus transfugit, et ad suos remeat, civîs manet; aggiunge: Hoc sibi volunt verba Ulpiani in hac lege. Sed difficile id ex verbis, fateor, probari potest. (9) V. MEERMANN Thesaur. T. 5. p. 28. (10) OTTONIS Thesaur. T. 4. p. 606. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 5 derebbero la cittadinanza; e segnatamente dice che non la perdono i transfughi nelle parti e guerre civili; non quelli che recansi ad un inimico, col quale non sia guerra pubblicamente intimata e secondo il gius delle genti; non finalmente que’ Legati al nemico inviati, i quali non sieno per esso in servitù ridotti, ma solo per loro volontà o per altro qualsivoglia accidente non tornino in patria (arg. L. 5. S. 5. D. de re milit.): e di questi appunto, non mai degli altri di- versi transfughi, vuole il sottilissimo scrittore che sia parola in questo luogo di Ulpiano. VIII. Marco Lyckrama a NienoLt, Membranarum Lib. VII. Ecloga 35 S. 4 (11) avverte innanzi tratto non parlarsi nella controversa L. 15. de tutel. di colui che rechisi presso al nemico per esplorare e tornare a’ suoi: crede egli che in quel tutore inviato quasi, o come se Legato al nemico, il quale presso lui si fermi, abbia figurato Ulpiano due casi. — Se quel tutore quasi Legato fu raccolto dai nemici (receptus) vede il Lycklama figurato un caso analogo a quello del greco interprete Menandro, di che in Z. 5. D. de captivis et postlim; ossia di un prigioniero di guerra, manomesso dal romano e divenuto poscia tutore, il quale avvantaggiandosi della commessagli legazione per tornare al suo primitivo popolo, nostro nemico, ne sia nuovamente accolto (receptus) qual cittadino. E quantunque per cotal fatto egli opini che quel tutore perda la cittadinanza ro- mana; nondimeno trova giustissimo, dietro Ulpiano, che rimanga tuttavia tuto- re; perchè la tutela è ufficio (munus) di che può gravarsi anche il non cittadi- no (12); nè si dismette volontariamente se non per legittima causa di vacazione o scusa, quale non è davvero il transfugio. — Se poi quel tutore quasi Legato rendasi reo di semplice transfugio «aut transfugerit» il sagace interprete scorge allora figurato da Ulpiano il caso del proprio e vero transfuga, ossia di un cit- tadino romano originale in occasione di sua missione riparato al nemico; e tiene che costui, cittadino in parte, e in parte non più cittadino, punto non resti esonerato dalla tutela; onde per cotal suo delitto non venga a migliorare di condizione. Argomentando, infatti, un grande divario; tra la politica diminu- zione di capo, che a detta sua si soffre soltanto o per condanna o per legge, non mai per nostra volontà, posto che a niuno è lecito decapitarsi o natural- mente o civilmente; e la facoltà che il gius romano accorda di abdicare la cit- tadinanza; ritiene il Lycklama che, giusta i precetti del gius medesimo, sola- mente quegli il quale fu diminuito di capo o per condanna o per legge cessi di (11) Dopo avere invano e lungamente cercato quest opera nelle nostre Biblioteche di Toscana, mi rivolsi all'amicizia del Prof. C. Wiltte di Halle, il quale si compiacque inviarmi copia di questa ecloga; la quale, per tanta rarità o difetto tra noi, credo di ristampare in calce di questa dissertazione. La idea di consultare quest'opera era in me nata leggendo il Ruporer, Della tutela S. 205 il quale pare ne accolga la opinione. (12) E qui cita egli, come il Cujacio, la L. 10, D. de tutelis, la quale parla del non municipe e non già del peregrino. V. s. nota 3. 6 CAVEPDESI essere tutore. E per contrario poi, chi per sua propria volontà renunzia la cittadinanza, perda effettivamente questa e più non sia cittadino, ma non possa già dirsi, nè in gius nostro dicasi esser lui diminuito di capo, nè pertanto valga a sottrarsi agli ufficj (munera), alla tutela, ond’era prima gravato: niun privato potendo intervertire a suo capriccio i pubblici dritti (Z. 5. în fin. L. 6. D. de cap. min.). Considerazioni le quali sono suggellate dal dotto espositore con rile- vare, che se in gius nostro è statuito non essere più tutore lui che patì la vera diminuzione di capo, mai però non si legge detto perdere la tutela, non essere più tutore quegli che per suo proprio fatto cessò dall’essere cittadino, o perdè, a dir meglio, la romana cittadinanza. Spiegazione a dir vero molto ingegnosa e quà e là rincalzata di più 0 meno felici argomenti (15). Sennonchè ardito vorrà sembrare quel ristringere che si fa dal Lycklama al solo caso del servo manomesso, e divenuto poscia tu- tore, il receptus dall’inimico. E troppo altresì sottile la distinzione, che quivi per gli effetti è posta tra colui che perde, per volontaria delittuosa rejezione, la romana cittadinanza, e colui che viene per condanna o per legge mediamente diminuito di capo; quando ciò si opera mai sempre in seguito e pena di una azione delittuosa; quando i così diminuiti di capo sono ragguagliati agli esuli del gius antico (14); e quando come nella rejezione della cittadinanza, così pur anco nella media diminuzione di capo, i romani giureconsulti avvisano la con- seguenza istessa, cioè, che: civitas mutatur, amittitur (15). IX. A. Arciati, nel Lib. I. Parergòn c. 15, gettando col fervido ingegno uno di que’ lampi che mirabilmente servono a rischiarare le tenebrose contro- versie, propone e fonda da se stesso la regola: che quanti il vogliono non pos- (15) Per es. ciò che dice intorno all’aforismo di Sabino « de sua quaque civitate cui- que constituendi facultas libera est, non de dominii jure » (L. 12. S. 9. D. de captiv. et po- st.); e delle azioni che tuttavia proseguono il diminuito di capo (dietro la L. 8. $-1. L. 5. S. 2. D. de cap. min.) su di che egregiamente il Saviony, Sistema dell’ odierno diritto ro- mano, Vol, II. SS. 71-74. (14) V. s. S. 2 e più sotto nota 40. (15) Gaj. I, 123. 151. 161. Ulpian. XI. 12. Inst. I. XII, 1. XVI, 5. L. 11. D. de cap. min. (IV, 5) che è di Paolo. Cf. Cie. pro Balbo XI—XHI. E per levare di mezzo ogni dif- ferenza più aperto sarebbe Boethius în Cie. Topica. c. 4. « media vero (cap. dem.) in qua civitas amittitur, relinetur libertas, ut în latinas colonias transmigratio » se Boezio non fosse troppo tardo autore. Unica differenza che può porsi tra coloro i quali per condanna e in pena restano mediamente diminuiti di capo, e coloro i quali spontaneamente spogliano la ro- mana cittadinanza è; che i primi diventano apolidi, perdono più propriamente ogni cittadi- nanza «cigitas amittitur »; gli altri che si fanno ascrivere ad altra città, mutano ciltadinan- za «civitas mutatur». E questa è forse la cagione per cui di questi ultimi non s'incontra detto che patiscono diminuzione di capo, degradazione; perchè mutano soltanto, a genio loro, e non già perdono ogni cittadinanza in generale. Ma sì gli uni che gli altri saranno sempre da risguardare alla pari rispetto alla capacità dei dritti di cittadino romano, e quindi della tutela, posciachè restano egualmente privi della cittadinanza romana. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 7 sono con un delitto spogliare la cittadinanza. A tale effetto, egli dice, è mestieri che dopo il delitto o una legge della città gli discacci dal suo seno e riduca peregrini, o il nemico gli faccia prigionieri secondo il gius delle genti: onde quel tutore che recasi al nemico non perde per cotal suo delitto la cittadinanza, ammenochè non sia un soldato transfuga e il nemico se lo ritenga per diritto di guerra (16). Primo pertanto e solo, per quanto io sappia, negò l’Alciati, che il semplicemente transfuga perda, o a dir meglio spogli, la romana cittadinanza, per sua volontà esternata con un delitto: ciò per l’Alciati si restringe al caso del soldato transfuga, jure belli ritenuto dal nemico, cioè, com’ egli più sotto spiega, collocato nelle sue fila; perchè allora (egregiamente avverte l’acutissimo interprete) doventa un pubblico inimico. 5. Dee perlanto recare non poco meraviglia che quando l’antesignano, il padre della culta giurisprudenza, egregiamente mostrava non perdere il tran- sfuga la romana cittadinanza, e M. Lycklama, che fiorì al cadere del seco- lo XVI, distesamente ragionava non subire il transfuga la media diminuzione di capo; tanti altri mai posteriori interpreti non si accorgessero almeno, come i testi per essi addotti (v. s. S. 2) punto non recano espressa la sentenza, che il transfuga perda la romana cittadinanza, o resti diminuito di capo. E difatti: Nelle Institute S. 3 de cap. dem. di due sole specie di persone è detto che soffrono la media diminuzione di capo; cioè gl’interdetti aqua et igni e i deportati. La L. 5. S. 1. D. de capite minutis (17) parla soltanto: 1.° di coloro i quali attualmente sono sotto l’impero di un magistrato del popolo romano e tutto a un tratto, voltando faccia (defecti), recansi nel numero o tra le fila del nemico (18). E quantunque io non voglia troppo risolutamente dire che quivi più specialmente accennisi ai popoli delle città che ottennero la romana citta- dinanza, i quali facciano poi causa comune col nemico e così perdano quella cittadinanza o il giure di municipio (19), certo è nondimanco che non ragiona punto del mero transfuga, di chi riparò soltanto nel paese nemico, ma di chi (16) «Imo et volentes ex delicto civitatem non amittebant, nisi aut lege pulsi, aut « jure gentium capti essent; quapropler tutor qui ad hostes transfugiat civitatem tamen reti- « net, nisi miles transfuga sit jure belli ab hostibus retentus: fit enim et ipse hostis publicus ». (17) «Qui deficiunt capite minuuntur. Deficere autem dicuntur, qui ab his, quorum sub « imperio sunt, desistunt, et in hostium numerum se conferunt: sed et hi quos senatus hostes « judicavit vel (populus?) lege lata, utique usque eo ut civitatem amiltant ». Cf. L. 3. $. 21. D. de re mil. (XLIX, 16). Cic. p. Planco 50. p. Domo 50. Liv. XXXII, 61 ad fin. V. defe- cere ele. Capitolin. Macrin. 8: « defectu legionum interempltus est ». (18) V. ZL. 2. S. 1. D. de his qui not. inf. (M, 2) L. 4. L. 58. L. 42. D. de testam. mil. (XXIX, 1) FORCELLINI v. Numerus. BRISSON ibid. S. 4. (19) Che in Roma si facessero quattro tribù di popolazioni transfughe o passate ad essa in tempo di guerra «(Qui Vejentum, Capenalumque ac Faliscorum per ea bella transfuge- «rant) » v. Lio. VI, 4, d. È) CAPEI per giunta si collocò nelle fila del nemico istesso, e apertamente impugnò le armi contro la patria, scuoprendosi così (come già disse l’Alciati) pubblico ini- mico: 2.° e di coloro i quali per senatusconsulto o legge furono dichiarati ne- mici della patria o ribelli, il che evidentemente accenna alle guerre civili e non al transfugio. La L. 14. D. ex quib. caus. maj. in int. restit. (20) parla è vero dei tran- sfughi, ma non dice restino diminuiti di capo; dice soltanto che ad essi non compete il benefizio della restituzione in intiero, posciachè è negato loro per- sino il gius di postliminio. Nè premio nè scusa, infatti, può fornire il delitto. La Legge 19. S. 4—8. D. de captiv. et postlim. al $. 4. ripete semplice- mente il detto nella precitata L. 14. D. ex quib. caus. ete. cioè che il transfuga non ha postliminio, e ciò per l’assai diversa ragione; che quegli il quale, con tristo consiglio e animo di traditore, abbandonò la patria, deesi avere in conto e trattare alla pari dell’inimico (21). — AI S. 7 dice sì che il figlio di famiglia transfuga non torna per postliminio al padre vivente (come il servo transfuga ritorna per esso al padrone $$. 5, 6) ma ciò per queste due cagioni: e perchè già il padre lo perdè, come lo perdè la patria; e perchè nel cuore de’ padri ro- mani il rispetto della militare disciplina prevalse mai sempre all’amore de’ fi- gli 2); in altri termini perchè quel figlio di famiglia soldato, atteso il transfu- gio, era oggimai sacro ad una pena capitale da prestare in campo a sgomento dei traditori e de” vili (S. 14); e non già perchè avesse egli incontrata la media diminuzione di capo, la perdita della cittadinanza. — E al $. 6 finalmente inse- gnando come il servo in istato di libero (statu liber), il quale siasi renduto tran- sfuga, se torni al padrone e dopo il ritorno avverisi la condizione apposta alla sua libertà, diventa effettivamente libero (25); non è testo il cui autore, Paolo, (20) «Item ei succurrilur, qui in hostium potestate fuit, idest ab hoslibus captus: nam « transfugis, nullum credendum est beneficium tribui, quibus negatum est postliminium ». (21) « Transfugae nullum postliminium est; nam qui malo consilio et proditoris animo « palriam reliquil, hostium numero habendus est». L. 7. D. de re mil. (XLIX, 16) « Prodi- « lores, lransfugae plerumque capite puniuntur, et exauctorali torquentur, nam pro Roste, non « pro milite, habentur ». L. 5. $. ult. D. ad L. Corn. de Sicar. « Transfugas licet ubicumque « inventi fuerint, quasi hostes, interficere ». (22) « Filius quoque familias transfuga non potest poslliminio reverti, neque vivo patre, « quia paler sic illum amisit, quemadmodum patria; et quia disciplina castrorum anliquior fuit < parentibus romanis quam caritas liberorum». Quantunque il GC. faccia quì allusione mani- festa alla severità dei Manlii, si vede però che in Roma non si contava troppo su questa seve- rità. In ogni modo si rileva che l’autorità di magistrato, competente al padre su i figli che aveva in potestà, subiva una limitazione, quando si trattava di figlio di famiglia soldato, il quale avesse commesso delitti contro la disciplina militare. (25) « Si statu liber transfuga reversus sit, existente conditione postquam rediit, liber efficitur ». Quì dee per tanto essere considerato un servo, il cui transfugio merilava scusa o fu seguitato da tali azioni, che gli procacciarono perdono; altrimenti non avrebb’ egli cansato l’ultimo supplizio. V. più sotto S. 16. Sennonchè del servo transfuga, che non poteva essere L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 9 possa chiamarsi in testimone della cittadinanza perduta dal transfuga; quando in contrario qui rispettata vedesi, malgrado il transfugio, la speranza e la facoltà che il servo, statu liber, avea di acquistare, purificandosi la condizione, e libertà e cittadinanza. 6. Niuno pertanto dei frammenti, che soglionsi allegare come opposti, non contrastando affatto alle parole di Ulpiano, il quale afferma che il tutore tran- sfuga, a differenza del tutore fatto prigione dal nemico e perciò stesso divenuto giuridicamente servo, rimane tuttavia tutore; ragion vuole che da questo testo di Ulpiano, il solo chiaro ed aperto, si derivi la regola seguitata in proposito dai romani. E ragion vuole altresì che non solo con M. Lycklama rigettisi per falsa la opinione di que’ tanti interpreti, i quali collocarono i transfughi tra i mediamente diminuiti di capo; ma eziandio di chi con lui volesse risguardarli alla pari di coloro, i quali per propria volontà perderono o mutarono cittadinanza. 7. E di fatti, se vera in gius romano fosse la regola da M. Lycklama pro- posta, cioè: che quanto ai diritti, gli ufticj e le tutele del cittadino romano gran divario corresse tra quegli che subiva la media diminuzione di capo, e quegli che volontariamente dismetteva la romana cittadinanza; se Ulpiano avesse vo- luto quindi significare, che la sola volontaria mutazione o perdita della cittadi- nanza, non importando degradazione, come la diminuzione di capo che si soffre per condanna o per legge, il tutore in discorso rimaneva sempre tutore; invece di conchiudere quel suo luogo con le parole « quia servus non efficitur, tutor manet »; avrebbe presso a poco detto « quia citra capitis diminutionem civita- tem vel amittit vel mutat, tutor manet ». Insomma non sarebbe il giureconsulto uscito dal risguardare la cosa ne’ veri suoi termini, ossia relativamente alla con- dizione ed allo stato di cittadinanza, per saltare così a piè pari in quello di li- bertà; quasi egli avesse ignorato come anco la inrogata privazione della cittadi- nanza poteva troncare la tutela! Onde par lecito di negativamente sì, ma pur- tuttavia con sicurezza, argumentare ; non avere Ulpiano creduto affatto possibile il dubbio intorno la cittadinanza di quel tutore: e che a ragione, fondato su quel testo, affermò l’Alciati: non bastare il transfugio, nè alcun altro delitto per volontariamente perdere o mutare la romana cittadinanza. 8. Riferite così le diverse opinioni su questa controversia proposte dai più dotti interpreti del gius romano, e dichiarato quale di esse ci sembri più certa e migliore, ne giovi adesso esaminare un poco e vedere per quali cagioni non dismettesse il transfuga nè perdesse la romana cittadinanza. 9. Se lo aderire indissolubilmente del cittadino allo stato, alla patria, e il debito di obbedirle in tutto, si considerarono come suprema necessità nelle an- soldato, nè sotto un duce, il supplizio probabilmente si pronunciava dal padrone come do- meslico magistrato; e quindi una ragione di più se per questa legge S. 5—6 il vediamo tor- nare mai sempre al padrone. Scienze Noolog. T. II b 10 CAPEIl tiche repubbliche (24), ciò più principalmente accadde presso ai romani.(25); i quali vissero per tanti secoli a reggimento popolare, partecipando ognuno nella sovranità dello stato e a fondarne il pubblico e privato diritto; furono sovrammodo tenerissimi di ogni utilità del popolo, dello stato (26); e nel pro- fondo animo persuasi, che lo appartenere alla città romana, il vivere secondo gli usi, gli statuti e la religione di lei, tale imprimesse nel cittadino una pecu- liare effigie e sì diversa da quella di tutt'altra gente, che « propter varietatem juris » (27) non potesse il romano essere cittadino a un tempo e della sua pro- pria e di altra qualsivoglia città (28). Al cadere pertanto della romana repub- blica (testimone il grande oratore nella sua difesa di C. Balbo) trovasi da lunga pezza stabilita in Roma la regola di gius, che il cittadino romano non può, a malgrado, essere spogliato o privato di sua cittadinanza. Ma quando poi, per quella parità o eleganza di gius, cotanto dai romani pregiata, vorremmo in- durre che nè tampoco il cittadino potesse per sola sua volontà spogliarla; onde lo stato, con suo non lieve detrimento e danno, non venisse a scemare e per- dere un libero capo; scorgesi invece fermato in gius, che può a suo senno di- smetterla; purchè tramutisi in altra città e non pretenda col suo passaggio acquistare la nuova e ritenere a un tempo la romana cittadinanza (29). Dispa- rità, ineleganza di gius, che mette manifestamente capo nelle origini della città. La quale compostasi per aggregazione di più famiglie e genti, uscite di varie schiatte e città italiane, latine, sabine, etrusche ec. (90); e nelle quali o postli- minio 0 gente (51) potevano, piacendo, ricuperare la loro cittadinanza e sede; (24) ScHeLLING Lezioni sul metodo degli studj accademici pp. 229, 250. StanL Filo- sofia del diritto etc. (Eidelberga 1859, p. 261) « Nelle antiche repubbliche l’uno e il molteplice e stavano io immediata congiunzione; la moltitudine (il popolo) sapea di formare uno stato « da cui non poteva staccarsi; e l’unità dello stato, lo stalo istesso, esisteva appunto nella « mulliplicità ». (25) L. 2. D. de I. et 1. (1,1). (26) L. 1. D. de I. et I. L. 45. S.A. D. de reg. jur. (L. 17). (27) Cic. p. C. Balbo. c, 15. V. la seg. nota 52. (28) Cic. p. Balbo. c. 11-15 p. Cec. 54. Lo stesso Cic. e Corn. Nipote Vita Att. e. 5. ci dicono non essere stata quella opinione comune, ai giorni loro, a tutti i romani. Ma chi ricordi come presso gli altri popoli, segnatamente i greci, si poteva essere a un tempo ciltadini di più città (Cic. p. Balbo 12) e che al cadere della repubblica le idee di gius delle genti tentavano di prevalere su quelle del gius civile, argumenterà facilmente che la opi- nione veramente romana è quella che con tanta fermezza da Cicerone fu propugnata. (29) Cic. p. Balbo c. 15. p. Caecina 54. ad fin. 1 (50) Lo provano i nomi stessi di parecchie romane genti e famiglie come: Auruncus, Siculus, Tuscus, Sabinus, Priscus, Vitulus, Vitellius (Liv. II, 59), Camerinus, Medullinus, Viscellinus, Maluginensis, Vaticanus etc. Cf. Cic. p. Balbo 15. (51) Postliminio Cic. p. Balbo 11. ad fin. e 12. gente o gentilitate: Varro Antiq. ap. Nonium in v. Reditus « Omnes Tarquinios ejecerunt, ne quam reditionis, per gentilitatem, « spem haberent », V. anche la seg. nota 44. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 11 punto non vollero renunziare, ma più presto custodire quel dritto, quando le si collocarono in Roma come nuova patria, e fondarono il gius privato e pub- blico di quella città. 10. Ma quantunque, ripeto, al cadere della repubblica antico già fosse il principio di giure pubblico che niuno suo malgrado potesse costringersi a mu- tare patria e cittadinanza; e niuno, suo malgrado, a ritenerla (52); nondimanco e ci erano casi in che il cittadino romano poteva, suo malgrado e per eccezione, essere privato della cittadinanza: e certi modi, certe condizioni doveansi prati- care, tenere da chicchesia volesse liberamente lasciarla, onde anche in ciò mo- strasse la debita osservanza e reverenza inverso la patria. 11. Difatti: coloro i quali per lo sfrenato abuso di loro autorità o per qua- lunque altro modo avessero offeso, o minacciato pericolo alle libertà del po- polo, dei cittadini, potevano, malgrado loro e per legge speciale, essere dalla città cacciati (civitatis ejectio): lo che, per es., occorse a Tarquinio Superbo e figli (55) ed anzi a tutta la gente o consorteria de’ Tarquinj, per levare dagli animi ogni sospetto, non con gli aiuti o i dritti di questa gente, potessero mai que’ tiranni avere aperto un adito per tornare in Roma e sconvolgerla (94). Parimente: coloro i quali rifiutassero obbedienza agli ordini del popolo o del senato, o si levassero in armi contro la patria e suoi magistrati, erano altresì, malgrado loro, privati della cittadinanza o per legge del popolo o per decreto del Senato (55). Coloro i quali violato avessero il gius della pace o della guerra custodito dalle antiche genti, e che dal popolo romano consegnavansi (dediti) al popolo offeso in giusta riparazione ed espiazione dell’oltraggio, come appena erano da questo ricevuti (recept?) perdevano, anche a malgrado, la romana cit- tadinanza (56). E finalmente, nella età imperiale, coloro i quali in seguito di una condanna erano puniti della deportazione in una isola, dei pubblici lavo- ri ec. perdevano pur essi, in pena, la romana cittadinanza (97). (52) Cic. p. Balbo 13. « O jura preclara alque divinitus jam inde a principio romani « nominis a majoribus nostris comparata! Ne quis nostrum plus quam unius civitatis esse « possit, (dissimilitudo enim civitatum varietatem juris habeat necesse est); ne quis civitate « muletur; neve in civilalem maneat invitus!» L. 12. S. 5. D. de captio. et posti. « Quia, ut « Sabinus scribit, de sua qua civitale cuique constituendi facultas libera est». (55) Lege tribunicia, Pompon. în L. 2. D. de orig. jur. S. 5. (I, 2) e i citati nella seg. nota 54. CÎ. Cic. p. Domo 20. Or. II. ad Quirit. in Catil. 6. 7. (54) Cie. de Rep. HI, 25. 51. Liv. II. 2. I, 59. Varro l. c. nota 51. (55) L. 5. D. de cap. min. (IV, 5) riferita sopra nota 17. Cl. Cic. (et Bruli) Episto- le 4. vers. « Quod scribis....ad arbitrium meum ». (56) L. 4. L. 5. D. de captiv. et postl. L. 17. D. de legation. (L,7). Cic. de Orat. I 40. p. Caec. c. 54. f. in Top. c. 4.4 Liv. V, 56. IX, 10. 11. Florus II, 18. (57) L. 17. D. de penis (XLVHI, 19). Fest. in v. Deminutus. Così nella età imperia- le fu per tirannia violato l'antico principio intorno la libertà cittadina. Per gli altri casi v. la seg. nota 40. 12 CADEI 12. Viceversa poi, se in ogni eta del popolo romano vedesi dai cittadini liberamente esercitato il dritto di lasciare la patria e la cittadinanza romana, e ciò per l'una o l’altra di queste due cagioni (98): o perchè, dilungandosi da Roma, volessero schivare la invidia e le tribolazioni, o pur anco la condanna che temevano in un giudizio contro loro mosso e tuttavia pendente (59), in- somma per esercitare il gius di un volontario esilio da quella; (e dico volon- tario esilio e non pena; imperciocchè, fiorendo la repubblica, non essere mai stato l'esilio pena, ma sì diritto del cittadino romano, lo attestano infinite isto- riche testimonianze (40) chi loro dia quella sana intelligenza, la quale oggimai s'è fatta trita e volgare): o perchè, quantunque intatti e liberi d’ogni oltraggio, di ogni condanna (indemnati et incolumes), pur tuttavia piacesse loro di ab- bandonare la romana cittadinanza (civitatis relictio) (41) e tramutarsi in altra più gradita città: nondimanco, fosse che gli uni avessero esercitato il gius del- l'esilio e gli altri il gius di mutare cittadinanza, nè quelli nè questi non si te- nevano aver dismesso la romana, insino a tantoche, conforme ai precetti del patrio pubblico diritto, non avessero lasciato prima il suolo di Roma (solum ver- tissent) e non si fossero poscia fatti ascrivere (adseribi, adscisci) e dedicati (di- catio) ad una nuova patria e cittadinanza (42); altrimenti aveansi come mera- mente fuggitivi, profughi, assenti (45). E non è tutto: perchè nè al cittadino che prendeva esiglio da Roma per causa di calamità o per evitare una condan- na, e nè tampoco a quegli che di sua propria e semplice volontà se ne dilungava per mutare cittadinanza, era poi lecito di stabilire sua sede presso a qualunque straniero popolo che più gli paresse e piacesse. 15. Stando infatti agli esempli delle storie vedesi, come gli esuli più pro- priamente tali, o i dipartiti dalla città per evitare qualche capitale condanna,. non aveano rifugio e porto contro il popolo romano e suoi magistrati, se non in (58) Cic. p. Balbo 11. (59) Polyb. Hist. VI, 14. (40) Cic. p. Caec. 54. p. Domo 50. p. Balbo 11 e 15. Tuscul. V. Liv. v. 52. XXV, 4. LXIX. Epit. Sallust. Catil. (Or. Caesar.) et passim. NicoLar ANTONI de Exilio I. c. 2. S. 12. c. 5. S. 10. c. 6 e 7. (v. s. nota 9). Heinece. Antig. I, 16. S. 9—11. j. HaupoLDI Epicr. ad L. 1. p. 925. NIEBURR Storia romana II. « Del diritto d’ isopolitia e di municipio». — Questo gius si allerò d’alquanto dopo la guerra sociale e più assai sotto gl’Imperatori e divenne pena quando certi malefizj vennero per legge puniti con la interdizione dell’acqua e del fuoco (Gaj. I, 128. Ulpian. X, 5. $. 1. J. Quid. mod. jus p. p. solv.) e i colpevoli s' ebbero in conto di esuli o furono eziandio costretti lasciare la patria L. 5. D. de interdict. et rel. (XLVII, 22) F. DE RETES de Interd. et rel. c. 1. v. anche i citt. nota 52. (41) Gic. p. Balbo c. 11 fin. e. 12 prince. (42) Cie. ibid. c. 11 per tot. e c. 12. « caeteros undique adscribi ». — 44 famil. Lib, 3. Ep. 19. (45) Cic. p. Domo 50. L. 20. D. de minor. (IV, 4) Sallust. Fragm. Lib. ine. « qui nullo certo exsilio vagabantur » ed. Havercamp. Amstel. 1742. T. II. p. 145. Consimile ci si pre- senta quella «lata fuga » di che in L. 5. D. de interd. et rel. CÎ. HEINECC. |. c. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 13 que’ luoghi ove per dritto della città era ad essi lecito esulare (44), cioè: 1.° o in quelle città nelle quali eglino, le loro famiglie e genti, a saputa di Roma, avessero particolare diritto di riparare o postliminio o gente ($. 9 e nota 31) perchè già usciti o uscite da quelle; o gius personale almeno di municipio e ospizio: 2.° o in quelle città con le quali Roma avesse contratto vincoli sia di municipio, sia di società o confederazione ed amicizia: 5.° o finalmente in quelle che il popolo romano approvato avesse e consentito siccome luogo di giu- sto esilio all’uno o l’altro di quegli infelici. Così lo stesso Collatino il Tarquinio riparò, esulando, a Lavinio, altri dei suoi consorti in Laurento, ambedue città dei Latini ed ogni resto in Cere città già suddita di Tarquinia e dalle quali tutte molto verosimilmente traevano origine le varie famiglie onde si componeva la gente medesima (4). E Coriolano non mancò al debito, quando per timore della imminente condanna passò. tra’ Volsci, ai quali era congiunto per suo particolare diritto di ospizio o municipio (46); quantunque poscia servisse troppo alle sue vendette, sia capitanando quelli o accompagnandoli nella guerra mossa contro l’antica sua patria (47). Nè vi mancò tampoco Cn. Fulvio, il quale, per isfuggire un capitale giudizio, tradottosi in Tarquinia « id ei justum exsilium « esse scivit plebs » (48): non finalmente que’ tanti esuli illustri, Scipione, Q. Filippo, C. Catone, Cepione, Rutilio, Cotta, Milone e mille altri, i quali tra- (44) Arg. Gic. de Orat. I, 59. «Qui Romam venisset, cui Rom® exsulare jus esset ». Liv. 1. c. nota 48 e più sotto riferito. Polyb. VI, 14. N. ANTONII de Ezil. L, 1. c. 7. (45) Liv. IT, 2. Che in Laurento fosse una gens Tarquinia Dionys. V. 54. Ad ogni modo poi che tra Latini e Romani fossevi di que’ tempi gius di municipio e concilladinanza lo mostrano i matrimonj tra loro avanti la battaglia di Regillo. Dionys. VI, 1. Liv. II, 15. Altre romane memorie fanno riparare i Tarquini] in Cere Liv. I, 60, città già dipendente e consanguinea di Tarquinia, e che in sin d’anlico vediamo legata a Roma con gius di ospizio Liv, V, 50. Ciò si riferisce più strettamente alla tradizione che vuole i Tarquinj venuti in Roma da Tarquinia, e che recentemente si avvalorò per la scuoperta in Cere di molti mo- numenti sepolcrali de’ Tarquinj. V. DENNIS « Viaggi nella Etruria » nel Bullettino dell’ Instituto di corrispondenza archeologica N.° HI. Marzo 1847, p. 56—65. Forse delle famiglie, che com- ponevano quella gente aleune furono latine, altre, e segnatamente la più illustre, di Tarquinia. | (46) Dionys. VIII, 9. ove del diritto dato a Marco di sedere nel senato di ogni città Volsca, di che pertanto dovè essere municipe. Liv. II, 55 ov’ egli è detto Rospes del Re Vol- | sco. Che Rospitium poi equivalga a municipium v. Liv. V. 50 v. 28. E perchè Coriolano dicasi Rospes del Re non dei Volsci bene ciò spiega la L. 19. pr. D. de captiv. et postl. che parla di postliminio coi Re e non coi popoli da essi governati. (47) A differenza della tradizione seguitata da Livio e Dionisio, Cicerone, Volsco di origine, dice: « Bellum Volscorum gravissimum, cui Coriolanus nterfuît »: Brutus 10. (48) Liv. XXXVI, 5. (a. n. 541) Gli Etruschi erano federati di Roma. Ma o la vicinanza di Tarquinia a Roma rendè necessario quel plebiscito, o nei foedera con gli Etruschi (Po- lyb. II, 20, 5.) che Gracco il padre risguardava come barbari (Cic. de Nat. Deor. II, 4, 10. Sq. de Dicin. I, 17. II, 55. ad Q. fratrem. II, 2. Val. Max. I, 1. 5) era vietato raccettare gli esuli. Vuolsi però ricordare che Cesone Quinzio figlio di Cincinnato, il primo esule di Roma per privata cagione, esulò tra i Tusci Liv. III, 15. 14 CAPEI mutaronsi in Linterno, Nocera, Tarragona, Smirne, Rodi, Marsiglia e altre città socie, confederate e amiche di Roma (49). 14. Nè diversamente dagli esuli, più propriamente tali, adoperar dove- vano coloro i quali spontaneamente volevano mutare e mutavano patria e citta- dinanza. Imperciocchè, riparando fuori del patrio suolo, andavano in sostanza anch'essi a collocarsi in esilio (50); onde ogni differenza si raggirava, nella causa perfettamente libera e volontaria dell'esilio, e in questo effetto; che mentre, quanti per ispontanea volontà avessero mutato suolo e cittadinanza, potevano con piena sicurezza racquistare la patria jure posiliminii o postliminio (41), quan- tunque volta piacesse loro di tornare a quella; per contrario chiunque avesse esulato per evitare condanne e pene non potea tornarvi senza gravissimi peri- coli e anche della vita; quando e’ non fosse stato per popolare decreto richia- mato, e tolta via quella interdizione dell’acqua e del fuoco che per ordinario suoleva pronunciarsi contro que’ più odiosi e perseguitati cittadini, i quali eransi avvantaggiati del gius di esulare (52). Onde altresì gl’incolumi e non condan- nati, i quali per sola ed ispontanea volontà dilungavansi da Roma, non mutavano giustamente patria, se non col farsi ascrivere e dedicarsi ad una città o di mu- nicipi o di socii o di confederati almanco e amici di Roma (53); e collocandosi tra’ quali non potea dirsi che Roma avesse perduto affatto, e molto meno irre- missibilmente, quel cittadino; si perchè questi, volendo, poteva recuperare « postliminio » la cittadinanza; e intanto contava o come cittadino di municipio, o come uno de’ socii ch’erano nell’uflicio e la obbedienza di Roma, o final- mente come uno dei confederati almanco e amici della repubblica. E dico che non potevano mutare cittadinanza se non tra questi così congiunti ed amici po- poli. Conciosiache, quantunque nella sua preziosa orazione per G. Balbo al ca- po 15 Cicerone affermi che Roma potea donare della sua cittadinanza l’uomo di qualsivoglia popolo a lei più straniero o nemico, e che in tal modo oprava in- sino dalla sua prima origine; non aggiunge peraltro che il cittadino romano potesse mutare sua cittadinanza in quella eziandio dei popoli che a Roma fos- sero stranieri appieno o nemici: dice soltanto che poteva a sua posta e ritenere e dismettere la qualità di cittadino romano. E mentre tante mai ragioni, tanti (49) Plutarch. Vita Scip. Cic. p. Balbo 11. p. Caecina 33. in Catil. II, 6. 7. pro Ra- Lirio, Ascon, in Arg. Orat. pro Milone etc. (50) Cie. p. Caec. 54 in f. «in exsilium hoc est in aliam civitatem ». Exesilium significa pertanto ex solo; ex sules, ex solo esse. N. ANTONII O. c. d. cap. 1, S. 1-6. (51) Cic. p. Balbo c. 12 ad fin. (52) Liv. XXV, 4. Appian. Bell. Civ. I, 51. Cic. pro Domo 18. 50, pr. (55) Per le differenze dei socj e confederati di Roma v. L. 7. D. de captiv. et postl. (XLIX, 15) F. DE RETES De Postliminio ete. c. 4. n. 3, in Thes. Meermann T. 6. p. 284. NiE- BUHR Storia rom. Vol. III. « Soggiogamento totale della Italia, diritti politici degl’ italiani confederali ». L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 15 esempli adduce per comprovare la piena reciprocanza del diritto di passare dal- luna all’altra cittadinanza tra i romani e i socii e i federati di Roma (cap. 11. ad fin. c. 12. c. 18. ad med.), quando il patto espresso della confederazione non lo avesse per eccezione vietato (c. 14); niuno poi ne adduce che ci dimostri aver potuto il romano mutare sua cittadinanza in quella di un popolo straniero af- fatto o nemico di Roma. Ed anzi dal patto di eccezione, che Cicerone ricorda stipulato nella confederazione co’ Germani, gl’Insubri, gli Elvezii, i Giapidi e certi altri barbari della Gallia, siamo condotti a sospettare mon fosse quello appositamente scritto nella confederazione per lasciare rispetto ciò le cose nel primiero stato o anche avvalorarlo. Imperocchè, rimosso per la federazione ogni pretesto di raccettare i romani per dritto di nimistà o di guerra, si ovviava con tal patto al gius che un romano potesse mutare sua cittadinanza in quella di essi nuovi socii; feroci per natura, mobili d’ingegno, e l’amistà dei quali non si poteva sperare che avria per sempre o lungamente durato. Ne il silen- zio in ciò di Cicerone o le conghietture che si possono trarre dal riferito caso di eccezione sono i soli argumenti onde vogliamo conchiudere che tanto sfrenata libertà di ascriversi pur anco agli stranieri nemici popoli giammai non fosse consentita al cittadino romano: non difettando gravi e solenni testimonianze, le quali rendano viepiù sempre chiaro e manifesto che del diritto di siffatta mutazione non si potette in Roma, neppur tampoco, formare lo strano concetto. Abbiamo infatti da Q. Muzio Scevola, giureconsulto riferito e seguitato da Pomponio e poscia da Paolo ne’ Digesti (54) che que’ popoli stranieri, coi quali non avea Roma nè amicizia, nè ospitalità, nè federazione, non potevano per verità dirsi nemici, quando non ci avea guerra dichiarata e aperta, ma tuttavia siccome, pel gius delle antiche genti, que’ popoli s° impadronivano delle romane cose e riducevano servi i liberi cittadini romani, quante volte capitavano in mano loro; ed altrettanto poi per rappresaglia facevano ad essi i romani, così anche in questo caso era conceduto il postliminio, o il racquisto dalla primiera libertà e cittadinanza, se al romano riuscito fosse il sottrarsene e ritornare ai limiti dell'impero. Ora: se questo tra gli antichi popoli, quantunque non in guerra, era il gius che celebravasi quando che l'uno all’altro fossero stranieri affatto e disgiunti; onde tra essi e i veri nemici non si poneva differenza di sorte, ed erano ugualmente tenuti in conto e appellati del nome di nemici (55); vano mi sembra il credere che fosse allora pur concepita la idea che il citta- dino romano potesse, per gius della città, lasciare la propria ed acquistare la loro cittadinanza. E tanto più vano mi sembra immaginarlo, allorchè lo stesso Pom- (54) Pomponius in L. 5. S. 2, PauLus in L. 19. pr. D. de captio. et postlim. Cf. d. L. 19. S. 5. L. 50. D. cod. L. 6. C. de postlim. rev. (VIII, 51) S. 5. I. Quib. mod. jus p. p. Sole. (I, 12) Festus în v. Postliminium. (55) Cic. de Offic. I, 12. Varro de Lingua lat. v. S. 3. 16 CRA TPRESI ponio, commentando altrove su tal proposito, come Ulpiano, gli scritti di Sabino, dichiara: che se un romano fatto prigione in guerra, cui il trattato di pace permetteva tornare a’ suoi, fosse per volontà rimasto presso l’inimico, non aveva altrimenti postliminio; cioè; non poteva poi, volendo, recuperare la romana cit- tadinanza (56). Ora se il prigioniere di guerra, che per dritto delle genti, rice- vuto in ciò dagli stessi romani, addiventava uomo del popolo inimico e, mano- messo, cittadino di quello (L. 5. $. 3. L. 12. $. 9. D. de captiv. et postlim.), non avea postliminio, quando in virtù pur anche di un tal diritto avesse prescelto rimanersi presso quel popolo; mai non sarà dato credere, che per gius proprio della città, potesse il romano cangiare ad ogni voglia sua cittadinanza in quella altresì di un popolo da lei disgiunto e nemico. Unico dritto adunque delle genti, che tra se fossero straniere in tutto e nemiche, non impugnato dai romani era questo, potersi l’ una impadronire delle cose, rendersi serve le persone del- l’altro. Epperò Ulpiano consentendo a Q. Muzio, a Pomponio, a Paolo, senza entrare in dispute che nissuno giureperito avrebbe allora saputo suscitare in- torno alla cittadinanza, brevemente disse di quel tutore che non fu pigliato, catturato dai nemici « quia servus non efficitur, tutor manet ». 15. Nè fanno forza o diflicoltà in contrario le riferite parole di Cicerone: che Roma praticò mai sempre dare la sua cittadinanza all'uomo di qualsivo- glia popolo a se più odioso o nemico (p. Balbo 13.) e persino anche al perfuga, traditore di loro (ib. e. 9. ad fin). Altro è difatti che uno stato, quanto a se, ricoveri e dia cittadinanza all’uomo di un popolo, col quale non sia veruna co- munione di amistà e di dritti, o anche jure belli al perfuga (57) che con somma nostra utilità tradiva il nostro nemico; e altra cosa è che il popolo e il gius della città, cui quell'uomo, quel perfuga appartiene, abbia da riconoscere e riconosca aver colui potuto rivestire a buon dritto la cittadinanza dello stra- niero e nemico popolo, e dismettere quella che prima aveva (58). E Cicerone, il quale negava risolutamente che i popoli socii di Roma potessero statuire ve- runa cosa, onde qualsivoglia minima diminuzione provenisse al diritto e ai co- modi della sua città (ib. e. 8), non potè nè volle, per fermo, con quelle sue parole spiegare la opinione; che, per diritto pubblico di quella, lecito fosse ad (56) L. 20. D. de captiv. et postlim. (XLIX, 15) « Si caplivus de quo in pace cautum « fuerat, ut rediret; sua voluntate apud hostes mansit, non est ei postea postliminium ». (57) L. 51. D. de adq. rer. dom. (XLI, 1) « Transfugam jure belli recipimus ». Cf. Cujac. Obss. L. IV. c. 9. (58) Arg. L. 12, S. 9. D. de captio. et posilim. « Certe apud hostes manumissus libe- « ralur; et tamen si eum naclus dominus ipsius vetus intra preesidia nostra fuisset, quam- « vis non seculus res nostras.... servum retineret jure poslliminii.... quia Rostium jure obesse « civî nostro, domino servi, non potest». Epperò Liv. II, 16. dice di Ap. Claudio « Romam « transfugil » e non «civitatem mutavit » perchè i Sabini erano allora in guerra coi Romani, nè quindi potea parlarsi di una giusta mutazione della cittadinanza: Cf. L. 19. $. 8. D. eod. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 17 ogni popolo, quantunque a lei straniero e nemico, rendere suo proprio un cit- tadino romano, con diminuzione aperta per la città romana di un capo libero e degli uffici, delle utilità che sarebbe stata in grado di ricavarne (59). Lo che se vale quanto ai recepti o nella propria cittadinanza ricevuti da un popolo stra- niero affatto e nemico; molto più dee valere pei meri transfughi, ricoverati sotto la loro fede: conciosiachè alle ragioni fin qui dette l’altra si aggiunga su- periormente notata (S. 12) cioè, che nemmeno gli esuli nè coloro i quali, senza delitto, esercitavano il diritto di mutare cittadinanza, non s’intendevano avere dismessa la romana insino a tanto che non fossero stati ascritti ad una nuova patria e cittadinanza. Laonde possiamo con piena sicurezza ripetere quanto già disse l’ Alciati; che pel solo fatto della propria volontà esternata col transfugio, con si enorme delitto, niuno potè spogliare la romana cittadinanza; e molto manco poi chi ne avea più pronta e comoda la occasione, cioè il soldato: il quale, dato che avesse il giuramento e sottoposto che fosse all’impero del ma- gistrato, del duce, perdeva il diritto di levarsene per tutto il tempo che dovea militare negli stipendj (60). 16. Resta pertanto a vedere se, non oprandosi per volontà dell’uomo, la privazione della romana cittadinanza cadesse almeno come pena inrogata al transfugio, ipso jure o prima di venire al giudizio, sopra quel tristo, il quale riparasse al nemico; nella guisa appunto che cadeva su coloro i quali, ardita- mente voltata faccia (defecti), givano in vista dell’esercito a collocarsi nel nu- mero e tra le file degli inimici. E, in difetto di aperte testimonianze che lo neghino o lo affermino, tosto per negarlo ci si para innanzi la considerazione; che il mero transfugio è un atto non sempre da tristizia procedente, ma le più volte da viltà di animo, da subitaneo timore; che non è tampoco agevole il conoscere, senza venire prima a giudizio e sentenza, se alcuno trovisi presso all’inimico o per violenza da lui patita (captus, transductus) o per propria sua volontà; che nè ragione, nè civile prudenza consentono mettere i transfughi alla pari di coloro i quali baldanzosamente si collocarono nelle file nemiche, perchè sarebbe un invitargli a fare altrettanto. E che di tal modo non opras- sero i fondatori del romano diritto lo mostrano parecchi aperti luoghi di quello, in che vedesi come il soldato, o fosse disertore soltanto o fosse transfuga, con- servava il suo nome nella legione e nel numero (61); che tornato sotto l’imperio ‘e in mano del suo duce se ne ascoltavano diligentemente le difese nel militare (59) Quanto si fosse lontani in Roma dal voler perdere ulilità siffatte può argumentarsi dalla L. 19. S. ult. D. de captiv. et postlim. « Postliminium hominibus est, cujuscumque se- « cus, conditionisee sint.... quia ejus nature sunt ut usuî esse vel consilio, vel aliis modis « possinlj». (60) L. 5. C. de re mil. (XII, 36). (61) Liv. VII. 41. Ne cujus militis scripti nomen, nisi ipso volente, deleretur. Scienze Noolog. T. II. e 18 CAPEI giudizio, e tutte si ponderavano prima di punirlo le circostanze, i particolari e le scuse che aggravassero o attenuassero quel suo delitto (62); che tante volte gli si perdonava, quante con un nuovo merito purgato avesse la colpa (63); in- fine, se egli potea provare essere colà stato violentemente tradotto o fatto pri- gioniero, gli si contava la paga di quel tempo che avea passato presso al nemico, gliene correvano gli anni come di servizio, e, cessato quello, avea con gli altri veterani diritto alla pensione (64). Ma se, all'incontro, il soldato transfuga non avea ragione 0 scusa per mondarsi, se per sua propria volontà o proditoriamente avea riparato al nemico, altro che perdita della cittadinanza! Imperocchè niun decorso di tempo (65), niun postliminio (66) potea salvarlo da quella pena capi- tale, che il suo duce doveva ad esso inremissibilmente inrogare (67). 17. Da queste regole, pertanto, seguitate nei giudizj e nelle pene dei sol- dati in particolare, due sono le conseguenze che scaturiscono rispetto ai tran- sfughi tutti quanti. La prima è; che dello stato loro non potè pregiudicialmente portarsi in gius una diflinizione, e dichiararli privi della romana cittadinanza, posciache lo stare presso al nemico non è sempre indubitato segno di rea vo- lontà, di delitto; ma può dipendere altresì da ostile violenza, ed essere in certi casi degno di remissione o di scusa; onde non ipso jure, ma dee la pena sol- tanto inrogarsi dietro cognizione dei fatti e un particolare diligente giudizio; e in frattanto ragion vuole che tutto lascisi nel proprio stato d’incertezza e senza averne proferito anticipato giudizio. La seconda è; che pena di gran lunga più grave della peregrinità attendeva in gius romano i veri transfughi; 0 come testè vedemmo, la perdita della vita. E difatti che, prima della sentenza, rimanesse illeso lo stato dei transfughi, me ne convince il vedere come per la L. 5. D. de capite minutis (IV, 5) que’ stessi cittadini, i quali disobbedito aves- sero o combattuto i magistrati del popolo romano, non perdevano la cittadi- nanza insino a tantoche o una legge speciale del popolo o un decreto del senato non gli avesse chiariti nemici dello stato e ribelli (68). E non senza ca- (62) L. 5. S.9. L. 4. S. 12—15. L. 5. pr. S. 1-6. D. de re milit. (XLIX, 16). (65) L. 5. S. 8. D. cod. e altrove. (64) L. 5. $. 12. L. 5. S. 7. L. 15. D. cod. (65) Arg. L. 5. C. eod. (XII, 56). (66) L. 19. S..7. D. de captiv. et postl. (XLIX, 15). (67) L. 3. S. 10, 11. L. 7. D. de re mil. L. 8. S. 2. L. 38. S. 1. D. de penis (XLVIII, 19). Liv. XXX, 45. Rosini Antiquit. c. 16. (68) V. L.5. S.1. v. «Sed et hi etc. » riferito s. nota 17. Era difatti regola in Roma « ut nihil de capite civis, aut de bonis sine judicio senatus, aut populi, aut eorum qui de quaque re conslituti judices sint detrahi possit». Cic. p. Domo 15. E perchè questa regola sarebbe stata violata rispetto ai transfughi, se non lo era nemmeno quanto ai ribelli? È no- tabile che di G. Blosio Cumano fautore di Tib. Gracco non si dice che perdesse la ciltadi- nanza quando riparò ai nemici, ma che: « Hac amentia, questione nova perterritus, in Asiam profugit, ad hostes se contulit, poenas reipublie@ graves justasque persolvit ». L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 19 gione. Conciosiachè; nè senza precedente esame, sia del popolo o del senato, poteva sapersi se veramente que’ cittadini avessero agito contro la pubblica vo- lontà, e quell’essere tenuto in conto di ribelli, in un con la grave perdita della cittadinanza, oprava altresì che i loro beni ricadessero nello stato; onde che non solo i ribelli, ma i loro figli puranche venivano a partecipare di quella pena (69). Ora: se questo di non aver perduta la romana cittadinanza, avanti che il popolo o il senato ne avessero pronunciato sentenza, era diritto perfino dei ribelli; come vorremo credere che pregiudicialmente e ipso jure spogliati fossero della cittadinanza i transfughi, che si appiatfano presso lo straniero, il nemico, prima che fosse esaminato e deciso se colà stessero a malgrado o per propria volontà; se inoffensivamente e per qualche causa non immeritevole di scusa; oppure con animo di traditore e nemico? Nè per distruggere si naturale e necessaria induzione possono fondatamente opporsi le antecedenti parole della stessa L. 5. $. 1, le quali senza mostrare il bisogno a ciò di una decisione del senato o del popolo, affermano scadere dalla cittadinanza coloro i quali fanno defezione (qui deficiunt) ossia ci lasciano e vanno a porsi nelle file dell’inimico, avvegnachè costoro, impugnando a vista dell'esercito le armi contro la patria e collocandosi nelle fila di un popolo, al quale già venne pubblicamente intimato guerra, e fu pertanto dichiarato nostro nemico, ‘riesce inutile ogni nuovo pub- blico decreto, ogni sentenza per chiarirli nostri nemici; onde a ragione poteva definirsi in gius che, atteso il fatto, avean perduta la romana cittadinanza. Ma non così dei transfughi, i quali non brandiscono in faccia a tutti le armi contro la patria, nè possono dirsi rei di un fatto che indubitatamente gli appalesi no- stri nemici; potendo, ripetesi, quel fatto derivare da più e diverse cagioni; es- sere talvolta degno di scusa o remissione, tal’altrà irreprensibile, perchè operato da violenza ostile, onde non può la pena essere a quel fatto inrogata ipso jure, ma dee seguitare al giudizio ed alla condanna. E non vuolsi nemmeno prete- rire, che, se contro ogni giustizia ed ogni civile prudenza sarebbe stato trattare i meramente transfughi alla pari sia dei ribelli, sia di coloro i quali andarono ad augumentare le fila e il numero degli inimici, molto maggiore poi sarebbe stata la ingiustizia, la civile insipienza, chi gli avesse fatti di peggior condizione. Il che sarebbe per appunto accaduto, quando i transfughi fossero stati ipso gure privati della cittadinanza. Posciachè: senza verun giudizio o decreto di sorta, che pur sempre si proferiva contro i ribelli, e senza che dalla loro posi- zione, come pur troppo da quella di chi fè defezione, emergesse indubitata prova di un misfatto, essi soltanto avrebbero perduto cittadinanza e beni; e i loro innocenti figli sarieno stati, per sempre, spogliati delle paterne sostan- (69) Gic. Epp. ad Brut. et Bruti: ep. 12—15. L.1. $.5. D. de suis et leg. her. (XXXVIII, 16) L. ult. D. ad L. Jul. Maj. (XLVIU, 4) L. 3, D. de interd. et releg. (XLVII, 22). 20 CAPEI ze (70). Egli è pertanto giuoco forza conchiudere: che il mero fatto del transfu- gio seco giammai non trasse, nè potè trarre, la perdita ipso jure della romana cittadinanza. 18. Ma si dirà; qual'era dunque lo stato, la posizione dei transfughi? Lo stato loro era per appunto quello delle persone assenti per volontaria, turpe ed ingiusta causa, e quindi (oltre la pena che se meritata gli attendeva in giudizio ) non potevano essi nutrire speranza, tornando, sia di godere il gius del postli- minio, o il benefizio della restituzione in intiero (in integrum restitutio), onde un ristoro procacciavasi alle persone già state assenti per necessaria e giusta causa (71); epperò dovevano inreparabilmente sopportare tutti que’ danni che per tale assenza aveano incorsi nel patrimonio. Elegantemente Ulpiano in L. 4. D. ex quib. caus. maj. in int. rest. (IV, 6) «Item ei succurritur qui in potestate « hostium fuit, idest ab hostibus captus. Nam transfugis nullum credendum « est beneficium tribui, quibus negatum est postliminium ». E non è arduo indagare le cause, onde non competeva ai transfughi nessuna specie di postli- minio. Non competeva, difatti, nè poteva ad essi competere quel postliminio onde si ristoravano quegli infelici, i quali o in pace o in guerra fossero stati fatti prigionieri o in altro qualsivoglia modo sostenuti da un popolo straniero affatto o nemico (72), perchè, non avendo i transfughi dimorato in quelle terre malgrado loro, e infuria, ma sì per fatto di loro stessa volontà, non potevano a prò loro invocare un rimedio; proposto in gius unicamente a sollievo di quanti avessero ceduto alla violenza ostile, non alla infingardaggine o alla pravità del- l'animo (75). E non competeva ad essi nemmeno quel postliminio che vedemmo (70) Anche coloro i quali esulavano per evitare condanne e pene perdevano i beni Cic. Tuscul. Quest. v. 37. Liv. XXV, 4. et passim. Ma ciò non era ingiusto di fronte a chi ap- punto esulava per evitare la condanna e pena che gli sovrastava nel già pendente giudizio, tra le cui conseguenze appunto sarebbe stata anche questa di perdere il patrimonio. Gli esuli pienamente volontarii però, ossia coloro i quali a piacer loro mutavano cittadinanza, non erano per certo impedili sia di asportare sia di vendere le cose loro. Sennonche quelle di manci- pio non vendute le avranno dovute verosimilmente collocare presso un amico contracta fidu- cia (Gaj. II, 59, 60) perchè l’uomo divenuto peregrino certamente ne perdeva il legittimo dominio (ex Jure Quiritium) e difficilmente poteva ritenerle in bonis a diminuzione delle cose che si doveano descrivere al censo. E a ciò parmi sia da riferire il detto di Sabino alle- gato in L. 12. S.9 D. de cap. et postl. « de sua quaque civitate cuique constituendi facultas « libera est, non de dominii jure ». CI. NieBUHR Storia etc. I. Delle centurie; testo alla no- ta 977. II. Delle franchigie dei latini pr. (71) L. 26. S. 9. L. 29. L. 59. D. ex quib. caus. maj. in int. rest. (LV, 6) BURCHARDI (Piedercintsetzung) Della restituzione in intiero S. 12. (72) L. 32. S. 1. D. de hered. inst. (XXVII, 5) L. 5. S. 1, 2. L. 12. pr. L. 16. L. 19. pr. L. 24. D. de captiv. et postl. S. 5. J. quib. mod. jus-p. p. sole. (I, 12). (75) L. 12. pr. L. 19. S. 4. D. de captiv. et postl. (Cf. L. 2. S. 2. D. eod.) L. 19. C. de postlim. rev. (VII, 51) L. 5. S. 5, 6. D. de re mil. (XLIX, 16) DE VALENTIA Ill. tra- ctatt. Lib. I, tract, 3. c. 6 e 7. 1. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 21 concesso a cui si fosse giovato del gius o di esulare o di mutare cittadinanza: conciosiachè, per valersene, facea mestieri tramutarsi in quelle città nelle quali avevasi facoltà, diritto di esulare e commutare cittadinanza; insomma presso a popoli, i quali avessero con Roma un qualche giuridico legame di società, con- federazione, ospitalità ed amicizia (S. 13). Or come questa facoltà di esulare e commutare cittadinanza non poteva avvicendarsi tra Roma e i popoli che le erano stranieri affatto o nemici, chiusa come era tra essi ogni communione di gius, non potea tampoco parlarsi di siffatta specie di postliminio a fine sia di recuperare una cittadinanza che non poteva in verun modo argumentarsi commu- tata, perduta; sia per emendare i danni sofferti nelle cose familiari che volon- tariamente e turpemente erano state deserte (74). Laonde lo stesso Ulpiano, in quel frammento, su che il tornare ci tardò tanto, pur troppo dovè dire e giusta- mento disse: che quel tutore, il quale o dai nemici fosse raccettato nella loro cittadinanza (receptus) (75) o meramente trafuggito ad essi, rimane tutore, che è quanto se avesse detto cittadino. Conciosiachè, ripetasi un altra volta; nè al romano è lecito mutare la propria cittadinanza in quella di un popolo straniero affatto, o nemico; e il semplice transfugio, o il volontario abbandono del patrio suolo, non seguitato dal dedicarsi, ascriversi ad altra città, è molto meno tale atto che sia capace di oprare abdicazione e perdita di nostra cittadinanza (S. 12). 19. Sennonchè, a mio credere, un dubbio rimarrà sempre intorno le pa- role di Ulpiano, cioè: se il giureconsulto abbia in esse proposto tre varii casi, in che quel tutore, il quale sia non prigioniero presso al nemico, rimane non- ‘ dimanco tutore; ovveramente un solo caso che poi si atteggi in due varie guise. « Si quis tutor (dic’egli) non sit captus ab hostibus, sed missus ad eos quasi « legatus, aut etiam receptus ab eis, aut transfugerit ....tutor manet ». Difatti tre varii casi avremo in che un tutore, quantunque trovisi presso al nemico, rimane tuttavia tutore; chi alle parole di Ulpiano dia questa prima interpreta- zione, che a dir vero si dimostra molto più semplice, più naturale e più ovvia: « Se un tutore non sia fatto prigioniero dai nemici, ma 1.° sia spedito ad essi come se ambasciatore; 2.° o sia pur anche ricettato da essi in cittadinanza; (74) L. 19. C. de postl. rev. Cf. DE RETES de postliminio c. VI. (75) Che «recipere » « receptus » vogliano, le più volte almeno, significare « racceltare, racceltato, nella cittadinanza » lo provano Cic. p. Balbo 12, 14, 16, 25. p. Caecina « receplus est in exsilium, hoc est in aliam civitatem » e passim. Gaj. I, 151. disgraziatamente mutilo e che dietro i surriferiti luoghi di Cicerone potrebbe più elegantemente restituirsi «freci- perentur aliene civitatis cipes». V. anche Liv. IX, 10. 11. L. 4. D. de capt. et postl. Tac. Ann. IV, 45. Ad ogni modo poi che il receptus della nostra legge voglia significare raccet- lato in cittadinanza, lo prova la differenza che tra lui quì ponesi e il transfuga. Nè si dica che nella controversa legge receptus potrebbe altresì spiegarsi come ricevuto in protezione, perchè la L. 19. S. 8. D. de capt. et postl. dimostra come il ricevuto in mera protezione (suscepta fide) e non in cittadinanza è ancor egli semplicemente un transfuga. 22 CAPEI 3.° o abbia soltanto trafuggito....,riman tutore ». E un solo caso avremo in due varie guise atteggiato, chi, dando alla particella « aut » non virtù disgiun- tiva, ma declarativa del fatto già posto nelle precedenti parole (si quis....le- gatus), interpreti in questa altra forma tutto quel testo. « Se un tutore non sia fatto prigioniero dai nemici; ma, spedito ad essi come se ambasciadore o sia da essi perfino raccettato in cittadinanza o abbia soltanto trafuggito (abbia cioè pigliato meramente sede tra loro)...riman tutore». E allora una diversa ragione ci sarebbe aperta per cui, nel caso, quel tutore quasi ambasciadore non per- derebbe nè la cittadinanza, nè la tutela. Conciosiachè per dritto delle antiche genti, quantunque straniere affatto o anche nemiche tra loro, e’ si dovesse non solo custodire inlesi gli ambasciadori, i messi del nemico, ma eziandio resti- tuirli al popolo, dal quale erano stati inviati (76): onde ai nemici, di che parla Ulpiano, non sarìa stato per quel gius concesso nè il sostenere a forza, nè il ricettare per cittadino, e nè tampoco permettere che presso loro come tran- sfuga dimorasse quel tutore romano, il quale era stato mandato ad essi in figura di ambasciatore; sicchè pertanto dovè rimanere e rimase a un tempo cittadino e tutore. Ma quando anche volesse preferirsi, come più elegante per la doppia ellissi che supporrebbe, e non più presto rifiutarsi questa seconda interpretazione, appunto perchè tanta eleganza di ellissi la rende pure assai più sforzata e contorta che nol consente lo stile di Ulpiano ; non credo riusci- rebbe men vera la proposizione qui sopra fermata ($$. 14-16) che i transfughi non perdevano la romana cittadinanza. E a buon conto: che a cotesta perdita non si facesse luogo come pena si renderebbe anche viepiù sempre manifesto per questo istesso frammento di Ulpiano. Imperciocchè, se nemmen quegli che andò come ambasciatore al nemico non perde in pena la cittadinanza, sia che ricoveri tra loro come transfuga, 0, peggio, lascisi raccettare nella loro cittadi- nanza; non saprebbesi vedere cagione, onde siffatta pena dovesse dirsi inrogata agli altri transfughi, di lui per certo meno traditori ed iniqui. E come poi dal suo canto, e checchè siasi del gius degli inimici, non ebbe quel tutore mancato di spiegare col transfugio l’animo, la volontà di rigettare lungi da se la romana cittadinanza; resterà sempre questo luogo di Ulpiano come testimone almanco di un caso in che non era giuridicamente dato spogliare la romana cittadinanza, sia per vestire quella di un popolo nemico, sia per istarsi apolide presso quello; (76) Cie. în Verr. I, 53. de harusp. resp. 16. L. 17. D. de legation. (L, 7) Stat. The- baid. Il. v. 575. «tutique regressus legato ». Difatti quantunque nei casi sia di recezione in cittadinanza, sia di ricovero dato al transfuga non ci sarebbe stata violazione personale del legato, vi era però un’ onta, un danno ingiustamente recato al popolo che lo inviò, ripo- sando sul dritto delle genti. E non è da mandare inosservato che secondo il diritto romano non può essere giustamente receptus dall’inimico, se non quegli il quale è deditus dal popolo al quale appartiene. Ora lo inviato in qualità di ambasciatore non può dirsi davvero che sia deditus. L. 15. DE TUTEL. DEI TRANSFUGHI ETC. 23 cioè dire nudamente libero e non più cittadino di qualsivoglia città (77). Che anzi questo luogo di Ulpiano, per particolare che voglia contemplarsi il caso addotto, saremo sempre costretti confessare che in se contiene la regola gene- rale e da doversi seguitare in tutti quanti i casi, concernenti alla tutela e alla cittadinanza dei transfughi. Imperciocchè, quest’esso della Legge 15 de tutelis, essendo l’unico testo di gius romano, e per niun altro luogo contradetto, in che si tratti la questione, e dichiarisi rimaner tutore quel cittadino il quale per un modo o l’altro trovisi presso al nemico, purchè per altro non ridotto servo (quia servus non efficitur); dovrà mai sempre dirsi che esprima una regola ge- nerale sotto forma di caso particolare, avendo sua sede appunto là dove si dee cercare il principio che governa la soggetta materia, come già notammo in esa- minare la interpretazione di A. Fabro. 20. E non credasi, finalmente, che quel tutore di cui favella Ulpiano, rimanendo a un tempo cittadino e tutore, riposi punto sovra un letto di rose. Vedemmo già come a tutti i transfughi sovrasti la pena capitale, se al delitto loro non possano dipoi pretessere una qualche ragionevole scusa ($. 16). Ve- demmo inoltre che non vi ha per essi nè gius di postliminio, nè benefizio di restituzione in intiero ($. 17-18). Ed ora si vuole aggiungere che l’assenza di quel tutore, essendo volontaria, turpe e criminosa, non può fornigli scusa per aver cessato dal suo uffizio di amministrare la tutela (78). Laonde se per siffatta volontaria e turpe assenza danni provennero al patrimonio del pupillo indifeso; se il tutore interino, per quella assenza dato dai presidi al pupillo, avrà dimi- nuito il patrimonio pupillare; esso tutore che per sua volontaria e turpe assenza ne era in causa col cessare colposamente dalla gestione, dovrà subìre ogni for- tuna, ogni pericolo di sua cessazione (periculum cessationis) e restaurare per conseguenza tutti quanti i danni, che, atteso la predetta cessazione, diminui- rono le facoltà, le sostanze del non difeso pupillo (79). (77) Ulpian. XX. 14. L. 1. S. 2. D. de legat. III (XXXI) L. 17. S. 1. D. de panis (XLVII, 19). Questa seconda interpretazione, avvicinerebbesi, in sostanza, a quella che già vedemmo proposta dal COSTANTINEO. (78) La scusa si fornisce soltanto per l’assenza reipublicae caussa. Che anzi lo stesso assente reip. causa, se non allega la scusa, va anch'egli incontro a qualche pericolo L. 1. C. Si tut. vel cur. reip. ex. abf. (V, 64). (79) Varic. rragu. S. 156. L. 1. D. de adm. et peric. (XXVI, 7) L. 2. C. si tutor +. cur. non gess. (V, 55). RuDORFF Della tutela Vol. III, S. 156, Cf. S. 2. J. de excus. tut. v. cur. I, 25. L. 10. S. 2. D. de excusat. (XXVII, 1). NOTE IN APPENDICE I PETR. LORIOT «De tutela et cura» ( V. sopra pag. 3, nota 5) Non mi è peranche sortito avere a mano questo scrittore. Ove mi giunga più tardi, ma prima che esca in luce questo volume degli Annali di nostre Uni- versità, mi farò debito di riferirne il luogo, o i luoghi di che si tratta, in calce di questo volume. Intanto noterò come anche M. Lycklama, nella Zcloga che qui seguita vers. « Ceterum firma nostra est sententia, etc. » tiene opinione che almeno il figlio di famiglia transfuga soffra la minima diminuzione di capo. II. Marci LrctLama Aa Nyenott J. Ci Frisij. Membranarum libri septem. Franekerae. M. D. C. VIII, 4° Lib. vii. Ecloga 35. S$. 1. p. 518-526. (7. s. pag. 5 nota 11.). Explorator, qui proprio motu, ut arcana hostium reversus nuntiet, transfugerit, manet liber, civis romanus et tutor d. /. 5. n fin. sed aut cito reversus est, et fieri minus potuit, ut alius interim tutor sit datus, aut diu emansit, periclitatur, et igitur examinantur causae emansionis, /. 4. $. fin. ff. de re milit. conf. d. l. 4. S. ult. de capt. et post lim. Sic de hoc casu intelligi non potest d. /. 15. De eo, quem receptum proponit Ulpianus in d. 7. 15. vivum exemplum est Menander ille apud Pomponium, qui captivus cum fuisset et Romae manumissus, deinde rece- ptus, dicitur manere civis et desinere pro ratione circunstantiarum, d. l. 5. @n fin. D. de capt. et post lim. l. A. ibi « a nobis receptus » d. tf. Sic superest nunc, ut inquiramus, an captivus si a nobis manumissus fuerit, et tutor factus, postea receptus sit a suis, eosque malit sequi, tutor maneat? Decidit Ulpianus tutorem manere, sed interim alium surrogari, in d. 7. 15. Ratio dubitandi est, quod civi- tatem romanam amiserit /. 5. $. fin. ff. de capt. et post lim. rev. Ratio decidendi est, quod cum non efficiatur servus, tutor manere possit, munere tenus, quo non civis onerari cur nequeat, nihil obstet, /. 10. ff. de tut. multo magis debeat ECLOGA XXXV. 25 nexus quis teneri, qui nec excusationem, nec vacationem meruerit, ut transfuga fac. tot. tit. ff. de excus. et vac. mun. Hanc rationem si attendimus, fiet, ut et de vero transfuga accipi possit Ulpianus d. /. 15. #uat. ecl. 17. et 22. supr. lib. 5. ne qua civis fuerit, et qua non civis iam delieto suo factus conditionem suam censeatur facere meliorem. Transfuga autem non is solus accipiendus est, qui aut ad hostes, aut in bello transfugit, sed et qui per induciarum tempus, aut ad cos, cum quibus nulla amicitia est, fide suscepta transfugit, /. 19. $. 8. ff: de capt. et post. l. revers. De transfuga, qui tempore induciarum aut ad non hostes transfugerit, non loquitur Ulpianus sed de eo, qui ad hostes transfugerit, d. l. 15. ibi «ab hostibus captus » item, ibi « receptus ». Priorem unanimi fere con- sensu tradidere nostri, voluntaria sua fuga sibi mediam capitis diminutionem accersere, non alia ducti ratione, quam quod civitatem romanam amittat. Opi- nio, quae ‘impingit in illa principia, quae ajunt neminem esse dominum suorum membrorum, neminem sibi posse ius dicere maxime capitaliter. Si naturaliter nemo sibi sententiam mortis naturalis possit pronuntiare, multo minus eius vi ultimo se supplicio afficere; nec id in morte civili quis poterit, fac. $. 10. Ins. de adopt. Quin ergo distinguendum nobis serio sit, inter capitis diminutionem , et potestatem, quae unicuique data est civitatem retinendi et perdendi voluntate privata, dubium profecto non est. Illa quippe non contingit alicui citra con- demnationem capitalem, /. 5. ff: de extraordin. cogn. S.A. Inst. de capit. demin. I. 7. S. 1. ibi dudicavit ff. de capit. minut., aut generalem populi aut legis pro- nuntiationem, ut in eo, qui ad pretium participandum se venundari passus est d. S. 1. et $. 4. Inst. de iur. person. Cicero pro domo sua. «Sed cum hoc,» inquit, «iuris a maioribus proditum sit, ut nemo civis romanus, aut libertatem, aut civitatem possit amittere, nisi senatus auctoritate factum sit. » Quorum ver- borum non alia est sententia, quam privata auctoritate memini libertatem aut civitatem posse adimi. Tu ne tibi igitur, tuo marte tantum malum posses accer- sere, tuusve esse Rhadamanthus? Non certe. Qui civitate amissa capite minutus dicitur, est sine civitate, 7. 17. $. 1. ff: de poen. Aliud quam est in transfuga, qui sua voluntate civitate romana sese exemit, et civitati hostili adscribi possit. Cicero pro Cornelio Balbo [ xx. 27. 28.]. Ex his patet, non omnem civitatis ro- manae amissionem esse capitis deminutionem. « Magna potestas est (4ait idem Cicero ibid.) nostro civi mutandae civitatis ». Consentit noster Tryphoninus adducta Sabini auctoritate in /. 12. $. 9. D. de capt. et post lim. quando, «de sua qua civitate, ait, cuique constituendi facultas libera est, non de dominii iure» . Capitis deminutio etiam, qua civitatis amissio, est poena capitalis 7. 103. ff: de V. Sign. Haec utique non libera est facultas. Praeterquam quod transfuga si suo facto civitatem amittendo poenam istam incurreret, dominii iure etiam simul se pri- varet contr. d. $. 9. ibi « non de dominii iure ». Bonorum quidem suorum domi- nium ad occupantes ut pervenire possit, fugiendo facit, 7. 51. $. 1. ff: de acg. rer. dom. De dominii iure, quod in eo qua civitatis membro habebatur, non item costituendi potestas ei fuerit, iuxt. d. $. 9. Ergo quid ni concludam; transfugam voluntarium non pati suo facto mediam capitis diminutionem, contr. Cujac. 4. obs. 9. Ubi, et illud viro summo miror excidisse: non semper media capitis Scienze Noolog. T. II. d 26 LOXA.C KALTAVMOUA diminutione tutoris, tutelas solvi, contr. $. 4. Inst. Quib. mod. tut. fin. quasi vero ulla in re utile esse posset, ut deportatus tutor maneret, cum nulla sit restitutionis aequitas adversus eum, qui amissis bonis et civitate relicta nudus exulat Z. 7. ir fin. ff: de capit. minut. Ceterum firma nostra est sententia: transfugam in potestate patria qui erat, si ab his, quorum sub imperio est, ( magistratus intellige, quorum imperio adoptamus eos easve; qui quaeve in potestate parentum sunt, $. 1. Znst. de adopt.) desistat, et in hostium numerum se conferat iuxt. /. 5. $. 1. ff de capît. minut. pati minimam capitis diminutionem iuxt. eclog. 17. supr. lib. 5. Ratio est, quod minima capitis deminutio privata his et familiae eius iura, non civitatis amittat, et proinde nec tutelas /. 6. et 7. d. it. Quod ipsum si ita est, ut sane verissimum, transfuga, de quo tractat Ulpianus, in /. 15. ff. de tut. sive fuerit in potestate et sic fuga sua minimam capitis deminutiopem passus, sive sui iuris et sic nullam capitis deminutionem passus, consentientibus iuris principiis tutor manet. Ratio est quod nemo privatus suo facto publica iura intervertere, officiumque onerosum abrumpere possit, fac. l. 5. în fin. l. 6. ff. de capit. minut. Qui maximam aut mediam capitis diminutionem non est passus, delictis non exuitur, quamvis capite deminutus sit /. 2. $. 3. d. ti. nam injuriarum et actio- num ex delicto venientium obligationes cum capite ambulant /. 8. $. 1. d. tit. Quanto magis privata illa iudicia summae existimationis et pene capitis, ut cum Cicerone loquar in orat. pro Q. Rose. fiducia, tutela, societas. Si cum capite ambulat tutela, manet tutor. Adhuc dubitas? Tutor, quamdiu tutor est, loco domini fere est in rebus pupilli, /. 109. ff. de V. S. L 7. S. sé tutor ff. pro emptore l. 11. ff. Quod vi aut clam I 56. S. qui tutelam ff: de furt. De hoc dominii iure negat Sabinus ei liberam constituendi facultatem esse, d. /. 12. 6. 9. ff. de capt. et post. l. revers. si sua fuga se tutela solveret, constituendi facul- tatem istam, vide ne tribuas. Quin audi Gaium, dum ait, eas obligationes, quae naturalem praestationem habere intelliguntur, palam esse, capitis deminutione non perire /. 8. ff: de capt. min. Sed instas; si tutor manet, cur alius tutor interim datur et non curator, cum tutorem habenti non detur tutor, iuxt. supe- riora? Respondeo, quo sensu injuriarum et actionum ex delicto venientium obli- gationes cum capite dicuntur ambulare, /. 7. $. 1. ff: de capit. minut. ita tutelam sequi transfugam, ut in civitate, quam suo facto amisit, tutor alius interim pu- pillo detur, quoniam ibi nullum habeat. Etenim sic fiet, ut diverso respectu transfuga maneat tutor, et pupillo detur tutor tutorem non habenti in d. /. 15, ff: de tut. argumenta igitur, quibus oppugnamur, ita removeantur: transfuga, ajunt, in hostium numero habetur, /. 19. $. 4. ff: de capt. et post. l. ergo civi- tatem Romanam amittit. Quia civis esse desinit, qui animum apud suos manendi amisit, arg. /. 5. fin. ff. d. de capt. et post. l. capitis vero deminutione tutoris, per quam civitas vel libertas amittitur, omnis tutela perit. $. 4. Znsti. quid. mod. tut. fin. Respondeo civitatem amittere transfugam, nec hoc me negasse unquam, sed discrimen faciendum esse in modo amissionis. Cui media capitis deminutio contingit, tutorem non manere, transfuga num eam patiatur et quando, in facto consistere iuxt. eclog. 17. supr. libr. 5. Quicunque suo facto civis esse desinat, ei caput minui, negamus. Cicero in orat. pro Corne!. Balbo [x1, 29. 30.]. Iam autem ECLOGA XXXv. 27 nemo non videt civitatem hisce verbis significari amissam a multis, quos nemo dicet propterea capite deminutus. Non ergo recte ratiocinamur : Transfuga desinit ‘esse civis, ergo est capite deminutus. Eum vero, qui suo facto citra capitis deminutionem civis esse desinit, aut potius civitatem amittit, amittere tutelam, desinerere esse tutorem, nuspiam relatum est et recte. Sicuti enim, quod ab initio vitiosum est, tractu temporis non potest convalescere /. 29. ff: de reg. jur. Ita non est novum, ut tutela, quae semel utiliter constitit, duret, licet ille casus extiterit, a quo initium capere non potuerit /. 85. $. 1. ff. d. nic. Fateor, transfuga, qui animo proditoris patriam relinquit, est hostis. Quid tum? non propterea si priusquam transfugeret, iniuriarum aut actionum ex delicto venientium obligationibus mihi teneretur, fuga liberationem legitimam meruisse conditionemve suam potuisse facere melio- rem statuendum est. Sed nec, qui occisus, non lugendus dicitur, eo ipso capite deminutus iudicatus, multo minus ex eo, quod postliminium non habeat, quo vel a latronibus captus careat, 7. 24. ff: de capt. et postl. qui tamen et civis et liber maneat non minus. Atque haec pro defensione nostrae sententiae d. ecl. 17. supr. lb. 5. De ceteris conf. Interpretes institutionum ad d. $. 5. Inst. de curat. Ricevuta da Hala per compiacenza del Prof. Witte il di 10 Luglio 1848. "i tod RUSTI) auris caro venir; ia g povbe carmi bb ASL: Pn he trici, bo an WU AG! Cmpiriatà nappi Misia: d graniti UP mE MA 3 t RI sans tag RI 1 — matgpaaai ir "raro =bilomt Spin) aeziuiog avan PARO iz ori dee, reti SACE DEI Latiri Nr n imop jicnisat tego «vba di wa 4 su pi ; ine ties stasi aa Aratri i de ad i | i i ; Piran .d SALI ai ant RT TTD si up). pren“ varati ius i 3 Le sE sunnita? fa; Macau) don tb As e - al Mpa Jas 18 Mii di gta È » rd vo: 2% Ca DO ble dini 28 avi ) ; ac È RL sd è Ò ; e 4 x vj. " 9 A "a Ae - e, Mm TI è To n » 5 Rt ; Ma | i uè. 1: - di dI sun "e DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS ORATLIO PISIS IN LYCEO MAGNO HABITA A CAJETANO FANTONE CAN. PRIM. ET LL. 00. DOC. DECOR. "HI. IDUS NOVEMB. AN. MDCCCXXXXVII IN SOLEMNI STUDIORUM INSTAURATIONE — = Est hoc, Optime Curator, Sapientissimi Collegae, Auditores quotquot estis ornatissimi omnes, inter caetera fallacium opinionum commenta non minimum nec novum nec ante hunc diem inauditum, quod nonnulli dictitant, studia nempe linguarum et literarum levia nimium esse et fere nugatoria, et cum ad voluptatem, animique delectationem sint quam maxime accomodata, ad scien- tiarum tamen utilitatem, et ad severiorum disciplinarum fructum aut nihil aut certe parum conferre. Itaque contendunt res et facta non verba attendenda: et frustra conterere tempus, quicumque ut stilo elegantiori utantur, et vim et co- piam in dicendo scribendoque assequantur, optimis legendis scriptoribus vacant diligenter, illorumque aurea volumina nocturna manu et diurna versant; et operam insumere inanem qui literis et linguis animum adjungunt. Quod autera de literis ac linguis in universum dicunt, de linguis quae orientales vulgo nun- Vide ad ea, quae hic disseruntur — Andres, Origine progresso e stato attuale di ogni letteratura. Tom. I.— Storia universale ec. scritta da una compagnia di Letterati Inglesi. — Ginguené, Histoire litteraire d’Italie. — Gibbon, Histoire de la décadence de |’ empire ro- main. — Robertson, Introduzione alla vita di Carlo V.— Libri, Histoire des sciences mathé- matiques en Italie. — Baldelli, Viaggi di Marco Polo. — Pigeon, Etat des sciences et des arts chez les Arabes. — Langles, Magasin encyclopéd. An. IV. lib. 1. — Hyde, Syntagma dissertationum etc. et Oratio, de ling. arab. utilitate. — Abel Remusat, Nouveaux mélanges asiatiqg. mémoires sur l’ Encyclop. japonaise; multosque alios. 30 KCA GNICENONNOT cupantur magis magisque asserunt, quod sint et nostris natura dissimiles, et regionibus disjunctissimae, et locis infinitae et ab usibus moribusque nostris alienissimae ac penitus abhorrentes. Ad has igitur imperitorum hominum refel- lendas voces (quos certe illud aureum divini Platonis effugit 0g sîdev dvpare eloerat nai tà mpayuata) possem quidem in medium afferre omnia argumenta, quibus homines doctissimi de literarum praestantia et utilitate disputantes illo- rum putidam ineptamque sententiam refutarunt, et exempla sexcenta summo- rum virorum, qui cum scientias pene omnes callerent, et in severioribus disci- plinis apprime versati essent, tamen de literis excolendis et linguis addiscendis, ac de sermone et stilo expoliendo summopere fuerunt solliciti; sed cum id ex hoc ipso loco superiore anno amicissimus et collega meus jam verbis amplissimis et ornatissimis persecutus fuerit, hoc ego tantummodo argumentum adducere ero contentus, quo uno facile intelligo necesse esse ut concidant, amantissimi scilicet ac providentissimi Magni Ducis nostri instituta. Etenim Princeps huma- nissimus de scientiîs, de literis, de disciplinis omnibus optime meritus cum post alia bene ac sapienter in rem publicam facta sibi in animo proposuisset et pu- ‘blicam iustitutionem conditis novis legibus melius ordinandam, et Academiam hanc nostram nulli ali ex cuncta Italia academiae secundam futuram, parum cumulate se illi consuluisse arbitratus est, nisi ad caetera Theologiae, Legum Prudentiae, Medicinae, aliarumque scientiarum collegia, Philosophorum etiam et Philologorum collegium addidisset. In quo sapientissimus Princeps multa vidit, sed istud praecipuum: omnia jacere in tenebris, nisi lumen literarum ac- cederet, et nisi literarum et praecipue orientalium notitia extitisset de scientiis fere omnibus forsitan actum fuisse. Illis enim disciplinarum omnium, quibus nunc viget et floret Europa nostra, principium et instaurationem deberi: ex illis in scientias ac artes maxima inventa et incrementa ad aetatem usque nostram et fuisse derivata et adhuc esse derivanda. Quod quidem optimi Principis judi- cium quam verum, quamque rectum fuerit breviter pro re, et pro meis viribus hac solemni et auspicata die exponendum suscipio. Sed me de Linguarum orien- talium in scientias utilitate disserentem, et apud vos, Collegae amplissimi, nunc primum verba facientem humanitas et comitas vestra recreet ac reficiat obte- stor. Nam si hujus loci majestas (cujus parietes adhuc gestire et resonare mihi videntur vocibus italorum exterorumque Sapientum, quorum ipsa lumina sunt hic Collegae in vestro numero) si frequens et jucundus alias conspectus vester, si lectissima qua stipati sumus corona, si ingenii mei exiguitas, et nulla in di- cendo exercitatio, si quae aliae denique sunt res, quae dicere incipientem ti- mere, totisque artubus contremiscere faciunt, omnia haec in me maxime con- currunt hoc tempore. Non mea adductus voluntate hoc dicendi munus suscepi, sed necessitate et officio compulsus in hunc conscendi locum tot tantorumque virorum facundia ac eloquentia pene singulari illustratum, et illius praesertim DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 31 cujus mors recens adhuc mihi animum mentemque conturbat. Quem vos hic toties summa oris suavitate dicentem audistis, et quem scriptorem purissimae latinatis, poetica laude celeberrimum, et vitae integritate, morum innocentia ac venustate, charitate eximia in patriam ac in amicos et cives comitate insignem omnes suspexerunt, Collegam vestrum et meum, non dico magistrum tantum et amicum, sed patrem quasi amantissimum Petrum Bagnolium. Qui cum ad hanc studiorum rationem ineundam mihi auctor fuisset, humanissimo magisterio per- functus me praeceptis suis imbuit, perpetua benevolentia fovit et complexus est, adjutorem sibi elegit, et cum, ut par erat, plurimum gratia apud Principem va- leret, omni ope est adnixus, ut totum id, quod mihi est, ex beneficentissimi Prin- cipis munificentia consequerer; quocirca benevolentiae, et beneficiorum ejus memoriam nulla unquam in me delebit dies, sed et cum mortuo manebit sem- piterna. Quidquid igitur pro vestra sapientia et eruditione minus ornate minus copiose dixero, id virium mearum imbecillitati potius quam voluntati tribuen- dum putate et mihi qua maxime polletis indulgentia ac facilitate condonate. Et primum illa nimis antiqua praetereo, quae Graeci veteres ab Oriente primitus hauserunt: a Chaldaeis scilicet et Babyloniis astronomicas observatio- nes, normam, et libellam; et umbrae indicem umbilicum quem gnomonem vo- cant: a Phoenicis et Aegyptiis geometriae elementa, ecclipticae obliquitatem, temporis divisionem, corporum caelestium distantias et dimetiones,, theologiam et musicen, sculpturae aliarumque bonarum artium rudimenta: praetereo quae a Persis, et per eos ab Indis accepta habuerunt, quorum geodresia numismata amplissima praebent testimonia: praetereo Anaximandri et Callisthenis, Pytha- gorae et Platonis caeterorumque sapientum itinera ad Chaldaeos et Aegyptios et Indos; a quibus itineribus redeuntes spoliis opimis Orientis, ut ita dicam, onusti, philosophicas disciplinas et scientias in homines suae gentis invexerunt, sum- misque ingeniis elaboratas et auctas ore rotundo elocuti adornarunt. Haec om- nia, inquam, praetereo, et venio ad illa quae nos aetatemque nostram propius attingunt. Nam postquam illi rerum humanarum dominae Fortunae visum est pro suo lubitu res Italiae, gentemque togatam, et populum late regem belloque superbum ex suo gradu dejicere; barbarae gentes, quas romanum nomen, et Imperii ab hesperio cubili ad solis ortum porrecta majestas intra fines continuerat, veluti grege facto irrumpunt, et Hunni, et Gothi et Vandali et Eruli et Alani et Lon- gobardi, ac Gallias atque Hispanias, miserrimamque omnium Italiam totam sus deque funditus evertunt. Jam fumat humo Aquileja potens; jam proximae ar- dent Altinum et Concordia. Mediolanum et Sapiens Bononia, Mutina et Parma, Placentia et Regium dirutae et semiustae non urbes, sed urbium cadavera solo jacent. Quis vero Neapolitanas caedes, et per Campaniam per Apulias caeteras- que Italiae, qua ad Meridiem vergit, partes clades et funera commemoret? civi- 32 F AN TONI tates vastatae, exinanitae domus, fana expoliata, funditus eversae provinciae, cives afllicti et miseri. Nec te urbs sacrorum et fidei parens et magistra, Roma, multa pietas et sacrosaneta Religio, nec Magni Omnipotentisque Numinis sacer- dotalis infula texit; sed Barbarorum armis dire obsessa, pluries capta et re- cepta, incendio magnam in partem deleta, opes direptas, magna et regalia opera solo acquata, templa compilata, interrupta moenia, antiquarum aedium specio- sissimam constructionem dissipatam, profugos cives doluisti. Neque arma solum, et ab hostibus illatae clades terram italicam depopulatae sunt, sed et gravi pestilentia et male suada fame grassante, visae sunt (verbis utor Procopii hi- storici) complures matres sensu omni humanitatis exutae tenellos natos devora- re; quinquaginta et amplius hominum millia fame sunt perempta, quam multi sese in servitutem addixere, domus ac religiosa templa atque altaria caedibus foedata, vi et rapinis violata: ubique luctus, ubique pavor, ubique sanguine et cadaveribus omnia plena. In his tantis malis, et in hac gravissima afflictarum rerum offensione quid literis, quid scientiis, quid bonis artibus foret loci, quas fovent quieta rei publicae securitas, et tuta apertis otia portis? Intermissis stu- diis, doctoribus el magistris aut occisis, aut patria pulsis, bibliothecis ruina et incendio deletis, libris et manuscriptis codicibus deperditis, nemo fuit, qui con- fectus curis, et continenti terrore distractus, voluntatem aut tempus vacandi doctrinae, et literas excolendi haberet; sed satis superque sibi fuit, si salvum esse, et vitam asperam quamvis et insuavem producere sibi licuisset. Atque huic tanto literarum incommodo minime occurrerunt Theodorici regis jussa et Cas- siodori ac Boetii studiosa cura et diligentia ad literas et humaniores disciplinas revocandas ac reficiendas. Quamquam enim Ticini aliisque civitatibus scholae et gymnasia restituta, et latae leges fuerint de constituendis et ordinandis studiis: quamvis doctis et literatis hominibus habitus sit honor, et data gratia et benefi- cia collata, dum Theodoricus salvis rebus, vita incolumi et mente sana est usus; post mortem ejus tamen discordia et discidia inter Gothos, eorum con- templus in literas et scientias et bella gravia et diuturna inter eos et Graecos caesarianos (a quibus Itali magis quam a Barbaris acerbissime sunt divexati ) effecerunt, ut quidquid literarum et scientiarum id temporis homines callebant (quod quidem, Cassiodoro teste, erat sane parum) totum evanesceret, et spes melioris aevi omnino difflueret. Sed neque Caroli Magni institutis et mceptis secundior fortuna arrisit, aut fructum aliquem, uti par erat, percepit amor, quo vir alioqui illiteratus et doctrinae expers literas prosequutus est. Si quidem tota studiorum ratio ea tempestate in hoc fuit, ut grammaticam et cantum, et eccle- siasticam computationem quam vocant discipuli tantum docerentur; et cum discipiinae nonnisi theologicae scholastica methodo, nimia subtilitate, perpetuis disputationibus, implexis ratiociniis quasi per aucupium traderentur; ingenium contentionibus et verborum tricis implicatum, hispidum et agreste potiusquam DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 39) elegans et acre evadebat, et ad verum literarum bonum, aut scientiarum incre- mentum nullo pacto dirigebatur. Vita autem defuncto Carolo et ejus successo- ribus regnantibus iterum exortae civiles discordiae et bella intestina, funera et caedes renovantia, si quid erat literarum et scientiarum penitus extinxerunt, et Gallias atque Italiam malorum colluvie deperditas profundissimis ignorantiae te- nebris offuderunt. Nec spes salutis aut saltem tanti exitii solatium a Graecia, quae tamquam Palladium aurea classicorum scriptorum exemplaria asservabat, erat tunc literis aut scientiis postulandum. Haereticis enim pravitatibus longe lateque per eam grassantibus illic etiam ingenia contentionibus et disputationi- bus distorta et irretita non scientias et literas, sed lites et verborum pugnas arte quaerebant, et lectissimos auctores, per quos Graeciae nomen et gloria excreverat, turpiter negligebant. Iconoclastae autem catholicae Ecclesiae aeque ac scientiis omnibus et bonis artibus infensi hostes non sculptis aut pictis imaginibus, non manu scriptis co- dicibus pepercerunt: collegia et bibliothecas vastatione et incendio absumpse- runt: aedes et templa rapinis violentiis omnique scelere contaminarunt. His autem tantis tamque acerbis calamitatibus aliud quoque malum acces- sit, ut scilicet illis temporibus (quomodo, vel quibus de causis incertum) regio- nes praesertim occidentales pervaserit ac percrebuerit opinio: adesse finem uni- “versae carnis, et extremi tremendique judicii adventare diem. Quo terrore mentes hominum perculsae ac consternatae: trepidare omnes, manus supplices ad caelum tendere, nil nisi de acterna vita cogitare, non nisi de animae salute comparanda esse solliciti, caetera omnia bona quamvis et honesta parvi pende- re, nulloque in pretio habere. Quibus omnibus de causis factum est, ut omnia foedae inscitiae tenebris obvoluta fuerint, et ignorantiae nox orbi pene universo incubuerit; et jam de literis et scientiis actum erat et desperatum, cum bono earum fato unde minus erat expectanda, inde lux est subito oborta. Mahummedes homo nobili loco inter Arabas natus et acri ingenio, sed in- quietus et quidquid perpeti, quidquid facere audax, Arabas, gentem cultu et moribus asperam, assuetam sylvis et rapto vivere solitam exceperat; atque illis religionem novam mala quidem doctrinarum Pentateuci et Evangelii cum eflictis a se dogmatibus commixtione informem sed illorum tamen hominum captui ac- comodatam et genio maxime indulgentem partim persuasione, partim vi et stricto ense imposuerat. Qui ut erant genus per se durum et intractabile bello, et fervida animorum vi et alacritate praediti, ab eo praeterea magnarum rerum gloria incensi, falsae religionis propagandae zelo inflammati, et desiderio mar- tyrii, sic enim vocitabant, flagrantes facti, eo duce et successoribus ejus, ar- reptis armis impetum in Aegyptum primum et Lybiam et Asiam minorem fece- rant. Dein cum caesarianis exercitibus collatis signis maximas eorum copias Scienze Noolog. T. II. e 34 FANTONI multis et ingentibus praeliis fuderant, classes magnas et ornatas superaverant et depresserant; et provinciis et regnis omnibus victoriis magis quam passibus peragratis Cappadociam et Asiam, Pontum et Bythiniam, Africam qua ad septemtriones vergit occupaverant: delati navibus Hispaniam et Sardiniam, Si- ciliam, Cyrnum caeterasque inferi maris insulas invaserant ferme omnes, impe- riumque suum a mari atlantico ad Gangem flumen, ab Euxino et Caspio mari ad Aethiopiam et sinum persicum terra marique prolataverant. Sed ut moris est cum foris omnia subacta et pacata sunt, intus jurgia et rixae et civilis discordia incessunt. Cupiditate regnandi dissensio inter eorum principes orta est, et bella inter Ommiadas et Abbassidas et Fathemitas conflata sunt, quae ad internecio- nem usque exarserunt. In quibus bellis Abbassidae primo ab Ommiadibus victi et regno expulsi sese fortunasque suas fugae et exilio commendare sunt coacti. Hinc prima boni origo literis et scientiis: hic nova occasio oblata afflictas jacen- tesque erexit: hic sibi jam diflidentes et pene perditae, hic primum, dico, lite- rae et scientiae ausae sunt sperare salutem. Etenim cum principes Abbassidae in Mesopotamiam primum et deinde in Persidem se recepissent, ibi nacti sunt Nestorianos, qui ob haeresim a concilio ephesino damnati et patria extorres eo confugerant, eoque graecos libros attulerant ac in syriacam et persicam linguam converterant. A quibus Abbassidae imbuti literis et graecarum artium accepta notitia, incredibile memoratu est quanto ardore, et quam inflammato studio ad literas et humanitatem raperentur. Hinc revocati in patriam et in avitum regnum restituti literas et literatos homines secum attulerunt, et in praeclaras artes et facultates ingenio auctoritate favore et munificentia vere regali promovendas augendasque omnibus viribus incubuerunt. Nec Bagdati solum (ubi Abassidae regnabant, et ubi Majemuni Magni praesertim opera doctorum Asylum et lite- rarum scientiarumque veluti domicilium et templum fuit constitutum) sed cum jam tripartitum esset Arabum imperium et Fathemitae in Africa, Ommiades in Hispania sedem regni sibi posuissent, Abbassidarum exemplo et aemulatione adducti illi Alexandriae et Cairouni, hi Cordubae Hispali et Granatae gymnasia, collegia, academias, bibliothecas, aedificia ad juventutem excipiendam et insti- tuendam magnificentissima extruxerunt, omnique re ornarunt; doctos homines ad juvenes erudiendos magnis praemiis allectos undique arcessiverunt et gratia et beneficiis cumularunt. Hoc autem in loco manifestissime apparuit quam ve- rum illud sit . «+ » Componitur orbis Regis ad exemplum. Arabes enim homines Principum suorum voluntate perspecta, et eorum exemplo incitati pro virili parte universi ad literas et scientias intenderunt ani- mum, nec ullum fuit studiorum genus, in quo non diligentissime et solertissime DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 35 versarentur: quod ut magis in aperto fiat, sinite quaeso me paululum hic im- morari et de singulis scientiis, quae ab ipsis peculiariter sunt excultae, carptim et breviter pro re pauca dicere. Operae praetium est revocare in mentem quod cum Michael Imperator, hujus nominis tertius, pacem ab arabum rege Majemuno victoriis insolescente impetrasset, inter ea, quae ipsi cum saraceno rege de pace convenerant, haec prima conditio fuit, ut graecus Imperator vetustos co- dices et homines doctos, qui hos interpetrarentur, daret. Quae res, et quod Arabes artium et scientiarum graecarum desiderio et publice et privatim nullas non facerent impensas, ut graecos libros de scientiis pertractantes sibi compa- rarent, causa fuit, cur Graeci partim necessitate coacti, partim praemiis et quaestus gratia adducti se ad conquirenda et exscribenda auctorum exemplaria conferrent, et vetustos codices turpi oblivione obrutos in lucem ederent, adeo ut multa egregia volumina forsitan peritura conservarentur, et ad nos usque aut suo sermone conscripta, aut saltem in linguam arabicam translata pervenirent. Quod quidem primum factum est in Euclidis et Archimedis et Ptolemaei operi- bus, quae arabicae linguae donata Arabas graecas scientias docuerunt. Quarum quae prima Astronomia, ita ab illis est culta, ut scientiam omnium maximam et difficillimam communem et quasi popularem fecerint. Infinitus essem si omnes quotquot siderum et coeli spectatores et contemplatores eximii in iis extiterunt, et quae ab illis exarata sunt opera enumerare, aut saltem commemorare velim. Illi arcum meridianum demensi sunt: quadrantem et astrolabium pene absolu- tum effecerunt: speculas et turres aequatas coelo machinas ad sydera spectanda aedificarunt: nova instrumenta, et novas observandi coeli methodos non ante Ipparcho et Ptolomaeo notas excogitarunt: tabulas toletanas, quas vocant, rede- gerunt: induxerunt usum tangentium linearum; et huic maximo naturae studio tantam famae celebritatem indiderunt, ut nomina quae ab eis aliquibus syderi- bus et coeli plagis, et nonnullis inventis sunt imposita adhuc restent. Nec minorem navarunt operam mathematicis scientiis, sine quibus astronomia prope manca est, et quasi proprio fundamento destituta. Omnium enim graecorum geometrarum opera ab eis servata sunt, et ad nostram usque tempora trans- missa. Naturalis vero historia, et botanice, et physica proprie dicta quantum et quam multorum ingenia exercuerint haud facile explicatu est. Nulla earum scientiarum pars fuit, ad quam maximam non adhibuerint diligentiam; etenim non laboribus, non itineribus, non expensis pepercerunt plurimi eorum, qui de plantis et herbis, de iis praesertim quae ad medicinam conferunt, de metallis, de animalibus disseruerunt, et quidquid rarius quidquid pulchrius in tribus naturae regnis est aut inveniri potest descripserunt, et perpetua commentatione illustrarunt. Nec scientiam, qua nihil est utilius, nec libero homine dignius, populorum et regnorum vere auctricem et altricem, agronomiam dico, praetermissam fece- 36 FANTONI runt; de qua codices etiam conscripseruut, et leges dederunt utilissimas, et colonorum usui quam maxime accomodatas. Jam vero praeclarissima ars, quae fugandis hominum morbis, et ab aegris corporibus depellendis apta est, et est ministra salutis; quo honoris loco apud Arabes fuerit, et quam multi et prae- stantissimi viri extiterint, qui pro virili parte illi vacaverint, et ipsam illustra- rint facilius est mente concipere quam oratione complecti. Nec ego multa verba faciam. Omnibus enim nota sunt, omnibus pervulgata nomina Rasis (Galeni arabici cognomento illustris) Averrohis, Avicennae, Avenzhoarii sexcentorum- que aliorum; omnibus celeberrima schola salernitana: quae licet maximum in- crementum et celebritatem suam posteris Italis debuerit, ab ipsis tamen fun- data est, et primo illustrata; et Constantinus carthaginiensis ejus magnus am- plificator Bagdadi primum grammaticae, historiae, dialecticae, physicae et me- dicinae studuerat, et apud Arabas annos amplius triginta commoratus erat, cum Salernum perveniens et Roberti Guiscardi normanni ducis gratiam et liberali- tatem promeritus medicinam publice et magna cum laude est professus. Et quo- niam huc sermo evasit, ut de grammatica, de dialectica de historia mentionem fecerim, harum scientiarum periti ament meminisse Arabas philosophicas disci- plinas maximo ardore et studio esse prosequutos, et libris Aristotelis in suam linguam translatis grammaticae dialecticae et metaphysicae operam navasse, et philosophiae, quae passim deinde scholastica est appellata initium et incremen- tum non minimum dedisse: nullam historiae partem non tentatam reliquisse et magnorum historicorum nomen obtinuisse Essachelium, Aldrisium, Geographum Nubiensem, Abulpharagium, Abulfedam, Aben-Caliduni, aliosque permultos. Ad quam rerum gestarum scientiam, quae merito ab oratorum omnium principe M. Tullio lux veritatis, magistra vitae, nuntia vetustatis nuncupata est, uberius persequendam, et copiosius evolvendam et ornandam magnopere contulerant longa et magna ab iis terra marique suscepta itinera. Quibus in itineribus ena- vigandi artem percalluerunt, et ipsi omnium primi de navibus regundis et gu- bernandis, de cursibus mari conficiendis leges tulerunt, et literis consignarunt: ad Indos et Sinenses sunt transvecti: conjunctionem inter Atlanticum et Indi- cum mare aut noverunt, aut saltem ne nimium opinioni nostrae tribuisse videa- mur conjectura assequuti sunt: exararunt tabulas geographicas, stationes et emporia in Malabaria, in Geodresia, in Camboja, in Sofala et in Madagascaria insula habuerunt. Ad quae emporia exteras merces, et omnia quae ab ipsis in magnis et multis suis officinis arte nava et industria conficiebantur, arma, signa, vasa caelata, opera cujusvis generis textilia, vestes pelliceas, sericas, picturatas auri subtemine caeteraque multa importabant, et asportabant. Oras Africae qua ad Meridiem vergit perlegerunt: et studio cognoscendi quid locorum esset ultra atlanticum mare, quod tenebrosum vocitabant, Ulyssipone conscensa navi et Herculis columnis transmissis oras et plagas occiduas Africae perlustrarunt DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 37 et Christophori Columbi et Americi Vespuccii nostri cursibus et inventis maximis proluserunt. Quibus rebus omnibus perpensis nemini certe mirum fuerit, si cum non solum privatam sed publicam etiam institutionem tanta cura prose- querentur, tot legimus collegia ad juventutem disciplinis imbuendam, tot aca- demias ad ingenia exercenda, tot bibliothecas ad manuscriptos codices colligen- dos, tot aedificia magnificentissima ad ingenuas artes et nobiles facultates tra- dendas et addiscendas ab illis fundata ornata locupletata fuisse. Quod si quis animo pervolverit ab Arabibus (verba sunt Renaudotii et Bochartii) omne genus scientiarum tractatum esse et excultum: si attente consideraverit, cum in Europa apud nos (ejudem Bochartii utor verbis) regnaret foeda barbaries, et literatura omnis esset prorsus extincta artes et scientias apud illos per annos fere sexcen- tos floruisse; procul dubio mirabitur, et quiddam novum incredibile simile prodigio accidisse sibi videbitur quod non excellentissimam artium et scientia- rum perfectionem attigerint. Et certe nemo ibit inficias si fuisset in fatis, ut hujus pulcherrimae laudis optatissimam gloriam assequerentur, eos promptis ani- mis, acri studio, curis, laboribus, impensis omnibus meruisse. Sed hoc erat alta et providentissima Dei mente repostum, ut quemadmodum olim literae et scientiae in Oriente primum ortae et educatae in Graecia demum ad summum robur et maturitatem perductae fuerant; sic sequiori aevo Arabum cura ab in- teritu vindicatae auctae et excultae in Europa tandem et in Italia nostra potis- simum ad absolutissimae perfectionis apicem pervenirent. Et jam ad tantum opus Europa et Italia se comparabant; jam homines nostri ferreo quasi somno excitati in spem, et in pristinam virtutem animos revocabant: jam Municipia et Civitates imbecilli et invisi regimis pertesae, Graecorum detrectato imperio, se in libertatem asserebant, et navibus comparatis omnique rerum copia instructis, expeditiones ad bella et ad commercia in exteras plagas et gentes moliebantur: jam Maximorum Pontificum voce incitati cives inlatarum a Saracenis cladium dolore incensi, et acceptarum injuriarum ultores facti, concurrebant ad arma, et frontem ac pectus signati cruce petebant Orientem: A ritorre la grande ingiusta preda. In quibus bellis et expeditionibus Saracenis jam victoribus jam victis sese commiscentes ac regna eorum invisentes; magnas illorum urbes splendidas regali luxu, populorum frequentia, magnificis aedificiis, civibus omnium opum diviti- bus florentissimas, atque insuper omni literarum et artium laude insignes suspi- cientes, non sine invidia demirabantur: et patrimonium jam suum suis e mani- bus ereptum indignantes, bujus recuperandi cupidissimi redibant domum, et sacrum ingenii et doctrinae ignem popularibus suis inferebant, quo velut in segetes immissa flamma, novum Iapeti genus, orbem universum incenderent inflammarent. O Patria, o heroum domus, o inclitae belli gloria Pisae! Tu inter 38 EA N IDTON I primas Italie urbes exterae dominationis excusso jugo, et armis parta liberta- te, Arabibus et Saracenis christianae genti insultantibus asperum et lethale bel- lum terra marique indixisti: pedestribus copiis aut acie navali instrueta multis et ingentibus proeliis eos fregisti, et eorum classes depressisti; neque eos ullo loco passa consistere, ex Cyrno, ex Sardinia, ex Sicilia, ex Balearibus insulis depulisti. Tu, Panormo expugnata, Deo exercituum et ©:w70y® Virgini Coaelorum Reginae spolia belli opima voluisti oblata; et ex manubiis hostium, et aere captivo Templum maximum, inclinatam Turrim, Aedem rotundam ad salutare Javacrum, et augustum Caemeterium, mira et regalia opera, ausu romano a solo excitasti, et tribus ingenuis artibus signum ad bene sperandum sustulisti. Tui cives non inferendi belli tantum causa, sed et negotiorum obeundorum et con- sequendi quaestus studio ad Africae et Asiae oras navibus delati loca adire, cursus conficere, stationes et portus plurimis in locis habere, maximam auri et argenti vim, pulcherrimarumque rerum copiam congestare domum, multis po- pulis dare jura, et in publicis communibusque Italiae rebus maximam et potis- simam partem sibi sumere, ingenia et pracclaras facultates omni modo fovere atque ipsi excolere. At Heu nihil invitis fas quemquam fidere divis ad Meloriam, infamem scopulum, iniqua proditione Genuensibus te superantibus, depressa classe, militibus maxima ex parte occisis, quam plurimis in servitutem actis, fracta est tua virtus, oppletus portus, subsidia belli omnia deperdita; et tu senescentibus paullatim viribus et intestinis etiam civium dissensionibus la- cerata et discissa, hostis tandem invisi atque invidi (proh temporum immanita- tem!) qui nonnisi te jacente te abjecta extollere caput, et super caeteras civi- tates imperium tenere sperasset, in ditionem venisti. Haud equidem facilis prae- da aut sine sanguine; cum cives tui pro caris conjugibus et filiis, et mulieres quoque pro cara patria excipere ictus et mortem in muris non dubitarent oppe- tere, et tu misero certe fato, sed fortissime pugnando caderes. Cecidisti tamen et potentia, divitiis, juribus, libertate exspoliata es. Verum enim vero omnimoda licet acerbitate ab hoste crudelissimo oppressae non omnia tamen felicium tuo- rum temporum ornamenta tibi perierunt. Manet adhuc magnarum gestarum gloria rerum: manent potentiae tuae et magni animi amplissima monumenta admiranda, quae supra commemoravi, aedificia, et manet in primis haec omni tempore celeberrima Academia nostra, quae nuper, sicut dixi ab initio, indul- gentissimi Principis regalem munificentiam experta, novis legibus ordinata, ma- gisteriis aucta, atque hisce Patribus tanto ingenio, tanta doctrina, tanta sapien- tia praeditis illustrata, te civitatem studiis omnibus et disciplinis universis flo- rentissimam totius Italiae constituit . Sed haec postrema laus, revertor illuc unde paulisper digressa est oratio DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 39 mea, haec postrema laus, inquam, Arabibus auctoribus debetur. Nam cum apud eos maxime in Hispania institutio publica in scholis, quas graeco nomine Aca- demias appellarant, traderetur, et juvenes in classes essent distributi, et gradus academici publice et per theses darentur, ad eorum exemplum hic Pisis, sicut et in aliis Italiae civitatibus Academiae institutae sunt; et hinc plures missi, qui artes ab eis addiscerent, et Arabum scripta et libros (cum vix teste Hallero et Freindio alios inveniri daretur) huc adducerent, et publice in Academiis explicarent. Inter quos multi et praeclari viri extitere, qui artes et scientias ab Arabibus edocti acri ingenio excoluerunt, et magnis incrementis et inventis auxerunt, prout Gherardus Cremonensis, Plato domo Tibure, Arnaldus a Vil- lanova, Guidus Bonattius, Raimundus Lullus, aliique permulti, sed omnium ma- xime clarissimi Marcus Paulus Venetus, et Leonardus filius Bonacci pisanus civis. Qui postremus Bugiam, quo loco Pisani stationem habebant, a patre ac- cersitus et a magistris saracenis in mathematicis scientiis eruditus Aegyptum et Syriam, Graeciam et Siciliam peragravit; et siglas arithmeticas, quibus nunc uti- mur ab Arabibus acceptas, et a se pauciores numero, et usu commodiores factas in Italiam invexit primus; artem arithmeticam sedula cura et diligenti studio elucubratam quasi ex integro restituit auxit; et scientiam suam non ut id tem- poris erat in more ad astrologiam et magiam detorquendo, sed scite philoso- phice, et in verae scientiae morem et usum tractando scientiae algebricae solida fundamenta jecit,: et effecit, ut mathematicarum scientiarum magnus ampliator, et algebricae scientiae pater sine controversia ab omnibus et habeatur et sit. Nec silentio praetermissum aut merita laude inornatum relinquam Flavium amalphitanum, sive alium quempiam, quisquis ille demum fuerit, certe italum, qui acu magnetica inclusa buxo, et super tabulam ventorum notatione signatam tenui cuspidato ferro suspensa, et hinc inde librata Pyxidem nauticam compo- suit, Quo maximo invento cum nautae olim nonnisi litus legerent, aut si maria essent transilienda, nisi prius placata ea darent venti, et certa sidera fulgerent, atque cuncta coelo sereno constarent, committere se viae, et pelago fidere non auderent; nunc magnete duce semper certi viae, nec locorum ignari, quovis tempore quaecumque maria adire, et quocumque libuerit cursum tendere mini- me diflitentur. Sed hanc magnetis virtutem ad polum scilicet se dirigendi a majoribus nostris Graecis et Latinis penitus ignoratam, Indos et Sinenses agno- visse, et in navigando magnete et acu magnetica licet imperfecta, immemorato ab hinc tempore usos fuisse, atque hanc ab eis sive per se sive per Arabas nostros accepisse jam certo certius convenit inter omnes. Quid autem referam, a quibus nescio, sulphurei et nitrati pulveris, balli- starum ignearum tormentorumque bellicorum ex Sinensibus ad nos invectum usum? Quae omnia imperfecta quidem et quasi informia a nostris accepta, dein arte et manu elaborata et absoluta, artem bellicam prorsus immutaverunt. Et- 40 ; MAN TONI enim quamvis antea plurimum in bello valeret immo opus esset dux, qui fortis manu et plenus consilii optime nosset et locum, quo congrederetur, antecapere, et occasionem rei gerendae non dimittere et tempus committendi praelii exci- pere, et qui in praelio milites imperio et prudentia regeret, ac exemplo suo fir- maret et excitaret; tamen in praelii concursu a consilio ducis ad vires et vim pugnantium res abibat, et fortuna, ut scite admodum Cicero animadvertit, ma- ximam sibi partem vindicabat, et quidquid prospere gestum fuisset, id prope omne ducebat suum. Iam vero e contra non cominus et ense, sed eminus ple- rumque et igneis missilibus, et copiarum bene et callide ordinatis motibus re gesta et ad certum veluti calculum deducta, fit, ut sapientiae ducum potius quam robori et virtuti militum exitus pugnae sit tribuendus; atque adeo ars bellica ad verae et propriae scientiae honorem est erecta, ac novissime per Ducem om- nium quotquot sunt erunt fuerunt maximum, Gallorum quidem Imperatorem, sed domo patria, ortu, parentibus, avis, majoribus Italum, ad summum fasti- gium sit evecta. Quid commemorem a quibusdam monachis felici furtu sur- reptum Seribus populis pretiosum vermiculum? quo in Europam delato, et apud nos alto ac educato textrinae arti datum est incrementum, et honor additus; et officinae staminibus sericis e folliculo evolvendis, et eleganti opificio texendis omnibus locis institutae Thusciam nostram, Neapolitanum regnum, utrasque Gallias cispadanam et transpadanam, caeteramque Italiam totam ingenti auri et argenti copia locupletarunt, et adhuc locupletant. Quid plura? Si in hoc tanto literarum splendore, et in hac tanta scientiarum felicitate versamur; si ex tam foeda temporum barbarie in tantam hodiernae humanitatis lucem Europa se col- locavit; si jam doctrina paucorum et quidem divitum privatum et quasi pecu- liare patrimonium non est, sed omnium quicumque ingenio praestanti valeant, et alacri voluntate in studia: si denique manifesta fides et certa nobis spes est non amplius profundis inscitiae tenebris nos esse involvendos; arti typographi- cae caeterarum omnium praecellentissimae debemus, et facilitati, quo cujuscum- que auctoris scripta per manus omnium nullo negotio, et minima impensa cir- cumferuntur. Iam vero quidquid de hujus eximiae artis prima origine sit sta- tuendum, quam gravissimi auctores rationibus haud spernendis innixi conten- dunt Sinensibus tribuendam, quippe qui longissimo ab hinc tempore typis ad scripta edenda utuntur, et apud eos editio princeps sacrorum librorum jam a saeculo aerae nostrae decimo typis est impressa, sicut et chartae aleatoriae et nummariae, et caetera hujusmodi; quidquid dico sit de ejus origine statuendum; haec ars tamen exiguis sane finibus contineretur, nec tantopere ad communem fructum contulisset, nec tanto literarum bono ac tanta omnium utilitate esset inventa, si adhuc, ut olim, chartam papyraceam, aut membranas neque com- modas, neque emptu faciles, neque omnibus in promptu in suum adbibere usum cogeretur. Sed huic incommodo certum et paratum remedium fuit charta, DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 41 qua nunc vulgo utimur, et quae primum ex materia serica a Sinensibus in suis officinis praesertim Sarmachandae fabricata est. Quo cum Arabes victores per- venissent, et hanc chartae texendae et praeparandae artem didicissent, mate- riam sericam in bombycinam et lineam mutaverunt, et populares nostros utilis- simam artem docuerunt. Hic jam plura non dicam: etenim nemo est qui non videat hujus chartae usum simul cum arte typographica conjunctum, et praecla- rissimam nauticae pyxidis inventionem, et novam per nitratum pulverem, et ignea missilia belli gerendi rationem inventorum omnium maxima fuisse, et uni- versi orbis conditiones, et ut ita dicam faciem commutasse Caetera vero incre- menta et inventa in medicina in astronomia in physicis rebus, in philosophicis disciplinis ne nimio vos taedio afficiam minime commemorabo. Quae quamvis nostrorum et maxime Italorum propria sint et peculiaria, tamen, ut jam dixi et nunc repeto, initium eorum Arabibus deberi et ipsis veluti magistris laudem esse tribuendam testis est Hallerus qui autumat « Ea fama Arabum movit per uni- versam Europam eruditos homines ut in Hispaniae parte, quae Mauris parebat, artes addiscerent. Hi Arabum libros in Italiam adduxerunt » testis Boerhavius qui fert « In Academiis publicis sola explicabantur scripta Arabum incognitis fere, certe nullo in usu habitis Graecis » testis Hydius qui ait « majorem partem graecae eruditionis, quam hodie ab ipsis fontibus, ab Arabum manibus accepi- mus » testes denique vos omnes, Collegae sapientissimi, qui non nuperis tantum cognitionibus contenti, sed scientias a sua origine repetentes probe scitis: saeculi undecimi (verbis Freindii utor) naturalis philosophiae studia artesque liberales vulgo studia saracenica vocitata esse». Quae cum ita sint quamquam multa adhuc essent dicenda satis tamen superque a me dictum esse et probatum puto quod mihi proposueram; scilicet linguarum orientalium notitiae principium ac instau- rationem scientiarum, et maxima atque praeclarissima in iis inventa deberi. Restaret nunc ut quam multa et praeclara ex iis in scientias omnes etiam ae- tate nostra derivata jam et adhuc derivatura sint dicerem. Sed jam me quasi non sentientem effugit tempus, et ne vestra patientia abutar, qui jam diu me sustinetis dicentem, orationem mihi esse contrahendam intelligo. Quapropter rem brevi conficiam, et uno tantum aut altero commemorato paucis me expediam. Inter caetera studiorum genera, quibus nostra haec aetas plena est et honestissime floret, praecipuum certe locum sibi vindicat illud, quod ad ar- chaeologiam, quam vocant, et ad historiam rerumque gestarum cognitionem et expositionem pertinet: adeo ut haec nostra tempora ab studiis historiae quasi proprio suo nomine nuncupentur. Et hoc optimo quidem jure; tantus fuit animi ardor, quo viri doctissimi et pene innumeri huic bistoriarum scien- tiae operam navarunt, et tanta ac tam multa fuere, quae ex hoc studio in literas ac scientias profecta sunt. Hinc illi tot ac tanti cursus confecti: hinc illa tot ac tam magna et difficillima itinera aggressa: tot loca adita, tot ac Scienze Noolog. T. II, fi 492 FANTONI tanta effossa monumenta: hinc tot illi et tam improbi labores, quibus erudi- tissimi homines bibliothecas et tabularia omnia sus deque versarunt ac ver- sant, aliquando etiam (nam fatendum est) ut una saltem pulverulenta pagina nondum edita, ex annalibus Volusi modo fuerit nil interest, edatur in lucem. Quae res sane quamvis una aut altera vice ultra fines justi et aequi procedat, non est tamen, cur diligentissimis hominibus laudem detrahamus, atque illos honore debito abjudicemus. Namque ex hac cura et diligentia pretiosissima clas- sicorum auctorum volumina aut abrasa, aut quae jam deperdita credebantur, reperta sunt et in dies reperiuntur, et publico literarum ac scientiarum bono restituuntur; et plurima documenta sunt patefacta, per quae non modo histo- ria universa, sed et singulorum populorum, et singularum civitatum res gestae illustrantur, sicut haec dulcis et chara patria nostra per collegam et amicissi- mum, quem amoris et honoris causa nomino, Bonainium, laude non pauca aucta est ac ornata. Tam vero quanto adjumento, et quanta utilitate huic historiae et rerum gestarum scientiae fuerit Linguarum et maxime orientalium cognitio non est qui non videat, si praesertim fortunam forte sua coadjuvantem, et huic studio veluti adlaborantem fuisse animadverterit. Quae eventum novum et patribus nostris inauditum ad nos aetatemque nostram attulit, ut nempe Imperium et regna Orientis, quae antehac asperrima studiis belli cervicibus nostris saepe minabantur, et barbarorum Regum potentia et opibus vallata nedum legionibus sed hominibus nostris clausa erant penitus; nunc aut nostratium armis devicta et viribus labefacta, aut feritate morum paululum mitescente literatis homini- bus, et sapientibus viris sint aperta. Ex quo locis fere omnibus Niebhurii, Sacyi, Drusiorum, Noldii, Klaprotii, Humboldii aliorumque plurimorum quasi passibus peregratis jam Asiae fere universae et Africae res ac antiquitates de- scriptae sunt et illustratae: jam Sinensium et Indorum literae et philosophia adytis pene penetralibus elata et evulgata est: jam Aegyptus et pervetusti po- puli sapientia et eruditio Iungii primum et Champollonii acri ingenio, ac deinde Rosellinii mei diligentia et ad mortem usque, vix tempero a lacrymis, exantlatis laboribus est explicata explanata et oculis prope fidelibus subjecta: jam Ninive illa magna ruinis oppressa, ac triginta saeculorum silentio obruta profertur in lucem, et popularibus nostris stupentibus mira magnitudinis et potentiae suae monimenta in propatulo ponit. Cum autem, ut Horatius, ait, « formet natura prius nos intus...... et post efferat animi motus interprete lingua » et cum cu- jusque nationis aut populi lingua sit veluti in tabula depicta et suis quasi colo- ribus expressa ejus imago; pulcherrima et praeclara sunt, quae de populorum et nationum natura, ingenio et veteri sapientia eruditi homines, Ioanne a Vico philosopho in primis celebri praceunte, ex linguarum studio et attenta perve- stigatione disputarunt, et in maximum commodum historicae scientiae et philo- DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE IN SCIENTIAS 43 sophiae, quae vocatur historiae, bene et feliciter converterunt. Quod quidem in una et altera lingua ab iis factum alii, quos inter illud magnum philosophiae scientiarumque pene omnium lumen Leibnitzius, ad caeteras omnes extende- runt; et novam, sinite sic loquar, novissimae scientiae inventionem protulerunt, quae Ethnographiae seu Linguisticae seu Philologiae comparatae variis nomini bus est appellata. Est autem Ethnographia seu Linguistica scientia illa quae de ejusdem Leibnitzii sententia, qui ait « nihil majorem ad antiquas populorum ori- gines indagandas lucem praebet quam collatio linguarum « ex studio linguarum inter se comparatarum, et per dictionum et verborum etymologias, ac per Gram- matices structuram vel syntaxim collatarum de communibus populorum inter se originibus, et de illis in classes et ordines ex cujusque origine redigendis tra- ctationem habet. De qua largus quidem et mihi peculiaris pateret dicendi cam- pus, et magnam procul dubio orationem compingendam susciperem, si quot, et quam magni nominis philosophi, ac philologi viri in hanc scientiam toto pectore incubuerint enumerare velim. Et essem infinitus si dicerem, quae et quanta li- teris et scientiae historicae ex hoc linguarum inter se collatarum studio dima- naverint, et quantum mosaicae historiae veritas et veneranda auctoritas confer- mata et commendata sit, praesertim cum huic studio Sinensium linguae cogni- tio et sacri Indorum idiomatis notitia adjuneta est. Quorum utrorumque idioma- tum Sinensis nempe et Sanskritici studium, ut in Italiam inferretur, et in Academia nostra institueretur, me auctore consilii et approbante Philologorum et Philosophorum collegio, atque adnitente pro suo in literas singulari amore Curatore nostro, ex optimi Principis munificentia Lutetiam Parisiorum missus Iosephus Bardellius adjutor meus, qui utrisque studeat, et doceat deinde: quod quidem Academiae nostrae decori, et literarum bono felix faustumque fore con- fido. Quae cum ita sint vos, ornatissimi ac lectissimi quoquet estis Auditores omnes, qui ad scientiarum ingrediendum, sive persequendum curriculum in hoc augustum veluti Sapientiae templum cupido et prompto animo contendistis, et me atque hos laeta et fiorenti corona circumstetistis, obsecro ac obtestor ut severioribus disciplinis linguarum etiam studia conjungatis. Ne, vos, quaeso pigeat cum latinis et graecis orientalia etiam exemplaria versare. Multa mihi credite in disciplinarum et scientiarum, quibus operam dabitis, commodum ex his derivabunt. Cum vero orientales literae elegantiores et exquisitiores sint, et inter has hebraicae sint insignes laude poeseos, quae et magnitudine rerum, et verborum splendore, et sententiarum vi ac perspicuitate, et magniloquentia et sublimitate propria caeterarum nationum omnium poesi facile antecellit, incre- dibilem quamdam voluptatem capietis miscentes utile dulci. Sed vos praecipue electum genus, regale sacerdotium, flos ecclesiastici ordinis, et examen Eccle- siae novellum, vos in praeclarissimam Domini sorlem vocati juvenes, vos, in- 44 FANTONI — DE LINGUARUM ORIENTALIUM UTILITATE ETC. quam, appello. Fuisset hic disserendi ac demonstrandi locus, quanto ornamento et quanta utilitate arcana rerum divinarum disceptatrix Theologia, quae scien- tiarum omnium mater est et magistra, ex linguarum orientalium, et praesertim Semiticarum studio augeatur, et in hoc mea maxime exultasset oratio; sed longo jam sermoni est imponendus finis. Alio igitur tempore, si vita supersit, et alia data opportunitate de hoc dicam, et ita dicam ut gravissimum et sanctissimum Ecclesiae catholicae judicium confirmem, quae ad sacra oecumenica concilia in Sancto Spiritu congregata theologicarum disciplinarum Doctoribus linguarum orientalium Magistros in scholis ecclesiasticis jussit conjungendos. Nunc hoc tantum vos monitos esse volo. Haeretici omnes et neoterici maxime Rationali- stae et Naturalistae, ut vocant, Scripturam suo ingenio accomodantes, et ex lu- bito atque e cerebro interpetrantes multa quidem scientiarum et linguarum co- gnitione instructi nullum non movent lapidem, ut sacrorum Ecclesiae Catholicae dogmatum veritatem denegent, et ejusdem Ecclesiae, quae, ne circumferamur omni vento doctrinae in nequitia hominum et in astutia ad circumventionem erroris, columna et fundamentum veritatis nobis a Deo data est, venerandam auctoritatem infirment atque detrectent. Et quod pervicacis audaciae el perfri- catae frontis impudentiae est, dum versiones omnes respuunt, provocant ad fontes. Quid vos ergo? Ecclesiae ne et officio vestro salisfacere, aut viri fortes esse videbimini, si Breviario, et quadam (quaecumque ea demum sit multo sem- per honore et reverentia afficienda ) sed quadam dico Theologiae notitia con- tenti, petitiones istorum, et ignita eorum tela devitetis? Non descendetis pugna- turi in campum? Non stabitis ex adverso? non eritis pro muro domui Israel? Fuit, fuit haec in Ecclesia catholica et apostolica semper virtus, ut Patres sanctis- simi, et sapientissimi viri, quibus armis impetebantur, iisdem homines Deo ini- micos et Ecclesiae acerbissimos hostes retunderent, ac profligarent. Macti igitur este virtute, et quoniam sic opus, ad praelia Domini bene praelianda non theo- logicas doctrinas tantum, sed et caeterarum scientiarum cognitiones et lingua- rum notitiam adhibete. Me autem, si me uti volueritis, non magistro, non duce, sed socio et studiorum vestrorum comite utimini: et si ingenii mei exiguitas, si meae haud amplius suo robore stantes vires impediant, quominus in vestri tanti laboris partem adsciscar, laudabor tamen vos pro me in certamen suffe- cisse, laudabor sic pro modulo meo extinxisse nefas, laudabor tandem functus esse vice cotis «++. aculum Reddere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi. ZIE IOSEPHI CANTINI INSCRIPTIONES MARMORE INSCVLPTAE QVAE PROSTANT IN ATHENAEO PISANO I: In'aula magna Athenaer ANNO * M - DCCC - XXXVIMI * FAVSTO * FELICI MENSE - OCTOBRIS QVOD - ITALORVM - DOCTISSIMI NATVRALIVM - DISCIPLINARVM - SPLENDOREM VTILITATEMQOVE - PROMOVENDAM CONVENTVM - SINGVLIS - ANNIS PER - ITALIAM - HABENDVM - CONSTITVERINT VIRIS « CLARISSIMIS E - NATIONIBVS - EXTERIS - ACCEDENTIBVS Avspicis + LEOPOLDI - Il - M - E - D- OPTIMORVM - STVDIORVM ADSERTORIS - MVNIFICENTISSIMI QVI - CONCIONES - -PRAESENTIA - SVA HONESTAVIT - EREXIT CELEBRATA - IN - HOSPITVM - HONOREM STATVAE - GALILAEI - NOSTRI DEDICATIONE - SOLLEMNI CAIETANVS - GIORGINIVS - EQ - STEPH PRAEFECTVS - ATHENAEI TITVLVM *- TANTI *: MEMOREM * INCEPTI L : M - PONI * CVRAVIT 46 CANALI ONAI II Ibidem LEOPOLDO :- Il : ARCH - AVSTR - M * D OPTIMO © PRINCIPI AVORVM © GLORIA - DIGNO QVOD - RERVM - PVBLICARVM - PERTVRBATIONE - COHIBITA POPVLO - SVO - FIDELI VINI - KAL © AVG © AN - M - DCCC - XXXxXVIMI FELICISSIME - RESTITVTVS BONORVYM - SECVRITATE © PARATA IVSSISQVE - SAPIENTISSIMIS - LEGIBVS AD * SCIENTIARVM - STVDIA - PROMOVENDA PROVIDVS “ INTENDERIT ET :- DOCT - DEC - VIRIS - CCL - SVPERADDITIS ATHENAEVM - N AD - VETEREM * SPLENDOREM * REVOCAVERIT PATRIAE - PATRI * REDVCI STVDIOSAE - IVVENTVTIS * SPEI © LAETISSIMAE IVLIVS - PVCCIONIVS EQ < STEPH ‘ STVDIOR © PRAEF IN - MEMORIAM * AVSPICATISSIMI - REDITVS pi: TG INSCRIPTIONES 4T II: Ibidem sub protome FERDINANDVS © Il - AVSTR - M'-"D - E BONORVM - STVDIORVM AVCTOR PRINCEPS FELICISSIMVS IMI Ibidem sub protome LEOPOLDO - Il - M-E- D OB - IVSSA - FELICITER AD - SCIENTIAS PROMOVENDAS DOCTORES - DECVR - VNIVERSI PATRONO MVNIFICENTISSIMO AN; Mi - DCCC. ; XXXXI è V: Ibidem sub statua Galilaeit GALILAEVS - GALILAEIVS PHILOSOPHORVM : PRINCEPS PISISMEMONRITWS | ET + | DOCTOR ATHENAEI * SPLENDOR VRBIS - HONOR * ORBIS + LVMEN 4S CIA Nr NI VI In atrio Athenaeîi LEOPOLDVS :- II - ARCH - AVSTR - MAGNVS - DVX - ETRVRIAE AVCTOR - STVDIORVM - OPTIMORVM ANNO * PRINCIPATVS - XVII - AD - CVLTVM - SPLENDIDIOREM - ATHENAEI VETERI - SQVALORE - DETERSO - LOCI - AVCTA - MAIESTATE SCHOLAS - IMPARES - DISCENTIVM - FREQVENTIAE FORMA * APTIORI + PARAVIT BINAS - HEIC - AB - INCHOATO - EXSTRVXIT CODICES - BIBLIOTHECAE - FERDINANDIANAE IN - SVPERIORES - DIAETAS - INFERRI - IVSSIT ET - AD - SCIENTIAS - OMNES - IN - PVBL - VTILITATEM COMPLECTENDAS - PROPAGANDAS VIRIS - CLARISSIMIS IN - COLLEGIA - DOCTORVM - DECVRIALIVM - ADSCITIS DEFICIENTIVM - DISCIPLINARVM - INSTIEVTIONI CONSVLVIT PRAEMIA - INGENIIS - EXCITANDIS PROVIDE - CONSTITVIT .\ET . REM * TOTAM AD - SAECVLI - NECESSITVDINES - EXEGIT CVRANTE - CAIETANO - GIORGINIO EQ - STEPH - EQ © IOSEPH STVDIORYM - IN - ETRVRIA PRAEFECTO INSCRIPTIONES 49 VII In introitu Bibliothecae Athenaci FERDINANDVS - HH - M- D- E - IN - SAPIENTIAE - SEDIBVS MAGNO - CHALCIDICO + ET - CONCLAVIBVS - XII * CIRCVM - EXCITATIS DIAETA * BIBLIOTHECARIO - ADSTRVCTA LIBROS - OMNIS - GENERIS * COPIOSE - CONGESTOS QVIBVS - LIBERALITATE - SVA - PLVRIMOS - ADIVNXERAT AB - AEDIBVS - SVPPOSITIS © TVRRI - SPECVLATORIAE HVC - INFERRI - ORDINARIQVE * IVSSIT Et : LEOPOLDVS - II - PRINCEPS - FELICISSIMVS LECTISSIMIS. -. FLORENTISSIMORVM * AVCTORVM - VOLVMINIBVS MVNIFICE - SVPERADDITIS NOVAM © ATHENAFI - BIBLIOTHECAM ANNO * PRINCIPATVS - Il - ABSOLVIT - PVBLICAVIT EAMOVE * CONFIRMAVIT - IN - TVITIONEM - IOSEPHI * PIAZZINII DOCTORIS - DEC + ASTRONOMIAE * TRADENDAE OB * EXQVISITOS + CODICES + DONATOS ET * LARGAM * STIPEM - LEGATO - TRANSMISSAM VTI - REDITV + ANNVO - AMPLIFICARETVR - OPTIME - MERITI BENIAMINO * SPRONIO - EQVITE - TORQ * STEPH LOCI - ET - STVDIORVM - PRAEFECTO Scienze Noolog. T. II. I 50 CANTINI VII: Leges Bibliothecae HIPPOLYTVS © ROSELLINIVS - PRAEFECTVS © BIBLIOTHECAE - ATHENAEI PISANI * DOCT - DEC - HISTOR - TRAD - EQ - PLVR-- ORD AVCTORITATE ‘ OPTIMI * PRINCIPIS - NOSTRI - LEOPOLDI © II: HAEC - EDICENDA - CVRAVIT QVISQVIS * BIBLIOTHECAM - INGREDERIS - LEGES - SCITO - QVAE - INFRA SCRIPTAE - SVNT SINGVLIS + PROFESTIS. «- DIEBVS - EXERCITATIONVM - TEMPORE BIBLIOTHECAE © ADITVS - PATEAT - AB - HORA - TERTIA - ANTE MERIDIEM - AD * HORAM - SECVNDAM - DECLINANTIS - SOLIS - HIEME VERO - PRIMIS - ETIAM - TRIBVS - NOCTVRNIS - HORIS - VSQVE * AD IDVS * MART - BIBLIOTHECAM - ADIRE © LICETO > ET ‘ OMNIA -* QVAE HAC . DE - RE - LOCI - COMMODIS * DECORIQVE - INSERVIVNT © APTE PARENTVR ANNO © ACADEMICO - PERACTO - ALTERNIS : TANTVM - DIEBVS - APERIATVR MENSE * AVTEM - OCTOBRIS - OTIATOR DOCTORIBVS - DECVRIALIBVS - ATHENAEI - CODICES - LIMINE - EFFERENDI RETINENDIQVE - DOMI - AD - MENSEM - VNVM - NVMERO - NON VLTRA - DECEM - IVS - ESTO EX - PLVRIBVS - BIBLOTHECAE - DIAETIS - IISDEM - DOCTORIBVS © VNA RESERETVR - VBI - STVDIIS - LIBERE © VACENT - CETERI - OMNES IN - AVLA - MAXIMA - DETINEANTVR CVSTODES * ET - FAMILIARES - CVRENT - NE - QVIS :- INCONSVLTO PRAEFECTO - IN - DIAETAS - SPECTATVM * ADMITTATVR IMPIORVM * SCRIPTA - ET - VATICINOS - LIBROS - NEMINI - ALVMNORVM ATHENAEI - HABERE - LICETO - NISI - FACVLTAS - LEGITIME * FACTA SIT SI - QVIS - CHARTAS - VOLVMINVM - FRONTES © TABVLAS - AERE CAELATAS * CODICES © QVOSCVMOVE © VEL © CLEPSERIT * VEL * DOLO MALO * LABEFACTAVERIT * ET - QVISQVIS * LOCO - INIVRIAM - FAXIT BIBLIOTHECAE - ADITVS - INTERDICTIONE - MVLTATOR QVAE « OMNIA * ITA - CONSTITVTA “ ATQVE - SANCITA © IN - TABVLARIO ATHENAEI - REFERANTVR * ET - PVBLICE + EXPOSITA * INVIOLABILITER OBSERVENTVR INSCRIPTIONES 51 VIII: Ad Novum I. et R. Collegium « Italice» Scuola Normale HONORI LEOPOLDI - II - M - ETR - D - OPTIMI - PROVIDENTISSIMIOVE * PRINCIPIS QVOD «+ AEDES * NOBILISSIMAS - AB + ORDINE - EQVESTRI - S - STEPHANI - P + ET - M - MEDICEIS - IMPERANTIBVS - EXCITATAS - VBI - ADOLESCENTES - EQVITES PIRATAS - TYRRHENVM - MARE - VEXANTES - DEBELLATVRI - INSTITVERENTVR CVM :- TEMPORVM - VARIETATE - OBSOLVERINT AN - M - DCCC - XXXXVI IN - COLLEGIVM * SPLENDIDISSIMVM SVPERIORI - REGIMINI - CVRATORIS - GENERALIS © ATHENAFI * PISANI - SVBIECTVM CONVERTERIT VTI - PER - ETRVRIAM - VNIVERSAM LITTERARVM - SCIENTIARVMOVE - INSTITVTORES - PARENTVR - PRAESTANTISSIMI EVMDEMQVE * ORDINEM - TITVLO -* AVSPICIS - DECORAVERIT LOCI - ET - SCHOLARVM - MODERATORIBVS - DICTIS CCL - VIRIS - IVLIO - BONINSEGNIO - RAINERIO * SBRAGIA * ET - CASPARE * PECCHIOLIO CVIVS - INSIGNIS - BENEFICII + AD + MEMORIAM + POSTERITATI - PROROGANDAM IVLIVS - PVCCIONIVS - EQ - STEPH - CVRATOR * GENERALIS « ET - PRAEF - ATH - BONINSEGNIO * AD + MAIORA - TRANSLATO * SVEFECTVS PONI * CVRAVIT * AN « M - DCCC è L - 52 CANTINI X: In novo Museo Physices LEOPOLDVS :- I - ARCH - AVSTR * MAGNVS - DVX - ETRVRIAE ATHENAEI :- OPERIBVS - AMPLIATIS SCHOLAM ‘© PHYSICIS - EXPERIMENTIS - EXHIBENDIS OB * VETERIS - ANGVSTIAM - NOVA ‘© AEDIFICII - MOLITIONE ORIENTIS * LATERI - ADIECTA - SCIENTIIS - PROMOVENDIS - APERVIT ET - INSTRVMENTO - OMNI - APPARAVIT ANNO © PRINCIPATVS © AVSPICATISSIMI DECIMO - NONO XI Ad Hortum Botanicum EX - AVCTORITATE LEOPOLDI - Il - ARCHID : A-M-D- FACTIONIBVS - SAEC > XHI ITALIAM * DILANIANTIBVS PISANOS + A - SVMMI - PONTIFICIS * OBSEQVIO © DIGRESSOS ET - SVPPLICES - REVERSOS ALEXANDER © INI - P - M - iN - EXPIATIONEM - IVSSERIT PVBLICVM * AEDIFICIVM AEGROTIS * INOPIA - LABORANTIBVS - EXCIPIVNDIS * CVRANDIS ATRESORO? © EXCPTARE IDQ - FESTISSIMO - IIENTEKOSTHS - DIE - AN - M - CC - IVII - i LAPIDE © AVSPICALI - STATVTO SACRAM - POMPAM - COMITANTIBVS SANCTO :- BONAVENTVRA ARCHIEPISCOPIS - VI - EPISCOPIS - VIII - ABBATIBVS © V AVSV - MEMORABILI - FVERIT - INCHOATVM ET : POST - ANN - LXXX - FELICITER - ABSOLVTVM NOMINE * DONATVM - S - SPIRITVS - ET - PAPAE - ALEXANDRI AVCTVMQ - PLVRIBVS - PRIVILEGIORVM © LITTERIS HVIC - ADIVNCTIS * SVBIECTISQ CETERIS - DOMIBVS - HOSPITALIBVS - IN - PISANA - DITIONE ALISQ - FINITIMIS - ET - AB * EIVS * SPLENDORE CIVIVM - EXTERNORVMQ - LIBERALITATIBVS - PROVOCATIS DITISSIMAS -. OPES - ACQVISIVERIT QVIBVS - OB - CRVENTAS - FLORENTINORVM * VICTORIAS ET - ADEPTAM - IN - EO - POTESTATEM PENITVS * FERE - DILAPSIS VETEREM * LAVDEM * ET * DIVITIAS - RECVPERAVERIT, MEDICEIS - IMPERANTIBVS 56 CANTINI XV: Ibidem HONORI ETRVSCORVM * PRINCIPVM - SAPIENTISSIMORVM FERDINANDI - HI : M - E - D QVI - AN-: M: DCCC - XVII CONCESSIONIBVS « EMPHYTEVTICIS - AVCTORITATE - SVA RENOVATIS - ORDINATISQVE REDITVS - DOMVS - HOSPITALIS © COPIOSISSIME © AVXIT ET - LEOPOLDI - II - P_- F- A - PARENTIS - PVBLICI QVI - SINGVLARI - PROVIDENTIA AD © AERIS - CORRVPTIONEM - AVERTENDAM REM - TOTAM - OSSIVM - COMPAGIBVS - PARANDIS HINC - EMOVIT - ET - EXTRA - VRBEM - IN - APERTO - LOCAVIT ET - CVBICVLIS - PRAEGNANTIBVS - RECIPIVNDIS FEMINISQ - QVIBVS - MORBVS - PVDORI - EST SEORSVM - ERECTIS BALINEIS + SPLENDIDIORIBVS © EX - MARMORE - INSTAVRATIS AEDIFICIO - LONGIVS - IN * OCCASVM - SOLIS - PROMISSO IBIOVE - ANATOMIAE - SCHOLA - SVMPTVOSISSIME - EXSTRVCTA VTILISSIMIS. + DITATA - CIRCVM - OPERIBVS HORTIS © AD - APRICANDVM - COMPOSITIS CISTERNA - DEFOSSA ET - IN * CONCLAVI - AEGROTORVM - MAXIMO PAVIMENTO - TESSELLATIS - LATERIBVS * NOVATO LVMINIBVS - AMPLIATIS - ET - APERTIS LACVNARI - IMPENSE - REFECTO * VETERI - TECTORIO * DELETO ET - NITIDIORI - INDVCTO VBIQ + SALVBRITATEM - COMMODA - DECOREMQVE PROMOVIT - AMPLIFICAVIT OMNIBVS - AVSPICATISSIME * EXPLETIS CVRANTE * FRANCISCO * SASSETTIO © EQVIT * STEPH LOCI - PRAEFECTO INSCRIPTIONES COLLOCANDAE XVI: Ad Museum Historiae Naturalis MVSEVM - MAXIMVM HISTORIAE - NATVRALIS - IN - ATHENAEO FERDINANDO ©: MED > IMPERANTE AN «- M - D - LXXXXV - INCHOATVM A+ FERDINANDO © II - AVSTR - M ©» E - D * AMPLIFICATVM LEOPOLDVS - I - riLivs SCIENTIARVM * AVSPEX - MVNIFICENTISSIMVS AEDIFICATIONE - PROMISSA BESTIIS - TERRENIS - AQVATILIBYS - ET © VOLATILIBVS PRAECLARA © ARTE © PARATIS VNDIQVE - COLLECTIS CONGESTISQVE © GEMMIS © LAPIDIBVS + METALLIS ET - OMNIBVS © QVAE - EX - IGNITIS - MONTIVM - VISCERIBVS * ERVMPVNT SINGVLIS - IN - SINGVLAS - SERIES © TRIBVTIS FELICITER + CONSVMMAVIT ALIOQVE © ZOOTOMIAE + ADDITO ET - SCHOLA - ANATOMIAE * COMPARATAE INSTITVTA AVDITORVM * VTILITATEM CVM - RERVM * DIGNITATE - COPVLAVIT CVRA © ET - STUDIO - PAVILI * SAVII > EQ © IOSEPH DOCT - DEC - ANATOM - COMP * TRADENDAE LOCORVM - PRAESIDIS OPERE - ABSOLVTO ANNO * PRINCIPATVS - VIGESIMO * PRIMO Scienze Noolog. T. II h 58 CANTINI XVII Ad Institutum Agrarium et Pastoricium LEOPOLDVS - Il - MAGNVS - DVX - ETRVRIAE PRINCEPS « IN - OMNI - RE - MAGNIFICVS ANNO - PRINCIPATVS © AVSPICATISSIMI IN - AGRORVM * CVLTVRAE - INCREMENTVM PLVRIVM - ARVORVM - EMPTIONE - FACTA IBIQVE © SVBSTRVCTIONE * AMPLISSIMA DIAETIS * ET * APOTHECIS - FRVMENTARIIS AB - INCHOATO - EXCITATIS MACHINARVM * OMNIVMOVE - INSTRVMENTORVM INSTRVCTO © APPARATV AD © REM © AGRARIAM © ET - PASTORICIAM * TRADENDAM ET - EXPERIMENTIS * FIRMANDAM COSMVM - RIDOLFIVM MARCHION - EQ » TORQ © IOSEPH * EQ * STEPH IN * COLLEGIVM * DOCT © DEC © ATHENAFI * COOPTAVIT ET - OPERI * CVRANDO - ET * PERFICIVNDO * PRAEFECIT QVAE * OMNIA IN * MAXIMAM © ETRVSCORVM - VTILITATEM BENE * VERTVNT INSCRIPTIONES 59 XVIII Ad Institutum Zootatricum LEOPOLDVS : Aa: M-D- 90s— 1. I matematici hanno per risoluto il problema quando le formule sono ridotte ad accennare sole operazioni elementari di aritmetica da eseguirsi su quantità note. E ciò si è stabilito inquantochè si conoscono i processi aritmetici necessarj a tali operazioni. Queste sono come ognuno sa l’addizione, la moltiplicazione, l'elevazione a potenza, e le altre inverse sottrazione, divisione, e estrazione di radice, ed hanno le une colle altre tali relazioni che tutte si fanno dipendere dalla prima, cioè dalla addizione. {Nei processi imaginati dai matematici sono state ritrovate anche altre operazioni aritmetiche le quali facilitano la soluzione di alcune particolari questioni, e tra queste mi giova ricordare il metodo inse- goato dal sig. Budan per risolvere l’equazioni a coefficienti numerici. Ma che io sappia nè a questa, nè ad altra regola di calcolo numerico è stata data quella generalità per la quale possa dirsi al pari delle rammentate, operazione elemen- tare di aritmetica. Quindi se io m'ingannassi nel dare come nuova quella di cui sono per discorrere spero i lettori saranno indulgenti a chi da molti anni dato quasi esclusivamente alla Fisica ha lasciato a parte le disquisizioni di matemati- che pure. Mi piace richiamare l’attenzione dei matematici sull’aggiunta all’arit- metica di una settima operazione elementare, che farà loro comparire risoluto il problema anche nei casi che la formula algebrica sia ridotta ad accennare questa operazione. Apro un campo che altri dovrà far fruttificare; nè mi dò vanto, mentre la regola che ho accennata del sig. Budan, le quella del sig. Ruflini per l'estrazione delle radici, mi han fatto nascere il pensiero di questa operazione 144 PACINOTTI aritmetica. Essa abbraccia come casi particolari le due regole di Ruffini e di Budan, è un’ operazione inversa alla formazione di un prodotto con più fattori, e perciò tanto alla moltiplicazione quanto all’elevazione a potenza, ed io la chiamo estrazione dei fattori. Dati alcuni numeri da moltiplicarsi insieme, il resultato della moltiplica- zione chiamasi prodotto, e fattori son detti i numeri moltiplicati. La divisione insegna a trovare un fattore quando sono due soli, e ne è conosciuto l’altro: l'estrazione della radice insegna a scoprire i fattori quando sono tutti eguali, e si sa quanti essi sono: la nuova operazione deve insegnare a trovare i fattori quando si conosce quanti sono, e come differiscono fra di loro. La differenza fra i fattori è data anche nell’estrazione della radice perchè si sa essere eguale a zero, e però fin d’ora comprendesi che questa operazione rientra come caso speciale nella nostra. Sapendo che il 2% è un prodotto di due fattori che han fra di loro la differenza cinque si tratta di stabilire una regola per trovare que- sti due fattori che sono il 3 e 1°8, e di risolvere quesiti di questo genere; cioè in formula generale, dato un numero N si vuole trovare quali sono i suoi m fattori, sapendo che la differenza fra il primo e il secondo è a, fra il primo e il terzo è b, fra il primo e il quarto c ec. Conosciuto che avremo il primo fattore il quale io chiamo x si vede che gli altri saranno r+a, x+d, x+c ec. 2. Prima che io stabilisca la regola per l’estrazione dei fattori presenterò l'operazione inversa, cioè la formazione dei prodotti sotto quell’aspetto che è conveniente al mio soggetto. Si voglia il prodotto x(x+a)x+b)x+ ce). L'opera- zione eseguita nell’ordinario modo di moltiplicazione dà 24 (a+0b+ e)x"+(ab+ac + cb)a?+ abex cioè un polinomio ordinato per le potenze di x, i coefficienti delle quali sono le somme delle combinazioni delle differenze a, b, e. Il primo coefficiente è la somma delle combinazioni ad una ad una; il secondo la somma delle combina- zioni a due a due; il terzo quella delle combinazioni a tre a tre. fi Che se più di quattro fossero i fattori proposti è evidente la legge, per- chè sempre i termini sono tanti quanti i fattori, ed il primo termine contiene il primo fattore inalzato alla potenza indicata dal numero dei fattori stessi; l’ultimo è composto di quel fattore moltiplicato per il prodotto di tutte le dif- ferenze. 5. Il metodo ordinario accennato di sopra può convertirsi nel seguente, giacchè ne dà lo stesso resultato. Si scriva l’unità, e poi l’uno dopo l’altro nella medesima linea orizzontale si scrivano i coefficienti che sono da noi cono- sciuti per la fissata legge: sotto ciascuna di queste quantità si ponga ciò che si ottiene dal moltiplicare per x il termine precedente e aggiungere il termine che - SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 145 è posto di sopra, come vedesi qui appresso in (A). La x che colloco al principio del quadro serve da moltiplicatore, e l’ultimo termine è il prodotto cercato (*). (A) x|1 a+b+c ab + ac + be abe 1 x+(a+b+c) x°+(a+b+c)r+(ab+ac+be) x°+(a+b+0)x?+(ab+ : i ac+be)r+abe x'+(a+b+c)x3+(ab+ac+be)x®+ aber Ognun vede che questo metodo può usarsi-per un qualsivoglia numero di fattori, purchè colla legge indicata si ponga nella prima linea l’unità, e tutte le somme delle combinazioni delle differenze. 4. L'esempio ora studiato aveva un sol termine nel primo fattore, che se fosse esso stato un binomio x +y, allora ritenuto il medesimo numero di fattori e le medesime differenze (r+y)(r+y+®(c+y+b(c+y+c) si sarebbe tro- vato col metodo ordinario di moltiplicazione y+4xy+(a+b+c)fy+6x?y+3(a+b+-c)xy+(abtac+be)y+4x"y+3(a+b+0)x?y +2(ab+ac+be)xy+abcy+x'4+(a+b+c)x"+(ab+ac+be)x*+abex Questo resultato, che deve essere quello del quadro precedente (A), ove invece delle potenze di x sono quelle di x+y, si può ottenere dirigendo il calcolo come abbiam fatto di sopra (3); e proseguendo l’operazione anche in altre linee oriz- zontali nelle quali si giunga soltanto al penultimo termine della precedente, come qui in (B) si vede ®) x\f1 a+b+e ab + ac + be abe 1 x+(a+b+c) 2x°+(a+b+c)x +(ab+ac+bc) x3+ (a+b+-c)x?+2(ab i 1 2x+(a+b+c) 3a°?+2(a+b+c)x+(ub+ac+bc) 4x5+3(a+b+0)a?+ i 3x+(a+b+c) 6x°+3(a+b+c)r +(ab+ac+bc) 4x4 (a+b+c) (n i +ac+be)c + abe x'+(a+b+0)x5 + (ab +ac+be)x® + aber i 2(ab+ac+ be)x + abe Fatto ciò: si raccoglieranno in una medesima linea orizzontale tutte le quantità che sono all'ultimo posto nelle linee orizzontali del quadro precedente (B), e col medesimo metodo si farà la moltiplicazione per y come si è fatta per x (3), e ciò nella seconda linea orizzontale soltanto, e l’ultimo termine sarà quello cer- cato, come quì in (C) vedesi (*) In questo quadro, e in alcuni de’ seguenti per comodo di tipografia ho usato il segno î come chiamata, ogni qual volta si è dovuto spezzare in più parti la riga; perciò il lettore dovrà intendere scritte di seguito in una sola riga tutte quelle parti, che sono separate da questo segno. Scienze Cosmolog. T. II. 19 PACINOTTI (0) y|t 42-+(a+b+€) 6x2 +3(a+b+e)r + (ab + ac + de) 1 y+ 424 (a+b+0) 92+ lay +(a+b+0)y+62?+3(a+b+0)2 + (ab+ ac 1 de) y°+ 146 1 +ce)e° + 2(ab+ac+ be) + abe : +b+0)y?+6x°2y+ Ia+b+0)y+(ab+ac+be)y+423+3(a+b+ c)a? i x'4+(a4b+ c)x*+(ab + ac+ be)x® + abex : y'+Axy+(a+b+0)y" + 6x?P+ 3a+b+ c)xeyz+ (ab +ac + be)y? +4a%y + Ha+b+c)x®y+ 2(abt | : +ac+ be)ey+-abey+x"+(a+b+c)a°+ (ab + ac + be)x® + abex 4x35+3(a+b i bry+(a È + 2(ab + ac + be)x + abe i 5. Onde possa comprendersi la ragione di questo calcolo deve rammen- tarsi che il resultato ottenuto nel quadro (A) differisce da quello che vogliamo adesso solamente perchè sonovi (4) le potenze di x invece di quelle di 7+y, la qual sostituzione vien fatta colle due operazioni rappresentate dai quadri (B) (C). Infatti nel quadro (B) basterà por mente ad una sola potenza per conoscere, quello che segue nelle altre, per esempio la quarta di +, ha portato negli ultimi termini delle linee orizzontali x4, 4x5, 64°, 4x, 1, quantità che moltiplicate ne nostri ‘quadri per y, e sommate danno la quarta potenza del binomio x4-y. La moltiplicazione di queste e la somma segue evidentemente nel quadro (C), e quelle quantità devono rappresentare le decrescenti potenze di x perchè le li- nee orizzontali del quadro (B) terminano scalate. Come poi queste decrescenti potenze di x debbano venire moltiplicate per i coeflicienti che appartengono al binomio, chiaro apparirà dall’osservare che tenendo il medesimo metodo pra n+4 unità per ultimi termini delle lince orizzontali scalate, come qui in (D) vedesi. (D) 1|1 1 1 1 DBA 1 1 1 2 3 4 .-. (n-3) (n—-2) (n-1) DMS So . (n—-2)(n—3) (n-1)n-2) n(n—1) 2 2 2 2 2 2 2 3.2.1 4.3.2 5.4.3 6.5.4... (n-1)(n-2(n-3) n(n—-1)(n—-2) SII 28825 2.3 2.3 nin—1) 1 1 1), SO- poste in linea orizzontale si hanno i coefficienti del binomio 1 n 1 1-9), SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 147 Infatti è evidente come vengono 1, n; e come il porre l’unità sotto 21 13:21 l’aspetto , “ ec. fa conoscere che 2 Lu ; n(n-1) (n_1{n-2(n-3) (n 1-2) _ nn—-1)n- Di Siae Ondo Be si? 2.3 ih i B SE) Che poi dopo il termine medio si riproducano i medesimi termini in ordine in- verso, lo mostra l'essere le linee orizzontali composte di termini, che hanno lo stesso valore di quelli che compongono le linee verticali. 6. Nel modo che dal prodotto x(xr+@(x+b){x+c) siamo potuti passare al- l’altro (er+)(+y+0(r+y+bc+y+e) si potrà da questo passare ad un terzo (c+y+2)x+y+z+@x+y+2z+b(c+y+2+-c) colla stessa operazione di calcolo, ed un ragionamento medesimo servirà a persuaderci che proseguito il quadro (C) come si è fatto in (B), e poi fattone un terzo (E) ove si moltiplichi per =, come in (C) si è moltiplicato per y, avremo il polinomio appartenente a quest'ultimo prodotto che differisce dal primo per essere x+-y+z in luogo di x. Egualmente un qualunque polinomio invece di x potremo sostituire se proseguiamo i calcoli colla stessa regola. 7. Nell’applicare queste formule ai numeri si potrà con x rappresentare le unità d'ordine più elevato, che sono contenute nel primo fattore per es. le cen- tinaja; con y quelle dell'ordine immediatamente inferiore, le diecine; con 2 le unità propriamente dette o in generale le unità dell’ordine successivo, e così di seguito, finchè vi sieno altri ordini di unità. Nel caso che vi sieno sem- plicemente le unità di prim’ ordine potranno esser rappresentate dalla sola x, e non si estenderà il polinomio coll’y, e col 2. Quando oltre l’unità si abbiano i decimi, e i centesimi ec., potrà l’y rappresentare i decimi, la 2 i centesimi ec. 8. Sia il primo fattore 657; lo riguarderemo come decomposto 600+50+7. Sia il secondo fattore 664 cioè 7 più del primo, ed il terzo 669 cioè 12 più del primo; e vogliasi il prodotto di questi tre fattori. Troveremo la somma delle combinazioni delle differenze 7,12; e poichè queste due soltanto, si avran- no 7+12—= .12=84, vale a dire rguile ad una ad una, e quelle a due a due. Quindi disposte queste due somme, insieme coll’unità, nella prima linea orizzontale si moltiplicherà primieramente per 600, quindi per 50, e finalmente per 7, e sotto ad ogni numero si scriverà ciò che si ottiene dal moltiplicare il numero precedente e aggiungere quello che rimane scritto di sopra. Si faranno le linee scalate, e si passerà da un quadro all’altro col raccogliere i numeri che sono alla fine delle file orizzontali, e col porli nella prima fila del quadro suc- cessivo. 148 j PACINOTTI 600] 1 19 84 | 1 619 371484 222890400 1 1219 1102884 1 1819 1 50 1819 102884 222890400 | 1869 1196334 282707100 1 1 1 1919 1292284 1 1969 1 ZAN 1969 1292284 282707100 1 1976 1306116 291849912 Il prodotto cercato è 291849912. Più facile sarebbe stato ricercarlo col meto- do ordinario, cioè moltiplicando 657 per 664, e il prodotto per 669, e perciò io non stabilisco questo metodo per usarlo nella moltiplicazione, ma sibbene nell’estrazione dei fattori. Per quanto non si avrebbe poi maggior difficoltà quando i fattori fossero stati cinque o sei. Infatti per moltiplicare insieme i fattori 657,664,669.720,757 non aumenterebbe già il numero dei quadri del- l'operazione, e solo si farebbe ciascuno più complicato. 9. Ci varremo di questo stesso processo di calcolo anche per l'estrazione dei fattori. Diremo che il fattore è di second’ ordine quando sono due i fattori, e di terzo quando sono tre ec. E per tener conto anche nei simboli dell’analo- gia che abbiamo veduta esistere tra la nuova operazione, e l'estrazione della radice (1) si stabilirà per segno fattorale quello stesso dei radicali, e soltanto vi si collocheranno in basso le differenze tra i fattori; così V3188 1,11 mostrerà il fattore di terz’ordine del numero 3488 che differisce dagli altri due fattori di 4, di 11. Osserveremo ancora che il primo fattore è come la radice degli altri, e per conseguenza torna bene a@ esso il segno radicale; e che inoltre alcuni scrittori del calcolo delle facoltà hanno ancora in quello usato il segno radicale per indicare il primo fattore. Adottato questo modo di scrivere avremo V524=V52 VT9658=V79658 00 0,0,2,8 2,8 e si scorge bene la conversione del simbolo fattorale in quello del radicale SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 149 quando la differenza tra i fattori è zero perchè non esistendo essa, può trascu- rarsi di scriverla. 10. Si tratta di trovare il primo fattore date le differenze che esistono tra quello e gli altri. Dalle formule sopra esposte (2) si vede che il primo fattore è minore della più gran radice dell’ordine stesso del fattore, contenuta nel nu- mero proposto. Onde se dato il prodotto N si cerchi il fattore del terz’ ordine: osserveremo quale è la più gran radice cubica che può appartenere ad N: si sottoporrà quella più gran radice al calcolo sopra stabilito per la formazione dei prodotti, e se combina col fattore darà un prodotto eguale ad N. Nel caso che lo dia maggiore di N, tenteremo i numeri più piccoli di quella radice. Per eseguire questo calcolo porremo in una fila orizzontale l’unità, e dopo le som- me delle combinazioni delle differenze tra i fattori, e in ultimo posto porremo la quantità di cui si vogliono i fattori. Cercheremo la radice sopra rammentata, e con quella faremo le moltiplicazioni. Giunti alla quantità che è nell'ultimo posto eseguiremo la sottrazione invece della somma. Si voglia dalla quantità m°4+(a+b)m?+abm estrarre il fattore di ter- z'ordine, essendoci detto che a quello deve aggiungersi a per il secondo fattore e b per avere il terzo. Disporremo il calcolo nel modo seguente, ove m è la ra- dice di terz'ordine o cubica, compresa nella quantità proposta. Questa quantità sta nell'ultimo posto della prima linea orizzontale, e avanti a quella vengono le somme delle combinazioni delle differenze a, mi 1 a+ ab mi+-(a+b)m?+abm 1 m+(0+0) m°+(a+0)m+ab 0 E siccome fatta la sottrazione non è restato nulla, diremo che il primo fat- tore cercato è m, e per conseguenza i tre fattori della quantità proposta so- no mn, m+a, m+b. 11. Non sempre il primo fattore può trovarsi tutto in una volta, e allora convien cercare prima una parte e dopo l’altra, e si proseguirà il calcolo (4) come abbiamo insegnato per questo caso nella formazione dei prodotti. Per trovare la seconda parte divideremo l’ultimo termine che sta nella prima linea orizzontale, il quale sarà il resto che abbiamo ottenuto dalla prima sottrazione, per il penultimo che nel sottrarsi deve esser moltiplicato per la stessa seconda parte (4) che cerchiamo. Meglio sarà schiarita questa regola col calcolo se- guente, ove ci proponiamo di trovare il fattore di terz’ ordine della quantità mi4-n'+3mn?+3nm?+(a+b)m?+(a+b)n?+2(a+0)mn+abm+abn essendoci detto che il secondo fattore supera il primo della quantità a, e il terzo 150 PAA Gi NIOITAT I lo supera della quantità D. Si scorge che una parte potrebbe essere m esisten- dovi m*, per la quale faremo il calcolo seguente col porre nell'ultimo posto della prima linea orizzontale quei termini che contengono la sola m, e possono avere luogo nella sottrazione. Gli altri termini si serberanno per usarli nel se- condo quadro. m) 1 a+b ab mi+(a+b)m?+abm } 1 m+(a+b) m+(a+b)m+ab 0 i 1 2m+(a4+b) 3m?+2(a+b)m+ab î 1 3m4+(a+b) i 1 Verificato che la prima parte è m, giacchè si è potuta fare la sottrazione com- pleta, cercheremo la seconda parte del fattore. Ordineremo rapporto ad n i termini che sono rimasti dalla quantità proposta ed otterremo [3m?+2m(a+b)+ab)n+[3m+-2(0+-b)]n?+-n? Diviso il primo termine di questo polinomio per l'ultimo termine della terza li- nea nel quadro precedente, abbiamo » per quoziente. Con questo, usato come moltiplicatore, si comincerà un nuovo quadro, adoprando nella prima linea oriz- zontale gli ultimi termini delle linee nel quadro precedente, e il resto della quantità proposta. n) 1 3m+(a+D) InP+2(a+b)m+ab [3m2+2(a+b)m+-ab]n+[3m+2(a+D)]n°4-n8 | 1 n-+3m+(a+b) n2+3mn+(a+b)m+3m?+2(a+b)m+ab 0 Per essersi potuta effettuare tutta la sottrazione, e non avere ottenuto alcun resto, concludiamo, che i tre fattori cercati sono m+n, m4+n+a, mtn+b. 12. Ho cominciato da esempj algebrici su quantità convenientemente scelte perchè meglio potesse scorgersi l'applicazione della regola. Ora potremo usarla sopra numeri; ed in questi confuse essendo tutte le diverse parti del prodotto, pon si vedrà tanto facilmente quale è il primo fattore, o quali sono le parti di cui si compone. Converrà come ho detto (11) tentare i numeri massimi tra le radici, e tra i quozienti, per poi discendere a quelli che sodisfanno al calcolo. Dal numero delle cifre che ha il prodotto proposto si rileva quale è la più gran radice che vi entra dell'ordine stesso del fattore che si cerca. Il fattore non può aver più cifre di questa radice, e ne avrà di meno, quando tentata l’unità per la prima cifra si trovi essa troppo grande. Quindi si scoprirà quante cifre ha il fattore. Col dividere il numero in classi, nel modo che si usa per la estra- zione della radice, si soprà da qual parte del numero deve di mano in mano ef- * fettuarsi la sottrazione. 45. Si debba estrarre il fattore di secondo grado da 180, e la differenza SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 151 tra i due fattori debba essere 3. Porremo nella prima fila (seguendo la regola della formazione dei prodotti (8) 1, 3, e poi 180 dal quale dovremo sottrarre il numero che si ottiene; e quando la sottrazione seguirà esattamente diremo di aver trovato il fattore. Quindi osserveremo che la più gran radice quadrata contenuta in 180 è 13, e perciò il fattore non può essere maggiore di 13. Co- minceremo dal tentare il 13 nel modo seguente. dal 3 180 1 16 208 E trovato che 208 non può esser sottratto da 180 diremo che 13 è troppo, e tenteremo 12. 1 3 180 1 15 0 Ora non rimanendo dopo la sottrazione alcun resto, diremo essere 12 il fattore cercato, e l’altro sarà 15. Potevamo trovare il fattore 12 anche in due volte riguardandolo come decomposto nelle sue diecine ed unità, e allora conveniva fare il calcolo come segue, e come abbiamo sopra mostrato (4,11). Separate da 180 le due ultime cifre (12) resta 1, e la più gran radice quadrata contenutavi è 1, cioè una diecina. 10| 1 3 180 1 13 50 1 23 1 Raccogliendo gli ultimi termini delle file, e dividendo il resto ottenuto 50, per l’ultimo numero 23, si trova 2 per la seconda parte del fattore. 3 50 Per vedere come possa questa regola applicarsi anche quando il fattore contiene più di due cifre, ed è d’ordine superiore si prendano altri due esempj. 1.° Si voglia estrarre dal numero 136647 il fattore di second’ ordine il quale differisca dall’altro di 534. Si vede bene colla stessa regola che si usa per l'estrazione delle radici che il fattore cercato avrà tre cifre, e che la terza cifra non potrà essere maggiore della più gran radice quadrata contenuta in 13. Que- sta potrebbe esser 3, proviamo. 300] 1 534 136647 1 834 152 PACINOTTI Si vede che 834 moltiplicato per 300 dà un numero troppo grande. Proviamo due centinaia. 200| 1 534 136647 1 734 ed egualmente è anche questa cifra troppo grande. Mettendo uno 100 034 136647 634 73247 734 1 1 1 1 Ora per ottenere la cifra delle diecine divideremo il resto scemato dell’ultima cifra cioè 7324 per 734. Abbiamo 9, e perciò proveremo 90) 1 734 71327 824 74160 e non potendosi effettuare la sottrazione, passeremo ad 8. 80| 1° 734 73247 | INNDESI 8127 1 89% 1 Parimente per aver la terza cifra dividiamo il resto 8127 per 894, e otterremo 9 Oi 894 8127 1 903 0 che è il vero numero. I fattori cercati saranno dunque, 189,189+534=723 2.° Onde si gusti meglio questo calcolo, e si possa riscontrare che è quello che ha luogo per la formazione dei prodotti con più la sottrazione dal numero proposto, io prendo ad estrarre il fattore di terz’ ordine dal numero 291849912 essendo 7,12 le differenze cogli altri due fattori; il qual numero è uno dei prodotti già da noi trovati (8). La somma delle differenze è 19, e il prodotto 84. Diviso il numero in classi di tre cifre si trova per la terza classe 291; e la più gran radice cubica che li possa appartenere è 6. Onde avremo 600| 1 19 84 291849912 1 619 371484 68959512 1 1219 1102884 1 1 1819 de SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 153 Separata l’ultima cifra dal resto 68959512 si dividerà 6895951 per 1102884, ed avremo 6 diecine. 60| 1 1819 1102884 68959512 1 1879 1215524 Si vede che 6 è un numero troppo grande. 50) 1 1819 1102854 68959512 1 1869 1196334 9142812 1 1919 1292884 1 1969 1 Nel 9142812 il 1292884 sta 7 volte. TR 1969 1292884 9142812 | 1 1976 1306116 0 Il fattore trovato è 657, e gli altri due sono 664, 669 come già sapevamo (8), ed il confronto di questo calcolo con quello usato per la moltiplicazione di que- sti fattori ci mostrerà, che variano in questi due processi inversi solamente i numeri collocati nell'ultimo posto delle linee orizzontali de’ quadri. 14. Rimane per completare gli schiarimenti occorrenti all'estrazione dei fattori, che io parli della ricerca del fattore per approssimazione, o per dir meglio della ricerca del fattore appartenente al prodotto approssimato a quello proposto. Si voglia estrarre coll’approssimazione fino ai millesimi il fattore del 5.° ordine del numero 114783, essendo le differenze tra i fattori 0, 2,4, 6. La somma di queste differenze è 12; la somma delle loro combinazioni a 2 a 2 è 44; la somma delle loro combinazioni a 3 a 3 è 48; e il prodotto delle quat tro differenze è 0. Diviso il numero in classi si hanno due classi di cinque cifre, e sembra esservi una diecina nel fattore cercato; ma tentando si troverebbe che non vi sono diecine e neppure 9 unità; e per 8 si ha Sneri 12 4% 48 0 114783 1 20 204 1680 13440 7263 1 28 428 5104 54272 1 36 716 10832 1 44 1068 1 52 1 Adesso che ho trovate le 8 unità, per cercare i decimi conviene che io ponga accanto ai numeri da scriversi nella linea orizzontale tanti zeri quanti ve ne Scienze Cosmolog. T. II. 20 154 PACINOTTI sarebbero venuti se invece di 8 avessi dovuto calcolare per 80, e se le diffe- renze fossero state tante diecine quante erano unità. Perciò nel secondo posto della linea orizzontale dovrò aggiungere un zero, nel terzo due, nel quarto tre, nel quinto quattro, e nel sesto cinque zeri. Dovrò poi proseguire l'operazione come se cercassi ora la cifra dell’unità, e le 8 fossero state diecine. E siccome così renderei il fattore dieci volte più grande, porrò la virgola dei decimali dopo l’8. Anche per trovare i centesimi e le altre cifre decimali dovrà tenersi la stessa regola. Diviso dunque 726300000 per 542720000 si trova per i decimi la cifra 1, e nel successivo quadro analogamente dopo aver fatta l’ag- giunta degli zeri si trova 3 per la cifra dei centesimi. Ecco il calcolo: 1 1 520 106800 10832000 542720000 72630C000 1° 521 107231 10939321 553659321 172740679 1 522 107843 11047164 564706485 1 523 108366 11155530 1 524 108890 1 525 1 3|1 5250 10889000 11155530000 5647064850000 17274067900000 5253 10904759 11188244277 5683629582831 223179151507 1 5256 10920537 11221005888 5717292500495 Senza proseguire si vede che la cifra dei millesimi è zero, e può ritenersi es- sere il fattore cercato 8,13; e gli altri 8,13; 10,13; 12,13; 14,13. Che se in qualche caso le differenze assegnate tra i fattori saranno espresse in decimali ben si conosce, da quanto precede, come debba dirigersi il calcolo senza trattenervisi. 15. Abbiamo considerate le differenze dei fattori espresse con interi, e con numeri frazionarj. Quando esse sieno tutte eguali a zero, o ve ne esistano delle negative il processo di calcolo stabilito serve egualmente alla ricerca del fattore, usando le regole di calcolo già conosciute sopra lo zero, e sopra le quantità negative. Pure allora può dirsi che il problema cambia natura, ed egualmente cambia natura quando le differenze segnano una progressione arit- metica. Essendo zero le differenze tuttii fattori divengono eguali, e si tratta allora dell’estrazione della radice: il nostro metodo rientra in quello assegnato dal Ruffini per estrar la radice di qualunque ordine. Allorchè si hanno diffe- renze in progressione aritmetica si risolve un problema relativo al calcolo delle facoltà; il numero proposto è la facoltà di quello che si cerca, e può dirsi che il nostro processo insegna ad estrarre la radice delle facoltà. Quando vi sono delle differenze negative il problema prende la sua massima generalità, e ci fa SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 155 strada alla risoluzione delle equazioni a coefficienti numerici, convertendosi il nostro calcolo in quello insegnato dal Budan per la risoluzione di tali equazio- ni. Potrei in questa memoria tralasciare di esporre i due rammentati metodi del Ruffini e del Budan rimandando i lettori alle memorie originali di questi autori; pure con brevità un poco dirò anche di quelli per aggiungere le consi- derazioni che fan prendere idea dell’estesa applicazione che può trovare il mio problema cioè la nuova operazione aritmetica. Nel medesimo tempo si vedrà come dipendono quei due elegantissimi metodi da un medesimo principio, e quanto sia più facile la loro dimostrazione dedotta come ho fatto da notizie ele- mentarissime, di quella che gli autori hanno rilevato dalla teoria delle equazioni. 16. Coerentemente a quanto abbiamo stabilito se ci verrà proposto di estrarre la radice n.” da un numero N, intenderemo che si debba trovare gli n fattori eguali, che moltiplicati insieme danno N. Perciò tutte le differenze tra i fattori essendo zero, saranno zero anche tutte le somme delle combinazioni; e in luogo di queste dovrà nel calcolo porsi uno zero. Si imposterà dunque il calcolo ponendo in una linea orizzontale un 1 ed n—4 zeri, e quindi il nume- ro N. Dipoi si opererà come per l’estrazione dei fattori. Che se Ia radice cer- cata sia composta di più cifre, divideremo il numero N in classi, principiando dalle unità, ciascuna delle quali abbia tante cifre quanto è l'ordine della radi- ce, e invece di tutto N si porrà nel primo quadro la sola classe superiore. Nel secondo quadro si aggiungerà la seconda classe a ciò che è avanzato dalla prima sottrazione, e si porranno negli altri posti alla destra di ciascun numero quelli zeri che si aggiungevano (14) quando nell’estrazione del fattore per approssi- mazione si passava dall’una all’altra cifra decimale. Allorquando si vorrà estrarre la radice per approssimazione dovremo all’ultimo termine della prima linea orizzontale aggiungere tanti zeri in fine quante sono le unità nell'ordine della radice. Un’ esempio chiarirà ogni dubbiezza. Si voglia la radice quarta del numero 3373468900, con approssimazione fino ai millesimi. Le classi sono 33,7346,8900; tre saranno le cifre degli interi, e la prima è 2: l'altre si tro- veranno come si è detto per i fattori. Ecco il calcolo: SERATE) di 4 esa di 12 4492 1 6 2% 1. 1 5) 1 80 00 32000 177346 24 1 85 2825 46125 156 PACINOTTI 41 80 2400 32000 4177346 È 84 2736 42944 5570 1 88 3088 55296. 1 92 3456 1 96 1 960 345600 55296000 55708900 1 1 961 346561 55642561 66339 1 962 347523 055990084 1 663 348486 1 964 1 0| 1 9640 34848600 55990084000 663390000 0| 1 96400 3484860000 55990084000000 6633900000000 1 964000 348486000000 55990084000000000 66339000000000000 1 964001 348486964001 559901324869614001 10348567513035999 1 la radice cercata è 241,001. 17. Le differenze tra i fattori prese in progressione aritmetica non portano alcuna differenza nel processo del calcolo da noi stabilito, e conducono a svi- luppare il polinomio o facoltà x*|"=x(r+@(x+20)(x+30)...(r+(n—1)0). E viceversa, dato lo sviluppo a trovare la radice x della facoltà, che col mio modo di scrivere si indicherebbe etto a,2a,...(n-1)a Ne trascurabile sarà questa applicazione, se colla soluzione di tal problema si aggiunge, come a me sembra, qualche cosa ai bellissimi lavori di Hramp, di Van- dermonde, di Oettinger, di Legendre, di Gauss, e di tanti altri celebri autori sul calcolo delle facoltà, o sugli altri analoghi calcoli delle potenze secondarie, del Gamma, delle quantità ipergeometriche, dei numeri ordinali, delle frazioni binomie ec. Che anzi quì parmi conveniente mostrare come i prodotti da me considerati oltre ad abbracciare tutte le rammentate quantità come casi parti- colari, possono alle facoltà ridursi, e perciò ad essi pure spettano molti dei teoremi stabiliti nel calcolo delle facoltà, e negli altri analoghi calcoli da me ora rammentati. Infatti il prodotto x(x+a) è del genere delle facoltà, e ponendo b=2a+b', c-3a+c', d=4a+-d', si riducono come vedesi a facoltà anche i seguenti prodotti SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 157 dr+ta(xr+0)=re+0r+20)+ d'eta) = a+? r(e+a(c+b(x+c)=x(r+0(r+20x+3a)+(0'+c)x(r+a{x+20) +0'e'+0'ar(r+a@=a'l+(0'+c)£7]0+ (b'e'+d'a)e2| r(c+ac+De tor +d)=2l+(0'+-c'+d)a 4 (d'+ac'+ad'4Hd'e'+d'd'+c'd')x3]a +(0'e'd'+ab'd'+2a.b'e'+a.2ab')x?|® In generale si scorge che potranno ridursi i nostri prodotti a somme di facoltà decrescenti moltiplicate per coeflicienti, dei quali non è difficile conoscere la legge di formazione. 18. Allorchè le differenze tra i fattori sono alcune positive e altre negative si può seguire il metodo insegnato (8,13), oppure ridur prima il quesito ad un altro ove sieno tutte le differenze positive. Si voglia il fattore di terz’ ordine del 24 essendo 2 la differenza col secondo fattore, e —3 la differenza col terzo. Faremo il calcolo insegnato di sopra menochè cercheremo il fattore di unità in unità cioè si proveranno per moltiplicatori 1, 2, 3, 4... finchè non troviamo un numero che dà 24. Cer le alc A SEM i Re E dia 1 0 So oo erre Gg. MIS 7 d AS O, CAR CR rt ig97 0056 0 Il fattore cercato è 4, e gli altri sono 6,1. Si possono ridurre tutte le differenze positive col diminuire il fattore che si cerca della massima differenza negativa, e nel caso dell'esempio precedente di 3. Lo che corrisponde a fare i fattori propostix=y+3,x+2=y+5,x—3=y. Vale a dire a cercare il fattore di terz’ ordine del 24 che differisce dal secondo di 5, e dal terzo di 3, e dipoi aumentare questo di 3. Operando in tal modo abbiamo. 20,1 s 15 24 dp r10 35 Il due è troppo grande. Filati 8 15 24 1 9 24 0 Il fattore y cercato è 1, e perciò come si era sopra ottenuto r=y+3=4. Quando sono note tutte le differenze tra i fattori, è facile, come abbiam veduto, convertire il quesito delle differenze negative in altro ove sieno tutte positive. 19. Se in luogo di conoscere le differenze tra i fattori si conoscessero sol- tante le somme delle loro combinazioni, il problema sarebbe egualmente riso- 158 PACINOTTI lubile colla sola estrazione dei fattori, perchè è solo di queste somme che noi ci serviamo nella nuova operazione aritmetica. Questo è il caso della risoluzione delle equazioni a coefficienti numerici poichè data un'equazione xa?+Ax"1+Bx®-?+ ...+Sx=T, si può intendere decomposta nel seguente modo x(x+@)(r+br+c)....(x+s)=T. Qui non si conoscono le differenze a, b, c... tra i fattori ma si sa che sono m—1 di nu- mero, e che la loro somma è A, la somma delle loro combinazioni a 2 a 2 è B...e il loro prodotto è S. Si troverebbero queste differenze col risolvere l'equazione x?-1— Ax®?+Bx®-35—....+S=0 che è di un grado minore della proposta: questa osservazione in molti casi può essere di sommo vantaggio. Ma a noi non preme conoscere le differenze a, d,c..seppure non si voglion rendere tutte positive (18), e potremo fare uso direttamente dei coeflicienti A, B, €... Onde possiamo dire che l'estrazione de’ fattori serve alla soluzione di tutti i problemi che mettonsi in equazione. Sotto questo punto di vista viene molto estesa l'applicazione della nostra operazione aritmetica, essendo di diver- sissima natura i problemi che si pongono in equazione. Per esempio chi dicesse quale è il numero che moltiplicato con uno più grande tre unità, ed il loro pro- dotto moltiplicato collo stesso numero aumentato di cinque unità si ottiene 24. Sarebbe x(xr+3)x+5)=24, x°+8r?+15r —24=0, e si troverebbe colla sem- plice estrazione del fattore (18) essere quel numero l’unità. Ora quanti sono i problemi che posson condurre a quest’equazione di terzo grado? Si domandi il numero il cui cubo unito ad otto volte il quadrato dà 24 meno il prodotto del numero stesso per 15. Si domandi il numero che moltiplicato per otto volte se stesso più 15 dà 24 diminuito del cubo del numero che si cerca. Si voglion tre numeri la cui somma sia —$8, il cui prodotto formi 24, e la somma delle loro combinazioni a due a due sia 15. Tutti questi e un’infinità di altri problemi che a prima vista non sembrano appartenere all'estrazione dei fattori danno l'equazione che ho sopra riportata, e perciò si risolvono coll’estrazione dei fattori fatta al S. 18. 20. Posto che ogni equazione x%+Ax1+BxM2+....+Sr=T, ove A, B,..S, T denotano numeri interi, fratti, positivi o negativi ci rappresen- ta (19) un’estrazione del fattore dell’ordine m dalla quantità T, noterò che in tal operazione si fa uso dei coeflicienti come quì appresso: a|1 A B C - S T 1 e+A x°+Ax+B 2°+Ax°+Br+C... aM14Agm-2...+S aM+AgM1BoM-2,..+ Per trovare il valore di x distingueremo il caso che tutti i termini A, B, C...S,T sieno positivi, dall'altro in cui sieno alcuni negativi. Nel primo caso si procederà come si usa per l'estrazione del fattore quando le differenze tra i fattori sono tutte positive, e nel secondo si userà la regola che ho indicata per il caso che SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 159 vi sieno delle differenze negative. In questo secondo caso procedendo alle so- stituzioni in luogo di x della quantità 0, 1, 2, 3... potremo molte volte scor- gere quali sono, o tra quali limiti sono comprese le radici dell’equazione. Se un numero farà seguire esattamente la sottrazione, quello sarà una radice. Se due numeri consecutivi n, n+1, sostituiti in luogo di x daranno dei prodotti uno maggiore e l’altro minore di T o viceversa, tra quei numeri esisterà una radice dell'equazione. Allora ritenuto n per.il numero dell'unità si cercheranno le de- cimali col metodo d’approssimazione che abbiamo sopra insegnato (14) tentando le diverse cifre numeriche per ordine naturale come si è detto per gli interi. Se- guiteremo a tentare gli altri numeri maggiori di n+-1 per trovare le altre ra- dici, o per trovare altri due limiti fra i quali cada un’ altra radice. In tal modo scopriremo o esattamente o per approssimazione tutte le radici reali e positive dell’equazione. Che se vorremo anche quelle negative si porrà nell'equazione proposta — y in luogo di x, e si avrà una trasformata la quale ha per radici reali positive quelle che erano negative nella proposta. Onde trovate in questa col metodo accennato le radici reali positive si avranno in esse le negative della proposta. L’ unica difticoltà incontrasi quando cadono tra un tentativo e l’altro successivo due radici, o un numero pari di radici, perchè in tal caso le due so- stituzioni non danno una il prodotto maggiore di T e l’altra minore ma ambe- due le danno o maggiori o minori, come se nessuna radice vi rimanesse inter- posta. E questa difticoltà è tale che non può superarsi senza ricorrere a trasfor- mate laboriosissime. 21. Questo è il metodo di Budan, al quale mi prendo la libertà di fare piccole variazioni per pormi d’accordo col metodo proposto per l'estrazione dei fattori. Applichiamolo all’equazione 100x5+904x'—373x5— 6682x?+2181x+7686=0 la quale può presentarsi sotto la forma x3+-9,042'—3,7322— 66,822°+21 ,81x+76,86—=0 Quando si pone 0 in luogo di x, abbiamo 0 che deve esser sottratto da — 76,86, e perciò un resto negativo. Posto uno e due in luogo di x, si ha ili 904), — 3a LASA 86 TL A0.04 = _+0-Alo bio], Ai _38.16 2 41 49,04 —3,73 —66,82 +21,81 —76,86 1 -+11,0% 418,35. —30,12 —38,43 0 E poichè il 2 fa seguire esattamente la sottrazione sarà una radice della pro- posta equazione. Provando i numeri 3, 4,5...sì otterrebbero resultati tutti 160 positivi, e sembrerebbe che non vi fossero altre radici reali positive. Pure ve n'è una tra f, e 2 ed ecco come facilmente si può cadere in errore. Per tro- varla proseguiremo la prima operazione come appresso, applicando per le ap- prossimazioni in decimali la regola insegnata (14). E siccome si vede dal se- condo quadro che nel numero —3816000 entra 4 volte il —818600, e gli altri numeri precedenti sono piecoli, potremo risparmiarci i tentativi per 1, 2, 3. PACINOTITI 1,4 - 40,0% = 313" 06382 (er 218IN 6085 1° "10,0%. + 6,31 60,DONTEIS 0 ZII d "II.08, + f1130 AZIO ENTRO 1 -+12/04 +29,39° —13,77 1, 1-10 ADI 1° -+14,04 1 A) 41 —140,%4 +4243 —13770 —818600 —3816000 | 1 144% -+4819,6 +5508,4 —7915664 —6197344 5 1 140,4 -+4243 —13770 —818600 —3816000 1 +145,4 = -+4970 +11080 —763200 0 Dunque un’altra radice è 1,5. Troveremo le radici negative come si è sopra detto mutando i segni ai termini in posto pari, cioè mutando il segno alla «, e poi a tutti i termini dell’equazione, e tentando i numeri nell’ordine naturale. Con 0 si ottiene +76,86, con 1| 1 —9,04 —3573 +66,82 +21,8f +76,86 180040 Sd PRESI 10,80 0 ed è —1 una radice. p) 2 9yoW” Vieesizg 052061328 Goggi asera.86 DT:0k, 1418 0-31,24p0--84,20, UU, i Aa 9,0 8,78 0 --66,82 L92181 47686 1...) — 0400 298501 ICI OO 0 Anche —3 è una radice . Seguitando a tentare il 4, 5, 6, 7, 8, 9 per questi due ultimi numeri si trovano resultati di segno contrario, come quì vedesi $i. 4:'/—9,0%, 18,78, L66890 2840" mesh | —1,04 —12,05 —29,58 —214,83 -+1795,50 9I Ad —9,0% — 9,13" <1-60,82 0, 208100 0 IOIN6 1 —0,04 —4,09 +30,01 -+291,90 —2550,44 onde scorgesi che tra —8, e —9 è l’altra radice della proposta, e perciò pro- SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 161 seguiremo il calcolo come appresso. Qui pure al quadro secondo per abbreviare i tentativi si può notare che nel numero 179550000 il precedente 23408500 entra sette volte; ed attenendoci a tentare anche i cinque decimi abbiamo: 8 Coe 73, RSA N RI SALO | --12,05” ,°— 20098, 4179950 +6,96 +43,63 +319,46 +2340,85 1 1 1 1 +14,96 -+163,31 -+1625,94 L 1 1 -+22,96 +346,99 +30,96 5] 1 +309,6 +34699 +1625940 +23408500 +179550000 1 +314,6 -+36272 +1807300 +32445000 +17325000 1 -4+309,6 +34699 +1625940 +23408500 +179550000 1 -+315,6 -+36592,6 +1845495,6 -+34535673,6 —28664041,4 cioè una radice esiste tra questi numeri, e perciò conviene proseguire la molti- plicazione per 5 decimi. +309,6 -+34699 -+1625940 +23408500 +179550000 +314,6 -+36272 -+1807300 -+32445000 +17325000 +319,6 +37870 -+1996650 -+42428250 +324,60 +39493 +2194115 +329,6 +41141 +334,6 i dn n E siccome nel 1732500000000 entra il 424282500000 quattro volte si proverà 4 centesimi. Alf 43346 +4114100 +2194115000 +424282500000 +1732500000000 1 +3350 +4127500 +2210625000 +-433125000000 0 Dunque l’ultima radice dell'equazione è —8,54; ed abbiamo trovate tutte le radici che poteva avere la proposta, e sono 1,5; 2; —1; —3; —8,54. 22. Dopo tutto quello che ho fin qui detto sull’estrazione dei fattori, il quale forma la parte aritmetica, devo aggiungere ciò che riguarda direttamente l’algebra. Ho dovuto occuparmi ancora di qualche considerazione algebrica, e l’ho fatto all'unico oggetto che si comprendesse la estesissima applicazione che tro- verà la nuova operazione aritmetica da me proposta. Le esposte considerazioni avranno anche in parte fatto intendere come nella scienza dell'algebra influisca la estrazione dei fattori. E poichè eravamo in discorso di equazioni proseguendo Scienze Cosmolog. T. II. 21 162 PACINOTTI dirò che quella operazione ci presenta le equazioni sotto un punto di vista diffe- rente da quello in cui le guardano comunemente i matematici. Infatti suolesi nel- l'equazione x" +-Ax"1+Bx®-+ ... —T=0 considerarsi il secondo membro eguale a zero, e decomponibile il primo membro in m fattori di primo grado binomi, dei quali la prima parte è l’ incognita, e l’altra è una delle radici presa con segno contrario. Quindi si riduce alla forma (x+@)x+b)x+c)...=0, ove a', b', c'... prese con segno contrario sono le m radici dell'equazione. Partendo io dal concetto dell’estrazione de’ fattori pongo l’equazione precedente sotto l'aspetto (X) e9-+Ax®-1+Bx®?+.....=T; cioè trasporto il termine cognito nel secondo membro, e riguardo il primo come il prodotto di m fattori che differiscono fra di loro per le quantità a, b, e... Così ottengo x (r+@(rx+b(r+e)...=T e la radice x dell’equazione mi si presenta come il primo di quei fattori, e perciò ravviso nella soluzione della proposta la estrazione del fattore m esimo dalla quantità T. Ne viene da ciò che se le differenze a, b, c...Ssono tutte positive sa- ranno positive anche le quantità A, B,... T, e non potrà aversi per x che un solo valore positivo e reale, siccome bene ci insegna la estrazione del fattore. Quando tra le quantità A, B,...T ne sono delle negative può esistere più di una radice positiva e reale della proposta, ed in generale quando le differen- zea,b,c...non sono tutte positive. Se prendiamo per radici, o per valori del fattore x anche quelli negativi, e immaginari che sodisfanno alla proposta allora saranno in tutti di numero m come si sa dalle consuete teorie dell’ algebra, e come può aversi dalla seguente induzione ritenuto il nuovo punto di vista sotto il quale riguardiamo le equazioni. Si consideri l'equazione del quarto grado r(r+a(c+br+c)=x'+(1+b+c)x9+(ab+ac+bc)x®*+abex =T Ammesso che i quattro valori dell’incognita sieno x, e', x", x" potremo porre x, e", x" in luogo di x, ed avremo quattro equazioni analoghe sodisfatte. Dalla prima di queste sottratta ciascuna delle altre tre, ottenghiamo tre equazioni analoghe alla seguente e'2'+(a+b+e\x—25)+(ab+ac+bo)a°—x)+abe(r—x)=0 Questa è divisibile per x—', ed eseguita la divisione, e fatto lo stesso sulle altre, si hanno tre equazioni analoghe alle due seguenti ae'+a'r +2" +r+(a+b+0x°+2'r+r2)+(db+ac+cbr+x')+abe—0 ++" re +e" +(a+b+0e°+e"r +2") +(ab+ac+cb)Xx+x")+abe=0 Dalla prima sottratte le altre si ottengono due equazioni pure analoghe alla seguente aa) + (++) i +(b+ac+be)x' —x")=0 SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 163 Questa divisa per x'—x", e fatta la corrispondente operazione sull’altra, si han- no le due equazioni L+a(2'+a")+e+a'r" +e" +(1+b+0)r+(0+0+0('+x")+(ad+ac+bc)=0 L+a(e'+0")+22+2'0" +2" (++) Ka+d+0x'+x")H(abtac+be)=0 Le quali sottratte l’una dall'altra danno ea - x )+a (e a+ a" b(+d+-0 ("x") =0 E finalmente da questa divisa per x"—x" si ottiene r+r'+a "+2" +(0+b+c)=0 cioè possono esistere le quattro radici della proposta, e la lor somma è egnale al coefficiente del secondo termine dell'equazione preso con segno mutato; e nel nostro concetto è eguale alla somma delle differenze tra i fattori prese pure con segno mutato. Questa dimostrazione sebbene particolare rimane generalizzata dall’osservare che qualunque fosse l’ordine dell'equazione purchè si supponga un numero di radici che eguagli quest'ordine si giungerà allo stesso resultato. . Infatti si hanno sempre colle respettive sottrazioni dei polinomi della forma an att paia) + (a? - x 2)+.... +s(e—a') i quali sono divisibili per x—x', e colla divisione si sbassa di un’unità l’ordine del polinomio; e siccome la divisione si farà tante volte quante sono le radici meno una giungeremo ad avere le radici alla prima potenza. Inoltre il resultato deve esser simmetrico per tutti i termini, perciò nell’equazione generale del grado m non può avere che la forma r+x'+x"+...rMD+(a+b+c...+5)=0. 25. Dall’aver posta l'equazione generale sotto la forma amp AxM14+BaM24..+Sre=x(r+0(x+b(x+c)...(x+s)=T e dall'aver veduto (2) lo sviluppo del prodotto che è accennato nel primo membro, si deduce essere A=-a+b+c...+s, B=ab+ac+be,.... ec. Quindi per le note teorie delle equazioni ponendo (X')=ati1— Ag? +BeM5—... +S=0 questa equazione avrà per radici le differenze a, b, c.. s dei fattori nella pro- posta. Scorgesi adunque ‘una rimarcabile relazione tra questa equazione e la proposta. La medesima relazione passa tra questa e l’altra (XK) =aM-2+AgM-54+- Ba... +R=0 e lo stesso può dirsi delle successive equazioni che si deducono annullando il termine cognito, dividendo per l’incognita, e cambiando i segni ai termini in 164 PACINOTTI posto pari. Per esprimer tal relazione che passa tra le une e le altre, mi pare che si potrebbero chiamare la (X,) prima equazione fattorale, la (X,) seconda equazione fattorale, ec. Mentre la (X) è l'equazione propria del fattore. Data una qualunque equazione sarà facile scendere da quella a tale equazione fattorale che si sappia risolvere. Risoluta quella, e trovate le sue ra- dici saranno esse le differenze tra i fattori del primo membro nell’equazione fattorale di ordine superiore. Perciò quest’ equazione dell’ ordine superiore, e tutte le altre fino alla proposta potranno risolversi colla teoria dell’estrazione dei fattori. 24. Il calcolo dei fattori può usarsi anche per ottenere la soluzione alge- brica delle equazioni. L'equazione generale (X) nel nostro concetto ammette che la incognita possa esprimersi (9) con a,,c...8 E premesso (23) che le successive equazioni fattorali hanno la forma indicata, le loro radici si esprimeranno con segno fattorale analogo a quello che indica le radici della proposta, cioè i valori delle differenze @,b,c..s si accenneranno con ove a'd'e'..r' sono le m—2 differenze tra i fattori della prima equazione fatto- rale, o le radici della seconda equazione fattorale. Per conseguenza le radici della proposta saranno a=VT =VT AD CS e OO VES a',b'c' n Potremo ripetere per a',b',c'...r' quello che si è detto di a,b,e..s, e lo stesso anche per le radici delle successive equazioni fattorali, e per conseguenza l’espressione delle radici della proposta, che contiene sole quantità note, sarà Mie Mm CSPIETIOTVIFL Gb: Sme SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 165 Per l'equazione di quinto grado x°+Ax‘+Bx5+Cx°+Dr+E=0 si avrà s3VE SVCE ape yY—D VEE V=B A Che se nell’equazione proposta avremo un coefliciente eguale a zero, ciò sarà indizio, che in quella equazione fattorale; ove il termine cognito rimane eguale a zero, il fattore primo è zero, e perciò gli altri fattori in quella sono le radici della successiva equazione fattorale; e nell'equazione precedente si hanno due x fattori eguali. Così posto nella precedente equazione D=0 avremo fol b___ 5 s=V—E =V—E Ar: 3 0 3@ Ri) 9C 0 V—_C_ i V—B A 5 5 a=V_C=V—C_ a,b V—B A E posta A=0, ovvero B=0, si avrebbero respettivamente i seguenti valori s=V=C_ x=V—=C +V—B 0,A È facile accorgersi che il vantaggio ottenuto per la risoluzione delle equazioni dall’introdurre nel calcolo algebrico il segno fattorale consiste nel riportare la formula delle radici di un’ equazione a quella del grado immedia- tamente inferiore. 25. Quale utile può aversi dal porre nelle formule algebriche invece di x le seguenti quantità? MÈ iL JESESSSIS VE VT a,,C..8 mai V+S VB 166 PACINOTTI Ammesso che si sappia calcolare il segno fattorale come si sa quello radicale, otterremo lo stesso utile che si suole avere quando risoluta l’equazione di secondo grado x:++Ax+B=0 in luogo di x, si pone Si complicherà in ambedue i casi la formula, ma si esprimerà l’incognita con operazioni conosciute da eseguirsi su quantità note. Se dunque troveremo modo di sottoporre ai calcoli algebrici le formule fattorali, potrà dirsi di avere per mezzo di quelle conseguita la soluzione generale delle equazioni. Realmente io credo che per la complicanza delle formule mai sia venuto in capo ad un ma- tematico di sostituire all’incognita la formula delle radici dell'equazione di terzo grado, e molto meno quella delle equazioni di quarto grado prima di avere appurati e semplicizzati i calcoli. Così pure non tornerà vantaggio di usare spesso nei calcoli le formule che esprimono con segni fattorali Je radici delle equazioni de’ gradi superiori al quarto. Onde la tanto desiderata soluzione generale delle equazioni si riduce questione di non grande interesse; molto più che appurati i calcoli ordinariamente alle quantità algebriche si sostitui- scono dei numeri, e la soluzione delle equazioni a coefficienti numerici è da molto tempo conosciuta. Contuttociò per quei casi nei quali può tornar comodo avere una formula che esprima note operazioni con quantità conosciute, mi pare che potranno supplire benissimo le formule fattorali. Anzi queste saranno anche più semplici di quelle radicali, e invece di esprimere nel modo che si è detto di sopra la radice dell'equazione di secondo grado sarà più facile espri- merle con V—B A e Come invece di esprimere con le note formule complicatissime le radici del- l'equazione generale di terzo grado x7:+Ax*+Br+C=0, tornerà meglio espri- merla col segno fattorale, ed essendo x—Ax'+B=0 la prima equazione fat- torale, che dà per radici, o per differenza dei fattori nella proposta A AD Car 2 Sar potremo usare nella formula fattorale, che esprime la radice della proposta, tutte quantità note, ed un solo segno fattorale nel modo seguente Y=C 0 4 SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 167 La qual formula è ben più semplice di quella che esprime la radice dell’ equa- zione di terzo grado con sole quantità radicali, e riproduce quelle sopra indi- cate (24) per i casi in cui sia A, o B eguale a zero. 26. Conviene dunque che ora io faccia conoscere non essere disperata la questione del calcolo algebrico su simboli fattorali, e primieramente mostrerò potersi in un fattorale variare le differenze tra i fattori. Si proponga di moltiplicare o dividere le differenze a,b,e..s tra i fattori. Nel prodotto (X) x(r+ax+b)...(r+s)=T facendo a=T si avrà 2'(c'+aM)(c'+0h)...(x'+sh)=lh"T: cioè si dovrà solo moltiplicare o di- videre il termine noto T per la potenza m di f, e si saranno moltiplicate o di- vise le differenze. Onde potremo porre ap... È ha,tb,....his Si proponga di aumentare o diminuire le differenze. Nel prodotto (X) posto «'+A in luogo di x, ed eseguita la moltiplicazione avremo uno sviluppo o'm A'p'm1 1 B'e'm2L...=T_-Mh+a(h+D)...(h+-5) Ora si sa (23) che questo si riduce e'(a'+ae'+0)..(c'+5)=T_—AR+0Xh+b)...(h+s) ove a'b',...,s' sono radici dell’equazione x,"1—A'x,"?+B'r,Mm—...+S=0 Il problema dipenderà dunque sempre dalla soluzione di un’ equazione di un’ ordine inferiore di un’ unità a quello del fattore proposto. Così per esempio essendoci proposto x(x-+a)=T avremo a risolvere l'equazione x, — (4+24)= e perciò il prodotto cercato sarà x'(x'+a+2%)=T—h(h+a). Come anche essen- doci proposto x(x+@{x+b)=T dovremo risolvere l’ equazione 23 +-(+0+-3H),+((a+M)(6+1)+-Ma+M)+h(6+1))= e perciò chiamate a' bd' le radici di questa, il prodotto cercato sarà x'(e'+ae'+0)=T-hh+a\(h+b) Onde in generale potremo porre Mm di ————_——_—————_—___—ui VT SS .(h+5) ab,c.. s ai, blgl..) 5 27. In secondo luogo proponiamoci che le differenze debbano avere fra di loro un qualche rapporto. 168 PACINOTTI Debbano le differenze stare fra di loro in progressione aritmetica. Co- minceremo da un prodotto di terz’ ordine, perchè in quello di secondo lo sono sempre. Il prodotto x(r+ax+6)=T deve ridursi all’altro 2'(r'+r\x+2m)="T' posto e'+A in luogo di x come si è fatto (26) qui sopra abbiamo 294-(0+-0 +34) +((C+M(0+M+M+M)+M0+M))a" =T_-Hh+aX(h+0) e siccome dovrebbe il prodotto essere x5+3rx'"+2r?x'=T' determineremo il valore di &, e di r colle due equazioni che portano ad una soluzione di equa- zione di secondo grado sr=(0+b+3h) — 2r°—=(a+h)\6+h)+Ma+h)+hb+h). Ben si scorge che questo processo tenuto per i prodotti di ordine superiore al terzo, darebbe più equazioni che incognite. Perciò non può risolversi general- mente il problema proposto, e conviene adattarsi ad avere tre soli fattori che adempiano la condizione richiesta. Questo problema può avvicinare anche di più di quello che si è detto (17) il calcolo dei nostri prodotti a quello delle fa- coltà, e può render molto più semplice la formula di riduzione degli uni alle altre, che abbiamo stabilite. Debbano i due primi fattori essere eguali, cioè debba essere zero la prima differenza. Per quello che si è detto (24) otterremo fatta questa riduzio- ne maggior semplicità nelle formule fattorali. Sostituiremo anche questa volta nel prodotto (X) la quantità ©'+4 in luogo di x ed ottenuta l’ equazione (26) amy Amat... +S' '-T—-hh+a) doc determineremo & in modo che vada a zero il valore di S'; lo che come si sa, ci impegna alla soluzione di un’ equazione del grado m—1. Si vogliano ridurre tutti i fattori eguali, cioè si riducano zero tutte le differenze, che è quanto dire si riduca un fattorale ad un radicale. Si scorge subito come essendo nota la soluzione delle equazioni per mezzo dei radicali fino al quarto grado, potrà la richiesta riduzione aver luogo nei fattorali di se- condo, di terzo, e di quart’ ordine. Si abbia per esempio xa=VT O a Passando dal fattorale all’equazione sua propria, otteniamo xa?+arx—T=0; ma qui sappiamo essere a-—la4|/ie+T 2 Dunque ne viene la regola che un fattorale di second’ordine potrà ridursi ad % SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 169 un radicale dello stess’ ordine purchè si sottragga da quello la metà della diffe- renza, e sì aggiunga sotto il segno radicale il quadrato di questa metà. 28. Le diverse operazioni di calcolo possono accennarsi su fattorali come si fa su radicali, e talvolta anche eseguirsi. Si abbia y=p+VT , dedurremo l'equazione propria del fattore a | (y—pP+ay—p)=T, ovvero yYy+a—2p)=T+pa—p?, cioè y=VT+pa—p? a—2p Di quì potrà dedursi la regola per aggiungere o sottrarre una quantità ad un segno fattorale del second’ ordine. Anche nel fattorale di terz ordine, posto y=p+VT, avremo a,b YP+ (30-+(a+5)) P+ (3p°-+2(1+b]p+ab)y+(p+(c+1)p?+abp—T) =0 convien dunque trovare due quantità, delle quali 3p+(a+) sia la somma, e 3p"+2(a+b)p+ab formi il prodotto; cioè deve risolversi un’ equazione di se- condo grado per aggiungere o sottrarre una quantità ad un fattorale di terz’or- dine. In generale occorre per queste operazioni la risoluzione di un’ equazione dell'ordine immediatamente inferiore all’ indice del fattorale. Se debba farsi la divisione o la moltiplicazione porremo ri ESSE y=pVT ed otterremo y"+p(a+b+c...)y"-1+p?(ab+ac+...)y"-?...=p"T abc... dalla quale equazione rileviamo analogamente a quello che si era veduto (26) sopra me y=Vp"T pa,pb,pe... In questo esempio intenderò compresa anche la moltiplicazione e divisione di fattorali per radicali, e di fattorali per fattorali, poichè non si dovrebbe fare altro che porre nel resultato ottenuto il radicale o il fattorale in luogo di p, e le successive riduzioni non parmi che possono generare difficoltà . 29. Eleviamo a potenza un fattore, o estraggiamone la radice per esempio (VT); porremo VT =y, e rileveremo Y+ay=T, e perciò a a g=T - avT . a Scienze Cosmolog. T. II. 22 170 PACINOTTI Da questo esempio deduciamo esser facile questa operazione, quando la potenza proposta è eguale o maggiore di quella più elevata che si ha nell’equazione pro- pria del fattore. Se sia ad essa minore converrà ricorrere ad altro processo del quale ecco un’ esempio. Sia proposto di elevare a quadrato il fattorale ie VT V—B A ] Posto il medesimo eguale alla radice quadrata di y, avremo yVy+Ay+BVy=T e di quì dedurremo y"+(2B—A?)y+(B*+2AT)y=T", e perciò y=(VTP vr val V—B V—(B?+2AT) A 2B—A? Si voglia VvT faremo VT—y?, e ne verrà y‘+ay—T=0 a a e di qui yyy—V—a(y+V—a)=T cioè y=VT add 0,+V— Dunque coll’estrazione della radice si moltiplica l'ordine del fattore. Parimente essendo proposto l'esempio inverso VyvT a si sommano due indici del fattorale e del radicale. Infatti posto VvT =, abbiamo y+ay=VT a e quadrando y'+2a+a*=T. Da dove rilevasi e viceversa. Lo che può servire talvolta per sbassare l'ordine dei fattorali, 0 per ridurre più fattorali allo stesso ordine. | SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI 171 50. Si voglia ridurre ad un semplice fattorale la quantità VVT, siccome VT =—!b+VI5+T, sarà VVT=V (-1b+VIFT). ab b ab a Quando però non si volesse effettuare la prima estrazione di fattore, porremo y=VT 2=Vy e perciò y+by=T, 2*+az=y. Di quì eliminando y si b a dedurrà 2‘+2a25+(a°+0)2?+abz=T, e per conseguenza Mico } i SSA z=VT =VT a',b',c' Vab V—(a+1) 2a ove a',b',c' sono le radici dell'equazione 2"—2az?+(a?+b)z—ab=0. Onde ve- diamo che anche per estrarre un fattore dall’altro si sommano fra di loro gli indici dei fattorali. 51. Si voglia finalmente veder l’uso de’ radicali nel calcolo differenziale ed integrale, e ci sia richiesto il differenziale di Ue, VT abc... Posta questa quantità eguale ad y, abbiamo y(y+@(y+bXy+c)....=T, e differenziando otterremo dT |——_____ttmrm tm ll. I Y+A(Y+D)..-+YY+D)..YYF+AY+0)..- e quì in luogo di y deve intendersi sostituito il fattorale proposto. Poteva l'equazione anche porsi sotto l'aspetto y+(a+b+c..)}y"-1+(ab+ac...)y"?4+....=T e differenziando si sarebbe ottenuto aT lytci ici de ipirria dd oozio, è myT1+(m-—1)a+b+c...)y"?...+ Cioè il differenziale del fattore è eguale al differenziale del prodotto diviso per la derivata dell'equazione dalla quale proviene il fattore stesso. Questa regola non richiede che si conoscano neppure le differenze tra i fattori, purchè si abbiano i coefficienti di quella equazione. Sia proposto di trovare il diffe- 172 PACINOTTI — SOVRA IL CALCOLO DEI FATTORALI renziale del fattore dell'equazione x‘+Ax"—Bx?+Cr—D=0 siccome la deri- vata è 4x5+3Ax*—2Br+C. Sostituendo in luogo di x il suo valore espresso per segno fattorale avremo d. VD. = MANI Aia Ore I Va VD )+3A(VD )—2BYD +C YES VOE ne e A VB velo A A A E quì applicando alla potenza seconda del fattorale di quest'ordine che è nel denominatore il processo insegnato per l'elevazione a potenza, e considerando che la potenza terza si ha dalla seconda moltiplicata nella prima, otterremo d VD = I ESE pr 2 : ca e, | Qeaa Vo” HYDE S3AV—D —2BVD +C a, ee—a e —__=— re Se, VB VG V—=2BD V—2BD È VC A VB V—B?+2D+2AC—C?. V—B?+2AC+2D—C? VB A 29B+A 2B+A A Ho dato quì un esempio anche di quei fattorali che ho proposti (24) per espri- merci le radici delle equazioni, onde si veda che il calcolo sovra di essi non ammette difficoltà maggiori. Accennerò in ultimo come nell’integrazione si possa togliere l'imbarazzo dei segni fattorali col fare egualmente ritorno alla loro equazione; e mi pro- pongo di integrare la formula CROSS Si ha y"+Ay"'1+By"?+...+Sy=p+qx, e da questa e dalla sua differen- ziale rileveremo Vor SIM 1/ m m_A i i Savita nf (mit) A gray) (rr Agip... 4389?) +00 b q q\m+i m ab,c...8 Comprendo che non sempre potrà ciò farsi, ma rimarrà per lo meno l’espediente di passare dal segno fattorale al segno radicale, per ultimare il calcolo in tutti quei casi in cui si sarebbe potuto ciò fare con i radicali. In generale sembrami con quello che ho fino quì esposto di avere dato tal saggio del calcolo de’ fattorali da farlo comparire eseguibile presso a poco come quello de’ radicali. Non penso già di aver completato il soggetto, ne era questo il mio scopo, vorrei avere ispirato quell’interesse per l'estrazione dei fattori, e per il calcolo de’ fattorali, che può muovere ingegni di maggior po- tenza del mio a sussidiare l’ algebra di questi nuovi mezzi. 232300. Cc en SULLE POLARITÀ GALVANICHE SECONDARIE E SULL’INFLUENZA DEL CALORE NELLA PROPAGAZIONE DELLA CORRENTE ELETTRICA NEI LIQUIDI URAUORIA DI ER. FELICI —— è _— 18 Quando si immergono in un liquido le appendici metalliche che formano i reofori della pila, la corrente che si ottiene nel chiudere del circuito dimi- nuisce a poco a poco sino a che rimane d’ intensità costante. Se dopo quella prima esperienza, stando pur sempre quei reofori alla stessa distanza fra loro ed immersi nel liquido, si apre in un punto qualunque del filo conduttore il circuito, e si chiude di nuovo in modo da escluderne la pila, si ha una corrente minore della prima ma diretta in senso contrario di quella, e che diminuisce rapidamente sino a divenir nulla in breve tempo. Queste due esperienze dimostrano che la corrente passando in un li- quido induce e nutre nei reofori, od electrodi, una polarizzazione opposta a quella della pila; in guisa di che ne risulta una seconda forza elettromotrice che diminuisce la corrente stessa, e che produce una corrente secondaria quando la prima cessa di agire. Tal fatto, scoperto la prima volta dal sig. Mariannini, rimase da lungo tempo privo di una analisi esperimentale, sino a che nell’anno 1845 i signori Lenz e Savveljev stamparono negli Annali del sig. Poggendorf una memoria che porta per titolo sopra la polarizzazione galvanica e la forza elettromotrice della pila, ed alla quale lo stesso sig. Poggendorf fece una nota inserita nel N.° 1 di quel giornale. Nell’anno 1850 di quegli Annali vi è ancora una memoria del sig. Beetz, che verte sullo stesso soggetto della citata, e che riferisce inol- tre alcuni resultati di un lavoro, del sig. Robinson, che non mi sono potuto procurare. 174 SULLE POLARITA SECONDARIE Il punto di vista secondo il quale fu studiata la polarizzazione galvanica, ed il metodo dell’esperienze, costituì sempre un caso più complicato d’assai di quello da me analizzato; ed io volli studiare il fenomeno rendendolo il più semplice che mi fosse possibile, e della maggiore intensità; vale a dire, quando il rapporto fra la intensità della corrente della pila, a quella della corrente ot- tenuta dalla polarità secondaria s’ avvicina maggiormente all'unità. Perciò senza far quì la descrizione dei lavori altrui mi basterà di citarne quando sarà mio debito le conclusioni. 2.° Le cause necessarie o solamente influenti alla produzione del fenomeno sono nel caso nostro, il più semplice, le seguenti. La forza della corrente della pila; la temperatura del liquido; il tempo in cui sta chiuso il circuito della pila per polarizzare gli electrodi, e quello in cui riman chiuso, per aver la corrente generata da detta polarizzazione, esclu- dendone la pila; finalmente il tempo in cui può rimanere aperto il circuito stesso dopo che detta polarità è stata generata. Onde ridurmi a queste sole cause, scelsi per liquido dell’acqua accura- tamente distillata, per electrodi due lamine di platino, preparando l’espe- rienza nel modo che vado a narrare. Presi un tubo cilindrico di vetro, aperto da una estremità, chiuso dall'altra, di 0,04 di diametro e di 0,12 di altezza; esso era tenuto verticale, e la sua estremità superiore era chiusa entrando a pressione in un anello di legno lavorato al tornio, e che portava un coperchio tondo di vetro a superficie orizzontale e piana. Così il bordo dell’ estremità aperta del tubo veniva a premere contro la superficie inferiore piana, ed oriz- zontale, del coperchio di vetro. Le lamine di platino destinate a servire da electrodi, erano in lunghezza di 0",064, ed in larghezza 0”,0165; da que- st'ultima parte ognuna di esse portava saldato ad oro un filo di. platino, il quale entrava in un cannello di vetro, scaldato alla lampada nell’estremità che toccava la lamina. Queste due lamine erano intieramente immerse nel liquido del tubo, senza toccarne le pareti, ed a 0,05 di distanza fra di loro; e rimanevano so- spese entro il cilindro perchè i loro cannellini di vetro passavano a pressione per due fori verticali praticati nel coperchio, in due punti di uno stesso diame- tro, ed equidistanti dal centro del coperchio stesso. In questo centro vi era un terzo foro destinato a lasciar passare il tubo del termometro che ‘dovea misurare le temperature del liquido discendendo lungo l’asse dell’intiero apparecchio. Le due estremità dei fili di platino che uscivano dalle estremità esterne dei tubi delle lamine, ripiegavano in basso, ad arco, tuffandosi in due capsule piene di mercurio che comunicavano coi poli della pila. Scelsi per pila due elementi di Grove accuratamente preparati, come si suole per avere una corrente costante. I termometri che mi servirono furono due. L'uno, da 0° a 55° ed a quinti di grado; l’altro da 0° a 100°. Il primo E SULL’INFLUENZA DEL CALORE EC. 175 di essi, quello la di cui sensibilita mi premeva di più, era il N.° 1 dei due termometri dell’igrometro a condensazione, del Regnault, ed ambidue furono verificati e confrontati fra di loro. Le intensità delle correnti, sia della pila che delle polarità secondarie, erano dedotte dalle deviazioni degli aghi di due galvanometri. 5.° Avendo per oggetto d’esperimentare le polarità degli electrodi, do- vetti disporre l’apparecchio in modo da non avere a misurare contempora- neamente a quelle le polarità secondarie della pila, giacchè pure nella pila ha luogo il medesimo fenomeno che sugli electrodi; vale a dire, la corrente che si ottiene da una pila, anche quando non è impiegata a passare in un liquido, diminuisce rapidamente di intensità dal momento in cui si chiude il circuito per rimanere dopo breve tempo costante. Altre cause però, massime in una pila non ben preparata, possono diminuire l’ intensità della corrente, ma una di esse è sempre la polarità secondaria. Tale diminuzione è più o meno sensi- bile secondo il genere della pila, e la forza della corrente. Il sig. Poggendorf, nella nota che citai, imprese a dimostrare che la polarità secondaria degli electrodi dipende dalla forza della corrente della pila, e tanto più quanto quest’ultima è debole; ma i numeri proporzionali alle polarità . ottenute da quel fisico non variano al più che nel rapporto di 25:28. I signori Beetz e Robinson impresero a dimostrare lo stesso fatto ma, poco più poco meno, colla stessa evidenza numerica. Comunque fosse, potei però persuadermi, avanti di incominciare le mie esperienze, che componendo il circuito della pila, con un solo filo metallico le polarità secondarie e la forza della pila non va- rierebbero sensibilmente quando la resistenza di tale circuito variasse in un lieve rapporto. Perciò disposi il mio apparecchio nel modo seguente. Riunii i poli della pila P primieramente con un solo filo di rame PgABD di un millimetro di diametro e di circa 407,0 di lunghezza, compresovi il filo del galvanometro in g, il quale era destinato ad assicurarmi della invariabi- lità della pila. Questo primo circuito dovea rimanere sempre chiuso durante le esperienze. Posi in E l'apparecchio che ho descritto, e che conteneva il liquido e gli electrodi; e la corrente destinata a passarvi era ottenuta derivando in A ed in B, per un intervallo AB di derivazione, la corrente della pila. Così ACEGB era il circuito derivatore che aveva in G un galvanometro destinato a misurare le polarità secondarie. Ed in C il circuito era interrotto da un com- mutatore il quale poteva, essendo girato ora da un lato ora da un altro, far sì che ECABG fosse il circuito degli electrodi o derivatore, oppure che ECBG fosse il circuito entro cui potesse circolare la corrente dovuta alla sola polariz- zazione degli electrodi stessi; e ciò per mezzo dell’altro filo B GC che riuniva la estremità B dell'intervallo di derivazione, del filo, o circuito derivatore, 176 SULLE POLARITA SECONDARIE degli electrodi, col commutatore C; chiudendo così lo stesso circuito, esclusa ogni corrente derivata dalla pila. Secondo poi l’esperienza che volevo fare, il galvanometro G era posto nel punto G del filo E GB, come è nella figura, oppure in un altro punto del filo CB. Nel primo caso potevo misurare la corrente derivata dalla pila unita a quella della polarizzazione; nel secondo, misurare la sola corrente dovuta alla polarizzazione delle lamine, ma con molta più esattezza che non lo potevo fare nel primo caso. Finalmente, per completare la descrizione dell’apparecchio, dirò che l'estremità del circuito derivatore degli electrodi, A, poteva scorrere lungo il filo o circuito primitivo della pila, accrescendo così o diminuendo l’ intervallo di derivazione AB, onde accrescere o diminuire la corrente derivata. La tempe- ratura del liquido era fatta variare con una lampada ad alcool, o con un mi- scuglio frigorifico. 4.° La lunghezza ridotta del circuito derivatore degli electrodi, essendo nel mio caso infinitamente grande in confronto di quella del circuito primitivo Pg ABD, la forza della corrente della pila non poteva variare sensibilmente cangiando la lunghezza ridotta dell'intervallo di derivazione, e la corrente de- rivata che passava nel liquido doveva esser proporzionale all'intervallo stesso, il quale era piccolissimo, sempre anche in confronto del circuito primitivo. Infatti questo è ciò che si rileva dalle formule B+y b I ET TONI AIA RT 0 TV Lecpriy Ln Wide nelle quali F è la forza della corrente ‘primitiva della pila, F; quella della cor- E SULL’ INFLUENZA DEL CALORE EC. 177 rente derivata, L+-6 la lunghezza ridotta del circuito primitivo Pg ABD, della pila, # la lunghezza ridotta dell’intervallo di derivazione AB, e y la lunghezza ridotta del circuito derivatore ECABG. Avendo y grandissimo relativamente ad L+f, ed anche alla sola £, e £ piccolissimo in confronto ad L, si ha per ‘approssimazione E SK; so Coe Sane arena Tutta la resistenza del circuito derivatore degli electrodi ECABG, o la sua lunghezza ridotta 7; poteva nel mio caso considerarsi proporzionale alla conducibilità del liquido; e ciò a cagione della grande resistenza del liquido stesso in confronto di quella del rimanente del circuito derivatore, composto da pochi metri di filo di rame, opposta al passaggio della corrente. Così le varia- zioni della corrente derivata erano prese proporzionali alle variazioni nella con- ducibilità del liquido apportatevi da un cangiamento di temperatura, quando l'intervallo 6—AB rimaneva costante. Ma però pensai, per poter applicare quest’ultima conclusione alle mie esperienze, di scegliere il galvanometro G, del filo derivatore, di filo corto; e presi il galvanometro che ordinariamente va sunito all’apparecchio del Melloni, per le esperienze sul calorico raggiante, co- struito dal Rumkford. La oscillazione del sistema astatico si compieva in 45"; e per lui la corrente di una sola coppia termo-elettrica, formata da due fili ferro e rame, sovrapposti l’uno all’altro, e scaldati dalla sola mano, era troppo forte. «Il forte valore di y è il genere delle mie esperienze non permettendomi di adoperare il reostata del sig. Wheastone, per misurare le correnti, dovetti pensare a graduare il galvanometro G. E siccome mi conveniva misurare le correnti delle polarità secondarie, dalle deviazioni massime, ossia dai primi im- pulsi dell’ago, giacchè per esse non havvi deviazione fissa, formai una tavola dalla quale dedussi dalle deviazioni massime o dalle fisse i nùmeri proporzionali alle correnti stesse. Per tale graduazione avevo bisogno di un metodo facile e breve, e da potersi impiegare alla fine ed al principio di ogni esperienza per verificare se alcun cangiamento fosse nato nella sensibilità, e quindi nella gra- duazione del galvanometro, onde rettificare i resultati diretti delle esperienze. Tale metodo mi era indicato dalla formula precedente che dà il valore di F; dastava dunque che mi ponessi nel caso di avere un intervallo derivato AB, di una lunghezza ridotta f estremamente piccola in confronto della lunghezza ri- dotta del filo del galvanometro derivatore, non che del circuito derivato, ed allora non avevo che a far variare secondo la serie dei numeri naturali 1, 2, 5, 4,5...ec. l'intervallo AB, e contemporaneamente osservare le deviazioni massima e le fisse dell'ago, scrivendole di fronte ai numeri di detta serie che Scienze Cosmolog. T.. II. 23 178 SULLE POLARITA SECONDARIE erano proporzionali ai respettivi intervalli di derivazione, e quindi proporzionali alle correnti alle quali le dette deviazioni eran dovute. Dovevo però aver cura che il massimo valore dato all'intervallo di derivazione non gli desse una lun- ghezza ridotta paragonabile, ossia in un rapporto sensibile, con quella dell’ in- tiero circuito della pila. Oltre le varie precauzioni, che si adoprano in simili casi, e che qui sarebbe superfluo il descrivere, ebbi cura di mantenere costan- temente nel circuito della pila il galvanometro G, abbastanza sensibile per assicurarmi durante tutte le esperienze, e la graduazione ancora del galvanome- tro G, della invariabilità della corrente che derivavo; e così esperimentalmente assicurarmi che ero in tutte le condizioni volute. Compiuta la descrizione ge- nerale dell'apparecchio passerò a quella delle esperienze. 5.° Le cause principali del fenomeno che presi ad esaminare furono la forza della corrente della pila, e la temperatura del liquido, o, per dir più chiara- mente, la temperatura comune agli electrodi, ed all’electrolite. Ma in 1.° luogo, mi conveniva sapere l'influenza del tempo in cui rimaneva chiuso il cir- cuito della corrente derivata dal circuito della pila, per generare la polarità degli electrodi; corrente che, per brevità, chiamerò primitiva. 2.° L'influenza del tempo in cui stava chiuso il circuito degli electrodi e del galvanometro, esclusa ogni azion della pila, per distruggere la corrente dovuta alle polarità secondarie. 3.° L'influenza del rimanere aperto il circuito dopochè detta pola- rità degli electrodi era stata generata, per menomare detta polarità. 4.° L’in- fluenza di una variazione qualunque nell’intensità della corrente primitiva du- rante la sua azione per polarizzare gli electrodi, abbenchè tanto al principio che alla fine della stessa azione la sua intensità fosse stata costante. 5.° L'influenza analoga che può avervi un cangiamento di temperatura del liquido durante Ja azione della corrente primitiva, coincidendo però le due temperature nel primo tempo e nell’ultima di detta azione. Non intesi di sottoporre a misure esattis- sime tutte queste ultime influenze, ma solamente di conoscerle bastantemente per non cadere in errore nelle successive esperienze. Perciò dirò, per ordine.ma brevemente, che la prima influenza non era sensibile che durante i primi sei © sette minuti, giacchè essa decresce rapidamente al crescere del tempo; e rima- nendo, ben si intende, costante la corrente primitiva, la polarità che ottenevo, tenendo chiuso il circuito di quest'ultima, era la stessa per 7 od 8 minuti che per un giorro intiero della sua azione polarizzante, partendo da una polarità nulla nelle lamine; che se queste erano già polarizzate bastava un tempo d’as- sai minore, per ridurle alla maggior polarità possibile. La seconda influenza, che distraggevala polarità, seguiva benchè in direzione contraria, le stesse leggi della prima. In terzo luogo dirò che il tempo in cui rimaneva aperto il circuito degli electrodi, aveva influenza per diminuire, ma solo lentamente, detta polarità secondaria; e che quello, brevissimo, da me impiegato nelle esperienze per ———— -— E SULL’ INFLUENZA DEL CALORE EC. 179 aprire, col commutatore C, il circuito della corrente primitiva chiudendo quello degli electrodi destinato a far circolare la sola corrente dovuta alla»polarità, non aveva influenza per diminuire tale polarità, quand’anche egli soffriva una sensibile variazione. Finalmente le due ultime influenze, la quarta e la quinta, erano completamente nulle; purchè l’ultima corrente polarizzante, o l’ultima temperatura, durasse, nei casi più sfavorevoli, cioè in grandissime variazioni nella corrente, e nella temperatura del liquido, poco più di un minuto. In quelle prime esperienze il galvanometro G era posto lungo il filo CB; esso rimaneva a zero quando il commutatore C era girato verso A e la corrente dovuta all'intervallo di derivazione AB, polarizzava le lamine. Quando poi il commutatore, girando verso B, chiudeva il circuito C BGE, interrompendo in C il primo circuito derivatore AC EG B, il galvanometro deviava e poi ritornava da se stesso a zero, estinta che fosse la corrente dovuta alla polarità. Allora giravo di nuovo il commutatore verso C, e via dicendo. Le correnti polarizzanti e primitive erano fatte variare, in rapporti noti fra loro, variando l'intervallo di derivazione A B; e la temperatura dell’apparecchio E, ossia del liquido, variavano per mezzo di una lampada ad alcool, o di un miscuglio fri- gorifico, come già abbiamo avvertito. Amo frattanto di fare osservare che i metodi, che qui descrivo, da me adoperati per far variare la intensità di una corrente, sia ad oggetto di graduare un galvanometro, che per altre esperienze, e per studiare le conducibilità, sono più semplici e facili di tutti quelli di già stati proposti dai Fisici. Questi primi risultati cominciano a dimostrare che la polarità secon- daria è uno stato-elettrico degli electrodi che si equilibra ognora colla forza della coîrente che lo induce e mantiene, e colla temperatura o colla conducibilità dell’electrolite, seguendo leggi forse assai complicate, ma il di cui generale andamento cercai di scoprire nel modo seguente. 6.° Tenendo costante la forza della pila, e la temperatura del liquido a 14°, e, come «dissi nel numero precedente, il galvanometro G nel filo C B, variavo la corrente primitiva polarizzante variando l'intervallo di, derivazione AB. Assumevo le intensità delle ‘polarità generate proporzionali alle correnti indicate dal galvanometro stesso al chiudere del circuito C BGE colla sua de- viazione massima, cioè colla deviazione dovuta al primo istante della chiusura di detto circuito. Avevo cura di lasciar assai tempo chiuso il circuito deriva- fpre ACEB, onde la corrente primitiva potesse ottenere tutto, il suo effetto per polarizzare le lamine di platino. I numeri che ottenni ripetendo più volte l’esperienza stessa furono sommamente concordi fra loro; e mi posero in grado di tracciare una curva regolarissima, dalla. quale dedussi la seguente tavola, ove la prima colonna ‘ ‘indica i numeri proporzionali alle correnti primitive polarizzanti, e la seconda 180 SULLE POLARITA SECONDARIE colonna i numeri proporzionali alle intensità delle polarità ottenute, K essendo un coeflicente costante. Correnti Polarità Correnti Polarità primitive secondarie |primitive secondarie paro 1A RL rc e IR 2. 2,8.K | 25 . 20, 0. K ga A 4,6.K | 24. . 20, 4. K 4. 5, 5. K 25. as 20, 8. K 5. MR aan 21, 2. K 6. RA ded EA 21, 6. K pa 9,0.K | 28. . 22, 0. K 8. Î 10,0.K | 29. 99. 5. K 9. 110°" P30" 29. 7. K 10. ds gli gr 25, 0. K 11 | Ag Lal pi coi MI 25, 3. K 12. TA 6 RT 55. 95, 6. K 13. A CI Sl bi 25, 8. K 14 i RE TRI . 24, 0. K 15, Ra LA ef a . 24,2. K 16. 116.5 R 1 dar . 24,5. K Ù7” - 16,9.K | 58 . 24, 4.K 18. NT x ag . 24,5. K 19 si “l’%0 . 24, 6. K 20 DE AT, e VER SARAS VT PNT, 91 0 LE) i N MI RE I dc La precedente tavola ci fa veder chiaramente che la polarità seconda- ria, partendo da una debole corrente, aumenta dapprima rapidamente, ma che a poco a poco, al crescere della corrente primitiva, essa cresce meno rapida- mente sino a raggiungere un’intensità che, nelle esperienze di poca esattezza, può esser considerata costante. La corrente più debole, presa per unità nella prima colonna era capace di dare una deviazione massima di 5° al galvanometro G. Questo caso particolare, dell’acqua distillata, e di correnti gradamente crescenti, fa vedere la grande influenza che possano avere le polarità seconda- rie per diminuire l’effetto della corrente della pila indipendentemente dalla conducibilità del liquido stesso. Senza premunirsi, come ho narrato, contro le variazioni nella forza della pila e della corrente che possano avvenire in forza delle polarità secondarie della pila e degli electrodi, sarebbe tempo perduto quello impiegato nella ricerca dei numeri esattamente proporzionali, nei diversi E SULL’INFLUENZA DEL CALORE EC. 181 casi, alle conducibilità dei liquidi. Perciò le narrate ricerche sulle polarità secondarie mi furono indispensabili per poi procedere a quella della variazione di conducibilità che un liquido soffre per una corrispondente variazione nella sua temperatura; ricerca che ora vado ad esperre, e che nel tempo stesso mi pose in grado di valutare in generale ancora l’influenza della temperatura sulle polarità secondarie. 7.° Il cangiamento di conducibilità che dubitai nell'acqua distillata, ed anche nell'acqua comune, dopo che coll’ebollizione fosse stata privata dei gas che potea contenere disciolti, mi condusse a farla bollire, poco tempo prima di incominciare le esperienze, nello stesso apparecchio E, preparato e disposto come già descrissi. La lasciavo quindi raffreddare un poco, e poi la ricondu- cevo con un miscuglio frigorifico al disotto di 0,0 sino a circa — 9° di tempera- tura nella quale può rimanere, come ben si sa, purchè non sia agitata. A par- tire dal momento in cui cominciava a risalire la colonna del termometro netavo in una tavola a diverse colonne le deviazioni del galvanometro G posto lungo il filo EG B del circuito degli electrodi, e le temperature del liquido. Potevo an. che, facendo cadere dal foro centrale, dell’apparecchio E, un piccolo pezzetto di vetro, determinare l’istantanea formazione del ghiaccio; limitandomi in tal caso a conoscere la conducibilità dell’acqua nel suo passaggio dallo stato liquido allo stato solido alla stessa temperatura di 0,0. Stava, nel principio dell'esperienza, il commutatore C volto verso B, per escludere allora ogni azion della pila; e quando, segnando zero gradi il gal- vanometro G, vedevo nulla la polarità degli electrodi, volgevo il commutatore C da B verso A, derivando così la corrente della pila, e notavo la deviazione mas- sima dell’ago e la temperatura. Dopo circa sette minuti notavo la deviazione fissa del galvanometro stesso, ed un altra volta la temperatura del liquido; quindi tornavo a volgere il commutatore C verso B, chiudendo il circuito EGBC onde distruggere la polarità secondaria, per poi ricominciare di bel nuovo la prima esperienza appena che l’ago del galvanometro mi era tornato a zero. Con questo metodo feci diverse esperienze, per ognuna delle quali estesi da — 3°, a 100° le temperature; e descrissi delle curve le di cui ascisse erano proporzionali alle temperature, e le ordinate alle correnti respettivamente os- servate. Ogni esperienza mi conduceva a tracciare due curve, l’una tolta dalle deviazioni massime, l’altra dalle fisse del galvanometro, e le ordinate della prima eran proporzionali alle conducibilità, e le differenze fra queste e quelle della seconda lo erano alle polarità secondarie. Queste curve furono tracciate nello spazio di molti giorni, e non tutte furono dovute a correnti della stessa intensità, solamente per ognuna di esse la corrente della pila e l’intervallo deri- vato A B rimane costante; ma trovai che tutte le curve relative alle conduci- 182 SULLE POLARITA SECONDARIE bilità erano parallelle, siccome lo erano quelle altre fra di loro, e coincidevano quando le condizioni dell’esperienze a cui erano dovute, coincidevano pure esattamente. Devo però avvertire che le curve tracciate direttamente seguendo i nu- meri dati dalle esperienze, presentavano sempre delle sinuosità o serpeggia- menti, fra i quali poi descriverò le curve, medie, di cui ho parlato. Ma tali serpeggiamenti erano inevitabili in esperienze di tal genere, e d’altronde la differenza fra le ordinate della curva media, alle ordinate avute direttamente dall'esperienza non si elevò mai ad un decimo del valore della. più piccola or- dinata corrispondente alla temperatura 0,0. Ecco una tavola calcolata sulla curva media fra tutte le curve descritte. Per brevità ho creduto di poter sopprimere quei numeri che corrispondono a quei tratti brevi ove il suo andamento è tale che sensibilmente coincide colla linea retta. Per unità di conducibilità ho presa quella corrispondente a 4°,0. Temp. Numeri proporz.! Temp. Numeri proporz. in gradì cent. alle Conducibilità in gradi cent. alle Conducibilità Lao” oloni 100.3, divina Aieiaa 010), Leb osaleo obada LaootimodaBimit ;piodrifg bai oraciunt;* stauiog10h 40169 pigol osa glicb alassefto 201 Ze dlilivbioyibaro al g192ania 76 NES PIPA AO TP). 409490) ni20% sile piifan Diese 41°, 1, 01 ABD. cigiogita, Pop + &radt (96 9. 1, 00 02) agisa ingo gralli» asa B0 5° 1, 00 5509 al silfia. ovshoy Ao Amnolsgiva + 1,00 60°. 2,70 50. 1,01 | 65°. 2,90 14°. , . 1,10 70°. 5, 02 15°. . . 1,72 7BAelT ino, 5, 40 169°. 1, 14 802 at: Mmononnizih 5, 60 17°. 1,16 STI VRANTISCAI 5,95 18°. 1719 Bigia esftericiga 4,25 19°. . 1,2 95... 4, 60 20°. 1,25 | 100. . . 4,95 o Esaminando in generale la tavola precedente; senza voler attribuire una grande autorità a delle piccole differenze numeriche fra i valori della se- conda colonna, si rileva che la conducibilità dell’acqua rimane costante da —9° a circa 7 ed 8 gradi di temperatura; e da quest’ultima temperatura sino a circa 14° ella aumenta, e da 14° ad 80° il suo aumento, sempre a un dipresso, può dirsi proporzionale alla temperatura; da 80° a 100° ella aumenta più ra- pidamente sino a raggiungere un valore quintuplo della sua minima conduci- bilità, che è a 4°. ——————EEE:-<-:AIGRWEWWWWWEEWéW. —____——————t_t E SULL’INFLUENZA DEL CALORE EC. 183 Ma portando maggior attenzione alla tavola stessa se ne deduce che. la conducibilità dell’acqua ha un minimo valore quando la temperatura è quella stessa che è voluta dal massimo di densità; talchè dal massimo di densità discen= dendo sino a — 5° la conducibilità, non che diminuire inveceaumenta di valore; e finalmente dai 4° agli 80° aumenta di valore, ma quest’aumento si fa d’assai più rapido per la temperatura prossima al punto di ebollizione. 7 Tal relazione fra la densità la temperatura e la conducibilità per l’elet- trico dell’acqua distillata, condurrebbero a credere che quest’ultima si potesse esprimere in funzione delle altre due, vale a dire che la conducibilità dipen- desse dalla temperatura e dalla densità del liquido; non solo, ma che detta con- ducibilità diminuisse al crescere della densità del liquido, ed aumentasse in- sieme alla temperatura. Seguendo tale idea si spiegherebbero, sino ad un certo punto, i resultati dell’esperienza consegnati nella tavola precedente, cioè direm- mo, che da 4° discendendo verso 0° la diminuzione di densità nell’acqua cagio- nerebbe un aumento tale di conducibilità, che compenserebbe quasi esattamente la diminuzione di conducibilità avvenuta per un abbassamento di temperatura; e che da 4° a 100° la conducibilità aumenta più rapidamente di una linea ret- ta, nelle sue ordinate, giacchè le due cagioni da cui essa dipende concorrono nel medesimo senso. Del resto rimarrà facile il comprendere il perchè non vari nel nostro caso la conducibilità proporzionalmente alla temperatura, pensando che la densità dell’acqua non è una funzione così semplice della temperatura stessa; nel mercurio soltanto tale semplice proporzionalità esiste, e delle espe- rienze pochi anni sono fatte dal sig. E. Becquerel stabilirebbero in questo ulti- mo caso, fra 0° e 100 centigradi, un esatta proporzionalità fra le conducibilità e le temperature corrispondenti. Qui devo avvertire che, durante tutte le esperienze narrate, mi sono ben guardato dal notare deviazioni del galvanometro e. temperature, mentre l'apparecchio era soggetto a delle variazioni brusche di calore, ed era agitato dalle correnti che si possono formare in un liquido inegualmente riscaldato. ‘Levavo il miscuglio frigorifico quando ero a circa —9° e poi lasciavo che tutto «tornasse da per se alla temperatura dell’ambiente; dopo riscaldavo con una lampada ad alcool, ma lentamente, e tenendo la lampada a qualche distanza dal tubo che conteneva il liquido; e quando ero giunto ad una temperatura superiore a quella che volevo ottenere; levavo la lampada e non prendevo i dati dell’esperienza che allorquando era lentissima la diminuzione di temperatura. Un fatto che, guardato sotto un punto di vista teorico, mi pare sia de- gno di osservazione è il seguente. A zero gradi la conducibilità non è nulla, essa è, come vedemmo, sensibilmente la stessa che a 49,041, quindi la corrente è tanto più forte quanto maggiore è la forza della pila; la temperatura rima= « nendo la stessa; ma se agitando bruscamente il liquido, 0 gettandovi un piccolo 154 SULLE POLARITA SECONDARIE \ pezzetto di vetro, si determina rapidamente la congelazione dell’acqua, allora I * colla stessa rapidità la conducibilità diventa nulla, e l'ago del galvanometro ritorna a zero nel modo sfesso in cui vi ritorna all’aprire del circuito galvanico. In quest’ultimo caso particolare la conducibilità non è cessata gradatamente in forza di una diminuzione di temperatura, nè di densità, ma bensì pel cangia- mento molecolare avvenuto nel passaggio dallo stato liquido allo stato solido; e probabilmente per perduta mobilità delle particelle, che prima servivano alla trasmissione del fluido elettrico dall’uno all’altro electrode. Di un cangiamento nella conducibilità di un corpo cagionato da una diversa costituzione moleco- lare, o tempra del corpo conduttore stesso abbiamo altri esempi, abbenchè poco studiati, in fisica; ma non già nel caso di un liquido, ne con tanta evi- denza, passando senza gradazione alcuna, da un valore finito, 0 considerevole, allo zero. 8.° Del resto, il primo a scoprire l'influenza del calore sulla conduci- bilità fu il Mariannini, molti anni sono; ma in allora la teoria del galvanometro e della pila era troppo poco avanzata per poter fare delle esperienze di misu- ra. Delle ricerche del sig. E. Becquerel pubblicate per estratto nei rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Parigi il 9 Maggio 1846, danno essere pro- porzionale alla temperatura i’ aumento nella facoltà conduttrice dei liquidi. Il lavoro del sig. Becquerel si estese massimamente nella determinazione dei rapporti fra le diverse conducibilità dei corpi sia liquidi che solidi, ma non trattò il caso particolare da me qui esaminato, e procedè con un metodo inlie- ramente diverso dal mio, credendo di poter fare a meno di tener conto delle polarità secondarie, nel caso dei liquidi; eppure quelle polarità sono consi- derabili anche per delle soluzioni acide e saline. Io non mi sono occupato di tali rapporti; ma pensando alle ditlicoltà che in molti casi si possono incon- trare, per dover tener conto della influenza delle quantità di masse di diversi corpi posti nel circuito galvanico per trovare le loro conducibilità, o le loro lunghezze ridotte, ossia le resistenze, massime nel caso dei liquidi, credo che possa tornar utile il riferire qui l’enunciato di un teorema che trovai col mezzo del calcolo; ed è il seguente. sn «La lunghezza ridotta di una sfera omogenea e conduttrice qualunque, « non dipende che dal rapporto fra la distanza dei reofori della pila al diametro « della sfera, quando i reofori gli sono applicati alla superficie. Perciò i rap- « porti fra le lunghezze ridotte di varie sfere, saranno uguali ai rapporti fra le « loro varie conducibilità quando, p. e., quelle lunghezze ridotte saranno state « ricavate dall’ esperienza tenendo i reofori alle estremità di un diametro per « ognuna di esse, qualunque sieno i rapporti fra i diametri stessi » . Questo, teorema non è stato da me verificato coll’esperienza, ne il cal- colo che mi ci ha condotto può esser qui riferito. Esso parte dalle equazioni E SULL’INFLUENZA DEL CALORE EC. 185 differenziali della teoria dell’equilibrio dinamico dell’ elettricità della pila, e potrà trovarsi nel venturo numero (Agosto) del Giornale di Scienze Fisiche e Mate- matiche pubblicato in Roma, sotto la direzione del chiarissimo Prof. Tortolini. Ma per dar fine a questo breve lavoro ritorniamo alle polarità seconda- rie, onde esporre quello che mi resta a dire su tale soggetto. 9.° Dissi che la esperienza precedente, sulla conducibilità, mi poneva ancora in grado di giudicare sull’influenza della temperatura, nella polarità secondaria. In fatti ogni deviazione fissa del galvanometro, rimarcata in quella esperienza, mi rappresentava una corrente che era la differenza fra la corrente dovuta a quella data temperatura e la corrente in senso contrario dovuta alla polarità a quella stessa temperatura; la forza della pila e l'intervallo derivato A B rima- nendo invariabile. Siccome potevo avere facilmente tali correnti, deducendole dalle massime e dalle fisse deviazioni, descrissi la curva media fra molte altre che ottenni assumendo per ascisse le temperature # e per ordinate le polarità P rispettive; e col mezzo di detta curva potei facilmente calcolare la formula se- guente, che la può rappresentare, contentandoci di una prima approssimazione. P=0,7+0,02: avendo preso per unità la corrente polarizzante alla temperatura di zero. Ma la formula precedente non ci dà il diritto di concludere che le po- larità secondarie galvaniche crescono proporzionalmente alle temperature, giac- chè essa non è che il resultato di un esperienza nella quale insieme alle tem- perature crescevano le correnti primitive che polarizzavano le lamine. Per poter osservare il senso secondo cui agisce la temperatura per accrescere o diminuire detta polarità indipendentemente dalla variazione che essa cagiona nella cor- rente primitiva, alterando la conducibilità del liquido, feci variare le correnti primitive o polarizzanti variando l’intervallo A B di derivazione, e mantenendo la temperatura del liquido costantemente uguale a quello dell'ambiente. Il gal- vanometro G rimane allora lungo il filo EG B, e, col solito metodo dianzi de- scritto, per ogni data forza della corrente primitiva osservavo la deviazione massima e la fissa del galvanometro. Se la temperatura non avesse avuta che una azione indiretta sulla polarità è chiaro che alle stesse deviazioni massime, otte- nute facendo variare la corrente primitiva in forza di una variazione di tempe- ratura, oppure in forza di una variazione nell’intervallo A B, la. temperatura rimanendo costante, avrebbero dovuto nei due casi corrispondere le stesse de- viazioni fisse; ma ciò non si avverò, e trovai delle deviazioni fisse maggiori in quest’ultima esperienza, e corrispondenti alle stesse deviazioni massime, ove era la temperatura costante, che nella seconda; dal che dovetti concludere che l'innalzamento di temperatura aumentava le polarità secondarie, indipendente- mente dall'aumento di polarità che poteva avvenire in forza di un aumento nella Scienze Cosmolog. T. II. 24 186 SULLE POLARITA SECONDARIE corrente primitiva che era trasmessa nel liquido. La poca ampiezza delle devia- zioni fisse ottenute nei due casi, e la poca, abbenchè sensibile, loro differenza, mi vieta di riportar qui dei numeri, che ottenni per valutare la differenza stessa alle differenti temperature, perchè non potrei garantirne l’esattezza che entro larghi limiti e non aggiungerebbero quindi niente di più a quanto ho detto su questo proposito. Il sig. Beetz ebbe un risultato quasi affatto opposto al mio; cioè trovò che la polarizzazione non diminuiva considerabilmente coll’aumentare della temperatu- ra. La descrizione che quel Fisico fece delle sue esperienze non mi pose in grado di confrontarle colle mie onde spiegare una tal differenza di resultati. Ma mi limiterò ad avvertire che se con una lampada ad alcool si riscalda il liquido degli electrodi, in forza delle correnti che all'istante si svegliano nel recipiente, del cangiamento di conducibilità, e di tutto il resto che può avvenire in tal caso, se massime si tratta di una soluzione acida o salina, l’ago del galvano- metro aumenterà per lo più di deviazione nel primo tempo della esperienza. 10.° I signori Lenz e Saweljew annunziarono, fra i resultati delle loro ri- cerche sulla polarità, che la causa delle polarità stesse era nei gas che risulta- vano dalla decomposizione del liquido e che rimanevano aderenti alle lamine di platino. Questa infatti è l’opinione generale dei Fisici, emessa, credo per la prima volta, dal De la Rive. Un esperienza semplicissima può provare che in questo fenomeno si riproduce il fatto scoperto molti anni sono, dal prof. Mat- teucci, che consiste nella corrente generata da due lamine di platino immerse nell’acqua quando sono state primitivamente tenute nel gas idrogeno l’una, e l’altra nell’ossigene. Quest’esperienza consiste nel polarizzare prima le lamine nell’acqua con una data corrente, e poi, levando l’acqua in cui sono immerse, tuffarle nel mercurio, o dove quei due gas non trovano elementi con cui combi- narsi, chiudendo il circuito senza la pila. In questo caso non vi è corrente alcuna, secondaria; ma se togliendole dal mercurio si adopera altra acqua, pura od acidulata che sia, allora si manifesta, colla solita corrente, Ja polarità che prima era allo stato latente. Gioverà nell'esperienza precedente di riscaldare sino all’ebullizione colla lampada il liquido ove devono le lamine polarizzarsi, perchè così si aumenterà la polarizzazione in forza dell'aumento di conducibi- lità, e quindi della corrente polarizzante; e perchè poi tolte che sieno dette lamine dal primo liquido, si evaporerà di questo prontamente lo strato che potrà esser rimasto aderente alle lamine. Così alla fine della esperienza le conclusioni rimarranno più chiare e tanto più se si rifletterà; che all’acqua distillata sosti- tuendo il mercurio si viene a togliere dal circuito del galvanometro una enorme resistenza al passaggio della corrente; e che quindi il più piccolo effetto dovuto alla polarità, quando le lamine si trovano nel secondo liquido, non potrebbe mancare di esser sensibile dando una deviazione grande all’ago del galvanometro. —cccs 37}jo ceco » SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITÀ NELLA COMBINAZIONE DEGLI ACIDI COLLE BASI RIGBRENS BSPERIUBNEALI DEL PROF. C. MATTEUCCI Ie In due Memorie successivamente pubblicate nel Cimento e tradotte negli Annales de Chimie et Physique Tom. X. p. 68, e Tom. XVI. p. 257, mi sono occupato di studiare lo sviluppo dell'elettricità per azione chimica; e da un gran numero di esperienze in quelle memorie descritte e dall’esame di quelle tentate dai Fisici che mi hanno preceduto in questo studio, fui condotto alle seguenti conclusioni. 1. Nella pila elementare e quindi nella pila formata di varie coppie riu- nite, i segni di tensione elettrica che mostrano i due elementi estremi o i poli della pila prima della chiusura del circuito, e l’intensità e la direzione della corrente a circuito chiuso, variano secondo il grado dell’affinità chimica. col quale l’uno o i due metalli della coppia tendono a scomporre il conduttore liquido interposto, e a combinarsi respettivamente colle due molecole elemen- tari di cui quel liquido è composto, e secondo il senso nel quale si polarizzano o si dispongono quelle due molecole sotto l’influenza degli stati elettrici indotti dall'azione chimica nei due metalli della coppia. 2. Non vi è sviluppo sensibile di corrente elettrica nè segno di tensione nel caso della combinazione di un metallo con un metalloide. 5. I metalloidi cloro, bromo, jodio, ossigene dell’acido nitrico o di certi perossidi metallici, aumentano i segni di tensione e l’intensità della corrente elettrica; allorchè per la loro affinità tendono a combinarsi o si combinano con 188 MATTEUCCI quello degli elementi del conduttore liquido interposto che rimane libero in seguito all’azione chimica più forte esercitata dal metallo positivo della pila sull’altro elemento di questo stesso conduttore liquido. Sono queste le conclusioni che io dedussi rigorosamente da un gran nu- mero di esperienze, della verità delle quali mi sono di nuovo e più volte assi- curato. E senza avere oggi in animo di riprodurle, mi limito a poche osservazioni sopra alcuni casi di combinazione chimica tra due molecole elementari, dai quali si è creduto dedurre conclusioni contrarie a quelle riferite. Il sig. Becquerel in una memoria sulla teoria elettro-chimica pubblicata negli Annales de Chimie et Physique (Septembre 1849), dopo avere esposto una lunga serie di obbiezioni alla teoria elettro-chimica di Berzelius, cerca di pro- vare come io abbia interpretato ingiustamente le mie esperienze e dedotto da esse conseguenze contrarie alla sua opinione, che cioè non vi è mai caso di combinazione chimica senza sviluppo di elettricità . In tutte quelle azioni chimiche nelle quali non si può sperimentalmente dimostrare lo sviluppo di elettricità, il sig. Becquerel ricorre ad un principio di elettro-chimica, che di certo non fu mai dimostrato direttamente dall’ espe- rienza. Consiste questo principio nel dire, che le due elettricità sviluppate in certi casi di azione chimica, si ricombinano per la maggior parte nei punti stessi di contatto del metallo e dell’acido in cui quest’azione si produce. Per citare un esempio ricorderò quello dell’azione chimica dell'acido nitrico sul rame, nel quale non si riscontra un sensibile sviluppo di elettricità e tale da essere sog- getto alla legge generale degli equivalenti elettro-chimici. Una coppia formata con una lamina di zinco immersa in una soluzione concentrata di solfato di zin- co, e di una di rame in contatto dell’acido nitrico dal quale è fortemente at- taccata, produce una corrente costantemente diretta dallo zinco al rame nel liquido, e se si forma una pila di un certo numero di queste coppie e se si usa quella soluzione di solfato coll’aggiunta d’acido solforico, se ne ottiene una corrente la cui azione elettro-chimica è equivalente alla quantità dello zinco ossidato in ogni coppia. Il sig. Becquerel spiega questo fatto col detto principio della ricomposi- zione delle due elettricità sviluppate nei punti di contatto fra l'acido e il me- tallo, dovuta alla buona conducibilità dell’acido nitrico, ed alla sua facile de- composizione elettro-chimica. Contro la quale interpretazione importa notare; 1. Non esservi alcuna esperienza che dimostri direttamente la verità del supposto principio. 2. Che l’acido nitrico per se solo, e indipendentemente dall'acqua che vi è SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 189 combinata, è tutt’altro che un corpo dotato di una facile decomposizione elettro- chimica. Ed infatti si vedrà nel seguito di questa memoria che i prodotti della decomposizione elettro-chimica dell’acido nitrico sono gli stessi dell’acqua che vi è combinata o dei prodotti secondarj e che l’acido nitrico preso nel maggior grado di concentrazione conduce la corrente elettrica meno bene del- l’acido diluito. ©. Che la corrente ottenuta nelle esperienze citate, e in cui si usa il rame nell’acido nitrico ed in altre analoghe, è dovuta alla sola ossidazione dello zin- co, come lo dimostra la quantità dell’ azione elettro-chimica ottenuta. 4. Non esservi finalmente alcuna ragione perchè il principio ammesso dal sig. Becquerel per spiegarsi come non vi è sviluppo di elettricità nel caso del rame immerso nell’acido nitrico, non dovesse egualmente verificarsi pel caso dello zinco immerso nell’acido idroclorico, o in ogni altro liquido tanto buon conduttore quanto l’acido nitrico. Diremo inoltre non potersi i suddetti effetti attribuire, come suppone il sig. Becquerel, alle correnti elettriche sviluppate nel contatto dei liquidi di na- tura diversa. Ho costruito cogli stessi recipienti di vetro e di porcellana della pila di Grove, una pila di sei elementi; ognuno dei quali era composto di un arco di lamina di platino, le cui estremità pescavano in due liquidi diversi, cioè in una soluzione satura di solfato di zinco neutra o quasi neutra e nell’acido nitrico concentrato. Da questa pila ottenevo una corrente diretta dal solfato di zinco all’acido nitrico nella pila stessa, la quale fatta passare attraverso al liquido del. voltai- metro, produceva una debolissima, ma pur sensibile decomposizione chimica. Ho messo una lastra di rame nel recipiente dell’acido nitrico, lasciando il plati- no nel solfato di zinco, e dalle stesse sei coppie così formate e riunite in pila, ebbi una corrente diretta in senso contrario a quella prima trovata, ma però più debole, e dalla quale non potei ottenere un’ azione elettro-chimica sensibile. Versando acido solforico diluito invece dell’acido nitrico in contatto del rame, si ha una corrente diretta come prima dal rame al platino nella pila, ma però più forte, e capace di decomposizione elettro-chimica sensibile. Finalmente ho confrontato l’azione elettro-chimica di questi sei elementi usando zinco e plati- no in un caso, e zinco e rame in un altro, lo zinco essendo sempre immerso nella soluzione acida di solfato, e il platino o il rame nell’acido nitrico. In due esperienze fatte colla pila di zinco e platino ebbi in quattro minuti in una 54 ce. di miscuglio gassoso nel voltaimetro, e 57 cc. nell’altra. Colla pila zinco e rame, e nello stesso tempo, ebbi ora 24 cc. ora 25 cc. di miscuglio gassoso. La la- mina di rame era violentemente disciolta dall’acido nitrico. In tutti i casi la quantità di acqua decomposta si trovò equivalente al peso dello zinco ossidato. D'altronde risulta dalle esperienze già citate che le correnti elettriche svilup- 190 MATTEUCCI pate nel contatto dei due suddetti liquidi non sono mai tanto forti da produrre un’ azione elettro-chimica sensibile e comparabile a quella dovuta all’ossida- zione di un metallo immerso nella soluzione acquosa di acido solforico. Il mi- nore effetto della pila formata col rame immerso nell’acido nitrico, deve attri- buirsi all’affinità minore che in questo caso si esercita dal liquido in contatto della lastra di rame sull’idrogene dell’acqua scomposta dallo zinco . Considerazioni analoghe alle già riferite sono fatte dal sig. Becquerel alle altre mie esperienze, colle quali ho dimostrato che non vi è accrescimento di corrente elettrica di una pila allorchè col cloro, coll’jodio, o col bromo si agisce sul metallo positivo di essa. Allorquando quei metalloidi sono aggiunti ad un liquido traversato da una corrente, si trova che ne accrescono la conducibilità, e che quindi danno un aumento di corrente se sono posti in contatto di quel polo su cui si sviluppa l’idrogene. Così pure avviene, aggiungendo i suddetti me- talloidi al liquido di una pila, e confrontando i diversi casi, cioè quello del jodio aggiunto al liquido solo dello zinco o a quello solo in cui pesca il platino, o in tutti due, si trova che la corrente più debole è sempre la prima, e che la più forte è la seconda. L'aggiunta di questi metalloidi nel liquido in cui è immerso il metallo positivo della coppia, indebolisce la corrente del metallo stesso per lo sviluppo di elettricità che avviene in direzione contraria nel contatto dei due liquidi. Per poco però che sia forte l’azione chimica che ossida il metallo posi- tivo della coppia, la corrente rimane sempre nello stesso senso, cioè diretta dal metallo ossidato all’altro nel liquido, qualunque sia il metalloide che è disciolto nell’acqua in contatto del primo. Ho costruito alcune pile versando una solu- zione di cloro a cui era stata aggiunta una certa quantità di acido idroclorico in contatto collo zinco ed altre usando una soluzione di acido idroclorico puro. La quantità di acqua decomposta da queste pile fu in tutti i casi trovata sensibil- mente la stessa, ma però equivalente a quella dello zinco ossidato nella pila, nel solo caso della soluzione di acido idroclorico. È noto d’altronde che si possono usare in contatto al liquido positivo della coppia le soluzioni concentrate di cloro, jodio, bromo e tali da disciogliere delle quantità abbondanti di rame, stagno, mercurio ec. senza mai ottenere una corrente elettrica capace di un’ azione elettro-chimica sensibile, e comparabile a quella che si dovrebbe otte- nere secondo la legge degli equivalenti elettro-chimici . Ripetendo e variando le esperienze di Davy sulla combustione del carbonio, del ferro e di altri metalli nel gas ossigene, non ho mai trovato segni di elettri- cità sensibile al condensatore. Questo risultato negativo sembra naturalissimo al sig. Becquerel perchè egli dice non esservi mai sviluppo di elettricità allorquando l’ossigene, corpo cattivo conduttore, si combina con un corpo qualunque fuori della presenza dell'acqua. Questo principio non è certamente dimostrato da alcun altro fatto all'infuori di quello stesso che si vuole spiegare invocando il principio me» cele alla iui SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 191 desimo. D'altronde ho provato con un grande numero di esperienze che si ot- tiene lo sviluppo dell’elettricità dalla combustione del carbone nell'esperienza di Pouillet, qualunque sia il modo con cui la corrente d’aria è soffiata sul car- bone, e non essendo per conseguenza necessario, come si supponeva prima, di togliere l’acido carbonico dal contatto del carbone per impedire la supposta ricomposizione immediata delle due elettricità. Finalmente ho spiegato lo sviluppo dell’elettricità nella combustione del- l'idrogene in contatto della spirale o del nero di platino, mostrando coll’espe- rienza essere analogo questo caso a quello che io trovai, sono già tanti anni, di elettricità svolta immergendo in un liquido conduttore due lamine di platino una delle quali è stata od è tuttora ‘in contatto del gas idrogene, e l’altra in contatto dell’ossigene. Questa mia interpretazione del modo con cui avviene lo sviluppo dell’ elet- tricità nell'esperienza della combustione dell’idrogene, è ammessa dallo stesso sig. Becquerel. Riassumendo tutte le considerazioni e le esperienze surriferite, si dee concludere conformemente alle conseguenze che ho già esposte al principio di questa memoria. 1.° Non essere dall’esperienza dimostrato ed anzi venire con- tradetto dalla medesima, che vi sia sviluppo di elettricità nella combinazione di due molecole elementari. 2.° Che questo sviluppo si manifesta sempre nel caso in cui il liquido che è in contatto dei due metalli della coppia, si trova com- posto di due elementi, i quali sono dall’affinità chimica dei metalli stessi sepa- rati in due direzioni contrarie e in quantità equivalenti tra loro. Questi principj di elettro-chimica che ho dedotti dall’esperienza, dipen- dono necessariamente dalla relazione dimostrata dalle celebri ricerche di Faraday fra la conducibilità dei liquidi, la loro chimica composizione, e Ie condizioni generali dello sviluppo della elettricità per azione chimica. Indipendente però dai suddetti principj, rimane sempre il caso dell’elet- tricità sviluppata nella combinazione degli acidi colle basi. Questo fatto messo in tutta l'evidenza dalla celebre esperienza del sig. Becquerel della pila for- mata con potassa ed acido nitrico, merita per conseguenza uno studio parti- colare, tanto più che le ricerche fin qui fatte sul medesimo non furono sufli- centemente estese e variate. A meglio condursi nelle medesime, ho stimato conveniente di premettere lo studio della conducibilità e della decomposizione elettro-chimica degli acidi e delle soluzioni alcaline adoperate per provare lo sviluppo della elettricità nella pila di Becquerel. Il metodo seguìto in queste ricerche è quello stesso da me già adoperato altre volte, consistente nel fare passare la corrente intiera in un voltaimetro e indi divisa in due altri voltaimetri perfettamente simili. Tanto nel voltaimetro (A) 192 MATTEUCCI in cui la corrente passa intiera, quanto in uno degli altri due (a), vi è una so- luzione di acido solforico alla densità di 1,192. Nell’altro voltaimetro (6) è messo il corpo di cui vuolsi determinare la conducibilità rispetto a quella della soluzione di acido solforico: questa conducibilità è data dalla differenza dei pro- dotti che si ottengono nel voltaimetro (A) e nell’altro (a). La pila costantemente adoperata in queste esperienze si componeva di dieci coppie di Grove. Ecco i risultati ottenuti nelle esperienze sopra l’acido solforico, prendendo per unità la conducibilità di questo acido allorchè la sua densità è 1,192. DENSITÀ DELL'ACIDO SOLFORICO CONDUCIBILITÀ 1,050 0,501 1,066 1,100 1,145 1,192 1,259 1,540 1,584 1,482 1,667 Risulta da questo quadro come la conducibilità dell’acido solforico abbia un massimo secondo la diversa quantità di acqua che gli è unita, di modo che l’acido solforico molto concentrato conduce la corrente elettrica meno bene del- l’acido solforico a cui è unita una certa quantità di acqua. Questo fatto, che è già conosciuto da lungo tempo per le esperienze del sig. De la Rive, oggi da me confermato, trovai che si verificava per l’acido nitrico e l’ idroclorico. Operando sull’acido nitrico diluito, ho trovato che sino alla densità di 1,076 la quantità di gas idrogene che da esso si otteneva, era la stessa di quella che si sarebbe trovata facendo passare la medesima corrente nell’acido solforico diluito: in questo caso è certamente la sola acqua dell’acido nitrico che rimane decomposta dalla corrente. A misura che aumenta la densità dell’acido nitrico, la quantità dell’idro- gene sviluppato al polo negativo diminuisce rispetto a quella che si otterrebbe in una soluzione di acido solforico, e ciò per la combinazione dell’idrogene coll’ossigene dell'acido nitrico, e per la formazione dell’acido iponitrico. Nel- l'acido nitrico alla densità di 1,515 non vi è più sviluppo sensibile di idro- gene al polo negativo, e merita di essere notato come questo sviluppo si mostri SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 193 per soli pochi secondi dopo la chiusura del circuito e indi cessi improvvisa- mente. Raccogliendo il gas ossigene svolto al polo positivo nell’acido nitrico, si trova che la sua quantità diminuisce a misura che cresce la densità dell’acido. Così nell’acido nitrico avente 1,452 di densità, l’ossigene non è più che la metà di quello che si otterrebbe dalla soluzione di acido solforico. A misura che diminuisce la densità dell’acido nitrico aumenta la quantità dell’ossigene sino a divenire uguale a quella che si ottiene nella soluzione di acido solforico. Non credo inutile di notare che usando acido nitrico diluito in uno dei voltaimetri e acido solforico a 1,162 nell’ altro voltaimetro, si trova la quantità di ossigene sviluppato al polo positivo nel primo liquido maggiore di quella ottenuta nella soluzione di acido solforico. Questo fatto si verifica sempre usando le soluzioni di acido nitrico che hanno da 1,076 a 1,162 di densità. Il rapporto fra l’ossigene così ottenuto nelle soluzioni di acido nitrico e quello che si ha nell’acido solforico, giunge in qualche caso sino ad essere di;dPiapl. Questa differenza è dovuta alla soluzione di acido solforico nella quale, come già lo aveva veduto Faraday, avviene, specialmente in certe disposizioni di voltaimetro, che la quantità dell’ossigene svolto al polo positivo è alcun poco minore della metà dell’idrogene ottenuto all’altro polo. L’acido nitrico a diverse densità presenta, come l'acido solforico, un mas- simo di conducibilità. Così l'acido nitrico che ha 5,115 di densità conduce la corrente meglio dell’acido che ha una densità maggiore. L’acido nitrico differisce dall’acido solforico nell'avere il primo, preso alla sua maggiore den- sità una conducibilità migliore di quella che ha alla densità di 1,10 o meno. La soluzione di acido nitrico avente 1,076 ha la stessa conducibilità che ha l'acido solforico al suo massimo, cioè a 1,192. Anche l’acido idroclorico presenta un massimo di conducibilità: da 1,076 sino a 1,114 di densità la conducibilità aumenta. Seguitando a crescere di densità la conducibilità diminuisce di modo che l’acido idroclorico a 1,186 conduce meno bene dell’acido più diluito. Nell’ unito quadro sono riportate le conducibilità dell’acido idroclorico a diverse densità prendendo per unità la conducibilità dell’ acido solforico al suo massimo ("). (*) Ho creduto di dovere riferire per intiero le esperienze fatte sulla conducibilità dell'acido idroclorico, avendo nell’estratto di queste ricerche pubblicato nei Comptes Rendues, 51 Decembre 1849, esposto alcuni risultati ottenuti sperimentando con acido idroclorico che non era perfettamente puro. Scienze Cosmolog. T. II. 25 194 MATTEUCCI DENSITÀ DELL'ACIDO IDROCLORICO CONDUCIEILITÀ In tutte le esperienze sull’acido idroclorico fu sempre raccolto e misurato il solo gas idrogene. Usando le soluzioni di acido ossalico e fosforico, ho trovato che la loro conducibilità aumenta, ma però debolmente colla densità della loro soluzione. Questi due acidi danno all'acqua in cui sono disciolti una conducibilità molto minore di quella prodotta dagli altri acidi sunnominati. Una soluzione d’acido fosforico a 1,115 di densità, ha una conducibilità uguale a quella dell’acido solforico non avente che 1,021 di densità: le quantità di acido secco disciolte in queste due soluzioni sotto lo stesso volume, sono però molto diverse fra loro, e quella dell’acido fosforico è molto maggiore di quella dell’acido solfori- co. Quanto all’acido ossalico, ho trovato che una soluzione satura alla tempera- tura di +12° C, ha una conducibilità eguale a quella di una soluzione di acido solforico di 1,022 di densità. La soluzione di potassa caustica ha una conducibilità che cresce sempre colla sua densità. Una soluzione satura di potassa conduce meglio dell’acido solforico al suo massimo. Confrontando i volumi dell’idrogene e dell’ossigene che si ottengono separatamente nelle soluzioni di potassa e di acido solforico, si trova sensibilmente la stessa quantità di ossigene, mentre invece quella del- l’idrogene è minore nella potassa che nell’acido solforico sino a differirne qualche volta di un quinto. La soluzione, anche satura di ammoniaca, ha una conducibilità molto mi- nore di quella dell’acido solforico nel suo massimo di densità. Non è possibile di riconoscere alcuna relazione distinta fra le proprietà chimiche e gli equivalenti degli acidi nominati colla conducibilità ch’essi comu- nicano all’acqua. Lo studio di queste conducibilità era necessario per le no- stre ricerche, onde conoscere qual parte esse possano avere nello sviluppo del- l'elettricità nelle pile formate di acidi e di ossidi metallici. Volli tentare da prima se si avevano segni di elettricità sviluppata dalla combinazione degli acidi colle basi, escludendo qualunque metallo dal circuito. A questo fine riempiti due tubi di vetro aperti alle due estremità di sabbia, feci in modo che uno di essi fosse immerso in una soluzione di potassa e ne SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 195 fosse così imbevuta la sabbia, mentre l’altro tubo di cui la sabbia era imbe- vuta di acido nitrico veniva a pescare nella stessa soluzione di potassa. Rico- privo con un grosso strato di carta imbevuta di una soluzione di nitro o di sal marino le estremità superiori delle colonne di sabbia dei due tubi, e infine chiudevo il circuito di questa pila di Becquerel col nervo di una rana galvano- leopica convenientemente isolata. Si svegliano allora costantemente le contra- zioni nella rana, e tali da indicare secondo la legge elettro-fisiologica ben nota l’esistenza di una corrente che circola nel nervo dal tubo dell’acido nitrico a quello della potassa e quindi dalla potassa all’acido nitrico nei punti del circuito ove l’azione chimica è la più intensa. La disposizione dell'apparecchio col quale ho studiato lo sviluppo del- l'elettricità nella combinazione degli acidi cogli ossidi è quella stessa delle pile di Grove o di Bunsen, se non che due lamine di platino perfettamente uguali, alte un decimetro e larghe quattro centimetri, tengono il posto dei due metalli zinco e platino, o del zinco e carbone. Sin dalle prime esperienze tentate colle pile di acidi e di ossidi metallici, potei facilmente riconoscere che la combinazione dell’acido nitrico colla potassa era quella che superava gran- demente tutte le altre nei suoi effetti elettrici, e che per questa l'intensità della corrente sviluppata, variava principalmente colla densità della soluzione alcalina. Ed infatti mentre la corrente non varia notevolmente usando ora acido nitrico concentratissimo, ora lo stesso acido da 20° a 25° B, si vede poi questa corrente crescere proporzionalmente alla quantità di potassa disciolta nella soluzione alcalina. Tenendo chiuso il circuito di una di queste pile con un galvanometro abbastanza sensibile, si riconosce facilmente che la corrente s’ indebolisce da prima assai rapidamente e via via decresce più lentamente. Ho potuto ottenere una corrente perfettamente costante rinnovando sempre la soluzione alcalina e l’acido: al qual fine facevo scolare i due liquidi a goccia a goccia sopra le due faccie di uno strato di amianto interposto a due lamine di platino congiunte separatamente coi capi del galvanometro e tenute applicate costantemente sul detto strato. Agitando i liquidi della pila a acido e a ossido, o tenendo il circuito aperto, la corrente riprende ancora un aumento d’ intensità. Ho preparato 25 di queste pile usando acido nitrico a 56° B, e una solu- zione satura di potassa. Misurando o colla bussola delle tangenti o col galvanometro comparabile del Nobili la corrente prodotta da cinque, dieci, quindici, venti, venticinque di queste pile, ho trovato che, lasciato fissare convenientemente l'ago, essa aveva in tutti i casi la stessa intensità. Tentando invece le esperienze fa- cendo variare la estensione della superficie delle lamine di platino, lo che si 196 MATTEUCCI fa riunendo insieme un certo numero di lamine immerse nella potassa e un certo numero di lamine immerse nell’acido nitrico, si trova che l'intensità della corrente cresce proporzionalmente a questa superficie. I quali due risul- tati sono una conseguenza necessaria dei principj generali della teoria della pila, riflettendo che la resistenza del filo del galvanometro rispetto a quella interna della pila è nulla o quasi nulla nel nostro caso, e che questa resistenza è eguale per ogni coppia. Studiando la decomposizione elettro-chimica ottenuta da queste pile, ho trovato, come i signori Becquerel e Jacobi, effetti sensibili sulle soluzioni di joduro di potassio, di nitrato di argento, di solfato di rame, e anche sull’acqua acidulata del voltaimetro. I segni della decomposizione del joduro di potassio sono sensibili con una pila sola, mentre quattro o cinque elementi sono ne- cessari per rendere sensibile la decomposizione dell’acqua, la quale fu trovata crescere proporzionalmente al numero delle coppie. Ho tentato un gran numero di esperienze onde determinare con esattezza il rapporto fra la quantità di potassa che in ogni coppia si combina coll’acido nitrico, e la quantità di rame che si precipita sul polo negativo di queste pile di cui la corrente è fatta passare nella soluzione di solfato di rame. A questo fine usavo una pila di 25 elementi formata di acido nitrico a 56° B, e di una soluzione concentrata di potassa caustica (*). Prolungai le espe- rienze ora più ora meno, e in tutti i casi un galvanometro introdotto nel cir- cuito, indicava l'intensità della corrente. Malgrado tutte le cure possibili non - sono mai giunto a risultati costanti e comparabili fra loro: in tutti i casi il ra- me, o il prodotto della decomposizione elettro-chimica, fu trovato di una quan- tità molto più piccola di quella che si sarebbe dovuto ottenere secondo la legge degli equivalenti elettro-chimici, cioè usando lo zinco amalgamato invece della potassa. La differenza fra i numeri trovati e quelli corrispondenti alla legge citata, diveniva anche maggiore se si usava una soluzione diluita di potassa. Scelgo fra le molte esperienze i numeri più lontani fra loro onde dare un’idea più esatta di questi risultati. In una esperienza, da 119,550 di potassa combi- nata in ogni coppia coll’acido nitrico ebbi sette milligrammi di rame sull’elet- trode negativo: in un’altra esperienza da 29,280 di potassa ebbi 5 milligrammi di rame. Sono giunto a risultati poco diversi da questi misurando la quantità di gas ossigene puro, che si svolge in questa pila sulla lamina che è immersa nella potassa. Per ottenere questa misura la lamina di platino era fissata in una campanina graduata di vetro Ja quale poi era rovesciata nella soluzione di potassa: un’apertura praticata sulla sommità chiusa della campana e munita di un (*) La potassa caustica adoperata è quella, non purissima, che viene in commercio, fab- bricata a Parigi, in cannellini. SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 197 sottile tubo di vetro rendeva facile di riempire la campana della soluzione di potassa e indi di vuotarla del gas ossigene, per poi rimetterla in esperienza. In alcune di queste esperienze usavo una coppia sola e in altre adoperai varie coppie riunite a pila, e sempre includevo nel circuito un galvanometro. In ogni caso trovai la stessa quantità di ossigene svolta sul platino di ogni coppia im- merso nella potassa. Riferirò alcuni dei risultati ottenuti misurando il gas ossigene sviluppato e la quantità di potassa neutralizzata nello stesso tempo in ogni coppia. In una esperienza ottenni 10° di gas ossigene, mentre 59,965 di potassa si combinarono in ogni coppia coll’acido nitrico. In un’altra esperienza per 17° di ossigene vi furono 59,258 di potassa combinati coll’acido nitrico in ogni coppia. In un’altra esperienza ebbi 65° d'ossigene per 59,865 di potassa. Vi sono, come ognun vede, differenze enormi fra questi numeri paragonati fra loro e paragonati anche secondo la legge degli equivalenti elettro-chimici. Im- porta però di notare che per una data quantità di potassa che sì combina col- l’acido nitrico, la quantità di ossigene che si svolge cresce a misura che è più concentrata la soluzione della potassa, che è più estesa la superficie del platino che pesca nell’acido e nella potassa, e la superficie dello strato poroso che separa i due liquidi. Anche la deviazione al galvanometro varia corrispondentemente a queste circostanze e quindi cresce assieme allo sviluppo del gas ossigene. In alcune esperienze ho misurato con molta cura la quantità di potassa che in un dato tempo si combinava coll’acido nitrico durante il passaggio della corrente, e quella che pure vi si combinava allorchè l’arco di platino non era introdotto fra i due liquidi e quindi senza la circolazione della corrente. Ho trovato questa quantità di potassa sensibilmente la stessa nei due casi, per cui può concludersi che la combinazione di quella base coll’acido nitrico in quelle date circostanze ha luogo indipendentemente dalla circolazione della corrente elettrica sviluppata . Ho pure cercato di paragonare fra loro le correnti elettriche ottenute usando nelle suddette pile altri acidi insieme alla potassa. Ecco i numeri ottenuti ado- perando il galvanometro comparabile del Nobili, e pile perfettamente simili: Gradi Intensità Soluz. satura di potassa, e Acido nitrico a 56°B. 46° 604,20 Idem e Acido solforico an 262 8° 9,40 Idem e Acido idroclorico a 22° »(*) 5° 5) Idem e Acido fosforico so- luzione concentr. a 9° ò i Idem e Acido ossalico solu- : zione satura a+12° C. 4° 4 (*) Anche questi numeri relativi all’ acido idroclorico sono diversi da quelli pubblicati nel citato estratto per non avere operato da principio con acido idroclorico puro. 198 MEF AST IDE 9AGICII Nel fare questo paragone delle correnti ottenute usando i diversi acidi citati, immaginai da primo di opporre l’una all’altra due pile, una delle quali era costantemente formata di acido nitrico e di potassa, misurando così la corrente differenziale. Merita di essere notato che le correnti differenziali così ottenute furono nulle o quasi nulle benchè fossero usati dei galvanometri molto delicati. Mi limito per ora ad indicare che questo fenomeno singolare deve probabilmente attribuirsi all’influenza della conducibilità delle due pile opposte che fanno parte dell’intiero circuito della corrente differenziale. Ho finalmente tentato alcune esperienze usando il protossido di ferro, e l’ossido di zinco allo stato d’idrati invece della potassa. La corrente ottenuta coll’ acido nitrico e l’ossido di ferro, che è debole sul principio dell'esperienza, cresce in seguito, e dopo un certo tempo è allo stesso galvanometro di Nobili di 40°, e quindi poco diversa da quella che si ottiene colla potassa. Cogli altri acidi e l’ossido di ferro la corrente è appena sensibile. Coll’ossido di zinco la corrente è debolissima qualunque sia l’acido adoperato. Nella pila di acido nitrico e protossido di ferro il platino immerso in quest’ultimo si cuopre di uno strato di un bel colore giallo d’oro. Dove risiede lo sviluppo dell'elettricità nella pila che abbiamo studiata? Quale è l’azione chimica che produce la corrente? Quale è la combinazione scomposta e dalla quale risulta l’ossigene che apparisce sul platino immerso nella potassa? Questo ossigene è egli un prodotto della corrente indipendente- mente da qualunque azione chimica, per la quale questo corpo sia messo in li- bertà? Ci affrettiamo a confessare che nè dalle esperienze conosciute nè da quelle riferite non risultano adequate e sufficienti risposte a queste importanti questio- ni, che di certo meritano nuovi studj. Osserveremo però che lo sviluppo dell’ossigene nella sudlittscaittà pila, non si trova mai che nel caso della combinazione della potassa coll’acido nitrico, e di certo l'affinità degli altri acidi collo stesso ossido e la conducibilità del cir- cuito nei diversi casi, non sono inferiori a queste stesse condizioni considerate nel caso della pila a potassa e acido nitrico. Evidentemente l’acido nitrico agisce in questo caso onde accrescere l'intensità della corrente, in un modo facile a concepirsi e indipendente dalla sua affinità chimica coll’ossido. Ecco un'esperienza che rende manifesto questo secondo modo di agire del- l'acido nitrico. In un gran vaso pieno di acido nitrico immergo tre dei soliti ci- lindri di porcellana della pila di Grove. In uno dei cilindri verso una soluzione | di potassa, in un altro acido solforico diluito, e nel terzo l’acido nitrico simile a quello del vaso. Immergendo nella potassa e nell’acido nitrico le solite lamine di platino unite ai capi del galvanometro comparabile di Nobili, ho la solita cor- rente di 40° a 45°, come l’otterrei se la lamina di platino fosse immersa nel- SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA 199 l’acido nitrico del vaso grande: in questo caso v'è ossigene svolto sul platino della potassa. Se invece la lamina di platino, che era immersa prima nell’acido nitrico, si porta nell’acido solforico, la corrente è debolissima e appena di 2° o 3°. Evidentemente l’acido nitrico agisce nella pila a potassa e a acido, come nelle pile di Grove e di Bunsen, e la grande superiorità della pila a potassa e a acido nitrico sopra tutte le altre deve attribuirsi alla stessa cagione. Ammettendo che la sorgente dell’ elettricità nella pila di cui si studiano gli effetti stia nella affinità chimica che genera la combinazione di un acido con una base, la circolazione della corrente richiede che sia da essa corrente decomposto intieramente e senza soccorso di affinità chimica il solo electrolite che fa parte del circuito, ossia l’acqua, nella quale supposizione s'intende come la quan- tità di ossigene separato, 0 quella dell’acqua scomposta, siano variabili e infe- riori nei respettivi equivalenti chimici alla quantità di potassa salificata, e come queste due quantità s'accostino sempre più a quelle che dovrebbero essere se- condo la legge degli equivalenti elettro-chimici, quanto più sono buone le condi- zioni di conducibilità del circuito, sulle quali opera principalmente la presenza dell'acido nitrico posto intorno all’electrode o polo negativo. In questo modo di considerare lo sviluppo dell'elettricità nella pila di acido nitrico e di potassa, s'intende, come l'aggiunta di una combinazione liquida in contatto del platino su cui si svolge l’ossigene, e di cui un elemento abbia affinità per questo corpo, debba accrescere la quantità d’elettricità sviluppata e quindi l'intensità della corrente. Questa conseguenza è stata ampiamente confermata usando, invece di potassa pura, una soluzione di potassa che ha bollito in con- tatto dei fiori di zolfo e che si è quindi in gran parte convertita in un miscuglio di penta-solfuro di potassio e d’ipo-solfito di potassa. Costruendo alcune pile simili a quelle precedentemente descritte e solo diverse per contenere la soluzione di potassa che ha bollito collo zolfo, invece della potassa pura, se ne ottengono effetti grandemente superiori. Una pila for- mata di acido nitrico e di una certa soluzione di potassa pura non concentrata, sviluppa una corrente di 25° al galvanometro di Nobili. Usando la stessa soluzione bollita collo zolfo la corrente è di 65°: le intensità delle due correnti stanno fra loro come i numeri 97: 1700. Da una sola di queste pile, si ha una scintilla visibilissima interrompen- done il circuito nel mercurio. Con quattro pile la scintilla è forte e quanto può ottenersi da una o due pile di Bunsen. Tenendo chiuso il circuito, non v' è sviluppo del gas ossigene sul platino della potassa. L’azione chimica della pila col solfuro di potassio è fortissima. Da una sola coppia si ha molto visibil- mente la decomposizione dell’acqua acidulata del voltaimetro. Da quattro coppie, si ottiene sul primo 2°° di miscuglio gassoso per ogni minuto primo. Poi lo svi- 200 MATTEUCCI — SULLO SVILUPPO DELL’ ELETTRICITA luppo si viene rallentando e rimane per molte ore costante, producendo circa un centimetro cubico di miscuglio per minuto. Ecco i numeri trovati: I8Licdys0 el -+03:10188 46n cite arie coi Zito hmbt dbeai28 20: dadi . 024 Sperando che questi effetti della soluzione del solfuro di potassio si fossero verificati, come avviene della soluzione di potassa usata in contatto dello zinco amalgamato invece dell’acido solforico nella pila di Grove, tentai a comporre la pila colle soluzioni di potassa solforata. Ho trovato invece che l’azione chi- mica di una tal pila è la stessa di quella che si ottiene usando le lamine di pla- tino in contatto dei due liquidi. Uno strato di zolfo si depone sullo zinco amalgamato e ciò indipendentemente dalla circolazione della corrente. Dobbiamo limitarci in questa prima memoria a dedurre come dimostrata dall'esperienza, la seguente conclusione: nella pila di potassa e di acido nitri- co, e meglio nella pila di potassa solforata e di acido nitrico, gli effetti elettrici sono assai più grandi di quelli che si ottengono negli altri casi di combinazioni simili, perchè, independentemente dall’affinità che esiste fra l'acido e l’ossido metallico, vi sono riunite le condizioni chimiche necessarie a scomporre e a separare in direzioni contrarie i due elementi dell’electrolite interposto, come sì richiede per la circolazione della corrente. INDICE DELLA PARTE SECONDA Piria R. Memoria sopra alcuni nuovi prodotti ottenuti dall'azione del Solfito d’Ammoniaca sulla Nitronaftalina . StuDIATI Cesare. Ricerche intorno ad alcuni argomenti di Fisiologia Ge- nerale. MRPFETAZIONE! Pon i pn an — Considerazioni di Fisiologia generale sopra un caso siorevate di mostruosità. — Introduzione . . . . . Considerazioni generali di tassigenia: esame di diverse classazioni tera- tologiche . CAPITOLO PRIMO. Parte Empirica. Dei metodi verificatori delle caratteristiche dei corpi. Distinzione dei viventi dai non viventi: analogie, specialmente fra i viventi e î cristalli: differenza fondamentale caratteristica sdraiato Parte Teorica. Della genesi delle proprietà nei corpi inorganici e nei viventi: analogie. Di quali forze siano atte a comporre quella vitale: ufficio di quelle che non vi sono atte. Della caducità dei visenti. Recapitolazione: dichiarazione della poca importanza di questa seconda parte. CAPITOLO SECONDO. Distinzione dei vegetabili dagli animali. Delle caratteristiche vere degli uni e degli altri. Dei caratteri loro non ben costanti ma frequentissimi. Degli uffici del sistema nervoso, considerati relativamente alle differenze che sopra. Cenni di una classazione teratologica CAPITOLO TERZO. Descrizione della mostruosità. Ricerche sulla sua genesi. Riassunto generale tit. |... — Saggio sulla definizione e classazione È delle funi dei ia Del criterio delimitatore, e della definizione della funzione. Delle parti organiche meglio distinte: fibre: tessuti: organi: apparati. Delle operazioni o funzioni loro. 6 i e Della classazione delle Cunzionio Del concetto della medesima: sua ap- plicazione. Conclusione . e» pag. 64 StupiaTI Cesare. Confronto critico delle teorie di Liebig e di Blondlot in- torno alle funzioni della vita plastica nelli animali. Generalità. Delle cause finali relativamente alla logica delle scienze na- turali. Dell’ufficio delle proprietà dei corpi. Della determinazione dei feno- IMENVA(NGALISERASS UNLON AA n TOA pag. 128 Applicazione dei canoni stabiliti. Della teoria del Licbig. Di quella del Blondlot. Dei requisiti che deve avere una teoria di un sistema fenomenale. Confronto delle due teorie con questa norma generale. Della circolazione. Delle secrezioni. Riassunto della teoria delle funzioni plastiche. . . . . » 154 Pacinotti Luigi. Memoria sovra una nuova operazione aritmetica chia- mata Estrazione dei Fattori e sovra il Calcolo dei Fattorali . . . » 145 FeLici R. Memoria sulle Polarità Galvaniche secondarie e sull’influenza del calore nella propagazione della corrente elettrica nei liquidi . » 175 Martevcci C. Ricerche esperimentali sullo sviluppo dell’elettricità nella combinazione degli acidi colle basi... ...... 0... >» 187 pagine 18 51 35 56 57 64 2354 pagine 353 47 54 57 ERR linee PARTE PRIMA ORI Alla nota (68) si aggiunga în fine geodresia interpetrarentor Geodresia regimis existimet Municipalis PARTE ERRORI ad ordinare nelle loro distribuzioni fenomeno chimico un più quel fenomeno il fenomeno accade fenomeni di un fenomeno o chimico o fisico producono il fenomeno il fenomeno di un volume dimostrarci sconnesse CORREZIONI Cic. de Amicit XI. gedrosia interpretarentur Gedrosia regiminis existiment Municipale SECONDA CORREZIONI di ordinare nella loro distribuzione un fenomeno chimico più lui accadono fatti della una azione o chimica o fisica lo producono desso di volume dimostrarsi sconnessi quelle tali Si aggiunga la nota seguente Anche il Galileo, nella Giornata prima dei suoi Dialoghi sui sistemi del mondo, ha espresso con vivezza ed eleganza in che concetto dovesse tenersi la mutabilità ed alterabi- lità delli elementi della materia, facendo dire al Sagredo, «.....io per me reputo la « Terra nobilissima, e ammirabile per le tante, e sì diverse alterazioni, mutazioni, gene- « razioni ec., che in lei incessabilmente si fanno: e quando senza esser suggetta ad alcuna « mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine di arena, o una massa di diaspro, o che al « tempo del Diluvio, diacciandosi l’acque, che la cuoprivano, fosse restata un globo im- « menso di cristallo, dove mai non nascesse, ne si allerasse, o si mutasse cosa veruna, io la « slimerei un corpaccio inutile al Mondo, pieno d’ozio, e per dirla in breve, superfluo, e « come se non fusse in natura: e quella stessa differenza ci farei, che tra l’animal vivo e « il morto. .... » accordati accennali vegetalivi vegetabili a questa a queste organismo debbono organismo e debbono nel quale dove di cui da cui ordigni operosi la parola, cioè scemare commiste ordigni, operosi la parola cioé, scemarne commisti ——___—_==> 099 —_ NB. Le Figure dell’annessa Tavola sono quelle citate nella Memoria del Cav. Prof. C. Matteucci Sui Fenomeni elettro-fisiologici degli animali vivi o recente- mente uccisi, inserita nel Tomo Primo p.1.* Scienze Cosmologiche. } 3, Ren o ; ai } "7 2% piedini ad Sri een” Li die FI giro rta ri | x cere ra etti È Lo Rinvbot d 10 irta?! "plantari j N i ‘olartavt Rug ti i Hib. Rode È sla iic o me — afeaiica SMB è afgana arpa Dale siete cragiatonì Mya a È : è fritta n ita Ru i; X î srainbtero da | ve, sanizridi svi. 01 I Valesi n ann ROLL rt osicrista onsmonsi uu. ng on asimlilò cir “ i td È Pi Gala 00 brace, roi ni riòo sonici adi dich" nilab 11941 5 a h "i t0rmouidt dI dvatdo N 0opixe smu I è vsimido è aston sue 19 onosubong oi { ogeetona I nea baty te agrih b remord 13 RATA CHIC inrentii © @ da @ ta I gate ns amiata » ipa td serali! equat » GRUIIA è A de. ‘ eat deere Ms mg DA ja intà iioio (masse 0094 ina induminti À 4 Ta LI PES sede È fi 3 A GAt06 1 135 sventare 08011 x ue = sì ” h r Sg ; 17. I 9g: Ei rd ED SS DIE 7 È i; A SU e DG n: @ TOMO TERZO a, SEA rel Z |< (e) lO 0) © E > .< È "| 0 0) ce a > | amd) ANNALI DELLA VHEVERSETÀ FOSCANA » ||| _——Pr TOMO TERZO TIAVDA la, pia ONAL'E ODIO ha o" = ———————— ANNALI DELLA UNIVERSITA TOSCANA e US Di — PARTE PRIMA ‘ SCIENZE NOOLOGICHE — — _- como tRRZO panini (sa EB (* drazie | Te VELI dl NI da n gio PISA TIPOGRAFIA NISTRI 1854 AIIIO, * = - 2 ARRDZOT ATTZARVAGIO Pt pon | # AMIATATAA q #HOIDOLOO7 ANNEID® -° PA ‘ *auig. HPEIVM ALRANDOTIT Manica » ba bg Gt «di / . = - C] = Ì «SU - i a i i da ALCUNI APPUNTI PER SERVIRE AD UNA BIBLIOGRAFIA ‘ DEGLI STATUTI ITALIANI r. DI FRANCESCO BONAINI — O ==_ (Continuano dal Tomo II. degli AxnALI, Parte Prima, pag. 234) SALUZZO — Comunque non si abbiano a stampa nella loro totalità gli antichi Statuti di Saluzzo, pure il Muletti ne pubblicò assai rubriche e con esse notizie molto opportune intorno alle varie compilazioni. Il perchè, volendone tener proposito, avvertiremo con esso che i Sal- luzzesi ebbero primamente uso di propri Statuti per liberalità del quinto loro Marchese Manfredo IV. Invero in una convenzione per esso stipulata ai 18 Febbraio 1299 con che ac- cordò per un censo annuo ampie franchigie ed esenzioni al Comune, pattul: « Zfem voluit « dictus dominus marchio ex vi eiusdem conventionis et tractatus regere homines Saluciarum « suprascriptos secundum Statuta seu Capitula que per ipsos homines facta fuerint, et quod « dicti homines per ipsum ciusque officiales regantur secundum ipsa Statuta et Capitula, et « deficientibus ipsis capitulis, secundum bonas consuetudines et iura civilia, tali videlicet modo « predictis abhibito, quod predicti homines possint ipsa Capitula seu Statuta facere quolibet «anno, et Statuta ipsa et Capitula que per ipsos homines Salucii facta fuerint, porrigantur « seu exhibeantur per ipsos homines Saluciarum vel per aliquem eorum nomine ipsi domino «marchioni et ipse dominus marchio infra unum mensem post dictam exibitionem vel por- « retionem ipsa capitula approbare possit et approbare ex debito iuramenti teneatur que ei « bona fide videbuntur digna approbatione seu que fuerint approbanda, et ipsa capitula sew « Statuta, que per ipsum dominum Marchionem infra dictum mensem fuerint approbata vel « que non reperirentur reprobata per ipsum dominum Marchionem, valeant et teneant et valere «et tenere incipiant et vigorem habere, et secundum ipsa predicti homines regantur, finito «dicto mense, in antea quousque alia capitulacio et simul ut supra exhibicio, ostencio, appro- « bacio vel reprobacio facta fuerit et similiter ut supra mensis elapsus». Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla Città ed ai Marchesi di Saluzzo. Saluzzo 1829—1855, 8.° Tom. HI. pagg. 20-21). Scienze Noolog. T. III. LO 6 ‘'BONAINI Se non che lo Statuto del quale giova più distintamente parlare è quello confermato da Lodovico II, (decimo Marchese) principe che lasciò nome cotanto chiaro di se. Era lo Statuto di cui parlasi, approvato da Lodovico nel 5 Gennaio 1480 come mostra il documento riferito presso il già citato Muletti, Tom. V. pagg. 205—205. E questo stesso Scrittore aggiunge poi: < Il libro degli Statuti in quest'anno approvati dal Marchese, seritto su pergamena in foglio « grande, con bello e nitido carattere, conservasi tuttora nell'Archivio Civico. Esso è diviso «in quindici parti, dette Collalio e più anticamente Collacio. — Tratta la prima del podestà, « degli officiali della curia, e de’ loro doveri, primo de’ quali è la difesa delle Chiese, degli « Spedali, delle Vedove, degli Orfani, dei Pupilli, dei Pellegrini, e dei diritti di libertà degli « uomini di Saluzzo .... La seconda parte è relativa ai Sindaci, ai Consiglieri ed altri ufficiali « del pubblico, come erano i sindaci di libertà, i sapienti, i giustizieri, i ragionieri, gli sti- « matori, i terminatori, i ricercatori o massai dei pesi e delle misure, gli stanziatori, gli al- «loggiatori delle sentinelle o guardie notturne, i guardaboschi ed i sergenti. — Nella terza « parte si comprendeva la legislazione criminale. Di qualche particolare attenzione degni « sono alcuni Statuti sopra i vari delitti Di questi noi daremo qualche cenno, osservando in « prima che i provvedimenti criminali del nostro Codice più che i civili mostrano la barbarie « dell’ antica loro origine, barbarie derivata da que’ modi di governo che i feroci conquista- « tori d’ Italia fatalmente ci apportarono .... La maggior parte dei delitti erano puniti con « pene pecuniarie ...L’ omicidio di un uomo di Saluzzo era punito con la pena di morte. .. « Gl’ incendiari venivano abbruciati vivi. — Le pene pecuniarie per gli insulti, le percosse e «le ferite erano assai maggiori se venivano queste commesse a danno di un sacerdote, di un « nobile, di un medico o di un avvocato, minime poi se commesse sulla misera plebe.... « Nella parte quorta si parla de’ guardiani de’ campi, de forestariî (guardaboschi), de’ bandi « campestri e delle accuse; e vi si danno alcuni provvedimenti in favore dell’agricoltura. — « Nella quinta si contengono gli ordinamenti pei calzolai, conciatori di pelli, drappieri, mo- « linai e segatori. — Nella sesta si provvede alla pubblica polizia del luogo cd alle necessarie « riparazioni delle contrade. Si eleggevano per quest’oggetto i massai delle strade. ... Nella « parte settima contengonsi le disposizioni sui boschi e pascoli pubblici. Nell’ ottava quelle « delle misure e pesi, i quali tutti dovevano essere segnati .... Delle taglie e d’ ogni sorta « di tributi o di redditi, e de’ collettori ed esattori parlasi nella parte nona — Nella decima « si tratta degli artieri in generale ed in particolare di alcuni officiali del Comune; fra « quali erano i massai delle mura, che avevano 1’ ispezione di visitare e far riparare le mu- « raglie, le torri, i fossi e tutte le altre opere di fortificazione. In questa parte trovasi pure cun capitolo che stabilisce la mercede dovuta agli ambasciatori del Comune ....Si provvede « nella parte undecima, che vien compresa in quattro soli capitoli, intorno alla vendita dei « pesci. Dopo questi capitoli trovasene uno fuori d’ ordine intitolato: De non mingendo sub «domo communis nec in aliquo cimiterio. — De’ notai, degli stimatori, de’ segretari della « curia, de’ decani, cioè sergenti del Comune, e delle mercedì e diritti loro dovuti per gli cinstrumenti ed atti del loro ministero si dispone ne’ varii capitoli contenuti nella duode- «cima parte. — La parte decimaterza è intitolata: De renunciationibus feudorum; ma con « grandissima confusione e disordine vi si tratta pur anche di altre differenti materie. Nella « parte decimaquarta si parla: De taleatis; delle tagliate, cioè a dire di quei fossi o canali « che si scavano per derivare le acque da un qualche fiume o da un canale maggiore .... « L’ ultima parte, finalmente, provvede ai diritti dei segretari sì nel civile che nel criminale, «e stabilisce la tassa per tutti gli atti giudiziali per le copie dei processi e degli esami dei « testimoni, pei memoriali, lettere requisitorie, sentenze, appellazioni e simili. — Per com- « pilare questo codice eranvi persone specialmente deputate dal consiglio, le quali chiama- « vansi compilatori. Questi avevano la facoltà di proporre quelle correzioni e riformagioni « riconosciute col tempo necessarie nelle patrie leggi. — Quando poi il consiglio conosceva « 1’ inutilità di un qualche provvedimento degli Statuti, pel bene e vantaggio del pubblico, STA TUTI MITAPIANII 7 « poteva ordinarne la sospensione, ed il podestà era tenuto adattarvisi .... Affinchè a notizia « di ognuno fossero le leggi nuovamente riformate e riunite nel codice di cui si fa discorso, ce perchè si potessero all'occorrenza consultare, oltre al volume che si conservava negli « Archivi del Comune, fu stabilito che un altro simile rimanesse presso il podestà, attaccato «con catena al banco della ragione; il quale dovesse sempre comunicarsi a chicchessia, e di « cui ognuno che il volesse potesse ottenere una copia....Si stabili per ultimo che gli ordi- « namenti contenuti in quel codice non potessero giovare che ai soli Saluzzesi ». Muletti, Op. cit. Tom. V. pagg. 205—221. Il precitato serittore ha inserito nella sua Opera aleune Rubriche di questo Statuto nella loro totalità: giova darne distinto ragguaglio. « I 65. Quod aliquis non possit impediri tempore nundinarum. (Muletti, Tom. II. pa- « gine 176—177). « 85. Quod eligantur tres homines qui provideant super facto consiliariorum ete. (Mu- « letti, Tom. II. pagg. 557—558). « II. 110. De committentibus stuprum vel adulterium cum muliere inhoneste vivente. « (Muletti, Tom. V. pagg. 207—208). « 111. De ducendo mulieres vicentes imhoneste et luxoriose ad postribulum. (Muletti, « Tom. V. pag. 208). « 112. De committentibus lenocinium seu rufianagium. (Muletti, Tom. V. pagg. 208—209). « 124. De avertatoribus et luaoribus corriole. (Muletti, Tom. V. pagg. 209—210). « 125. De furtis factis in villa Saluciarum et extra. s. r. (*). (Muletti, Tom. V. pag. 210). «126. De archis et balistris non portandis ad aliquam rixam. (Muletti, Tom. V. «pagg. 210-211). « De trahentibus sagittas, carellos vel lapides. s. r. (**). (Muletti, Tom. V. pag. 211). « De armis non portandis per extraneos. (Muletti, Tom. V. pag. 211). O « Quod nemo de Saluciis audeat portare gladium excendentem mensuram.,(Muletti | « Tom. V. pagg. 211—212). « De non miscendo aquam cum vino. s.r. (Muletti, Tom. V. pag. 212). | (VII De viis montis et planiciei inter massarios dispensandis. (Muletti. Tom. V. « pag. 215). | « VINI. 284. Quantum debent esse mensure et pondera Saluciarum. (Muletti, Tom. VII. « pagg. 267—268). «N De ambassiatoribus communis et eorum salario. (Muletti, Tom. V. pag. 214). « XII. 556. De clacaturis portarum seu pusternarum et portis earum fiendis. (Muletti, « Tom. IV. pag. 146). «561. De non contraveniendo libertatibus seu franchisis hominum Saluciarum. s. r. « (Muletti, Tom. V. pag. 216). « 566. De vino nato extra marchionatum Saluciarum in Saluciis non apportando. « (Muletti, Tom. IV. pag. 106). « De aqua ad incendia portanda et situlis emendandis. (Muletti, Tom. V. pag. 217). « De auzilio dando hedificandi domus combustas. (Muletti, Tom. V. pag. 218). « XIV. 569. (Manca la rubrica. Il testo porta quali sieno le condizioni per esser detto « abitatore e terriere di Salluzzo. (Muletti, Tom. V. pagg. 218—219). « XV. De suspensione Capitulorum. (Muletti. Tom. V. pag. 219). C Quod duo libri Capitulorum fiant. (Muletti, Tom. V. pag. 220). (**) Questo e i successivi Capitoli che mancano di numero si referiscono quali sono scritti nel- | (*) Intendi s. r. essere riferita la sola Rubrica, | l'Opera, hi BONAINI SaLvaTRRRA— Vedi Arceti. SARDEGNA— Statuta et Leges Regnii Sardiniae Hispanicae. Calari, 1714, vol. II. f.° SARZANA — Statuta Civilatis Sarzanae reformata tempore magnificorum ac po- tentum dominorum potestatum comperarum Sancti Georgi excelsae Reipublicae Januae. Parmae, 1529. Di questi Statuti ebbe spesso a valersi il Targioni, Op. cit. Tom. XI. pag. 99, Tom. XII. pagg. 15, 16, 19, 20, 2527, 154. S. CoLomsgano — Statuta Comunitatis Sancti Colombani. Laude, 1586, f.° S. ELPIDI0 — Statuta Terrae Sancti Elpidii. Maceratae, 1571, f.° S. FELice nEL MonpanesEe— Statuta Terrae Sancti Felicis. Mutinae, 1612, typis Jo. Mariae de Verdis. f.° S. GeminI— Statuta Terrae Sancti Gemini. Romae, 1568, f.° S. GrovannI IN Var D Arno supeRIORE— Statuti del Vicariato di S. Giovanni nel Val d’Arno Superiore del MDXXXV. Pubblicati dal Gherardi-Dragomanni nelle Memorie della Terra di San Giovanni nel Val d’Arno superiore. Firenze, Formigli, 1854, 8.° pagg. 75—95. S. MarINO — Statuta Terrae Sancti Marini. Arimini, 1600, f.° — Leges Statutae Reipublicae Sancti Marini. Forolivii, 1834, f. Il Delfico erede che lo Statuto di S. Marino sia dei più antichi d’ Italia e dice tro- varsene menzione in certo istrumento del 1255 in cui sono le espressioni « ultra formam « Statuti ». Aggiunge che questo Statuto del Secolo XIH più non si ha (Memorie Storiche della Repubblica di S. Marino. Firenze 1845—1844, 8.° Tom. I pagg. 61—62). Sennonchè dai documenti stessi che egli pubblicò se ne hanno riscontri forse più positivi. Invero in certa accettazione della Cittadinanza Sammariniana fatta dagli uomini di Casole, nel 9 Aprile 1255 è detto: « Promittentes soleniter, generaliter et singulariter Hodoni Scaridi Consuli dieti Ca- « stri recipienti nomine Universitatis et Comunis Castri Sancti Marini dictam Castellantiam «et habit. pred. facere secundum quod alii Castellani ipsius Castri volentes teneri ad Statutum « ipsius Castri, et ad omnia ordinamenta predicti Castri facta et facienda etc. ». E in altro documento del 10 Maggio 1278 sono queste parole: « Cum hoc esset quod homines Universi- « tatis seu Comunis Sancti Marini teneantur astricti capitulo Statuti de non eundo ad forum « Montis Plebatus Corenae occasione quorundam exessuum, et per Dominum Guitonem de « Petrella et Tribaldum eius filium quaesitum per suos Amabasciatores fuisset, et rogata ut «ad dictum Forum accederet, et dicti Statuti capitulum cassaret, quod factum fuit de volun- « tate venerabilis Patris Domini lohannis Dei Gratia Episcopi Feretrani » Tom. II. Append. pagg. Vil, xil. Il suddetto storico di S. Marino, come primo degli Statuti ora esistenti, registra il seguente: « Liber Statutorum Comunis Castri S. Marini: e poi: Haec sunt Statuta facta « per Venturam Michaelis, Ariminum Baraconum, Nicolaum Fortis, Venturam Ondedei, Gue- «rolum Guerigi, Zannem Madronum, Ugolinum de Petris, Gaudentium Notarium, Zannem STATUTI ITALIANI 9 « Venturae, Zannucium Causetta, Superbutium Serrani, et Bencicengam de Fabris officiales « ad hoc a dicto Comune allectos, et assumtos ». Rammentandovisi come Suprema Magistra- tura quella del Capitano e Difensore, e non i Consoli, ne deduce il Delfico che questo Statuto sia posteriore al 1295. Pur tuttavia l’anno non saprebbe indicarsi per essere il Codice (mem- branaceo) mancante dell’ultima carta. (Memorie Stor. della Rep. di S. Murino, Tom. Y. pag. 98—100). 9 Del resto egli ne riporta (Tom. II. pag. 115) la seguente Rubrica: « Cap. 2. Qualiter jurare debeant Capitaneus et Defensor. Nos N. N. Capitaneus et « Difensor Castri Sancti Marinì juramus regere et gubernare per sex menses proxime ventu- «ros ab hodierna die in antea Castrum S. Marini et ejus villas cum hominibus et rebus aliis «ad dictum Castrum et ejus Curtem perlinentibus toto nostro posse; et servabimus et sercari «toto nostro posse faciemus Statuta, bona, et ordinamenta in hoc libro posita et ponenda «ad honorem et Statum dicti Castri S. Marini: et ea bona & contrafucientibus auferemus «et observrari faciemus: et haec omnia obsercabimus bona fide, sine fraude. Sic me Deus « adjuvet ». Verso il finire del XVI Secolo, «lo Statuto in osservanza (scrive il Delfico) era tutto « lacero e consunto ed aveva gran bisogno d'essere riformato; così essendosi dopo molte « insistenze riconosciuta l’importanza dell’opera, dal General Consiglio ne fu ordinata l’ ese- « cuzione, e furono creati e nominati per correttori, revisori e riformatori dello Statuto. « Giuliano Corbello, Ippolito Gombertino, Coriolano Maggi, Mario Tosini, Gio. Batt. Belluzzi, ced Evangelista Sabatini. Questi però attaccati forse dall’ atonìa generale dei sentimenti di « pubblico bene, non procedendo con vigore all’adempimento dell’opera vi fu bisogno che «il Principe aggiungesse dopo due anni altri due cooperatori all’ impresa, nominando a « tale effetto Paolantonio Honofrio e Giovannantonio Leonardelli, i quali forse non furono « molto più attivi dei primi. Infatti crescendo tutto giorno le pubbliche querele per la « mancanza delle leggi, dopo dodici anni d’essersene riconosciuto il bisogno, fu prescritto « nel 1592, essendo al supremo reggimento della Repubblica Cammillo Bonelli e Paolantonio « Honofrio, che ogni giorno i Capitani si riunissero per tale oggetto in sessione con i de- « stinati revisori, e si desse anche libero l’accesso agli altri Giurisperiti ». Delfico, Op. cit. Tom. I. pagg. 46—47. Aggiunge poi lo stesso scrittore, Tom. II. pagg. 55—56. «Abbiamo già « veduto come finalmente dopo tante insistenze e tanto bisogno da una parte, e tanto torpore co trascuratezza da quella de’ riformatori e conditori del nuovo Statuto, questo finalmente « venne alla luce, fu pubblicato nelle forme, ed ebbe la popolare approvazione. Ma non « tardarono molto ad accorgersi che essendo nato sotto gli auspici della oscitanza, non po- « teva essere questo Codice il prodotto della ragione applicata alla considerazione di tutti i «rapporti da’ quali resultar deve una completa legislazione. Quindi nel General Consiglio « de’ 28 Gennaio 1602 fu proposto la necessità di rimpastare i nuovi Statuti, scorgendoli « peggiori dei primi, e spesso contrari l’uno all’altro. Cotal desiderio però non ebbe effetto, « considerando forse, che se in tanti anni non si era saputo o potuto far di meglio, meno cera apprezzabile nell’aceresciuta decadenza e mancanza di mezzi. Si contentarono quindi cche lo Statuto rimanesse nel suo vigore, e successivamente il Consiglio Generale o il Corpo « Legislativo con decreti e riformagioni, Vandiede modificando o riformando secondo le « occasioni ». SAassARI— Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari edito ed illustrato dal Cav. Don Pasquale Tola. Cagliari, 1850, 4. Appartengono questi Statuti al 1516, e così all’epoca in cui la Repubblica di Sassari era soggetta ai Genovesi. Il testo lugodorese è pubblicato per intiero (meno certe lacune che si riscontrano nel Codice) ma vi sono ancora i frammenti della corrispondente compilazione la- tina. Dopo una dotta prefazione il Tola referisce l’accordo tra Sassari e Genova dei 24 Marzo 10 BONAINI 1294 di cui aveva dato già la parte più essenziale il Manno nella Storia dî Sardegna, ed. 5. Milano 1835, 8.° pagg. 585—586. Lo Statuto è diviso in tre libri, nel primo dei quali si parla del Diritto pubblico interno e delle materie economiche, nel secondo del Diritto civile, e final- mente nel terzo del Gius criminale. Giova però avvertire che nel precitato accordo del 1294 si rammentano i Capitula et Consuetudines di Sassari, anzi in certo luogo le Antiquas Consue- tudines Sassarienses, Del rimanente questo Statuto Sassarese aveva già dato materia al Manno di lungo discorso (Op. cit. Tom. I. pagg 386—595) e brevemente ne aveva favellato ancora lo Selopis, Stor. della Legislaz. Ital. Tom. II. pagg. 152 e 155. Crediamo possa tornar pro- fittevole il dare qui i titoli dei vari Capitoli riferiti dopo questo principio: «In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Saneti. Ad honorem et reverentiam Dei « Patris omnipotentis, et Bcatae Mariae semper Virginis, Beatorum Martirum Gavini, Proti cet Ianuarii, atque beati Nicolai, et omnium sanetorum, et sanetarum Dei, et exaltationem « et magnificentiam....ad bonum et pacificum Statum Comunis Sassari. Hace sunt capitula « Statuta et ordinamenta, seripta ed exemplata, promulgata tempore nobilis viri domini « Cavallini de Honestis legum doctoris potestatis Sassari .... Dominicae Incarnationis anno « millesimo trecentesimo sexto decimo, Indictione quartadecima.... Lig. I 1. In juramentu dessu potestate. 2. In juramentu dessu cavallieri. 5. In juramentu dessu notariu. 4. Dessa pena dessu notariu. 5. Qui duos breves se iscrivan, et unu de cussos se vardet. 6. Qui sa potestate non dormat de nocte foras Sassari. 7. Qui sa potestate tegnat sa famizia, et issos Cavallos qui devet. 8. Qui sa potestate, over alcunu dessa famizia sua non mittat manu ad alcuna persone. 9. Qui sa potestate non fathat raunare su consizu, sensa sa voluntate dessos antianos. 10. De servare sos bandos dessa potestate. 11. De non facher conspirationes et iuras. 12. De non facher cumpagnias et ressas. 15. Dessos medicos et ispehtiales. 14. Qui alcunu pisanu non siat recivutu in Sassari ad habitare. 15. Iuramentu dessos homines de Sassari. 16. Jura de iscolcha. 17. Iuramentu dessos offitiales de romangna. 18. Qui sa potestate fathat unu gradu de muru. 19. De vider su fossatu et issos muros. 20. De non levore dessos benes dessu Cumone. 21. De non dare dessos benes dessu Cumone. 22. Comente se deven bender sos offitios dessu Cumone. 25. Dessos offitiales dessu cumone, et dessa pena de cussos. 24. Dessa electione dessos consizeris, et de cussos qui deven esser in consizu. 25. Qui neuna persone în sa essita dessu offitia pothat aver atteru offitiu, over avende offitiu. 26. Sa electione dessos majores de chita. 27. Dessa electione dessos portorarginos. 28. Dessa electione dessu massaiu de Sassari. 29. Sa electione, et issu offitiu dessos sindicos, et issa pena de cussos. 50. Sa electione dessos sensales, et issu salariu de cussos. 51. Electio offitialium staterae. STATUTI ITALIANI De circulis staterae. . Sa electione dessos juratos ad facher pacamentos et ad prethos. Sas confines dessa iscolcha de Sussari. ‘ . Dessos imbassiatores. . Sa libertate dessos homines de Romangna, . Dessos qui fraican testa ad via. . De non impazare sas vias. De adconzare sas vias. . Dessos contones. De non secare linna în su monte. De non ponner focu. Dessas concias, conciatores et pilacanes. . Dessos usureris. . Dessos fizos qui non obedin su patre et issa mama. . Dessas allocationes dessas domos. De non obligare sas possessiones suas ad atter. Qui neuna persona comporet rathones azenas de deppitu. Qui sa muzere non fathat carta sensa licensia dessu maritu. Qui neuna muzere pothat cassare sa carta dessa dota sua. Qui neunu pothat refutare alcunu capitulu de Sassari. De mitter sas ascendas in quaternu, et dessos notaios qui morin . Dessu salariu dessas ascedas, et dessa quircatura. Dessu ecemplu factu dessas cartas bullatas. De non comporare sos benes dessos ribelles. . Dessos patronos dessos linguos. De non batture sale de alcuna parte. Dessos corgios qui se deven vender, et comente. Dessu casu, lana et fune. De non vender sos corgios, si non in platha, et de vender su pane, et issas herbas. . De non andare ad portu pro comporare. . Dessos taverrargios, et comente sa petha se vendat in su macella. De non vender alcuna cosa sas festas. 11 Qui neuna persone comporet petha, over cosa mandicatorgia innanti de terza. . Dessos qui venden su palone, et issa linna. Dessos qui venden sas perdiches. Dessos qui venden su pische luvatu, et de non luvare. . Dessos qui venden su pische. Dessos qui fachen carnatu, et dessa bructura de cussu. De non gettare abba in via publica innanti de sonare sa campana. . Dessas molinargios, et dessa mesura dessa farina. Dessos barberis. Dessos furraios. Dessos carratores. De mendare sos cavallos mortos. Pi Dessu bestiamen mortu in vignas et avros. . De non occhier culumbos. Dessu bestiamen qui se devet batture ad sa logia. . Dessos dannos qui se fachen in sas domos dessas vingnas. . Dessa carra, et dessu dirictu de cussa. Qui zascatunu pothat ponner boes in vigna sua. BONAINI 82. Dessa via qui deven facher sos carratores. 85. Dessas feminas, qui vaen filande per issa via. 84. De mendare sos breves. 85. De non terrafinare alcunu. 86. Di non torrare su prestitu factu assu cumone ad tempus de Pisanos. 87. Dessos isbanditos. 88. Qui neuna persone pothat esser in sa electione, salvu sos electores. 89 Qui sos offitiales fathan iscricer sos contra fachentes. 90. Qui sa alga se iectet in certos locos. 91. Qui sas cosas qui se venden sian pinnos dessu qui laet venditu. 92. Dessos qui batten sas telas, et issu albache. 95. Qui unu notaiu de Sassari se eliat zascatunu annu. 94. stu modu. Qui ad nennu offitiale, over ad altera persone se fathat provisione, salvu in ecu- 95. Qui sa potestate non pothat dimandare sergentes. 96. Qui neuna femina baiat ad sos mortos. 97. Qui sos clamatores dessos offitiales iuren. 98 99. Qui neunu se vochet de possessione, sensa esser litigatu. Dessa electione dessos antianos. 100. De non impazare sa abba dessos molinos. 101. 102 De non batture vinu daue terra manna. . Qui non si provet cum testimognos contra carta. 105. Dessos pacatores. 104 105 106 . Dessas dotas. . Qui su muzere. . Qu su bestramen non si accattet de die, over de nocte in bingnas, over avros, nen de nocte infra custos confines. 107. Quì nensiunu non baiat ad vizatorgiu. 108. Qui duos homines si elian omni annu supra quircare sas furas. 109 110 . Qui sas cosas se vendan ad pesu sardiscu. . Qui alcunu non pothat esser de consizu, qui non fathat sas acarias in Sassari, nen massaiu de Romangna qui non est natu in Sassari. 111 rer, lu no 112 115. 114. 115. pitulos . 176. 117. 118. 119. 120. 121. . Quando alcunu foristeri aet morrer in Sassari, cusse, in domo de chen aet mor- tifichet assa potestate. . Quantos deppian esser sos missos dessu Cumone, et dessu salariu de cusos. Qui non se futhan plus de III Silvas su annu. Qui alcunu de Romangna non fathat presente assa Potestate prossa villa. Qui sa Potestate et iussu Cumpagnone, et iussu Notaiu deppian observare sos ca- Qui neunu dessa famiza dessu potestate pothat accusare. Qui alcunu non pothat comporare tridicu, si non in sa platha. Qui alcunu de Sassari non mendichet cum sn Potestate. Qui alcunu non siat contumace assa potestate, neu ad su Cumpagnone. Qui neuna persone mittat manu contra alcunu officiale dessu Cumone. Qui sos homines de Flumenargin deppian provare sas furas et ipsos dannos, se- cundu comente furun usatos. 122 125 124 125 2. Dessos accimatores. . De ponner sa data et issu vadu dessu muru. . Qui su massaiu de Romangna, et issu iscrivranu non levet presente. . Qui zascatunu pothat dare sacramentu foras de corona de zascatuna dimanda. 126. 127. 128. 129. 150. 151. 152. 155. 154. 155. STATUTI ITALIANI 13 Qui neunu comporet casu oper lana, si non în sa platha. Qui neunu deppiat receptare alcunu isbanditu. De non pastinare vingna. Qui su vinu se vendet ad pinta. De marcare sos corgios. Qui provisione alcuna non se fathat ad alcuna potestate. De non levare sos benes dessos foristeris accumandatos in Sassari. De adconzare sas vias. Qui sos notaios non fathan sa arte in sas dies infra scriptas. Qui su massaiu, over curatore de Nurra non deppiat legare presente, et de aver su salariu usatu. 156. 157. 158. 159. 144. . 145. 146. 147. 148. Qui zascatunu pothat iscontare in sos benes dessu Cumone. Qui neuna potestate deppiat andare foras dessu districtu de Sassari. Dessos teulargios, et dessos qui fachen teula. Dessos carratores, et dessu prethu dessa carrata. Dessas guardias, et comente se deven ponner. Qui neunu offitiale pothat aver salariu daue su Cumone. Qui omnia annu se clamet unu notaiu de Sassari per sos sindicos. De provare sas furas, et issos dampnos de Flumenargiu, et dessa iscolcha de Cherqui (*). 149. 150. chan data. 151. Dessa electione dessos sindicos dessu Cumone de Sassari. Qui sos homines de Sassari non pothan esser maiores in Romangna sì non pa- Qui sa potestate, cucalleriî, et notaiu dessu Cumone de Sassari non pothan nego- thare per se, over per altera persone. 152. 155. Qui sa potestate de Sassari non pothat, nen deppiat aver alcunu arbitriu. De non procedere in persone, over cosas, contra alcunu datu pro casione de alcunu dampnu, over furtu. 154. 155. 156. 157. 158. 159. 160. DI Gi CI 19 7. 8. 9. De non tormentare alcuna persone de Sassari pro casione de malefitiu. De provare sas furas et ipsos dampnos de Eristola, Octavu et Septupalmas . De ferita dubitosa. Qui in zaratuna porta de Sassari se pongnan duas tuppas. Dessos dannos, qui saen facher et dare in Romangna et Flumenargiu. Dessu salariu dessu guardianu dessa presione. Dessu bangnu de Sassari. Lig. II. . De facher erede et de lassare sos benes ad chen bolet. - Dessos fizos qui morin sensa testamentu, et sensa fizos. De non vender sas possessiones dessas muzeres. . Dessas richestas, et istasinas. . Dessos qui san richestos personalemente, et assa domo. . Dessos contumaces. Qui sas sententias dessas coronas et dessos consizos se leian. Dessu deppitu factu daue su maritu sensa sa muzere. In itteu guisa se fathat pacamentu ad ecusse qui demandat in sos benes, over în sa persone dessu deppitore. (*) Non solo questa ma ogni altra successiva rubrica fino a tutto il presente primo Libro, man- cando nel MS., vennero supplite dall’ Editore. Scienze Noolog. T. II, b 14 BONAINI 10. Dessos qui cunfessan, et negan. 11. De pacare sas ispesas factas in lite. 12. Dessos richestos în frodu et ‘dessas caparras datas. 15. Qui sa potestate fathat rathone sensa corona. 14. Comente sa potestate devet tractare sos furisteris. 15. De mentovare su datore. 16. Dessas possessiones obbligatas pro deppitos. 17. Dessa corona clompita, et dessu numeru de cussa, et quantas coronas se fachen sa chita. 18. Dessos destimongnos. 19. Su modu dessos pacamentos. 20. Dessos ewecutores dessos testamentos et dessos deppitos contentos in su testamentu. 21. Dessus dannos et guastos, et dessu salariu dessos iuratos et missos. 22. Dessos tutores, et curatores. 25. Qui sa potestate diffiniat sas questiones qui aen esser inter persones istrangias. 24. De deppita pacatu. 25. Qui su reu det assu actore pagaria. 26. Su termen dessa istasina. 27. Qui neunu pothat opponner daver vinchitu alcuna cosa. 28. De prescriptione de possessiones et de deppitos. 29. Capitulu dessos bandos. 50. Dessos pacamentos factos, et dessos qui los possedin. Dessos maritos qui venin în povertate. De dare sacramentu assu dimandatore prossu deppitu qui se dimandat. Qui neunu pothat dimandare deppitu sensa carta, passatu duos annos. Dessa possessione mezorata. Qui zascatunu pothat procurare pro chen aet boler. . De non rumper pache. Dessas appellationes . . Quale die si deppian firmare sos pacamentos. . Decretu pro sas appellationes, comente sì depiant seguire. 40. Pro su dampnu qui faghent su bestiamen grossu et minuda in sas bingias et possessiones. SEEPEFERE 41. De non staxire corpus de homine, nen de femina mortu. 42. Quì neunu corssu non pozat aver officiu în sa citadi de Sasari nen districtu de CUSSA. 45. De su modu de faquer sa castaldaria . 44. De marcare su arguentu. 45. (Quest introduzione all'approvazione dei capitoli seguenti non ha rubrica). 46. Capitulu factu supra sos angiones. 47. De sos qui ant furare bulu a vida 0 a morte. 48. Furas de cavallos et de cbas. 49. De sos qui ant furare berveques o cabras. 50. Sos qui oquint, o furant porchos. 51. De sos qui furant asinos ad bida, 0 a morte. 52. De sos qui faguent dannu cum canes andando a caza. 55. Capitula de sos qui narant traitore. 54. De sos qui narant corrudos. 55. Decretum. 1. 2 5) 4. 5) 6 id STATUTI ITALIANI 15 Li. II. Dessu michidiu. . Dessos qui ferin, o ochien sos isbanditos. . De cussos qui ferin. Dessos feritos de nocte. . De membru secatu. . Dessas muzeres qui ferin. Dessas feminas qui ferin sos homines, et dessos malefitios factos daue innanti dessa potestate. 8. 9. Dessa testimonia dessas muzeres. Qui sa femina accusata non siat tenta de venner personalemente, et dessu termen dessas accusas. 10. 115 12. 15. 14. 15. 16. 17. 9 O È 1 DI VI DI SI CI DI N RO I IM NN USFAAEAIRSILEENSEARNOI 59. 40. 41. De rincherrer su malefactore. De non facher adsaltu contra alcuna persone, et de non bocare gurtellu. Dessos qui curren ad remore. De non secare trizas et brachile. Dessas armas vetatas. Dessu iocu dessas virgas, et dessos verrutos. Dessos qui dimandan securtate dessa persone. Dessos qui vaen de nocte. Dessos qui ferin sus iannas de nocte. Dessos qui passan per issos muros. Dessos qui vardan sos muros. Dessas furas et dessos furones. Dessos arrobatores, et iscaranos. De non reciver su furore, nen issa fura, nen issu adrobatore. Dessos qui furan sos sereos, 0 anchillas. De iscriver sos factos dessos furones et adrobatores. Dessa guardia dessas vignas, et dessos ortos. De non bocare arbores. De non secare vingna azena. . De non secare vite daue vigna azena . De non marturiare sos ligeros. . De non isforthare sas feminas. De non flastimare a Deu. De nom narrer paraulas iniuriosas . . De falsos destimongnos. . Dessos qui falsan sa moneta. Dessas falsas mesuras et pesos. . Dessos arghentargios. 08. Dessas sapunaiolas. Comente se devet condempnare dessu malefitiu, qui non est în breve. Dessa condempnatione dessos terramangnesos. De leier sas sententias in su confizu maiore, et dessu terinen, in su quale sas condempnationes se pachen. 42. 45. 44. 45). 46. De riscattare sas condempnationes. Dessos qui non se lassan pignorare, et itteu cosas deven levare sos missos. De tenner sos malefactores. Dessu salariu dessos sergentes. De falsos notaios, et de cussos qui adoperare falsitate. 16 BONAINI 47. Dessos qui iocan ad datos, et dessu iocu de cussos. 48. Qui su Cumone lecet pacamentu dessos benes dessos isbanditos. 49. Dessos lingnos de cursu, et dessos qui vaen in cursu. 50. Ut vir non accipiat uxorem, vivente uxore, et mulier non accipiat virum, vivente viro. Savona— Statuti Politici della Città di Savona tradotti in volgare. Genova, 1610, f.” — Statuta Criminalia Civitatis Savonae. Genuae, 1610, f.° ScAnDIANO— Statutorum Scandiani impressio secunda; quibus accessere pro com- modiori usu et intelligentia nonnullae Ordinationes, Reformationes ac alia ad publicam utilitatem spectantia. Regii, 1669, 4.° Trovasene un esemplare nella Biblioteca dell’ Università di Pisa. SiciLIA— Statuta seu Constitutiones Regni utriusque Siciliae. Lugduni, 1560, f.° — Statuta seu Constilutiones Prammaticae Regni Siciliae Italicae. Panormi, 1583. Siena — Fragmentum Constituti Novi Communis Senensis, An. MCCLXXXVIII. Sono sole otto Rubriche nelle quali trattasi dell’ Uffizio del Podestà pubblicate dal Muratori, Ant. /tal. Medii Aevi ed. Aret. 4.° Tom. IX. 761—776. Delli Statuti del Comune Sanese, dei quali non abbiamo a stampa veruno, giova par- lare colle parole stesse del Benvoglienti quali si leggono nelle note allo Statuto Pistojese datoci dal Muratori, in Antig. Jtal. Medii Aevii ed. Aret. 4.° Tom. X. 655—65$8. « Per ricono- « scere meglio (esso scrive) il tempo di questa Libertà, sarebbe necessario riconoscere il tempo « dell’ origine di diversi Statuti nell’Archivio delle nostre Riformagioni. Ve ne sono di più « tempi; ma non si sa se vi sieno i più antichi. Con questa gelosia è tenuto questo Archi- « vio, e forsi di ciò ne è la cagione, perchè desiderano, che altri non sappiano quello, che i « Custodi non intendono; e perciò amano piu tosto, che i Libri fiano mangiati dalle tigniole, « che ne sia fatto aleun buon’ uso. Laonde io non saprei dir cosa di certo intorno al tempo « de’ medesimi. Nulladimeno io eredo certamente, che nel tempo di Federigo I. Imperadore « venissero alla luce. Egli fu assai lodato dal nostro Enea Silvio nella Vita di Federigo HI. « Imperatore. Egli dice, che Federigo I. amava molto le Lettere, e certo aggiungerò io, che cal tempo suo la Lingua Latina incominciò a risorgere, e le leggi incominciarono ad aprire «la mente de’ nostri Maggiori; e concesse qualche Libertà a que’ Popoli che erano del suo « partito. E certamente in uno Strumento de’ Cacciaconti posto al Num. vil. è citato il Breve « de’ Consoli, che senza dubbio è fatto nel tempo del mentovato Imperadore. Nello Spedale « della Scala v° è una copia de’ nostri Statuti compilati nel 1270 in circa; dalla lettura de? « quali apertamente si riconosce, che i nostri Maggiori fin dal 1259 avevano Statuti. In questi «a fol. 75 si legge: De compellendo qui muraverit super muro Communis, ad faciendum « merlos, et pectorale. Et quicumque Civis Senensis, qui habet juxta murum, ab hodie in an- « tea, quod est 1259 de mense Septembris, compellam ipsum facere merlos et pectorales ita « bonos, sicut illos, quos coepit. Et si quis contrafecerit, centum solidos sibi auferam. Nel « mentovato Strumento fatto nel 1197 chiaro mi pare, che si ravvisi, che i Sanesi avessero i « loro Statuti, leggendovisi: Et Franchisiam tenebimus, sicut în Brevi Consulum continetur ». Al presente gli Statuti inediti del Comune di Siena trovansi pressochè tutti nell’Ar- chivio delle Riformagioni. Se non che, come vedrassi, di Statuti, in special modo delle Arti è ricca la Biblioteca Comunale. A dire alcuna cosa di questi ultimi vuolsi osservare averne parlato assai distesamente il De Angelis nel Catalogo dei Testi a penna dei Secoli XIII, XIV STATUTI ITALIANI 17 xp che si conservano nella pubblica Biblioteca di Siena, il quale fa seguito ai Capitoli dei Disciplinati della Ven. Compagnia della Madonna sotto le Volte dell’I. e R. Spedale di S. Maria della Scala, Siena 1818, 8.° Il Gigli poi fa menzione delli Statuti di Siena volgarizzati nell’anno 1556 da Ser Mino di Feo veduti da esso nella libreria Chigi e presso il Benvo- glienti (Diario Sanese, Lucca 1725, 4.° Tom. I. pag. 258, Vocabolario Cateriniano, pag. XL). Il Rumhor, Zialienische Forschungen, Berlin und Stettin 1827—1851, 8.° II. 141, riporta una particola dello Statuto Sanese (III, IV) in cui è ordinato che Maestro Giovanni del già Nic- cola da Pisa goda della civiltà Sanese ed abbia esenzione perpetua dalle pubbliche fazioni. Piace di inserire a questo luogo alcune indicazioni di siffatti monumenti comunque inediti tolte dalla precitata opera del De Angelis. « 1510. Questo Constitudo fue volgarizzato per me Ranieri Ghezzi Gangalandi Notajo, « per comandamento de’ signori Camarlengo, e quattro Provveditori del Chomune di Siena, « cioè la metia al tempo di Frate Giacomo del Humiliati Camarlengo, e di Griso Manieri, di « Messer Gabriello de Piccogliuomini, di mes. Guido di mes. Niccolò de Malevolti, e di Bo- « naventura Bartolomei de Marzi, quattro Provveditori del dieto Comune negli ultimi sei « mesi correnti Anni Domini MCCCX. E l’altra metia al tempo di Fra Bartolommeo de l’Hu- « miliati, Camarlengo, e di Renaldo di mes. Stricca; Niccolò Spinelli. Bindo di mes. Gero, «e di Guido Biadetta, quattro Provveditori di ditto Chomune nelli primi sci mesi correnti « Anni Domini MCCCX—MCCCXI ». Non posso tralasciare di riferire la ragione che porta lo « scrittore di questo volgarizzamento. A scrivere, dice egli, uno Statuto del Chomune di « nuovo in volgare, di buona lettera grossa, ben leggibile a l’altre persone, che non hanno « grammatica. Cod. in perg. bon, lit. nell’Arch. delle Riform., e la copia nella Bibliot. Cod. «cart. in f. C. 11. 16». SienA — Riformazione del Governo della Città e Stato di Siena fermata per S. E. Illustrissima del dì 1.° Febbraio 1560. Firenze, presso il Giunti. Edita nuovamente dal Cantini, Legislazione Toscana, Tom. IV. pagg. 116—152. — Provvisioni et Ordini particolari delli Capitani e Podestà dello Stato della Città di Siena con li Joro compartimenti, così nella cognizione delle cause civili come criminali con la descrizione de’ Salari e Bullettini del dì 1.° Giugno 1571. Sie- na, per il Bonetti. Edite nuovamente dal Cantini, Op. cit. Tom. VII. pagg. 514—562. — Statuti delle Compagne del Popolo di Siena del principio del Secolo XIV. Sono scritti italiamamente e sono divisi in ventinove articoli: gli ha pubblicati il ch. Giuseppe Canestrini nell’Arch. Stor. Ital. Tom. XV, pagg. 15—25. — Lo Statuto dell’ Università dei Mercanti e della Corte de Signori Vfîfitiali della Mercantia della Magnifica Città di Siena nuovamente riveduti et con molta diligentia corretti e riformati dalli Magnifici infrascritti gentilhuomini acciò deputati. Et perchè ciascuno possi haverne benefiltio e commodo per ordine et commessione dell’ Illus. S. Governatore si sono fatti stampare dal molto ma- gnifico et ecc. sig. Auditore M. Niccolò Beltramini e dalli Magnifici M. Anton Maria Petrucci Segretario delle Leggi e M. Orlando Malevolti (lo Storico). Questo Statuto è diviso nelle seguenti distinzioni: 1.* Del modo dell’eleggere gli Uffiziali e lor Ministri e loro obblighi. 2.3 Dell’ordine del procedere nelle liti e cause. 5.° Del modo di convenire fra i particolari. 4.2 Dell’ Osservazione delle Arti. In fine: Siena, appresso Luca Bonetti, 1572, 4.° 18 BONAINI Sigena— Statuti dell’ Università de’? Mercanti e della Corte degl’ Offiziali della Mer- cantia della Città di Siena del dì 2 Aprile 1644. Firenze, per il Bonetti. Ripubblicati dal Cantini, Op. cit. Tom. XVII. pagg. /—770, il quale soggiunge: « Questi « Statuti nella maggior parte sono quei medesimi che nella città di Siena ne’ tempi della « Repubblica erano in osservanza in quei Tribunali, ove si agitavano le cause de’ Negozianti. « Le variazioni che s’ incontrano sono poche, e forse fatte non tanto per remuovere quella « frode che dagli uomini contro le leggi si pratica, quanto ancora per ridurre questa parte « di Legislazione Sanese meno diversa alli Statuti del Tribunale della Mercanzia di Firenze. « Il più antico Statuto che trovasi della Mercanzia della città di Siena è dell’anno 1542, ma « è assai ragionevole il credere, che anche più anticamente quella Repubblica avesse raccolte « quelle disposizioni in più tempi pubblicate, le quali riguardavano gli affari mercantili, poi- «chè in aleune Rubriche di quello si trovano i vecchi Statuti rammentati. Un altro Statuto « trovasi compilato nell’anno 1558 in lingua toscana, che meriterebbe di veder la ‘pubblica «luce il quale fu riformato nel 1472, e di nuovo nel 1572. I molti abusi che s’ introdussero « nel Tribunale della Mercanzia in pregiudizio dei privati interessi, ed in offesa alla giustizia « fecero risolvere il Granduca Ferdinando I. ad ordinare che un altra volta si riformassero «e si aggiungessero quelle ordinazioni che credute fossero sufficienti a togliere qualunque « abuso e disordine, e ordinò per questo effetto che fossero eletti dalla Balìa quattro Revisori, «il quale ordine essendo stato trascurato, venne rinnovato dal Granduca Cosimo II. con suo « Reseritto del 24 Ottobre 1611 e allora il Magistrato della Balia nel dì 10 Gennaio di quel « medesimo anno ab incarnat. elesse in riformatori dei detti Statuti il Dottor Muzio di « Ascanio Brogioni, Alessandro del Dottor Celso Sozzini, Giacomo di Guido Guiducci e Orazio «di Ventura della Ciaia, i quali nel dì 12 del medesimo mese di Gennaio essendo stati « approvati dal Governatore di quella città, che era allora Carlo Gonzaga, eseguirono la « Commissione riformando lo Statuto nel modo, che da noi è stato prodotto al pubblico » . Giova quì soggiungere l’ elenco delli Statuti inediti dell’arte dei Mercanti quale lo ricaviamo dalle opere del Gigli e del De Angelis già citate: «1287—1561. Statuti della Mercansia di Siena, compilati in diverse volte dall’anno « 1287 al 1561. L’originale di questi sta nella curia degli Uffiziali di Siena, ed una copia « fedele nella libreria del Collegio Romano ». (Gigli, Vocad. Cater. pag. xL.). « 1558. Lo Statuto dell’arte de’ Mercatanti dell’anno 1558». (Gigli, Diario, Tom. I. pag. 258). «1542. Statuti e Costituzioni della Università della Mercanzia della città di Siena. « Cod. in perg. in fol. con finissime miniature in principio. Bon. lit. H. III. 8.» (De Ange- lis, Catalogo ec. pag. 240). « 1552. Statuto antico della Mercanzia.—AI nome della Santa et Individua Trinità ec. «e della gloriosa Vergine regina de’ celi ec. e a reverenza della santa Chiesa di Roma, e di « Messer Papa Innocentio VI. ec. e del Cristianissimo Imperatore Carlo IV, al quale Dio dia « grazia di dirazzare il mondo ec. — Fin. — La voce sopradetta caschi in pena di lire quattro « per ciascheduna volta. — Cod. in perg. in fol. bon. lit. H. III. 5.» (De Angelis, Op. cit. pagg. 208—209 ). « 1555. Statuti dell’ Università de’ Mercanti, fatti al tempo d’ Innocenzo VI. e Carlo IV. « Cod. in perg. in f. con miniature vivissime in principio con campo d’oro. H. III. 4.» (De Angelis, Op. cit. pag. 240). — Statuti dell’arte de’ Pittori Sanesi dell’anno MCCCLX. Una parte di questo Statuto fu stampato dal Della Valle, Lettere Sanesi, Tom. I. Per intiero ce lo ha dato il Gaye, Carteggio inedito d’Artisti dei Secoli XIV, XV e XVI. Tom. II. pagg. 1—51. Sul ms.' d'onde venne tratto è da vedersi il, De Angelis, Op. cit. pagg. 209—210. STATUTI ITALIANI 19 SrENA — Statuti degli Orafi Sanesi dell’anno MCCCLVI, Pubblicati dal Gaye, Op. cit. Tom. I. pagg. 1-44. Il De Angelis reca notizie d’altri Statuti inediti degli Orafi (Op. cit. pag. 240) che quì referiremo a maggior completamento di quanto vuolsi scrivere sulli Statuti di Siena. « 1560. Breve dell’arte degli Orafi, riformato a tempo di Giovanni Ghinucci Rettore, «e di Domenico di Maestro Veri Camarlengo negli anni Domini 1560. Cod. cart. in fol. co- « pia. H. V. 15. « 1561. Breve dell’arte degli Orafi della città di Siena. Cod. in perg. in 4.° X. V. 14. Siena nella sua Biblioteca pubblica ha inoltre altri Statuti inediti di molte e diverse Arti dei quali non crediamo inutile dare indicazione attenendoci al Catalogo del De Angelis, pagg. 178, 197, 216, 240—241, 278—279. Avvertiamo inoltre come queste stesse indicazioni, siano pure presso l’ Ilari nel suo Zndice per materie della Biblioteca Comunale di Siena. Siena, Tipografia dell’Ancora, 1844—1848, vol. 7 in 4.° « 1542. Questi sono gli ordinamenti allo Statuto dell’ arte de’ Pellicciari fatti e orde- « nati ec. Anno MCCCXLII nel mese di Aprile. Cod. cart. in fol. F. IV. 29. In pergam. H. «VI. 11. « 1545. Statuti e ordinamenti dell’arte de’ Pellicciari. Cod. in pergam. in 4.° confer. « fino all’anno 1776. H. V. 9. « 1505. Statuto de’ Calzolai. Cod. in pergam. in 4.° manca la prima pag. H. S. 7. « 1558. Statuti dell’arte de’ Calzolari. Cod. in pergam. bon. lit. in 4.2 con le conferme « del supremo Magistrato della Mercanzia di anno in anno fino al 1674. H. V. 8. « 1580? Breve dell’arte de’ Cuojai e Calzolari della città di Siena. Cod. in perg. in c4° H. V. 15. « 1565. Capitoli dell’arte della Spezieria. « Questi sono ordinamenti e provvisioni fatti « per certi savii, e discreti uomini negli anni MCCCLV. » Cod. cart. in fol. E. IV. 9. « 1544. Breve dell’ arte de’ Bastieri. Cod. cart. in 4.° copia. H. V. 10. « 1594. Breve delle arti degli Spadari, Agutari e loro conferenti della città di Siena. « Cod. in pergam. in 4.° H. V. 18. « 1551. Breve dell’ Università degli Albergatori. Cart. in 4.° copia. H. V. 12. « 1298. Statuti della nobile Università della Lana della città e stato di Siena del 1298. « Riformati nel 1425, ricorretti nel 1764 da Filippo Donati Cancelliere. Con aggiunte in fine. « Cod. cart. in fol. H. VI. 25. « 1425. Statuti e privilegi dell’ arte della Lana della città di Siena. Cod. in pergam. cin fol. H. V. 20. « 1441. Breve dell’arte della Pietra, ossia degli Scarpellini della città di Siena del 1441. « Copia fatta nel 1576 in fol. Cod. cart. H. VI. 20. « 1446. Breve dell’arte de’ Lignamen, cioè Legnaiuoli della città di Siena. Cod. in « perg. in 4.° H. V. 21. « 1474. Statuti dell’arte de’ Tessitori di panni lani della città di Siena. Cod. in perg. « con rub. in fol, bon. lit. H. VII. 7. « 1489. Breve dell’arte de’ Muratori del 1489, Cod. in carta comune in fol. copia. « H. VI. 22. c 14 . Statuti dell’arte della Seta della città di Siena. Cod. cart. in fol. H. VI. 25. « 12871561. Lo Statuto dei Carnaiuoli dall’ anno 1287 fino all’anno 1551. (Gigli, « Diario ec. Tom. I. pag. 258). SINIGAGLIA — Il Pardessus, Collection etc. Tom. V. pag. 99, ricorda un edizione degli Statuti di Sini- gaglia del 1584. 20 BONAINI SocLiETTA— Vedi Valmarena. SpoLETOo — Statuta Civitatis Spoleti. Spoleti, 1543, f.° Susa — Statuta et Privilegii Civitatis Secusiae ab anno 1197 ad annum 1449. Stampati dal Cibrario nei Monumenta Historiae Patriae Leg. col. 1—27. TERNI — Nota l’Angeloni (Historia di Terni, Roma 1646, 4.° pagg. 86—88) « che ‘entro una « lapide murata sotto il portico della cattedrale di Terni, leggesi in lettere longobarde, che « scrivendo Corrado al Magistrato et ai Consoli di essa città, rimette loro l’entrate de’ danni « dati e del maleficio, ritenendo per se li soli beni di coloro, che i Consoli havevano esclusi « dalla città; e per recognizione del retrocedere ad essi le suddette entrate, si composero « di fare al Duca alcuni donativi, come dall’ infraseritto tenore di quella, si trae: « %g MACHABEUS ( IN DEI NOMINE AR EIUS « NATIVITATE DNI. MILLESIMO CENTESIMO « OCTUAGESIMO SEPTIMO TEMPOREFRE € DERICI IMPERATORIS: DIE QUARTA ENTRAN « TE MEDIO INDICTIONE QUINTA « HOC QUIDEM TEMPORE EGO CON « RADUS DEI GRATIA, ET DO « NO SERENISSIMI IMPERATORIS « FEDERICI DUX SPOLETI « ET COMES ASISI FACI « 0 VOBIS CONSULIBUS « 'TERANNENSIBUS SI « LICET ET MARTINO, ET SENE « BALDO ET UNIVERSO « POPULO TERAMENSI « MAIORIBUS ET MINORI « BUS CLERICIS ET LAICIS « MASCULIS ET FEMINIS « EX POTESTATE DNI. IMPERATORIS ET DNI. « REGIS ET NOSTRA FINEM ET « REFUTATIONEM DE OMNI « BUS QUECUNQUE NUNC VO « BIS DICERE POTUI Topr— Statuti del MCCCXXXVII. Senza dirci se siano inediti oppure stampati ne dà alcuni accenni il Garampi, Memo- rie eccles. della B. Chiara di Rimini. Roma 1755, 4.° pagg. 500—501, 506. Torino — Statuta et Privilegia Civitatis Taurinensis, Saec. XIV et XV. « EX MALEFICIJS VEL « EX ALIJS QUIBUSQUNQUE EA « USIS EXCEPTIS IL « LIS REBUS, QUAS NUNC « POSSIDEO DE BONIS « ILLORUM QUI EXPULSI « SUNT A VOBIS PRO QUA SI « NE ET REFUTATIONE RE « CEPI A VOBIS NONAGINTA TRES LIBRAS « LUCENSES MINUS VIGINTI LIBRAS « ET ALIAM CARTULAM QUAM VO {« BIS FECI UT BANNUM SIT « QUINDECIM SOLIDORUM, ET NOB UL « TRA ET FIRMAM, ET ILLIBA « TAM HABERI VOLO ET QUIC « QUID IN EA CONTINETUR « CONFIRMO ITEM AMMO « DO IN ANTEA NEQUE « EGO NEQUE CONSULES. « VESTRE CIVITATIS PRESEN « TES VEL FUTURI VEL « BAIULI MEI QUI PER TEMPORA FUERINT « BANNUM ULTRA TRES LI BRAS LUCENSES SUPER VOS VEL CONTRA VOBIS ». Stampati dallo Selopis nei Monumenta Historiae Patriae Leg. Tom. II. col. 4355—750, Se ne ha pure una tiratura a parte con questo titolo: Statuta et Privilegia Civitatis Tauri- nensis, edente Friderico Sclopis. Aug. Taurin. ex Typ. Regia, 1855, in 8.° Lo Sclopis stesso ne ha ripubblicate varie parti nella sua novella e lodata Opera che ha per titolo Saggio LI STATUTI ITALIANI 21 Storico delli Stati generali e d’altre Istituzioni Politiche del Piemonte e della Sacoia corre- dato di Documenti. Torino 1851, 8.° pagg. 75—85, 90—95, 111-115, 117—118. « Alle falde « delle Alpi, Torino, suddita ai Principi di Savoia, ebbe un codice municipale. Si rammen- « tano dagli Storici, ma non si conservano gli Statuti dati alla città da Tommaso II, da « Tommaso II nel 1280, da Caterina di Vienna vedova principessa d’Acaia nel 1555, e quelli « fatti dal Consiglio della città stessa nel 1542. —I più antichi Statuti Torinesi, che siensi « serbati intieri, sono quelli della riforma dell’anno 1560, cioè quando Amadeo VI, Conte « di Savoia, avendo sconfitto Giacomo, Principe di Piemonte e d’Acaia, mutò gli ordini dello « Stato nelle terre al di quà dei monti dipendenti dalla corona di Savoia. Giovandosi del- « l'opportunità del nuovo regno il consiglio della città ordinò e condusse a termine la « nuova compilazione delle Leggi municipali, che nel 6 di Giugno dell’anno suddetto in « Torino fu approvata dal Conte di Savoia. Questi Statuti rivolti specialmente ai servigi « interni e alle ragioni del Comune, sono pure notevoli per varii ordini sopra il processo « civile e criminale. — Vogliamo solamente ricordare la rubrica di detti Statuti, sotto la « quale si prescrive, che nascendo contesa di termine e confine di poderi e di case tra cit- « tadini ed abitanti di Torino, debbasi anzitutto curarne la composizione amichevole; e l’al- « tra rubrica, che prescriveva non mai potersi mandar prigione un cittadino torinese, se « prima non fosse stato presentato alla casa del giudice ». Sclopis, Stor. della Legislaz. Ital. Tom. II, pagg. 154 e 155. TorTtoNA— Statuta Civitatis Derthonae. Mediolani, 1573, f.° TRANI— Ordinanze Marittime di Trani del MLXIII, o più veramente del MCCCLXIII. Testo volgare stampato nelle due già rammentate edizioni delli Statuti di Fermo d’onde lo ricavò il Pardessus che vi aggiunse la versione francese con sapienti annotazioni, e che ne dette successivamente il testo medesimo secondo l’edizione del 1589 (Collection etc. Tom. V. pagg. 257—251). Pare fossero scritte originariamente in volgare. Il Pardessus discute a lungo quello che concerne l’autenticità della data che riporta al 1065. Lo Selopis (Storia della Le- gislazione Italiana, Tom. I. pagg. 168—170) pei motivi d’induzione espressi dallo stesso Pardessus crede compilato questo Statuto nel 1565 e però afferma non potere la legge di Trani esser chiamata la primogenita delle leggi marittime che avessero gli Italiani. E questo sentimento consuona anche con quanto allo stesso proposito aveva già significato nell’anno precedente (1859) il Libri « Si l’on devait s’ en rapporter uniquement à l’année qui se trouve « dans un document pour cen fixer la date, il faudrait admettre que le Statut de Turin « (Trani), inséré par M. Pardessus dans sa Collection des lois maritimes (Tom. V. pag. 257), «est antérieur à celui de Genes, puisqu’ il commence ainsi: Al nome delo onnipotente Dio, «amen. Millesimo sexagesimo tertio prima indictione. Quoique cette premiere indiction, « s’ accorde effeetivement avec l’année 1064, je crois qu'il y a ici un erreur de date, et «qu'il faut lire millesimo trecentesimo sexagesimo tertio, qui concorde aussi avec la pre- « mière indiction. M. Pardessus m’a fait l’ honneur de citer (ibid. Tom. V. pagg. 221 et 222) « plusieurs objections qui me semblaient s’opposer è cette date, et il les a combattues: mais, « malgré l’autorité de cet illustre jureconsulte, je demande la permission de persister encore « dans mon opinion. Je crois que si l’on cherche avec soin dans les documents contempo- « rains, on trouvera, vers l’ année 1565, dans le royaume de Naples, quelques-uns au moins « des noms des consuls (« Messer Angelo de Bramo, Messer Simone de Brado, et Conte Nicola « de Roggiero de la città de Trani») cités au commencement de ce statut ». Notice des Col- lections Historiques qui se publient a Turin. Patis 1859, pag. 55. Scienze Noolog. T. III. c 29 BONAINI TRAU — Statuta Civitatis Tragurii. Venetiis, 1708, 4.° Giova rammentare come allora la Dalmazia fosse soggetta al Dominio Veneziano. TrEcATE— Statuti e Ragioni diverse della magnifica Comunità di Trecate. Mi- lano, 1741. TRENTO— Statuta Civitatis Tridenti. Tridenti, 1528, f.o — Statuta Civitatis Tridenti a Bernardo Episcopo. Tridenti, 1707, f.° — Statuti e Provvisioni Municipali della Città di Tridenti e sua Podestaria. Tri- denti, 1707, f.° TrEvIso— Statuta Provisionesque Ducales Civitatis Trevisii, cum additione tertii voluminis Constitutionum et Literarum Ducalium. Venetiis, 1574, f.° Nella Nuova Raccolta d’ Opuscoli del Calogerà, Tom. X, pagg. 265—299, avvi una lettera dell’Azzoni-Avogaro al Conte Giordano Riccati per chiarire il senso legale della voce incontrum che si legge negli antichi Statuti di Trevigi. TriestE— Statuta Civitatis Tergesti. Utini, 1727, f.° TrescHIETTO — Statuta et Ordinamenta Communis et Terrae Treschietti, fa- cta, et ordinata tempore, et sub felici regimine Multum Illust. D. Ioannis Gasparis, olim Multum Illust. D. Io. Laurentii Malaspinae Marchionis, et Domini totius Marchionatus Treschietti, ete. Parmae, Tipys Erasmi Viothi. Superiorum concessu. M. D. LXXXVI. 4.° Appartiene questo Statuto al feudo di Treschietto cui dominava un ramo dei Mala- spina e che aveva in questo tempo annesse le terre di Vico e Iera. Il Marchese Giovanni II, giusta quanto si afferma, nel 1420 approvò gli Statuti e Privilegi antichi di Treschietto . Il Marchese Gioan Gasparo era investito del Feudo Marchionale da Rodolfo II nel 1567, succe- dendo al padre Gioan Lorenzo II, e morì nel 1606. Gerini Memorie Storiche d’ illustri Scrit- tori, e di Uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana. Massa 1829, 8.° Tom. II, pagg. 344-545. Lo Statuto di questo Marchese diviso in tre libri come vedrassi comincia così: «In nomine Patris, et Fili et Spiritus Sancti, et Gloriosae Mariae Virginis, et bea- «torum Apostolorum Petri, et Pauli, beati Ioannis Baptistae, beati Mathei, et omnium San- «etorum, totiusque coelestis curiae, et ad honorem, statum et exaltationem Sacri Romani « Imperii, suorumque fidelium, et ad honorem pacificum, et Statum perpetuum multum IHlust. « Domini Marchionis Ioannis Gasparis Malaspinae Marchionis Treschietti, Vici, et Herae, et « totius Marchionatus, et ad conservationem eius tranquillae pacis, et dictarum Terrarum « Treschietti, Herae, et Vici. Amen ». Il Libro primo si compone di sette capitoli, di ventinove il secondo, e di trenta il terzo ed ultimo che comprende le materie eriminali. Succede l'approvazione fatta dagli uomini di Treschietto nel 1585 nel giorno 22 Luglio. In questo Statuto si parla del delitto di lesa maestà in questi termini: « Si quis personam Ilust. D. Marchionis offenderit, attentave- «rit, aut praticaverit, tam ipsi, socii, et participes, quam horum socii, qui non revelaverint, « scindantur in frustra, locisque, eminentibus castri, vel alibi affigantur, donec consumpta « erunt, bonaque eorum confiscentur, et sententia etiam in contumacia lata omnibus pre- « iudicet ». STATUTI ITALIANI 23 TrIvIO— Statuto dei Consoli di Trivio con consenso dei Monaci di quel Monastero detto altrimenti di S. Maria di Montecornario circa le doti del MOCLXXXXYI. Pubblicato dal Mittarelli e Costadoni Annales Camaldulenses Tom. V. Append. col. 517—518. — Statuti sopra varie Materie Penali e di Polizia del MCCCIX. Pubblicati nell’Op. cit. loc. cit. col. 405—407. Ursino — Statuta Civitatis Urbini. Pisauri, 1559, f.° — Statuta seu Decreta, Constitutiones, Edicta et Bannimenta Legationis Urbini. Pisauri, 1696, f.” VaLpamBRA— Constitutum Vicecomitatum Vallis Ambrae An. M. CC. VIII. Pubblicato da me e opportunamente dichiarato negli Annali delle Università Toscane, Tom. II. 4.° pagg. 79—106, 119—1597. VALLE D'ANTIGOLO— Statuta et Privilegia Vallis Antigoli. Genevae, 1685. VALMARENA— Volumen Statutorum, Legum ac Inrium Comitatus Vallis-Mareni ac Gastaldiae Solighetti, nuperrime a Francisco Guerra I. U. D. a latino ser- mone ad vernaculam ad claram omnium intelligentiam traductorum. Vene- . tiîs, 1600. È posseduto dal Dott. Francesco Ferri, secondo la notizia che ne dà l'Abate Bernardi nell’ opuscolo intitolato « Cison e la Vallata, Cenno-Storico Ecclesiastico». Venezia co’ tipi Naratovich, 1851, pag. 6; l’ originale latino fino ad ora cercato invano tanto dal Ferri, quanto dal Bernardi. VaLsassina— Statuta Civilia et Criminalia Communitatis Vallis Saxinae. Me- diolani, 1674, 4.° VALTROMPIA— Statuti di Valtrompia. Brescia, 1576, f.° VeLLETRI— Statuta Civitatis Velitrarum. Romae, 1544, f.° — Statuta Civitatis Verularum. Velletris, 1557, f.° — Statuta Civitatis Velitrarum. Velletris, 1752, f.' Intorno all’ edizione del 1544, paiono opportune queste parole tolte dal Borgia: «In « tanto si attendeva alla riforma degli Statuti, alla quale travagliavano, oltre Girolamo Tem- « pestini da Montefalco, Uditore del Cardinal di Trani, sette nobili e dotti cittadini, eletti « dal Publico, i nomi de’ quali non dobbiamo in questo luogo tacere. Furono adunque Ri- « formatori degli antichi Statuti e Compilatori de’ nuovi Jubenzio Catelini, giù pubblico « Lettore delle Leggi nell’ Università di Padova e di Roma, e poi Uditore di tre Cardinali, « Riario, Soderino e Pisani; Quintiliano Crispini, anch’ egli Dottore di chiarissima fama, « Nicola Antonio Gregna, molto versato nella Curia di Roma, Procuratore e Sindico delle « Contradette, e poi abbreviatore de parco minori e anche Canonico e Vicario Generale in « Velletri; Girolamo Gregna, Nicola Teruzzi, Battista Coluzzi, e Sebastiano Landi, adoperati « sovente dalla Patria in altre gravissime occorrenze. Compilati i nuovi Statuti, e approvati 24 BONAINI « dal Cardinal de Trani Protettore, furono nell’anno 1544 impressi e divulgati colle stampe, « divisi in cinque libri, come eran gli antichi, nel primo de’ quali fu ordinato tutto ciò che « all’elezione degli Ufficiali, e all’esecuzione de’ loro uffici si apparteneva, e quant’ al Pode- « stà si dichiarò, che se doppo l’ elezione da farsi da Priori, e Consiglio di tre Cittadini « Romani a tal carica, quel che fosse fra essi prescelto, e confermato dal Cardinal Protettore, « non accettasse l’ufficio, rimanesse in libertà de’ medesimi Priori, e Consiglio d’eleggere il « Podestà di qualsivoglia altro paese. E circa il Giudice fu ordinato, che si elegesse libera- « mente da Priori, e si approvasse dal Consiglio a condizione, che fosse Dottore forastiere « di patria distante da Velletri almeno venti miglia. Nel rimanente fu stabilita la Riforma « del Reggimento già prima fatta dal Cardinal de’ Trani, dichiarandosi, che non potesse giam- « mai convocarsi il Consiglio Generale del Popolo, se prima tal convocazione non era ap- « provata dal Consiglio maggiore di Velletri, nel quale, non avevano luogo, che i soli No- « bili; nel secondo libro degli Statuti fu regolato l’ordine de’ Giudizj, e dell’ azioni civili; « nel terzo quello de’ Giudizj, e dell’azioni criminali preserivendosi anche le pene a ciascun « delitto; nel quarto fu ordinata la norma da osservarsi per risarcimento de’ danni e delle « pene contr’ i danneggianti: e nel quinto fu provvisto alla polizia della città, e prescritte «le Leggi Agrarie, ed altre da osservarsi da’ Professori di ciascun arte ». Istoria della « Chiesa e Città di Velletri. Nocera 1725, 4.° pagg. 421—-22. VENEZIA — I Veneziani avevano già riformato per tre volte il Ioro Statuto quando cadde la Rifor- ma di Enrico Dandolo eletto Doge nel 1192, il quale ricorresse tra le altre le Leggi Criminali fatte dall’antecessore Orio Mastripiero. Si fece poi nel 1242 altra riforma dello Statuto pel Doge Iacopo Tiepolo. Fra il 1285 e il 1545 si contano altre otto diverse correzioni. «Nuove leggi (soggiunge Io Sclopis) si aggiunsero principalmente sotto il doge Fran- « cesco Dandolo nel 1551. Andrea Dandolo doge, nel 1546, pubblicò un libro intiero di Statuti «in aggiunta ai cinque che erano della compilazione di Tiepolo. Presso a quel tempo il testo « delle antiche leggi disteso in latino fu tradotto in dialetto veneziano. Comparvero in seguito «accrescimenti di leggi di mano in mamo, che sì inserivano nel corpo degli statuti col titolo « di Consulti. Ma nel 1487 cessò quel costume essendosi lasciato di porre fra tali consulti «le costituzioni pubblicate sotto Agostino Barbarigo, e le posteriori. Ma benchè mon sia « uscita nuova compilazione di leggi sino al XVII secolo, non mancò per altro nel governo « veneto certa sollecitudine per riordinare e riformare gli statuti mercè di elezioni degli « officiali anzidetti, quali si fecero, oltre alle summentovate, quattro volte nel XIV, secolo ed « una volta nel XV ». Storia della Legislazione Italiana, Tom. II. pagg. 125 e 126. I Veneziani proibirono: 1.° di far glosse ai loro Statuti; quando il testo di essi non fosse chiaro il Giudice doveva sentenziare a norma dei casi simili, delle approvate consuetudini e in difetto di tutto questo anche colla sola equità. Ond’ è che il Bartolo ebbe a dire che essi giudicavano manu regia et arbitrio suo. Lo Statuto di Venezia era locale fino al segno che sebbene gli obbe- dissero tutte le Isole costituenti il comune di questo nome, era tuttavolta permesso ad ognuna di togliere ciò che repugnasse alle sue convenienze particolari ed anche di introdurre cam- biamenti a proprio talento, e così invero apparisce essere stato fatto negli Statuti di Chioggia, di Murano ec. V. Foscarini, Della Letteratura Veneziana, Tom. I. Padova 1752, f.° pagg. 6—27. Sclopis, Op. cit. Tom. II. pagg. 124—129; il primo dei quali scrittori parla eziandio degli ulteriori lavori fatti per rivedere e correggere lo Statuto Veneziano. I Dogi prima di prendere l’uffizio giuravano una formula scritta, come i Consoli e i Potestà negli altri Comuni; questa formula prendeva nome di promissione. Quanto prima vedrà la luce nei volumi dell’ Ar- chivio Storico Italiano la Promissione del Doge Enrico Dandolo, scopertasi novellamente a Venezia. Del rimanente se noi possiamo dare notizie bibliografiche molto minute sulli Statuti STATUTI ITALIANI 25 Veneti questo è in grazia delle cure del dotto Cicogna che in gran parte abbiam seguitato giovandoci opportunamente del Saggio di Bibliografia Veneziana. Venezia 1847, pagg. 175— 177 segg. VenEZIA— Statuti de Venesia facti per li inclyti et serenissimi duxi de la dicta cita etc. (/n fine) Finisse li statuti et ordeni de Venesia stampadi per maistro Philipo de Piero, adi XXIII de aprile MCCCCLXXVII, in f.° (italiano ). «Prima e rara edizione degli Statuti. Nella Biblioteca di S. Marco vi è una copia di questa prima edizione con interessanti giunti a penna ». Cicogna N.° 1206. — Statuta Venetorum. A pag. LxvimI, si legge Statuta Venetorum ec. finiunt, anno xpiano MCCCCLXCII octo. die ult. Incli. Augu. Barbadi. Venetia. duce. in f.° « Seconda edizione latina e italiana in carattere gotico. La traduzione e correzione è di Fran. G. Ran. (cioè Francesco Giberti); e lo stampatore è Dionisio Bertocco, a. 1492 (non 1498, come per errore di stampa nel Foscarini, pag. 19) ». Cicogna N.° 1207. — Statuta Venetorum emendatissima additis correctionibus in creatione serenissimo- rum Principum ultimi Bardadici, Lauretani, Grimani et inclyti Andreae Griti cum practica judiciali necessaria. (In fine) Venetiis, Benalius, 1528, in 8. « Latino e italiano, rosso e nero, nitidissimo. Il Benalio ristampollo puro in rosso e nero anche nel 1557 ». Cicogna N.° 1208. — Statuta Veneta. MDXLVIII. (Zn fine) Venetiis, Com. de Tridino, 1548, in 8. (La- tino-italiano). «Precede Index omnium materiarum quae în Venetiarum statutis continentur alphebe- tico ordine digestus et per Dominum Andream Trivisanum juris doctorem moviter in lucem editus. Ven. Com. de Tridino. 1548, 8.° » Cicogna N.° 1209. — Volumen legum ac jurium D. Venetorum cum amplissimo indice etc. additis Cor- rectionibus in creatione serenissimorum principum ete., summo studio, labore, ac diligentia D. Iac. Novello J. D. Venetiis, de Tridino, 1563—1564, in 4.° (Italiano-latino). « Fu ristampato con quel titolo per cura dello stesso Novello, nel 1586, 4.°, senza nome « di stampatore, giuntavi la Correzione del doge Pasqual Cicogna, e del 1597, per Giovanni « Zenaro in 4.°, colla correzione Cicogna e anche coi Decreta leges ac juria illustrissimorum « dominorum Venetorum in modum digesti accomodata ab excellente domino Nicolao Euge- « nico. Venetiis, Zenarius, 1598. Alcuni esemplari della Correzion Cicogna hanno l’anno 1602 « sul frontispicio ». Cicogna N.° 1210. — Volumen Statutorum, legum, ac jurium DD. Venetorum cum sua practica ne- cessaria et Corretionibus in creatione sereniss. principum — Barbadici — Lau- redani — Grimani — Gritti — Trivisani — Veneri — Prioli, et demum sere- niss. Ciconiae, additis novissime recentioribus legibus Civilibus et Criminali- bus etc. summa diligentia studio et labore D. Rizzardi Griphio causidici in foro Veneto nuper în lucem edita. Venetiis, Zenarius, 1606, in 4.' (Latino-ital.). « Fu ristampato per cura dello stesso Grifio o Griffo, Venetiis, Pinelli, 1628 e 1638, « 4.° ibid Pinelli 1665, 4.°, ibid Pinelli 1678, 4.°, ibid Pinelli 1691, 4.°, ibid Pinelli 1709, 4.°. 26 BONAINI « Il detto Griffo ha a parte: Griffio Rizzardo Causidico e Lettore nel Palazzo di Venetia. « Pratica Sommaria civile e criminale di tutte le leggi, decreti, consigli, ordini che si con- « tengono nello Statuto Veneto. Venezia, Genaro, 1605, 4.° Dalla cortesia del sig. Dott. An- «tonio Valsecchi prof. di diritto romano, statutario e feudale nell’ Università di Padova e « intelligente raccoglitore di scelti e rari libri ci vengono indicate altre edizioni degli Statuti « Veneti uscite in Venezia durante il Secolo XVII, fralle quali una pel Moretto 1608, una pel « Deuchino 1619, un’ altra pel Pinelli 1652; sempre in 4.° » Cicogna N.° 1211. VENEZIA — Novissimorum statutorum ac Venetarum legum volumen duabus in partibus divisum Aloysio Mocenigo Venetiarum principi dictatum. Venetiis, Pinelli, 1729, in 8.° (Latino-italiano). « Comprende questo volume i primi cinque libri del doge Giacomo Tiepolo, e il sesto « del doge Andrea Dandolo; gli Statuti de’ Giudici di Petizione formati l’anno 1244, le Leggi « antiche sotto il titolo di Consulta; la Legge Pisana fatta l’anno 1492; la Pratica del Palazzo « di Venezia; le Correzioni de’ dogi Agostino Barbarigo, Leonardo Lorendan, Marino Gri- « mani, Andrea Gritti, Marcantonio Trevisano, Pasquale Cicogna, Marcantonio Memmo, Gio- « vanni Bembo, Antonio Priuli, Francesco Contarini, Francesco Erizzo, Carlo Contarini, « Domenico Contarini, Alvise Contarini, con aleuni Decreti fatti anteriormente nella vacanza « del dogato di Francesco Vernier e di Lorenzo Priuli; non che le leggi, ordini, decreti « di diversi Consigli di Venezia nelle materie Civili posti per ordine di tempi ». « Dalle edizioni posteriori di questo volume (che sempre sul frontispicio conserva la « stessa data e stampatore, Pinelli 1729, e quindi la stessa paginatura per non alterare gli « Indici) vennero staccate le Leggi Criminali e impresse a parte nel 1751, come vedremo, «le quali formano il secondo volume dello Statuto Veneto; laddove prima erano unite alla « fine delle Leggi Civili ». Cicogna N.° 1212. — Promissio serenessimi Venetiarum ducis, serenissimo Francisco Contareno duce edita. Venetiis, 1623, in 4.° Cicogna N.° 1221. — Promissio serenissimi Venetiarum ducis, serenissimo Nicolao Sagredo duce edita. Venetiis, 1765, in 4.° Cicogna N.° 1222. — Promissio ser. Venet. ducis, Silvestro Valerio duce edita, 1697, in 4.° Cicogna N. 1225. — Promissio ec. Aloysio Mocenigo duce edita, 1700, in 4.° Abbiamo registrate queste per un saggio. Però ve ne sono a stampa e di anteriori e di posteriori. Conosciamo quella del 1471 emanata dopo la morte del doge Moro e per la elezione del doge Tron, impressa a pag. 660 vol. VII, parte II, dell'Archivio Storico; quella di Leonardo Donato doge, a. 1606 — di Giovanni Bembo, 1615 — di Antonio Priuli, 1618 — Posteriori sonvi quelle del Doge Giovanni Cornaro, 1709 — di Carlo Ruzzini, 1752 — di Alvi- se Pisani, 1754 — di Pietro Grimani, 1741 — di Francesco Loredan, 1752 — di Alvise Moce- nigo, 1765 — di Paolo Renier, 1778 — di Lodovico Manin, 1789, ch’ è l’ultima. Queste Pro- missioni sono presso che tutte eguali, tranne la giunta di parcechie Leggi fattevi secondo le circostanze. Esse erano un Codice che comprendeva le discipline e leggi da osservarsi dal doge ch’ era sostituito al defunto. Cicogna N.° 1224. — El Criminal overo libro de Malificii. Così è intitolato l’antico Codice Criminale della Repubblica, che stampato fu per la SUTVAXCTAUUTAT MIU ABITANI 27 prima volta nel 1477 dopo il libro quinto degli Statuti Civili che abbiamo sopra indicato. Sono capitoli XXX. Nell'edizione degli Statuti Civili del 1492 furono ristampati a pagine Lx, latini italiani, coll’ epoca della loro pubblicazione sotto Iacopo Tiepolo dal 1252. Sono XXIX perchè il XXVIII non è in questa edizione diviso in due capitoli come nella 1477. Alla pag. Lx e seg. vi sono le Additione e Corretione sopra la promission de’ Maleficii, fatte sotto Pietro Gradenigo doge. Furono ristampati altre volte sì questi Statuti del Maleficio, che le addizioni ad essi. Cicogna N.° 1241. VenEZIA— Decreta Criminalia. Così intitolati stanno a pag. 55 e seg. dell'edizione sopraccitata dello Statuto Civile 1586, in 4.°, per cura del Dott. lacopo Novello. Simili nell’edizione 1598, e col titolo Leggi Criminali a pag. 29 e seg. dell'edizione 1606; notisi però, con maggior o minor numero di Leggi Criminali. Cicogna N.° 1242. — Leggi Criminali del serenissimo Dominio Veneto in un solo volume raccolte e per pubblico decreto ristampate. Venezia, Pinelli, 1751, in 4.° (Latino-italiano). Forma il secondo volume degli Statuti Veneti, a. 1729. Furono anche ristampate te- nuta la stessa data e paginatura. Il Compilatore fu Angelo Sabini. Cicogna N.° 1244. — Codice feudale della Serenissima Repubblica di Venezia. Ivi, Pinelli, 1779— 1'/80}8£0 Fu ristampato in Venezia dal Bonvecchiato, anno 1842 con giunte, ossia Appendice dei Decreti italici ed austriaci in materia di feudi. Abbiamo anche: Manuale di Giurisprudenza feudale di Francesco Foramiti. Ven. Gondoliere, 1841, che contiene anche le leggi feudali della Repubblica disposte per ordine cronologico e di materia. Varie poi delle leggi feudali della Repubblica sono state già anteriormente stampate volanti in varii tempi. Fralle altre abbiamo: Parti prese dall’Eccellentissimo Senato in di- versi tempi in Materia de Feudi. Venetia, Pinelli, in 4.° (dal 1547 al 1667). — L’Alta Corte. Le Assise et Bone Usanze del Reame de Hierusalem. (/n fine) Le Assise dell’Alta Corte del Regno di Hierusalem, et Cypro tradute de Fran- cese in lingna italiana d’ordine de la sereniss. ducal Signoria di Venetia per me Florido Bustron cosi comandato da li clariss. signori Rettori di questo Regno di Cypro. (segue) Cicogna N.° 1215. — La Bassa Corte. Le Assise et Bone usanze del Reame de Hierusalem. (In fine) stampato in Venetia regnante l’inclito Messer Andrea Gritti doge di Venetia nell’anno della natività del Signor Nostro 1535 del mese di Marzo, in la stamperia di Aurelio Pincio Venetiano, f.’ Cicogna N. 1214. Sì l’alta che la bassa Corte, ossiano queste Assise, vennero ristampate con prefazione dal Canciani Barbarorum Leges antiquae, Tom. V. pagg. 107—509. — Liber consuetudinum Imperii Romaniae in venetorum et francorum ditionem redacti concinnatus in usum Principatus Achaiae a serenissima repub. Veneta, senatus consulto approbatus ex authentlico vetere manuscripto cum correctio- nibus, variantibus lectionibus, et nonnullis superadditis capitulis, ex codice Bibliothecae Ducalis D. Marci. È nella medesima Collezione del Canciani, Tom. III, pagg. 492—554. 28 BONAINI VenezIA— Statuti de li Naviganti, (in fine) Finisse el modo et ordine de Vene- sia sopra el navigar. « Così sono intitolati gli antichi Statuti de” Naviganti inseriti verso la fine dello Sta- « tuto Civile impresso nel 1477 e da noi sopra citato. Furono compilati in latino sotto Ia- « copo Tiepolo doge nel 1229 come leggesi nel loro cominciamento, e quì si hanno in ita- « liano divisi in cinquantadue capi; nè si trovano in altre posteriori edizioni dello Statuto « Veneto. Poco prima di essi, al registro k. 2. di questa stessa edizione, si legge Corection « sopra li Statuti de li naviganti che è partita in nove capi, e questa Correzione è ristam- « pata nell’edizione 1492, col titolo: Additione e correctione supra i Statuti de le nave e « naviganti a p. Lvui. lat. ital.; e fu parimenti ristampata nell’edizione degli Statuti Civili « 1528 a pag. 447, nell’edizione 1565—1564 a pag. 120 entro il libro sesto degli Statuti ec. » Cicogna N.° 1265. — Capitulare Nauticum pro emporio Veneto anni MCCLV duce Raynerio Zeno ex antiquo Codice Quirino. « Sta nel T. v. dell'Opera Leges Barbarorum, F. Pauli Cancianî. Venetiis, Coleti 1792, in fol. Del pregevolissimo codice, onde è tratto questo Capitolare, parlò già il Procuratore « Marco Foscarini a pag. 16 della Letteratura. Era stato donato da Andrea Querini ad Apo- stolo Zeno; ma dopo la morte di questo il Querini to volle riavere, e i Domenicani, seb- bene avrebbero potuto a buon diritto rifiutarsene, nondimeno il tornarono alla famiglia Querini, ove anche oggidì sta fra tanti altri squisiti codici e libri. Non conobbe il Fosca- rini un volgarizzamento o a dir più propriamente, un esteso sunto che abbiamo in antica « lingua italico-veneta di questo Capitolare. Sta ne’ Codici della Marciana (classe II, cod. « XCIII, proveniente dalla Biblioteca di S. M. della Salute), ed è alla fine di un Codice mem- « branaceo del Secolo XIV, contenente lo Statuto Veneto. Questa versione è in XLIII capi- « toli, laddove l’ originale latino stampato dal Canciani, è in CXXVIIII; però contiene in « sunto tutto ciò che ha il latino sebbene in 129 capitoli diviso ». « Ha già osservato il Foscarini (pag. 15) che alcuni de’ capitoli della Promissione del « Maleficio da noi sopraccitata riguardano i Naviganti e i traffichi loro ». Cicogna N.° 1264. Il Pardessus Lollection ete. Tom. V, pagg. 19—95, ha pubblicato, premessavi in ante- cedenza una dotta prefazione (pag. 1—18), i seguenti monumenti relativi al diritto marittimo di Venezia. — Estratto dello Statuto Criminale del MCCXXXII. Sono i Capitoli 1, 22, 25 e 26. — Statuto Marittimo del MCCLV. Vi sono annotazioni degne d’esser consultate. Basterà poi ch’ io soggiunga come esso Statuto altro non sia che il Capitulare Nauticum di sopra riferito e pubblicato dal Canciani diviso in 129 Capitoli. — Le Rubriche 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75 e 76 del libro sesto degli Statuti Civili. — Legge del 9 Giugno MCCCCXXVIII. — Ordinanza del 2 Luglio MCCCCLXVIII. — Ordinanza del 12 Luglio MDXXVII. — Due Leggi dell’ 8 Giugno MDLXIX. — Legge del 4 Agosto MDLXXXY. — Legge del 28 Giugno MDLXXXVI. — Legge del 26 Settembre MDLXXXVI. STATUTI ITALIANI 29 VENEZIA — Legge del 4 Novembre MDLXXXVI . — Legge del 4 Novembre MDLXXXIX. — Legge del 18 Giugno MDLXXXXVIII . — Legge del 31 Agosto MDCII. — Legge del 16 Aprile MDCY. — Legge del 3 Ottobre MDCVIII. — Legge del 13 Settembre MDCXXII. — Legge del 12 Marzo MDCXXIYV. — Legge del 30 Aprile MDCXXXII. — Legge del 1 Maggio MDCXXXII. — Libro di Consolato nuovamente stampato e ricorretto, nel quale sono scritti Capitoli e Statuti e buone ordinatione che li antichi ordinerono per li casi de mercantie et di mare et mercante et marinari et patroni di navilio. MDXXXIX. (/n fine) stampato in Vinegia per Giovanni Padoanno ad instantia de Giovan Battista Pedrezano. Di questa prima versione del Consolato del Mare fatta a Venezia di cui non vedo fatta menzione dal ch. Cicogna, parlò il Valsecchi, Epist. de Veter. Pis. Civ. Constit. pag. 52, e ne dette ampia relazione il Pardessus Collection ec. Tom. V, pagg. 11-12 il quale ha queste parole molto notevoli « Quoique toute porte à penser che le consulat de la mer a été la « règle des negociationes maritimes et des jugemens y relatifs dans l’etendue de la républi- « que de Venise, je ne crois pas, comme'le disent Foscarini, et aprés lui Marin et Canciani, « qu’ à une époque quelconque plus ou moins ancienne, un acte de l’autorité publique eùt « adopté cette compilation. Ils ne se fondent que sur le faux document dit, des acceptations. — « Mais le Consulat acquit è Venise une autorité de confiance et d’estime qui souvent, et sur- « tout en matière commerciale, est plus grande que celle d’une sanction officielle ». — Il Consolato del mare ec. con il Portolano del Mare, con ogni più esatta dili- genza corretto et ampliato delle Leggi della ser.ma repubblica di Venetia a tal materia appartenenti. Venetia, Brogiollo, 1668, in 4.° Cicogna N.° 1268. — Il Consolato del Mare colla spiegazione di Giuseppe Maria Casaregi auditore della Rota Fiorentina ec. in questa prima veneta impressione oltre tutto ciò che s’attrova nell’edizione di Firenze e di Lucca aggiuntovi molte leggi della serenissima Repubblica di Venezia attinenti alla materia, con il Portolano del Mare d’Alvise da Mosto nobile Veneto. In Venetia, Piacentini, 1757, in 8.° Cicogna N.° 1269. — Codice per la Veneta mercantile marina approvato dal decreto dell’ eccellentis- simo Senato 21 Settembre 1786, in 4.° Cicogna N.° 1266. — Capitulare Notariorum non tabellionibus solum, verum etiam et iudicibus, advo- catis, causarum procuratoribus, ec., in Veneto foro versantibus admodum utile, et necessarium, ec. Venetiis, Rampazettus, 1591, in 4.° (compilatore Giambattista Padavin), e ivi con giunte. Pinelli, 1632, in 4.° Cicogna N.° 1297. — Capitulare Legum Notariis publici Venetiarum et ex parte aliarum civitatum Scienze Noolog. T. II. d 30 BONAINI serenissimi Veneti Dominii impositarum a Marco Antonio Bigalea collegiato publico Veneto Notario accurate integreque collectarum, ec. Venetiis, Poleti, 1689, in 4.° Cicogna N.° 1298. VENEZIA — Capitolare dell’ill.mo et ecc.mo Maggior Conseglio. Venetia, Rampa- zetto, 1577, in 4.° Verte sulla disciplina da osservarsi da cadaun nobile. Cicogna N.° 1516. — Capitolare dell’ ecc.mo M. C. ad intelligentia di cadaun Nobile della republica. (s. a.) ma è circa 1588, in 4.° Cicogna N.° 1517. — Capitolare dell’ill.mo et ecc.mo Maggior Conseglio per deliberazione di esso Con- seglio nel fine di questo contenuto ec. Pinelli, in 4.°; senza data, ma è del Secolo XVII. Sonovi varie altre ristampe, 1691—1708 circa, 1740—1770. Cicogna N.° 1518. — Capitolare delle elezioni del serenissimo Maggior Consiglio. Ven: Pinelli, 1776, in 4° Comprende le Leggi delle elezioni dal 1275 15 Novembre, al 1775 29 Luglio. Cicogna N.° 1519. — Capitolare dell’illmi et ecc.mi signori Consiglieri di Venezia. Ivi, Pinelli, 1749, in 4.° Ne abbiamo edizioni anche anteriori. Cicogna N.° 1520. — Nove leggi et ordini di diversi Consigli di Venetia, dall’ autentico estratti et all’uso del Palazzo necessarii (dal 1401 al 1565) in 4.° senza data. Stanno per lo più uniti all’edizione dello Statuto Veneto 1586. Cicogna N.° 1521. VERCELLI— Statuta Comunis et almae Civitatis Vercellarum. Impressum Ver- cellis per Ioannem Mariam de Pellepariis de Pallestro. Anno Domini MDXLI. die XXIII mensis Iunii. Verona — Liber Juris Civilis Urbis Veronae. Ex Bibliothecae Capitularis ejus- dem Civitatis Autographo Codice, quem Wilielmus Calvus Notarius Anno Domini MCCXXVIII scripsit, per Bartholomaeum Campagnolam Cancellarium ampliss. et revendiss. Capituli Ecclesiae Veronen. et Archipresbyterum Paroch. S. Caeciliae nunc primum editus cui nonnulla vetera Documenta eidem Argu- mento lumen afferentia praemittuntur. Addito in fine opuscolo de vita et tran- slatione S. Metronis, et duabus epistolis Batherii Episcopi Veronensis. Vero- nae, apud Petrum Antonium Bernum, 1728, 4.° Il Maffei, Verona illustrata, Milano 1825, 8.° Tom. II. pagg. 99—100, serive « Non di « leggeri troverassi chi una più antica compilazione mostrar ne possa della nostra pubbli- « cata pur ora in Verona per opera del Sig. Cancellier Campagnola, poichè in essa l’ultima « giunta fattavi da’ Giuristi a tal fine eletti, fu sotto il Potestà Conte Manfredo di Cortenova STATUTI ITALIANI 31 « nel 1228. Ottimamente a tal raccolta titol fu dato di Liber Juris Civilis Urbis Veronae.... « Non dee ancora parer sì strano l’altro titolo di posta, ch’ è sincope popolare, e val posita, « cose stabilite, decretate... Ora non sia chi revochi in dubbio la fede della mentovata com- « pilazione, poichè ho osservato venir essa adottata più e più volte nella Somma dei Feudi « d’Ardizone Giuriconsulto di quel tempo..... Ogni volta che citasi da costui lo Statuto Vero- « nese, i principii adduce di questi stessi Capitoli, potendosi però con quella stampa stabi- « lirne aleuni, come ancora emendare qualche volta la stampa d’Ardizone con questo testo. « Il libro che egli aveva alle mani portava ancora l’istesso titolo, perchè dice la prima volta « (Cap. 152) et ad hoc facit Statutum, vel Ius Civile Cipitatis Veronae. Verona illustrata, « Milano 1825, 8° Tom. II. pagg. 99—100. Il Campagnola manda innanzi allo Statuto in discorso una prefazione latinamente seritta ove cerca dimostrare che i Veronesi potettero avere Statuti fino dal XII Secolo. sebbene sia vero che per le carte che reca non ne appaja menzione molto esplicita. Lodevole è poi l’editore per aver mandato innanzi allo Statuto cinque documenti giuridici comecchè ri- schiarino le condizioni legali del Comune Veronese. Sarà utile darne i sommari: « An. 1140. Iudicium Vassallorum et Fidelium Canonicorum Ecclesiae Sanctae Mariae «et Sancti Gregoriù Veronae, quo feudum, quod olim Amizo Tuscus refutavit Canonicis in « Parlamento Populi Veronensis in Claustro Canonicorum adimitur Vvidoni filio dicti Ami- czonis, et Canonicis adjudicatur. « An. 1140. Sententia Consulum Civitatis Veronae lata secundum longissimam et anti- « quissimam consuetudinem Regum et Ducum, Marchionum, aliorumque laicorum Principum cet Clericum, et secundum Langobardam legem, super controversia bonorum Totonis Balbi « oborta inter Canonicos, et Redaldum, Ottonem, et Tebaldum, atque Ansumam. « An. 1164. Immunitas concessa a Communi de Soavo Petrobatallae propter duellum, « quod vicit cum Campione illorum de Coleniola. « An. 1225. Posta, sive Statutum de contributione, et restauratione facienda illis, qui « damnum passi sunt în nemore, et silva Gazi, et Ingazata Nagariae; cum diffinitione Con- « sulum electorum secundum tenorem Postae, et Juris Civilis Cicitatis Veronae. « An. 1551. Consilium Ancianorum, et Gastaldionum de Nundinis celebrandis in Campo Martio maiori sine ludo, de Tallis, sive condemnationibus modulandis, et de non renun- « ciando laico » . Segue poi lo Statuto diviso in 282 Capitoli ed in cui sono addizioni, la prima delle quali comincia al Cap. 244 fatta al tempo di Vifredo da Pirovano Potestà, vuolsi dire nel 1225, l’altra al Cap. 264 che appartiene ai giorni della Potestaria del Conte Manfredo di Cortenova che caddero nel 1228. A dare un saggio di alcune più notevoli disposizioni ponghiamo le rubriche seguenti: « Cap. 15. Ut Episcopus de Calumpnia non juret. « Cap. 17. De sententiis latis contra eos qui sunt ex parte Monticulorum. « Cap. 20. Ad quem sit appel'andum ab Ecclesiastico Judice. « Cap. 24. De appellationibus non recipiendis super Sententiis mercatorum. « Cap. 45 Ut Clerici cum fratribus laicis non succedant. « Cap. 46. De mutuantibus ad laudum. « Cap. 48. Qualiter ex libera nati intelligantur servi. « Cap. 49. De tuendis possessionibus peregrinorum post Crucem. « Cap. 55. Ne Vassallus in Causa Domini sit Judex. « Cap. 74. In quo Foro, et de quibus possint agere invicem Clericus, et Laicus. « Cap. 117. Quando praescriptio decenni obstat in mutuo. « Cap. 259. Ut Potestas juret antequam videat Statutum. Il Maffei soggiunge inoltre, Op. cit. Tom. II. pagg. 100—101, «Seconda compilazione « de’ nostri Statuti può dirsi quella che sì conserva nell’Archivio particolare de’ Proveditori. 32 BONAINI « È divisa in sei libri e contiene anche le nuove ordinazioni e regolamenti fatti in tempo « degli Scaligeri. In libri cinque mostra l’istesso Statuto Scaligero un ottimo codice del Mu- « seo Moscardo. 1l giuramento del Podestà, ch’ è in principio, dopo Civitati et Communitati « Veronae frammette et nobili ac magnifico viro domino Canigrandi de la Scala. Il Mazzaga- « glia, nomina il secondo libro Reipublicae Plebiscita Divinam priscorum Scaligera religione « Sancita, vetustissime per cives, et ingiolabiliter observata. Il MS. del Museo Saibante 628 ha « questi Statuti scritti con molta diligenza negli anni del dominio di Gioan Galeazzo Viscon- « ti ». Su questi Statuti Veronesi vuol poi consultarsi anco lo Sclopis, Op. cit. Tom. II. pagg. 118—120. Verona-— Leges et Statuta Civitatis Veronae.... data in cancellaria communi- tatis Veronae XIIII. Id. Sept. Anno incarnati verbi M. CCCC. I. inditione XIMI. (In fine) impressio accuratissime facta est in urbe preclara Vicentiae ad requi- sitionem et expensam providorum ec.... non atramento nec plumali calamo, neque stilo aereo, sed artificiosa quadam mirabili adinventione imprimendi seu caratherizandi. Hoc opus sic effigiatum impressum est per Hermanum Le- vilapidem Coloniensem. Anno dni M. CCCC. LXXV. Die vero Marcurii XX. mensis Decembris in vigilia Sancti Thomae Apostoli Amen, f.° car. rom. Il Maffei, Op. cit. Tom. IM. pag. 101 la chiama terza ed ultima compilazione. Trova- sene ricordo anche presso il Morbio, Op. cit ed. 2.8 Tom. I. pag. 157. — Leges municipales Statuta Civitatis Veronae. Vicentiae, 1507, f.° V. Lipenio, Bibliotheca realis Juridica ee. — Statuta magnificae Civitatis Veronae. Veronae, 1588, f.° — Statutorum Civitatis Veronae Libri V una cum Privilegiis. Adiecit Tomus alter Ven. Dom. Decreta, nec non ejusdem Civitatis Consilii Partes continens etc. Ad- dito indice a Io. Paulo Cominio jampridem concinnato. Venetiis, apud Leonar- dum Tivanum, 1747, vol. II, 4.° — Statuta Domus Mercatorum Veronae. Venetiis, 1598. Il Maffei senza rammentare quest'edizione scrive (Op. cit. Tom. III. pag. 101). « Nel- « l’anno 1518 fu anche fatta una compilazione particolare di decreti in materia d’arti e di « mercanzia, che si ha stampata, e in quattro libri divisa, con titolo di Statuta Domus Mer- « catorum, e con correzioni ed aggiunte. Dicesi nel principio di essa, che dei vecchi Statuti «altri debban valere ancora, ed altri abrogarsi ». Vicenza — Leges Municipales Civitatis Vincentiae. (7n fine) Leges municipales Reipublice Vincentie que.... complete fuerunt Anno Domini M. CCCC. XXVI. Impensa et diligentia Maxima Leonardi de Basiliea impressum hoc Opus pre- clarissimum Vincentiae M_CCCC. LXXX. XX. die Julii, f.° V. Hain, Repertorium. N.° 10,001. — Leges Municipales Reipublice Vicentie, que cum summa equalitate constituta sunt. (Zn fine) Impensa et diligentia maxima Simonis de Papia dictus Bevi- lacqua impressum hoc opus preclarissimum Vicentie. M. COCCLXXXX. vige- sima tertia die Ianuarii, f.° V. Hain, Op. cit. N.° 10,002. — Statuta Vincentina.... La tavola delle Rubriche è premessa agli Statuti e in fine: Impressum Venetiis per Simonem Papiensem dictum Biuilaquam: et summa STATUTI ITALIANI 38 diligentia emendatum: ut opus patebit Anno dni. M. CD. XCIX.... Serenis- simo Augustino Barbadico Venetor: Duce Imperante, f.° V. Hain, Op. cit. N.° 15,022. VicENZA — Statuta Civitatis Vicentiae. Venetiis, 1567, f.° — Statuta Vicentina. Venetiis, 1599. Vigevano — Statuta Civilia et Criminalia Civitatis et Comitatus Veglevani. Me- diolani, 1680, f. VITERBO — Nota il Bussi (Istoria della città di Viterbo, Roma 1742. f.° pag. 59) che un tempo si conservarono nella chiesa di S. Maria Nuova ed anche in quella di S. Sisto i libri dello Sta- tuto, e che tale Statuto ossia l’antico, o sia il moderno era stato confermato da vari Sommi Pontefici, e più recentemente da Pio II, da Paolo II, da Innocenzo VIII, e da altri molti. L’egregio Signor Luca Ceccotti, poi, ai 20 Giugno 1843 scrivevami « Ho uno Statuto di Vi- « terbo del 1251 da me scoperto in questo Archivio Comunitativo e che medito di illustra- « re... Non è se non una riforma di Statuti più antichi ». VOLTERRA — Il Giachi Saggio di ricerche sopra lo Stato antico e moderno di Volterra, Firenze e Siena 1786—1798, 8.° Tom. I. pag. 55, dice che nel pubblico Archivio di Volterra vi sono quindici Codici di Statuti e scritti in pergamena, i più antichi dei quali non oltrepassano il 1199 segnati dal N.° 15 al N.° 27. Di questi Statuti pubblicati in vari tempi non si hanno a stampa che poche rubriche e sono le appresso: — Dallo Statuto del MCCXIX. 1° Iuramentum hominum Vulterrae. 2.° Iuramentum Gastaldionum. Pubblicata dal Giachi Op. cit. Tom. II. pagg. 17-19. — Dallo Statuto del MCCLII. 1.° De facto Gherardescorum. Pubblicata dal Maccioni Difesa del Dominio dei Conti della Gherardesca sopra la Si- gnoria di Donoratico, Bolgheri, Castagneto ec. Lucca 1771, 4.° Tom. II. pagg. 65 e 64. 2.° Iuramentum hominum Societatis. Pubblicata dal Giachi, Op. cit. Tom. IMI. pag. 17. Dallo Statuto di N.° 22 che sembra posteriore al MCCCLXVIII. 1.° Bando dei Belforti del 1565. 2° Ribandimento dei banditi del 1568. Pubblicate dal Giachi, Op. cit. Tom. III. pagg. 717. Dallo Statuto di cui non è precisato l’anno: 1.° Rubrica de cereis portandis, et offerendis in Festo S. Mariae de Augusto, et in quibusdam festivitatibus. Pubblicata dal Giachi, Op. cit. Tom. III. pagg. 87—91. Dalli Statuti di Mercanzia e Pizzicheria del 1535 secondo il Codice dell'Archivio Pub- blico: Elenco delle festività. Pubblicato dal Giachi, Op. cit. Tom. III. pag. 96. Il Giachi, Op. cit. Tom. I. pagg. 32—118, fa come un compendio dello Stato Politico ed Ecclesiastico della giurisprudenza civile e criminale e finalmente dello stato economico 34 BONAINI di Volterra, deducendolo dalli Statuti; per il che può dirsi averne fatto siccome un sunto assai accurato. E da questo appunto si ricava fra le altre cose, come quel Comune niente più temesse quanto la prevalenza delle parti e l’autorità del Vescovo, che invero era poten- tissimo. I magistrati in parte Guelfi, in parte Ghibellini; pena di cento lire, o l’esilio, a chi impetri contro al Comune una scomunica dal Vescovo. A questi il Potestà non poteva par- lare se non in pubblico nel Consiglio generale ad alta voce in modo da poter essere udito da tutti gli astanti. I chierici e le cose ecclesiastiche, parificate ai laici e alle cose secolari in molti casi. Gli sponsali se erano segreti potevano celebrarsi per mezzo di Notaro entro la casa della sposa alla presenza di dodici persone; se pubblici l’atto doveva rogarsi sulla porta principale della medesima casa stando ivi la sposa e nella strada il Notaio, lo sposo e gli altri. I testamenti richiedevano tre testimoni maschi. Il figlio non poteva istituire erede la madre, ma solo lasciarle un legato di quattro soldi a lira quando avesse avuto un patrimo- nio che oltrepassasse le lire cinquanta. APPENDICE —s0s9 © Scese AVIGNONE — Statvta inclytae Civitatis Avenionis de Anno M. D. LXX. etc. Lugduni, ex typographia Claudii Morillon typographi sereniss. Ducissae. Mon- tispenserij, 1612, 4.° In un esemplare che ha la Biblioteca della Università di Pisa si trova in fine del vo- lume, aggiunta MS., Praxis Curiae Acenionensis, e a questa dopo il proemio seguono XIII Capitoli (in latino) ma il Cap. XIV è impostato a e. 68 col titolo, In Causis Censurarum, ma poi non segue. Sul frontespizio di questo volume si legge « De Biblio. March. Malaspinarum de Fi- « lacteria ». BAGNACAVALLO— Staluta et Constitutiones terrae Balneocaballi. Ferrariae, ex typ. Cam. 1660, f.° — Capitoli e Convenzioni in materia dei fiumi tra la Comune di Bagnacavallo, e gli Ecclesiastici dello stesso luogo. Ravenna, per Paoli, 1653, 4.° Tanto dello Statuto, quanto dei Capitoli dà notizia il ch. Antonelli nel Saggio di Biblio- grafia Storica Ferrarese (Ferrara 1851 8.°) a pag. 95 il quale trovasi aggiunto al secondo volu- me delle Memorie per la Storia di Ferrara raccolte da Antonio Frizzi e ristampate novella- mente dal Conte Cammillo Laderchi pe’ tipi del Servadio di Ferrara. BeLoGNnA— Statuti fatti per la Città e distretto di Bologna da Loderingo degli Andalò e Catalano frati Godenti, nel MCCLXV. Pubblicati novellamente dal Gozzadini nella Cronaca di Ronzano e Memorie di Lode- ringo d’Andalò frate Gaudente. Bologna 1851, 8.° pagg. 154—164. STATUTI ITALIANI 35 Dice l’editore su questi Statuti: « Geremei e Lambertazzi deludendo la vigilanza del « Comune, accorrevano sul modenese e sul reggiano ad ingrossare le proprie fazioni là bat- « taglianti; e ne conseguiva tumulto e zuffa in Bologna, morendo fra gli altri uno Scanna- « becchi vendicavano il parente, portando ferro e fuoco nelle famiglie e case dei Lambertazzi; « la licenza e il furore si dilatavano, e non valevano a reprimerli il Podestà Guglielmo da « Sesso neghittoso o fiacco. Allora il Comune ad insinuazione di Egidio Foscherari, spec- « chiato cittadino e chiaro giureconsulto, trasferì il sommo potere in Loderingo d’Andalò, « dandogli un compagno in Catalano Catalani, altro frate di M. V. gloriosa, esperto rettore « di città, che più da lui non si divise. Costoro, benchè l’ uno ghibellino e l’altro guelfo, « furono concordi ed integri magistrati, e degnamente corrisposero alla intiera ed ono- « revole fiducia che i concittadini aveano in loro riposta. Essi senza essere accettatori di « persone e giudicando il giusto fecero maraviglioso frutto nella città acquetando e compo- « nendo con agevolezza assai discordie, e lunghe inimicizie ed in particolare ponendo pace « fra gli Asinelli e gli Scannabecchi fra i quali si era sparso di molto sangue, ed erano stati «lungo tempo nemici. Ed insomma ridussero la città ad uno stato tranquillo. — Fecero « opera memorabile promulgando Statuti utili e giusti, che, confermati dal consiglio, furono « promulgati nelle pubbliche concioni tenute nella piazza maggiore il 26 di Aprile e il 10 « Giugno 1265. Con essi providero all’ interezza dei giudizj, all’ equità dei castighi, e pro- « scrissero statuti ingiusti. Esclusero quasi affatto la pena capitale che riserbarono solo ai « sicari, e non ammisero la tortura e molte altre di quelle pene barbare che deturpavano la « legislazione di que’ tempi, e ne deturparono alcune fino al secolo scorso. Decretarono che ci padri, i figli, i fratelli non sostenessero l’uno per l’altro la pena de’ malefici, e la pro- « serizione dei mariti non pertubasse alle mogli i possedimenti e le doti. Providero alle « cose forensi e notariali, e ad evitare le frodi vie più crescenti, istituirono l’ ufficio dei « memoriali, cioè la registrazione nei pubblici libri degli atti tra privati; istituzione di mas- « simo interesse e di perenne beneficio. Crearono magistrati che nel distretto prevenissero «o punissero i delitti, formarono una guardia di 1200 cittadini che accorresse sotto il ves- « sillo di M. V. gloriosa a raffrenare i tumulti, e vietarono agli anziani e consoli di pro- « porre cose spettanti a loro od ai congiunti ». Gioverà riferire il principio dello Statuto e le rubriche dei capitoli, aggiungendovi i numeri omessi dal Gozzadini. «In nomine patris et filii et Spiritus Saneti Amen. Haec sunt Statuta et ordinamenta « faeta per DD. fratres Loderengum de Andalo Catelanum D. Guidonis Domine Ostie Ord. « Mil. B. M. V. G1. ad onorem omnipotentis Dei et gloriose Matris sue B. Marie semper Vir- « ginis et honorabilis ae nobilis viri D. Guilielmi de Sesso honorabilis Potestatis Bon. Et « pro bono statu et pacifico civitatis Bon. et districtus et pro ipsa civitate manutenenda in « Statu comuni et quieto. Ex vigore arbitri eis concessi et dati per Comunem et populum « Bonon. 1. De mille ducenti qualiter trahere et ire debeant et stare ad vexillum Fratrum ubi- cumque fuerint propter alicuius rumoris cum armis eorum. 2. De mille ducentis quod trahere vel ire non debeant ad domum alicuius vel aliquorum tempore alicuius rumoris. o. Quod nemo vetare debeat ante domum nec facere veiari viam illis mille ducentis qui pro tempore alicuius rumoris traherent ad palatium vel ad Fratres predictos. 4. Confaloneriis populi et societatum qualiter trahere debeant tempore rumoris ad ve- cillum Fratrum preditorum. 5. Quod illi de societate devotorum trahere debeant cum vexillo et armis eorum ad ve- zillum et tempo (sic) Fratres tempore rumoris. 6. Quod nullos possit de morte alicuius vel mortifere vulnerato et accusare vel denun- tiare nisi tot homines quot vulnera mortalia apparuerint esse illata mortuo vel vulnerato que per medicos.....ant. 36 BONAI1NI 7. ........ tores pro malefittis. 8. De accusatione vel denuntiatione.....fat.....alig.....fuerit..... cunti facta. 9. A mulieribus alicui mortifere illatum videndis pro notario Potestatis et scribendo Comunis (sic). 10. Quod nullus possit esse heres qui mortuus fuerit nisi sit ei proprinqus. 11. De securitate prestanda ab eo qui testes in causa criminali produaerit. 12. De pena illius qui falsum produxerit testem. 15. De securitate prestanda a teste producto. 14. De suspectis testibus detinendis. 15. De pena illius qui testem subornavit. 16. De pena illius qui bannitum pro malefitio tenetur in domo et destrutione domorum unde exierunt malefactores vel în quibus fugerint. 17. De bannitis pro homicidio vel pro pace rupta et proditione non extrahendis de banno et de structione domorum et bonorum suorum. 18. Quod nullus vadat ad cipitatem Mutine vel Regii nec in comitatum eorum in au- rilium vel offensione alicuius. 19. Quod nullus tempore rumoris trahere debeat versus Mutinam vel Regium aut Fer- rariam vel Romaniolam aut Florentiam Pratum vel Pistorium auzilium vel offensione alicuius. 20. De armis non portandis per Civitatem et burgis et de securitate prestanda ab illis qui portare voluerint pro defensione sue persone. 21. De assassinis de Civitate Bonon. et districtu non stando vel venire eorum et illo- rum qui tenuerit eos inde. 22. Quod nullus vulneratus ire debeat ad domum alterius quam ad suam. 25. De penis illorum qui ad vindicatam maleficium fecerint vel fieri ferint. DANOQOUOINSI: BETIS NITRO. 25. Quod nullus Ancianus vel Consul ponet inter Antianos vel Consules vel inter qua- draginta novem aut in Consilio populi vel mittat carticellas pro societate aliquod de facto suo. 26. Quod nullus post tertium sonum campane Comunis per civitatem vel burgos sine lumine vadat. 27. De capitaneis habendis per Comitatum Bonon. et Imole. 28. De Capitanaria Casi. 29. De Capitanaria Castri leonîis et Belvederis. 50. De Capitanaria a sero Reniì super stratam et subtus. 51. De Capitanaria inter Renum et Savinam subtus stratam. 52. De Capitanaria inter Sapinam et Saletum super stratam et subtus. 55. De Capitanaria Tosignani. 54. De Capitanaria Lugi. 50. De iuramento adpocatorum sive iudicum. 56. Quod advocati denuntient parte sue inceptionem questionis quod non utentur falsis istrumentis vel testibus falsis vel probationis falsis. 57. De pena illius cui denunziatum fuerit quod in lite falsas probationes induait. 58. De pena advocati cui denunziatum fuerit quod pars sua utatur falsis testibus vel instrumentis et probationibus si causa non desisterit. 59. De salario iudicum pro consiliis in questionibus et causis dandis . 40. De modo congruo in solutionibus scripturam et instrumentorum sercando. ultimarum voluntatum scribenda. » 45. Quod tabeliones non confitiant aliquod instrumentum vel ultimam voluntatem nisi ipsi et testes inter omnes cognoscant contrahentes licet condentes ultimam voluntatem. STATUTI ITALIANI 37 44. De emancipationibus qualiter debeant fieri et publicare. 45. Qualiter banniti Comunis Bonon. pro dampno dato debeant cancellari de banno Comunis. BresceLLo— Statutorum Brixilli et ejus Districtus, Villarum et Castrorum: Libri tres quorum, 1. De Potestate, Consilio, et Consiliarijs, 2. De Causis ci- vilibus, 3. De Maleficiis. Parmae, ex officina Seth. Viotti, 1572, f. — Statutorum Brixilli et ejus Districtus, Villarum, et Castrorum: libri tres quo- rum, 1. De Potestate, Consilio, et Consiliarijs, 2. De Causis civilibus, 3. De Maleficiis. Parmae, ex officina Iosephi Rossetti superiorum licentia, 1697, f.° CANOBBIO — Ebbe Statuti speciali, abbenchè questa terra fosse soggetta a quelli di Milano. Giovan- netti, Commentario degli Statuti Novaresi, pag. 25. CaTtTARO— Statuto Civile di Cattaro. Venezia, 1616, in 4.° Il Pardessus, Collection ec. Tom. V pag. 17 dice che un gran numero dei Capitoli di questo Statuto appartengono al Secolo XIV e che mostrano anco essere intercalazioni fatte ad una redazione di Statuto più antico. Ha poi pubblicato (pagg. 96—98) i Cap. 70, 578, 579, 585, 400. CENESELLI— Capitoli con aggiunte e regole per il buon governo della Comu- nità di Ceneselli. Ferrara, stam. Cam. s. a. 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 96. CeENTO— Statuta terrae Centi nuper reformata anno 1607. Ferrariae, apud Bal- dinum, 1619, f.° — Capitoli sopra il Ghetto degli Ebrei di Cento, del Card. Durazzo Legato di Fer- rara. Ferrara, Suzzi, 1626, f.' Antonelli, Op. cit. pag. 98. Como — Sugli Statuti di questa città niuno lasciò migliori notizie di quel che facesse il Rovelli: « Abbiamo (serive) sotto Francesco Sforza ancora la riforma degli Statuti. Questa fecesi « nella nostra città, come nelle altre, in virtù di espressi ordini del medesimo, il quale avendo « conosciuto, anche per le frequenti lamentanze di ricorrenti, il disordine in cui generalmente « ritrovavansi gli statuti municipali a cagione delle passate guerre, e per conseguenza il biso- « gno non solo di riordinarli, ed emendarli, ma ancora di rimetterli in pien vigore, spedì a « Como in Gennajo dell’anno 1458 due rispettabili Ministri Pietro Cotta uno de’ Senatori del « Ducale Consiglio Segreto, e Sillano de? Negri Dottore, e Consigliere del Consiglio di Giusti- « zia, uomini amendue scienziati, e retti, con facoltà a? medesimi di confermare gli statuti, « decreti ed ordini d’essa città, ec farne eziandio de’ nuovi, qualora fosse stato utile, ed in- « giunse alla Comunità di provvedere del conveniente alloggio que’ Ducali Commissarj, ed i «loro domestici, e cavalli. Intervenuti poi essi alla convocata adunanza dei Savj di Provvi- « sione, e lettavi la lettera Ducale, e fatto un elegante discorso sull’ oggetto della lor com- « missione, i detti Savj nominarono tre Dottori di Collegio. altrettanti Causidici, otto idonei « cittadini in cooperatori a sì importante negozio, il quale eziandio coll’assistenza assidua « dell’eccellente Dottore Giovanni de’ Granelli, e del prudente Giorgio da Retegno Causidico « Comasco Procuratore della Camera Ducale, e Sindaco fiscale, fu intrapreso, e condotto a fine. Scienze Noolog. T. III. e 38 BONAINI « Gli statuti adunque così riformati furono anche per un miglior ordine distribuiti in sei « parti, delle quali la prima contiene l’ordine giudiziario delle cause civili, la seconda gli statuti dell'ufficio del Podestà, la terza gli statuti criminali, o sia del così detto ufficio de’ « malefizj, la quarta i civili, la quinta quelli del collegio de’ Notaj, la sesta finalmente gli « statuti sopra l’ufficio delle vittuaglie. Nel loro proemio si legge, che essi trovavansi prima « sparsi in diversi libri, e confusi talmente, che non potevano servire di norma a’ Giudici « per giudicare. Ora fu ordinato, che de’ medesimi si facesse una diligente, e tersa copia, «la quale fu eseguita solamente nell’anno 1465, e poscia si trova scritto, che essi statuti « furono confermati dal Principe. Prima di questo tempo il Collegio degli Avvocati, o Dot- « tori, si mise a formare, o migliorare i suoi, e li sottopose all’ esame dell’ Ufficio di Prov- « visione, il quale delegò due del suo corpo a rivederli, ed emendarli, occorrendo, e riser- « vossene di poi l'approvazione. L’ esempio fu seguitato da aleune delle università degli ar- « tigiani, le quali similmente riformarono, o fecero di nuovo i loro statuti particolari. « Segnatamente quella de’ calzolaj nel 1465, li compilò, e mandogli al Ducal Consiglio di « Giustizia per essere approvati. Ma esso li rimise al nostro Ufficio suddetto, da cui solevano « anche per l’addietro simili statuti riconoscersi, ed approvarsi, acciocchè gli esaminasse e « ne riferisse il suo parere al medesimo Consiglio. D’indi a dieci anni fece lo stesso il con- « sorzio de’ Battilana ». Storîa di Como. Como 1802, in 4.° P. 5.* T. 1.° pagg. 515—16. In altro luogo (Ibid. pag. 555) soggiunge ancora: « Erano questi (Statuti) già stati riformati, come « vedemmo nel 1458, per opera di due insigni Commissarj Ducali, e di molti nostri delegati; « ma col tratto del tempo essendosi scoperto in essi statuti qualche difetto, si prese la riso- « luzione di correggerli di nuovo, e furono a ciò deputati nel 1481 quattro Dottori di Colle- « gio, quattro Causidici, ed altri otto de’ più abili cittadini. Compita poi questa emendazione, « la quale si eseguì principalmente da Codeo da San-Benedctto il più perito infra i quattro « Dottori suddetti, furono eletti altri quattro a rivederla, ed esaminarla unitamente coi « primi ». Vuolsi di più notare che dopo di aver detto, come nel 1551 fosser riconfermati da Francesco II Sforza, e come nel 1572 ne venisse ordinata nuova riforma, non omise nem- meno di avvertire che questa per assai tempo rimase sospesa: « Quindi nel 1590 si stabilì « nuovamente di eseguirla e di dar alle stampe tutto il corpo d’ essi statuti, compresi quelli « delle vittuaglie, e delle strade, ed ancora gli statuti de’ mercanti, e per questa edizione i « suddetti Savj stipularon contratto col già nominato nostro stampatore Girolamo Frova pro- « mettendogli Lire 200, a condizione ch’ egli stampassegli con bei caratteri, e con esatta orto- « grafia. E perchè a ciò doveva precedere la divisata riforma, furono per questa eletti due « Decurioni, ed aggiunti nel seguente anno altri sei deputati, cioè due del Collegio de’ Dottori, « altrettanti di quello de’ Causidici, c duc finalmente della università de’ mercanti. Essa si « compì, e fu presentata al Consiglio Generale pel di lui assenso il giorno 22 di Giugno « del 1594. Ma il Consiglio in altra adunanza ordinò aleune mutazioni, ed aggiunte da farsi «ai medesimi statuti, e poscia sul cader di Gennajo dell’anno prossimo gli approvò, ed in- « sieme con que’ de’ mercanti parimente riformati li trasmise a Milano per impetrarne « l’approvazione del Senato. Veggonsi successivamente fatte due altre delegazioni di Decu- « rioni su questo affare negli anni 1596, e 1599, e sotto il dì 14 di Gennajo del 1602 tro- « vasi scritto, che se ne aspettava a giorni la desiderata conferma, la quale indarno attesa « pendeva ancora a’ 29 di Luglio del 1605, senza trovarsene ulterior menzione ». Op. cit. P. 5.8 T. II pagg. 118—19. CoriGNnoLA— Statuta Cotignolae. Ravennae, typis de Paulis, 1622, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 104. CrEsPINO— Ordini e Provvisioni della Riviera di Crespino intorno al lavoriere degli argini. Ferrara, Baldini, 1602. in 4.” Antonelli, Op. cit. pag. 105. STATUTI ITALIANI 39 CurzoLa— Statuta Curzulae (Latino-italiano). Venetiis, 1614. Lo Statuto principale è del 1214, L’edizione venne fatta per ordine del Provveditore Veneziano di Dalmazia e Albania Gio. Battista Grimani con una riforma del 1594 e varie ad- dizioni o spiegazioni fatte in epoche posteriori. Il Pardessus ne ha pubblicati i Capitoli 82 e 127 (Tom. V pag. 96). Ha scritto poi, esser certo che invaleva in questa terra da lunga età un diritto comune marittimo consistente nei Basilici e probabilmente nella compilazione conosciuta nel medio evo sotto il nome di Legge Rodia. Fano— Statuta Civitatis Fani. Phani, per Hieronymum Soncinum, 1508, f.° L’Amiani scrive: « Entrato Antonio Arnolfi da Monte Secco col nuovo anno 1454 nella « nostra Podesteria, per il quale accidente si stabili poi in Fano la sua casa, furono sotto la « sua direzione riformati i nostri Statuti a norma di quelli di Cesena, come prescritto aveva « Sigismondo, da due Consiglieri eletti per ciascun quartiere della città ». (Memorie istoriche della città di Fano. Fano 1751, Par. I. pag. 574). Nel 1448 il Consiglio di Fano chiese la riforma dei suoi vecchi Statuti a Sigismondo Malatesta che scrisse questa lettera « Spectabiles et Egregii tamquam Patres, et Amici caris- « simi. — Ho veduta una vostra domanda, quale me hà mostro el nobil huomo Tomaso vo- « stro Podestà contenente sopra el facto de’ Statuti, li quali bisogneria fossero rescripti, e « corretti de nuovo: alla quale ve respondo, che sò contento li facciate correggere come a voi « parerà, et mandateli poi quà al mio Conseglio, al quale li farò ratificare e respondere la mia « intenzione, et questo acciocchè non feste doe spese, che li feste scrivere, e poi non stessero « bene. Sigismondus Pandulfus de Malatestis — Die 2 Martii 1448 ». (Op. cit. Par. I. pag. 409). 1465. Si riordinarono gli Statuti dalla città cogli esemplari di quelli di Recanati e d’Ancona. Ibid. Par. IL pag. 7. 1475. Frate Arcangelo Minore osservante propose a sedare le dissenzioni dei Cittadini la riforma delle leggi statutarie. Zid. pag. 50. 1475. Nel medesimo consiglio fu proposta necessità di riordinare le leggi statutarie e le riforme per adattarle al Governo della Chiesa, essendo quelle state istituite in tempo che la città trovavasi sotto il Dominio dei Malatesti. I Dottori di legge che n° ebbero la diputazione per riformarle furono Giovanni di Gaspere Zani, Nicola Lanci, Giovanni di Ri- dolfo Torelli, Giovanni della Loggia, Ugolino Palazzi, Pier Francesco Gabuccini, e Luca da Cagli Auditore, c Giudice delle Appellazioni. Ibid. pag. 41. 1478. Dispiaceva a molti consiglieri il conservarsi pel governo della città negli Statuti i Decreti di Pandolfo, di Carlo cd altri de’ Malatesti, e spezialmente molti capitoli e bandi ordinati in tempo di Sigismondo; onde perchè rimaner dovesse abolita la rimembranza del tirannico Governo di que’ Principi, ne fu stabilita la riforma col rifacimento de’ nuovi Sta- tuti, ne’ quali si apponesse il nome della Santa Chiesa in luogo de’ Malatesti e ne fu appog- giato il carico a Filippo Guarini, Giovanni de’ Baglioni, Francesco Anziani, Lodovico Panezi, Luca Salvolini, Niccola Lanci, Ugolino Martinozzi, Pietro Giangoli, Francesco Uffreducci, Galeotto di Malatesta Torelli, Ugolino Palazzi, e Giovanni della Loggia, tutti Dottori di Legge. Ibid. pag. 45. FerraRA— Statuta Ferrariae nuper reformata. Ferrariae, apud Franciscum de Rubeis, 1534, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 58. — Statuta Ferrariae cum lucubrationibus Herculis Pigantii. Ferrariae, typis Po- matelli, 1694, f.° vol. 2. Antonelli, Op. cit. pag. 58. — Cravetta Aymon. Quaestio super statuto Ferr. de mulierum indemmitatibus. 40 BONAINI (Trovasi nel Tractatus de antiquitatibus temporum). Lugduni, 1581, in 8.° Antonelli, Op. cit. pag. 58. FerrARA — Costituzione dell’ Emo. Card. Legato Aldobrandini sopra la riforma delle sportule e salarii de’ giudici, notari, et altri uffiziali di giustizia pella città di Ferrara. Ferrara, Baldini, 1598, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 58. — Ordini e provvisioni intorno ai lavorieri del Po, et ufficiali a quelli deputati da Alfonso II Duca V di Ferrara. Ferrara, Baldini, 1580, in 4.°, (più volte anche con aggiunte ristampate). Antonelli, Op. cit. pag. 40. — Privilegi da godersi dalli Bombardieri di s. Barbara della città di Ferrara. Ferrara, Nobili, 1672, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 40. — Capitoli et ordini da osservarsi dalla Compagnia de’ Bombardieri della città di Ferrara. Ferrara, stamp. Camerale, 1692, in 8.° (più volte ristampati, ultima edizione del 1782). Antonelli, Op. cit. pag. 40. — Capitoli attinenti all’ obbligo degli Ebrei forestieri estratti dalla regola generale dell’ Università di Ferrara. Ferrara, s. al. n. tip. f.’ Antonelli, Op. cit. pag. 40. — Regola per ricavarsi gli annui aggravi per le spese che occorrono alla nazione ebrea. Ferrara, stamp. Camerale, 1704, f.° (più volte ristampata). Antonelli, Op. cit. pag. 40. — Nuovi Ordini del Giudice de’ Savj Alberto Bonacossi, e provvisioni intorno al buon governo del Comune di Ferrara, con la tabella de’ salariati. Ferrara, Suzzi, 1622, in 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 41. — Ordini da osservarsi pel buon governo dell’ abbondanza perpetua istituita nella città di Ferrara l’anno 1616. Ferrara, Suzzi, 1619, e 1639, fio Antonelli, Op. cit. pag. 45. — Ordini sopra le mercedì di diverse arti della città di Ferrara. Ferrara, Baldini, senz’ anno, ed ivi presso Francesco Rossi, 1577, in 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Ordini e provvisioni sopra le arti della città di Ferrara. Ferrara, stamp. Ca- merale, 1755, in 4. Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Statuti, privilegii e prerogative delle arti della città di Ferrara, dell’ Emo. Card. Legato. Ferrara, stamp. Camerale, 1755, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Nuova riforma delli capitoli, ‘privilegi, ordini e statuti dell’arte de? Brentadori, fatta dal Card. Legato Spinola. Ferrara, Baldini, 1610, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Provvisione del Card. Legato Rainiero d’Elci, sopra li Calderai che fabbricano vasi di rame. Ferrara, stamp. Cam. 1742, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. STATUTI ITALIANI 41 FERRARA — Capitoli dell’arte de’ Carradori, Conchellari e Falegnami. Ferrara, stamp. Cam. 1625 e 1674, in 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Tariffa ,ossia Calmiero perpetuo pel pane venale che si fabbrica dalli Fornari di Ferrara. Ferrara, stamp. Cam. 1728, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Editto del Cardinale Legato Imperiali sopra 1)’ introduzione in Ferrara dell’arte dei Magnani. Ferrara, stamp. Cam. 1694, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Ordini da osservarsi in avvenire dagli Orefici della città di Ferrara. Ferrara, stam. Cam. 1734, f. (esistono edizioni più antiche). Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Capitoli per 1’ università degli Osti e Tavernieri della città di Ferrara. Ferrara, Baldini, 1600, in 4. . Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Rinnovazione delle provvisioni già fatte per I’ osservanza delli privilegii con- cessi all’arte dei Paroni, del Card. Legato Pallotta. Ferrara, Suzzi, 1633, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Editto del Giudice de’ Savj di Ferrara sopra l’arte dei Perucchieri. Ferrara, stamp. Cam. 1772, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Capitoli dell’arte et università de’ Sarti dell’inclita città di Ferrara, concessi dagli Illmi. signori Marchesi et Duchi della Casa d’ Este. Ferrara, Francesco Rossi, 1568, in 4.° Antonelli, Op. cît. pag. 44. — Rinnovazione de? Capitoli dell’arte et università de’ Sarti ec. Ferrara, s. n. di stamp. 1586, in 4.' Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Capitoli per li massari, sindaci et uffiziali dell’ arte de’ Sarti di Ferrara, con- fermati dai Duchi d'Este, e da N. S. Clemente VIII. s. a. n. tip. in 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 44. — Gli stessi, aggiuntivi i regolamenti. Ferrara, 1746, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 45. — Capitoli e Statuti sopra l’arte della Seta. Ferrara, Baldini, 1613 e 1616, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 45. — Moderazione e dichiarazione d’alcuni capitoli dell’arte della Seta. Ferrara, stamp. Cam. 1618, in f.' Antonelli, Op. cit. pag. 45. .— Indulti pontifici a favore dei collegi de’ Speziali. Ferrariae, typis Lilii, 1749, 4.° Antonelli, Op. cit. pag. 45. — Notificazione del Cardinale Legato Carafa, intorno all’ arte degli Speziali. Fer- rara, stamp. Camerale, s. a. f.° Antonelli, Op. cît. pag. 45. — Capitoli e Statuti dell’arte degli Sprocani, confermati da N. S. Innocenzo X. Ferrara, Suzzi, 1644, in 4., ed ivi stamp. Camerale, 1724, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 45. 492 BONAINI — STATUTI ITALIANI FerRARA— Capitoli dell’arte de’ Strazzaroli della città di Ferrara. Ferrara, Suzzi, 1659, ed ivi stamp. Cam. 1678, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 45. Firenze— Codice degli Stipendiarii della Repubblica di Firenze del MCCCLXIX. Pubblicato dal Ricotti, Storia delle Compagnie di Ventura in Italia, ed. 1.8 Torino 1844—1845, 8.° Tom. II, pagg. 515—528. GuBBIO — Degli Statuti di questo Comune del 1571 esistenti nell'Archivio di città allega alcune rubriche il Garampi nelle Memorie Ecclesiastiche della B. Chiara di Rimini. Roma 1755, 4° pagg. 55, 58—59. | Iesi—- Il Baldassini nelle Memorie istoriche dell’antichissima e regia città di Iesi. lesi 1765, 4.° pagg. 109—110, così scrive degli Statuti di questa città: « Non v’ ha dubbio, che anche « nei tempi antichi vi sieno stati in Tesi i suoi Statuti, co’ quali la città si governava, ve- «nendo questi nominati fin nell’anno 1259, leggendosi nelle condannazioni fatte contro quelle « persone che recavano danno alle selve di Gangalia, e del Gualdo queste parole: a D. Amat- « taconte Potestate Essi, si quod continentur in Capitulo et Statuto Civitatis Esinae. Furono «in quest'anno confermati da Giopanni Oleggio Rettore della Marca d’Ancona, come s’ ha « da una pergamena antica, che si conserva in questa segreteria Priorale, in cui si legge: « Statuta et ordinamenta omnia Communis, et Hominum Civitatis Esine condita, facta, et «promulgata per eosdem homines, et Commune contenta in Volumine Statutorum, quod erat « septuaginta duarum cartarum, pecudinarum, et quasdam additiones factas ipsis Statutis, «per Commune, et homines supradictos contenta in quinque cartis Bombicinis Scriptis manu « Sancti Calotiù de Esio Notartì ». Lucca — Capitoli riformati nel 1361 della Compagnia di S. Bartolommeo in Silice detta Sette Arti. Pubblicati dal Mazzarosa nel Discorso sulla condizione delle Arti e degli Artigiani in Lucca dai primi del secolo fino al 1847. Lucca, Tipografia Giusti, 1847, in 8.° pagg. 21-32. LuGo— Statuta Lugi. Ferrariae, apud Rubeum, 1532, f.” ‘Antonelli, Op. cit. pag. 106. — Statuta aucta. Forolivi, typis Saporetti, 1652, f.° Antonelli, Op. cit. pag. 106. Massa LomBARDA— Statuta Massae Lombardorum. Faventiae, typis Archii, 1772, in 4° Antonelli, Op. cit. pag. 107. NovELLARA— Statuta magnificae Communitatis Novellariae. VENEZIA — Ordini et Capitoli antichi et bellissimi sopra l’armare et disarmare et nauigar delle Galere et Armate. Appartengono al 1420 e vennero dati da Piero Mocenigo, Capitano Generale del mare; pubblicati dal Jal, ArcAéologie Navale. Paris 1840, 8.° pagg. 107—155. —cs39s 9 csee— ORAZIONE BEL PROF. GIO. ROSENI DETTA IL DI 11 NOVEMBRE 1852 NELL'AULA MAGNA DEL PUBBLICO STUDIO PISANO Ie Quando, Magistrato onorandissimo, degnissimo Preside, Colleghi amatissimi, Discepoli e Uditori tutti umanissimi, sono omai compiuti sette anni (1), ebbi l'onore di parlare da questo luogo, e l’età che incalzava, e la minaccia dei morbi che pressochè sempre accompagnano l’età, mi doveano far temere, che sarebbe stata quella l’ultima volta. — Piacque alla Provvidenza di lasciarmi per anco in vita: ed io grato a sì gran benefizio mi rivolgo istantemente a soddi- sfare ad un obbligo, che per varj casi, di luogo e di tempo non avea potuto compier finora. Sanno i miei benevoli, come fino da’ primi passi d’una lunga carriera nelle lettere, tenni l’animo volto a rendere la dovuta lode a coloro, che nel cammino ci hanno preceduto; e, per quanto fu in me, di porre in chiaro lume i loro meriti. Non parlando che dei Toscani, mostrai quanto si dovette a quel bell’in- gegno del Crudeli; e quanto per la squisita eleganza al Fantoni: esposi le doti singolari del Perelli; e il gusto additai nelle Lettere, oltre le somme nozioni nel Diritto, dell'Avvocato Gio. Maria Lampredi. Per me comparve il Pignotti non sol Capo-Scuola nella Favola, ma Consigliere di mite reggimento al Mini- stro del Terzo Ferdinando (2); e vendicai finalmente da un orgoglioso silenzio straniero il vanto di Salomone Fiorentino, che dopo il Manfredi aveva fatto di nuovo parlare alle Muse il soave linguaggio del Petrarca (5). 44 ROSINI Nè ciò rimembro per misera vanità; ma per ricordare che seguo il mio costume se, fra l’illustri Toscani che si segnalarono nell’esercizio delle lettere, aggiungo un illustre nome di più: nome, che non è chiaro quanto dovrebbe: ma che, dopo un mezzo secolo (cessate le cagioni delle ire), dovrà tornare a risplendere in mezzo agli Astri maggiori. E questo nome, che a noi più che ad altri appartiene da presso, è quello di Monsignore Angelo Fabroni, che per trenta e più anni provvide a questa illustre Università. Di lui parlando, e delle molte sue opere, in questa mattina, soddisfo con compiacenza ad un debito antico, per la sua benevolenza verso di me: mostro come senza vizj, ma con particolari difetti si generino, si coltivino, e si eter- nino quasi le inimicizie: accenno come le passioni possano far tacer la giustizia; e come finalmente, colla sua morte, cominciasse in Italia quella decadenza negli studj, che or tanto ci grava ed aflligge. Non amato dai Professori, per le cagioni che si diranno; non acclamato da certi dotti, perchè più dotto di loro; fu aborrito da certi altri, perchè non volle mai professarne le opinioni: e dopo una vita laboriosissima, si estinse, senza gettar morendo come la fiaccola, l’ultima favilla luminosa. Generoso distributore di tutte le sue sostanze, in azioni di beneficenza; venne condotto senza lagrime alla tomba; e fu quella dirò col Varchi una gran vergogna della fortuna. Se plaudir non volevasi al letterato stimabile; onorar si doveva il cittadino benefico... colpa del secolo, che il Cesari chiamò miterino (4), e che io con ragione maggiore chiamerò superbo ed ingrato. Morirono a poco a poco tutti i suoi nemici; e pure nessuno scrittore, ch'io sappia (5), ne ha riposta in luce la memoria: ma il giorno della giustizia è pur giunto, e sarà splendida e intera; che la verità è come il Sole: ecclissar si può, ma nona lungo nascondersi. Sono io, nella mia tenuità, l’Orator che la chiede. Voi, Colleghi amatissimi, e Voi quanti mi udite, siete i Magistrati imparziali, che dovete darne i primi sentenza. ORAZIONE 45 Quando non trattasi di Genj straordinarj (e questi furono sempre pochissimi fra tutte le nazioni, ed in tutti i secoli); sono inutili a ricercarsi le minute particolarità dei primi anni di uno scrittore. Nato il Fabroni di nobile stirpe in Marradi, castello dell’Apennino il Set- tembre del 1752, ricevuto ch’ebbe in patria i rudimenti delle lettere, fu in- viato a Roma nel 1750, per compier gli studj. E cosa è da notarsi, che di due precettori differenti, de’ quali seguiva l'insegnamento, nella prima, e nella seconda parte del giorno; uno ispiravagli l'affetto e la stima; l’altro il disprezzo ed il riso: sicchè avvezzavasi di buon’ ora, e nella polvere stessa delle Scuole, a distinguere il merito degli uomini sepa- rato dal grado che occupano, e dall’autorità, di cui talvolta sono con poca giustizia in possesso. Terminato il corso di alta eloquenza, e contratta fin d’allora l'abitudine di scrivere con eleganza e facilità la lingua del Lazio; apprese filosofia, come insegnavasi a quei tempi: si diede alla giurisprudenza senza inclinazione, quindi senza profitto: e dovè presto tornare alle care lettere; senz’ aver un padre, come l’Ariosto, che con lance e spiedi lo ricacciasse alle non grate pagine di Giustiniano (6). E nelle lettere dando saggi superiori all’età, come apparve nella Vita latina di Clemente XII, fu nell’anno 1765, non senza stupore di molti, pre- scelto a dire le lodi di Giacomo III Stuardo, ne’ sontuosi funerali, che se ne celebrarono nella Basilica Trasteverina (7). Il sentimento di benevolenza, che generalmente ci porta verso gl’illustri sventurati, avea fatto accorrere gli uomini più cospicui a quell’esequie: il Cardinal di Yorck, suo figlio, ivi presente, commosso ne fu sino alle lagrime; che sterili non furono, come sì spesso avviene, ma recarono all’ Oratore larghi encomj, e non men larghi presenti. Ottimo preludio era questo per farlo risolvere a prender ferma stanza in Roma, nido di tutti i desiderj; e dove non han termine che colla vita le più alte speranze. I plausi frattanto, e il favore del Cardinale, nel seguente anno lo spinse a porre la prima pietra di quel Monumento; che intendeva d’inalzare alla gloria d’Italia, pubblicando il primo volume delle Vite degli Uomini illustri nelle scienze, e nelle lettere, che vi fiorirono nei due secoli anteriori al presente. AI comparire della vita di Clemente XII era nata l’invidia: e al pubbli- carsi di quel primo volume si mostrò cresciuta e vestita di tutte le armi. In una città, dove le ambizioni sono sempre in movimento; è facile a com- prendere come chi vuole ascendere in alto, si giovi di qualunque sia modo, per ottenere l’intento. Scienze Noolog. T. IMI f 46 ROSINI Il primo volume delle Vite fu assalito da un mordacissimo opuscolo, che all’acerbità delle parole univa le minacce di peggio, se il Fabroni avuto avesse ardire di pubblicare il secondo. A questi eco fecero le voci dei potenti nemici del Bottari e del Foggini, sotto la cui protezione il Fabroni si era posto . Non si sgomentò per altro il giovine Autore; ma dopo alcune pubblicazioni di lieve momento (8); ponendo all’ordine il volume secondo delle Vite innanzi di darlo in luce, io penso che fosse bene ispirato, conducendosi a inchinare il proprio Sovrano, che da due anni regnava in Toscana. Certo non aveva egli dimenticato, che il Tassoni, autore della Secchia Rapita, erasi fatto dipingere, con un fico nella destra; e colla leggenda Aula dedit: e poteva con un Principe nuovo, e con ministri nuovi d’intorno, incontrar sorte uguale o peggiore del Modanese Poeta... ma era Pietro Leopoldo il So- vrano; e la statua, che noi primi gli abbiamo inalzata (9), ricorda ogni giorno a chi dinanzi vi passa la sua sapienza, e il suo senno. Ammesso il Fabroni all'udienza del Granduca, sino da quel giorno si giu- dicarono entrambi: ed eletto provvisoriamente a Priore del Clero di S. Lorenzo in Firenze; fu poco dopo, alla morte di Monsignor Cerati, assunto all’impor- tante incarico di Provveditore di questa nostra Università. Ma coll’onorevole scelta non si potrebbe abbastanza lodare la previdenza del Granduca, il quale volle ch’ ei visitasse l’Inghilterra e la Francia; e vedesse come l’Eroe di Omero genti e paesi, prima di cominciare la difficile incom- benza di ricercare, prescegliere, e proporre all'insegnamento le persone più adatte, in ogni genere di scienze e di lettere. E qui bello sarebbe, nè disutile forse di accompagnarlo nella sua pere- grinazione oltre le alpi ed i mari; e riconoscere con esso nel Robertson il primo storico, nel Richardson il primo romanziero, e nel Jonson il primo filologo dell'Inghilterra. Poi, scendendo verso la Senna, colà dove tanta potenza, e tanto splendore aveva l'ingegno; d’intorno alla Geoffrin e alla Despinasse salutare quanto di gentile, di operoso, e di grande possedeva in quel tempo la Francia. Là si ammiravano l’impetuosa facondia del Diderot, le pittoresche frasi del Buffon, i ragionamenti filosofici del d’ Alembert, le critiche discussioni del La- Harpe; e là si udivano gli aspri versi del Crebillon, e i dolcissimi del Delille: se non che segregato dal loro consorzio, il celebre Autore d’Emilio, che, colle grazie dell’immaginazione, abbellì di tanto i penosi doveri di madre (10), Gio. Giacomo Rousseau copiava musica per vivere, in una solitaria soffitta. Lassù convenne salire al Fabroni, col Miserere di Jomelli alla mano (11), ed impetrarne una copia: tornare dopo otto giorni, ricevere 22 franchi ed un soldo per resto di un Luigi, ritenendo sì tenue somma come prezzo del Miserere ORAZIONE Li copiato; e al nome di Filosofo, con che credea di onorarlo, udirsi rispondere, ch'egli aborriva quel nome come un’ ingiuria! Così rinnovavasi nel lusso e nella mollezza del Secolo XVIII, l'esempio di Diogene, di cui fu il Rousseau più eloquente sì, ma più infelice! Tutto questo, io ripeto, sarebbe curioso a riandarsi ed isvolgersi nella compagnia del Fabroni, se il tempo e l’uso lo permettesse, sicchè l’ordine del discorso ci riconduce a Pisa con lui. Ma come lasciar la Francia, e risalire le alpi, senza il pensiero, che già mormorava quella tempesta tremenda, che, ricoprendo di nubi gli spiriti, scosse l'Europa da’ suoi fondamenti, e minacciò di rompere il vincolo sociale, che lega gli uomini da tanti secoli? Ed or colà, ritornando colla memoria, come non dare una lagrima a Con- dorcet, indotto ad avvelenarsi sotto le abiette spoglie di un mendicante (12)? una lagrima a Lavoisier, cui non fu concesso tanto di tempo, per compiere una esperienza salutare all'umanità (15)? Una lagrima a Bailly, tanto grande e vene- rando nella sua prolungata agonia (14)? Una lagrima finalmente, e di tutte la più tenera a Roucher, l’autore dei Mesi (15)? che prima di andare al supplizio, si fece ritrarre per lasciar la sua imagine ai figli; la quale accompagnò coi versi, che volti in italiano direbbero: « O cari figli miei, se in questo istante « Un’ ombra di pallore « Oscura il mio sembiante, « Non vogliate stupir. Quando il Pittore « Mi ritraeva co’ pennelli suoi, « Si alzava il palco: ed io pensava a Voi. Pesi pure a sua posta lo Storico i beni e i mali di quegli avvenimenti nella bilancia dei destini dei popoli: che ufficio è dell’ Oratore di sparger l’alloro sulle tombe degli estinti immortali. Vittime delle civili discordie, non fu però infecondo il lor sangue, se insegnò ad ammirare l’altezza dell’animo, e ad ono- rar la virtù. Tornato, dopo quella lunga peregrinazione in Patria; e cominciando ad esercitare il Fabroni le incombenze del difficile ufficio; cominciò quella, che sorridendo egli chiamava la lunga via del suo Calvario: e conviene che io ne conservi la dolorosa parola; perchè non credo che trovar se ne possa una più conviente e più adatta. Non appena egli aveva e scelto, e con lode proposto, e con fiducia del Principe fatto nominare un Professore; che, passati pochi mesi, o da lui si al- lontanava come indifferente, o contro di lui spesso ai nemici si univa come novello, e più zelante nemico. 48 ROSINI I più, come suole avvenire, attraevano i meno: ed il Bianucci, l’Ostili, l’Antonioli ed il Foggi formarono pressochè soli un’ eccezione. E di questi tristissimi fatti, che continuarono sinchè visse, due furono le principali cagioni. Rivolto il Granduca Leopoldo a sgravar quanto poteva i sudditi dai pub- blici pesi; come apparve dal suo celebre Conto Reso (16), dovè naturalmente im- porre ai Capi degli Ufficj di ristringersi ad ogni economia. Non so con quanta ragione, ma venne accagionato il Fabroni di averne usata anche troppa. E que- sta particolarmente si manifestò nelle proposizioni degli aumenti d’onorario da conferirsi ai Professori, in occasione delle opere che davano a stampa. Ciascuno intende come gli Autori frustrati nelle loro speranze, gli divenivano avversi, e per l'interesse, e per l’ambizione. Non pochi furono i casi; ma degno di me- moria, e forse cagione anco di scandolo fu quello dell’Avvocato Lampredi; che non premiato pel suo Saggio sul Commercio dei Neutri in tempo di guerra non solo se ne adontò clamorosamente; non solo rivolse le ingiurie più che i lamenti contro il Fabroni; ma non udito, e non curato, diresse ed inalzò ben più alti gli sdegni. Chi scriverà le Memorie di quei tempi ne potrà svolgere le conseguenze . La seconda cagione fu la sua poca sofferenza nell’accogliere le persone, che a lui con troppa assiduità si rivolgevano, anco nei doveri dell'impiego suo; ma che gli cagionavano perdita di tempo (17). Egli non sapeva, come suol dirsi, permettere di essere annojato, con buona grazia. Questo difetto, rimproverato- gli anco da un Anonimo, che fece le giunte mss. alla sua Vita, è riprovevole in vero; ma parmi meno assai d’una stupida tolleranza, e di una bassa fin- zione. Tenendo, come si è detto, assai conto del tempo; e amando la sera di convenire in amichevoli radunanze, sdegnava di udire le rimostranze vanitose, le richieste indebite, gl’ingiusti lamenti; ma che suscitavano le ire dei postu- lanti indiscreti. Ed in questo povero mondo non potrebbe negarsi che gl’ indi- screti sieno i più. Qual maraviglia dunque, che in mezzo a tanta concitazione di spiriti, i pregi del letterato sieno stati offuscati dai difetti, che i suoi male- voli con acerbità rimproveravano, e smisuratamente accrescevano all’uomo? Poche parole dirò sull’idea che sorse in mente al Granduca di farne il Precettore de’ suoi figli. Pare che, trapelando sollecitamente la notizia di quel sì onorevole incarico, vi si opponesse l’invidia. Questo egli conferma nella Vita; ma se il Pastore della Gerusalemme non canta il falso; debbe il Fabroni ringraziare i suoi nemici, che lo allontanarono da quello scabroso cammino. N’ebbero così gran vantaggio lo scrittore, e gli scritti. Ottenuto avendo in quel tempo di esaminare a suo bell’agio gli Archivj ORAZIONE 49 della Repubblica e del Principato, estender potè le ricerche anco alla Storia Politica della Toscana. E primo saggio dei nuovi studj fu la Vita di quel Lorenzo de’ Medici, co- gnominato il Magnifico, che fu riguardato finchè visse come l'arbitro e il rego- latore del sistema governativo d’Italia. Il grande avvenimento della presa di Costantinopoli da Maometto II nel 1448 avea fatto refluire un gran numero di dotti Greci in Firenze: questi uni- tamente a Gentile d’Urbino, poi Vescovo d’Arezzo, aveano preseduto alla sua educazione: il Poliziano suo coetaneo ne aveva ingentilito ed abbellito l’inge- gno: e quella città, senza scrupolo d’adulazione, potea salutarsi come l’Atene novella, quando avvenne la Congiura dei Pazzi; che dividendola in due fazioni, dopo molto agitarsi e rivolgersi, la precipitò nel 1529 nella sua totale ruina. Le politiche vicende di quel tempo sono dal Fabroni con latina eleganza maestrevolmente descritte: i documenti che l’accompagnano sono una messe ubertosa pel politico e per l’antiquario: e taluno di essi o ignoto, o posto di nuovo in luce, ancor,dimostra ch’ ei non mancava di coraggio civile . Fu Lorenzo il Protettore di Michelangelo: e questo solo in vita basterebbe alla sua gloria. Morto immaturamente nel 1492, impedir non potè la discesa di Carlo VIII in Italia, che fu il principio fatale di tutte le nostre sventure; sicchè gloriosissimo per la vita, e lagrimato per la morte, chiunque ama la patria sua, ponendo in silenzio le istigazioni di parte, di grado, o di nascita; debbe applaudire all’Alfieri la dove scrisse; che « tutta la schiatta Medicea « presa insieme, non ha dato un’ oncia dell’ altezza di questo Lorenzo (18) ». E se, come opina anche il Pignotti, se fosse vissuto, egli avrebbe impe- dito quella malaugurata discesa, qual gratitudine non gli sarebbe dovuta da tutta Italia? Essa non avrebbe veduto darsi, come cantò l’Ariosto, in preda a Francia, e a Spagna; non avrebbe dovuto piegare il capo ai torrenti di armati, che precipitando dalle Alpi, allargarono le vie di Brenno e di Annibale: e col suo manto d’oro, sederebbe ancora sull’Adria la regina dei mari... Ma lasciamo i sogni beati, e risalendo 50 anni indietro da quell’età, parliamo d’altre miserie. Nè chi abbia senno ed alto animo, negar vorrà, che miseri fossero i giorni, in cui l’Avo di quel Lorenzo, tornando dall'esilio, segnalò colla sua presenza, ed approvò colla sua autorità una proscrizione, alla quale non mancò che il sangue per eguagliarsi, come scrisse il Machiavelli, a quella di Otta- viano, e di Silla, ancora che in qualche parte nel sangue s’intingesse (19); tanto al sangue facilmente precipitano le civili discordie!... Gran lezione per noi; se una volta i nepoti volessero far senno dagli errori degli avi! Dopo la vita di Lorenzo, scrisse il Fabroni quella di Cosimo, e restò per 50 ROSINI molte cagioni questa inferiore alla prima: ma la verità ne costringe a stabilire, che per la mancanza dei documenti sepolti nei Romani Archivi, e per l’età, che pendeva alla vecchiezza, fu l'Autore anco minor di se stesso, quando dettò la vita di Leone X. Dei meriti, o demeriti di quel Pontefice, che diede il nome al suo Secolo, non è questo il luogo e il tempo di trattare: il Guicciardini, che lo conoscea ben da presso, lo dichiarò (risponda egli di questo suo giudizio) men buono, e più valente di quello, che ne pensava l’universale: ma le Logge Vaticane, gli Arazzi, e la più parte dei portenti di Raffaello, rispondono a ingiuste detrazioni. Così rispondere si potesse ad altre accuse che lo riguardano, come ai 28 benefizj ecclesiastici, conferitigli per colpa de’ tempi, all’età di 8 in 9 anni; pe’ quali è costretto il Fabroni ad esclamare: « Bone Deus! Quot in « uno puero cumulata sacerdotia »! L’uflicio di storico glie lo imponeva: ed ei non mancava all’ufficio. Nulla dirò dei tre volumi, che contengono gli Annali dell’Università no- stra, dal suo principio fino a lui . La nitidezza dello stile, la verità dei fatti, e la giustezza delle riflessioni sono cose comuni tanto in sì fatto scrittore, che lodandolo per esse, si corre- rebbe il rischio di quell’antico, che lodando Ercole, fu schernito: ma di sì rara eleganza è la vita, che scrisse del Petrarca, destinata a precedere la Collezione delle sue lettere, (le quali sparse mss. in varie Biblioteche d'Europa, unirsi volevano e pubblicare) che non potrebbe senza colpa lasciarsi sotto silenzio. L’elegantissima edizione fattane dal Bodoni, come « Talora accresce la beltà un bel manto, ricorda i versi dell’Alfieri alla Cameretta del Poeta in Arquà, come le preziosità dei tipi avvolge in qualche modo lo stile simplex munditiis, che serve colle sue grazie ad abbellire la troppo nota materia. E qui, ricordando come il Petrarca fu l’amico di Giotto, il quale, col gri- do, che oscurò la fama di Cimabue, dischiuse gli occhi degl’ Italiani al vero bello nella pittura; dirò che alle altre doti aggiungeva il Fabroni una sì gran perizia nelle Arti del Disegno, che quando, nelle conversazioni, a trattar sj ve- niva di quelle, dalla sua bocca si pendeva come da un oracolo; non essendo la memoria dei fatti minore in lui della solidità dei giudizj. Nel suo non breve soggiorno in Roma, la familiarità col Bottari, e il consorzio col Mengs e col Winckelmann lo avevano istrutto nella teorica: e nei viaggi, che dopo quelli di Francia e d’Inghilterra, fatto aveva in Germania, la visita delle Gallerie di Dresda, di Dusseldorff, di Monaco, e di Vienna lo avevano educato all’ammi- razione del vero bello; e alla cognizione e al disprezzo del falso. ORAZIONE 51 Da ciò derivò che quando scrisse di Arti, lo fece con tanta perizia, da me- ritare l'approvazione del Lanzi e del Puccini (20), co’ quali soltanto ne divideva in Toscana il magistero . Ma pare che di Arti scrivere non si possa, senza molto amarle: e di tale amore prova grandissima egli diede allorchè fece intendere al Granduca Pietro Leopoldo l’importanza ed il merito delle statue, che componevano la storia di Niobe e dei Figli, rimaste in Roma fino dai tempi Medicei. Trasportate in Firenze, furono da lui fatte intagliare; ed illustrate poi dalla sua penna con molta cura diedero motivo al Mengs di scrivere (21) magi- stralmente sulle Greche Sculture. La Favola di Niobe poi formò fin d'allora come ora forma uno dei più rari monumenti della Fiorentina Galleria. Ma tra quanti la visitano; e ammirano la magnifica stanza ricca di stucchi indorati, fregio a sì bella e dolorosa rappresentanza, che ai tempi fortunati ci trasporta della fortunatissima Grecia; chi è che si ricordi, e dirò ancora che sappia, ch’ ella si debbe al Fabroni? Ma ben superiori a tutte le altre opere ( da lui composte) furono le 150 e più vite degl’Illustri Italiani, dei Secoli XVII, e XVII; dove la copia dell’eru- dizione, la ricerca dei fatti, la saviezza dei giudizj, e la chiara esposizione dei pregi di ciascuno, lo stabilisce uno degli scrittori più reputati e benemeriti del suo secolo. E il retto senso, che in lui fu sì squisito, non mai tanto luminosamente apparve quanto allora, che dedicò la vita dell’improvvisator Perfetti al Conte Alfieri, che avea preso stanza in Pisa, dove egli stesso confessa nella Vita (22) che passava il tempo fra pochi libri e molti cavalli. Era l’anno 1785 quando le sue tragedie note non erano che nell’imper- fetta edizione di Siena. Tutti disputavano sul merito loro. Il Duca Mollo e compagni (25), col Socrate tragedia una, composta di tre personaggi, ne scrive- vano una Parodia; lo Zacchiroli un mordace epigramma; il Lampredi lo minac- ciava di non andare alla posterità se non riformava lo stile (24); e il Satirico d’Elci, andando attorno in Firenze, colla voce monotona e nasale, assordava le orecchie di tutti colle mal avvisate sue critiche. Si pareva tornati ai tempi di Giovenale, che sì ben ei descrive colla feconda sua vena. Ma il Fabroni, antecedendo al giudizio del Pubblico, in mezzo ai clamori dei semidotti, e alle incertezze de’ begli spirti, non temeva di scrivergli: « Effecisti, ut quo uno « genere vincebamur a Gallis et Britannis, in hoc quoque nihil iis conceda- « mus ». Era Boileau, che solo ben giudicava l’Atalia contro agli scherni di tutti. Ma, cimè, qui si potrebbe esclamare. Aveva Egli quelle Vite e quelle dediche dettate in latino; e 1785 non era lontano che di due lustri e mezzo dal 1798, quando con tanto scandolo e tanta vergogna, la lingua di Livio e di Cicerone altamente bandivasi dall’ Università di Pavia! 52 ROSINI Tonò con un alto sonetto il Foscolo invano contro sì gran vitupero; ne ripetè invano il Giordani l'indignazione e il dispetto: con una indifferenza, che non saprebbesi come definire, se ne propagava in tutta Italia la non curanza e l'abbandono: e ogni animo gentile ed ogni mente assennata poteva a suo bell’agio ripetere le parole di Ovidio nelle solitudini del Ponto « Barbarus ego sum quia non intelligor illis». Ma il tempo inesorabile avanza: e giudizio darà delle aberrazioni del secolo. Intanto noi, che viver non potremo fino a quel giorno, rivolti alla memo- ria del Fracastoro, del Vida, del Sannazaro, li pregheremo di perdonare a questa nuova schiatta di barbari; che non sbucati dal Settentrione ma sorti, come le cavallette di Egitto, dal putridume d’Italia, non potendo distruggere i monumenti dell’antica Roma, ne van disperdendo la lingua. Ma finchè ne rimarranno gli eterni volumi, la lingua di Virgilio non perirà. Molti forse crederanno, che poco aggiungano ai meriti del Fabroni gli scritti italiani. Certo non sono dettati con quella eleganza, che mai non l’abbandona nei latini: ma nessuno potrà negare che vi apparisca quel tatto delle convenienze, che fu chiamato il sesto senso degli scrittori, ch’ ebbero in sorte di possederlo. Dell’elogio del Galileo non parlerò, perchè venuto non era il tempo quan- d’ ei lo scrisse di dire intera la verità: in quello di Monsignor Giacomelli è un dotto, che parla di un dotto: in quello del Frugoni è un amico, che della be- nevolenza reciproca si compiace: in quello di Tommaso Perelli è il giusto pa- negirico di un uomo eminente. Ma come parlar degnamente di quello, in cui prende a lodare il famoso discepolo del Gravina; che da tanto maestro tratto dai romani trivii, dove ogni sera si aggirava improvvisando, com'era l’uso in quei tempi; fu da lui condotto con mano benevola, e con voce animosa di grado in grado, sino a piè del trono dei Cesari? E che vale se adesso dalla moltitudine ignara, nata per far numero ed ombra, non si cura nè apprezza? Chi non sa che Caligola disprezzava Cicerone e Virgilio? Chiniamo la fronte a’ suoi seguaci, ma chiniamola col riso inestinguibile d’ Omero sopra le labbra. Il Monti, che scrivendo di poesia, può riguardarsi come Cesare quando scrive di guerra, inimitabile dichiarollo ed immortale; ... e degni gli Oratorj sacri d'essere imparati a memoria dagli Angeli 5). E di contro al canto del Cigno, che vale il gracchiare dei Corvi? Nè terminerò senza parlar del Giornale dei Letterati, ch’ei fondò nel 1771, ch’ebbe l’onore di dedicare al Granduca Pietro Leopoldo, e che fino d’allora fu riguardato come la prima opera di tal genere, che per un quarto e più di secolo vedesse in Italia la luce. Sa ciascuno di Voi che lo scopo principale dei Giornali è di render conto con lealtà di quei libri, che dalla moltitudine pro- ORAZIONE 53 curar non si possono; e di rappresentare agli occhi de’ curiosi, per così dire in miniatura, i quadri che i grandi artefici dipinsero al naturale. Tanto fecero Apostolo Zeno, il Muratori, il Maffei; ma pel secolo nuovo lattanti dottori vennero a predicarci nuovi ritrovati, e dottrine novelle. Poco importa che i lettori ben conoscano l’opera, della quale si prende a dar conto; basta che n’ abbiano un'idea: ma della più grande importanza è di ammirare le opinioni di chi detta l’articolo. E guai se le opinioni dell'Autore del libro non sono conformi a quelle del Giornalista. Le festuche, secondo la nota espressione, divengono travi dentro agli occhi del misero. Così non usò il Fabroni unito ai savj suoi Collaboratori: e rimangono gli Articoli di quel Giornale a far fede, che nessuno tradì la sua coscienza nel di- stribuire il'biasimo, o la lode. Si lamenta egli nella vita di aver incontrato dei nemici dove meno credea; ma già s'intende, che gli Autori non trovano mai nei Giornali sufficiente la lode per essi, quando non è sperticata. Che il pubblico poi ne rida, poco importa: la natura umana è così fatta: nè la favola della Volpe e del Corvo ha guarito fin qui nessuna delle vanità letterarie. Aveva il Fabroni poi sopra gli altri una mirabil disposizione a decomporre, e quindi in più brevi proporzioni a ricomporre un libro (26): di maniera, che il Barthelemy, autore del famoso Viaggio di Anacarsi (27) ebbe a scrivergli « che « nulla di essenziale aveva omesso nell’analisi dell’opera sua: dove non meno « ammirato aveva la scelta e la connessione dei fatti, delle proprietà e rapidità « dello stile ». Nè minor pregio avuto avrebbe il Ristretto del celebre Corso di Letteratura del La-Rarpe, se la morte sopraggiunta non gli avesse impedito di trarlo a fine. E anticipata fu di qualche anno, per quanto allora se ne sospettò, quella morte. Ma non potrebbe, con Tacito, paragonarsi a quella di Agricola? Morte che gl’impedì di veder pullulata la zizania, dov’ egli aveva seminato il fru- mento: non vide Aristoteli imberbi, ed Orazj scapigliati rinnegare i precetti di 25 secoli: non mirò strascinato il Petrarca nel fango: non udì chiamar Poeta mediocre Torquato Tasso, e poco men che cantore da trivio il Metastasio! Sicchè fortunate chiamerò le sue ceneri, poichè riposano in pace colle orecchie vergini ancora, e non contaminate mentre visse, da sì fatte bestemmie. Ma poichè, dopo la sua morte, che segnò il principio della decadenza, volle il nostro fatale destino, che fossimo noi, per quasi otto lustri condannati ad udirle; rinnovando altamente le proteste mai non interrotte, sorgiamo; e a lui tornando, concludasi. Come accadde mai che colui, che venne dall’Andres salutato per le Vite come l'Italiano Plutarco; che scrisse di più sei volumi di Storie, tre di Elogi, e dodici, e più nel Giornale di varie materie; come avvenne che un tal uomo inos- Scienze Noolog. T. III. I 540 ROSINI servato passi, e negletto? E vi passi fra gl’innumerabili e noiosi semidotti, che come le rane della palude, da mane a sera gracchiando, assordano le orecchie di quanti intorno vi si aggirano? E quando mai si potrà ripetere l’iniquitas temporum di Cicerone, se non è pei tempi presenti? Ma questa iniquità non si corregge, che col cangiare delle opinioni: e le opinioni non si cangiano senza l’impero della dottrina. La storia è là per insegnarci, che le moltitudini traviate non tornano al retto sentiero, se non sono stimolate dall’esempio e condotte dall’ autorità dei sapienti. Ma il loro primo passo fu sempre quello di rovesciare nei templi i simulacri degli Idoli falsi, e riporvi le imagini della vera Divinità. Nel Secolo XVII, il Marini e i seguaci avean tolto di seggio Dante e il Petrarca, e poste all’adorazion degl’ illusi le proprie imagini: ma il Redi e il Filicaja li cacciarono, e riposero sull’ara quei primi. Plaudì dall’Alpe al Faro Italia tutta; e rifiorirono le lettere, che illumina- rono di nuovo splendore questo bel cielo, adombrato per cinquant’ anni di tempeste e di nembi. Volgete gli occhi all’intorno: e colla mano sul cuore, giudicate nel fondo della coscienza vostra, e liberamente rispondetemi: Circondati siamo noi di luce, o di tenebre? Quando Demostene, per la Corona, interrogò gli Ateniesi sul conto di Eschine, non vi fu che un grido di assenso. Ma Voi, colla parola, imprigionata fra i labbri dalla forza del Vero, non mi potete rispondere che col silenzio... ed è questo vostro silenzio ben eloquente e tremendo. Fermo nel mio proposto, io non mi sgomento però riflettendo, che il Filicaja ed il Redi furono i vostri maggiori. Figurate, per un istante, colla immaginazione, o col desiderio di vederli presenti, che coll’esempio vi ammaestrano, colla memoria v'incitano; e im- pazienti attendono una nuova età. Questi sono gli ultimi voti ch’esprimo: questi gli ultimi augurj, che invo- co: e, coi passi rivolti al sepolcro, questa è, Colleghi amatissimi, l'eredità che vi lascio. TS «Db "N N: —_—1s0—_ (1) Nel dì 11 Novembre 1845. Il Discorso è inserito nel Tomo I. degli Annali di questa Unicersità, e nel Tomo X delle mie Opere varie. (2) Vedasi quanto scrissi del Pignotti a pag. 257 del detto Volume. (5) Un nuovo lavoro sulla vita e sull’opere di questo egregio Scrittore uscì dalla penna del sig. Montel ultimamente. (4) Degno di mitera. Contro una tal sentenza insorse il Monti, e mostrò la poco ra- gionevolezza del Cesari; il quale avea preso quell’ingiuria dal Menzini, che nella Satira prima in senso morale scrisse: «E questo secoletto miterino «Ha converso in sassate il berlingozzo. E certo al secolo, che diede i natali all’Alfieri, al Parini, e al Monti stesso, non sarà mai posta con giustizia la mitera in capo. (5) Dopo aver dettata la presente Orazione, mi è stato inviato un ELOGIO BIOGRAFICO di lui, seritto da un suo concittadino (Carlo Torriani) in occasione delle nozze Piani e Mon- taguti nel 1845. Io non posso che lodarlo, e applaudire al voto espresso in fine dello scritto: « Sorga finalmente a Monsignore Angelo Fabroni nella terra, che illustrò colla nascita, e « beneficò grandemente colle opere, un monumento degno della sua fama e delle vostre virtù. « Ricordatevi che la dimenticanza delle glorie degli avi accusa la vergognosa codardia dei « nipoti degeneri ».. In fine del volumetto è riportata la seguente Iscrizione dettata dall’Abate Lanzi, che doveva esser posta, e che non l’ è stata ancora sulla facciata dello Spedale di Marradi. HONORI ANGELI - FABRONII - MARRADIENSIS - V - C - PATRICII * PISTORIENSIS EQUITIS © DE * VI © PRIMIS © S * STEPH * P* M° SACERDOTIS * PRIORIS IN * AEDE * ORDINIS © EIUSDEM * PRIMORE QUAE © PISIS * EST MODERATORIS © LYCEI * PISANI © PER * AN * XXXIV © SCRIPTORIS * ELEGANTISSIMI DE * HISTORIA * LITERARUM DEQUE * ITALIAE * GLORIA * PRECLARE * MERITI QUOD * HUIC * VALETUDINARIO * CONDENDO MILLIA © NUM * SCUTATORUM © Ill * CIRCITER PRIMUS * CONTULERIT ET © AD * INCREMENTUM * APPARATUMQUE ° EJUS LIBERALITATES * ETRURIAE * PRINCIPUM CONLATIONESQUE * CIVIUM * SUORUM PROVOCAVERIT LUCAS * FABRONIUS * PATRUELIS * EJUS EQ © ORD * S* S * CURATOR * VALETUDINARII NOMINE * PATRIAE © ET * SUO * AN * celo » FoccellI - 56 ROSINI (6) In questo tempo, gratificato come egli fu dalle due famiglie magnatizie Corsini, e Rospigliosi, si dichiarò loro sempre riconoscente, come appare dai sensi espressi nella sua Vita. Il che si nota qui meno per lode del Fabroni, che per biasimo degli sconoscenti.... e fosser pochi! (7) « Dixi eam coram lectissimis hominibus, et ejus Filio Cardinali Eboracensi Duce, « qui non solum lacrimis, et verbis humanissimis, sed etiam munere satis largo declarant, « quanti illam fecisset ». FABRONI, Vita, scritta da esso, nel Tomo XX. E penso che così scrivesse per indicare come già sul finire de’ suoi giorni era invalso il costume (certamente più comodo), non solo di non rimunerare gli Autori delle loro fatiche, ma di lasciare ad essì il carico delle spese della stampa. (8) Vedi la nota 26. (9) Se ne veda la descrizione adorna degl’intagli della statua scolpita dal Pampaloni, e dei bassi-rilievi del Santarelli e del Guerrazzi. (10) S' intenda la frase ristrettivamente agli uficj di madre. (11) La copia del Miserere dell’ Jomelli, che mostrava spesso agli stranieri, eseguita da Gio. Giacomo Rousseau, sparì alla sua morte; come sparì dalla sua Biblioteca l’esemplare del Longo famoso del Bodoni tradotto da Annibal Caro, che io vidi più volte. (12) Il destino di Condorcet fu crudele. Con tanta superiorità d’ingegno poco mostrò di conoscer gli uomini; e molto meno i modi con cui si governano. Posto in stato di ac- cusa il 5 Ottobre 1795 si nascose, quindi fu posto fuori della Legge. Trovò per otto mesi asilo in casa di un’ amica generosa, e in tale occasione scrisse a sua moglie i due versi se- guenti, che la storia ci ha conservati: « Ils m° ont dit: choisis d’ètre oppresseur ou vietime: « J° embrassais le malheur, et leur lassai le crime. Quando si pubblicò la nuova legge, degna dei tempi di Dracone, con la quale si punivano di morte coloro, che davan ricetto ai proscritti; egli volle abbandonar quell’ asilo, quantunque la generosa amica vi si opponesse, dicendogli: « Se voi siete fuori della legge, noi non siamo « fuori dell'umanità »: parole, che pur la storia ci ha conservate, e che destano un gran sentimento di riverenza e di affetto per chi le pronunziò. Il Lamartine riferisce diversamente la cosa; ma, nella narrazione da lui adottata, non parmi gran verisimiglianza. Egli crede, ( Libro LVII della Storia dei Girondini) che Con- dorcet uscisse dal suo asilo al ritorno della primavera, pel bisogno « de parcourir les champs, « de s’ asseoir à l’ombre d’un arbre, d’ecouter le chant des oiseaux ec...» ma se si riflette che non aveva nulla preparato per trovare un refugio fuori di Parigi, e che non avea pas- saporto, bisognerà convenire o che avesse perduto la mente; o che Madama Suard, presso la quale cercò asilo, fosse d’ una tempra diversa da quella delle altre donne, che tanto si distinsero per la loro generosità nel corso della Rivoluzione. A questo proposito, rimando i lettori alla nota, che fa Legouvé al verso 14 del suo poemetto intitolato Le MERITE DES FEMMES. Condorcet, privo d’ asilo, si condusse in un’ osteria, dove, preso per sospetto, fu arre- stato, e condotto in carcere. La mattina fu trovato morto. (15) La morte del Lavoisier presenta una prova di più sull’ ingratitudine degli uomini perversi. Paulze suocero di lui aveva impiegato negli ufizj degli Appaltatori generali con particolar protezione un individuo, che la iniquità dei tempi portò alla Convenzione Nazio- nale. Esso fu scelto per fare un Rapporto contro di essi, nel quale, fra le altre stoltezze rimproverò loro d’aver venduto i Tabacco troppo umido. Furono gli Appaltatori generali condannati in massa; e quando fu dimandato una sospensione di pochi giorni per Lavoisier, che desiderava di condurre a termine un’ esperienza, fu risposto « dal capo di quella ma- « snada con fiera voce » (scrive il suo Biografo) « che non si avea più bisogno di dotti ». (14) Sul supplizio del Bailly si possono leggere due belle pagine nel libro LII della Storia dei Girondini del Lamartine, al capo X; che comincia: « Bailty restaît cc. ». —r———— GEE ORAZIONE 57 Il suo ritratto preso dal vero è d’ una gran verità nel Disegno del famoso pittore David, per farne un quadro, che poi non si eseguì, sul celebre « Serment du Jeu de « Paume ». Egli avea fatto gli studj in colori delle teste dei personaggi, che dovevano figurare nel quadro; e i quali mostrava con una certa compiacenza, come mi accorsi, facendo inten- dere che li riguardava come i suoi capo-lavori. I ritratti di Mirabeau, di Pethion, di Barnave erano mirabili. (15) Rimando i lettori all’articolo RoucHER, nella Biografia universale del Michaud. Là è giudicato con molto senno, e mostrato come il La Harpe passò tutti i limiti della conve- nienza e della giustizia, serivendo sì acerbamente di lui. Ma se il Poeta, che cantò dei Mesi fu al disotto dello stesso Delille, non se ne po- trebbero lodare abbastanza le virtù sociali e gli affetti di famiglia. «Osava, scrive il suo « Biografo, nelle unioni dei cittadini di Parigi, parlare in nome della ragione, della giusti- «zia, e della umanità. ... Durante una prigionìa di più che sette mesi, in quella carcere, « da cui non si usciva che per andare alla morte, conservò sempre la tranquillità dell’ ani- « Mo ». In quanto agli affetti di famiglia «l’unica sua consolazione era di scrivere a sua mo- « glie ed a sua figlia, allora in età di 17 anni, di cui continuava a dirigere gli studj con un « carteggio pieno d'incanto. Le risposte tenere e spiritose, che la giovinetta indirizzava al- «l’autore de’ suoi giorni, indicano con qual felicità gli riuscisse quell’ educazione. Gli pre- « parava colle sue mani gli alimenti ogni giorno; e glie li portava ella stessa in prigione, «beata quando negato non l’era il favor di vederlo ». « In tempo dell’Assemblea Legislativa, (scrisse il Lacretelle giovine) attirato si era il « risentimento di Robespierre, e di Collot d’ Herbois con degli scritti coraggiosi. Un’ imma- « ginazione ardita e brillante l’avea fatto distinguere tra gli uomini di lettere; un’ anima « sensibile e forte il rese caro a tutti gli uomini dabbene ». Nel 1815 feci ricerca in Parigi della sua vedova, e della figlia; ma nessuno seppe in- dicarmele. Il celebre Langlès, l’Orientalista, mi disse che credeva si fossero ritirate a Mont- pellier dove il fratello di Roucher esercitava la medicina. (16) L’Abate Bettinelli scrisse un Carme in versi sciolti su questo libro; dove i sen- timenti generosi, espressi da lui come Poeta, fanno per un poco dimenticare le sue bestem- mie sulla Divina Commedia, come critico. (17) Queste Osservazioni di un Anonimo alla sua Vita, unitamente al Carteggio col Morgagni, col Frisi, col Frugoni, e altri Personaggi del suo secolo, son possedute dal mio egregio Amico Dottor Cammillo Versari di Forlì. In quanto a quello, di cui si parla al ver- so 54 e segg., ecco come egli ne scrive a pag. 52 « Unde inquies tam subita mutatio ? Ex « perspicientia veri (si veda sopra) et fortasse etiam ex malevolentia. Nam in tam suspiciosa « et maledica civitate, locus semper patuit vel apud equissimum Principem sermoni obtre- « ctatorum ». (18) Parere sulla Congiura dei Pazzi. (19) MacHiavELLI, Storie, Libro V. (20) Poche notizie su quest’ uomo di raro merito si trovano a pag. 577 nel libro in- titolato: MonumeNTI DEL GiaRDINO Puccini. Furono seritte nel 1811 dall’ egregio G. B. Nicco- lini. Oserò nella nota degli Editori a quelle poche pagine di aggiungere qualche avvertenza. Là trovasi: « Non gli fu poca pena il vedere, contro le forti sue opposizioni, venduto dal « Governo Francese per sette mila Scudi il mirabil ritratto di Bindo Altoviti, prodigio .... « di Raffaello ». L’ espressione non è esatta. La vendita fu fatta dalla Famiglia Altoviti alla Galleria di Monaco: il Puccini si oppose all’uscita di quel quadro dalla Toscana; ma il Governo Fran- cese non credè di poterne impedir l'estrazione. Il quadro, allor fu detto, che avea molto sofferto, per incuria: ignoro se ciò fosse vero. 58 ROSINI « Poichè il Governo Francese ebbe dispogliato la Galleria Fiorentina.... È un equivoco. Nella prima invasione del 1799 furono presi 56 quadri dalla Galleria dei Pitti. Da quella degli Ufizj nulla fu tolto. Nella seconda invasione dell’anno successivo, il Puccini d'accordo col Governo incassò statue, busti, quadri e cammei; e imbarcato con essi riparò in Messina. Ho bene in mente il fatto, poichè gli dissi addio il giorno innanzi alla sua partenza. In quell’occasione, di là fu richiesta dal Governo Francese, e ottenuta dal Governo Napoletano la consegna della Venere, che fu poi, non so come, collocata nel Museo del Lou» vre in modo poco degno della fama di quel Greco portento. « I Francesi (disse il Puccini) hanno voluto maritar la Venere ....con l’Apollo.... « ma non faranno figlioli ». L’aneddoto avvenne nel 1796, quando il General Bonaparte da Livorno venne a Fi- renze, e fu convitato dal Granduca Ferdinando III. Erasi fatto l’armistizio con Roma, e l’Apollo era destinato a partire per Parigi. A tavola, il Generale, parlandone, disse al Puccini: «Vogliamo noi fare il matrimonio dell’ Apollo « colla Venere? » E il Puccini rispose: « Generale, dubiterei sulla fecondità di un tal matri- « nio ». Me lo narrò egli stesso la domenica dopo, giorno, in cui eravamo soliti ad andare da lui a prendere il caffè, il Sabatelli, il Benvenuti, il Zannoni, il Cipriani (ch’ebbe sì bella aurora e sì mediocre meriggio), il Morghen qualche volta, e alcuni altri, ai quali tutti solo io son rimasto superstite. (21) L’ Illustrazione della Niobe, divenuta rara, perchè non si ristampò, può vedersi nelle Biblioteche. Il Zannoni poi la dettò da par suo nella Galleria del Molini. Io mi tro- vava presente allorchè visitò quelle statue coll’ occhio suo indagatore, il Canova; e n’ ebbe lode il Zannoni, ch’ era con noi, sentendo come il grande Artefice andava pressochè sempre approvando i suoi giudizj; cioè nella testa e nella mano del Niobida morto, nella testa mo- derna di una figlia (N. 4) nella mossa ardita del Niobida (N. 6); nel sospetto che la fem- mina (N. 6) sia piuttosto una Psiche ec. Venendo al Mengs, credo inutile di riportare il luogo, essendo le opere di lui, dopo la ristampa fattane in Bassano, nelle mani di tutti. (22) Epoca IV cap. 15. (25) La Parodia del Socrate fu immaginata nella conversazione della Marchesa Teresa Pallavicini, nata Lomellino in Genova, dal Duca Mollo, da Giorgio Viani della Spezia, da un Sauli Genovese, e dal Sanseverino, Monaco Casinese, autore d’ una mediocre versione d’una parte di Tacito. (24) Per cui l’Alfieri scrisse l’ Epigramma stampato poi nelle sue Rime, a Kell: « Io Professor dell’ Università ec. (25) Nelle Prose, che accompagnano i primi suoi versi, stampati a Livorno nel 1779. Altre volte ho fatto notare che quando non è spinto dalla passione il Monti è un critico di alta sfera. E quantunque naturalmente, in seguito al 1779 egli sentisse ingrandirsi; quando serisse per esser posti in musica i PirtAGORICI per Napoli; e prima e poi le diverse Cantate per Roma, e Milano, dovè facilmente accorgersi come in quel genere gli era forza di rima- nere non poco al disotto del Metastasio. (26) Ecco la Nota delle Opere tutte dell’Autore. L’ Istoria dell’Arti del Disegno e il Viaggio di Anacarsi furono inserite nel Giornale; indi stampate a parte. La preparazione alla morte. — Traduzione dal francese. Principj e regole della vita cristiana. — Traduzione come sopra. Le massime della Marchesa di Sablé. — Traduzione con commenti. Vita Clementis XII. Volumen I Vitarum doetorum Italorum. Roma 1766. Dialoghi di Focione del Mably. — Traduzione dal francese. O RAZIONE 59 Lettere del Magalotti. Volumen II Vitarum doctorum Italorum. Lettere di uomini dotti a Leopoldo de’ Medici. Giornale de’ Letterati. Pisa T. 102. Istoria delle arti del disegno. Dissertazione sulla Favola di Niobe. Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt ete. Vol. 20. —Il primo uscì in Pisa nel 1778, è gli ultimi due furon editi in Lucca da Domenico Pacchi nel 1804. Prefazione al primo e secondo tomo degli Illustri Pisani. Vita Laurentii Medicei. T. 2. in 4. Vita Cosmi Medicei. T. 2. in 4. Historia Academiae Pisanae. T. 5. in 4. Ristretto del viaggio di Anacarsi. 5 volumi. Vita Leonis X P. M. Epistolarum Francisci Petrarchae lib. Vita Francisci Petrarchae. Vita Pallantis Stroctii. Elogj d’ Illustri Italiani. 2 volumi 12.° Elogj di Dante Alighieri, Angelo Poliziano, Lodovico Ariosto e Torquato Tasso. Oratio ad S. R. E. Cardinales cum subrogandi Pontificis causa conclave Venetiis in- gressuri essent. Oratio in funere Leopoldi Austriaci. Devoti Affetti in preparazioue alle feste del S. Natale, delle principali feste di Maria Vergine e di alcuni Santi. Pisa 1801. Novena in onore di Maria Santissima Ausiliatrice coll’aggiunta di dodici meditazioni. Pisa 1805. (27) Sul Romanzo STORICO. Il Viaggio del giovine Anacarsi in Grecia fu, come appare dal suo andamento, la seconda opera dopo il Telemaco, che i Francesi scrivessero, mescolando il falso col vero per unire l'istruzione al diletto. Questo genere di componimento, che poi si è comunemente chiamato Romanzo Sto- rico, è (dopo il rinascimento) di origine interamente italiana. Busone da Gubbio. contemporaneo di Dante, compose nel 1511 l’Aopenturoso Cici- liano, che un egregio Inglese letterato il Sig. G. F. Nott pubblicò per la prima volta in Firenze nel 1852. A Busone successe primo in merito il Boccaccio, il quale nella più parte delle sue Novelle mescolò il vero col falso, come nella prima Giornata la Novella II, la V della Mar- chesana di Monferrato, asserita vera da Aldo Manuzio, e la VI, e la VIII; e per tacere d’ogni altra nè fare una nojosa diceria, la storia della Griselda, con che si compie quel libro famoso. Al Boccaccio succede Ser Giovanni Fiorentino, col suo Pecorone, le Novelle del quale, scrive il Manni son vere storie, «le quali riscontrano a meraviglia con de’ fatti raccontati « da Ricordano Malispini, e da Giovanni Villani». (Bibliografia del Gamba, Fir. 1855, p. 57). Segue Franco Sacchetti, nelle cui molte Novelle troviamo i nomi di Castruccio Inter- minelli, di Dante, di Giotto, di Bernabò Signore di Milano, del Marchese Obizzo da Este, col Gonnella buffone, co’ quali è certamente mescolato il vero col falso. Il Ciriffo Calvaneo in prosa fu pure uno Storico Romanzo; citato dai Vocabolaristi. Il libro intitolato i Reali di Francia, che tutti avevamo per le mani ai tempi della nostra gioventù, fu per la prima volta pubblicato nel 1491, in Modena, ed è un pretto Ro- manzo Storico. 60 ROSINI — ORAZIONE Ai Reali di Francia succedono l’Istoria di Lancillotto del Lago; le Opere magnanime dei due Tristani; e Guerino il Meschino: finchè apparve la Istorietta amorosa tra Leonora de’ Bardi e Ippolito Bondelmonte di Firenze, pubblicato nel 1471 in Triviso, (V. Gamba pag. 62) la quale ricorda un fatto storico importantissimo. Si continuò nel secolo XV a scrivere Romanzi Storici; poichè la Storia di Antioco fi- gliuolo di Seleuco, successore di Alessandro Magno, che s’ innamorò di Stratonica sua matri- gna, dettata da Leonardo Bruni, è intitolata NoveLLA. (V. Gamba, pag. 50—51). I Novellieri del secolo XVI son pieni di storici avvenimenti; e se un’ occhiata sola daremo agli Ecatomiti del Giraldi, ad apertura di libro ci si presenteranno i fatti di Massi- miliano Imperatore, di Lorenzo de’ Medici, di Ercole d’ Este, e quelli di Alfonso, che, salvato avendo Fabrizio Colonna nella rotta di Ravenna, fu da lui salvato dallo sdegno di Giulio II in Roma. Segue la pietosa narrazione delle avventure di Giulietta e Romeo per opera di Luigi da Porto, e del Bandello; senza parlare del Malispini, che nelle Novelle 24, 84 e 85 della seconda parte narra la intera Storia della Bianca Cappello. E qui do fine, per non pro- lungar le citazioni fino alla nausea. Or se, (dopo tutte queste prove, che il Romanzo Storico è d’origine, d’ uso, e dirò di gloria italiana), si troverà chi pensi altrimenti, gli risponderò con Akenside NED 4 Eloquente Silenzio, ah! vieni, e alle sue laudi intendi. POME alia DE IUDICIORUM ORIGINE DISSERTATIO PROEMIALIS AD SACROS CANONES HABITA IN ACADEMIA PISANA IDIBUS NOV. AN. MDCCCXXXXI AE IOSEPHO CANTINI EQUITE GREGORIANO ET SACRORUM CANONUM INTERPRETE o => Animadverti saepe inter veteres, recentioresque populos, vel ii considerentur, qui aut opibus temporis beneficio comparatis, aut subita armorum fortuna eo pervenerunt, ut magnitudine laborent sua, vel ii, qui angustiori contenti do- minio, a patribus recepto imperio tranquille fruuntur, eo magis beatos, et felices habendos, quo magis sanctas leges jusserint. Civilis enim vita, de cuius tamen vera felicitate aliquando in errorem rapimur, multis in constituta eget societate, quibus, ne civitas unaquaeque a proposito aberret, est consulendum, quaevis sit regiminis ratio, et forma, quaevis opes, quaevis ditionis amplitudo. Salus igitur populi in Legum est adiumento, et auctoritate, quibus deficienti- bus, nulla societas stare potest, ne dum mente concipi (1). Hae leges vero quemadmodum vel bene, vel male se habeant, populus felix est, vel infelix; quapropter, ut eae sint sapientissimae optandum. Leges autem cum jurisdictione, et imperio ita cohaerent, ut invicem sepa- rari nequaquam possint; cumque jurisdictio, et imperium in Iudiciis potissimum versentur, illud apertum profecto est, inter leges omnes, eas quidem maxima statuendas prudentia, quae spectant ad judicia; his enim jurisdictio et impe- rium vim, potestatemque exercent suam, et qui naturae libertate pudori minime obsequuntur bonum agendo, in servitutem legis metu poenarum pertrahuntur. (1) Cic. De Legibus Lib. 3. S. 1. Scienze Noolog. T. III. h 62 CAVNISE SIONI Pudor enim, et metus, ait Plato, diversa tamen ratione, ad eumdem finem ho- minum actiones aliquando dirigunt, et conducunt; qui finis in societatis uni- versae perfectiori felicitate promovenda consistit. Cum autem de Civilibus Iudiciis aliquid hoc Joco scribere statuissem, in eo tantum versabor, quod eorum originem dilucide ostendam, sive jure inspe- cto, a quo manant, quod est jus ipsum naturae, sive ratione, qua inter homines haberi caepta sunt. Cumque inter vetustissimos populos praestiterint Rebraei, ob Leges a Deo sancitas, quae pro temporum, populique ratione fuerunt per- fectissimae, et Aegyptii, a quibus plura caeteri hauserant populi, de illorum civilibus judiciis aliqua dicenda existimavimus. Quae quidem a Sacrorum Cano- num cultoribus non aliena putamus. Cum enim judicia praesertim a Romana Iurisprudentia in Ecclesiasticam feliciter migrassent, vitiosis reiectis anfracti- bus, ad aequitatem praecipue exacta, in tantam dignitatem, perfectionemque increverunt, ut Ecclesia banc nobilissimam Iurisprudentiae partem, jure suo videatur sibi quodammodo vindicasse. Neque ego de his omnibus disserens, is sum, qui vel ignorata, vel nova mihi suadeam protulisse; cum haec ipsa a tot sapientissimis viris, doctissime fuerint elucubrata; ut nec nobiliorem, nec am- pliorem videantur exornationem exposcere; id autem ad haec scribenda me excitavit, quod iis qui me audiunt sacros canones de judiciis interpretantem, nullo negotio sint in promptu, quae in tot voluminibus separatim habentur; quo- rum praecipua, et vera si excerpserim, idque an utiliter, vel minus apposite fecerim, suo quisquis utetur judicio. Rem totam vero altiori repetam initio. Ac mihi quidem in tot doctissimos viros et veteris, et recentioris aetatis intuenti, qui tantum in sublimioribus disciplinis meditandis studii contulerunt, atque laboris, dedecus maximum visum est, tantam invenire opinionum varie- tatem, ut ne in scientiarum principiis quidem statuendis, unquam convenerint; ideoque in errores saepe prolapsi fuerint turpissimos. Unde nam tot haereses in Christianam Religionem infensissimae derivarunt, nisi ex subtilissimis homi- num investigationibus, quibus nimis fidenter ca tentaverint, quae sapientissima Dei mens sibi uni servavit? Quis nescit quanta vi, et animorum dissentione recentioribus etiam temporibus Theologi aliquando digladiantur in iis, a qui- bus prudentissime Ecclesia se abstinuit censendis? Quid de philosophis dicam? Horum opinionum historia, nisi maximo animi moerore, ne repeti quidem me- moria potest! Tot enim de jure naturali conscribentes volumina, saepius falsa, quam vera, protulerunt, in quo philosophi nomine abusi sunt. Mei non est eorum somnia refellere, sed tantum opinionum varietatem improbare. Nihil de veteribus dicam. Nam ii iniquo Deorum cultu decepti, et corruptissimis mori- bus inquinati sunt commiseratione dignissimi. At eorum opiniones in plurimos ex recentioribus philosophis, cum majori forsitan corruptela transierunt . DE IUDICIORUM ORIGINE 63 Quis non mirabitur quantum recentiores isti homines inter se dissideant in una, eademque nobilissima juris naturalis disciplina, si de ejusdem quaeri- tur statuendo principio? Post Obbesium, et Spinosam, notissima nomina, quorum alter tanta obscu- ritate laborat, ut in quo vertitur juris naturalis principium adhuc nemo intelle- xerit, et alter qui Universum pro Deo habet, Hugo Grotius fortunae modo ad- versae, modo secundae mirum exemplar, juris naturalis principium constituit in custodia socielatis humanae, et rationalis, cum iusta, et iniusta omnia dedu- cat ex appetitu societatis rationalis cum his quae sui sunt generis; interim vete- rum Gentilium opiniones sectatur. Pufendorfius socialitatem proponit, quod Gratiani systematis consequens esse videtur. Thomasius, reiecta socialitate, docet ab hominibus ea facienda, quae vitam reddunt marime diuturnam; et ca evitanda, quae vitam reddunt infelicem, mortemque accelerant. Bodinus constituit ordinem, Heineccius amorem. Omittam caeteros, ut Cumberlandum, Wollaston, Sykes, Seldenum, Wattelium, aliosque nostrae aetatis numero plurimos, et - rebus vel iterum dictis, vel auctis, vel inventis notissimos, et saepissime inter se dissidentes. Quid varietas haec? Quid tanta animorum discrepantia, rerum confusio, veritalis deturpatio? Si certum est jus naturae, et immutabile, cur nam tam incertum ejus principium, ut quot sint hominum mentes, tot fere videantur eflicta systemata? Qui vero naturalem legem esse negant, ex Atheo- rum schola proveniunt, quos reperire apud Gentiles turpe est, turpius apud Catholicos. Sunt haec mentis humanae deliramenta, Deo uno, vero rerum om- nium principio, et recta ratione posthabita, quae ad jus naturale noscendum, per se manifeste ducit, eiusque principium ad veritatem, dignitatemque revocat suam. Ac ne vagari nimis cogatur oratio, ex his, quae breviter attigi, pronum inferre est, mirum videri non posse, quod cum tot juris naturalis Scriptores, alioquin doctissimi, in huius disciplinae statuendo principio, minime convene- rint, nec in Iudiciorum origine investiganda una eademque ducantur sententia. Ii enim, quos proferre non puduit, natura nil vetitum esse, ideoque in homine naturalem inesse facultatem quidquid lubet agendi, cum nullum jus fateantur naturae, neminem possunt agnoscere, qui id curet, ut juris naturae ‘ praecepta impleantur; qua propter nullum judicem, ut aiunt, naturalem admit- tunt. Iis enim homines ob mutuum metum in civitatem coiti, jus suum in su- premam potestatem contulerunt, quae lites componeret, et iniuriam repelleret; ex quo fit, ut judicia ex hominum pacto, et dispositione ortum habuissent suum; nec dissimilis dijudicandi ratio nonnullis aliis est, qui quamvis naturae leges agnoscunt, judicia tamen a naturali lege ita secernunt, ut ea, ab eodem fonte, hominum nempe tantum pacto deducant. Cum vero suam opinionem demon- 64 CANTINI strare conantur, discrepantibus admodum rationibus utuntur, et principiis. Docent enim, quod voluerit Deus, ut singulis hominibus jure quaedam essent propria, simulque vetuerit ne haec ipsa laedantur. Qui autem laedit, quaerunt, a quo sit vindicandus? Viventium hominum poenae differunt ab aeternis; has omnes aeque juxta merita voluit Deus. Sed illas hominum auctoritati commisit; de his ille tantum arbiter est. Cui igitur mandavit damna repellere, in eos animadvertere, qui iniuria agunt, jus suum unicuique tribuere, et quaecumque exercere judicia? In hoc polissimum Doctorum difficultas est. Primum enim de quo diximus Dei mandato, alii aliter sentiunt. Qui illud affirmant, cui datum fuisset, decertant. Nonnulli in totum humanum genus a Deo collatum defen- dunt. Alii in primum tantum hominum parentem Adamum. Alii demum in sin- gulos patresfamilias transiisse asseverant. Qui autem illud negant, aliter colli- gunt. Etenim autumant, singulis hominibus concessum fuisse a Lege naturae jus suum defendere, et vindicare, quod propria inspecta utilitate, in Civitates contulerunt. Ex quibus patet satis, bas omnes Philosophorum sententias, in idem statuendum concurrere, ut ex hominum pactis judicia proficiscantur. Quantum vero deflectit a recta ratione, et est absurdum, ut aliqua iis omnibus adhibeatur fides, a tot doctissimis viris jam satis dictum est, ut quidquid his de rebus philosophi dictitassent, vel periculosum, vel prorsus ineptum demonstra- verint; nec ego contra hos homines in arenam descendo; cum inveniretur nul- lus, vel parum in his disciplinis versatus, qui sibi inducat in animum, nulla homines naturae lege teneri, omnibus hominibus jus esse in omnia; unum- quemque sui juris vindicem a natura fuisse constitutum; et universo humano generi Deum imperium delegasse. Quot contorta hinc ducerentur, et aculeata sophismata, quae ad societatem potius perturbandam, quam promovendam in- tendunt! Cumque Doctores isti jus naturae proclamant, efferunt, extollunt, jus ipsum deturpant, et penitus evertunt. Densissimis enim tenebris jus obruit.na- turae innumerabilis systematicorum turba, qui vetera miscentes cum novis, falsa cum certis, eumdem semper saxum invertunt. Nonnulli vero modestiores philosophi, quamvis ex jure naturali judicia de- ducant, talibus utuntur anfractibus, ut eadem hominum voluntate, et facto, in usu fuisse posita, semper sit inferendum. Exemplo sit Grotius. Primum Iudicia jure Gentium esse instituta, dicit ille; cum nempe Civitates communi Gentium consensu constitutae fuerunt; quo facto Gentium inspecto, judicia ad jus natu- rale pro certo rerum statu spectant; quod probare conatur sic distinguendo. Quaedam sunt juris naturalis simpliciter, quaedam pro certo rerum statu; ad mere naturalia, seu simpliciter, ea referri debent, quae citra voluntatem huma- nam existunt, ad altera vero, seu pro certo rerum statu, quae voluntatis huma- nae aclum consequuntur; quod postremum, ait, locum habet circa dominia, et DE IUDICIORUM ORIGINE 65 judicia. Ture autem naturae mero, et simplici, nulla homines initio adeptos fuisse rerum dominia, sed omnia habuisse communia; ab ea vero communione tunc homines recessisse, cum aucto populo in Civitates coiverunt, et initis pactis super rerum divisionem, et occupationem, primaevo juri private vi agendi re- nuntiarunt; qua de re hominum voluntate mos judiciorum invaluit, quae in hoc rerum statu, juris naturalis esse contendit; cum juris naturalis sit jus suum per judicia consequi. Hanc quidem sententiam, et deducendi rationem, firmissimis impetit argu- mentis Samuel Cocceius (1), vir quidem doctissimus, et probat, Grotii sensus inter se, secum pugnare. Nam jus naturae Grotius repetit ex appetitu societatis, qui, ait Cocceius, cum in principio penitus interno consistat, una cum homine oritur. Non igitur jus naturae ex principiis manat internis, quod a voluntate hominum pendere proclamat. Alia plura Cocceius prosequitur, quibus et Grotii distinctionem futile commentum esse demonstrat, et dici minime posse judicia facto hominum fuisse instituta, nec ad jus naturae pro certo rerum statu perti- nere. Absint igitur tot minus aequae opiniones, tanta sententiarum moles, qua- rum discrepantia per se satis ostendit minime in iis reperiri veritatem posse. Iudicia enim ab jure naturali contineri, recta ratio suadet; atque hoc si placet, videamus. Duo sunt Legum genera, quibus Orbis regitur, et ordo servatur. Alterum quod ad res physicas spectat; alterum ad morales (2). Utrumque vero a Deo ipso manavit, nec unum altero minus est necessarium. Hae autem leges, quae morales dicuntur, non in opinione, sed in hominis natura sunt positae; et ita in animis insident nostris, ut haudquaquam possint negligi, et perrumpi; ideoque omnibus sunt communes, et omnibus certae, et immutabiles. Maximum tamen inter utrasque intercedit discriminis. Res enim inanimae physicis legibus constantissime obtemperant; neque illas minime im- mutari patitur natura; ut astrorum aequabilis cursus, plantarum vegetatio, et huius generis alia. Homo vero cum duplici ratione considerari debeat, duplici etiam legum generi quidem subiacet. Nam si ad ea spectemus, quae ad vitam alendam per- tinent, vel alia similia, hae leges sunt in eo aeque immutabiles; quod suam cum brutis communem naturam constituit. Non eadem vero moralium legum est ratio. Nam cum homo sit animal rationale, et summa rerum intelligentia sit praeditus, maxima in agendo fruitur libertate, quam Dei sapientia etiam post primi hominis lapsum, illi servavit; ut quae libere ipse ageret, si bene, de iis (1) Dissert. proem. 1. Cap. 3. (2) MonTESQUIEU, Esprit des Loix, Lib. 1. Cap. 1. 66 CANTINI posset praemio aflici, si male, poenam pati. Cum vero simulatae felicitatis specie deceptus, vel turpi cupidine voluptatum captus, quae mala sunt, ali- quando eligat, et sequatur, plurimos labitur in errores, et maximas sibi parit calamitates. Tot malis occurrere Sapientiae erat aeternae. Igitur opus fuit, ut physicae, et morales leges ea conditione essent in homine, ut appetitus, incli- nationesque homipis subiacerent imperio, nam ratione, et libertatis arbitrio uti debet homo. Quam conditionem Deus ipsemet post hominis creationem claris verbis expressit, dicens ad Cain qui fratris sui necem patraverat. — Nonne si bene egeris, recipies; sin autem male statim in foribus peccatum tuum aderit? Sed sub te erit appetitus tuus, et tu dominaberis illius (1). Qua propter homi- nis mentem, et animum ita Deus effecit, ut felicitatis sibi comparandae pertra- heretur amore; ex quo vitam cum aliis hominibus degendi premeretur necessi- tate. Nam cum per mutuum amorem maris, et foeminae illorum animos ipse Deus coniunxisset, domestica societate conflata singulae familiae seorsum in agris habitantes; propriis commodis, et necessitatibus consulere minime potuis- sent, nisi plures in unam se coegissent, quod vere sapientes semper noverunt philosophi; hine igitur exorta hominum societas est. Cumque Deus id etiam in homine voluisset, quod in societate beatam, et tranquillam vitam duceret, voluit etiam ut ille jus haberet in omnibus, quibus finem recte consequi posset; nam ni hoc esset, contraria vellet Deus; et res huc deducta in absurdum ver- teretur. Hoc autem jus a natura singulis datum hominibus, naturalem in alios obligationem inducit ea permittendi, in quibus jus aliis est; ita ut naturalia singulorum jura, naturalibus caeterorum hominum obligationibus respondeant; et qui jus habet, et ipse obligetur; et singuli singulis vicissim teneantur. Quae quamvis obligationes sint negativae, cum in non faciendo, vel non impediendo consistant, in se tamen habentur perfectae; perfecta enim jura respiciunt; quae omnia cum recta ratione plane conveniunt. Quidnam esset, sublatis obli- gationibus, hominum societas? Cum vero jus sit homini in omne quod vitae tranquille agendae, et propriis commodis, utilitatique inservit, ut jam diximus, inde jura proprietatis manare cognoscet; et quae vel pacifica occupatione, vel aliorum consensu jure non posset acquirere; viribus quidem abutens suis, arri- peret, et aliena invaderet. Quinam exitus ex his essent consequuti? Quid aliud nisi Civium discordiae, odia, tumultus, familiarum caedes, et populorum bella, quae societatis eversionem interminarentur? Tanta est ad capessendam, augendamque fortunam, in nobis effrenata libido! Tunc non ratio, non aequi- tas, sed iniuria potentiorem, et feliciorem efficeret; a quo Lex naturalis aliena penitus est. (1) Genes. Cap. 4. vers. 7. DE IUDICIORUM ORIGINE 67 Haec vero singulorum hominum naturalia jura, et obligationes quibusdam finibus continentur, quos an aliquis fuerit praetergressus, a quibus erit diiu- dicandum? Facile est id inferre. Non singuli, vel ii, quorum interest hoc pos- sent, qui cum suae utilitati obsequerentur, pessimi essent Iudices. Non omnes homines; nam multitudo omnia turbaret. Opus est igitur ut aliquis in societate vel plures ad aequitatem, ad ordinem, ad commune bonum cogitationem con- vertant; et quod bonum est jubeant, quod malum prohibeant; in quo Legum versatur justitia. Non omnia autem justa sunt, quae in populorum institutis habentur. Leges justissimae putandae sunt, quae naturalibus juribus, et obli- gationibus, quantum fieri potest, accomodentur, nam una aequitate hominum devincta societas est. Ex quibus omnibus per se patet necessitas, ut aliqua sit in societate pote- stas, quae de caeterorum hominum juribus, et obligationibus diiudicet; quae necessitas, cum in rerum naturalium statu et conditione sit constituta, Lex ipsa naturalis est quae jubet aliquem esse, vel unum, vel plures quorum pru- dentia, judicio, et auctoritate socialis ordo servetur, et haec in republica suprema Potestas est. Huius supremae Potestatis imaginem usque ab initio naturae Auctor Deus in patribusfamilias designaverat. Nam generationis ope constituta familia pater sanguinis communione ita nectitur cum filiis, ut ii res sua quodammodo efli- ciantur; nec immerito veteres Latini dixerunt non filium meum, sed participem meum, veluti parentum corporis partem. Ideoque Leges XII Tabularum, rei suae nomine filiumfamilias appellarunt vel suum heredem, aut Rerum minorem, ut alii volunt, ad significandum patrii Iuris eumdem esse participem. Ex quo fit, ut pluribus obligationibus pater in Liberos alligetur. A quibus enim filii expectare possent sibi auxilium, defensionemque, nisi ab eo, qui cum nuptias libere iniisset, ut illi orirentur effecit? Hinc gravissima patris officia, quae ei nefas est negligere, et violare. Quibus obligationibus positis, aequum est, ut aliquibus paterfamilias gaudeat juribus. Cumque eorum etiam omnium, quae domi habentur, dominio fruatur, haec jura sunt et sanguinis, et familiae. Suam igitur potestatem in Liberos, et quoddam veluti imperium unusquisque pater- familias exercet, amoris, et aequitatis finibus, natura jubente contentum; quod tamen apud nonnullos populos, aut ob rudes, aut ob corruptos mores in tyran- nidem migravit. Quid igitur est societas, et unaquaeque Civitas, nisi singularum familia- rum congregatio? Ac si res ita natura composuit ut in singulis familiis sit qui regat, et imperet, cur nam regimine societas universa carebit? Universa enim societas una familia est; cumque natura sapientissime consuluerit partibus, et toti consuluit. 68 CANTINI Primum quidem societatis fundamentum familiae fuerunt; quas patres, ut domini, diversa admodum regunt ratione, qua summus princeps in Civitate potitur imperio. Summa enim potestas, vel in uno insit, vel pluribus, qui ma- jestatem obtinent, potissima, et prope divina (1) sibi vindicat jura, nec alicui subest. Iura haec sive immanentia, ut aiunt, sive transeuntia, a naturae Lege proficiscuntur, quae ad universae societatis felicitatem intendit; ex quo fine, praecipuum illud imperantium officium deducitur, quod quaecumque agunt, ad omnium Civium utilitatem referant; eaque tantum curent, et efliciant, quae veram prosperitatem, securitatemque populi constituunt. Huius autem oflicii pars praeclarissima est, civium inter se continere, et repellere iniurias; quod per judicia obtinetur. Nam cum de hominibus ratione praeditis agatur, qui a natura ipsa quaedam habent jura ad felicitatem consequendam, sibique rerum dominia tuenda, et servanda, non arbitrarie, sed cum causae cognitione, et jure sunt regendi; ideoque cum publica tranquillitas, et securitas esse non possit, nisi aequitate judicii, sequitur judicia, ab ipsamet naturae Lege in Rem- publicam proficisci, ut omnia sint recte constituta ad hominum felicitatem. Quae hucusque monuimus, ut id tutissimis argumentis evinceremus, contra Grotii, aliorumque sententiam, quod judicia, non ex facto hominis, sed a naturae lege derivaverint, quoad eorum essentiam, necessitatemque generatim respiciunt. Nullus enim fere populus fuit, qui modum aliquem ad jus redden- dum, et iniuriam avertendam non excogitaverit. Itaque judiciorum forma, seu ratio, qua homines suarum rerum dominia ab aliena vi, et iniuria vindicaverint, ut tutam, et beatam in societate agerent vitam, non eadem omni tempore, et apud omnes populos invaluit. Primas ae- tates, celeriter animo circumspiciamus. i Antiquissimis temporibus, quae Mundi infantiam veluti redolent, alia prorsus ratione, quam scriptis legibus homines regi consueverunt. Primi enim Orbis incolae, ita occupationis jure utebantur, ut fructus terrae ad vitam susti- nendam colligerent. Gregibus, et armentis pacifica possessione fruebantur, quibus praesertim initio locupletabantur. Unusquisque pater, uti supremum caput, et arbiter, familiam suam naturali honestate moderabatur, et naturalis judex controversias omnes, quae inter sibi subiectos orirentur, auctoritate sua dirimebat. Qua de re, temporibus progredientibus, seniorum, prudentiorumque virorum opiniones, et sententiae, consuetudinem quandam judicandi constitue- rant, quae pro Lege habebatur. Seythae, qui Aegyptiis antiquiores putantur nullas initio scriptas noverunt leges, et suorum sapientum judiciis mores (1) PAUL. ad Rom. Cap. XIII. « Qui potestati resistit, Dei ordinationi resistit; quia non est potestas nisi a Deo». a, DE IUDICIORUM ORIGINE 69 conformabant (1). Athenienses se indigenas gloriantes ante Draconem non scriptis legibus, sed consuetudini obtemperabant. Idemque de Hebraeis dicen- dum, nondum a Moyse lata lege. Auctis vero, et per orbem dilatatis familiis, constitutis Civitatibus, et Im- periis, cum hominum mores ab antiqua honestate, ac simplicitate desciscerent, ut leges a summa potestate conderentur, necessitas ipsa suasit. Ne autem legi- bus vis, et auctoritas deesset, Iudices, et Magistratus sunt instituti, in quibus plus, minusve jurisdictionis inesset. Scripta igitur Lex, fons nisi primus, atta- men praecipuus putari debet, ex quo specialis orta est judicandi forma, quae tamen apud populos dissimili ratione progrediebatur, pro varietate morum, ingenii, humanitatis. Quae vero speciatim fuerint apud omnes vetustissimos populos Iudiciorum formae, et solemnitates, non facile est referre; imo inutile prorsus existimo. Haec enim vel in temporum obscuritate latent, vel nimium a nostris moribus distant. Satis igitur sit nobis, aliquid innuere de magistratibus, et in judiciis procedendi ratione, qua usi sunt Hebraeorum, Aegyptiorumque populi, quorum alter tantam habet celebritatem in sacra historia, alter in profana. De Graecis autem, et Romanis, plura in praelectionibus nostris occurrent dicenda. Ac quidem de Hebraeis primum sermonem instituens, cum a Noe descen- dentibus, varii ubique exsurgerent Populi, legitima etiam tunc manebat Patriar- charum successio, qui veram fidem, Deique cultum firmissime custodiebant, praeceptis vel naturalibus, vel a Deo traditis, mores suos aptantes. Hi quidem Rempublicam constituebant, a caeteris penitus seiunctam; quorum instituta, et Leges eorum temporum Legumlatores, ut Solonem, Lycurgum, Charondam, Platonem minime novisse, tradunt nonnulli. Hebraeorum igitur populo a Moyse supremo Duce, et Iudice in desertum adducto, buic Deus ipse leges constituit, quae praeter moralia, et caeremonia- lia praecepta in judiciis etiam versabantur. Tunc Hebraei, non ut antea erran- tes, sed Cananeae praesertim adepta regione, ad nationis dignitatem evecti, praecipuum assumpserunt imperium, quod sub Moyse, Iosue, Senioribus, et Iudicibus, eius inspecta administratione, ‘Aristocratici formam induit, et Mo- narchici sub Regibus, quorum primus Saul, postea David, in quo haereditarium effectum est. Plures populi huius vicissitudines, et aerumnae; calamitates, et poenae, quibus propter aberrationem a fide obrutus est, bella, servitutes, vicinorum oppressiones, commutationesque locorum, aliquos pepererunt abusus in gerenda republica, et aliquo temporis intervallo, Regni interruptam consuetudinem. (1) PLIn. L. 6. Cap. 17. «Olim sanctissimis fuere moribus, et omnino secundum naturae leges vixerunt Barbari tamen fuerunt ». Scienze Noolog. T., III. î 70 CANTINI Totius rerpublicae administratio temporibus praecipue florentissimis, a tri- plici potestatis ordine exercebatur. In Urbe principe, quae initio Silo fuit in Samaria, postea Jerusalem in Judaea, primus erat eius ordo, seu summum im- perium. Ibi enim duo sedebant Concilia, nempe Synedrium magnum, et Syna- goga magna. In hoc Synedrio magno, quod universi populi Senatum constitue- bat, septuaginta viris, seu senioribus probatae virtutis praeerat Princeps, et in causis capitalibus, gravioribusque ad Rempublicam spectantibus, et in provo- cationibus, suum ferebat judicium; consedebatque prope Sanctuarium; et Templo excitato intra eiusdem atrium in conclavi caesurae, sic nuncupato, ob caesos lapides, quibus Templum componebatur. Synagoga autem magna, Ec- clesia etiam vocata centum et viginti viros complectebatur, qui versabantur in Religione sarta tecta retinenda, et amplificanda. Magna haec concilia cogebat, vel summus Princeps, vel Pontifex, prout res postularet, cum de Civitate, aut Religione ageretur. Quoad alterum potestatis ordinem, in singulis ex duodecim Tribubus po- pulus regebatur ab uno Praefecto, seu Tribus Principe, qui cum aliis familia- rum Principibus publico bono consuleret. Tertius demum potestatis ordo, in quavis erat Tribuum Civitate, quae suis parebat Magistratibus, et Iudicibus, et Senatum habebat a Senatu populi uni- versi longe dissimilem, civium necessitatibus providentem, et de minoribus causis judicia exercentem. Praeter autem maximum Synedrium, seu senatum, de quo supra, alia duo Synedriorum, seu Senatuum genera Hebraei habuisse dicuntur, hoc tamen ordi- ne; medium, Viginti et trium virorum, in Civitatibus, ubi supra centum viginti patresfamilias degebant; et minimum, seu Triumvirale, tribus tantum judicibus constans, et singulis oppidis praeerat, quae centum, et viginti incolas non ex- cederent. Senatus isti minores de causis capitalibus minime judicabant, sed de minoribus, et sub portis Urbium judicia exercebant. Constabat igitur Hebraeo- rum Respublica, Populo, Senatu, Iudicibus, et Magistratibus. Ius autem belli, et pacis, summa continebatur potestate. Septem etiam in singulis Urbibus morabantur Principes Civitatum, quo- rum duplex officium. Etenim vel cogebant suae Civitatis Senatum, quem de publicis rebus consulebant, praeficiebantque consiliis, et in his muneribus exercendis, principes Civitatum vocabantur; vel de judiciis agebatur, quibus praeerant, et Principes Iudicum dicebantur. Hoc enim iis erat praecipuum, quod causas ad Iudices introducerent; ideoque Litium introductores, seu Gram- matoisagogei nuncupati; iisdemque potestas fuit delatas sibi causas vel reci- piendi, vel reiiciendi, receptasque Iudicibus committendi. Ea vero fuit in Iudaico populo societatis ratio, ut minus saepe ob civiles DE IUDICIORUM ORIGINE 71 causas Iudices vexarentur. Divinae leges, saluti, et tranquillitati populi huius prospicientes, magis in poenis criminibus statuendis, ut opus erat, versabantur, quam in civilium actionum forma dirigenda; hic enim, in quavis societate tune primum ineunte praecipuus Legislatoris esse debet finis. Id autem Hebraeis peculiare fuit, quod nulla fere immobilium rerum uterentur vindicatione. Eo- rum immobilia bona, possessionesque Lege divina Tribubus, et familiis divide- bantur, ut earum proprietas in alias perpetuo transire minime posset, nisi redemptionis jure, et certo tempore, usque ad annum Jubilaeum. Nulla item erat Hebraeis possessionis, a dominio, vel proprietate distinetio, ut apud Roma- nos, et bonis paternis exceptis, quidquam non licuit possidere universali jure; quaeque ex iis acceperant, posteris relinquere cogebantur jure haereditario; ac si quorumdam bonorum possessio aliquando concederetur, haec non vero alie- natio, sed tantum usucapio temporalis dicenda. Cum igitur in familiis semper mansura fuisset haereditas, nec unquam in extraneos transiisset, vindicationis lites de rerum dominio vix potuerunt nosci. Quoad vero successionis causas, si qua oriretur super proximiorem gradum, penitus componebatur, censualibus tabulis exhibitis, in quibus omnium nomina, origines, nativitatis tempus, et loca referebantur. Iurisdictio publice exercebatur, quod ad fraudem avertendam praestantis- simum est. Actori autem potestas fuit, reum apud Iudices vocandi, abducendi- que; quibus a Principibus Civitatis, vel Iudicum, causa committebatur; data tamen appellatione ad Iudices proxime superiores, si causae admissionem reie- cissent. Omnes igitur actus expeditissimi. Brevis, et dilucida ab actore expositio rei quam peteret. Cumque Iudices certi semper fuissent, nullus dilatoriis exceptio- nibus locus. Probationes edebantur, etiam per testes tamen spectatissimos, qui componebantur cum reo, ut eorum contentione, veritas magis, magisque eluce- sceret. Demum causa cognita, Iudices datis suffragiis, simplici sententiae pro- latione, vel absolvendo, vel condemnando dicebant jus. Haec de Hebraeis. Ne vero ab instituto deflectam, aliqua de Egyptiis adiiciam. Inter antiquiores, celebrioresque populos eminuerunt Aegyptii, quorum sapientiam, et omnium artium, scientiarumque praestantiam Graecia mirata est. Nonne Graecorum hominum praeclarissimi, vel philosophi, vel Legumlatores, in Aegyptum se contulerunt, ut quantum temporum ferebat ratio, perfectam, cumulatamque virtutem, et doctrinam assequerentur? Nonne maxima populi hujus existimatio ad nostra usque tempora deducta est? Illas enim jam floren- tissimas, nunc vero miserrimas, desertasque regiones, magnis sumptibus, docti homines nunc etiam peragrant, et perlustrant, ut bonarum artium, monumentis, quae supersunt perpensis, collectisque ad pleniorem veritatem revocetur historia. 72 CANTINI — DE IUDICIORUM ORIGINE Suprema apud Aegyptios in Regibus erat potestas, qui saluberrimis legibus constitutis, curam omnem, laboremque in eo adhibebant, ut jus summa aequi- tate populo diceretur. Cum igitur totum Aegyptiorum imperium in triginta Nomos, seu praefecturas tribueretur, in singulis aderant Magistratus ad causas dignoscendas, et publicum bonum promovendum. Quilibet Nomus curiam, vel praetorium habuit, quo Senatores conveniebant deliberandi, vel judicandi cau- sa. Senatus hic suarum legum peritissimus, delatas sibi causas audiebat, iisque peractis, quae tantum ad veritatem investigandam naturalis aequitas jubet, sententiam ferebat; et qui causam obtinuerat, a Praeside, ob adeptam victoriam aureo monili induebatur, quod ille assumpserat, cum initium duceret Iudicium. Omnia erant in ordine judiciario plana, et expedita, quae tamen scriptis tradebantur, ne veritas malorum hominum fraudi concederet. Nullum patrono- rum oflicium, nullus eloquentiae apparatus, ne Iudicum animi commoverentur; nulli demum litigatorum sumptus, ne pauperes in jure experiundo divitum op- primerentur potentia. Iudices autem largo victu donabantur, ne eorum fides pecunia perfringeretur. Pauca haec de Iudiciorum forma apud Aegyptios, per se satis ostendunt, quantum ii a vitiosis ambagibus abessent, et quanta aequitate populo jus dicere consuevissent. Nec summa deerat Aegyptiis in Legibus ferendis prudentia. Lex edita de mutuo sit exemplo. Nam in quo Graeci, et Romani ab aequitate recesserant, vel nimis vexando debitorem, vel parum creditori indulgendo, id aequissimum fuit Aegyptiis, quantum eorum mores ferebant. Vetabantur enim mutuatam pecuniam recipere, nisi debitor loco pignoris creditori tradidisset patris cada- ver, quod summa religione domi asservabatur, et tam sacrum erat illis. Si quis autem debitum solvendo, redemptionis tempus distulisset, notabatur infamia. Qui vero obiisset, nec adhuc soluto debito; patris FILA recuperasset, funeris interdictione plectebatur. Caeteri etiam populi, ut Assirii, Persae, Carthaginienses, judicia exercue- runt, minus aequa tamen ratione. Eorum enim corruptissimi mores, et religio- nis prae caeteris populis intolerabilis, et barbara superstitio, sicuti puerorum apud Carthaginienses innumera sacrificia, quae horret natura, ab iudiciis san- ctiorem ordinem, aequitatemque aliquando dimoverant. Quoad autem Romanorum iudicia, eorumque leges, quibus amplissima Respublica regebatur, plura perpendenda occurrent in praelectionibus nostris, quae, Deo dante, Vobis, lectissimi Iuvenes, hoc in anno Academico libentis- sime tradam. DI UNA INSCRIZIONE LATINA NEL CIPPO SEPOLCRALE CHE OGGIDI VEDESI COLLOCATO NEL PALAZZO CAPPONI LETTA NELLA ACCADEMIA COLOMBARIA IL 24 DI SETTEMBRE 1854 DAL PROF. P. CAPEK Ancorchè l’arte del trascrivere o copiare sia considerata per facile e piana epperò in picciol conto tenuta; nondimeno ci prova la esperienza come assai rari sieno que’ copiatori, i quali fedelmente ritraggano le scritture, e massime le antiche, per quanto brevi: nè di poca esattezza vedonsi peccare soltanto gli uomini dozzinali, ma eziandio i meglio eruditi; cagione onde non pochi vir- tuosi oggidì faticano nel ripubblicare i monumenti della veneranda antichità, conciossiachè già fossero scorrettamente divulgati; e forse nei secoli che suc- cederanno al nostro altri porranno opera in correggere gli errori dei correttori moderni. Ed uno appunto di questi errori sarà quello, chiarissimi Colleghi, che, venuta la mia volta del dire, mi fornirà materia di succinte parole. L’ illustre Presidente nostro, non sono ancora molti giorni trascorsi, voleva che dalla sua villa presso Montui, ove giaceva come dimenticato, fosse nel suo palazzo di città trasferito un Cippo sepolcrale, ornato di figure e di una epi- grafe, acciò venisse nella luce degli uomini, ai quali lo reputava ignoto. Ma posciachè per somma sua benevolenza me l’ebbe mostrato, mi corse facilmente all'animo il sospetto che lo si conoscesse almanco insino dal passato secolo, Scienze Noolog. T. III. k 74 CAPEI nel quale tanti erano gli uomini veramente dotti che illustravano la nostra terra; e sì ospitali, amorevoli, cortesi le relazioni loro coi Magnati, da non poter mai supporre che sì rispettabile monumento rimanesse nascosto e non prodotto in pubblico per le stampe. Senonche, riserbando al tempo oppor- tuno il ricercare se quel monumento fosse o non fosse già stato fatto di pubblica ragione, reputai primo mio compito leggerne diligentemente la epigrafe, che ivi mirasi come in tre parti distinta (1): imperciocchè a sommo della lapide, o vogliam dire nel frontespizio, tra due genii alati e sopra l’archi- trave, cui sottostà una scena bacchica di fanciulletti che recansi in braccio canestre di uve pampinose, hanvi scolpite queste due parole: NERUT. LIB. nello specchio del marmo e a modo di continuazione leggonsi poi queste altre: M. TITIUS MARTIALIS ET M. TITIUS PYRAMUS FRATRES SEXVIRI SIBI ET CONJUGIBUS CALPURNIAE MYRTALE ET TITIAE SATURNINAE ET APUSTIAE ROMANAE MATERT. (er®) HAMOSHSGIN: CE. pentagramma che esibisce le iniziali della notissima formula: hoc monumentum heredes non sequitur. E finalmente nella gola rovescia sotto lo specchio, che quì a tal fine vedesi posteriormente spianata e ridotta in semplice nastro tra due listelli, è scritto, quale più tarda giunta ai nomi delle persone cui quel funereo monumento si volle assegnato: ET PERCENNIAE C. LIBERT. IUNICI. Letta così la inscrizione del marmo Capponiano restava, come già dissi, instituire la ricerca se quella epigrafe fosse già stata mandata fuora per le stampe. Nè mi faceva mestieri di molta erudizione in bibliografia per avvisare che la prima collezione di inscrizioni da pigliare in mano era quella del celebre F. A Gori, il quale in tre volumi o parti raccolse le varie antiche inscrizioni (1) Uguale distinzione vedesi presso il GORI; Inscript. antig. Graec. et Rom. quae extant in Etruriae urbibus cum notis A. M. Salvini (P. I. Il. INI. Florent. 1727—1745) nel monu- mento di una liberta di Ottavia figlia di Claudio e moglie sventurata di Nerone Augusti. DI UNA INSCRIZIONE LATINA 75 che a suo tempo vedevansi sparse nelle città toscane (1). E appunto nella prima parte, ove tratta delle fiorentine, a pag. 446 n.° 77 rinvenni stampata quella in discorso e che egli notava starsi « in marmoreo cippo elegantissimo in villa « D. Scipionis Marchionis Capponii prope Montem Ugonis, vulgo Montui ». Accennava il Gori altresì essere stata questa epigrafe, innanzi lui, divulgata dal Fabretti al cap. V. dell’opera per questo valentuomo intitolata: Znscriptionum antiquarum...explicatio et additamentum (Romae 1699) ove in effetto trovasi registrata a pag. 407 n.° 525. E finalmente o Egli o il suo Annotatore, il Sal- vini, dava la descrizione del monumento con questi detti, che, trapassato in silenzio quanto stà sopra, riferisconsi a ciò che di figurato vien sotto alla inscri- zione medesima: « ornatur hic marmoreus cippus elegantibus sculpturis quae «nunc temporis injuria, misere labefactatae sunt. In medio post titulum tres « foeminae (?); fortassis Parcae sunt, quibus Iuvenis animalculum quoddam et « corollam offert. In alio parergo venator et canes caprum insequuntur ». Ma ritornando alla epigrafe, principale subbietto del mio discorso, dirò come, per chi si contenti pigliar le mosse dallo specchio nei marmi dato alle inscrizioni, fedele ed esatta apparirà la copia esibita e dal Fabretti e dal Gori. Chi poi non tralasci la prima linea sovrapposta allo specchio, trova che il Gori ne esibisce una parola sola cioè NERUTI, invece di NERUT. LIB. (Nerutii Liberti), che la colloca dentro e non già sopra, come stà, allo specchio; ed il Fabretti non ha nemmanco questa parola: di che lo appunta il Gori. Ma se mi fosse lecito aprire l’animo mio, perdonerei più volentieri al Fabretti la omissione di ambedue quelle parole che non al Gori lo avere, spostatamente, riferita la prima e omessa la seconda. Imperciocchè al Fabretti, il quale illustra nell’in- dicato luogo il Sevirato e intende a noverare quanti o contemporaneamente o nell’ordine dei tempi ricordinsi Sevirî Augustali, potè parere oziosa e quindi omettere la prima linea di quel monumento: oltracciò egli pubblicava in Roma il suo libro e trascriveva dalle schede Barberiniane. Per contrario intendeva il Gori a pubblicare intiere le inscrizioni sparse per le città toscane; dimorava in Firenze e quì dava alle stampe il suo libro; avea veduto o potuto vedere coi propri occhi il cippo Capponiano; con una breve passeggiata potea tornare a mirarlo e sincerarsi. E ne avea ben d’onde! Conciosiachè la parola Neruti, sola sola, anche a passargli per la rottura del marmo la i finale che vi aggiunge, cosa mai significava o significar poteva alla perspicace sua mente? Nulla e poi nulla; e ce ne dà riprova quel vedersi che nel commento la si manda affatto in dimenticanza. Leggasi in quella vece, come il marmo ha espresso e da ciascuno può facilmente leggersi NERUT. LIB. ossia Nerutii liberti e allora la inscrizione (1) Op. cit. nella nota 1.% 76 CAPEI risplende chiara e questa prima linea che stà sopra lo specchio del marmo, fors'anche in segno di onoranza al patrono, si ricongiunge mirabilmente ai nomi ed alla qualità delle persone ricordate nello specchio medesimo. E questa di rilevare la omissione di una parola che, per la retta intelli- — genza, vuolsi restituita alla epigrafe del marmo Capponiano quante volte piaccia ripeterne la edizione, siami scusa appresso Voi, Signori e Colleghi, se ardiva rifrustare le orme di uomini le mille volte di me più dotti; e se mi esce dalla penna una lieve giunta alle illustrazioni per essi date della nostra epigrafe. Il nome di Neruzio, scolpito come vedemmo nella prima linea sopra lo specchio, non soccorre altrove per quanto io mi sappia; ma non oserei per questo dirlo nuovo ed ignoto. A buon conto il nome di Nerazio Prisco, chiaro giureconsulto è celebrato anche ai dì d’oggi da tutta quanta la innumerevole famiglia dei Giuristi. Di un Nerizio Pomponio è memoria in altra fiorentina in- scrizione pubblicata dal Gori (1). Onde in Neruzio non si può scorgere se non il vario atteggiamento di un medesimo nome. Nè sarei lontano dal credere che questa di Neruzio o dei Nerucci una fosse tra le più famiglie della gente Tizia, la quale in Roma, se non all'ordine dei patrizi, spettava certamente per le tenute magistrature alle più illustri e nobili della plebe, così fiorendo la repub- blica, come nei primi secoli dell’impero (2). Conciosiachè i liberti (parteci- pando, passivamente almeno, al gius della gente e non mai a quello della agnazione o famiglia) usassero pigliare il nome gentilizio, anzichè il cognome ‘di famiglia dei loro patroni; e tra i liberti nel marmo mentovati i maschi am- bedue si appellano Marco Tizio, ed una Tizia è tra le loro donne, la quale pare a me che fosse non solo moglie, ma eziandìo conliberta di Tizio Piramo. Onde se intiera fosse nel marmo stata la dinotazione del nostro Neruccio, penso avrebbe detto così: M. Titii Nerut. Lib.: sennonchè la si rendè più breve e per difetto dello spazio da scrivere e perchè il pronome e il nome, non significati del patrono, potevansi agevolmente dedurre dal pronome e nome dei liberti. Come poi costoro veggonsi insigniti del Sacerdozio Sevirale, dato alle anime deificate di que’ sciagurati Augusti, è manifesto che il marmo spetta alla età imperiale; e la eleganza degli ornati, delle lacere figure e della epigrafe scol- pite in quello, parmi non ci consentano riporlo in età più tarda del secondo secolo della Era nostra, chi scrupoleggi riferirlo al primo. Ma non essendo espresso il nome di quell’Augusto, alle cui ceneri servivano i due liberti in veste sacerdotale, e difettando il marmo di ogni altra qualsivoglia nota di tempo, (1) Op. cit. pag. 350. (2) Liv. XXXIX, 44, Cic. Ep. ad div. V, 16. XII, 58 e 75. pro Murena c. 8: Tacit. Ann. IV, 18. XI, 55. Gan Inst. I, 185. Just. Inst. I, 20. S. 1. ete. L. 5. D. de aleator (XI, 5.). DI UNA INSCRIZIONE LATINA 71 lascerò lo scabro argumento, per voltarmi alla Percennia, il cui nome dicemmo posteriormente registrato sotto lo specchio. Il Gori, se non piaccia dir meglio il Salvini autore delle note, fermandosi alla parola junici, con che termina la linea consecrata a Percennia, la reputa a buon dritto un dativo dell’aggettivo Junix, corrispondente a juvencule, giovi- netta. Ma il Gori dimentica decifrare la sigla C. che vien dietro a Percenniae e precede le altre due parole Libert. Junici. Supplendo adunque al silenzio del Gori dirò che quella C potrebbe tanto decifrarsi in con (contiberte) quanto in Cai. E si decifri nell’un modo o nell'altro, elegantissima riuscirà mai sempre la interpretazione di questa ultima linea; perchè nel primo avremo «e a Percennia conliberta giovinetta o soprannella » e nel secondo «e a Percennia liberta di Cajo giovinetta o soprannella ». Aggiungerò per altro che la seconda interpre- tazione mi quadrerebbe più assai della prima; attesochè la sigla più comune di conliberto o conliberta sia conlib. e quando invece si usi la C sola o si tralascia il punto che separa le parole, o meglio si mette un segno di congiunzione; e nella nostra inscrizione ci ha invece il punto e manca il segno anzidetto: nè saprei tampoco vedere cagione onde a chi dettava o scolpiva la epigrafe pia- cesse nel caso dare non meno di sei lettere (//dert.) alla seconda parte di questa parola composta, quando una sola ne voleva attribuita alla prima; e sì che nel marmo ci avea spazio bastevole per iscolpire tutto intiero il con! Oltre che il nome di Neruccio patrono, scritto a sommo del marmo tra due genii alati e sopra una scena bacchica, genera sospetto foss’ egli già morto quando il cippo veniva scolpito. Onde una soprannella, aggiunta all’onore del monumento qual- che anno dopo il suo edificamento, male può aversi in conto di conliberta degli altri ivi nominati, chi non voglia supporla manomessa da Neruccio allorchè bambinella: difficoltà che spariscono ove alla sigla C. diasi il più ovvio signifi- cato di Cajo. E se paresse strano il concetto che nella nostra epigrafe si po- nesse il solo pronome del patrono, risponderei non essere nè nuovo nè raro il caso nella romana epigrafia (1); potendo il nome per le già dette cause dedursi da quello assunto dai liberti, onde or sarebbe Percennio; nome che ci ram- menta quel soldato gregario e già « dux theatralium operarum » il quale nei primi giorni del regno di Tiberio suscitò si fiere turbolenze tra le legioni della Pannonia capitanate da Giunio Bleso (2). Nè vorrò finalmente nascondere come sulle prime e in vedere anco presso il Gori notato alla parola junici, che questo « non solum appellativum, verum etiam proprium nomen est » mi surse il (1) V. ad es. FABRETTI Op. cit. pag. 159 n.° 276. Bullettino dell’Instituto di Corri- spordenza Archeologica Agosto 1851 pag. 129, Luglio 1840 pag. 157, Decembre 1844 pagg. 182—185, Novembre e Decembre 1850 pagg. 177 e 178. (2) Tacit. Ann. I, 16. 78 CAPEI — DI UNA INSCRIZIONE LATINA dubbio nell’animo che l’ultima linea del monumento Capponiano volesse essere dichiarata: et Percenniae Caji libertae Junicii: e a Percennia liberta di Cajo Junicio; ma dopo più matura considerazione mutai parere; principalmente per- chè se Junici fosse nel caso il genitivo di un nome proprio (Junicius) e non dativo di junix, lo si sarebbe dovuto significare nel marmo, tenendo giusta il consueto più elevata delle altre lettere la I finale, che invece vi si lasciò ad un pari. Ma su questo proposito, come di ogni altra cosa insin quì discorsa, me ne rimetto alla squisita dottrina e al più purgato giudizio di coloro i quali fan professione aperta di coltivare la romana epigrafia; campo nel quale mi giovi il confessare essermi furtivamente intromesso a spigolare adesso per la prima, e sarà fors’ anche per l’ultima volta . DE ANTIQVITATIS SCIENTIA IN VETERI LYCEO MAGNO PISANO ILLVSTRATA PROVECTA ORAITTO HABITA III: ID: NOVEMBR: A- MDCCCLIII: IN ACADEMIA PISANA A MICHAELE FERRVCCIO DOCTORE DECVRIALI ACADEMIAE EIVSDEM QVVM STVDIA SOLLEMNITER INSTAVRARENTVR — I Quae homines natura ad solidam veramque gloriam recte factorum laude adipi- scendam blando quodam invitamento exsuscitat, allicit ac prope impellit, cadem illam quoque mentem videtur ipsis iniicere, ut maiorum egregia cuiuscumque generis facinora tamquam amplissimum avitae dignitatis ac memoriae patrimonium tueri, augere, ac, si quando temporis longinquitate obsolescere, vel aliena negli- gentia aut iniuria obrui coeperint, a posterorum oblivione atque silentio vindicare omnibus opibus viribusque enitantur. Itaque ubicumque non omnis humanitatis sensus exstinctus omnino est, nihil turpius, nihil indignius umquam fuit, quam avorum decora hereditate nepotibus transmissa pati quovis modo labefactata aut imminuta ad subsequentes aetates pervenire. Hoc quidem quum de cunctis fere gentibus, quarum civilis prudentiae latius pervagata est fama, tum de Graecis praesertim ac de Romanis accepimus; qui quum cives domi militiaeve eximie de patria meritos nobilissimis monumentis publice dedicatis honestare prae se ferrent, nulla alia de re tantopere fuerunt solliciti, quam ut eadem sarta, tecta, integra cum omnium saeculorum posteritate adaequarentur. Ex qua sane cura providentiaque baud mediocre in nos quoque emolumentum redun- davit: nam quum pleraque antiquae virtutis indicia barbarorum immanitate, aut 80 FERRVCCI ipsa confectrice omnium vetustate eversa funditus interierint, haud pauca tamen adhuc supersunt, quae iam inde a litteris bonisque artibus restitutis erudito- rum hominum commentationibus scriptisque celebrata, dici vix potest quam flagrantes et quam mirificos sui amores ubique excitaverint. Haec porro laus non civitatum modo fuit, sed et cuiusque gentis, cuiusque familiae, quae non tam ad privatum suae stirpis decus, quam ad communem reipublicae uti- litatem pertinere arbitrabantur, si vetera domesticae amplitudinis insignia ita defenderent ac custodirent, ut illa ne ornari quidem nomine alieno sinerent. Tamvero quum liberalium artium cognatio non minorem quam patriae ac sangui- nis vim, necessitatem, religionem possideat, cuinam mirum videri possit, si quicumque honoris meritorumque caussa in splendidissimum aliquem sophorum aut philologorum coetum cooptati vel gravissimis doctrinis provehendis, vel iuventuti erudiendae vacant, ea collegia, eas sodalitates, in quibus quasi taber- naculum vitae suae collocarunt, adeo diligunt, cara adeo habent, ut eorum exi- stimationi aeque ac suae singuli universique faveant; nonnulli quoque magno- rum virorum, per quos ad tantum famae splendorem illa pervenerunt, memo- riae, virtutibus, studiorum rationi, susceptis laboribus, utilibus inventis, eximiis editis operibus, et collectae inde gloriae novam in dies lucem afferre officii sui esse putent? Quod dum praestant, non historiae solum consulunt, verum etiam ad doctrinae atque humanitatis fructus multiplicandos, perpetuandos, aliorum- que industriam acuendam, ingenia alenda quam maxime adiuvant. Existima- musne Pythagorae instituta et praecepta, quibus extrema illa Italiae pars, quae quondam magna Graecia vocitabatur, et privatim et publice expolita est, in plurimas civitates permanare ac multa saecula vigere potuisse, nisi Philolai, Empedoclis, Alemaeonis, Archytae, Timaei aliorumque eiusdem disciplinae alumnorum numquam intermissa sollertia perennibusque studiis, meditatione, vigiliis a praeclaro auctore tradita documenta explanata fuissent et illustrata? Quid de acerrimo sophistarum exagitatore Socrate, qui primus, ut ait Cicero, philosophiam devocavit e caelo, et in urbibus collocavit et in domos etiam in- troduxit, et coégit de vita et moribus, rebusque bonis et malis quaerere? Anne quam vivus non potuit, potuisset mortuus improborum hominum invidiam effu- gere, ac perpetuo fungi sapientiae magisterio, nisi illius ingenii magnitudinem et multiplices variosque de ubertatibus virtutis et copiis sermones Xenophon et Plato, quique huius postea sectam sequuti sunt Academici, memoria et lit- teris consecravissent? Sed quid ego nimis antiqua commemoro? aut cur huius- modi exempla e veteris Graeciae annalibus sumpta profero? Quasi vero erudita Italiae nostrae historia illud non perspicuum sit, constetque inter omnes, nulla alia re magis, quam hereditaria doctrinarum successione ac flagrantissimo illustrium decessorum imitandorum pristinacque laudis retinendae atque in dies DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. 81 amplificandae studio Archigymnasia, Academias, Scholas, quae apud nos multis iam abhinc saeculis vigent, immortale italico nomini ornamentum ubicumque terrarum peperisse. Quam quidem historiam quoties animo et cogitatione com- plector (complector autem saepenumero), toties mihi occurrit et quasi lumen aliquod elucet Athenaeum Pisanum, quod integrum et quam florentissimum ad nostram usque aetatem, immo vero nuperrime ipsi nostris oculis vidimus. Nul- lum enim sapientiae genus, nulla facultas ex universo laudandarum artium orbe, quem Graeci éyxvxdorardeiav vocant, afferri potest, in qua summi plane viri beata quadam copia ac admirabili continuatione serieque hîc non eminuerint, et Pisanarum scholarum famam longe lateque non diffuderint. Vt autem dif- funderetur, non iis tantum disciplinis effectum est, quae, quum pro veteri more institutoque in celeberrimis totius Europae scholis nedum Pisis traderentur, omnia fere studiosorum ingenia ad se convertebant: sed illis etiam, quae pri- vatim atque ab admodum paucis coli coeptae, non nimis firmas radices agere posse perperam, ut fere fit, existimabantur. Nolite exspectare, Auditores, dum ego has disciplinas singillatim enumerem, quarum incrementa aut ipsa etiam in- cunabula hîc reperiuntur: etenim neque vacat, neque operae pretium esset vel leviter attingere, quae multorum pervulgata voluminibus et cuique notissima sunt, et crebris omnium sermonibus percelebrantur. At unam veteris Pisani Athe- naei huiusmodi laudem iuvat hodierna die patefacere, ac, quantum in me est, exornare, quae in clarissima' eius decorum luce plerosque fortasse fugit: mihi vero iamdiu est longe explorata penitusque perspecta, praestantissima scilicet in rerum antiquarum scientiam promerita. Quod ut faciam, non admoneor solum huiusce loci dignitate eiusque provinciae munere, quae non tam expe- tenda mihi fuit quam tuenda est; quod eorum mihi memoriam repraesentat, qui ipsam ante me tenuerunt, qui vicem mihi suam cursuque quasi lampada tradi- derunt; sed moveor etiam incredibili quadam caritate, qua in Pisanam civita- tem non secus ac in patriam alteram me sic inflammari in dies sentio, ut ma- ximam ex secundis eius rebus laetitiam voluptatemque, ex adversis contra maiorem opinione omnium acerbitatem doloremque animo accipiam. Antiquitatis studia laudando extollere, et quanta sit eorum excellentia ex- promere, quantamque iis, qui toto pectore ad illa incumbunt, existimationem ubique pariant, neque propositum est nobis hac prima ingressione nostra, neque necessarium. Hoc vero firmissime asseverare non dubitaverim, esse illa maius quiddam, quam homines leviter docti, atque adeo totius eorum rationis ignari opinantur; et pluribus iisque reconditis ex disciplinis, ac multiplici variaque eruditione collecta. Nisi enim quis veterum linguarum scriptorumque ab ipsa adolescentia comparatae cognitioni historiarum, regionum, urbium, temporum, mythorum, artium scientiam mature adiunxerit; nisi veterum populorum mores, Scienze Noolog. T. III. 7 82 FeRRvVCCI instituta, leges, ritus, et omnigena quae ad nos pervenerunt monumenta peni- tus norit, inspexerit, tempus enimvero frustra conteret, et numquam perfecti archaeologi laudem assequetur. Permagna haec sunt, et quae edisci omnia sine summa difficultate nequeunt: haec tamen adsidua animi contentione, impenso studio, pertinaci labore, si quid est in te ingenii, licebit ediscas. Ista vero industriae doctrinaeque subsidia non eius facultatis palmam tibi deferent, nisi naturae accesserint instrumenta, sine quibus nemo ullam rem illustriorem satis ornatus aggredi ac perficere unquam potuit: animus ad percipiendum celer et acutus, ad coniiciendum prudens, ad obscura indaganda sagax, certae nulli destinataeque sententiae addictus, ut germana a commentitiis, explorata a du- biis, frugifera ab inanibus facile seponat: ad hoc tenacissima rerum verbo- rumque memoria, ex qua veluti e locupletissimo thesauro non ad satietatem fa- stidiumque, sed parce opportuneque, quaecumque ad propositum argumentum apertius explanandum illustrandumque faciunt, statim depromas. Quorsum haec omnis pertinet tam alte repetita oratio? Eo nimirum, ut palam fiat quanta sit huiusce disciplinae magnitudo ac difficultas; quae sit caussa cur tam exiguus insignium archaeologorum numerus singulis aetatibus inveniatur (insignium dico, nihil enim eruditulos istos de ludo, aut impudentes alienorum scriptorum compilatores moror; sed doctissimos et perfectissimos conquiro): ut clarius intelligatis quanto demum in honore ea urbs, ea schola habenda sit, unde pri- mum archaeologus exstitit, in quo proprie vereque hoc verbum ponamus; unde etiam veterum monumentorum recte interpretandorum ars certis quibusdam definitisque legibus ac praeceptis conformata estulit iam caput, et tamquam ex pellucido fonte latius ad hominum existimationem profiuxit; unde denique tam egregii eiusdem cultores amplificatoresque ad nostram usque actatem prodie- runt. Adamavit quidem Italia plurimique fecit prisci aevi reliquias ex quo dis- cussa superiorum saeculorum caligine litterae bonaeque artes erigere sese atque oculos extollere, cultusque bumanitatis restitui cocpit: iam inde ex eo tempore signa, toreumata, arae, sarcophagi, inscriptiones, gemmae, numismata, armillae, anuli, et quidquid uno verbo antiquitatem redoleret quum cupidissime vulgo expeterentur magnoque pretio constarent, et intentiore, quam antea, cura a possessoribus asservata (in quo, ut in ceteris, enituit praesertim Mediceae domus magnificentia), et facilius studiosiusque ab eruditis inspecta sunt. Hi porro tantarum rerum copia praestantiaque excitati ac veluti experrecti, utpote qui doctrina et ingeniis longe multumque pollentes exquisitissimo pulchri sensu permoverentur, laboris quidem plurimum et diligentiae in vetera quaeque con- siderate contemplanda contulerunt; sed tamen quum eorum industria nimium angustis regionibus circumscripta teneretur, iisque praeterea careret necessariis adiumentis, quibus subsequentes aetates abundarunt; nihil est, quod mire- DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. 83 mur, si archaeologiae studia perinde ac ceterae graviores disciplinae nec uber- rimo nec laetissimo fetu grandescere per ea tempora potuerunt. Nondum enim philosophia, cuius salutaribus nutrimentis artes ingenuae omnes educantur et sensim perficiuntur, Galileio nostro signifero ac principe, peripateticae domi- nationis iugum excusserat; nondum edocuerat observationis indagationisque ope vires naturae legesque virium explorari; et alia ex aliis callide colligendo ac longissime dissita inter se comparando, non rerum modo physicarum caussas vel abditissimas cognosci, sed quid in quaque re verum sincerumque sit, quid falsum errorisque plenum perspici posse. Novum istud philosophandi genus, cuius iecisse Galileium apud nos fundamenta magnificum sane Pisanisque scholis sempiterna saeculorum memoria gloriosum erit, primus omnium in antiquitatis scientiam invexit Valerius Chimentellius, qui illud ab ipsis Galileii discipulis acceperat magnoque animi ardore fuerat complexus. Florentia is patria sua, ubi quum optima eruditionis integritatisque fama mature inclaruisset, dignus habitus est qui a Magno Duce Ferdinando II. adlegeretur ad Cosmum filium, principem destinatum, liberalibus doctrinis informandum, Pisas accitus fuerat, ut graecas primum, mox etiam ut humaniores omnes litteras profiteretur. In quo quidem munere si saeculi vitia, quae, subacto ut erat subtilique iudicio praeditus, per- viderat ipse, et improbare aliquando est visus, non prorsus declinare potuit; prorsus, ita vivam, declinavit in antiquitate explicanda, quam plane sibi cogno- scendam putavit; quod, opinor, sine huius supellectilis accessione politiorum litterarum studia manca esse quodammodo atque imperfecta probe intelligeret. Testimonium in eam rem luculentum habemus eum librum, cui titulum fecit: Marmor Pisanum de honore bisellii: in quo quum veteris basis inscriptionem, quam vel hodie in Roncioniorum aedibus collocatam videmus, explanandam su- ‘scepisset, illud potissimum statuere ac quasi divinare conatur; quid nempe esset honor bisellii, et quibus olim viris, singularibus decretis, adtribueretur. Quae argumenta, quas coniecturas ingeniose ac sedulo, quamquam aliquantulum du- bius atque haesitans, in illa disquisitione profert Chimentellius, aliquot iam exemplis confirmavit postea Fabrettus, et serius etiam Morcellus, qui rem totam confidentius expedivit. Omnino mihi videor posse contendere, ex hoc uno opere, quamvis mole exiguo, re tamen ipsa permagno, qualis quantusque fuerit Chi- mentellius elucere; atque hanc verissimam esse illi laudem, quod, quum recon- ditae eruditionis copia maxime commendaretur, moderationem tamen quandam in scribendo adhibuerit, quam plerumque in archaeophilorum lucubrationibus frustra requirimus: nesciunt enim, ut in omnibus, sic in hoc scriptionis genere magis offendere nimium, quam parum. Nihil autem in eo deest, nihil Jonge petitum, nihil vulgare: cuncta intelligenti sinceroque iudicio expensa, selecta; cunceta, quae ad rem suam faciunt, apte concinneque, et fere dixerim ad Gali- 84 FERRVCCI leianam normam ac regulam directa, disposita. Ceterum quis tandem non eum librum in magno pretio habendum censeat, quem eruditissimi homines, quot- quot aut per eadem tempora, aut pòsteris aetatibus floruerunt, etiam atque etiam collaudarunt? E quibus unum tantum nominabimus, Ioannem Georgium Grae- vium, qui illum in septimum sui Antiquitatum Romanarum Thesauri volumen non dubitavit referre, paucis quidem, sed perhonorificis verbis de eius auctore prae- scriptis. Fato acerbo, sic praefationem suam Graevius concludit, Chimentellius est nobis ereptus, qui plura et maiora, si superasset, nobis praestitisset. Sed longe plura et longe maiora, quam ipse Chimentellius, quique in Chimentellii locum alter ex altero successerunt, Iacobus Gronovius, qui eo officio non integrum annum est functus; et Benedictus Averanius, qui ut in latinae orationis nitorem romanaeque eloquentiae maiestatem restituendam, ita in veteris sapientiae amo- rem renovandum magnum studium perutilemque operam annos amplius triginta impendit; longe, inquam, plura et longe maiora ad rerum antiquarum scientiae prope universae fines late propagandos praestitit is, qui sapientissimo Cosmi II. consilio non ita multis ab immaturo Chimentellii obitu annis inter Pisani Athenaei doctores cooptatus est, ut Ecclesiae historiam explanaret, ac subinde libros prae- terea divinos interpretaretur; et quem, sicuti lumen aliquod ad discutiendas longinqua vetustate obductas rebus tenebras insperato exortum, eruditi ad unum omnes suspexerunt, Henricus Norisius. Quisnam est, cui statim non succurrant et immortalia tanti viri ad antiquitatem tum sacram tum profanam spectantia opera, et honores maximi, quibus Roma, Roma ipsa ab hoc praeclarissimo sapientiae domicilio ad se ultro accersitum, quod in uno homine parata intelli- geret subsidia, quibus pristinam dignitatem suam adserere facilius posset, nihil tale petentem ac ne cogitantem quidem exornavit? Aegre ferimus, Auditores, quod propter temporis ad dicendum dati angustias, quot et quanta fuerint Norisii in rem antiquariam promerita, atque adeo quae et quanta per illum facta sit Athenaeo Pisano famae accessio, fusius exponere prohibeamur: in quo tamquam in vasto immensoque campo late excurreret oratio nostra et exsultaret. Sed ut cetera praetereamus, quae de illo in hanc rem praedicari verissime possent, hoc tamen reticere nefas fuerit, nullam archaeologiae partem (de profana loqui- mur, infiniti enim essemus si et de sacra sermonem instituere velimus) fuisse ab eo diligentius tractatam, in qua vel difficillima non explicaverit, vel nova non detexerit, viamque aliis non aperuerit et quasi praelata face praemonstra- verit, qua altiora spectare et ad ea rectis studiis contendere liceret. Multum quippe chronologia, multum geographia, multum ipsa veritatis lux historia profecit ex iis, quae de Anno et Epochis Syro-Macedonum scite ac dilucide dis- putavit; quae de insigni quodam Herodis Antipae nummo, de numismate Impe- ratorum Diocletiani et Maximiani, itemque de nummo Licinii Liciniani Aug. DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. 85 atque de votis decennalibus subtiliter ac copiose exposuit; quae in Fastis Con- sularibus correxit, supplevit, illustravit. Sed multo etiam longius provexit pri- scarum inscriptionum optime interpretandarum artem, quam vix adumbratam invenerat, celeberrimo opere de Cenotaphiis Pisanis, quod anno millesimo sexcentesimo octogesimo primo Cosmo III. inscriptum in lucem emisit. Ceno- taphia autem Pisana minus proprio, ut quibusdam recte videtur, vocabulo ap- pellat Norisius decreta illa bina amplissima atque ornatissima Coloniae Iuliae Opsequentis Pisanae de honoribus habendis memoriae Caii et Lucii Caesarum, Aneyranis tabulis antiquiora, in Coemeterio nostro urbano reposita; propter quae Coemeterium profecto celebraretur, etiamsi alia celebritatis caussa nulla esset. Edax tempus (placet enim afferre quod Angelus Fabronius de hoc eodem opere fecit gravissimum iudicium) quum delevisset Basilicam Caii atque Lucii, porticum Liviae, nemus Caesarum, insignia utriusque Caesaris memoriae dicata opera, Cenotaphiis Pisanis, quibus nulla eorundem Caesarum nobiliora monu- menta nunc supersunt, pepercisse visum est, ut per Norisium, qui veluti nuntius quidam vetustatis esse videbatur, multa ad Romanam historiam, Romanorumque plures ritus, praesertim funereos, et ad ipsarum Pisarum originem dignitatem- que declarandam opportunissima sciremus. Quibus et talibus multis exquisitis, hoc vel maxime effecit, ut non amplius vocarentur antiquitatis investigatores ii, qui opiniones hominum vel illustriorum, et saepe errores aucupantur, sed qui per omnes partes eruditionis peragrant, qui infinita legerint, multa viderint atque audierint, qui tempus cum tempore, rem cum re comparant, qui similia adiungunt, vera ac falsa diiudicant, perfecta concludunt disserendi ratione ac scientia. Ex quo quum summa utilitas existit ad res ponderandas, abditaque in lucem proferenda, tum maxime ingenua delectatio ac digna sapiente. Hucusque Fabronius; cui quidem in extollenda Norisii doctrina iamdiu praeiverant et Eze- chiel Spanhemius et Ioannes Waillantius et Henricus Dodwellus et Ioannes Ciam- pinius, et, quibus Verona communis cum eo patria fuit, Franciscus Bianchinius et Scipio Maffeius. Quos viros, bone Deus, nomino, quot etiam omitto! Quam multa insuper et honorifice et graviter de illo prodiderunt Raphaél Fabrettus, Antonius Pagius, Franciscus Mediobarbus, Philippus Bonarrotius, qui illum de suis quisque studiis saepe consuluerunt, adiutoremque ad ea habuerunt doctis- simum atque humanissimum! Et Bonarrotium quidem tanto amore ac perpetuo quodam iudicio suo dilexit Norisius, ut ad summam, quam is postea assequutus est, in expendendis exponendisque antiquitatis monumentis excellentiam, dux illi et magister exstitisse videatur. Ego vero quum singularem Norisii in admi- rabili eruditione modestiam, nullamque honorum, quibus invitus fere decoratus est, cupiditatem, nullam contentionem mecum ipse reputo, non possum, quin Romae vehementer gratuler et maximam quoque gratiam habeam, quod viros 86 FERRVCCI de religione optimisque studiis insigniter meritos ad se, praeter illorum opta- ta, munifice invitatos in altissimo dignitatis gradu collocare identidem sol- lemne habeat; ut palam nempe ostendatur esse apud se virtuti ac doctrinae, quo demum cumque se loco explicent, nobilissima praemia. Sic, ut de ceteris sileamus, quemadmodum saeculo ante Norisius, patrum nostrorum aetate Hya- cinthus Gerdilus, ad cuius vim scribentis hostes Ecclesiae obmutuerunt; sic pridem uno eodemque die et Iosephus Mezzofantus, magister meus amantissi- mus, cuius linguarum prope omnium cognitio ususque miraculi instar orbi fuit; et is qui adhuc vivit floretque, cuique ut quam diutissime vivat floreatque boni omnes optant et ominantur, eximiis veterum scriptorum reliquiis patienter conquisitis feliciterque detectis rem sacram et litterariam usque et usque auctu- rus, Angelus Maius (*), in augustum magnorum Catholici nominis principum Senatum quasi exsortes sunt recepti. Chimentellii et Norisii in Pisano Athenaeo impressa splendida vestigia (revocanda est enim ad propositum, unde paullulum aberravit oratio) persecutus est Virginius Valsechius, qui eodem quo Norisius docendi munere, haud ita longo intervallo, honestatus, quum et ipse vidisset arctissimum esse foedus, quo sacrae et profanae antiquitatis studia inter se coniunguntur, utriusque pariter inquirendae artem mature sibi assumpsit. Mitto quae de sacra eruditione edidit specimina complura, quum sermo noster, ut supra diximus, ad ea, quae ad profanam archaeologiam spectant, sit contrahendus: in qua sane quantopere eminuerit, agnoverunt aequales eius, agnoscimus et nos ex illius lucubrationibus, ac praecipue ex iis quae de M. Aurelii Antonini Ela- gabali tribunicia potestate v. subtiliter disputavit; tum vero etiam ex iis, quae ad sententiam suam adstruendam, et docte illatam a Ioanne Vignolio et Philippo a Turre validam oppugnationem propulsandam deinde subiecit. Nemo est pro- fecto, qui ista perlegens, postquam hominis acre iudicium, penitiorem doctri- nam et accuratam in latine scribendo munditiam ac perspicuitatem adamaverit, illud inauspicato ac perincommode accidisse non fateatur, quod Valsechius, dum maiora ad Romanas antiquitates illustrandas suscipere meditabatur, aliena auctoritate adductus ab hoc litterarum genere se avocari vel potius abstrahi siverit. Id tamen in eo detrimento minus dolendum nobis est, quod tres cele- berrimi ex ordine Sodalium Calasanctianorum viri, qui alter ex altero huma- niorum litterarum tradendarum munere hîc naviter perfuncti relictam a Val- sechio provinciam excoluerunt ipsi impensissime et exornarunt. Intelligit iam, opinor, unusquisque vestrum, Auditores, me hisce verbis Alexandrum Politum, Eduardum Corsinium et Carolum Antoniolium designare: de quibus dum pauca dicere aggredior, quam velim eorum mihi dari incorruptam eloquentiam et latini sermonis nitidam elegantiam, quibus adeo ipsi excelluerunt, ut non Pisani tantum Athenaei, sed Italiae universae dignitatis vindices adsertoresque et ha- DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. 87 biti sint et fuerint. Atque ut statim ad Politum veniamus, sciunt omnes fuisse illum totius antiquitatis notitine quam qui maxime studiosum, et multa exa- rasse, quae iis, qui de huiusmodi rebus recte poterant iudicare, digna omnino visa sunt, quae in lucem emitterentur. Emisit autem, ut publicae utilitati pro- spiceret, nonnulla, quae satis superque fuerint ad singularem eius eruditionem omni commendandam posteritati. Quam scite, quanta industria, quantoque labore Eustathii tum in Homerum, tum in Dionysium Periegetam commentaria, doctrinarum copia penitiorumque litterarum varietate praestabilia, bono in lu- mine collocavit, latine vertit suisque ipse animadversionibus locupletavit! Nihil porro doctius, nibil elegantius illa epistola, quam de curribus antiquorum ad magnum illum florentinum polyhistorem Ioannem Lamium conscripsit. Vtinam autem in hoc studiorum genere se adeo non involvisset, ut eorum ditissimos fontes adolescentibus discendi cupidis, qui ad illum audiendum frequentes con- veniebant, aperire vel noluerit vel neglexerit: utinam illos ea facilitate ac comitate excepisset, qua excepit Eduardus Corsinius, vir non tam doctrina quam docendo insignis, quem sodalem primum, mox contubernalem et collegam, postremo etiam in magisterio successorem habuit! Incidit huius aetas in ea tempora, quibus, si quando alias, vehementissimo flagrabat Italia eruditae vetu- statis perscrutandae studio, cui fortuna ipsa munifice obsecundare visa est. Tunc enim Herculani et Pompeiorum vestigia, quae amoenissimae Campaniae urbes iam a Titi Vespasiani Augusti principatu ardescentis Vesuvii montis cineribus obrutae delituerant, praeter omnem aut spem aut opinionem reperta: Colum- baria libertorum servorumque Liviae Augustae ad Appiam viam adinventa: Tabula Traiana Basilicae Veleiatis in agro Placentino effossa, et innumera alia priscarum artium omne genus prodigia faustis sane ominibus e tenebris eruta ut archaeologorum sedulitatem sollertiamque, ita virorum principum munificentiam ad ipsa monumenta dignis in sedibus constituenda et magnifice asservanda, disertosque eorundem interpretes impensius fovendos feliciter excitarunt. Tunc primum etiam antiquitatis scientia publice tradi coepta: quam quidem laudem Bononiae non invidebo, utpote qui a Schiassio meo didicerim, Iacobum Tazzium Biancanum, qui rerum antiquarum Musaeo in Instituto Marsiliano praeerat, ut ea ibidem traderetur, effecisse. Ille enim ad Senatum, penes quem summa rerum Bononiensium tune temporis erat, accessit, rem proposuit, amplissimum decretum reportavit. Memini, ait Schiassius, quo die omnium ille primus de antiquitatis studio orationem in Instituti aedibus habuit, quum et Senatores Instituto praefecti, et cuncti ceterarum disciplinarum doctores et auditores frequentissimi adessent, postquam et summa argumentorum vi et admirabili quadam doctrinae praestantia dicendique copia ostendisset, quantum populo- rum historia, quantum chronologia, quantum geographia ex veterum monumen- 88 FERRVCCI torum contemplatione iuventur, quantum artes tum liberales, tum etiam vul- gares et mechanicae incrementi utilitatisque accipiant, quum ad extremum perorando maiorum exempla proposuisset, recentium beneficia commemorasset, cunctorum animos ad haec studia incendisset, personuisse omnia plausibus, visumque propemodum suis ipsum sedibus exsultasse Institutum, sibique et civibus universis et exteris omnibus de nova in sinum suum recepta disciplina esse gratulatum. Hanc tantam tamque illustrem laudem nec Bononiae, inquam, nec Biancano invideo: at illud libere affirmo palamque profiteor, quam anti- quitatis scientiam Biancanus publice Bononiae in Instituto Marsiliano omnium primus tradere coepit anno millesimo septingentesimo octogesimo primo, illam Corsinium privafim Pisis pro eo, quod hîc sustinebat, honestissimo docendi officio aliquot ante annos tradidisse. In quam rem etsi permultos eosque locupletissimos testes proferre facile possimus, uno tamen contenti erimus Angelo Fabronio, qui cum eo prope vixit, quique disertissime perscribit, nulli discipulorum aditum, sermonem, congressumque suum denegasse Corsinium: quin immo eos bis in hebdomada domum suam invitare consuevisse, ut in Graecarum Romanarumque antiquitatum studiis exerceret. Itaque si hoc prae- sertim nomine maximus Biancani memoriae honos a Bononiensibus habetur, iure enimvero et nobis de Corsinio nostro gloriari licebit, quod ante, quam Biancanus in Marsiliani Instituti luce, hic intra domesticos parietes non suae famae, sed potiori studiosorum adolescentium institutioni unice obsequutus gravissimae scientiae praecepta explicare sit aggressus. Atque is erat Corsinius, qui ad tam liberaliter suscepti muneris partes recte explendas plane valeret; evulgatis enim quum ingenii doctrinaeque, tum etiam adsiduitatis diligentiaeque compluribus insignibusque documentis exemplo ipso auditoribus praeibat. Num in singulis hisce copiosius persequendis immoremur, qui omnia recensere nullo modo possumus? Vix enim ad eorum, quae praecipua sunt et maxima, titulos enunciandos tempus suppetit: Fasti Attici; Dissertationes Agonisticae; Notae Graecorum; Inscriptiones Atticae; Series Praefectorum Vrbis; Dissertatio de Minnisaris aliorumque Armeniae Regum nummis, et Arsacidarum Epocha; Epi- stola de Burdigalensi Ausonii Consulatu. Sed et alia sunt haud pauca, ex quibus aperte colligitur, nullam fere esse archaeologiae partem, in qua Corsinius tam- quam in provincia sua non fuerit versatus. Quapropter ad tantum claritudinis apud nostrates exterosque brevi processit, ut illum, quotquot per ea tempora in huiusmodi studiis principes habebantur, summis laudibus extulerint. Illum magnopere dilexit et amavit Scipio Maffeius; illum reveritus est et scriptis etiam suis ab importunis iniquorum censorum reprehensionibus calumniisque vindicavit Caietanus Marinius, qui in magnum tune nomen gloriamque suc- crescebat; illum eruditorum omnium italorum, quoscumque noverat, eruditissi- DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. 89 mum appellare non dubitavit Ioannes Winckelmannus. Quae vox si quo ab homine profecta sit reputabimus, nullum sane honorificentius de Corsinio testimonium afferri posse facile perspiciemus. Sed nemo pluris Corsinium fecit, nemo impen- siore adfectu, maiore pietate prosequutus est, quam Carolus Antoniolius, quem Corsinius ipse, teste eodem Fabronio, suarum actionum, sententiarum, volun- tatum, rerum denique omnium socium comitemque habere voluit; cui ob explo- ratam eius in omni politiore doctrina excellentiam sexennio illo toto, quo sum- mo sui ordinis magisterio functus Romae commorari coactus est, suas docendi gerendas vices demandavit; quem denique suorum munerum meritorumque veluti heredem reliquit. Verum qui plurimas potuisset, haud multas prae nimia modestia protulit Antoniolius lucubrationes: quae tamen esset eius ingenii vis, quae eruditionis copia, satis superque, ut ab ungue leonem, licet agnoscere tum ex iis, quibus et Politi et Corsinii sui opera propugnanda, tum quoque ex eo libello, quo singularem Musaei Stoschiani Etruscam gemmam explicandam sum- psit. Cuius explicationis et Lanzium et Marinium et Paciaudum ipsumque ma- gnum Ennium Quirinum Viscontium (ecquis non?) laudatores fuisse intelleximus. Nec minorem certe, immo vero longe splendidiorem et sibi et Pisano Athenaeo gloriam adquisivisset Antoniolius, si et ea quae de Graecorum ritibus et de litte- rarum fortuna apud Athenienses ceterosque Graeciae populos laboriosissima cura diuturnaque opera elucubraverat, in manus hominum venire sivisset. Id porro Antoniolii magis, quam Pisani Athenaei caussa dolendum arbitramur. Pisanum quippe Athenaeum, hoc ipso decimo octavo saeculo vertente, quinque aliis do- ctoribus illustratum est, Guidone Grandio, Iosepho Averanio Benedicti fratre, Leopoldo Guadagnio, Antonio Cocchio et Thoma Perellio, qui quamvis singuli aut matheseos aut iurisprudentiae aut medicinae aut astronomiae ornamenta ac lumina exstiterint; de archaeologia tamen ea meditari et scribere haud alienum ab instituto suo esse duxerunt, quibus iure meritoque in archaeologorum nume- rum omnium consensu sunt relati. Quem quidem in numerum quisnam erit qui adscribendum non censeat par illud eruditorum egregium, Lucam Antonium Pagninium et Sebastianum Ciampium; quorum alter ad latinas, alter ad grae- cas litteras hîc profitendas sub huius saeculi initium sunt evocati? Nonne ar- chaeologum se ostendit et arguta sagacitate et accuratissima diligentia comme- morandum Pagninius, quum graecorum Bucolicorum carmina, quae cultu ipse italico pereleganti reddiderat, in vulgus editurus, novas ex probatissimis codi- cibus aut ex suomet ingenio lectiones profert, quibus, dum vulneribus, quae plurima et a longaeva vetustate et a librariorum inscitia acceperant, pruden- ter opportuneque medetur, permulta obscuritate usque adhuc involuta scripto- rum loca in pristinam nativamque lucem restituit? Quid vero dicam de Seba- stiano Ciampio, qui in universae, qua late patet, antiquitatis scientiam ita natura Scienze Noolog. T. II. m 90 FERRYVCCI sua ferebatur, ut tota vita, quam ad octogesimum circiter annum, ut scitis, produxit, id unum cogitare, in id unum contendere sit visus? Trecentos libros ab Aristotele, septingentos a Chrysippo, quadringentos nonaginta a M. Terentio Varrone fuisse conscriptos accepimus. Non ego is sum, qui Ciampium nostrum cum istis mirae ac prope incredibilis fecunditatis scriptoribus comparare ausim; illud utique aperte fidenterque dicam, tot eum protulisse industriae et vigilia- rum suarum fructus, ut absoluta eorum indicis confectio studiosam quamdam inquisitionem operosumque laborem requirat. Inter quos primum numquam locum non obtinebit Pausaniae Graecia, quam quum in italicum sermonem con- verterit, subiectisque luculentissimis commentariis locupletaverit, optimi idem interpretis et explanatoris famam est adeptus. Hi omnes, de quibus hactenus verba fecimus, veteris Pisani Athenaei doctores praeclarissimi ad archaeolo- giam tanto ardore animum appulerunt, non quod iuventuti illa ipsa disci- plina erudiendae publice praefecti fuissent, verum quod illam uberrimam pa- riter ac iucundissimam esse intelligerent. Vt autem archaeologine quoque sua esset in Athenaeo sedes suumque magisterium (recentia commemoro), optimi Principis nostri Leopoldi II., quo sospite laetamur, perspicaci iudicio insignique munificentia effectum est. IMle scilicet quum Hippolytum Rosellinium, a prima iuventute maxima quaeque de se pollicitum, Bononiam a Mezzofanto orienta- libus linguis instituendum misisset, et, quam is de se fecerat exspectationem, cumulate - explentem vidisset; eumdem et linguas orientales et archaeologiam pu- blice hîc docere iussit, quanta Athenaei dignitatis amplificatione quantoque disci- pulorum emolumento nihil attinet dicere. Neque in hoc restitit prolixa indulgen- tissimi Principis in antiquitatis doctrinam voluntas. Peregrinae opes, quas Rosel- linius ex celebri illa sua periculorum laborisque plena in Aegyptum expeditione ad nos advexit, perpetuam omni posteritati fidem facient, nihil Magnum Ducem Etruriae Galliarum Regi in optimorum studiorum incrementa liberalitate, nec multum Champolliono Rosellinium in veterum aetatum reliquiis investigandis acu- mine constantiaque concedere. Quin immo felicior in hoc fuit Rosellinii sors, quam Champollioni; hunc enim paucis post mensibus, quam e Nili faucibus in patriam opima referens spolia renavigaverat, is repente corripuit morbus, quo brevi absumptum tota Europa deflevit: ille vero, quamvis praepropero et ipse interitu abreptus sit, ut vel decimum post annum eius amissionis acerbissima nobis ac- cidat recordatio, in magnifico doctissimoque, quod absolvit, opere immortale et ardui confecti itineris et exquisitae sapientiae monumentum aere perennius reliquit. Videtis igitur uno fere in conspectu, Auditores, quod a dicendi initio me vobis demonstraturum pollicitus sum, quot et quam insignes e veteri Athenaeo Pisano prodierint viri, qui quum ad rerum antiquarum notitiam sese applicuerint, innumera in hoc litterarum genus adiumenta contulerunt et com- DE ANTIQVITATIS SCIENTIA ETC. moda. Horum exempla pro virili parte imitari ac nihil reliquie. ju tu diosorum adolescentium animos ad tam frugiferam ac tam fructuosam ciscip'ivam amplectendam, pulcherrimarum nempe rerum maximeque utilium coguoscenda- rum cupiditate inflammare possit, quemadmodum ad hane usque diem, primum pro delati mihi muneris officio, deinde pro re nata enixe elaboravi, sic et in posterum, quamdiu licebit, elaborabo. Hlud tantum subverendum mihi est, ut eorum ego satis vel exspectationi vel desiderio respondeam: in quo tamen haec me reficit et recreat cogitatio, honestissimi consilii participem ac socium mihi obtigisse virum praestantissimum, fraterna prope necessitudine mihi devinctum, cuius amo et semper amavi ingenium, sagacitatem, mores; cui in graeca item ac latina eruditione litterisque interioribus quos comparem perpaucos reperio, quem anteponam habeo plane neminem; quemque vel praesentem et recusantem nominabo, Caietanum Fantonium. O nos beatos, nos felices, si ex hac florentissi- ma iuventute, quam frequentem doctrinaeque percupidam conspicimus, unus aliquis exsistat, qui archaeologiae utilitate ac dulcedine captus, nobilissimae disci- plinae, cuius tam arcta est cum omni politiori humanitate coniunctio, amore ita incendatur, ut nulli studio, nullis vigiliis, nullis conatibus sibi parcendum sta- tuat, quoad veterem hanc Italiae totius, nedum Etruriae propriam, sed fato nescio quo litteris misero funestoque dudum intermissam laudem renovet instau- retque: atque illius bene susceptam curam, bene adhibitam diligentiam, feliciter exantlatos labores, perpetuum decus et numquam interitura memoria consolentur. (*) 0 fallacem hominum spem et inania vota! Amisimus virum hune eximium, Catho- licae Ecclesiae pariter ac italici nomiriis decus praeclarissimum, v. idus septembr. an. MbeccLini. Iud tamen ad aliquod ingentis iaeturae solatium nostratibus litteris gloriosum accidit, ut nempe Sodales Parisienses ab Inscriptionibus et politioribus litteris in demortui Maii locum, ad legitimum Sodalium exterorum numerum explendum, AMaDEVM PEYRON socium ultro cooptarent. Ita Collegio illi ubicumque optima vigent studia celeberrimo, ut in sedem itali philologi doctissimi excessu vacuam relietam doctissimum item philologum reciperet, non ultra ipsius Italiae fines excurrendnm fuit. sata arti RI ldstit MUNARI MIR rin ij h licezzi rari stimare bigoni asc o ; - asbannapugoo, auitituaspani dim yaignor,, agisdaagaatinitiodolnae 34 Quv giu Lie lconte e L I Gip iaia cite rodalanazino i81aa.l91:101geebo di utredrodiaa malo adulti colo db ibn do amet omp ii meobaogratoiohiso di are faoi tatnageao igm, aaniona, 08, mogiaiamag, ii limone dmnisitegnor , “bastino gonone 2 ts amuanizab vinliaragi bplizagnos o1g-pariotett: quumianittotisneg autrvio rosi zitto quosi. 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LEOPOLDO - Il : M - E - D PRINCIPI - INDVLGENTISSIMO QVI - XVI - KAL « FEBR - AN - M DUCU - XXXV - CONLEGIVM * FERDINANDVM PRAESENTIA - ET - HONORE COMPLEVIT EPHEBOS - CONCLAVIA * INGRESSVS ADLOQOVIO © HONESTAVIT EORVMQVE © STVDIA - SAPIENS INSPEXIT ovo - ANTE - LEOPOLDVM - I - AVVM - EIVS * AVGVSTVM NVLLVS - PRINCEPS * FECERAT ADOLESCENTES - CONLEGIATI TANTA - CLEMENTIA - GESTIENTES QVAE - STVDIORVM - SVORVM - EXCITAMENTO DEVOTI - NOMINI . MAIESTATIQ - EIVS FIDEI : ET - FIDELITATIS © ERGO PATRONO - OPTIMO - ARTIVM - OPTIMARVM FVIT DIEI : AVSPICATISSIMI MONVMENTYVM Scienze Noolog. T. HI. 94 CANTINI In funere Doctorum Decur. Academiae Pis., qui proxrime decesserunt, habito Pisis ad S. Nicolai, IIIT. Kal. Jul. An. MDCCCXXXXIIII. (Supra portam Hedis) PIIS + MANIBVS CAIETANI - SAVI - EQVIT - PL - ORD - HIPPOLYTI - ROSELLINI - EQvit - PL - oRD - ET PHILIPPI - CIVININI DOCTORVM © DECVR - ATHENAEI - PISAN QVI - ADEMPTI © SVNT EIVSDEM - SPLENDORI - PVBLICAE © VTILITATI ET * COMMVNI *- PATRVM © VOTO COLLEGAE © VNIVERSI MOERENTISSIMI - OB - IACTVRAM © TANTAM FRATERNO © AMORE SOLLEMNITER : PARENTANT O - BONI SI - MAGNAE ©: IN *- TERRIS - VIRTVTES LONGE »- MAIOR - IN - BEATORVM - SEDIBVS VOBIS - ET : GLORIA - SIET Ad Tumulum honorarium. (In parte antica) MORTALIS © QVISOVIS . ES - CONSPICITO EN * FVNVS - ARAE *- THVRA FASTVS * HVMANI - SVPREMVS - FINIS AT - DOCTRINAE © ET - VIRTVTVM :- FAMA NVNOVAM - MORITYVR INSCRIPTIONES 95 EI (Ad dextrum latus ) SAVIO DOCTORI - DEC * BOTANIC - TRAD - "ovi * PLVRES - HERBAS - ET - ARBORES - PEREGRINAS i INTVLIT : IN * HORTOS - ATHENAKI ET *‘ NOVA *- DIGNITATE - LOCVM - CVMVLAVIT EIVS - NOMEN *- ET * SCRIPTA |EVROPAE - FINES - EXCESSERVNT PRAEMIA :- IN - Xx - MERITA III: j (Ad sinistrum latus) ROSELLINIO DOCT © DEC > HISTORIAE < VNIV - TRAD - QVI - ARDVA - ITINERA IN © AEGYPTVM * ET - NVBIAM - FIDENS © ARRIPVIT PLAECLARA - IN - PATRIAM - DEDVXIT - MONVMENTA CONSCRIPSIT © OPVS MANSVRVM © IN - AEVVM GAVDIA - IN - 3 - svpERvM [III (In parte postica) CIVININIO DOCT - DEC + PATHOLOGIAE - TRAD < QVI - ANATOMICVS - EXIMIVS MVSEVM © PATHOLOGICVM - OPERIBVS : AMPLIATIS MONSTRIS * HVMANI © CORPORIS PER © ITALIAM + COLLECTIS INSTAVRAVIT - CELEBERRIMVM PAX - IN - SR - AETERNA | | Dei INDICE DELLA PARTE PRIMA Bonaini Francesco. Alcuni Appunti per servire ad una Bibliografia degli Statuti Italiani: R—Z . — — ‘Appendice . Rosini Giovanni. Orazione detta il dì 11 Novembre 1852 nell’ Aula Magna del Pubblico Studio Pisano — — Note . CURIE, La “MA Cantini Tosephi De Judiciorum origine, Dissertatio proemialis ad Sacros Cunones habita in Academia Pisana idibus Nov. An. MDCCCXXXXI Capei P_ Di una Inscrizione latina mel cippo sepolcrale che oggidì vedesi collocato nel Palazzo Capponi, letta nella Accademia Colombaria il dì 2A Settembre 1854 Ferrvccio Michaele. De antiquitatis Scientia in veteri Lyceo Magno Pisano, illustrata provecia; Oratio habita TIT id. Novembr. A° MDCCCLIIT in Academia Pisana Cantini Fosephi Znscriptiones «dl res Academiae spectantes . 6l VAEHA è area: oa ii PREZZO Tomo I. 1846 — Paoli 48 "| pari a Fr. 27. 30. Tomo II. 1851 — » 30 = » 16. 80. Tomo lIl. 1854 — » 17 D Yo iO À\ 5 x 4” ù 3 3 bb JA? Ò a] Q N a” % > \ 9 Ye] e SORA REA NOR n TRO i) CR ) (0 Su TOMO TERZO —c 2 x («a (0 0) © E -< E | 0) [==] (a) sa >, = ANNALI DELLA UNIVERSETA TOSCANA eZ ro. TOMO TERZO : ed ANNALI DELLA UNIVERSITÀ TOSCANA PARTE SECONDA SCIENZE COSMOLOGICHE Trono TBRZO PISA TIPOGRAFIA NISTRI 1854 Ù Ì # Î L - 3 “A PO | d * ti Pal ’ KD20T AT «è $ i I ) pad a fe DI + n SULLA TEORIA MATEMATICA DELL’INDUZIONE ELETTRO-DINAMICA mtAUTORIA DI RICCARDO FELICI AJUTO ALLA CATTEDRA DI FISICA DELL’ I. R. UNIVERSITÀ TOSCANA —=n 0 >_ Dare le formule per una teoria matematica delle correnti di induzione elettro-dinamica ed elettro-magnetica è lo scopo di questo lavoro; fidato unica- mente a dati dell’esperienza, e col metodo che servì all’Ampére per scoprire la formula elementare che esprime le leggi secondo le quali due elementi filiformi di circuiti voltaici vicendevolmente si attirano o si respingono. Un buon metodo esperimentale mi pose in grado di scoprire con piena sicurezza i fatti o teoremi fondamentali di cui avevo bisogno; ed agevole fu l'applicazione del calcolo a quei fatti stessi, per scoprire la formula elementare che esprime la forza elet- tro-motrice indotta da un elemento filiforme di un circuito voltaico in un altro simile elemento di un circuito qualunque. 1° Immaginiamoci due fili metallici che formino due circuiti chiusi, di una forma qualunque, vicini ma isolati, ossia separati fra di loro. L’ uno di essi includa nel suo giro una pila voltaica, l’altro non sia in comunicazione con al- cuna sorgente di elettricità. Faraday nell’anno 1830 scoperse i fatti seguenti: (A) Nel momento in cui il primo circuito, il voltaico, vien chiuso, si muove nel secondo circuito una corrente in direzione contraria a quella del primo, ossia a quella della pila. Lo stesso accade nel momento in cui si apre il primo circuito; se non che la corrente nel secondo circuito è, in questo secondo caso, nella direzione stessa di quella della pila. Scienze Cosmolog, T. III. 1 2 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Nel tempo in cui riman chiuso il circuito voltaico non si ravvisa alcuna corrente sull’ altro circuito; purchè non variino le loro distanze reciproche. (6) Quando il circuito voltaico chiuso si muove avvicinandosi al secondo cir- cuito, si muove pure in quest’ ultimo una corrente in direzione contraria a quella della pila. Se il primo circuito si allontana dal secondo, la corrente, in questo ge- nerata, è nella direzione stessa di quella del primo circuito voltaico. (c) Avvengono gli stessi fenomeni sostituendo al circuito voltaico in moto una calamita, parimente in moto; in luogo della corrente della pila osservando quale direzione avrebbero le correnti che, secondo la teoria dell’Ampére, po- trebbero rappresentare il primo circuito. Chiameremo d’ora in poi circuito inducente e circuito indotto respettiva- mente il primo ed il secondo circuito; e corrente inducente e corrente indotta le loro correnti. Sappiamo in generale che la forza delle correnti indotte varia con quella delle inducenti, e colla forma e distanza relativa dei dne circuiti; ma ora an- diamo ad analizzare | influenza che possono avere sul fenomeno quelle prime circostanze assai apparenti, l'esame delle quali è il primo lavoro del Fisico che ama farsi un idea esatta delle condizioni generali del fenomeno. Qui devo anzi tutto avvertire il lettore che per essere il metodo da me seguìto, puramente analitico-esperimentale, e l’esperienze fondamentali, intie- ramente nuove, per amore di unità e chiarezza nell’ esposizione di questo la- voro, credo poter dispensarmi dal tener discorso delle molte e pregevoli ri- cerche che su questo soggetto hanno preceduto le mie (*), ma che però non hanno mai avuto lo scopo che qui mi sono prefisso, se se ne eccettuino due memorie del sig. F. E Neumann, di Koenigsberg pubblicate negli Atti dell’Ac- cademia delle Scienze di Berlino, 1845-1847 ed alcune pagine di un lavoro pregevolissimo del sig. Weber sulla teoria di Ampére ( Elektrodynamische maassbestimmungen von Wilhelm Weber. Leipzig, Weidmann' sche Buchhand- lung 1846). Ma quelle memorie, semplicemente di analisi matematica, non partono dai dati dell'esperienza, e così non contengono per ora alcuna ga- ranzia pel Fisico, sulla verità dei loro resultati. Dissi alcuna, perchè essi par- tono da supposte leggi assai complicate, e di cui non si vede una relazione colle leggi semplici e di già note sulle azioni a distanza. (*) Negli Annali di Chimica e Fisica dei sigg. Gay-Lussac, Arago, cc., nel'a 5.° Serie T. HI, VII, Parigi, vedi le Memorie del sig. Abria. Nelle Transactions of the american philoso- phical Society, Anni 1855 e seguenti, e nel Tomo HI. di detti Annali, vedi le Memorie del sig. Henry; e negli Annali di Poggendorfî, pubblicati a Berlino, nei Tomi XXXIV e XLVII si trovano le Memorie del sig. Lenz sul nostro soggetto. ELETTRO-DINAMICA 3 Credo che al sig. Fechner si debbano i primi tentativi per spiegare con ipotesi i fenomeni d’ induzione. Essendo dunque le formule che mi occorrerà dare l’espressione dei fatti, e quindi assolutamente indipendenti da ogni ipotesi, non avrei alcuna ragione, per dare appoggio al mio lavoro, di discutere sulla verità, qualunque ella sia, delle differentissime ipotesi dei detti Professori alemanni. Tali ipotesi potranno forse essere grandemente utili in avvenire; ma nello stato attuale della scienza, perchè la teoria dell’induzione possa aver dritto ad esser compresa in un trattato di fisica esperimentale come lo è quella dei fenomeni elettro-dinamici dell’ Ampére, è d’uopo seguire la via di già a noi tracciata da questo grande Filosofo; e, per ciò fare, la difficoltà a vincersi non consiste come vedremo che nell’ istituire con un esatto metodo esperimentale delle facili ed opportune espe- rienze fondamentali. Le circostanze che chiamai le più apparenti, ossia delle quali, dopo un primo sguardo sul fenomeno, si desidera sapere se o nò, od in quali rapporti, esse concorrono a produrlo od a modificarlo, sono, nel caso nostro, le seguenti: La più o men grande intensità della corrente inducente. La diversa natura dei metalli che formano i circuiti. La grandezza delle sezioni, ossia le grossezze, dei fili dei circuiti stessi. Le lunghezze ridotte dell’ indotto circuito. Le distanze, le forme, e le posizioni relative, dei circuiti, indotto ed inducente. Diremo ora in che modo possiamo esperimentalmente assicurarci del grado d'influenza delle quattro prime circostanze citate: la quinta racchiude in se il quesito generale la di cui completa soluzione è lo scopo principale di questo lavoro. 2.° Cominceremo dal dimostrare il fatto seguente: (a) « La forza delle correnti indotte aprendo o chiudendo il circuito vol- « taico è semplicemente proporzionale alla forza delle correnti inducenti, tutte « le altre circostanze restando le stesse (*) ». Presi un cilindro, di legno, di circa 248 millimetri di diametro, e facen- dovi in un piano normale al suo asse un sol giro, ma completo, del filo di rame che formava il circuito indotto, 0, per meglio dire, destinato ad essere I indotto, formai esattamente un anello circolare, che chiamerò anello indotto. Le due estremità del filo dell’anello erano in comunicazione col galvanometro. Col filo della pila feci nel cilindro, con un modo eguale al precedente, (*) Saranno indicati con un (a), (è), (c), (4) i fatti fondamentali alla parte analitica del lavoro. 4 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE due altri anelli, che chiamerò anelli inducenti; l'uno al di sopra, l’altro al di sotto dell’anello indotto. Tutti i detti fili erano coperti di seta: precauzione che ho sempre avuta, tanto per circuiti indotti che per gl’ inducenti, in tutto il corso delle mie espe- rienze. I fili che servivano a far comunicare l’ anello indotto col galvanometro, e gli anelli inducenti colla pila, erano altresì in comunicazione con un apparec- chio ben noto ai Fisici, e che è composto da diverse ruote le quali girando ese- guiscono rapidamente, nei due circuiti, una serie di aperture e di chiusure, in modo da non lasciar entrare nel detto galvanometro che le correnti indotte nella stessa direzione; vale a dire solamente quelle prodotte dall’aprire, o quelle sole al chiudere del circuito voltaico. In tal modo si può inviare, in un, tempo piccolissimo, un gran numero di correnti indotte nel galvanometro, il quale può così dare delle indicazioni incomparabilmente più grandi di quelle che si potrebbero avere aprendo o chiudendo una sola volta il circuito della pila, ossia l’inducente. Io supporrò sempre l’uso di tale apparecchio nelle esperienze che vado a descrivere. I fili del circuito indotto, i quali comunicavano con l’ anello, erano torti assieme, e la stessa cosa si era fatta ai fili del circuito inducente, che andavano alla pila ed agl’ anelli. In grazia di tale disposizione, io non avevo a tener conto delle azioni induttrici relative alle parti dei circuiti che non componevano gli anelli; e prevengo che pure di una simil disposizione feci uso in tutto il corso di questo lavoro. Il galvanometro del circuito indotto era assai sensibile per dare una indi- cazione di 60°, quando era percorso dalla corrente di una sola coppia termo- elettrica di ferro e di rame, sotto 1’ azione del solo calor della mano. E nel se- guito di questo lavoro sarà, parlando del galvanometro, sempre di quello del circuito indotto che vorrò parlare. La mia pila era composta di varie coppie alla Grove. Ora, per maggior chiarezza, noi osserveremo che i detti anelli sono uguali e paralelli fra di loro, e coi loro centri sulla stessa normale ai loro piani. Due casi possono presentarsi; nell’ uno le correnti inducenti hanno la stessa dire- zione, nell’ altro queste stesse correnti sono dirette in senso contrario fra di loro. Nel primo caso gli effetti delle azioni induttrici dei due anelli inducenti si sommano insieme per dare una maggior corrente indotta, nell’ anello indotto posto in mezzo a loro; nel secondo caso quegli stessi effetti si distruggono re- ciprocamente, totalmente od in parte soltanto, per produrre una corrente in- dotta minore. Quando le distanze degli anelli inducenti dall’anello indotto sono uguali ELETTRO-DINAMICA 5 fra di loro, l’ago del galvanometro resta a 0°, sia per le correnti al chiudere, che per le correnti indotte all’aprire, del circuito inducente; quando le cor- renti inducenti sono dirette in senso contrario. Ma basta in questo caso di far uso di quattro coppie alla Grove, all'incirca, e di una ben piccola differenza in quelle distanze, quando esse non sorpassano di gran lunga il valore di dieci centimetri, per determinare una deviazione di 50°, ed anche maggiore, nel galvanometro. Avverto che, massime nel circuito indotto, non si dovranno introdurre delle troppo grandi resistenze facendo uso di fili troppo sottili. I miei fili ave- vano ordinariamente % di millimetro di diametro. Allontanando od avvicinando uno degli anelli inducenti all’indotto e quindi producendo le correnti indotte, aprendo o chiudendo il circuito della pila, come descrissi più sopra, si osserva l’ago del galvanometro deviare ora a dritta ed ora a sinistra dell’osservatore, a seconda che l’anello spostato è più lontano o più vicino, dell’altro anello inducente, all’indotto . Ho scelto un fascio di fili finissimi di rame (*), coperti di seta e lunghi un poco più della circonferenza dei miei anelli. Strinsi e torsi assieme le estremità di quei fili, dalle quali avevo levata la seta, ossia l’inviluppo isolante; così la corrente della pila che dovè percorrere il detto fascio, ebbe nello stesso tem- po a dividersi in parti eguali fra quei fili. Ho interposto un tal fascio nel circuito della pila, e l'ho sostituito al filo che componeva uno degli anelli indotti. In questa esperienza, allorchè la corrente inducente era nei due anelli in- ducenti diretta in senso contrario, e quando le distanze degli anelli erano uguali fra di loro, non si aveva alcuna deviazione nel galvanometro, ossia non si aveva alcuna induzione sensibile nell’ anello indotto in mezzo esattamente agli altri due inducenti, sia chiudendo che aprendo il circuito della pila. Se dunque n era il numero dei fili che formavano il fascio, si deve con- cludere che « un numero n di correnti inducenti eguali ciascheduna a K in in- n « tensità, produce la stessa induzione di una corrente inducente uguale a K_ », come in fatti deve essere secondo il teorema che volevamo dimostrare. 5.° Del fatto (a) si può dare la dimostrazione colla esperienza seguente, la quale mi somministra l’ occasione a meglio sviluppare la descrizione del mio metodo esperimentale. Presi altri due cilindri simili al precedente e su ciascuno di essi, nel de- (*) Leggansi nella Gazzetta Medica Italiana Federativa Toscana T. I, Serie II.*, pubblicata a Firenze, delle Esperienze col mio metodo eseguite dal sig. Dott. E. Tabani. 6 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE scritto modo, feci un anello col filo stesso del circuito indotto; e chiamerò anelli indotti questi due anelli in comunicazione col galvanometro. Col filo della pila, ossia del circuito inducente, feci pure similmente altri due anelli înducenti, ognuno dei quali era a circa dieci centimetri di distanza dal suo in- dotto, in ciascun cilindro. I due cilindri erano poi messi a gran distanza fra di loro, onde non si influenzassero reciprocamente. Noi abbiamo in questa esperienza due coppie, ciascheduna formata da un anello inducente e da un indotto; se le due correnti indotte che ne possono resultare, aprendo o chiudendo il circuito della pila, sono dirette in senso con- trario nel galvanometro, e se le distanze dei due anelli in ciascuna coppia sono uguali fra di loro, non avremo deviazione alcuna al galvanometro . Ma tutte le altre circostanze restando le stesse, si potranno comporre i detti anelli con molti giri di filo dei circuiti, giri uguali ognuno ad una cir- conferenza intera, e sovrapposti strettamente l’un sopra l’altro. Supponiamo che 7m sia il numero dei giri del circuito indotto, ed » il numero dei giri del filo del circuito inducente, che formano gli anelli indotto ed inducente in uno di quei due cilindri; e che m' ed n' siano i numeri rela- tivi all’ altro cilindro. Ciò posto l’esperienza dice che, nel nostro caso, onde l'ago del galvanometro rimanga a zero, all’ aprire od al chiudere del circuito della pila, ossia perchè le correnti indotte dalle due coppie siano uguali fra di loro, bisognerà che si abbia la equazione m.in=m'.n' equazione la di cui interpretazione, assai evidente di per se stessa, dimostra pienamente la verità del fatto (a) che volevamo dimostrare esperimentalmente. 4.° Passiamo ora a dimostrare che « la forza delle correnti indotte è in- « dipendente dalle sezioni dei fili e dalla natura dei metalli che formano i « circuiti ». Per ciò fare basterà cangiare nella prima esperienza del paragrafo 2.° fatta con un sol cilindro due anelli inducenti ed un solo indotto, posto esatta- mente nel mezzo ai due primi, il filo che forma uno degli anelli inducenti, di rame, in un filo di piombo, o di ferro ec.; ed anche al rame si potrà sostituire zinco, stagno, bismuto, antimonio, ec. facendo fondere in uno stampo degli anelli di quei metalli, di diametro uguale al cilindro che abbiamo descritto. È qui facile vedere che in questa stessa disposizione di esperienza si po- tranno avere due cilindri indotti, e fra di loro un inducente ad ugual distanza . Ed avendo cura che in ogni caso le correnti indotte vadano in senso contrario nel galvanometro, non si otterrà deviazione alcuna in questo istrumento; € così avremo raggiunta la cercata dimostrazione. ELETTRO-DINAMICA 7 Ho eseguito le esperienze di questo paragrafo con più di un centinajo di coppie alla Grove, poste a mia disposizione dalla gentilezza del mio Prof. il sig. C. Matteucci, nell’ epoca in cui egli se ne serviva per varie sue par- ticolari esperienze. Ed in tale circostanza ebbi tutto l’ agio di assicurarmi della somma delicatezza del metodo di esperimentare in questi fenomeni. 5.° I principali vantaggi del mio metodo sono i seguenti: Di rendere i resultati delle esperienze indipendenti dalle lunghezze ri- dotte dei circuiti, indipendenti da una variazione qualunque nella forza della pila, e da una variazione nel magnetismo del sistema astatico del galvanome- tro; e di ridurre le forze inducenti a misurarsi da per se nel galvanometro, il di cui ago rende l’ufficio stesso che è reso dalla freccia della più delicata bilancia. Per poco che il lettore conosca praticamente la difficoltà di misurare la forza delle correnti, massime le correnti di induzione, coi mezzi usati a que- sto giorno, vale a dire coi gradi di deviazione del galvanometro, o col magne- tismo acquistato da degli aghi sottoposti all’azione di dette correnti, o con altri mezzi più o meno indiretti: e per poco che conosca la difficoltà di mantenere una pila assai forte, e per assai tempo costante, e di tenere conto di lunghezze ridotte in circuiti diversi, approverà pienamente la scelta del mio metodo. A proposito del metodo impiegato dal sig. Abria, nei suoi lavori assai ri- marcabili sull’induzione, trovo le seguenti parole del sig. Pouillet, nella quarta edizione degli elementi di Fisica sperimentale. « Ce moyen de comparaison ne peut pas sans doute donner des rapports « d’intensité parfailement rigoureux, mais il conduit du moins à des approxima- « tions qu'il faut bien accepter, en attendant que l’on decouvre une méthode « plus sure ». Il sig. Henry osservò che sono differenti le intensità che si manifestano nelle correnti di induzione a seconda che sono misurate dal galvanometro, dalla scos- sa, dalla facoltà di magnetizzare gli aghi di acciajo, ec. Ma di tali differenze noi non dobbiamo tener conto per ora. Per noi corrente elettrica è la forza che, in tante note circostanze, può essere acquistata temporiarmente da un circuito; per muovere secondo le note leggi di Oersted e di Ampere un ago calamitato: stando così al semplice fatto tal quale è noto nella scienza, e senza discutere più oltre sulla sua interpretazione, giacchè siamo sicuri di essere, dichiara- zioni fatte, perfettamente intesi. E lo scopo nostro è quello di determinare il valore algebrico di una forza elettro-motrice. Se poi alcune proprietà delle correnti, non conservano nel caso dell’ induzione, fra di loro dei rapporti co- stanti, variando le resistenze dei circuiti e le forze inducenti, o ponendo il cir- cuito indotto in certe particolari circostanze ( come quando la corrente indotta ki SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE è costretta a reagire secondariamente sul circuito indotto, dando luogo ad una seconda induzione ) ciò dovrà naturalmente attribuirsi al modo con cui tali cor- renti sono generate, alla loro intensità, alla violenza colla quale sono eccitati, in un circuito i disequilibri elettrici per mezzo di una istantanea azione a di- stanza; e si dovrà per altra parte osservare che differenze analoghe alle citate sussistono ancora nel caso ordinario delle correnti voltaiche, variando in grandi rapporti le resistenze e le forze elettro-motrici. Ma, comunque sia, qui ci deve bastare l'esame dei casi i più semplici, per ricavarne dati fondamentali ed abbastanza semplici e chiari, per dare la rap- presentazione algebrica (non dico la spiegazione) del fenomeno che sola ci po- trà dare le idee necessarie a progredire più oltre. Altrimenti operando, che utile trarremmo dallo speculare prematuramente sopra i resultati complicatissi- mi di esperienze, per provocarci così delle difficoltà che per ora non potremmo vincere, od alle quali non potremmo opporre che delle frasi di non vera scienza pompose, ma che, come più volte ai Fisici succede, ci abbaglierebbero la mente per farci correre in traccia di illusorie singolarità di fenomeni? Ma continuiamo il nostro lavoro. 6.° « La forza delle correnti indotte è in ragione inversa della lun- ghezza ridotta dell’ indotto circuito ». Per provare tal fatto è d’ uopo far uso del galvanometro differenziale del sig. Becquerel. Presi i due cilindri di legno del paragrafo 5.° aventi, come de- scrissi, ognuno un anello indotto ed un inducente. Ma in questa esperienza, invece di far comunicare i due anelli indotti fra di loro, per formare così parte di uno stesso circuito, li feci comunicare separatamente coi due circuiti del galvanometro differenziale. Supponiamo che il numero dei giri che formano gli anelli inducenti sia- no 24 per ciascun cilindro, ed un solo giro formi ciascun anello indotto, e le distanze fra gli anelli, indotto ed inducente, siano le stesse in ogni cilindro A, e B, ed uguali pure fra di loro i due separati circuiti indotti. Siano dirette, nel galvanometro, in senso contrario le correnti indotte all’ aprirsi od al chiu- dersi del circuito della pila. Ciò posto lago del galvanometro rimarrà a 0°, chiudendo od aprendo detto circuito. Ora l’esperienza dice che se si raddoppia la lunghezza ridotta del circuito indotto parte del quale forma l’anello del cilindro A, perchè l'ago del galva- nometro rimanga come dicemmo a zero gradi, bisognava ridurre alla metà, a 12, il numero dei giri dell’ anello inducente nel cilindro B; e se si quadrupla la lunghezza ridotta sovraindicata, del cilindro A, bisognerà, per la stessa ragio- ne, ridurre ad un quarto il numero de’ giri inducenti nel cilindro B, ossia a 6, e via dicendo. ELETTRO-DINAMICA 9 Se ora ben ci rammentiamo l’esperienza del paragrafo 5°, con quest’ulti- ma narrata, concluderemo che abbiamo ottenuta la dimostrazione cercata. Tutti i fatti dimostrati sin quì sono relativi all’ordine di fenomeni indi- cato (a) nel paragrafo 1°, cioè alle correnti indotte all’ aprire od al chiudere del circuito voltaico. Ho cominciato da quest’ ordine perchè è molto facile, col mio metodo, ad esattamente esperimentarsi più che il caso delle correnti in- dotte nel moto dei circuiti, cioè che l’ ordine segnato (b) nel paragrafo stesso, e che ora dovremo considerare. Ma vediamo prima di tutto se c’è dato sco- prire, ossia dimostrare esperimentalmente, un fatto tale che leghi teoricamente l’uno all’altro ordine, di modo che la teoria che potrà esser fatta in seguito per ‘uno di essi possa poi venire agevolmente generalizzata all’ altro ordine di fe- nomeni. si 7.° Seguendo le analogie che esistono fra gli effetti dell’ induzione elet- tro-dinamica e molti altri fenomoni del magnetismo o dell’ elettro-statica, sti- mai non potersi nello stato attuale della scienza giudicar impossibile che i cir- cuiti voltaici esercitino sopra le molecole dei corpi conduttori un azione per- manente. Una tale azione potrebbe consistere nel cagionare, nello stato di equi- librio naturale dei fluidi elettrici, dei cangiamenti permanenti il di cui effetto ci sarebbe tuttora ignoto. Secondo tal modo di vedere, chiudendo un circuito voltaico, oppure por- tandolo chiuso in presenza di un corpo conduttore, vi sarebbe un movimento dei fluidi imponderabili nelle molecole dello stesso corpo in forza di un can- giamento nelle azioni esteriori. Tale movimento sarebbe egli stesso ciò che noi chiamiamo corrente di induzione, oppure ne sarebbe la causa diretta; e la così detta intensità della corrente in un dato tempuscolo, dovrebbe dipendere dalla quantità di elettricità, o di fluido, decomposta nelle molecole durante il tempuscolo stesso. Secondo l’ ipotesi cesserebbe il moto dei fluidi elettrici, e perciò anche la corrente di induzione, appena il corpo indotto avesse raggiunto un interno stato di equilibrio; l’ atto di chiudere istantaneamente un circuito voltaico in una posizione qualunque avanti all’ indotto decomporrebbe la stessa quantità di elettrico (ossia genererebbe la stessa corrente di iuduzione) che potrebbe esser decomposta durante il moto dello stesso circuito voltaico chiu- so, che arriverebbe alla detta posizione, partendo da un altra nella quale la forza induttrice del circuito voltaico sarebbe nulla sullo stesso indotto. Allorquando un circuito voltaico sarà in movimento egli dovrà così gene- rare in ciascun tempuscolo, o piccolo tempo, una corrente infinitamente pic- cola, e durante un tempo finito qualunque, una somma od integrale, di cor- renti infinitamente piccole sarà generata. E per avere la somma delle correnti indotte in un tempo qualunque, passando col circuito voltaico da una ad un Scienze Cosmolog. T. II. 2 10 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE altra posizione, basterà prendere la differenza fra le due correnti che si sareb- bero potute indurre tenendo immobile e chiudendo successivamente il circuito stesso nelle due sovraccennate posizioni. Ecco in brevi termini esposta una ipotesi. Ma io ‘però sono grandemente lontano dall’ esigere che il lettore ci creda, mentre io stesso non mi ci sono per nulla affidato. Ho solamente narrate tali idee per far conoscere il pensiero che mi ha condotto ad istituire le seguenti esperienze, i di cui resultati sono per loro natura indipendenti da ogni ipotesi. Non ho voluto in somma lasciare una lacuna, che non sarebbe stata nella teoria, ma bensì sarebbe trasparita al lettore nel pensiero generale che |’ ha condotta. AI vivace ingegno del Nobili piacque il vagare in simili ipotesi sulla causa delle correnti di induzione, ed anco invitare 1° Ampére a farsi l’autore di una teoria delle stesse correnti, analoga a quella dei fenomeni di attrazione o re- pulsione reciproca dei circuiti voltaici; e forse al celebre Fisico mancò solo il tempo necessario per darsi esclusivamente a questo soggetto, e fare egli stesso tale lavoro analitico-esperimentale (*). 8.° Cerchiamo la dimostrazione esperimentale del fatto seguente: (6) « La somma A di tutte le correnti indotte sopra un circuito condut- « tore da un circuito voltaico chiuso ed in moto, durante il passaggio di que- « st ultimo da una posizione, nella quale egli non potrebbe produrre, sia « aprendolo sia chiudendolo, alcuna corrente indotta sul primo conduttore, ad « un altra posizione qualunque, è uguale alla corrente indotta B, che potrebbe « esser generata, chiudendo od aprendo lo stesso circuito voltaico, posto esat- « tamente nella ultima accennata posizione » . Egli è evidente che è sempre del moto relativo dei circuiti che intendia- mo parlare. Se la velocità del circuito voltaico, ossia l’ induttore, è abbastanza grande perchè le correnti indotte nel passaggio dalla prima alla seconda posizione, arrivino pressochè nello stesso tempo ad agire nel galvanometro, vale a dire prima che l’ ago si sia sensibilmente spostato dalla sua natural posizione, l’ ef- fetto di quelle correnti parziali equivarrà, nel galvanometro, a quello di una sola corrente uguale alla somma di tutte le dette correnti. Ed in simil caso si potrà ottenere la dimostrazione cercata . Nelle esperienze del moto dei circuiti si è quasi sempre obbligati a ri- correre ad un moto di rotazione, simile ad un dipresso a quello che andiamo a descrivere. Si devono dare ai circuiti delle forme e delle posizioni tali da poter determinare a priori le posizioni, periodicamente incontrate dal condut- (*) Memorie del Nobili. Firenze, Passigli, 1854, T.1. pagg. 252, 255, 278. ELETTRO-DINAMICA 11 tore durante il suo moto di ruotazione, nelle quali, fissandovi il circuito stesso, non si otterrebbe alcuna corrente indotta chiudendo od aprendo il cir- cuito voltaico. Ecco come in un caso particolare ho adempito a tali condizioni. Presi tre ruote di legno uguali, di 248 millimetri di diametro e di 10 di grossezza, ciascheduna di esse aveva due scanalature, destinate a contenere il filo conduttore. Una di queste due scanalature era fatta lungo un diametro, e l’altra, esattamente circolare, e praticata sopra la grossezza stessa della ruota, si tagliava colla prima in due de’ suoi suoi punti diametralmente oppo- sti. Ho cominciato dal fissare un punto del filo conduttore ad una delle estre- mità della scanalatura diametrale, poi passandolo nella stessa scanalatura e quindi continuando in una delle due metà della scanalatura circolare, e descri- vendo così un D, sono ritornato alla stessa estremità ove avevo fissato il mio filo e da cui ero partito. Ciò fatto, continuai a disporre il filo sopra la scanalatura diametrale, come già avevo fatto, ma dopo descrivendo l’ altra metà della scanalatura circolare, che mi restava a percorrere, ritornai nuovamente al primitivo punto di par- tenza, avendo così descritto un D ma girato colla sua curvatura in senso con- trario del primo. Così i due D descritti si sovrapponevano solo, ma esattamente, colle loro due aste, ed eran tutti e due nello stesso piano. Così ottenni sulle tre ruote uguali, tre circuiti uguali fra di loro. Posi questi tre circuiti coi loro centri sopra una retta orizzontale, e coi loro piani normalmente alla stessa retta. Il circuito di mezzo era in comunicazione col galvanometro, ed i due altri facevano parte dello stesso circuito della pila. Avevo così un circuito indotto posto fra due inducenti. Supponiamo ora che le correnti inducenti siano dirette relativamente all’indotto in senso contrario fra di loro; e che le scanalature diametrali de- gl’ inducenti siano paralelle fra di loro, ed altresì che tutto il resto dell’ espe- rienza sia disposto conforme al metodo già descritto. Se il numero dei giri del filo della pila in ciascuno degl’ inducenti è il medesimo, vale a dire se è stata ripetuta per i due circuiti ugualmente lo stesso numero di volte la operazione che ho descritta per farne un solo dei circuiti di un sol giro, allora il circuito indotto posto nel mezzo della distanza degli altri due sarà fra due forze uguali e contrarie, e l’ago del galvanometro non devierà chiudendo od aprendo il circuito della pila. Ma se i detti numeri di giri non sono gli stessi per tutti e due i circuiti inducenti, una tal posizione di equilibrio sarà più vicina ad uno che all’ altro circuito inducente. Il Fisico che vorrà seguire il mio metodo esperimentale riconoscerà come facilmente la determinazione di tal posizione, o delle 12 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE distanze di equilibrio, sia facile e capace di un esattezza rara nei fenomeni elettrici. Suppongo dunque trovata una posizion simile di equilibrio, nel caso in cui la scanalatura diametrale dell’ indotta sia parallela alle altre due scanalature diametrali, sempre fisse e parallele fra di loro, delle ruote inducenti, ossia delle ruote ove si trovano i circuiti inducenti. Il lettore che si sarà fatto un disegno esatto dei miei circuiti, vedrà che allorquando la scanalatura diametrale del circuito indotto è nella direzione per- pendicolare alle scanalature diametrali degl’ inducenti, non vi sarà corrente in- dotta, aprendo o chiudendo il circuito della pila; e vedrà ancora che tale cor- rente sarà la maggiore possibile quando le tre scanalature sono parallele fra di loro. Supponendo sempre chiuso il circuito della pila, il passaggio rapido del conduttore indotto dalla posizione normale, delle scanalature, alla posizione parallela, durante una ruotazione di 90° intorno alla retta orizzontale che passa per i centri dei tre circuiti, sarà la causa di due correnti indotte dai due in- ducenti, sullo stesso primo circuito. Ma se dopo aver descritto quei 90° il conduttore indotto prosegue la sua ruotazione, gli altri 90° che saranno così descritti, dall’ altro lato del piano che passa per le scanalature diametrali degl’inducenti, cagioneranno un altra corrente indotta, e così di seguito. Figuriamoci ora che il circuito indotto giri con certa velocità ( due giri, quattro, per es. al secondo di tempo, basteranno) e continuamente attorno del suo centro, e sempre, come già dicemmo, restando nel piano parallelo agli al- tri due circuiti; ed immaginiamo che in forza della sua ruotazione stessa (per un giuoco di ruote, connesse e centrate sull’ asse stesso dell’ apparecchio, e composte in parte di metallo ed in parte di materia non conduttrice,.e di molle applicate alle ruote stesse, ma fisse) rimanendo talvolta aperto il circuito in- dotto, non possano entrare al galvanometro che tutte quelle correnti che sono indotte nella stessa direzione, cioè cospiranti a muovere l’ ago del galvanome- tro dalla stessa parte. Generalmente l’ ago del galvanometro devierà a dritta od a sinistra, se- condo le distanze del circuito indotto dagl’inducenti; ma |’ esperienza indica che, nel caso in cui quelle distanze sono quelle ove ha luogo il già descritto equilibrio fra le forze induttrici sviluppate dalle interruzioni del circuito vol- taico nel caso in cui le tre scanalature diametrali sono parallele fra di loro ed immobili, non vi sarà in quest’ultimo caso alcuna corrente indotta sensibile al galvanometro, ossia durante il moto del circuito indotto. Ecco dunque che l’ equilibrio che a luogo nel caso delle correnti indotte ELETTRO-DINAMICA 13 dalle interruzioni, ossia dall’ aprire o dal chiudere, del circuito voltaico, si ve- rifica ancora nel secondo caso, del movimento; e ciò esige che la somma delle correnti indotte passando dalla detta posizione normale (posizione in cui le azioni inducenti sono nulle per i due circuiti separatamente ) delle scanalature, alla posizione parallela, sia la stessa separatamente per i due circuiti inducenti. Si potrà ripetere la narrata esperienza variando le forme dei circuiti, ma si dovrà avere gran cura a porsi esattamente nelle condizioni richieste per la dimostrazione cercata. Tale esperienza, a dir il vero, non dimostra direttamente la uguaglianza, di cui è questione nell’ enunciato (b) del paragrafo 8°; ma essa prova tutto ciò che nel nostro caso vi è di necessario teoricamente, perchè prova a rigore che il rapporto fra le due quantità che chiamammo A, B è una quantità costante in tulti i casi. Siamo dunque autorizzati dall’ esperienza a seguire nell’analisi algebrica dei fenomeni il teorema seguente che dal fatto (6) immediatamente si deduce: « La somma delle correnti indotte in un tempo qualunque, passando col « circuito voltaico da una ad un altra posizione, è uguale alla differenza fra le « due correnti che si sarebbero potute indurre tenendo immobile e chiudendo « successivamente il circuito stesso nelle due dette posizioni » . Un tal teorema conduce quasi necessariamente ad ammettere la azione permanente dell’ inducente circuito sull’ indotto, azione della quale ho parlato della breve digressione del paragrafo 5.° Quest’ azione fu per la prima volta sospettata dal Faraday, ma poi fu in seguito trascurata da quello stesso Fisico, ed anco negata dagli altri esperimentatori, eccetto il Nobili e 1’ Antinori. Per negare tale azione permanente non v'è altro appoggio che il dire che essa non sì è per ora manifestata direttamente nelle esperienze. 9.° Onde potere analiticamente discutere l’ influenza della direzione re- lativa di due elementi voltaici, Ampére, facendo la sua teoria, conobbe che sarebbe stato utile il sostituire agli elementi le tre loro proiezioni secondo tre assi ortogonali; forse per analogia con quello che si usa generalmente fare nel caso di forze applicate ad un punto materiale. È nell’ osservare se tale sostitu- zione sarebbe stata d’accordo coi fatti, stabilì fra i suoi teoremi fondamentali un teorema quasi perfettamente simile al seguente: (e) « Ad una porzione piccolissima e rettilinea di un conduttore filiforme, « che forma il circuito di una pila od il circuito destinato a subir 1’ induzione « di quel primo circuito, si può sostituire un altra porzione piccolissima ma « curva, purchè termini alle due stesse estremità della porzione rettilinea; di « modo che in pratica facendo la stessa sostituzione a tutte le porzioni piccolis- « sime, e pressochè rettilinee, nelle quali si può dividere un conduttore qua- 14 - SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE « lunque, si viene a fare un secondo conduttore a zig-zag, che interseca ad in- « tervalli brevi la curva del primo conduttore, e che ha di quello la stessa fa- « coltà, sia per indurre una corrente, se egli è il circuito della pila, sia per « subir l’induzione, ossia palesare la corrente indotta quando egli è il circuito « indotto ». È chiaro che per verificare detto teorema (c) non ho dovuto far altro che porre un conduttore indotto fra due inducenti, a distanze uguali, l’ uno a zig- zag, ossia sinuoso, e l’altro no; 0, viceversa, porre un inducente fra due indotti nelle stesse condizioni dei due primi inducenti, e quindi vedere se le correnti indotte dai due inducenti sull’ indotto, oppure dall’ inducente sui due indotti si fanno esattamente equilibrio nel galvanometro, quando sono dirette in senso contrario; il quale equilibrio ha luogo senza alcun dubbio. 10.° Il teorema (c) prova che si può sostituire ad una piccola porzione di filo conduttore, indotto od inducente, il poligono i di cui lati sono uguali e paralelli alle proiezioni di detta porzione rettilinea sopra tre assi ortogonali. Così saremo autorizzati alla costruzione seguente. Siano ds, ds' due elementi di due conduttori, inducente ed indotto; r la linea che congiunge i loro due punti di mezzo; 9, 8' gli angoli che le loro direzioni fanno con uno stesso prolunga- mento della r; è l’ angolo formato dai due piani che passano per la r e per i due elementi. Si vedrà che, secondo ciò che abbiamo detto, ds potrà essere rimpiazzato dai due altri elementi, o proiezioni, seguenti ds.sen@ 5 ds.cos 8 e ds' dalle projezioni, ds'. cos 0' A ds'. sen d'. cos d 5 ds'.sen@'. send. Ora si osserverà che l'elemento ds.sen 8 non può produrre sugli elementi ds'.cos 8', e ds'. sen9'senò alcuna induzione, e non ne potrebbe ricevere se foss'egli l’indotto; o per meglio dire, non potrebbe indurre sugli elementi stessi che correnti uguali e contrarie, da un lato e dall'altro dei loro punti di mezzo; essendochè l'elemento ds'. cos 9' è steso sopra una retta, la r, che è normale e che passa pel punto di mezzo dell’elemento ds .sen@; e l'elemento ds'.sen6'.senè è normale alla direzione di ds .sen0, ed è normale ancora alla retta r, che passa pel suo punto di mezzo, e che è alla sua volta nor- male a tutti e due gli elementi. Lo stesso ragionamento ripetasi relativamente all'elemento ds. cos 9, per gli altri due elementi ds'.send'. così , e ds'. sen 6'. send; e concluderemo ELETTRO-DINAMICA 15 che rimarrà l’induzione dell'elemento ds.sen9 sopra ds'. sen@'. cos d e dell’elemento ds.cos9 sopra ds' cos 0 , 0 Viceversa. Ammettendo sempre che la r sia grandissima relativamente a ds e ds'. Le esperienze dei paragrafi 5°, 4°, ci conducono senza alcuna difficoltà ad ammettere che la forza elettro-motrice sviluppata sull’ elemento indotto sia proporzionale al prodotto delle lunghezze dei due elementi, indotto ed inducente. Se dunque chiamiamo ds , ds' le lunghezze stesse, ed indichiamo con A, B due costanti dipendenti dalla forza della pila, e da quelle altre circostanze del fenomeno, estranee alla direzione degli elementi ed alla loro reciproca distanza, ma che per ora sfuggono alle presenti ricerche, perchè esse non scendono alla causa del fenomeno, ma solamente trattano di quegli effetti misurabili col galvanometro; e se finalmente osserviamo che detta forza elettro- motrice, che chiamaremo d* E, deve dipendere da una funzione, f(r), della distanza r, scriveremo la formula seguente: (1) dE=f (r). (A così . cos9' + B. sen@ . send . cosd) . ds . ds'. Per tutta la indispensabile generalità si sono introdotte nella (1) le due co- stanti arbitrarie A, B; si vedrà però in seguito che volendo considerare il solo caso dei circuiti chiusi sarebbe stata ugual cosa il farle uguali fra di loro, oppure fare B= 0, e conservare la sola A. Il che sarebbe stato lo stesso che dire che quando i due elementi ds, ds' sono normali alla linea » che congiunge i loro due punti di mezzo, e sono cortissimi rapporto alla stessa linea, vale a dire da potersi considerare come due punti all’estremità di una linea, allora non vi è alcuna forza elettro-motrice indotta, ossia nessuna ragione di un movimento elettrico che sia diretto piuttosto da una parte che dall’ altra, normalmente alla linea r secondo la quale la forza induttiva è esercitata. Ma tal ragionamento non solo non è scrupolosamente esatto, ma anzi potrà forse essere falsissimo, ma doveva frattanto esser rimarcato, senza obbligarci per nulla. Tutte le esperienze sin qui istituite dai Fisici, sul variare della forza della corrente indotta al variare della reciproca distanza dei due circuiti, abbenchè non ci abbiano fatto conoscere alcuna legge, matematicamente enunciabile, della forza stessa, in nessun caso particolare, eccetto il teorema (D) (*) (che (*) Vedasi il prossimo paragrafo 15.° 16 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE annunciai, mesi sono, in un mio lavoro inserito nel Giornale pubblicato a Roma dal chiarissimo Prof. Tortolini) che avrò occasione di esporre fra poco, pure ci provarono che la f(r) deve decrescer sempre di valore al crescere della variabile r, e senza cangiare il suo segno algebrico, divenendo nulla per il valore r=c0- Di modo che la forma più generale che nello stato attuale della scienza potremmo attribuire a tale funzione, sarebbe una serie ordinata se- condo le potenze inversa della variabile. Noi però, per più semplicità, limite- remo la forma di tale funzione, prendendone un solo termine qualunque; e chiamando n un numero qualunque, faremo 1 lia ma il modo col quale determineremo il valore della costante n, legittimerà tale scelta. Se e è l'angolo che le direzioni di ds e ds' fanno fra di loro, si avrà cose = così. così' + sen@. send'. così e quindi ds.ds' = pn ca (2) d? E ((A-B) coso. cos9' + B cose). Il valore della forza elettro-motrice totale sviluppata sul circuito chiuso filiforme s', dal circuito s della pila, ossia inducente, nell'atto di essere aper- to o chiuso, istantaneamente, sarà dato da due integrazioni estese a tutti e due i circuiti. Nel circuito inducente conteremo la variabile s, da un punto qualunque di quel circuito, ma nella direzione della corrente della pila. Nel circuito in- dotto, potremmo scegliere a piacere il senso secondo cui si conterebbe la s', pure partendo da un suo punto qualunque; ma per fissare le idee suppor- remo che vi circoli una corrente in una data direzione, p. es. quella indotta all’aprire del circuito della pila, e conteremo la s' secondo la direzione di detta corrente. Gli angoli @ e 9' li valuteremo sempre fra i due lati formati l’uno dalla metà dell'elemento considerato in cui la supposta corrente si allon- tana dal vertice dell'angolo, l’altro verso lo stesso prolungamento della » sia per 6 che per 9; e l'angolo e verrà contato fra i due lati in cui ambedue le correnti si allontanano dal vertice dell’ angolo stesso. 11.° Alla (2)si possono dare varie forme, più o meno utili secondo i casì. Siano x, y, 2 ed x, y,' 2' le coordinate dei punti di mezzo di ds e di ds', ELETTRO-DINAMICA 157 e si avranno le formule o (x + @=y+ (2-2)? e-r'da' y-y'dy' 2-2'd2' o'— n CLES SO Hit r dadi r dal r ds x-x' dx y-y'dy 2-2'dz () ila CM ce ds r di all ri ds ceca dato badanti) d2zdz' . dr n di da deds' © dsds'.deds i laags’ ds ds dalle quali si ottiene, facendo A—%.B, e trascurando, per semplicità di scrivere, nella formula il fattore costante, comune a tutti i termini, che ne risulta, 1s.ds' 27 dr di d and P CL 2 (2) DE r® (? ds.ds' ds a) dr dr (4) PE = -— pit MEO i s Finalmente, seguendo una trasformazione data dal Plana, in un suo bel lavoro sulla teoria di Ampére, si avrebbe ae qnt 6) PE=ds. + cosp (£ 4 (ep a Dar (Ross d -2)dr + c08p' (CE + (1-1) ETZIUP) Ù pRtl nella quale a', 8', y' sono gli angoli che la direzione della corrente che per- corre ds' fa con gli assi coordinati. Se la corrente cangiasse di direzione, per prendervi quella direttamente opposta, bisognerebbe nella (3) cangiare i segni di dx, dy, dz. Passiamo a determinare la costante n. Scienze Cosmolog. T. II, (a) 18 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 12° A tale oggetto cominciamo dal sottoporre le nostre formule al caso più semplice, che si possa esperimentare; cioè a quello in cui i condut- tori s ed s' sono piegati lungo le circonferenze di due circoli orizzontali, di raggi p, e p', e coi loro centri sulla normale comune ai loro piani. Ci servi remo della formula (2). Dal centro dell’indotto d s' si conduca un piano verticale che passi pel centro del circolo inducente ove supporremo l'origine delle coordinate. Sia l’asse delle 2 verticale, e quello delle y, lungo l’intersezione del detto piano verticale col piano dell'anello inducente; «, £, 7, a', £', y, siano gli angoli che due rette parallele a ds ed a d s' fanno colle x, y, 2 positive; e 9 l'angolo formato dai due piani verticali che passano ciascheduno per uno dei due punti di mezzo degli elementi e per l’asse delle 2. Si avrà id sato) = , 2'= costante x=psenp, y=pcosp, z=0 r°— 23 + p° — 2pp'cosp + p? cosa = — cosp , cosf=senp , cosy=0 cose = — cos gp. cos 2' + sen. cos £' I ' — dp. Se = 0 cos 9 = cosa' PTT? cl + cos pitti + cos vi — pse cose'= — cosp PSP 4 sonpl 208? _ erba n Nelle precedenti formule abbiamo supposto che la corrente della pila, nell’in- ducente s, vada dalle x positive alle y positive, in senso opposto a quello secondo cui si contano gli archi 9, partendo dalle y positive; ed abbiamo conservata ad a', £', y' tutta la loro generalità. Sostituzioni fatte si otterrà @E-|-p(cosa. 089 _ os p'. I) SI e +(A-B) p' (e 008 8'+21 608 i — p cos ELET? poss a) D) ]e5.ds - ELETTRO-DINAMICA 19 ma avendosi ds = pdp9, fine UZ dp 3 Mc 1 gg Lg prop 7193 albo enttzi ) mppi sui ne risulterà 27 (6) e into cos a'. d s' plecnni, Nella (6) dovremo porre cos a'=1f, per trattare il caso dei due circoli paralleli. Se per maggior semplicità dell’esperienze si fa p=p', e quindi r2 = 22 A? ; 2? —1+2p?. (1— cosp) 4 p=È, si integra relativamente ad s', si avrà 277 B+A-B pf fcosod PILONI VOLI peri A LIU n Zon ISS, nella quale formula potremo esperimentalmente, come vedremo, determinare il valore di n, facendo si che p rimanga costante; giacchè allora rimarrà co- stante l'integrale che entra nella formula (6). Dovremo dunque esperimentare come variano le intensità delle correnti indotte variando le distanze 2' proporzionalmente ai diametri p' dei nostri due circoli uguali. 15.° Presi due cilindri di legno e intorno a ciascheduno di essi avvolsi normalmente all’ asse un sol giro del filo che dovea formare il circuito indotto. Ad uno, che chiameremo A, di quei cilindri, avvolsi pure nello stesso modo un sol giro del circuito inducente, ed al cilindro B pure un sol giro del filo stesso. Feci in modo che le due correnti indotte, dalle due coppie di anelli indotti ed inducenti, fossero dirette in senso contrario nel galvanometro. I due cilindri erano posti a delle distanze molto grandi fra di loro, onde non potes- sero indursi reciprocamente, ed i fili che servivano a far comunicare fra di loro i due anelli indotti, e fra di loro gl’ inducenti erano disposti come avvertii al 20 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE paragrafo (5°). Tutto il rimanente dell'esperienza era disposto come già nel mio metodo descrissi. I due cilindri A, B non erano dello stesso diametro; ma l’uno di essi, B, aveva un diametro doppio, triplo, ...... di quello del cilindro A, a misura che la distanza fra i suoi due anelli, diventava contemporaneamente doppia, tripla... . della distanza degli altri due anelli nel cilindro A, il di cui diametro rimaneva sempre lo stesso. Così facendo mi accorsi che onde l'ago del galvanometro rimanesse a zero, dovevo nello stesso tempo aggiun- gere due, tre..... giri del circuito della pila all’ anello inducente di A, ove la distanza degli anelli rimaneva invariabile; cioè dovevo successiva- mente far diventar doppia, tripla . . . . . la forza inducente nell’anello indu- cente che rimaneva sempre alla stessa distanza dal suo indotto, uguale, e di diametro invariabile . Feci l’esperienza anche nel modo seguente. Presi i due cilindri A e B, i di cui diametri stavano nel rapporto di 1:2. Scelsi a piacere in A una distanza qualunque per i due anelli, la quale era raddoppiata pegli anelli del cilindro B: e viddi che l’ ago del galvanometro rimaneva a zero, ossia che le correnti indotte che circolavano in senso contrario erano uguali fra di loro, se l’ anello inducente del cilindro A era di un numero doppio di giri di quello del cilindro B. Tali esperienze conducono al seguente teorema sperimentale. (d) « Le intensità delle correnti indotte nel caso di due anelli uguali indotto ed inducente, paralleli, e coi loro centri sulla normale comune ai loro piani, variano proporzionalmente ai diametri degli anelli, quando le distanze di questi variano proporzionalmente ai diametri stessi. Dobbiamo però avvertire che tale teorema si verifica ‘anche sostituendo ai due circoli due poligoni uguali, coi lati uguali paralleli fra di loro, e pari- mente con i centri sulla stessa normale ai loro piani. Il teorema (d), insieme alla formula (6) determina evidentemente n=1. Così le formule (2), (5), (4), diventano le seguenti: (2) ee = “2 ((A-B) cos 6. cos 6' + B c0s=) = Apr kdr dr 3) pr pid Catia pe (9) a Te ds.d IERI i ds. ds FALLI (4') dGE= — pd ( ds) s ELETTRO-DINAMICA 21 Ma la (5') ci dimostra che nel caso di un circuito indotto chiuso, ed altro caso non possiamo discutere, il primo termine del suo secondo membro da un valore nullo ai limiti dell’integrale, e che perciò essa si può ridurre alla seguente Si può dunque prendere nel caso dei circuiti chiusi per l’espressione della forza elettro-motrice una qualunque delle due formule seguenti, oppure la loro somma. PE= Cds. ds 8. 0' PE SEI ds .ds' C e C' indicando costanti. Se non che la seconda ci sembra da preferirsi; e i resultati dell’analisi rimar- ranno in ogni caso gli stessi, perchè la differenza fra le due formule è espressa da un termine che dà degl’integrali nulli per un circuito chiuso. Per il caso di un circuito aperto, non essendovi corrente, non si può per ora decidere completamente la questione, assegnando a & il suo valore. Tale indeterminazione nel valore di % può parer a prima vista assai sin- golare; ma si rifletta che tale determinazione sarebbe perfettamente inutile volendo il solo caso, per ora il solo esperimentabile, dei circuiti aperti; ed anzi dobbiamo esser grati ad un metodo che ha lasciata alla formula generale (2'), o (3'), tutta la generalità che gli si compete collo stato attuale delle esperienze. Spero in altro lavoro di poter istituire esperienze atte alla deter- minazione completa della questione; ma per ora non dobbiamo mai perder di mente la forma generale della (3'), e che solo per semplicità di calcolo ci viene permesso, nel caso dei circuiti chiusi, di trascurarne una parte, o se si vuole, di assegnare un valore alla costante 4, prendendo una delle due ultime formule sovrascritte. Tutto ciò ci spiega come i signori Weber e Neumann possono pervenire, abbenchè partendo da principj ipotetici diversissimi, nel caso de’ circuiti chiusi a degl’integrali finali della stessa forma, e che nei loro resultati si possono fare coincidere colla presente teoria, cioè colia esperienza; mentre nel caso generale le loro formule sono disparatissime, e non hanno alcuna somiglianza colle pre- senti. Infatti nulla ora ci resterebbe di più facile che l’immaginarci delle ipotesi 22 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE atte a condurci alla formula (3'), od a un suo caso particolare per un dato valore qualunque, purchè non fosse zero, di &. Difticile solo ci sarebbe il fare un ipotesi semplice e chiara, che facesse dipendere la formula stessa solamente dalle semplici e note leggi della natura. E tal difficoltà è stata fin’ora insuperabile anche per la formula dell’Ampére. Devo pure aggiungere che nel citato lavoro del sig. Weber l’ingegnosissima ipotesi ivi adottata sarebbe atta a compren- dere, assai elegantemente, sotto un solo punto di vista i fenomeni di induzione e quelli di attrazione elettro-dinamica; si dovrebbero però col Weber am- mettere, per le forze di attrazione o repulsione dei fluidi elettrici, nei circuiti voltaici, delle leggi così complicate, da presentare per la loro spiegazione una difficoltà non certamente minore di quella che si vorrebbe vincere, spiegando la formula stessa, che è un dato dell'esperienza. Nel caso dell’induzione nel moto relativo di un circuito chiuso, si dovrà considerare la 43 E come funzione del tempo t; e secondo il fatto (6) la derivata, presa relativamente a quella variabile, sarà l’espressione della forza elettro- motrice elementare, per l’analisi dei fenomeni dell’ordine (B). Ma per ora trat- tiamo il problema in modo che sarebbe superfluo il complicare l’analisi con tale derivazione. Sia però utile l’avvertire che la forza d*E prodotta dal rela- tivo cangiamento di posizione dei due elementi ds, ds', avendo riguardo alla sola r, decresce in ragione inversa del quadrato della stessa variabile, obbe- dendo così ad una delle leggi le più generali della natura. 14° Dalla formula (6) si rileva che la forza elettro-motrice indotta, al chiudere del circuito, da una corrente di raggio p, in un elemento ds' che fa un angolo <' colla normale al piano normale a detta corrente, e che passa per il suo centro e per quello di ds', sarà espressa dalla formula at » di dE=- oAcosa.ds' cospdo P r ° facilmente riducibile a funzioni ellittiche. p' essendo la distanza dell’elemento ds' all’asse che passa per il centro, e normalmente al piano, della corrente circolare, si ha, come già vedemmo ra = 2124 p?— 2pp'cosp + p®. 2' è la distanza di ds' al piano della corrente. Se il raggio o è piccolissimo si avrà, per approssimazione, in luogo della (7), la seguente ‘ (8) d Bit micosla!. cost he dell (224 p?)a ELETTRO-DINAMICA 23 formula che ci sarà utile fra poco. La (8) è facilissimamente applicabile al caso dell’induzione prodotta da una sbarra calamitata sopra una spirale cilin- drica; e la (7) al caso di due spirali piane e parallele i di cui centri si trovano sulla normale comune ai loro piani. Tali applicazioni saranno utili a chi vorrà occuparsi della verificazione numerica di questa teoria. Non temo che le for- mule che si trovano in questo lavoro, o che da esso possono venir dedotte, non coincidano colle esperienze, qualora siano, nei differenti casi particolari, ridotte in numeri; ma non è da simili verificazioni che io cercherei un ap- poggie, essendochè so che in molti casi particolari si arriva spesso alle stesse formule partendo da delle teorie intieramente diverse; e perchè anche delle formule diverse, pure, nei limiti degli errori inevitabili e dei valori esperimen- tabili, danno ridotte in numeri gli stessi valori. Chi vorrà discutere la pre- sente teoria dovrà principalmente esaminarne le esperienze fondamentali. 15.° Trattiamo il caso di due conduttori rettilinei, paralleli o normali fra di loro. Riprendiamo la formula (3') che, come vedemmo, si può ridurre alla seguente DI 6" d2 E — ROS ds. ds'. Cominciamo dal supporre paralleli tali conduttori; e, per fissare le idee sui segni da darsi a cos? ed a cosd', supponiamoli percorsi, nella stessa dire- zione, da una corrente. Siano essi orizzontali, e all'estremità di uno di essi si ponga l'origine delle coordinate; siano le 2 verticali, e le x parallele ai due conduttori. Così si potranno scrivere i valori seguenti; I LX_-IL r°— (e'-a)?+y"4 2", così — —— — cosd' x er. Car da. Il calcolo da farsi sarà il seguente, ie x'-x fee EI gle). Va'- ++ 2 @ e bessendo le parti in cui riman tagliato uno di essi conduttori dal piano delle yz, che parte dall’estremità dell’altro conduttore. Quindi sarà 24 SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE A \2 fare MG n oa mol du +log(a—x +V(a=x}+9%+2) ca (a- x}+y?+2"? —b-x ———— 3 22° log(-0-24+V0b+2}+y%+2) V0+xf+y2+2" e quindi a °j Menia __—_==="= re’ [ Jo Enel ga da nat+ +2" —(a-2)log(a-2+V(a=2}+y°+2") >» 2 Vo+at+y242 —(0+2)log(6 -r4V0+2f+y2+2" estendendo quest’ultimo integrale da x=o ad x uguale alla lunghezza del conduttore. Tale sarà la formula relativa alla corrente indotta da un con- duttore rettilineo sopra un altro conduttore che gli è parallelo, all’aprire od al chiudere del circuito della pila. Manteniamo lo stesso sistema di coordinate, e consideriamo due condut- tori rettilinei disposti l’uno sull’asse dell’x, con una delle estremità all'origine, l’altro parallelamente all’asse delle y, ossia normale al primo. Potremo scrivere i valori seguenti y A—-X r—(a-x)?+y%+2" , CONO cosg'= de PE=KTS y'dy'.de onde, a, e 6, essendo le parti in cui riman tagliato il primo conduttore dal piano che passa per il secondo e che è paralello a quello delle yz, si avrà a+b \ ——+—=<=- ——————€—& SS = ay' ada = Vb+y?+z? Va +9 + 2° estendendo l’integrale indefinito da y'=0 ad y' uguale alla lunghezza del secondo conduttore . ELETTRO-DINAMICA 25 Le formule precedenti sono facilmente applicabili a due circuiti, indotto ed inducente, piegati sui contorni di due quadrilateri paralleli fra di loro; e quindi al caso in cui detti circuiti coprono la superficie dei quadrilateri stessi, formando una spirale piana. [ 16.° Un circuito chiuso qualunque può considerarsi come la curva limite di una superficie; e se questa superficie si immagina tagliata da due serie di piani normali fra di loro, paralleli ed equidistanti, infinitamente prossimi, all’azione di detto circuito potrà sostituirsi quella di tutti i piccoli. quadrila- teri elementari in cui è divisa la superficie da quei piani. Se tal circuito è l’inducente, si supporranno tutti quei quadrilateri contornati da altrettante correnti, nello stesso senso per tutti; perciò le azioni esteriori di quei lati dei quadrilateri che si trovano dentro la superficie si distruggeranno scambievol- mente, e rimarranno quelle soltanto dei lati che formano il contorno della superficie, ossia il circuito inducente. Se tal circuito è l’ indotto, nella somma totale delle forze elettro-motrici indotte su tutti i lati dei quadrilateri, rimar- ranno quelle soltanto dei lati che parimente formeranno il circuito indotto. Tale artifizio, per considerare l’azione esteriore di un circuito, fu usato la prima volta dall’ Ampère. Nell’ induzione elettro-magnetica può riescire utile di avere la formula, che ora andremo a determinare, e che esprime la forza elettro-motrice indotta da un elemento magnetico sopra uno di quei quadrilateri, nell’ atto di una istantanea calamitazione; ossia la forza elettro-motrice indotta da un circuito circolare infinitamente piccolo, in confronto alla sua distanza dal conduttore indotto, nell’ atto della sua chiusura, sopra un conduttore piegato lungo la pe- riferia di un quadrilatero pure infinitamente piccolo. Vedemmo che se p è il raggio della corrente circolare, che rappresenta l'elemento magnetico; p' la distanza dell’ elemento indotto ds' dall’ asse che passa per il centro, ed è normale al piano della corrente; «' l'angolo che ds' fa colla normale al piano passante per il punto di mezzo di ds' e che è nor- male pure a detta corrente, passando per il centro di essa; r, la distanza dei due centri, dell’ elemento magnetico e dell’ elemento indotto ds'; la forza elet- tro-motrice sarà espressa dalla (3) come segue; p' cos a' 33 Tr, dE=-—Ar.p?. .ds'. Adottiamo le coordinate rettangolari, l' origine al centro della corrente circolare; il piano xy sia quello di detta corrente, ed x, y, 2 le coordinate del centro del quadrilatero, ed Scienze Cosmolog. T. II. 4 26 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE ra= a? + y + CA e 2A, 24A' le lunghezze dei suoi quattro lati; ed a, d, c, ed a’, d', c' i coseni degli angoli compresi fra le parallele condotte dall’origine a 2 A, ed a 2A4', e le x, y, 2 positive. Le distanze r,, #3 7, *, dei punti di mezzo dei quattro lati del qua- drilatero dall’origine, saranno esprimibili colle equazioni seguenti: re= (r+A'a)° + (y+A4'8Y + (+4)? né (c-d'a} + (Y_A'W)} + (2-A'0) ri? =(2+A0)} + (y+ADY + (2440) r'î= (e -Aaf+(y-Abf+(2-Ac?; e le distanze p,; fi Pi» Pi, di tali quattro punti dall'asse delle 2, daranno, p°= (e+A'a)? + (y+4'9)f pi (c—A'a? + (y- AU)? PÈ=(c+40) + (y+Ab} piî= (0- Aa} + (y-A0); ed i coseni degli angoli che le normali a p,, pi, fi » p,, ed all'asse delle 2, fanno colle x ed y positive, saranno y+A' D' mne xr+A' a' piibindte Pi y—A'd x A'b bito se Pu y+Ab » xr+Aa FBI Pi y— Ab x-ÉAa Più ELETTRO-DINAMICA 27 Ora si osservi che i coseni degli angoli che la direzione della corrente che percorre un lato 2 A fa colle x, y, 2 positive possono essere espressi da UA) b, UE) e che in allora i coseni relativi alla direzione della corrente che percorre l’altro lato, uguale e parallelo a quel primo, saranno, —a, —b, —c. Siccome poi la corrente che percorre il primo lato di lunghezza 2 A, p. es. quello più lontano dall’origine, deve retrocedere pel lato 2 A' che si trova ad essere dei due lati di lunghezza 2 A', quello più lontano dall'origine, ne verrà che i coseni relativi alla direzione della corrente che percorre quel primo lato di lunghezza 2 A' ed il suo parallelo, dovranno essere espressi da e in tal modo i coseni degli angoli «, , «, , «' , e', , che i quattro lati del quadrilatero fanno con dette normali, a p,; pys Pi è Pi » daranno le equazioni p,cosa' = (Yy+A'b)a-(x+A'a)b Pi 60S4,= = US N) a+(e—A'a)b picosa'=—(y+Aa)a' +(r+Ab)b' pi cosa = (y- Aa)a' -(c-Ab)b'; ma si avrà ancora, per approssimazione, metta (aa cda 1 DA ri pp EPA tt z0), 1 1 3 A 1 IA Così potendosi facilmente comporre i valori 28 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 2A. Pi -- 5 2A. Pieve ga di To ; 2A. pu osa, È Ù ta ' n Cosa, si avranno le quattro espressioni seguenti, trascurando le potenze cube di A, edi A. il \osl ' peri +2a(Atilo etool albe eo 22) (cd +40 +20) CANTINE STEOSNA \ dr -2a(4 A'b)a— (x A'a’)b PI DI 22 a+ y0+20)) pi \) ' \l 1a il spe i bi 0 l3) (20+y0+20) 2 sa bd \ ] ae) +20 Le Aa)b a TAI TD8 (a+y0+20)); le quali sommate assieme, ed osservando che si ha 7?—2*=x?*+y?, daranno 92 I (ab'—ba’) 29 dz C=s Nd (ROL, nY Ù #97) % ] 22AA | ni ((ab ba') L + (ca ac) + (be'—cd') 3) } Ma se Axr+By+C2z=0 è l'equazione del piano parallelo al quadrilatero e che passa per l’origine, sì avrà, indicando con N la normale a detto piano, A= cos(N,ax)=bc'—cb' B= cos(N,y)=ca' —ac' C= cos(N,z)=ab'—ba', avendosi aoa' + bb'4+ce'=0 A? + B° 4 C(3= ELETTRO-DINAMICA 29 e se riflettiamo che la 2' è la normale, che chiameremo N', al piano della corrente circolare, si avrà cy — em A 2:02 (cos(N,N) — 3c08(N, 1). cos(N',n)), chiamando d? M la forza elettro-motrice cercata. E si è posto nella (8) invece di 7g? l'elemento d®, che è uno di quelli in cui si è supposta divisa la superficie compresa dall’intero circuito, e d w' invece di 4AA', che è la snper- ficie corrispondente al quadrilatero elementare. 17.° La (9) ha la stessa forma generale della (2), e quindi sarebbe potuta derivare dalle stesse considerazioni generali che la (2) hanno stabilita; ossia, per meglio dire, essa può implicare un teorema analogo a quello indicato (c) al paragrafo 9.° E si dovrà per la (9) ripetere ciò che abbiamo detto per la d: E al paragrafo 15, volendo calcolare le correnti generate dalla calamite in movimento. Una facile trasformazione della (9), che già abbiamo in altro caso indi- cata, darà quando ds, ed ds' denotano due elementi rettilinei, normali e passanti per i centri degli elementi di superficie do e do'. Così per trattare il caso dell’in- duzione fra due selenoidi o cilindri elettro-dinamici di sezioni d@, da', costanti, e dei quali s, ed s' siano le curve direttrici, si potrà, indicando con C una costante che sarà proporzionale al prodotto delle dette sezioni e alla forza della pila ec., far uso, come formula elementare, della espressione seguente; el 2 pesi LI Ì (10) @M=C_—_&.d. la quale include i seguenti teoremi, che hanno i loro analoghi nella teoria dell’ Ampére. « La forza elettro-motrice indotta da un cilindro elettro-dinamico o da una calamita, di sezione costante, non dipende dalla forma del cilindro 0 della calamita, ma dalla posizione delle sue estremità ». 30 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE ELETTRO-DINAMICA « Quando il cilindro elettro-dinamico, o la calamita, formano una curva chiusa, non possono indurre, generalmente, alcuna corrente ». D'uopo è però rammentarci che la formula (9) suppone che le superficie, di cui do, do', sono due elementi non possano esser comprese nello stesso piano, o sovrapporsi l’un l’altra; e che perciò i due citati teoremi sono di- pendenti da quella stessa condizione. 18.° Ecco date le formule fondamentali, che riducono ad una semplice questione di analisi matematica il problema di trovare la forza della corrente indotta, date che siano le posizioni e forme relative di due circuiti qualunque, indotto ed inducente. Tali formule dovranno essere accettate come la più con- cisa e chiara rappresentazione algebrica dei fatti; e come dati per arrivare alla scoperta della causa dei fenomeni, dipendenti in generale dall’ azion reciproca dei circuiti voltaici e delle calamite, o dei corpi allo stato naturale. Nella presente teoria non ho però fatto cenno dei fenomeni pei quali con- verrà tener conto del tempo impiegato dalla materia indotta per sviluppare la eorrente, dopo il primo istante in cui ha cominciato a subire la forza inducente. L'azione induttrice, non è istantanea; lo stato, qualunque egli sia (elettro- tonico) sve gliato dall’ azione induttrice nel circuito indotto, per produrre una corrente, dura un tempo apprezzabilissimo, abbenchè piccolo, anche quando rimane aperto l’ indotto circuito. Infatti l’ esperienza ci avverte che si può ot- tenere una corrente indotta chiudendo il circuito indotto dopo che è stato chiuso l’ inducente; e ci avverte ancora che il tempo impiegato dall’elettricità naturale a decomporsi nel circuito indotto per generare la corrente al chiu- dere del circuito voltaico, non è uguale al tempo impiegato dalla corrente all’aprire dello stesso circuito; ossia, direm noi, al tempo impiegato dall’elettri- cità per ricomporsi allo stato naturale; e di ciò ne attestano alcune esperienze e considerazioni dei signori Abria e Poggendorff. E a tali differenze di tempi converrà por mente per spiegare il magnetismo di ruotazione. Frattanto ai Fisici esperimentatori sia utile l'avere il mezzo di calcolare, con tutto il rigore matematico, nelle loro esperienze, e senza adottare la più lieve ipotesi, i fenomeni di induzione elettro-dinamica. SULLE COMBINAZIONI DI ALCUNI OLI ESSENZIALI CON I BISOLFITI ALCALINI TRARORIA DEL DOTT. CESARE BERTAGNEINI AJUTO ALLA CATTEDRA DI CHIMICA NELL’I. E R. UNIVERSITA TOSCANA Ie Nello sperimentare l’azione del solfito d’ ammoniaca sul composto ottenuto dall’ essenza di mandorle amare coll’ acido nitrico fumante, composto di cui feci conoscere la preparazione e le proprietà in una Memoria pubblicata nel decorso anno, mi avvidi che l’essenza nitrica formava anche a freddo una combinazione ben cristallizzata e definita col solfito, ed ebbi poi luogo di os- servare che si conduceva allo stesso modo cogli altri solfiti alcalini. La perfetta corrispondenza trovata tra le funzioni chimiche dell’essenza nitrica e quelle dell’essenza di mandorle amare m’indussero a supporre che anche quest’ultima potesse formare combinazioni cristallizzate coi solfiti. L'esperienza verificò que- sta supposizione e mi fece conoscere che facilmente potevano ottenersi tali combinazioni, e che di più anche altre essenze analoghe all’idruro di benzoile erano capaci di formare combinazioni consimili. Fui allora condotto ad esa- minare l’azione dei solfiti alcalini sovra un grandissimo numero d’essenze e di liquidi volatili per vedere quali corpi di questa classe godessero della proprietà singolare di combinarsi ai solfiti, e trovai che quasi immediatamente formavano composti cristallizzati con sviluppo di calore gl’ idruri di benzoile, di salicile, di anisile, di cinnamile, di cuminile, e le aldeidi enantilica e caprica; mentre invece nulla di analogo producevano le essenze di spigo, di aneto, di badiana, di sandalo citrino, di sedano, di copaive, di carvi, di ginepro, di coriandolo, di mirto, di finoc- chio dolce, di maggiorana, di sabina, di salvia, di Wintergreen, di zenzero, di fior 32 BERTAGNINI d'arancio, di prezzemolo, di melissa, di noce moscata, di pimento, di macis, d’ange- lica, di calamo, di arancini (essence de petits grains), di legno di Rodi, di menta inglese, di abrotano, di sassafrasso, di cervi, di camomilla bleu, di arancio forte (essence de bigarade), di cubebbe, di menta romana, di S. Maria, di vette, di timo, di bergamotta, di cedro, di cajeput, di malambo, di arancio di Portogallo; e nem- meno si combinavano ai solfiti, il furfurolo, l'alcol metilico, i liquidi volatili che si trovano nell’alcol metilico greggio, il creosoto, il fenolo, il benzene, gli eteri benzoico, butirico, ossalico, l alcole amilico, il cloroforme, il solfuro di carbonio, il cimene, e i diversi idrocarburi che si trovano nelle differenti specie di essenza di cannella. Ora basta gettare uno sguardo alle proprietà delle essenze che possono combinarsi ai solfiti alcalini per riconoscere che tali essenze si somigliano mol- tissimo nelle loro funzioni chimiche, e che esse appartengono tutte a quella classe di corpi, che per l'analogia, che presentano nel loro modo di condursi coll’ aldeide ordinaria, sono stati distinti col nome di aldeidi. Si ha così in que- sta proprietà caratteristica delle aldeidi una nuova analogia che si aggiunge alle molte che fra questi corpi erano state trovate. Non ho ancora avuto il tempo di preparare le altre poche aldeidi che si conoscono, e di estendere i saggi a un più gran numero di liquidi volatili per dare a queste esperienze la maggiore generalità. Per riguardo all’aldeide ordi- naria, mi pare possa ritenersi, che essa non fa eccezione alla regola, giacchè l’isomero della taurina ottenuto da Redtenbacher coll’ammonialdeide e l’acido solforoso deve per tutte le sue proprietà riguardarsi siccome appartenente alla classe di composti che descriverò in questa memoria. Questi composti oltre a fornire il primo esempio di un modo singolare di combinazione delle essenze, possono essere utilizzati per riconoscere e separare da altre le essenze che li formano, e che appartengono certamente alla classe più importante degli oli volatili; ho creduto perciò non inutile far conoscere assai distesamente la loro preparazione e le loro proprietà. Nel fare i diversi saggi e nel preparare le differenti combinazioni ho im- piegato sempre solfiti alcalini saturati da un eccesso di acido solforoso, essendo i bisolfiti quelli che specialmente prendono parte alla reazione, ed ho avuto cura di adoprare sempre soluzioni di una stessa concentrazione, perchè ho ve- duto che in alcuni casi, quando questa variava, non si ottenevano i composti colla stessa facilità. Il bisolfito di. potassa adoprato segnava da 28° a 30° dell’aerometro di Beaumg, quello di soda circa 27°, e quello d’ammoniaca 29°. Per vedere se un olio volatile formava combinazioni coi solfiti l’ho posto in contatto delle soluzioni di questi sali, ed ho agitato di frequente il miscuglio per qualche minuto; per lo più se la combinazione poteva prodursi si formava COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 33 con questa semplice operazione. Quando a freddo non otteneva nulla ho riscal- dato il liquido, e l'ho poi lasciato a se in tubi ben chiusi anche per lo spazio di più mesi. - L’analisi dei composti ottenuti è stata fatta coi metodi ordinarii. Essa però mi ha presentato qualche difficoltà trattandosi di combinazioni facilmente decomponibili col calore e contenenti molto acido solforoso. L'acido solforoso è stato trasformato in acido solforico disciogliendo il composto nell’acido nitrico concentrato, o facendolo bruciare con nitro e carbonato di soda. Prima di cominciare la descrizione delle singole conbinazioni delle aldeidi con i bisolfiti ricorderò alcune altre esperienze fatte sovra questi oli volatili. Mi sono domandato se vi fossero altri sali oltre i bisolfiti che godessero della pro- prietà di formare combinazioni con le essenze in questione. I saggi che ho ese- guito sembrano rispondere negativamente. Trattando di fatto a freddo e a caldo le essenze di mandorle amare, di cannella, e di cumino con soluzioni concen- trate di borace, di bicarbonato di potassa, di bicarbonato di soda, di solfato di potassa, di solfato di soda, di bimalato d’ammoniaca, di acetato di potassa, di bitartarato d’ammoniaca, di biossalato di potassa, e di nitrato ed ossalato d’am- moniaca. non ho potuto accorgermi che avesse luogo alcuna reazione . COMBINAZIONI DELL’ IDROBENZOILE Agitando per qualche istante l’ essenza di mandorle amare con soluzioni concentrate di bisolfito di potassa, di soda, di ammoniaca, si sviluppa calore, e si formano immediatamente, coi due primi sali, dei composti bianchi cristalliz- zati che riempiono il liquido, e coll’ultimo una soluzione perfettamente limpida priva di odore. Se si fa passare una corrente di acido solforoso nell’ idruro di benzoile non si osserva alcun fenomeno; solo quando si unisce una certa quan- tità di acqua al liquido si vede che a poco a poco l’olio volatile si discioglie, in modo che può aggiungersene una nuova quantità, che pure si discioglie od almeno perde la sua primitiva fluidità formando delle gocciolette oleose che difficilmente si riuniscono assieme. Questa soluzione dell’essenza nell’acqua sa- tura di acido solforoso non deposita nulla di cristallizzato, nè lasciandola lunga- mente a sè in vasi chiusi alla temperatnra ordinaria, nè raffreddandola a 0°. Allorquando essa si riscalda l’acido solforoso si sviluppa ed il liquido s°’ intor- bida a cagione delle gocciolette di essenza che sono poste in libertà, e che vengono a galleggiare alla superfice. Se in vece di fare agire però l’acido sol- foroso sulla essenza sola, si fa agire sull’ idrobenzoile in presenza di una solu- zione alcalina si osservano immediatamente gli stessi fenomeni che producono i bisolfiti sopra enumerati . Scienze Cosmolog. T. II. 5 34 BERTAGNINI Con i bisolfiti terrosi non pare possano prodursi combinazioni analoghe. Idrobenzoile e bisolfito di soda. Se si aggiungono all'essenza di mandorle amare 3 o 4 volumi di una soluzione concentrata di bisolfito di soda e si agita il miscuglio, ben presto si forma nel liquido, una massa cristallina, che con- tiene tutta l'essenza impiegata, essendo, il composto formato, insolubile a freddo nella soluzione salina in cui si produce. Per avere i cristalli allo stato puro si separano dall’ acqua madre, si fanno asciuttare e quindi cristallizzare 5 o 4 0 volte di seguito disciogliendoli a caldo nell’alcole a circa 50 per 3. Semplici saggi qualitativi hanno dimostrato che questi cristalli contengono acido solfo- roso, idrobenzoile e soda, e sottomessi ad un'analisi completa hanno fornito i resultati che seguono; I. 09,667 di materia bruciati con ossido di rame hanno dato 0,226 di acqua e 0, 9505 di acido carbonico. II. 0,651 di sostanza hanno prodotto colla combustione 0,208 di acqua e 0,8745 di acido carbonico. IN. 0,566 di prodotto mescolati intimamente con nitro e carbonato di soda e bruciati hanno fornito 0,607 di solfato di barite. IV. 0,2555 del composto disciolti nell’acido nitrico concentrato e mo- deratamente riscaldato hanno dato 0,2505 di solfato di barite. V. Da 0,549 di sostanza calcinati prima all’aria, poi con acido solfo- rico, ho ottenuto 0,178 di solfato di soda. I. Da 0,626 di prodotto riscaldato prima all’aria ad un dolce calore, poi arroventato, ho avuto 0,2025 di solfato di soda. Questi numeri ridotti in centesimi danno; “ V 1 II. II. IV. V. VI. Carbonio 58, 04 38, 29 » » » » Idrogeno 3,76 5,65 » » » » Solfo » » 14, 75 14, 72 » » Soda » » » » 14, 20 14, 11 Da ciò può dedursi per il composto analizzato la formula C'*H*NaS?0*, che ci offre una composizione centesimale corrispondente a quella che resulta dalle esperienze, come può vedersi dal confronto seguente: Calcolo Media delle Analisi Carbonio 58, DI 58, 16 Idrogeno 5, 65 3,70 Solfo 14, 61 14,72 Soda 14,15 14,15 Ossigeno 29, 24 29, 27 100, 00 100, 00 COMPONIMENTI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 35 Il prodotto puro quale è stato ottenuto per l’analisi si presenta in forma di piccoli prismi aggruppati assieme bianchissimi e risplendenti, dotati di un leggero odore di essenza di mandorle amare, e di un sapore che ricorda quello di questa sostanza e quello dell’acido solforoso. Esso è molto solubile nel- l’acqua: una soluzione concentrata fatta a caldo lo deposita dopo alcuni giorni in grossi cristalli. È insolubile a freddo nell’alcole ordinario, e poco solubile a caldo; si scioglie assai bene nell’alcole diluito. La sua soluzione acquosa for- nisce col cloruro di bario un precipitato abbondante solubile nell’acido idro- clorico; precipita ancora abbondantemente i sali di argento e di piombo, ed i precipitati sembrano ritenere una porzione dell’essenza: fatta bollire si de- compone sviluppando l’idrobenzoile; la decomposizione è molto accelerata aggiungendo un acido libero al liquido, e si effettua con sviluppo di acido solforoso e formazione di un sale di soda dell’acido impiegato: gli acidi diluiti a freddo non sembrano alterarla, gli alcali invece ed anche i carbonati alcalini in eccesso l’intorbidano immediatamente ponendo in libertà l'essenza: il bro- mo e lo jodo si sciolgono in essa senza colorarla trasformando l’acido solforoso in acido solforico e precipitando l’idruro. L’acido nitrico opera allo stesso modo quando agisce sulla combinazione allo stato secco. Il composto in questione riscaldato con precauzione all’ aria libera si de- compone senza carbonizzarsi, sviluppa acido solforoso ed essenza e lascia un residuo di solfito che poi si converte in solfato. Riscaldato in una corrente di gas idrogeno sviluppa acqua, ma nello stesso tempo si decompone ponendo in libertà l’idrobenzoile, e ciò anche ad una temperatura inferiore a 100°. Lasciato in contatto dell’aria allo stato cristallizzato non si altera che molto lentamente; può conservarsi senza che risenta alterazione ponendolo in vasi ben chiusi. Dai risultati dell’analisi ed anche dalle proprietà di questo prodotto si deduce che esso proviene dall’azione del bisolfito alcalino sull’essenza e può considerarsi come una combinazione dell’idrobenzoile con il bisolfito conte- nente acqua di cristallizzazione. Indicherò per ora la composizione del sale complesso con la formula Na0,S?0*,C'*H°0?+2Aq=C*HSNaS?0*, riserbandomi a mostrare in appresso come anche possa attribuirsi al composto un altra costi- tuzione. La facilità con cui l'essenza di mandorle amare entra in questa combina- zione salina, e può da essa riottenersi, offre un mezzo assai semplice per depu- rare l’olio volatile greggio, ed esaminare i prodotti che l’accompagnano. Per ottenere l'intento si agita l’essenza commerciale con 5 o 4 volumi di solfito di soda della concentrazione indicata in principio, si raccoglie dopo qualche ora sovra un filtro la massa cristallina prodotta, si pone a disseccare sovra un mattone, quindi si lava in un apparecchio a spostamento con alcole freddo. 36 BERTAGNINI L'alcole passa sulle prime colorato in giallo verdastro, poi scolorito, e dopo non molto, scevro di acido idrocianico. A questo punto si pongono di nuovo i cristalli ad asciuttare, si sciolgono nella minor quantità d’acqua calda possi- bile, e si decompone la soluzione calda dopo averla filtrata aggiungendovi un eccesso di una soluzione concentrata di carbonato di potassa. L’essenza si rac- coglie alla superficie del liquido, e non si ha che a decantarla e distillarla dopo averla posta in contatto del cloruro di calcio, per ottenerla perfettamente pura. L’acqua madre in cui si sono prodotti i cristalli, ritiene quasi tutto l’acido idrocianico e l’acido benzoico che si trovava nell’essenza. L’alcole con cui si è lavato il prodotto distillato a bagno maria fornisce un residuo bruno dotato di un odore pungente e disgustoso in cui si trova sempre un poco di essenza e dell'acido idrocianico, ed in cui si formano a poco a poco dei cristallini gra- nulari insolubili nell'acqua, e costituenti probabilmente qualche composto orga- nico esistente nell’essenza greggia. Idrobenzoile e bisolfito di potassa. Se si versa dell'essenza in una bottiglia contenente bisolfito e si agitano i due liquidi si forma quasi subito con sviluppo di calore una poltiglia cristallina. I cristalli così ottenuti posti ad asciuttare e disciolti nell’alcole diluito e bollente, avendo cura di non protrarre lungamente l'ebollizione onde evitare una parziale decomposizione del prodotto, si deposi- tano col raffreddamento in lamine allungate pochissimo solubili nell’alcole freddo. Se la soluzione è diluita si ottengono delle bellissime lamine rettango- lari risplendenti. Questo composto è molto solubile nell’acqua anche alla tem- peratura ordinaria, poco solubile in essa se contiene un solfito alcalino, e quasi affatto insolubile in una soluzione fredda e concentrata di solfito. La solu- zione fatta bollire si decompone sviluppando essenza. Gli acidi diluiti a freddo non sembrano avervi azione, ma anche ad una temperatura poco elevata la decompongono ponendo in libertà l’acido solforoso e l’idrobenzoile. Gli alcali formano immediatamente un solfito saturando l’acido solforoso in eccesso, e precipitano l'essenza. Il composto allo stato cristallizzato può restare lunga- mente all’aria senza subire decomposizione sensibile. Se invece d’introdurre l'essenza nel solfito alla temperatura ordinaria, si versa nel solfito riscaldato essa si discioglie formando un liquido trasparente nel quale nuotano le impurità che accompagnavano l'essenza, e che filtrato si riempie ben presto di cristallini perfettamente bianchi e risplendenti, anche quando l'essenza impiegata era impurissima. Questa esperienza fornisce un mezzo semplice e pronto per riconoscere quando l'essenza è adulterata con altri oli volatili, purchè non appartengano alla famiglia delle aldeidi: basta discio- glierla a caldo in una soluzione non tanto concentrata di solfito di potassa o di soda; se fosse adulterata il liquido estraneo rimarrebbe indisciolto e gallegge- rebbe alla superfice della soluzione salina. COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 37 Idrobenzoile e bisolfito d'’ammoniaca. Ponendo l’essenza in contatto del solfito ed agitando il miscuglio ha luogo quasi immediatamente una completa soluzione con sviluppo di calore. Continuando l’addizione dell’idruro esso continua a disciogliersi, ma al di là di un certo limite la soluzione non si effettua più con sviluppo di calore. È veramente curioso il vedere come l’essenza di mandorle amare si sciolga in questa soluzione salina in ogni proporzione, come si scio- glierebbe nell’alcole od in un altro olio volatile. Se si fa passare dall’acido solforoso nell’ammoniaca acquosa nella quale si sia posto dell’essenza di mandorle amare, si effettua anche in questo caso la dissoluzione dell’essenza mano a mano che l’acido solforoso passa nel liquido. Tanto in questo caso come nel precedente non mi è però riuscito di otte- nere alcun prodotto cristallizzato. Pare che il composto che l'essenza forma col solfito sia oltremodo solubile, e che di più ad un certo grado di concentrazione sia dotato della proprietà di sciogliere in ogni proporzione l’essenza di man- dorle amare. Ciò si deduce dal vedere che la soluzione ottenuta versando un grande eccesso d’idrobenzoile nel solfito precipita una porzione dell’olio vola- tile quando si diluisce con acqua, e ne ritiene un altra porzione che è posta in libertà solo quando si aggiunge un acido od un alcali al liquido. Il composto in quistione in contatto di un eccesso di ammoniaca s° intor- bida e dopo un certo tempo lascia depositare una materia solida dotata di tutte le proprietà dell’idrobenzamide. COMBINAZIONI DELL’ IDROBENZOILE NITRICO Le combinazioni formate dall’idrobenzoile nitrico in presenza dei solfiti alcalini, sono state, come già feci notare, quelle che mi misero sulla via di scoprire gli altri composti di questa classe. Esse si ottengono facilmente trat- tando l'essenza nitrica con i solfiti, ovvero ponendola in contatto delle solu- zioni alcaline e facendovi passare dell’acido solforoso. Idrobenzoile nitrico e bisolfito d’ammoniaca. L’idrobenzoile nitrico quantun- que pochissimo solubile nell’acqua fredda si scioglie bene in essa allorquando contiene del solfito d’ammoniaca, producendo una combinazione cristallizzata. Se si opera ad un dolce calore si può disciogliere una gran quantità di materia organica, ed ottenere col raffreddamento un abbondante cristallizzazione. La sostanza così ottenuta è solubilissima nell’acqua pura e con difficoltà può farsi cristallizzare in questo liquido; si scioglie però con facilità nell’alcole bollente ed allora col raffreddamento cristallizza allo stato puro. La sua composizione è rappresentata dalla formula C'*H!!Az?S?0!5 ovvero da AzH‘0,S°0*,C*H*Az0%+2Aq. 38 BERTAGNINI Si ha difatto che; I. 0,227 di materia hanno fornito 0,090 di acqua e 0,275 di acido carbonico. II. 0,257 di sostanza hanno dato 24,5 di gas azoto saturo d’ umidità alla pressione di 0,758 e alla temperatura di +16°. Questi numeri ridotti in centesimi e confrontati col calcolo danno; Calcolo Analisi Carbonio 52, 45 32,79 Idrogeno 4,24 4,40 Azoto 10, 81 11,12 Solfo 12,55 » Ossigeno 40, 17 » 100,00 Il composto in esame è dotato delle seguenti proprietà. Fatto bollire nel- l’acqua lascia sviluppare l'odore dell’essenza nitrica; il liquido s’intorbida e col raffreddamento deposita dei cristallini che hanno tutte le proprietà di questo corpo. Gli acidi a freddo non alterano la soluzione acquosa, a caldo però la decompongono sviluppando acido solforoso. Gli alcali operano similmente una decomposizione e sviluppano ammoniaca in quantità. La soluzione acquosa precipita in bianco i sali di barite, di piombo e d’ar- gento, in giallo il bicloruro di platino; i precipitati sono formati da solfiti di barite, di piombo, d’argento e da cloroplatinato d’ammoniaca, e sono accompa- gnati da aghetti bianchi di essenza nitrica che compariscono in essi dopo qual- che tempo. I cristalli ottenuti dalla soluzione alcolica sono dei piccoli prismi traspa- renti e privi di colore appena sono estratti dall’acqua madre, ma capaci di prendere col tempo una leggera tinta violacea. Essi sgretolano fra i denti hanno un sapore amaro e sulfureo, e possono rimanere in contatto dell’aria anche molti mesi senza subire decomposizione di sorta. Nel preparare questo composto bisogna aver cura di non riscaldare che pochissimo il solfito d’ammoniaca perchè ad una temperatura un poco elevata esso reagisce con energia sull’idrobenzoile nitrico, come feci notare in altra occasione, trasformandolo in altri prodotti. Idrobenzoile nitrico e bisolfito di soda. Disciogliendo coll’ajuto di un dolce calore l’idrobenzoile nitrico nel solfito di soda si ottiene col raffreddamento una sostanza cristallizzata in lamine brillanti di color giallastro, che si depura facilmente sciogliendola un pajo di volte in una piccola quantità di acqua COMPONIMENTI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITE ALCALINI 39 calda. Il prodotto allo stato puro è quasi privo di colore; è molto solubile nell’acqua bollente, meno nell’acqua fredda. La soluzione fatta bollire per qualche istante sviluppa l’odore dell’essenza nitrica decomponendosi: la scom- posizione ha luogo immediatamente con sviluppo di acido solforoso aggiungendo al liquido un acido. I cristalli lasciati per qualche tempo all’aria libera si effio- riscono . Riscaldati con precauzione sviluppano acqua, acido solforoso ed idro- benzoile nitrico, e lasciano un residuo di solfito. La composizione del sale cristallizzato può indicarsi colla formula, Na0,S?0*,C'H5Az0°+11Aq che contiene 10 equivalenti di acqua eliminabili ad una temperatura di 70° in 75°. Difatto ; I. 0,644 di materia calcinati prima in contatto dell’aria poi con acido solforico hanno fornito 0,155 di solfato di soda corri- spondenti a 9,01 per 2 di soda. Il calcolo darebbe 8,97. II. 1,156 del composto, riscaldati in una corrente di gas idrogeno secco ad una temperatura compresa fra 70° e 75° sino che non diminuivano più in peso, hanno perduto 0,505 di acqua, che corrispondono a 26,58 per 2. Il calcolo per 10 Aq darebbe 26,08. Ho tentato di espellere dal sale tutta l’acqua che contiene, ma non vi sono riuscito perchè ad una temperatura compresa fra 90° e 100° ha cominciato la decomposizione. Quando la temperatura è stata mantenuta sotto 90° il prodotto che si ottiene è interamente solubile nell’acqua e cristallizzabile colle proprietà di prima. La sua analisi conduce ad attribuirgli la composizione C'*H*NaAzS?0!? =Na0,S°04,C*H5Az0°+ Aq, come può vedersi dai resultati seguenti; I. 0,5195 di sostanza bruciati coll’ossido di rame hanno dato 0,075 di acqua, e 0,585 di acido carbonico. II. 0,255 di sostanza calcinati con acido solforico hanno fornito 0,0665 di solfato di soda. Riducendo in 100 p. e confrontando col calcolo si ha; Calcolo Analisi Carbonio 52,94 52, 69 Idrogeno 2,50 2,55 Azoto 12, 54 » Soda 12, 15 12, 54 Ossigeno 40, 02 » 100, 00 40 BERTAGNINI COMBINAZIONI DELL’ IDROSALICILE Le soluzioni dei saliciluri alcalini sottomesse all’azione dell’acido solforoso producono immediatamente dei composti cristallizzati analoghi ai precedenti. Questi stessi composti possono ancora ottenersi con facilità agitando l’idruro a freddo con i corrispondenti solfiti. La proprietà posseduta dall’idruro di for- mare questa specie di composti si conserva inalterata nei suoi derivati per so- stituzione, in modo che il cloruro ed il bromuro di salicile non che la nitro- salicide danno origine a somiglianti combinazioni . Idrosalicile e bisolfito di potassa. Agitando l’idruro con bisolfito di potassa esso si discioglie senza produrre nel liquido alcuna colorazione; continuando a disciogliere idruro ed abbandonando a se per qualche istante la soluzione essa si concreta in una massa cristallina bianca priva d’odore. Per depurare il prodotto bisogna farlo cristallizzare nell’alcole. Si ottiene però più facilmente l'intento seguendo un altro metodo di preparazione che consiste nel disciogliere il sali- ciluro di potassio nell’alcole ordinario a freddo, poi riscaldare la soluzione fra 40° e 50° ed assoggettarla ad una corrente di acido solforoso lavato sino che non ha perduto interamente il colore giallo proprio del saliciluro. Ab- bandonando al riposo il liquido scolorito deposita in breve degli aghetti delicati aggruppati in sfere, che riempiono quasi tutta la soluzione. I cristalli raccolti e disseccati costituiscono il sale allo stato puro. La sua composizione può indi- carsi con la formula C'*H”7KS?0!°-=-K0,8?0*,C'*H*0‘+ Aq, come resulta dalle analisi che seguono; I. 0,586 di materia hanno fornito 0,110 di acqua e 0, 4885 di acido carbonico. II. 0,425 di sostanza hanno dato 0,1165 di acqua e 0, 5455 di acido carbonico. INI. 0,4555 di prodotto fornirono 0,158 di solfato di potassa. IV. 0,572 di sale bruciato con nitro e carbonato di soda diedero 0,545 di solfato di barite. Da ciò si ricava per 100 p. di sostanza; Calcolo Analisi I II. Carbonio 54,71 54,51 55, 00 Idrogeno 2,89 5,16 5,04 Solfo 15, 29 12, 72 » Potassa 19, 47 19, 62 » Ossigeno 29, 71 29,99 » 100, 00 100, 00 COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 41 Il composto in questione è bianchissimo e dotato di splendore perlaceo; esso possede un leggero odore d’idruro. È molto solubile nell’acqua anche a freddo, e la soluzione che si ottiene, riscaldata, s'intorbida lasciando libero l’idruro. Si scioglie bene nell’alcole a caldo, meno facilmente a freddo. La sua soluzione acquosa è decomposta dagli acidi coll’azione del riscaldamento; gli alcali o i car- bonati alcalini la decompongono anche a freddo colorandola in giallo dipenden- temente dal saliciluro che si forma. Riscaldando il composto con precauzione svi- luppa idruro ed acido solforoso e lascia un residuo di solfito che poi si converte in solfato. La soluzione del sale discioglie buona quantità di jodo senza colorarsi; quando incomincia la colorazione l’acido solforoso è trasformato in acido solfo- rico e l’idruro diventa libero. Il bromo agisce allo stesso modo sull’acido sol- foroso, e trasforma l’idruro in bromuro di salicile che cristallizza. Idrosalicile e bisolfito di soda. L’idrosalicile mescolato con bisolfito di soda, se è in piccola quantità si discioglie, se invece è in quantità abbondante si con- creta dopo breve agitazione in una massa cristallina bianca. Ridisciogliendo il composto nella sua acqua madre coll’azione del calore, si deposita col raffredda- mento in bei cristallini risplendenti, dotati di sapore sulfureo e pungente, e solubili nell’acqua pura; si sciolgono ancora nell’alcole bollente, ma subiscono una parziale decomposizione. Idrosalicile e bisoifito d'ammoniaca. Una soluzione di solfito d’ammoniaca della concentrazione indicata in principio, può disciogliere con facilità quasi il suo volume d’idruro. La soluzione si fa con sviluppo di calore e produzione di un liquido oleoso giallastro, che dopo alcune ore si rapprende in una massa cristal- lina. Aggiungendo un poco d’acqua e riscaldando, il sale si discioglie e si de- posita poi in paglie risplendenti leggermente giallastre, che lasciate per alcuni giorni all’aria si convertono in un prodotto viscoso giallo dotato di sapore ama- rissimo. Derivati dell’idrosalicile e bisolfiti alcalini. Il cloruro di salicile, che anche a caldo è appena solubile nell'acqua, vi si scioglie con facilità quando essa con- tiene un bisolfito alcalino. Sciogliendolo a caldo nel bisolfito di potassa fornisce col raffreddamento dei cristallini bianchi e risplendenti. Sciogliendolo nel bisol- fito d’ammoniaca forma pure un composto bianco cristallizzato. Il bromuro di salicile si conduce come il cloruro; fornisce col bisolfito di potassa una combinazione che cristallizza in aghetti bianchi e brillanti, e con quello di soda un ‘composto che forma dei piccoli aghi aggruppati. Questi sali si decompongono facendo bollire per qualche tempo le loro soluzioni, o aggiun- gendo ad esse un acido e riscaldando. La nitrosalicide produce anch’essa delle combinazioni saline trovandosi in presenza dei solfiti. Si scioglie a caldo in quantità nel bisolfito di soda, e col raffreddamento si deposita in aghetti ag- Scienze Cosmolog. T. II. 6 42 BERTAGNINI gruppati di color giallo d’oro, solubili nell’acqua, ed insolubili nell’ alcole. Il composto che si ottiene col bisolfito di potassa sembra più solubile, quello for- mato dal bisolfito d’ammoniaca pare incristallizzabile. COMBINAZIONI DELL’ IDROANISILE L’idroanisile produce con facilità per il contatto dei bisolfiti alcalini dei composti corrispondenti a quelli formati dagli altri idruri. Idroanisile e bisolfito di soda. Basta agitare vivamente l’idruro con solfito di soda per ottenere quasi subito una massa butirosa, che continuando un poco l'agitazione, si converte in una massa decisamente cristallina. Facendo asciut- tare il prodotto e disciogliendolo nell’ alcole bollente esso cristallizza in la- melle delicate bianchissime dotate di grande splendore. Riesce però quasi im- possibile di avere il sale allo stato puro perchè si decompone in parte facendolo cristallizzare tanto nell'acqua quanto nell’alcole, ed in quest’ultimo caso resta mischiato al solfito alcalino, che si produce per la decomposizione. La materia sottomessa all’analisi proveniva da diverse preparazioni ed era stata fatta cristallizzare diverse volte nell’alcole: essa ha fornito risultati che si accordano passabilmente con quelli che si deducono dalla formula C!*H°NaS®0!° =Na0,S°0*,C!*HS0*+ Aq. Si ha di fatto che: I. 0,445 di sostanza diedero 0,155 di acqua e 0,6595 di acido carb. II. 0,525 id. id. 0,1775 » e 0,756 id. HI. 0,610 id. id. 0,209.» e 0,875 id. 0,440 id. id. 0,445 di solfato di barite. I. 0,440 id. id. 0,150 di solfato di soda. His MASTO Nitti dti. OASI ii E in 100 parti; Calcolo Analisi I "LIE III. Carbonio 40,00 09, 57 59, 26 39, 02 Idrogeno 3,79 3,78 d, 94 d, 80 Solfo 15, 55 15,76 15, 76 » Soda 12,91 12,88 15, 00 » Ossigeno 50, 01 50, 01 50, 04 100,00 100,00 100,00 Il sale cristallizzato possiede le seguenti proprietà. È solubile nell’ acqua fredda; un leggero riscaldamento basta per intorbidare la soluzione; colla ebol- COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALI!NI 43 lizione essa pone in libertà delle gocciole d’ idruro: gli acidi ‘o gli alcali sepa- rano facilmente tutto l’ olio essenziale che racchiude. Esso può farsi cristalliz- zare con facilità nell’acqua che contiene un poco di solfito di soda, giacchè questo sale comunica stabilità al composto in modo da permettere di riscaldare la sua soluzione, e lo rende di più poco solubile a freddo. È quasi completamente in- solubile in una soluzione fredda e concentrata di solfito. Riscaldato in un tubi- cino produce dell’ acido solforoso e delle gocciolette d’ idruro, che in breve si concretano all’ aria trasformandosi in acido.anisico. L’ acido nitrico converte il suo acido solforoso in acido solforico ponendo l’ idruro in libertà. Il bromo e lo jodo operano in un modo analogo. Quando il bromo è in ec- cesso produce nel liquido dei cristallini bianchi delicatissimi, fusibili nell’acqua bollente, e capaci di formare col solfito di soda un composto cristallizzato: essi costituiranno probabilmente il bromuro di anisile . L’ ammoniaca liquida, agendo sul sale cristallizzato, lo discioglie immedia- tamente formando delle gocciolette oleaginose, che a capo ad un certo tempo si solidificano in mammelloni cristallini dotati dei caratteri dell’anisidramide. Il sale in questione può ancora ottenersi trattando direttamente il liquido denso rossastro che si produce per l’azione dell’ acido nitrico diluito sull’essenza di anaci commerciale. La soluzione ottenuta facendo digerire a caldo questo li- quido con una soluzione diluita di solfito, col raffreddamento si riempie di aghetti delicati aggruppati in sfere aventi un aspetto diversissimo dai cristalli che pro- duce l’ idruro. Se però si fa cristallizzare il prodotto nell’ alcole, esso fornisce delle lamelle brillanti dotate delle proprietà e della composizione del sale sovra indicato. ITlroanisile e bisolfito di potassa. Si ottiene come il composto precedente agitando l’ idruro con solfito. La massa cristallina che si produce si pone ad asciuttare per isbarazzarla dall'acqua madre, quindi si fa cristallizzare nell’alcole diluito. Questo sale si scinde facilmente in idruro ed in solfito; si scioglie bene nell’ acqua pura, meno nell’ acqua che contiene un solfito. È insolubile in una soluzione fredda e concentrata di solfito in modo che questo sale lo precipita dalla sua soluzione acquosa. Può rimanere per lungo tempo in contatto dell’aria senza alterarsi sensibilmente. Idroanisile e bisolfito d’ammoniaca. L’idruro agitato con solfito d’ammoniaca sì concreta immediatamente con sviluppo di calore formando un prodotto cri- stallino, solubile nell’ acqua, e poco solubile, come i composti che precedono, nelle soluzioni dei solfiti. 44 BERTAGNINI COMBINAZIONI DELL’ IDROCINNAMILE Le differenti specie di essenza di cannella che si trovano in commercio poste in contatto dei solfiti alcalini si concretano producendo dei composti cri- stallizzati che provengono dall’idruro di cinnamile in esse contenuto. Le combinazioni formate dall’idrocinnamile si producono con grande faci- lità, ma non possono tanto agevolmente ottenersi allo stato cristallizzato come quelle descritte fino a qui. La sola combinazione che vien generata dal bisolfito di potassa può aversi facilmente cristallizzata . Idrocinnamile e bisolfito di potassa. Agitando l’essenza di cannella del Ceylan o quella della China con 5 04 volumi di solfito di potassa della concentrazione altrove indicata, si manifesta sviluppo di calore e si ottiene quasi subito una massa solida formata da piccole scaglie cristalline. Separando dopo qualche istante il prodotto così ottenuto dalla sua acqua madre, e ponendolo a disseccare sovra un mattone, si ha una massa salina giallastra, che si trova imbevuta dell’idrocar- buro che accompagnava l’ idruro di cinnamile nella essenza impiegata. Polve- rizzando questa sostanza e lavandola con alcole si arriva a sbarazzarla dal liquido estraneo sovra nominato: quando l’ alcole che passa non ha più color giallo, e non lascia sostanza liquida colla evaporazione, il prodotto salino che ri- mane è formato dalla combinazione dell’ idrocinnamile. Disciogliendo questo prodotto nell’ alcole bollente si ottengono col raffreddamento delle bellissime scaglie aggruppate dotate di grande splendore argentino. ì L'esame di questo sale e degli altri in cui entra l’ idrocinnamile mi ha of- ferto dei fenomeni che mi sembrano degni di qualche interesse, per cui conto tornare in breve su questo soggetto, ed allora farò conoscere la composizione della combinazione in parola, che le analisi fatte sino a quì non mi permettono di sta- bilire. Posso però da questo momento annunciare che il prodotto, ottenuto tanto con l’essenza del Ceylan, quanto con quella della China, offre la medesima com- posizione . Il sale in esame, preparato come sopra è stato descritto, è quasi affatto privo di odore: non subisce alterazione sensibile all’aria. Si scioglie nell’ acqua fredda. La soluzione si decompone colla massima facilità per lazione del calore o degli acidi sviluppando acido solforoso, e lasciando precipitare 1’ idruro in gocciolette scolorite. È quasi completamente insolubile nelle soluzioni concentrate dei sol- fiti. Si scioglie bene nell’ alcole a caldo, ma si decompone parzialmente se si fa bollire la soluzione per qualche tempo: a freddo è appena solubile per modo che una soluzione alcolica fatta a caldo si rapprende in massa col raffreddamento . Non si discioglie nell’etere; riscaldato in un tubicino sviluppa acqua, acido solforoso, ed idruro, che rimanendo in contatto dell’aria si converte in acido COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 45 cinnamico. Il bromo e lo jodo si sciolgono nella sua soluzione acquosa senza co- lorarla e trasformano l’ acido solforoso in acido solforico ponendo l’ idruro in li- bertà. Se il bromo è in eccesso si produce una sostanza solida, fusibile nell’ acqua calda e dotata di. un leggero odore aromatico. Introducendo il composto solido nell’acido nitrico concentrato, l'acido sol- foroso anche in questo caso si converte in acido solforico, e l’idruro si trasforma immediatamente in una massa cristallina di nitrato d’idruro di cinnamile . La facilità con cui la combinazione d’ idrocinnamile e bisolfito di potassa può ottenersi da qualunque specie di essenza, la sua inalterabilità e la sua quasi insolubilità nell’alcole freddo, sono proprietà che permettono d’impiegare vantag- giosamente questo composto per ottenere l’idruro allo stato puro. Per conseguire l'intento non si ha da fare altro che agitare l’ essenza a freddo con solfito, dis- seccare il prodotto che si forma, lavarlo con alcole freddo discretamente con- centrato in un apparecchio a spostamento, asciuttarlo di nuovo e discioglierlo infine a dolce calore nell’acido solforico diluito. Si sviluppa gran quantità di acido solforoso e l’idruro di cinnamile viene a galleggiare alla superfice formando un olio perfettamente scolorito che può facilmente separarsi dall'acqua e dall’aci- do solforoso che l’accompagnano. Operando a questo modo non si ha quasi nes- suna perdita d’idrocinnamile, e si ha il vantaggio di potere ottenere isolati senza alterazione i diversi liquidi che si trovano nelle varie specie di essenza. [ li- quidi in parola rimangono disciolti nell’ alcole che ha servito a lavare il sale, e si hanno come residuo, misti ad un poco di acqua, distillando l’alcole a bagno maria. Essi non si concretano più in contatto del solfito di potassa, e non danno coll’acido nitrico nessuno indizio di contenere idrocinnamile. Per essere però più sicuri che tutto l’idrocinnamile sia separato da essi, è bene farli digerire ad un dolce calore con una soluzione diluita di solfito. Idrocinnamile e bisolfito di soda. Mescolando una soluzione di solfito di soda con essenza di cannella la temperatura del miscuglio s'innalza, e si forma istan- taneamente una massa cristallina fibrosa, che lasciata a sè stessa per qualche tem- po si fluidifica di nuovo totalmente, formando a poco a poco alla superficie della soluzione salina uno strato oleoso, il quale è in quantità molto minore della es- senza impiegata . Questo liquido oleoso non è più concretabile coi solfiti nè solidificabile con l’acido nitrico: esso è forse costituito dall'olio volatile contenuto nella essenza, ‘che viene ad essere separato dall’idrocinnamile, mentre pare che quest’ultimo rimanga disciolto, ed il composto che forma col solfito non possa aversi allo stato solido, che con molta difficoltà. Lasciando la soluzione alla evaporazione sponta- nea si ottengono assieme a dei cristalli di solfato di soda dei mammelloni cri- stallini opachi, che si formano sui bordi del vase, e che sembrano costituire il 46 BERTAGNINI sale in questione. Essi sono solubili nell’ alcole bollente e col raffreddamento cristallizzano in lunghi aghi sottili aggruppati in sfere. La fluidificazione del composto che dapprima si forma per il contatto del- l'essenza con il solfito, si effettua a capo ad un tempo più o meno lungo dipen- dentemente da cagioni che non ho ancora potuto determinare. Alcune volte essa accade dopo pochi minuti, altre volte solo dopo alcuni giorni. Idrocinnamile e bisolfito d’ammoniaca. Agitando l'essenza di cassia con so- luzione concentrata di solfito essa diventa come emulsionata, sviluppa calore, e lascia separare a poco a poco alla superficie del liquido delle gocciolette oleose, che non contengono più idrocinnamile. Esso rimane disciolto nel liquido, che allorquando è concentratissimo lo deposita in laminette brillanti . IL’ idruro di cinnamile puro si scioglie in grande abbondanza nel solfito formando un liquido denso come l’olio, che dopo non molto tempo si rapprende in una massa cristallina. Questo composto, come gli altri dell’idrocinnamile, mi ha presentato dei fenomeni notevoli, che esaminerò attentamente fra non molto. COMBINAZIONI DELL’ IDROCUMINILE L’ essenza di cumino agitata con le soluzioni dei bisolfiti alcalini produce immediatamente dei liquidi lattiginosi, e poi si concreta in masse cristalline di consistenza butirosa. Idrocuminile e bisolfito di potassa. Riscaldando a dolce calore I’ essenza di cumino con una soluzione non tanto concentrata di bisolfito di potassa, una gran parte dell’ idruro si scioglie combinandosi al solfito, e la combinazione si de- posita col raffreddamento in laminette risplendenti. Ripetendo diverse volte di seguito questo trattamento sul cimene che rimane indisciolto si viene a separare dall’idrocuminile che poteva rimanere mescolato ad esso e che si trasforma nella combinazione salina . x Il sale ottenuto a questo modo non è solubile nell’acqua senza decomposi- zione. Basta però aggiungere al liquido un poco di solfito perchè la decompo- sizione sia impedita, ed i cristalli possano disciogliersi anche a caldo senza decomporsi. Se si aggiungesse una troppo grande quantità di solfito, il sale si precipiterebbe allo stato solido. Riscaldando in un tubicino la combinazione in parola si sviluppa acido solforoso e idrocuminile che si concreta all’aria in cristallini bianchi di acido cuminico. Idrocuminile e bisolfito di soda. Se si agita l'essenza di cumino con una soluzione di solfito di soda si forma ben presto una massa butirosa che dopo alcune ore acquista una consistenza maggiore e contiene la combinazione salina COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI AT dell’idruro imbevuta di cimene. Separando il prodotto dall’acqua madre e disciogliendolo nell’alcole bollente molto diluito si ottiene col raffreddamento il sale cristallizzato in aghetti aggruppati. Facendolo ricristallizzare due o tre volte nell’alcole diluito può aversi allo stato puro. Dai resultati dell’analisi può dedursi per questo composto la formula C®H'NaS?0!°, che può indicarsi ancora con Na0,S?0*,C*H"?0?+5Aq. Infatti: I. 0,486 di materia produssero 0,254 di acqua e 0,799 di acido carbonico. II. 0,452 di materia diedero 0,2175 di acqua e 0,759 di acido carbonico. I. 0,406 di prodotto riscaldati all’aria poi calcinati con acido solfo- rico fornirono 0,109 di solfato di soda. II. 0,548 di prodotto diedero 0,0955 di solfato di soda. E in 100 parti si ha; Calcolo Analisi I II Carbonio 44,44 44,87 44,55 Idrogeno 5,55 5, 55 5,55 Soda 11, 48 11,71 11,97 Solfo 11 È, 85 » » Ossigeno 26, 68 » » 100, 00 Il sale in quistione è formato da aghetti cristallini bianchi e risplendenti, quasi affatto scevri di odore. Si può disciogliere a freddo od anche a caldo nell’acqua che contiene un poco di solfito; la soluzione si decompone però colla massima facilità per l’azione del riscaldamento, degli acidi o delle basi. È insolubile a freddo nell’alcole ordinario e nelle soluzioni concentrate dei solfiti, ed è pure insolubile nell’etere. Lo jodo ed il bromo decompongono la sua soluzione formando acido solforico e ponendo in libertà l’idruro, che per effetto di un eccesso di bromo, si trasforma in un composto cristallizzabile facil- mente fusibile, capace di formare combinazioni coi solfiti e costituente proba- bilmente il bromuro di cuminile. Questo sale può rimanere in contatto dell’aria per qualche tempo senza su- bire alterazione notevole, ma alla lunga si altera un poco acquistando un colore giallastro. Riscaldato si decompone sviluppando acido solforoso e idruro di cuminile, e lasciando un residuo di solfito mescolato ad un poco di carbone. 48 BERTAGNINI Potrebbe facilmente utilizzarsi questa combinazione per separare il cimene dall’idrocuminile, operazione che non può farsi col metodo ordinario della distillazione frazionata senza perdere una quantità notevole d’idruro. Idrocuminile e bisolfito d’ammoniaca. Mescolando ed agitando con solfito d’ammoniaca l’essenza di cumino si produce quasi istantaneamente una massa cristallina, che separata dall’acqua madre e disciolta nell’alcole bollente de- posita dopo qualche tempo dei begli aghetti aggruppati dotati delle proprietà generali appartenenti a questa classe di composti. I cristalli ottenuti introdotti in un tubo di vetro che poi è stato chiuso alla lampada si sono mantenuti per alcuni mesi senza alterarsi, ma poi banno acquistato un colore giallastro indizio di qualche trasformazione che hanno subìto, e che deve essere indipendente dal contatto dell’aria e dall’influenza della luce, giacchè il tubo ermeticamente chiuso era rimasto nella oscurità . COMBINAZIONI DELL’ ENANTALDEIDE Il prodotto della distillazione dell’olio di ricino, che come è noto contiene l’enantale o aldeide enantilica, agitato a freddo con le soluzioni dei bisolfiti alcalini si discioglie quasi immediatamente con sviluppo di calore, produ- cendo indi a poco delle masse solide più o meno decisamente cristalline. I composti che si ottengono a questo modo possono prodursi egualmente sotto- mettendo ad una corrente di acido solforoso l’ enantale disciolto di recente nelle soluzioni alcoliche di potassa, di soda e di ammoniaca. Essi hanno una compo- sizione corrispondente a quella dei sali esaminati sino a qui. Quello di soda si distingue dagli altri per la facilità con cui cristallizza, e per l'applicazione che può farsene come mezzo di purificare e riconoscere l’ enantale. Enantaldeide e bisolfito di soda. Per ottenere questo composto si agita a freddo il prodotto greggio della distillazione dell'olio di ricino con una solu- zione concentrata di bisolfito di soda, ovvero si discioglie a caldo lo stesso prodotto nel solfito diluito. Nel primo caso si ottiene subito una massa cri- stallina, nel secondo caso si deposita col raffreddamento una sostanza ben cristallizzata. Il sale preparato nell’uno o nell'altro modo si fa disseccare sovra un mattone, quindi si discioglie nell’alcole bollente e si filtra ben caldo. La soluzione alcolica comincia subito a depositare delle belle laminette cristal- line aggruppate, che aumentano a poco a poco in modo da riempire total- mente il liquido. Si comprime il prodotto così ottenuto in una tela per sepa- rarlo dall’alcole di cui è imbevuto, e si lava con alcole freddo se mai conser- vasse l’odore dell’acroleina che accompagna l’enantaldeide, quindi si pone ad asciuttare fra carta sugante. Per averlo ben cristallizzato si discioglie in molto COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 49 alcole bollente, od in una piccola quantità di acqua calda. Si presenta allora in lamine aggruppate che hanno grande splendore quando si sono prodotte nella soluzione alcolica, e che somigliano molto ai cristalli di butiramide quando hanno cristallizzato nell’ acqua. Il sale preparato in questa guisa è sempre imbrattato da un poco di sol- fato, e per averlo perfettamente puro bisogna farlo cristallizzare di nuovo nell'acqua. La sua analisi mi ha fornito gli appresso risultati; I. 0,4885 di materia bruciati con l’ossido di rame hanno dato 0,317 di acqua, e 0,659 di acido carbonico. II. 0,558 di materia hanno dato 0,5465 di acqua e 0,708 di acido carbonico. I. 0,454 di sostanza calcinati con acido solforico hanno prodotto 0,151 di solfato di soda. II. 0,495 di sostanza trattati come sopra hanno dato 0,150 di solfato di soda. 0,415 di materia bruciati con nitro e carbonato di soda fornirono 0,4055 di solfato di barite. Di qui si deduce per il composto analizzato la formula C*H!7NaS?0!° ovvero Na0,S°0*,CH'0°+5Aq come può vedersi dal confronto seguente; Calcolo Analisi IL II. Carbonio 35, 59 Sd, 607 55, 88 Idrogeno 7,20 7,20 7,14 Solfo 15,55 15,47 15,47 Soda 15,15 15, 17 15, 22 Ossigeno 50, 55 50, 49 50,29 100, 00 100,00 100,00 I cristalli del composto in esame hanno un leggero odore di enantale, ed un tatto grasso; si sciolgono facilmente nell’ acqua anche a freddo e moltissimo a caldo, senza che abbia Juogo decomposizione notevole. Si sciolgono con faci- lità nell’ alcole caldo, e vi sono quasi insolubili a freddo, in modo che le acque madri alcoliche non ne ritengono che piccolissima quantità. Sono pure quasi insolubili a freddo in una soluzione concentrata di solfito, per cui sono preci- pitati dalla loro soluzione acquosa da un eccesso di questo sale. Disciolti nel- l’acqua forniscono una soluzione, che precipita abbondantemente con i sali di barite, di piombo e d’argento: i precipitati ritengono in combinazione del- I enantaldeide. Se si fa bollire la soluzione sunnominata si veggono comparire Scienze Cosmolog. T. III. 7 50 BERTAGNINI delle gocciolette di enantale, e la decomposizione è molto accelerata se si aggiunge un acido od un alcali. L''ammoniaca determina in essa la formazione di un ab- bondante precipitato caseoso, che indi a poco sparisce formando delle gocciolette oleose che si raccolgono alla superfice del liquido. Il bromo ed il cloro decom- pongono anche alla temperatura ordinaria la soluzione salina: lo jodo invece non agisce sovra di essa se non a caldo, mentre sui composti precedenti agisce anche a freddo . La combinazione dell’enantaldeide e del bisolfito di soda, che si decom- pone molto facilmente per l’azione del calore, pare possedere a freddo una grande stabilità : la sua soluzione non s’intorbida difatto allorquando si aggiunge ad essa una gran quantità di acido idroclorico o di acido solforico, purchè si eviti il riscaldamento; ed ho anche osservato che il sale può cristallizzare in soluzioni acide. La combinazione in discorso può utilizzarsi per ottenere l’enantaldeide scevra dai prodotti che l’accompagnano. A questo fine però è bene, prima di formare il composto, di separare il prodotto greggio della distillazione dell’ olio di ricino dalle sostanze acide a cui è mescolato. Ciò si ottiene facilmente agitandolo con una soluzione di carbonato di potassa: i due liquidi si mescolano allora for- mando una soluzione densa, che riscaldata fino quasi a farla bollire lascia se- parare alla superfice l’enatale, che può facilmente decantarsi. Il liquido così ot- tenuto si tratta a dolce calore con una soluzione discretamente concentrata di solfito; l’enantaldeide si discioglie e rimane indisciolto un liquido oleaginoso do- tato di un leggero odore grasso. Col raffreddamento si depositano i cristalli della combinazione salina, che fatti disseecare, e disciolti a caldo nell’acqua contenente acido idroclorico od acido solforico, forniscono l’enantale scevro da altri prodotti organici. Questo stesso sale di soda può impiegarsi con vantaggio per scoprire la presenza dell'enantaldeide quando fosse mescolata ad altre sostanze volatili nelle quali difficilmente potesse riconoscersi. Ciò per la facilità con cui si for- ma e con cui cristallizza nella soluzione di solfito di soda anche quando è in piccola quantità. Mi sono valuto di questo mezzo per vedere se nella distillazione della pal- mina si forma enantaldeide. È noto che questa sostanza distillandola fornisce al- cuni oli volatili, nulla però, che io mi sappia, è stato detto riguardo alla loro natura. Ho preparato Ja palmina facendo agire l'acido nitroso sull’olio di ricino ed ho distillato la massa solida ottenuta. Si sono allora sviluppati dei prodotti volatili aventi un odore un poco diverso da quelli che si ottengono coll’ olio di ricino ed agitando questi prodotti con solfito di soda ho avuto una massa butirosa nella quale si distinguevano dei cristallini risplendenti. La sostanza ottenuta COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 51 disseccata sovra un mattone e lavata con alcole fin che non rimaneva quasi affatto priva di odore, e disciolta poi in una piccola quantità d’acqua calda ha lasciato cristallizzare un prodotto avente tutti i caratteri della combinazione dell’enan- taldeide col solfito di soda. Fatta bollire con l’ acqua ha sviluppato 1’ odore dell’enantale puro. Ciò dimostra adunque che l’ olio di ricino, anche dopo aver subìto la trasformazione molecolare che lo fa passare allo stato di palmina, pro- duce colla distillazione l’aldeide enantilica. Enantaldeide e bisolfito di potassa. Agitando l’ enantaldeide con bisolfito di potassa si forma una poltiglia che a poco a poco acquista un apparenza cristallina rimanendo però sempre di consistenza butirosa. Se si riscalda il liquido la polti- glia si discioglie e si riforma poi con molta lentezza. Disciogliendo nell’ alcole il prodotto dopo averlo disseccato si ottiene cristallizzato in piccoli aghetti. Enantaldeide e bisolfito d ammoniaca. Questo composto è stato scoperto da Tilley alcuni anni addietro facendo agire l'acido solforoso sull’enantale, che pri- ma era stato saturato d’ ammoniaca. Può egualmente ottenersi agitando |’ enan- taldeide col bisolfito d’ammoniaca e disciogliendo il prodotto nell’alcole bollente. Col raffreddamento e colla evaporazione del liquido si ottiene una sostanza do- tata di tutte le proprietà descritte dal chimico inglese. Questa sostanza differi- sce dalle altre precedentemente esaminate per avere un apparenza meno decisa- mente cristallina, e per essere poco solubile nell’ acqua. COMBINAZIONI DELLA CAPRALDEIDE L’ essenza di ruta, che come Gerhardt ha dimostrato, può considerarsi sic- come l’ aldeide caprica ed indicarsi col nome di capraldeide, produce con faci- lità delle combinazioni cristallizzate quando si trova in presenza di una base alcalina e dell’ acido solforoso, od allorquando si agita con i bisolfiti. Capraldeide e bisolfito d' ammoniaca. Agitando l’ essenza di ruta in contatto d’una soluzione di bisolfito d’ammoniaca, si forma dapprima una specie di emul- sione, quindi ha luogo la separazione di una massa butiracea che diviene a poco a poco completamente solida, e prende, allorquando è disseccata, l’aspetto della cera. Se si discioglie a caldo questo prodotto nell’alcole ordinario si ottengono col raffreddamento delle bellissime scaglie aggruppate dotate di grande traspa- renza e di grande splendore. Per mancanza di materia non ho potuto fare sul prodotto che un analisi ed una determinazione di solfo. I risultati ottenuti sono i seguenti; I. 0,509 di sostanza hanno dato colla combustione 0, 271 di acqua e 0,500 di acido carbonico. II. 0,555 di materia dopo essere stati disciolti nell’ acido nitrico con- centrato hanno fornito 0, 277 di solfato di barite. 52 BERTAGNINI Di quì in 100 p. si deduce; Carbonio 44,12 Idrogeno 9,71 Solfo 11,41 Questi numeri conducono a calcolare la formula C®°H?7AzS°0!° corrispon- dente a AzH'0,S°0',C®°H?®°0?+3Aq che darebbe; Carbonio 45,95 Idrogeno 9,81 Solfo 11,72 Questo medesimo composto si ottiene facendo passare prima dell’ ammo- niaca poi dell’ acido solforoso in una soluzione alcolica di essenza di ruta; o immediatamente, o dopo qualche ora, a seconda della concentrazione della solu- zione, si depositano delle lamine cristalline trasparentissime. I cristalli in parola hanno un tatto untuoso, conservano un leggero odore di essenza di ruta, e sono più solubili nell’alcole freddo di quello che lo siano i composti precedentemente esaminati. Si sciolgono nell’ acqua fredda, ma senza la presenza di un solfito si decompongono con grande facilità. La loro soluzione riscaldata sviluppa tutta l'essenza che contiene. Il bromo si scioglie in essa ab- bondantemente trasformando l’ acido solforoso in acido solforico, e ponendo in libertà l'essenza, che per effetto di un eccesso di bromo, si converte în un li- quido più pesante dell’acqua dotato di un odore particolare. L° acido nitrico concentrato agisce sul sale producendo dell’acido solforico, e trasformando la ca- praldeide nei suoi prodotti di ossidazione. Gli alcali lo decompongono svilup- pando ammoniaca. Capraldeide e bisolfito di soda. L'essenza di ruta in contatto del bisolfito di soda si concreta in una massa butiracea che col tempo diviene cristallina. Il pro- dotto asciultato sovra un mattone si mostra formato di scaglie cristalline ri- splendenti, grasse al tatto, aventi il sapore dell’ essenza ‘e dotate di un odore che richiama quello di alcune frutta. Disciolto nell’alcole bollente fornisce una soluzione che col raffreddamento si rapprende in una massa gelatinosa, la quale a capo a 24 ore si converte in cristallini lamellari delicati. Questi cristalli sono aggruppati a sfere intorno a punti che costituiscono nella massa dei centri di cristallizzazione. La soluzione diluita del sale cristallizza senza passare per lo stato gelalinoso. Capraldeide e bisolfito di potassa. Agitando l’essenza in contatto del bisolfito COMBINAZIONI DELLE ALDEIDI COI BISOLFITI ALCALINI 53 di potassa non ha luogo subito, nè soluzione, nè concretazione. Questa però si manifesta dopo alcune ore di contatto. Al solito si forma una massa cristallina che si discioglie assai bene nell’ alcole bollente, e che col raffreddamento depo- sita delle scaglie somiglianti interamente a quelle formate dal sale d’ ammoniaca sovra esaminato. I composti descritti nel corso di questa Memoria sono stati considerati come combinazioni delle aldeidi con i bisolfiti alcalini contenenti acqua di cri- stallizzazione, e ciò dietro i resultati immediati delle analisi, e dietro il loro modo di formazione. La loro costituzione può essere riguardata però ancora sotto un altro punto di vista. Può ritenersi che esse contengano un acido copu- lato formato dall’ accoppiamento dell’ acido solforoso colle diverse aldeidi. Due equivalenti di acido solforoso unendosi a un equivalente d’aldeide formerebbero allora un acido idrato monobasico, che combinato ad un equivalente di base alcalina e ad acqua di cristallizzazione produrrebbe le combinazioni saline esaminate. Ora nella prima ipotesi i sali considerati allo stato anidro avrebbero dovuto contenere gli elementi del bisolfito e quelli dell’aldeide, mentre nella seconda ipotesi per divenire anidri avrebbero dovuto perdere un equivalente d’acqua di più, corrispondente all’acqua generata dall’accoppiamento. Sarebbe stato perciò possibile decidere sperimentalmente quale fosse veramente la co- stituzione di questi sali determinando la loro acqua di cristallizzazione, ma non vi sono riuscito, stante la loro facile decomponibilità per l’azione del riscalda- mento. È però da notarsi che i composti di questa classe ottenuti da Redtenba- cher e da Tilley col bisolfito d’ammoniaca, e le aldeidi acetica ed enantilica, che sono anidri, presentano una composizione che si accorda col secondo modo di vedere. Essi sono difatto indicati dalle formule C‘H7AzS?0* e C!*H!7AzS?0*, e pos- sono rappresentarsi come sali ammoniacali della composizione AzH*0,C*H?5?0* e AzH'0,CH'5S°05. Anche gl’isatosolfiti, combinazioni che somigliano molto a quelle che si producono colle aldeldi, avrebbero una composizione analoga, giacchè secondo le ultime esperienze di Laurent l’isatosolfito di potassa anidro sarebbe C!°H*KAzS?0* ossia KO, C'*H*AzS?07, e potrebbe riguardarsi come con- tenente un acido formato da due equivalenti di acido solforoso accoppiati con un equivalente d’isatina. Considerata sotto i due diversi aspetti la costituzione dei corpi descritti in questo lavoro sarebbe indicata dalle formule seguenti; 54 BERTAGNINI Prima ipotesi Seconda ipotesi Combinazioni dell’ idrobenzoile Na0,S?0*,C!*H°0?+2Aq Na0,C!H"S?05 4 5Aq AzH*0,S?0*,CHAz0° +2Aq fAzkl*O O! HAz8°0° +5Aq Na0,S°0*,C!*H"Az0°+11Aq !Na0,C*H'AzS?0° +12Aq » dell’ idrosalicile K0,S?0*,C!*H*0*+ Aq KO,C'H°S°07 + 2Aq » dell’idroanisile Na0,S?0*,C'*H"0*+ Aq Na0,C!*H7S?°07 +2Aq » dell’idrocuminile Na0,5?0*, C?°H'!°0? +5Aq Na0, C?°H!1520% + 4Aq » dell’enantaldeide Na0,S?0*,C'H"*0°+5Aq Na0,C!*H'58°0% + 4Aq » della capraldeide AzH*0,S?0*,C2°H°0?+5Aq AzH*O,C®H'°S?05+4Aq » —dell’idrobenz. nitrico | Prima di terminare riassumerò come segue quello che è stato esposto nel presente lavoro. 1.° Gli oli volatili che hanno i caratteri delle aldeidi, appartengano essi alla classe degli idruri od a quella delle aldeidi propriamente dette, posseggono la proprietà di formare molto facilmente coi bisolfiti alcalini dei composti cri- stallizzati nei quali entrano un equivalente di aldeide, uno di bisolfito alcalino e varii equivalenti d’ acqua. 2.° Esperienze fatte sovra un gran numero di oli essenziali non appar- tenenti alla famiglia delle aldeidi hanno mostrato che essi non sono dotati di tale proprietà. 5.° Tutti questi composti si producono prontamente agitando a freddo le essenze con i bisolfiti, ovvero ponendole in contatto delle soluzioni degli al- cali e facendo passare nel liquido dell’ acido solforoso; sono quasi affatto insolu» bili nelle soluzioni concentrate di questi sali, e nell’alcole freddo; sono molto solubili nell’ acqua; si presentano in cristalli bianchi e risplendenti; si decom- pongono facilmente per effetto degli acidi, delle basi, dei corpi alogeni ed anche di un leggero riscaldamento riproducendo le aldeidi che li avevano gene- rati. Possono impiegarsi con molto vantaggio per depurare gli oli volatili che li producono, e per riconoscere la loro presenza in altri liquidi. NUOVI FOSSILI TOSCANI ILLUSTRATI BAL PROF. G. MENEGHINI IN APPENDICE ALLE CONSIDERAZIONI SULLA GEOLOGIA STRATIGRAFICA TOSCANA DEI PROFESSORI CAVALIERE P. SAVI E G. MENEGHINI —e> 9 Dopo la publicazione delle Considerazioni sulla Geologia stratigrafica della Toscana (1851) molti nuovi fossili furono ritrovati nelle località stesse che precedentemente ne avevano somministrato ed in altre ancora, i quali meritano tanto maggiormente di essere conosciuti, in quanto che, oltre al confermare le precedenti deduzioni, vengono anche a rinfrancare quelle che potevano sem- brare tuttora dubbie per la scarsezza dei dati paleontologici. Questi nuovi ma- teriali sono in parte dovuti ad escavazioni eseguite per oggetto industriale, ma in parte maggiore alle ricerche indefesse ed alla generosità di alcuni zelanti cultori delle scienze naturali. Per le escavazioni attivamente continuate dalla Società mineraria di Firenze nella sua ricca miniera di cinabro nel terreno antracitico di Iano è venuta ad arricchirsi considerevolmente la flora carbonifera di quel giacimento, che dal numero di 18 specie annoverate nelle surammentate Considerazioni è in oggi salita ad oltre 50. Una cotale flora sembrerebbe sufficiente di per se sola a giustificare la qualificazione di carbonifero a quel terreno, tanto per le nume- rose specie chiaramente riconoscibili come caratteristiche di esso periodo, quanto per l’insieme dei ventuno generi: Scienze Cosmolog. T. III 8 56 MENEGHINI Nevropteris rotundifolia Brng., N. Grangeri Brng., N. tenuifolia Strnb., N. heterophylla Strnb., N. Loshii Brng.?, N. sp. sp. Odontopteris Schlotheimii Brng., 0. minor Brng., 0. obtusa Brng.? Dictyopteris Brongniartii Guttb. Adiantites? sp. Sphenopteris (Trichomanites) sp. Taeniopteris sp. Alethopteris sp. n. (A. aquilinae aflin.), A. sp. sp. Aplophlebis arborescens Brng., A. unita Brng., A. aequalis Brng., A. arguta Brng., A. hemiteloides Brng.?, A. sp. Dicrophlebis cyathaea Brng., D. Bucklandi Brng.?, D. lepidorachis Brng., D. oropteridius Brng., D. Sauverii Brng.?, D. Cisti Brng.?, D. abbre- viata Brng., D. sp. Callipteris sinuata Brng.? Crematopteris? pachyrachis n. sp. Lycopodites solenoides n. sp. Lepidodendron obovatum Strnb.? Equisetites sp. Calamites Suckowii Brng., C. Cisti Brng. Calamodendron nodosum Brng. Asterophyllites calamopteris n. sp., A. sp. Sp. Wolkmannia? sp. Annularia longifolia Brng., A. sp. sp. Sigillaria elegans Brng., S. Davreuxii Brng., S. sp. Noeggerathia sp. sp. I tronchi di Sigilaria vi sono frequentissimi, ma pochi sono quelli che conservano riconoscibili i caratteri specifici, attesa l'aderenza dello straterello antracitoso superficiale colla roccia circostante, nella quale il più delle volte vien fatto soltanto di riconoscerne la circoscrizione fortemente compressa. E compressi ordinariamente sono pure i tronchi di Calamites, ma recentemente si ebbe la fortuna di trovarne uno normale agli strati e perfettamente cilindrico, della lunghezza di 58 centimetri e del diametro di 95", diviso in otto nodi ineguali. Sussiste, per altro, e si agita tuttora seria questione intorno al valore di un consimile carattere paleo-fitografico, riguardo ad alcuni giacimenti delle Alpi, e taluni vorrebbero far pesare il dubbio medesimo anche sulla nostra classificazione del terreno di Iano. Sembra a noi che un tale confronto non si possa ammettere. Nella Tarantasia, si asserisce che, insieme alle impronte di piante di epoca carbonifera, si trovano fossili animali incontrastabilmente giu- NUOVI FOSSILI TOSCANI 57 rassici, e quindi, fra i due criteri paleontologici contradditorii, si propone di dare la preferenza al zoologico. Se nel nostro giacimento fossero state trovate solamente le piante carbonifere, mancherebbe ancora l’altro fatto dei fossili animali giurassici concomitanti per paragonarlo a quello della Tarantasia. Ma abbiamo invece un fatto decisamente opposto, trovandosi nel giacimento mede- simo ed insieme a quelle impronte vegetali dei fossili animali, essi pure chiara- mente ed incontrastabilmente appartenenti al medesimo periodo carbonifero. Nelle citate Considerazioni (p. 210) furono già annoverate le specie: Phola- domya regularis d’Orb., Ph. plicata d’Orb., Cardinia tellinaria Kon., Cardio- morpha pristina d’Orb., Leptaena arachnoidea d’ Orb., Productus sp., Spirifer glaber Sow., Ptylodictya sp., Cyathocrinus quinqueangularis Mill., Ceriopora irre- gularis d'Orb. Ora, di queste medesime specie e di altre pure appartenenti ai generi Megalodon, Cypricardia, Cardinia, Avicula, Leptaena, Cyathophyllum ete. numerosi esemplari furono pure nuovamente raccolti, e ne può vedere copia grandissima in unione alle impronte vegetali, e precisamente nello strato loro superiore, chiunque voglia visitare quella località. E quantunque, in causa della profonda alterazione della roccia, riesca comparativamente scarso il numero delle specie chiaramente riconoscibili, esse fortunatamente sono tali da non lasciare alcun ragionevole dubbio sull’epoca di quel giacimento. Gli scisti antracitici contenenti fossili vegetali ed animali decisamente carboniferi occupano la parte inferiore della grande formazione del Verrucano, alla quale sta immediatamente sovrapposto un calcare grigio oscuro, frequente- mente convertito in marmo bardiglio, e nel quale non si trovarono finora che scarsi indizii di fossili, per cui rimane ancora a dimostrarsi che esso possa rap- presentare, come si suppose, un qualche membro del triasse. Seguendo poi la serie geologica nel senso ascendente, s'incontra un piano che a sè richiama particolarmente l’attenzione del geologo, al pari che quella del tecnologo e del- l'artista, cioè il piano che comprende i nostri famosi marmi bianchi ceroidi e saccarini, tanto possentemente sviluppati nelle Alpi Apuane, nel Monte Pisano, nella Cornata di Gerfalco e nel Campigliese. I fossili precedentemente trovati negli strati superiori di tale deposito così profondamente metamorfosato non dimostravano sufficientemente la sua connessione col membro inferiore del liasse, chiaramente caratterizzato dalle numerose specie di Ammoniti che rac- chiude, ed il quale è immediatamente sovrapposto ad esso marmo bianco. Ora, così nel Monte Pisano come sulla Cornata di Gerfalco e nel Monte Calvi presso Campiglia, si trovarono recentemente fossili caratteristici che dimostrano quella connessione: Nautilus striatus Sow., Ammonites bisulcatus Brug., A. planorbis Sow., Acteonina subabbreviata d’Orb.? Chemnitzia Nardii Mgh. (n. sp. aff. alla Ch. Repeliniana d’Orb.), Cardium n. sp., Pecten Hehlii d'Orb.?, Pentacrinites 58 MENEGHINI ‘pentagonalis Gldf., P. subteres Miinst. etc. Nella prima delle indicate località, alcuni di essi fossili furono trovati dal sig. Cesare d’Ancona, distinto alunno di questo Studio, e merita particolare menzione fra essi una minuta ed elegantis- sima specie di Turrilites, che sembra potersi riguardare come nuova (7. Anco- nae Mgh.) (1). Riguardo alle altre località andiamo debitori di questi nuovi e preziosi materiali alle attive e diligentissime ricerche del sig. Tito Nardi, il quale, per le esatte cognizioni topografiche, per la naturale attitudine all’ osser- vazione e per la rara abilità nel ricercare i fossili e nel tagliare le rocce in saggi regolari ed istruttivi, si è già acquistata una ben meritata celebrità presso i naturalisti collettori non solamente Toscani ma anche stranieri. Oltrechè nelle vicinanze di Campiglia, così dalla parte di Suvereto come da quella di Sassetta, egli trovava pure qualche fossile nel calcare dolomitico bianco sottoposto all’am- monitico rosso nella Cornata di Gerfalco. Sono, fra questi, due specie di Pet- tini, una almeno delle quali sembra decisamente nuova e fu perciò denominata Pecten Nardii Mgh. (2). Interposto poi fra il calcare marmoreo bianco di Monte Calvi, ed il successivo ammonitico rosso, egli trovò uno strato variegato di giallo, che può dirsi quasi intieramente formato dai gusci di una bellissima specie di Posidonomya, la quale, per la varietà dei caratteri che presenta, si meritò il nome di P. Ianus Mgh. (9). Nel calcare ammonitico rosso della Gornata di Gerfalco erano già state raccolte in addietro parecchie specie di Ammoniti, ma copia ben maggiore ne trovò il Nardi, e mercè i numerosi esemplari da lui trovati si confermarono o si rettificarono le determinazioni precedenti ed altre specie si poterono aggiun- gere alle otto già annoverate, venendosi con ciò viemaggiormente a confermare che anche in quella località le numerose specie di Ammoniti incluse nel nostro calcare ammonitico rosso sono bensì tutte liassiche ma appartengono promi- scuamente a piani diversi. del liasse stesso. Oltre le tre specie già indicate come nuove di Gerfalco e tutte tre appartenenti alla tribù degli Arieti, vi sono: A. bisulcatus Brug., A. Conybeari Sow., A. stellaris Sow., A. spinatus Brug., A. heterophyllus Sow., A. bifrons Brug., A. Mimatensis d'Orb., A. complanatus Brug. Nel calcare rosso di Monte Calvi non erano fin quì stati trovati che fram- menti di Pentacrini, ed era sommamente desiderabile trovarvi pure degli Am- moniti a conferma delle deduzioni stratigrafiche. Duecento e cinquanta esem- plari di Ammoniti, molti dei quali di gigantesche dimensioni, e numerosi esemplari pure di Belenniti raccolti sullo stesso Monte Calvi e nella conti- nuazione del medesimo terreno presso Sassetta, vennero per opera del Nardi, ad appagare quel voto. Senza tener conto di qualche specie che, non potendo essere riferita ad alcuna delle note, si dovette riguardare per nuova (4), ed omettendo le determinazioni maggiormente dubbie, si possono con certezza NUOVI FOSSILI TOSCANI 59 ascrivere alla accennata località le specie seguenti: A. bisulcatus Brug., A. Bou- caultianus d’Orb., A. Conybeari Sow., A. margaritatus d’Orb., A. fimbriatus Sow., A. brevispina Sow., A. armatus Sow., A. Loscombi Sow., A. spinatus Brug., A. Buvingeri d'Orb., A. Mimatensis d’Orb. e A. heterophyllus Sow.; e con qual- che dubbio, principalmente per la imperfezione degli esemplari, le specie 4. Bonnardii d’Orb.?, A. Davaei Sow., A. Normanianus d’Orb. e A. Valdani d’Orb. La importanza di tale scoperta sarà generalmente apprezzata dai geologi, e tanto maggiormente quando, inoltre, si osservi che tutte queste specie si trovano associate in un’unico strato di pochi pollici di spessore. Ora, quattro di esse specie sono ascritte dal d’Orbigny al piano liassico inferiore o sinemu- riano, dieci al liassico medio, e due (IA. Mimatensis d’Orb. e VA. Reterophyllus Sow.) al liassico superiore o toarciano. La prevalenza delle specie del liasse medio sembrerebbe quindi evidente; pure è da avvertire che, calcolando il nu- mero degli esemplari di ciascuna specie comparativamente al numero totale, nel quale si comprendano pure e le specie nuove ed i frammenti non ricono- scibili od incerti, la somma delle quattro prime specie rappresenta 5%; della intera massa, mentre quella delle dieci specie del liasse medio equivale appena a 4, e delle due del toarciano non se ne contano che tre soli individui. Lo stesso calcolo comparativo è pure a farsi riguardo alle specie suaccennate di Gerfalco, fra le quali ne figurano anzi in maggior numero di liassiche superiori, ma le liassiche inferiori, per la proporzione della frequenza, rappresentano della totalità. Altro bel lembo di cateare ammonitico, distintamente caratterizzato come liassico inferiore da ben riconoscibili specie di Ammoniti, fu recentemente scoperto dal sig. Conte Carlo Strozzi nel lato occidentale di Monsummano in valle di Nievole: importantissima conferma di quanto, col sussidio dei soli dati stratigrafici, era stato precedentemente notato intorno a questo ultimo e più orientale membro della ellissoide del Monte Pisano. E nel Monte Pisano pure, lo stesso C. Carlo Strozzi, il Dott. Igino Cocchi, il Dott. Giovanni Tranquilli ed il sig. Cesare d’Ancona raccoglievano Ammoniti ed altri fossili liassici nel calcare rosso e nel grigio chiaro con selce, che lo accompagna. Anche con queste importanti aggiunte, rimaneva pur sempre superiore ad ogni altra, per ricchezza di fossili nel nostro calcare rosso ammonitifero, la località di Sassorosso nell’Alpe di Corfino, quale era stata dimostrata dalla copiosa raccolta del Prof. Olinto Dini, già illustrata nelle Considerazioni. Ora poi anche la fauna di quel luogo ha ricevuto un notevole aumento per le ricer- che del distintissimo allievo di questo Studio il sig. Dott. Igino Cocchi, supe- riormente nominato, il quale, in una sua recente gita e dietro le indicazioni dello stesso sig. Prof. Dini, potè raccogliervi numerosi esemplari di Belenniti s4 100 60 MENEGHINI ed Ammoniti ed aggiungere con ciò undici specie alle precedentemente citate: A. insignis Schubl., A. radians Schlt., A. complanatus Brug., A. Aalensis Ziet., A. sternalis de Buch, A. fimbriatus Sow., A. Bonnardi d’ Orb.?, A. Boucaultianus d’Orb., A. Charmassei d’Orb.?, A. pluricosta Mgh. (5). Delle trentacinque specie, quindi, finora trovate in quel luogo, dieciotto appartengono al liasse inferiore, sette al medio e dieci al superiore, verificandosi inoltre, anche quivi, la costante prevalenza numerica degli individui spettanti alle specie del primo gruppo. Tutto sommato, abbiamo nel nostro calcare rosso ammonitifero 47 specie di Ammoniti, 22 delle quali, anche dietro le divisioni stabilite dal d’Orbigny, appartengono al piano inferiore del liasse o sinemuriano, 14 al liasse propria- mente detto o medio, ed 11 al liasse superiore o toarciano (6). Je osservazioni pafeontologiche acquistano grande importanza quando s'instituiscano comparativamente in luoghi vicini, e tanto maggiormente riesce necessario un tale confronto per il caso nostro, attesa la accennata promiscuità di fossili. Le recenti osservazioni dei signori C. Alessandro Spada e Antonio Orsini sull’ Apennino centrale, che speriamo vedere sollecitamente publicate, saranno certamente accolte con grande interesse da quanti si occupano della geologia Italiana, e noi siamo ben lieti di poterne intanto approfittare ad illu- strazione della geologia Toscana. Essi hanno potuto riconoscere e seguire per così dire a passo a passo, oltre ai varii altri terreni sovrastanti, una grande zona liassica nella vasta area che si estende dal monte Nerone presso Urbino fino a Cesi presso Terni, e vi distinsero statigraficamente, litologicamente e paleontologicamente tre piani, i quali conservano costanti e facili a riconoscere quei precisi caratteri, benchè rimangano sempre in perfetta concordanza così fra loro come coi terreni sovrapposti. Il piano superiore vi è costituito da un calcare marnoso, il più delle volte rosso, talvolta invece affatto bianco, ricchis- simo di Ammoniti, che sono, per la massima parte, quelle specie stesse del consimile calcare rosso di Pian d’Erba presso Como: sono ventisei specie, quindici delle quali annoverate nel prodromo di d’Orbigny come toarciane, mentre le rimanenti sarebbero egualmente ripartite fra i successivi piani oolitici ed il precedente liasse medio (7). Il piano liassico medio, costituito da un calcare bianco o bianco sudicio, spesso marnoso, talvolta invece compatto, ed in possenti strati, alternanti con frequenti straterelli di marne argillose, ovun- que ricco di molte specie di Terebratule (Terebratula lampas Sow., T. resu- pinata Sow., T. erina d’Orb., T. Buchii Roem., T. Aspasia n. sp. ec. ec.), con- tiene quindici specie di Ammoniti, fra i quali, attenendoci al citato prodromo di d’Orbigny, sei sole sarebbero veramente liassiche medie e le altre invece toarciane, ed una perfino oolitica (8). Finalmente, il piano liassico inferiore è costituito da strati di poco spessore di un calcare bianco compattissimo a frat- NUOVI FOSSILI TOSCANI 61 tura concoidale, con frequenti arnioni di selce piromaca variamente colorata, quasi affatto privi di marne interposte, ed immediatamente succedenti al calcare dolomitico, ovunque se ne può vedere la posizione relativa. Esso calcare con- tiene, in alcuni luoghi, copia grandissima di fossili cambiati in idrossido di ferro, ma talmente alterati dalla compressione e strettamente impegnati nella roccia che il più delle volte appena si può determinare essere essi Belenniti ed Ammoniti. Fra questi, per altro, è facile riconoscere l'A. bisulcatus Brug., come grandemente prevalente, trovandosene anche bellissimi e grandi esemplari, ed alcune altre specie non determinabili della tribù degli Arieti, ma insieme lA. fimbriatus Sow. del liasse medio, e le specie: A. Comensis de Buch, A. radians Schlt., A. serpentinus Schlt. del piano toarciano. Conviene quindi necessaria- mente ammettere per le indicate specie ciò che fu già riconosciuto generalmente per molte altre, e che fu ammesso anche dallo stesso d’Orbigny per alcune, ch’ esse si devono contemporaneamente ascrivere a più piani successivi, varian- done nei differenti luoghi la estensione verticale entro a limiti più o meno lon- tani, senza che ciò nulla tolga al valore del carattere paleontologico, allorchè lo si stabilisca sul numero complessivo delle specie, e si tenga, in oltre, esatto conto della frequenza ossia della prevalenza numerica degli esemplari. Intorno a ciò sono importantissime le osservazioni dei due geologi Italiani, i quali hanno diligentemente notato nei tagli naturali la prevalenza delle varie specie nei sin- goli strati: così, per esempio, lA. fimbriatus, che nel liasse medio è frequen- tissimo e nella parte inferiore di esso raggiunge moli gigantesche, non compa- risce più che eccezionalmente e di piccole dimensioni nel liasse superiore e nell’inferiore; l'A. Tatricus, che negli strati superiori del liasse superiore è a migliaia, va scemando negli strati inferiori, e manca affatto nel liasse medio; mentre, invece, l’A. heterophyllus è egualmente frequente in tutto il liasse superiore e continua pure a mostrarsi, benchè con minor frequenza, in tutto il liasse medio. Lo stesso è a dirsi dell'A. bifrons e dell'A. Comensis, il quale ultimo scende pure e con frequenza nel liasse inferiore a farsi compagno del- l'A. bisulcatus. L'A. insignis ed il variabilis, non abbondanti neppure nella parte superiore del toarciano, scendono per altro in tutto il liassico medio. L'A. Humphresianus, benchè ascritto dal d’Orbigny al piano bajociano, si mostra egualmente e sempre scarsamente in tutto il liasse superiore e comparisce per- fino nel medio. L'A. Mimatensis, invece, è più frequente nel medio che nel superiore. L'A. radians è comune a tutti tre i piani; e l'A. serpentinus, altrove certamente toarciano, sta quì nel medio e nell’inferiore. Ora cosa dobbiamo noi concludere riguardo al nostro calcare rosso am- monitico? Chi volesse attribuire un grande valore al carattere litologico, do- vrebbe distinguere nel nostro liasse tre piani: l’inferiore rappresentato dal 62 MENEGHINI calcare marmoreo bianco ceroide o saccarino, il medio o rosso ammonitifero ed il superiore o grigio chiaro con selce. Ma, oltrechè i limiti di questa distin- zione litologica sono assolutamente variabili anche in luoghi vicinissimi, i fossili in essi inclusi, ed il paragone loro con quelli delle altre località non consentono di conguagliare quelle tre forme litologiche ai tre piani distinti del liasse. È bensì vero che nel calcare bianco marmoreo ceroide, insieme ai Pentacrini e ad altri fossili certamente liassici, stanno VA. bisulcatus, VA. planorbis, il Nautilus striatus ec., per cui si ha diritto di riguardarlo come liassico inferiore, ma ciò non dimostra che il calcare rosso ed il grigio chiaro soprastante spettino agli altri due piani. In fatti, noi troviamo e nel rosso e nel grigio lo stesso A. bisulcatus associato ad un numero prevalente di specie e, sopra tutto, ad un numero grandemente predominante d’individui di Ammoniti liassici infe- riori o sinemuriani, ai quali si associano specie riconosciute altrove come liassiche medie e liassiche superiori. Se vogliamo riguardare il rosso ed il grigio come appartenenti ad un piano distinto dal bianco sottoposto, ci conviene ammettere che l'A. bisulcatus, ed insieme ad esso altre ventuna specie sine- muriane, salgano oltre ai confini finora ad esse assegnati. Se poi invece sup- poniamo che il nostro calcare rosso ed il grigio, al pari del bianco sottoposto, appartengano complessivamente al piano inferiore, dobbiamo ammettere che undici specie credute esclusivamente toarciane e tredici liassiche medie comin- ciassero ad esistere fino dal liasse inferiore. Ora il confronto coll’Apennino centrale c’induce a riguardare come più probabile questa seconda opinione, in quanto che vediamo anche colà alcune di quelle specie scendere realmente a quel piano, mentre invece nè l’A. bisulcatus nè alcun altro della famiglia degli Arieti si mostra mai nel liasse superiore. Senza quindi osar decidere la que- stione, non esitiamo intanto di asserire confermato da questi nuovi studii quanto fu detto nelle Considerazioni intorno al nostro calcare rosso ammoniti- fero, che esso non si può conguagliare a quello dell’Apennino centrale e delle Alpi lombarde, il quale è decisamente liassico superiore. Essendo quindi chiaramente dimostrato che il calcare rosso ammonitico dell’Apennino centrale appartiene ad un periodo liassico più recente che quello del calcare rosso ammonitico Toscano, non è sorprendente che anche il piano immediatamente successivo ai due calcari ammonitici non abbia valore geologico equivalente. Nell’ Apennino centrale, infatti, succede un calcare bianco com- patto a strati sottili, che va gradatamente rendendosi sempre più marnoso, acquistando colore verdiccio e convertendosi in sottili lastre scistose, che più non intermettono fino al sovrapposto calcare neocomiano. Così nel calcare bianco, come negli scisti, si trovarono: Ammonites Tatricus Pusch, A. hetero- phylius Sow., A. plicatilis Sow., A. Humphresianus Sow., A. serpentinus Schlt., NUOVI FOSSILI TOSCANI 63 A. Duncani Sow., Belemnites irregularis Schlt., Diceras sp., Inoceramus sp., Cidaris glandiferus Gldf., Cidaris Marconissae (sp. n.), Dysaster eupatagoides (sp. n.) e molte distinte specie di Aptychus, (4. lamellosus Vltz., A. depressus Vltz., A. longus Vitz., A. problematicus etc.), specialmente abbondanti negli scisti. Sembra quindi da tali dati paleontologici chiaramente dimostrato che quel terreno appartiene al periodo oolitico inferiore, per quanto possa rimanere per ora indeterminato a quale dei numerosi piani altrove distinti lo si deva riferire. ” In Toscana, la serie dei calcari ammonitici è coperta dalla grande zona degli scisti varicolori alternanti con pochi strati di un calcare marnoso,. nei quali finora non si poterono trovare che pochi ed incerti fossili. Ma nel promontorio occidentale del golfo della Spezia il calcare rosso ammonitico, egualmente inclu- dente l'A. bisulcatus, è coperto dalla stessa serie di scisti affatto consimili e per la posizione stratigrafica e per i caratteri litologici, i quali includono tanta copia di piccoli Ammoniti. La collezione che ne possediamo e fu già descritta nelle Considerazioni è in gran parte dovuta alle lunghe ed assidue ricerche del celebre Guidoni, che fu il primo a scoprirli, ed il quale si propone di conti- nuarne la raccolta a profitto di questo Museo. Riguardo ad essi rammenteremo soltanto che la prevalenza delle specie liassiche inferiori è così evidente che il d’Orbigny no esitò nell’ascrivere tutte le specie anche particolari a quella località al suo piano sinemuriano, e possiamo infatti asserire che lA. bisulcatus si rinviene anche negli strati più elevati di tutta la serie. Devesi per altro avvertire che vi si trovano pure insieme le specie: A. margaritatus d’Orb., A. Loscombi Sow., A. fimbriatus Sow., A. Grenouillouri d'Orb., A. serpentinus Schlt., A. Edouardianus d’Orb., A. Tatricus Pusch, ch'è quanto a dire, non solamente specie liassiche superiori ma anche decisamente oolitiche. La piccolezza della maggior parte degli esemplari, anche trattandosi di specie che altrove conseguono grandissime dimensioni, sembra indicarevin quella località un concorso di particolari circostanze. Forse verrà un giorno in cui si potranno mettere a calcolo anche gli effetti delle condizioni locali e trovar quindi il modo di sincronizzare le formazioni rispondentisi nelle varie località, più razionalmente e più fruttuosamente di quello che non possa riuscire colla ipotetica e sistematica uniformità che taluni si sforzano di trevare ovunque. La comparsa delle specie fu incontrastabilmente successiva come la vita ne fu temporaria, e la scoperta di questa grande verità forma Ja gloria principale della paleontologia: ma il voler trovare in tutti i luoghi contemporanea la testi- monianza di quella esistenza delle singole specie, entro agli stessi precisi confini di spazio e di tempo, non è punto legittima conseguenza dei filosofici principii di quella scienza. Scienze Cosmolog. T. III 9 64 MENEGHINI Cogli scisti varicolori termina la serie dei nostri terreni giurassici. Fu dimostrato nelle Considerazioni che il calcare nero, le cui metamorfosi costi- tuiscono il pregiato marmo Portoro o Porto Venere della Spezia, corrisponde stratigraficamente al calcare grigio scuro con piromaca del Monte Pisano e della Pania, del Procinto, del Pisanino ec. nelle Alpi Apuane. E fu pure con suffi- cienti argomenti paleontologici dimostrato che esso calcare appartiene al sistema cretaceo e verosimilmente al suo piano inferiore o neocomiano. Ora abbiamo nuovi dati per confermare quella asserzione. Ai fossili dell’isola del Tinetto già descritti possiamo aggiungerne alcuni altri raccolti dal Dott. Igino Cocchi, che quantunque non si possano per la mag- gior parte riferire a specie note, pure manifestano il carattere cretaceo di quella fauna (9). Nell’Alpe di Tenerano, anche al di là della foce della Tecchia, egli ritrovava parecchi dei medesimi fossili (10), Il Cav. Prof. Paolo Savi poi, in una sua gita nella valle di Pedogna al N. E. di Camajore nelle stesse Alpi Apuane, ebbe campo di studiare nuovamente la posizione di quel calcare, ed osservò come se ne cambi l’aspetto litologico e ne svanisca più o meno completamente la piromaca, incontrandovisi allora, oltre agli stessi indizii di fossili già avvertiti alla Tecchia, alcune specie ben distinte di gasteropodi perfettamente rispondenti a quelle del calcare di Porto Venere. Superiormente ad esso calcare ed in perfetta concordanza di stratificazione, con breve zona di scisti galestrini interposta, egli seguì lungo tutto il fianco di quella valle che guarda a settentrione il calcare nummulitico benissimo sviluppato e ricco dei suoi fossili caratteristici (11). Numerose *fucoidi, parecchie delle quali di specie non ancora descritte, furono raccolte e generosamente regalate a questo Museo dal sig. Vittorio Pec- chioli, insieme a belli esemplari della Gorgonia (?) Targioni Mgh. ed ad altri fossili interessanti, così nei calcari e negli scisti del terreno eocenico, come nella pietra forte, che deve assolutamente riguardarsi come cretacea. Ed a conferma di questa ultima asserzione possiamo ora citare due fossili preziosi. Uno di essi fu trovato in quella medesima pietra forte a Vezzano, a setten- trione del promontorio orientale del golfo della Spezia, e questo Museo ne va debitore alle cure ed alla generosità del sig. Dott. Igino Cocchi. È un Cefalo- podo, che sembra doversi riguardare come una nuova specie del genere Turri lites, e fu perciò denominato 7. Cocchii Mgh. (12). L'altro appartiene pure alla classe dei cefalopodi, ma non si può che incertamente riferire al genere Scaphi- tes, e fu trovato dal sig. Conte C. Strozzi nella pietra forte di Monteripaldi (15). Il terreno miocenico, tanto diligentemente illustrato in Piemonte dal sig. Michelotti e nello stato Pontificio dal sig. Scarabelli (14), si mostra pure molto esteso in Toscana, e lo studio ne riesce tanto maggiormente importante in NUOVI FOSSILI TOSCANI 65 quanto che esso terreno si presenta generalmente ben distinto, e sotto all’aspetto stratigrafico e sotto al litologico, dal pliocenico (15). Questo studio stratigrafico e paleontologico del terreno miocenico è intimamente legato con quello non meno importante della cronologia delle nostre rocce ofiolitiche, inquantochè i metamorfismi in esso avvenuti attestano l'epoca della comparsa comparativa- mente recente di alcune di quelle rocce. Ciò era stato già chiaramente com- provato riguardo alla Serpentina di seconda eruzione, ma non si era finora che sospettato riguardo ad una varietà di Eufotide. Ora ciò riesce chiaramente comprovato: alle falde del Montenero presso Volterra, ove il sig. Giuseppe Viti fa eseguire dei lavori per saggiare il terreno in cerca di un giacimento metallifero, si vede un lembo di terreno miecenico distinto, oltrechè litologica- mente e stratigraficamente, anche per Ja presenza di alcuni fossili caratteristici, profondamente modificato da una tale Eufotide di seconda eruzione, ben diversa quindi cronologicamente dall'altra, la quale è anteriore alle Dioriti ed alla Ofite, ed è comparsa prima del finire del periodo eocenico. Le argille turchine e le sabbie gialle del terreno subapennino sono in molti luoghi così ricche di bei fossili meravigliosamente conservati che invitano a raccoglierli anche per solo diletto. Nè l'abbondanza o la facilità della raccolta punto esclude l'interesse annesso allo studio loro, chè anzi, per le ragioni stesse inerenti allo studio dei fossili miocenici e per la importanza del confronto, an- che quello dei pliocenici è grandemente meritevole di seria attenzione. Il sig. Dott. Gaspero Amidei ne possiede una preziosa raccolta dei contorni di Vol- terra, che va ogni giorno aumentando, e ne fa parte anche a questo Museo. Il Padre Prof. G. Angeloni ci favorì bellissime ed interessanti specie del Senese; il sig. Vittorio Pecchioli, l'ingegnere Dott. Lorenzo Chiostri, il farmacista Dott. Ferdinando Luciani (16), il Dott. Antonio Salvagnoli, il Dott. Alessandro Peru- gia e gli alunni di questo Studio già superiormente nominati devono pure essere a questo titolo rammentati. Per ora ci limitiamo a notare due fatti. 1.° Anche in Toscana, come già fu avvertito altrove, si trovano nelle marne turchine e nelle sabbie gialle incontrastabilmente subapennine moltissime specie fossili, che nel prodromo del ch. d’ Orbigny sono ascritte esclusivamente al periodo miocenico; e, senza che per questo si abbia dato sufficiente a ri- guardare come inesatta la collocazione loro nel miocene, rimane intanto com- provato che esse specie appartengono pure al periodo pliocenico. Speriamo di poter fra non molto publicare la lista intera di tali specie. 2.° Nella parte superiore del nostro terreno subapennino s'incontrano fre- quentemente degli strati di arenaria compatta alternanti colle sabbie gialle, la quale arenaria somiglia molto nell'aspetto litologico ad alcune arenarie mioce- niche e talvolta perfino a quella eocenica che porta più particolarmente il 66 MENEGHINI nome di macigno. La presenza di numerose impronte di foglie di piante terrestri insieme alle conchiglie marine attesta la formazione litorale di quella arenaria, i cui banchi sembrano tuttora disegnare la configurazione di alcune delle baje di quel mare pliocenico. In tale arenaria stanno inclusi molti ed importanti fos- sili, fra i quali ne dobbiamo segnalare uno di bellissimo, che questo Museo deve alla generosità del Municipio di Montajone. L'antico lastrico di quella città era appunto dell’arenaria della quale quì parliamo, estratta da una cava poco lontana, e venne recentemente riparato con eguale materiale proveniente da altra cava vicina. Una lastra di quella pietra, nell’antico pavimento della piazza, dirimpetto alla porta della chiesa, presentava magnificamente conservata una bella e grande Stella marina, che lo strofinio dei piedi aveva bensì in qualche parte logorato, ma nella parte maggiore aveva invece contribuito a renderla più evidente, essendo maggiore la solidità del fossile convertito in idrossido di ferro a confronto di quella della roccia. Essa appartiene al genere Crenaster, e, poichè sembra doversi riguardare come una nuova specie, fu da noi denomi- nata C. Montalionis Mgh. (17). Finalmente anche il terreno pliostocenico o quaternario, di cui abbiamo così bello ed esteso esempio nella panchina recente di Livorno, presenta gran- dissimo interesse, per il doppio studio comparativo dei numerosi fossili che include con quelli del periodo pliocenico immediatamente precedente e con le specie attualmente viventi o nel mare contiguo od in altri più o meno lontani. Di questo studio interessantissimo già si occupa il sig. Dott. Federico Castelli, il quale serba nel suo privato museo, insieme ad altri oggetti naturali di ogni fatta, numerosa raccolta di fossili Toscani e particolarmente pliostocenici. La copia delle ricchezze minerali ed i numerosi fenomeni geologici di ogni genere che natura sembra aversi compiaciuto di accumulare in questo bel suolo della Toscana, lo fecero sempre riguardare dai naturalisti come campo fertilis- simo di studii, ma altrettanto intralciato e difficile. Ora tanta messe di nuove scoperte paleontologiche, raccolta in così poco tempo, doppiamente ci conforta a sperare di poter giungere in breve a conoscere più completamente tutta la serie delle nostre formazioni geologiche, e per il numero delle difficoltà, che va rapidamente scemando, e perchè in pari tempo va così notevolmente accre- scendosi quello delle persone che a questi ameni ed utili studj consacrano le loro cure ed intendono quanto ridondi a profitto e ad onore comune la concorde associazione delle individuali fatiche. Pisa 1° Aprile 1855 (1) TuRRILITES ANCoNAE Mgh. T. testa turrita; spira dextrorsa, angulo 64°; anfractubus rotundatis, transversim obli- que costatis, costis simplicibus 22 ornatis; apertura ...; umbilico., . Non si vede che la sommità della spira costituita da quattro giri, essendo il rimanente della conchiglia impegnato nella roccia. Essi giri sono cilindrici e solamente contigui fra di loro, ornati da belle coste trasversali leggermente oblique, continue, sporgenti, tre delle quali con i due spazii di poco maggiori in larghezza occupano nel terzo giro 1", renden- dosi più vicine nei precedenti, più lontane nel successivo. In esso terzo giro, che ha 5" di diametro, se ne contano 22. Questa elegantissima specie si potrebbe paragonare per la forma e le proporzioni ad una miniatura del 7. Emericianus. (2) PecreN NARDI Mgh. Impronta di valva inferiore, cuneato-ovata, di 2" di lunghezza e 18" di massima lar- ghezza, rispondente alla metà della lunghezza; angolo apiciale 72°; circa venti coste (solchi nella impressione) divergenti dall’apice, a sei delle quali dalla parte buccale ed ad otto dalla parte anale se ne interpongono altre più leggere, tutte per altro pochissimo pronunciate e meno delle rughe concentriche, delle quali le più vicine al cardine sono regolarmente cre- scenti e pronunciatissime, le altre vanno rendendosi irregolarmente maggiori e meno pro- nunciate. Le due orecchiette sono quasi eguali: la destra si unisce al margine buccale mercè un’ area elevata (depressa nella impressione), nella quale si continuano le rughe coneentri- che, convertendosi in strie longitudinali, che come tali si prolungano pure sulla orecchietta; la sinistra ha pure delle strie longitudinali, ma più spaziate ed alternativamente maggiori e minori, ed indipendenti dalle rughe concentriche. (5) Posiponomya Ianus Mgh. P. testa suborbiculari, subaequilatera, ad ambitum compressa, umbonibus prominulis, radiatim costata et concentrice plicata, tum costis vel plicis carente, tum et omnino levi; latere buccali rotundato, anali obtuse anguloso. Gl’individui maggiori giungono a circa due centimetri di lunghezza ‘e poco meno di larghezza; vi si contano circa venti coste uniformemente raggianti ma ineguali, che svaniscono più o meno prontamente o verso il margine o verso 1’ umbone, e talora anche mancano intieramente. Le pieghe concentriche, delle quali in alcuni individui se ne vedono dodici a quindici, sono pure talvolta pronunciatissime, talaltra invece intieramente mancanti, e ciò indipendentemente dalla presenza delle coste, inducendo così una serie di aspetti svariatis- simi, i cui due termini estremi si prenderebbero a prima giunta per due specie distinte. (4) Ammonites NarpII Mgh. A. testa compressa; anfractubus compressis, lateribus planulatis, transoersim undato- costatis; costis subaequalibus, bifurcatis, in dorsum concexum egregie continuis et anterius prominentibus; apertura compressa; umbilico lato; septis... 68 MENEGHINI Diametro 90"; Jarghezza dell’ultimo giro Ta; suo spessore o; larghezza dell’ombe- lico To; ricoprimento della spira TR: Coste circa 65, spesso mancanti nella porzione inter- na della spira e specialmente in prossimità all'ombelico, per cui ne resta oscura la biforca- zione. Differisce dall'A. Mimatensis per la mancanza dei solchi e per l’ ampiezza maggiore dell’ombelico, caratteri per i quali ancora maggiormente si allontana dall'A. Boucaultianus, col quale ha pure qualche rapporto di affinità. AMMONITES STRIATOCOSTATUS Mgh. A. testa compressa; anfractubus compressis, lateribus complanatis, transversim costatis et striatis; costis minutis, obtusis, numerosis, rectis; striis elevatis super et inter costas, în latera item ac in dorsum continuis; dorso compresso rotundato; apertura compressa, antice obtusa; umbilico angustato; septis lateribus 5-lobatis. Diametro 72", larghezza dell’ultimo giro sn 5) suo spessore PT larghezza dell’ombe- lico da, ricoprimento della spira approssimativamente To: coste circa 60, regolarmente iraggianti dall’ombelico al dorso, al pari delle strie benissimo manifeste, tanto sul modello interno quanto nelle porzioni rimaste di guscio, e parimenti continuate sul dorso, ove le coste sono a 2" di distanza, e nello spazio medesimo si comprendono, oltre alle due strie elevate sulle coste stesse, altre tre intermedie, cioè esattamente 5 spazii. La elevazione delle coste è appena sensibile, ma le strie sono pronunciatissime. I lobi non si. vedono che incom- pletamente, ma è manifestissimo il loro numero, come pure la collocazione e le primarie divisioni che sono impari; la prima sella laterale ha larghezza eguale al lobo laterale supe- riore ed è rotondata; il lobo laterale inferiore è di j più angusto, ed, oltre a due denti late- rali interni ed uno esterno, è replicatamente trifido; i tre lobi accessorii, di forma consimile, sono gradatamente minori e si rialzano verso l’ombelico, ma, non vedendosi il lobo dorsale, non si può stabilire in qual punto rimangano intersecati dalla linea radiale; le selle accessorie sono parifogliate. (5) AMMONITES PLURICOSTA Mgh. A. testa compressa carinata; anfractubus subquadratis, lateribus costatis; costis 46, acu- tis, rectis, via obliquis, externe subincrassato-tuberculosis; dorso rotundato carinato, carina unica prominenti obtusa, lateraliter vix impressa, impressionibus a costarum inflerione ante- riore vix definita; apertura compresso-subquadrata; septis... . Diametro 53", larghezza dell’ultimo giro soa suo spessore i larghezza dell’om- belico 753, ricoprimento della spira 757. Differisce dall'A. disulcatus principalmente per il numero maggiore delle coste, per avere una sola carena sul dorso, invece di tre, e per la forma degli anfratti. (6) Ammoniti del calcare rosso ammonitifero Toscano. Specie toarciane 11: . Raquinianus d’ Orb., Corfino. . Mimatensis d’ Orb., Corfino, Gerfalco, Sassetta. - heterophyllus Sow., Corfino, Monte Pisano, Monte Calvi, Sassetta, Gerfalco. . Levesquei d’ Orb.?, Corfino. . Comensis de Buch, Gerfalco. - bifrons Brug., Corfino, Gerfalco. . insignis Schbl., Corfino. . radians Schlt., Corfino. complanatus Brug., Corfino, Monte Pisano, Gerfalco. Aalensis Ziet.?. Corfino. . sternalis de Buch, Corfino. tino fa Ra i Ra Lia n Na ona ona NUOVI FOSSILI TOSCANI 69 Specie liassiche 14: . spinatus Brug., Monte Calvi, Sassetta, Gerfalco. . planicosta Sow., Corfino. . hybridus d’ Orb., Corfino. . muticus d’Orb., Corfino. . armatus Sow., Corfino, Monte Calvi. . subarmatus Young, Corfino. . Acteon d’Orb., Corfino. . fimbriatus Sow., Corfino, Monte Calvi, Sassetta. . brevispina Sow., Monte Calvi. . Loscombi Sow., Monte Calvi, Sassetta. . Normanianus d’ Orb.?, Monte Calvi. . Davaeì Sow.?, Monte Calvi. . Valdani d’Orb.?, Monte Calvi. . margaritatus d’Orb., Monte Calvi. ì in Rm fa Ra Ra Ra N Ra Ra Ra Ra a a ona Specie sinemuriane 22: . bisulcatus Brug., Parodi, Corfino, Monte Pisano, Monsummano, Monte Calvi, Sassetta, Caldana, Gerfalco. . Conybeari Sow., Corfino, Monte Pisano, Monte Calvi, Gerfalco. . stellaris Sow., Corfino, Monte Pisano, Gerfalco. obtusus Sow., Corfino. . liasicus d’Orb., Corfino. . tortilis d’ Orb.?, Corfino. . Kridion Hehl., Corfino. . ophioides d’Orb.? Corfino. . caprotinus d’Orb.? Corfino. . Nodotianus d’ Orb., Corfino. . Bonnardii d’ Orb.?, Corfino, Monte Calvi. . Boucaultianus d’ Orb., Corfino, Monte Pisano, M. Calvi, Sassetta. Charmassei d’ Orb.?, Corfino, Monte Pisano. . Sp. (affine all’A. Charmassei), Corfino. . pluricosta Mgh., Corfino. 9 sp. (affine all’A. Ziasicus ed all’A. Bonnardîi; Consid. pag. 122, n.° 10), Corfino. sp (affine all’A. Nodotianus, id. n.° 12), Corfino. sp. (affine ma non simile all’A. Nodotianus, id. n.° 15), Corfino. sp. (Consid. pag. 104, n.° 6), Monte Pisano. sp. (affine all’A. spinatus, Consid. pag. 112 n.° 5), Gerfalco, Sassetta. + sp. (affine all’A. Bonnardii, id. n.° 4), Gerfalco. sp. (affine all’A. raricostatus, id. n.° 5), Gerfalco. PS TITTI TTITITITTITTIT TTT TE I (7) Ammoniti del calcare rosso ammonitifero dell’Apennino centrale. Specie oolitiche 5: . Humphresianus Sow., Marconessa; Cesi, Cagli, Subasio: . Eudesianus d’ Orb., Cesi, Cagli. linguiferus dOrb.?, Cesi, Cagli, Hommairei d’Orb.?, Cesi. Martinsiù d’Orb., Cagli. dad 70 MENEGHINI Specie toarciane 15: . A. Tatricus Psch. (A. Calypso d’ Orb.), Marconessa, Urbìa, Cesi, Cagli, Vettore, Monticelli. A. heterophyllus Sow., Marconessa, Urbìa, Cesi, Cagli, Vettore, Subasio. A. sternalis "de Buch, Marconessa, Urbìa, Cesi, Cagli, Subasio. A. bifrons Brug,, Marconessa, Urbia, Cesi, Cagli, Monticelli, Gavelli, Subasio. A. insignis Schubl., Marconessa, Urbìa, Cesi, Cagli, Vettore, Monticelli, Gavelli. A. Comensis de Buch, Marconessa, Urbìa,, Cesi, Cagli, Vettore, Subasio. A. variabilis d’Orb., Marconessa, Cesi, Cagli, Monticelli. A. Desplacei d’Orb., Marconessa, Urbìa, Cesi, Cagli, Subasio. A. discoides Ziet?, Marconessa, Urbìa, Cesi. A. Mimatensis d’.Orb., Marconessa, Cagli. A: cornucopiae Young, Marconessa. 4 complanatus Brug., Cesi, Cagli, Subasio. A. radians SchIt., Cesi, Cagli, Gavelli. A. Levesquei d’Orb., Cagli. © A. mucronatus d’ Orb., Vettore. Specie liassiche 5: ‘ A. Davaei Sow., Marconessa, Cagli. A. Masseanus d’ Orh.?, Marconessa, Monticelli. A. subarmatus Young, Urbìa, Cesi, Cagli, Subasio. A. fimbriatus Sow., Marconessa, Urbia, Cesi, Cagli, Vettore. A. Normanianus d’Orb.?, Cagli. z Specie Semmsonti . A. catenatus DIb., Monticelli" Alcuni li tali Ammoniti, particolarmente a Monticelli ed a Gavelli, furono raccolti dal - Prof. Ponzi, ed alcuni pure al Subasio dal Padre Prof. G. Angeloni. (8) Ammoniti del piano liassico medio dell’ Apennino centrale. ‘ Specie oolitica: ° A. Humphresianus Sow., Marconessa. Vi e Specie toarciane 8: x ì . bifrons Brug., Marconessa, Cagli, Monte Cucco. . heterophyllus Sow., Marconessa, Cagli. + Mimatensis d’Orb., Marconessa, Cagli. . insignis Schbl., Marconessa. . variabilis d’ Orb., Marconessa. . Comensis de Buch, Marconessa, Vettore. . serpentinus Schlt., Marconessa, Cagli. . radians Schlt., Marconessa., fica ai Specie liassiche 6: ’ LAP ‘ 2 A. fimbriatus Sow,, Marconessa, Cagli. Li A. Davaei Sow.} Marconessa. © . sod, 4 A. muticus d’ Orb., Marconessa, Monte Cucco, A. subarmatus Young, Marconessa. A. Normanianus d’ Orb., Marconessa. A. Valdani d’Orb., Cagli. NUOVI FOSSILI TOSCANI ad: Potrà forse sospettarsi da alcuni che la spiegazione della apparente anomalia risultante dalle accennate,promiscuità di fossili sia unicamente a ricercarsi nella inesattezza delle de- terminazioni loro. Ed in vero siamo ben lungi dal pretendere di non avere errato in alcuna di esse determinazioni, ed anzi dobbiamo confessare che una naturale avversione a proporre nuove specie ci hia condotto alcune volte a proporre dubbiosamente qualche incerto ravvici- namento, che per altro abbiamo sempre avvertito col punto d’ interrogazione. Abbiamo con ciò rinunciato al facile metodo di togliere di mezzo ogni difficoltà dando valore specifico alle piccole differenze, e ci obbligò a questo rigore l’abitudine di lunghi e coscienziosi studii. Così, per esempio, l'A. Raquinianus di Corfino non ci sembra potersi riferire ad altra specie, benchè il ch. d’ Orbigny ne proponga una di liassica che dice somigliantissima, ma alla quale attribuisce coste più numerose, mentre nel nostro non arrivano a 50. E come specie affine citeremo l’A. Desplacei del liasse superiore dall’ Apennino centrale, che da dapprincipio so- spettammo essere una nuova specie, per aleune minute differenze nei lobi, ma che abbiamo poi riconosciuto provenire da uno sviluppo maggiore di quello ch’ è rappresentato dal d’ Or- bigny. Riguardo all’ A. linguiferus, invece, siamo rimasti in dubbio, inquantoche, corrispon- dendo perfettamente tutti gli altri caratteri, i lobi presentano notevoli particolarità, quali sono quelle del laterale inferiore paripartito, unico e grande il lobicino della sella laterale e piccoli i due accessorii; ma la*mancanza di perfetto accordo fra la descrizione e la figura del d’ Orbigny, ci fece astenere dal dare un nome nuovo. Non minore incertezza ci rimane riguardo a qualche specie descritta e figurata dal d’Orbigny nella sua Paleontologia Francese e poi omessa nel Prodromo; tale per esempio 1° A. Bonnardi, al quale abbiamo dubbiosa- mente ascritto alcuni esemplari e ravvicinati come affini alcuni altri. Riguardo a questi ultimi, per altro, dobbiamo pure avvertire come cagione principale della incertezza di alcune nostre determinazioni la imperfezione degli esemplari. (9) ASTARTE CoccHii Mgh. A. testa rotundato-triangulari, conpexiuscula, costis medio latioribus concentricis ornata, subaequilatera; lanala brevi latiuscula, marginibus acuta; Lunghezza 7 15, larghezza dara spessore 755; lunghezza della lunula SI sua lar- ghezza Ti) angolo apiciale 94°, coste 15. Affine all’A. numismalis d’Orb. ed alla A. Guidoni Mgh. (Consideraz. pag. 89, n.° 12), ma da ambedue certamente diversa. CARDIUM sp. C. testa inflata, subglobosa, transversa, radiatim tenwissime costata, concentrice inae- qualiter rugosa, subaequilatera, latere buccali....; umbonibus depressis disaricatis. Spessore 12". La imperfezione dell’esemplare non consente determinarne le proporzioni. È paragonabile per la forma al Cardium ventricosum d’Orb., ma la distanza degli unicini è così grande che lo si crederebbe spettare ad una Isocardia, se la frattura non ponesse in evidenza il dente laterale buccale. NUCULA sp. Molto somigliante alla N. planata Dsh., ma troppo incompleta per poterne giudicare, potendosi soltanto asserire evidenti i caratteri del genere. Arca CARTERONI d’Orb ? È Gli esemplari riferiti dubbiosamente a questa specie, ne differiscono per la lunghezza proporzionale del lato buccale un poco minore, e per la poca evidenza delle coste trasversali, ma in tutto il rimanente corrispondono perfettamente alla figura ed alla descrizione che ne dà il d’ Orbigny. % Arca ACUTA Mgh. A. testa elongata, turgida, ili concentricis anterius evidentioribus ornata; latere buc- cali brevi, acuto, subuncinato; latere anali elongato, obtuso; area longitudinaliter sulcata. Scienze Cosmolog. T. HI. 10 402) MENEGHINI Lunghezza 16", larghezza 100» spessore 5, lunghezza del Jato ‘anale 100 to lun ghezza della faccia tesina 0101 ‘ Lib Molto somigliante» all’A. consobrina d’ Orb., ma ne Hlusazcaa per l’angolo acuto e la curvatura del lato buccale. è ù LEDA sp. ‘ » . A di ie Somigliante alla L. Mariae d’Orb., ma troppo incompleta per ‘poterne decidere. AViICULA CONcINNA Mgh. « È la stessa già definita nelle Considerazioni (pag. 90, n.° 24) come somigliante all’A. Rauliniana d’Orb., ma i nuovi e più completi esemplari ne confermano la distinzione. CAPROTINA Sp. Glî esemplari che finora si possedono sono troppo incompleti per poterne deffinire la specie, la quale per altro deve essere molto somigliante alle due: C. lamellosa e +rugosa d'Orb. à La: o (10) Vi sono specialmente abbondanti il Cerithium aciculoides *Mgh. (Consid. pag. 88, ° 9) e gl’indizii di una bivalve che sembrano, con molta verosimiglianza, doversi riferire al genere Carona a + C) e (11) Alla lista delle Nummuliti Toscane possiamo ora aggiungere le specie: © N. Lucasiana Dfr. i a N. Ramondi Dfr. N. intermedia d’Arch. ' La denominazione delle varie specie di Nummuliti è, nel momento attuale, resa som- mamente difficile dalla contemporaneità dei lavori e dal differente valore che, secondo i diffe- renti autori, si attribuisce alle varie fonti di caratteri. Il ch. d’Archiac unisce sotto al nome di N. complanata Lk. (Cat. rais. des fossiles des énvir. de Nice etc.) le due da noi descritte sotto a quel nome e sotto all’altro di N. millecaput Boub. Egli poi unisce in una le due specie di Deshayes: N. distans e N. polygirata. Ora, la specie da noi creduta la N. mille- caput Boub. è precisamente la N. polygirata Desh., è ci:sembra dover persistere nel riguar- darla distinta così dalla N. distans come dalla N. nummularia (Camerina Brug.), la quale seconda fu da noi riguardata per tipo della N. complanata Lk. Gi rimarrebbe piuttosto il dubbio se la N. distans dovesse riunirsi alla N. complanata di quello che riguardarne come sinonimo la N. polygirata (polygyratus) Desh. Affine più che ogni altra alla N. distans, quale noi la intendiamo, benchè grandemente distinta, rimane la nostra N. Chartersii, che sembra essere la stessa cosa che la N. Murchisonii Brun. Lo stesso chiariss. d’ Archiac avverte che la N. globularia Lk. non è che una forma accidentale della N. levigata, e riferisce alla N. perforata d’ Orb. le forme da noi descritte sotto a quel nome, ascrivendovi pare la N. globosa Rit., da noi descritta come diversa, ed alla quale abbiamo attribuito la figura di Parkinson, che il d’Archiac riporta alla N. perfo- rata, ed il sinonimo N. obtusa Iol. et Leym., che invece spetterebbe alla N. obesa Leym. Ora conveniamo che le forme da noi descritte sotto al nome di N. globularia si possono invece riferire a specie diverse: la forma maggiore discoidale di Nizza è quella ora eretta dal d’Archiac in distinta specie sotto al nome di N. Bellardii;"la forma minore spetta alla N. Ramondi Defr., ed altra forma globosa pur di Nizza, insieme alla maggior parte di quelle da noi descritte sotto al nome di N. Biaritzana, spetta appunto alla N. perforata d’Orb., ossia N. spissa Dfr., mentre aleune sembrano potersi riferire alla N. Puschiî d’Arch., e la ferma da noi riguardata come stato giovanile della N. Biaritzana è la N. intermedia d’Arch. La deserizione data dal Riitimeyer della ‘sua N. globosa (annessa nelle Considerazioni per errore tipografico alla nostra N. Biaritzana p. 197) spetta alla vera N. Biaritzensis, ch’ è quella da noi descritta sotto al nome di N. rotularis e che il ch. d’Archiac credette invece dover riferire alla N. Ramondi. NUOVI FOSSILI TOSCANI 73 La sinonimia quindi delle specie da noì trovate finora nel calcare nummulitico Italiano sarebbe la seguente: 1. N. poLyGIRATA Dsh.— N. millecaput nob. non Boub.?—N. complanata d’ Arch. (pro : parte), non Lk. 2. N. pistans Dsh. — id. nob., id. d’Arch. (pro parte). 3, N. NUMMULARIA Brug.'( (Camerina) —N. complanata Lk., id. nob., id. d’Arch. (pro parte). 4. N. MurcHisonii Brun. — N. Chartersii nob. 5. N. LATISPIRA nob. 6. N. ExPONENS Sow.— N. planospira Boub., id. nob. © 7. N. LEVIGATA Lk. 8. N. intERMEDIA d’ Arch. — N. Biaritzana (forma minor) nob., non d’Arch. 9. N. cuRvOSPIRA nob. 10. N. BiaritzENSIS d’Arch.— N. rotularis nob., non Dsh. 11, N. PERFORATA d’Orb.— N. Biaritzana nob., (pro parte) non d’Arch.— N. apra nob. (pro parte), non Lk. 12. N. BeLARDII d’Arch. — N. globularia nob. (pro parte), non Lk. 5. N. Ramonpi Dfr. — N. globularia nob. (pro parte), non Lk. » 14. N. scaBRA Lk. 5. N. pIscoRBINA d’Arch.— N. variolaria nob., non Sow.? 16. N. oBESA Leym.— N. globosa nob. (esclus. pro parte syn.), non Riùt. 17. N. Lucasiana Dfr. 18. N. PuscHur d’Arch. — N. Biaritzana nob. (pro parte) non d’Arch. hà o ° (12) TurRrILITES CoccHii Mgh. T. testa conica, spira dextrorsa; anfractubus angustatis, transcersim radiato costatis; costis' circiter 50, externe nodoso-incrassatis et in dorso evanescentibus; apertura ....; um- bilico magno. L’unico esemplare, oltrechè essere, e nel senso verticale, è anche compresso lateralmente in modo da presentare figura elittica, colla estremità dell’ultimo giro rispondente ad un punto intermedio fra il diametro maggiore ch'è di 280" ed il minore ch'è di 155". L’altezza dell’ultimo giro, in rispondenza al diametro più lungo, ove comparisce maggiore, è di 7, e la larghezza dell’ ombelico 5- Le coste cominciano sottili e poco elevate presso all’ ombelico, e vanno rapidamente elevandosi ed ingrossandosi fino ai due terzi esterni del giro, ove terminano con nodo molto prominente. Per effetto della compressione è fratturata e sfigurata porzione dell'ultimo giro e gran parte dei giri interni. Sembra per altro che la forma generale se ne possa paragonare a quella del Y. Rodertianus d’ Orb. x (15) ScapHiTES? Strozzi Mgh. Porzione di dorso sporgente dalla superficie di una delle solite lastre della pietra forte, di 44" di lunghezza, che, innalzandosi con dolce curva, raggiunge la altezza di 13" e poi nuo- vamente si abbassa, contemporaneamente allargandosi con divergenza dei suoi lati di 46°, fino a conseguire larghezza di 28", e successivamente sembra restringersi, ma la irregolare frattura impedisce di giudicarne con certezza. Diecianove belle coste trasversali si continuano da un fianco all’altro della sporgenza su tutta la porzione che n° è visibile, incurvandosi sul mezzo tanto maggiormente all’innanzi quanto più procedono verso la parte più allargata. Ivi esse hanno un millimetro di spessore, mentre verso la parte ristretta si assottigliano fino a non avere che mezzo millimetro. Gli spazi interposti sono piani e lisci, ed i dodici anteriori sono pressochè eguali, ma gli ultimi: visibili, lì ove il fossile si seppellisce nella pietra, sono rapidamente avvicinati. Nei fianchi sembra che taluna delle coste accenni di svanire, talaltra invece di confluire nella vicina. Si vede qualche oscuro indizio di lobi ed il poco che se ne vede mostra qualche analogia con quelli dello S. aequalis. 74 MENEGHINI La pietra forte, nella quale furono trovati i due muovi fossili ora descritti, e nella quale era stato anticamente trovato l’Hamites Micheli, oltre occupare stratigraficamente un posto ben distinto ed inferiore a quello dell’arenaria macigno, è anche litologicamente molto diversa. Il cemento calcare, che nel macigno è scarsissimo, è invece così abbondante nella pietra forte, che la si può a buon diritto denominare un calcare psammitico. Sta in questa medesima pietra forte l’Inoceramus descritto nelle Considerazioni come appartenente al ter- reno del macigno e: che si aveva, quindi, creduto eocenico. Un nuovo»esemplare favoritoci dallo stesso sig. Conte C. Strozzi, benchè trovato erratico, al pari dei precedentiy presenta con evidenza l’accennato carattere litologico. In esso poi è fortunatamente conservata buona parte del guscio colla sua caratteristica struttura, e riesce evidente ch’esso è l’/. Lamarckii Roem. Togliendosi, quindi, con ciò la anomalia che risultava dalla presenza di un tal genere nel terreno eocenico, viene ora col riconoscimento della specie a confermarsi invece la qua- lificazione di cretacea superiore che diamo alla pietra forte. uN (14) Cogliamo la occasione per accennare un prezioso fossile regalato dal sig. Scarabelli a questo Museo. È un tronco bulbiforme pressochè emisferico, di circa un decimetro di dia- metro ed otto centimetri di altezza, quasi completamente silicizzato. Fattolo segare longitu- dinalmente, egli ce ne favorì una metà. Sulla superficie esterna vedonsi delle cavità semi- lunari di circa 7" di corda e 2" a 5" di larghezza, variamente profonde, disposte appros- simativamente con ordine spirale, cosicchè, in essa metà, tredici serie spirali secondarie volgono da destra a sinistra salendo con angolo di 55°, ed otto da sinistra a destra con an- golo di 47°, ed in questa seconda direzione si succedono più vicine che nella prima. Oltre a quelle cavità, si vedono distintamente sulla superficie stessa altri sei centri spirali secon- darii, costituiti da cavità minori, molto ineguali ed irregolarmente distribuiti. Il maggiore sta presso all’apice ed accompagna una irregolare sporgenza di oltre un mezzo centimetro sulla superficie generale. La irregolare frattura inferiore e la sezione manifestano che quelle cavità rispondono alle profonde scanalature dei picciuoli persistenti, e quei centri secondarii spirali ad altrettanti rami. L’asse centrale ha circa 22" di diametro alla base e va rapida- mente assottigliandosi verso: l’apice, ma la sezione è eccentrica e quindi non se ne può calcolare con precisione la forma. Sembra potersi in esso. distinguere un sottile strato cor- ticale ed uno legnoso, con ampia cavità interna, ripiena dalla sostanza lapidea in parte sili- cea ed in parte dolomitica. I picciuoli ne sorgono con angolo vario da 50° a 70° e s’ ingros- sano rapidamente verso l’esterno. La sezione passa per l’asse di due dei rami laterali e ne tronca obliquamente alcuni altri. Una sezione quasi circolare di circa un centimetro di dia- metro sta un poco lateralmente presso all’ apice e presso alla base di un ramo, e potrebbe forse appartenere alla gemma terminale alquanto spostata. Dietro a cotali caratteri non si potrebbe ravvicinare questa pianta che al genere Mantellia Brgn., e quindi proponiamo per essa il nome di MANTELLIA (?) ScaraBELLII Mgh. Il sig. Scarabelli la trovò erratica nel fiume Santerno presso Imola, ma arguisce che non possa essere provenuta d’altronde che da terreni miocenici. (15) Ai fossili di Perolla già indicati nelle Considerazioni (pag. 177) dobbiamo aggiun- gere una bella specie di Terebratula raccoltavi dal sig. Dott. Gaetano Burci, la quale è molto somigliante alla 7. dipartita Sism., e si trova pure in altri giacimenti miocenici, come in Val di Trossa, a Parlascio ec. (16) In molti luoghi di Toscana manca il terreno miocenico, ed il calcare alberese eocenico, o forse cretaceo superiore, costituì evidentemente le spiagge del mare pliocenico. Ivi è frequentissimo il vedere quel calcare tutto perforato dalle Foladi, ma è ben raro trovar quei fori tuttora occupati dalle Foladi stesse. Ne dobbiamo al sig. Luciani un bel saggio, che ci sembrò doversi riguardare come nuova specie: I NUOVI FOSSILI TOSCANI 75 PHOLAS STRIATA Mgh. Ph. testa ovata, inflata, transversim oblique bisulcata, longitudinaliter plicata; latere anali elongato, angustato, hiante, concentrice egregie striato; latere buccali brevissimo, inflato. È 2/10 67 1 70 Lunghezza del modello interno 54", larghezza 777 € 3, Spessore 770. Paragonabile per la forma alla P%. Cornueliana d’ Orb., ma molto più allungata, e quindi molto diversa dalla P%. rugosa Br., che si trova, accompagnata dal suo invoglio e del suo lungo tubo calcare, nelle sabbie gialle. (17) CRENASTER MonTALIONIS Mgh. C. disco lato; radiis elongatis acutis; scutulis marginalibus amplis; dorso scutulis mino- ribus tecto, quorum duplex series în radiis ipsis conspicua; aculeis lateralibus longis. Diametro del disco 5"; diametro dalla estremità di un raggio a quelladell’opposto 25"; essi raggi per altro sono di ineguale lunghezza da 8" ad 11". Hanno circa 25" di larghezza alla base, e vanno assottigliandosi precisamente come nel vivente Crenaster aranciacus, dal quale questa specie fossile eminentemente si distingue per gli scudetti che ne ornano il dorso, in luogo delle papille echinulate. Vir ‘ è 9 7 LU : sii rif pf o. mitanteat dos i da * faire Aron de A c 4 è Ian sSmigast il } mu ot sf FUILI . . + » . , . DI . . " & ,. n a o® Dil dea son ‘arene iran no Arg Ltr4 MS, va ia sofotfig Ni) mig o so sig venot DUNE otra saripuennioivà » it, srt o La areggne IE anta tia sy eo ; Fa'atatigo «6a 1 rec ie agio Enia di Veglia PIPSFITTOTIRTTOLE that ì die» cuseò he ‘Lp anna ae affamati. ca dl "tarare Gdefpa Ba Cie san oli r° . . DE 7 » ® A x e 3 ANNA alal bg pela ati "A | ARS, rito (rum @i ft TATA si nin (ole. pmi 3 af’ dai pro iù : Age se nti MIT ALTI 3 PP vi ib pià "9 noetti 290° prima fel EP bo VÉ; santi ib è ng All 1 izgoo aloe gr Lon baffi gizo: ; orane è prenda È Dadi i} gn ir Eta uiKie.toKgutei delie alia n «atolinirisa ion , “goal ” ‘ DI . . Dar . r'iettà *» se *” A PI È ’ t; ® File pl ri v ‘ “ » CLI : di L' ® a led ’ ica . a n hd “ Pao . * * E E . * è , ° è . è » . è . . ri LI ri » . . - . . * “ d PA # . ° - DELL'USO DEI FATTORALI |: NELLA RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI MEMORIA SECONDA SUL CALCOLO DEI FATTORALI DEL PROF. LUIGI PACINOTTI 52. In altro mio scritto (Annali delle Università Toscane T. II.) insegnai il modo di estrarre il fattore di un qualsivoglia ordine m da una data quantità N, conosciute che sieno le differenze a, db, c... trai diversi fattori: cioè insegnai a trovare il valore, di x nella quantità x(r+a(x+b(x+c)... =N. Mostrai che una tale operazione era più generale dell'estrazione della radice, adottando per indicarla il simbolo Stabilii il calcolo su tali simboli fattorali; e ne accennai l'applicazione alle risoluzioni algebriche delle equazioni. Da quello si comprende come dell’equazione generale (X) am + Axm14+BeM24+ ... +Se=T si abbia (24) la radice, o valore dell’incognita x, espresso dalla formula fattorale ana x=VT lla === nella quale non sono che quantità note, e operazioni che possono dirsi pur note 78 PACINOTTI giacchè consistono in estrazioni di fattori. Onde si comprenda tuttociò, ram- mento che, eseguendo quel che significa la formula, si devono trovare i due valori del fattorale che indichiamo con'a,b, quindi i tre valori del fattorale a ) moa_—_ x=VFS ORDECE Onde determinate dalla soluzione. generale dell’equazione (X,) le quantità a',b',e'...abbiamo quanto occorre a completare la cognizione della formula generale di x,. In egual modo la formula che esprime tutte le quantità a',b',e' ... sarà Eabgalo sE cea c087 = DELL’ USO DEI FATTORALI 83 e si avranno formule consimili per esprimere a",b",c"...che sono radici della terza equazione fattorale (X;), come anche per le radici delle successive equa- zioni fattorali. Concludo che col mezzo della iatale delle equazioni fattorali si possono avere gli elementi a completare tali formule generali, e che quando voglia farsi. senza quella ‘risoluzione potranno esprimere le loro radici le indi- cate formule. Risolvendo solo l'equazione (X.), si combinerà la formula di x con quella di x, ponendo in luogo delle differenze @,b,e .. la loro formula nel modo seguente m i, T To kr la, D cos—+ sen—V_1 3 m m ua ya FS Ele Vi T Hi kr mA ava level?) niafì (cos - teen, VA), (008, ar e sen 1 i. Vero è che il secondo fattorale col suo coefficiente esprime solo la unica serie di differenze a,b,c... e non le m serie che sono indicate con kr kn, kn kn, kr kr 2a (cos — + sen a) a, (cos + sen PV.) b, (cos — + sen 2V_1) c m Mm Mm Mm m mm ma è anche vero che il coefficiente che manca alle differenze a,b,e . . . è indicato nel coefliciente del fattorale primo, ed all’occasione di eseguire le operazioni lo intenderemo posto anche alle differenze. Con tal convenzione la formula doman- data che dà la soluzione dell’ equazione generale (X) proposta sarà m 1 (GE F T cos — + sen a I I m-1 m TS cos n + sen sie V mea/ (0 aci 2-1 ni 1 2R lira cost sen VA za: strani as +A A comprendere questa formula convien ritenere che il primo fattorale dell’ or- dine m:'° avrà m valori quando si faccia passar % per i valori voluti dalle note teorie sull’equazione y"=1, e quando il successivo fattorale dell'ordine (m-1):"© s4 . PACINOTTI somministri le m—1 differenze, le quali moltiplicate ciascuna per k lrn cos =" + sen =-V_1 m m convertiranno quell’unica serie di differenze, in m serie, ciascuna composta di m-—1 differenze. Egualmente il fattorale successivo dell'ordine (m—2):"° darà m_-1 serie, ciascuna di m—2 differenze, quando si moltiplicherà l’unica serie che si ha direttamente per k ie cos egli sen VA . m-1 m-1 E col mezzo di queste m—1 serie di differenze si otterranno m—1 valori richiesti del fattore. Lo stesso si potrà dire dei fattorali successivi per modo che il fattorale del second’ordine, come mostrano i segni, avrà due serie + A,—A ciascuna di una differenza, che ne faran conseguire i due richiesti valori. Ho lasciato in tutti i fattorali la stessa X sebbene si comprende come il valore che le si dà in uno è indipendente da quello che ha in un altro: e che basta per ogni fattorale far passare % per la serie dei numeri naturali fino a quello che indica l'ordine del fattore. 56. Scendiamo ad alcune considerazioni particolari. Nell’equazione gene- rale di quinto grado x°+Ax*‘+Ba5+Cx°+Dx+E=0 si avrà per formula generale delle sue radici a=———_——_—— n RISI kn cda Lr 1 dor-=" kn kr yy; i —D sr aniLial n cia ie 4%, ve Weir Pra c08 7 +sen vai E siccome y‘=1 dà per valori delle radici dell’unità y= £ {,tV-1, po DELL’ USO DEI FATTORALEI 85 trà ridursi la formula precedente in questa be; E TA smi o 1 s5£ FI, Di p (+1,+V-1)a',(+1,+V-1)b' (+1,+V-1)0 quando si voglia risolvere l'equazione fattorale x*-+Ax5+Bx+C=0 per dedur- ne i valori di a',b',c' che ne formano le radici. È manifesto che dovendosi mol- tiplicare ciascuna di queste radici per i quattro valori delle radici dell’unità +1,—1,+W-1,+W-1 mentre corrispondentemente per quelli si divide il fat- tore, se ne otterranno le quattro serie di differenze, che possono far ritrovare i quattro valori del fattore di quart'ordine. Per mezzo di questo poi, e della formula kr lr = COR 3 sen V.i ) î9) si dedurranno come si è detto di sopra i cinque valori del fattore, o le cinque radici della proposta. I quali con più operazioni si sarebbero ottenuti anche senza la risoluzione dell'equazione di terzo grado coll’uso della formula generale. Che se nella proposta avremo D=0, la formula generale analogamente a quello che avvertii (24) si ridurrà aaa PERE a 1 Sizzano 5 ò 0, kr Vo c085 + sent 0g — xy 8 ove per le differenze del fattorale di quint’ordine si scorgono quattro termini, tre dati dal fattorale terzo moltiplicato per il suo coefficiente, ed uno che deve essere =0. Infatti l'equazione proposta si può porre sotto la forma METE SIAE —E la qual mostra che una differenza tra i fattori è zero, e le altre tre differenze a,b,c, 86 PACINOTTI vengono date dalle radici della prima equazione fattorale x'— Ax5+ Bx? - Ce=0 divisa per x. E poichè in questa formula kr kr, " è 5 2 083 + senz VA ha i tre valori 1,-1+!V-1,-i-iV-1 potremo scrivere le tre serie delle differenze nel fattore di terz’ordine, rap- presentando con a",b" i valori del fattorale di second’ordine, ed avremo Gal to Va 5 sent V = fo aa 31) D' pv -1)a",:(1+V-1)b" Ve Da dove vedesi che per le tre serie di differenze ne verranno tre valori al fattore di terz’ordine della quantità C, i quali moltiplicati respettivamente per IS 1 lia assai \ sz URI . Ora queste quantità unite al 0 formano le quattro differenze richieste pel fattorale del quint’ordine, che si convertono in cinque serie colla moltiplicazione di ciascuna. per î supporremo darci a',b',c ke lio, cos E + sen Oy ) h) 5 per darne i cinque valori dell’incognita nella proposta. 57. E poichè nulla fino adesso ho detto degli immaginari che possono complicare i calcoli su fattorali, comincerò qui a notare alcuni casi nei quali il fattore è reale, ovvero immaginario. Supposto che la equazione proposta non contenga immaginari in nessuno dei coefficienti, e neppure nell'ultimo termine, non ne conterrà egualmente la prima equazione fattorale come scorgesi dalla regola che ho dato per la sua formazione (23); sebbene possa questa avere anche tutte le radici immaginarie. In questo caso le differenze fra i fattori sono im- maginarie e pur non ostante il prodotto è reale, e potrà anch’ esserlo il fattore che si cerca nella risoluzione della proposta. DELL'USO DEI FATTORALI 87 In generale possiamo dire che quando le differenze tra i fattori sono immaginarie a coppia una della forma a (cos pt sen 9 Vedi e l’altra @ (cos p_ sen 9 V-1) il fattore può essere reale. Infatti queste due differenze portano nel prodotto la quantità (c+a cosp+a sen oV—1)(c+a cosp—a sen g V-1)=a+2ax cos p+ ax? cioè fattori reali di secondo grado, dai quali resultano termini del tutto reali nel prodotto. Il caso precedente non esclude che il fattore sia immaginario, e lo potrà pure essere quando i coefficienti della proposta, o l’ultimo termine siano immaginari. Per sapere se tra i fattorali che esprimo le radici della. pro- posta ve ne esistano degli immaginari, e quanti, potranno usarsi tutti i criterj che si danno nell’algebra per conoscere quante sono le radici immaginarie di un' equazione, essendo cosa agevolissima dato il fattorale ritornare all’ equa- zione sua originaria. Ed ancora per sapere se tra i valori del fattorale ritrovati ne esistono degli eguali potranno usarsi i metodi che si conoscono per scoprire le radici eguali dell'equazione proposta. Uno di questi metodi, il quale consi- ste nella ricerca del massimo comun divisore fra la proposta e la sua derivata, fa scoprire non solo quante, ma eziandio quali sono le radici eguali, e con alcune modificazioni può, sebbene con penosissimi calcoli, farci conoscere le radici immaginarie, o i valori immaginari del fattore. Ne esistono ancora altri, e qui soltanto prememi di rammentare che si conoscono metodi capaci di far distinguere i valori eguali, e quelli immaginari del fattorale. Tra le m radici, che nell’equazione 1"=1 rappresentano l’unità, ve n'è una, o tutt'al più due reali, e le altre sono imaginarie: per conseguenza an- cora le espressioni de] fattorale che risolvono la proposta avranno tutte ad eccezione di una, o tutt'al più di due nella loro composizione termini imagi- nari. Nè potremo dire che tutti i fattorali composti di tali termini sono im- maginari, e neppure che quelli i quali non li hanno sono reali, essendochè non è così vincolato il. numero delle radici reali e di quelle immaginarie di un equazione. Solamente dedurremo che si hanno spesso simboli fattorali sotto aspetto d’ immaginari senza che lo siano. 58. Nei calcoli serve che si distinguano i valori eguali dei fattorali da quelli differenti, ed i valori immaginari da quelli reali, e si può alla fine di tutto trovare il valore effettivo degli uni e degli altri quando nel caso partico- lare si riduce la formula a numeri. Darò qui appresso un’ esempio ove può in- Scienze Cosmolog. T. III. 12 ' 88 PACINOTTI teressare questa distinzione per l'andamento del calcolo, e nulla preme di trovare il valore assoluto del fattorale. E per non tacere totalmente sulla ri< cerca del valore numerico del fattorale immaginario, ritenuto che abbia la forma y+zV-1, prenderemo a determinare i due numeri y,, praticando ne’ modi con- sueti. Vale a dire si sostituirà y+zV — 1 in luogo di x nell’ equazione proposta, e ne verrà una trasformata U+VV—1=0, la quale darà U=0,V=0, e tra queste due equazioni eliminata una delle due quantità y,z si ritroverà l’altra col modo che ho insegnato per l’ estrazione del fattore reale (21). Che se dopo aver ritrovato, o con esattezza, o con approssimazione il valore di y e di 2, troveremo che, diviso y+ + sen V_1 9 è= cos + sen V_1 , e sara agli slo € i 2a Le Ca: Dio ma (5 se le Da ei da pre ques di 2 15 -21(V3 )H? V3 )t9) 19 a-4,2a,- dA aza,Za,-d@ 3 pt i Mi -(*( fer) af 3 ag) (E far: »; (05 do 15 a Wrr ME ag dh faspta)ne) DELL’ USO DEI FATTORALI 91 M:=(1(; 1/3 4; Va ): (; Va ): Vs Ù 9 ,-4,271-37 ,,.-y,27,-3Y "4921381231 7773271787 191 Va VE:(/a DI) 73775273737 737727» 1 56 Abis — 4 1 Bi 3 m-(* 3V-8 +Y8 IL (s (4 yi 38 ) d,=d,20,-307 ‘3,-3,29,-30 d,-d,20,-30 d,-0,20,-3à ea î IRORES -21((3V=8 )+? VB in) d,-3,23,-30 d,-d,20,-3Ò (1 Va )H/4 ):(s Va Jia ) 1,-1,2-97 1,1,2,3 1;-12-37 \4,-1,2,3 -2 Va )H:(/3 )#5) 1,-1,2,-3 1,-1,2,-3 ed avremo ridotta la funzione Te+x M, fr di 6 pi 79351 92 "orig E Brio} d xi —25—T7x5+x?+6r+8 2-8 pig p aa, 2a, — da 8 Siuag bag M M M bro mmonI + aaa di alieno pensi x--3V—-8 ar-V-8 ar-V—-8 — 7,27, — 37 d, — d,20, — 3 1,-1,2,-3 40. Proseguendo nel far uso de’ fattorali nel calcolo, e servendomi del precedente esempio, mi proporrò di trovare l’integrale tra i limiti, x-=0 che renda zero l’integrale, ed x=/, dell’espressione (7x*+-a)dx xo- xi- 7x5+x2+ 6r+8 Sappiamo che il coefficiente differenziale deve esser decomposto come sopra si è fatto in frazioni, e che moltiplicate queste per dx si hanno da integrare di- 92 PACINOTTI rettamente allorchè non vi è alcun denominatore immaginario. Qui come ve- dremo ne esistono due, e per quelli che riterrò essere i primi si sommeranno le due frazioni: onde avremo, accennando e poi eseguendo l’ integrazione o a (7x°+x)dx I -M))) I, x-xt-7r5+x?+6r+8 U, — 2axcosp+-a? + M, NED: £M Aa E ! simo d Lr —3d i Po a+ 2alcosp+?? Vi I senp sé n il -—1ar STILI (M + M.) log ai (MM) ci M,log bien SIRITAEE ia ager — i i cati pe RES pci CHE) Non lascerò quest’applicazione senza riflettere che sarebbe stato egual- mente facile portare il calcolo a questo punto rappresentando le radici del- l’equazione (I) di quinto grado con qualunque altro segno, o senza far uso de’ fattorali: affinchè non si creda che io pensi avere spinto in questo secondo scritto molt’oltre il calcolo de’ fattorali. Mio unico pensiero in quest’applicazione è stato di meglio fare apprezzare le differenze tra i diversi valori delle differenti radici delle equazioni, e come questa differenza può esprimersi nei calcoli senza complicare di troppo le formule. Forse opporrà qualcuno che se ai simboli fattorali può sostituirsi ogni altro segno, a che io tenti d’introdurli nell’algebra? Quello che segue in quest’ esempio, in molti altri non avrà luogo, ed ancora per que- sto avverto: in primo luogo i simboli fattorali esprimono le operazioni che si han da eseguire sù quantità conosciute, e se nell’integrale sopra trovato vuol ridursi la formula ad un sol numero, scorgesi quante estrazioni di fattori si han da eseguire, e come quelle eseguite, si debba il numero ottenuto combinare con gli altri, o sottoporre a nuove operazioni aritmetiche. Se per ipotesi si trovasse esser il fattorale immaginario, e non sparisse l’immaginarietà, come ho detto di sopra (37) colla divisione per la radice dell’unità, converrebbe riprendere il processo di calcolo nella riduzione della funzione proposta in più frazioni, e nell’integrazione, facendo uso conforme ho indicato (38) delle frazioni che hanno a denominatore un trinomio reale di secondo grado, del quale se ne co- noscerebbero i termini coll’estrazione de’ fattori immaginari. In secondo luogo DELL’ USO DEI FATTORALI 93 durante i processi di calcolo possono sparire dei simboli fattorali, o ridursi a forme più comode. Ho mostrato che le potenze de’ fattorali (29) da noi in- contrate nell’assunto esempio, si riducono spesso, e forse sempre, a fattorali del medesimo ordine di altre quantità: che molte altre operazioni possono ese- guirsi sovra i simboli fattorali: e che più altre si imparerà ad eseguirvene quando il loro calcolo venga messo in uso nell’algebra. Alcune riduzioni scor- gonsi anche nella integrazione sopra riferita, e i due simboli 5 5 VE-gi VW-8 1,-1,2,-3 a,-a,2a,— da mentre indicano la stessa operazione aritmetica su numeri diversi, ci rappre- sentano resultati differenti. 41. Accennai che, conosciuto essere le differenze tra i fattori alcune posi- tive altre negative (18), potevan rendersi tutte positive col diminuire il fattore che si cerca della massima differenza negativa. Siano le differenze a,b,c,d tra i fattori di T, avremo xe+a)xc+br+cXx+d)...=T: cioò x=/ T e posto c-y—d si riduce y(y—d)(y-d+a)(y-d+0)(y-d+c)...=T cioè 1/7 =—-d+y=_-d+ a —d,-d+a,—d+b,-d+c,... m/Un m/f dunque Va =—d+ ya a,b,c,d... —d,-d+a,—d+b,—d+c... Ne viene la regola generale, che può da un fattorale sottrarsi una qualunque delle sue differenze, purchè tra le differenze si prenda quella negativamente, e si sottragga dalle altre. Che se dunque vorremo rendere le differenze tutte positive dovremo aumentare al fattorale la massima differenza negativa presa positivamente, e dovremo prendere per differenze quest’aumento, e tutte le differenze primitive collo stesso aumento, menochè quella massima negativa. Per rendere tutte le differenze negative si dovrà sottrar dal fattorale la massi- ma differenza positiva, cambiare a questa il segno fra le differenze, e sottrarla 94 PACINOTTI da tutte le altre differenze. Tante trasformazioni con questa regola potranno farsi subire al fattorale quante sono le sue differenze. 42. Nell’equazione (I) che abbiam trattato nel precedente esempio avre- mo pertanto 5 5 pes: ei x=V-8 Sid AE ine Sa ESTE 2,3,4,5 Ae | PAS 5 233 24 SIVE e feta ge 1,2,3,-2 -1,-2,-4,1 Ridotte tutte le differenze positive o negative, si argomenta meglio sul- l'indole del fattore; nel primo caso il fattore non può avere che un sol valore positivo reale se il numero T è positivo, e nessuno se T è negativo. Il fattorale V=3 2,3,4,5 non può avere che valori reali negativi; così pure si scorge che il fattorale V=8 ERE, avrà un valor negativo compreso tra zero ed uno, onde i valori reali del fattorale 5 V=8 1,-1,2,53 b) saranno compresi tra tre positivo, e tre negativo. Le stesse trasformazioni possono effettuarsi negli altri valori del fattore ottenuti per mezzo delle radici dell'unità: così cid fa ATC Lo 9 a,-a,2a,-3% diverrà nel caso delle differenze negative e positive, (La 1 PE png andina argo VAR « x -a,-2a,-3a,-6a 2a, Fa,hba, da ma nulla si può argomentare sù tal valore per la forma immaginaria di «. DELL’ USO DEI FATTORALI 95 45. Torniamo a ragionare sul simbolo V=3 l 2,3,4,5 che posto =y dà y(y+2)(4+3)(y+4)(y+5)=—8. Mentre qui scorgesi do- vere essere y negativo, si vede che i valori che può prendere sono tra i numeri indicati da questi limiti I primi limiti daranno due valori reali, perchè si scorge che fatto y=0 si ha un resultato troppo piccolo, e fatto y=—1 si ha un resultato troppo grande, e fatto y= —2 si torna ad avere un resultato troppo piccolo. I. secondi limiti non danno alcun valore reale perchè qualunque numero si tenti tra — 3, e —% sempre si ha resultato piccolo, e ci mostrano questo come il criterio di due valori immaginari. I terzi limiti danno un sol valore reale perchè il resultato è zero quando y= — 5, e cresce sempre quanto più si tende al secondo limite. Si deduce adunque che il nostro fattorale ha tre valori reali, e due immaginari. La regola, quì seguìta per un caso particolare, è applicabile a tutti i casi quando si conoscono le differenze tra i fattori, e sono reali, perchè con questi dati può sempre un qualsivoglia fattorale ridursi ad un altro che abbia tutte le differenze positive, ed allora può scorgersi tra quali limiti cadono i valori del fattore, e quei limiti che danno due volte il resultato zero, indicheranno due valori reali se coi fentativi intermedi trovasi che il prodotto può superarne il termine co- gnito, e due valori immaginari nel caso che non lo possa superare. Con questa regola si scorge che l'equazione (I) ha due radici reali positive, e una radice reale negativa, e le altre due sono immaginarie. Quali però siano le due im- maginarie fra i cinque valori che li ho sopra assegnato, usando le radici del- l’unità, par difficile a determinarsi. 44. Partendosi dal principio che nell’equazione x(r+a)(x+b)...=T . . » . be (1 e . . . si hanno due valori dell’incognita tra x, e che questi due valori sono immagi- ot, nari se posto x> —@ e <—b non trovasi mai resultato nel primo membro maggiore di T, si presenta (siami lecito dire) un nuovo aspetto sotto il quale possono considerarsi le quantità immaginarie. Questo ha però da rientrare nell'altro, che è nell’algebra comunemente seguìto, il quale consiste in riguar- dare come negativo il quadrato di una quantità. E realmente ciò accade: si ab- 9 A x î bia y5=-1 ovvero y.y= — 1 fatto y=x + ai otteniamo 7?-+Ax + ga 1, ov- Scienze Cosmolog. T. III, 15 96 PACINOTTI 2 GIRERE A? t E vero 2° +Ar=-1— 7, cioè x(e+A)= -(1+). Qui pure si scorge poter solo esser il valore di eda ora per qualunque tentativo tra 0, e —A si han p_osinat A A? . s sempre resultati minori della quantità —(1+7)- Possiam perciò concludere che il secondo concetto delle quantità immaginarie rientra nel primo, e che quello dedotto dai fattorali ha più generalità facendoli conoscere in tutti i prodotti. Ci fa inoltre direttamente rilevare che sempre vanno a coppia: poichè dall'essere il valore del prodotto x(x+A) zero quando ponesi x=0, nell’au- mentare il valore di x va crescendo fino a — !A?, cioè tende a dare un valore della radice dell'equazione, e poi decresce fino a zero quando è x=—A, € accenna egualmente un altro valore della radice. E non potendo in ambedue i casi mai essere il vero valore della radice, si comprende che le due radici sono immaginarie, e formano una coppia perchè in quel massimo valore del prodotto il valore reale che aveva la x era egualmente distante dall'una e dal- l’altra radice: vi si deve per avere le due radici aggiungere e sottrarre un che, il quale non esiste, ovvero è immaginario; ed è perciò la forma della coppia reale + immaginario. Di più considero che quando poniamo r=—iA si prende per x il va- lore che tra i negativi e reali può dare al prodotto x(x+A) il valor massimo. Un tal valore è ancora quello che tra i reali si approssima più d’ogni altro al giusto valore di x; infatti dal risolvere la precedente equazione si ha A 90) 9.0) a=— &W-1, vale a dire il nostro valore —zA forma la parte reale della radice dell'equazione. Concludo che il metodo di stabilire i limiti tra i valori del fattore, e prendere quel valore che rende un massimo il prodotto, sommi- nistra la parte reale della radice immaginaria, e che col prendere solo quella parte si risolve il problema per approssimazione. Dico per approssimazione poichè, mentre non si risolve l'equazione proposta, ma un’altra equazione che differisce da quella per avere il solo ultimo termine differente della minima quantità possibile, si può ritenere essersi approssimati il più che si poteva al problema proposto. E tanto più sarà valutabile nelle applicazioni questa ap- prossimazione, quanto più piccolo è nel caso di sopra —1, cioè quanto più piccola è l’unità, la quale sarà sempre dato a noi di scegliere, e allora si potrà trascurare l'immaginario, e si ammetterà che l'equazione abbia due radici eguali al reale, anzichè due radici immaginarie. Ora nel nostro prodotto dovendo variare il valore di x da —a fino a —b, viene ad essere il limite della variazione determinato da due soli fattori analo- DELL’ USO DEI FATTORALI 97 gamente a ciò che accade nelle equazioni di secondo grado. In quel prodotto, oltre a poter prendere la variabile i valori compresi tra due limiti, potrà anche ricevere quelli fra più altre coppie di limiti, come si è veduto nell’ esempio particolare di sopra trattato. Sarà una variabile per tratti discontinui, che col- l’acquistare il valore che fa divenire un massimo il prodotto, ci pone in situa- zione di conoscere quanti sono i fattori reali, e quanti quelli immaginari, e quale è la parte reale dei fattori immaginari. Parmi pertanto che la teoria de’ massimi e de’ minimi possa darci il criterio degli immaginari. Abbiam nell'equazione del paragrafo precedente la quantità yYy+2)\Y+3(y+4(y+5) che deve essere un massimo, e per le consuete regole si deduce (Y+OY+3 YA (Y+5)+uv+Y+Y+5)+yuy+2y+A(4+5) +M)Y+Y+3BY+5)+y4+2y+3y+4)=0 ovvero 5y'+56y+149y"?+318y+120=0: ora risoluta quest’equazione si avranno quattro valori dei quali due per il massimo, e due per il minimo, e tra i due del massimo quello tra — 3 e —4 mostra l’esistenza delle radici immaginarie. In generale quel valore che dà il massimo, e che sodisfa alla deri- vata della proposta, e sostituito in essa in luogo di x produce un resultamento minore del termine cognito, darà l’indizio di due radici immaginarie, e sarà la quantità reale della radice immaginaria. sE presente tzize | ang pda Spia ai guoet inolev i ol loto n" og a sail ‘Ligmoza'tlo Sr ib, amami I i MR ‘t9q lid Lisiato? 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Ca Verti®to th H ì Rito proposti, ina un Mira Bau U rà LI vititag ” Foregii : i 0. | {% fi dl % va fibà e “4 da ) ‘Mb ari % | è UN A = Ù MM ao td muni dÀ, SULLA TEORIA MATEMATICA DELL’INDUZIONE ELETTRO-DINAMICA SBUONDA UMBMORLIA DI RICCARDO FELICI AJUTO ALLA CATTEDRA DI FISICA DELL’I. R. UNIVERSITÀ TOSCANA —> 9 = 19° (*) Nella prima Memoria, inserita in questo tomo terzo degli Annali pagg. 1-50, fondandoci sopra dati esperimentali, abbiamo esposto: 1.° La teoria delle correnti indotte, in un circuito filiforme, nell’ istante in cui la corrente comincia o cessa in un circuito voltaico; 2.° Come da quella teoria si deve dedurre quella delle correnti indotte pel moto relativo dei due circuiti, l’indotto e l’inducente. Senza seguire una tal via, che ci conduce al secondo caso citato partendo dal primo, sarebbe stato difficilissimo, se non impossibile, l’ applicare il me- todo seguìto dall’Ampère nella Teoria dei fenomeni elettro-dinamici, all’analisi delle correnti indotte dal moto relativo dei circuiti, senza assumere alcun dato ipotetico: e noi ci eravamo proposti di escludere qualunque ipotesi da un lavoro come il nostro, che ci parve utile di fare, qualunque fossero i pregi di altre teorie già esistenti, ma fondate ipoteticamente. D'altronde quelle teorie, dei signori Weber e Neumann, abbenchè diano, integrazioni fatte, gli stessi resultati in molti casi assai estesi (**), pure, partendo da principj che hanno (*) Si prosegue il numero d’ ordine dei paragrafi della prima Memoria. (**) Abbenchè ogni corrente, indotta od inducente che sia, si compia sempre in un circuito chiuso, pure i casi di induzione fra circuiti aperti si presentano facilmente in cal- colo e nell'esperienza. Non già che le correnti circolino in circuiti aperti, ma bensì le porzioni dei circuiti dai quali, o nei quali, è indotta la forza elettro-motrice, formano tal- volta delle curve le di cui estremità sono a considerevol distanza fra di loro, mentre {può essere impossibile il sostituire alla considerazione di tal circuito aperto, quella di un circuito chiuso . Scienze Cosmolog. T. III. 14 100 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE molto a comune fra di loro (*) ma che essenzialmente sono differenti, diffe- riscono anche tutte le volte che nella generalità dei casi si vuole considerar l’induzione. Conveniva dunque sapere a che ci dovevamo attenere, onde possedere dati teorici, se non generalissimi almeno certi. Qualunque siano le opinioni di alcuni Fisici sulla questione che qui si tratta, bisognerà pure che alla fine stimin buono, e si conformino, ad un modo di procedere che è il solo che si conviene alla nostra scienza; la quale dei fatti, e della loro semplice e rigorosa discussione, più che d’ogni altra cosa, sì cura. Ultimamente il Prof. C. Matteucci riunì nel suo bel Cours spècial sur l’induction, le magnétisme de rotation ec.(*), anche tutte le sue ricerche sul- l’induzione; e fu la lettura di quelle che mi diede il desiderio di conti- nuare con questa la prima mia memoria. È nel lavoro del Prof. C. Matteucci che si può vedere esposto ampiamente tutto ciò che al dì d’oggi costituisce la parte esperimentale dell’ induzione. Ma fra il numero grande dei fenomeni di questa parte della Fisica, è evidente che io non posso trattare che di quelli che si manifestano e si esperimentano per mezzo delle azioni elettro- dinamiche fra i corpi indotti e gl’ inducenti. : Così per ora, nei casi particolari che potremo trattare, ci limiteremo ad osservare se le direzioni, e la forma delle curve percorse dalle correnti indotte, sono tali da dar luogo a quello che sappiamo, di quelle azioni elettro-dinamiche stesse. 20.° In questa seconda memoria, 1.° Esperimentalmente dimostreremo che la teoria esposta nella prima deve applicarsi al caso delle scariche (o correnti istantanee) indotte colla bot- tiglia di Leida. 2.° Faremo vedere come partendo dalla teoria dell’Ohm, cioè da quella della diffusione delle correnti voltaiche nei conduttori, e da quella dell’induzione, si possono calcolare le curve secondo le quali si propagano le correnti indotte nei corpi di forma qualunque. E ciò sarà utile; sì perchè i circuiti filiformi sono un caso troppo particolare dell’induzione, nel qual caso si è dispensati dal calcolare la forma delle indotte correnti, e si perchè ciò ne potrà dare il mezzo di completare analiticamente, o generalizzare, quello che già nella prima memoria fu dimostrato; e finalmente per offrire il mezzo di confrontare colla esperienza una teoria dell’induzione. 3.° Parlando del modo col quale alcuni Fisici espongono questa parte della Fisica, citando essi la teoria del Neumann, e del Weber insieme, e la (*) La formula d’ Ampère. (°°) Paris, Mallet-Bachelier, 1854, in 8.° ELETTRO-DINAMICA 101 nota legge del Lenz, diremo le ragioni le quali per ora ci vietano di assumere quelle teorie, come l’espressione dei fatti. Avremo sempre cura di ben distinguere, fra la generalità dei fenomeni, il campo di quelli dei quali la teoria è, e resterà sempre, perchè data dalla esperienza, chiara e ben stabilita, dal campo di quelli pei quali l’esperienza stessa non solo non ci ha dato teoria direttamente, ma neppure ci ha autorizzati a servirci di alcuna ipotesi. Avvertiamo che per l’intelligenza di questa si richiede la lettura della prima memoria; e che come in quella, qui pure non si imprenderà a trattare la questione senza aver per scopo diretto un dato ed esperimentabile caso parti- colare. Non sarebbe questo il luogo di sviluppi di analisi matematica, astratta- mente dal possibile confronto colla esperienza. 21.° La formula che dà l’intensità della forza elettro-motrice indotta, in un elemento ds' di un circuito, secondo la direzione dell’ elemento stesso, forza indotta da un elemento ds di un circuito inducente, nell’atto dell’aprirsi o del chiudersi di quest’ultimo circuito, è, come vedemmo al paragrafo 15°, espresso dalla formula (15'), ossia da A determinare la (3') servirono i teoremi (c), (d). Il primo di essi, (e), che generalizza al caso dell’induzione il fatto del conduttore sinuoso, noto nella teoria dell’Ampère, assegna alla funzione analitica, atta ad esprimere il valore di d*E, la forma la più generale che essa può avere; il secondo teorema, (d), dà la legge secondo la quale, al variare della distanza r dei due elementi ds, ds' varia la forza elettro-motrice d* E. Dunque per sapere se la (5') è pure applicabile al caso in cui alla pila, ed alle interruzioni del circuito voltaico, sono sostituite le scariche della bot- tiglia di Leida, non avremo bisogno che di verificare se i due stessi teoremi (e), (4) hanno luogo anche in quest’ultimo caso; e questo è ciò che feci e che annunziai negli Annales de Phisique et de Chimie, par MM. Regnault, Dumas etc., e negli Annali di Fisica e Matematica pubblicati in Roma dal Prof. B. Tortolini. Ora noi descriveremo con bastante estensione le esperienze a quell'oggetto istituite, e le precauzioni da prendersi onde non cadere in errori, assai comuni in tal genere di esperienze. Verificammo adunque che le intensità delle correnti indotte nel caso di due anelli uguali, indotto ed inducente, paralelli e coi loro centri sulla normale 102 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE comune ai loro piani, variano proporzionalmente ai diametri degli anelli, quan- do le distanze di questi variano proporzionalmente ai diametri stessi. Ma siccome tal teorema, e già lo avvertimmo, si verifica anche nel caso di due poligoni uguali, coi lati uguali paralelli fra di loro, e con i centri sulla stessa normale ai loro piani; e siccome in questo caso la verificazione esperimentale e meno soggetta all’errore che potrebbe risultare, pel caso della bottiglia di Leida, da un imperfetto isolamento dei conduttori, così pre- feriremo di descrivere la esperienza eseguita con dei quadrati, invece che con degli anelli. D'altronde, nei due casi, rimarrà la stessa disposizione della esperienza . 22.° Formai con dodici regoli di legno, di circa due centimetri di dia- metro, ed uniti assieme, i dodici lati di un paralellepipedo rettangolo a base quadrata e di circa quaranta centimetri di altezza. Tal paralellepipedo mi do- veva servir di telajo, per avvolgervi attorno i fili conduttori; e perciò ne co- persi con uno strato di cera lacca, o coibente, i quattro spigoli o regoli, che ne figuravan l’altezza. Ciò fatto presi un filo di rame di circa cinque millimetri di diametro, e tutto di un sol pezzo, vale a dire non composto da diversi pezzi uniti saldandoli o attortigliandoli assieme colle loro estremità. Avvolgendo questo filo attorno al paralellepipedo, feci girando in un verso, un rettangolo i cui lati erano rettili- nei; poi discendendo, collo stesso filo, per venti centimetri e girandolo in verso contrario di prima, feci un secondo rettangolo simile, ma coi suoi lati ser- peggianti o sinuosi. Una delle estremità di tal filo era in comunicazione coll’ interno, e l’altra coll’esterno di una batteria, composta da sei bottiglie di Leida al più, le di cui armature erano, per ogni bottiglia, di 11,5 centimetri di diametro, e di 17,0 di altezza. Con tale disposizione, quei due giri mi rappresentavano due circuiti indu- centi, i quali erano in tutte le condizioni perfettamente uguali. Ove detto filo non serviva che a far comunicare fra di loro, e colla bat- teria, i due detti circuiti induttori, le sue due parti erano tenute stese in linea retta, e paralelle, alla distanza di un centimetro fra di loro; tutto ciò fu eseguito col mezzo di pezzetti di cera lacca, adoprati però nel minor numero che fosse possibile. Tale ultima precauzione era indispensabile onde non avere a consi- derar l’azione a distanza del filo che non formava i due circuiti inducenti; e non potevo qui, come nel caso della corrente voltaica, avvoltolare assieme quelle due nominati parti del filo stesso . Fra quei due rettangoli ad egual distanza da essi, e con altro filo, pure tutto di un sol pezzo, ne eseguii un terzo, destinato ad essere l’ indotto; usando anche per questo, tutte le precauzioni usate per i due primi. Le due ELETTRO-DINAMICA 103 estremità di questo secondo filo terminavano, ad una certa distanza dall’appa- recchio, colle due estremità di una piccola spirale. Questa spirale era stata fatta avvolgendo attorno di un cannellino di vetro, a pareti grosse, un filo di rame coperto di seta, e stato ricoperto ancora da uno strato di grossa vernice coi- bente, che penetrava fra spira e spira della spirale. La lunghezza di questa spirale era di centimetri 5,0, e il suo diametro di 0,5. Per osservare se la scarica della batteria aveva indotta una corrente, 0 scarica, nel filo indotto, ponevo un ago di acciajo (da cucire) nell’asse della spirale, ossia dentro il suo cannellino di vetro, e dopo la scarica lo posavo sopra un piccolo sostegno, davanti all’ago superiore di un sistema astatico da galvanometro ; cercando, se era possibile, col mezzo della repulsione sul siste- ma astatico, di scoprire se l’ago era stato magnetizzato dalla scarica indotta. Bene si intende che, prima della scarica, l’ago era scelto in modo che fosse allo stato naturale; vale a dire che nessuna delle sue due estremità valesse a respingere il sistema anzidetto. La lunghezza dell’ago era di 4, 5 centimetri e la sua grossezza di 0,1. Il resultato dalle esperienze fu il seguente: 1.° Se il circuito indotto era ad ugual distanza, dai due inducenti, per- corsi dalla stessa scarica, ma in senso contrario, l’ago della spirale non acqui- stava il più piccolo magnetismo. 2.° Se il circuito indotto era, anche lievemente, più vicino all’uno che all’altro dei conduttori inducenti, l’ago rimaneva magnetizzato nella direzione in cui lo avrebbe magnetizzato il circuito inducente più prossimo all’indotto . 3.° Piccole variazioni nella media distanza del circuito indotto dagl’indu- centi, bastavano per dare all’ago un magnetismo tale da respingere fino a quaranta gradi dalla sua posizione di equilibrio il sistema astatico. Queste esperienze dunque dimostrano che il noto teorema del conduttore sinuoso si applica anche nel caso della forza inducente che un conduttore filiforme acquista quando è percorso dalla scarica della bottiglia di Leida; forza che ha per resultato di indurre una consimile scarica in un altro conduttore, pure filiforme, che gli è prossimo. 25.° Onde nella esperienza precedente non si introducano errori, con- viene assicurarsi che durante la scariea non vi è scarica laterale sensibile, sia dai circuiti indotto ed inducente ai loro sostegni, ossia al suolo, sia da un punto ad un altro del medesimo circuito. Sono utili a tal effetto le già indicate pre- cauzioni, ed il proporzionare, in certa guisa, la intensità delle scariche alla lunghezza ed al diametro del filo inducente. Saremo sicuri che non vi è scarica laterale (o, per meglio dire, deviazione della scarica dal filo inducente) quando ripetendo più volte, a modo di prova, la stessa scarica nella oscurità, e difen- dendosi gli occhi dal troppo vivo bagliore della scintilla della batteria, non si osserveranno scintille lungo i fili conduttori. 104 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Con tali precauzioni saremo sicuri di ottenere in esperienze di simil ge- nere della citata, dei resultati costanti, non cadendo in anomalie del genere di quelle la prima volta avvertite dal Savary. Finalmente come altra necessaria precauzione avvertiamo che nella scarica converrà avvicinare lentamente la pallina dello scaricatore a quella della batteria, ed arrestarsi appena ottenuta la prima scintilla. Altrimenti operando, l'ago della spirale (nel caso in cui le scariche indotte non fossero uguali e contrarie) sarebbe magnetizzato dalla prima scarica; e la seconda che si otterrebbe avvi- cinando di più lo scaricatore alla batteria, non trovandolo più allo stato natu- rale, potrebbe forse col suo effetto complicare il fenomeno in guisa da indurre in errore lo sperimentatore. L’elettrometro di Henly mi serviva, per misurare le scariche inducenti. 24.° Resterebbe ora da descriversi la esperienza relativa alia verifica- zione del fatto (d). Ma di ciò potremo dispensarci, rimandando il lettore a quella già descritta nel paragrafo tredicesimo; perchè 1’ ultima esperienza del precedente paragrafo 25°, contiene tutte le modificazioni che a quelle del paragrafo tredicesimo bisogna fare, onde adattarla al caso della bottiglia di Leida. ) 25.° Or dunque che l’esperienza ci dice che i due fatti (e) e (d) si verificano anche nel caso della bottiglia di Leida, noi potremo stabilire che la forza elettro-motrice indotta da un elemento filiforme ds', percorso dalla sca- rica della bottiglia di Leida, sopra un altro elemento pure filiforme ds, di un circuito indotto, secondo la direzione di quest’ultimo elemento ds. varia colle stesse leggi che regolano la induzione nel caso dell’aprirsi, o del chiudersi, dei circuiti voltaici. 26.° Non dovevo in queste ultime narrate esperienze, occuparmi d’altro, che di osservare se i conduttori inducenti, fra i quali rimaneva l’indotto, si facevano esattamente equilibrio, quando l’indotto era ad ugual distanza da essi; nulladimeno osservai anche che /a direzione della scarica indotta diretta- mente (ossia di primo ordine, secondo un modo di dire adottato in Fisica) dalla scarica della bottiglia di Leida, è la stessa di quella della scarica inducente (). Seguendo tutte le precauzioni dianzi accennate sarà facilissimo a chiunque persona il ripetere tali esperienze; le quali sono semplicissime di per se stesse; ma, per le conseguenze inevitabili a cui conducono, devono pure alla lor volta essere prese in considerazione. (*) Fu per un errore che commisi nel senso della spirale che calamitava 1’ ago, che nel fascicolo di Ottobre 1853 Des Annales, dissi che la scarica indotta era in senso contrario all’inducente. ELETTRO-DINAMICA 105 Frattanto, continuando il nostro soggetto, per la dovuta chiarezza ci è d’uopo aggiungere qui alcune osservazioni sull’interpretazione che si può dare alla formula (3'), che è la formula principale alla quale sempre ci ha condotti la esperienza; abbenchè tali osservazioni debbano parere ovvie al più dei lettori. 27.° La (5') è stata da noi chiamata elementare, non già perchè si creda che essa esprima una di quelle leggi semplici, e perciò generali, che in natura si riferiscono sempre all’ intima causa del fenomeno; la (5') è stata chiamata elementare perchè essa entra come elemento differenziale, nelle inte- grazioni che conducono al valore della indotta corrente. La formula stessa d’Ampère non può, e non è dall’ Ampère stesso chiamata elementare sotto altro punto di vista. Sappiamo benissimo che, nello stato attuale della scienza, si deve supporre un elemento indotto. od inducente, cosa tutt’altra che sem- plice; e che la legge (53') dipende da fenomeni tuttora ignoti, ma complicati assai, che hanno luogo negli elementi stessi. Ma un lavoro del genere del pre- sente, non intende alla spiegazione, ma ad ordinare fra di loro i fenomeni, coll’ajuto del calcolo e della esperienza . 28.° Al paragrafo ottavo dimostrammo che la forza elettro-motrice indotta, per un cangiamento di posizione relativa dei due circuiti chiusi, lin- dotto e l’inducente, è proporzionale alla differenza dei due valori che l’espres- sione seguente: "1° RE SANE Ida, prende relativamente a quelle posizioni stesse. Così nel caso del moto di un circuito, considerando l’altro come fisso, la forza elettro-motrice indotta, du- rante che il primo circuito percorre col punto di mezzo di un suo elemento qualunque lo spazio do, nel tempo dt, sarà proporzionale alla derivata della precedente espressione integrale presa relativamente ad 0, considerando o come funzione di s e di £. Fino a questo punto fummo guidati direttamente dalla esperienza. Ma i fatti fondamentali che la (3') stabilirono, sono tutti relativi a cir- cuiti filiformi. Cosicchè può domandarsi se nel caso più generale si deve te- nere la stessa regola, per calcolare la forza elettro-motrice indotta, di quella qui sopra esposta per i circuiti filiformi. Vale a dire, per parlar più chiara- mente, si domanda se la forza elettro-motrice indotta da un elemento ds sopra un elemento ds' durante il tempo dt, nel quale tempuscolo gli elementi ds e ds' 106 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE hanno cangiato di posizione relativa fra di loro, in modo che le variabili 9,9,e, che entrano nella (3), posta per esempio sotto la forma, .ds' (A cos 8 cos 8'+Bcose) (A, e B essendo due costanti) hanno variato di quantità infinitamente piccole, si domanda dico, se tal forza elettro-motrice si potrà prendere proporzionale alla derivata della stessa (3') considerandovi le variabili 9,6',e,7 come fun- zioni del tempo t. Se a tale domanda si potesse rispondere direttamente, con delle esperienze così semplici e chiare come quelle che finora abbiamo descritte, il problema sarebbe presto e nella miglior maniera risoluto; ma tali esperienze così dirette e semplici, non furono per ora eseguite. Non sarà però mai che da noi si abbandoni l’esperienza; che se non potremo ora averla per sicura guida avanti a noi nel nostro cammino, se per la natura del nostro problema saremo co- stretti a precederla, avanzando sempre il nostro lavoro un poco più in là del punto fino al quale insiem con lei sarem giunti, sempre però osserveremo se da essa saremo costantemente seguìti. Noi cominceremo frattanto a trattare il caso dell’induzione in un corpo di forma qualunque, ed a dire il metodo secondo il quale si dovrà calcolare la diffusione delle correnti indotte. E tal metodo sarà scelto di sua natura indi- pendente dalla forma della funzione analitica che dovrà rappresentare la forza elettro-motrice indotta dal cangiamento di posizione relativa dei due elementi ds e ds', indotto ed inducente. Applicando tal metodo ad alcuni casi particolari si vedrà se l’ esperienza è per ora favorevole, o nò, al prendere la forza elettro-motrice indotta dal cangiamento di posizione relativa di due elementi ds e ds', che formano parte di un corpo qualunque, proporzionale, come dianzi dicemmo, alla variazione cor- rispondente nel valore di d?E. Infatti, discutendo analiticamente il caso gene- rale dell’induzione, occorre di calcolare prima di tutto la forza elettro-motrice indotta, dalla variazione di posizione di un elemento del corpo indotto, nel- l'elemento stesso secondo le diverse direzioni . 29.° In un conduttore filiforme per la direzione della indotta forza elettro-motrice, in un suo punto qualunque, non rimane necessariamente che quella dell'elemento di curva del circuito; mentre in un conduttore di forma qualunque, ove in ogni luogo la induzione e la corrente può effettuarsi in tutte le direzioni possibili, anche le forze elettro-motrici si svilupperanno secondo tutte le direzioni stesse; e secondo una data direzione la forza ——t1_—__ ELETTRO-DINAMICA 107 elettro-motrice sarà la stessa di quella che avrebbe luogo in un elemento filiforme steso secondo la direzione medesima. Ora, sia che si adotti la formula (3'), sia che sì voglia adottare la ipotesi del Weber, o del Neumann, o crearne una nuova, l’espressione analitica di tal forza elettro-motrice sarà sempre sotto la seguente forma, la più generale che gli si possa dare, senza essere evidentemente sino dal bel principio in contraddizione coll’esperienza: (11) d°E — (a'P+b'Q+c'R)dsds' ove a', d', c' sono i coseni degli angoli che l’elemento indotto ds' fa cogli assi delle x,y, z, e P,0,R funzioni di x, y, 2, ©',y', z' coordinate di ds e ds', ma indipendenti da a'. d', c'. È facile rimarcare che combinando la precedente formula colla nota relazione dpi = 4., si trova che la direzione dell'elemento indotto d s', per la quale sarà massimo il valore della forza elettro-motrice è dato dai seguenti valori di a', d', c'; do, eolie lari Rif avendosi H=-V(P°+0*°+R?). Perciò il valore della massima forza elettro-motrice (d*E) sarà dato dalla formula, (d@2E) — Hdsds'. Così se p denota l'angolo che la direzione della massima forza elettro- motrice fa con un altra direzione qualunque, la forza indotta secondo que- st'ultima direzione, in quello stesso luogo del corpo, sarà pure data dalla formula d°E = Hcosp. ds ds'. La direzione secondo la quale sarà nulla la forza indotta, riescirà normale a quella della massima forza; e per avere la forza indotta secondo una direzione Scienze Cosmolog. T. III. 15 108 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE qualunque, basterà decomporre la forza massima secondo quest’ultima direzione, come in Meccanica si usa nel caso di una forza qualunque. Si rileva pure, sostituendo ad a', d', c' i lori valori, stadio vitosdyi sped: ORA pie che la (15) Pdx' +Qdy'+Rdz'—=0, è l'equazione differenziale di una superficie nella quale è nulla, in ogni dire- zione stesa sopra di essa, la forza elettro-motrice; e che essa superficie incon- trerà normalmente tutte le curve di massima forza, le quali saranno date dalle equazioni differenziali che dalla (12) si rilevano, ossia dalle Qda'— Pdy =o0 (14) Pdz'-Rda' =o Rdy'-Qdz'—=o0 Resta così evidente, di per se stesso, che nell’istante dell’induzione ri- marrà il corpo diviso da un sistema di tante superficie, di nulla forza motrice, che si succederanno nello spazio a distanze infinitamente piccole l’una dal- l’altra, e da un sistema (che sarà quello delle normali alle superficie stesse) di curve di massima forza elettro-motrice. È da ben ritenersi che tali sistemi saranno di lor natura indipendenti dalla forma e posizione del corpo indotto, da essi in tal modo intersecato, e che perciò si potranno, in certo modo, im- maginare come fissi al corpo inducente in un dato istante qualunque . 50.° Nell’istante dell’induzione l’eflusso elettrico sarà eccitato e ten- derà ad invadere il corpo indotto percorrendolo secondo un sistema di curve dalle (14) indicato. Posto che le (14) siano integrabili, sarà facile dedurre da esse e dalla (11), quale secondo le note leggi dell’Ohm debba essere lo stato elettrico U del corpo indotto, in un dato istante dell’induzione. Perciò si dovrà considerare il sistema delle superficie di nulla forza elettro- motrice intersecato da altri due sistemi, ortogonali fra di loro ed al primo sistema di superficie; le intersezioni dei nuovi due sistemi si compiranno se- condo il sistema di curve dalle (14) dato, ossia secondo le normali alle super- ficie di nulla forza. ELETTRO-DINAMICA 109 Così il corpo indotto verrà diviso in tanti canaletti infinitamente sottili, ma di sezione variabile, normali alle superficie di nulla forza, quindi diretti secondo le curve di massima induzione. Ciò fatto si calcolerà la diffusione delle correnti nel conduttore osservando che 'ogni elemento dei canaletti citati ci potrà, anzi ci dovrà, rappresentare una pila i di cui poli saranno infinitamente prossimi fra di loro, e posti sulle due estremità dell’elemento, lungo la curva direttrice del canaletto stesso; estremità che dovranno appartenere a due superficie di nulla forza in quel dato luogo del conduttore, ad una distanza uguale alla lunghezza dell'elemento del cana- letto considerato. In ogni luogo del corpo indotto di coordinate x,y, z, e in ogni direzione si dovrà, 1.° considerarsi la corrente indotta in quel luogo stesso; 2.° la somma delle correnti che vi circolano in forza della diffusione delle correnti indotte negli altri luoghi del corpo. Se dunque v è lo stato elettrico elementare in virtù dell’induzione eser- citata in un punto &', y', =', v sarà funzione di x', y', 2', e di x, y, 2 coordinate di un altro puoto qualunque di cui si considererà lo stato elettrico. Lo stato elettrico totale U si avrà integrando w per tutta la estensione del conduttore indotto. Parimente se F esprime la forza della corrente in quel tal luogo del corpo, secondo una data direzione, in forza della corrente indotta in un altro luogo di coordinate x', y', 2', l'integrale F esteso a tutto il conduttore darà la cor- rente totale che si trasmette secondo quella direzione stessa, in virtù della induzione esercitata in tutti gli altri luoghi del conduttore. Tal modo generale di calcolare la diffusione delle correnti indotte, non ha nulla d’ipotetico nello stato attuale della scienza. È infatti impossibile che senza un disequilibrio nello stato elettrico naturale di un elemento, senza che le sue estremità non siano ad una differenza di elettricità, vi sia eflusso 0 corrente lungo l'elemento stesso; siccome è impossibile che ciò succeda per “un.corpo qualunque di dimensioni finite. Ma avanti di continuare nel nostro principale soggetto, dobbiamo per la dovuta chiarezza, e miglior ordine in questi piccoli lavori, e non essendo abba- stanza nota ancora fra i Fisici la teoria dell’Ohm, e per far vedere come que- sta teoria è direttamente data dalla esperienza, e finalmente per rilevare alcune formule che ci saranno in appresso utili nella teoria dell’induzione, fare una breve digressione sulla teoria della propagazione della elettricità voltaica nei corpi condultori. 110 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 31.° Consideriamo dunque il caso di una pila, i di cui poli, od i reofori, siano applicati a due luoghi diversi di un conduttore. L'effetto di essa sarà di mantenere quei due luoghi ad una costante differenza di stato elettrico (*). Perchè a misura che tali stati si propagheranno nel conduttore, essi saranno continuamente rimpiazzati dalla elettricità della pila. Così in vicinanza del polo negativo sarà negativo lo stato elettrico, ed in vicinanza del polo positivo sarà positivo; fra i reofori, o poli, vi saranno dei luoghi allo stato naturale. Ma la legge colla quale detto stato varierà da un luogo all’altro, sarà indipendente dal tempo, e dipenderà soltanto dalla forma del corpo, dalla sua natura, e dalla posizione dei due reofori. Per dedurre le leggi della variabilità di tale stato, e della varia forza e direzione delle correnti che invadono il conduttore, la esperienza e non l'ipotesi (come dapprima fece l’Ohm) ci fornisce i seguenti dati fondamentali. I.° La forza della corrente che percorre una sbarra o filo omogeneo, di sezione costante, le di cui estremità sono in comunicazione colla pila, è pro- porzionale, 1.° alla azion chimica che ha luogo nella pila; vale a dire alla quantità di elettricità che riman libera nell’unità di tempo, nella pila stessa; 2.° alla sezione del filo, o sbarra che sia; 3.° alla lunghezza inversa del filo; 4.° ad un coefficiente, costante solo per tutti i fili o sbarre della stessa natura, il quale è chiamato coefficiente di conducibilità. II° Rimanendo costante la forza della pila, lo stato elettrico del con- duttore, e perciò la somma delle correnti che lo percorrono in un suo luogo qualunque, rimane invariabile col tempo. IIL.° La diffusione nell’aria della elettricità della pila, propagata nel conduttore, è nulla (almeno nei casi ordinari, ove non è immensa la così detta resistenza alla corrente voltaica). Sulla verità di tali dati è inutile il discutere, essi sono già acquistati alla scienza dalle esperienze del sig. Poulliet (**). Vediamo ora come da essi si può ricavare la espressione algebrica wu, della variabilità dello stato elettrico nei diversi luoghi di un corpo qualunque, riguardato, per più semplicità, omogeneo. (*) Intendiamo di lasciare a tale denominazione il significato il più generale possibile; nondimeno dobbiamo rammentare al lettore una memoria che il sig. Kirchoff pubblicò sull’interpretrazione del valore analitico di w. (**) Vedi Traité élementaire de Physique par M. Pouillet. ELETTRO-DINAMICA 111 92.° Sia (8) u=f(x3Y,2). Se isoliamo'col pensiero un elemento rettilineo ds di sezione do, nell’ inter- no del corpo, la differenza nello stato elettrico delle sue estremità di coordinate r+tdaxa,ytdy,z+dz sarà data dalla formula Applichiamo a tale elemento di lunghezza ds ciò che dianzi si è detto della sbarra, nei dati fondamentali, e si avrà la quantità di elettricità che nell’unità di tempo lo attraverserà da una estremità all'altra, ossia la forza F della corrente, data dalla formula, du F=-k719» k indicando il coefficiente di conducibilità. Ossia si avrà, dd. Mise Ao OS dx ip mega 7)» (15) pa kdo( essendo «, f,y gli angoli che la direzione di ds fa con gli assi coordinati. Non ci tratterremo a far vedere come si pone in calcolo il II° dato; giacchè esso calcolo è troppo noto, sino dalle prime teorie dell’idrodinamica, e in quelle ‘del calore. Quel dato ci conduce alla seguente equazione a differenze parziali; du du du 16 RA (6) de tag da Il ILI° dato ci dà evidentemente la condizione seguente, che deve verifi- (*) Vedi negli Annali del Poggendorff i lavori dei signori Smaasen e Kirchoff; ed una memoria del march. L. Ridolfi inserita nel giornale il Cimento, che si stampava in Pisa dal tipografo Rocco Vannucchi, 1847. 112 SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE carsi per la sola superficie del corpo, quando «,,y sono gli angoli che la normale alla superficie stessa fa con gli assi delle x,y, z: du du du 17 nia ai (14) di ori dre SO 0) Ecco esposte le formule fondamentali della teoria dell’Ohm; formule che sono un dato dell'esperienza, per quanto in questioni così generali, e di simil natura, è ragionevolmente da attendersi che l’esperienza direttamente ci guidi (*). 55.° È facile l’osservare che il valore di F diventerà il massimo, in un dato luogo del conduttore, quando la direzione della corrente farà} con gli assi coordinati, degli angoli determinati dalle equazioni 1d cosa — — — Vd avendosi dude da? ve al ie V (7a dy? d2:) ° (*) Si credè da taluni che per fare la teoria dell’Ohm, non si avesse a far altro che a modificare quella del calore. Considerando poi che la elettricità ha dei fenomeni di apparenze molto lontane da quelle del calore, si credè di potere, senza altro esame, coneludere che le formule dell’ Ohm non erano ammissibili . Ma in primo luogo è un fatto che le dette formule esprimono dati esperimentali. Ed è pure un fatto che tutte le applicazioni della teoria dell'’Ohm hanno esattamente corrisposto all'esperienza; ed in modo tale che per ora da nessuna teoria in Fisica è stato raggiunto. Ne sono testimoni le esperienze del sig. Kirchoff in Germania, del sig. Matteucci e di altri. Non parliamo di quelle del sig. Pouillet, perchè, esse servono come dati fondamentali. È soprattutto da rimarcarsi che le esperienze del sig. Kirchoff, sulle linee di ugual stato ‘elettrico, non sono semplici verificazioni di valori numerici, dedotti dalla teoria, ma trattano della forma di tali linee o superficie, determinabili col massimo rigore dall’ espe- rienza; per cui non i valori numerici, più o meno approssimati ai valori dati dall’esperien- za, i quali alla lor volta sono più o meno approssimati .alla verità, ma la forma algebrica di una funzione si può verificare . La teoria del calore è, da dei matematici? distintissimi, classata, come una delle branche principali della Fisica-matematica; eppure essa è ben lontana dall’ avere, come quella di Ohm, esperienze così precise e chiare°che la appoggino, o che gli servano di verificazione : ed essa, forse, deve l’esser tenuta a tanto onore, più che ad altro, ai celebri lavori di ‘analisi matematica a cui diede origine. ELETTRO-DINAMICA 113 onde tal massimo valore sarà il seguente: F_=- kdoV. E si osserva ancora che la direzione del massimo eflusso sarà normale alle superficie la di cui equazione è u= f(x,Y, 2) = costante — e; ossia normale alle superficie di ugual stato elettrico. 54.° Applichiamo le precedenti formule al caso di un disco omogeneo sottilissimo, sovra del quale siano applicati i poli di una pila. Prendiamo l’origine delle coordinate nel centro del disco, e le 2 verticali, e sia L il raggio del disco. Allora le (15), (16), (17) si ridurranno alle seguenti, du du p=ae kdo(7,%82+ 7, 00f). du du du du (19) gi ref hezio essendo reati - Il sig. Kirchoff dimostrò già, e seguendo la teoria e confermandola col- l’esperienza, in un suo elegante lavoro che nel caso di L — co, 0 in quello in cui i reofori fossero applicati sulla periferia del disco, il valore di « veniva espresso come segue; (20) u=klogî,, r, ed r, essendo le distanze di un punto qualunque dai reofori o poli della pila. Così noi per brevità rimandiamo il lettore al dottissimo lavoro di quel distinto Fisico. È però facile di avere una formula più generale della 20; e noi la dedur- remo partendo appunto da quest’ ultima. 114 SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE Nel nostro caso, in cui L ha un valore finito, la (19) si ridurrà alla seguente, du de 00 perr=L. Sia xr=rcosò , y=rseny, e facciasi, i=0 i=% b i a 2 i i u=klog + da A rcosa (f_e)— di B rcosb.($4—e). n, iz1 (6) i=1 (1) hi Vediamo se con quelle due serie aggiunte al valore di v, nel caso di L — o, ci riesce completare detto valore in modo che soddisfaccia ad un valore qualun- que di L; Arata ea È essendo costanti da determinarsi dalla (19) per un valore qualunque di %. Altra condizione non rimanendo da soddisfare, essendochè la w soddisfa con ogni suo termine parzialmente alla (18). Siano p , p, le distanze dei poli della pila dal centro del disco; 6, 6, , gli angoli di p e p, con l’asse delle x. Ciò posto, la condizione (19) ci condurrà alla equazione seguente, la quale dovrà essere soddisfatta per qualunque valore di $ ; = 3x( L — pcos(p-0) Sena. = L? -2pLcos(y-9)+p? L*-2p Lcos(y-9,)+p}? ji=0 j= 0 È a.-1 È b,—1 = Dia rimor I von in i 0) î FETATAAIO) i avendo osservato che si aveva, per r — L, rt = L*-2pLcos(f-0) +? , n? =L*— 2p Lcos(y-9) + p°. u ELETTRO-DINAMICA 115 In forza della nota serie generale seguente, p_-qcosp iI q Na pi= 2qpcos9 + @ pergA St II gain SI TOI ORE 3 per determinare le nostre costanti saremo condotti alle equazioni E [) 9 ej(==0, 9 = ’ bi =:d e pî ni — 9 \ Ao 2k Tri ) Bo=+ 2krai: Così da ciò risulterà, 2 2 2 ‘un blog! —2k(%008(4-9) + ET 0082 (4-9) + SÙ] U 2A - pr 2p2 +2% Ta 008 (V—9) + 7 cos 2 (4-0) + 9 Ma i termini compresi fra le parentesi sono facilmente sommabili, essendo nota la formula generale, lo - = di 0s È 5 1-2sc0sp+s — 2 ot att così il valore di y cercato si ridurrà alla formula seguente, da nè (L'— 2pL?rcos(y—0) + pr?) 1) = lo8 E (L= de, Lr cos(p= 0) + pin) | Quando L= co, il valore di w si riduce di nuovo alla stessa forma della (20) quando i poli si trovano sulla periferia del disco, ossia come quando si ha ge,= p= L; risultati conformi alla esperienza. 55.° È facile ancora l’applicare la teoria dell’Ohm al caso di una sfera , omogenea. Allora la equazione di condizione (17) si ridurrà alla seguente, d 2 a =0 ,perr=L, raggio della sfera. Scienze Cosmolog. T. III, 16 116 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Il calcolo in questo caso è perfettamente analogo al precedente; noi però non ci dilungheremo di più su questo argomento; ci basti d’avere accennato le principali applicazioni della teoria dell’Ohm, le quali in seguito ci torneranno utili; del rimanente rimandiamo alla memoria del sig. Kirchoff, alle memorie citate in nota e principalmente a quella del sig. L. Ridolfi, ove si troveranno anche esposti i lavori dello stesso sig. Kirchoff, e del sig. Smaasen. Nel caso della sfera, se r, , r, hanno lo stesso significato di dianzi, come pure p, ; € py5 € se g, € 9, sono gli angoli che la r, distanza di un punto qua- lunque dal centro della sfera, fa con p, e f,, , si avrà va (E eta avendosi, R°=L‘— 2prL?cosp + p?r?, Be=1f “> 2 p,r L? cos 9, + per. È indefinito l’integrale contenuto nella precedente formula, ma è indiffe- rente l’aggiungervi o nò una costante, giacchè essa non potrebbe influire nelle derivazioni, le quali secondo la teoria dell’Ohm ci darebbero la intensità della corrente, in un dato punto qualunque del conduttore. D'altronde detto inte- grale si può facilissimamente ottenere secondo le note formule comuni. 36.° Le precedenti formule non possono dare il valore di ai poli. Infatti per i punti ove la pila è direttamente in comunicazione col conduttore vi è soluzione di continuità. La costante %X va però determinata sommando le correnti che da un polo all’altro traversano il conduttore; e ciò si farà age- volmente, giacchè tal somma sarà quella delle correnti che traversano una qua- lunque delle superfici di, egual stato elettrico. E si sceglierà per eseguire il calcolo, quella superficie che presenterà minori difficoltà analitiche. 57. Dalla formula (21), nel caso del disco, è utile frattanto, riflettendo a ciò che si disse al paragrafo 50.°, il rilevare quella relativa al caso in cui i due reofori sono vicinissimi fra di loro. Tal formula ci sarà utile anch'essa in seguito. Sia A la distanza fra i due detti reofori, o poli; R la distanza del punto di mezzo di A dal centro del disco; 9 l'angolo di R con l’asse delle x; e l'angolo di A con lo stesso asse; trascurando le seconde po- ELETTRO-DINAMIEA 117 tenze di A, la formula (21) si cangierà nella seguente, u—zkAv, avendosi, @ __ Rcos(p—e) — rcos(e-y) Rr?cos(p—) — L?rcos(e—-y) ) “= R°+r°- 2rR cos(p- 4) L'—2L?rRcos(p—y) + r?R?° 58.° Secondo quello che dicemmo nei paragrafi 29 e seguenti, per calcolare le correnti che invadono un conduttore indotto, si dovrà procedere come segue: 1.° Ricavare dalla equazione differenziale (11) l'equazione generale delle superfici di nulla forza elettro-motrice. 2.° Aggiungere a quel primo sistema di superfici, altri due sistemi che facciano insieme al primo un sistema di tre superfici ortogonali, che dividerà il corpo conduttore in tanti elmenti di volume infinitamente piccoli. 3.° Considerare ognuno di questi elementi come polarizzato nella direzione normale alle superfici di nulla forza; ossia come se fosse una pila i di cui poli fossero sulle due facce dell’ elemento che sono formate dalle due superfici di nulla forza, infinitamente prossime fra di loro. Abbiamo chiamata, per brevità di discorso, tal pila pila elementare. 4.° Prendere la forza della pila elementare proporzionale alla forza elet- tro-motrice indotta nella direzione della pila stessa; la qual forza elettro-motrice, sarà la massima, fra tutte quelle che possono aver luogo secondo tutte le altre direzioni, in quel luogo stesso del conduttore. 5.° Dedurre lo stato elettrico del corpo dalla somma degli stati elettrici che le pile elementari, di numero infinito, propagano nel corpo stesso. 6.° Calcolare, secondo sempre la teoria dell’Ohm, la corrente che attra- versa un dato luogo M, secondo una data direzione, in forza della diffusione delle correnti indotte negli altri luoghi, dallo stato elettrico già calcolato del corpo stesso. 7.° La corrente indotta in quel luogo M, si avrà direttamente dalla for- mula elementare (11) dell’induzione. Tale è il metodo generale che secondo quello che ci è sembrato si pre- senta da se medesimo considerando le condizioni generali del fenomeno, colla scorta di quelle cognizioni esperimentali che per ora possediamo, e che quindi, a preferenza d’ogni ipotesi, deve essere per il primo posto alla prova. Se egli dovrà essere modificato, e come lo dovrà essere, starà all’esperienza l’indi- 118 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE carlo. E come tal metodo debba essere, per comprendere il fenomeno in tutti i suoi dettagli, e nella sua generalità, completato, noi più avanti accenne- remo; ma frattanto, siccome egli pone.in calcolo, se non tutte le circostanze, almeno le più influenti e date dall’esperienza, noi saremo sicuri di aver meto- dicamente progredito nella discussione analitica del fenomeno, quando avremo fatto un confronto fra i primi risultati di quel metodo stesso coi dati del- l’esperienza. D'altronde nessun reale vantaggio trarremmo, introducendo in calcolo delle considerazioni, che, in ogni modo, non essendo le essenziali, non costituendo i cardini della teoria, non dovrebbero influire sulla discussione la più generale del fenomeno; ma complicherebbero però le formule in modo tale da rendere impossibili i calcoli, anche per quei casi particolari in cui, per ora, ci è dato di condurli a termine. 59.° Nel caso generale dell’induzione, vi è un caso particolare che ha il vantaggio, non solamente di rendere facile l’ applicazione del calcolo, ma ancora di presentarsi con una semplicità tale dal lato della sua fisica inter- pretazione, sul modo secondo il quale bisogna intendere che le correnti indotte si propaghino nel conduttore, da non lasciare alcun dubbio sui resul- tati che trarremo dal calcolo. Talchè quei resultati non solamente rimarranno di per se stessi chiari e certi, in ogni modo, nello spirito, ma saranno di appoggio al metodo che più generalmente abbiamo detto. Tal caso è quello in cui il sistema delle superficie di nulla forza sia dato dalla equazione generale differenziale (15), ossia dalla o=Pdx+Qdy+Rdz, tale che essendo f una funzione di x,y, , si abbia Lago lin topa midtotì i dyrgì Dudts e che f soddisfi alle note relazioni (16), (17) della teoria dell’Ohm. Infatti se in un conduttore ove gli stati, dati dalla funzione w qualunque, sono in equilibrio dinamico, si considera la facoltà che ha ogni elemento di propagare il fluido od elettricità, agli altri luoghi del corpo, vale a dire se si considera ogni elemento del corpo come una sorgente continua di fluido, ossia come una pila elementare, costante nella direzione della linea polare e nella intensità, data dalle formule del paragrafo 55° che danno la intensità e dire- zione del massimo eflusso per mezzo della stessa funzione u, è evidente che lo stato elettrico in un luogo qualunque, risultante dalla somma degli stati ELETTRO-DINAMICA 119 elettrici che gli sono trasmessi in virtù di tutte le pile elementari di cui il corpo è composto, si ridurrà, calcoli fatti, ad essere espresso dalla stessa funzione w dalla quale si sarebbe primitivamente partiti; che se altrimenti succedesse l'equilibrio dinamico non avrebbe potuto essere dalla w espresso. Ora si rifletta che le operazioni analitiche che secondo il paragrafo (30) dovremmo fare partendo dall’integrale della (15), (il quale ora, nel caso discusso, soddisfa anche alle condizioni imposte alla teoria d’Ohm per poter esprimere uno stato elettrico in equilibrio nel conduttore) per trovare secondo le teorie dell’induzione il valore dello stato elettrico variabile nel corpo indotto, sono quelle stesse operazioni che avremmo a fare per passare col calcolo, come dianzi dicemmo secondo la teoria dell’Ohm, dalla considera zione di tutte quelle pile elementari di nuovo al valore dello stato elettrico generale del corpo stesso. Quelle operazioni saranno d’altronde eseguite sugli stessi valori algebrici; talchè si può concludere che stando al metodo del paragrafo (30), calcoli fatti noi in questo caso particolare saressimo ricondotti, per esprimere lo stato elettrico variabile, alla stessa funzione u, che è l’inte- grale della (15). Tal fortunata coincidenza, ci dispenserà dal tentare l'esecuzione di cal- coli talvolta impraticabili. In tal caso lo stato elettrico del corpo sarà dato dalla equazione generale u=f(£,4, 2). Egli è vero però che se la f, dovesse anche verificare la (17) non avres- simo che troppi pochi casi da considerare, e pretenderessimo di essere troppo fortunati. Ma siccome tutti i nostri sforzi tendono, non già a delle generalità algebriche, ma a ravvicinare sempre il calcolo a delle esperienze facili, od almeno di non grande difficoltà, così potremo in molti casi far a meno della (17) trattando quelli pei quali la corrente indotta nei luoghi prossimi alla superficie possa considerarsi come nulla, o trascurabile. Nel summentovato caso le forze elettro-motrici indotte si fanno equilibrio secondo la legge dell’Ohm; vale a dire che la corrente indotta in un luogo qualunque del corpo è uguale e nella stessa direzione di quella che deve circolarvi in virtù della diffusione delle correnti indotte negli altri luoghi del corpo. O, diremo in altri termini, che lo stato elettrico risultante dall’ indu- zione in tutti i luoghi del corpo dà un sistema di correnti diffuse eguale e sovrapposto a quello che è indotto nel corpo stesso. 40.° Analizziamo il caso delle correnti indotte da una istantanea cala- mitazione di una sbarra cilindrica, sottilissima e normale ad un piano conduttore 120 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE che si possa considerar infinito, ma sottilissimo egli pure, qual sarebbe un foglio di stagnola. Supporremo ancora che detta calamita tocchi il piano, od almeno vi sia ad una distanza piccolissima, con uno dei suoi poli, mentre l’altro polo si possa considerare ad una distanza infinita. La forza elettro-motrice indotta in un elemento filiforme ds' dall’istanta- neo passaggio di una corrente in un anello, la di cui area estremamento pic- cola sia w, ed r, la distanza del centro di esso dal punto di mezzo dell’ele- mento ds', indotto; «' l'angolo che la direzione di ds' fa con la normale al piano che passa per r, normalmente all’anello; p, la distanza di ds' dalla nor- male al piano dell’anello che passa per il centro di esso; tal forza elettro-motrice sarà espressa da dE — At ds", (po secondo ciò che si disse nel paragrafo 16.° A è una costante, ed il segno — indica che la forza indotta è in senso contrario alla inducente. Tal formula servirà ancora nel caso dell’istantanea calamitazione o polarizzazione di un elemento magnetizzabile. Se a, b, c, a', d', c' indicano i coseni degli angoli che l’asse che passa per il centro, ed è normale, all’anello, e ds' fanno respettivamente con gli assi delle ©, y, 2 si avrà, x, y, 2, ©'; y', 2' essendo le coordinate del centro dell’anello e di ds', s \VOSIIRMINESINRBMERDEL 7 SPIA ARSA MORI YI CCR MAN ni 08) MI TIE clean Vi) 3 bi ui r, ove re= (ea) + (Y-y}+(-2P. Nel nostro caso, prendendo le z verticali, e il piano indotto per quello delle xy, avremo 24 a anal) 95 Tr, Onde avere la forza indotta E dalla calamitazione istantanea di tutta la ELETTRO-DINAMICA 121 calamita, si moltiplicherà la precedente espressione per dz, e si integrerà da z=0, a z—= 00; onde i e fipd:- As gg) = » A A EE, La precedente espressione prenderà il suo massimo valore quando la di- rezione ds' sarà determinata dalle equazioni fedi lr dr Vaza'}+ yy) °° VazaP+ (y=y” ed il valore della forza massima (E), la quale secondo tal direzione avrà luogo, sarà dato dalla formula €) = Aods' È 5 U avendosi re=(-2P+y-y?. La equazione generale delle linee di nulla forza sarà la seguente (y-y)dx — (c-x)dy' 0 Così, come era facile il prevedere, le curve di massima induzione sono tanti circoli che hanno il loro centro comune nel piede della calamita; e quella di nulla forza rette che partano da detto punto o centro. Si troverebbe nullo lo stato elettrico risultante nel piano dalla diffusione delle correnti indotte; cosicchè in ogni luogo del piano stesso non vi saranno altre correnti da considerarsi che quelle che sono propriamente indotte nel luogo stesso. Questo è uno dei casi nei quali può essere un corpo percorso da correnti elettriche, sempre rimanendo nel suo stato elettrico, totale, allo stato naturale. Ciò non deve far meraviglia, il caso di una pila composta da un numero qualunque di elementi, come si suole ordinariamente, ma senza filo conduttore che ne congiunga i poli, essendo questi riuniti direttamente, è pure un caso nel quale gli stati elettrici elementari che nascono da ogni cop- pia parzialmente, formano uno stato elettrico totale nullo nell’intiero circuito. 122 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE L'azione elettro-dinamica del piano si avrà dalle note formule dell’Am- père; ed ognun sa infatti, che la presenza delle correnti indotte è riconosciuta dall’azione elettro-dinamica, che nell’atto della chiusura del circuito voltaico, o della istantanea calamitazione, si sviluppa in questo caso fra esso piano e la calamita inducente. 41.° Supponiamo ora che la detta calamita o sbarra, rimanga perma- nentemente calamitata ed immobile, e che le correnti siano indotte in forza del moto rotatorio del piano conduttore intorno l’asse delle 2. Secondo la prima memoria, al paragrafo 8.°, la forza elettro-motrice in- dotta, E', secondo la direzione dell’elemento ds', durante una sua variazione di posizione infinitamente piccola, relativamente alla calamita, in forza della rotazione del piano al quale l'elemento appartiene, sarà proporzionale alla corrispondente variazione della formula (15). Facciasi dunque x=lcosp , y=lsenp. l nel nostro caso, distanza della calamita dal centro di rotazione, rimarrà costante. Differenziando relativamente a g la (15), quindi per semplicità facen- dosi gp = 0, il che varrà lo stesso che prendere l’asse delle x sulla retta che congiunge il piede della calamita col centro di rotazione, si avrà per il valore di tal differenziale, ossia per E' a (= -y°) — 20'0-2)y E'— Aoldods' - i ((eeraage td sarà la velocità di rotazione della calamita relativa al piano, o vice- versa. Facendo r,î — (1— x? +y'?, e cangiando a' e b' in da dy 474 030 ds la equazione delle linee di nulla forza motrice, sarà la seguente e la ELETTRO-DINAMICA 123 sarà l’equazione delle linee di massima induzione. Ed il valore della massima forza elettro-motrice indotta (E') sarà pure il seguente, (26) (E) = Avtdp as 1. L’integrale delle precedenti espressioni differenziali è facile ad ottenersi, e si ha per l’equazione generale delle linee di nulla forza, (27) (i-2f+y=2p, (0-2); e per l'equazione generale delle linee di massima forza, (28) (1-2)? ava i 2p,Y - £, € p, essendo costanti, variabili però passando dall’una all’altra linea. Così le linee di nulla induzione sono circoli di raggio p, che hanno i loro centri sull’ asse delle x; e le linee di massima induzione sono circoli di raggio p,, che hanno i loro centri sull’asse che passa per il piede della calamita e che è normale alle x; tutti questi circoli passano per detto piede o polo della calamita. i 42.° Diamo ora un esempio di applicazione del metodo dianzi esposto; supponendo dapprima per più generalità che il piano conduttore non sia infi- nito, ma sia un disco di raggio L il di cui centro coincida con quello di ruo- tazione. Se la velocità di ruotazione del nostro disco è estremamente piccola in confronto di quella colla quale si estingue una forza elettro-motrice indotta; e se il nostro disco, come infatti ora succede, si presenta sempre nello stesso modo davanti alla calamita inducente, l'elemento ds' verrà ad ogni istante rimpiazzato da un altro simile elemento indotto, il quale nell'istante prece- dente avrà di già avute sviluppate e neutralizzate le sue polarità, mediante la conducibilità del disco stesso. Così lo stato elettrico generato in un dato istante e neutralizzato nel disco, si tornerà nell’istante seguente a riprodurre, e di nuovo a neutralizzarsi, per la successiva induzione sopra un tale elemento ds'; il quale potrà essere supposto appartenere al piano delle xy fisso; riferendo la distribuzione delle correnti e dello stato elettrico, in un tempo qualunque, al piano stesso delle xy, immobile insieme colla calamita durante la ruotazione del piano materiale indotto. Scienze Cosmolog. T. III. 17 124 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Se uniforme è la ruotazione del piano, il prodotto 7 dg sarà indipendente dal tempo. © Secondo il nostro metodo l'elemento ds' dovrà esser supposto nella dire- zione della massima induzione ; la forza elettro-motrice indotta sarà dunque ds' e me avendo posto u = A©ldgp, ove w è la sezione della calamita. ds' essendo la distanza variabile fra due linee di nulla forza, ossia l'elemento della linea di massima forza che passa per il punto di coordinate x',y', e dA essendo l'elemento della linea di nulla forza, ds' d) sarà l'elemento di superficie del piano indotto. Se wu è lo stato elettrico elementare del disco, in forza del- l’induzione sull’elemento di superficie ds' d2, si avrà u=pds da, IL v essendo determinata nel paragrafo 57.° La corrente che in forza dell’induzione nel punto di coordinate x', y', si propaga secondo una direzione che fa con gli assi coordinati, delle x,y, gli angoli «,, in un punto del conduttore di coordinate £,%, sarà data dalla formula, de essendo l'elemento di curva qualunque che si suppone traversato dalla corrente F, e che è normale alla direzione di essa corrente. r, è indipendente da È e è. Sappiamo già che la derivata di v, è quindi F, è nulla per una direzione normale alla periferia del disco, quando re — L, raggio del disco. Lo stato elettrico totale del disco sarà dato dalla formula o (29) v=sff ad, e la forza della corrente che attraversa quel luogo stesso di coordinate É, &, in virtù delle correnti diffuse dagli altri luoghi del disco sarà dato da ———m—m__—___——=««««î©» ELETTRO-DINAMICA 125 (30) F=—pdo(cosaff 00, di +onsef f REL) estendendo gl’ integrali a tutta la superficie del disco. Nelle formule (29), (50) precedenti, che unitamente alla (26) risolvono in questo caso il problema, devono essere indipendenti dai limiti delle integrazioni le variabili per le quali vanno eseguite le differenziazioni accennate dalle (16), (17). 45.° La integrazione delle (29), (50) sarebbe possibile ma pure assai faticosa nel caso in cui L conserva nel calcolo un valore finito. A noi però basta di condurre a termine la soluzione del problema per il caso di L — co. Allora il valore di v diverrà assai semplice, ed i limiti di una prima integra- zione saranno indipendenti dalla variabile per la quale si dovrà effettuare la seconda. Risolvendo le (27), (28) si troverà 92 2 9 2 l- rx = —_ 3 y= abtina, BP + Pu PI + Pu Il valore di ds' si potrà ottenere derivando le precedenti equazioni relativa- mente a p,; quindi si avrà, ds'=V(dx'3 + dy'?) — —- Ro; oppure di'= ca Pi Ed osservando che si ha ré=2p(-2), avremo, u=as f fesa. \ Se L= co, sarà __rcos(e- 4) — Reos(p—e) — R*+ r? — 2Rr cos(p—Y)” 126 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE ma quest’ultimo valore può esser posto sotto la forma , PRI p, — hcos(®—- 0) j si pe — 2hp,cos(o—0) + kh? h essendo la distanza del punto di cui si considera lo stato elettrico dal cen- tro della linea di nulla induzione, di raggio p,; o l'angolo di A' con l’asse delle x, l'angolo di p, (linea che congiunge il punto di mezzo della pila elementare col centro della linea di nulla induzione ) con l’asse stesso delle x. Così per ultimo, facendo dA = p,do', e w\ = @— a, sarà, Ria ZE °dp fe p,—- hcos(W- 0) se 9 \ \ \ ber Li RENI p=0 0 Ma l'integrale definito p,— h cos v' do' dee 2p,h cos w' + h? 0) (?) 2T è nullo da p, = 0, a p.= Ah; ed è uguale a — da p,= R, a p,= co; onde avremo così conservando per p,, dopo,l’ integrazione, il suo significato generale, sì porrà — 92 1 05 l_x 4 (31) = Fo TE e gar) x ed y ora indicando un punto qualunque del disco. La precedente formula dovrà essere considerata come una prima appros- simazione nella valutazione del fenomeno. 44.° Nel caso dianzi analizzato le linee di nulla induzione corrispon- dono a quelle di ugual stato elettrico; e siamo precisamente nel caso particolare citato nel paragrafo 39.°; il qual caso sussiste ancora per un numero qualunque ELETTRO-DINAMICA 127 di calamite esattamente simili alla precedente, vale a dire normali al piano indotto che toccano con un loro polo, essendovi coll’altro ad una distanza infinita. Infatti se le coordinate dei poli di quelle calamite sono respettivamente It YEAR RUN OSE ai Tn, Un) etc... . la forza elettro-motrice indotta, da un istantanea calamitazione delle calamite stesse sarà espressa dalla formula seguente, che facilmente si ottiene, _(10G-M) = Ve) dm) E = fi È n? ar ky Tia + ete. } ds' avendosi ryî = (en—-? + (yn—x'?, e Xn essendo una costante dipendente dalla magnetizzazione, e dal polo della calamita che rimane in faccia al piano indotto, relativamente però alla sola calamita alla quale la costante stessa si riferisce. Quindi per avere la forza elettro-motrice indotta E,, i rotazione del piano, si farà generalmente Xn=lnC059n (> Yn=InSeNpn ed in ognuno dei termini, dei quali la precedente formula è composta, e che rappresentano respettivamente l’azione di una delle calamite, si farà variare l'angolo pn della stessa quantità d9; così si avrà, eseguendo tale differenziazione, — (i dA Luo) (ad Lu; E,=dpds' {4 (a PV) + (e +) teo. essendo Tn=%n(tn—x) + 24n (Un—y') (En- e) — Tn (Un Ty), Va = Yn(Un—y)? +2%n (cn) (Un —Y) — Yn(en—®), perciò la equazione differenziale generale delle linee di nulla forza sarà la seguente, (Du a) +(Zhn eyz. 128 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Ma l’integrale generale di questa equazione differenziale è la funzione Ta (en —y i n (Cn i ”). n la quale soddisfa anche alla (16). Così, secondo quello che si è detto nel pa- ragrafo 39.°, se le calamite inducenti sono abbastanza lontane dal bordo del disco ruotante, lo stato elettrico del disco o piano indotto, sarà pure espresso dalla formula Xn (Cn 2) + Un (Un=% LA) n (€n il v) n (52) Se In è la distanza del polo di una calamita qualunque dal centro, si avrà In = tn +Un > ed il coseno dell'angolo che la rn, distanza di un punto «', y' dal polo della ennesima calamita, fa con la /,, sarà dato da Xn i dna + À : In—y' cos (Pn ’ In) = Da r Ai Ta n onde, si potrà anche scrivere 608 (tn 3 In) n= DI bt COS (#n 3 În) È Tn Passiamo ora a discutere i primi due o tre casi pei quali si presta la formula (32). 45. Nel caso di una sola calamita lo stato elettrico è dato, come ve- demmo, dalla formula t-x —=395 ——_; U "east +y? e le linee di ugual stato elettrico sono date dalla stessa equazione delle linee di nulla forza; cioè da (af +9 =2p,(l1-2). Così le linee dei massimi flussi saranno date dalla equazione (1-2) + ua 2p,Y- ELETTRO-DINAMICA 129 Le correnti indotte in ogni luogo del piano, hanno la stessa direzione ed intensità delle correnti che si propagano nel luogo stesso in virtù della indu- zione negli altri luoghi. La normale alla linea che congiunge il polo col centro di ruotazione, nor- male che passa per il polo stesso, è il luogo geometrico di due sistemi di cir- coli; l'uno dei quali sistemi corrisponde alle y, positive (ed allora p, costante che nasce da una integrazione è positiva) e l’altro sistema corrisponde alle y negative (ed allora p, va preso negativo). Tali due sistemi passando tutti per il polo, sono tangenti l’un l’altro nel polo stesso ed all'asse polare, cioè quello che congiunge il polo col centro di ruotazione, ossia in questo caso all’asse delle x. Le correnti nei due sistemi sono dirette in senso contrario fra di loro; perciò dove i due sistemi si toccano, sull’asse delle x, camminano nello stesso senso, e formano un fascio di correnti che passa sotto il polo; è perciò hanno un azione elettro-dinamica diretta, per tutti e due i sistemi, a muovere la calamita nello stesso senso della ruotazione del piano. La linea normale all'asse polare, sul polo, è una linea di zero stato elettrico. 46.° Nel caso di due calamite di nome uguale in faccia al disco, e di forza uguale, sull’asse delle x coi loro poli, ad ugual distanza dal centro di ruotazione si avrà nella (32) U=4(£ “i p 2 Ù il ù avendo, r8=(I-2f+y , n= (4a) +9. Dai valori generali di dU s dU dx' 9 dy' secondo la teoria dell’Ohm si dedurrebbe che le correnti formano anche in questo caso due sistemi o vortici per ogni calamita l'uno dal lato delle y posi- tive l’altro da quello delle y negative. Così si hanno quattro vortici. Le dire- zioni delle correnti in questi vortici sono in senso contrario per ogni cala- mita; di modo che formano sull'asse delle x dove si toccano tangenzialmente, sotto il polo di ogni calamita, un fascio di correnti che percorre l’asse stesso; 130 SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE e le azioni elettro-dinamiche dei vortici che restano l’uno verso le y negative, e l’altro verso le y positive, si sommano per muovere le calamite nel senso stesso del piano. Le linee di zero stato elettrico saranno in questo caso date dalla equazione = ta%=)y255 cioè saranno parabole equilatere. 47. Nel caso di due calamite disposte come le precedenti ma coi poli di nome contrario in faccia al disco, si avrà, Le conseguenze che se ne trarranno saranno esattamente simili alle precedenti, eccetto che le linee di zero stato elettrico saranno date dalla equazione, cia y212MA) = Così l’asse delle y, normale all’asse polare, nel punto di mezzo fra i poli, sarà una linea di zero stato elettrico. E sarà pure una linea di zero stato elettrico il circolo che passa per i poli, e che ha per raggio la loro media distanza. 48.° Si potrebbe, come ognun vede, continuare la discussione della (52); o cercare attenendosi al caso indicato nel paragrafo (59) di determinare la forma delle correnti anche nell’ induzione all’aprirsi od al chiudersi del cir- cuito voltaico; a noi però basta di questo secondo caso l'aver approfittato per fare vedere, con un esempio, come possono esservi correnti indotte senza che vi sia stato elettrico variabile in un conduttore. Per così ben distinguere le correnti che percorrono un tal luogo di esso corpo indotto, perchè provengono dalla diffusione delle correnti indotte negli altri luoghi del corpo, dalle correnti che sono indotte nel luogo stesso (*). E frattanto da rimarcarsi che la spiegazione delle azioni elettro-dinamiche che si sviluppano nei casi trattati, si deve alla forma dei vortici, dianzi citati; e non già al fascio di correnti che traversano il piano, passando sotto il polo, lungo l’asse polare. Che quelle azioni elettro-dinamiche debbano, per correnti o vortici di tal forma avere tale effetto, si può sempre dimostrare, come, (*) La distribuzione dello stato elettrico si riferisce al primo genere di correnti. ELETTRO-DINAMICA 131 per il primo fece il Prof. Matteucci, per l’esperienza del disco ruotante di Arago (*). Resterebbe però a vedere, se la legge secondo la quale quelle azioni elettro-dinamiche variano, al variare della distanza della calamita dal centro di ruotazione, corrisponde colla esperienza. 49. A volere però più esattamente analizzare il fenomeno converrà, 1.° tener conto del tempo dalla forza inducente impiegato per sviluppare la forza elettro-motrice; 2.° tener conto della durata di detta forza, ossia del tempo da essa im- piegato per estinguersi. Ma qui entreressimo in considerazioni, che per quanto fossero di proba- bile verità, sarebbero pur sempre ipotetiche. E però forza ammettere, nello stato attuale della scienza, che tali tempi o durate sono piccole, ma sensibili, cosicchè è d’uopo di prenderle come fatti, e in teoria accettarne le conseguen- ze. Il sig. Verdet nelle sue belle esperienze sull’induzione ha dimostrato con la più grande evidenza tale influenza del tempo. E il Prof. Matteucci, nel Corso dianzi citato, lo dimostrò pure ultimamente, servendosi del solo disco ruotante di Arago e per mezzo delle correnti che si ottengono al galvanometro appli- candone a tale disco indotto gli scandagli . Nel fenomeno generale, fino a che la velocità relativa non è grandissima, tale circostanza od influenza di tempo, non è che accessoria e trascurabile per un primo esame generale del fenomeno. E noi non abbiamo creduto utile di complicare per ora senza alcuna diretta utilita le formule, già assai complicate per confrontarle colle esperienze. 50.° Se nell’applicazione del metodo per trovare la diffusione delle correnti indotte in un corpo di forma qualunque, data che sia la legge secondo la quale varia la forza elettro-motrice, abbiamo fatto uso della sola formula (3'), ciò non è stato perchè a ciò ci stimassimo direttamente autorizzati dalla espe- rienza; allora quest’ultima non aveva ancora deciso, non solo, ma non pre- pondeva nè in favore nè contro a tal generalizzazione, e noi volemmo solamente osservare se essa era ammissibile . E per la verità i resultati che finora abbiamo ottenuti sono d’ accordo coi fatti conosciuti, sulla direzione delle correnti indotte. Vale a dire che le azioni elettro-dinamiche che si svilupperebbero secondo i nostri calcoli, sono dirette .nello stesso senso di quelle che sappiamo svilupparsi nelle esperienze. È frattanto evidente che fino a che tale generalizzazione sarà trovata concorde nei suoi risultati coll’esperienza, sarà almeno contrario ad ogni buon principio filosofico il volere seguire delle formule puramente ipotetiche . (*) Cours special, pag. 115. Seienze Cosmolog. T. III. 18 132 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 51.° Ma vi sarà chi ci risponderà che si posseggono già delle teorie della induzione, le quali oltre al comprendere i fenomeni relativi ai circuiti chiusi e filiformi, si applicano ai circuiti aperti, e ci danno la spiegazione di un fatto che non può esser compreso nelle formule fin ad ora qui stabilite. Quelle teorie sono dei signori Weber e Neumann, e il fenomeno di cui si tratta è quello che dal Weber fu chiamato induzione unipolare, e dal Matteucci induzione assiale, e che è infine comunemente conosciuto come quello delle correnti che si sviluppano facendo ruotare una calamita attorno al proprio asse, e tenendo gli scandagli del galvanometro fermi, l'uno sul mezzo, e l’altro su di un polo della calamita. Se secondo i nostri deboli mezzi, avessimo creduto che veramente le for- mule di quelle teorie avessero una tale superiorità sulla (3'), avremmo preferito di seguirle, a modo di prova. Ma, prima di tutto, nessuna di esse ci è sem- brata, per ora, atta a comprendere il fenomeno sopraindicato, dato dalle cala- mite ruotanti; in secondo luogo, si rifletta che quelle teorie sono fra di loro essenzialmente differenti, e ad onta che abbiano molto a comune (la formula d’Ampère) nella generalità dei casi non potranno essere vere ad un tempo. Finalmente aggiungeremo che esse sono interamente ipotetiche. Del resto non avremmo creduto di nuocere al benchè poco merito di questo lavoro adottando l’una o l’altra di quelle teorie. Perchè qui non si tratta di indovinare, ma di ricavare il vero dalla esperienza; e saremmo stati ampia- mente soddisfatti nell’arrivare a dimostrar la verità dell’una o dell’altra teoria. I lavori di quei due distintissimi Fisici-matematici sono pregevolissimi; e tanto lo sono, che anche quando fosse dimostrato che nessuno di essi vale il vero, pure per le molte ingegnose considerazioni di cui son ricchi sarebbero sempre utilissimi a studiarsi da chi volesse avanzare questa parte scabrosa della Fisica. Ma se il Fisico-esperimentatore vuole attenersi, come il dovrebbe, a ciò che è a tutto rigore senz’ obbiezione ragionevole dimostrato, allora non ha nell’ induzione altra teoria che quella relativa ai circuiti filiformi, ed altro metodo di dimostrazione, almeno per ora, che quello che ci fu additato dall’ Ampère, e che fu seguìto nella prima memoria. Se poi si vuole spaziare maggiormente coll’intelletto, sopra tutti i fenomeni generali dell’induzione, allora non si può ricorrere ora alla legge di Lenz, ora al Neumann, ora al Weber, perchè è ben lungi dall’essere dimostrato che tutto ciò debba essere vero ad un tempo; ma si dovrà avanzare la scienza studiando maggiormente la questione. Qualche tempo dopo i primi lavori del sig. Faraday sull’induzione elet- tro-dinamica, il sig. Lenz pubblicò una Memoria ove egli dopo varie esperienze elegantissime, enunciò la seguente legge: « La direzione della corrente indotta in un conduttore filiforme, nel suo ELETTRO- DINAMICA 133 « moto relativo ad una calamita, o ad un circuito voltaico, è sempre in dire- « zione contraria di quella che potrebbe, passando pel conduttore indotto, « cagionare in quest’ ultimo conduttore un moto precisamente opposto a quello « per cui l’induzione si sviluppa ». Tale legge, adottata come artifizio nel caso di circuiti filiformi, per sapere la direzione della corrente indotta nel circuito, è stata finora trovata conforme alla esperienza, e comprende anche il caso della così detta induzione unipolare. Infatti se si applicano gli scandagli di un galvanometro sopra una calamita cilindrica o sbarra, che ruoti intorno al proprio asse, l’uno fra i poli e l’altro ad una estremità o polo della calamita, si ha una corrente al galvanometro; e la direzione della corrente è tale, che produrrebbe nella calamita una ruota- zione in senso contrario a quella che gli si dà nella esperienza, qualora il cir- cuito del galvanometro fosse un circuito voltaico chiuso dalla calamita; ripro- ducendo così il noto fenomeno della ruotazione delle calamite in forza di cor- renti voltaiche, che passano nel seno della calamita o in un conduttore isolato da essa, ma ‘invariabilmente fisso e ruotante insieme alla calamita, mentre il rimanente del circuito rimane fermo. Si potrà consultare sopra tale esperienza il citato libro del Prof. Matteucci, le Memorie dei signori Faraday e Lenz, e quella che il sig. Prof. L. Pacinotti stampò nell’anno 1844 in Pisa nel giornale il Cimento. Molto tempo dopo il lavoro del sig. Lenz, il sig. Neumann fece una teoria dell’induzione nei circuiti filiformi, la quale parte dal seguente principio ipotetico : « La forza elettro-motrice indotta da un elemento voltaico sopra un altro « elemento filiforme allo stato naturale, è proporzionale alla forza elettro-dina- « mica che esisterebbe fra i due elementi, se il secondo, cioè l’indotto, fosse « percorso da una corrente elettrica, decomponendo la forza stessa nella dire- « zione della velocità dell’ elemento indotto ». La Memoria del sig. Neumann dà dei resultati conformi all'esperienza, tutte le volte che si tratta di circuiti chiusi e filiformi. Siccome il sig. Lenz non parlò di intensità ma di direzione di correnti, così la sua legge può esser verissima, e falso il principio fondamentale del sig. Neumann. D'altronde abbenchè l’ enunciato del Lenz rammenti, per analogia, delle azioni a distanza, pure esso potrebbe esser sempre concorde al vero anche quando i fenomeni dell’induzione non dipendessero nè alcuno, nè tutti, da delle azioni a distanza solamente . Ma cerchiamo ora di brevemente analizzare il fatto della induzione delle calamite ruotanti intorno al proprio asse; e, se ciò è possibile, senza preoc- cupazione in favore di alcuna teoria. - - 134 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 52.° Nel noto apparecchio destinato a presentare quel fenomeno, tre cose principali avremo da considerare. 1.2 La calamita cilindrica, mobile attorno il suo asse. 2.* La parte del circuito del galvanometro detta interna; la quale parte può rimaner fissa alla calamita e ruotare insieme con essa; oppure rimaner ferma mentre ruota la calamita. E di questa parte la calamita stessa, nel primo caso, può tener luogo. 3.8 La parte del circuito del galvanometro detta esterna, la quale può ruotare insieme colla calamita mentre la interna riman ferma; 0 viceversa, può rimaner ferma colla calamita, mentre la interna si muove. Ruoti la parte esterna del circuito, ed il resto rimanga fermo. Si ottiene corrente al galvanometro ; e la sua direzione nel circuito è conforme alla legge di Lenz. Ruoti la parte interna, e la esterna e la calamita siano immobili. Si ottiene corrente, e Ja sua direzione è sempre conforme alla legge di Lenz. Tutto fin qui va bene, ed alla legge di Lenz non eleviamo alcuna obbiezione; se essa vuol solo indicare la direzione generale della corrente nel circuito, e non dove questa fu eccitata. Ma a chi vuole che ii fenomeno dipenda unicamente da azioni a distanza fra la calamita e il circuito filiforme, saremo in diritto di chiedere dove è eccitata la forza elettro-motrice. Secondo i Fisici che seguono le teorie ci- tate, in quell’ultimo caso la corrente sarebbe indotta nella parte interna. Ma, se così è, quando la calamita colla parte interna ruota attorno al proprio asse, sarà duopo ammettere che la corrente sia indotta nel rimanente del circuito che riman fermo, giacchè si cadrebbe nell’assurdo affermando che la corrente con- tinuerà ad essere indotta nella parte interna. Ne segue che volendo trarre la teoria del fenomeno ponendo in calcolo delle sole azioni a distanza fra un elemento qualunque del circuito indotto e la calamita, sarà forza attribuire la causa al moto relativo di ruotazione, fra un elemento qualunque indotto e la calamita stessa. Vero è che fra le leggi del fenomeno si ebbe cura di dire che esso non dipende che dal moto relativo delle due parti del circuito indotto; ma a tale conseguenza si venne, non già perchè si ponesse in calcolo tale in- dipendenza, ma perchè si suppose, ciò che d’altronde è vero, almeno entro certi limiti, la corrente indotta proporzionale alla sola prima potenza della detta velocità relativa (*); mentre rimaneva sempre come dato fondamentale (*) Fu forza supporre la corrente indotta in una qualunque delle due parti, esterna ed interna, dipendente dalla sola loro velocità di ruotazione relativa alla calamita; ma siccome tale forza fu presa proporzionale alla sola prima potenza di detta velocità, così in detta ipotesi il ruotare della calamita non alterando la differenza fra le velocità, relative alla ca- lamita, di quelle due parti, non rimaneva alterata la corrente al galvanometro . ELETTRO-DINAMICEA 135 teorico l'essere la corrente indotta, in un elemento indotto qualunque, dipen- dente dalla detta velocità relativa. Ma se quest’ultimo asserto fosse vero si dovrebbe determinare un sistema di correnti indotte in un conduttore non più filiforme, ma qualunque, in forza della sola ruotazione della calamita intorno al proprio asse, anche quando esso non fosse composto di due parti l’una sovra l’altra striscianti. Perchè, secondo quelle citate teorie, se nulla si ottiene per tal ruotazione in un circuito chiuso, filiforme ed immobile, non è già perchè siano partitamente nulle le induzioni in un punto qualunque, ma perchè le correnti indotte, per essere il circuito filiforme, vicendevolmente si distruggono lungo il circuito il quale tutte le cor- renti indotte nei diversi luoghi, in ogni suo punto, è costretto a sommare. Que- st'ultima condizione in un corpo di forma qualunque non esiste più, e le azioni elettro-dinamiche fra esso e la calamita ci dovrebbero accennare l’esistenza di tali correnti. Ma invano furono finora cercate quelle azioni, per cui è duopo concludere che detto moto relativo non è la cagione del fenomeno (*). La legge del Lenz fece sì che molti Fisici si fecero forse qualche illusione sulla causa dell’induzione; ed è a rimarcarsi che detta legge può soltanto precisare la direzione della corrente nel conduttore in moto, sia o nò eccitata realmente nella parte del circuito che è in movimento . 55.° Un più profondo esame esperimentale potrà soltanto decidere la questione; e probabilmente ci dirà qual'è la circostanza, finora negletta, dalla quale ha origine detto caso particolare della induzione. E nel continuo cangia- mento fra i punti di contatto delle due parti del circuito in presenza della ca- lamita, si dovrà forse ravvisare tale nuovo dato fondamentale. La formula (5'), da noi dimostrata nella prima memoria, non può com- prendere la induzione unipolare; e da essa infatti non si può pretendere la teoria di un fenomeno di cui la circostanza essenziale a produrlo non entra nei dati fondamentali che la stessa formula stabilirono. Ma ora che possediamo colla (3') la teoria della induzione nei circuiti filiformi, e che l'estensione della stessa formula al caso più generale si rende probabile assai, se non certa, per la somma coincidenza dei suoi risultati colla esperienza, dovremo cercare di introdurre con delle chiare esperienze la circostanza essenziale alla induzione unipolare nella teoria, completandola così a poco a poco, camminando di pari passo colla esperienza . Dobbiamo rimettere ad altro lavoro una maggior discussione di tal caso particolare. Per ora ci resta a dire che le esperienze già a tutti note, e quelle che potemmo istituire, ci presentano il fenomeno compreso nelle se- guenti premesse. (") Vedi Matteucci, Cours special, pag. 82. 136 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE 1.° Nel luogo di contatto di due conduttori che strisciano l’uno sull’ altro, in presenza di una calamita, si sviluppa una forza elettro-motrice, normale alla direzione dell’ elemento di superficie, do, descritto dal luogo di contatto. 2.° Detta forza, sviluppata in un tempuscolo dt, è uguale alla forza elettro-motrice che potrebbe esser indotta in do, secondo la direzione del mo- vimento, da una calamitazione istantanea. 3.° Tale forza è diretta dal luogo di contatto all’interno in uno qualunque dei conduttori o viceversa, a seconda che il conduttore che si considera si muove nello stesso senso od in senso contrario della corrente inducibile in do da una calamitazione istantanea della calamita inducente. Tali premesse indicano che strisciando sopra un conduttore con uno dei scandagli del galvanometro, secondo una curva qualunque, si ottiene al galva- nometro la stessa somma di forze elettro-motrici ottenibile svolgendo lungo la stessa curva un filo conduttore. E ciò è di facile verificazione,come vedremo in seguito. 54.° Vorremo dunque concludere, 1.° Chea tutto rigore, la sola formula (3') è, per ora, data dalla esperienza relativamente ai circuiti filiformi. 2.° Che però la generalizzazione della stessa (3') al caso generale dell’in- duzione in un corpo di forma qualunque, ha fin qui dato dei risultati con- formi alle esperienze. 3.° Che la circostanza essenziale dell’induzione assiale, non entrando nei dati che la (5') determinarono, non può questa formula dar la teoria del feno- meno stesso. Ed in altri termini, ciò è lo stesso che dire che detta formula non vale a dar Ja direzione ed intensità della forza elettro-motrice indotta in un elemento di un corpo nel quale sia un continuo cangiamento di contatto fra le parti che lo costituiscono. 4.° Che la (3') è applicabile al caso delle scariche indotte dalla bottiglia di Leida. SULLO STATO ELETTRICO INDOTTO IN UN DISCO METALLICO RUOTANTE IN PRESENZA DI UNA CALAMITA MBABALTORLA DEL PROF. CARLO MATTEUCCI Imprendo a descrivere in questa prima Memoria una serie di esperimenti, che ho instituiti, onde determinare lo stato elettrico sviluppato per induzione in un disco ruotante o in una massa metallica qualunque che si muove in pre- senza di una calamita o di un cilindro elettro-dinamico. Faraday dopo la grande scoperta dell’induzione trovò, applicando le estre- mità del filo del galvanometro sopra il così detto disco di Arago, che si otte- nevano correnti di cui la intensità cresceva colla velocità della ruotazione del disco, e di cui il senso dipendeva dal nome del polo magnetico adoperato e dalla direzione in cui quel disco ruotava. Questo celebre Fisico variando i suoi esperimenti concludeva che, allor- quando una lamina metallica di una certa grandezza si muove, mantenendosi in un piano costante, dinanzi al polo di una calamita o fra due poli di nome contrario, si sviluppano per induzione correnti elettriche, le quali attraversano quella lamina normalmente alla direzione del suo movimento, e vanno a scari- carsi in direzione contraria da una parte e dall'altra nei punti più lontani e meno soggetti all’azione inducente. 138 MATTEUCCI Nobili ed Antinori, che si applicarono con molto ardore a percorrere il nuovo campo scoperto da Faraday, pubblicarono in una memoria tradotta nel volume I. pag. 210 degli Annales de Chimie et de Physique il disegno, che secondo le loro esperienze rappresentava le correnti sviluppate per induzione nel disco ruotante d’Arago. Si veggono in questo disegno di un disco metallico che ruota dinanzi ai due poli di una calamita, posti ad egual distanza dal centro del disco stesso, tracciati duc vortici, che conviene rappresentarsi come fissi nello spazio, for- mati da correnti che si sviluppano lungo la linea dei poli, aventi Ja stessa direzione a destra e a sinistra di questa linea, e che circolano lateralmente in direzioni opposte; questi circuiti chinsi, come ai due poli di una calamita, sono attrattivo l'uno, quello posto dinanzi al polo nel senso del movimento, e repulsivo l’altro. In questa guisa rimaneva spiegata la forza tangenziale sco- perta da Arago per la quale un disco ruotante trascina con se una sbarra cala- mitata parallelamente al piano del disco e un disco è trascinato dalla cala- mita ruotante. Faraday nella sua lettera a Gay-Lussac inserita nell’ istesso volume degli Annales che contiene la memoria di Nobili cd Antinori già citata, conviene sulla verità del disegno delle correnti indotte sul disco; egli immagina di più che lo sviluppo delle correnti indotte richiede un certo tempo, e fondandosi sopra questa ipotesi deduce la spiegazione delle diverse forze o componenti che Arago aveva scoperto emanare dal disco ruotante, e che sono descritte nell’ analisi ammirabile che Arago stesso fece della sua grande scoperta. Mi limito a questi brevi cenni sulla storia delle scoperte fatte sull’ argo- mento di questa memoria, riserbandomi di descrivere in un altra memoria lo stato della scienza sopra quel complesso di fenomeni che si comprendono sotto la denominazione di magnetismo di ruotazione e che ha rapporti intimi con quello che ho impreso ora a trattare. Tutti i Fisici che hanno tentato di ripetere le esperienze di cui ho descritto i risultamenti principali, hanno dovuto certamente cadere in spesse e grandi ano- malie, e gli Autori stessi sopra nominati non hanno mancato di farne rimarco. Tuttavia limitandosi alla disposizione più frequente di questi esperimenti, che è quella di un disco di rame che ruota di faccia ai poli di una calamita e in- torno al suo centro posto ad ugual distanza da questi poli, si è trovato costan- temente, che le correnti hanno la massima intensità e una direzione constante applicando le estremità o gli scandagli del galvanometro sulla linea polare a destra o a sinistra di ognuno dei poli o dei due poli, mentre non si hanno cor- renti o si hanno debolissime se questa ricerca è eseguita sui diversi punti del diametro del disco che è perpendicolare alla linea dei poli. Basandosi sopra SULLO STATO ELETTRICO 139 questo fatto ed immaginando che le correnti trovate sotto i poli dovessero poi scaricarsi nelle parti laterali del disco, si è creduto generalmente che fosse nei modi già descritti determinato completamente lo stato elettrico del disco di Arago e spiegato il magnetismo di ruotazione. Le esperienze che saranno esposte in questa memoria proveranno con tutta l'evidenza quanto quella interpretazione fosse lontana dal vero, e come le ano- malie trovate e respinte siccome errori poco notevoli di esperienza, fossero invece una conseguenza del vero stato elettrico del disco. Metodo sperimentale Sarò breve nella descrizione del metodo sperimentale da me seguìto e degli apparecchi impiegati, e insisterò principalmente sulle differenze principali del mio metodo sperimentale da quello seguìto dagli altri Fisici che mi hanno preceduto in simili ricerche. La superficie inferiore del disco metallico è volta verso i poli della calamita, mentre sull’altra sono applicate le estremità o gli scandagli del galvanometro: questa disposizione permette di percorrere libera- mente tutti i suoi punti anche i più prossimi ai poli, lo che può farsi senza turbare minimamente i resultati che se ne ottengono. Un’ altra differenza, che è molto importante, stà nell’ esser fisse le due estremità del galvanometro che toccano il disco, e nel poterle a volontà cam- biare di posizione. A quest’effetto sul piano &% (Fig. 1 Tav. I.) che è quello da cui esce nor- malmente l’asse s intorno al quale ruota il disco, sono fissate due piccole elettro- calamite verticali e, a, e aventi dalla stessa parte i poli di nome contrario. Un'asta verticale qg di legno fissata da parte sul piano stesso si ripiega a squadra e porta alla sua estremità, che cade sul centro del disco, due aste orizzontali dentro le quali possono scorrere e fissarsi gli scandagli f e g del galvanometro i quali ven- gono ad applicarsi normalmente sul disco. L'asta verticale può essere fissata a diverse altezze dal disco e le due aste orizzontali possono muoversi intorno al- l'estremità della squadra, per lo che s'intende come facilmente è dato di far scorrere gli scandagli e di fissarli sopra tutti i punti del disco. Questi scandagli son formati di un piccolo tubo di rame entro il quale è ritenuto e può scorrere per una certa altezza un filo di rame terminato esterna- mente in punta smussata; fra le estremità interna di questo filo e la base del tubo di rame è posta una piccola spirale cilindrica che obbliga il filo ad essere in continuo contatto col disco. Era essenziale di poter dare al disco un moto uniforme di ruotazione il Scienze Cosmolog. T. III. 19 140 MATTEUCCI quale avesse persistito un certo tempo; bisognava anche potere ottenere velocità diverse di ruotazione e queste applicarle o ad un elettro-calamita o a dischi metallici di diverse dimensioni. Devo al sig. Breguet una macchina ruotatoria colla quale questi diversi effetti sono ottenuti. Secondo il peso diverso che è applicato alla ruota princi- pale, secondo la posizione delle ali del volano, la velocità si rende diversa e un contatore apposito può sempre introdursi nell’asse di ruotazione onde determi- nare il numero dei giri fatti in un certo tempo. Nelle mie prime esperienze ho adoprato un disco di rame che aveva 0©, 80 di diametro, e che facevo ruotare (Fig. 12) in un piano verticale dinanzi ai poli di una grande elettro-calamita di cui il ferro pesa 100 chilogrammi, tenuta col suo asse in un piano orizzontale che passa per il centro del disco. Questo disco era messo in ruotazione essendo col suo centro fisso nell’ asse di quella macchina che si usa nei Gabinetti per ripetere alcune esperienze di Savart sui suoni resi dalle ruote dentate. Qualche volta ho sostituito al disco di rame un disco di legno su cui era applicata una lamina di stagnola ed in questo caso adopravo per scandagli due lunghe aste di stagno. Le grandi dimensioni di questo disco e la molta forza dell’ elettro-calamite adoprate hanno certamente giovato onde acquistare da primo un idea esatta dello stato elettrico del disco e per ragioni facili ad intendersi hanno potuto rendere più evidenti gli effetti dovuti alla velocità della ruotazione. È però sopra dischi più piccoli disposti nella macchina che ho descritta, nella quale le calamite sono al disotto della superficie scandagliata e per mezzo della quale gli scandagli si tengono fissi, che le esperienze si rendono facili e rigorose. Onde esser brevi nella descrizione delle esperienze, ho unito a questa me- moria alcuni disegni in cui tutto è indicato esattamente nella proporzione di un terzo del vero. I dischi adoprati erano tagliati sopra una lastra di rame di circa un mil- limetro di grossezza, resi piani e centrati intorno all'asse di ruotazione colla maggior cura possibile. La superficie scandagliata era perfettamente amalgamata, come lo erano pure le punte degli scandagli. Un’ indice fissato verticalmente sul piano dell’apparecchio in prossimità del disco serviva di punto di riscontro onde ricondurre il disco nella stessa posizione. Un quadrante del disco era diviso per mezzo di linee tracciate sopra di esso con una punta di acciajo in tanti quadrati di 5 millimetri di lato per cui avendo in un foglio il disco disegnato e un quadrante ugualmente diviso, le diverse posizioni degli scan- dagli potevano essere con facilità e con sicurezza riportate sul disegno. In mancanza di calamite d’acciajo abbastanza forti ho adoprato delle pic- cole elettro-calamite messe in attività da tre o quattro elementi di Grove. La SULLO STATO ELETTRICO 141 sezione del cilindro di ferro di queste elettro-calamite si ha dalla base dei poli proiettati sui dischi nei diversi disegni. È utile di adoprare delle elettro-calamite assai lunghe. Ho sempre fatto uso in tutte le esperienze dello stesso galvanometro che era uno costruito da Rumkorff a filo corto e portante un sistema mediocremente astatico. Lasciando un certo tempo gli scandagli in contatto del disco prima di cominciar le esperienze, non ho mai ottenuto, anche dopo aver fatto ruotare il disco, alcun segno di corrente termo-elettrica che fosse valutabile e potesse turbare i resultati. (Continua) ERRORI CORREZIONI Pagine 21 Linea 19 aperti chiusi 29 » 26 indotta da indotta, in un circuito chiuso, da INDICE DELLA PARTE SECONDA FeLici Riccardo. Sulla Teoria matematica dell’induzione elettro-dinamica. Primo MEMORIES. 0 SODI, MI MISTE SA = Seconda en ori MESE SRI LEO: Pat 0a Scopo del lavoro . . . . + - Paragrafo: 1.° Metodo esperimentale e fatti che servono di base alla parte analitica del lavoro . . 29 allo Formula elementare pel è caso delle interruzioni del circuito voltaico 10° a 12° Modo di ottenere dalla precedente quella relativa al caso del moto relativo di due elementi indotto ed inducente . ./....0.. 15.° Applicazione della detta formula ad alcuni casi. . ta 0a 102 Teoremi relativi alle correnti indotte da un cilindro elettro dinamico in un circuito chiuso . . nre dice 17.0 Recapitolazione dei resultati dei paragrafi precedenti Sala 18.° a 20.° Applicazione della detta formula elementare al caso della bottiglia P died a È R210 a 208 Osservazione sulla interpretazione isica che si ; può dare a detta formula 27.° Applicazione della precedente teoria al caso dell’'induzione in un corposqualungquege at se a e ge e RO agio Teoria d' Ohm . . . alta 9560 Applicazione della Teoria d’Ohm al caso di un disco . . . .... 54° Idem al caso di una sfera cs SVENIRE OMERO MERE 90.° Alcuni casì particolari in detta teoria . . REZOZieRo8:? Caso nel quale le correnti indotte sono di per se stesse în equilibrio dinamico . . ; STR tag: Correnti indotte dalla calamitazione istantanea di è una 1 calamita 3 40° Correnti indotte pel moto di ruotazione di un disco in faccia ad una calamita . . . SECTEIDAG SAR creta, et. IMA oe Idem nel caso di più calamite . . . . 44° a 50° Osservazioni sulla legge di Lenz e sulle teorie dei signori Wiber e Neumann . . . po a IE Idem sulle correnti indotte durante il moto di ruotazione di una parte di circuito indotto attorno ad una calamita . . . 6 52.9 Premesse, 0 dati fondamentali, che comprendono, espresse ana- liticamente, il caso precedente! dell'anduzione RR A 01 Conclusionianzbtà i nec pat e do e e Berragnini Cesare. Memoria sulle combinazioni di aleuni Oli essenziali, con i Bisolfiti alcalini Mexecaini G. Nuovi Fossili Toscani, illustrati; in appendice alle Con- siderazioni sulla Geologia stratigrafica Toscana dei Professori CAVIMPIESAUINE GIOMENE CORRE VOI TO Pacinorti Luigi. Dell’uso dei Fattorali nella risoluzione delle equazioni; Memoria seconda sul calcolo dei Fattorali . . . . . . Martevco Carlo. Memoria sullo stato elettrico in un disco metallico ruotante în presenza di una Calamita (con tavola) pag. 1 » 99 » 501 » 55 » 77 » 157 7 141 || | boe Tito Pundedffini ne NNALI delle Università Toscane. Pisa ) 1846, 10 8.° gn. fig. _— Detti. Anno II. 1851, in 4.° —— Anno. II. 1854, in 4° Fir. 1821-32, 48 vol. 8.° div. in 102 fase. tenuta in Pisa nell’Ottobre . Pisa 1840, in 4.0 — Gli stessi, sec. ed. con agg. Pisa 1840, 4.° fig. — della IL. Riunione di Torino. Ivi 1841, 4,° d Arti. Lucca 1821-45, 13 vol. in 8, Camentose. Firenze 1848, in 8.° 1 = Lisperienze su di alcuni cambiamenti che subisce umina del sangue per l’azione di certe sostan- medicamentose. Firenze 1849, in 8.° 1 febbri essenziali: Firenze 1850, in 8.° 1 Delle emorragie dei capillavi. Fir. 1851, in 8.° 2 lementi d’ematologia considerata in rapporto la fisiologia, alla patologia, alla terapeutica ed tossicologia. Pisa 1853, in 8.° 14 elle febbri così dette a processo dissolutivo. Fi- ienze 1850, in 8.° 3 LINI e TIGRI. Ricerche microscopiche. sulle razioni dei iglobetti del sangue; in 8.° 17. ERINI. Annales ab ovigine Lucensis urbis. Luce -31, 4 vol. in.8.° 60 O da SIENA. Laudi spirituali del. Sec. xrv. . da mons. cav. Telesforo Bini). Lucca 1851, N 15 OTECA classica sacra o sia raccolta di opere teligiose di celebri autori edite ed ‘inedite del se- lo x1v al x1Xx, ordinata e pubbl. da Ottavio Gi- Roma 1844; 63 vol. in 8.° p- 252 IBLIOTECA comunale di le.materie da. Lorenzo Hari, Siena 1844-48, 7 tomi in 4.° 216 1 prezzi sono a Paoli toscani ognuno dei quali equivale a centesimi 56 di 30 - 30 =— della III Riunione di Firenze. 1842, 4° 120 —— della IV. Riunione di Padova. 1845, in 4,° 42 = della V. Riunicne di Lucca. Ivi 1844, 4.° 100 - della VI, Riunione di Milano. 1845. in 4." 42 della VII. Riunione di Napoli. Ivi 1846, 2 vol. LDTI dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere 4 _ 55 ELLINI R. Dell’azione dei veleni. Firenze, in:8.° 2 = Delle azioni simpatiche invocate a spiegazione di alcuni fenomeni occasionati dalle sostanze medi - Memoria dello stato della fibrina del sangue nelle || Sulle febbri sintomatiche. Pisa 1850, in8.° 3] Siena disposta secon- | FRATELLI NISTRI Tipografi-Libraj in PISA (ESTRATTO DAL CATALOGO GENERALE ) Franco effettivo. | Anno I, {dal BORGO Flaminio. Dissertazioni sopra l’istoria Paoli 48 pisana. Pisa 1761-68, 2 vol. in 4.° 350] — Scelti Diplomi Pisani. Pisa 1785, 4.° 17 | BRANCHI Gius. Sulle falsificazioni delle sostanze ANTOLOGIA, Giornale di Scienze, Lettere ed Arti. 700 TI della L.è Riunione degli ScIENZIATI ITALIANI 1859: prima edizione, Paoli 25 14 medicinali e sui mezzi atti a discoprirle: Pisa 1825, 2 vol. in 8.° 10 — Sui cangiamenti di colore della tintura del turne- sole e di altre tinture vegetabili. Pisa 1816, 8. 5 — Sopra alcune proprietà del fosforo. Pisa 1825, 8.° 3 — Memorie e lettere. Pisa 1841, in 8.° 5 CALDANI FI. Icones Anatomice: 4 vol. in fi max. et Explicatio Iconum anatomicarum; 4 vol. in 4.° Venet. 1802, 800 CARMIGNANI Giovanni. Cause celebri da esso di- scusse. Pisa 1843, 4 vol. in 8.° rier. 64 — Teoria delle leggi della sicurezza: sociale. Pisa 1850, 4 vol. in 8.9 38 — Lezione accademica sulla pena di morte, con il- lustrazioni e note. Pisa 1836, in 8.2 — Causa celebre per pretesa complicità:di peculato. Pisa 1854, in 8.° — Juris criminalis' elementa: editio quinta coeteris auctior, et emendatior. Pisis 1833; 2 vol. 8.° 12 — Dissertazione critica salle tragedie di V. Alfieri: terza ediz. Pisa 18253, in 8.? 4 — Apologia delle concessioni sovrane per le strade ferrate in Toscana. Pisa 1846, in 80 Gi — Scritti inediti, Lucca 1851-52, 6 vol. in 8.0 72 Vol. 1 a 4. Storia dell’origine e dei progressi della filosofia del diritto. Vol. 5. Progetto di codice penale e di procedura criminale con vari docamenti. Vol. 6. ed ultimo. Osservazioni alle istruzioni per norma dei redattori di un codice penale to- scano. — Parere sopra un progetto di riforma del regolamento di procedura penale vigente nello Stato Pontificio. — Saggio teorico pratico sulla fede giuridica e su i suoi vari metodi nelle mate- rie penali. , CASSIANO Giovaanpi. Volgarizzamento dello Colla- zioni dei SS. Padri (publ. da mons. c. Telesforo Bini). Lucca 1854, in 8.0 25 CAVICEO Jacopo. Novella. Lucca 1855, in 8.° ed. di 50 copie. 1 mn. CECCHERELLI Alessandro e BETUSSI Giuseppe. Alcune novelle conmolta diligenza ristampate . Lucca 1854, in 8.° CITTADINI Luigi. Storia di Fivenze 1855, in 8,° 5 Arezzo: epoca antica: 19 COLLEZIONE di ottimi Scrittori Italiani per anda- re di seguito ai Classici di Milano. Pisa 1818-25, 25 vol. in 8,° 200 CORSO Antongiacomo. Novella da lui raccontata in una lettera a M. O. Brunetto. Lucca 1854, 8. 2m. LS) CUPPARI. Lezioni di Economia, rurale: Agricoltura generale e speciale. Pisa 1854, in 8.° Paoli 15 DANIEL copto-memphitice edid. Joseph Bardelli. Pisis 1849, in 8.° 10 DANTE. Prose e Poesie liriche pubblicate da A. Torri. Livorno 1843-50: saranno sei volumi e quattro soli sono pubblicati; I, La Vita nuova. IH, La Monarchia. IV, La Lingua volgare. V, Epi- stolario e Dissertazione: in 8.° 37 DOCUMENTI per la storia dell’arte senese SERI ed illustrati da Gaetano Milanesi. Siena 1854 Vol. 1.° in 8.° } % DONI Antonfrancesco. Novelle colle notizie sulla vita dell’autore raccolte da Salvatote Bongi. Luc- ca 1852, in 8.° ediz. di 150 esempl. 18 FABRETTI Ariodante. Biografie dei capitani ven- turieri dell'Umbria, 4 vol. in due; e Note e Docu- menti che servono ad illustrare le biografie, vol. unico. Montepulciano 1842-51, in 12.° 58 FABRONI. Historia Academia Pisane. Pisis 1791, 3 volumi in 4.° 40 FANUCCI G. B. Storia dei tre celebri popoli marit- timi dell’Italia, Veneziani, Genovesi e Pisani, e delle loro navigazioni e commercio nei bassi se- coli. Pisa 1817, 4 vol. in 8.° 40 GIORNALE DEI LETTERATI dal 1710 al 1847; Collezione completa 1500 Questa collezione si compone: I. Giornale dei Letterati d’Italia pubbl. da A. Zeno. Ven. 1710-1740, 46 tomi in 42 vol. e 5 di suppl. in 8.° I. Giornale dei Letterati pubblicato in Fi- renze 1742. Firenze 1742-1759, 7 tomi in 25 vol. in 8.° II. Giornale dei Letterati pubbl. da M. Fab- broni. Pisa 1772-1796, 102 tomi in 8.° IV. Nuovo Giornale dei Letterati. 1802-1810, 21 tomi in 8.° V. Nuovo Giornale dei Letterati. Pisa 1822-59; 59 tomi in 108 fasc. in 8,° 500 Alle serie 111, IV e V, pubbl. dai Profes- sori della Università di Pisa successero le seguenti con la sola variazione di titolo VI. Giornale Toscano discienze mediche, fisiche e naturali. Pisa 1840-45, in 8.° 24 VII. Giornale di scienze morali, sociali, storiche e filologiche. Pisa 1841, 8.° 24 VII. Miscellanee medico-chirurgiche- farmaceutiche. Pisa 1843, 2 tomi in 8.° IX. Miscellanee di chimica, fisica, e sto- ria naturale. Pisa 1845, in 8.° X. Il Cimento giornale di fisica, chimica, e storianaturale. Pisa 1844-47, 5 vol. in 8.° Dopo l’anno 1846 furono pubblicati gli Annali delle Università Toscane, Gli articoli di N.° V, VI, VII si vendono anche a parte; e di tutte Le serie î fascicoli separati, se disponibili. Nel 1825, il NUOVO GIORNALE DEI LETTERATI cominciò a pubblicar. si in due parti separate — Letteraria e Scientifica: i! prezzo dell’in- tiera Coll. di una delle due parti 300 Pisa GIULJ Gius. Storia naturale di tutte le acque mi- nerali di Toscana, ed uso medico delle medesime. Firenze 1855, 6 vol. in 8.° Paoli 60 GRIMELLI Gemigniano. Memoria sul galvanismo. Bologna 1749, in 4.° 18 GUADAGNOLI Ant. Raccolta completa delle poesie giocose fin quì pubblicate e di molte altre inedite. Pisa 1850, 2 v. 18.° rit. e vign. inc. in leg. 12 Unica edizione completa rivista dall’ Aut. e aumentata di circa duemila versi inediti. GUICCIARDINI Fr. Storia d’Italia alla miglior le- zione ridotta da G. Rosini, Pisa 1822-24, 8 vol. in 4.° carta vel. col rit. dell’ Aut. int. da Mor- ghen e 61 rit. d’uomini illustri inc. a contorno da Lasinio 400 GUIDA di Pistoja e suo territorio, di Pescia e suoi IDO SL da Giuseppe Tigri. Pist. 1855, in 8.° 15 nuova GUIDA di Pisa e dei suoi contorni. Pisa 1851, in 8.° p. fig. È) ILARI L. Indice per materie della Biblioteca comu- nale di Siena. Ivi 1844-48, 7 tomi, in 4.° 217 INDEX alphabeticus cile titulorum qui conti- nentur in corpore Digestorum, Codicis, Novella- rum- Costitutionum nec non lastitonien ati Pisis 1852, in 8.° 2 mn. INGHIRAMI Fr. Storia della Toscana divisa in sette» epoche. Firenze 1841, 16 vol. in 12.° con Atlante cont. Monumenti per I° intelligenza della Storia della Toscana: in tav. 159, in 4.° 300 LANDO Ortensio. Novelle, con diligenza ristampate e corrette precedute dallo sua vita. Lucca 1851, in 8.° ediz. di 70 copie. 18. LETTERE d’uomini illustri conservate in Parma nell'archivio dello Stato (publ. da A. Ronchini). Parma 1853, in 8.° vol. 1.° 14 — cento inedite di Lvim uomini illustri italiani e stranieri defonti nella prima metà del secolo xx tratte da più ampj carteggie scritte al cav. G. Bat- tista Vermiglioli. Perugia 1842, in 8.° MARTINI P. Biografia sarda. Cagliari 1837, 8. 30 — Storia ecglesiastica di Sardegna. Cagliari 1859 5 vol: in 8.9 50 — Illustrazione di una pergamena di Arborea. Ca- gliavi 1846, in 4.° 2 — Nuove pergamene d’Arborea illustrate. ri 1849, vol. 1.° in 8.9 — Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816 (cone. alla Storia del Manno). Cagliari 1852, 8° 7m MARTINI Adolfo. Intorno ai casi di cholera osservi e curati in Calcinaja nel 1854. Pisa1854.8.° 1 mi MASCAGNI Pauli, Anatomia universa xLIY tabulis zeneis juxta afchetypum hominis adulti accuratis- | sima representata . Pisis 1825-51, 9 fasc. in LA cum tabulis ad natura exemplar coloribus di- ligentissima exornatis. MATTEUCCI Lezioni di fisica, quarta edizione, | Pisa 1851, in 8.° e Atlante. 350. — Memoria Cale coltivazione del Riso nella pianu Lucchese, preceduta da alcune proposizioni sopra tinello visaja sulla salubrità dell’aria. Pisa 1845, in 8.° 1 Caglia- ESRI, MATTEUCCI Manualedi telegrafia elettrica; seconda ediz. con agg. e figure intercalate nel testo ed una pianta colorata. Pisa 1851, in 8.° Paoli 5 MEMORIE e DOCUMENTI per servire all’istoria della città e stato di Lucca: cont. Tom. I, II, III, CianeLLi Dissertaz. sulla storia lucchese. T. II, . 2, GieLiorti Bissertaz. sopra la legislazione Bo Tom. IV, IV, suppl. e Tom. V, BertINI Dissertaz. sulla storia ecclesiastica lucchese: docu- menti e raccolta di documenti. Tom. VII, DineLLI dei sinodi della diocesi di Lucca. Tom. VII, Trenta Sullo stato dell’architettura, pittura e arti figurative in Lucca. CIANELLI Memorie sulle nuove mura. Tom. IX, e X, Luccnesini Storia let- teraria lucchese (iZ Tomo ZI. non è stampato) Lucca 1813-1849, 153 vol. in 4.” 450 — Istoriche di più uomini illustri Pisani. Pisa 1790- 1792, 4 vol. in 4.° 56 MENEGHINI G. Alghe italiane e dalmate illustrate. Padova 1842, in 8.° (fino a p. 384) 20 — Intorno l’asse cerebro spinale trad. dal latino da De Meis. Napoli 1845, ia 8.° 9 — Lezioni orali di geografia fisica. Pisa 1851, 2 v. in 8.° 22 — Sulla attuale scienza geologica, discorso. Pisa 1855,.in 8° 1 — Nuovi fossili toscani illustrati. Pisa 1853, 8.° 2 MOSSOTTI O. Lezioni di fisica matematica. Firen- ze 1845, 2 vol. in 8.° 28 MORRONA Aless. Pisa illustrata nelle arti del dise- gno. Livorno 1812, 3 vol. in 8.° cor 55 cav. 18 MURCHISON R. I. Memoria sulla struttura geolo- gica delle Alpi, e degli Appenini e dei Carpazj, trad. dall’inglese, ed Appendice contenente, Con- siderazioni sulla geologia stratigrafica della To- scana dei Prof. Paolo SAVI e G. MENEGHINI, Firenze 1851. in 8.° fig. 22 MUSEO Etrusco Chiusino pubblicato dai suoi pos- sessori con:agg. di alcuni ragionamenti di D. Va- . leriani e con brevi esposizioni dell’ Inghivami . Fiesole 1850, 2 vol. in 4.° fig. 160 NOBILI Leop. Memorie ed osservazioni edite ed ine- dite colla descrizione ed analisi dei suoi apparati ed istrumenti. Fir. 1854, 2 vol. in 8.° fig. 17 PACINOTTI Luigi. luirodazione alla fisiod tecno- logica e alla meccanica sperimentale. Meccanica fl piicithoica e industriale con regole pratiche per le costruzioni e perl’uso delle macchine. Esperien- ze {e principj d’ idraulica pratica e dottrina sulle ‘macchine idrauliche. Pisa 1843-51, 3 v. in 8.° 43 PECORI. Storia della terra di S. Gimignano. Firen- ze 1855, in 8.° 18 PIAZZINI Ferd. Memoria intorno ai diversi progetti concernenti la depressione delle acque del lago _ di Sesto ossia di Bientina e la diversione del fuda Serchio. Pisa 1850, in 8.° 2 MINA LT. Osservazioni geognostiche da Napoli a Vienna. Napoli 1854, in 8.° — Discorso proemiale per l’apertura della cattedra di mineralogia e geologia nell'Università di Pisa. Ivi 1842, in 8.° 1m. vd Deaglio» Anti, D & à di SUM e e Si ei * PILLA L. Saggio comparativo dei terreni-che com- pongono il suolo d’Italia. Pisa 1845, in 8.° P. 6 — Breve cenno sulla ricchezza soci della To- scana. Pisa 1845, in 8." 8 — Poche parole sul tremuoto di Toscana. Pisa 1846, in 8.° 1m. — Istoria del tremuoto che desolò la Toscana nel- l’agosto 1846. Pisa 1846, in 8.° 8 _ Trattato di geologia. Pisa 1847-51, 2 vol. 8.° 40 PIRIA Raffaello. Trattato Ssio di chimica inorganica. Napoli 1854, in 8.° fig. 27 — Sulla salicina. Pisa 1845, in 8.° 5 PITTURE a fresco del Campo-Santo di Pisa inta- gliate da Carlo Lasinio. Firenze 1812 tav. 40 in foglio arcimperiale, esemplare in m. leg. di an- tiche prove prima dei ritocchi. 450 — Le stesse dis. ed inc. da P. Lasinio con illustraz. (di Seb. Ciampi). Pisa 1853, in foglio. 150 — della Chiesa di S. Stefano dis. e inc. da G. Ciuti con illustrazione. Pisa 1828, in foglio, 40 PUCCINOTTI Fr. Opere complete. Pisa e Livorno 1859-46, 2 vol. gr. in 8.° 120 — Lezioni di medicina legale, ediz. quinta riveduta, corretta e un ‘aggiunta di lezioni e consulti. Li- vorno 1847, in 8.° gr. 50 — Memorie intorno alla medicina civile: 1.2 Del carattere civile della medicina, e delle sue relazio- ni con le principali tendenze del secolo. 1.% Delle relazioni della medicina con l’economia politica. Pisa 1858, in 8.° 2 — Storia della medicina, pubbl. il vol. 1.° la Medi- cina antica. Livorno 1854, in 8.° 50 PUCCINOTTI e PACINOTTI. Esperienze sulla esistenza e le leggi delle correnti elettro-fisiolo- giche negli animali a sangue caldo. Pisa 1859, in 8.° fig. 4 RANZI A. ° Del rinnuovamento dell’antica maniera di considerare le malattie dette veneree. Pisa 1840, in 8.° 5 RENIER. Osservazioni postume di zoologia adriatica pubblicate DA cura dell’Istituto Veneto di scienze a cura di G. Meneghini. Venezia 1847, in f.° fig. 150 RICHTER A. G. Elementi di chirurgia, arricchiti di note da T. Volpi e corredati di altre copiosis- sime annotazioni dal Dott. Ranieri Cartoni. Pisa 1839-47, 7 tomi in 10 vol. in 8.° fig. 104 RICCI Amico. Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona. Macerata 1854, 2 vol. in 8.” 15 RIME e PROSE del buon secolo della lingua tratte da manoscritti e in parte inedite (pubbl. da mons. cav. Telesforo Bini). Lucca 1852, in 8.° 15 de’ RINALDESCHI Rinieri. Esposizione di salmi, testo di lingua inedito (publ. da m. c. Telesforo Bini). Lucca 18553, in 8.° 15 RONCIONI R. Delle Istorie Pisane libri xvI, e Cro- nache varie, con note ed illustrazioni del Prof. Francesco Bonaini, ed altri interessanti documenti inediti. Firenze 1844-48, in 8.° sono pubblicate quattro dispenze, e continua. 55 Ai del ROSSO F. Saggio di diritto privato romano at- tuale, preceduto da introduzione di diritto naturale e seguito da note perpetue di gius romano. Pisa 1844-45, $ vol. div. in 13, in 8.° Paoli 100 ROSASCO Girolamo. Due novalle: una di Eustachio Manfredi, una di Tommaso Crudeli, e un’altra ined. di M. Colombo. Lucca 1855,8.° ed. di 80. 3 SABATINI Jacopo. Sistema Ipotecario toscano. Pisa 1844, 4 vol. in 8.° 36 SACCHETTI Franco e GUINIGI Michele. Sonetti e Lettere: testo di lingua. Lucca 1855, in 8.° 2 SACCHETTI Franco. Le ballate e canzoni a ballo, i madrigali e le cacce: testo di lingua. Lucca 1853, in 8.° 3 | SARCOFAGI, URNE e altri MONUMENTI di scul- || tura del Campo-Santo di Pisa intagliati da Paolo Lasinio, con illustraz. Pisa 1814, in 4.° fig. 90 SAVI Cacianiî Scelta di generi di piante con i loro respettivi caratteri disposti secondo il sistema ses- suale, e il metodo naturale, per uso degli studenti di botanica. Pisa 1826, in 8.° — Pugillo di piante da aggiungersi al Botanicon Etruscum. Pisa 1828, in 8.° 2 || — Almanacco per i dilett&ati di giardinaggio: i soli || ognuno 5 || anni 1824, 1826, 18530, 1835, in 18.° — Trattato degli sibobi della f'dsranti con appendi- ce. Fir. e Pisa 1811-26, 5 volumi in 8.° — Notizie sul Thè della China. Pisa 1836, in 8.° 1 — Discorso agli Scienziati in Pisa nel 1839; in 8.° 1 - O iizioni sopra alcune specie di Origanum. in 8.° dl — Istituzioni botaniche con note di G. De Brignole. Parma 1848, in 16.° 7 — Sinossi delle epatiche europee di L. B. Linderberg | compendiata ed illustrata ad uso de’botanofili ita- liani. Pisa 1821, in 8.° 1m. — Notizie per servire alla storia del giardino e mu- seo dell’Università di Pisa. Ivi 1828, in 8.° 1 — Cose botaniche. Pisa 1832, in 8.° 1 SAVI Paolo. Ornitologia toscana. Pisa 1827-51, 4 vol. in 8.° fig. 50 — La stessa: carta vel. con fig: col. m. leg. p. 80 — Tavole sinottiche dell’Ornitologia toscana . Pisa 1851, in 8:° 3! — Osservazioni sopra una specie di topo ragno. Pi- sa 1822, in 8.° — Osservazioni sopra tre. antilopi viventi. Pisa 1828, in 8.° 2| — Memorie scientifiche. Pisa 1828, 8.° con 7 tav. 6 || — Sulla scorza del globo terrestre. Pisa 1834, 8.° 2 — Descrizione di alcune nuove specie di mammiferi e rettili italiani. Pisa 1859, in 8.° — Considerazioni sulla cattivaria delle maremme toscane. Pisa 1839, in 8.° 2m. — Memoria sopra i carboni fossili dei terreni mio- ceni delle maremme toscane, con appendice. Pisa 1845, in 8.° 4 10 |} 1m.| SAVI P. Relaz. dei fenomeni presentati dai terremoti. È di Toscana del 1846. Pisa 1846, in.8.° . Paoli 5 — Relazione sulla miniera di rame di Riparbella. Pisa 1849, in 8.° 1 SAVI Paolo e MENEGHINI Gius. Osservazioni stra- tigrafiche e paleontologiche concernenti la geolo- gia della Toscana e dei paesi limitrofi. Firedge 1851, in 8.° 10 ‘SERCAMBI Giovanni. Alcune novelle che non. si leggono nella edizione veneziana colla vita del- l'Autore scritta da Carlo Minutoli. Lucca 1855, in 8.° ediz. di 105 copie. 8 ISLOP.. Observationes siderum habite in Specula Academica ab anno xv ad avnam xe vertentis seeculi xv. Pisis 1769, 1774, 1778, 1795. 1795. 6 vol. in 4.° 80 |STATUTI inediti della città di Pisa dal xm al xiv | secolo raccolti ed illustrati per cura del prof. F. Bonaini. Firenze 1854, vol. 1.° in 4.° fig. 70 { TABANI G. Narrazione storia del tirreimoro acca- i duto in Toscana 1846. Pisa 1846, in 8.° 3 TASSO T. Opere, colle controversie della Gerusa- lemme, poste in miglior ordine, ricorrette sull’edi- zione fiorentina ed illustr. dal Prof. G. Rosini. Pisa 1821-51;.55 vol. in 8.° 300 | TOMMASI Salvatore. Istituzioni di fisiologia: sec. ediz. migliorata ed accresciuta dall’aut. con fig. intercalate nel testo e tavole. Torino 1852-54, 2 vol. in 8.° 57 | TOMMASINI G. Opere mediche complete. Bologna e Pisa 1854-41, 12 vol. in 8.° 150 — Della iufirimabisae e della febbre continua, considerazioni patologico-pratiche. Pisa 1820, 1826, 1851, 3 vol. in 8." 34 m. {—— In carta velina grave. 50 (ne Il solo terzo volume. 16 | TRONCI Paolo. Annali Pisani. Lucca e Pisa 1829, | 4 volumi in 8.° 28 VACCA” Andrea. Della Litotomia, memorie quattro. | Pisa in8.° fig. 11 \WALTER M. F. Manuale del Diritto Ecclesiastico | di tutte le confessioni cristiane, trad: dal tedesco, | conun Appendice cont. iconcordati fra la S. Sede e gli Stati d’Italia. Pisa 1848, 2 vol. in 8.° 24 VIVOLI. Annali di Livorno dalla sua origine sino all’anno 1848, colle notizie riguardaati” i luoghi più notevoli antichi e moderni ‘dei suoi contente Livorno 1842, in 8.° gr. con tav. publ. fasc. 72, continuano; ogni fascicolo. 1 e ‘VOCABOLARIO della lingua italiana compilato dagli accademici della Gradita e ricorretto dal Ma- nuzzi. Fireuze 1853, 4 gr. vol. in 4.° 360 ZOBI A. Storia vile della Toscana dal 17537 al 1848. Firenze 1850-52, 5 vol. in 8.° 152 ‘ZUCCAGNI ORLANDINI A. Atlante geografico, fi- sico e storico del Grandacato di Toscana: xx tav. Firenze 1852, in fog. leg. 155 — —T eee ( Pisa, Tipografia Nistri). N PREZZO Tomo I. 1846 — Paol 48 °|, pari a Fr. 27. 30. Tomo II. 1851 — » 30 = » 16. 80. Tomo III. 1854 — » 17 = » 9. 52. PR RI ASA 79: au ni da ( 0 0 RE 6 oprordrprortrtrrn Dig, DIES IEDIEDIED MANA ea 3 CA PAZANY EN ORA MTA aa Pa PIRO, b PORRE OR e o ANNALI UNIVERSITÀ TOSCANA TOMO QUARTO ANNALI DELLA UNEVERSETÀ TOSCANA —_ _——TP TOMO QUARTO ANNALI DELLA UNIVERSITA TOSCANA PARTE PRIMA SCIENZE NOOLOGICHE tomo QUARTO PISA TIPOGRAFIA NISTRI 1855 i * AZAO20T. ATTZARTIVIVO AM61BI0 THAT LITE * (0 M0I901001 ANAMIA —_ —— OUINAWI OO ... ca i coni DI DUE TAVOLE IN BRONZO CONTENENTI PARTE DELLE LEGGI MUNICIPALI DATE DA DOMIZIANO IMPERATORE A SALPENSA E MALAGA ' CITTA LATINE DELLA SPAGNA NELLA BETICA FORIZIA BONTEFIGATA DAL PROF. PIETRO CAPEI _—«D>oc=-_ Sul cadere del mese di Ottobre 1851, fuori della città di Malaga, nel sito prossimo che si domanda Barranco de los Tejares, a cinque piedi di profon- dità del suolo apparvero queste due tavole, collocate sopra antichissimo strato laterizio (colocadas sobre ladrillos de fecha antiquisima) e cuoperte, come pa- reva, nella loro faccia da pannolino, di che tuttavia serbavano pochi avanzi attaccati alla superficie. Il peso di quelle tavole si rilevò essere, tra ambedue, di 264 libbre Castigliane; e che mentre la tavola di Salpensa era distinta in due colonne di scrittura, l’altra di Malaga lo era in cinque; di entrambe poi la scrittura istessa si dimostra chiara, intelligibile, corretta e ben conservata. Abbiamo queste notizie dal Dott. Don Manuel Rodriguez de Berlanga, il quale correndo il mese di Febbrajo 1855 mandò in luce quelle due tavole, non senza spendervi sopra le sue cure e i suoi studii (1). Un esemplare di questa opera (1) Estudios sobre los dos bronces encontrados en Malaga à fines de Octubre de 1851. Por el Doctor Don Manuel Rodriguez de Berlanga, abogado del ilustre colegio de esta ciudad. Malaga, imprenta del avisador Malagueno, Calle del Marques N.° 12. 1855 — (alla fine: Fe- brero de 1853). 4° 25 pagg. non numerate, ed una tavola in Litografia. Come possessore attuale delle due tavole in bronzo nomina egli Don Iorge Loring . Scienze Noolog. T. IV. a 6 CAPEI del Berlanga venne comunicato dalla Accademia di Vienna alla R. Società Sas- sone delle Scienze, e il celebre Prof. Dott. Teodoro Mommsen membro di quella Società, perchè la dotta Germania si giovasse di tanta scoperta, tornò a pubblicare il testo di quelle due tavole, non solo in quella stessa, dirò così, diplomatica forma in che avealo pubblicato il Berlanga, ma in una nuova altresì sua propria, e più comoda pei lettori, raddrizzando cioè, o adempiendo, lad- dove occorre, il testo medesimo non senza però denotare siffatte emende per la collocazione loro tra due stanghette di questa fatta []; ed isciogliendo le sigle che vi s'incontrano, usato, per indicarlo, il solito segno (). Nè di ciò tennesi contento il Mommsen; conciosiachè il testo delle due tavole sia stato per esso illustrato di uno splendido Commentario, il quale sempre più ne au- menta la bella fama che procacciò con i suoi studii di lingua Osca, con le Iscrizioni Napolitane, con la sua Storia Romana (Vol. 1.°) e con molte altre egregie fatiche (1). Ricevuto appena nel dì 25 del mese di Febbrajo pr. pass. per cortesìa dell’amico mio Cav. Carlo Witte Professore di Diritto in Halle, il lavoro egregio del Mommsen, mi surse tosto nell’animo il desiderio che della nuova scoperta fosse data pronta notizia nel terzo dei nostri AnnaLi. Ma il dì 24 era mandato in luce quel volume, onde fu giuoco forza tardarla al quarto; nel quale parve bastante consegnare la recensione Mommseniana come più comoda per ogni genere di lettori; mentre i più dotti potranno facilmente rilevare anche la forma di quella diplomatica, solo che attendano ai segni appo- sti dal Mommsen per indicare quando egli corregge errori e adempie lacune, o solamente discioglie sigle; massime che le annotazioni per lui sottoposte, e quì riferite, recano le varianti del testo qual fu pubblicato in Ispagna. Di quale e quanto rilievo sia poi per la storia del gius privato e pubblico dei Romani il rinvenimento di quelle due tavole di bronzo, mi farò lecito ap- pena accennarlo. È noto come del gius del Lazio antico, e st di quello accor- dato ai Latini colonarii in Italia fiorendo la Repubblica, come finalmente di quello che caduta la Repubblica fu comunicato dagli Imperatori, e sempre sotto il nome di gius del Lazio, a molte e molte città straniere, ed anzi a intiere province, avevansi fin quì molto scarse e incerte notizie. Ora chi muova dal concetto, cui non sapremmo contraddire, del Mommsen; che salvo leggiere differenze comandate dai casi, e dai luoghi, uno solo fosse lo schema del gius del Lazio diffuso per gl’ Imperatori nelle Province; che lo schema istesso derivasse dal gius che già vegliava tra i Latini colonarii, il quale poi in molta parte almeno dovè essere quello medesimo che già fioriva nell’antico Lazio, (1) Die Stadtrechte der latinischen gemeinden Salpensa und Malaca in der Provinz Baetica (Vol. III delle Dissertazioni della R. Società Sassone delle Scienze da pagg. 365 a 488 in 4.°) Leipzig, bei S. Hirzel. 1855. TAVOLE DI SALPENSA E MALAGA M dalli cui cittadini, come altresì dai Romani, traevansi quei coloni; ne avrà come necessaria conseguenza che dai ragguardevoli avanzi di quelle due tavole si attingeranno preziose notizie non solo pel gius del Lazio di Salpensa e Ma- laga; ma di quello pur anco che regnando gl’ Imperatori fioriva nelle Province, e di quello infine che gia custodivasi tra i Colonarii, e persino nel Lazio antico. Può insomma tenersi per fermo che rispetto al gius del Lazio le due tavole di bronzo meritano quello stesso grado, che rispetto al gius della romana cittadi- nanza comunicata a tutti i Comuni d’Italia tengono la Legge Rubria per la Gallia Cisalpina della tavola Vellejate, e la Legge Giulia municipale che stà dentro alla tavola Eraclea, custodite in Parma ed in Napoli. Nè senza molta ammirazione quì vedranno i nostri lettori sia per mera tradizione, o un pò per soverchia estensione, dato il nome di Municipii a questa ultima sorta di Comuni Latini, e di Municipi ai loro cittadini; e come a città straniere si comunicassero per quella via magistrature proprie e fino a un certo segno almeno indipen- denti dal Preside della provincia, che non è tampoco nominato negli avanzi di queste due Leggi; e la distribuzione del Popolo per Curie a fine di rendere i suffragii; e i dritti di famiglia che già parevano sì propri del cittadino romano: manus, potestas, mancipium: diritti è vero che per la comunanza della stirpe non può recare molta meraviglia, altresì spettassero agli antichi Latini, ed ai Colonarii; onde a mio credere sempre più confermasi, e si dimostra legittima la induzione del Mommsen, che il gius del Lazio, dagli Imperatori dato alle città provinciali, fosse per la più parte almeno quello medesimo che già gode- vasi, e dai Latini antichi, e dai Colonarii. Il che avvertito, ed è pur troppo meschina cosa di fronte a quanto ci recano di nuovo, ecco la recensione Mommseniana di quelle due Leggi che voglionsi collocare tra l’anno 82 e l’anno 84 dell'Era nostra (1). Firenze il 5 di Marzo 1855. (1) AI cominciare dell’ anno 84 Domiziano assunse il titolo di Germanico, nè più lo dismesse. Quindi e accortamente il Mommsen ne derivò cagione per determinare il tempo delle Leggi medesime. LEGIS MUNICIPII FLAVII SALPENSANI PARS. Pu ie e nt Teti elio ie e sf auf» fo lo Me tel (allo, va dio io) (a) otfeltio [Rubrica. Ut magistratus civitatem Romanam consequantur .] [XXI] . . ... [Qui IIvir aedilis quaestor ex hac lege factus erit, cives Romani sunto, cum post annum magistratu] abierint, cum paren- tibus coniugibusque [a]c liberi[s], qui legitumis nuptis quaesiti in b) potestatem parentium fuer[i]nt, item nepotibus ac neptibus filio nat[is natabu]s, qui quaeque in potestate parentium fuerint; dum ne plures c(ives) R(omani) sint, qua[m] quod ex h(ac) I(ege) magi- stratus creare oportet. R(ubrica). Ut qui civitat(em) Roman(am) consequantur, maneant in 10 eorundem m(ancipi)o m(anu) potestate. XXII. Qui quaeve ex h(ac) l(ege) [exve] edicto imp(eratoris) Caesaris Aug(usti) Vespasiani imp(eratoris)ve Titi Caesaris Aug(usti) aut imp(eratoris) Caesaris Aug(usti) Domitiani p(atris) p(atriae) civita- tem Roman(am) consecutus consecuta erit, is ea in eius, qui c(ivis) 15 R(omanus) h(ac I(ege) factus erit, potestate manu mancipio, cuius esse deberet, si [civitate] mutatus mutata non esset, esto idque ius 4 hac liberi 5 fuerunt 6 natalis 7 qua 11 exve ex edicto 14 Si attende- rebbe est, erit; ma le parole exve edicto sino a p. p. sembrano una più tarda giunta 16 civitate Romana mutatus LEGGI MUNICIPALI DI SALPENSA E MALAGA 9 tutoris optandi habeto, quod haberet, si a cive Romano ortus orta neq(ue) civitate mutatus mutata esset. R(ubrica). Ut qui c(ivitatem) R(omanam) consequentur, iura liber- torum retineant. 20) XXIII. Qui quaeve h(ac) I(ege) exve edicto imp(eratoris) Caes(aris) Vesp(asiani) Aug(usti) imp(eratoris)ve Titi Caes(aris) Vespasian(i) Au(gusti) aut imp(eratoris) Caes(aris) Domitiani Aug(usti) c(ivita- tem) R(omanam) consecutus consecuta erit, is in libertos liber- tasve suos suas paternos paternas, qui quae in c(ivitatem) R(o- 25 manam) [n]Jon venerit, deque bonis eorum earum et is, quae libertatis causa inposita sunt, idem ius eademque condicio esto, quae esset, si civitate mutat[u]s mutat[fa] non esset. R(ubrica). De praefecto imp(eratoris).Caesaris Domitiani Augusti). 50) XXIII. Si eius municipi decuriones conscriptive municipesve imp(eratori) Caesar[i] Domitian[o] Aug(usto) p(atri) p(atriae) Iviratum com- muni nomine municipum eius municipi detuler[i]ot, imp(era- tor)[q]ue Domitian[us] Caesa[r] Aug(ustus) p(ater) P(atriae) eum Ilviratum receperit et loco suo praefectum quem esse iusserit, 55 is praefectus eo iure [loco]ve esto, quo esset, si eum IIvir(um) iure) d(icundo) ex h(ac) I(ege) solum creari oportuisset isque ex h(ac) I(ege) solus IIvir i(ure) d(icundo) creatus esset. R(ubrica). De iure praef(ecti) qui a Ilvir(o) relictus sit. XXV. Ex IIviris qui in eo municipio i(ure) d(icundo) p(raeerit), uter 40 postea ex eo municipio proficiscetur neque eo die in id muni- cip[i]um esse se rediturum arbitrabitur, quem praefectum muni- cipi non minorem quam annorum XXXYV ex decurionibus con- scriptisque relinquere volet, facito ut is iuret per Iovem et di- vom Aug(ustum) et dium Claudium et divom Vesp(asianum) 45 Aug(ustum) et divom Titum Aug(ustum) et genium impf(eratoris) 26 convenerit 28 mutatis mutatae 52 Caesaris Domitiani 55 f. detulerant imp.ve Domitiani Caesaris 36 loco manca, il Berlanga scioglie ve, in verum etiam 42 municipum (‘sic’ Berl.). 50 60 65 70 75 10 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI Caesaris Domitiani Aug(usti) deosque Penates, quae IIvir[os] qui i(ure) d(icundo) p(raeest) * h(ac) I(ege) facere oporteat, se, dum praefectus erit, d(um) [t](axat) quae eo tempore fieri possint, facturum neque adversus ea [f]acturum scientem d(olo) m(alo); et cum ita iuraverit, praefectum eum eius municipi relinquito. E[i] qui ita praefectus relictus erit, donec in id municipium alter- uter ex IlIviris adierit, in omnibus rebus id ius eaque potestas esto praeterquam de praefecto relinquendo et de c(ivitate) R(0- mana consequenda, quod ius quaeque potestas h(ac) I(ege) Ilvi- ris qui] iure dicundo praeerunt datur. Isque dum praefectus erit quotiensque municipium egressus erit, ne plus quam singulis diebus abesto. R(ubrica). De iureiurando IIvir(um) et aedillium) et q(uae- storum). XXVI. Duovir(i) qui in eo municipio i(ure) d(icundo) p(raesunt), item aediles [qui] in eo municipio sunt, item quaestores qui in eo municipio sunt, eorum quisque in diebus quinq(ue) proxumis post h(anc) I(egem) datam; quique Ilvir(i) aediles quaestoresve postea ex h(ac) I(ege) creati erunt, eorum quisque in diebus quinque proxumis ex quo IlIvir aedilis quaestor esse coeperit, priusquam decuriones conscriptive habeantur, iuranto pro con- tione per Iovem et dium Aug(ustum) et divom Claudium et di- vom Vespasiamum Aug(ustum) et divom Titum Aug(ustum) et genium Domitiani Aug(usti) deosque Penates: se, quodqu[o]mque ex h(ac) I(ege) exqu[e] re communi m(unicipum) m(unicipi) Flavi Salpensani censeat, recte esse facturum, nefqjue adversus h(anc) I(egem) remve communem municipum eius municipi factu- rum scientem d(olo) m(alo), quosque prohibere possit probibitu- rum; neque se aliter consilium habiturum neq(ue) aliter daturum neque sententiam dicturum quam [ut ex] h(ac) le(ge) exqu[e] re communi municipum eius municipi censeat fore. Qui ita non 47 Ilviri * Così per errore di stampa; ma la p del testo parrebbe quì doversi sciogliere in « praesunt». P. C. 49 erit de quae 50 acturum 52 et qui 56 IIviri in iure 62 qui manca 70 quod quemque; alterazione della forma arcaica oprata da un estensore che congiungeca quemque a facturum. Cf. lin. 91. 71 ex quod re 72 necue 76 quam ue h 1; forse è abbreviatura: u(t) e(x) ex qua re. XXVII. XXVIII. DI SALPENSA E MALAGA 11 iuraverit, is (sestertium X milia) municipibus eius municipi d(are) d(amnas) esto eiusque pecuniae deque ea pecunia municipum eius municipi [q]ui volet cuique per hanc legem licebit, actio 80 petitio persecutio esto. R(ubrica). De intercessione IIvir(um) et aedil(ium) [et] q(uae- storum) . Qui IIvir(i) ant aediles aut quaestores eius municipi erunt, his Ilvir(is) inter se [e]t cum aliquis alterutrum eorum aut utrumque 85 ab aedile aedilibus aut quaestor[e] quaestoribus appellabit; item aedilibus inter se; [item quaestoribus inter se] intercedendi, in triduo proxumo quam appellatio facta erit poteritqu[e] intercedì, quod eius adversus h(anc) ](egem) non fiat, et dum ne amplius quam seme[l] quisque eorum in eadem re appelletur, ius pote- 90 stasque esto, meve quis adversus ea qui[d], qu[o]m intercessum erit, facito. R(ubrica). De servis apud IIvir(um) manumittendis . Si quis municeps municipi Flavi Salpensani, qui Latinus erit, aput lIvir(os), qui iure dicundo praeerunt eius municipi, servom 95 suom servamve suam ex servitute in libertate[m] manumisserit liberum liberamve esse iusserit, dum ne quis pupillus neve quae virgo mulierve sine tutore auctore quem quamve manumittat liberum liberamve esse iubeat: qui ita manumissus liberve esse iussus erit, liber esto, quaeque ita manumissa liberave [esse] 100 iussa erit, libera esto, uti qui optum[o] iure Latin[i] libertini liberi sunt erunt; [d]um is qui minor XX annorum erit ita ma- numittat, si causam manumittendi iusta[m] esse is numerus de- curionum, per quem decreta [facta h(ac) I(ege)] rata sunt, cen- suerit. 105 78 is x 80cui 82et manca 83 i. t. (Berl. spiega ‘intra tempus’) 86 quae- stores 87 item quaestoribus inter se manca 88 poteritqui 90 semet 91 quic- quam, alterazione dell’arcaico quidquom; Cf. lin. 70. 96 libertate 100 esse manca 101 optume iure Latine 102 tum 105 iusta 104 h. 1. facta. 12 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI R(ubrica). De tutorum datione. XXIX. Cui tutor non erit incertusve erit, si is e r(e) e(sse) v(idebitur); e[t] municeps municipi Flavi Salpensani erit; et pupilli pupil- laeve non erunt; et ab IIviris, qui i(ure) d(icundo) p(raeerunt) 110 eius municipi, postulaverit, uti sibi tutorem det; [et] eum, quem dare volet, nominaverit: [t]um is, a quo postulatum erit, sive unum sive plures collegas habebit, e[x] omnium collegarum sententia, qui tum in eo municipio intrave fines municipi eius erit, causa cognita, si ei v[i]deb[i]tur, eum qui nominatus erit 115 tutorem dato. Sive is eave, cuius nomine ita postulatum erit, pupil(lus) pupillave erit, sive is, a quo postulatum erit, non ha- bebit collegam [collegav]e eius in ceo municipio intrave fines eius municipi nemo erit: [t]um is, a quo ita postulatum erit, causa cognita, in diebus X proxumis, ex decreto decurionum, 120 quod cum duae partes decurionum non minus adfuerint factum erit, eum, qui nominatus erit, quo ne ab iusto (tutore tutela [a]beat, e[i] tutorem dato. Qui tutor h(ac) I(ege) datus erit, is e[i], cui datus erit, quo ne ab iusto tutore tutela [a]beat, tam iustus tutor esto, quam si is c(ivis) R(omanus) et adgnatus pro- 125 xumus c(ivis) R(omanus) tutor esset . 108 e municeps NB. Alle linee 107 e 108 i Mommsen scioglie le sigle e r e v e che succedono a sì is e precedono municeps nel modo che si vede ivi riferito. Ma dietro una nuova soluzione proposta dall’ Huschhé e accolta dal Mommsen nell’ errata- corrige tutto quel passo vuole più semplicemente essere letto così: si is elalve municeps. 110 et manca 111 dum 112 et 114 ut debetur 117 collegamque eius 118 cum 122 habeat et 125 et habeat. DI SALPENSA E MALAGA ; 13 LEGIS MUNICIPII FLAVII MALACITANI PARS. [Rubrica. De nominatione candidatorum .] [LI]. [Si ad quem diem professio] fieri oportebit, nullius nomine aut pauciorum, quam tot quod creari oportebit, professio facta erit; sive ex his, quorum nomine professio facta erit, pauciores erupt, quorum h(ac) ](ege) comitiis rationem habere oporteat, quam totò [quot] creari oportebit: tum is qui comitia habere debebit pro- scribito ita u(t) de p(lano) r(ecte) I(egi) p(ossint) tot nomina eorum, quibus per h(anc) I(egem) eum honorem petere licebit, quod derunt ad eum numerum, ad quem creari ex h(ac) I(ege) oportebit. Qui ita proscripti erunt, ii, si volent, aput eum, qui 10 ea comitia habiturus erit, singuli singulos eiiusdem condi[c]ion[i]s nominato ique item, qui tum ab is nominati erunt, si volent, singuli singulos aput eundem e[a]demque condi[c|]ione nomi- nato; isque, aput quem ea nominatio facta erit, eorum omnium nomina proponito ita [ut] d(e) p(lano) r(ecte) I(egi) p(ossint), 15 deque is omnibus item comitia habeto perinde ac si eorum quoque nomine ex h(ac) I(ege) de petendo honore professio facta esset intra praestitutum diem petereque eum honorem sua sponte c[o]epissent neque eo proposito destitissent . R(ubrica). De comitiis habendis . co LII. Ex IIviris, qui nunc sunt, item ex is, qui deinceps in eo muni- cipio Ilviri erunt, uter maior natu erit, aut, si ei causa quae in- 6 quot manca 11 conditiones 15 eandemque conditione 15 ita. ut. u. de 19 cepissent. Scienze Noolog. T. IV. , b gi ci 40 CSI Ci 14 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI ciderit q(uo) m(inus) comitia habere possit, tum alter ex his, comitia Ivir(is), item aedilibus, item quaestoribus rogandis sub- rogandis h(ac) I(ege) habeto, utique ea distributione curiarum, de qua supra comprehensum est, suffragia ferri debebunt, ita per tabellam ferantur facito. Quique ita creati erunt, ii annum unum aut, si in alterius locum creati erunt, reliqua parte eiius anni in eo honore sunto, quem suffragis erunt consecuti. R(ubrica). In qua curia incolae suffragia | ferant. LIII. Quicumque in eo municipio comitia Iviris|, item aedilibus, item quaestoribus roganidis habebit, ex curiis sorte ducito unam, | in qua incolae, qui cives R(omapi) Latinive cives | erunt, suffragi[a] ferant, eisque in ea curia suffragi latio esto. R(ubrica). Quorum comitis rationem habere oporteat. LIII. Qui comitia habere debebit, is primum IlIvir(os) qui iure dicundo praesit ex eo genere ingenuorum hominum, de quo h(ac) I(ege) cautum conprehensumque est, deinde proximo quoque tempore aediles, item quaestores ex eo genere ingenuorum hominum, de quo h(ac) I(ege) cautum conprehensumque est, creando[s] cu- rato; dum ne cuiius comitis rationem habeat, qui IIviratum pet[et], qui minor annorum XXV erit quive intra quinquennium in eo honore fueriot; item qui aedilitatem quaesturamve petet, qui minor quam annor(um) XXV erit, quive in earum qua causa erit, propter quam, si c(ivis) R(omanus) esset, in numero decu- rionum conscriptorumve eum esse non liceret. R(ubrica). De suffragio ferendo. LV. Qui comitia ex h(ac) I(ege) habebit, is municipes curiatim ad suffragium ferendum vocato ita, ut uno vocatu omnes curias in suffragium vocet, eaeque singulae in singulis consaeptis suffra- gium per tabellam ferant. Itemque curato, ut ad cistam cuiius- que curiae ex municipibus eiius municipi ferni sint, qui eiius curiae non sint, qui suffragia custodiant, diribeant, et uti ante 50 54 di queste linee il Berlanga ha dato il fac-simile, riprodotto dal Mommsen 51 Quicunque così il Berlanga 33 suffragio stampa e fac-simile 40 creando 42 petet et qui. DI SALPENSA E MALAGA 15 quam id faciant quisque eorum iurent, se rationem suffragiorum file bona habiturum relaturamque. Neve prohibito q(uo) m(inus) 55 et qui honorem petent singulos custodes ad singulas cistas po- nant. Ilique custodes ab eo qui comitia habebit, item ab his po- siti qui honorem petent, in ea curia quisque eorum suffragi[um] ferto, ad cuiius curiae cistam custos positus erit, eorumque suf- fragia perinde iusta ralaque sunto ac si in sua quisque curia 60 suffragium tulisset. R(ubrica). Quid de his fieri oporteat, qui suffragiorum numero pares erunt. LVI. Is qui ea comitia habebit, uti quisque curiae cuiius plura quam alii suffragia babuerit, ita priorem ceteris eum pro ea curia 65 factum creatumque esse renuntiato, donec is numerus, ad quem creari oportebit, expletus sit. Qu[a] in curia totidem suffragia duo pluresve habuerint, maritum quive maritorum numero erit caelibi liberos non habenti, qui maritorum numero non erit; habentem liberos non habenti; plures liberos habentem paucio- 70 res habent[i] praeferto prioremque nun[t]iato ita, ut bini liberi post nomen impositum aut singuli puberes amissi v[i]rivepoten- tes amissae pro singulis sosp[i]tibus numerentur. Si duo plu- resve totidem sufffr]jagia habebunt et eiiusdem condi[c ]ionis erunt, nomina eorum in sortem coicito, et uti cuiiusque nome[n]75 sorte ductum erit, ita eum priorem alis renuntiat[o]. R(ubrica). De sortitione curiarum et is, qui curiarum numero par[e]s erunt. LVII. Qui comitia h(ac) I(ege) habe[b]it, is relatis omnium curiarum tabulis nomina curiarum in sortem coicito singularumque curia- 80 rum nomina sorte ducito et ut cuiiusque curiae nomen sorte exierit, quod ea curia fec[e]rit, pro[nun]tiari iubeto; et uti quis- que prior maiorem partem numeri curiarum conf[e]cerit, eum, cum h(ac) I(ege) iuraverit caveritque de pecunia communi, factum 58 suffragio 67 quam 71 habente 71 nunciato, meglio renuntiato 72 utrive potentes 75 sospetibus 74 suffagia conditionis 75 nomen 76 renuntiat 78 partes 79 bhaberit 82 fecierit promutiari 85 conficerit. 85 90 100 105 110 16 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI creatumque renuntiato, donec tot magistratus sint quod h(ac) I(ege) creari oportebit. Si totidem curias duo pluresve habe- bunt, uti supra conprehensum est de is qui suf[f]fragiorum nu- mero pares essent, ita de is qui totidem curias habebunt facito, eademque ratione priorem quemque creatum esse renuntiato. R(ubrica). Ne quit fiat, quo minus comitia habeantur. LVIII. Ne quis intercedito neve quit aliut facito, quo minus in eo mu- nicipio b(ac) l(ege) comitia habeantur perficiantur. Qui aliter adversus ea fecerit sciens d(olo) m(alo), is in res singulas (sestertium decem milia) municipibus municipi Flavi Malacitani d(are) d(amnas) e(sto) [ei]iusque pecuniae deque ea pecun(ia) municipi eiius municipii, qui volet cuique per h(anc) l(egem) licebit, actio petitio persecutio esto. R(ubrica). De iure iurando eorum, qui maiorem partem numeri curiarum expleverit. LIX. Qui ea comitia habebit, uti quisque eorum, quii IIviratum aedili-. tatem quaesturamve petet, maiiorem partem numeri curiarum expleverit, priusquam eum factum creatumque renuntiet, ius- iurandum adifg]ito in contionem palam per Iovem et divom Au- gustum et divom Claudium et divom Vespasianum Aug(ustum) et divom Titum Aug(ustum) et genium impf(eratoris) Caesaris D(omitia)ni Aug(usti) deosque Pen[a]tes, [e]JÌum qu[a]e ex h(ac) I(ege) facere oportebit facturum neque adversus h(anc) ](egem) fecisse aut facturum esse scientem d(olo) m(alo). R(ubrica). Ut de pecunia communi municipum caveatur ab is, qui Ilviratum quaesturamve petet. LX. Qui in eo municipio Ilviratum quaesturamve petent quique pro- pterea, quod pauciorum nomine quam oportet professio facta 87 sufragiorum 94 Hs x 95 iliusque 105 adicito 106 D.....ni. Qui, dice il Berlanga fol. 4, havvi lacuna nel testo che solo permette leggere chiaramente una D in principio, e NI alla fine, e con bastante fatica gli ultimi tratti delle lettere che formano il nome DOMITIANI. 106 penantes se eumque, dove se è una falsa geminazione. DI SALPENSA E MALAGA 17 esset, nominatim in eam condicionem rediguntur, ut de his quo- que suffragium ex h(ac) I(ege) ferri oporteat, quisque eorum, quo die comitia habebuntur, ante quam suffragium feratur, arbi- 115 tratu eius qui ea comitia habebit, praedes in commune munici- pum dato pecuniam communem eorum, quam in honore suo tractaverit, salvam is fore. Si d(e) e(a) r(e) is praedibus minu[s] cafu]tum esse videbitur, praedia subsignato arbitratu eiiusdem. Isque ab iis praedes praediaque sine d(olo) m(alo) accipito, 120 quoad recte cautum sit, uti quod recte factum esse volet. Per quem eorum, de quibus IIvirorum quaestorumve comitiis suffra- gium ferri oportebit, steterit, q(uo) m(inus) recte cavealur, eius qu[i] comitia habebit rationem ne habeto. R(ubrica). De patrono cooptando. 125 LXI. Ne quis patronum publice municipibus mu[un]icipii Flavi Malaci- tani cooptato patr[o]ciniumve cui deferto, nisi ex maioris partis decurionum decreto, quod decretum factum erit, cum duae par- tes non minus adfuerint et iurati per tabellam sententiam tule- rint. Qui aliter adversus ea patronum publice municipibus m[u]- 150 nicipii Flavi Malacitani cooptaverit patrociniumve cui detulerit, is (sestertium XV milia) in publicum municipibus municipii Flavi Malacitani d(are) d(amnas) e(sto), e[t] is qui adversus h(anc) I(egem) patronus cooptatus cui[ve] patrocinium delatum erit, ne magis ob eam rem patronus municipum municipii Flavi Malaci- ’ [tani] esto- _ DI (aj R(ubrica). Ne quis aedificia, quae restituturus non erit, destruat. LXII. Ne quis in oppido municipii Flavi Malacitani quaeque ei oppido continentia aedificia erunt, aedificium detegito destruito demo- liendumve curato nisi decurionu[m] conscriptorumve sententia, 140 cum maior pars eorum adfuerit, quod restitu[tu]rus intra proxi- 115 meglio parrebbe redigentur e invece di his is 118 f. minu cantum 124 que 126 municipi 127 patriciniumve 150 minicipii 152 Hs xv 155 cis 154 cuiius patrocinium 155 Malacitani tanti esto, forse per falsa geminazione 140 decurionum; meglio de decurionum 141 restiturus (‘sie’ Berl.); Cf. Giornale per la Giurisprudenza storica. XV, 527. 18 145 LXIII. 150 160 LXIIII. 165 170 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI mum annum non erit. Qui adversus ea fecerit, is quanti e(a) r(es) e(rit), t(antam) p(ecuniam) municipibus municipi Flavi Ma- lacitani d(are) d(amnas) e(sto), eiusque pecuniae deque ea pe- cunia municipi eius municipii, qui volet cuique per h(anc) I(egem) licebit, actio petitio persecutio esto. R(ubrica). De locationibus legibusque locationum proponendis et in tabulas municipi referendis. Qui Ilvir i(ure) d(icundo) p(raeerit), vectigalia ultroque tributa sive quid aliut communi nomine municipum eiius municipi locari oportebit, locato. Quasque locationes fecerit quasque leges di- xerit, quanti quit Jocatum sit et praedes accepti sint quaeque praedia subdita subsignata obligatave sint quique praediorum cognitores accepti sint, in tabulas communes municipum eius municipi referantur facito et proposita habeto per omne reli- quom tempus honoris sui, ita ut d(e) p(lano) r(ecte) I(egi) p(os- sint), quo loco decuriones conscriptive proponenda esse cen- suerint. R(ubrica). De obligatione praedum praediorum cognitorumque. Quicumque in municipio Flavio Malacitano in commune muni- cipum eiius municipi praedes facti sunt erunt, quaeque praedia accepta sunt erunt, quique eorum praediorum cognitores facti sunt erunt: ii omnes et quae cuiiusque eorum tum [fuerunt] erunt, cum praees cognitorve factus est erit, quaeque postea esse, cum ii obligati esse coeper[u]nt, c[o]eperint, qui eorum soluti liberatique non sunt non erunt aut non sine d(olo) m(alo) sunt erunt, eaque omnia, [quae] eorum soluta liberataque non sunt non erunt aut non sine d(olo) m(alo) sunt erunt, in com- mune municipum eiius municipii item obligati obligatfa]que sunto, uti ii e[a]ve p(opulo) R(omano) obligati obligatave essent, si aput eos, qui Romae aerario praessent ii praedes i[i]que cognitores facti eaque praedia subdita subsignata obligatave essent. Eosque praedes eaque praedia eosque cognitores, si 165 fuerunt manca 165 coeperiint ceperint 167 omnia quaeque eorum 169 obligataegue 170 eaeve 171 inque (‘sic’ Berl.). DI SALPENSA E MALAGA 19 quit eorum, in quae cognitores facti erunt, ita non erit, qui quaeve soluti liberati soluta liberataque non sunt non erunt aut 175 non sine d(olo) m(alo) sunt erunt, IIviris, qui ibi i(ure) d(icundo) praerunt, ambobus alter[i]ve eorum ex decurionum conscripto- rumque decreto, quod decretum cum eorum partes tertiae non minus quam duae adessent factum erit, vendere legemque his vendundis dicere ius potestasque esto; dum eafm] legem is 180 rebus vendundis dicant, quam legem eos, qui Romae aerario praeerunt, e lege praediatoria praedibus praedisque vendundis dicere oporteret, aut, si lege praediatoria emptorem non inve- niet, quam legem in vacuom vendendis dicere oporteret; et dum ita legem dicant, uti pecunia minroRE municipi Flavi Mala- 185 citani referatur luatur solvatur. Quaeque lex ita dicta [e]rit, iusta rataque esto. R(ubrica). Ut ius dicatur e lege dicta praedibus et praedis ven- dundis. LXV. Quos praedes quaeque praedia quosque cognitores IIviri muni- 190 cipii Flavi Malacitani h(ac) I(ege) vendiderint, de iis quicumque i(ure) d(icundo) p(raeerit), ad quem de ea re in ius aditum erit, ita ius dicito iudiciaque dato, ut ei, qui eos praedes cognitores ea praedia mercati erunt, praedes socii heredesque eorum [i]que, ad quos ea res pertinebit, de is rebus agere easque res 195 petere persequi recte possit. R(ubrica). De multa quae dicta erit. LXVI. Multas in eo municipio ab IIviris praefectove dictas, item ab aedilibus, quas aediles dixisse se aput Ilviros ambo alterve ex is professi erunt, IIvir qui i(ure) d(icundo) p(raeerit) in tabulas 200 communes municipum eiius municipi referri iubeto. Si cui ea multa dicta erit aut nomine eiius alius postulabit, ut de ea ad decuriones conscriptosve referatur, de ea decurionum conscri- ptorumve iudicium esto. Quaeque multae non erunt iniustae 177 alteriusve 180 ea 185 vorrebbe il costrutto che in luogo dello sconcio MINFORE quì sì leggesse o in commune o in publicum o in rem [ Quì scorgerei cor- rotto l’arcaico in popl(icum) P. C.] 186 dictarit 195 si attenderebbe ut ii; verosi- milmente l’arcaico utei eiei fu stortamente interpretato dallo estensore 195 isque. 208 210 215 220) 250) 20 TAVOLE DELLE LEGGI MUNICIPALI TÀ a decurionibus conscriptisve iudicatae, eas multas IIviri in pu- blicum municip[u]m eiius municipii redigunto. R(ubrica). De pecunia communi municipum deque rationibus eorundem. LXVII. Ad quem pecunia communis municipum eiius municipi perve- nerit heresve eiius isve ad quem ea res perlinebit, in diebus XXX proximis, quibus ea pecunia ad eum pervenerit, in publi- cum municipum eiius municipi eam referto. Quique rationes communes negotiumve quod commun[e] municipum eius muni- cipi [g]esserit tractaverit, is heresve eiius [isve] ad quem ea res pertinebit in diebus XXX proximis, quibus ea negotia easve ratio- nes gerere tractare desierit, quibusque decuriones conscriptique habebuntur, rationes edito redditoque decurionibus conscriptisve cuive de his accipiendis cognoscendis ex decreto decurionum conscriptorumve, quod decretum factum erit, cum eorum partes non minus quam duae tertiae adessent, negotium datum erit. Per quem steterit, q(uo) m(inus) ita pecunia redigeretur refer- retur quove minus ita rationes redderentur, is, per quem stete- rit q(uo) m(inus) rationes redde[r]Jentur quove minus pecunia redigeretur referret[ur] heresque eius isque ad quem ea res qua de agitur pertinebit, q(uanti) e(a) r(es) erit, tantum et alte- rum tantum municipibus eiius municipi d(are) d(amnas) e(sto). Eiusque pecuniae deque ea pecunia municipum municipii Flavi Malacitani qui volet cuique per b(anc) I(egem) licebit actio peti- tio perseculio esto. R(ubrica). De constituendis patronis causae, cum rationes red- dentur. LXVIII. Cum ita rationes reddentur, IIvir, qui decuriones conscriptosve habebit, ad decuriones conscriptosve [r]eferto, quos placeat pu- blicam causam agere, iique decuriones conscriptive per tabel- lam iurati d(e) e(a) r(e) decernunto, tum cum eorum partes non 206 municipium 215 communi 214 cesserit isve manca 225 reddenrentur 224 referret 228 dietro Malacitani vien ripetuto eius ca pecunia municipum municipii Flavi Malacitani 255 eeferto. DI SALPFNSA E MALAGA 21 minus quam duae tertiae aderunt, ita ut tres, quos plurimi per 255 tabellam legerint, causam publicam agant, iique qui ita lecti erunt tempus a decurionibus conscriptisve, quo causam cogno- scant aclionemque suam ordinent, postulanto eoque tempore quod is datum erit transacto eam causam uti quod recte factum esse volet agunto. 240 R(ubrica). De iudicio pecuniae communis. LXIX. Quod m(unicipum) m(unicipii) Flavi Malacitani nomine petelur ab eo, qui eius municipi munic[ep]s incolave erit, quodve cum eo agetur quod pluris (sestertios) co sit neque tanti sit ut [de . ea . re . proconsulem ius dicere iudiciaque dare ex 245 hac lege oporteat, de ea re IIvir praefectusve, qui iure dicundo praeerit eius municipii, ad quem de ea re in ius aditum erit, ius ditte udine 245 municipes 244 Hs. NB. Gli eruditi Lettori si saranno accorti, come il Mommsen nella sua recen- sione di queste tavole abbia scrupolosamente rispettata la ortografia dell’originale; ove derunt, praerunt, praessent, praest, é scritto in luogo di deerunt, praeerunt, praeessent, praeest; praees în luogo di praes (garante); cuiius, eius, maiiorem ingece di cuius, eius, maiorem; municipi, comitis per municipii, comitiis; quot ete. în luogo di quod ete. ique, is invece di iique, lis; etc. Si saranno parimente accorti di non poche insolite forme e costruzioni grammaticali; come altresì dello spesseggiare în queste tavole la voce Commune in significato prossimo a quello che la voce istessa pigliò dipoi nel medio eco e nelle moderne favelle. Scienze Noolog. T. IV. e - Wire) iirnt@ e pu ottano Ù “0. Mast ai Ma dé Satan retin evtapi snplividet * + «Mf4og ‘48960 up. povaligirranoo end i 7, enduol ant è Ù ì a svi M jà MEN : e) rinquent, *eppo die fate ret MIGCLOLII MILIG E Li progr a ORTI E omitoni ata Ruitp= Je enganeo dies ubi asini tisa ode ni sbrp ® TTTO ati sud | ( cima li ‘ pila oh" 0 per ; "9 si of ibi preti î ù USZLIt! IL i aniiramoa obidba sepnite days: sin derp {scsi pate ip CEI tuinisg. SEMM0p a SA a avhonpiT ie sentodal afro pata ito at atirertag os e de LE : 1 TE fu dia “ IO, Pro nrnb voupelbibiio drovità dai. maluaroziongio noto. Dpria si io ; Pa x z PI ; obauib nisi ciopr avranno ope ste 1pat1oge ego! sd e g A = au) fino ttt val ato sf ripe n° biagio muore METTO) I503] va Ai si arci E MF) RIE, ESITI Se vindi ; oli mr F1 LI Ù — "gb: N % si e = * wi 416 10) È, Ù n) n si, Po ù ul nie ya se riso DIL outta è omne ia ivo de 1 È MY di ° s NW pnt Wet 1 " Leda ini SETE SY VET 4 È CONC "= rime: 9 vue rovinate dar api al Mira di NI ‘ ti PLEROSQVE - ERVDITORVM * ARTIFICVMQVE COETVS - ADSCITVS - EST AMICITIAS - CVM - VIRIS - DISCIPLINARVM - LITTERARVM - BONARVMVE ARTIVM * LAVDE - PRAESTANTIBVS © SEMEL © INITAS + RARA - FIDE - PERPETVO SERVAVIT * COLVIT - OFFICIVM - SVVM * A - NEMINE - NOSTRATIVM EXTERORVMQ - DOMI - ILLVM - INVISENTIVM - DESIDERARI - PASSVS * ET PROCERVM - NOTORVM - AMICORVMQVE * CONSVETVDINE * HORIS - SVBSECIVIS DELECTATVS - SVMMA * OMNIVM - GRATIA * HILAREM - FESTIVVM - ARGVTVM VBIQVE * VEL * IN - IPSA - SENECTVTE * SE - PRAESTITIT MEMORIA -* RERVM - VERBORVMQVE © AD - SVPREMVM - VITAE - TEMPVS FIRMISSIMA © AC - INTEGRA -* VALETVDINE - VSVS - NVMQVAM - CESSAVIT SVMMORVM - SCRIPTORVM - OPERIBVS - ACCVRATA » DILIGENTIA * SPLENDIDOQVE CVLTV - IN - LVCEM - EMISSIS - IGNOTA * EFFERRE - INTACTA * ‘TRACTARE NVMQVAM - DESTITIT * OMNIBVS * QVIBVSCVMQVE - POTVIT * AVCTORITATE CONSILIO - PECVNIA - PRAESTO - FVIT - SVOS * DILEXIT - IVVITQVE > ADFECTV AC - SOLLICITVDINE - INENARRABILI - PERMOLESTO - MORBO © TENTATVS PATIENTIAM - FORTEMQVE : ANIMVM - NON - EXSVIT * DIEMOVE - SVVM * PIE PLACIDEQVE - OBIVIT : POSTRIDIE * IDVS - MAIAS - ANNI - MDCCCLV - MAXIMO SVORVM - LVCTV - TOTAQVE * PARITER - MOERENTE : CIVITATE * QVAE - TANTI VIRI * IACTVRA - EXIMIO - SE - ORNAMENTO * ET : LVMINE - ORBATAM - SENSIT HIPPOLYTVS - DOCT - MEDICVS CVM - THERESIA - SORORE - ET « IVLIA © ANTINORIA - C © F * CONIVGE ET : THERESILLA * FILIA * INSOLABILITER * COLLACRIMANTIBYS MEMORIAM * PATRIS * INCOMPARABILIS * DESIDERATISSIMI HIS - QVOQVE - LITTERIS - COMMENDATAM CVM - POSTERIS © COMMVNICANDAM * CVRAVIT AVE * ET - VALE © IN © PACE © ANIMA © CARISSIMA AMORIS © IN - NOS - TVI - TVORVMQVE * BENEFICIORVM NVMQVAM - DVM * VITA * ERIT * OBLIVISCEMVR INDICE DELLA PARTE PRIMA Carri P. Di due Tavole in bronzo contenenti parte delle Leygi Municipali date da Domiziano Imperatore a Salpensa e A città latine della Spayna nella Betica . . . . Ferrucci M. Elogio del Cav. Prof. Giovanni Rosini recitato ni di n No- vembre 1855 nella Scuola magna della Sapienza di Pisa pel solenne rinnovellamento degli Studj . ERRORI-CORREZIONI ep AGGIUNTE Pag. 7 v. 10 tavola Eraclea leggi tavola d’Eraclea ibid. v. 21 e 22 dagli Imperatori dato alle città provinciali, fosse etc leggiî dagli Impera- tori dalo, siccome pare, alle città provinciali per accostarne la condizione a quella dei cittadini romani, fosse ec. Pag. 15 v. 2 relaturamque leggi relaturumque . » 26 » 18 immaginazione » l’immaginazione » — » 54 avere » avere lui » 52 » 10 sì da’ nostri che dagli stranieri » sì da’ nostri e sì dagli stranieri » 35 » 32 intrapresa » impresa PREZZO Tomo I. 1846 — Paoli 48 "|: pari a Fr. 27. 30. Tomo II. 1851 — » 30. = » 16. 80. Tomo HI. 1854 — » 17 = » 9.52 Tomo IV. 1855 — » 17 = » 9. 52. e VANE sa de 7 (1 ( 3 © @ va 3900 RIA UG @ È è: O) @ a ) E È (CI OPACA (e0)RIAV CO (e Sé SE ><: a (0 OM & lo @ ci sii 0 ANNALE DELLA UNIVERSITA TOSCANA TOMO QUARTO Gel Le 2b aC RITON sta Dr CIA ZI el; RENO se ORE 5: EG) © dol la lunghezza del filo indotto; r;, rs, le distanze variabili fra gli elementi do e ds, e fra ds, e do. Siano e, e, le curve descritte dalle estremità del filo indotto, sul piano conduttore, ed in virtù del qui sopra enunciato teorema avremo ai due inte- grali precedenti da aggiungere gli altri due togong e 1 dr Da si dr. dr i ff Si ga r., de, de :°, s° sono le lunghezze delle curve descritte dalle estremità del filo. 12 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Così la cercata forza elettro-motrice E sarà generalmente espressa da (54) E=E+E, Dalla (3') resulterebbero degli altri termini da aggiungersi nella formola precedente qualora il circuito voltaico inducente fosse aperto, e tale che alla sua considerazione non si potesse, analiticamente, sostituire quella di un cir- cuito chiuso. Ma quì non trattiamo un simil caso, il quale si presenta soltanto nell’induzione di una parte del circuito voltaico in movimento e strisciante sopra l’altra parte; induzione esercitata fra le due parti stesse, ossia luna sopra dell'altra. Tal caso diverrà molto importante in seguito perchè da esso si potrà dedurre il rapporto fra i valori delle due costanti A, B della (i). Ma per ora convien limitarci alle esperienze conosciute. Passiamo a discutere le esperienze (a) (b) (e) (4) (e). 65.° Partendo direttamente dalle formule (34), (34), entreressimo in un calcolo troppo lungo che possiamo schivare, giacchè sappiamo già che relativa- mente alla azione di una selenoide che agisce sopra un circuito chiuso le dette formule si possono ridurre in altra di forma più semplice, e che meglio con- viene al nostro scopo. Sia do una sezione della selenoide normale alla direzione della sua curva direttrice s; d@' un’ elemento della superficie, qualunque, limitata da detto circuito chiuso; s, la normale all'elemento d @'; r la distanza fra do' e dw. Ciò posto la forza elettro-motrice indotta nell’atto della calamitazione istantanea della calamita dalla selenoide rappresentata, forza indotta sulla curva limite alla superficie di cui do' è un’ elemento, ossia nel circuito chiuso, sarà espressa dalla formula seguente la quale si rileva dalla (10) del paragrafo 17.° A ida == oifrsfcine dsdo' ; ds ds estendendo le integrazioni a tutta la superficie anzidetta e lungo la intera selenoide. C sarà una costante proporzionale alla sezione della selenoide, ed alla intensità del magnetismo. Si avrà pure {dr 73 DS »2 (7 s' E=— SSa et ia ds. ELETTRO- DINAMICA 13 Nei casi delle esperienze (4) ec. gli scandagli descrivono dei circoli con- centrici e normali all'asse polare, ossia alla retta che passa per i poli; così s, dr sarà paralella all'asse, e di stesso. Perciò integrando per s ed indicando con <, , «,, gli angoli che le due rette r, , r, che partono respettivamente dal punto di mezzo di do' e vanno ai poli della selenoide, fanno con detto asse, o retta che gli congiunge, si avrà I E=-C io! cosa, — sia cosa, ) do' . A ” ue Ma sia s, la distanza del circolo tracciato dallo scandaglio dal polo Nord; s, la distanza dello stesso circolo dal polo Sud, contando queste distanze come positive dal Nord al Sud ; cosicchè quando lo scandaglio sarà vicino al Nord, e sarà projettato fuori dell’asse polare, s, ed s, saranno positive, e quando sarà projettato fra il Nord ed il Sud, s, sarà negativa ed s,, positiva, e via dicendo. Qualunque sia il segno di s, ed s,, si avrà sarà il coseno dell’angolo « che la r fa con l’asse D Ma se p è la distanza di do' dall'asse polare, si avrà e Vst+ , maVs8+pî, do'=pdpdp. g essendo l’angolo di p con una retta fissa nel piano del circolo. Così si avrà TAI i fo "Ve dle (8)? ch ps (ua pî)s ossia, integrando per p, da 0, a p—=al raggio del circolo, Hi= aa pal 00; (sP+ pr (G°+p9)e ed integrando da p—=0, ap—=2r, E=erc(_îu- art (3 +95 (st + ps Scienze Cosmolog. T. IV. 19 14 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Siccome dobbiamo considerare anche l’altro scandaglio, e siccome il moto di esso relativamente alla calamita è lo stesso che per il primo, talchè le forze elettro-motrici relative ai circoli da essi tracciati si trovano opposte nel galva- nometro, aggiungendo alle lettere della precedente formula un apice, per rap- presentare la forza elettro-motrice sensibile al galvanometro avremo la formula seguente, s dii Coristrorni mi coroisicorD)) che ci da le leggi delle esperienze (a) ec. 64.° Nella esperienza (a) si ha p= p'. Quando i due scandagli posano sulla stessa sezione della calamita, E=0, cioè non vi è corrente al galvanometro. Quando uno dei scandagli è sulla sezione polare Nord, e l’altro sul Sud della calamita si ha s, — 0, s, =! lunghezza dell’asse della calamita, s'= — 4, s\=0; E=0; e pure in questo caso non vi è corrente. Quando uno scandaglio è sul polo Nord e l’altro sul mezzo della calamita, I = suihags — 08 —C, 8 u= s ; e quando lo scandaglio che era sul polo Nord si trasporta nel mezzo, e l’altro al Sud, si ha s = — s'= —1,sh=0; e ciò ne indica che ai due detti casi corrispondono correnti uguali e di segno contrario. Se la calamita è bastantemente lunga, e se i due scandagli sono tutti e due vicini ad up polo si può far astrazione dal polo Sud, per esempio, e si avrà E=27C (a = a È (8° + pia (+9 Se gli scandagli posano vicini al detto polo fra il Nord ed il Sud s, sarà nega- tivo, e lo sarà pure s'. Se si trasportano paralellamente a loro stessi gli scan- dagli al di fuori della calamita, ossia in modo che siano projettati su due punti dell'asse che restano vicini al polo Nord ma fuori della distanza polare, allora s, ed s,' diverranno tutti e due positivi, ma nel primo caso s, < sj", nel secon- do s,>s/; talchè i segni di E non varieranno, e ciò ne indicherà che le cor- renti indotte conserveranno la stessa direzione. Ma se si trasportano in modo che lo stesso scandaglio sia nei due casi sempre il più vicino al polo, allora le correnti cangieranno di segno. ELETTRO-DINAMICA 15 Finalmente il modo col quale abbiamo ottenuto la (55) ci indicherà che le correnti saranno indipendenti dalla forma del circuito e da quella della cala- mita, la quale supponemmo cilindrica per avere il solo caso di correnti cal- colabili dalla formula (54), . Ora però, tutte le volte che gli scandagli tracce- ranno curve chiuse, potremo sempre supporre alla calamita una forma qualunque, ed applicarvi la (35) purchè si supponga per semplicità di calcolo piccola la sezione della calamita stessa. 65.° Ma quando gli scandagli stanno fermi, ed il disco o piano con- duttore che è sotto di essi ruota attorno un asse, la corrente dalla presente teoria calcolata è in generale dipendente dalla forma della calamita. Questa ultima circostanza fa differire grandemente il nostro lavoro da quelli dei sigg. Neumann e Weber; mentre nel caso particolare del paragrafo precedente le nostre formule e quelle di questi distinti fisici matematici coinciderebbero per- fettamente. Ma però quel che abbiamo detto più sopra conferma la legge del Lenz, come artifizio applicabile alle esperienze analizzabili dalla (35). Ma noi abbiamo portata assai chiarezza nella discussione dei fenomeni perchè ormai sia facile, trattando i diversi casi, discutere le ipotesi del Weber e Neumann. 66.° Nella esperienza (6) si ha s,=8,, su= 8", quindi e=220( S en... (GA nh pa (Gia Ip pe (s? ali SE (Ch ste pi Per più semplicità trattiamo il caso in cui gli scandagli tracciano sul disco due circoli la cui differenza fra i raggi è piccolissima. Allora si potrà fare p=p+dpe perciò, dE=22C( di so (Celia 0 LIMI Celani 0 All’aumentare di p l’espressione precedente diverrà nulla, per assumere, crescendo il valore di p, un segno opposto al primo; e ciò conferma i resultati descritti nella esperienza (b). Per trovare il valore di p che rende nullo il valore di E si porrà SR ip Mea 2 a LE a\}? (5, al: P )E (Su ar P )a ossia, sì (Su A e) =; Su (Ch st 23° 9 16 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE equazione di terzo grado in p*, e secondo le note formule si ricava a A sap? 8° PASS, co |to p=& Per s=1, ed s,=27 si avrebbe p?-—81+9=90, onde, a un dipresso, si avrà o= V90 = 9 Hol Portst=MM edWsit=iS8h sarà pa= 1604420 onde all’incirca Ma in tutte le applicazioni di queste formule ai diversi casi particolari, bisogna rammentarsi che in primo luogo esse non si riferiscono che a calamite di sezioni piccolissime; e in secondo luogo che suppongono nota la posizione dei poli nelle calamite stesse. Il caso di una calamita di sezione qualunque potrà pure trattarsi con la (55) ma darà luogo a delle altre integrazioni, ad eseguire le quali converrà sapere la distribuzione del magnetismo nella calamita. Abbiamo fatto tali avvertenze perchè spesso alcuni esperimentatori non distinguono i poli dalle estremità della calamita; cosa che nella descrizione di molte esperienze non potrà condurre in errore, ma non così in molte altre, come nei casi quì trattati. Il sig. E. Verdet nella sua memoria sull’azione del magnetismo nelle sostanze trasparenti ci fa rimarcare su ciò un chiaro esempio. 67.° La formula (35) offre una somiglianza perfetta colla formula che nella teoria dell’Ampère da il momento di ruotazione di un circuito aperto attorno l’asse polare di una calamita. Tale somiglianza con le formule del Weber e del Neumann sussiste in un certo ordine di casi, ove si tratti di circuiti fili- formi, e ciò è rimarchevole; ma l’espressione analitica della forza elettro-mo- trice in un elemento indotto, che non striscia sul conduttore di cui fa parte, ma solo cangia di posizione relativa al corpo inducente, non ha tal somiglianza; per cui il presente lavoro rimane essenzialmente differente da quelli di quei distinti matematici trattando il caso generale dell’induzione in un corpo di forma qualunque, come vedemmo nella seconda Memoria. 68.° Nella esperienza (b) ove il disco ruota concentrico e normale all'asse della calamita cilindrica, non vi sono correnti indotte in forza di cangiamenti di posizioni relative; e le correnti vi si generano e si manifestano in tal caso ELETTRO-DINAMICA 17 per l'applicazione dei scandagli sul disco stesso. Ciò è d’ accordo colla espe- rienza, e colle nostre formule. Secondo le ipotesi dei sigg. Weber e Neumann non sarebbero nulle in quel caso (6) le forze elettro-motrici indotte sul disco, anzi si avrebbero le linee di massima induzione dirette secondo i raggi del disco e le forze elettro-motrici uniformemente disposte attorno il centro comune. Ma precisamente in virtù di quest’ultima circostanza, e se il disco è omogeneo, non vi potrebbero esser cor- renti; perchè le forze stesse si distruggerebbero reciprocamente nei loro effetti. Infatti non vi sarebbe alcuna ragione perchè tali correnti avessero altra direzione di quella dei raggi del disco, ed incontrerebbero normalmente la periferia limite del conduttore, e perciò non potrebbero circolare, a meno che non si applicas- sero sul disco le estremità del galvanometro. Ma quando il corpo rotante abban- dona la sua forma circolare, od è un conduttore tale che siano in lui sensibili le correnti secondo tutte e tre le sue dimensioni, allora resterebbe da quegli stessi fisici a dimostrarsi che le loro formule sarebbero anche in questo caso concordi all'esperienza; vale a dire resterebbe a dimostrarsi che tal distruzione reciproca negli effetti delle forze elettro-motrici avrebbe luogo come nel primo caso. Ma il caso generale dell’induzione è costituito da due, i quali possono separatamente o contemporaneamente aver luogo; casi spartitamente dalle (54), e dalla (34), rappresentati, ed insieme dalla formula generale (54) riuniti (*). 69.° Spesso anche quando gli scandagli del galvanometro sono applicati al corpo in movimento, che striscia a loro contatto, le forze dalla (54), calcolate possono formare una somma nulla; talchè se vi ha corrente al galvanometro essa non può risultare da altro che dalla differenza degli stati elettrici corri- spondenti agli scandagli. In questi casi la diversa intensità delle correnti misurate col galvanometro, serve a determinare esperimentalmente come variano sul corpo indotto gli stati elettrici. Così, come fece per il primo il Matteucci, si potranno tracciare le linee di ugual stato elettrico, che saranno quelle sulle quali posando, in due punti appartenenti alla stessa linea, gli scandagli, non si avrà corrente nel galvanometro, e quindi si passerà a determinare il sistema delle linee di massimo eflusso, ossia di correnti massime; il qual sistema sarà ortogonale al citato. Tale metodo è conforme all’esperienza, è dettato dalla teoria dell’Ohm; e fu seguìto la prima volta dal sig. Kirchhoff pel caso di un conduttore in comunicazione coi poli di una pila . 70.° Per un esempio del modo che deve esser tenuto nel calcolo delle forze elettro-motrici che alla (54), si riferiscono prendiamo il caso di una calamita rettilinea sottilissima e normale al disco ruotante, con un suo polo vicinissimo e l’altro ad una distanza grande dal disco stesso. (*) Le formule che danno i valori di E, , E, anderebbero indicate con (54), , (54), - mus 18 SULLA TEORIA DELL’ INDUZIONE Gli scandagli del galvanometro tenuti immobili descriveranno in generale sul disco in moto due circoli concentrici, ma prenderemo il caso in cui uno dei scandagli sia nel centro di ruotazione, il quale è pure centro del disco. Facciamo uso della (25) del paragrafo 40°. Se x' y' sono le coordinate di uno di quei circoli, e d s' un suo elemento il quale fa con gli assi x, ed y degli angoli i di cui coseni sono a', d'; Se x,1 sono le coordinate della calamita, ossia del suo polo, si avrà la forza elettro- motrice indotta dalla calamitazione istantanea della detta calamita su ds', Ao ds UVA) (ea)? +(y-y)? y x essendo la sezione della calamita. espressa da È ia "=_-=—- '—_-_——-; e se per semplicità si fa Qui avremo @ Vespe) b Vai? P P e=p, y=0, pi=Vx*+y?; e se pè l'angolo delle x con gp, , si avrà, in peosp = P, : PSN ARCOS Se v è l’angolo descritto dal disco nell'unità di tempo, vp, dt sarà l'arco descritto dallo scandaglio sul disco nel tempo dé, perciò faremo ds'=vp de. Così, secondo il paragrafo 61°, la somma delle forze elettro-motrici indotte per lo strisciare di detto scandaglio sul disco durante il tempo dt, sarà data da luogo della precedente, la formula Awds' peosp — Pp, dt . dE=-- Aw»v Pi pe 2pp,c089 + pò La corrente al galvanometro alla fine di un tempo #, deve esser presa proporzionalmente al rapporto fra AF e dt, e, se / è la resistenza del circuito, sarà espressa da 1 dF Lunditp'. La formula precedente ci dice che non si avrà corrente tenendo gli scandagli sul circolo che passa per il centro »di ruotazione, e per la proje- zione sul disco del polo della calamita. In luogo di una calamita ne potremmo avere due, in simili condizioni della anzidetta, e coi poli di nome contrario in faccia al disco e ad uguale distanza dal centro, e projettantisi su di una stessa linea, detta polare, che passa per il centro stesso. Vedremmo allora che tenendo gli scandagli sul circolo concentrico al disco e che passa per le projezioni dei poli delle calamite, o sulla linea normale alla linea polare che passa per il centro, abbenchè pure in questi due casi gli scandagli immobili, traccino dei circoli in generale differenti sul disco ruotante, pure in un calcolo simile al precedente, per valutare la corrente al galvanometro essendo condotti a ELETTRO-DINAMICA 19 prendere la differenza di due valori uguali e dello stesso segno, valori apparte- nenti separatamente alle azioni delle calamite sopra un solo di quei circoli, si avrà zero per tale differenza. Si noti sempre che le calamite sono ad ugual distanza dal centro. Tal semplice calcolo ne dice che in questo caso le correnti che circole- ranno al galvanometro saranno solamente dovute alla differenza fra gli stati elettrici del disco. 71.° In tutte le narrate esperienze abbiamo considerata costante la velocità del corpo indotto; se ciò non fosse, dovrà considerarsi tale velocità come funzione del tempo. Questo non basterebbe per variare la forma della funzione analitica che rappresenta, come si vidde nella seconda Memoria, la distribuzione dello stato elettrico sul disco; e solo potrà variare col tempo la costante che moltiplica la detta funzione. Ma la forma di tal funzione varierà quando sarà grandissima la velocità del corpo indotto, in virtù dell’influenza del tempo impiegato dalle forze elet- tro-motrici indotte per estinguersi. Se nei casi quì sopra discussi, la velocità del disco eccede dieci o dodici giri al minuto secondo, tale influenza comincia ‘a divenir sensibile; perchè la durata della forza elettro-motrice essendo piccola si ma sensibile, la detta forza generata in un dato luogo qualunque del disco persisterà ancora mentre si produrranno sul luogo stesso, in virtù del suo moto, altre forze elettro-motrici. Se la velocità del disco è grande, lo stato elettrico di quel luogo, di coordinate x ed y, sarà quello che gli competerà in virtù delle forze elettro-motrici indotte nell'istante stesso, più la somma degli stati elettrici ancora persistenti in lui, e per così dire sovrapponentisi nel disco, in virtù delle forze elettro-motrici indotte negl’istanti precedenti e che ancora non avranno avuto il tempo di estinguersi. Sia T la durata di una completa rivoluzione del disco, e siano in un istante qualunque dal quale si conta il tempo x = pcosp , y=psSenp le coordinate di un suo punto M. Un tempo #, prima del detto istante, quello stesso luogo del disco corrispondeva nel piano x y, che è supposto fisso, ad un punto di coordinate, x, , y,, espresse da n= pcos (4 - So) ’ Y, la (e Sri) Ù 20 SULLA TEORIA DELL’INDUZIONE Lo stato elettrico che apparteneva a quel dato luogo M sarà stato rappre- sentato in generale da una funzione di x, , ed y, che chiameremo E. Sia 4 (1) la funzione del tempo secondo la quale diminuisce e si estingue la forza elettro- motrice indotta, a partire dall’istante in cui fu generata; quando il luogo M del disco avrà raggiunta la posizione indicata dalle coordinate x, y, lo stato elettrico che sarà rimasto in lui in virtù dell’induzione esercitata sul disco un tempo £ avanti l'istante considerato, sarà espresso da E y(e); e per avere la somma degli stati elettrici, E, che rimangono accumulati su quel luogo M del disco nell’ istante in cui egli raggiunge il punto del piano xy di coordinate x , ed y, istante corrispondente a t—=0, faremo t=t, rufruma È t=0 Integrando per parti si avrà, per l'integrale indefinito, fa (0) de = e.f40 dt -S(fia dt) di + ec. La funzione y avrà la proprietà di divenir nulla per un valore sensibile dit, e {, potrà essere il tempo decorso dal principio del movimento, ossia quando si ha E, — 0 per £=t,. Si indicheranno con «,{, y....i valori, presi con segno contrario, assunti dagl’integrali che moltiplicano i termini della serie precedente, corrispondentemente ai valori t — 0, t—=%, e si otterrà la serie, dE' d E) RE a —_ ec.. 72.° Applichiamo la precedente formula al caso del paragrafo 47°, ossia a quello di cui parlammo quì sopra nel paragrafo 70°. In tal caso si ha, facendo per semplicità astrazione dalle costanti che devono moltiplicare E", in ogni caso, bi a, È at i + (_b+yi, (+0î+y? ELETTRO-DINAMICA 21 Così sarà gii moon x=l n x+! ear i dE', 2r 1 1 ri cato ia DIRO Na PO dti=1 == T Y, la ty, ni ste 1) iu dE' SATO siae! LI È e finalmente x-l x+l 2 2 +<)-F A A TIII ' 7, E==( Se T è sufficientemente grande i successivi termini della serie divisi per le sue potenze saranno trascurabili, e d’altronde l’esperienza ci insegna che - quando il disco ha poca velocità la serie precedente si deve ridurre al primo termine; si rifletta poi che i termini che risultarono dal secondo limite #, delle integrazioni, devono in forza dei valori piccolissimi di y ec. essere trascurabili per poco che £, sia di valore sensibile, giacchè in questo caso sarebbe assurdo che il valore di E dovesse dipendere da quel limite stesso. Così per approssima- zione si avrà, riducendo, 2ax(x*+y?— l? 2 1 i pote Ve n but 2)(c. Fa su) ? Perciò il circolo che ha per raggio la distanza dei poli dal centro della cala- mita sarà sempre una linea di nullo stato elettrico; e sarà pure una linea di nullo stato elettrico quella la di cui equazione è la seguente mp meine to mi aX TI(- +2; £ La Tal ultima linea incontrerà gli assi nell’origine, prolungandosi dal lato delle x y ambidue positivi, e da quello delle x y ambidue negativi; e ad una certa distanza dall'origine, considerevole relativamente alla distanza dei poli della calamita dall’origine stessa, essa coinciderà sensibilmente con una linea retta (74 che farà un angolo coll’asse polare la di cui tangente sarà espressa da abi 5 Scienze Cosmolog. T. IV. 22 SULLA TEORIA DELL'INDUZIONE Così col mezzo della esperienza si potrebbe determinare il rapporto fra le due quantità «, 8. Nel caso in cui il disco si muova con poca velocità, tal linea sarà sensibilmente retta e normale all’asse polare, come già vedemmo e come dice l’esperienza. Nel caso quì trattato questa linea tralasciando, almeno in parte, la sua forma rettilinea sarebbe stata trasportata nel senso stesso del moto del disco dalle y positive alle x positive. 75.° Frattanto abbiamo raggiunto lo scopo che ci eravamo prefisso; abbiamo esperimentalmente stabilite le formule che danno le intensità e le direzioni delle correnti indotte in ogni fenomeno di induzione per ora noto. Il resultato generale del nostro lavoro consiste nella (34), e nella generalizzazione della stessa formula al caso generale dell’induzione in un corpo qualunque, sia o no filiforme, fatta per mezzo della teoria dell’Ohm, nella seconda nostra Memoria. È a considerarsi che la (34) si divide in due formule (34), , (34), le quali partitamente si riferiscono a circostanze speciali dall’ esperienza indicate, che separatamente o contemporaneamente possono aver luogo; tali circostanze non si rivelano nei loro effetti che sotto l’azione a distanza di un corpo inducente ma non si vede qual relazione possono aver esse fra di loro nella intima causa del fenomeno. Vale a dire, non si vede il perchè un cangiamento continuo che avviene fra le superficie di contatto dei due conduttori che formano il circuito indotto, possa cagionare lo stesso effetto di un cangiamento di posizione rela- tivo fra un elemento indotto, ed un altro elemento di un corpo inducente. Una tal questione sarà da noi risoluta quando sapremo perchè un cangiamento di posizione, fra un elemento indotto ed uno inducente, possa dar luogo ad una corrente di induzione, ed in generale alle correnti dal Faraday scoperte; perchè tal questione dipende dall’intima causa del fenomeno, sulla quale la (34) nulla può dire; essa formula non fa che assegnare le leggi del fenomeno, e così le condizioni algebriche alle quali converrà che soddisfi ogni ipotesi che partendo da una buona scelta fra le semplici e più generali leggi della natura voglia | spiegare il fenomeno stesso. Probabilmente, se la natura ci palesa alle volte i suoi fenomeni sotto leggi assai complicate, ciò avviene perchè noi non conosciamo tutti i fenomeni dello stesso genere, e così ci mancano i dati per ricavare le leggi più semplici e ge- nerali; e a tal mancanza di cognizioni male si potrà supplire altrimenti che collo studio delle leggi che dai fenomeni già noti si possono dedurre, per far poi, coll’ajuto di quelle leggi stesse e della continua esperienza, che qualche cosa d'altro a noi si riveli. A tale studio, spinto fin dove le nostre forze il consentono, potrà succedere l’ipotesi; e quest’ultima potrà partire da quelle leggi già note e semplici, oltre le quali sentiamo che probabilmente non ci sarà mai dato l’indagare qualche altra legge più semplice e generale. ELETTRO-DINAMICA 23 74.° Nel tomo primo del giornale /l Nuovo Cimento, redatto dai sigg. Matteucci e Piria, servendomi di quello che generalmente in queste tre Memo- rie è dimostrato, ho detto in succinto come la teoria delle correnti indotte potrebbe essere ormai esposta senza inoltrarsi in analisi algebriche, e senza adottare delle ipotesi. Dei distinti Fisici che hanno già trattato questo soggetto non poterono forse fare la esatta teoria dell’induzione, per la mancanza di fatti fondamentali abbastanza generali; e per supplire a tal mancanza dovettero par- tire da alcuni fenomeni che avvenivano sotto condizioni troppo speciali per poter da essi dedurre alcuna legge generale, senza far uso di ipotesi; mesco- lando così e combinando le conseguenze dirette dei fatti a quelle che si pote- vano dedurre dalle ipotesi stesse. Essi però ottennero una esposizione inge- gnosissima, e, per un lettore che non abbia fatto su questa materia degli studi particolari, apparentemente assai chiara e semplice dei fenomeni, per quel che riguarda alle direzioni delle correnti indotte; come infatti si può MEDIO nel pregevolissimo trattato di elettricità del sig. A. De la Rive. Ma, in sostanza, tutta la teoria analitica dei fenomeni di induzione, si ri- duce a dimostrare la (3), cioè la formula elementare spettante al caso delle, correnti indotte dall'invasione istantanea della corrente nel circuito inducente. E da quella formula mercè due casi semplici e generali di equilibrio si passa poi al caso delle correnti indotte nel moto relativo dei circuiti indotto ed inducente, ed al caso del moto relativo fra due parti di uno stesso circuito indotto. Così, per ciò che spetta alla rappresentazione algebrica del fenomeno, non vi potrebbe essere nella teoria maggiore semplicità ed unità di concetto; e se rimane a trovarsi la causa, le leggi però restano quì interamente ed esperi- mentalmente dimostrate. In quanto alla causa si tratterà di spiegare la (5)' ; ma per ciò fare diffidi il lettore di quei modi di spiegazione delle correnti indotte che a prima vista si presentano alla mente, e che non si fondano che su certe analogie che esi- stono fra le direzioni di esse correnti ed alcuni fenomeni di elettro-statica; le difficoltà che esistono per Ja spiegazione della formula dell’Ampère, e che furono da questo stesso filosofo indicate nella sua teoria dei fenomeni elettro- dinamici si incontrano pure nel caso della teoria della induzione. Ma certa- mente verrà un giorno in cui saranno trovati tutti gli anelli della catena che dalle prime leggi dell’elettro-statica ci condurrà, la penna alla mano, di equa- zione in equazione alle leggi le più generali dei fenomeni elettro-dinamici. — i: Paragrafo 11.° Per comodo del lettore si avverte che dalla reca tYy-yP+ (2-2), derivando rapporto ad s, si ottiene dr ila ri;= elayie + 49° yy ee D+ Ga eno oppure, derivando per s', dr «dy uz: ona ic; eil FAI IR e siccome i ana'da' | y-y'dy | 2-2'dz 0r= ei pisa Sa cr ds' rino Cisti 2 e-a' do y-y'dy 2-2z'dz Ge= See LE pe LESZE 1° r ds rnidarii Sip li si avrà, dr dr cosg= > o cos8,=— ii derivando poi il valore di " Ts si avrà , dir dedr _ dada dydy' dzdz' hag da:ds' 4 11d53d3' 0) dedist; sile. a vr + == dsds' dsds' Qui non s’ intende di accennare che alla sola influenza Paragrafo 25.° Q delle posizioni relative dei circuiti, e non a ciò che può esser cagione delle anomalie dal Mariannini in particolar modo studiate Paragrafo 45.° Si osservi che si ha, w_ pr+h do "4 jE=2p,h costr) ? pè- hcosw da spl dal ni va: pè—2p,hcoso' + h° 2p, 2p, dea "4h? ; 9 Ta , per > hi; Lh > d D infi'ifardane’fa. Laga 2p,hcosw' +h8 pe 2 oppure uguale a F_Rì per p Da TSI c SULLO STATO ELETTRICO INDOTTO IN UN DISCO METALLICO RUOTANTE IN PRESENZA DI UNA CALAMITA mtALITORLA DEL PROF. CARLO MATTEUCCI —n0e— (Continuazione dal Tomo III. degli Annali, Parte Seconda, pag. 157-141) Un modo certo onde non avere correnti termo-elettriche è quello di amalga- mare frequentemente il disco di rame e le estremità dei scandagli. Credo opportuno di descrivere anche un altra forma d’apparecchio che in molte ricerche mi è riescito più comodo di quello (Fig. 1 Ta»v. I.) che già abbiamo descritto. Questo secondo apparecchio (Fig. 16) differisce dal prece- dente in ciò che i due scandagli di rame o d’ottone d m, d' m' hanno la forma di una molla ed esercitano così minore attrito sul disco. Queste due molle sono solidamente fissate a due manichi di legno duro i quali scorrono nei due pezzi d, d' dove possono essere fissati a volontà. I pezzi d d' che sono d’ottone scorrono in un anello metallico c q che è fissato stabilmente e centrato intorno all'asse di rotazione del disco. Dopo di ciò s'intende come sia possibile di fissare le due estremità delle molle sopra due punti qualunque del disco, che possono essere anche molto più prossimi fra loro di quello che col primo apparecchio. Diremo finalmente per terminare questa descrizione del nostro metodo sperimentale che in tutte le figure unite a questa Memoria è indicato dalle freccie il senso di ruotazione del disco, e che i poli magnetici, che sono 0 sud 0 Scienze Cosmolog. T. IV. 4 26 MATTEUCCI nord secondo che si volgono verso il nord o il sud della terra, sono tenuti al di sotto del disco, come è richiesto dalla disposizione degli apparecchi; sola- mente nelle Fig. 5, 11 e 12 i poli magnetici sono collocati fra l'osservatore e il disco. Nella quasi totalità delle esperienze che abbiamo fatto, la velocità unifor- me di rotazione del disco era di tre giri per secondo. Esperienze e risultamenti generali. Supponiamo di aver collocati gli scandagli sul disco ruotante in modo da avere una certa deviazione che aspetteremo sia fissa; allora tocco il disco colle due estremità di una larga striscia di stagnola o di lamina sottile di rame, stando colle estremità di quest’arco in prossimità dei scandagli: mi assicuro così che il contatto di quest’arco non ha influenza sensibile sullo stato elet- trico indotto nel disco, poichè la deviazione dell’ago rimane allora invariabile . Possiamo quindi ammettere che il filo del galvanometro non ha alcuna influenza a modificare lo stato elettrico del disco. Abbiamo già accennato il risultato principale, anzi il solo, che Faraday e indi Nobili ed Antinori, ottennero applicando gli scandagli sopra il disco ruo- tante. Questo risultato consiste nel non ottenere correnti o nell’ottenerle debo- lissime tenendo gli scandagli sul diametro perpendicolare alla linea assiale che unisce i due poli e passa pel centro a egual distanza dai poli stessi: anche nel caso di un polo solo (Fig. 4, 7, 8, 9, 10) le correnti sono deboli fra i punti congiunti dalle rette perpendicolari alla linea che unisce il polo e il centro del disco. Invece o con uno, o con due poli sono fortissime e secondo i Fisici nomi- nati sempre nello stesso senso, le correnti trovate toccando due punti qualunque della linea assiale che passa per il centro del disco: è bensì vero che in diversi passi delle loro Memorie si parla di correnti che presentano apparenze complicate e di senso incerto e che Nobili e Antinori negarono da primo quelle correnti che oggi si chiamano d’induzione assiale e che costituiscono uno dei casi i più im- portanti dell’induzione. Benchè questi illustri Fisici non avessero nemmeno il dubbio dell’esistenza di quello stato elettrico del disco d’ Arago che in breve passeremo a definire con rigore e che solamente porge la spiegazione completa di tutte le proprietà del disco stesso, è però vero che ammesse le correnti svolte sotto il polo, trasversalmente al movimento, e supposta la scarica laterale di queste correnti nelle parti più lontane del disco, la cagione principale degli effetti trovati da Arago era in qualche modo assegnata. SULLO STATO ELETTRICO 27 L'esperienza principale che svela lo stato elettrico del disco ruotante e che mancò ai primi Osservatori, è la seguente. Sia (Fig. 2 o 7) uno dei scandagli fisso sul centro del disco ruotante e coll’altro scandaglio si scorrano via via tutti i punti del raggio p i, passando così sul punto S che cade normalmente sull’asse del polo sud sottoposto, il quale incontra il disco nella metà del raggio. Finchè il secondo scandaglio tocca i punti di questo raggio da p fino ad S, le correnti hanno tutte la stessa direzione e crescono d’intensità fino ad un certo punto che è più o meno prossimo ad S secondo alcune circostanze che stabile- remo più innanzi. Giunti con questo secondo scandaglio in S, essendo l’altro sempre fermo sul centro, la corrente è nulla e ciò avviene anche mutando polo, e il senso della ruotazione. Appena il punto S è oltrepassato, insorgono correnti fortissime ma in senso contrario a quelle precedentemente ottenute e persi- stono tali e solamente divengono più deboli, andando da S fino ad i cioè all’orlo del disco. La forza di queste correnti è graficomente rappresentata dalle ordi- nate punteggiate della Fig. 6. Invece di scorrere col secondo scandaglio sulla linea assiale, percorriamo un raggio qualunque p » (Fig. 2) tenendo sempre fermo l’ altro scandaglio al centro. Anche in questa ricerca otterremo correnti indotte, le quali avranno la stessa direzione fino a un certo punto e una direzione opposta oltre questo punto fino all’orlo del disco. Ripetuta questa esperienza lungo altri raggi i risultati sono gli stessi. Era dunque da queste esperienze dimostrato che esistono sul disco ruotante d’Arago e in prossimità del polo, dei punti fra i quali e il centro non si ot- tiene corrente elettrica, dal che veniva la presunzione, facilmente confermata dall'esperienza, che anche fra quei punti toccati dagli scandagli del galvano- metro non si sarebbe avuta corrente elettrica. Bastava allora di aver presenti i bei risultati a cui erano giunti pei primi Kirchhoff e Smaasen in Germania, i quali fondandosi sulla teoria di Ohm avevano dedotto a priori lo stato elettrico di una lastra metallica molto estesa toccata dai due poli di una pila, per dedurre che i risultati delle nostre prime espe- rienze sul disco, facevano conoscere che lo stato elettrico del disco stesso era analogo a quello della suddetta lastra. La linea che congiunge i diversi punti del disco fra i quali non vi è cor- rente è dunque una linea di egual tensione o di egual stato elettrico e perciò gode della proprietà di essere normalmente traversata dai filetti della corrente elettrica. Rimaneva a determinare con rigore la posizione di questa linea o delle altre linee di egual tensione onde conoscere lo stato elettrico di tutti i punti del disco e dedurne per conseguenza la vera forma di quei circuiti elettro-dina- 28 MATTEUCCI mici che, fissi nello spazio, si riproducano successivamente nei diversi punti del disco ruotante sotto l’induzione del polo. Fra le diverse linee di egual tensione di cui in breve daremo la descri- zione in ogni caso particolare, ve ne sono due che meritano di essere partico- larmente notate. Consideriamo il caso del disco (Fig. 2) che ruota in faccia a due poli di nome contrario egualmente lontani dal centro e collocati di contro alla metà del raggio. Il diametro / p m normale alla linea assiale, come già Nobili e Antinori lo avevano trovato, è costituito da una serie di punti fra i quali non si ottien mai corrente elettrica. Bisogna aggiungere che questo dia- metro costituisce una linea neutra che divide il disco in regioni distinte e carat- terizzate da stati elettrici opposti. Esso forma per ciò una linea che chiameremo neutra o d’inversione simile a quella che divide la lastra toccata dai due poli della pila in due parti di segno elettrico contrario la quale taglia normalmente a metà la retta che congiunge questi poli. Chiamiamo positivo lo stato elettrico di quei punti del disco dai quali esce la corrente per entrare nel filo del gal- vanometro, e negativo quello dei punti del disco nei quali s' introduce la cor- rente dal detto filo. Il disco ruotante (Fig. 2) in presenza di due poli di nome contrario, è diviso a metà dalla linea neutra / m che separa stati elettrici opposti e ognuna di queste metà è divisa in due regioni che hanno pure stato elettrico opposto. Queste due regioni esistono egualmente nel caso di un polo solo (Fig. 7) come coi due, colla differenza, che meglio in seguito dimo- streremo, che nel secondo caso le linee di egual tensione appartenenti alle regioni indotte da uno dei poli non oltrepassano mai, come avviene nel caso di un polo solo, il diametro o la linea neutra normale alla linea assiale. Ne viene da ciò che sia con uno, sia con due poli, vi deve essere nel disco un’ altra linea neutra la quale separa gli stati elettrici opposti che ognuno dei poli forma intorno di se. È facile di determinare coll’esperienza la forma di questa linea neutra. Abbiamo già detto che stando con uno scandaglio sul centro del disco e col- l’altro sul punto che incontra normalmente l’asse della calamita, non vi sono correnti, e che questo stesso fenomeno si verifica passeggiando col secondo scan- daglio sopra altri raggi. Riunendo assieme futti quei punti che hanno la stessa proprietà riscontrata nel centro e nel punto corrispondente all’asse della cala- mita, si riesce a tracciare una curva che è chiusa e separa le due regioni che hanno gli stati elettrici opposti. Questa linea chiusa, prossimamente di forma circolare, è neutra ed ha in tutti i suoi punti uno stato elettrico nullo. Questo carattere che potrebbe esser dedotto dalla distribuzione degli stati elettrici che vedremo esistere nelle due regioni prossime di segno contrario, dall’ essere lo stato elettrico di tutti i punti della linea nentra nel caso dei due poli eguale SULLO STATO ELETTRICO 29 allo stato del centro del disco e di tutti i punti del diametro che taglia a metà la linea assiale, si può dimostrare direttamente coll’ esperienza. Prendo perciò il disco grande di rame o di stagnuola che ha 0, 80 di diametro (Fig. 12), e dispongo normalmente al disco alla distanza di pochi millimetri il polo di un elettro-calamita che scelgo molto lunga e sottile. Supponiamo che questo polo sia collocato a un terzo o a un quarto del raggio. Tocco coi due scandagli due punti qualunque del disco nella metà non sottoposta al polo, stando principal- mente sul diametro orizzontale che passa per la proiezione del polo sul disco, e non trovo in nessun caso correnti indotte sensibili. Questo dev'essere perchè non è supponibile che gli stati elettrici e le correnti indotte si diffondino a tanta distanza dal polo. Aggiungiamo ora che lo stesso risultato si ottiene toc- cando il centro e uno qualunque dei punti suddetti della metà del disco oppo- sta al polo: lo stesso avviene fra tutti i punti della linea neutra circolare e i suddetti punti. Concludiamo da ciò che è nullo lo stato elettrico dei punti di quella linea neutra. Passiamo ora allo studio degli stati elettrici di nome contrario delle due regioni del disco appartenenti all’azione induttiva di un polo. Questo studio, simile a quello che si fa nelle esperienze di Kirchhoff, consiste nel fissare uno dei scandagli in un punto qualunque del disco, e nel cercare coll’ altro scanda- glio il punto in cui Ja corrente è nulla: questa ricerca è agevolata dall'essere in senso opposto le correnti che si hanno spostando Jo scandaglio mobile a destra o a sinistra del punto precedentemente trovato. La riunione di questi punti forma una linea di egual tensione, cioè quella fra i cui punti la differenza di stato elettrico è nulla. Queste linee sono alcune chiuse e di forma prossima- mente circolare ed altre aperte e si ripiegano verso l’ orlo del disco che tagliano normalmente. Procedendo nel modo descritto nell’interno delle linee circolari di egual tensione si riscontrano altre linee della stessa forma, sinchè si giunge ad un circolo piccolissimo dentro il quale la stessa ricerca diviene fisicamente impossibile. Questi circoli che hanno il centro sulla linea assiale, hanno prossi- mamente e per quanto può essere trovato coll’esperienza i loro centri sopra un tratto molto ristretto. I disegni che rappresentano queste linee di egual tensione hanno molta analogia coi noti anelli colorati della forma di quelli della coda di pavone che Nobili ottenne pel primo colla pila: forse gli anelli del Nobili rappresentano all’occhio e coi colori le linee di egual tensione da cui quei colori hanno origine. La distanza fra loro dei due circoletti in cui risiedono i centri delle linee circolari di egual tensione dipende dalla distanza e dal diametro del cilindro calamitato inducente: con una sbarra calamitata molto sottile e non tanto pros- sima al disco quei circoletti sono vicinissimi fra loro e s° allontanano invece usando una calamita molto grossa o vicinissima al disco. 30 MUA TT E U.CCI Il movimento dell’ elettricità non potendo accadere fra punti che hanno uno stato elettrico eguale ed essendo massimo normalmente alle linee di egual tensione, diviene operazione di disegnatore quella di tracciare sul disco i filetti o le correnti elettriche che devono tagliare normalmente tutte quelle linee e che evidentemente vanno a riunirsi (Fig. 4 e 10) nei due circoletti che rac- chiudono i centri delle linee circolari di egual tensione. Vengono così ad esser tracciati sul disco due circuiti chiusi della forma di due curve schiacciate e che si combaciano fra loro lungo la linea assiale. Ho verificato con una esperienza diretta l'esattezza di queste conclusioni. Dopo di avere nel caso di un solo polo magnetico inducente determinate le linee di egual tensione del disco, ho tenuto il disco fermo ed ho toccato nel tempo stesso quei due circoletti cogli elettrodi di una pila di 8 o 10 elementi di Grove: la distribuzione degli stati elettrici trovata in queste esperienze era analoga a quella trovata nel disco ruotante in presenza del polo magnetico. Era importante di farsi una qualche idea dell’intensità delle correnti in- dotte. In un caso, in cui il disco era di 184"", 10 di diametro e di 2"" di grossezza, essendo la superficie polare dell’elettro-calamita distante 1" dalla superficie inferiore del disco, trovai una corrente fissa di 24° fra due punti del disco presi a caso. Mettendo i due elettrodi di una pila di sei elementi di Grove in contatto dei circoletti, sede dei centri comuni delle linee circolari di egual tensione, tenendo il disco fermo e lasciando gli scandagli del galva- nometro sugli stessi punti toccati allorchè il disco era in ruotazione, la corrente derivata fissa fu di soli 5°. Onde rappresentare in qualche modo lo stato elettro-dinamico del disco ruotante in presenza di una calamita e l’azione reciproca che si sveglia fra il disco e la calamita, ho sostituito al disco di metallo uno di legno coperto di uno strato di cera e sopra questo strato ho disteso del filo di rame coperto di seta in modo da formare quattro circuiti di forma presso a poco elittica, identici a quelli tracciati nei disegni descritti; le due estremità di questo filo finivano a due anelli di un commutatore montato sull’asse del disco, per cui potevo col mezzo di due molle applicate a quegli anelli far passare una corrente nei cir- cuiti distesi sul disco, anche quando questo era in ruotazione. Sospendiamo ora sul disco così preparato, o una calamita a ferro di cavallo o un ago della bus- sola di declinazione. I due poli della calamita devono cadere sopra due punti del disco egualmente distanti dal centro della metà del raggio ed i centri dei poli devono trovarsi sul combaciamento dei due circuiti prossimi formati sul disco. Avvertiamo però che la calamita viene ad essere in questa esperienza al disopra del disco mentre in tutte le esperienze fatte sul disco ruotante era al disotto: quindi è che, tutte le altre circostanze restando eguali, la direzione delle cor- SULLO STATO ELETTRICO 31 renti indotte sopra un disco metallico sarebbe opposta a quella che abbiamo sempre trovata. Tenendo conto di questa circostanza e facendo passare una corrente nei circuiti filiformi formati artificialmente, la calamita devia e con- tinua a muoversi insieme al disco fatto ruotare nel senso in cui questa devia- zione ebbe luogo: questa esperienza serve a rappresentare come un effetto elettro-dinamico fra la calamita e le correnti indotte nel disco ruotante quella forza tangenziale per cui nell’esperienza fondamentale di Arago il disco ruo- tante trascina seco la calamita. Onde meglio analizzare lo sviluppo dello stato elettro-dinamico indotto nel disco, considereremo alcuni casi anche più semplici di quello del disco. Sostituiamo al disco un cilindro di rame (Fig. 5) mobile intorno ad un asse verticale e normalmente alla sua superficie fissiamo una calamita cilindrica. In questo caso la linea neutra che separa gli stati elettrici opposti è un circolo paralello alle basi del cilindro e posto nel piano stesso dell’asse della calamita. Anche in questo caso, dalla forma delle linee di livello, determinate nelle due regioni separate dalla linea neutra stando con uno scandaglio fermo sopra il centro di una delle basi del cilindro o sull’asse di ruotazione e passeggiando coll’altro scandaglio nei diversi punti del cilindro, si deduce la forma dei filetti o delle correnti elettriche che vengono a formare due circuiti chiusi lateral- mente al polo. Invece del cilindro tutto di rame possiamo avere un cilindro di legno sulla cui superficie sia fissata una striscia di rame paralella all’asse del cilindro e che communichi colle sue basi metalliche e quindi coll’asse di rota- zione. Per non troppo dilungarci nella descrizione di resultati, che vedremo esser simili fra loro, diremo che un esperienza analoga può farsi sul disco di stagnola ridotto ad un anello a, d, f, e (Fig. 15) prossimo all'orlo e in comu- nicazione con una striscia radiale a de che giunge fino al centro. Finchè questa striscia ha una certa larghezza cioè circa un terzo ed anche meno della superficie totale del disco, i resultati ottenuti stando con un scandaglio sul cen- tro e coll’altro passeggiando nei diversi punti della striscia, non differiscono da quelli che si hanno sul disco intero e anche l’intensità delle correnti non è di- versa. Seguitando a stringere la striscia cioè a ridurla alla larghezza di 10 o 12 millimetri ed anche meno, i risultati cambiano. Non si trova più la linea d’in- versione sotto il polo e volendo avere correnti inverse bisogna tenere uno scan- daglio fisso sulla proiezione dell’asse magnetico e toccare coll’altro ora a destra ora a sinistra di quel punto; invece le correnti ottenute con un scandaglio fisso sul centro e coll’altro andando successivamente fino all'orlo hanno sempre la stessa direzione e una intensità crescente. Questa direzione è quella delle cor- renti che si hanno sul disco intero toccando con un scandaglio il centro e col- l’altro la regione esterna alla linea neutra. 32 MATTEUCCI Il fatto più semplice e più generale col quale si collegano tutti i casi sin quì studiati è quello di un filo metallico continuo col filo del galvanometro e di cui una porzione rettilinea si trasporta o ruota intorno ad una delle sue estremità, quella corrispondente al centro del disco, dinanzi al polo di una calamita. La corrente così indotta nel filo del galvanometro è nella stessa direzione delle correnti che si hanno toccando nei modi descritti la striscia radiale applicata sul disco. Affrettiamoci a dire che i fenomeni trovati sulla striscia metallica ruotante dinanzi al polo di una calamita o sul filo ron differiscono da quelli ben cono- sciuti che si ottengono sopra una striscia o un filo metallico toccato dai due elet- trodi di una pila in due punti, ad una certa distanza fra loro e posti in modo che la corrente che circola nell’intervallo abbia la direzione stessa di quella indotta nella striscia o nel filo. Supponiamo di tenere uno degli scandagli fisso sulla striscia o sul filo ad una certa distanza da uno degli elettrodi e di percorrere coll’altro scandaglio il resto della striscia e del filo toccando fra i due elettrodi o fuori, dall’una parte e dall’altra degli elettrodi stessi. La corrente derivata sarà costantemente nella stessa direzione in Lutti i casi e solo varia d’ intensità, come deve essere secondo la nota distribuzione delle correnti nei circuiti deri- vati filiformi. Lo stato elettro-dinamico del disco ruotante dinanzi al polo di una cala- mita può dunque dedursi rigorosamente dal fatto più semplice e più generale del filo metallico che si trasporta o ruota intorno ad una sua estremità corri- spondente al centro del disco, dinanzi al polo di una calamita; la striscia del disco che passa dinanzi al polo o isolata o facente parte del disco diviene, come il filo, la sede di una forza elettro-motrice istantanea di cui la corrente si sca- rica nelle parti laterali del disco, secondo le leggi generali della propagazione dell’ elettricità in una lastra metallica. Casi particolari. I disegni o le figure 7, 8, 9 rappresentano gli stati elettro-dinamici del disco ruotante determinati dalle linee neutre e da quelle di egual tensione secondo la diversa posizione del polo inducente. Nella Fig. 7 che già abbiamo esaminata, la proiezione del polo cade sulla metà del raggio e la linea S E p O rappresenta la linea neutra. In questo disegno la linea neutra e le altre linee circolari di egual tensione devono immaginarsi corrette figurandosi che sieno circoli schiac- SULLO STATO ELETTRICO 33 ciati in forma di pera colla loro base verso il centro. Nella Fig. 8 è rappresen- tato il caso poco diverso dagli altri del polo più prossimo al centro. Nella Fig. 9 invece la projezione del polo cade sull'orlo del disco e la linea neutra punteg- giata E O non è più chiusa ne passa sotto la projezione del polo, ma si ripiega invece normalmente contro l’orlo del disco. Dalla forma di questa linea neutra e di quelle di egual tensione nei diversi casi si deduce facilmente la direzione dei filetti o delle correnti elettriche che percorrono il disco tagliando normal- mente quelle linee. I disegni o le figure 4 e 10 rappresentano il disco sotto l’azione di due poli di nome contrario equidistanti dal centro. Sopra questi due casi ci limite- remo a rimarcare che la linea circolare S E N O che passa per le projezioni dei due poli traccerebbe la linea neutra: gli stati elettrici debolissimi che si ri- scontrano in prossimità del diametro che taglia normalmente la linea assiale e che è pure una linea neutra, rendono difficile di decidere se la suddetta linea neutra circolare, è realmente la linea S E N O, o pure, come sembra più pro- babile, se ognuno dei due poli ha la sua linea neutra circolare, nel qual caso queste due linee si toccherebbero nel centro. La Fig. 5 rappresenta il caso di una calamita o di un ago di declinazione di cui l’asse è parallello al piano del disco. La distribuzione degli stati elettrici non differisce essenzialmente da quella trovata nei casi che abbiamo già studiato: si nota solamente che la linea neutra è più verso il centro che nei casi suddetti e che i due circoletti in cui risiedono i centri delle varie curve chiuse di egual tensione, sono ad una mag- gior distanza fra loro e dal polo. Un altra avvertenza merita pure d’esser fatta sul caso dei due, o quattro, o più poli d’intensità eguale e di nome contrario posti alternativamente, che agiscono sullo stesso disco e supponendo che le pro- jezioni di questi poli cadano ad egual distanza dal centro del disco e fra loro. Deve accadere che fra due poli prossimi di nome contrario si formi sempre una linea neutra diametrale che divide a metà l'arco tirato fra essi: questa linea neutra separa necessariamente anche i sistemi delle linee di egual tensione di ognuno dei poli. Da ciò s'intende come s’accosti a divenir nullo lo stato elet- tro-dinamico indotto nel disco a misura che cresce il numero di quei poli. Consideriamo finalmente il caso di due o più poli dello stesso nome agenti sul disco. Non si trova più la linea diametrale neutra che separa i sistemi di- stinti di ogni polo; invece nel caso di più poli dello stesso nome (Fig. 15 e 14) le linee neutre di ogni polo si uniscono fra loro, dando luogo ad una curva chiusa e concentrica al disco, la quale tanto più s'accosta ad un circolo perfetto che ha per centro il centro del disco, quanto più è grande il numero di quei poli. E questo il caso che in pratica si realizza con una grossa selenoide o con un elet- tro-calamita cava, o con una calamita cilindrica qualunque. Le linee di egual Scienze Cosmolog. T. IV. Ù 34 MATTEUCCI tensione sono in questo caso tanto nella regione interna che nell’esterna circoli perfetti di cui il centro è quello del disco: nella regione interna lo stato elet- trico è tutto dello stesso nome, come tutto dello stesso nome e contrario a quello interno è lo stato elettrico della regione esterna. Ecco il caso delle correnti radiali, che è pur quello dell’induzione assiale. L'analisi sperimentale dei fenomeni elettrici del disco ruotante in presenza di una calamita ci ha condotto passo a passo all’induzione assiale. Noi abbiamo già (*) lungamente studiato questo caso importante d’induzione e non preten- diamo coll’analisi che ne abbiamo fatta di averne data la spiegazione e la teoria. Sappiamo che questo caso d’induzione si verifica in un circuito così detto aperto, senza che vi sia variazione nella distanza assoluta fra la calamita e tutti i punti del circuito indotto, e alla sola condizione che la porzione mobile del circuito ruoti intorno ad un’asse e che perciò si rinnovino i punti di contatto fra la parte mobile e la fissa del circuito. Ci fermeremo per ultimo a dire una parola sullo stato elettrico indotto nel disco o in una lastra metallica immobile dall’avvicinamento di una calamita o in generale dalla variazione di una forza inducente. Sappiamo che vi sono attra- zioni o repulsioni svegliate e dovute all’azione reciproca della calamita e delle correnti indotte nel disco e che in questo caso, come in tutti i casi conosciuti d’induzione, i movimenti così svegliati e quelli che s’imprimono per svilup- pare l’induzione, sono collegati fra loro da quel ravvicinamento generale che Nobili il primo aveva intraveduto e al quale il Lenz ha data tutta la possibile estensione. Nei casi d’induzione che chiameremo eccentrica, come in quelli dell’indu- zione assiale, si verifica costantemente fra il disco ruotante e il disco fisso, la differenza, che quelle linee che sono neutre o di egual tensione in un caso, sono le linee del massimo flusso elettrico nell'altro e viceversa. Così nel caso di due poli contrari equidistanti dal centro dinanzi al disco fermo, la linea assiale è di nulla induzione, mentre il diametro che taglia normalmente questa linea è quello della massima induzione. Allorchè un polo solo induce sul disco le correnti sono circolari, concentriche all’asse della calamita e basta di tagliare radialmente il disco e di far comunicare cogli orli del taglio i capi del galvano- metro, per avere le correnti indotte ad ogni variazione del magnetismo. L' in- fluenza grande esercitata a diminuire l'intensità delle forze attrattive e repul- sive che si sviluppano fra il polo e il disco dalla moltiplicazione dei tagli radiali, prova lo sviluppo delle correnti indotte sul disco e l’azione reciproca che eser- (*) MarTEUCCI. Cours special sur l’Induction, le Magnetisme de rotation ec. pag. 65 e seguenti, e Nuopo Cimento T. I. pag. 287. SULLO STATO ELETTRICO 35 citano l'una sull’altra le pile elementari indotte onde esaltare le rispettive forze elettro-motrici. Le linee di egual tensione devono perciò essere rappre- sentate dai raggi del disco, per cui allorchè il disco è continuo, non si dovreb- bero ottenere nel galvanometro correnti indotte applicando gli scandagli sopra due punti qualunque del disco. È così infatti che si trova coll’esperienza anche introducendo nei due circuiti, l’inducente e l’indotto, la doppia ruota d’ inter- ruzione onde accrescere gli effetti al galvanometro: è necessario di avvertire, che per ben riescire nell’esperienza convien evitare che l’induzione si eserciti sopra i fili del galvanometro. Influenza della velocità di ruotazione del -disco sulla distribuzione dello stato elettrico indotto. Onde verificare coll’ esperienza che questa influenza esiste, ho trovato conveniente di adoperare il disco grande di rame (Fig. 12) e la grossa elettro- calamita. È essenziale in questa esperienza che gli scandagli sieno ben fermi e che il disco sia ben amalgamato onde diminuire per quanto è possibile la corrente termo-elettrica. Uno degli scandagli è fermo sul centro del disco, l’altro sull’estremità prossima all’orlo della linea neutra o del diametro verti- cale che taglia a metà la linea assiale. È impossibile di evitare assolutamente in questa disposizione degli scandagli lo sviluppo della corrente termo-elettri- ca, e probabilmente la differenza dell’attrito dei due scandagli ne è la cagione. Una prima serie d’esperienze tentate senza che la elettro-calamita sia in azione e dando al disco delle velocità di ruotazione varie da due a otto a dieci giri per secondo, è destinata a determinare con esattezza il senso e la forza delle correnti termo-elettriche. In questa prima serie si sta con un scandaglio sul centro del disco, e coll’altro in prossimità dell’orlo sulla linea neutra e in diversi punti ben riconosciuti lateralmente a questa linea. Una seconda serie di esperienze simili è ripetuta dopo aver messa l’elettro- calamita in attività. Dal confronto dei resultati, se ne deduce senza alcuna incertezza, che la linea neutra si sposta nel senso del movimento per uno spazio il quale cresce colla velocità di ruotazione. Si vede nella Fig. 11 questa linea punteggiata per indicare lo spostamento. Ho potuto verificare questo stesso fatto sopra un piccolo disco di 60°" di rame e montato sopra l’asse di una macchina di ruotazione. Questo disco ruo- 36 MATTEUCCI tava in presenza di due poli magnetici contrarj posti a egual distanza dal suo centro. Determino la linea neutra circolare che passa per le projezioni dei poli, allorchè la velocità di ruotazione è di 10 o 12 giri per secondo. Accrescendo questa velocità fino a 25 o 50 giri ho trovato che quella linea neutra si ristrin- geva come è indicato nella citata figura. La conseguenza di questa influenza del tempo sullo stato elettro-dinamico indotto nel disco che abbiamo dimostrata coll’ esperienza, è che gii spazj occu- pati dagli stati elettrici di una certa tensione e traversati dalle correnti corri- spondenti, tendono a dilatarsi nel senso del movimento. Dal momento che l’asse del fascio delle correnti indotte dal polo di una calamita verticale non incontra più l’asse della calamita, si deve svegliare una forza normale al disco la quale sarà ripulsiva perchè è la parte posteriore del fascio che per l'influenza della ruotazione del disco si avanza sotto il polo. Ecco la spiegazione della compo- nente ripulsiva trovata da Arago facendo agire il suo disco sull’estremità di un ago d’ inclinazione. Una volta dimostrata |’ influenza della velocità di rotazione del disco sulla distribuzione degli stati elettrici indotti nel disco stesso, era naturale di ricer- care se usando dei metalli di una natura e di una conducibilità molto diversa fra loro, si sarebbero perciò riscontrate delle differenze in quella influenza. La ricerca sembrandomi molto importante per la teoria di tutti i fenomeni del ma- gnetismo di rotazione mi sono studiato di eseguirla con tutte le cautele possi- bili (*). Ho fatto preparare due dischi dello stesso diametro e dello stesso peso di due metalli che erano ben distinti per la conducibilità, cioè di rame e di bismuto. Il diametro di questi dischi era 0", 1185 e il peso 5048", 7. Ognuno di questi dischi si poteva montare sopra l’asse di una macchina rotatoria e rice- veva due velocità di ruotazione che erano discretamente uniformi per un certo tempo e molto diverse fra loro: una, che chiameremo minima, era di 12 giri, e l’altra. cioè la massima, di 48 giri per secondo. L’ago calamitato era una sbarra parallepipeda di acciajo magnetizzata a saturazione con una forte elettro-calamita. Questa sbarra era lunga 0", 10575. Il peso di questa sbarra era di 218", 50. Sospesa a un fascio di alcuni fili di seta 0 bave di bozzolo senza torsione questa sbarra faceva per l’azione della terra 28 oscillazioni in 68 secondi. Sospesa questa sbarra col suo centro sopra il centro del disco, essendovi interposto un grosso strato di carta, si leggeva col cannocchiale la deviazione in cui si fissava la sbarra sotto l’azione del disco ruotante uniformemente. Ho fatte due esperienze per conoscere, se l'influenza delle due velocità (*) Sono grato al Dott. Cocchi che con molto zelo mi ha assistito in queste ricerche SULLO STATO ELETTRICO 37 rimaneva la stessa tenendo lo stesso disco a diverse distanze dall’ago e se que- sta influenza era diversa pei due dischi. Ecco i resultati di queste esperienze. Disco di rame all’altezza di 512" dal centro della sbarra. Seno dell'angolo di deviazione Velocità massima del disco 48 giri per 1" . . . 0,5358568 idem minima 12 giri per 1'. . . . . . . 0,087156 Lo stesso disco all’altezza di 27 millimetri . Velocità massima. val ae i e 10675590 ideali mini gioi uno. 0 0182256 Questi due resultati sono discretamente d’ accordo fra loro e provano, ciò che già si sapeva, che l'intensità della forza sviluppata cresce colla velocità di ruotazione del disco e che questo accrescimento si verifica colla stessa legge a diverse distanze. Ho sostituito al disco di rame quello di bismuto tenuto però molto più prossimo alla calamita e quindi ad una distanza alla quale la calamita avrebbe preso a ruotare insieme al disco. Disco di bismuto a 7°", 50 altezza dalla calamita. Seno dell’ angolo di deviazione Velocità massima 48 giri per 1". . . . . . 0267258 idem minima 12 giri per 1"... . . . 0,0958546 Disco di bismuto a 8°" di altezza. VelocitaUmassimanmone: pr ponte. — «Me. pro 0S241922 sd inimatizioni x, fideve avi; us «020087156 Questi ultimi numeri trovati col disco di bismuto sono pure discretamente concordi fra loro: paragonati coi numeri trevati col disco di rame conducono inevitabilmente alla conclusione, che l’influenza delia velocità sulla forza svi- luppata dal disco metallico ruotante sopra la calamita inducente è molto minore pel disco di bismuto che per quello di rame. 38 MATTEUCCI — SULLO STATO ELETTRICO Mi limito in questa memoria a riferire questo risultato che io credo possa gettar molta luce sulla teoria di tutti i fenomeni dell’induzione, del magnetismo di ruotazione, e anche del diamagnetismo. In un altra memoria esporrò una lunga serie di ricerche sperimentali già quasi compiute sul magnetismo di ruotazione e sul diamagnetismo, argomento che è oggi soggetto degli studj analitici profondi del Plana, il quale tenta di far rivivere una teoria del magnetismo, celebre un tempo e forse troppo presto abbandonata dai Fisici. NUOVA TEORIA DEGLI STROMENTI OTTICI DI O. F. MOSSOTTE PRELIMINARE La teoria degli stromenti ottici, della quale maggiormente si valgono tutt'ora i Matematici, è quella dell’Eulero, le cui meditazioni furono, durante la sua lunga e luminosa carriera, spesso rivolte a quest’importante argomento. Ciò non pertanto il celebre Dott. Young, nel suo sunto sulla storia dell’Ottica, non esitò a pronunciare sui lavori risguardanti la luce, pubblicati da quell’ Autore, un giudizio poco favorevole. « È però necessario » diss’ egli « convenire che « questo gran Geometra fu meno fortunato nelle sue ottiche teorie che in molti « altri rami di scienza, e che Je sue ricerche matematiche sugli effetti delle « lenti sono molto più intricate e prolisse di quello che il soggetto realmente « lo richieda » (*). Non è facile di congetturare quali considerazioni intendesse lo Young di sostituire a quelle dell’Eulero, ma si può osservare che Lagrange, pochi anni dopo la pubblicazione delle principali dottrine dell’ Eulero, avendo preso a trattare la teoria dei telescopii e dei microscopii (**), pervenne a delle formole suscettibili d’un’ applicazione più generale, e che si prestano a dare in un modo più diretto Je condizioni a cui deve soddisfare un sistema di lenti per la distinta visione, ed a determinarne gli effetti. (*) It must be allowed that this great mathematician was less fortunate in his optical theories, than in many others departements of sciences, his mathematical investigations of the effects of lenses are much more intricate and prolix than the subject actually requi- res. Course of Lectures on Natural Philosophy. Lecture XL. (**) Sur la Théorie de Lunettes. Mémoires de l’Academìe de Berlin. An. 1778 et 1805. Scienze Cosmolog. T. IV. 3 40 NUOVA TEORIA 2. Una notevole restrizione, limita però tanto le formole di Lagrange, quanto quelle degli Autori che trattarono fino a questi ultimi tempi lo stesso argomento, e rende imperfette le deduzioni che, dall’applicazione di esse, si trassero rispetto agli effetti degli stromenti ottici. Tali formole sono tutte direttamente od indirettamente fondate sull’ equazione nota, che dà la rela- zione fra la distanza focale principale di una lente e le due distanze conjuga- te (*). Ora quest’ equazione essendo dedotta unicamente dalla considerazione dei raggi luminosi che si propagano in piani passanti per l’asse della lente, le conseguenze, che se ne sono tratte, sussistono per questi raggi soli, e si trova per tal modo tacitamente esclusa l’influenza di que’ raggi, ancor più numerosi, che si propagano in piani secanti l’asse medesimo. Dopo che la Geometria analitica è divenuta uno stromento familiare ed universale d’ applicazioni, Malus, Sturm, il sig. Dupin diedero maggiore generalità alle formole che rappresentano il corso dei raggi luminosi, che si rifrangono o si riflettono all'incontro di superficie rifrangenti o riflettenti, e dalle medesime si sarebbero potute dedurre le equazioni da sostituirsi a quella troppo limitata, di cui avevano fatto uso Lagrange ed altri. Tale deduzione però non era stata fatta, quando il celebre fisico sig. Biot, nel primo volume della terza edizione della sua Astronomie Physique, pag. 559 e seg., fece vedere direttamente, con una elementare costruzione geometrica, che due equazioni, simili a quella sussistente pei raggi che si propagano in piani passanti per l’asse della lente, si verificano anche per le proiezioni, che si possono fare di raggi comunque diretti, sui due piani coordinati condotti per l’asse stesso. Per mezzo di queste projezioni, il corso di un raggio luminoso si trova decom- posto in un modo simile a quello con cui nella Meccanica si considerano de- composti i movimenti; e come nella Meccanica un movimento curvilineo qua- lunque è sempre rappresentabile da tre movimenti rettilinei paralleli agli assì coordinati, così nell’Ottica il corso di un raggio, in qualunque modo diretto, che incontra lenti o specchi, è sempre rappresentabile da quelli di due raggi fittizi che ne siano le projezioni, e per amendue dei quali sussista la (*) L'equazione a cui si allude è quella rappresentata da 1 1 1 a ba ap nella quale @ e è sono le due distanze conjugate, ed f la distanza focale principale. DEGLI STROMENTI OTTICI 41 legge espressa dalla citata equazione fondamentale. Colle ritrovate equazioni il sig. Biot rese pertanto applicabili, anche ai raggi poco divergenti dall'asse centrale e diretti in piani non passanti per esso, le formole che Lagrange aveva dato pei soli raggi che vi passano. dò. Per trattare il problema del corso di un raggio luminoso che attraversa un sistema di lenti collocate su di uno stesso asse centrale, Lagrange associa alla sopra citata equazione fondamentale l’altra, puramente geometrica, che esprime essere la somma della seconda distanza conjugata di una lente e della prima distanza conjugata della lente seguente eguale alla distanza reciproca delle due lenti (*). Stabilite altrettante equazioni quante sono le lenti e le loro distanze reciproche, introduce, in luogo delle distanze conjugate delle medesime, l’angolo che il raggio luminoso fa coll’asse all’entrare in ciascuna lente, e la distanza dall’asse del punto per cui vi entra, ed eliminando succes- sivamente quelle, fra queste incognite, che si riferiscono agli incontri colle lenti interne del sistema, e che si trovano tutte al primo grado, perviene a due equazioni, le quali rappresentano, sotto la forma più semplice, in funzione delle distanze focali principali delle lenti e delle loro distanze reciproche, le relazioni che devono sussistere fra la direzione con cui un raggio entra nella prima lente e la distanza dall’asse del suo punto d’incidenza, e la direzione con cui lo stesso raggio esce dall’ultima lente e la distanza dall'asse del punto d'emergenza. Allorchè si prendono le distanze focali principali delle lenti come costanti (**), ciò che suppone trascurabili le grossezze delle lenti ed i quadrati (*) Tale equazione è rappresentata da db+ a'= h 5 in cui % dinota la distanza fra due lenti consecutive, è la seconda distanza conjugata della lente precedente ed a' la prima distanza conjugata della seguente. (**) La formola, che esprime il valore esatto e completo della distanza conjugata di un raggio situato in piano passante per l’asse centrale di una lente, non trovandosi comu- nemente dimostrata in modo elementare, penso far cosa grata al lettore, e facilitare 1° intel- ligenza di quanto vien detto in appresso, riferendo quella che ho dato nella Nota II alla xxxvill delle mie Lezioni elementari di Fisica Matematica: Sia D la prima distanza conjugata, o la distanza del punto sull’asse da cuì si può supporre che parta il raggio luminoso al polo del segmento sferico la cui superficie forma la faccia anteriore della lente; p il raggio della superficie medesima; e l'angolo che il raggio p condotto dal centro al punto d’ incidenza del raggio luminoso fa coll’ asse. mn, 42 NUOVA TEORIA delle loro aperture in confronto dei raggi di curvatura e delle distanze conju- gate delle medesime, non che le variazioni che i poteri dispersivi delle loro sostanze producono sulla lunghezza delle dette distanze focali, le equazioni otte- nute dal Lagrange sono così convenevolmente preparate, che si prestano con mirabile facilità e generalità a mettere in evidenza per ogni sistema di lenti le principali proprietà relative all’ingrandimento, al campo ed alla chiarezza. d la distanza dal polo del segmento su nominato al punto in cui il raggio rifratto prolungato incontra l’asse; g la grossezza della lente; n l’indice di rifrazione del raggio luminoso al penetrare dall’aria nella sostanza della lente; e siano in ordine inverso, d', e’, p', D' le quantità relative alla seconda superficie della lente, analoghe a quelle indicate colle stesse lettere senz’ apice spettanti alla prima. Posto TUOZA1 1 peri {l+o(7+p)AFsi 3e — To ————— {i+ (+) tesine] nella qual’ espressione l’incognita d è tale che si ha D p d indi preso { 1 +; i + I), p!? sin? 1 e}: a 1 i T 1° f 1- PI (3-7) fest e}: in cui d' è dato da d'=d+g. sì trova che la seconda distanza conjugata D' soddisfa all’ equazione Miei a gl DD si in cui la distanza f è espressa da 1 () w 1 U pre Dati rta pit Queste due ultime formole, nelle quali nulla è trascurato, sono analoghe a quelle approssimate già note, ma il valore di f, dato dalla seconda, è variabile col punto d’incidenza del raggio lu- minoso, Quando si omettono i quadrati di 2 p sin 1 e, 2p'sinie', cioè i quadrati delle corde che DEGLI STROMENTI OTTICI 43 4. Considerando ciascuna superficie rifrangente in particolare, ed applicando il processo di calcolo del Lagrange ai due sistemi d’equazioni trovate dal sig. Biot per rappresentare le due projezioni del corso del raggio luminoso dopo l’incontro con ciascuna di esse, si giunge parimente a quattro equazioni, due per ognuna delle projezioni, le quali danno a conoscere le relazioni che devono esistere fra le direzioni e posizioni respettive del raggio luminoso, comunque diretto, all’entrare nella prima superficie rifrangente del sistema ed all’uscire dall'ultima; e le quali ci palesano in un modo egualmente semplice le principali proprietà di cui godrebbero gli istromenti ottici, nella supposizione che siano trascurabili le quantità sopra accennate. Queste proprietà sono tali che, se i detti stromenti potessero essere realmente costrutti nelle condizioni dalla detta supposizione richieste, non lascerebbero più nulla a desiderare rispetto alla loro perfezione; ma, si fatte condizioni non sono comunemente conseguibili nell’atto pratico. L'applicazione delle formole stesse ci fa vedere, che non è possibile dare agli stromenti ottici un forte ingrandimento ed un campo esteso, conser- vando nello stesso tempo una convenevole chiarezza e nitidezza delle immagini, senza supporre le dimensioni delle lenti e degli altri congegni aumentate ad un punto che gli artisti non saprebbero raggiungere. Spingendo le approssimazioni più oltre, coll’intento di conciliare gli stessi effetti con dimensioni minori, si dà in un’ altro scoglio, poichè si trova che i coefficienti, i quali moltiplicano le coordinate dei punti radianti dell’oggetto, e quelle dei punti d’ingresso uniscono i poli dei respettivi segmenti coi punti d’incidenza ed emergenza del raggio luminoso, non che la grossezza delle lenti, e si considera costante pei raggi d’ogni colore, si ha o=o'=n, d'=d, e quindi RTOÌ valor costante per una medesima lente. Queste formole suppongono che la lente sia convesso-convessa, e quindi che la prima superficie della medesima sia convessa verso l’ origine, od il punto sull’asse da cui parte il raggio luminoso, e la seconda sia concava verso la stessa parte. Se la prima superficie della lente fosse concava verso la detta origine si cambierebbe in tutte le formole pin— p, e se la seconda fosse convessa p'in—p'. Il punto sull’asse corrispondente alla distanza d è supposto cadere dalla parte della lente verso l’origine, ed il punto corrispondente alla distanza d' dalla parte opposta. Se il valore dell’una o dell’altra di queste distanze risultasse negativo, ciò vorrebbe dire, che il punto corrispondente si trova situato nella parte contraria della lente a quella che sup- pongono le formole. 11 NUOVA TEORIA del raggio luminoso nel sistema, che nella prima approssimazione risultavano costanti, acquistano dei termini contenenti i quadrati o i prodotti delle coordi- nate medesime, ed i poteri dispersivi delle sostanze delle lenti, i quali termini col loro intervento fanno sì che le belle proprietà, di cui furono prima ricono- sciuti dotati gli stromenti ottici, cessano di sussistere nei limiti di questa seconda approssimazione, Per restituire ai detti stromenti le proprietà mancate e distrug- gere i difetti attinenti ai termini nuovamente introdotti, altro mezzo non si scorge che quello di farli sparire, annullando in essi i fattori che moltiplicano le dette variabili o le loro potenze, mediante un’opportuna scelta dei valori degli elementi costanti da cui gli stromenti stessi sono costituiti, vale a dire, delle lunghezze dei raggi di curvatura delle superficie delle lenti, delle loro distanze reciproche, e dei rapporti dei poteri dispersivi delle sostanze diafane colle quali le lenti possano essere composte. La determinazione di un assorti- mento d’elementi confacenti a questo scopo costituisce, come è noto, il prin- cipal problema della teorica dell’aberrazione sferica e cromatica, teorica assai complicata per la moltiplicità dei termini che appariscono nelle espressioni dei suddetti fattori, e per la difficoltà d’impedire che le incognite destinate a sod- disfare all’annullamento dei medesimi, non si elevino in essi al di là del minor grado possibile. Nulladimeno, considerando la semplicità e simmetria delle forimole conseguite, ebbi il presentimento che, guidando il calcolo con qualche sagacità, si potrebbe ancora conservare nelle espressioni dei fattori summen- tovati una palese regolarità di composizione, e quindi concepii la speranza di poter giungere a tradurre in equazioni ancor trattabili le condizioni volute per l’annichilamento degli effetti di aberrazione. d. Condotto da queste riflessioni mi provai pertanto a comporre una nuova teorica degli stromenti ottici, della quale potessi servirmi di testo nelle lezioni di Fisica Matematica, che sono incaricato di dare in questa Università, partita- mente in varii corsi annuali. Il mio tentativo non riuscì vano. Sarebbe difficile di far comprendere a chi non ha letto queste lezioni l'essenza dei processi im- piegati, nel condurre il calcolo, per attingere lo scopo propostomi; ma una breve annunciazione dei risultati ottenuti servirà a dare almeno un’ idea della generalità e novità della nuova teoria. Le ricerche fatte mi hanno condotto a riconoscere, che un sistema di lenti non può essere atto a riunire i raggi partiti da ciascun punto dell’ oggetto nel punto corrispondente dell’immagine ed a formare di questa una rappre- sentazione simile all'oggetto, se non sussistono fra i suoi elementi otto equa- DEGLI STRUMENTI OTTICI 45 zioni di condizione. Due di queste equazioni sono richieste, acciò i raggi emanati da un sol punto dell’oggetto, e caduti su tuttii punti della prima superficie del sistema, convengano in un sol fuoco o siano tutti paralleli al- l’uscire dall'ultima, e queste equazioni potrebbero chiamarsi equazioni di con- dizione per l’aberrazione d'apertura. Due altre equazioni devono essere soddi- sfatte acciò le dette proprietà sussistano indipendentemente dalla distanza del punto radiante dall'asse centrale del sistema, le quali potrebbero dirsi equa- zioni dovute alla distruzione d’aberrazione di campo. Due equazioni ancora devono essere verificate pel concentramento dei raggi che non stanno in uno stesso piano coll’asse centrale, e come l'errore, che nascerebbe senza la loro verificazione, sarebbe dipendente dall’angolo fatto dai due piani condotti per l’asse, uno passante pel punto radiante e l’altro pel punto d'incidenza del raggio sulla prima superficie obbiettiva, potremo brevemente indicarle col nome di equazioni per la distruzione d’aberrazione diedra. Finalmente le due ultime equazioni sono quelle volute per la compenetrazione dei raggi dei varii colori provenienti dalla dispersione o variabilità dei loro indici di rifrazione, le quali sono conosciute col nome d’aberrazione cromatica. Rispetto a queste faremo osservare che, quando si volessero annichilare anche gli spettri detti seconda- rii, esse monterebbero a quattro. Comunemente gli stromenti ottici non offriranno, senza complicare di troppo la loro costruzione, tanti elementi arbitrarii da soddisfare a tutte le accennate equazioni, ed il calcolatore si troverà obbligato a preferire la veri- ficazione di quelle la cui omissione lascerebbe sussistere gli errori più nocivi alla bontà dello stromento, riserbando le altre a dargli soltanto un criterio sulla grandezza degli errori a cui il medesimo potrebbe ancora rimanere soggetto. 6. Già aveva esposto due o tre volte nei varii corsi delle mie lezioni questa nuova teoria, quando un giovine zelante per questi studii, il Dott. Forti, mi palesò il desiderio, qualora volessi prestargli consiglio e direzione, d’accingersi a fare un’ applicazione numerica di essa alla determinazione dei raggi di cur- vatura della superficie di tre lenti atte a comporre un’ obbiettivo esente, per quanto fosse possibile, dagli errori d’aberrazione cromatica e sferica. Questo esperto calcolatore corrispose pienamente al suo assunto; egli condusse a buon termine il suo calcolo, supponendo le tre lenti a contatto, e ne pubblicò i risultati in una Memoria, che lesse all'Accademia Valdarnese il cinque di Settembre 1852. I valori ottenuti dei raggi di curvatura avendo attratto l’at- tenzione di un ottimo giudice, l’esimio ottico Cav. Amici, il medesimo si mostrò 46 NUOVA TEORIA propenso a costruire un’ obbiettivo sulla norma di essi. Tale proposizione venne accolta con alacrità dal Dott. Forti, che intraprese tosto, per maggior sicurezza a ripetere il suo calcolo. Dal canto mio, volendo pur concorrere a sì nobile oggetto, ripresi a rivedere le formole, coll’intendimento di renderle più com- prensive e più facilmente traducibili in numeri, poichè sotto la forma in cui erano, quando il Dott. Forti fece la sua prima applicazione, esigevano un cal- colo alquanto prolisso. I nuovi studii mi condussero a scoprire aleune proprietà delle funzioni, che entrano nella composizione delle suddette formole, per mezzo delle quali il calcolo fu ridotto ad esigere un minor numero d’operazioni. Scortato da tali mezzi, il Dott. Forti potè ottenere più prontamente i muovi valori dei raggi di curvatura delle lenti, che risultarono poco differenti dai primi, e che trasmise immediatamente al Cav. Amici. Il saggio fatto da questo Ottico riuscì favorevole quanto si poteva sperare, poichè costruì un obbiettivo di sei pollici d’apertura con soli cinquantadue pollici di distanza focale, che produce un’ effetto di cui egli stesso fu grandemente soddisfatto. A quest’applicazione il Dott. Forti ne fece tener dietro un altra. Calcolò un’oculare, composto di due lenti a contatto, per uso dei cannocchiali di teatro o galileani, lasciando indeterminato il rapporto della dispersione dei due vetri, per poi servirsene a soddisfare ad una delle equazioni di condizione dell’acro- matismo. Il Prof. Amici ebbe la compiacenza di costruire quest’ occulare per farne dono all’abile calcatore, ed avendolo accoppiato ad un’ obbiettivo acro- matico di Lerebours, vidde che produceva un effetto migliore degli occulari comuni. Animato dal buon successo degli esperimenti eseguiti mi sono determi- nato a rendere pubblica la teoria che somministrò le formole impiegate pel calcolo di quelle lenti, ed ho creduto opportuno di non dover sopprimere parte alcuna del testo delle mie lezioni, benchè talvolta vi siano inserite alcune semplici applicazioni che conducono a risultati già noti, non volendo perdere il vantaggio di rendere più familiare al lettore l’uso e l’interpretazione delle formole trovate, e d'aver occasione di correggere qnalche errore frequente nei Trattati d’Ottica. Ho anche pregato il Dott. Forti a volermi comunicare un quadro degli sviluppi e dei calcoli numerici da lui eseguiti per pubblicarlo assieme, onde coloro che volessero intraprendere delle nuove applicazioni avessero sott’ occhio un’ esempio da seguire, al che egli ha liberalmente accon- sentito . PARTE PRIMA ANALISI DEL CORSO DI UN RAGGIO DI LUCE CHE ATTRAVERSA UNO STROMENTO OTTICO. ne CAPITOLO I. EQUAZIONI GENERALI. 1. Idea degli stromenti ottici, ed esposizione del problema dalla cui risoluzione dipende la loro teorica. Gli stromenti ottici, comunemente adoperati per ajutare la visione degli oggetti lontani, come i telescopii, o quella degli oggetti molto piccoli, che non potrebbero divenire percettibili senza avvicinarli all’occhio oltre il limite della visione distinta, come i microscopii, sono composti di due o più lenti o spec- chii, limitati da porzioni di superficie sferiche aventi i loro centri disposti sopra una stessa retta od asse, che si chiama l’asse centrale dello stromento . Affinchè un tal sistema di lenti o specchii sia atto a produrre gli-effetti su accennati, e costituisca uno stromento ottico, è necessario che goda di due proprietà principali. Primieramente si esige che i raggi, emanati da uno stesso punto dell'oggetto e penetrati nello stromento, vengano da esso modificati nelle loro direzioni in guisa che escano dal medesimo formando un pennello di raggi paralleli, acciò l'occhio dell'osservatore possa riunirli sulla retina e rice- vere una percezione chiara e distinta del punto da cui sono partiti. Seconda- riamente si richiede, per ben giudicare della forma dell'oggetto da quella dell'immagine veduta nello stromento, che questa sia simile alla prospettiva di quello, e perciò che gli assi dei pennelli di luce emanata dai varij punti del- l’oggetto abbiano direzioni tali, all’uscire dall’ istromento, che facciano fra loro degli angoli, maggiori sì, ma proporzionali a quelli che sarebbero compresi dalle rette visuali condotte ai punti medesimi. Scienze Cosmolog. T. IV. SÌ 48 NUOVA TEORIA Per tradurre in equazioni queste due condizioni, indispensabili in ogni isiromento ottico, si esige che risolviamo preventivamente il seguente problema fondamentale. Siano L,L, , La La .....Ln Ln nell’apposta figura iùn Da Ls L, n i irene rr ie : I; ROERO ARA SICn IERRIRNAROto METER re LO ROERO 0 e c' Ly n Ls Ln tante porzioni di superficie sferiche che dividono varii mezzi rifrangenti o riflet- tenti, i centri delle quali siano tutti situati su di un medesimo asse centrale C C'. Supponendo che tali porzioni siano piccole zone a base unica delle superficie totali, vale a dire che i raggi delle basi di dette zone siano piccole frazioni di quelli delle superficie sferiche di cui fan parte, e che un raggio di luce OI cada, con piccola obbliquità coll’asse centrale, sulla prima superficie L, L,, indi rifrangendosi o riflettendosi, secondo le leggi ottiche, passi successivamente per tutte le altre, si tratta di determinare il corso che il medesimo seguirà nel percorrere l’intero sistema dei varii mezzi rifrangenti. 9 dela ‘Incontro del raggio di luce colla prima superficie, e dimostrazione analitica delle formole del Sig. Biot. Per rappresentare il corso del raggio luminoso lo riferiremo, seguendo i metodi della Geometria analitica divenuti ormai tanto comuni, a delle coordi- nate rettangole. Assumeremo per asse delle x lo stesso asse centrale, e per assi delle y e delle 2 due altri assi ortogonali passanti per un punto del primo. Il raggio di luce sarà determinato nel suo corso, se, date le coordinate x), 0320 del punto d’onde parte, e gli angoli X,, Yo, Zo che la sua direzione fa coi tre assi, determineremo le coordinate x,,,,z, del punto per cui entra nella prima superficie, e gli angoli X,, Y,, Z, che forma cogli assi delle coordinate all’uscire dalla medesima, penetrando nel secondo mezzo. Per tal fine dinotiamo con A, la distanza del punto (x, Yo, zo) dell’og- getto, da cui parte il raggio luminoso, al punto (2,,%, 21), in cui incontra DEGLI STROMENTI OTTICI 49 la prima superficie rifrangente, le proiezioni di questa ‘distanza sui tre assi saranno rappresentate, come è noto, dalle formole | Tae (Loi ATCOSOSE (1) Yy-Y= A, 008 Yo ; ( Za iz \=PAflcosiZol Senza limitarci per ora alla supposizione, che la detta superficie sia sferica, consideriamo, per maggiore generalità, una superficie qualunque. di rivoluzione intorno all'asse centrale e rappresentiamo con (2) u—=y +2? — p(e)=0 la sua equazione, dinotando 9 (x) una funzione qualunque reale della x. Dalla Geometria analitica si sa che, posto 2__ du? du du? dra aariana else RI A) ERANO dz i coseni &, , 2, , m, degli angoli, che la normale alla superficie medesima fa coi tre assi, sono dati da ia (3) = 222 == m = — valori che soddisfanno alla relazione kz+1+m=1. Ora, le leggi dell’Ottica c'insegnano, 1.° che, quando un raggio di luce incontra una superficie unirifrangente o riflettente, questo raggio dopo la rifrazione o riflessione si trova nello stesso piano in cui stava colla perpendicolare alla superficie nel punto d’incidenza avanti d'essere rifratto o riflesso, 2.° che il seno dell’angolo, che esso faceva, prima della sua incidenza colla detta per- pendicolare, stà al seno dell’angolo, che fa colla medesima penetrando nel secondo mezzo, in un rapporto costante, che è quello delle velocità con cui si propaga respettivamente la luce nei due mezzi separati dalla detta superficie. Questo rapporto è costante per tutti gli angoli d'incidenza e rifrazione, se la sostanza rifrangente e la specie di luce rimane la stessa, ma varia nella rifra- zione, secondo la natura della sostanza ed il colore della luce, e nella rifles- sione è sempre indipendente da questi elementi ed eguale a — 1. 50 NUOVA TEORIA Il coseno dell’angolo V,, che il raggio luminoso fa colla normale alla superficie della lente nel punto d’incidenza, è espresso, usando delle denomi- nazioni precedenti, da (4) cos V, = k, cos X, + 4, cos Y, + m, cos Z, ; ed i coseni degli angoli, che fa cogli assi delle coordinate x ,y,z, la perpen- dicolare al piano, in cui il raggio luminoso e la normale suddetta si trovano situati, sono dati respettivamente da 5 L, cosZ, — m, cos Y, m, cos X,—k, cos Zo k,cosY, — 4 cos XK, Oda e“ sin V, sin V, sin V, Parimente il coseno dell'angolo V',, fatto dal raggio luminoso colla normale alla superficie rifrangente nel punto d'emergenza, dopo la rifrazione, è espresso da (6) cos V', = k, cos X, + 4 cos Y, + m, cosZ, ; ed i coseni degli angoli fatti cogli assi delle coordinate x,y,2z, dalla perpen- dicolare al piano, in cui stanno le due sunnominate rette, sono respettivamente dati da 1) I, cos Z, — m, cos Y, m, cos X, —k, cos Z, k, cos Y, — li cos X, sin V', È sin V', ù sin V', Dunque, poichè i due piani suddetti devono coincidere per la prima legge d’Ottica, e poichè, per la seconda legge, chiamando », e v, le velocità di pro- pagazione della luce nel primo e secondo mezzo, si deve avere 1 (8) za sin V, = - sin V', 4 0 n 1 confrontando i valori dei coseni datici dalle (5) e (7), che devono essere eguali fra loro, ed eliminando sin V, e sin V', col mezzo di quest’ultima relazione, dovranno sussistere le equazioni 1 1 di (Il, cos Z, — m, cos Y,) = "i (LL cos Z, — my cos Y;) , 1 0 1 1 vw (m, cos X, — k, cos Z,) = D) (mi cos X, — k, cos Z) , 1 0 1 1 — (k, cosY, — & cosX,) = —(k, cosY, — I, cosX,). Vi Vo DEGLI STROMENTI OTTICI 51 Dalla seconda di queste equazioni, moltiplicata per m,, sottragghiamo la terza moltiplicata per Z, , indi aggiungiamo e togliamo alla differenza le quantità k? cos X, A ka cosX, , e ripetiamo un calcolo analogo colle equazioni terza e prima, e poi colla prima e seconda, con ciò e coll’uso delle (4) e (6), le tre precedenti equazioni ver- ranno trasformate nelle seguenti v v cosX, = a cos X, + &, (cos Vie = cos Vi) Ù 2) (1) v v (9) costi — "east, LG (cos Vi, — - cos Vi) 7 v v 0 0 Vi 1 Vi cos Z, = — cos Z, + m{cosV', — = cosV,) . 1 1 \ Vo Vo Queste equazioni sono quelle, che furono dimostrate primieramente dal sig. Biot, e costituiscono l’importante innovazione introdotta dal medesimo nella teoria delle lenti, di cui abbiamo tenuto parola nel preliminare. Le equazioni (1), (2), (4), (6), (9) contengono le relazioni necessarie fra gli elementi del calcolo per determinare il corso del raggio luminoso dopo il suo incontro colla prima superficie rifrangente, dato che fosse il punto di par- tenza del raggio e la direzione del medesimo. Infatti, sostituendo nell’equazio- ne (2) per x,, Y1, 21 le espressioni date dalla (1), potremo avere un’ equazione che non conterrà altra incognita che A,. Determinata questa incognita colla risoluzione della detta equazione, risalendo alle (1) avremo i valori delle coor - dinate del punto d'incontro (x,, %, 21) del raggio luminoso colla superficie rifrangente, indi si otterranno dalle (3) i valori %, , ,, #2 dei coseni degli angoli che la normale alla superficie fa coi tre assi delle coordinate, e dalla (4) quello dell’angolo d’incidenza V, . Dalla (8) si potrà in seguito dedurre l'angolo di rifrazione V',, e con questi valori si avranno finalmente dalle (9) gli angoli X,,Y,,Z, che il raggio luminoso fa cogli assi delle coordinate al di là della prima superficie. i ò. Incontri del raggio luminoso colle successive superficie rifrangenti . Se ora risguardiamo il punto (x,, 1, 21) come un nuovo punto di partenza del raggio, la cui direzione sia data dagli angoli X,, Y,, Z, e vogliamo trovare 52 NUOVA TEORIA il punto ove incontrerà la seconda superficie e la direzione con cui uscirà da essa, basterà dinotare con A, la parte del raggio intercetta fra le due superficie e con x3, Yz, za ed X,, Y,, Z, respettivamente le coordinate del punto cercato e gli angoli che la direzione dimandata fa coi tre assi di queste, che le stesse considerazioni, le quali ci hanno fornito le equazioni (1), (2), (8), (9), ci con- duranno alle seguenti, in cui tutti gli indici posti sotto le lettere sono aumen- tati d’un unità, Za = ACOS a Y—Y = A cos X, , Za RONN ANCOSOZ, Usi rzoiio. (e) == 10, È Doe sini = sini. Va v v cosX, = = cosX, + &, (cos V.- > cos V.) + 1 Vi v v cos Y, = = cos Y, + 4 (cos Vi ca cos Vi) È Vi, 1 Va v cos Z, = n 098 Zi, (cos Vi = cos Vi) { 1 1 Proseguendo nello stesso modo da superficie in superficie è evidente che, per la rifrazione o riflessione corrispondente alla superficie °°", avremo le equazioni / pub ai ee COS Ae Y Ya = A,1008 Y,a CANI ZIA MNT NCOSIZ yY + 23? — p,(x) —u,=0 ) DIA kg sinV, = —— sinV, (10) li Va = Vy A \ Vy cos X, — cos X,-1 + 4, (cosV, — —* cosV, Va Vy-1 ini ' Vy T COS cos Y,-1 + 4, (cosV, — cos V, v v » v ui v v_1 y71 dì È U, ZA = cos Z,-,1 + m,(cosV\,- cos V, { » v 471 » v v Td vr DEGLI STROMENTI OTTICI 53 Queste otto equazioni danno i valori delle incognite A, 3%,rYU,2y,3 Vi XK, 3 YZ 5 per mezzo delle quantità analoghe corrispondenti all’incontro del raggio colla superficie precedente, dei parametri contenuti nell’equazione della superficie yi» che si considera e dell’indice di rifrazione del nuovo mezzo. Si potrà dunque, dalla cognizione del luogo del punto da cui parte il raggio luminoso e degli angoli che esso fa cogli assi delle coordinate, prima d’entrare nel sistema dei mezzi rifrangenti in considerazione, passare con un calcolo successivo a quelle del luogo del punto d’ emergenza e degli angoli che danno la direzione del detto raggio appena uscito dal sistema medesimo. CAPITOLO IL RIDUZIONE DELLE FORMOLE PRECEDENTI AD UNA FORMA CONVENIENTE PER LA LORO RISOLUZIONE. 1 Riflessioni sullo scopo delle ricerche da farsi. Secondo ciò che abbiamo esposto alla fine del capitolo precedente il corso di un raggio di luce, che attraversa un sistema di mezzi diversamente rifran- genti separati da superficie di rivoluzione intorno all’asse centrale, sarebbe suc- cessivamente determinabile colle formole (10), che ci offrono il modo di asse- gnare la posizione e la direzione di esso dopo l’incontro con una superficie qualunque del sistema, quando la posizione e la direzione del raggio all’uscire dalla superficie precedente sono conosciute, ed i parametri di questa superficie e la velocità della luce nel nuovo mezzo sono date. Ma, una tale determinazione, particolare a ciascun caso, non soddisferebbe al nostro oggetto, perchè, oltre all’essere impraticabile per un gran numero di raggi, sarebbe insufticiente per farci conoscere le relazioni che passano fra i cammini seguiti dai diversi raggi e gli elementi componenti il sistema ottico, relazioni le quali sono necessarie per costituire una teoria e porgerci i fondamenti su cui poter stabilire un giudizio completo degli effetti che il detto sistema può produrre. Per ottenere siffatte relazioni bisogna eseguire la risoluzione algebrica delle equazioni generali segnate (10), dare, cioè, a v successivamente tutti i valori in numeri interi da v = 1 sino a v — n essendo n il numero delle super- 54 NUOVA TEORIA ficie rifrangenti, eliminare dalle medesime tutte le incognite intermediarie, e trovare le formole analitiche che danno le coordinate del punto per cui esce un raggio qualunque dall'ultima superficie, ed i coseni degli angoli che la sua direzione fa cogli assi delle coordinate uscito dalla medesima, in funzione delle quantità analoghe che rappresentano il suo corso all’ entrare nel sistema e di quelle che esprimono i valori degli elementi di cui questo si compone. Volendo eseguire la risoluzione di dette equazioni direttamente, coi metodi d’eliminazione conosciuti, ci troveremmo ben presto ingolfati in calcoli inestri- cabili, per causa dei radicali che le medesime contengono, e l’artificio per evi- tare quest’inconveniente sta nel profittare della piccolezza di cui i valori di alcune funzioni di quantità incognite differiscono da valori conosciuti, per semplicizzare le equazioni in discorso, risguardando da principio queste fun- zioni come dale, e risolvere il problema per successive approssimazioni . Do) dale Distinzione degli ordini di grandezza delle quantità comprese nelle formole precedenti. Le quantità, che, come abbiamo gia detto, hanno un tenue valore nel problema che trattiamo, sono quelle dipendenti dalle aperture delle porzioni di superficie che limitano i mezzi rifrangenti, che sono comunemente piccole in confronto dei parametri delle superficie medesime, e (quelle relative alla poca inclinazione del raggio luminoso all’asse centrale. Per considerare le prime, noteremo che la funzione indeterminata 9, (x) , compresa nella quarta delle equazioni (10), prende la forma p,} — (x — @,)? , quando questa superficie è, come ne’ casi comuni, una porzione di superficie sfe- rica, il cui centro corrisponda all’ascissa a, ed il cui raggio sia p,. Sostituendo quest’ espressione di 9, (x), la detta equazione verrà rimpiazzata dalla seguente (1) uz(a- af+y9+22-pi=0. Ora, affinchè l’apertura della superficie v°"" sia piccola in confronto del rag- gio p, , bisognerà che i rapporti 2 |< Plù siano tuttavia piccoli dando ad y e 2 il massimo valore che queste variabili DEGLI STROMENTI OTTICI 55 ottengono ai bordi delle superficie rifrangenti. Considerando questi rapporti, come quantità di prim’ ordine, la frazione yY? sl z? Py sarà pertanto una quantità di second’ ordine. La seconda condizione, che il raggio luminoso sia poco inclinato all’ asse centrale, esige che l'angolo X, sia sempre piccolo, in tutti gli incontri che il medesimo raggio ha colle superficie rifrangenti, e che invece gli angoli Y, e Z, differiscano sempre poco da un angolo retto. Siccome fra i coseni di questi an- goli esiste la relazione (2) cos ?X, + cos?Y, + cos?Z, = 1 dalla quale si deduce (2) cos 2Y, + cos?Z, = sin?X, Considereremo sin X,, , cos Y, , cos Z, come quantità piccole di prim’ ordine, e quindi i termini che compongono quest’equazione come quantità di second’or- dine. ò. Espressioni approssimate delle coordinate dei punti in cui il raggio incontra le superficie rifrangenti. Osservato l'ordine di piccolezza delle quantità od elementi di cui si com- pongono le equazioni (10), occupiamoci della riduzione delle medesime alla forma più conveniente per la loro risoluzione. L'equazione (1) risoluta rispetto ad x ci dà primieramente rza,tp(1+945) i Il doppio segno corrisponde ai due casi in cui sia x > a,, 0 viceversa rx \ Ss , , Em = Pontina + Sona 5 nelle quali i valori di p,, pa ) P;-+-+«+Pan-s è Pan-1 , Saranno espressi da raf : Di i “n n ; BE e hs Bs , cris lin 9,0: (6) i È Li 7 n) Ù (7) é Di — Va h; (CA DI it £ AD _ \ Pani Pn (a n) & i Pano= Una hn Bn - Ora è chiaro che colla successiva sostituzione dei valori precedentemente otte- nuti da ciascuna delle equazioni (5) nella seguente si potrà ridurre una qua- lunque delle incognite €, ad essere espressa dalle due quantità £, e &,, che possono considerarsi come date, e come quelle equazioni sono tutte lineari, quando si prescinda dalla variabilità di 6, e 7, , il risultato sarà della forma (?) (1) È (7) fu = Pu, È, ;F ES Éo ») : a) (0) STREAP nel quale i coefficienti P,_, e P,_, saranno delle funzioni di p,, ps. ..pu-:- 1 Per trovare queste funzioni osserveremo che, essendo le due parti moltiplicate per le variabili é&, e é, indipendenti fra loro, potremo cercare i coefficienti (1) (2) LR I e a parte, facendo nell’equazione (5), prima &,=0, e poi &, = 0. È È dae (È 5 : Z Quando si fa È, = 0, il coefficiente PS nell’equazione (7) prende successi- vamente i valori 62 NUOVA TEORIA l p uil (1) La = Pi o E = Pipa + |! (1 I (1) Vi) bi = P1Pa Ps + Pa + Ds A P, = PaPaPsPa + Pa: + PiPi + PsPa + 1 (1 (1) E = Pa PaPsPsPs + PaPaPs + PaPaPs + PaPaPs + Ps PsPs + Pa + Ps + Ps \ ec. ec. Se invece si fa éÉ, — 0, e si sostiluiscono successivamente i valori risultanti delle È nell’equazione seguente, si troveranno per esprimere i coefficienti Q le eguaglianze i pî 23 0 | = pi =" 1 pÙ © Pa (000) pù Pip; +1 (8) P_= papsPa + Ps + Da x (2) P_ = PaPsPaPs + PoPs + Pa Ps + PP +1 \ ec. ee. Valori delle coordinate del-punto d'incontro d'un raggio luminoso con una superficie rifrangente qualunque del sistema, e dei coseni degli angoli che ne assegnano la direzione all'uscire dalla medesima. 7 Ae 0) (2) Supposti determinati i coefficienti P, e P) per un numero qualunque ., ciò che mostreremo a fare in un modo generale nel capitolo seguente, possia- DEGLI STROMENTI OTTICI 63 mo passare ad esprimere le coordinate del punto in cui il raggio luminoso incontra la superficie v*" del sistema, non che gli angoli che esso fa cogli assi delle coordinate y e z, dopo essere stato da questa rifratto. Prendendo infatti nell'equazione (7) successivamente u = 2v—1,e p=2>, e riponendo pei &,,_, e é,,, e per &; e é, le loro espressioni forniteci dalle posizioni (3) e (4), avremo le due equazioni (4) 1a EG) Y = Paraya + —Pa-ac08Yo, Vo (8) 1 : (1) o _(°) cost, = U,Paya% + = P,,_, cosY, ; 0 ed in conseguenza, poichè, come abbiamo sopra notato, le espressioni di z, e cos Z, si ottengono col solo cambiare in queste y, e Y, in z, € Z,, come pure % ed Y, in 2, e Zo. si avrà anche (1) TOSO) z, = Pavaza + — Pa-a008Z , Vo (9) (! PAR, cos Z, = v,P.,_121 + = P.,-,1 cos Z : 0 per mezzo delle quali, e di quelle segnate (5) e (6) nel Capitolo II, tanto la posizione quanto la direzione del raggio rifratto, dopo aver attraversato una superficie qualunque, potranno essere completamente determinate, quando sia dato il punto d’incidenza e la direzione del raggio luminoso all’ entrare nello stromento. 4. Trasformazione delle equazioni precedenti introducendo le coordinate del punto radiante dell’oggetto in luogo degli angoli, che la direzione del raggio ema- nato dal medesimo punto fa coi tre assi delle coordinate. Possiamo mettere le precedenti equazioni sotto una forma più comoda per le applicazioni, escludendo da esse cos Y, e cos Z, ed ammettendo, in loro vece le coordinate y, e 2, del punto dell’oggetto, da cui il raggio incidente sulla prima superficie rifrangente ha emanato. Perciò si osserverà che giusta le formole (1) del Capitolo I, si ha Y Yo __ Za Zo (10) COSV = cera ° cos Z, = 5 (1) Scienze Cosmolog. T. IV. 9 64 NUOVA TEORIA e che, sostituendo questi valori nelle formole (8) (9), e ponendo per brevità (1) ) ) 1 (3) (4) (€; (E = = sele =D CENpe v 2 (11) Q, -2 Pas shi A bo b) Qi 2V-1 ilo A 29185 00 Vodo risulta (3) 1 (2) (4) 1 (9) | = RAR Psa Yo 3 Zy = DA E ZE 0/0 oro (12) (1) USO) (1) U, (2) (Ps V= psi SIR Psy-1Y0o 3 C05Z, = v,Qay-121 — mani Zo 7 Dio. oro le quali formole sono appunto quelle che ci eravamo proposti di trovare. CAPITOLO TY. (4) (2) DIGRESSIONE SULLA FORMA E SULLE PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI P) , P) . (DIRO) Regola pratica per la composizione delle funzioni P, , P) corrispondenti ad un indice qualunque >. 1 2 Se si getta uno sguardo sulle espressioni delle funzioni P), P), che abbia- mo dato nell'articolo 2 del Capitolo precedente, si riconosce direttamente che queste due funzioni sono respettivamente il numeratore ed il denominatore delle frazioni che esprimerebbero i valori della frazione continua allorchè si tenesse successivamente conto soltanto di uno, di due, di tre,.. -.. di X termini della medesima (*). La legge con cui sono formati i coefficienti P,, può enunciarsi nel seguente modo. (1) Il primo termine di questi coefficienti deve essere il prodotto di tutte Je p cogli indici da 1 sino a 2, e per conseguenza deve constare di X fattori, che si scriveranno uno dopo l’altro coi loro indici nella progressione dei numeri naturali. (*) EULER. Introductio in Analisin infinitorum. Lib. J, Cap. xvMI, art. 558. 3 DEGLI STROMENTI OTTICI 65 Con questo termine si formeranno tutti quelli composti di % — 2 fattori, cambiando successivamente nell’unità tutti i prodotti binarii contenuti in esso, e fatti da due delle p che abbiano indici consecutivi nella suddetta progressione . Da questi termini si passerà ai termini di X — 4 fattori cambiando ancora in essi successivamente nell’ unità i prodotti di due qualunque delle p che abbiano indici consecutivi, cioè il seguente di una unità maggiore del prece- dente, e sopprimendo ciascun termine che sia già apparso una volta. Si proseguirà nello stesso modo sino a che si arriverà ai termini che non conterranno che una sola delle p, oppure ad un solo termine che sia l’unità. Il primo caso si offrirà quando l’indice X è dispari, ed il secondo quando è pari. Il quadro annesso mostra il processo con cui si possono formare i coeffi- nas iinaal) cienti P, e P,. RIVA) P, = PiPaPsPsPsPe Il D + PiPaPsPs + PaPaPsPo + Pi PaPsPo + Pa Ps Ps Ps + Ps Ps Ps Po + pipa + PaPs + DsPs + Pi Ps + PsPs + PsPs + 1 2 () P, = P,PaPs3PsPsPePr + PaPaPsPsPs + Pa Pa Ps Ps Pz + Pa Pa PsPe Dr ' ! + PiPaPsPePz + PaPiPsPe Pz + Ps Pi Ps PePr + PiPaPs + Pi PaPs + PiPiPs + PsPsPs + Pa Pa Pr + PiPsPz + PsPsPz + Da PePz + PsPe Pz + Ps Pe Pr + Dt Po +P5+ Pr - 1 Sopprimendo nel primo termine di P, successivamente i prodotti binarii p;p;, PsPs > PiPs > PsPs è PaP5 > PiPa Si hanno i sei termini del grado 7 — 2, e conti- nuando a sopprimere i detti binarii compresi in ciascuno di questi ultimi sei termini si ottengono successivamente quelli del grado 7—4, e così di seguito. Conoscendo la legge colla quale si può comporre l’espressione del coefli- oD È ll) SULA è m'è ciente P, con un’ indice qualunque 2, possiamo valerci di essa per formare 2 (°) : OSE anche il coefficiente P, . Risulta infatti, dal modo con cui le equazioni (5) del Capitolo precedente sono risolute per successive sostituzioni, che la legge di composizione della funzione P, deve risultare la stessa di quella con cui si 1) compone la P), colla sola differenza che l'elemento p; si trova escluso, e si deve 66 NUOVA TEORIA cominciare nel formare il primo termine di questo coefficiente dal fattore p,. Basterà quindi comporre colla stessa regola, ma impiegando degli elementi p, i cui indici siano tutti aumentati d’ un’ unità, un’ espressione simile a quella di () } o) P,_, ; per avere la richiesta funzione P) . 2. Deduzione dei coefficienti, con indici sottoposti minori di ), (GLOe) da quelli già formati e completi di P, ,P) . (1) 0) EI Dalle espressioni dei coefficienti P, , P) si può successivamente discen- dere a quelle dei coefficienti, in cui l'indice sottoposto è minore di 2, col mezzo di semplici derivazioni. Per provarlo, sostituiamo, neil’equazione d’indice inde- terminato fai eh a per fi1, È) &-1 le loro espressioni risultanti dal porre successivamente u=)+1,2,2—1 nell'equazione (7) del Capitolo precedente, e si avrà (_ a CÒ ® ( @ AI) (P-, En Pa 5) Beata Acciò quest’equazione sia verificata per tutti i valori di é, e É&,, che sono due variabili indipendenti, bisogna che i coefficienti di ciascuna di esse siano eguali in un membro e l’altro, per cui si avranno le identità (4) (1) (1) 1 Ba =PY Big Bai (1) (2) (2) (2) Pe ph + Pia . . . . . (1) (A . . . Ora, siccome p), non è mai contenuto nei valori di LT) P,, in cui # sia minore di 2, prendendo le derivate rispetto a p) delle identità precedenti, si otterrà (1) pre (2) d Pi 2 Pol ELE ( ) 1 dp) ’ \1 dp) ed i valori dei coefficienti in discorso con un dato indice saranno deducibili da quelli che hanno un’indice maggiore di un’ unità, eseguendo una semplice deri- vazione. DEGLI STROMENTI OTTICI 67 d. : ì I ee elio 4 (c) (alta; Relazione notevole fra i quattro coefficienti P,_, P)_, , P), Py - Eliminiamo fra le due equazioni segnate (1) l’elemento p,, contenuto espli- citamente in esse, ed otterremo (SE) (Ide) (1) (2) (MMM) ee ( A o P._,) Diminuendo in questa formola successivamente di un’ unità 1’ indice i, e sur- rogando sempre i secondi membri coi valori di essi che si ottengono discen- dendo dall’una all’altra delle equazioni risultanti, si arriva alla seguente (DICE) (1) (2) (SIE) (*)pa(2) P, Pigi Pu Pre È (P, Ri — PaPa); il segno superiore valendo per % dispari, e l’inferiore per % pari. (1) Pie?) Ora, usando dei valori di P,, P,, Po, P, datici delle formole (I) e (IT) del Capitolo precedente, si ha (ss) (4) (8) PP_PP=- 1; dunque risulterà qualunque sia 2 (1) _(8) (2); put) (3) Eee et, il segno superiore corrispondendo a % pari, e l’inferiore a ? dispari. 4. Notazione più generale delle funzioni P, e loro decomposizione. DO) Alle due precedenti proprietà delle funzioni P, , P), esposte dal Lagrange nella citata Memoria, e già anteriormente dimostrate dall’ Eulero, ne aggiun- geremo altre, che quest Autore ha fatto conoscere (*), per mezzo delle quali potremo rendere più facili le trasformazioni da eseguirsi nel seguito . (*) La Teoria di queste funzioni può essere compresa in quella più generale cono- sciuta sotto il nome, introdotto dal Sig. Cauchy, di Teoria dei determinanti. Non abbiamo creduto opportuno di tradurre le dimostrazioni date nel testo, in corollarii di quest’ultima Teoria, perchè le dimostrazioni date sono tanto semplici e dirette che, pensiamo, non 68 NUOVA TEORIA Abbiamo fin'ora considerato le funzioni P provenienti dalla risoluzione del sistema delle dette equazioni (5) cominciando dalla prima: se si partisse invece da una qualunque delle medesime, per esempio da quella in cui l’incognita del primo membro è &;x1, e si discendesse determinando successivamente i valori di É;:, é:5 ec., impiegando soltanto la porzione seguente del sistema in discorso, Gira a Eito = Pim bit + Gi > (4) SOC Ly (E pia fra ano pippi tapings è chiaro che i coefficienti di &; e £;_, risulterebbero ancora formati colla stessa legge con cui lo furono precedentemente quelli di é, e £,, colla sola differenza che gli indici dei fattori, componenti il primo termine del coefficiente di &;, comincerebbero da ?, e quelli dei coefficienti di &;_, da i+-1, e terminerebbero amendue con ). Ò 2) Siccome abbiamo già posto a destra, ed in alto delle funzioni P, e P) la cifra 1 ovvero 2, compresa fra parentesi, per indicare che il primo fattore del primo termine delle medesime funzioni è respettivamente p, ovvero pa, ed abbiamo impiegato l’indice % in basso per indicare che l’ultimo fattore (i iHi è p,, così, generalizzando questa notazione, scriveremo PI e Pi or dino- tare le funzioni fatte colla stessa legge, ma nelle quali il primo fattore del primo termine sia p; per la prima, e p;;; per la seconda, l’ultimo termine rimanendo p, per ambedue. La differenza fra l'indice inferiore e superiore, aumentata dell’unità, corrisponderà come precedentemente al numero dei fat- tori con cui il detto primo termine è composto, e, scritto questo primo ter- riuscirà discaro al lettore di trovarle incorporate in questo Capitolo, senza bisogno di ricorrere ad altre fonti. Le funzioni di cui si tratta sono state considerate primieramente dall’ Eulero in una Memoria, inserita fra quelle del Tomo IX, anno 1764, dell’Accademia di Pietroburgo, ed è intitolata Specimen algorithmi singularis: dipoi hanno fatto il soggetto d’una Memoria del Sig. Terquem, compresa nel Tomo IV del Giornale di Matematiche ee. del Sig. Liouville, col titolo Sur un symbole combinatoire d’ Euler, et son utilitè dans l° Analyse. Rispetto alla Teorica generale dei determinanti non vogliamo omettere d’indicare, a prò di quelli che bramassero instruirsi in questo ramo d’ Analisi, il commendevole Opu- scolo intitolato La Teoria dei determinanti e le sue principali applicazioni del Prof. Francesco Brioschi. Pavia 1851. DEGLI STROMENTI OTTICI 69 mine, si dedurranno gli altri seguendo le stesse regole che abbiamo esposte all'articolo (1). Adottando queste notazioni il valore di é,,, sarà quindi espresso da (44) 3 (i) (5) Ba = Bb t E Si ricavino dalle (7) del Capitolo II i valori di é),,, &, é;-,, cambiando suc- cessivamente 2 in 4 +1, ini, ed iné—1, e poi si sostituiscano le espres- sioni risultanti in quest’equazione; la medesima, non potendo più sussistere se i coefficienti delle due variabili indipendenti È, e &, non sono eguali nel primo e secondo membro, ci farà vedere che esistono le due seguenti (1) (i) (1) (it4) (3) : P, = P, Pi; + P, Io ) (6) 2 i E} 41 2 (0) (i) (A) (+4) (2) P, == P, RSS + Pi Po ) dalle quali e dalla (3) si ricaverà viceversa (i) (Riga) (IRC) eee dei rt(PaPi, Py Pe.) , valendo il segno superiore od inferiore, secondo che i sarà dispari, o pari. Cambiamo % in X—1 in quest’ultima equazione, ed avremo (i) (SI MARO) ) a(6) ia et (Pi. Pra Ia P;s) . . . . . (0) (9) e poi eliminiamo fra questa e la precedente, successivamente P;.s e Pi-; at- tendendo alla (3), troveremo Pb -BbauBb= Pa, d (9) ® _() ® 0 D) P, 5 ca) iis P) er, cla P, S 2009; | (4) (i) A. (4) le quali sono una generalizzazione della formola (3): il segno superiore sta per À—i pari, e l’inferiore per 2—i dispari. 70 NUOVA TEORIA 5. (6) EMRA(G), Usi delle formole dell’articolo precedente, ed espressioni delle derivate P, e P), rispetto ad un’ elemento p; qualunque. p Pi 9 q Distinguendo le funzioni P in diversi ordini secondo il numero dei fattori componenti il primo termine, le due equazioni (6) ci offrono il modo d’ espri- 1 2 mere le funzioni P, , P) , dell'ordine 2, che risultano formate d’una moltiplicità di termini, quando X è un numero un po grande, per mezzo di due prodotti bi- narii di funzioni più semplici d'ordine non maggiore di 1 -—i+1, ed i—1. Un altro vantaggio delle formole (6) è quello di poterci somministrare con (1) (2) semplicità le derivate di P, e P, rispetto ad uno qualunque degli elementi p. (1) (2) Infatti, osservando che l’elemento p;-, è soltanto compreso in Pi, e P;-,, e non si trova nelle funzioni P che hanno l’indice superiore > —1, o l’inferiore bi ‘ quindi, eliminando dall’equazione precedente, e dalla (4) tanto Q3n-, quanto (3) Qsn-s per mezzo della (17) e di quest’ultima, si otterrà pî 1 20 ge ARE ( ) Un pi 2n-1 1 1 (4), Y = (2) Yo D] zu () Zo » P 2n-1 20-1 I secondi membri di queste equazioni essendo identici con quelli delle equa- zioni segnate (5), e (4), nel Capitolo I, ci fanno vedere che il cerchio, rap- presentante l’immagine dell’obbiettiva, è situato nel piano detto dal sig. Biot oculare, e che i varii punti della stessa immagine coincidono con quelli in cui vanno a concentrarsi i raggi provenienti dallo spazio dopo essersi intersecali nei punti omologhi della superficie obbiettiva. Questo risultato era facile a prevedersi, perchè è indifferente per la for- mazione della detta immagine che si consideri ciascun punto illuminato del- l’obbiettiva come un centro d’emanazione di raggi, o che que’ raggi siano inviati dai varii punti dello spazio e s’incrocino in esso: in un caso e nell’altro deve risultare una medesima immagine. Scienze Cosmolog. T. IV. ve 88 NUOVA TEORIA Euler ha chiamato raggio principale d’un pennello luminoso, che investe l'obbiettivo, quello che passa pel centro di questo. Se facciamo yy = 0, z,=0 nelle due prime delle equazioni (9), per considerare il corso del raggio princi- pale, si vede che all’uscir dall’oculare la sua situazione soddisfa alle equazioni SO aa Un = — — Panba — dp pia Yn i SL o) n vo 2n 2A, o) le quali ci mostrano che il raggio principale, partito dal punto (4,320), inter- seca la superficie oculare in un punto (Yn,2n), che starà dalla stessa parte, o dalla parte opposta dell’asse centrale a quella in cui è situato il punto radiante, (A secondo che sarà Psn-s negativo o positivo. Coprendo quindi la superficie ob- biettiva, ad eccezione di un piccol foro nel centro, e dirigendo lo stromento ad un’oggetto luminoso, per esempio al sole, si osserverà se, elevando od abbas- sando un poco l’asse centrale dello stromento, l’immaginetta del foro visibile sulla superficie oculare si eleva o s’ abbassa contemporaneamente, o se succede il contrario, e con questo dato si giudicherà, secondo l’esposto, del segno posi- (£ tivo o negativo del valore di P,n-3, senza conoscere l’interno dello stromento. 2 Avendosi per mezzo di tale esperimento determinato il segno di P.n-3, 2 e quello di P.n_, essendoci indicato dal vedersi le immagini degli oggetti di- ritte, o capovolte, potremo riconoscere se il valore della distanza d, datoci dalla (20) deve essere positivo o negativo. Nel primo caso, il piano oculare sarà esterno allo stromento, e nel secondo sarà interno. L’osservatore potrà anche determinare il valore di è, senza scomporre l’istromento, valendosi del dinametro a doppia immagine, che descriveremo nel- l’articolo seguente. Per quest’oggetto, applicando il dinametro all’oculare dello stromento, bisogna che determini anche a qual distanza dal centro di figura della superficie esterna dell’oculare medesimo stà il piano tangente ai due centri di figura delle due semilenti del dinametro, quando vede l’immagine dell’obbiet- tivo nel miglior punto di distinzione. Chiamando K questa distanza, ed F la lunghezza focale del dinametro (*) dedurrà = Roca valore che sarà negativo, quando resultasse K < F . (*) Dicesi lunghezza focale d’uno stromento la distanza dal centro di figura dall’ ul- tima superficie al piano focale su cui vanno a riunirsi i raggi paralleli entrati per la prima: o viceversa; supponendo che i raggi invertano il loro cammino, la distanza del punto situato sull’asse centrale da cui essi dovrebbero partire, od a cui dovrebbero concorrere per rien- trare nello stromento ed uscire paralleli dalla prima superficie di esso. DEGLI STROMENTI OTTICI 89 Pongasi per omogeneità (2) ama = Vol ; da questa e dalle espressioni (15) e (20) si ricava l’ equazione che ci dà il valore di /, e compie di provarci che le quantità, dalle quali dipende il calcolo degli effetti dello stromento, sono tutte determinabili sperimentalmente operando all’esterno, senza bisogno di conoscere l’intima sua struttura. 9. Dinametro. Ogni qualvolta l'amplificazione d’uno stromento ottico è assai grande, il valore del semidiametro del disco, indicato con e nell’equazione (19), deve risultare assai piccolo in confronto della semiapertura a dell’obbietlivo, ed è evidente che, in questo caso, è necessario di conoscerlo con esatiezza, senza di che un piccolo errore, di cui potesse essere intaccato, influirebbe grandemente su quello del rapporto Z , @ quindi sulla giusta determinazione del poter am- plificante dello stromento. Questa considerazione indusse il celebre Ramsden, ed in seguito Dollond, a trovare la costruzione di un micrometro che fosse adattato a prendere con ogni esattezza la misura del disco suddetto, al quale, come già accennammo, posero il nome particolare di dinametro (*). Due sono le costruzioni proposte da quegli ottici per quest’oggetto. L’uno fa uso d’un micrometro ad immagine semplice, l’altro di un micrometro a doppia immagine. Il primo è semplicemente fatto di una lastrina di madre-perla o di talco; sulla quale è tracciata una scala molto accuratamente e finamente divisa. Que- sta scala è posta nel tubo di un oculare positivo, semplice o composto, ed alla distanza focale principale del medesimo, di modo che le divisioni della scala siano chiaramente e distintamente vedute attraverso l’ oculare. Si applica que- st'apparecchio al tubo dell’oculare proprio dello stromento di cui si vuole misu- rare il poter amplificate, e si fa avanzare o retrocedere sino a tanto che si vede, (*) Delle voci duveuit forza, potere, e perpen misurare, vale a dire misuratore del poter amplificante. 90 NUOVA TEORIA nell'interno del dinametro, l’immagine dell’obbiettivo bene definita e dipinta sulla scala suddetta. Leggendo allora le parti di questa scala sottese dal diame- tro del disco, che rappresenta la detta immagine, si ha il valore di 2 e. Questa specie di dinametro è dovuta a Ramsden, ma ha l’inconveniente che non è appli- cabile alla misura dell’amplificazione di quegli istromenti pei quali, come abbiamo visto nella discussione fatta nell’articolo precedente, il valore di è risultasse negativo, perchè in questi l’immagine del disco si trova nell'interno dello stromento, dove non si può introdurre il dinametro. A tale inconveniente non è soggetta la seconda specie di dinametro a doppia immagine, quando la distanza focale principale di esso è maggiore di è. Questo dinametro può paragonarsi ad un oculare composto di due lenti, delle quali l'anteriore, quella verso l’immagine da misurarsi, è divisa in due, secondo un suo diametro, e le due metà sono congegnate in modo che possono scorrere contemporaneamente nella direzione dello stesso diametro, allontanandosi egual. mente da una parte e dall'altra dell’asse centrale, comune ad amendue, quando i loro centri sono uniti. La descrizione del meccanismo per ottenere questo movimento è superflua al nostro scopo teorico (*); quì basta il dire, che da un lato di questo piccolo stromento sporge una vite, girando la quale si comunica il detto movimento opposto alle due semilenti. Sulla testa della vite medesima è fermato un cerchietto metallico, nel cui contorno sono tracciate le divisioni che misurano le rivoluzioni e loro frazioni fattesi fare alla vite, e che sono propor- zionali alla separazione o distanza reciproca dei centri delle due semilenti. L'apparecchio componente il dinametro è applicato al tubo dell’oculare dello stromento, di cui si vuol misurare l’amplificazione, in modo che può scorrere lun- ghesso, e farsi avanzare o retrocedere sino al punto nel quale il disco, immagine dell’obbiettivo, è percepito colla maggior chiarezza e distinzione: situato che sia l’istromento in questo punto, è ben preparato per eseguire la misura richiesta. A tale effetto si gira la vite che trasmette il movimento di separazione alle due semilenti, e nell’atto si vedono comparire due immagini del disco, che si allon- tanano sempre più fra loro, nella direzione del detto diametro, a misura che procede il movimento della vite, e si prosegue a farle allontanare fino a tanto, che l'estremità destra del diametro dell’immagine a sinistra coincida coll’ estremità sinistra del diametro dell'immagine a destra. In questo stato la distanza reci- proca 2e dei centri delle due semilenti, proporzionale alle divisioni trascorse dal cerchietto metallico in testa della vite del dinametro, è vincolata colla grandezza del diametro 2c del disco in modo che, detta f, la distanza focale (*) Può vedersi nel secondo volume dell’opera intitolata Practical Astronomy del D. PEARSON a pagina 47 e seguenti. DEGLI STROMENTI OTTICI 91 principale delle due semilenti, f, quelle della seconda lente ed &, l'intervallo fra esse, si ha de win i ha soda irprigprl dalla qual formola si scorge, che basterà moltiplicare la distanza 2e dei centri delle due semilenti pel rapporto rappresentato dal fattore fra le parentesi per ottenere il valore 2c del disco. Tale rapporto sarebbe difficile a calcolarsi colla necessaria esattezza pei varii dati che richiede, e perciò gli artisti se ne servono soltanto per determinare le lunghezze delle divisioni tracciate sul circolo in testa della vite del dinametro, acciò queste corrispondino prossimamente a qualche parte del movimento delle immagini del disco, che sia una frazione decimale dell’unità di misura adottata, per esempio del millimetro. Tracciate queste divisioni, presentano dalla parte opposta all’osservatore ed alla distanza focale principale del dinametro isolato, una scala d'avorio o di cristallo diligentemente e minutamente divisa, indi, facendo separare le due immagini di questa scala, osservano se le divisioni segnate sul detto circolo corrispondono bene a quel numero di parti della scala che si voleva dalla medesima espresso, se no, rimuovendo la seconda lente del dinametro la accostano o la allontanano dalla prima, o per meglio dire dalle semilenti, secondo che queste divisioni segnano un numero minore o maggiore di parti, e l’aggiustano in modo che la corrispondenza sia perfetta. Si vede infatti dalla formola precedente, che il valore di 2e crescerà o diminuirà al diminuire o crescere di 4;. Così aggiustata la scala, applicando il dinametro ad uno stro- mento qualunque, ed eseguendo la su descritta operazione, si ha la misura del- l’immagine del suo obbiettivo espressa in millimetri e frazioni decimali di esso, osservando quale, delle divisioni tracciate sul cerchietto girevole colla testa della vite, corrisponde all’indice fisso. Questo processo di misura suppone, che tutta la superficie obbiettiva sia efficace, cioè che i raggi che partono dai varii suoi punti, possano attraversare l’istromento, senza essere intercettati in alcun luogo del loro cammino. La neces- sita che vi è d’evitare l'ammissione di raggi luminosi molto obliqui, che prive- rebbero l’istromento delle proprietà che sussistono pei soli raggi poco inclinati all'asse centrale, fa sì che si escludono a bella posta quei raggi, ponendo nel- l’interno dei tubi dei diafragmi anulari che li intercettano, ma i quali possono talvolta anche circonscrivere l’immagine della superficie obbiettiva e ridurla soltanto ad una porzione di essa. Per iscoprire se questa circostanza sussiste, (*) Se ne vedrà la dimostrazione nel Capitolo seguente. 92 NUOVA TEORIA si restringe l'apertura della superficie obbiettiva, applicandovi esteriormente dei capelletti anulari, che coprano successivamente porzioni più grandi dei bordi di essa, e, guardando la sua immagine nel dinametro, si osserva se la grandezza di questa diminuisce in proporzione di quella. Quando ciò non avvenga, si dovrà conchiudere che le porzioni, sui bordi della superficie obbiettiva, coperte da quei capelletti sono rese inefficaci dal tubo dello stromento o dai diafragmi esistenti in esso, e si valuterà l'apertura della stessa superficie da quella del cappelletto, pel quale l’immagine comincia a diminuire. 10. Chiarezza. L'osservazione del Lagrange, che la luce emanata da ciascun punto del- l’oggetto esce dall’oculare in forma di un cilindro del diametro che abbiamo indicato con 2c nell’articolo 7, ci porge un mezzo facile di valutare la chiarezza con cui le immagini formate dagli stromenti ottici sono vedute da un’ osservatore. A quest’oggetto conviene premettere, che il grado di chiarezza, colla quale si vede una piccola porzione od elemento di un’ oggetto, sta nella ragione diretta della quantità di luce che riceve la pupilla dal medesimo elemento, ed inversa della grandezza apparente sotto la quale questo è veduto. Per confrontare la chiarezza colla quale si vedrebbe il detto elemento ad occhio nudo, con quella con cui si vede attraverso l’istromento, osserveremo primieramente che, se l’oc- chio fosse situato al centro della prima superficie obbiettiva, la quantità di luce che riceverebbe dall’elemento in considerazione, e quella che cadrebbe sull’ob- biettivo potrebbero essere rappresentate respettivamente da xp? e x a?, indi- cando con x il rapporto del raggio alla semicirconferenza, con p il semidiametro della pupilla, con « la semiapertura dell’obbiettivo, e supponendo la densità od intensità della luce, inviata dall’elemento luminoso, espressa dall’ unità. nel luogo ove l’obbiettiva è situata. La luce inviata dall’ elemento dell’oggetto che si osserva, e che cade sulla prima superficie obbiettiva, esce dall’ultima superficie oculare, articolo 7, con- densata nella base di un piccolo cilindro, il cui semidiametro abbiamo dinotato con e, quindi la densità della luce, dal cadere sulla prima superficie obbiettiva all’ uscire dall’ ultima superficie oculare, sarà aumentata nella proporzione di 9 1 ad È , per lo che la quantità di luce inviata dall’ elemento, che entra nella a? a ° Ma la grandezza appa- pupilla posta dietro l’oculare, sarà espressa da 7 p? DEGLI STROMENTI OTTICI 93 rente dell’elemento visto ad occhio nudo sta a quella osservata a traverso lo ] È v?, A? 10, SERI ORSO stromento, nella ragione di 1 a —_ , dunque dividendo la quantità di luce che v?, € entrerebbe nella pupilla ad occhio nudo, espressa da 7p?, pel primo termine di questa ragione, e dividendo quella surriferita che entrerebbe nella pupilla attra- verso lo stromento pel secondo termine della ragione medesima, si avrà che le chiarezze, le quali, come abbiamo premesso, sono proporzionali a questi quo- D) : 7 v? : zienti, stanno fra loro nella ragione di 1 a 3 . Questa ragione è quella d’egua- glianza, quando la prima e l’ultima delle superficie rifrangenti o riflettenti sono in contatto con uno stesso mezzo, nel qual caso si ha v%, = 0%, : per lo che con- chiuderemo che, quando gli stromenti sono immersi nell’aria atmosferica, come avviene comunemente, la chiarezza degli oggetti, visti ad occhio nudo, non è cambiata dagli stromenti ottici. In questo ragionamento s’inchindano due supposizioni: l’ una che il cer- chietto e, pel quale esce dall’ultima superficie il pennello cilindrico di luce inviata dall’elemento, sia di un diametro almeno grande come quello della pu- pilla, acciò questa sia tutta investita dalla detta luce; l’altra che nessuna luce sia riflessa od assorbita dalle lenti o spere di cui è composto l’istromento. La prima supposizione si verifica comunemente nei telescopii, impiegando degli oculari di un’ amplificazione non troppo forte, ma quasi non mai nei microsco- pii, i cui obbiettivi hanno per lo più delle aperture molto piccole, ed allora la chiarezza viene a diminuire, anche per quegli elementi degli oggetti i cui pen- nelli giungono per intero nella pupilla, nella ragione del quadrato del diame- tro del detto cerchietto, a quella del quadrato del diametro della pupilla. La seconda supposizione non sussiste mai in natura, perchè nessuna sostanza è perfettamente diafana o riflettente. Gli Ottici valutano, all'incirca, ad , del totale la perdita di luce nell’at- traversare una lente di piccola grossezza, e ad : quella nell'essere riflessa da uno specchio. 11. Campo. Si chiama campo d’uno stromento ottico la porzione dell’oggetto o degli oggetti che è visibile contemporaneamente attraverso l’istromento, e la gran- dezza del campo si misura coll’angolo compreso dai raggi visuali condotti dal centro di figura della prima superficie obbiettiva ai punti estremi degli oggetti ancor visibili sui confini di esso. 94 NUOVA TEORIA Per conoscere l'estensione del campo bisogna riassumere le equazioni (1) del corso di un raggio di luce, dopo che è uscito dalla superficie oculare. Quando si limita l’approssimazione alle quantità di second’ ordine, e si fa uso delle riduzioni che somministra la condizione necessaria per la visione distinta, come ci viene espressa dalle formole (7) od (8), le dette equazioni divengono AA i 1 (7 2 Ì Yo ria Ya a Pao + @Ha) ta Pony ’ an-1 1 10 con é è pi Sona do Sith SER 1, o ni La differenza x— Hm, dinota la distanza del punto (x,y,z) da un piano condotto pel centro di figura della superficie oculare perpendicolarmente all’asse centrale. Sia la pupilla situata sull’asse medesimo alla distanza 4 dal detto centro: sostituendo £ ad x--H,,, le coordinate y e 2 diverranno quelle del punto d’in- tersezione del raggio luminoso che si considera col piano passante perla pupilla e perpendicolare all’asse centrale, le quali saranno perciò espresse da 1 (MB a (?) ) Yo See Vi ac h n Pan DI PARO anzi (25) [ 1 At 224 fmi Rana] £ 2-1 Ciò osservato, poniamo per semplicità y=r cos i 2a SIDNONA ciò che dà (24) Wap zx Poniamo parimente 1 i ; 7 = 0089, È 2 =" sin 9, , 2-1 LE d’onde risulta 1 SI PORPAZMIORA a) Vyè "Oss 3 2-1 2 : ) ovvero, sostituendo a P,n_, il valore equivalente, datoci dalla (15), (25) È Vi Pera = DEGLI STROMENTI OTTICI 95 Sia per ultimo pi poko ; :(1 + ta) STO Ù P 2-2 avendo O il significato assegnatogli nell’articolo 6, cioè indicando l’angolo che il raggio visuale, condotto dal centro di figura della superficie obbiettiva al punto radiante (x,,Y0,Z0) da cui è partito il raggio luminoso in considerazione, fa coll’asse centrale dello stromento. Sostituendo pure, nel primo membro di pi DI questa ultima posizione, a Un = e Eli i loro equivalenti, che risultano P an-2 dalle equazioni (20) e (21), sarà h (27) :(1-)sin0=p, e, ritenute le altre denominazioni dell’articolo citato, le due precedenti equa- zioni prenderanno la forma r,cos, — rcos2 = pcosL , r, sin, — resin = psinL; dalle quali si ricava (28) Vra-2rr,cos(Q—-Q+r =p. Il maggior valore, che possa ricevere il primo membro di quest’ equazione, sarà quello che risulterà, quando sia Q-Q=r, nel mentre che i valori di r ed r, sono massimi. Ora y e 2 essendo le coordinate di un punto qualunque della pupilla, il valore Vy*+=? non potrà essere più grande della semiapertura p di essa, € dall’equazione (25) si avrà, pel massimo valore di r, x =(Dle Parimenti y, e , essendo le coordinate di un punto qualunque della su- perficie obbiettiva, il valore Vy,#+2,2 non potrà eccedere la semiapertura a della superficie medesima, ed il massimo valore di r,, datoci dall’equazione (26), sarà rv, =. Scienze Cosmolog. T. IV. 13 96 NUOVA TEORIA Sostituendo, per r, r, e £—-Q, , i su indicati valori nell'equazione (28), risulta che il massimo di p verrà espresso da (29) p=pie. Per dare una rappresentazione geometrica del significato di questa equazione, supponiamo che il piano dell’annessa figura \ Wes ini: = sia quello sunnominato, che passa pel centro P della pupilla, ed è perpendi- colare all’asse centrale, che i circoletti pp' e cc' dinotino respettivamente la apertura della pupilla, e della sezione di uno dei cilindretti luminosi del La- grange, nel quale, come si è veduto, sono compresi tutti i raggi emanati da uno stesso punto dell'oggetto: è chiaro, che la pupilla potrà cominciare a rice- vere uno dei raggi compresi in questo cilindro, quando il circoletto cc' sarà tangente a quello pp' da cui essa è rappresentata, vale a dire, quando il centro C della sezione cc' sarà così distante da quello P della pupilla che si abbia PC=c+p; e che tutti i cilindri di luce, che avranno i loro centri sulla circonferenza C C, C,, concentrica colla pupilla e descritta col raggio PC, saranno nello stesso caso. Da ciò conchiuderemo che tutti i punti luminosi de- gli oggetti che potranno inviare dei raggi per tal modo diretti, che i fasci cilindrici, da essi formati all’uscire dallo stromento, abbiano i loro assi situati sulla detta circonferenza € C, C,, tali punti saranno quelli che cominceranno ad essere visibili sul confine del campo. Ora la direzione di questi punti è appunto quella che ci viene porta dal- l'equazione (27), quando si metta per p il precedente valore (29), e si ricavi da essa l’espressione di sin O, vale a dire, è quella per la quale si ha c+p 0-5): da cui, ponendo l’angolo in luogo del seno, lo che è lecito per la sua picco- sin0 = DEGLI STROMENTI OTTICI 97 lezza, e raddoppiandone il valore, si ottiene, per esprimere il campo, la formola _d 2c+2p R" A dinotando con R" il raggio del circolo espresso in secondi d’arco. Se quindi s'immagina un cono il cui vertice sia nel centro della superfi- cie obbiettiva, il cui asse sia l’asse centrale, e la cui apotema faccia con que- st'asse un angolo della grandezza del premesso valore di O, gli oggetti com- presi in questo cono staranno nel campo dello stromento. Il campo così determinato è però quello in cui termina ogni barlume e comincia l’oscurità completa, perchè al limite di esso la pupilla riceve soltanto, da ciascuno dei cilindri luminosi, que’ raggi che radono un’ elemento del suo contorno, e la percezione del punto radiante corrispondente viene ad essere minima, e molto poco sensibile. Acciò la pupilla riceva una quantità di raggi sufficienti a produrre la visione d’un punto degli oggetti colla chiarezza com- pleta, si esige che sia tutta investita dai raggi partiti da esso, e quindi che si trovi tutta immersa nel cilindro luminoso, formato, all’uscire dall’ istromento, dalla luce emanata dal medesimo punto. Questa condizione cominciasi ad otte- nere, quando la sezione sensibilmente circolare del detto cilindro col piano passante per la pupilla le è tangente nel punto più lontano, come vedesi nella seguente figura, nella quale gli stessi circoli sono indicati colle stesse lettere come nella figura precedente; e si esprime analiticamente prendendo nella formola (28) Q_-Q=0, i raggi vettori di r ed r, rimanendo i massimi, cioè stando sempre r—p ed r;,=€, coi quali valori la medesima somministra p=l—-P - Sostituendo quest’espressione di p nella (27), si troverà che l’angolo, fatto 98 NUOVA TEORIA coll’asse centrale dall’apotema del cono, in cui sono contenuti gli oggetti visi- bili coll’intiera chiarezza, è dato da e—p (1-3) e quindi, col processo seguito dianzi, che il campo corrispondente è espresso da sin 0, = | _dT26-2Pon 60). aln&0ato o Gli oggetti, compresi nello spazio fra i due coni considerati, avranno le loro immagini situate fra i due detti limiti del campo, e la chiarezza delle medesime anderà successivamente diminuendo dal limite del campo dotato della chiarezza completa sino a quello del campo della visibilità possibile. L'ultima formola (50) suppone c>p, cioè che la sezione del cilindro luminoso, sotto la cui forma esce la luce inviata da un punto dell’ oggetto, sia più grande della pupilla, ciò che, come abbiamo visto nell'articolo 10, deve essere, affinchè la chiarezza del punto osservato sia completa. Se fosse e

A, ° A,= pi A>A, A,=%0 (A ovvero < A, . Se lo specchio fosse convesso, e quindi il valore di p fosse negativo, quello di A risultante dall’equazione (1) sarebbe costantemente positivo e minore di A,. In questo caso l’immagine sarà sempre diritta, virtuale e minore dell’ oggetto. Le preprietà degli specchi sferici si trovano abbastanza sviluppate nei Trat- tati di Fisica, e non ci distenderemo maggiormente su quest’argomento, il no- stro scopo essendo stato quello di dare un’ esempio del come devono essere interpretati i segni che prendono i valori delle quantità impiegate, o forniteci dalle nostre formole analitiche. In generale, la superficie essendo unica, sia essa riflettente o ben rifran- gente, dalle formole del Capitolo III, Parte I, posto n—=1, si avrà à PA Vi Vo (4) (2) bi = Pi 2 MB (4) 1 (2) O Q=-1:; i = Pak vd, i=1 } Quando i raggi incidenti giungessero paralleli alla superficie si avrebbe A=©, e la distanza conjugata A diverrebbe quella che gli Ottici chiamano la distanza focale principale. Dinotandola con F si avrebbe quindi Ag TNA (3) p=-(1-) = n e la precedente prenderebbe la forma na old Ud (4) Area i Parimente si avrebbe (i 1 1 DEGLI STROMENTI OTTICI 103 per cui le (4) ci darebbero v, F v, F SI Yo ’ eta A uF_-wd vF_v,d, (9) y= Due superficie n =2 Passiamo ora al caso di due superficie, supponiamo cioè n= 2. Sostituendo 4 1 nell’equazione (5) del Capitolo I per Q,, Q; le loro espressioni, dateci dalle (11) del Capitolo III, Parte I, ed aggiungendo e sottraendo dal secondo mem- () pi bro la quantità i , Si troverà, colle riduzioni che somministra la (3) del P 2 Capitolo IV della detta Parte, Pla vo pù 8 La distanza conjugata A, corrispondente a A, — @, cioè la distanza focale principale, detta anche più brevemente lunghezza focale, sarà data da ; (4 0 Ban ie le ) A NESSSDI F p° e quindi, risalendo alla precedente, avremo 1 7) 1 su 1 __ Vs di 5 A F Vo P i) Q ] A 2 2 1 Osservando per ultimo, che, coll’eliminare, per mezzo della precedente, P; dal- LI l’espressione sopra citata di Q;, si ha 1) 0) pi P = apra dalle (4) dell’antecedente Capitolo si ricaverà Va F ria Va F (3) (4) Yo Pr) è, A nana Mi Zo (o Va Povia: Ab Scienze Cosmolog. T. IV. 14 (È) RO e 104 NUOVA TEORIA Applichiamo queste formole al caso che le due superficie racchiudano un mezzo dotato d'un poter rifrangente maggiore di quello dell’ambiente, come avviene quando si fa uso d’una lente di cristallo immersa nell’aria atmosferica. La ve- locità v, di propagazione della luce nell’ambiente essendo presa per unità, e quella del mezzo fra le due superficie essendo stata indicata con v, nelle for- mole generali, la velocità v, rappresenterà, giusta l'equazione (8) del Capito- lo I, Parte I, il valore inverso di ciò che i Fisici chiamano, l'indice di rifra- zione. Di più, il raggio luminoso, all’uscire dalla lente, rientrando nell'aria atmosferica, si avrà di nuovo v. = f , e, colla sostituzione di questi tre valori, le formole (6) e (6), del Capitolo III, Parte I, in cui siasi fatto £=7=1, ci daranno 1 1 Pai — 1) >» Pa=vh >; r=_(! v, Per mettere queste espressioni sotto una forma, che dipenda da quantità le quali già hanno ricevuto una denominazione nell’Ottica, poniamo 9: e 9: dinotando, come si rileva dalla formola (3), i valori inversi delle distanze focali principali respettive delle due superficie, nel caso che un raggio di luce passasse dal mezzo, con cui la rispettiva superficie è in contatto, nella so- stanza della lente; valori, ai quali si è dato il nome di poteri rifrattivi delle superficie (*). Con queste posizioni si avrà quindi Pet 1 i Di — v, ’ > na LI (10) Î Pip: = — 91 ha 3 Pa P3 = 93 ha pt+p=——-(0-92); colle quali espressioni, componendo le funzioni P e Q, dateci dalle formole (1) (II), ed (11) del citato Capitolo, si troverà facilmente (£ () 2) Pj.=— ok 3 P. =, le - P__—1. eh (*) HerscHeL. Treatise on light. Art. 242, 245. DEGLI STROMENTI OTTICI 105 Osservando di più che si ha so P+PstPP2Ps Di Pa ilari 1+p,p, = Pat Bs 1+p,p; ° sostituendo per le p e pei loro prodotti le surriferite espressioni, da questa e dalle (6) risulterà 1 1 i 2 h 6) AO abi Pi la ( ) F v (9, Pa) chi ib pi ha indi, introducendo nelle formole (7) ed (8) questo valore di F, e quelli di ME @O 0. 7 2, Q», P; dati sopra, avremo, per determinare le coordinate del fuoco co- njugato della lente, le tre espressioni 1 1 il 1 Diem cc A F h,\ A (1-9, hs) (1 — 9, hy +0, a) ; K F F S) n= tel lieti sl seg gates sugo i+.441M3 sha G Sg (1+9,h)F-(1-9,h)A; Yo (1+9,h))F-(1—9,h)A; ° Queste formole tengono conto della grossezza A, della lente, ciò che può essere utile in varii casi: se si trascurasse questa grossezza come piccola di second’ or- dine, esse si ridurrebbero a (6)" 5 — (i: le !) (- Bi S) È Vi Pa Pa 1 1 1 YA Sg (4) A F Ajon? ta Regie > A A se tI ca A ) na A, 5 ) Cp TRO che sono quelle comunemente usate. Discutendo la formola (7)", in modo analogo a quello, che abbiamo seguito rispetto alla formola (1) appartenente agli specchii, si deduce facilmente, che, se il valore di F è positivo, nel qual caso la lente dicesi convergente, e si di- stingue pel carattere geometrico d’essere più grossa nel mezzo che verso i bordi, l’immagine di un punto luminoso da essa formata è virtuale, situata dalla stessa parte della lente e dell’asse centrale, ma più lungi dall'una e dal- l’altro del detto punto, fintanto che la distanza A, di questo è minore di F; che essa è reale, e situata dalla parte della lente e dell'asse centrale opposta a 106 NUOVA TEORIA quella in cui stà il punto luminoso, e più discosta, se la distanza A, di questo è compresa fra F e 2 F; e finalmente che essa si mantiene pure reale, e dalla parte opposta della lente e dell'asse centrale in cui è situato il punto, ma si forma a minore distanza, se quella A,, a cui stà il medesimo, è maggiore di 2 F. Se poi la lunghezza focale F è negativa, la lente prende il nome di diver- gente, e si distingue pel carattere geometrico d’essere più sottile nel mezzo che ai bordi. L'immagine di un punto luminoso, formata da una tal lente, è sempre virtuale, e situata dallo stesso lato di essa e dell’asse centrale in cui stà il punto, ed è sempre più accosta all’una ed all’altro che non è questo. Conoscendo la situazione dell'immagine di un punto qualunque, è facile di riconoscere quale sarà la specie, la situazione e grandezza dell’immagine totale d’un oggetto. [ - d. Assi dei pennelli luminosi; centro ottico di una lente. Giova ora che portiamo la nostra considerazione sopra alcune particolarità che gli Ottici hanno notato per semplicizzare la teoria delle lenti. Chiameremo asse del pennello dei raggi luminosi, che, emanati da un punto radiante, investono una lente, la linea percorsa dal raggio, che, propagandosi in un piano passante pell’asse centrale della medesima, entra ed esce da essa parallelo a se stesso, se la lente è immersa in uno stesso mezzo, ovvero, se le sue superficie anteriore e posteriore sono in contatto con due mezzi diversi, dal raggio, che esce dalla lente parallelo alla direzione che avrebbe, se passasse immediatamente da uno all’altro degli stessi mezzi, separati da un piano per- pendicolare al detto asse centrale. Ciò posto, assumiamo le prime tre equazioni del sistema (8), dato nel Ca- pitolo III, Parte I, ed applichiamole a rappresentare le projezioni del raggio, che attraversa una lente. L’asse del pennello luminoso essendo, come il raggio che lo percorre, situato in un piano passante per l’asse centrale, potremo prendere l’asse delle y, la cui direzione è rimasta arbitraria, in questo piano. In tal caso i valori di tutte le coordinate 2, e dei coseni degli angoli Z saranno nulli, e le equazioni, appartenenti alla projezione del raggio sul piano x z, fra queste coordinate ed i rispettivi coseni, spariranno per l’anichillamento di tutti i termini, e non rimarranno che quelle spettanti alla projezione sul piano delle coordinate x,y, che sono DEGLI STROMENTI OTTICI 107 (.0608Y, © Ti cos Y, \ vi = Di Yi vo 9 cos Y (11) Ya, = Pa n = }ga 4 1 cos Y, galli cos Y,: De P3Y2 Vale cos Y, 1 Eliminando, per mezzo della prima, dalle due seguenti, si ricava / cos Y | v = Pop +1)% + Pa îi 2, (12) i cos Y, cos Y, ” = P5Y: + PU + . 2 0 Secondo la definizione dell'asse del pennello luminoso data sopra, il cammino del raggio, che determina quest’asse, sarà dato dalla condizione che si abbia [hd VE (13) cos Ya __ cos NP i va Vo Infatti, essendo il piano delle x, y quello in cui tale raggio è situato, avremo in generale, giusta le equazioni (11) poste nel Capitolo I, cosE=1 , cos Y, = sin X, o GOSAII—WSINENCI e quindi, sostituendo questi valori nella precedente, risulterà questa relazione (14) inte che esprime appunto la condizione, secondo cui deve rifrangersi il raggio, per essere quello che determina l’asse del pennello luminoso. L’ equazione (15) esige, che nella seconda delle (12) sia PsY + Pyu=0; ed a questa aggiungendo la prima, da cui siasi eliminata cos Y, colla Yi Yo A ) 0 Cosa si hanno due equazioni fra y, ed ys, spettanti all’asse del pennello luminoso, dalle quali si ricavano per le coordinate dei punti, in cui esso incontra le due superficie della lente, i seguenti valori _ Vi Yo Ps È bi Vi Yo Pi TITioy WA bT BERT Pi/ EDIL) = : Riza sa i Vo do p+Q ps vo do pi +Q° Ps - 108 NUOVA TEORIA } l S ; ovvero, introducendo per so » Per Pi) Ps) € per Pi, respettivamente il seno (u) dell'angolo O definito coll’equazione (10) del Capitolo I, i poteri refrattivi delle superficie della lente espressi dalle (10), ed il valore di p, dato nel prin- cipio dell'articolo 2, vi, ga sin0 (1) Vo Pi Q, Pa Vv, 9, sin0 -———- hh, . (1) 2 Vo i—-Q, Pa (15) Y\= 7 [Mesa Le quantità sin O ed A, essendo, nelle condizioni dei sistemi ottici che consideriamo, respettivamente di primo e second’ordine, le precedenti formole ci mostrano, che i valori delle coordinate y, ed y, sono piccoli di terz’ ordine, lo che ci fa vedere, che gli assi dei pennelli luminosi traversano la lente in grande vicinanza dell’asse centrale. Se dinotiamo con x, ed x, le ascisse corrispondenti alle coordinate 7, ed y,, dalle formole dell'articolo 5 del Capitolo I, Parte I si rileva, che, tra- scurando soltanto delle quantità di sest'ordine, si ha (16) Paid Qac Coi valori delle coordinate y, ed y, e di questa differenza è facile d’ esprimere l'equazione, che rappresenta la porzione dell’asse centrale compresa nell’interno della lente, poichè, prendendo l’origine delle coordinate nel centro di figura della prima superficie di essa, tale equazione è data da Ya Yi did . dn Se si pone in questa y=0, l’ascissa x nel secondo membro corrisponderà a quella del punto, in cui l’asse del pennello luminoso taglia l'asse delle x, cioè l’asse centrale. Dinotandola con x', il suo valore ci sarà dato da 7 e (1%) , YU ovvero, sostituendovi per y,,y» ed x, — x, quelli sopra riferiti, da 17 sac —- hh. do di Pa Questo valore di x', essendo risultato indipendente dalle coordinate Y, ; Zo del punto raggiante, ci prova, che, se la lente è investita da più pennelli luminosi, emanati da punti diversi, tutti gli assi di questi pennelli intersecano l’asse cen- % DEGLI STROMENTI OTTICI 109 trale in uno stesso punto. Ad un tal punto si è quindi dato il nome di centro ottico della lente. Volendo avere l’ascissa del centro ottico partendo da quello di figura della seconda superficie della lente, chiameremo x" quest’ascissa; ed osser- vando, che essa è data da x'—A,, si troverà, colla sostituzione del precedente valore di x', che si ha (18) EE pei et A Pi Pa I valori delle coordinate x', 1, x", 4, e dei due angoli X, ed X,, il primo dei quali può ottenersi dalla formola ed il secondo da quella segnata (14), sono sufficienti per farci conoscere l'andamento dell’asse del pennello luminoso, che parte da un punto radiante corrispondente alle coordinate x, ed Y,, poichè offrono gli elementi necessarii per formare le tre equazioni corrispondenti alle tre parti della linea spezzata, che compongono il detto asse. Queste tre equazioni, riferite al centro ottico della lente, prese per origine delle coordinate, sono come rilevasi facilmente, espresse dalle seguenti (19) DE IA ZOE, Y Li yY=Y __r+a' sir Os NI 301, Sg o denti 0109 sim MT coi X 0! la prima delle quali appartiene alla porzione dell'asse del pennello incidente, la seconda alla porzione compresa fra le due superficie della lente, e la terza alla porzione dell’asse del pennello emergente. Le presenti tre equazioni, es- sendo dedotte dalle (11), col solo omettere delle quantità del sest’ ordine di grandezza, affatto trascurabili, sussistono nello stesso grado di esattezza di que- ste, così che, se la lente fosse rigorosamente rappresentata ne’ suoi effetti dalle (11), anche l’asse ottico lo sarebbe dalle precedenti (19). Gli Ottici sostituiscono, per l’uso comune, una costruzione assai semplice, che è molto atta a fornirci, con una discreta approssimazione, tanto il corso del- l’asse del pennello luminoso, quanto il luogo del fuoco conjugato del punto radiante, e la quale si può pure facilmente dedurre dalle nostre equazioni. Le due formole (17) e (18) conducono primieramente alla proporzione Galia O Tin ovvero, sostituendo pei poteri refrattivi delle superficie della lente i loro re- 110 NUOVA TEORIA spettivi valori segnati (9), alla seguente Piceg pate arri per cui, in virtù di questa e dell’equazione (15), ottengono le distanze rispet- tive del centro ottico C dalle due superficie della lente, tagliando la sua gros- sezza ce'— h,, nelle parti e C, e Cce', direttamente proporzionali ai raggi di curvatura delle medesime. Costruito per tal modo il centro ottico, ed osservato, che le porzioni dell’ asse del pennello incidente ed emergente, prolungate nell’interno della lente, pas- sano a delle distanze dallo stesso centro, che sono del terz’ ordine di grandez- za (*), e trascurabili, suppongono che queste due porzioni s'incontrino in esso. Unendo quindi il punto radiante A al centro ottico per mezzo della retta RC, e prolungandola indefinitamente, prendono l’unica retta RE per l’asse totale del pennello luminoso, nel caso che la lente sia immersa in un solo fluido. Se poi i mezzi, in contatto da una parte e dall’ altra delle due superficie della lente, fossero diversi, bisognerebbe, per avere la porzione dell’asse del pennello emergente, far partire, dal detto centro C, la retta CE in modo, che faccia coll’asse centrale C A' un angolo X,, il cui seno sia dato dalla proporzione che somministra la formola (14). Supponendo in fine, che C F dinoti la distanza focale principale della lente, e tagliando sulla C E una porzione C A, data dalla proporzione, RAOSTOREICE": REGGIA che deducesi dalla formola (7)", il punto A sarà il fuoco conjugato del punto radiante R. (*) Chiamando d' e d'" queste distanze, esse sono date dalle formole d' = x' sin XX— y, cos Xo : d' = x" sinX, — y, cos Xk, +. DEGLI STROMENTI OTTICI 111 Ò. Microscopio semplice. Le lenti, per le quali il valore di F è positivo, che, come abbiamo già notato, si distinguono pel carattere geometrico, facile a dimostrarsi colla for- mola (6)", d’essere più grosse nel mezzo che ai loro bordi, e pel carattere fisico di far concorrere in un fuoco reale i raggi, che cadono paralleli su di essa, godono delle proprietà di poter servire a farci vedere gli oggetti amplificati. Per dedurre dalle formole esposte la quantità, di cui ci parrebbero ingran- dite le dimensioni lineari degli oggetti osservati colle dette lenti, fa duopo che premettiamo alcuni principii sulla visione. L'occhio è l'organo di un senso, che propriamente ci rende soltanto avver- titi della direzione in cui stanno i punti o fuochi, dai quali ci pervengono i pennelli dei raggi luminosi, e della maggiore o minore quantità, e divergenza, con cui i raggi di ciascun pennello penetrano per la pupilla. Col primo effetto siamo fatti consapevoli dell’angolo visuale, che sottende una dimensione lineare qualunque dell’oggetto, col secondo apprezziamo la sua chiarezza e distinzione. Associando, colla riflessione e coll’esercizio, a questi dati quelli, che ci porge il senso del tatto, impariamo a giudicare della grandezza delle di- mensioni lineari degli oggetti, stimandole in ragion composta dell’ampiezza del- l’angolo visuale che sottendono, e della distanza che attribuiamo all’ oggetto. L’abitudine ci addestra così bene a questo giudizio, che in seguito lo formiamo, sugli oggetti posti in distanza, per intuizione, senza più riflettere sulla natura dei dati con cui lo pronunciamo. Se si tratta d’oggetti poco discosti, la cui distanza ci sia conosciuta, o se abbiamo una prenozione di ciò che si guarda, il giudizio, che formiamo delle grandezze lineari osservate, è esatto. Se le distanze degli oggetti sono sempli- cemente arguite col senso, pel grado maggiore o minore di convergenza, con cui dirigiamo su di essi gli assi ottici de’ nostri occhi, e pel effetto concomitante di contrazione, in cui alcune delle parti interne di questi organi soglionsi porre, per rendersi atte a concentrare sulla retina i penelli più o meno divergenti dei raggi luminosi; o bene, se sono congetturate dalla vista contemporanea di oggetti in- terposti, o dall’effetto della prospettiva aerea, la quale fa sì, che la chiarezza degli oggetti diminuisce col crescere delle loro distanze, allora il giudizio di- viene incerto. Se poi le distanze degli oggetti escono dagli stretti limiti in cui è compresa la porzione di superficie terrestre soggetta alla nostra vista, il giu- dizio è per lo più erroneo, massime se si tratta di corpi luminosi. Il diametro del sole è giudicato di diverse lunghezze da diverse persone, ma sempre nei Scienze Cosmolog. T. IV. 15 112 NUOVA TEORIA limiti di pochi decimetri, eppure in realtà ascende a circa 1451 milioni di metri. Posti questi principii, possiamo facilmente calcolare le grandezze lineari, che diamo agli oggetti veduti, per mezzo delle loro immagini, attraverso ad una lente, di cui la distanza focale principale positiva sia conosciuta. Per fissare le idee, supponiamo che la lente sia tenuta davanti la pagina di un libro, o davanti ad un piccolo oggetto posto sopra una tavola, o retto coll’altra mano. Acciò in queste circostanze succeda l’effetto dell’ingrandimento, e si veda l’immagine diritta, bisogna, giusta la formola (7)", che il valore di A sia negativo e mag- giore di A,. A queste due condizioni soddisfanno, come già abbiamo osservato, tutti i valori di A, compresi fra o ed F, . Sia nella figura annessa rappresentata con 00' la dimensione lineare del- l’oggetto, incontrata nel punto O dall’asse centrale O C della lente e Ce' , i gs i e consideriamo il punto raggiante, che trovasi nell’estremità 0: quello, che diremo di questo punto, sarà egualmente applicabile anche al punto o' all'altra estre- mità della linea 0 0'. Alla distanza CI, presa dal centro ottico C della lente, e conjugata a quella C O dell'oggetto, conduciamo la perpendicolare è I i' all'asse centrale, e dal detto centro la retta Coi, che incontri la delineata perpendi- colare nel punto i; questo punto sarà, giusta le formole (8)", il fuoco conjugato del punto luminoso 0, poichè abbiamo per costruzione PRI Tui= oc 00, e le rette Ti, IC, OC ed Oo rappresentano respettivamente le quantità y, - 4, A, ed y nella citata formola. Da questa costruzione rilevasi pertanto, che i raggi luminosi, i quali, par- DEGLI STROMENTI OTTICI 113 titi dal punto o, indi rifratti dalla lente, formano un pennello di luce, il cui asse passa pel punto P, ove trovasi il centro ottico del cristallino, o centro ottico dell’occhio (*), e si concentrano poi sulla retina, sono quelli, che si propagano in direzioni tali, che, se venissero prolungati per indietro dopo essere usciti dalla lente, anderebbero a riunirsi nel fuoco virtuale i, e quindi, che l’occhio percepirà il punto o nella direzione in cui lo vedrebbe, se i suoi raggi procedessero dal detto fuoco. La tangente dell'angolo IPi, compreso fra l’asse centrale e la visuale Pi, sarà data da 1 ee anIPi P li I 2) ovvero, sostituendo i valori precedentemente citati di Ii ed IP, ed impie- gando il valore dell’angolo, espresso in parti del raggio, per quello della sua tangente, ciò che può farsi per la sua piccolezza, da dove abbiamo messo — A+ d in luogo di I P, perchè si ha CI——A, CP=4d, dinotando con d la distanza del centro ottico dell’occhio dalla lente, ed è LE .CPH_Gl. Lo stesso discorso, ripetuto rispetto al punto o', ci condurrà all’ equazione simile essendo Ii — — y\, . La somma di questi due angoli ci darà l’angolo visuale sotteso dall’og- getto, la cui lunghezza 00' — 4 — y, indicheremo con è, e si avrà pel valore dell’angolo visuale l’espressione PR Sordo E A, d- A (*) L'asse d’ un pennello di luce, che investe la cornea, è segnato dal raggio, che la traversa irrefratto, e quindi da quello, che vi cade perpendicolarmente, e va a passare pel centro della superficie, supposta sferica, di cui la cornea è una zona. È notevole che, nella costruzione dell’occhio umano, questo centro coincida, o sia molto prossimo al centro ottico del cristallino, per cui lo stesso raggio segna pure l’asse del pennello nell’interno del cri- stallino, ed arriva precisamente, o quasi, in linea retta sulla retina; per questo motivo abbia- mo qualificato il centro ottico del cristallino come centro ottico dell’ occhio. Dalla superficie esteriore della cornea al centro ottico del cristallino vi sono poco più di 7°", e da questo alla retina circa 17°", che costituiscono presso a poco la lunghezza focale dell’occhio umano. 114 NUOVA TEORIA Ora possiamo notare che, l'osservatore avendo l’intimo sentimento, che le let- tere o l'oggetto guardato, stanno sulla pagina del libro o sulla tavola, ed i bordi, sporgenti dell’una o dell’altra di queste superficie, tenendolo costante- mente avvertito a qual distanza esse stanno dal suo occhio, il medesimo riterrà tuttavia l’immagine nel luogo dell’oggetto, alla distanza PO=d--A4,, e quindi, giusta il premesso principio, con cui sono stimate le dimensioni lineari, giudi- cherà la grandezza reale dell'oggetto espressa da A d-- A p) = SEAN 09) ; A, dA Acciò la pupilla dell’osservatore riceva il penello dei raggi luminosi, emanati dal punto o, colla divergenza convenevole per ben percepirne l’immagine, biso- gna che la distanza PI= — A -; d sia quella, che corrisponde alla sua visione distinta, quella cioè, a cui il medesimo vede gli oggetti di piccola grandezza ben definiti. Chiamando D questa distanza, che è differente per differenti osservatori (*), si dovrà avere (21) ipeniN=1D (*) La distanza per la visione distinta non solo è diversa per diversi osservatori, ma è variabile per lo stesso osservatore secondo il grado di contrazione o distensione dell’uvea, e quindi secondo il grado di luce che domina, come pure lo può essere da un giorno al- l’altro secondo lo stato degli umori del suo occhio. Il Dott. Porterfield nella sua opera On the eye vol. 2, an. 1759, ed il Dott. Young, Lezione xxxvilI, hanno proposto ciascuno uno stromento, simile nel principio, per determi- nare la detta distanza, al quale hanno dato il nome di Optometro. Un altro stromento, di- retto allo stesso scopo, si trova descritto negli Annales des sciences d’observation, Juin 1829, dal sig. Lehot, sotto il nome di Opsiometro. In mancanza di uno di questi stromenti, si può determinare con sufficiente precisione tale distanza, facendo con uno spillo due piccoli fori in un cartoncino, per esempio in una carta da visita, ad una distanza reciproca minore del diametro della pupilla, come sarebbe quella di un millimetro e mezzo, e poi guardando attra- verso di essi lo spillo medesimo, o qualehe altro corpo sottile e obblungo, perpendicolare alla linea che congiunge i due fori, e che luca su di un campo oscuro a piccola distanza dalla parte opposta. In questo modo si vedranno due piccoli dischi luminosi, che si sovra- porranno in parte, e nella parte comune si scorgeranno due immagini dello spillo o del- l’oggetto, ed, allontanandosi per gradi dal corpo osservato, si noterà, che le due immagini anderanno avvicinandosi fra loro. Quando si sia pervenuti ad una distanza alla quale esse si compenetreranno, la medesima sarà quella della visione distinta. L’ osservatore, che è dotato di un occhio ben conformato, o che è semplicemente di vista lunga, continuerà a vedere le immagini compenetrate, ancorchè passi a distanze maggiori, soltanto, a più grandi distanze, esse cominceranno a divenire indistinte, e poi spariranno per la successiva diminuzione degli angoli visuali sottesi dall’oggetto. Se poi l’ osservatore è di vista corta, tornerà ad incon- trare un’ altra distanza, alla quale cominceranno a comparire due immagini dell’ oggetto, e questa distanza gli darà il suo secondo limite di visione distinto, ma vi sarà questa diffe- renza nelle osservazioni ai due limiti, che, nella prima, l’immagine a diritta corrisponderà alla luce che passa pel foro a sinistra, e l’immagine alla sinistra a quella che passa pel DEGLI STROMENTI OTTICI 115 e quindi, eliminando dalla precedente equazione d con questa, e A con quella segnata (21), si otterrà (22) = dalla qual formola si vede, che la grandezza apparente / delle dimensioni lineari degli oggetti è variabile colla distanza di essi dalla lente. Questa formola è suscettibile di un massimo, rispetto a A, , e si può di- foro alla diritta, e nella seconda osservazione le due immagini corrisponderanno respetti- vamente alla luce passante pei fori dello stesso lato, lo che si potrà verificare con facilità, coprendo alternativamente 1’ uno o l’altro dci due fori. Per comprendere come ciò avvenga, noteremo primieramente, che si può rendere la visione di un piccolo oggetto sensibilmente chiara c definita, ancorchè esso si trovi ad una distanza minore o maggiore di quella della visione distinta, guardando il piccolo oggetto per un tenuissimo foro. Se si guarda uno spillo a pochi pollici di distanza, e si trova, che la visione è confusa, basta guardarlo attraverso ad un piccolo foro praticato in un carton» cino, che si vedrà distintamente. Ciò dipende da che, i pennelli lucidi, che partono dai diversi punti dell’ oggetto, essendo ridotti molto sottili, per la piccolezza del foro, che ammette il loro passaggio, ancorchè cadano sulla retina un po? dispersi, sono tuttavia sufficientemente raccolti per produrre sulla medesima delle immagini non troppo diffuse, ed atte a produrre ancora una percezione apprezzabile e definita dei punti da cui sono partiti. Ciò posto immaginiamo un osservatore, che diriga l’asse ottico d’un suo occhio ad un punto dello spillo, c consideriamo i due pennelli lucidi, che partono da esso, ed attraver- sando respettivamente i due fori praticati nel cartoncino, investono due piccole porzioni della sua pupilla. Se l’oggetto fosse alla distanza della visione distinta, i due pennelli ande- rebbero ad incontrarsi sulla retina nello stesso punto in cui essa è incontrata dall’asse ottico dell'occhio: se 1’ oggetto è ad una distanza minore, i due pennelli avrebbero i loro fuochi conjugati al di là della retina, e quindi il pennello a destra dell’asse ottico la incon- trerebbe in un luogo a destra dello stesso asse, e quello a sinistra in un luogo a sinistra: se poi l’oggetto è ad una distanza maggiore, i fuochi conjugati dei due pennelli si formereb- bero avanti ch’essi arrivino sulla retina, e s’inerociechierebbero nell’interno sull’asse ottico, quello proveniente del foro a destra incontrerà la retina in un luogo a sinistra di quest’ asse, ed il proveniente dal foro a sinistra la incontrerà in un luogo a destra. In tutti e tre i casi però, la poca espansione dei pennelli farà sì, che i medesimi desteranno sulla retina, come abbiamo precedentemente notato, l’ immagine di un punto; ma nel primo caso le due imma- gini saranno compenetrate, e l’ osservatore non avrà che la percezione di un solo punto, e negli altri due casi, le immagini essendo separate, scorgerà due punti, uno per ciascun lato dell’ asse ottico dell'occhio. Siccome noi riferiamo le immagini, che sono dipinte sulla retina a destra del detto asse, a punti radianti situati nello spazio alla sinistra di esso, e viceversa, quelle, che sono dipinte sulla retina alla sinistra, a punti radianti situati alla destra; così, nel secondo caso, la situazione dello spillo, veduto coi pennelli luminosi che passano pel foro a destra, sarà alla sinistra di quella rappresentata dai pennelli luminosi passanti pel foro a sinistra: per lo contrario, nel terzo caso, le due immagini avendo le loro posizioni invertite sulla retina, anche la situazione dello spillo, veduto coi raggi che attraversano il foro a destra, starà a destra di quella in cui esso è scorto coi raggi passanti pel foro a sinistra. 116 NÙOVA TEORIA mandare a quale distanza deve porsi la lente dell'oggetto, acciò 1’ amplifica- zione lineare risulti la massima. Cercando questo valore colle note regole si trova PA patto 2 D ’ e, sostituendolo nelle formole (7)" e (21), dalle medesime si ricava (25) NE ,, d=!D: d'onde conchiuderemo, che, per ottenere l’effetto del massimo ingrandimento combinato colla massima distinzione della visione, la lente deve essere situata alla distanza (24) Ai= e I) dall’oggetto, e l'occhio deve stare al di Ià della lente alla metà della distanza della visione distinta. In questo caso l'ingrandimento massimo lineare sarà dato da D I O) = LA (25) > =1+p° Una lente, impiegata a produrre un’ ingrandimento delle dimensioni lineari ap- parenti degli oggetti vicini, dicesi un microscopio semplice, ed i risultati prece- denti ci mostrano come quest’istromento può impiegarsi col massimo vantaggio, ciò, che, per quanto io sappia, non era ancora stato indicato colla dovuta precisione. Le formole precedenti sono valevoli nel caso, che l'osservatore sia conscio della distanza a cui stà l'oggetto, che vede attraverso la lente, e che conservi durante l’osservazione questo sentimento. Se la distanza dell’oggetto, distinta- mente veduto, gli è sconosciuta, il medesimo ha naturalmente una tendenza a risguardarlo per lo meno alla distanza della visione distinta. In questo caso si dovrà sostituire nella formola (20) D a 4 A,, e l'ingrandimento lineare non potrà essere minore di quello dato dall’espressione »- (26) = Se l'oggetto, che si guarda attraverso la lente, è un dipinto, la cui distanza ci sia occulta, e se gli effetti di prospettiva geometrica ed aerea sono stati bene con- i | DEGLI STROMENTI OTTICI 117 servati, protraendo l'osservazione un pò a lungo, talchè l'occhio si adatti alla percezione di quegli effetti, ed il sentimento della distanza, a cui poteva sospet- tarsi il dipinto, sia come dileguato, si giunge perfino ad immaginare, che gli oggetti, che si vedono rappresentati, siano della grandezza naturale. Questo è ciò che avviene particolarmente cogli stereoscopii, nei quali l’effetto, dei ritratti fotografici, che è già notevole per la loro grande esattezza, viene di più ajutato dall’impiego di due di essi, nei quali è tenuto conto della piccola variazione di prospettiva geometrica, proveniente dalla distanza fra i due occhii. 4. Occhiali. L’uso più comune e più utile, che si fa delle lenti semplici, è quello di sussidiare la visione delle persone, che, per vedere bene gli oggetti, abbiso- gnano di allontanarli od avvicinarli più di quello, che sarebbe comodo 0 possi- bile di tenerli. Le persone, che sono nel primo caso, son dette presbite, o di vista lunga, quelle nel secondo miopi, 0 di vista corta. È noto dalla Fisiologia, che le parti trasperenti dei nostri occhii, come l’umor acqueo, il cristallino e l’umor vitreo, cogli integumenti che li racchiu- dono, costituiscono un sistema diottrico, che fa le funzioni di una lente conver- gente rappresentante sulla retina, distesa sulla coroile nel fondo interno del- l'occhio, e sede della percezione, le immagini degli oggetti che ci stanno da- vanti. Quando un’ osservatore, i cui occhii son ben conformati, guarda natural- mente nello spazio, avendo gli assi ottici presso che paralleli, le immagini degli oggetti lontani cascano sulle sue retine, il che vuol dire, che la distanza focale principale nei due sistemi diottrici, costituenti i suoi occhii, arriva giusto sino ad esse. Se il medesimo osservatore avesse poi a rivolgere lo sguardo ad un oggetto piccolo, soltanto visibile a poca distanza, tenendo gli occhii nello stato di prima, proverebbe il disagio d’una visione confusa, perchè i fuochi conjugati dei pennelli luminosi, partiti dai varii punti di esso, formandosi a maggiore distan- za, la sua immagine risulterebbe situata al di là della retina in ciascun occhio, ed imperfettamente percettibile dal senso. La natura ha provvisto a quest’ in- conveniente, dotando gli occhii della facoltà di poter variare le loro distanze focali principali. Tosto che, nel guardare un oggetto vicino, facciamo concorrere su di esso i due assi ottici, per una certa connessione d’azione, che opera indi- pendentemente dal concorso della nostra volontà, gli occhii accorciano la loro distanza focale principale, in rapporto all'angolo fatto dagli assi medesimi, e la aggiustano alla lunghezza necessaria per portare sulle retini le immagini del- 118 NUOVA TEORIA l’oggetto (*). Tale facoltà si estende, per degli occhii ben conformati, dalla visione di oggetti situati alla distanza di 27 centimetri, che è il limite corri- spondente della visione distinta, sino a quella d’oggetti posti ad una distanza presso che infinita (*). Se invece di considerare un osservatore con occhii ben conformati, ne supponiamo uno, che, per deficienza nei poteri rifrattivi delle superficie limi- tanti i mezzi rifrangenti de’ suoi occhii, non riesca a ridurre sulle retine le immagini d’oggetti posti alla distanza di 27 centimetri, o ciò che torna allo stesso, non possa ridurre il limite della sua visione distinta a questa distanza, è chiaro che esso si troverà costretto d’allontanare gli oggetti sino al proprio limite, per poterli vedere con distinzione. Per lo contrario se l'osservatore, per esuberanza dei poteri refrattivi delle dette superficie, non può allungare la distanza focale de’ suoi occhii, sino a divenire la conjugata di quella d’oggetti posti alla distanza di 27 centimetri, a tanto non Apa il secondo limite della sua visione distinta, il medesimo sarebbe obbligato, per vederli chiara- mente, d’approssimarli di più, lo che può divenire incomodo, e spesso impra- ticabile rispetto ad oggetti molto lontani. Le lenti semplici offrono a questi osservatori il mezzo d’esimersi da tali trasporti, e d’ottenere non di meno una visione distinta, per la proprietà, che hanno, di rendere i raggi dei pennelli luminosi, emanati dai varii punti degli oggetti, più o meno divergenti, come se partissero da luoghi più vicini o più lontani; e, quando le medesime sono desti- nate a quest’uflicio, prendono il nome di occhiali . Abbiamo visto infatti che le lenti convergenti, poste avanti gli oggetti ad una distanza minore della loro distanza focale principale, producono |’ effetto (*) Che l’oechio abbia la facoltà di cambiare la sua distanza focale, adattandola alla visione distinta d’ oggetti posti a differenti distanze, è una verità, che pare incontrastabil- mente provata dagli esperimenti, descritti alle pag. 411-415 del 1.° volume della citata opera del Dott. Porterfield; i quali sono stati concepiti sul modello di quello fondamentale, riferito dal Dott. Motte in una raccolta intitolata Versuche und Abhandlungen der Gesellschaft în Dantzig. 5 volumi, Danzica an, 1747, che è quello stesso, di cui abbiamo esposto i prin- cipii nella nota all’articolo precedente. Per quali mezzi poi l’oechio ottenga il detto adat- tamento non è ancor ben determinato. Il cangiamento di convessità della cornea, quello del cristallino, il trasporto di questo per avanti, la contrazione della pupilla, sono tanti mezzi, che furono messi in campo, come cause, per ottenere il detto effetto. Probabilmente tutte vi hanno qualche parte, ed è sperabile, che le nuove scoperte «ei sigg. Briicke e Bauman sull’esistenza del muscolo ciliare, 0 tendine della coroide, confermate ed estese dai sigg. Miiller e Rouget, saranno illustrate da altre, e si arriverà presto a mettere in chiaro il meccanismo, di cui il portentoso organo della vista si vale, per conformarsi a dare una sen- sazione distinta degli oggetti veduti a diverse distanze. (**) Si noterà, che i nostri occhi, per conseguire gli aggiustamenti della loro distanza focale corrispondenti a questi due lontanissimi estremi di posizione degli oggetti, non hanno bisogno d’accorciarla che d’ un millimetro e mezzo. i DEGLI STROMENTI OTTICI 119 di far arrivare agli occhii i pennelli dei raggi luminosi, emanati da ciascuno dei punti dell'oggetto, colla divergenza, che avrebbero se provenissero da un punto più lontano, e le divergenti quello di farli pervenire colla divergenza, che loro competerebbe se provenissero da punti più vicini. Per assegnare la forma delle lenti confaciente alla visione distinta d’un dato osservatore, riteniamo le denominazioni degli articoli precedenti, e dinotiamo di più con A la distanza dell'oggetto dal centro ottico dell’occhio, così che sia (27) h=Ahkh+d; sostituendo nella (7)" per A, e A i valori, che si ricavano da questa e da quella segnata (21), avremo 1 1 mie 160 ES VS SA i dalla quale equazione apparisce che, dati D, 4 e d, si può calcolare la distanza focale principale F di una lente, acciò i pennelli luminosi, partiti dalla distan- za h, arrivino agli occhii dell’osservatore come se partissero dalla distanza D alla quale il medesimo vede gli oggetti distintamente. La distanza A, a cui torna comodo di tenere gli oggetti piccoli, come, per esempio, i caratteri ordinarii d’un libro, è appunto quella che compete al limite della visione distinta d’un occhio regolare, o di 27 centimetri. Nell’atto pratico gli occhiali soglionsi applicare assai vicini agli occhii, lo che è bene di fare, ma come non possono, senz’ incomodo, tenersi in contatto con essi, e d’al- tronde la distanza d deve essere presa dal centro ottico dell'occhio, la mede- sima non sarà mai nulla; prenderemo per valor medio di essa quella di 25 mil- limetri. La distanza D della visione distinta varia colla persona alla quale gli occhiali sono destinati, e deve essere ottenuta coll’esperimento, che abbiamo indicato nella nota dell’articolo precedente, od, ancor meglio, con un optometro. Ponendo, nella premessa equazione (28), per & e d i corrispondenti valori, e ricavando da essa quello della lunghezza focale F della lente, la medesima sarà data in millimetri dalla formola colla quale si potrà calcolare, per ogni osservatore, di cui la distanza D della visione distinta sia conosciuta, la forza delle lenti, cioè la lunghezza focale delle medesime più conveniente alla sua vista. Varii Autori soggiungono la riflessione, che gli occhiali convergenti aumen- tano, ed i divergenti diminuiscono le dimensioni lineari apparenti degli oggetti, Scienze Cosmolog. T. IV. 16 120 NUOVA TEORIA e danno la formola per calcolare quest’ effetto. Ma ciò è contrario al fatto: l'accrescimento o decre- scimento delle dimensioni lineari apparenti varia colla distanza dell’occhio della lente, ed è minore di quello che somministra questa formola. Quando, per difetto di vista regolare, si fa uso d’occhiali, come, per esempio, quando leggiamo con essi, non ci vien fatto di spogliarci della prevenzione, che i caratteri sono sulla pagina del libro che teniamo davanti, e bisogna ricorrere alla formola (20), da noi proposta nell’articolo precedente, per calcolare l’effetto in discorso. Eliminando da essa A e A,, colle (21) e (27), ed impie- gando i valori numerici su riferiti, quella formola ci dà, per esprimere la ragione della grandezza delle dimensioni lineari apparenti alle vere, la seguente I 270 25 2 =55( n), Una persona presbita, che distinguesse bene i caratteri ordinarii di stampa alla distanza di un metro, vedrebbe, secondo questa formola, le loro dimensioni lineari ingrandite di circa -!;. Quest’accrescimento sarebbe più grande, se la distanza delle lenti dagli occhii fosse maggiore di quella supposta di 25 milli- metri. 6. (i) Riduzioni di cui sono suscettibili le funzioni Pu nel caso che si trascurino le grossezze delle lenti. Avanti d’accingerci ad applicare le formole generali a dei sistemi ottici, formati da lenti, le grossezze delle quali possono frequentemente considerarsi come piccole di second’ ordine e trascurabili, giova che premettiamo un' osser- vazione, che ci mostra come, in questi casi, si effettui una riduzione notevole di termini nella formazione delle funzioni P; È Siavi, nella composizione d'un sistema ottico, una lente, limitata da due superficie, che supporremo corrispondenti agli indici X, e X+ 1 , i centri delle quali distino della quantità 7),,. Se questa distanza è trascurabile, l'elemento, P., ; che, giusta le (4) del Capitolo III, Parte I, ci vien dato per mezzo della formola Pa = x ga Bra > (i) sarà nullo. Ora, l’espressione di Py risultando, secondo la legge esposta all’ar- DEGLI STROMENTI OTTICI 121 ticolo 1 del Capitolo IV, Parte I, dal sopprimere nel primo termine (I) Pi Pisa © ° 7" Pa)\-2 Pa) za Pal Pa) za Paa4a ©" Pea Pe è ed in quelli che da esso derivano, l’una per volta, ciascuna coppia dei fattori p, i cui indici corrispondano a due termini successivi nella serie de’ numeri natu- rali, e col sostituirvi in sua vece l’unità, è chiaro, che quei termini, nei quali rimarranno ancora sussistenti luna o l’altra delle due coppie py)-1 Pa 3 0 Pax) Ps)+1 , saranno superflui, come contenenti il fattore py) che li annulla. Vo- (i) lendo escludere direttamente tali termini nella formazione della funzione Pg basterà, come è facile di riconoscerne l’esattezza, impiegare pel primo termine della medesima il prodotto (IT) Pi Pia 0" Pas (Par + Pata) Pata "%**" Pu-a Pe è e dedurre i termini seguenti, colla legge sopra citata, considerando la somma Prr-1 + Pax COME il fattore intermedio fra i due py)_s € Pys - Si osserverà, che, se l’elemento p,) corrispondesse al primo od ultimo fat- tore del prodotto (I), quello segnato (II) comincerebbe col fattore py);, , 0 fer- minerebbe col fattore p,)-,, 0 con qualche altro fattore d’indice pari > 2242 nel primo caso, e <2—2 nel secondo; e che, quando nella (I) non esistes- se altra coppia di fattori, il prodotto (II) si ridurrebbe all’unità.. Il primo termine (I) contenendo due fattori di più di quello segnato (II), si vede, che la sostituzione di questo al precedente fa abbassare di due unità l'or- (à) dine della funzione P., rendendone più semplice l’espressione. Se, nella serie degli elementi p, se ne trovasse un'altro p,,, che corri- spondesse parimenti ad una lente, in cui la distanza A,;, compresa fra i due . centri di figura delle sue superficie fosse trascurabile, si proverebbe, col ragio- (i) ni: namento precedente, che, per ottenere la funzione Py ridotta ai soli termini non trascurabili, bisognerebbe sopprimere nell'espressione del primo termi- ne (II) il prodotto pa,-1 Pa, Payia , € SOStituirvi la somma pa,-1 + Pay415 € COSÌ, per quante lenti sottili fossero comprese nel sistema ottico che si considera. Quando il sistema fosse formato di sole lenti di poca grossezza, separate fra loro da certe distanze, le sostituzioni suddette ridurrebbero alla metà il (i) numero de’ fattori componenti il primo termine della funzione P), e quindi anche l'ordine di questa funzione, ciò che arrecherebbe una semplificazione notevole, stante il gran numero di termini, di cui constano le funzioni P d’un ordine superiore. 122 NUOVA TEORIA Noteremo in fine che, generalizzando le formole date nell’articolo 2, si ha Ut 1 Uri (Para sti Payt1) = ® (Py Psa) = fe o) vii essendo cu 1 DN me 1 NY. Py i P, (1 = sl b) Pyti — suna (1 —_ a 3 d’onde si vede, che — w,;1 (Pay-1 + Pay1) Tappresenta il prodotto della somma dei due poteri refrattivi della lente pel rapporto delle velocità di propagazione della luce, passando dal secondo mezzo in essa, ossia equivale al valore inverso della lunghezza focale della lente, la cui grossezza trascurabile è #,,, . 7. n =4 Telescopii di Galileo e di Kepler. 9 Premesse queste norme per la riduzione delle funzioni Pi, che sono gene- rali per qualunque sistema ottico, applichiamole a quelle, che servono, alla composizione delle funzioni P, nella teoria dei telescopii di Galileo e Kepler. Il cannocchiale detto di Galileo, del quale si è fatto fin ora, quasi esclu- sivamente, uso nei teatri, è composto di una prima lente obbiettiva convesso- convessa, e di una lente oculare concavo-concava. Il cannocchiale di Kepler conserva per l'obbiettivo una lente simile a quella del precedente, ma sosti- tuisce all’oculare una lente convesso-convessa. Questi due telescopii essendo quindi composti, ciascuno di quattro super- ficie rifrangenti, a due a due assai prossime, o di due lenti immerse in uno stesso mezzo ad una certa distanza fra loro, avremo per amendue, ponendo al solito eguale all’ unità la velocità di propagazione della luce nell’ambiente, 1 sail! Pevalpilla Sali pi ’ PstP3=-75 1 2 path 0 s path 5 ‘na = (ha =00 e quindi attendendo alle riduzioni su accennate (i) desco h, P. = (p.+ps) Pi (P3+p2) + pi+ps + ps+p = — F-4+75% i fa fac sfifa (i) h, P, = (p,+Ps) P, +1=1- Ta ’ 1 (3) P,=p,.(ps+tp)+1=1-- 3 Pa=ni=M50. DEGLI STROMENTI OTTICI 123 La condizione, data all'articolo 1 del Capitolo I, che il sistema delle lenti formi un istromento ottico, preparato per la visione distinta, esige che si abbia (1) p' 1 a 0 0, a 7 37 DI A der È L’uso dei telescopii essendo, come lo indica il suo nome (*), quello di farci vedere distinti ed ingranditi gli oggetti posti a grandissime distanze, potremo È ; BIO CE ; ac) trascurare il termine diviso per v Ay, ed impiegando il dato valore di P,, esprimere più semplicemente la detta condizione, coll’ equazione DEVI regia ap fa fa rare dalla quale si deduce (29) hs=f1+ fa - Se si nota, che f, è la distanza, dal centro ottico dell’obbiettivo, del piano focale principale, in cui si forma l’immagine dell'oggetto, e che f, è parimente la distanza, dal centro ottico dell’oculare, del suo piano focale prin- cipale, si riconosce che la condizione espressa dall’equazione precedente esige, che l’oculare sia collocato in modo, che il suo piano focale principale coincida con quello dell'immagine dell’oggetto formata dall’obbiettivo. Nel telescopio Galileano, la prima lente essendo convergente, e la seconda divergente, si avranno, articolo 2, pei segni delle due lunghezze focali ine o) perg e la distanza, a cui dovranno stare queste due lenti per la visione distinta, sarà data da he uerfa o) cioè sarà la differenza delle due lunghezze focali, prendendo il valore assoluto di esse senza riguardo al segno. Nel telescopio di Kepler le due lenti essendo amendue convergenti, la distanza, a cui dovranno stare l’una dall’altra, sarà la somma delle dette lun- ghezze, come lo indica la formola (29). Vediamo quali saranno gli effetti rispettivi di questi due stromenti. L’am- plificazione essendo data dalla formola (12) senza aver riguardo al segno, sarà (*) Deriva da Tn)e lungi, e Xxorsoy vedere. 124 NUOVA TEORIA per amendue espressa da dor aLeng. orde pas Pl ovvero, sostituendo per h; il suo valore, da 5 Sidi (90) (ia Adi che ci mostra essere l’amplificazione nella ragione della lunghezza focale del- l’obbiettivo a quella dell’oculare. La funzione P, riducendosi per mezzo della (29) a il valore della medesima sarà positivo pel cannocchiale di Galileo, pel quale f, è negativo, e le immagini saranno viste in esso diritte, giusta quanto fu detto nell’ articolo 5 del Capitolo I; viceversa f, essendo positivo nel cannocchiale di Kepler, le immagini presentate da questo stromento saranno capo-volte. Le combinazioni di due lenti, che abbiamo esaminate, sono le sole, le quali possono somministrare un telescopio atto ad amplificare le immagini degli 0g- getti. Infatti l'equazione (50) ci mostra, che l'amplificazione si effettua quando f.>fs, e, come il valore di f, non può essere che positivo, dalla (29) ci vien fatto manifesto, che f, deve parimente essere positivo: quindi non vi sono altri casi a considerare, che quelli di f, positivo o negativo, come abbiamo fatto. La distanza è, a cui si formerà l’immagine dell’obbiettivo, o cerchio anul- lare del sig. Biot, data dalla (20) dell'articolo 8 del Capitolo I, risulta, colla A : 7 ali sostituzione dei precedenti valori di P, e P,, espressa da tifa des e ed ha per conseguente un valor negativo nel caso del cannocchiale di Galileo, in cui f, è negativo, ed un valor positivo in quello del cannocchiale di Kepler. Nel primo caso determineremo dunque, secondo l’esposto all'articolo 11 del Capitolo I, la grandezza del campo colla formola (51), ed avremo anto Cioni 20=2 R Dec DEGLI STROMENTI OTTICI 125 Quindi, osservando che dalla (15) del Capitolo I e dalla precedente (30) si ricava Da questa formola si vede essere la grandezza del campo, che gode della chia- rezza completa, dipendente anche dall’apertura dell’obbiettivo, contro |’ opi- nione d’Euler, seguìta dalla maggior parte degli Autori d’Ottica, che la fanno soltanto dipendere dall’apertura della pupilla (*). Supponiamo che l'apertura dell’obbiettivo sia di 48 millimetri, quella della pupilla di 5, che la lunghezza focale dell’obbiettivo eguagli 16 centimetri, e quella dell’oculare 4, che sono all’incirca le dimensioni usate nella costruzione dei cannocchiali da teatro. Im- piegando questi valori avremo Dia AS 2 O 2 fi= 1600 far (40 e quindi dalla (29) h, = 1209m _, e colle (50) e (31) si troverà Ampl. = h SW, fa ma 1 48 = 7 \l [< Ue Vi Camp.= {50 (4 — 5) R'= 37 R"=0,05833 R"= 3201. La formola (51) vale pel cannocchiale di Galileo, pel quale il massimo campo si ottiene applicando l'occhio aderente all’oculare. Nel caso del cannoc- (*) Euler ha reso più intrigata, ed in questo caso erronea, la sua teoria degli stro- menti ottici, per aver assunto, come base de’ suoi ragionamenti, la considerazione dei raggi dei pennelli luminosi, che passano pel centro ottico dell’obbiettivo, che chiamò raggi principali, ed aver seguìto il loro corso lungo tutto l’istromento. Il metodo diretto e sem- plice è invece quello di costruire solamente, sul cammino di questo raggio, il fuoco conju- gato del pennello rifratto dall’obbiettivo, art. 5; di considerare in seguito questo fuoco come punto raggiante, e di condurre da esso un raggio principale al centro ottico della seconda lente, e costruire su questo raggio il fuoco conjugato corrispondente, e così di seguito per quante lenti vi sono. Vedansi degli esempii nella xL delle già citate Lezioni elementari di Fisica Matematica e sue respettive note. 126 NUOVA TEORIA chiale di Kepler, in cui il valore di è è positivo, si può scostare un poco l’oc- chio per vedere tutto il campo, che i diafragmi permettono di scoprire, come fu notato nell’articolo testè citato. 8. Formola, che dà la relazione fra la distanza delle due semilenti e la dimensione lineare d’un oggetto, misurata col dinametro di Dollond. Termineremo queste applicazioni col dare la dimostrazione della formola, citata all'articolo 9 del Capitolo I, per esprimere la proporzione fra la grandezza del diametro dell'immagine dell’ obbiettivo d’ un telescopio e la distanza fra le due semilenti nel dinametro a doppia immagine di Dollond. Prendasi l’asse centrale delle due semilenti, allorchè i loro centri sono riu- niti, per asse delle ascisse x, e siano yo, ed y, vedi la figura annessa, le due coordinate corrispondenti alle estremità del diametro del disco lucido, rappresentante l’immagine dell’obbiettivo. Supponiamo in seguito separate le due semilenti, e sia 2e la distanza dei loro centri, ed immaginiamo i due assi (*) I punti 4 e d' corrispondono alle estremità dell'immagine dell’ obbiettivo, s ed s' ai centri delle due semilenti separate. Le rette d sf, d's' f rappresentano gli assi dei pen- nelli che partono dalle dette estremità, e s’ incontrano nel fuoco comune conjugato f. Il punto 0 è il centro ottico dell’oculare del dinametro, e quindi /0 è l’asse del pennello di tutti i raggi, che partono dal fuoco f, ed escono paralleli dall’ oculare. Nella pratica delle osservazioni è bene, che il fuoco f caschi quanto più prossimo si può all’ asse DO; nella figura l’ abbiamo tenuto un po? discosto, per mostrare che, la proporzione assegnata dalla detta formola sussiste, nei limiti dell’approssimazione adottata, ancorchè il contatto delle due immagini sia fatto un poco fuori dall’asse centrale. DEGLI STROMENTI OTTICI 127 centrali corrispondenti a ciascuna di esse, paralleli fra loro, ed all'asse delle x. Considerando ciascuna semilente come appartenente ad un sistema ottico parziale, Yo — € ed yo +e saranno le ordinate delle estremità del diametro del disco suddetto; la prima, essendo quella corrispondente all'estremità situata dalla parte verso cui si è scostata la semilente, che si muove nel verso delle ordinate positive, e riferita all'asse centrale di essa; e la seconda, quella che corrisponde all’estremità del disco dalla parte opposta, ma riferita all'asse centrale della semilente, che si è mossa verso la parte delle ordinate negative. Dinotiamo di più con y la ordinata comune del fuoco coniugato delle due estremità in discorso, allorchè le due immagini del disco sono state separate di tanto, che appajano in contatto esterno fra loro. Secondo la formola (4) del Capitolo I, questa coordinata sarà, respettivamente a ciascuna semilente, espressa da una delle due equazioni tue barn n ORE b) Ysl cm A, ? y-e= essendo A, la distanza delle estremità suddette ai centri respettivi delle due semilenti, le quali, nei limiti d’approssimazione in cui stiamo, possono prendersi per eguali fra loro, ed a quella, che separa il piano, in cui è posta l’immagine dell’obbiettivo, da quello, in cui stanno i centri ottici delle semilenti medesime. Ora, chiamando 2 il diametro dell'immagine dell’obbiettivo, si deve avere i ep gi RT ER, per cui, sottraendo la seconda dalla prima delle due precedenti equazioni, si conseguirà anche la seguente 9 dI - 2e = m e 3 vw Q do 5 dalla quale si ricava (4) (32) 2e = 2e(1-v4,0;), che ci mostra ottenersi il valore del diametro dell'immagine dell’obbiettivo, moltiplicando la distanza dei due centri ottici delle semilenti pel fattore (1) 1-0 4,0; è 3 Per esprimere questo fattore in funzione delle lunghezze focali delle lenti componenti l’istrumento, e delle loro distanze reciproche, osserveremo primie- Scienze Cosmolog. T. IV. 17 128 NUOVA TEORIA ramente, che, giusta la formola (11) del Capitolo III, Parte I, si ha rs (1) (2) (1) (55) vo Ao05 = Ps + voAoP; è e che, acciò le immagini del disco, e quindi quelle delle sue estremità, siano vedute in contatto distintamente traverso la seconda lente oculare del diname- tro, deve essere, per la formola (7) del Capitolo I, (1) (1) tozh) (54) Ciare Da quest’ultima equazione si deduce e, sostituendo questo valore nel secondo membro della precedente (33), la medesima si converte in ) 2 (1) {D_ JD vi = È dalla quale, riducendo il numeratore per mezzo della formola (7) del Capitolo IV, Parte I, che dà (5) (18) (20) giace si ottiene quest’ espressione più semplice 5 ) P ) Vo A “A —r c MISTO) Se si formano, colle regole date nel precedente articolo, i valori di P, , P, , trascurando le grossezze di ciascuna delle semilenti, e della lente oculare, e ponendo v = vs = vy = 1 , si trova (9) 1 Pan Pata no 2 (IRA 1 1 h; E, Di + Ps +Ps+P7+ Di (Pi + Ds) (p3+ p,) = (nigo & fa + HA ; 1 2 152 si avrà dunque, sostituendo questi valori nella precedente, e passando alla (52) d3Ò 2e = 2e(1— ai ora i dre che è la formola data nel citato articolo. DEGLI STROMENTI OTTICI 129 Osserveremo non pertanto che la distanza A; , a cui l'artefice avrebbe posto l’oculare dalle due semilenti, a norma di questa formola, sarebbe quella che converrebbe soltanto ad un’osservatore d’occhio ben conformato, od anche che fosse alquanto presbita. In generale però è bene, che ciascun osservatore adatti alla sua vista, per mezzo dell'esperimento descritto all'articolo 9 del Capitolo precedente, la posizione dell’oculare del dinametro, perchè, se, al fine di pro- curarsi più distinta la visione delle due immagini dell’obbiettivo, avesse, per esempio, bisogno di spingere più addentro il dinametro nel tubo del cannoc- chiale, che non farebbe uno dotato d’occhio perfetto, le parti della scala non corrisponderebbero più alle stesse dimensioni delle immagini. Per provarlo analiticamente supponiamo, che l'osservatore esiga per la sua visione distinta, che i raggi dei pennelli luminosi, emanati da ciascun punto dell’immagine dell’obbiettivo, non escano paralleli dall’oculare, ma bensì convergenti virtual- mente verso un punto posto alla distanza € dal centro di figura della superficie oculare. In questo caso, nella formola (5) del Capitolo precedente, non dovrà più essere A — ©, ma bensì A—= €, ed i raggi, uscenti dall’oculare, dovranno soddisfare all’equazione i A (1) ( (54), Q, + o, € 0,00, in luogo della precedente equazione (34). Ricavando dalla nuova equazione il valore di vw 45, come si fece colla (54), ed osservando che si ha v, = 1 , si trova 1 pl) "te E Ent RES P v) valore, che sostituito nella (55), conduce, per mezzo di riduzioni analoghe a quelle già indicate, alla seguente espressione (5) fm) P Li 1: (1) “f "la C 6 Vo A, Q; = i n) P ) 1 P' ) 7 ar Cc 6 1) 5 x a (1) 5 ovvero, impiegando i valori di P, e P, su riferiti, e quelli di P, e P;, che sono D) h, ) AI Le 5 RES 1 130 NUOVA TEORIA a quest'altra i (1) (55), Vo A 0; = i pulire ° fa fi+fas—hs nia DEE 1 (1) Quando si facesse C = e , questo valore di v 4,0; coinciderebbe con quello 1 (55) riferito sopra, ma, quando C avesse valori diversi, anche quelli di v, 4,0; risulterebbero differenti; e quindi, introdotti nella formola (52), farebbero cambiare la ragione fra 2c e 2e, mostrandoci così, che le parti della scala non starebbero più nella stessa ragione colle dimensioni osservate degli oggetti. L’osservatore potrebbe correggere col calcolo il valore letto delle parti della scala, qualora, oltre le lunghezze focali delle semilenti, quella della lente oculare, e la distanza 4; che separa le une dall’altra, conoscesse anche il secondo limite D, della sua visione distinta, non che la distanza @ del centro ottico del suo occhio dall’oculare, poichè sarebbe (36) Ce Dida, e non avrebbe che ad aumentare nella formola (35) il valore di 4; della quantità fa? D—d+f, comodo, che rettifichi la posizione dell’ oculare, per mezzo dell’ esperimento accennato all’articolo 9 del Capitolo I. *). Ma sarà sempre, come fu detto anteriormente, più sicuro e più o) »P CAPITOLO II. ANALISI DEGLI STROMENTI COMPOSTI, ED ANALOGIE DELLE LORO PROPRIETÀ CON QUELLE DEGLI STROMENTI SEMPLICI PRECEDENTEMENTE CONSIDERATE. LE Formole esprimenti le coordinate del fuoco conjugato d’uno stromento qualunque. Il processo di calcolo che abbiamo impiegato nell'articolo 2 del Capitolo precedente, per dare più esplicitamente i valori delle coordinate del fuoco (*) Il valore di D, , che è positivo per un miope, cambierebbe di segno per un’ os- servatore che fosse tanto presbita da esigere, che i raggi dei pennelli luminosi giunges- sero al suo occhio convergenti fra loro. DEGLI STROMENTI OTTICI 131 conjugato di una lente, è egualmente applicabile al calcolo di quelle del fuoco conjugato d’un sistema qualunque, e conduce parimente a delle formole simili. Ripresa l’equazione generale (5), dimostrata nel Capitolo I, e posto . 1 (1) F = ri Un (4) ’ 2n-2 sottragghiamo questa dalla citata equazione: sarà facile il vedere, che alla diffe- renza potremo dare, colle riduzioni che somministra la (3) del Capitolo IV, Parte I, la forma feti al Un 1 1 (2) Mic" wai Vo pîî o A; 9’ 2-2 2n-2 lo che ci mostra essere la F il valore della distanza coniugata A quando Aj=«, vale a dire, essere dessa la lunghezza focale dello stromento. (1) Risalendo ora alle (4) del detto Capitolo, sostituendo per Q.n-, la sua (1) espressione, tolta dalle (11) del Capitolo III, Parte I, ed eliminando P.,-; colla precedente (1), dedurremo = Un E ri. Un F (2) - (4) Yo PS (2) (4) Zo 3 Un Rinb, Fw P, A Un Poi F-% Bi À le quali formole sono in tutto simili a quelle segnate (6), (7), (8), ottenute nel- l’articolo citato sopra, relativo al caso din —=2. 1 Se eliminiamo Piga dalla (1), facendo uso della relazione segnata (3) nel Capitolo IV della Parte I, ed attendiamo all’espressione della distanza è , for- nitaci dalla (5),, del già citato Capitolo I, la quale ci dà la posizione del circolo anulare del sig. Biot, si trova 1 1 0) (4) +=aGA+t+a - F IRA e) 2n-2 2n-2 Quindi introducendo questo valore nell’espressione (2), risulterà 1 1 Un (0) i Sl per la deduzione della quale si osserverà essere 132 NUOVA TEORIA (1) (4) (3) Vo Ao Oon-a = Vo Ao Panza + Pano - Quando nelle (4) e (5) si facesse n=2 , per riferirci al caso di due sole super- ficie, le medesime danno In A, Va O prati 1 1 v 7) ME 2 (1) o ( A do) (A) N00) P, Q Confrontando le formole segnate (7) ed (8) nel Capitolo anteriore, e queste due ultime colle (2), (3), (4), (5), scritte qui sopra, ed attendendo alla for- mola generale (5), del Capitolo primo, si vede che mentre nel sistema di due - +4 . É F (BL) superficie le quantità d, F, A, y e z dipendono soltanto dai valori di P, , P;, 3) P, , e delle coordinate A, , y , zo del punto radiante, le medesime quantità nel f î È 73 RIA (2) sistema composto dipendono nello stesso modo dai soli valori di P,,_3, P. (2) P.n-» , e da quelli delle coordinate medesime. Se quindi si suppone, che, in un caso e nell’altro sia v, = % , tn =%n ; € 20-19 si pone (1) (1) (2) (2) (2) (2) P, = Pan o) Ps = Poni o) Eels determinando con queste, e colle formole dell’articolo 2 del precedente Capi- tolo, i valori corrispondenti di p, , p> ed A,, il sistema delle due superficie così determinato, produrrà su le posizioni e direzioni finali dei raggi emanati dal punto (A, , yo ) Zo) gli stessi effetti del sistema composto, che si vuol discutere. Troveremo pertanto, nella considerazione degli effetti, più semplici a percepirsi, d’un sistema fatto di due sole superficie, una rappresentazione astratta ma fedele di quelli, che sarebbero realmente prodotti da un sistema composto d’un nu- mero qualunque di superficie rifrangenti o reflettenti. Le formole ottenute in quest'articolo sono appropriate al calcolo degli effetti di quei sistemi ottici, lo scopo de’ quali è di progettare le immagini d’oggetti in proporzioni diverse da quelle, in cui questi sarebbero veduti diret- tamente, come sarebbero il microscopio solare, la lanterna magica, gli appa- recchi fantasmagorici ec. 2. Aggiustamento dell’oculare negli stromenti ottici . Passiamo ora alla considerazione dei sistemi ottici, che sono destinati ad estendere oltre i limiti naturali la visione degli oggetti osservati attraverso i DEGLI STROMENTI OTTICI 133 medesimi. Trattando di questi stromenti nei Capitoli precedenti, ci siamo comunemente limitati alla supposizione, che essi siano aggiustati alla vista d’osservatori d’occhii ben conformati, per la quale si esige, che i raggi, compo- nenti il pennello luminoso partito da un punto qualunque dell’oggetto, escano paralleli dallo stromento. Se l'osservatore, per essere miope, avesse bisogno, che i detti raggi divergessero fra loro, ovvero, se per essere molto presbita, che convergessero, l'equazione (7), che abbiamo posto nel Capitolo 1, non sarebbe più quella che dovrebbe essere verificata in questi casi. Chiamando, come nel precedente Capitolo, equazione (56), C la distanza del punto verso cui i detti raggi dovrebbero convergere virtualmente o realmente, per dare all’ osserva- tore la visione distinta degli oggetti, l'equazione che dovrà rimpiazzare la (7), sarà quella che risulta dalla (5) del Capitolo I, nella quale siasi posto A—=C, sarà cioè l’ equazione bei (R) ck SA Ono =0 n (1) (8) Qinr ovvero, impiegando per le Q le loro espressioni, la seguente (4) 1 (2) 1 (4) 1 (2) Pina + oo Pina + U (ca “E È Pins) = 00. La quantità disponibile, per soddisfare a quest’equazione, ci vien fornita, come fu detto nell'articolo 4 del Capitolo I, dall'essere una parte dello stro- mento mobile rispetto all’altra, e quindi variabile la distanza fra due superficie del sistema. Supponiamo che le due superficie, che separano le due parti respet- tivamente mobili del sistema, corrispondano agli indici v e v+1, talchè la distanza, che dobbiamo considerare come variabile, sia quella che, nelle nostre formole, è dinotata da 4,;1, e mettiamo in evidenza quest’incognita nell’equa- zione precedente. Per tale scopo si osservi, che essa corrisponde, nella compo- sizione delle funzioni P, al fattore p,,, e pertanto, decomponendo queste fun- zioni per mezzo delle formole (6) del Capitolo IV, Parte I, nelle quali siasi fatto i—2v+1 , cambiamo primieramente la nostra equazione nella seguente 2y44 2y41 1 2 29-42 2Vy42 1 (2) (Psa + Pina) (Po + PO) + (Pi + igPaa) (Pa + Po) = 0 è o Un € 090 indi notando, che, per la legge con cui sono formate le funzioni P, le sole di (1) (2) esse, contenenti il fattore p,,, sono la P., e P.,, rendiamo esplicito questo fat- tore, sostituendo per le medesime i loro valori, che ci vengono porti dalle for- mole (1) dell’or citato Capitolo, ed avremo così l’ equazione 154 NUOVA TEORIA (8311) dayae lr) (1) dina) (1) LP A e uu orme) fn. (Pe. n° vd P,-.) +, Para + mars (cio MENINIE Na UNICO) pita® ar (PS nia vn C Pina) (E 3 nate) = Se si attende al significato assegnato alle Q colle formole (11) del Capitolo III, Parte I, e si osserva che, prendendo il punto di partenza del raggio alla di- stanza conjugata C dall’oculare, ed invertendo gli indici sopra e sotto alle P per riferirle al corso del raggio retrogradante, si ha analogamente (2n-4) (214) 1 (2-2) (30-41) (2R=1) { (2-2) O, arr on È Povia ’ Quyta = Parsa + on C Parto è si vedrà, che la premessa equazione può essere scritta più compendiosamente nel seguente modo (2n-4) (1) (2n1) (4) (221) (4) Qaa BIS] Pa, + Qst Qua ti Qua Oz, UN e che da questa si ricava 00 QU (10) Pa), = — ai e "ni ’ 2y-1 Lu ovvero, sostituendo a ps, il suo valore v, Ay,1 f,;1 , € tenendo presente che f,,, eguaglia l’unità nei limiti d’ approssimazione in cui stiamo, o (20-41) 1 2y-2 1 Dre N49) liga nine È v QU v, Q n ) 2971 2v+1 Ora il primo termine del secondo membro rappresenta la distanza, conjugata a A,, della parte dello stromento che rimane immobile coll’ obbiettivo, la quale denominata C, è data, giusta la formola (9) del Capitolo I, da (1) nre iù 2-1 ed il secondo termine dinota la distanza coniugata a C dell’altra parte mobile coll’ oculare, nella supposizione che il raggio luminoso parta alla distanza C dal centro ottico del medesimo, entri per esso, e percorra in ordine inverso questa ro Ma dI ve 9 DEGLI STROMENTI OTTICI 135 n seconda parte, perchè, chiamando €,:, questa distanza, essa sarebbe data, secondo la formola (5) del Capitolo I, e le notazioni precedenti, da dir (n) A (12) Gi in — TE ’ v ( Ù »Q 2yt1 intendendo, che debba essere presa andando dalla superficie (v+1") verso l'obbiettivo, quando il suo valore è positivo, ed in direzione contraria quando è negativa. Si avrà pertanto, usando di queste espressioni, la formola z {) (n) (15) lita =eGuet Cig la quale ci dice, che la distanza 4,,, di separazione delle due parti obbiettiva ed oculare dello stromento, deve eguagliare la somma delle due distanze, respet- tivamente coniugate a A, ed a C, delle parti medesime. Questo risultamento è abbastanza semplice per poter essere preveduto con ovvie considerazioni, ciò non ostante abbiamo preferito, per dedurlo, d’impie- gare l’equazione fondamentale (8), coll’oggetto di mostrare che la medesima lo racchiude, che introduce direttamente la considerazione delle due distanze (ASL) n DE conjugate €, e C,,,, e che ci apre la via a delle formole che ci saranno utili nel seguito. Alcune di tali formole che si deducono direttamente dalla stessa equazione (1) (1) (8) sono le seguenti. Se in questa equazione si pongono per Qsn-1 € Qen-s le loro espressioni forniteci dalle (11) del Capitolo III, Parte I, si ha (1) 1 (2) I Pon-1 + sa Pan (14) Leg ind 4 Un G P. ) 1 PL ) 2n-2 x Ao 2n-2 dato per r, C, si trova e, se da questa si ricava viceversa il valore di 0 0 PI 1 DI ancannl samp tanza i pregiata > Der a 2 ’ A O) {0 ovvero, permutando gli indici sopra e sotto alla P, Scienze Cosmolog. T. IV. 18 136 NUOVA TEORIA (an=1) 1 (222) P P (3N0-4) 1 sa CRI O, (15) Iii e a a) -——-P P, 3F Un C 2 Qi Lg RA LR: , SE Il precedente valore di Tx? sostituito nelle espressioni testè citate di Q.n-, e (1 oro ole: ci conduce, per mezzo di alcune riduzioni, che risultano dalle (5) del Capitolo IV, Parte I, e dalle premesse notazioni (9), alle seguenti eguaglianze (1) 1 1 (4) 1 (16) Oni vn C aa o) Qona = ani) 2 2 Ripetendo un calcolo analogo sulle formole (11) del Capitolo III, Parte I, e prendendo v>1 e » Zo n 1) n) A Ve O { D pa Co Ora, se richiamiamo le formole (10) del Capitolo I, e riflettiamo inoltre che, nello stesso grado d’approssimazione, si possono analogamente porre le equa- zioni (22) I — sin Xn c08 Ln 5 ” SSN SINO z IN e che X, dinota l'angolo fatto coll’asse centrale, dalla retta condotta dal fuoco dei raggi uscenti dell’oculare al centro ottico del medesimo, la qual retta da la direzione in cui l'osservatore vede il punto dell'immagine corrispondente al punto (A,,%Y03 Zo) dell'oggetto, si otterrà, collo stesso processo di calcolo usato nel citato articolo, il valore dell'amplificazione così espresso Cc (25) dif e C È ovvio di provare, cogli stessi ragionamenti ora addotti, che il coefficiente di Yo Zo AegiivAy pennello luminoso emergente dall’ultima lente del sistema obbiettivo coll’asse centrale, all'angolo, che fa con quest’asse quello del pennello dei raggi incidenti nelle equazioni (19) rappresenta la ragione dell’angolo, fatto dall'asse del 138 NUOVA TEORIA sulla prima; ragione, che può chiamarsi l'ingrandimento angolare del sistema obbiettivo. Parimente, il coefficiente di z e È nelle (20) esprime il valore dell’ingrandimento angolare del sistema oculare, che deve essere preso inver- samente nel caso che i raggi dai quali vien formata l’immagine del sistema obbiettivo, procedano, come di fatto, verso il sistema oculare. Da ciò conchiu- deremo che l'amplificazione totale dell’istromento, indicata dal primo mem- bro della precedente equazione, si ottiene moltiplicando il prodotto dei due ingrandimenti parziali operati dal sistema obbiettivo e dal sistema oculare, per la ragione della distanza conjugata dal primo a quella del secondo dei sistemi medesimi. Nel caso semplice, che il sistema obbiettivo ed il sistema oculare sieno costituiti ciascuno da una sola lente, immersa nell’ambiente, come nei telesco- pii di Galileo e Kepler, si ha vg =v = =4,€ (4) (2n-4) (1 (1) ) i ee Oa o) Q.,:: ia 1; per cui l'amplificazione sarà semplicemente espressa dalla formola C EST are C la quale ci palesa che, quando l’oggetto non può considerarsi posto a distanza infinita, e l'occhio dell’osservatore non è nelle condizioni normali, bisogna sostituire, nell’equazione (50) del Capitolo precedente, alle lunghezze focali 1 4 f, ed f,, le distanze conjugate C, e C;, date da i dalan 1 (1) Ta (9) Cc C fi o C fa In generale le equazioni (19), (20) e (25) ci danno a divedere, che ogni istro- mento composto, destinato a dilatare i limiti della visione, può sempre parago- narsi astrattamente ad uno stromento semplice, fatto da due sole lenti, conside- rando il sistema obbiettivo, che rimane immobile, come una lente obbiettiva, ed il sistema oculare mobile, come una lente oculare; queste due lenti avendo le loro grossezze e le loro lunghezze focali determinate in modo da rappre- sentare respettivamente gli effetti prodotti dai due sistemi obbiettivi ed oculare, lo che può sempre farsi in virtù di quanto abbiamo notato nell'articolo 1. Si dà alle lenti fittizie che soddisfanno a questa sostituzione l’epiteto d’equivalenti. DEGLI STROMENTI OTTICI 139 4. Modificazioni da farsi alle formole esprimenti gli effetti degli stromenti ottici valutati per un’ osservatore di vista normale per tradurle in quelle rela- tive ad un’ osservatore di vista qualunque. Proponiamoci ora di trovare quali modificazioni bisogna fare alle formole, che abbiamo dimostrato nel Capitolo I, valutando gli effetti degli stromenti ottici, aggiustati alla visione distinta d’un’ osservatore di vista normale, per trasportarle a quelle corrispondenti ad un’ osservatore che non lo sia. A tale effetto torna vantaggioso di determinare prima i valori delle funzioni P, quando il fattore p,, è quello che compete ad una data vista, e soddisfa all’ equa- zione (8). DÌ Cominciando dalla funzione P:n-1, diamo ad essa la forma che ci porge la (6) del Capitolo IV, Parte I, prendendo in essa é — 2 v+1, assumiamo cioè la formola (4) (STAI, (2283) (6) Porca — Pan-1 Po, + Pani Lpd o) (1) dalla quale, eliminando P,, col mezzo della sua espressione segnata (1) nello stesso Capitolo, si deduce la seguente (1) (1) (2v:72) (1) () (8044) (1) Pira =iebeg (ps, Po, + P.,..) adi UTO che, colla sostituzione del valore di Pa, datoci dalla (10), diviene 1) 20-41) (1) 2942) (4) 1) (244) | (0) P'' 2 a i 2V-2 N2y42 v-2 n-1 Pini == Ri Pina I si pay DALE (Ar) sE 1 k "A \ oe 2v41 2v-1 2-1 Riflettendo a ciò che, giusta le formole (1), (11), (12), rappresentano i quo- (1) zienti compresi nelle parentesi, a questo valore di Pin-1 potremo dare la forma (4) 1 (1) (2n-4) (4) (n) (4) (n)° Ere i e Con un calcolo analogo si trova o PREC (3) ) (n) Pc Part C, 4G,5,' — d, = Fa; ? (25), Pin = | Ù, 140 NUOVA TEORIA (1) Peo ea) (n) (1) (n) (25), Pono = 3 Pi,a Pasi (o, + Cyi — E, Fa do) ’ v (8) AP) (IEARR) (1) (1) (n) (25); Ponza = na Poy-1 Porta 0, + Cia dr dv 3 nelle quali abbiamo posto coerentemente a quanto è stato detto sopra (1 (204) Ca 1 Pio: ci alal 242 Ka = v, pî b) F,ti cai Ù, (221) > 2V-1 2y+1 (26) o) (2-2) (1) 1 Rai (n) 1 Lon » — v, più b) 0 lr Ù, pl?) ? 2v-1 2v41 (1) (n) (1), () intendendo, che F, , F,,1,€d,, d,41 siano respettivamente le lunghezze focali, e le distanze dei cerchi anulari del sig. Biot, corrispondenti al sistema obbiet- tivo ed al sistema oculare, percorsi da un pennello di luce, il primo diretta- mente, andando cioè dall’obbiettivo verso l’oculare, ed il secondo inversa- mente, procedendo dall’ oculare verso l'obbiettivo. Le formole (25) sono generali, e servono tanto nel caso che l'oggetto sia BIO) (1) posto ad una distanza infinita dall’obbiettivo, nel quale sarà C, = F,, quanto in quello in cui l'osservatore sia dotato di vista normale, nel quale si pren- n (n) 3 VR ; ; DERE derà C,:, = F,;1- Il vantaggio principale di queste formole si è, che le funzioni P, corrispondenti all’istromento totale, sono espresse in funzioni dei soli ele- menti appartenenti in particolare al sistema obbiettivo, od al sistema oculare . (1) È Noteremo per ultimo che, se dalle espressioni di Q.n-1, Qan-s dateci dalle (11) del Capitolo III, Parte I, si elimina col mezzo dell’ equa- Vodo zione (15), e si fa uso della (3) del Capitolo I, Parte II, e della (3) del Capi- tolo IV Parte I, si ottiene (1) 1 1 (9) 1 G D — — esa = (26) Osn-1 = ; pù C cea d , Oan-o i (2) C IS) IL 2-1 2N-1 Veduto quali sono le formole atte a darci i valori delle P e Q nel caso generale, passiamo alla ricerca che si siamo proposti in testa di quest'articolo. Amplificazione. Quando la visione distinta dell’osservatore esige che i raggi dei pennelli luminosi non escano dall’oculare paralleli fra loro, le equazioni (7), DEGLI STROMENTI OTTICI 141 ed (8) del Capitolo I, Parte II, cessano di sussistere, ed alle formole conseguen- ti (9) bisogna sostituire quelle più generali segnate (6). Ponendo in queste pei rapporti si x ed DL, ri le espressioni (10) del Capitolo I, e quelle segnate (22) nell’articolo precedente, e ripetendo gli stessi ragionamenti in questo addotti, ricaveremo per valutare l’amplificazione la formula ..@ URI (27) so = 3 da QU _ ’ (1) ovvero, sostituendo a Q:n-» il precedente valore (26), db. (8) 6) 09) se) = De Pan (1 3 o) b) dalla quale risulta, che si otterrà l'amplificazione, moltiplicando il valore di pos » datoci dalla (25),, pel fattore 3 (i = DI ‘ La ragione dell’apertura dell’obbiettivo a quella del circolo oculare del Lagrange, di cui abbiamo trattato nell’articolo 7 del Capitolo I, si può conseguire collo stesso processo impiegato in detto articolo, ma facendo uso dei valori generali di yn e zn, dati dalle formole (11) del Capitolo III, Parte I, in luogo di quelli segnati (9) nel Capitolo I, ciò che ci conduce a cambiare nel in secondo membro dell’ equazione (15) del citato articolo 7, la quantità (1) Qon-s , con che si avrà 1 Pon, È essi Un (50) = na talchè il rapporto di a a c moltiplicato per quello di vn a v ci darà la misura dell’amplificazione, corrispondente alla vista dell'osservatore, qualunque essa sia, avvertendo che il diametro del circolo oculare, o della sezione normale del pennello luminoso che esce dallo stromento, deve essere misurato sull’ ulti- ma superficie dell’oculare, perchè i raggi del medesimo non escono paralleli fra loro, quando l'osservatore non è di vista normale. 142 NUOVA TEORIA In quanto alla ragione del diametro dell’immagine dell’obbiettivo, o circolo anulare del sig. Biot, sussisterà ancora l’analisi dell’articolo 8 del Capitolo I, e con essa l’equazione (18): eliminando fra queste e la precedente (28) la fun- (2) zione P.n_,, si otterrà 51 DI co) senti po (91) o dal che si vede, che il valore del raggio c dell'immagine dell’obbiettivo, o del circolo anulare del sig. Biot, non concorda in generale con quello del circolo oculare del Lagrange, col quale alcuni autori l’hanno confuso. Avendo ottenuto due espressioni differenti dell’ amplificazione, una data dalla formola (25), l’altra dalla precedente (27), può nascere la curiosità di vedere come queste due formole s’accordano. Questa verificazione è assai facile 1 ad ottenersi: basta sostituire nella (27) per Qsn- il suo valore, che si trae dalla seconda delle (18), e si avrà questa nuova espressione dell’ amplificazione ol 32 Xn Un Savm ( 2) ma ini 1 ’ (0) v Q ) 2v-1 (1 MA dalla quale, eliminando 05%; e Pn per mezzo della (11) e (12), si ricadrà nella dimandata espressione (25). Chiarezza. I ragionamenti fatti nell’articolo 10 del Capitolo I, per asse- gnare la ragione della chiarezza dell’immagine a quella dell'oggetto visto natu- ralmente, appoggiandosi alla proprietà dell'equazione (15) del Capitolo I che è identica colla precedente (50), le stesse conclusioni sussisteranno anche nel caso che l’istromento sia aggiustato per una vista qualunque. Campo. Per riconoscere le modificazioni che riceve la grandezza del campo, quando l’oculare non è aggiustato per la visione normale, bisogna ricorrere alle seguenti equazioni (2) (2 = qua (i = Cc) n le + oh Re) do I 0 N) = TNA (i o” Ò) Zi È (Pn + rali iL ’ le quali non sono che le (1) del Capitolo I, in cui si è posto RESA NO e 3) e si è eliminato Q:n-1 per mezzo della formola (8). DEGLI STROMENTI OTTICI 143 Queste equazioni, confrontate colle (25) dello stesso Capitolo I, ci mo- strano, che non avremo ad introdurre altro cambiamento nelle formole da queste dedotte, se non che quello di rimpiazzare nell’espressione di r, il va- (5) (1) lore inverso di P.n-, col prodotto Q,n_s (1- n) . Sarà pertanto (1) yy, e TE—RO (i —_ c) Vy +2}? 1 . . ) ovvero, eliminando Qsn-» colla (29), Dal che conchiuderemo, che bisognerà moltiplicare in tutte le formole succes- sive il valore di e, corrispondente al raggio del circolo oculare, pel fattore 1- Gc? che comunemente differirà pochissimo dall’ unità. Rispetto al valor massimo assoluto del campo osserveremo, che la formola (350) del Capitolo I si troverebbe, colla moltiplicazione suddetta, convertita nella ; 2e(1- E) +2p 9 AA ee siae l d—h Ri 5 alla quale si può dare la forma Pr he CoD 2 20 — = C R" l ARE sap 19% 5 h rà a mostranteci, che quando è è di valor negativo, ed C <1, ciò che ordi nariamente avviene, il campo consegue il suo valor massimo per h=0. Delle riflessioni simili si potrebbero fare negli altri due casi espressi dalle formole (51). Noteremo in fine che la distanza coniugata C, la quale entra nelle pre- messe formole, è sempre determinabile, per ciascun osservatore, col mezzo dell’equazione (36) del Capitolo precedente, quando il limite della sua visione distinta, e la situazione del suo occhio sono dati. —ceos 9 coso Scienze Cosmolog. T. IV. 19 PARTE TERZA SECONDA APPROSSIMAZIONE. goa CAPITOLO I. EQUAZIONI DI CONDIZIONE ACCIÒ SIANO DISTRUTTE LE ABERRAZIONI IN UNO STROMENTO OTTICO QUALUNQUE. 1. Causa delle aberrazioni. Mezzo che somministra VAnalisi per eludere il loro effetto negli stromenti ottici. Siamo ora giunti alla Parte in cui dobbiamo occuparci della forma e della situazione da darsi alle lenti ed agli specchii, acciò la distinzione, l'amplifi- cazione e la chiarezza siano accoppiate nel modo più eflicace in un’ istromento ottico destinato ad estendere i limiti della nostra visione. Le formole ottenute nella Parte precedente ci hanno fatto vedere, che gli stromenti godrebbero delle doti accennate, se i raggi di diverso colore si rifran- gessero egualmente, e se le aperture delle superficie rifrangenti o riflettenti divise pei raggi di curvatura delle medesime (*) dassero per quozienti frazioni tali, che i loro quadrati fossero trascurabili in confronto dell’unità. La prima supposizione è contraria al fatto, perchè i raggi di diverso colore, passando obbliquamente ne’ mezzi rifrangenti, si rompono diversamente, o come si usa dire, si disperdono. La seconda rende incompatibile, per le leggi esposte agli articoli 6 e 10 del Capitolo I, Parte II, l’accoppiare una forte amplificazione ad una sufficiente chiarezza, a meno d’ingrandire soverchiamente le dimensioni dello stromento se gli oggetti sono lontani, e la luce che c’inviano è determi- (*) Il vocabolo apertura è impiegato in diversi sensi nell’ Ottica: per esso noi quì intendiamo il diametro della base della zona sferica rappresentante la superficie rifrangente o riflettente, e per raggio della sua corrispondente curvatura, quello della sfera di cui questa superficie è una zona, DEGLI STROMENTI OTTICI 145 nafa, o d’aumentare eccessivamente l’illuminazione degli oggetti, se questi sono vicini, e l'obbiettivo debba avere una piccola apertura per evitare i raggi troppo obbliqui. Col lasciar sussistere incorrette le influenze di queste due cause, che le dette supposizioni preteriscono, l’istromento viene a perdere la distinzione delle sue immagini. Infatti, i raggi, partiti da un punto luminoso, decomponen- dosi colla rifrazione in altri di varii colori che si disperdono diversamente, non concorrano più in un sol fuoco coniugato, e formano un'immagine del punto dilatata, e colorata nei contorni. Parimenti, se per ottenere una sufficiente chia- rezza, s impiegano, senza gli opportuni criterii, delle superficie di aperture mag- giori del suddetto limite, avviene che i raggi d’un pennello luminoso incidenti in luoghi vicini al centro di figura della superficie, e quelli discosti da esso, non s'incontrano più in uno stesso fuoco, e formano un’ immagine confusa e trasfi- gurata del punto da cui il pennello è emanato. Huyghens ha chiamato aberrazione la quantità di cui i raggi, partiti da uno stesso punto, e passanti vicini ai bordi dell'apertura di una lente o specchio, deviano dal fuoco conjugato in cui ande- rebbero a riunirsi quelli passanti vicini al centro della medesima. Questa stessa denominazione è stata in seguito estesa anco a denotare la quantità di cui il fuoco dei raggi colorati, soggetti alle dispersioni estreme, devia da quello dei raggi di rifrazione media; e per distinguere fra loro queste due specie di aberra- zioni, si è chiamata la prima aberrazione sferica, e la seconda aberrazione ero- matica. Blair ha applicato ad uno stromento che sia corretto d’amendue queste aberrazioni l'epiteto di aplanatico . Analiticamente parlando la prima supposizione, che la luce d'ogni colore sia tutta egualmente refrangibile, è stata introdotta implicitamente, nelle formole della seconda Parte, per aver considerato i valori v, delle velocità di propagazione della luce in ciascun mezzo, come costanti, od indipendenti dalle lunghezze delle ondulazioni che costituiscono i varii colori: e la seconda supposizione, quella cioè, che i quadrati dei quozienti delle aperture delle superficie divise pei rispettivi raggi di curvatura, siano trascurabili, si trova inclusa, per aver assunto i valori di cos X,,,&,,,7, eguali all'unità, omettendo i termini che nelle loro espres- sioni, date al Capitolo HI della Parte I, salgono a due dimensioni, tanto in y, e 2,, quanto in cos Y, e cos Z, . Se si danno delle variazioni alle velocità v,, e s' im- piegano le espressioni complete di «,, f,, e 7, per valutare gli elementi p fornitici dalle (6) del Capitolo III della detta Parte, anche le funzioni P_ nelle equazioni fondamentali (I) del Capitolo I, Parte II, perdono la proprietà d’essere costanti, ed acquistano dei piccoli termini, che sono funzioni delle di- verse lunghezze delle ondulazioni costituenti i raggi di diverso colore, e delle coordinate Y, Z03 € Y1, z1 del punto radiante, e del punto d’incidenza del raggio luminoso sulla superficie obbiettiva. Coll’introduzione di questi termini i 146 NUOVA TEORIA valori delle coordinate x,y,z del fuoco coniugato al punto radiante (A, Yo, Z0); che sarebbero dedotte dalle equazioni (3) e (4) del citato Capitolo, risultereb- bero variabili colle lunghezze di dette ondulazioni, e colle coordinate dei due detti punti, mostrandoci con ciò che non esiste più un fuoco coniugato per cia- scun pennello luminoso, e che le immagini non sarebbero più simili agli oggetti osservati, e quindi che le proprietà degli stromenti ottici, esposte nella Parte precedente, le quali tutte avevano il loro fondamento nell’esistenza di tali fuo- chi, e nella similitudine della loro coordinazione con quella dei punti dell’og- getto, cessano di sussistere in generale. Il mezzo, che suggerisce l’Analisi per conservare loro le dette proprietà, è di far sparire nelle equazioni (1) i nuovi termini, introdotti dalle variazioni delle velocità v, e delle superiori potenze di Y,,Z1,Y@ zo, annullando i loro coefficienti con un’ opportuno assegna- mento di valore alle quantità costanti di cui sono composti, di modo che le medesime, ancorchè spinte a questa seconda approssimazione, si riducano di nuovo a quelle stesse che hanno servito per la prima. 2 Equazioni generali da soddisfarsi per elidere gli effetti delle aberrazioni . Richiamate le due prime equazioni del Capitolo I, Parte II, dinotiamo con R il valore comune dei loro tre membri, e sostituendo in essi per tn,UnyZn e cos Yn cos Zn le loro espressioni, date dalle formole (6) del Capi- tolo II, Parte I, e dalle (12) del Capitolo III, eguagliamo ciascun membro al rapporto medesimo, avremo le tre equazioni (2) | 2 = pago Reos Xp (1) (4) 1 (3) (1) <«Y= (E 3P Un R Qana) aa (Pins + v,R Ea) Yo » o do (1) (1) 1 (2) (2) do = (053 = Un R Qn-1) Sata a A, (bs 9 tn RPan-1) Zo - (1) Concepiamo il valore di R diviso in due parti, la prima delle quali sia la di- stanza conjugata, (2) A | Lupe 2-2 i data dall’equazione (5) del Capitolo I, Parte II, e calcolata facendo uso dei valori DEGLI STROMENTI OTTICI 147 (9) (") , È , be il di Qsn-1 € Qan-a corrispondenti alla prima approssimazione, e la seconda sia denotata da d A, così che si abbia IAA, la variazione d A essendo dell'ordine delle quantità trascurate, vale a dire del second’ ordine. Ciò posto sostituiamo questo valore di R nella prima delle equazioni (1), e prendiamo x in modo che sia (5) x=H, +4, in tal caso bisognerà, acciò la medesima sia soddisfatta, che rimanga (4) dA — Hn (Ian) + A(1-cosXn), trascurando le quantità di quart’ ordine. Ritenendo che tutte le quantità le P,Q0, vw 4, e vn A conservino i valori della prima approssimazione, e dinotando con è P, dQ, (vr A) e d(v0 A) le variazioni delle medesime, allorchè si tien conto nelle loro espressioni anche dei termini di second’ordine, si troverà che le due ultime delie tre equazioni (1) si ridurranno ancora, come nella prima approssimazione, ad 1 Yo x 1 ZA o] ’ FIATO d vQ Ao Voy deo. Ào (5) y= purchè si prenda (5) (1) (1) O Panca + Un Ad Pan1+ Pon_10 (004) = 0, (6) (2 (2 12 (2 2) IMM (0) (2) ra (2) (2) (vo A 7 i Poma + n Ad Panza + Pon1° (On A) + Vane + nh E) - Ì = 0 0 + 0 0 e si noti che, sostituendo nella variazione (1) (1) (4) (7) È Oona + tn A4dQan-1 + Qan10 (004), le espressioni delle Q, forniteci dalle (11) del Capitolo III, Parte I, essa si riduce al primo membro della prima delle precedenti equazioni (6), in virtù della, seconda delle medesime. AI proposito di queste equazioni vi è un'importante osservazione a fare. Se si suppone che la seconda delle (6) non sia verificata, per non essere nullo il suo fattore racchiuso fra parentesi, la riduzione, testè fatta, della variazione (7) al primo membro della prima delle (6) sussisterebbe tuttavia pei telescopj; perchè 148 NUOVA TEORIA questi essendo destinati ad osservare oggetti lontani, si potrebbe considerare, per approssimazione A, — «o , e la parte di detta variazione soppressa preceden- temente, svanirebbe ancora in questo secondo caso, in virtù del divisore A,. Ciò ci prova che, pei telescopj, la verificazione della prima delle (6) basta a rendere costante il coefliciente delle coordinate y, e 2, nelle equazioni (1), e quindi ad assicurare l’esistenza dei fuochi coniugati fornitici di posizione dalle (3) e (9). Non così avverrebbe pei microscopj destinati ad osservare oggetti vicini; per questi, la piccolezza del divisore A, farebbe anzi aumentare l’influenza della quantità compresa fra le parentesi, già variabile, per rendere tale il coefli- ciente delle coordinate y,, e 2, nelle equazioni (1), di modo che i raggi partiti da un punto dell'oggetto e caduti sui varii punti dell’obbiettivo, non concor- rendo più in uno stesso Juogo, i fuochi coniugati verrebbero a mancare, e con essi la distinzione dell'immagine. La seconda delle equazioni (6), presa isolatamente, è richiesta dalla simi- litudine dell’immagine coll’oggetto, ed acciò questa sussista, deve essere veri- ficata tanto pei telescopj, quanto pei microscopj. Se il fattore compreso fra le parentesi avesse un valore, questo essendo variabile produrrebbe su quelli delle coordinate y, e #, del fuoco coniugato date dalle (5), una variazione, che sarebbe T) Yo e . E Zo ; CO lupa 3 crescente coi rapporti | © } » vale a dire, colle projezioni della distanza an- (tu golare a cui starebbe il punto radiante dell’asse centrale dello stromento. Ritornando alle riduzioni delle (6) osserviamo che si ha Din) = VAEETA nb quindi eliminando dalle dette equazioni il valore di A colla (2), e riducendo 29 l’ultimo termine della seconda, col mezzo della (5) del Capitolo I, Parte IL, diamo alle medesime la forma (1) (1) (1) / (4) (4) VI Ò CÀ) an-a 7 Qon-o0 Ponza + Poni (tre ÙA — Qana— ") ==) o) \ Qan_19P È) RS, () (0) () (1) M dn dmA \ Q-n-10 Panna — Qen-o 0 Pona + Ponzi (ein CA — Qons e) ere Se potremo soddisfare a queste due equazioni, qualunque sia il punto raggiante dell'oggetto, qualunque sia il punto dell’obbiettivo su cui incida il raggio del pen- nello luminoso, e qualunque siano le lunghezze delle ondulazioni del raggio me- desimo, anche le equazioni (2) e (5) saranno verificate: e siccome dalla sussistenza di queste dipende l’esistenza dei fuochi coniugati, elemento fondamentale di tutte le proprietà degli stromenti ottici, notate nella Parte precedente, così tali proprieta saranno pure conservate a quegli stromenti, che saranno costrutti nelle condizioni volute dalla verificazione delle precedenti (8). DEGLI STROMENTI OTTICI 149 ” d. Distinzione delle variabili indipendenti rispetto a ciascuna delle quali le premesse equazioni devono essere soddisfatte. Già abbiamo notato che le supposizioni fatte per conseguire le equazioni fondamentali, rappresentanti gli effetti degli stromenti ottici nella prima appros- simazione, consistono nell’aver ridotto all’unità i valori di cos X, e dei coeffi- cienti &,, B,,7,, e dall’aver considerato le velocità v, di propagazione della luce indipendenti dalle lunghezze d’ondulazione dei raggi di diverso colore da cui è composta. Se, per introdurre i valori completi delle dette quantità, portiamo lo sguardo sulle loro espressioni segnate (2), (6), (8) ed (11) nel Capitolo II, Parte I, si vede che i termini trascurati contengono tutti per fattore una delle due somme Y, + 27, 7 cos? Y, + cos? Z, , l'indice v corrispondendo a quello d’una superficie qualunque. Ora è chiaro che queste somme, essendo del second’ ordine di grandezza, potranno essere calcolate facendo uso dei valori di y,,2,, cos Y,, cos Zy, che ci sono dati dalle formole (12) del Capitolo III, Parte I, che non verremo a trascurare in esse se non delle quantità del quart’ordine. Se s' immagina soltanto d’aver fatto la sostituzione di questi valori nei termini omessi nelle dette espressioni di cos X,,,&,,y,7y, Si rileva facilmente, anche senza eseguire il calcolo, che i risultati conterranno in tutti i loro termini una delle tre quantità 2 z? x 2 2 Y, A o) YYotZ,Zo D) Yo +Z0° è moltiplicate per coefficienti che si potranno risguardare come costanti. Per omogenità e semplicità di formole poniamo (9) bp= Ut D G Pi dove H, denota la distanza del punto raggiante dal centro di figura della superficie obbiettiva. I valori di queste tre variabili saranno dipendenti dalla direzione del punto raggiante dell’ oggetto, e dalla situazione del punto d’inci- denza del raggio luminoso sulla superficie obbiettiva, ed, essendo di second’or- dine, potremo trascurare le loro potenze ed i loro prodotti nel calcolare le variazioni delle funzioni P, Q, A;, e A. Rispetto alle variazioni delle velocità v, rammenteremo, che i valori inversi di queste velocità sono proporzionali a quelli, che gli ottici chiamano gli indici _ YYotZ, Zo E == p.Ho 7 150 NUOVA TEORIA di rifrazione, i quali, essendo variabili colle varie lunghezze delle ondulazioni dei raggi luminosi, si connettono, come è noto, al fenomeno della dispersione . In una comunicazione fatta al Congresso scientifico di Firenze, nell’anno 1841, partendo dalle idee sulla costituzione dei corpi, che aveva pubblicato cinqu’anni prima, giusta le quali è d’uopo ammettere che i corpi formano un tutto composto d’etere e di molecole ponderabili, in cui queste sono circondate da atmosfere eteree d’una densità grandissima in confronto di quella dell'etere dello spazio, ma così rapidamente decrescente che, a distanze affatto insensibili dalle mole- cole, torna a confondersi con questa, ho esposto una spiegazione semplice e natu- rale della dispersione (*). Questa spiegazione si fonda sulle rapide alternative di densità dell’etere nei corpi ponderabili, provenienti dall’esistenza delle dette atmosfere, le quali fanno si che le velocità di propagazione delle onde luminose non solo sono tutte ritardate, ma lo sono tanto più quanto le onde sono più corte. La formola che somministra la Meccanica razionale pel calcolo di questa diminuzione è data, per una prima approssimazione, da Let), e spingendo più oltre le approssimazioni da una serie della forma x 1a 4b() +0 (2) + 000 nella quale 2, denota la lunghezza media delle ondulazioni dei varii raggi lumi- nosi dello spettro, % quella del raggio che si considera, ed @,b,c sono dei coeflicienti costanti, i cui valori numerici non possono determinarsi, nello stato attuale delle nostre cognizioni, che sperimentalmente per ciascuna sostan- za, osservando gli indici di rifrazione corrispondenti alle varie parti dello spettro formato dalla medesima. L'esperienza prova, giusta l’assunto della teoria, che i valori di b, e ec. sono piccoli e vanno diminuendo di grandezza, talchè, nella pluralità de’ casi, basta tener conto del solo secondo termine, il quale con- (*) Giornale Toscano di Scienze mediche, fisiche e naturali. Tomo I N.° 4. pag. 357. Pisa 1845. In quest’estratto ho fatto menzione dell’ inerzia delle molecole materiali, che devono necessariamente risentirsi del disturbo d’ equilibrio generale al passaggio delle onde. Se però si riflette che le vibrazioni luminose dell’etere sono tanto rapide, che se ne fanno per lo meno 480,000,000,000,000 per secondo, e che le masse degli atomi d’etere sono estremamente piccole comparativamente a quelle delle molecole ponderabili, ben s'intende, che queste parteciperanno scarsamente al movimento generale, ma non impediranno che esso si trasmetta, pel mezzo delle loro pressioni e velocità presso che virtuali, alle parti contigue. (**) Vedasi la Memoria Sulle proprietà degli spettri formati dai reticoli ed analisi della luce che somministrano, nel Tomo I di questi Annali, Pisa 1846. DEGLI STROMENTI OTTICI 151 o DI 2 delle ondulazioni dei varii raggi di cui si compone la luce. Pel calcolo delle aberrazioni giova di trasformare la formola precedente, ponendo tiene il quadrato del rapporto -°, variabile a seconda delle diverse lunghezze A? — 22 Gr 5 (10) di azatb+c+ ec. , b=b8+2c+ ec. , c=c+ec., e prendendo 1 (11) pg 7 R+D9 + 08° + ec. considerare 8 come la variabile indipendente. Basterà tener conto soltanto del primo e secondo termine di quest’espressione quando non si aspiri a distrug- gere anche gli spettri detti secondarii. Da quanto abbiamo ora esposto risulta, che passando a questa seconda ap- prossimazione, potremo calcolare i valori di cos X, e dei coefficienti &,, f,, 7, e quindi quelli degli elementi p, dati dalle (6) e (6)' del Capitolo III, Parte 1, svi- luppando le loro espressioni per le potenze di È, e, e 9, e fermandoci alle prime potenze di queste variabili. Ottenuti tali valori, sarà facile d’avere le variazioni delle funzioni P, in cui gli elementi p entrano soltanto alla prima potenza, e di formare così le due equazioni generali (8), ognuna delle quali si spezzerà in quattro equazioni parziali, quante appunto sono le variabili indi- pendenti ch’esse racchiudono. 4. Forma comune delle equazioni parziali in cui si spezzano le equazioni generali (8). Senza particolarizzare quale delle dette quattro variabili vogliamo prendere in considerazione, possiamo determinare la forma che deve avere l’equazione parziale relativa ad una qualunque di esse, risultante dallo spezzamento delle (8). Per quest’oggetto denotiamo con 9 una qualunque delle variabili &, e, 4 e 6, e quindi con da il coefficiente differenziale della variazione dell’ elemento p;. ? Il termine che introdurrà la variazione di quest’elemento in quelle delle fun- (1) (1) (3) (2) : zioni Pan-2 Pon-1, Pon-a) Pan-1 Sarà respettivamente espresso da Scienze Cosmolog. T. IV. 20 152 NUOVA TEORIA (4) (1) (8) APin-a dpi d Ponza dpi d Ponza dpi d Pins dituos dpi dp i 3 dpi dp DIRE? do? PIO do” e dando ad i tutti i valori da i=41 sino adi=2n- 1, le variazioni 9 P sa- ranno respettivamente rappresentate da (4) (i) 200 d Ponza dpi Ù) si Pan 1 &Pi O Pino = P Sreratopraiip ’ O Pin = fiere dp c, 7 201 ] P dp; I) mA | È dpi; d P = nm-2 ssa P-18 d P = 2-1 AO, an-2 p O dpi dg D an-i dpi do Sostituiamo questi valori nei due primi termini di ciascuna delle due equazio- ni (8), impieghiamo per le derivate delle P le loro espressioni, date dalle for- mole (8) del Capitolo IV, Parte I, e riduciamo colle formole (3), dello stesso Capitolo; avremo (1) (1) (0) (4) on-1 Don Qona 0) Pons = O ©) = S + o; op a 1 (1) (2) (4) (a) an_1 ® © db O3n-10 Panza — Qani200 Pon = S + Qia Pia ta 3 nelle quali si prenderà il segno superiore quando è è pari, e l’inferiore quando è dispari. Denotiamo inoltre respettivamente con Do ; cal 3 du il coefficiente di p pg dp dp nelle espressioni di A,, A, +, svolte in serie per le potenze di questa variabi- le; l’ultimo di questi coefficienti essendo nullo, fuorchè nel caso che 9 rappre- senti la variabile 8, ed i due primi essendolo quando 9 rappresenta questa stessa variabile. Colla sostituzione di tutte queste quantità, le due equazioni corrispondenti alla variabile 9, che devono esistere in virtù delle (8), risulte- ranno espresse da sana ) dp; Di rdArnidaada Di S ar Q; 1 Pi 1 1 ar Por 1 (èn Qanr do — Un Qan-s “I =0, ani O © dp; (4) dA ee 1 dA, 1dv, SÌtQ Pia Pipa ca (00 Qin ga n Gna dara dai Pala dalle quali abbiamo tolto il fattore p comune a tutti i termini, che non può essere nullo nei casi che contempliamo. DEGLI STROMENTI OTTICI 153 Per comporre con queste formole le equazioni corrispondenti alle quattro variabili £,e,%, e 6 non resteranno quindi a determinarsi che le derivate di A, cos X,,,4,,fy,7», 2 A rispetto a ciascuna di esse, per poi passare a quelle degli elementi p; ciò che farà il soggetto del seguente Capitolo. CAPITOLO II. ESPRESSIONI DELLE DERIVATE DELLE QUANTITÀ CONTENUTE NELLE EQUAZIONI GENERALI (12). 1 Derivate delle quantità A,, cos X,,4,,B,,7, 8,0%, rispetto alle variabili È, e, 6, e 0. Progredendo nell’ordine con cui le soprascritte quantità sono poste, co- minceremo dal cercare l’espressione di A, in funzione delle variabili È, e, e 4 per poi dedurne le sue derivate rispetto alle medesime. Per quest’ oggetto sommiamo le tre equazioni (1) del Capitolo I, Parte I, elevate al quadrato, ciò che ci dà A = (cx)? + (Yi? + (21-20, e quindi, assumendo il valore di x, offertoci dalla (4) del Capitolo II di detta Parte, ed osservando che, giusta le denominazioni introdotte nell'articolo pre- cedente, si ha H=H, — x , poniamo questo valore di A,? sotto la forma a 242 DI È A (tt, =“ Lili nr (Yi — Yo)? sla (21-20)? ’ Pa dalla quale, sviluppando i quadrati, eliminando le coordinate per mezzo delle variabili É, e, é dateci dalle (9), e riducendo il risultato in serie col tener conto soltanto delle prime potenze di esse, si deduce H, : (15) A=H— jp (1- )F-pe+ it; ed in seguito 154 NUOVA TEORIA’ li ri, (ba: Asild' Baer KH, Hy/ ? 1 dà, _— Pa (13), apligeo spo IRGA A RE RE che saranno i valori da sostituirsi nel penultimo termine della seconda delle (12). Le variabili é, e, 6 e 8 essendo di second’ordine, basterà nei termini mol- tiplicati per esse fare uso semplicemente dei valori di y,,z, cos Y, e cos Z, datici dalle (12) del Capitolo III, Parte I, nelle quali le P, Q e v abbiano gli stessi valori impiegati nella prima approssimazione, e A, sia rimpiazzato da H,, che le quantità trascurate non saranno che di quart’ ordine. Secondo quest’ os- servazione, facciamo nella formola (7) del Capitolo II, Parte I, la sostituzione dei valori di cos Y, e cos Z, che si hanno dalle dette equazioni (12), e, rappre- sentando il valore di cos X,, simbolicamente colla formola (14) ceRne si: SSN PI se a Lee Lol, si riconoscerà facilmente, che si ha des, _ _sorpe(0.), (14), NEGRO = n LL) Vale deo cda pa (el) Nello stesso modo la formola (5) del detto Capitolo II ci darà nell’espressione da da da 15 =" Ò — La ( ) %y H- dè 3 33 de E 5F dé G i seguenti valori delle sue derivate = da, ni ; pae di) 2 / dé > a Hp, (Oa) o) da. 1 p (1) (1) (15), “e _ v no 2V-2 Pay-a b) DEGLI STROMENTI OTTICI 155 Passando a fare le medesime sostituzioni nelle formole (8) ed (11) del Capi- tolo II, Parte I, che rappresentano respettivamente i valori di f, e 7, , si avrà E dp dp = i ? ì B, E Epp E RITA essendo dp, p PTT (GMT 2 (1) 2 (1) 2 il va Corr CORTI CONE viy Lia rai (PRIN CO PONS ERA, 1 4 v3_ OMO) (16) dB _ Ùo h = Hu 201 2-2: Ù h. Ù ih 2y 4 2y-a 1 Qo, 2v-5 9 dt AEON] FIERE. CIGHY OH qiomni gi e piza roielab co vi e ire ica OE Parimente, posto LI RAC SLA da dé de dé (ii CO ee e CO RE RARO O RT R LE PT PETE ar AI, \ae = Fagipa (Pa) -il(1-- Dl ‘(e. DIE uao sie nn) (P:3-3) i Per avere i coefficienti delle variabili É,e,4 della variazione è A, diamo ad essa la forma dA dà d Ar -—- — di dia Liar lb” E indi sostituiamo nella (4) per (1 —cos Xx), e per (1—n) i loro equivalenti se- gnati (14) e (16), col confronto delle due espressioni di è A si dedurrà dA d cos X da = = a Naso" dé dé pata di a d cos Xn den Ue e = Wen Hn de” dA dcosX, da, l'A — Hn. dé db Mn dé Ponendo ora per le derivate comprese nei secondi membri i loro valori dati Scienze Cosmolog. T. IV. 21 156 NUOVA TEORIA dalle (14), e (15), , ed eliminando v, A colla (2), troveremo DBTGIA 1 (ARIE RMS (6) / Sl Qon-1 Tg Pai i (Ln QOon-1 — Un (CS) rl ’ (4) dA IONO(G) (4) (2) (1) (4) (18) Oin-1 ‘de = cn Pon-a Qon-a — UnPana Qua] Mon-1 3 (1) dA ì { 1 (2) 2 to) (2) 2_(1) | Qon_a de = ve a (Pn) Qani — Un (Pn1) Qana| . L'ultima derivata, che rimane a determinarsi, è quella della velocità v, di pro- pagazione della luce, o del suo valore inverso. Distinguendo con l’indice v, posto sotto le lettere a, b, c dell'espressione generale (10), i valori delle me- desime appartenenti al mezzo compreso fra le due superficie a cui competono gli indici v ev+1, e prendendo le derivate dell’espressione risultante rispetto a 0, si avrà ale 19 v ( ) = t 200 , e quindi dufa la da Eb (20) ca ssa ES si 2, Il secondo termine di queste espressioni potrebbe servire, come già è stato osservato, se si volesse tener conto degli spettri secondarii, ed in questo caso ciascuna delle (12) darebbe due equazioni da verificarsi, perchè bisognerebbe porre eguale o zero separatamente le due parti, quella che contiene il fattore variabile 6, e quella che non lo contiene. Comunemente però potremo limi- tarci al solo primo termine, e prendere semplicemente 1 d—- Urla CL'ONSON b, 21) id ) (2) 3 ga 2. Formole esprimenti le derivate delle p per mezzo di quelle ottenute nell’articolo precedente. Le quantità p, che abbiamo chiamato gli elementi delle P, perchè queste sono formate puramente con quelle, essendo soggette a cambiar di forma, se- DEGLI STROMENTI OTTICI 157 condo che appartengono alla prima, o seconda colonna delle due serie segnate (6) e (6),, nel Capitolo III della Parte I, forniscono due specie di quantità, che abbisognano d’essere trattate a parte. La forma generale delle p con indici dispari essendo (25) Pay = 2(- = e) ’ È v U, Uy-1 e non contenendo di variabile che 7,, v,, e v,-, ci darà colle derivazioni Share 1 È SIR: ee die, \d, (lid din ALLA) de Py \U V,-a/ de ° dn _ A(I_ A) a. tp | MEV = = 20, UL) Parimente la forma generale delle p con indice pari essendo Pay-a — Va By h, 9 nella quale le variabili sono 6, e v,_,, dalla medesima si ricaverà dPoyo _ db, “dé — Vyi h, dé ’ dP3y-g pos db, de a Vy-1 h, de 5) dP3,-9 db lo e haeze de Vy-1 t, dé dPs,-s A h, bi-, MIT Po Preparate le espressioni delle varie derivate che occorrono per applicare le equazioni (12) alla composizione di quelle che risultano prendendo per p una delle quattro variabili £, e, 6 e 9, passiamo alla formazione di esse. 158 NUOVA TEORIA CAPITOLO II. EQUAZIONI CHE DEVONO ESSERE SODDISFATTE RESPETTIVAMENTE PER CIASCUNA SPECIE D’ABERRAZIONE ACCIÒ UNO STROMENTO OTTICO SIA ESENTE DA ESSA. 1 Equazioni per l’annichilamento dell’aberrazione d'apertura. Abbiamo dato il nome d’ aberrazione @’ apertura a quella parte d’aberra- zione, che nelle (12) sarebbe rappresentata dai termini moltiplicati per la va- riabile &, qualora la somma di tutti i suoi coefficienti non fosse nulla, perchè questa variabile essendo espressa da a UESRZE Pa ©) la parte d’aberrazione, relativa ai detti termini sarebbe dipendente dalla quantità y,° + 21°, vale a dire, dalla grandezza dell'apertura della superficie obbiettiva che si considera. Per ottenere le due equazioni relative a questa specie d’ aberrazione, altro non abbiamo a fare, che porre nelle formole (12), p = &, prendere sotto i segni sommatorii = 2v— 1, e poig—=2v— 2, e darea»v successivamente tutti i valori in numeri interi da v —=1 sino a v=n. Eseguendo queste operazioni, indi sostituendo per le varie derivate rispetto a È le loro espressioni forniteci dal Capitolo precedente, ed impiegando, ciò - ‘oro e 1 : | che è lecito nel grado adottato d’approssimazione, per AZ. loro valori » di dog medii a, ed Tosi troverà » DEGLI STROMENTI OTTICI 159 J,ma Equazione. 1 Cliat*l (1) L: ORO I in FOR (0 1) (i a 2 . } e Sera Re] i eee SCO) Sp dea pagg Job Bpuobizgi, “ine La Tai) a (0)) (4) ) "| n n { (3) 2 lin (4) 2 1 (4) 2 vir Qan- -3 -3 de nba (Qen-:) #0 Mi (Qan-3) bd Fa Î (4) (1) fio 1 (i). y2 3F Qon-1 Poni aa Osn- 2 2 1 d' 2( — lan Pr 2.40 Equazione. +09 (0) e) (0)} ALPE AR A (DA II (I II A In P Pin An-1 fn (1) _(8) 1 (5) ) il (4) 2} E) E) (0) Ra (4) } 2a 1 (4) 2 Sii Q; DES rv) Î 1 3 2 1 c) 1) i aa ib | Pn (mn pr di (Cn) _ uil (.)} RC i ig el iù Qu P n-1 miti ( ol: a) = ai Sena Qana, +a(! ada oil Scienze Cosmolog. T. IV. 22 160 NUOVA TEORIA nelle quali equazioni abbiamo tolto il fattore j p,? comune a tutti i termini, e nella seconda di esse abbiamo omesso il primo termine, perchè, giusta la for- mola (II) del Capitolo 1II, Parte I, si ha P, = 0. Si osserverà che la seconda equazione risulta dalla prima cambiando alle P, poste fuori delle parentesi, l'indice superiore (') nell’indice (*), ed aggiungendovi un’ ultimo termine. 2. Equazioni per correggere l’aberrazione diedra. Se per l’asse centrale si conducono due piani, l'uno passante pel punto raggiante e l’altro pel punto d'incidenza del raggio luminoso sull’obbiettivo, e si denotano con L ed / gli angoli che questi due piani fanno con quello delle x,y, si vede che la variabile e, la quale ci vien data dalla seconda delle formole (9) del Capitolo I, può mettersi sotto la forma e= tang0 sino cos(L—-!), rappresentando con O ed o gli angoli che la retta, condotta dal centro di figura della superficie obbiettiva al punto raggiante, e quella, condotta dal centro della stessa superficie al punto d’incidenza, fanno respettivamente coll’asse centrale. Quando la somma dei coefficienti, pei quali questa variabile trovasi mol- tiplicata nelle equazioni (8), non fosse nulla, l’errore proveniente in esse cor- risponderebbe ad un’ aberrazione di una specie propria, che, pei raggi partiti da uno stesso punto luminoso posto fuori dell’asse centrale, ed incidenti ad egual distanza da esso sull’obbiettivo, sarebbe massima nel piano azzimutale /, che soddisfacesse alle relazioni L-=0, ovvero L-=7, e sarebbe nulla in quello soddisfacente alle relazioni L—/—=ix ovvero L-/=jr, e pei valori intermedii dell’angolo L — ! diminuirebbe o crescerebbe proporzional- mente al coseno di quest’ angolo diedro, motivo per cui abbiamo qualificato tale aberrazione coll’epiteto di diedra. È poi facile di riconoscere che, eccet- tuando fra i detti raggi quelli pei quali l’aberrazione è massima, tutti gli altri si propagano in direzioni comprese in piani che non potrebbero mai passare per l’asse centrale (*). (*) Aggiungeremo quì un’ osservazione che servirà a schiarire quanto abbiamo detto nel Preliminare circa all’essersi fin quì limitata la Teoria degli stromenti ottici alla con- siderazione dei soli raggi che si propagano in piani passanti per l’ asse centrale, omettendo quella di tutti i raggi diretti in piani secanti l’ asse medesimo. Fin a tanto che si trascurano le quantità di second’ ordine in confronto dell’unità, la distinzione di queste due classi di raggi risulta superflua, perchè le proiezioni sì degli uni che degli altri sull’ asse centrale differendo dalle loro obbiettive di quantità di secon- DEGLI STROMENTI OTTICI 161 Per esprimere le condizioni d’annullamento di quest’ aberrazione pongasi e invece della variabile 9, nelle equazioni (12), e sostituiscansi per le derivate delle p prese rispetto ad e i loro valori già dati, indi posto i=2v-1 e poi î =2yv—2, si estendano le sommazioni da v=1 a v=n, con chè si perverrà alle due equazioni. J.,ma Equazione. WET OE ESc go 1 (GI0I) + UV — Eta Pe QI 5 Ps 5 do Ps do rata Sei (008 1) CCIE) + Qona Pons for Qani Poni — Si Qons Pina — 2n-5 =. An Pn Pn Ana Pn (1) (1 (A)a(0]) POR - QP, | »Pa- QP O, "aa" 2 E 1 o°p° 1 op h, (1) _(2) { SIRO, de a 3 24 aa 3 5 5 a 21) (1) (1) [| (4) (2) lin (4) (2) 1 (4) (2) ) — Qans Pons = ILE Bra n an-s Pens — ghe Qin Pin-1f (1) (1) 1 (4) (2) { (4) (2) +0ana Pani 1, Osna Pino no Lo = An Pn n d’ ordine, i fuochi coniugati dei varii raggi componenti un pennello luminoso si possono considerare, entro questi limiti d’ approssimazione, come coincidenti in un sol punto: ma non è più lo stesso quando si debba tener conto delle quantità di terz’ordine in confronto di quelle di primo, come è d’ uopo di fare pel calcolo delle aberrazioni. Questo è il motivo per cui le formole, fondate sopra un’ equazione generale nella quale l’influenza dei raggi situati in piani secanti l’asse centrale è stata preterita; come in quella assunta dal Lagrange, ‘o sopra equazioni dalle quali la detta influenza è stata esclusa dal bel principio, come in quelle del Gauss, non possono applicarsi ad una valutazione completa degli effetti degli stromenti ottici . I due soli Autori venuti a mia cognizione, che, trattando la Teoria degli stromenti ottici, hanno rappresentato il corso d’ un raggio luminoso con due equazioni, vale a dire non in un piano, ma nello spazio, sono il sig. Biot nell’ opera già citata, ed il celebre Gauss in una Memoria fra quelle del Tomo I (nuova serie) della R. Società di Gottinga, e della quale il dotto Prof. Bravais ha pubblicato recentemente una traduzione francese; ma nè l’uno, nè l’altro di questi Autori hanno condotto abbastanza avanti l’approssimazione delle loro formole da far emergere la necessità d’aver riguardo ad ambedue le dette classi di raggi. 162 NUOVA TEORIA 2.00 Equazione. (1) (2) 2: (4) (8) ua a, (4) (2) { (4)_(2) II PI Mo 1 Pa (1) _(2) î e) (4) Si 1 (4) iu O, P, petra P; = P, gesti 5 55 5 . (4) (2) 1 (1) (2) In—2n_1 (4) (2) Î (1) (2) 37 ana Pina E Pn on-1 Ton-a — iii an-2 tana Ti da: PA 2n-5 ci (1)_(2) 1 (1) dE h (2) ap pyinlià Al UP: {-_Q 10; (38) 1 p Dad p 1 (1) _(?) fr; 0; P; i Q, P "0, P 0. P. | da Pz da Pa (4) (2) 1 (4) (2) h (4) (2) 1 (4) (2) _ Kan-5 Fan-s f an-a Pona — 3 an-3 Pons — 5 Oon-a dS Ina Pn n-1 n-1 Pn-1 (4) (2) 1 (4) (2) 1 (1) (2) fi + Qoni Pini I n an-2 Fano ar Qsn-s di F ENI 0 Per semplicità si è tolto a tutti i termini di queste equazioni il fattore a, p,. ò. Equazioni per la distruzione d’aberrazione di campo. La terza variabile 4, la quale, secondo le denominazioni introdotte colle formole (9) del Capitolo I, ci è data da Yo 2! do &= He ©? rappresenta evidentemente il quadrato della tangente dell’angolo che il raggio visuale, condotto dal centro di figura della superficie obbiettiva al punto rag- giante, fa coll’asse centrale. Se il coefficiente di questa variabile nelle equa- zioni (8) non fosse nullo ne risulterebbe in esse un’ errore corrispondente ad un’ aberrazione, che sarebbe nulla se il detto punto fosse situato sull’ asse centrale, e quindi veduto nel centro del campo dello stromento; ma comince- rebbe ad esistere ed anderebbe aumentando di mano in mano che il punto medesimo si scostasse dall’asse centrale, e fosse veduto più lontano dal detto DEGLI STROMENTI OTTICI 163 centro. Chiameremo quindi quest’ aberrazione, dipendente dal luogo che occupa nel campo dello stromento l’immagine del punto radiante, aberrazione di campo. Per ottenere le equazioni esprimenti che il coefficiente delle £ è nullo nelle equazioni (8), bisogna porre 9 = & nelle (12), e dopo aver estese le som- mazioni nei limiti sopra indicati, sostituire per le derivate relative a questa variabile i valori che abbiamo riferiti nel Capitolo precedente. Si consegui- ranno in questo modo le due seguenti equazioni. J,ma Equazione. (EAT ARE Po 7 = (P.) Rea (3) Q—t (2) 1 1) 2} O, P, rali ) 75 "= :(P. ) a 7 ) () (41 GN a uN [ (NE +0, P, Fade QUESTO | sE (a (Pm) — C20 (Pn) — (e. An Pn Pr io) O O£ 08 Ryo de GP aa t xa) fa sull: ) I . . Sa Qi Più; Li (Pa Tm (Choi F (ON An-1 Pn (1) 1 spa) () N? ARDA) () 2 peSA, = Si) + Pani fap Qui (Pon) — 3 O (Pon) DS] (2) Scienze Cosmolog. T. IV. 164 NUOVA TEORIA 2.40 Equazione. (2) 1 (4) (2) 2 1 (5) (2) 2 ) 1 nr Pini = Pn (A RE) uri 2.2 Qana (25 | cla 3g 0 1 2 In queste due equazioni è stato tolto il fattore 3 a°, 4. Equazioni per le correzioni d’aberrazione cromatica. L’aberrazione cromatica dipende dai termini delle equazioni (8), che con- tengono la variabile 6. Acciò quest’ aberrazione manchi, la somma di questi termini deve essere nulla. Bisognerà pertanto che, cambiando 9 in 8 nelle equazioni (12), indi sostituendo per le derivate rispetto a quest’ultima varia- bile i loro valori precedentemente dati, ed estendendo le sommazioni, come si è fatto rispetto alle altre variabili, sussistano le equazioni: d,ma Equazione. (4) _®bp,—1 ING NAS OO TAR I AIB I RIMANI ER ZII Pa Pa Pn (Ob, (AO) DA (1) La | +Q Pi la n? + Q5 Polis ecc +-Oans Pins lin O — Qon-a Panna pe + 0 Lar da dn dn DEGLI STROMENTI OTTICI 165 2.40 Equazione. ()bi=D RIols=i (1) MIS 2 : : al; Q, P, eci see ceo tr Qon-a pr la 2 5 n (1) (2) b, b, (3) (2) 2 Pi b b SL EC uz) oe Ra is, 23° da Le otto equazioni che abbiamo formato per le quattro specie d’aberrazione sono abbastanza esplicite per essere facilmente applicabili ad ogni caso. Infatti non rimane più altro a fare che sostituire, per ogni dato valore di n, in luogo delle P e Q le loro corrispondenti espressioni composte colle regole spiegate nel Capitolo IV, Parte I, e nell’articolo 6 del Capitolo II, Parte II, e si vedrà colle seguenti applicazioni che, omettendo nelle dette espressioni le quantità che si considerano come di second’ordine, i loro valori risultano in varii casi assai semplici. (Le applicazioni si daranno nel Tomo seguente) —sees Q ssee— sta Pai di = pl Ù \ i di mà = saga lun Î.. N Più i i N 4 PIÙ » 4 N da CP "i + } 0° . -” si : : ee eg rv i 1 } A Ù n y Li sal Vedi : » È : 4 £ % b4 CON ke : i; 4 A "i \ vo Dini vai "> . n cda} 5 x * dl : ù d (almprgla cano lap omrterizti 13 matto nigi ) i. ° , »- aa ®* DI LU ii Pi » RP e fa, f > AR st r» a i - ù 3 da DI Id 4 ta =. » var imai si w La . PO F k x La È n: ala h Sab 4 pa Ù 3 9 “ DA he £ o Li i. ®. i - INDICE DELLA PARTE SECONDA FeLici R. Sulla Teoria matematica dell’induzione elettro-dinamica. Terza:MemoriasT.. air een rio ba a... Note» AAA SITI) e) 055 Lor Bo dd; sede Marteucci C. Sullo stato elettrico indotto in un disco metallico ruotante in presenza di una calamita . . . ... ; Esperienze e risultamenti ua D'adda e Platt È DE Casi particolari . . . . + È Sao Influenza della velocità di I odisione del ana villa distribuzione: dello slaloneletlricomindotto ivo ali n Mossorti 0. F. Nuova Teoria degli Stromenti Ottici . Preliminare PARTE PRIMA ANALISI DEL CORSO DI UN RAGGIO DI LUCE CHE ATTRAVERSA UNO STROMENTO OTTICO. Cap. I. Equazioni generali. 1. Idea degli stromenti ottici, ed esposizione del o dalla cui risoluzione dipende la loro teorica . . 2. Incontro del raggio di luce colla prima ui e nea zione analitica delle formole del Sig. Biot - 5. Incontri del raggio luminoso colle successive blico Mifiancanti. Cap. JI. Riduzione delle formole precedenti ad una forma conveniente per la Joro risoluzione. 1. Riflessioni sullo scopo delle ricerche ‘da farsi c 2. Distinzione degli ordini di grandezza delle punt Gt di formole precedenti. . . . MR» - 5. Espressioni approssimate delle na dei puri in cui îl raggio incontra le superficie rifrangenti . . . 4. Espressioni approssimale dei coseni degli angeli ci it fuga Diam noso fa cogli assi delle coordinate all’uscire da ciascuna delle super- ficie rifrangenti. . + 168 CAP. III. Risoluzione delle equazioni che somministrano i poni tanto delle coordinate yn; n, quanto dei coseni degli angoli Y, e Z,, in fun- zione delle rispettive coordinate yo, Zo; %; € z, del punto radiante e del punto d'incidenza del raggio luminoso cola prima superficie rifrangente. 1. Indicazione del metodo di risoluzione ed ordinamento delle pra 2. Risoluzione delle premesse equazioni . . . È 3 . 5. Valori delle coordinate del punto d’ incontro d'un raggio Visndzo con una superficie rìîfrangente qualunque del sistema, e dei coseni degli angoli che ne assegnano la direzione all’uscire dalla medesima 4. Trasformazione delle equazioni precedenti introducendo le coordi- nale del punto radiante dell’oggetto in luogo degli angoli, che la direzione del raggio emanato dal medesimo punto fa coi tre assi RE ENGO DILATA LEA RR A IT I-II (ON) Gap. IV. Digressione sulla forma e sulle proprietà delle funzioni P, , P), . Cap. (IT) 1. Regola pratica per la composizione delle a A > Mi corri- spondenti ad un indice qualunque ) . 2. Deduzione dei coefficienti, con indici sottoposti minori n ì, 2 1 (2) quelli già formati e completi di P., , PL / 20 L0+0.0 4 (1) a) (Ohzl) 5. Relazione notevole fra î quattro coefficienti P, LINEE 3 P, 4. Notazione più generale delle funzioni P, e ani decompobiz sione vò. Usi delle formole dell'articolo precedente, ed espressioni delle deri- 1 2 cate P), e P), rispetto ad un’ elemento pi qualunque 6. Invariabilità delle si N invertendo gli indici degli Mementi 5 1 ( 7. Proprietà delle funzioni na dedotte da quelle delle P. PARTE SECONDA PRIMA APPROSSIMAZIONE. = I. Proprietà generali degli stromenti ottici. 1. Motivi di premettere questa seconda parte . . . . - ER 2. Equazioni che pig il corso del raggio luminoso ati dallo stromento. . . . ò a 5 5. Fuochi conjugati dei raggi emanati ia un nia Tail oggetto; È formazione dell'immagine di questo. . . . . . .- 4. Circolo anulare del Sig. Biot. . . . . erfara to Wton d 5. Condizione generale a cui deve soddisfare uno nani ottico per dare la visione distinta delle immagini degli oggetti, e posizioni delleTmedesinieli Gi cia e IA: 6. Amplificazione . 7. Legge ottica del Lagrange, e sua ci lla misura i dell'a am- plificazione . . > 8. Principio su cui si fonda il aio 0) na dell e cazione degli stromenti ottici . . ./././.0.0.0.+ 9A DinametnonMe e Wa, Cee SNO a I 10: Chiarezza. 2 e a I O EI 0 e A RT» 11. Campo . . . . Pa5. ivi ivi 74 75 Cap. II. Applicazioni. 1. Una sola superficie hn=1. LL... ZaDuetsupericie n= 200000 n n 5. Assi dei pennelli luminosi; centro ottico di una lente 4tMicroscopio semplice. . ....C.0.. pc aa 6. Riduzioni di cui sono suscettibili le funzioni Pr, nel caso che si trascurino le grossezze delle lenti. ././././.0.0.. 7.n=4 Telescopii di Galileo e di Kepler . ezio 8. Formola, che dà la relazione fra la distanza delle e "nilcan e la dimensione lineare d’un oggetto, misurata col dinametro di Dollona Cap. III. Analisi degli stromenti composti, ed analogie delle loro proprietà con quelle degli stromenti semplici precedentemente considerate. 1. Formole esprimenti le coordinate del fuoco conjugato d’uno stro- INEDITO QUAlUnqAUE AN SIE CIO RO E N 2. Aggiustamento dell’oculare negli stromenti ottici. ....... . 5. Decomposizione degli stromenti ottici in due sistemi. Espressione generale dell’amplificazione d’unò stromento ottico aggiustato alla vista d’un osservatore qualunque. . . 4. Modificazioni da farsi alle formole aprimeni gli effetti degli stro- menti ottici valutati per un’ osservatore di vista normale per tra- durle in quelle relative ad un’ osservatore di vista qualunque . . PARTE TERZA SECONDA APPROSSIMAZIONE. Cap. I. Equazioni di condizione acciò siano distrutte le aberrazioni in uno stromento ottico qualunque. 1. Causa delle aberrazioni. Mezzo che somministra l’Analisi per eli- dere il loro effetto negli stromenti ottici. . . . = a . 2. Equazioni generali da soddisfarsi per elidere gli effetti delle oe SUI AS So ono g0 10 O 0 RR RO 5. Distinzione delle variabili indipendenti rispetto a ciascuna delle quali le premesse equazioni devono essere soddisfatte. . . . . . 4. Forma comune delle equazioni parziali in cui si spezzano le equa- ZIONIFGENETANI (O) CO RA Cap. II. Espressioni delle derivate delle quantità contenute nelle equazioni generali (12) applicabili al calcolo d’ una aberrazione qualsivoglia. 1. Derivate delle quantità A; , cos ai sasa va Y, 8, e vy rispetto alle variabili E, e,t,e0... . SEAN SE IR 2. Formole esprimenti le derivate delle p per mezzo di quelle ottenute nell'arlacolo@precedente (NON E egli Cap. INT. Equazioni che devono essere soddisfatte ino per cia - scuna specie d’aberrazione acciò uno stromento ottico sia esente da essa. 1. Equazioni per l’annichilamento dell’aberrazione d'apertura . . 2. Equazioni per correggere l’aberrazione diedra. . . ..... 5. Equazioni per la distruzione d’aberrazione di campo . . . . +. 4. Equazioni per le correzioni d’aberrazione cromatica . . . . +. » 159 155 156 158 160 162 164 vi sagra leno miao DI epnto "om 0 sola tia, inatnetha, She : 7 4 , noel Ratio ceto ed pl goa fi Sus LI a Blina riata beme ni “lia ani aldo A niùss a rapualtagn” stria eran Lia Menia i Rei, Ve POP pa vi ava Neat mia do Reni, perde: «re it vt slern'loa Satis db evuti sio a Pai PELA vid * è FEOCKAULIRSAPIA 44 nossa K É e À ha tpolzerinto hf addotte dash die a salati ib intagli n vide murpuusacdnez ere, atea silvi ai i 14029 pvtali.itronnio Ag: gt Ania i) UPPR | Pil (9, ty Vale ini ia vorpsi n a n Mntai ulua al IIIAAZETI bucpisng A -£ ra À E a 7 RAMI pei iaia, ta 3 eolie WI munita; o ati re Mm vgtimgiogi, ili tarpen Milla vadicari Li ? x tpgé —» dI RI Tlo8, pina ona] viufavnegi “animi Varg er furva DI db SETTI Va gen ni ale Riel AA SIC), prio Ando sb do E US 2a va Satira MA . x LA ro ingl. Ne inatclaà, alia sdevarnio, dpi teevp Vv alati, obid paterni dame. piTà | Pa sunnrtalo pui "la è 'anteg [PRETE si UDC RI} Hayes” ‘D 3 f. put % % ì x sf dii st ch Mi i atri soli ld A - L'A : LIETA deea N nata si: Pisa birra ito aiisoa Li IA, er celo » STIRO i : n Tip Soto n % tialziibina * tè cate agfa Topino! Li ao ì ètooaro Ti iL ei ‘saga taste he dara PIET "Va aa » pa gr bieten A ni de Mbprveto 1 vergorivio Mai lrsiierain L'A v rg Lig 84 ‘* sbtert i Tai lecipispi è li v == > inolarevvio è insisntin Mi vej nz & NARRANTE n° enezzo ca “Tomo LL i Paoli 18°]; pari a Fr. 27. 30. aroma: Il 18510 30° a 16.480. Tomo II. 1854 — >» SIA: Homo IVtas5b a » 9.52 | C o i fa olo do sio o co ga da ) AI G JA DA PANDA P'AGIATIEND'ANG VARI A Al APAGI 7 R9 (© G ( © ( D S DIA Ò SC : È LIA Sa 6 9 7 ( © 7 «AN, £, 3, A DE n I ai DIL } 4 DTA DIG Co > di = O ito LO R Ol © O è po a © LD )AO i > JO: È KUO( «ie © 16 a eo, 4 " g DD, 3 AAC a l@ N © SÈ d Ù O SS HC so S < 3 Ò 4 dp G G C °)a È ON È © 9 600 DIS SZAIADEN AL DES d LOS de Ti; AND VAS, D) DANSASCA ENCENE : SBICHAA sto n È TO 9 CIÒ CIA O) Ver TSE OR sE x ET AZIO E ca #4 . "3 ARI arri = AERNTA n > "=" é NO: d Q 2 d dà È ST 40) OD O, pad ISP. 5 T Ep Eu VANSTANCIANI DI SNA Ng G > 5 HEANTEN De de j; % 3 A KNANI : NÉ D da ri È X È SEARA bi WRFITEE SA