PUBBLICATI DAL “Pror. ROMUALDO PIROTTA | Direttore del R, Istituto e del R. Orto Botanico di Roma VOLUME PRIMO CON XIV TAVOLE E 34 INCISIONI NEL TESTO — ROMA. è TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1904. At » UU © Less ELA da A 5 , arl 20 dae PURA « i j < Roe ppi EU ASI Pi AL LETTORE Col volume decimo si chiude la serie dell’ EAmadri del It. Istituto Botanico di Roma (1) da me fondato nel 1884 È e che contiene numerose pubblicazioni nei vari rami della | È x Botanica fatte sotto la mia direzione nell'Istituto GSi. SI di Roma o da altri non appartenenti all'Istituto con ma- o teriali di proprietà dell'Istituto medesimo. | Ragioni di diversa natura, fra le quali non uni i desiderio ripetutamente espressomi di poter. pubblicare nel periodico da me diretto anche lavori eseguiti da chi non si _ trovava nelle condizioni sopraindicate, mi hanno indotto ad. RBTARE SDA; in luogo di una seconda serie di volumi deli ANNUARIO, una pubblicazione nuova, in formato diverso, = col titolo di ANNALI DI BoTANICA. In essi potranno trovar. posto lavori in qualunque campo della Botanica scientifica. po e delle sue principali e più immediate applicazioni. Oltre. a lavori originali potranno essere pubblicate riviste ana litiche Ai singoli lavori di importanza speciale e riviste sintetiche intorno alle principali questioni che si dibat: i tono nel campo. della botanica, 7% COR 1) Dei dieci volumi 'VITI (Flora della Colonia Eritrea del prof. R. PiroTTA) eil X (Flora Romana del prof. R. Porta 6 del dott. E. CHIOVENDA) sono. in corso di pubblicazione. I volumi finora pubblicati POPAEnIoNo: 2497 paghi con. tavole 150, Ta i PRATO PUBBLICATI ip; i DAL me O Sale e cPror. ROMUALDO PIROTTA Li ( i Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma i "I n fr VOLUME PRIMO a CON XIV TAVOLE N ; E 34 INCISIONI NEL TESTO be | LIBRARY Ri NEW YORK NK BOTANICAL GARDEN ROMA lIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA q43- 1904 F ; INDICE PER AUTORI SA ta METIN PR : a " » Le) SEZ a”. ARMARI B. — Contribuzione allo studio dell’influenza del clima e della stazione so- pra la struttura delle piante deila regione mediterranea, pag. 10 (Tav. ID. n BACCARINI P. — Notizie intorno ad alcuni documenti della De Botanica Fio- rentina del 1716-1783 ed altre sue vicende, pag. 225. BiunoT A. — Materiali per una Monografia del genere Myosotis L. pag 275. » — Nota sopra una specie di Diplotaxris della flora italiana, pag. 305. . BeLLI S. — Euphorbia Valliniana n. sp., pag. 9 (Tav. I) BoseLLI E. — Contributo allo studio dell'influenza dell'ambiente acqueo sulla Sa forma e sulla struttura delle piante, pag. 255 (Tav. V-VID. : CaRrANO E. — Contribuzione alla conoscenza della morfologia e dello sviluppo del fascio vascolare delle foglie delle « Cicadee » (Tav.VIII-IX). — Sulla particolare struttura delle radici tuberizzate di Thrincia tuberosa PR N D. C. pag. 199 (Tav. V). È bi CerIca ManGILI G. — Sulle modificazioni di struttura che la luce determina È «_—’mel mesofillo delle piante a foglie persistenti, pag. 811 (Tav. XII, XIII, ‘e a* XIV). CHiOvENDA E. — A proposito dell’erbario di lean do Cibo, pag. 19. — Sul nome di alcune felci nostrali, pag. 208. CorTESI F. — La Serapias occultata Gay nella flora romana, pag. 105. — Studi critici sulle Orchidacee Romane. I. Le specie dro genere Orchis (con ti- gi gure nel testo), pag. 148. — Studi critici sulle Orchidacee Romane. II. Le specie del genere Serapias, pa- gina 213. — Una nuova Ophrys ibrida: X Ophrys Grampinî (0. aranifera X tenthredi- nifera, pag. 359 (con figura nel testo). ia LoxGco B. — Sul Pinus nigricans Host, pag. 65 (Tav. III). — La nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per. mezzo del tubetto pollinico, pag. T1. x | — Appunti sulla vegetazione di alcune località di Calabria Citeriore, pag. 85. — Aggiunte alla nota « La nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per | mezzo del tubetto pollinico > (con una figura nel testo), pag. 207. D) — Intorno ad alcune Conifere italiane, pag. 828. PAMPALONI L.— -T PSE E aflocine ei nel cellule meristemali degli a vegetativi di « Psilotum triquetrum », pag. 75 (Tav. IV). ‘ Pampanini R. — Care Nicoloffi (Carex riparia Curt. forma ramosa X Car sol) stricta Good), pag. 135 (Tav. XI). ur, PirorTA R. — Un altro Erbario di Liberato Sabbati, pag. 59. * — Ricerche èd osservazioni intorno all'origine e alla differenziazione degli ele- menti vascolari primarii nella radice delle MONPEIREA DI pag. 43, 345 (con. Di figure nel testo). i cis — Cytisus Adami Poir, pag. 105. ì SR I — La flora Eritrea, l’Erbario e it Museo Coloniale, pag. 107. a — I canali mucipari delle Cyelanthaceae e delle Hypoxidaceae, pag. 301. 3 Pirorra R.e Lonco B. — Sullo sviluppo del seme del Cynomorium coccineum, O) pag. 5. È Rossi C. — La tossicità dei Sorghi come salgo fresco, pag. 255. Trorrer A. — Contributo alla conoscenza del sistema secretore rin ‘alcuni tes- suti prosoplastici, pag. 125 (con 5 incisioni nel testo). — Intumescenze fogliari di “ Ipomaea Batatas ,, pag. 362 (con figura nel testo). Notizie ed appunti, pag. 63, 107, 211, 303. Il fascicolo 1°, pag. 1-64 fu pubblicato il 15 maggio 1903 » 20, » 65-108 » » ——. 50 giugno 1908 Ser » 39, » 109-212 » » 30 dicembre 1903 da: » 45, ‘»218:5804 » | >. 28 aprile 1904 pa, » 5°, » 305-364 » » 28 dicembre 1904 “ i ANNALI DI PUBBLICATI DAL Pro. ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma ROMA. — PRES TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1908 nei A RO AL : ad CETO MAR q° \ VIE si 1g Si Gli Annali di Botanica si pubblicheranno. a fascicoli, ù in tempi non determinati e con numero di fogli più tavole non determinati. Il prezzo sarà indicato nu- mero per numero. Agli autori saranno dati rt i tamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia Tyre ae zie d chiederne un numero maggiore, paco le seme i plici spese di carta, tiratura, legatura, Rep or Bi ne Fregi 91 Da Gli autori sono responsabili della forma e ‘del conte via > nuto dei loro lavori. AMC ER Ùi dd i HAI 1 SARI o N.B. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al Foa o Li prof. R. PirortA, R. Istituto Botanico, Panisperna 89 B. — ROMA. ANNALI DI BOTANICA — PUBBLICATI DAL Pror. ROMUALDO PEROTTA Direttore del R. Istituto e del R_ Orto Botanico di Roma INDICE PiroTTA R. — Al lettore. 1. PirrotTA R. e Lonco. B. — Sullo sviluppo del seme del Cynomorium cocci- neum, pag. 3. 2. BeLLI S. — Euphorbia Valliniana n. sp., pag. 7 (Tav. I). 8. Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma: — IV. ARMARI Dr. BEATRICE. — Contribuzione allo studio dell’influenza del clima e della stazione sopra la struttura delle piante della regione medi- terranea, pag. 15. 4. PirorTA R. — Ricerche ed osservazioni intorno alla origine e alla differenzia- zione degli elementi vascolari primarii nella radice delle Monocotiledoni (con figure nel testo), pag. 40. - 5. CHIOVENDA Dr. E. — A proposito dell’ Erbario di Gherardo Cibo, pag 48. 6. PrrortA R. — Un altro Erbario di Liberato Sabbati, pag. 60. Notizie ed appunti, pag. 63. ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1903 AL LETTORE Col volume decimo si chiude la serie dell’ Annuarzo del È. Istituto Botanico di Roma (1) da me fondato nel 1884 e che contiene numerose pubblicazioni nei vari rami della Botanica fatte sotto la mia direzione nell'Istituto Botanico di Roma o da altri non appartenenti all'Istituto con ma- teriali di proprietà dell'Istituto medesimo. Ragioni di diversa natura, fra le quali non ultima il desiderio ripetutamente espressomi di poter pubblicare nel ‘periodico da me diretto anche lavori eseguiti da chi non si P 8 trovava nelle condizioni sopraindicate, mi hanno indotto ad intraprendere, in luogo di una seconda serie di volumi del- l’AnnuARIO, una pubblicazione nuova, in formato diverso, col titolo di ANNALI DI BoTANICA. In essi potranno trovar posto lavori in qualunque campo della Botanica scientifica e delle sue principali e più immediate applicazioni. Oltre a lavori originali potranno essere pubblicate viste ana- latiche di singoli lavori di importanza speciale e riviste sintetiche intorno alle principali questioni che si dibat- tono nel campo della Botanica. Particolari cure saranno dedicate alla Storia della Bo- tanica in Italia e alla conoscenza dei progressi della Flora italiana. (1) Dei dieci volumi ’VIII (Fora della Colonia Eritrea del prot. R. PirRoTTA) e il X (Flora Romana del prof. R. PrroTTA e del dott. E. CHIOVENDA) sono in corso di pubblicazione. I volumi finora pubblicati comprendono 2457 pagine con tavole 150. gn fascicoli Io scopo di evitare i lunghi rit È n spesso portano con sè le pubblicazioni, sno period voluminose. Roma, 31 dicembre 1902 ‘Prof: R:_Promai Ki e A ei ra e = eIeltttTiTIElEllmwmulleeellele. —___ —— —_ —__ ED CREAVA RISFNSINSAFINIERS INS ININSDSI SNANANINSSI Sullo sviluppo del seme del Cynomorium coccineum L. dei prof. R. PiroTTA E B. Loxco Il Prof. Juel in una sua comunicazione sullo sviluppo del seme del Cynomorium (1) ricorda il nostro lavoro sullo stesso argo- mento (2). Constatiamo con soddisfazione che l’autore riconosce esatti i risultati più importanti e nuovi da noi messi in luce. Soltanto egli fa alcuni rilievi intorno: 1° allo sviluppo del sacco embrionale; 2° alle antipodi; 3° alla suberificazione da noi descritta. Noi non entreremo a discutere le osservazioni dell’autore che non ssi riferiscono a questi punti, limitandoci a dimostrare che gli appunti mossici non sono fondati. Quanto al primo appunto, se il Prof. Juel intende che la esposi- zione da noi fatta fu superficiale perchè non descrivemmo i processi di segmentazione dei nuclei, rispondiamo che lo facemmo unicamente perchè ciò non aveva relazione stretta con l'argomento che ci occu- pava ed anche perchè in realtà nulla vi era a questo proposito che non fosse già noto. — Resta il modo di segmentazione della cellula madre del sacco embrionale. Secondo noi, avvenuta la prima segmen- tazione della cellula assile sottoepidermica, delle due cellule figlie la (1) JueL H. O., Zur Entwickelungsgeschichte des Samens von Cynomo- rium. Beih. z. Bot. Centrbl. Bd. XIII, Heft 2, (1902), pag. 194. (2) Pirorta R. E Lonco B., Osservazioni e ricerche sul Cynomorium coccineum L. (Nota preventiva). Atti d. R. Accad. d. Lincei. Vol. IX, fasc. 5°, 1° sem. (4 marzo 1900), pag. 150. l Ip. Ip., Osservazioni e ricerche sulle Cynomoriaceae Eich.. con consi- derazioni sul percorso del tubo pollinico nelle Angiosperme inferiori. Ann. d. R. Istit. Bot. di Roma. Anno IX, fasc. 2° (1901), pag. 97. i Sal por ad Pd » PELA VA CIR ; Cotta pas T vu la DI ‘ Ù LADIES superiore passa allo stato di riposo e la inferiore torna a dividersi, di. modo che sì viene a formare, in definitiva, una serie di tre cellule so- vrapposte. Secondo il Prof. Juel, in vece, avvenuta la prima segmen- tazione, entrambe le cellule figlie contemporaneamente si dividereb- bero, e la divisione della inferiore sarebbe trasversale, quella della superiore longitudinale, di modo che si verrebbe a costituire un gruppo di quattro cellule (le sue tetradi). Noi non vogliamo negare che questa divisione, che, come rileva lo stesso Prof. Juel, sarebbe rara, possa benissimo anche presentarsi; però in tutti i nostri pre- parati abbiamo sempre trovato le tre cellule descritte e figurate, ed abbiamo sempre osservato avvenire lo sviluppo come noi lo abbiamo descritto. Più grave sembra essere l’appunto fattoci relativamente al modo di comportarsi delle antipodi. Noi dicemmo che le antipodi si molti- plicavano formando un gruppo di cellule che si addossava all’endo- sperma. Il prof. Juel in vece ritiene che esse non si dividono mai. — Indipendertemente dal fatto che il Prof. Juel non ha seguito, come noi, lo sviluppo successivo delle antipodi, resta la osservazione da noi fatta e descritta della segmentazione cariocinetica delle antipodi stesse, e questo fatto è la dimostrazione più convincente che esse realmente sì moltiplicano. Del resto, siccome la moltiplicazione per via cariocinetica di queste antipodi è un fatto che devia dal caso ge- nerale, è naturale che esso sia stato da noi descritto soltanto dopo averne acquistata la piena certezza. Gravissimo poi sarebbe l’ultimo appunto, perchè il Prof. Juel crede che noi abbiamo scambiato i tessuti, che da ultimo si suberi- ficano, con quelli appartenenti alla nucella, commettendo quindi anche l’errore grossolano di far suberificare un tessuto che poi ver- rebbe riassorbito! — Questa sua credenza però è fondata da una parte sopra un errore d’interpretazione del nostro scritto; dall’altra dall'aver riportato tradotta una sola parte di un periodo; e poi anche da non aver impiegato il reattivo colorante da noi usato (Sudan 111). In fatti, dopo aver noi descritta la suberificazione prima della re- gione inferiore dei cono e poi dello strato interno (endodermide del Juel) del tegumento, noi scrivemmo testualmente: « Finalmente nella regione calaziale le pareti delle cellule si suberificano pure e forte» mente, formando un’altra specie di tappo conico con l’apice sporgente nell’albume, e la suberificazione procede dalla periteria verso il centro in modo da lasciare in principio un gruppo centrale di cellule, che sì suberificheranno soltanto quando embrione ed albume saranno com- pletamente sviluppati. — A questo punto, adunque, l’albume e l’em- brione sono completamente avvolti da una specie di involucro su- “a : di ge berificato ». Da ciò risulta chiaramente che le parole « la suberifi- cazione procede dalla periferia verso il centro » sì riferiscono alla formazione di questo cono calaziale (1). Il Prof. Juel in vece, nel modo con cui fa la citazione (vale a dire saltando di piè pari tutto ciò che si riferisce alla suberificazione della regione calaziale e ci- tando il nostro periodo a metà — (ecco le sue precise parole: Die Werkorkung schreitet von der Peripherie gegen die Mitte hervor, so dass anfangs eine centrale Gruppe von Zellen iibrig bleibt, die erst dann verkorkt wird, wenn der Embryo und das Endosperm vòllig entwickelt worden sind. Zu dieser Zeit sind somit Endosperm und Embryo con einer Art verkorkten Hiille giinzlich umschlossen) — fa: vedere chiara- mente che egli ha frainteso, riferendo la suberificazione non alla regione calaziale, ma ai tessuti della nucella. Evidentemente dun- que noi non abbiamo commesso i due errori che ci vengono arbitra» riamente attribuiti. Alla nostra volta crediamo però di dover fare rilevare che il Prof. Juel non parla affatto di questa suberificazione; che, se egli avesse seguito il metodo da noi indicato, avrebbe anche trovato la suberificazione precisamente come noi l’abbiamo descritta ed in parte anche figurata a colori (cfr. fig. 30 del nostro lavoro), e non avrebbe neppure potuto supporre che la corrente trofica passerebbe non solo, come noi scrivemmo, per la regione calaziale, ma anche, come egli ritiene, per lo strato interno del tegumento, poichè, come è ben noto, le pareti suberificate sono certo le meno appropriate per gli scambi osmotici. Roma, 15 dicembre 1902. (1) Anche nella nostra Nota preventiva del marzo 1900 (pag. 152) avevamo scritto: « Appena nel sacco embrionale si osservano i primi fenomeni dimo- stranti l’avvenuta fecondazione, le cellule inferiori del cono, quelle cioè im- mediatamente a contatto con la nucella, suberificano la loro parete. Di più il processo di suberificazione si estende, benchè molto più debolmente, anche alle altre pareti, interne, dello strato interno del tegumento, meno perciò natural- mente fino a questo stadio alla regione calaziale. — Sviluppatisi poi l'embrione e l’albume, anche le pareti delle cellule della suddetta regione calaziale si su- berificano fortemente venendo nell'insieme a formare un cono sporgente con l’apice nell’albume ». Euphorbia Valliniana nov. sp. del Prof. S. BELLI (Tavola I). Questa Euforbia, nuova per l’ Europa, venne raccolta alli 26 di luglio dell’anno 1900 per la prima volta dai sigg. dott. Filippo Vallino, medico a Leynì in provincia di Torino, Ferrari Enrico, conservatore del R. Istituto botanico dell’ Università di Torino e Paolo Carena, studioso ed appassionato cultore della flora piemon- tese, in una gita fatta in Val Macra nelle Alpi Cozie. Nel 1901 alli 6 di luglio, la pianta veniva nuovamente trovata nelle stesse località, o quasi, dai sigg. dott. Vallino e Ferrari, già nominati, in compagnia del dott. Gola, assistente alla cattedra di botanica in questa Università. Uno studio accurato della pianta mi fece ben presto edotto che nessuna delle Euforbie conservate nelle collezioni del R. Istituto botanico di Torino, italiane o straniere, corrispondeva, per i carat- teri fondamentali, alla nostra, ma, non essendo completa la colle- zione del nostro Istituto, mi rivolsi alla cortesia dei sigg. Burnat di Vevey e William Barbey di Chambesy (possessore dell’ erbario Boissier), affinchè volessero aiutarmi nelle mie ricerche. È noto come l Erbario Burnat conti fra i primi d’ Europa per numero ed impor- tanza di collezioni, e che l’erbario Boissier è, senza discussione, il più importante d'Europa in fatto di Euforbie come ne è nota al mondo bo- tanico la classica monografia. Incaricato dal Barbey,il sig.G. Beauverd, conservatore dell’erbario Boissier, si mise pure con gentilezza squi- sita a mia disposizione, ed i risultati delle osservazioni comparative sulla mia euforbia, fatte dai due botanici ginevrini, verrà dato più avanti. Ad essi intanto mì sia qui permesso d’esprimere i più vivi ringraziamenti. a ri e Diagnosi. < Perennis, glabra, glauca, Rerdacea, nana vel spithamea. Caulibus pluribus e radice tenui, longa, fusca, decumbenti-adscen- dentibus, inferne subramosis vel simplicibus, et, more rhyzomatum, squamosis, nec cicatrichosis; squamis ovatis velovato-lanceolatis sensim in folia caulina desinentibus: foliis caulinis ellypticis, vel ellyptico- oblongis, rarius ovato-oblongis, apice obtusis, retusis, vel rotundatis, interdam mucronulatis; umbellaribus ovato-ellypticis, vel ovato-sub- orbiculatis, rarius subdeltoideo-ovatis, apice obtusis, retusis, vel submucronulatis; /loralidbus deltoideis, vel irregulariter semiorbicu- lato-subreniformibus, apice mucronatis vel rotundatis; «mbellae radiis quinis, dein bifidis, adjecto saepe altero ex axilla folioram inferiorum; involucris campanulatis, intus glabris, glandulis rubellis, semilunaribus, subecornutis, vel irregulariter ovalibus, ecornutis, lobis interglandularibus triangalaribus obtusiusculis; capsula [gla- berrima, saepe rubescente, matura oblongo-cylindracea vel subovata, valvis dorso rotundatis, nec carinatis, nec angrlis scabridis; sub vitro fortiori subtilissime granuloso-reticulato-venulosa; seminidbus subel- Iypsoideo-oblongis vel cylindraceo-subcompressis, laevissimis griseo- chalybeis, sulco ventrali et caruncola conoidea. » Affinitates. Ab atftini Euphorbia pauciflora Duf. (DC. Prod. XV n. 651) caule Rerbaceo basi squamoso (nec cicatrichoso) foliis om- nibus plus minus late e/lyptico-oratis (nec stricte, oblongo-lineari- cuneatis), umbellaribus obtusis, non, vel obscure mucronulatis, (nec distinete mucronatis), umbella quinquefida, (nec 2-3 fida) capsala oblongo-ovata (nec obconica), aliisque notis facile distinguitur. (Conf. Bullet. Soc. Bot. de Fr. Tom. VII, 1860, pag. 442). Habitat. In valle Macra, Alpium Cottiarum in Pedemontio, ad orem valleculae dictae di « Fonte Calda » in rupium calcarearum fissuris (m. 940 s/m) nec non in locis dictis « la Costa Secca » supra Angra (1200-1400 m. s/m) et secus viam inter Monte Pertus et Rio Costabella (m. 1800 s/m) mense julio (6-27) leg. Dr. Vallino, Dr. Gola, Ferrari, Carena. i « Speciem hane distinctissimam amicissimo Vallinio medicinae doctori et botanices peritissimo dicavi. » DESCRIZIONE. Pianta (fig. F.) perenne, erbacea, glabra, alta poco più di un deci- metro, o un decimetro e mezzo al massimo, fornita di lunga e sottile radice nerastra, tortuosa e poco ramificata, dalla quale si originano dei fusti sdraiati od eretto-ascendenti (in parte sterili) i quali nella porzione sotterranea od in quella appena sporgente dal terreno, hanno aspetto rizomatoso, sono poco ramificati, spesso rossastri e sono co- perti di squame (fig. E', E") piccole, ovate o lanceolate, pure rossastre o pallide e ad esse fanno gradatamente seguito sul fusto epigeo le fo- glie normali. Queste sono tutte conformi, patenti o subpatenti, ellit- tiche, od ellittico-ovate, per Jo più ottuse od arrotondate all’apice, più di rado leggermente mucronate; quelle sottostanti all’ombrella (plejocasio) sono ovato-ellittiche od oblungo-ellittiche, od ovato-su- borbicolari; talora anche subdeltoideo-ovate, ottuse o leggermente mucronate od arrotondate. Nei soggetti bene evoluti i cinque rami dell’ombrella terminano con an ciazio accompagnato da due foglie subdeltoidee, semicircolari, subreniformi od anche brevemente ovate, di solito arrotondate al- l’apice, più di rado con piccolo spuntone, e dall’ascella di queste due foglie si originano due rami brevi terminati ciascuno da un ciazio ravvolto dalle due foglie supreme conformi alle sottostanti ma più evidentemente mucronulate, spesso rossastre come il ciazio e le capsule. Nelle piante poco evolute, nane, od in quei rami che sono sub- sterili non esiste il ciazio terminale dei raggi primarii dell’ om- brello; ma solo i ciazii delle biforcazioni dei raggi primarii. Talora accade il rovescio (più raramente); cioè mancano le bifor- cazioni secondarie coi ciazii: e non esiste che il ciazio terminale «dei raggi primarii dell’ombrella. Soventi al disotto dell’ombrella ed all’ascella delle foglie cauli- nari più vicine ad essa, nascono rami fioriferi e talora, nei soggetti nani e deboli, l’ombrella è ditre o quattro raggi soltanto. Nei cauli sterili le foglie sono più strette, quasi lanceolate o lanceolate a ro- vescio, ottuse od arrotondate all’apice, e sono più glauche che nei fertili. Accade anche di vedere nei saggi nani (5-7 cent.) i fusti con poche squame basilari alle quali fa seguito senz’ altro l’ombrella colle foglie involucrali sue, senza quasi foglie caulinari evolute, op- pure l’ombrella regolare manca ed esistono solo pochi rami all’ascella di alcune foglie caulinari. L’involucro è campanulato, glabro all’interno e fuori, con quattro lobi interglandulari triangolari, ottusi, od'un po’ acuti (fig. B) quattro glandule rossastre, semilunari più o meno acute alle estremità della semiluna (fig. C), ma prive delle vere appendici involucrali che co- stituiscono le vere corna in altre specie. Talora le glandule sono ir- regolarmente ovali ellittiche (fig. D) e sono allora ottusissime alle estre- mità. La capsula dapprima subglobosa, è, nel suo complesso, quando è matura, subovoidea (immaginando riempiti i solchi intervalvari), più lunga che larga, un po’ depressa alla base ed all’ apice, colle dita ALI! == valve arrotondate, non carenate, perfettamente liscia, e solo al mi- croscopio si presenta minutissimamente granulosa e reticulato-ve- nulosa, e spesso rossastra (fig. A). Gli stili, dapprima più lunghi, o lunghi quanto la capsula, diventano, a maturanza, più brevi di essa, liberi. i I semi sono subellissoideo-ovati o cilindrico-compressi dal lato ventrale (rafeale) e quivi solcati, di color grigio acciaio (quasi prui- nosi e con caruncola conica. OSSERVAZIONI. L’aftinità dell’ Euforbia paucifora Duf. colla nostra è già stata segnalata più sopra dopo la diagnosi. Alcune altre Euforbie hanno dei punti di contatto con essa, i quali vennero, assieme a quelli della sopra citata specie, chiaramente rilevati dal Burnat e dal Beauverd, che le studiarono nei loro erbarii. Traserivo letteralmente i periodi delle loro lettere che riflettono questo studio comparativo. E. Chamabuxus Bern. — Scrive il sig. Burnat: « Comparé à lE. Chamebuxus votre nouvel Euphorbia en diffère par ses ombelles è rayons plus nombreux, les feuilles des verti- cilles ombellaires plus larges (plus larges que longues, non subel- liptiques) ses capsules lisses non munies de crétes éparses inégales; les graines d’un gris d’acier subellypsoides (non brunes et subovoi- des, moins allongées). L’ E. Chamaedurus vient dans les rocailles ou debris de rochers! Ses souches sont très allongées. Je ne puis com- parer ici à votre plante dont les souches me manquent. » E. capitulata Rchb. « Quant è lE. capitulata il a des fleurs so- litaires (aucun de mes nombreux échantillons n’offre deux fleurs: du reste Visiani l’avait nommè E. soliflora): les feuilles des verti- cilles ombellaires sont plus larges dans votre plante et les capsu- les dans E. capitulata sont munies de papilles ou verrues bien devé- loppées, etc. Du reste le port des deux espèces certainement très voisines, dont je viens de parler (E. Chamedurus, E. capitulata) est très semblable à celui de Vl E. Valliniana ». E. pauciflora Duf. « En terminant je dois cependant vous signaler une autre espèce, c'est 1 E. pauciflora Dufour, décrite par Boissier (in DC. Prod. XV p. 164) Willk. et Lange (Prod. fl. hisp. III p. 500) et dont la description princeps est dans le Bu42. Soc. bot France 1860, p. 442. Ces trois descriptions diffèrent un peu sur divers points. Je possède ce rare Euphorbia de Loscos (Series fl. exsice. Arrag. cent 2, n. 48): 4 exemplaires à peine en fleur et assez incomplets, et du musée de Génes des doubles de l’ herbier Bubani, 2 beaux Pa ' exemplaires en fleur, mais sans aucun fruit. Le port et tous les autres caractères, me paraissent étre ceux de lE. Valliniana ‘les deux plantes ont des capsules et des graines lisses) mais lE. pau- ciflora a les feuilles inférieures lineaires-oblongues; les moyennes et supérieures étroitement oblongues ou oboblongues et plus larges que les inferieures, mais toujours plus étroites que celles de lE. Val- liniana. Les feuilles des verticilles ombellaires sont nettement mu- cronées. Les glandes de l’involucre sont tronquées ou subémarginées, sans mucron (ecornutis dit. Boissier), ou plus ou moins obscure- ment mucronées (brevissime bicornutis) selon Lange in Willk et Lge.) c’est-à-dire à peu près les glandes de 1’ E. Valliniana. « La comparaison entre ce dernier et l’ Euphorbia de Dufour me- rite une étude ulterieure, et il se pourrait que les affinités de lE. Val- liniana soient plus près de l’ E. pauciflora que des E. Chameburus et capitulata ». La giustezza di quest’ultima considerazione del sig. Burnat vien confermata dal seguente periodo che tolgo dalla lettera del sig. Beau- verd nella quale si dà la relazione dello studio comparativo della E. Valliniana colle affini. « Au sujet de lE. pauciflora Duf. je ne puis que confirmer tout ce qu’on dit M." E. Burnat: les trois échantillons de 1’ herbier Bois- sier n’ont pas de graines miùres: mais la forme des capsules que nous possédons (obconiques) est trop diffèrente des vòtres pour per- mettre la moindre confusion: les feuilles et les cicatrices de la base des tiges achevent de compléter la différence ». Ecco ora le osservazioni fatte dal Beauverd su alcune Euforbie affini alla nostra. E. saxatilis Jacq. « Au premier aspect votre plante évoque l’image d’une Euphorbia saratilis Jacq. dont plus d’un échantillon de nos collections possèdent, comme votre plante, des feuilles cau- linaires mucronées (et non pas toutes tronquées ou méme echan- crées comme Rchb. l’indique dans Icones V. f. 144). Les différences avec votre plante portent principalement sur les glandes, la cou- leur des fruits et la base des tiges qui est couverte des cicatrices des feuilles rapprochées chez E. sa.ratilis, tandis que vos deux échan- tillons ne portent que quelques écailles trés espacées sans cicatrices; l’un d’eux qui possède des tiges desséchées de l’année precedente indique, au surplus, que ces tiges sont franchement herbacées et n’affectent nullement l’apparence sous-ligneuse causée par les cica- trices dans l’ E. saratilis. En outre vos deux échantillons sont rameux, caractère que je n’ai observé qu’à un bien plus faible degré sur un seul éxemplaire d’ E. saratilis de Pichler (Riva bianca 1869 Venetie). » Pa dir IPA L'i3f ui ì spia n 1 ae SE TI e rd 274 : P î a y iuero na a E , E. Orphanidis Boiss. « À quelque distance de ces deux espèces sel ì trouve l’ Euphorbia Orphanidis Boiss. (N. 654 du Prodr. DC. XV - II p. 165) qui offre avec £. Va/liniana certaines analogies; forme et couleur des fruits, rejets non ou à peine couverts de cicatrices, écaillés. Mais cette plante est beaucoup plus developpée que la votre dans toutes ses parties, les glandes sont franchement cornées et les feuilles caulinaires obovées-spathulées. Ce serait, me semble-t-il, entre le n. 650 et 654 du Prodr. que se placerait votre Eaphorbia qui, d’après les deux échantillons etudiés, est certainement nouveau. Son facies ne rappelle celui des E. Chamebdurus et capitulata que par la base des rejets (ecaillée) et, plus ou moins, la forme des feuilles des rameaux stériles: les autres différences si, bien établies par Mr. Burnat (graines, capsules, glandes, feuilles des verticilles ombellaires, etc.) sont telles que cela me paraîtrait risqué de placer l’ Euphorbia de Val Macra dans le voisinage de ces deux espèces (523 et 524 du Prodr. DC.) » wi E Nella mia descrizione sono esposte, oltre a queste, altre poche carat- teristiche dell’ E. Valliniana le quali sono il risultato di uno studio ulteriore fatto sui materiali abbondantissimi raccolti nelle località sopradette e che completano le note comparative dei botanici gine- vrini, ai quali il materiale di studio venne fornito, allora, in misura molto scarsa. Aggiungo ancora alcune poche osservazioni. Le foglie caulinari dell’E. Va/liniana non sono ordinariamente mucronate, ma più spesso ottuse, arrotondate, od oscuramente mucronulate; così pure le squame della porzione bassa del fusto non sono distanti (espacées) come furono osservate da Beauverd nei pochi saggi inviatigli, ma fitte, serrate, spesso accavalcantisi. Neppure può dirsi che i cauli siano normalmente ramificati, anzi questo carattere è abbastanza debole nella maggioranza dei casì. Un’ ultima osservazione mì preme di fare e questa di indole gene- rale a proposito della forma delle glandule delle Euforbie, dolente che il tempo non mi conceda ora di approfondirla vieppiù; del resto questa osservazione, fatta incidentalmente nello studiare la mia Eu- forbia, non è nuova (1), per quanto mal definita dal Baillon, ma, nella sistematica delle Euforbie, essa non ha finora, che io sappia, avuto alcuna applicazione, (1) Confr. BaiLLoN, Etude général du groupe des Euphorbiacèes, Paris 1858, V. Masson, pag. 284-836 (tab. 1). — Confr. anche ErcnLer Blithendiagr. II, pag. 389, et Pax, Zuphorbiacee in Engler et Prantl-Pflanzenfamilien, III. Teil. V Abth. (1896). Il sig. Burnat scrive giustamente che, nella mia Euforbia, le glan- dule dell’ involucro sono troncate o sub-emarginate (ecornutis Boiss.) o più o meno oscuramente mucronate (brevissime bicornutis Lange); e che esse « affectent une forme intermediaire entre celles franche- ARE ded da * i A Ù : =” \ ili him Ò Mure, A DI RES ty MENDE pa TI Ph ARRE CIR pa i 3 che se pn tanico danese credeva diverso dal P. Pumilio Hiink., considerando los sc invece piuttosto come una forma alpina del P. Laricio Poir., pei caratteri anatomici della foglia ritengo debba riferirsi al P. mon- ba tana Dur. (P. Pumilio Hink.). Del resto già il Tenore (1), prima 4 che se ne occupasse lo Schouw, lo aveva determinato come una va- rietà del P. Pumilio Hink. [P. Pumilio var. rotundata (Link)]}; in seguito anche il Christ (2) tendeva pure a riferirlo al P. Pumdilio Hink.: ed infine il Parlatore (8) lo ascriveva senz’ altro al P. mon- tana Dur. Non è invece, secondo me, da riferirsi al Pinus nigricans Host \ il Pinus dell'Etna che il Gussone (4) determinò quale /. Laricio Poir. e che, al contrario, il Parlatore (5) ascrisse al P. nigricans Host. Avendo, in fatti, esaminato l'esemplare autentico del Gus- sone (portante la data ‘lell’aprile 1858), conservato nell’ Erbario fio- rentino (6), ho potuto stabilire che esso pei caratteri anatomici della foglia corrisponde precisamente al P. Laricio Poir. (7) Del resto anche il Prof. A. Borzi (8) mise fortemente in dubbio l’esistenza sull'Etna del P. nigricans Host. Pino che il P. nigricans Host; d’altra parte il Biondi raccolse nella medesima località il P. nigricans Host, come ho su ricordato; ed infine il Terracciano N. non dà pel Pollino che il P. Laricio Poir., che, come ho già detto, è da rife- rirsi, a giudicare dall’esemplare conservato nell’ Erbario generale del R. Isti- tuto Botanico di Roma, al P. nigricans Host, e che si spinge, come egli dice (TERRACCIANO N., 7. c.), fino a 2200 metri. (1) TrxorE M. — Flora Napolitana ossia descrizione delle piante indigene del Regno di Napoli. — T. V (1835-1856), pag. 268. (2) Curist H. — Beitrige zur Kenntniss siideuropdiischer Pinus-Arten. — Flora Bd. 46 (1863), pag. 376-780. (3) ParLaTORE F. — Flora italiana. — Vol, IV (1867), pag. 49. (4) Gussone G. — Florae Siculae Synopsis. — Vol. II. P. II (1844), pag. 615. (5) ParLaTORE F. — Op. cit., pag. 53. (6) Il presentarsi questo esemplare in questione con le foglie molto corte potrà darsi che sia in rapporto con l'altitudine ove sarà stato raccolto; ma di ciò sul cartellino non è fatto punto cenno. Del resto il Pinus Laricio Poir. è abbastanza variabile. Così per es. il Fliche (FLIcnE P., — Notes sur la Flore de la Corse. Bull. d. la Soc. Bot. de France. T. 36. 1889, pag. 363) dice che nella stessa Corsica esso può variare ai molto nelle pine, che da una lunghezza minima di millimetri 34 possono arrivare a più del doppio, cioè a millimetri 75. (7) Anche un altro esemplare, raccolto nel luglio 1882 all’ Etna da M. Franke e conservato nell’ Erbario generale del R. Istituto Botanico di Roma, pei caratteri anatomici della foglia è da riferirsi al Pinus Laricio Poir., come giustamente fu determinato. (8) Borzi A. — lora forestale italiana. — Fasc. 1 (Ginnosperme), Fi- renze, 1879, pag. 48. ° Bcntzto dalFAn pennino calabro: Pollino e no del Pino, non he la Sila, nella quale ultima località però si fa raro ed è associato i? oa] P. Laricio Poir, che forma invece da solo dei boschi. Non vien dato poi per l’Aspromonte ove trovasi invece il P. Laricio Poir. Già il Tenore nella sua Flora Napolitana scriveva a proposito | del Pinus nigricans Host (P. nigrescens Host, sotto il quale nome egli lo riporta): « Crescendo in grandi masse, come il dissi, fino a vista dal& Adriatico nello Stato Veneto, il pino nerastro si propaga ne’ boschi dell’ Italia inferiore attenuandosi sempre, cosicchè appena pochi alberi isolati se ne veggono tuttora ne’ monti del nostro regno; alla valle dell’Orfenta della Majella sopra rupi e balze inaccessibili; al Pollino sul limite settentrionale della Calabria al piano del Tra- bucco, e nelle Sile (1) >». Sl può inoltre dire che man mano che procede questa riduzione del Pinus nigricans Host nell'Italia meridionale ad esso viene ad associarsi da prima ed a sostituirsi pol il P. Laricio Poir. Roma, Marzo 1903. (1) Texore M. — Flora Napolitana ecc. — pag. 266. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III Le figure 1 e 2 rappresentano rispettivamente una sezione trasversale nella porzione mediana della foglia del Pinus nigricans Host e del P. Laricio Poir., in cui, avuto riguardo allo scopo, è stato disegnato soltanto l’epidermide e l’i- poderma in corrispondenza al lato convesso. — Ingr. 70. a iù Lei EA E PL cA dell - lit Roma i ist E. Batt La nutrizione dell’ embrione delle Cucurbita operata per mezzo del tubetto pollinico Pa del Dott. B. Lonco Dopo che lo Schacht nel 1855 (1) ebbe messo in evidenza che nel Tropaeolum majus il sospensore dell'embrione fuoresce dall’ovulo ed ebbe veduto in questo fatto la possibilità di uno speciale modo di presa di materiali nutritizi per il giovane embrione, sono com- parsi soltanto pochi altri lavori mettenti in luce dei fatti analoghi, altri casì cioè in cui la nutrizione dell'embrione non si compie nel modo ordinario. Ricordo a questo proposito le interessanti ricerche del Treub (2), il quale diede la dimostrazione che in certe Orchidee il sospensore ie che fuoresce dal micropilo, va ad at- tingere materiali nutritizi per l'embrione dal funicolo e dalla pla- centa. Lo stesso autore (3) stabili inoltre che nell’Avicennia offici- nalis la presa di sostanze nutritizie per l’embrione viene operata da una cellula speciale (cotéloide), che, partendo dal sacco embrionale, penetra, ramificandosi, nei tessuti dell’ovulo e della placenta. Ri- cordo ancora che la Laico Iwanowska (4) illustrò il caso presen- tato da parecchie piante, specialmente Scrophuluriaceae, in cui dal sacco embrionale partono degli austori, quasi esclusivamente di origine endospermica, i quali vanno ad attingere da speciali tessuti sostanze nutritizie per l'embrione. Nel dicembre dell’anno testè decorso in una memoria sulle Cu- curbitaceae (5) da me presentata alla R. Accademia dei Lincei, (1) ScHacar H. — Ueder die Entstehung des Keimes von Tropaeolum majus — Bot. Zeit. 13 Jahrg. (1855), pag. 641. [Trad in Ann. d. Se. Nat (Bot.) Sér.. IV. T. IV, 1855, pag. 47]. (2) TREUB M. —- Notes sur l’embryogénie de quelques Orchidées. Verhand. d. Kon. Akad. v. Wetensch. (Natuurk.) DI. X1X, Amsterdam. 1879. ID. — Notes sur l’embryon, le sac embryonnaire et Vovule. Ann. d. Jard. Bot. d. Baitenzorg. Vol. III (1883), pag. 76-79 (3) TrREUB M. — Notes sur l’embryon ecc., op. cit. pag. 79-85. (4) BaLicka-Iwanowska G. — Contribution à Vétude du sac embryonnaire chez certain Gamopetales. Flora, Bd. 86 (1859), pag 47. (5) Longo B. — Ricerche sulle Cucurbitaceae ed il significato del pecora intercellulare (endotropico) del tubetto pollinico. scrissi ogine alcuni fatti da me osservati studiando vi perco sO tubetto pollinico nelle Cucurdita mi avessero indotto ad ammettere — da che, con tutta probabilità, il tubetto pollinico in queste piante avrebbe anche avuta la funzione di coadiuvare alla nutrizione dell'embrione. Era quindi naturale che 10 continuassi le ricerche in proposito allo scopo di stabilire, con la maggiore sicurezza pos- sibile, fino a qual punto il tubetto SOI di queste piante avesse importanza per la nutrizione dell'embrione. Le ricerche fatte sopra ovuli fecondati della Cucurdita Pepo Lin. e della C. foeditissima H. B. et K. (delle quali soltanto mì son trovato fissato il mate- riale occorrente) in stadi di sviluppo più avanzati che ron quelli che avevo esaminati allora, non solo hanno confermato quanto al- lora avevo ammesso, ma mi hanno anzi condotto a stabilire che l’imnortanza del tubetto pollinico nella nutrizione dell’ embrione in queste piante è di gran lunga maggiore di quello che io non avessi allora creduto. Non ritorno sulle particolarità di struttura dell’ovulo nè sulle modalità del percorso del tubetto pollinico nelle Cucurbita poichè me ne sono già occupato diffusamente nel mio precedente lavoro su ricordato, nel quale appunto ho principalmente trattato del per- corso che il tubetto pollinico segue nelle Cucurbitaceae in rap- porto anche con la speciale struttura dell’ovulo. Credo tuttavia opportuno ricordare che nelle Cucurbita, penetrato nel collo della nucella e giunto alla base di esso, il tubetto pollinico si rigonfia in una bolla di diametro considerevole, maggiore anche di quello del sacco embrionale e dalla quale bolla partono. dei rami a fondo cieco più o meno sviluppati, spesso anche più o meno ramificati, che, traforata la nucella e il tegumento interno, scorrono fra i due tegumenti penetrando anche frequentemente in quello esterno e mettendosi così in stretto rapporto con gli strati più interni del tegumento esterno. Questi strati interni si differenziano da quelli più esterni — e la differenziazione diventa sempre più, marcata man mano che procede la trasformazione dell’ovulo in seme --- per es- sere costituiti da elementi ricchi di contenuto plasmatico ed anche. di amido. L’amido però, abbondante verso la base della nucella, va riducendosi fin quasi a scomparire man mano che si sale verso il collo di essa, dove, in corrispondenza cioè della bolla, questi strati ricchi di contenuto diventano più numerosi. Altro carattere differenziale è che in questi strati interni gli elementi sono a con- tatto e con pareti che si presentano sempre di cellulosi anche nei semi maturi, mentre negli strati sovrastanti le pareti si DIO. edili poepeitaadosi più o meno spesse e con sculture a retionlo edi mo tro modo e gli elementi lasciano fra loro spazi intercellulari più Na meno ampi. Questi fatti, insieme con l’altra osservazione del- l'abbondante contenuto trovato sempre sia nella bolla, sia nei rami emananti da essa, sono appunto quelli che, come già dissi nel mio lavoro su citato, mi avevano già allora indotto ad ammettere che vi doveva essere uno stretto rapporto fra la nutrizione dell'embrione ed il tubett® pollinico. i Ma, come ho su detto, nuovi fatti interessanti e convincenti sono venuti fuori dalle mie ulteriori ricerche. Dirò anzi tutto che il fascio vascolare, che penetra pel funicolo nell’ovulo e che si con- serva indiviso, giunto in corrispondenza della calaza non si arresta nè sì sfiocca, ma continua ininterrotto il suo percorso nella parte del tegumento esterno che non è unita al funicolo per terminare in essa . quasi all'altezza dell’apice della nucella. Esso si presenta inoltre in rapporto con gli strati interni su ricordati del tegumento esterno. I fatti più interessanti però dal nostro punto di vista sì osser- vano nella nucella. Già presto, dopo avvenuta la fecondazione, le pareti esterne delle cellule epidermiche della nucella, al di sotto della bolla, cominciano a cutinizzarsi e questa cutinizzazione presto sì estende all’in giù a tutta l'epidermide della nucella. Questa cu- tinizzazione è molto marcata, presentandosi la cuticola non solo spessa, ma penetrando a mò di cuneo nelle pareti radiali. Inoltre ancor più notevole è il fatto che alla base della nucella, cioè in corrispondenza della regione calaziale, le pareti cellulari sì suberi- ficano qualche tempo dopo avvenuta la fecondazione in modo da venire a costituire una specie di calotta: nella Cucurbita foetidis- sima H. B. et K. questa suberificazione è già differenziata quando ancora l'embrione è allo stato di sfera. Anche l'embrione allo stato di sfera si presenta cutinizzato alla superfice, salvo che nella parte per la quale è in rapporto col tubetto pollinico. Mentre si osservano tutti questi fatti il tubetto pollinico con la bolla ed i suoi rami sì conserva sempre pervio, a pareti sempre di cellulosi, sempre ricco di contenuto plasmatico e talora anche di amido transitorio. Nel seme maturo il tubetto pollinico non pre- senta più contenuto, come pure svuotati si presentano gli elementi degli strati interni del tegumento esterno. Tuttavia non ho potuto per ora stabilire con quale stadio di sviluppo dell’embrione coin- cida lo svuotamento del tubetto pollinico, mancandomi appunto nel materiale che mi trovo a disposizione gli stadi che precedono la maturità del seme. ì Se ora colleghiamo fra loro tutti questi fatti morfologici su de- scritti risulta come logica conseguenza che la corrente trofica non OSCAR) VIT siii i può giungere della suberificazione di essa. Nè può giungervi attraverso gli altri punti del ventre della nucella a ciò opponendosi la marcata cuti- nizzazione delle pareti esterne delle sue cellule epidermiche. Unico punto pervio è la base del collo della nucella ove appunto si trova la bolla con i suoi rami a fondo cieco e quel piccolo tratto del tu- betto pollinico che collega la bolla medesima col sacco embrionale. Dagli stretti rapporti poi esistenti fra i rami a fondo cieco ema- nanti dalla bolla e gli strati interni ricchi di sostanze plastiche del tegumento esterno — strati, che appunto in corrispondenza della bolla diventano più numerosi — risulta inoltre che la corrente trofica, che affluisce per mezzo del tubetto pollinico al sacco em- brionale, proviene da questa parte del tegumento esterno, che pos- siamo chiamare nutritizia e che a sua volta viene nutrita dal fascio vascolare. Di più se si considera che quella parte del tubetto pollinico, che è in relazione col tessuto conduttore, sì presenta fornita di conte- nuto anche alquanto tempo dopo avvenuta la fecondazione, pos- siamo dedurre che anche questo tratto del tubetto pollinico coadiuvi al trasporto di materiali nutritizi al sacco embrionale. Ciò posto, basandoci sull’ interpretazione data ai fenomeni su de- scritti, possiamo spiegarci alcuni altri fatti, di cui già parlai nella mia Memoria su ricordata: perchè, per esempio, il tessuto condut- tore sia così spesso nelle C'ucurbita ; perchè il diametro del tubetto pollinico sia molto grande in confronto di quello dei nuclei ripro- duttivi; perchè la bolla prodotta dal tubetto pollinico sia così grande (1) da essere spesso perfino visibile ad occhio nudo: e pos- siamo anche dire che i rami a fondo cieco che si dipartono dalla. bolla e che a tutta prima avrebbero potuto interpretarsi come sem- plici tentativi fatti dal tubetto pollinico prima di trovare la via per giungere al sacco embrionale, hanno invece tutt’ altro signifi- cato fisiologico: il tubetto pollinico non solo rende possibile la fe- condazione, ma, mandando questi rami -— come austori di una pianta parassita — a sfruttare dei tessuti nutritizi, assicura anche lo sviluppo del prodotto stesso della fecondazione. koma, 3 maggio 1903. (1) Nella Cucurdita Pepo Lin. ho trovato che il suo diametro può raggiun- gere 164 y. s$ SRI GIR IVA VS MBRRORZO Peio I all’embrione in via di sviluppo per la via ordinaria, — vale a dire attraverso la regione calaziale della nucella, a causa | i I fenomeni cariocinetici nelle cellule meristemali . d. O ° 0) O ® . degli apici vegetativi di “ Psilotum triquetrum ,, di L. PAMPALONI (Tavola IV). Ho intraprese le mie ricerche fissando i giovani apici vegetativi di Psilotum triquetrum in varî liquidi fissatori, quali la miscela di Flemming (soluzione debole e forte), quella di Hermann, il liquido di Merkel, il sublimato corrosivo alcoolico, l’alcool ed acido acetico, il liquido cromo-acetico, quello di Kleinenberg modificato da Nèméc (1) quello di Carnoy, e sono d’accordo col Rosen (2) nel ritenere quest’ul- timo come uno dei migliori per la fissazione di questo materiale, spe- cialmente a causa della repentina azione anestetizzante del cloro- formio, senza che i tessuti subiscano raggrinzamento o deformazione alcuna. Il materiale fissato e quindi incluso in paraffina venne tagliato al paia in modo da avere delle sezioni di uno spessore variabile dai 4 ai 5 p, e quindi colorato coi diversi processi in uso. Così ho adoperata la triplice colorazione di Flemming, la mescolanza triacida di Ehrlich (3) (che non è altro che una modificazione della Ehrlich- Biondi-Heidenhain), con abbastanza buon resultato, la Safranina e Lichtgriin, la colorazione differenziale di Zimmermann con verde d’iodio e fucsina, non sempre di facile riuscita, e finalmente buonis- sime sopra tutte le altre la Ematossilina di Heidenhain e Bordeaux R o Safranina, ed il Kernschwarz e Safranina, a ragione tanto rac- comandata da Bolles Lee et Henneguy, (4) che bene si presta per un esatto differenziamento fra sostanza cromatica ed acromatica. (1) NÈmfc. — Die Reizleitung und die reizleitenden Strukturen bei den Pflanzen — Jena, 1901, pag. 15. (2) Rosen. — Beitriige zur Biologie der Pflanzen. VII, 1896. p. 254 e seg. (3) Orange G. Soluz. acq. sat. g. 120 — Fucsina acida. Soluz. acg. sat. gr. 80. «Verde di metile. Soluz. acq. sat. gr. 100. Acqua distillata gr. 300. Glicerina 50. (4) BoLLes LEE ET HENNEGUY. — Traité des méthodes techniques de lAna- tomie mieroscopique. —- II ediz., 1896, pag. 111 e seg. nostre ricerche, data la relativa grossezza pt nuclei delle clan me- ristemali che in media misurano 18 “ Ù ag ky ; È: Nelle cellule meristemali di /si/otum il protoplasma presenta una marcata struttura vacuolare, e nell'interno dei vacuoli giacciono nu- merosi granuli d’amido, leggermente colorabili in rosso dalla safra- nina. Il nucleo allo stato di riposo (1) ha forma generalmente sferica, (fig. I. tav. IV*) e nell'interno vi si distinguono i nucleoli in nu- : mero generalmente variabile da due a cinque fino anche a dieci, se- È parati dal circostante reticolo dell’ impalcatura nucleare mediante una areola incolora. In questo stadio la sostanza cromatica è relati- vamente scarsa, come lo mostrano le varie colorazioni differenziali. Una sottile membrana limita all’ esterno il nucleo, mentre sottili i fibrille di sostanza protoplasmatica lo riuniscono colla parete cellu- N lare, mantenendolo così costantemente rella sua posizione (fig. I-c). Relativamente al nucleoli, questi non sì dimostrano tutti ugual- mente conformati, ma variano sia per le loro dimensioni, sia per il loro comportamento rispetto alle varie sostanze coloranti, tanto che sì possono raggruppare sotto due tipi. Il primo tipo comprende nucleoli piccolissimi, SA 2 w circa, in numero variabile da uno a otto, sparsi quà e là senz’ordine nel- l'interno del nucleo (fig. 1-b) Sono eminentemente cromofili, ed esa- minati a forte ingrandimento si mostrano di struttura completamente omogenea. In molti casì essi sono pure suscettibili di una frammen- tazione, 0, per meglio dire, di una divisione, sia per mezzo di stroz- zature che segnano appunto l’inizio di questa divisione, sia mostran- dosi i due nucleoli provenienti dalla divisione del nucleolo primitivo completamente divisi ed ora aderenti, ora oltremodo ravvicinati l'uno: all’altro. Il secondo tipo comprende nuceleoli alquanto più grossi dei primi, misuranti circa 4 p, in numero di due, ravvicinati fra loro, ed a struttura vacuolare (fig. I-a). 1l loro potere di colorabilità è alquanto : minore che in quelli del primo tipo, dai quali pure si distinguono perchè sono separati dalla circostante massa mediante un’aureola incolora assai maggiormente visibile. (1) Per l'esame dei varî stadî cariocinetici ho fatto uso dell’obbiettivo a. secco 7# di Koristka, con oculare 5, e del semi-apocromatico 1/15 ad immer- o sione omogenea, con oculari compensatori 4 ed 8 dello stesso Koristka. Ren AA ; N RAI A : [ret i È Avendo questi ultimi, come vedremo in seguito, un compito spe- ciale durante le fasi del processo cariocinetico, ho creduto bene di designarli con altra denominazione, e li ho chiamati nucleoli gemini. Allorchè il nuXleo si prepara alla divisione, questo si va allun- gando secondo una determinata direzione. Anche i nucleoli subiscono delle modificazioni nella loro posizione (fig. II, tav. IV). Quelli che ho riferito al primo tipo, spinti molto probabilmente dalla pres- sione del gomitolo, sì vanno spostando in direzioni varie verso la periferia del nucleo; i nucleoli gemini per contro seguono sempre una via ben determinata, scostandosi l’uno dall’altro e portandosi costantemente alle due estremità allungate del nucleo (fig. II-b). I filamenti cromatici si fanno nel tempo stesso più visibili, dimo- strando una maggiore affinità per le sostanze coloranti, e vanno au- mentando di volume. i Tale maggiore elettività pel colore trova una spiegazione nei rap- porti che già fino da questo momento sembrano passare nel PsiZotum fra nucleoli del primo tipo e cromosomi. Come si sa le ipotesi rela- tive alle funzioni del nucleolo durante la cariocinesi sono oltremodo varie. Il Guignard (1) avendo osservato l'intimo rapporto fra nucleo- li e filamenti cromatici nei nuclei figli di Nothoscordum viene alla. conclusione che i nucleoli possono esser considerati come sostanza di riserva che si separa ad un momento dato dall’impalcatura nucleare, per essere poi da questa ulteriormente ripresa. Lo Strasburger (2) ammette che la sostanza nucleolare venga adibita alla nutrizione del fuso; ma ciò non si accorderebbe colle osservazioni (3) di Rosen su- gli apici radicali di varie monocotiledoni e dicotiledoni, per cui i nu- | cleoli rimangono sempre durante lo stadio di fuso, mentre che se- condo l’ipotesi di Strasburger dovrebbero essere già scomparsi in questo stadio. Il Cavara (4) poi avendo osservato nel Lilium candi- dum i filamenti cromatici (nello stadio di Synapsis) a perfetto con- tatto col nucleolo voluminoso e ricco di sostanza cromofila, ne con- clude che il nucleolo ha l’ufflcio di cedere la sua sostanza cromatica ai cromosoni, ed avvalora tale ipotesi dimostrando che il nucleolo (1) GuienaRD. — Nouv. rech. sur le noyau cellulaire — Ann. d. sc. nat. 6° sér. t. XX. p 847. (2) StRASBURGER. — Ueder Kern- und Zelltheilung in Pflanzenreiche — Jena 1888. p. 136. 158. 139. (3) Rosen. — Kerne und Kernkirperchen in meristematischen und sporogenen Gewebe — Cohn.’s Beitrige VII, p. 226. (4) CavaRA F. — Intorno ad alcune strutture nucleari — Atti dell’Ist. bot. dell’Università di Pavia, II* Serie, Vol. V, 1899, p. 231. cile 1 NEI 0, "ahogaleivamonte si trasforma divedRani ‘meno cromofilo , perdend o la sua forma globulare, diminuendo di volume e facendosi alveolato. © Anche Gardner (1) ultimamente ha osservato nella divisione cella- lare delle radici di Vicia Faba una perfetta aderenza dei cromosomi col nucleolo. Le osservazioni da me fatte sul Psilotum mi hanno per- messo di giungere alle medesime conclusioni alle quali è giunto il Cavara. Infatti nello stadio di gomitolo compariscono nucleoli ora Ri rotondeggianti, ora piriformi, allungati cioè ad una delle loro estre- mità e generalmente in connessione con una tale deformazione dei È nucleoli si hanno cromosomi ora incurvati verso di essi, ora perfetta- Le mente aderenti, come è il caso appunto nella figura II, dove il fila- mento cromatico alquanto ingrossato è intimamente collegato e viene a formare un tutto unico col nucleolo (fig. II-a). Ho visto pure nucleoli attaccati fra due cromosomi alla stessa maniera degli eterocisti nelle Nostocacee. La frequenza di tali forme inoltre non ammette alcun dubbio sull’interpetrazione del fenomeno, in favore della quale interpetrazione stanno anche le forme assunte dai nucleolì negli stadi successivi a quello di gomitolo, durante i quali stadî si ha una diminuzione nel loro volume, osservata pure da Rosen per lo stesso Psilotum, una minore elettività pel colore, e finalmente una fram- mentazione ed una migrazione dei varî frammenti, dopo sparita la membrana nucleare, nel plasma cellulare. A questo processo, ripeto, prendono parte soltanto i nucleoli che ho riferiti al primo tipo, i quali dunque possono essere considerati come veri e proprì accumulatori di sostanza cromatica, che, nello stadio di spirema, viene ceduta ai cromosomi, I nueleoli gemini non entrano per niente in questo processo; soltanto all’ inizio dello stadio . di spirema essì si sono spostati verso le estremità opposte del nucleo, dove poi si inizierà il fuso acromatico. In un secondo stadio il gomitolo sì rompe, ed i singoli cromosomi vanno portandosi verso la periferia del nucleo, orientandosi radialmente torno torno la mem- brana, alla stessa guisa dei raggi di una ruota, mentre nel centro della massa nucleare appariscono sempre i sottili filamenti quasi in- colori di sostanza acromatica (fig. III tav. IV). Man mano che avviene il suddetto orientamento dei cromosomi la membrana nucleare va gradatamente dissolvendosi. Nello stesso tempo alla periferia del nucleo si addensa uno strato ora più sottile ora più grosso, di una sostanza finamente granulare, colorabile in (1) GarpNER. — Division in the root of Vicia Faba — negri ira of the University of Pensylvania — Contr. from. the bot. Lab. Vol. II} n; 3; Lo Tia K e seg. fia di sca ine (1) ed al Gana di Strasburger Mi va successivament@raggruppandosi e condensandosi sempre più in- | torno a due punti situati alle due estremità opposte del nucleo, e gene- ralmente là dove fanno capo le briglie che collegano il nucls0 colla membrana cellulare. Siamo così all’ inizio della formazione del fuso. Sparita completamentela membrana nucleare i due fusi si sono già for- mati, ed iloro poli sono quasi sempre rivestiti da due specie di cercini formati dalle briglie protoplasmatiche. Non ho mai osservato che la formazione dei fusi sia il resultato della fusione di tanti fusi mul- tipolari, come, a mo’ d’esempio, è il caso per 1’ Equisetum descritto da Osterhout, (2) secondoil quale si ha la formazione di tanti piccoli poli in numero di 12 a 20 e più, costituiti da tanti sottili filamenti di sostanza acromatica, all’esterno del nucleo; poli che collo sparire della membrana nucleare si collegano ai cromosomi, quindi per suc- cessive fusioni vanno disponendosi secondo un determinato piano, fino alla formazione del fuso bipolare; e come pure ha descritto Amanda Mec Comb (3) per le piante superiori. Così pure non ho mai osservato nei primi stadî della formazione del fuso corpicciuoli riferibili a centrosfere o centrosomi, i quali fun- ‘zionassero da centri attrattivi delle fibrille acromatiche, come osser- varono Guignard, (4) Chamberlain, (5) Jamanouchi, (6) Farmer, (7) Bernard (8) e tanti altri. Qualche volta bensì ho riscontrato in vici- nanza dei poli, od anche in contatto coi poli stessi, delle minute granulazioni, debolmente colorate in rosso, che un attento esame mì ha fatto riferire a granuli d’amido. (1) Lawsox AnsTRUTHER. — Development of the karyokynetic spindle in the pollen-mother cells of Cobaea scandens. — Proc. Cal. Ac. Sc. I, (Vedi Boll. Soc. bot. it. 1900, p. 177). (2) OsrerHouT. — Ueder Entstehung der karyokinetische Spindel bei Equi- setum. — Jahrb. f. wiss. bot. 30. 159. 1897. (3) Mc Com. A. — Derelopment of the karyokinetic Spindle in vegetative Cells. — Boll. of the Torrey. Bot. Club. XXVII. 1900. p. 451-459. (4) GurenARD. — Les centres cinétiques chez les végétaux — Aun. d. sc. nat. Bot. 8° ser. 6% 1897, p. 177 e seg. (5) CHAMBERLAIN. — Reduction, division, spindle formation, Centrosomes and Blepharoplastes — Bot. Zeit. XLIX, p. 145. (6) JamAnoUCHI. — Centrosomes in the pollen mother-cells of Lilium longi- florum. — Beih. z. Bot. Centr. X, p. 301-304. (7) FARMER. —- On the occurrence of Centrospheres in Pellia epiphylla. — | Ann. of. Bot. Vol. VIII, 1894, p. 219. @) BERNARD. — Recherch s. l. sphères attractives ecc. SE d. Bot. Morot. XIV, 1900, p. 118-124, 177-188, 206-212. Ii Nerto si è che nello Psilotum i i Fon iesommbtici si vanto sem jreaie formando a contatto colle briglie protoplasmiche, e forse quì più che | ‘altrove è da ricercarsi la sede del fenomeno. La formazione dei fusi è dunque dovuta completamente al cino- plasma estranucleare, e finora la sostanza acromatica intranucleare non ha subito alcuna modificazione, trovandosi sempre sparsa in forma di sottili fibrille nell'interno del nucleo. Essa entrerà in azione e subirà delle modificazioni soltanto dopo il completo dissolversi della membrana ed il susseguente stadio metakinetico. Avvenuta la completa dissoluzione della membrana, i cromosomi che prima erano disposti radialmente attorno al nucleo, si orientano ora nel piano perpendicolare al diametro più lungo del nucleo stesso. Nel medesimo tempo il fuso si allunga, e si possono assai bene scor- gere le sue fibrille acromatiche collegate coi cromosomi, mentre dall’altro lato questi sono uniti alla sostanza fibrillare intranuclea- re, che, a mio avviso, ha una grande parte nella formazione dell’a- ster, attraendo cioè 1 cromosomi verso il centro del nucleo. Questo è l’ufficio che in tale fase io credo essenziale nella sostanza acroma- tica intranucleare, di concorrere cioè alla formazione dell’aster. In tale stadio i cromosomi assumono una forma ad L di modo che in parte giacciono nel piano equatoriale, in parte nel piano longitudi- nale del nucleo, così da dare luogo alla disposizione segnata dalla fig. IV della tavola IV. Tale disposizione dei cromosomi avviene in un periodo relativamente lontano da quello in cui la membrana del nucleo è scomparsa. Durante questo tempo i due nucleoli che sì tro- vavano alle due estremità del nucleo, percorrendo il cammino lungo le fibrille del fuso, sì portano all’estremità di questo. Ed infatti in quasi tutti gli stadî di aster nei quali si vede il fuso bene sviluppato. si hanno nucleoli all'estremità del fuso stesso. Qualche volta illoro cam- mino procede ancora, e non è raro il caso di trovarli nei due cercini protoplasmatici che collegano il nucleo alla membrana cellulare. Io credo perciò che queste briglie protoplasmiche abbiano un valore biologico assai più elevato di quello che fino ad ora si è ritenuto, sia col cedere materiali nutritizi ai nucleoli in essa migrati, sia forse col servire come rudimentali organi di senso. Ad ogni modo questa mia ultima ipotesi, sorta specialmente in base ai recenti studî del Némèc, non è stata controllata da particolari osservazioni, sortendo esse dal tema che mi sono proposto di svolgere. Così mentre gli altri nucleoli si vanno eliminando e dissolvendo dopo aver ceduto i loro materiali ai cromosomi, i gemini per contro persistono, e saranno quelli che, come vedremo in seguito, andranno a far parte dei due nuclei giovani originatisi dal processo cariocine- » tini 4 | : | tico. In tal modo l’ipotesi della continuità della sostanza nucleolare sostenuta da Zimmermann, per avere egli osservati nucleoli nelle fasi di fuso e di dispigema, trova quì una riconferma. Escludo affatto che si tratti di una nuova condensazione di sostanza nucleolare, come ritengono Belajeff, Strasburger e Guignard, ma si tratta indubita- mente di nucleoli preesistenti (inucleoli gemini), iquali, come ho detto, accompagnano tutto il processo cariocinetico non solo, ma andranno pure a far parte dei nuclei nuovamente formati. Accenno inoltre alla possibilità che alcuni autori abbiano inter- petrati per centrosomi questi nucleoli gemini; ad ogni modo ulteriori osservazioni che mi propongo fare, serviranno a chiarire la questione. Il fuso delle cellule meristemali del /silotum prende qualche volta delle forme bizzarre spostandosi dal piano mediano, ed allun- gandosi a forma di S, analogamente a ciò che da Guignard (1) fu os- servato per le cellule madri del polline nella Nymphaea alba. Formatosi l’aster non avviene alcuna modificazione nel fuso acro- matico. Non è così per i cromosomi. Questi facilmente si trovano riuniti in tanti gruppetti sopra una medesima linea. Frattanto la loro elettività per l’ematossilina è fortemente aumentata, ed appaiono colorati in nero intensissimo. Successivamente essi sì dividono lungo il piano equatoriale del nucleo venendo attratti in parte dalle fibrille del fuso superiore, in parte da quelle del fuso inferiore. Per dato e fatto di questa attrazione essi vanno spostandosi verso i poli del fuso (fig. V tav. IV). A tal punto entra in azione la sostanza acro- matica intranucleare. Le sue fibrille che finora si trovavano frammi- ste ai cromosomi, collo spostarsi di questi verso i poli del fuso (es- sendo esse pure collegate ai cromosomi stessi) si allungano e si di- spongono parallelamente fra di loro, in modo da sembrare, a prima vista, come una prosecuzione delle fibrille dei fusi. Però tali fibrille differiscono dalle altre prima di tutto per il loro minore potere di co- lorazione, assumendo una tinta rosso-rosa assai più pallida della tinta assunta dai filamenti del fuso, e secondariamente per essere a differenza delle altre, più nette e maggiormente distanti fra di loro. Morfologicamente adunque si hanno caratteri tali da far ritenere le fibrille intranucleari di natura differente da quelle estranucleari. (1) Gwienarp. — Les centres cinétiques chez les végetaua. — Ann. d. sc. nat. Bot. 8e série VI. 1897, p. 184. ANNALI DI BoTANICA — Vor. I. È 6 For zione dell pr cl È e proto MESERO b che Ilie e0 na TE celli re — Passaggio allo stadio di diaster. i, si 1 Ung VI. - — Stadio di diaster; a, a nucleoli gemini che pirnesno ad essere 06 involti dalla sottostante sostanza cromatica. î RE : | Fig. VII. — Passaggio dallo stadio di diaster a quello di dispirema, e for- | mazione del tramezzo cellulare; a, a MIE radiale dei cromosomi [ie «attorno ai nucleoli. È Fig. VIII. — Formazione completa delle due cellule figlie. = 9, O Ù _d 7 I ti i | x ì ) i ì I \ i L Ì Si VI. E.Battisti lit Roma Appunti sulla vegetazione di alcune località di Calabria Citeriore del Dott. B. Lonco Nell’ estate testè decorsa, essendomi proposto di continuare le ri- cerche floristiche in Calabria, scelsi alcune località che, dal punto di vista botanico, ancora non erano state esplorate. Una breve gita da Laino Borgo al M.te Cerviero (metri 1440 sul livello del mare) iniziò le mie escursioni. Qualche giorno dopo, nella terza decade di luglio, partendo da | Mormanno e seguendo la via mulattiera, per I Savelli e pel M.te Pojo, giunsi all’altipiano di Campolungo (metri 1000); indi, per le località Greco e Fontana di Rosolo (metri 1125) arrivai al grande Piano di Novacco (metri 1307) e, continuando per l'Acqua di Scifarelli (me- tri 1550), pel Piano del Minatore (metri 1400) e pel Piano di Cam- polungo di Lungro, mi recai a S. Maria del Monte (metri 1426). Da questa ultima località discesi al paese Acquaformosa, donde, seguendo la strada rotabile, visitai nei dintorni di Lungro, la Salina [unica località, tra quelle da me percorse, che era già stata visitata da altri botanici: Huter, Porta e Rigo (1)] e Scornovacca. Da Lungro, per la località Mamurro, risalii a S. Maria del Monte, donde, pel Varco dei Salinari e per l Acqua del Mangano, salii sulla vetta del Cozzo del Pellegrino (metri 1986). Di qui pel Piano di Tavolaro (metri 1172) ritornai al Piano di Novacco e quindi alla Fontana di Rosolo, donde, seguendo altra via mulattiera di quella seguita nell’ andata, cioè per M.te d° Oro, La Scala e Pantano, raggiunsi, nella località S. Pietro, la strada nazionale che mena a Mormanno. Nei primi di ottobre, al cadere delle prime pioggie autunnali, sempre partendo da Mormanno, feci una breve gita al M.te Palanuda (1) Porta P. — Viaggio botanico intrapreso da Huter, Porta e Rigo in Calabria nel 1877. — Nuovo Giorn. Bot. Ital. Vol. XI (1879), pag. 288. (metri 1630), percorrendo le località Vallone, L’ Acquo (metri 978), Fa M.te Pojo, Campolungo, Fontana della Pietra e Vlaganeta, ed attra- versando nel ritorno il bosco di Sczrormo. Nella strada nazionale da S. Primo (Laino Borgo) fin oltre il Fiego, non ostante le condizioni sfavorevolissime della stazione, pure, nelle parti meno battute, vegetavano abbondantemente il Trifolium fragiferum L. e la Plantago Coronopus L., e con essi talora anche il Polygonum depressum Meisn., l’ Amarantus prostratus Balb. ed il Tararacum vulgare Lam., che, adagiati sul terreno polveroso, lo rico- privano qua e là per tratti più o meno estesi. Nella campagna, nelle parti non adibite a coltura, come nelle pendici dei colli, era piuttosto frequente la Quercia, che in alcuni punti, formava anche bosco. Un tempo però la Quercia dovette essere colà assai più diffusa che non adesso, e tutte quelle pendici dovettero esserne coperte di boschi, come lo attestano gli esemplari annosi che qua e là restano ancora non ostante il taglio inconsulto che se ne è fatto. Ove mancava o scarseggiava la Quercia, nelle pendici più solatie, sì presentava qua e là in ricchi cespugli 1’ Ampelodesmos tenax Link. Più in alto la Quercia cede il dominio al Castagno quantunque sì presenti ancora qua e là frammista con esso. Il Castagno, sia sotto forma di bosco di alto fusto, sia, più specialmente, di bosco ceduo, quasi ininterrottamente occupa un’ estesa zona che a partire dal piede del M.te Cerciero (Mormanno), ove sale alla maggiore altitu- dine di circa 900 metri, per S. Domenica e Procitta si estende al di là del fiume Battiniero nelle località Pietra Grossa, Fiumicello ecc., sia nel territorio di Mormanno, sia in quello di Laino Castello, Nel sottobosco trovai abbastanza frequente il Cytisus triflorus L’ Hér. e' comunissima la Pteris aquilina L. Il Monte Cerviero ha subito la sorte della maggior parte dei monti dell’Appennino, vale a dire è stato privato dei Faggi di alto fusto; tuttavia tratti più o meno estesi dei fianchi fin quasi alla vetta sono occupati da boschetti di piccoli Faggi, che, se saranno rispettati, 10 credo potranno ricostituire il bosco in gran parte almeno. Nei pascoli sassosi del MteCerviero spiccava per copia d’ individui la velenosa Crepis lacera Ten. e nei pingui pascoli il C'Renopodium Bonus-Henricus L. e, specialmente, l Urtica dioica L. che, come anche trovai al Pollino ed in altri luoghi, talora formava delle asso- a Cieli 6. Du PREF, VIARIO: SIINO ABI LO ON SERIO SAMO N ALA I - pe ciazioni così fitte che ho dovuto spesso rinunziare ad attraversare la località da essa occupata. Ad una sorgerite un po’ al di sotto della vetta viveva piuttosto abbondante il Rumer sanguineus L. ed in alto, sulla vetta, dal lato esposto a mezzogiorno, la Stipa pennata L. Notai a proposito di questa bella graminacea che, mentre essa era abbondante dal lato esposto a mezzogiorno, mancava invece del tutto dalla parte opposta rivolta a tramontana. Lo stesso fatto notai anche sulla vetta di un altro monte, avente presso a poco l’ istessa elevazione sul livello del mare, nei pressi di S. Maria del Monte (Acquaformosa). Da Mormanno a £osolo la campagna, che è molto frastagliata, è in gran parte coltivata. Ma al margini della via mulattiera e nei luoghi troppo aspri per essere adibiti a coltura si osservava la so- lita vegetazione xerofila, e sopra tutto spiccavano per la loro ab- bondanza i cespi vistosi della Lasiagrostis Calamagrostis Link., 1 fitti cespugli prostrati della Putoria calabrica Pers., e qua e là alli- neati lungo la strada spiccavano per la loro mole i rigidi fusti del pungentissimo Onopordon illyricum L. Qua e là non mancava neppure qualche esemplare di pianta di alto fusto, resto di antico bosco, ma di aspetto per lo più rachitico perchè mutilato dall’uomo o dal bestiame. In qualche punto poi il Frarinus Ornus L., il Co- rylus Avellana L., l’Ostrya carpinifolia Scop., lAcer campestre L. e qualche altra essenza ancora formavano, promiscuamente associati, più che un simulacro di bosco una specie di intricata boscaglia pel fatto che essi non solo presentavansi ordinariamente più o meno mutilati, ma ad essi sì associavano inoltre lo Spartium junceum L., il Prunus spinosa L., il Crataegus oryacantha L., il Rubus discolor W. et N., la Clematis Vitalba L. Lontano dalla strada mulattiera si osservava qualche boschetto di Castagno ed al Monte Pojo essa attraversava un boschetto di piccoli Faggi. Da £Rosolo in poi comincia la sequela dei boschi, il vero dominio dei Faggi, che si estende per una grande distesa di territorio mi- surante chilometri e chilometri sia in lunghezza che in larghezza. La regione è frastagliatissima: gruppi di monti, che qua e là sì sollevano, lasciano fra loro valli più o meno ampie e talora dei piani più o meno estesi la cui altitudine supera sempre i 1000 metri sul livello del mare, e fra i quali, principale per estensione, è il Piano COTE AE > lA DI ” a % = 4 ‘ » - LIL è pe - Vova ga parte appartiene al z i di Mormanno, parte a quello di Morano Calabro; altre parti rispet- ; ® di Novacco (1). Di questa enorme pla » tivamente ai comuni di Saracena, Lungro, Acquaformosa, S. Donato di Ninea, Verbicaro ed Orsomarso. i si Comunemente si dice che l’ Appennino sia denudato: in tutta 9 Ne questa regione però, salvo in pochi tratti adibiti a coltura od a pa- È scolo, il suolo è coperto più o meno fittamente di Faggi, tanto che LI possiamo dire che essi formano un bosco solo, anzi, meglio, una fo- » resta continua, che segue le accidentalità del terreno, qua scendendo nelle valli, là salendo per le pendici fin sulle vette dei monti, solo arrestandosi sotto quelle dei più elevati, dalle quali non si vede che una plaga verdeggiante, un vero oceano di verzura. Qua, ed è nella maggior parte di essa, la foresta si presenta an- cora intatta con i tronchi diritti, giganteschi; là, ove fu abbattuta, risorge con straordinaria vitalità tanto che il giovane bosco è spesso così fitto da essere quasi impenetrabile. La relativa lontananza dai luoghi abitati rende colà possibile questa ricostituzione del bosco, mentre nelle vicinanze dei paesi il taglio dei Faggi, continuamente i praticato, è la causa della continua riduzione, ed in taluni casi per- i fino della scomparsa «dell’area boschiva per zone più o meno estese. Infatti mentre troviamo in questa regione, come ho già detto, una così grande distesa di bosco, i fianchi dei monti pei quali dai paesi vi sì accede si presentano invece più o meno brulli. Dove il bosco è fitto il sottobosco manca completamente; e non solo le erbe ma anche le piantine nate nell’annata dalle faggiuole periscono, e perfino i rami inferiori e quelli fino ad una certa altezza degli alti Faggi disseccano e cadono; al di sopra degli alti ‘+ tronchi la chioma dell’uno si confonde con quella dei Faggi vicini così che in certi punti s' intravede appena il sole. Ma, all'ombra del bosco, in altri punti in cui esso non è più così fitto, trovano stanza aleune specie, fra le quali ricordo, come più frequenti, la Cepralan- thera rubra Rich., la Luzula silvatica Gand. . sicula (Parl.), il La- thyrus variegatus Gr. et (Godr., laStellaria nemorum L., la Fragaria vesca T,. (che in certi luoghi, come nei pressi di S. Maria del Monte, F era abbondantissima), V Asperula odorata L., il Galium rotundi- folium L. (1) Ricordo a questo punto il Piano di T'avolaro, che si trova a 1172 metri, perchè nel sottosuolo si sa esistere una miniera di salgemma (probabilmente in comunicazione con quella di Lungro), la quale, aperta sotto il regno di Gioac- chino Murat, fu poi presto chiusa dai Borboni, e, riaperta durante i moti del 1848, fu di nuovo chiusa dopo domata la rivoluzione. e «——Di quando in quando, come già dissi, in mezzo alla foresta si presentano dei tratti più o meno pianeggianti, più o meno estesi, adibiti a pascolo od a coltura, nei quali la foresta s' interrompe. Essi io credo siano opera, almeno nella grande maggioranza, dell’uomo, che, dopo aver distrutto il bosco, ne avrebbe reso impossibile, con la coltura o con il pascolo, la ricostituzione su questi tratti. I Faggi, che limitano all’ingiro queste radure, sì presentano naturalmente soltanto dalla parte rivolta verso il bosco, come quelli nell'interno di esso, privi di rami inferiormente e fino ad una certa altezza dal suolo, dalla parte invece rivolta verso la radura si presentano rami- ficati fin quasi dalla base. La radura è fittamente coperta da una folla di erbe, che si arresta, più o meno improvvisamente, non ap- pena incomincia il bosco per la mancanza o l'insufficienza d’illumi- nazione. Qua e là in essa si trova pure, talora, qualche Faggio iso- lato, che si presenta allora ramificato da ogni lato fin da breve altezza dal suolo. Se la foresta da me visitata era costituita essenzialmente da Faggi tuttavia vi trovai quà e la sporadicamente qualche Abete, qualche Tasso e qualche esemplare di A/nus cordifolia Ten. Gli Abeti, gigan- teschi, spiccavano da lontano in mezzo ai Faggi, oltre che per la mole maggiore, anche per la tinta più cupa del loro fogliame. I Tassi, quantunque anch’essi di fogliame cupo, si distinguevano dagli Abeti per essere di mole sempre inferiore a quella dei Faggi, quantunque, relativamente a quelli da me veduti coltivati nei giardini, presen- tassero mole veramente gigantesca. Finalmente al Timpone del Pino, in una località abbastanza dirupata, ma accessibile, trovai un di- secreto numero di esemplari di Pinus nigricans Host. Fra gli esem- plari annosi di questo Pino se ne trovavano anche di età sempre mi- nore, fino a giovanissimi. Tutti presentavansi però sempre relativa- mente piccoli, sia in altezza, sia in grossezza dei tronchi, tanto che anche quelli di mole maggiore più che come alberi potevansi consi- derare come alberetti. Gli Abeti ed i Tassi vanno sempre più scomparendo perchè ab- battuti per utilizzarne il legname. I Pini, quantunque utilizzati per fiaccole (deghe) (1), si troverebbero ancora in quantità, giacchè, quantunque io non li abbia trovati che al 7°." del Pino, mi fu as- sicurato dalla guida, abbastanza buona conoscitrice dei luoghi, che (1) Dega: nome corrotto di teda. I naturali si procurano queste fiaccole praticando sui tronchi dei tagli tangenziali dai quali cola la resina e poi aspor- tando negli anni successivi delle schegge di legno che, per essere impregnate di resina, bruciano facilmente con molta fiamma. PRI PIE EER, TA PRATI PIOTTA BREA TOMEZZE URTI e en CISAIRITI 9° 1h SS PRATO Ù) dg o | "n essì sì trovano in diversi altri siti dirupati, talora addirittura inac- cessibili. Ed infatti, da lungi, scorgevo in diversi punti rocciosi delle masse nerastre, che spiccavano sul verde dei Faggi e che la guida mi indicava come Pini. Fra le cime dei monti di questa regione la più elevata è quella del monte Cozzo del Pellegrino, che si eleva a 1986 metri sul livello del mare. Essa si presenta come una cresta allungantesi da est ad ovest, con le due facce quindi sensibilmente rivolte l’una a nord, l’altra a sud. Anche su questo monte gli ultimi Faggi, che osservai salendo dalla parte rivolta al nord, sì presentavano, come quelli che già trovai sul monte Serra del Prete (Pollino) in esposizione a nord- ovest (1), nani, chinati al suolo e con l’apice rivolto a valle. Però, a differenza di quelli della Serra del Prete, questi Faggi erano qui tut- t'altro che numerosi e ciò, credo, probabilmente a causa sia della mi- nore elevazione sul livello del mare a cui essi si presentano, sia perchè tende a ridurne il numero anche la deplorevole abitudine dei pastori, che, più che altro per passatempo, sogliono troncarli con la scure come potei io stesso vedere e come pure lo rivelavano diversi pic- coli Faggi che trovai troncati e giacenti disseccati sul suolo. Al di sopra di questi ultimi Faggi fin sulla vetta, nei pascoli e tra le fessure delle rocce, la vegetazione presentava le caratteristiche della vegetazione-alpina. Nè vi mancavano specie della tipica flora alpina non ostante la poco notevole elevazione di questa vetta. Fra queste ultime specie ricordo la Poa alpina L., la Festuca dimorpha Guss., la Carer sempercirens Vill., il Thesium linophyllum L. &. Parnassi (A. DC.), PA/chemilla alpina L., lAstragalus depressus L., la Trinia vulgaris DC. f. carniolica (Kern.), 1 Androsace villosa L., il (Galium olympicum Boiss., Vl Anthemis mucronulata Bert. Oltrepassata S. Maria del Monte alquanto al di sotto del San- tuario sì arrestano 1 Faggi, e giù per la china verso il mar Jonio si ha il solito succedersi del Castagno, della Quercia e, poco al di sotto della salina di Lungro, della macchia. Nei monti vicini però al di sopra del paese di Lungro per le pendici, talora anche fin sulla vetta, sale in bei boschi il Cerro. Nei pressi della salina di Lungro in un burrone poco profondo e nel quale il suolo, franoso, presentava abbondanti efflorescenze sa- line, non trovai a vegetare alcuna pianta. Stante però la stagione assal inoltrata e l’esposizione solatia di questa località rimasi in dubbio se questa assenza di vegetazione dovesse attribuirsi alla grande (1) Longo B. — Contribuzione alla conoscenza della vegetazione del bacino del fiume Lao. — Ann. d. R. Istit. Bot. di Roma. Anno IX (1902), pag. 259. RR API, gr ERRE S e BERIO RT ni i Va 2. e ta) | secchezza del suolo in quell'epoca, ovvero se nemmeno nella stagione più favorevole si fossecolà presentata vegetazione a causa della na- tura troppo salata del terreno. Non potei quindi fare osservazioni re- lativamente a quanto mi ero proposto: se, cioè, in questi luoghi sa- lati vegetassero delle piante alofile, od anche se, vegetando colà specie comunemente viventi su terreni non salati, esse risentissero la influenza della speciale natura di questa stazione. A distanza abbastanza notevole dalla salina, ma ad un dipresso all’ istessa elevazione sul livello del mare, al di là del fiumicello di Lungro, nella località Scornovacca tutto intorno ad una pic- cola sorgente di acqua salata si arrestava d’un tratto, come alla riva del mare, la zolla erbosa e soltanto vi vegetava qualche alberetto di Tamarix africana Poir. e, in ricchi cespugli, il Juncus acutus L., che, come è noto, predilige i luoghi salati, tanto che in altre sorgenti vi- cine, ma di acqua dolce, mancava completamente, mentre presenta- vasi in esse una ricca vegetazione di altri Giunchi e di altre piante idrofile (Scirpus Holoschoenus L., Typha angustifolia L., ecc.). Dai luoghi circostanti si avanzava verso la sorgente salata, fin quasi a. lambirne le acque, soltanto l’Inula viscosa Ait., che già avevo trovato a vegetare anche sulla spiaggia del mare frammista alle piante alo- file (1). Anche qui, come colà, essa non sembrava, almeno apparen- temente, soffrire della natura salata della stazione. Alritornonella località S. Pietro, poco prima di raggiungere la strada nazionale, al margine della via mulattiera, sopra gli 800 metri sul li- vello del mare, trovai abbandonate il Lagurus ovatus L. — fatto questo abbastanza degno di nota in quanto che, come è noto, questa pianta vive ordinariamente sulla spiaggia del mare o poco lontano. Credo inoltre interessante ricordare che non solo lo trovai in questa località appar- tenente alla regione submontana e così lontana dal mare, ma anche che, mentre esso vi era abbondante, invano lo cercai nei pendii al di sopra e al di sotto della strada mulattiera. Ai margini della strada nazionale da S. Pietro a Mormanno vi era. la solita vegetazione xerofila in cui predominava il tono grigio delle piante fittamente coperte di peli morti, reso ancor più marcato’ dalla grande quantità di polvere che, sollevatasi dalla strada, vi si era de- positata sopra. Più frequenti erano: la Silene paradora L., il Cytisus spinescens Sieb. var. ramosissimus (Ten.), Euphorbia Myrsinites L., la Salvia officinalis L., la Sideritis sicula Ucr., la Putoria calabrica Pers., (1) LoxGo B. — Contribuzione alla conoscenza della vegetazione del bacino del fiume Lao. — Ann. d. R. Istit. Bot. di Roma, Ann. IX (1902), pag. 264. L'ElORi sem | Stoechas Gan e dt (A da Worngtino era So di ‘cialmente abbondante la Salvia Sclarea L. i 008 Come già dissi, al principio di autunno feci una breve gita al monte : Palanuda. In questa gita non potei fare però che pochissima raccolta, giacchè le scarse pioggie cadute dopo un'estate assai lunga e secca non erano state sufficienti a ridestare la vegetazione. Tuttavia anche , essa riuscì fruttuosa giacchè potei raccogliere in piena fruttificazione il Cytisus alpinus Mill., nei pressi del monte Palanuda, nei boschi di Faggi — boschi, che non sono che la continuazione dell’ immensa fo- resta già prima descritta. * le piante da me raccolte in queste gite risulta che alcune di esse, quali la Carex sempervirens Vill., il Delphinium velutinum Bert., l’ Aconitum Lycoctonum L., il Sedum atratum L., l Anthyllis montana L., Vl Eu- phorbia Myrsinites L., VE. Barrelieri Sav., la Daphne Mezereum L., la Gentiana lutea L., il Cynoglossum apeninum L., la Globularia cordi- folia L., V Asperula mneglecta Guss., il Galium olympicum Boiss., l’Anthemis mucronulata Bert., ecc. sì credeva sì arrestassero al Pollino; altre invece, come il Sedum brutium Terr. N., si ritenevano esclusive del Pollino; altre poi, come il Chrysosplenium macrocarpum Cham., erano finora indicate solo per Aspromonte e per la Sila. Finalmente alcune — le più notevoli — quali la Festuca dimorpha Guss., il The- sium Parnassi A. DC., il Sedum magellense Ten., la Saxifraga lingu- lata Bell., il Cytisus alpinus Mill., l’Androsace villosa L., la Gentiana verna L. e la sua forma e/ongata (Haenk.), mi risultano del tutto nuove per le Calabrie e parecchie di esse perfino per l’Italia meridionale. Ri- cordo anche il /umer sanguineus L. che mi risulta nuovo per la Ca- labria Citeriore. Nell'elenco che segue mi limito ad enumerare soltanto quelle specie che non avevo ancora raccolte in Calabria, tralasciando quindi quelle che, per essere state da me trovate in altre località, furono già com- prese nei dne elenchi dei miei lavori sulla flora di Calabria (1). Se consideriamo oradal punto di vista della distribuzione geografica ] (1) Lonx6o B. — Contribuzione alla Flora calabrese. — Ann. d. R. Ist. Bot. «d. Roma. Anno IX (1901), p. 148-168. Ip. — Contribuzione alla conoscenza della vegetazione del bacino del fiume Lao. — Ann. d, R. Ist. Bot. d. Roma. Anno 1X (1902), pag. 265-276, I DIVISIONE. EMBRYOPHYTA ASIPHONOGAMA. 1* SortoDIvIsIOonE. — PTERIDOPEYTA. 1% CLASSE. — FILICALES. Famiglia PoLYPODIACEAE. 1. Aspidium Lonchitis Sw. — Sotto gli ultimi Faggi, nani, un po’ sotto la vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). Il DIVISIONE. EMBRYOPHYTA SIPHONOGAMA. 1* SOTTODIVISIONE. — GYMNOSPERMAE. 1* CLasse. — CONIFERAE. Famiglia TAxACEAE. 2. Taxus baccata L. — Volg. Tassu. — Trai Faggi, poco lungi da S. Maria del Monte (Acquaformosa). Famiglia PrxAcEAF. 3. Pinus nigricans Host — Volg. Piòca. — Sul Timpone del Pino (Acquaformosa), versante occidentale, in luogo roccioso scosceso, oltre i 1400 m. sul livello del mare. Albero di piccole dimensioni; foglie piuttosto corte (7-9 cm.), | rigide, un po’ incurvate; pine di grandezza variabile, con umbone mucronato in tutte le squame (1). (1) Per maggiori ragguagli circa i caratteri differenziali del Pinus nigricans | Host dal P. Laricio Poir. cfr. LoxGo B., Sul Pinus nigricans Host. Ann. di | Bot. Vol. I, pag. 65. i i 2% SOTTODIVISIONE. -— ANGIOSPERMAE. 1* CLasse — MONOCOTYLEDONEAE. Famiglia POTAMOGETONACEAP. 4. Potamogeton densum L. — Sommerso nell’ Acqua Sambuchéta (Mormanno); reg submontana. Famiglia GRAMINACEAE, 5. Phleum pratense L. — Nei coltivati alla località Résolo (Mo- rano Rea a 1125 m. sul livello del mare. ì. Stipa pennata L. — Sulla vetta (m. 1440) del M. Cerviero (Mor rt soltanto dal lato rivolto verso mezzogiorno; anche nel- l’istessa esposizione sulla vetta di un monte, avente su per giù l’istessa elevazione sul livello del mare, nei pressi di S. Maria del Monte (Acquaformosa). 7. Deschampsia caespitosa P. B. — Al Varco dei Salinari, a Tavolaro (Acquaformosa) ecc., reg. montana. 8. Poa attica Boiss. et H. — Luogo erboso a Monte d'Oro (Mo- rano Calabro) verso i 1000 m. 9. Festuca heterophylla Lam. — Tra i Faggi del Varco dei Sa- linari (Acquaformosa). 10. F. dimorpha Guss. — Sulla vetta del monte Cozzo del Pel- legrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. Osservazione. — Degna di nota è questa nuova località pel fatto che questa bella specie di Mestuca per l’Italia non viene data più in giù del Picinisco (Terra di Lavoro) (1). Il Solla la indicava anche per la Calabria (2); però la Festuca di- morpha! di cui parla il Solla è da riferirsi invece alla Festuca rubra L. — Veramente il Solla, nell’esemplare che si conserva nell’Erbario del R. istituto forestale di Vallombrosa, la determinava con un punto interrogativo. I. Bromus neglectus Nym. — In un campo di grano a piè del M. Verviero (Mormanno), reg. submontana. 12. B. intermedius Guss. — Tra i ciottoli presso una sorgente sotto la vetta del Monte Cerviero (Mormanno), reg. montana. 183. B. squarrosus L. b. v7//0sus (C. C. Gm.). — Al Piano di Mezzo (Saracena) a 1250 m. (1) ARCANGELI G., — Compendio della Flora italiana (sec. ed., 1894), pag. 60. Fiori A. in Fiori A. e PaoLETTI G. — Flora analitica d'Italia. Vol. I, (1896), pag. 93. (2) SoLLa R. F. — Osservazioni botaniche durante una escursione în pro- vincia di Cosenza. Malpighia, anno X (1896), pag. 220. A FASE ti n MIA E : > 1 Wi “ae fi FIRE INTERI ENSA MRETT A tr egg ra 14. Secale montanum Guss. — Luoghi selvatici rocciosi a Rosolo {Morano Calabro) verso i 1150 m. 15. Triticum villosum P. B. — Vol. Spica formichina. — Comune al margini e nei campi stessi a osolo (Morano Calabro) a 1125 m. Famiglia CyPERACEAE. 16. Carex distans L. — In luogo umido al Piano di Novacco (Saracena) a 1300 m. Famiglia JUNCACEAE. 17. Luzula silvatica Gaud. # sicula (Parl.). —Tra i Faggi al Varco dei Salinari (Acquaformosa), al monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea) ecc. 18. L. campestris DC. — Al Piano di Novacco (Saracena), reg. montana. Famiglia LiLIACEAE. 19. Asphodeline lutea Reich. — Volg. Lémbro. — Luoghi aprici selvatici alla località Greco (Mormanno), reg. montana. 20. Polygonatum multiflorum All. — In luoghi rocciosi a /osolo (Morano Calab.) verso i 1150 m. Famiglia ORCHIDACEAF. 21. Loroglossum hircinum Rich. — Tra i Faggi a S. Maria del Monte (Acquaformosa). 22. Gymnadenia conopsea R. Br. — Alla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. 23. Neottia Nidus-avis Rich. — Tra i Faggi all’ Acqua del Mangano (S. Donato di Ninea). 2% CLasse. — DICOTYLEDONEAE. 1* SoTTTOCLASSE. — Archichlamydeae Famiglia SALICACEAF. 24. Populus tremula L. Volg. Alivani. — Alla località Greco (Mor- manno) oltre i 1100 m. e qua e là sporadicamente in altre località di Mormanno nella regione submontana: Donna Bianca, S. Dome- nica, ecc. Famiglia SANTALACEAE. — 25. Thesium linophyllum L. ©. Parnassi (A. DC.). — Alla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. Osservazione. — Per l’Italia non vien dato che per i monti (re- gione alpina) dell'Abruzzo (1). Famiglia ARISTOLOCHIACEAE. 26. Aristolochia rotunda L. — Margine di via mulattiera a Scor- novacca presso Lungro. 27. A. longa L. £. pallida (W.). — Al M. Cerviero (Mormanno), reg. montana. Famiglia PoLYGONACEAE. 28. Rumex crispus L. — Sul Monte Cerviero (Mormanno), re- gione montana. 29. R. sanguineus L. — Ad una sorgente sotto la vetta del Monte Cerviero (Mormanno), reg. montana. Osservazione. — È nuovo per la Calabria Citeriore non venendo indicato che soltanto per la Calabria Ulteriore II sopra Nicastro (2) e per la Calabria Ulteriore I în quel di Laganadi (3). 50. R. pulcher L. f. divaricatus (L.). — Volg. Marrafàuci. — Nei luoghi selvatici e nei coltivati a òsolo (Morano Calabro) verso i 1125 m. 31. R. Acetosa L. f. a/pinus Boiss. — Nei pascoli un po’ sotto la vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 32. R. arifolius All. — Nei pascoli un po’ sotto la vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). Famiglia CARYOPHYLLACEAE. 35. Sagina Linnaei Presl f. glabra (Fenzl). — Alla vetta, reg. al- pina, del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), ed al Piano di Novacco (Saracena) reg. montana. 54. Alsine verna Bartl. c. caespitosa (Guss.). — Nelle fessure delle rocce alla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. 1) Fiori A. in Fiori A. e PaoLETTI G. — Flora analitica d’ Italia, Vol. I, (1898), pag. 286. (2) Fiori A. — Contribuzione alla Flora della Basilicata e Calabria. Nuovo Giorn. bot. ital. (N. S.). Vol. VII (1900), pag. 254. (3) MOTTAREALE G. — Contributo alla Flora calabrese (Erborazioni a Laga- nadi). Annali della R. Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici (1901), pag. 14 dell’estratto. pero È i È pi È ‘ astri fai, PU” >- , a =. SR de Paronychia Kapela A. Kern. 8. serpyllifolia (DC.).. — Alla vetta, reg. alpina, da monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). Osservazione. — A. questa varietà è anche da riferirsi la Parony- chia che raccolsi sul monte Serra del Prete (Pollino), reg. alpina, e che per svista fu pubblicata semplicemente sotto il nome di Paro- nychia Kapela A. Kern. (1). 36. Tunica saxifraga Scop. Bf. permirta (Terr. A.). — All Acqua- viva (Mormanno), oltre 1 1000 m. 3. Dianthus liburnicus Bart. und Wend. - Lungo la via mulat- tlera a Scornovacca presso Lungro. Famiglia RANUNCULACEAE. 38. Delphinium velutinum Bert. — Al Piano del Minatore (Saracena) a 1400 m. 39. Ranunculus repens L. — In luogo umido al Piano di No- vacco (Saracena), reg. montana. 40. R. ophioglossifolius Villl — In un fosso fra i Faggi a piè del Te del Pino (Acquaférmosa). Famiglia CRUCIFERAE. 41. Brassica campestris L. — Volg. Rapa salivaggia. — Nei col- tivati alla località Greco (Mormanno) oltre i 1100 m. ed in altre località. Famiglia CAPPARIDACRAF. 42. Capparis sicula Duham. — Volg. Chiàppari. — Sul terreno nei pressi della Salina di Lungro, oltre i 400 m. sul l. d. m. Famiglia CRASSULACEAE. 48. Sedum magellense Ten. — In luogo roccioso, lato nord, tra 1 Faggi radi verso i 1800 m. al monte Cozzo del Pellegrino (S. Do- nato di Ninea). Osservazione. — Per l’Italia non vien dato che per Appennino centrale soltanto (2). 45a. S. magellense Ten. 8. brutium (Terr. N.) — Sulla vetta, reg. alpina, dell’istesso monte Cozzo del Pellegrino. (1) Loxgo B.— Contribuzione alla conoscenza della vegetazione del bacino del fiume Lao. Annuario del R. Istit. Bot. di Roma. Anno IX (1902), pag. 268. (2) ARCANGELI G. — Compendio della Flora italiana (sec. ed.), pag. 567. .. PAOLETTI G., in FIORI A. e PAOLETTI G. — Flora analitica d’Italia. Vol. I (1898), pag. 550. ANNALI DI BoTANICA — Vot. I. i fi n pla Ea Famiglia SAXIFRAGACEAE. 44. Saxifraga lingulata Bell. — Pendente dalle rocce sull’orlo dei dirupi un po’ sotto la vetta (lato occidentale) del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). Osservazione. — È nuova per la Calabria non venendo data, per l’Italia peninsulare meridionale, che fino alla Basilicata (1) 45. S. marginata Sternb. — Sulla vetta (m. 1986) del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 46. Chrysosplenium macrocarpum Cham. (C. dubium Gay). — In luogo umido nel fosso del Varco dei Salinari (Acquaformosa), reg. montana. Osservazione. — Per l’Italia non lo trovo indicato che per l’A- spromonte e per la Sila (2). Famiglia. ROsACEAE. 47. Alchemilla alpina L. — Sulla vetta, reg. alpina, del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 48. Rosa canina L. — A Rosolo (Morano Calabro) ed a Greco (Mormanno), oltre i 1100 m. i Famiglia LEGUMINOSAE. 19. Cytisus alpinus Mill. — Tra i Faggi nei pressi del monte Palanuda (Mormanno). Osservazione. — Questa nuova località è moltointe ressante per l’area di distribuzione di questo alberetto che per l’Italia non vien | dato che dalle Alpi al monte Catria (Marche) (83). 50. Ononis oligophylla Ten. b. pubescens Guss. — Margine di campo | a Scornovacca presso Lungro. i 51. Medicago sativa L. ©. varia (Mart.). — Volg. Cessavòi. -- Nei . campi di grano a pie’ del Monte Cerviero (Mormanno), reg. sub- montana. 52. M. rigidula Desr. — Nei coltivati a Rosolo (Morano Calabro), oltre i 1100 metri. (1) PaoLETTI G. in Fori A. e PAOLETTI G. — Flora analitica d’Italia. Vol. I (1898), pag. 539. (2) PAOLETTI G. in Fiori A. e PaoLETTI. — Flora analitica d'Italia. Vol. I (1898), pag. 542. (3) ParLATORE F. — Flora italiana (contin.. Vol. X (1893), pag. 124. Fiori A. in Fiori A. e PaoLETTI G. — Flora analitica d’Italia. Vol. II (1900), pag. 13. Sgt: ge 1,58. Trifolium arvense L. — Al margine dei campi tra i Cerri sopra il paese di Lungro. 54. Anthyliis Vulneraria L. ©. rubra (Gouan). — A Perrone (Mo- rano Calabro), reg. montana. 55. Lotus corniculatus L. b. ciliatus Koch — Sulla vetta, reg. alpina, del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 5ba. Id. id. c. Airsutus Koch — Al Piano di Novacco (Saracena), reg. montana. 56. Astragalus depressus L. — Sul monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. DT. Lathyrus pratensis L. — Al Piano di Campolungo' (Lungro), reg. montana. Famiglia GERANIACEAF. 58. Geranium pyrenaicum L. — All’Acquarira (Mormanno), al monte Scifarelli (Saracena) ed al monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea) reg. montana. 59. Erodium cicutarium L’Hérit. — Al piano avanti la cappella di S. Maria del Monte (Acquaformosa), reg. montana. Famiglia GUTTIFERAE. 60. Hypericum barbatum Jacq. — Al Piano di Novacco (Saracena), | reg. montana. Famiglia VIOLACEAE. 61. Viola calcarata L. %. nedrodensis (Presl.) — ? — Sulla vetta del monte Cozzo del Pellegrino, reg. alpina. 62. V. gracilis Sib. et Sm. b. lutea Boiss. — Al Piano di No- vacco (Saracena), reg. montana, insieme con la forma tipica a fiori violacei, abbondante. Famiglia THYMELAEACFAE. 63. Daphne Mezereum L. — Tra i Faggi al monte Cozzo del Pel- legrino (S. Donato di Ninea). Famiglia UMBELLIFERAF. 64. Trinia vulgaris DC. 8. carniolica (Kern.).. — Alla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. 65. Bunium Bulbocastanum L. — Margine di via mulattiera sotto S. Maria del Monte (Acquaformosa), reg. montana. 66. Ammi majus L. — Nei coltivati alla Scala (Laino Borgo), reg. submontana. ANNALI DI BorANICA — VoL. I. q# Pi 9° 4 a a n 67. Tordylium -officinale L. — Margine di strada mulattiera ai Savelli (Mormanno), reg. submontana. me 68. Oenanthe pimpinelloides L. — Presso l'Acqua della Foce (Mor- he manno), reg. submontana. i O ei i] Ta 2° SorrocLAsse — Metachlamydeae. 1 Famiglia PRIMULACRAR. 69. Androsace villosa L. — Nelle fessure delle rocce alla vetta - (lato nord) del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. i Osservazione. — Questa nuova località è molto interessante per l’area di distribuzione di questa specie che per l’Italia non viene | data che dalle Alpi al monte Mutria (Campania) — pascoli e rupi della regione alpina (1). : Famiglia GENTIANACEAR. I | 70. Gentiana verna 1. — Alla vetta del monte Cozzo del Pelle- grino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. 70a Id. id. 4. elongata (Haenk.). — Insieme con la specie. Osservazione. — Questa nuova località è molto interessante per l’area di distribuzione di questa specie (non che della sua forma ?.) che per l’Italia vien data soltanto dalle Alpi al Matese (Campania) (2). Famiglia CoxvOLVULACRAR. 71. Cuscuta Epithymum Murr. b. rubdella Englm. — Alla vetta, reg. alpina, del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), parassita sull’ Androsace villosa L., sulla Draba longirostra Nym., sull’/elianthemum canum Dun., sul ZAymus serpyllum L., sul Galium corrudaefolium Vill. e su qualche altra pianta ancora. lamiglia BorrAGINAORAE. 72. Anchusa undulata L. — Margine di strada mulattiera sotto S. Maria del Monte (Acquaformosa), reg. submontana. 75. Cynoglossum apenninum L. — Al /iamo di Novacco (Saracena), reg. montana. (1) Fiori A. in Fiori A. e PaoLETTI G. — Flora analitica d’Italia (contin.). Vol. II (1902), pag. 819. (2) Vaccari L. in Fiori A, e PAaoLETTI G. — Flora analitica d'Italia (contin.). Vol. II (1902), pag. 358. 4 AS! a" er Ri e = LIPSVI Pe x \ A dit — 101 — Famiglia LaBrataE. 74. Origanum vireng.H. et L. — Luoghi aprici selvatici alla Scala (Mormanno), verso i 1000 m. 5. Stachys germanica L. — Al monte Cozzo del Pellegrino (S. Do- nato di Ninea), ove, nelle radure lasciate dai Faggi, era così ab- bondante da formare dei fitti prati. 76. Phlomis Herba-venti L. — Margine di strada mulattiera a Mamurro, sopra il paese di Lungro, reg. submontana. Famiglia SCROPHULARIACEAE. ‘7. Veronica Teucrium L. — Al /iano di Novacco (Saracena), reg. montana. 78. V. serpyllifolia L. — All’Acqua di Scifarelli (Saracena) verso 1 1550 m. 79. Rhinanthus major Ehrh. —? — A Campolungo di Lungro, reg. montana. — In frutto soltanto. 80. Pedicularis elegans Ten. — Sulla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. Famiglia PLANTAGINACEAF. 81. Plantago Coronopus L. — Sulla strada nazionale (parte meno battuta) da S. Primo (Laino Borgo) in su andando a Mormanno. 82. P. argentea Chaix. — Nei pascoli alla vetta del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea), reg. alpina. Famiglia RUBIACEAF. 53. Asperula arvensis L. — Nei campi di grano a pie’ del Monte Cerviero (Mormanno), reg. submontana. 84. A. taurina L. -- Tra i Faggi alla Bocca di Novacco (Sa- racena). . 85. A. odorata L. — Sotto i Faggi nei pressi di S. Maria del Monte (Acquaformosa). 86. A. neglecta Guss. — Alla vetta, reg. alpina, del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 87. Crucianella angustifolia L. Sulle rocce a piè del Monte Cer- viero (Mormanno). 38. Galium Cruciata Scop. — Nelle siepi che fiancheggiano la via mulattiera alla Garròsa (Mormanno), reg. submontana; ed al Piano di Novacco (Saracena), reg. montana. 59. G. palustre L. — All’Acqua Sambucheta (Mormanno), reg. sub- montana. ì fi 140 # » x e " “—_ 102 — PRO. ROTTO 4 7 ve 90. Galium olympicum Boiss. — Nelle insenature delle rocce alla vetta (lato nord) del monte (Cozzo del Pellegrino (S. Donato di SA Ninea), reg. alpina. 9 91. G. Aparine L. — Tra i Faggi, lungo la strada mulattiera, alla Bocca di Novacco (Saracena). 92. G. parisiense L. b. nudum Gr. et Godr. (G. anglicum Huds.). | -— Margine dei campi tra i Cerri sopra il paese di Lungro. Famiglia CAPRIFOLIACEAF. ‘3. Lonicera etrusca Savi — Nelle siepi a piè del Monte Cer- wiero (Mormanno), reg. submontana. Famiglia DIpsACACFAR. 54. Scabiosa crenata Cyr. — Sulle rocce al Monte Bombolato (Mormanno) oltre 1 1000 m. Fainiglia CAMPANULACERAF. cd 95. Campanula Rapunculus L. — Lungo la via mulattiera a Scor- novacca presso Lungro. 96. C. dichotoma L. — Lungo la strada rotabile presso il paese di Acquaformosa, reg. submontana. 57. Jasione montana L. — Al margine dei campi tra i Cerri sopra il paese di Lungro. Famiglia COMPOSITAR. 9$. Anthemis mucronulata (Bert... — Sulla vetta (m. 1986) del monte Cozzo del Pellegrino (S. Donato di Ninea). 99. A. Cota L. — Al margine di un campo al Monte d'Oro (Mo- rano Calabro) e nei campi alla V/aganèta (Mormanno) reg. montana. 100. A. Cotula L. — Nei campi alla Vlaganeta (Mormanno), reg. montana. i 101. Carlina acanthifolia All. Volg. Carlina. —— AI Piano di Novacco (Saracena), reg. montana. 102. Cirsium stellatum Spr. - Margine di strada mulattiera sopra il paese di Acquaformosa, reg. del Castagno. 1053. Onopordon illyricum L. -— Allineato lungo le strade a S. Biase (Laino Borgo), alla Saliréra ed a Campolungo (Mormanno), al Monte d'Oro (Morano Calabro) da 250 fino a 1000 m. sul livello del mare. 104. Hypochaeris laevigata Ces. Pass. e Gib. — Al margine della via mulattiera, tra i Faggi, alla località Perrone (Morano Calabro). st E nodo di NIGEL eg? alpina. È opogon crogffolius L. — Nei pascoli al Monte Cerviero (Mc orm ‘manno) ed al Piano di Mezzo (Saracena), reg. montana. ; To . Lactuca Scariola L. — Sulle rocce presso fi paese di Lungro. 108. Crepis lacera Ten. — Nei pascoli sassosi al Monte Cerviero (Mormanno), reg. montana. ifivcia, On maggio 1908: i 7 " ENER E 0 AT Brevi comunicazioni La Serapias occultata Gay nella flora romana. - In questi giorni studiando il materiale onde preparare un lavoro critico e monogra- fico sulle Orchidacee romane ho trovata una Serapias da riferirsi indubbiamente alla S. occultata Gay (parviflora Parl.). Detta specie era fino ad ora conosciuta solo per i luoghi marittimi e submarit- timi della Maremma toscana, dell’Italia meridionale, delle grandi isole, dell’isola d'Elba, d’Ischia, di Capri e di Malta. Il fatto di averla trovata nelle arene marittime del litorale della nostra pro- vincia a Fiumicino (V. 1896), a Maccarese (V. 1896, poi più volte nel Maggio 1897 e 1898) colma la lacuna che sì osservava nella sua distribuzione geografica in Italia. Di questa specie parleremo dif- fusamente negli Studi critici d’imminente pubblicazione. 1 Dott. FaBRIZIO CoRrtESI. lk. Istituto Botanico di ltoma, 6 giugno 1905. Cytisus Adami Poir. — Lo scorso anno un esemplare di grandi dimensioni di Cytisus Adami Poir, esistente nel giardino dell’Isti- tuto Botanico di Roma, che aveva sempre abbondantemente por- tato 1 fiori caratteristici di questa ben nota pianta, svolse un ramo lungo circa 50 cm., 11 quale portò nel maggio due bellissimi grappoli di fiori gialli perfettamente identici a quelli del Cytisus Laburnum L. Anche le foglie di questo ramo erano del C'. Ladurnum. Tutti questi fiori.maturavano i frutti ed i semi, mentre non ne vidi mai svolgersi, in dieci anni di osservazione attenta e ininterrotta, dai fiori del 0. Adami. Era mia intenzione seguire il modo di comportarsi del ramo di C. Laburnum; però, con mia sorpresa, dopo maturati i semi, seccò completamente. Ai primi di aprile di quest'anno G. TIscHLER a proposito di un interessante lavoro intorno all’ovulo del 0. Adami (1) ricorda, come del resto aveva già osservato A. Brauw nel 1851, che nel (. Adami compariscono qua e là rami coi caratteri di quelli di C. Laburnum che si comportano normalmente e danno semi abboniti, e rami del C. purpureus Scop., che come è noto è l’altro genitore del C. Adami, con fiori apparentemente normali ma di regola sterili, come lo sono sempre quelli di C. Adami. Ciò spiega, perchè i semi, che talora mi furono inviati come ottenuti dal C. Adami, mi abbiano invece sviluppate piante di (. Laburnum. kR. PIROTTA. Roma, maggio 19053. (1) Tiscurer G. — Ueder eine merkwiirdige Wachstumserscheinung in den Samenanlagen von Cytisus Adami Poir. — Ber. deutsch. Botan. Gesellsch. XXI, 1903, p. 88. Notizie ed Appunti L'Accademia dei Lincei nella seduta solenne del 7 giugno ha confe- rito al Dr. BraGio Lonco il premio Carpi 1902 per la memoria: Ricerche sulle Cucurbitacee e il significato del percorso intercellulare (endotropico) del tubetto pollinico. L'Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti assegnava al Dr. UGO BRIZI un premio per il suo lavoro: Sulle alterazioni prodotte alle piante coltivate dalle emanazioni gazose degli stabilimenti industriali. i È stato distribuito il volume IV della Sy/loge Algarum del Pror. G. B. DE Tonr. Contiene le famiglie Rhodomelaceae e Ceramiaceae. Annunziamo con vivo dispiacere la morte, avvenuta a Bruxelles il 30 u. s. aprile, del chiaro Botanico FRANCOIS CREPIN, già Direttore del Jardin Botanique de l’ Etat a Bruxelles. Era nato a Rochefort il 30 ottobre 1830. È stato pubblicato in data 4 maggio l’ avviso di concorso per Professore straordinario alla cattedra di Biologia vegetale nella Scuola Agraria an- nessa alla R. Università di Bologna. Con decreto del 3 giugno è stato mo- dificato 11 titolo della cattedra in quello di Biologia agraria. Che cosa sia questa cattedra (la denominazione così infelice della quale non si sa a chi sia dovuta mancando nella Legge che istituisce la Scuola), si ha avuto bi- sogno di spiegare, mettendo, tra parentesi, subito dopo il titolo: Fisiologia vegetale, Patologia vegetale, Batteriologia). E dunque una cattedra omnibus, che non pare possa rendere grande servigio in una scuola di grado uni- versitario ! RE La Flora Eritrea, l’Erbario e il Museo Coloniale. Il Signor UGoLINO MARTELLI nella adunanza del 19 aprile della Società Botanica italiana (1) ha parlato intorno alla mia Flora della Colonia Eri- trea, prendendo occasione dalla pubblicazione del primo fascicolo. Mentre lo ringrazio per le parole cortesi dette intorno all’opera da me intrapresa, debbo ‘anche rispondere ad una osservazione. Il Signor Martelli avrebbe preferito, stante la scarsità dei raccoglitori nella Colonia, che la seconda parte della Fora, cioè 1’ enumerazione delle piante finora cono- sciute, fosse stata unita alla prima, pubblicandola subito. Avrei fatto pre- cisamente come dice il Signor Martelli, essendo la seconda parte quasi completamente finita, se fosse vero che non vi sono collettori nella Colonia. Invece da un anno e mezzo l’Istituto Botanico di Roma ha nell’Eritrea chi raccoglie e manda continuamente ingenti collezioni anche da regioni poco o nulla esplorate (1). Si comprende facilmente quindi che io desideri illustrare prima questo materiale. (1) MARTELLI U. — A proposito del 1° fascicolo della Flora della Colonia Eritrea del Prof. R. Pirotta. Bull. Soc. Bot. ital. 1903, p. J4l-142. (2) Recentemente l’Istituto Botanico di Roma si arricchiva anche per la generosità del Dr. A. Tellini e colla graziosa cooperazione del Ch. Prof. Saccardo di notevole materiale raccolto nella «Colonia. fr i » : . — ») porzione legnosa - c) por- le conferiscono un aspetto stellato (fi- Poe BENSI SI gura schem. 8). I coni legnosi sono i punti in cui s’inizia la differenziazione, in senso centripeto, della massa legnosa e sono perciò occupati dal protoxilema. La porzione (1) La prima volta che osservai questa particolarità, credetti che essa fosse in rapporto con la biforcazione del fascio e che quindi ognuno dei due mas- simi cribrosi rappresentasse la porzione cribrosa dei due nuovi fasci, che do- vevansi originare. Fui però costretto a smettere subito questa idea per il fatto che in corrispondenza della divisione della porzione cribrosa, non accennava a dividersi la porzione vascolare e inoltre perchè simile caratteristica si presen- tava costantemente anche nel tratto inferiore della rachide in quel fascio che è il più dorsale e il più adulto di tutti ed incapace più di dividersi in questo punto. io allo stibo SAulio dattoito 6 suo fastoht SETA "AR A e "a; an e 4 È (4 RISE spia 0, da si bri, 1° È » circonda anche in questo caso se massa he 3 sinuosità. Seguono finalmente delle forme più evolute, in cui la massa legnosa e la cribosa si frazionano in corrispondenza delle insenature in tante masse indipendenti che sono dei veri e Ri proprî fasci, la cui porzione vascolare è LU centripeta e la cribrosa presenta due mas- simi uno a destra l’altro a sinistra del protoxilema (fig. schem. c). A queste ul. time forme si può quindi riferire la di- sposizione speciale della porzione cribrosa da noi rilevata nel fascio fogliare in via di sviluppo della Cycas revoluta. Verso l'estremità inferiore della rachide i due massimi cribrosi tendono ad accostarsi i sulla linea mediana (fig. 8 e9, cr) e ciò, probabilmente, segna nel fascio un perfe- zionamento ulteriore, giacchè nel fusto delle Cicadacee e nelle Fanerogame su- periori la porzione cribosa primaria manifesta uno sviluppo uniforme su tutta la sua estensione al limite esterno del fascio. Quanto al cambio, esso non mostra alcuna particolarità in- teressante; soltanto ho potuto constatare che diventa subito attivo, però più dal lato esterno, dove aggiunge numerosi tubi cribrosi e cellule parenchimatiche, disposte regolarmente in serie radiali, che dal lato interno dove produce dei grossi elementi anch'essi disposti in serie e dei quali alcuni non si differenziano più e costituiscono i raggi midollari, altri lignificano, sebbene molto tardi, le pareti e diventano tracheidi. Sopratutto importante però sì è mostrato l’ esame sullo sviluppo della porzione vascolare. Mediante esso ho potuto formarmi un’idea abbastanza chiara sull’origine dei due legni centripeto e centrifugo , in tal modo, soddisfare esaurientemente alla principale questione, che m’imposi fin da quando mi accinsi a questo lavoro. Il legno centripeto è tutto di origine primaria ed anzi abbiamo visto a suo tempo che il primissimo elemento a differenziarsi nel cordone di procambio era una primane vascolare situata nel centro di esso e contro la quale, verso il limite interno, sì addossavano in seguito le altre tracheidi. Per quanto riguarda il legno centrifugo, abbiamo visto nella prima giovine foglia, che abbiamo sezionata, come la sua comparsa non sì manifestava anche quando le altre parti del fascio si erano perfettamente differenziate. Solo alla sua base che rappresentava il FiG. c. — p) porzione legnosa - c) por- zione cribrosa - m) midollo. ratto più pas e, con maggiore oo in foglie più sviluppate, abbiamo notato ite zone di grossi elementi, che legavano da un lato e dall’altro il legno centripeto, ridotto ai minimi termini, col cambio (fig. 3, /'). Questi grossi elementi differenziavano ed ispes- sivano le pareti dal centro verso la periferia della sezione della ra- chide e, siccome il maggior numero di essi proveniva dall’attività del dimbio, possiamo concludere che il legno centrifugo è in massima parte d’origine secondaria. Rimane ora a stabilire se nel fascio esista anche del legno cen- trifugo primario. Per risolvere tale questione bisogna por bene in mente che il primo apparire del legno centrifugo sì manifesta nelle due bande suaccennate i cui elementi abbiam detto che provengono in grande maggioranza dal cambio; tutto il resto del legno centri. fugo è di formazione posteriore alle due bande e quindi completa- mente d’origine secondaria. Ne viene dunque di conseguenza che, se legno centrifugo primario esiste, esso deve trovarsi nelle due bande e precisamente alla loro estremità inferiore o interna. È ap- punto ciò che conferma l’osservazione al microscopio. Gli elementi più interni delle due bande (fig. 8 e 9, 7) a ridosso del legno cen- tripeto, pochi che sieno, sono di origine primaria, essendo belli e differenziati prima ancora che il cambio diventi attivo dal lato in- terno. Ma c’è di più: Essi, a mio parere, devono la loro prima ori- gine al legno centripeto; infatti abbiamo osservato, esaminando le sezioni alla base della rachide delle giovani foglie, come esso man mano che si riduce e si trasporta alla periferia tende a volgere, te- nendo fisso il protoxilema, da un lato e dall’altro i suoi tracheidi più giovani verso l’esterno, dimodochè fra quelli a sviluppo evidente- mente centripeto e quelli a sviluppo centrifugo vi sono tutti i gradi intermedî (fig. 8 e 9). Ma, oltre alla constatazione diretta, vi sono anche delle osservazioni indirette, che concorrono a rendere mag- giormente probabile che il legno centrifugo provenga dal centripeto, anzichè si formi ex novo senza mostrare con esso alcun rapporto. Nes- sun rapporto esiste in effetto fra i due legni nella porzione estrema della foglia, dove i pochissimi elementi del legno centrifugo sono tutti di origine secondaria (fig. 2, f"). E qui si può ammettere che il rapporto manchi, perchè vi è il legno centripeto, il quale adempie la funzione del legno centrifugo primario e quindi lo sostituisce egregiamente. Allorquando però il legno centripeto accenna a scom- parire, la qualcosa appunto si effettua alla base della rachide, ecco che i rapporti frai due legni si stabiliscono ed il legno centripeto subisce gli spostamenti suaccennati. Ora, se non si volesse ammet- tere che il legno centripeto, prima della sua totale scomparsa, dia zione, se sì saprebbe in qual altro modo inte rarvine CORSI con- tatto, che si effettua solo alla base della foglia, vale a dire pen nel tratto in cui il legno centrifugo primario s'inizia, mentre il cen- tripeto si riduce ed infine scompare. Sia dunque dalle osservazioni dirette come dalle indirette risulta. altamente probabile che il legno centrifugo primario provenga dal legno centripeto, fatto questo di grandissimo interesse, il quale, se potrà in seguito essere confermato e reso valido da ulteriori affer- mazioni, gitterà nuova luce sulla prima origine del legno centri- fugo primario nei fasci delle Fanerogame superiori, fasci di cui le prime orme noi dobbiamo senza dubbio ravvisare nel fascio fogliare delle Cicadacee, non per altro per il semplice fatto che quest’ultimo è la continuazione dei fasci del fusto delle Cicadacee stesse, i quali sono dei fasci collaterali perfettamente normali. Se però per la sua estremità inferiore il fascio fogliare delle Cicadacee si accosta a quello delle piante superiori, per il suo estremo libero sì avvicina a quello delle piante di bassa organizzazione, il che risulta evidente se noi facciamo un rapido studio comparato sui fasci di questi diffe- renti vegetali: Anzitutto notiamo che il fascio fogliare delle Cicadacee non trova riscontro in nessun altro gruppo delle piante viventi (1), per cui gli sono stati attribuiti dai differenti autori nomi diversi « fascio diploxilo, fascio unipolare diploxilo, fascio mesarco », quantunque tutti alludano alla medesima particolarità anatomica della porzione vasco- lare. Nondimeno esso mostra un complesso di caratteri, che rendono possibile il paragone suaccennato; e quel che è più interessante sì è che questi caratteri non si presentano ad un tempo in qualsiasi punto del decorso del fascio, bensì mano mano che si procede dal suo estremo libero alla sua penetrazione nel fusto. Il legno a svi- luppo centripeto è senza dubbio un segno di struttura primitiva, frequentissimo nelle Felci e piante affini sia viventi che estinte. (1) In questi ultimi tempi però W. C. Worsdell ha constatato l’ esistenza di fasci a doppio legno anche nei cotiledoni di GingXko e di Cephalotarus, nonchè nel tegumento esterno dell’ovulo di Cephalotarus; ed estendendo le sue ricerche ad altre Conifere, è venuto nella convinzione che il cosìdetto tessuto di trasfu- sione tanto frequente nelle loro foglie altro non rappresenta che le tracce del legno centripeto del fascio diploxilo che possedevano i progenitori (W. C. Wor- sdell. The Vascular Structure of the Ovule of Cephalotaxus. [Annals of Botany vol. XIV, pag. 817, 1900]; e On the Origin of “ T'ransfusion tissue ,, in the Leaves of Gymmospermous Plants. (Journal of the Linnean Society, vol. XXXII, pag. 118, 1897]). n ene nella terminazione del fascio fogliare delle Cicadacee, cioè | all’estremità delle foglioline e della rachide, nel maggior numero dei casi il solo legno centripeto è presente, come è solo esso presente per parecchio tempo durante lo sviluppo del fascio in gran tratto della rachide (1). Quindi, durante lo sviluppo nel suo maggior per- corso, e &llo stato adulto nella sua estremità, il fascio è paragona- bile a quello di alcune forme fossili, considerate come progenitori delle Cicadacee, le quali possedevano solo legno centripeto nel loro interno e nell'aspetto esterno molti punti di somiglianza con le Felci. Oltre ciò, un’altra reliquia di antica struttura si rende evidente nello sviluppo del fascio, sopratutto nel suo estremo libero, ossia la porzione cribosa coi due massimi caratteristici. Procedendo e nel percorso e nel suo ulteriore sviluppo, appaiono nel fascio pochi ele- menti di legno centrifugo, che provengono da una zona di cambio originatasi fra il ffoema e lo xilema-centripeto. Qui il fascio è evi- dentemente più evoluto e trova riscontro nei fasci di quelle piante fossili, anch’esse ascritte fra i progenitori delle Cicadacee, che, pur possedendo uno xilema centripeto bene sviluppato, presentano a ridosso di questo verso l’esterno uno xilema centrifugo tutto secon- dario. Si giunge infine con tuttii graduali passaggi alla base della foglia dove il fascio si modifica profondamente, perchè si riduce i legno centripeto, aumenta il legno centrifugo, il quale si mostra con tutt'altro aspetto che il precedente e appare per la prima volta il legno centrifugo primario. In tal modo modificandosi, il fascio mira ad assumere l’aspetto di un fascio normale di una Fanerogama superiore, aspetto che assume totalmente tosto che esso penetra nel fusto, dove il legno centripeto, come tale, perde ogni traccia, mentre il legno centrifugo primario, che - secondo il nostro modo di vedere - da esso deriva, dapprima alquanto laterale, in relazione appunto col suo modo di origine, si sposta e prende il posto che occupa nor- malmente il legno primario negli ordinari fasci collaterali delle Fanerogame odierne. Riassumendo, le conclusioni principali che noi possiamo ricavare dal nostro studio sono le seguenti : 1) La porzione cribrosa primaria del fascio fogliare delle Cicadacee presenta nel tratto più lontano dalla base della foglia due massimi di sviluppo; il che noi interpretiamo come un carattere ancestrale. (1) Il che, se è vero che l’Ontogenia ripete la Filogenia, conferma maggior- mente che il legno centripeto è più antico del centrifugo. RA PISO SCIA VA al» te ES Livi wi i Pea Ù 4 Tua —_* ri, 0A dé st * Megno ben tttagn primario prosa * so { il resto della foglia il legno centrifugo è di origine secondaria. ba 3) Il legno centrifugo primario, per un complesso di caratteri ci dimostra di provenire dal legno centripeto. 4) Il fascio fogliare delle Cicadacee nel suo sviluppo e nel suo percorso presenta attualmente un insieme di modificazioni, che ripetono tutti quei mutamenti, che il fascio vascolare ha dovuto subire nel tempo, per assumere l’aspetto complicato e caratteristico con cui noi oggigiorno lo osserviamo nelle piante superiori. Roma, 10 aprile 1903. . Spiegazione delle Tavole VIII-IX. Fig. 1. — Sezione trasversale di un fascio all’ estremità libera della rachide di una foglia di Cycas revoluta? e ») porzione cribrosa più vecchia schiacciata - p x) protoxilema centripeto - #) porzione va- scolare centripeta. Fig.2. — Sezione trasversale nello stesso fascio alla metà della rachide: e 7) porzione cribrosa più vecchia schiacciata - c »') tubi cri- brosì di origine secondaria - c) cambio - /") legno centrifugo secon- dario - p x) protoxilema del legno centripeto - #) porzione vascolare centripeta. Fig. 3. — Sezione trasversale nello stesso fascio presso la base della rachide. Spiegazione delle lettere come sopra: /') legno cen- trifugo secondario, che sì mette in comunicazione col legno centri- peto - f) legno centrifugo primario. Fig. 4. — Sezione trasversale nello stesso fascio alla base della . rachide. Spiegazione delle lettere come sopra. Fig. D, — Sezione trasversale in un cordone procambiale in via di differenziazione: p /) primane cribrosa - p x) protoxilema cen- tripeto. Fig. 6. — Sezione trasversale attraverso un cordone procambiale maggiormente differenziato: p /) protofloema - c ») tubi cribrosi pri- mari - c) cambio - px) protoxilema centripeto - t) elementi più gio- vani del legno centripeto in via di differenziazione. Fig. 7. — Sezione trasversale attraverso un fascio ancora più differenziato e nel tratto inferiore della rachide. Ri "agi delle lettere come sopra. in q dn poco rilevante, soltanto alla base della ruoli) In tutto 3 i alle duo bande che congiungono il cambio col legno centripeto. Gli elementi benchè abbiano perduto il contenuto non hanno ancora ispessito e lignificato la parete. _ Fig. 9. — Sezione trasversale di un fascio in via di sviluppo alla base della rachide. Spiegazione delle lettere come sopra: f") le- gno centrifugo secondario che ha origine verso il centro del lato | interno del cambio. ea) Da DITA Suatia DSi ASINI Contributo alla conoscenza del sistema secretore in alcuni tessuti prosoplastici. del Prof. A. TROTTER. Recentemente il KisteR, nel suo ottimo lavoro, intitolato Pa- thologische Pflanzenanatomie (1), ha designato col nome di proso- plasmi i tessuti patologici altamente differenziati, aventi origine da locali stimoli parassitarii; in altre parole buon numero delle galle più perfette ed evolute. Gli studii istologici sin qui fatti, di molte delle galle prosoplastiche, ci permettono già di rag- gruppare i tessuti che le costituiscono in vari sistemi anatomici, foggiati in parte su Quelli normali delle piante. Anzi, possiamo ag- giungere, che anche per i tessuti delle galle più perfette è possibile istituire dei sistemi anatomo-fisiologici, per quanto gli studi sulla fi- siologia delle galle sieno di gran lunga meno progrediti degli studi istologici (2). * Uno dei sistemi meno noti, anche dal lato istologico, è senza dubbio il sistema secretore (3). Tutto si riduce per esso alla consta- tazione materiale e grossolana di alcuni dei prodotti di secrezione, ma poco o nulla.si sa invece in riguardo agli organi secretori ed al significato di questa funzione in rapporto alla galla. Così fu con- statata frequentemente nell’interno delle galle la presenza di druse cristalline, di antocianina; non parliamo poi del tannino che è, si può (1) Ed. G. Fischer, Jena, an. 1903, p. 136 e 150. (2) Non saprei citare di notevole che il lavoro di A. J. VANDEVELDE, By- drage tot de physiologie der gallen. Het aschgehalte der aangetocte bladern (Bot. Jaarb. Dodonea, VIII, an. 1896, p. 102). — Recensione in Just's Bot. Jahresb. an. 1896, p. 179. (3) Cfr. KÙsTER, 2. c. p. 258, o gli altri precedenti scritti dello stesso : Beitr. 2. Anatom. d. Gallen (Flora o. Allg. bot. Zeitg., an. 1900, Heft. 2, p 169); Ueder einige wichtige Fragen der pathologische P”anzenanatomie (Biol. Centralbl., Bd. XX,an 1900, p. 537). è» re, onni presente; alla Saperi poi, ‘rivestimenti di sostanze atta caticcie, mal definite, quest'ultime frequenti su galle di QuGIonI e Di quest'ultima categoria di secrezioni intendo per ora di occu- parmi, specialmente di alcuni degli organi secretori e del signifi- cato della funzione. Quanto ad organi speciali, secernenti sostanze attaccaticcie su- perficiali, vi ha, ch'io mi sappia, un’unica osservazione del BEIJERINCK, sfuggita all’oculatezza del KùsTER (1. c.), che credo utile perciò di met- tere in evidenza, prima di dar posto alle osservazioni mie proprie. Il BeiyeRINCK che fece oggetto di studio accuratissimo (1) la galla prodotta dalla Cynips calicis, constatò com’essa (pag. 485), nel suo stadio giovanile, sia abbondantemente rivestita di una mucillaggine che rende la sua superficie umida e glutinosa. Questa mucillaggine è segregata da peli ghiandolari esistenti alla sua superficie. Essi sono formati da quattro cellule cilindriche sovrapposte e così vicini gli uni agli altri da formare una superficie lucente che non dà affatto l'impressione di rivestimento peloso. La secrezione si effettua tra i la parete cellulare e la cuticola della cellula terminale; la cuticola viene distesa e finalmente si rompe ed il contenuto della cellula esce - fuori (2). Questa secrezione, abbondante mentre la galla è rudimen- tale ed in via d’accrescimento attivo, cessa più tardi e dall'esame delle galle perfettamente mature non sì potrebbe certo presupporre quella abbondante secrezione giovanile. $ Quanto all’ apparato secretore di una galla della Quercus ; Wislizeni di California, illustrata dal KisreR stesso (1. c.), ben poco sappiamo al di là della sua esistenza. Ed ora passiamo alle osservazioni che ho potuto fare 10 stesso su tale argomento. Figo Una delle galle più caratteristiche, per la secrezione superficiale, A è quella assai bella e vistosa di Quercus sessiliflora prodotta 4 dalla Cynips Mayri. Queste galle, comuni in Sicilia, in Sardegna ed in $ qualche altra località della penisola e dell’ Europa meridionale, sono di un bel colore rossiccio-seuro, lucente, simile a lacca, dovuto alla pre- 2 senza di una forte secrezione da cui sono completamente rivestite. Que- sta, più abbondante quando sono giovani, a differenza di quanto ho ac- cennato per la Cynips calicis, perdura quasi fino al completo sviluppo; ad ogni modo è sempre facile poterne constatare il prodotto, anche in (1) Sur la cécidiogénèse et la g génération alternante chez le Cymnips gar, (Archives Néerlandaises, t. XXX, an. 1897, p. 887-444), pe (2) Lo stesso meccanismo riscontrasi in molti dei peli ghiandolari normali. ri 1 24 SILA + at FRA cu ele è ta ) K DI MSCEIOE e ORC 1 sarde, . di È VIS È PÒ È. N __g@lle vecchie e cadute, sia per il colorito speciale già ricordato, sia per lo spessore abbastanza notevole di sostanza secreta ed indurita (1) Avendo sottoposto questa galla ad uno studio istologico, nelle: sottili sezioni e nello spessore della sostanza secreta, potei intrav- vedere alcuni elementi istologici. Fui costretto allora a disciogliere la sostanza per meglio far risaltare gli organi che avevo intravvisti. Tale necessità mi condusse a ri- a conoscere che questa secrezione appartiene al gruppo delle re- sine (2). Di fatti, insolubile nel- l’acqua, si disciolse facilmente nell’etere, nel solfuro di carbonio, nel cloroformio, tanto a freddo che a caldo. Con una soluzione di acetato di rame (3) si colorò in verde, in bruno con acido solfo- rico concentrato, in rosso-ciliegia con tintura di Alkanna, in bleu con la miscela di Hanstein (4). Disciolta tale resina, sia én toto che nelle sezioni, le cellule secretrici prima intravviste, mi sl mostrarono con evidenza ed assun- sero anch’esse, con gli accennati trattamenti, le colorazioni della sostanza secreta, benchè con minore intensità. Le cellule secretrici da me osservate alla superficie di queste galle di C. Mayri sono anch’esse da considerarsi morfologicamente come peli, ma però alcun poco diversi da quelli descritti da BEIJERINOK per le galle della C'. calicis. Essi mi si mostrarono per lo più uni- cellulari, cilindrici, tozzi, all'estremità espansi o leggermente capitati, spesso anche semplicemente arrotondati (fig. 1). Di rado ho constatato (1) Nello spessore di tale secrezione, vive come in altro luogo ho fatto co- nosceré; una nuova specie di micromicete, l’ Aposphaeria Kiefferiana m. (Atti R. Ist. Ven. di Sc. Lettere ecc., t. LIX, P. II, an. 1899-900, p. 724). (2) In questa resina esistono anche, come del resto in altre resine di ori- gine normale, tracce di olii essenziali, facilmente sensibili all’odorato anche nelle galle vecchie, olii essenziali che con maggiore o minore intensità sono presenti anche nelle altre specie di galle quercine a superficî secernenti. Non ricordo alcun odore che sia loro perfettamente paragonabile, per cui è da ritenersi si tratti, anche in questo caso, di sostanza specifica alle galle. (3) Acetato di rame gr. 1. acqua 15 cc. (4) Fucsina gr. 10, violetto di metile gr. 1.5, alcool assoluto 100 ce. ANNALI DI Boranica — Vot. I. 9 TRIESTE Ag =ade Pl - e PE de ò, a | È LI) sora stipati e poggiano sopra uno St doo saltate ei; cs mente sclerose costituenti l'epidermide della galla. PIA Qui si sarebbero arrestate le mie ricerche se il desiderio d'illu- pena strare maggiormente l'argomento non mi avesse eccitato ad esten- dere le mie osservazioni alle altre specie, sulle quali allo stato gio- vanile od adulto io sapevo esser presenti talune secrezioni. La galla di cui in appresso mi sono occupato fu quella, anche dal lato morfologico assai affine alla precedente, prodotta dalla C. Panteli. È una specie propria del Portogallo, di cui io posseggo esem- Fic. 2. plari giovani ed adulti, raccolti su Quercus Toza, e sulla quale pure il rivestimento resinoso permane costante, anche dopo il dis- seccamento, come nella specie precedente. Disciolta la resina in un esemplare giovanissimo, coi trattamenti ricordati, riescii anche in questo caso a mettere in evidenza i peli secretori (fig. 2), poco dissimili da quelli descritti per la C. Mayri. Sono queste le due uniche specie a me note sulle quali la secrezione re- sinosa sì mantenga intatta oltre il disseccamento della galla, e sia perciò facile osservarla anche in vecchi esemplari. Sonvi però altre galle, come quelle della C. calicis, in cui la secrezione è solo ab- bondante allo stato giovanile, va poi cessando man mano la galla si sviluppa, ed allo stato adulto non vi ha traccia evidente nè di essa nè del suo prodotto. Anche tali specie mi sembrarono degne di qualche ricerca. Ysaminai a tale intento esemplari giovanissimi delle galle ben 4 note della Cynips Caput-medusae, nelle quali la secrezione si mostra specialmente alla base delle caratteristiche appendici, in prossimità del corpo gallare. Anche in questa specie mi si mostrarono con chia- rezza i peli secretori, un po’ diversi però da quelli sin qui descritti. (1) È possibile, avendo io studiato galle adulte, che allo stato giovanile i. ri È peli secretori sieno costantemente pluricellulari e che si disarticolino solo più tardi. Tale supposizione tasche però contraddetta dall'esame delle. Sami va similmenté conformati anche allo stadio giovanile. x net —_ diraroda tre (fig. 3). Il loro diametro è di circa 18-25 p. e la loro lun- ghezza complessiva 45-50 1. circa. La cellula basilare, sull’ inizio glo- bulosa, si allunga in seguito divenendo cilindrica, facendo così da piede al- l’altrache non mostra invece variazioni di forma. Come ho detto, verso le estre- mità delle appendici caratteristiche di questa galla, la secrezione è scarsa o nulla, e quindi sono anche rari i peli secretori, scomparendo del tutto a svi- luppo inoltrato. Poco dissimili sono i peli secretori che ho studiati in un’altra galla di Quercia dovuta alla C.mitrata.Sihanno qui, invece di tre, quattro cellule glo- bose (fig. 4), la loro membrana cellulare Aa SÌ è un po’ più spessa ed il loro contenuto, indipendentemente da qualunque trat- tamento chimico, offre una bella colorazione rosso-carminio. Caratte- | ristiche poco dissimili dovrebbero offrire le galle affini, prodotte dalla C. glutinosa e dalla sua varietà coronata; diambedue posseggo un unico esemplare, ma in condizioni non proprie a tale ricerca. Peli secretori del tipo dei precedenti esistono anche sulle galle giovani della C. coronaria, di cui io conservo numerosi esem- plari di Sicilia raccolti su Quercus sessiliflora. Risultato assolutamente negativo, circa peli secretori, mi hanno dato sin qui le galle quercine dell’ Andricus Panteli che pure allo stato giovanile sono abbondantemente rivestite di sostanza resinosa. Forse in questo caso, la secrezione si effettuerà in qualche altro modo, a meno che non avvenga direttamente dall’interno attraverso l’epi- dermide indifferenziata. Comunque, questa galla merita nuove ri- cerche, e così pure la sua varietà /ructuum e la specie affine Andricus Mayri. i Altre galle quercine europee, con secrezioni superficiali più o . meno forti, ed appariscenti solo nel periodo giovanile, sono ancora le seguenti: Andricus hystrix, A. lucidus, A. Seckendorffi, A. serotinus, A. Sieboldi, Cynips Hartigi, C. Tozae e forse altre ancora. Ecco de- | lineato un tema per future ricerche. sono d’ordinario costituiti da due cellule globose sovrapposte, più. Vi. à à, ‘ "signi fenomeni di secrezione. Con sicurezza, a questo riguardo, non posso citare che le galle giovanili prodotte da una Lasioptera, sue EI SPARI più rari sono i casì RA galle non quercine, Laserpi tium thapsiaeforme, in Portogallo. Dirò in seguito qualche cosa su talune galle di altri continenti. Gli organi secretori, di cui mi sembra di aver mostrato abba- stanza largamente l’esistenza, li troviamo per ora solo alla superficie delle galle di Quercia, quelle galle cioè che per tanti altri contrasse- i gni si mostrano eminentemente evolute. Ora, ci possiamo domandare: esistono sugli organi normali delle Querce, produzioni ghiandolari paragonabili a quelle descritte? La risposta è senza alcun dubbio affermativa. Dall’istologia nor- male di questo genere (1) sappiamo che peli ghiandolari esistono su organi temporanei o permanenti delle Querce, come foglie, stipole, squame delle gemme ecc., ma che essi però sono prestamente ca- duchi. Possiamo aver sulle Querce due categorie di peli ghiandolari normali: peli ghiandolari pluricellulari, uniseriati, con cinque sino a dieci elementi; essi non mostrano mai setti cellulari in senso lon- gitudinale | peli ghiandolari simili ai precedenti, ma con cellule terminali fornite di setti nel senso della lunghezza; si formano così alla loro estremità dei capolini costituiti di due, tre ed anche di dieci e più cellule. I varî peli secretori, da me riscontrati alla superficie delle galle ricordate, appartengono senza alcun dubbio al primo dei due gruppi, cioè il più semplice. Anzi, per il numero limitato degli elementi che li costituiscono, possiamo considerarli, dal lato morfologico, quali peli secretori normali ridotti. Ad ogni modo, sia per la loro forma, sia per il loro numero assai grande nell’unità di superficie, sia per le particolarità riferentisi alla loro funzione, essi ci offrono un nuovo esempio di quella variazione qualitina così caratteristica ed eminente in tutte le galle prosoplastiche. “ (1) SoLEREDER, Systematische Anatomie der Dicotyledonen, p. 893. — KùstER, Bemerk. ib. die Anatomie der Eichen ete., in Bot. Centratbl., Bd. 88, an. 1800, ì Estratto, p. 7. Siccome nelle Quercie non esistono fisiologicamente secrezioni lo- cali, temporanee o permanenti, paragonabili a quelle ricordate per le galle, ci troviamo di fronte ad una manifestazione nuova, cioè ad una variazione qualitativa anche nella funzione, come già l’ab- biamo riscontrata negli organi secretori e come la si trova in tutto il contenuto istologico delle galle prosoplastiche. La secrezione non può avere di certo, nel caso nostro, un ufficio per la pianta, alla quale non interessa punto che la galla sia o no rivestita di sostanza resinosa, non più di quello ch’essa si interessi, come in altra occasione ho dimostrato (1), alla formazione stessa della galla, formazione che è puramente accidentale. La ragione ecologica della secrezione è perciò da ricercarsi nei bisogni che può avere la galla o, meglio ancora, la larva che la produce. Tutta la galla, nella sua finalità, ci appare come un apparato perfettamente atto a pro- teggere la larva che vi è rinchiusa ed a fornirle l'alimento. Non è qui il caso ch'io insista nel dimostrare come esistano in seno alla più parte delle galle prosoplastiche dei tessuti differenziati, perfet- tamente atti a questi due uffici. Ora la presenza delle secrezioni alla superficie di talune galle non è che un nuovo perfezionamento protettivo, molto più che, come abbiamo visto, la secrezione è più intensa nello stadio giovanile, quando cioè, in causa della minor ro- bustezza dei tessuti, più necessari si rendono i mezzi di difesa. La stessa opinione fu avanzata anche dal BEIJERINCK (/. c. p. 397) a proposito delle galle della C'. calicis. Una maggior conferma al- l’ipotesi io la trovo nelle galle della C. Mayri su cui più volte ho potuto riscontrare, impigliati nella resina e morti, precisamente ta- luni di quegli imenotteri, parassiti o commensali, che si sa esser dannosi all’esistenza del cecidonte. Una miglior prova io credo non si potrebbe desiderare, per quanto ricerche più approfondite a tale riguardo sarebbero assai utili ed interessanti. Un bel tema questo per un entomologo di professione! L'emissione di resina sarebbe adunque un mezzo diretto di di- fesa; ve ne ha però anche di indiretti, operati da secrezioni di altra natura, come ora dirò. L’ApLER (2) ci ha consegnato una curiosa osservazione, la quale però non ebbe ulteriori conferme, che cioè sarebbero visitate da for- (1) Le ragioni biologiche della Cecidogenesi, in Nuovo Giorn. bot. it. —N S. — v. VIII, an. 1901, pag. B57. (2) Zeîtschr. f. wissensch. Zool., Bd. XXXV, an. 1881, pag 171, n. 6. miche TÀ 26h or 4 ISER cordato, secernono pure qualche sostanza alla loro superficie. È a tutti nota l'indole battagliera di questi imenotteri e l’ufficio difen- sivo da essi assunto in rapporto a talune piante od anche ad altri animali, come gli Afidi e le Cocciniglie, cosicchè, anche nel caso delle galle, eserciterebbero una difesa rivolta contro i molti parassiti e com- mensali, tenaci persecutori degli insetti galligeni. La galla del Ste- boldi emetterebbe, stando sempre all’osservazione dell’ApLER, qualche sostanza zuccherina che servirebbe perciò di richiamo alle formiche. Osservazione analoga, ma puramente ipotetica e non più confermata, fu fatta dallo Hieronymus (1) per le comuni galle della Cynips Tozae. Per parte mia ricordo positivamente di aver osservato, varii anni or sono, aleune formiche alla superficie di giovani galle di Cynips Kollari; non so però — siccome allora non mi interessavo a tale questione — se la loro presenza fosse dovuta o a sostanza nettarea secreta dalla galla, o alla coesistenza di qualche Afide o Cocciniglia, o se puramente accidentale, ciò che però non crederei. Secrezioni nettaree avidamente cercate dalle formiche esistono con tutta certezza alla superficie di una galla di Quercia dell’Ame- rica settentrionale di cui si occupò già da tempo il naturalista ame- ricano E. C. Mc. Cook (2). Ciò mi è noto per un lavoro del professor DeLpIxo (3) che per un fine più generale ebbe ad occuparsi della stessa galla. Mi piace perciò di qui riportare integralmente un pic- colo brano, tolto dall'articolo del DeLPINO, intorno a questa galla ed alla particolare formica che la visita, casati Myrmecocistus melliger. < La singolarità di questo imenottero, riporta il DELPINO, con- siste nel possedere una casta di operai, i quali sono metamorfizzati in otri di miele. Invero detti operai hanno l’addome disteso e ri- gontio sino ad eguagliare la dimensione e figura di un grosso acino d'uva, ed è tutto pieno di miele, da essi poi, a tempo opportuno e poco per volta rigurgitato e versato nella bocca degli affamati membri della colonia. La patria di questa strana formica è il Mes- sico, il Nuovo Messico, il Colorado del Sud; ma è verosimile che si estenda alla California. È una formica di abitudini notturne; pare che i raggi diretti del sole estivo la offendano e fors'anco la pos- , sano far perire. L’autore ha scoperto che di notte tempo essa fa le (1) Zeitschr. f. Entomol. —- N. F. — Heft XVII, an. 1892, p. XVIII. (2) The honey ants of the garden of the gods. — Philadelfia, an. 1892. (8) Osservazioni e note botaniche. Decuria prima, n. 7. (Malpighia, v III an. 1889, p. 15-18, tav. XIII, con figura della galla e della formica). e galle ovali dall'Angiena Sieboldi 1 do come ho ri. : È VARE + 3 co) ; E E #4 fasi ul scursioni ver andare alla raccolta del miele. Le loro numerose processioni, uscenti sul far della notte, si dirigevano agli alberi di una determinata specie di Quercia (Q. undulata) i cui ramicelli portano numerose galle (1). Queste, quando sono giovani e tenere, da oltre dieci punti della loro superficie, in posizione indeterminata, emanano cospicue goccie di nettare, le quali sono avidamente rac- colte e ingoiate dalla sovracitata casta d’operai ». Pare che altre galle d'America, anche non di Quercia, emettano nettare. « Il chiaro entomologo Prof. Riley, continua lo stesso Del- pino, asserisce di avere osservato altre galle trasudare una sostanza zuccherina; fra le altre quelle prodotte da una fillossera che vive nella Carya porcina (Hickory). Altro naturalista, H. F. Bassett (2) che fece estesi ed accurati studî sulle galle, asserisce di avere osservato molte sorta di galle visitate dalle formiche. E poichè in siffatte pro- duzioni patologiche sovrabbonda il tannino, arguisce che lo zucchero emanate derivi dal dissociamento di detto glucoside (in acido gal- lico e zucchero) » (3). In Europa, il fatto di galle formicarie è eccezionale ed all’in- fuori di quelli dubbiosi dell’Andricus Sieboldi, della Cynips Tozae, e dell’altro della C. Kollari, da me osservato una sol volta, non esi- stono altri documenti in proposito. Io ho raccolto più volte, ed in varî stadî di sviluppo, quasi tutte le galle di Quercia esistenti nel- l'Europa media e nelle regioni mediterranee, ma non mi sono più imbattuto in specie che fossero visitate da formiche, neppure ac- cidentalmente. È possibile perciò che nelle galle d'America le so- stanze resinose, frequenti sulle galle europee, sieno colà sostituite da secrezioni nettarifere; ad ogni modo, con due secrezioni di na- tura ben diversa, si sarebbe conseguito lo stesso fine protettore. * * Ritornando ora alle secrezioni puramente resinose, è possibile ch’ esse abbiano anche un altro ufficio ? Io credo fermamente di sì, per quanto non sia stata ammessa da altri, ch'io mi sappia, alcuna (1) Sarebbero le galle della Cynips quercus mellaria Riley (Amer. Entomol. III, an. 1880, p. 298, fig. 154). (2) Tanto il RIiLEY quanto il BassETT sono americani, e perciò le loro osser- vazioni si riferiscono a galle del nord America. (3) La possibilità di una tale dissociazione ha reale fondamento scientifico, ed anche le resine, secondo i più, hanno la stessa probabile origine, derivereb- bero cioè anch’esse da un trasformazione dei tannini (cfr. ad es. E. EBERMAYER, Physiolog. Chemie d. Pflanzen, ete., I Bd., an. 1882, p. 493). lute, come sono appunto le quercine. Per quanto tali galle abbiano raggiunta un’altissima differenzia- zione non dobbiamo però dimenticare la loro origine e la loro natura patologica. Così se i tessuti che le costituiscono possono avere da un lato un riscontro morfologico con i tessuti normali della pianta, dall’altro la funzione che ciascuno compie non è sempre e del tutto corrispon- dente. Il tessuto meccanico, morfologicamente considerato, che esiste, ad esempio, con deviazioni non molto grandi, tanto negli organi normali delle piante quanto nelle galle, in queste ha l’unico ufficio di proteggere la larva dai danni dell’ ambiente. Il tessuto assimi- latore, di cui possiamo trovare qualche corrispondenza morfologica nel tessuto delle galle, perde nella più parte di queste la maggiore delle sue prerogative, la clorofilla, la quale manca del tutto o è al- terata nella sua costituzione. Il tessuto aereatore e quello vascolare, così importanti e caratteristici nelle piante, sono nelle galle assai ridotti, nella forma e nella funzione (1). Per cui, con tale complesso di ome ci possiamo domandare: 1 tessuti Sr costitffiscono la galla, sono essi atti a portare alla pianta il corrispondente contri- buto di lavoro? 0, per lo meno, sono essi capaci di sopperire a ta- lune delle necessità del loro stesso sviluppo, come lo possono i tes- suti normali? Io credo di poter rispondere negativamente ad ambedue queste domande. Cosicchè possiamo considerare le galle, specialmente più perfette, come produzioni provocate è vero da parassiti, ma esse stesse più o meno parassite della pianta su cuì crescono. Ciò premesso, io credo che le secrezioni resinose abbiano l’ uf- ficio di impedire i danni di una eccessiva traspirazione la quale è certamente più dannosa di quello che non lo sia il difetto di tale funzione, Nelle galle, l’autoregolazione traspiratoria è molto imper- fetta: gli stomi sono scarsi alle superficie delle galle o mancano del tutto, i succhi cellulari, diversi in parte da quelli dei tessuti nor- mali, non possono allo stesso modo contribuire, dal lato fisico-chi- mico, al governo della traspirazione. Debbono perciò manifestarsi nei loro tessuti altre compensazioni, altri provvedimenti atti a fre- nare l'eccessiva traspirazione, compensazioni e provvedimenti che sì rendono tanto più necessari quanto più i tessuti della galla si sono allontanati dal tipo normale. (1) Non si sarebbe lontani dal vero asserendo che una galla è tanto più per- li fetta quanto più si è allontanata qualitativamente, per forma e per funzione, — È dai tessuti normali. GiBiGiAzione sulla natura aci MERO delle galle più. evo: La. a stessa globulosa di molino Ratto e la compattezza. SE dei tessuti, realizzano già una disposizione atta a diminuire la su- perficie traspirante, disposizione la quale ha il suo riscontro nelle piante stesse con la formazione di foglie carnose e raccorciate. Oltre a ciò, la dif- fusa e notevole cuticularizzazione delle ‘cellule epidermiche, i frequenti rivesti- menti pelosi, sono altre disposizioni atte ad impedire i danni di una traspirazione troppo forte. Vi sì aggiungono ora le so- stanze resinose, abbastanza frequenti sulle galle giovani, ad accrescere il numero delle disposizioni protettive a tal uopo. Istruttive a questo riguardo sono due galle europee, morfologicamente assai affini, la Cynips mitrata già ricor- data, e la C. tomentosa. Ambedue sarebbero da giovani appena tra loro distinguibili se la prima non fosse rivestita dalla sostanza re- sinosa, la seconda da un fittissimo tomento costituito da corti peli unicellulafti (lunghi circa 150 »), fusoidei, pachidermi (fig. 5). Con mezzi diversi si è ottenuto anche in questo caso lo stesso intento. Anche nelle piante, le sostanze resinose atte a difenderle dall’ec- cessiva traspirazione non sono infrequenti. Ricordo alcune piante delle regioni calde e secche del Mediterraneo, come varie specie di Cistus (ladaniferus, Clusii etc.) continuamente esposte ai pe- ricoli di una forte traspirazione, o taluni alberi, come Alnus glu- tinosa, Populus nigra, etc., le cui giovani foglioline, mal atte a difendersi in altro modo, sono protette da una abbondante vernice. Dal complesso dei fatti ricordati le galle ci appaiono sempre più quali formazioni meravigliose, dotate cioè di una singolarità morfolo- gica e funzionale, quale solo possiamo riscontrare negli organismi stessi, animali o. vegetali, indipendentemente cresciuti ea evolutisi. “pit ai Carex Nicoloffi * (Carex riparia Curt. forma ramosa X Carex strieta Good.) del Dr. RENATO PAMPANINI. (Tav. XI) La vegetazione dei due laghi contigui di S. Maria-Lago, presso Vittorio (Veneto), è certamente uno degli esempi più tipici della vegetazione lacustre di quella regione, mancando essi di sponde sassose ed essendo il loro prosciugamento attivato artificialmente da lungo tempo. Infatti l'abbassamento progressivo e relativamente rapido del- l’acqua non solo favorisce lo sviluppo della vegetazione palustre, ma permette inoltre che essa possa liberamente stabilirsi secondo l’abbon- danza d’umidità necessaria al suoi diversi elementi. Così nei laghi di S. Maria-Lago e sulle loro rive è completo il succedersi delle differenti formazioni dalla zona delle Chara alla torbiera ed alla prateria, quale fu descritto in modo sì chiaro e geniale da Magnin nei suoi studi sui laghi del Giura. Al principio della primavera, prima del periodo delle pioggie e prima che lo sviluppo del Canneto abbia invaso le zone più in- terne del Cariceto che si stende sulla riva, è facile riconoscere come la distribuzione delle Carici dipenda dall’abbondanza delle pioggie invernali, cioè dall’altezza dell’acqua del lago. Dopo un inverno asciutto, come fu quello scorso, la striscia di terreno, di larghezza variabile secondo la pendenza della riva, compresa fra l’acqua e la zona della Carex stricta (zona dei « Tourradons »), è in primavera interamente occupata dalla Carex riparia. Veramente non è la C. riparia tipica, comune invece lungo i fossi di drenaggio ed il canale emissario, ma una forma nana, eviden- temente dovuta all’umidità meno grande della stazione (1). Pur avvi- cinandosi alla var. humilis (Ascherson u. Graebner: Synopsis der Mattel- # Dri. TAg£oDORO NICOLOFF, condiscipulo et amicissimo meo, dicavi. ‘ (1) CLos M. D. Du nanisme dans le Règne Végétal, p. 5-6. — Mém. de l’Acad. des Sc., Inscriptions et B. Lettres de Toulouse, t. XI, 1889. bar PRODI ibra. II (II Abt. i 216) dalla Sass sì sarta 5 rato É per le foglie più larghe, essa non differisce affatto dal tipo, tranne che per le dimensioni minori (1). Spesso presenta una variazione caratteristica nella forma della spighetta terminale. Per lo più in questa forma RaMmosa di (. riparia la spighetta terminale è bi-trifida e talvolta 11 numero dei rami arriva a 4 0 5: spesso anche i rami sono raccorciati e la spighetta assume l’aspetto clavato-fasciato. La ramosità delle spighette nelle Carici, dovuta ad una vera ramificazione dell’asse, come è 1l caso della forma suddetta, o dovuta alla proliferazione degli otricelli, è abbastanza comune (2); anzi talvolta venne considerata come carattere distintivo per certe forme (3), come lo fu già per diverse Graminacee (4). Questa forma teratologica della C. riparia è abbastanza comune nella formazione, disseminata qua e là e talvolta riunita in colonie; anche fra le C. riparia dell’ Erbario Centrale riconobbi due esemplari appartenenti a questa forma (5). Nella primavera di quest'anno, erborizzando lungo le rive del lago di S. Maria, osservai nella formazione della C. riparia una Carice il cui colore verde-giallastro ed il portamento grazioso risaltavano dalla glaucescenza e dalla rigidezza delle Carici circostanti. Abbon- dantemente sparsa in mezzo a questa, essa era limitata ad un breve tratto di sponda dove mette capo un fossato ombreggiato da cespugli di ontani. Dalla sponda del lago questa Carice penetrava lungo il fossato dove, grazie all’ ombra, alla presenza continua dell’acqua ed alla protezione dal vento proveniente dal lago, raggiungeva uno svi- luppo più esuberante. Studiata accuratamente su numerosissimi esemplari, mi fu facile vedere che sì trattava di un ibrido della C. riparia torma ramosa e della C. stricta, le sole fra le Carici di quei pressi alle quali si po- (1) C. riparia tipica: fusti alti 5-12 dm., foglie larghe 11-15 mm.; C. riparia forma ramosa: fusti alti 25-50 em., foglie larghe 7-10 mm. (2) PenziG O. Pfanzen — Teratologie — Genua 1894, II, 450 e seg. Per la C. riparia Penzig non cita la ramosità della spighetta terminale ma solo quella delle spighette femminili dovuta alla proliferazione degli otricelli (1. c., pag. 457). (8) Frori A. e PaoLETTI G. Flora Analitica d’Italia, Padova 1896...., I, 137. (C. glauca Scop. 8 Parlatoreana Ces.). (4) CauREL T. Una mezza centuria di specie e di generi fondati in Botanica sopra casi teratologici o patologici (N. Giornale Bot. It., XII, n. 1, 1880). FiorI A. e PAOLETTI G.: op. c., I: p. 104 (Lolium), p. 108 (Triticum). (b) S. Gratien (Seine et Oise), 15 juin 1851 (ex hb. W. de Schoenefeld); Lod- moor Weymouth, coll. H. Groves, 1860 (ex hb. H. Groves). i a p rimo aspi o d: Si genitori per il n As più che per il + 9 poichè fra e C. riparia dei laghi di S. Maria-Lago gli individui non glauce- | scenti non erano rari. Le bratte invece e le foglie lunghe, strette, È flessibili, ed il fusto gracile e curvo dal peso della spighetta termi- “a nale davano alla pianta un aspetto tutto speciale. Tranne il porta. - mento, gli altri caratteri, come dissi, risalgono all’ una o all'altra 9 delle Carici sopraindicate, come è facile vedere paragonando con «quella dell’ibrido le descrizioni dei genitori (1). Lecar MT niet fia sv ZA e 0 A % “i sata. » osa onbumaogd ougno A snqm Mo ppa[due stoovueIquIO i STUSV WI STTnOLI ‘sirnoseui 0d1de oII UO , *SINUI "mit ?/3:7g ‘eremounped IQFI AO R2WUui JA snquissas ‘s1j9010 $ 0IVI ‘8-7 n SIQUIDY ‘onburtin sz 19} too eg 0aVI ‘1-3 cei onbun.i9]d stpnoseui : Suo] ‘pod 1-'/;z ‘snq «Igenboeur*steoripurffo ‘sm81guoo sijnords ‘stQe[ “UI] 1-3 ‘(sunpoAuI stiquos snqua 15.181 SI00IS) SIQUUITVO ‘STZENU9FIL-090BY -0s 0duo] ‘simpisia joA sTO0RqIoy ‘soquiora -91Q OUI[n9 SII]O; ‘SIFRI[oja SNQUIOLIO] UT ‘SISSIJ 07 Vmnorgo1 QuISIBUI STOSNJ SIUISBA ‘SIYBI]OJj UNSIQA WISBq BLIqRos sijlndar omiodns ‘stnosniAgoto9 — SOQU9ZE] ‘stigonbray ‘stprdia ‘snquproeis Be ape "pod g-M1 ‘190919 ‘stgo1Igs siuqno | isposnz ‘STpiStI ‘SIpi]ea SNQI[BoTpea SIpIq | -I; ‘ssogidsaro asmopiod ‘stprira-00ne]a) ‘Poor BJOLIS XOIU:) a far li PRI ae: È «tt pooxg wow wnwjno “sprumu 0% -u9ur09Iindand-09uumm aqui TEU Sto rane ISU STFEM9IFUIP-0.1qVIS ‘8199779 ‘STUISSI]S -nSue snqnioriodns ‘sn9:2uv.adns wunugno ‘sunubvaa ‘81900770/ (3) SOquiortazui ‘snq -Iprags soqruuio odevs 99 sITtpota StaFoLIq ‘stugui android stmIssINTI9z ‘sIsOmI -B1 OIBI ‘STRAV]O wimpaogui ‘stooeIpui]fo ‘siSuo] "wo 9-G anbsn 99 g-] sIJORIA sIJOTI -21 ‘snquuerogap adees $ 0IvI ‘E-] SIOUIU -%0J sIiquords ‘snqryuerogop werga JoA snq -I]1I99gs OmmTutO [os STUASOJpue uinp.19zuI ‘equmounpad 19)1A9IQ BUIJUI [AA SNQUISSOS ‘snqiproeis ‘stH5UO] “wo g-] ‘sSoquiotasIq snquiormazut ‘(e93e] ‘wu 7 anbsn) esoqo]8 219} 99 e9oeItzuoo winpiogui ‘eSuo] “mò c-3 niofemi vureadns :isnqipenbarvui ‘stqua -t[o im} ue) oIRI ‘StpeAt]o-osowmet ‘sinEm -u09 oasnurui sn]d ‘g-[ sIqnostur st[nords ‘oLbzu? 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In quanto poi ai suoi caratteri propri, tranne la scabrosità delle nervature late- rali delle foglie, carattere assai tenue, sono tali da confermare l’idea che la pianta sia il frutto di un incrocio fra le due specie indicate, poichè infatti ì suoi caratteri essenziali sono la sterilità e la mostruosità. La sterilità già assoluta e costante negli otricelli può spingersi, sopratutto negli esemplari meno robusti, fino alla sparizione degli otricelli stessi nella parte superiore della spighetta, od anche nel- l’intera spighetta, e fino alla mancanza completa di spighette fem- minili ed all’assenza parziale o totale degli stami. La costante gra- cilità delle spighette femminili, il carattere regressivo delle loro glume tendenti alla natura fogliare primitiva, le proporzioni minime degli otricelli e degli stimmi, lo sviluppo del connettivo all’ apice delle antere, la riduzione delle papille degli stimmi, sono tutti carat- teri strettamente derivanti da quello generale della sterilità. La mostruosità invece, mentre è costante nella spighetta termi- nale (3), sì attenua nelle spighette inferiori e spesso sparisce comple- tamente nelle spighette femminili, sopratutto nelle più inferiori. Dunque nella creazione di quest’ ibrido l'influenza della C'. stricta interessò quasi esclusivamente gli organi riproduttivi ed essenzial- mente i femminili, avendo come effetto la sterilità : l'influenza in- vece della C. riparia si limitò agli organi vegetativi, ed in quanto agli organi riproduttivi solo ripetendo ed accentuando il carattere della mostruosità delle spighette. Il carattere della sterilità è ascendente attenuandosi nel passaggio dalle spighette femminili alle maschili su- periori, quello invece della mostruosità è discendente poichè è tipico nella spighetta terminale e va scomparendo nelle spighette inferiori. Fu appunto l'osservazione di questo fatto che m’indusse a descri- vere la Carice del lago di S. Maria, poichè mi parve degna di nota la divisione così precisa dell’ influenza dei genitori nella creazione dì quest’ ibrido, il quale, quantunque nuovo, non presenta altrimenti che un interesse molto relativo essendo conosciuta la facilità che hanno molte Carici, e fra queste la C. riparia (1), di produrre degli ibridi fra di loro. Dal R. Istituto Botanico di Firenze, Settembre 1908. (1) C. rostrata x ripuria, C vesicaria X riparia, C.riparia X nutans, C. ri- paria x lasiocarpa (AscHerson P. u. GraeBNER P. Symopsis Mitteleurop. Flora, Leipzig 1899, II (II Abt.), 217). Gluma maschile inferiore 4: » » media (ingr. 8 1/)) ciC DAI » » superiore | Fiore maschile Apice di un’ antera (ingr. 51). * È Gluma femminile inferiore «E EA » » media È ; 10, 11, ILE SEE » superiore (ingr. 8 ‘/,) SAR 14, 15 Otricelli RA to, Stimma (ingr. 51) ni Be 17,-18 Brattee sup. (ingr. 2 '/,) I 19 Carex Nicoloffi (Carex riparia forma ramosa X Carex stricta) AR È è (‘Agrandezza naturale). E Si 7 NNALI DI BoTraNICA — Vor. I. 10 mir, | o pe E Mr» 7. e TAV. XI TZ L ì a Be nc NE LIRA Fot. Dott. L. Pampaloni Roma Fotot. Danesi Studii critici sulle Orchidacee Romane del Dr. FaBRrIZIO CoRTESI. I. — LE SPECIE DEL GENERE ORCHIS. Il presente lavoro forma la prima parte d’uno studio critico sulle Orchidacee romane. Nelle nostre Orchidee regnava e tutt’ ora regna non poca con- fusione, per i criterî disparatissimi con cui sono state studiate dai diversi autori e per l'abitudine — certo non lodevole — di molti studiosi d’istituire nuove specie spesso su individui unici. Come si vedrà nel corso di questo lavoro, il polimorfismo di alcune specie î è tale, che prendendone esemplari isolati si potrebbe per ognuno di essi costituire una specie distinta, mentre esaminandone gran numero scompaiono le apparenti grandi differenze e resta un gruppo complessivo di forme affini e strettamente fra loro collegate. Il campo di studio delle Orchidee nostrali, quindi, è ingombro di spe- cie dubbie, incerte e talora anche problematiche, che costituiscono un serio imbarazzo nelle ricerche, a meno che non si possegga un ricco materiale d’erbario ed una buona biblioteca. Col presente la- voro — gcondotto specialmente sul tipo e con i criterî seguiti dal Camus nella sua ottima Monographie des Orchidées de France — ho cercato di dare un migliore e più razionale assetto alle nostre Orchidee, determinando — fin dove mi era possibile — il loro poli- morfismo e cercando di aggruppare e di coordinare le forme affini e di riconoscere le numerose ed interessanti forme ibride, delle quali invero ben pochi studiosi della nostra flora si sono occupati. Le osservazioni furono da me fatte su materiale fresco in nu- merose escursioni e su piante fiorite nel giardino dell’Istituto Bo- tanico, su materiale conservato in formalina e sul secco studiando il ricchissimo erbario romano del nostro Istituto Botanico, l’erbario del mio egregio amico Prof. 0. Grampini (cui mi è grato porgere vivi ringraziamenti) ed il mio privato. Tutti gli esemplari da me citati nel corso di questo lavoro furono da me visti e si trovano È Ad l. e conservati in quegli erbari, come lo dimostra l’ indicazione (Herb. ao. Rom. — Herb. Gramp. — Herb. Cortesi) che precede l’elenco delle località. Questa prima parte contiene tutte le OrcRis romane fino ad ora conosciute; quanto prima verrò pubblicando gli studî critici sugli altri generi, man mano che saranno elaborati. Mi è doveroso tributare i miei sentimenti di gratitudine al mio egregio maestro Prof. Romualdo Pirotta che mi è stato largo di consigli, d’incoraggiamento e d’aiuti, ponendo largamente a mia di- sposizione quanto mi era necessario in fatto di collezioni e di libri. ; , si lb . ù N Ù; mm di 5 p” navi È Cei 4 p. Pe 44 d ha Ò A L° ga 6 da _ n = La Pia Dal R. Istituto Botanico dell’ Università di Roma. luglio 1903. i Orchis. (L. Genera 1009 ex parte) Rich. Perianzio a divisioni libere o saldate alla base, le esterne con- niventi fra loro in casco od erette, talora reflesse, le due interne il più delle volte più corte e conniventi. Labello a tre lobi più o meno profondi, raramente intiero, prolungato in sprone. Masse pol- liniche con caudicoli allungati con retinacoli liberi chiusi in una borsicula (rostello) unica, biloculare. Ovario sempre contorto. Piante terrestri, perenni con tuberi ovato-globosi cilindrico-fu- siformi o palmatifidi, foglie molli talora macchiate, fiori in spighe pauci-multi-flore. Sotto-gen. I — Herorchis. (1) (Reich. fil. Orch. p. 14 Parl. /%. It. III, p. 458). Tepali esterni conniventi in elmo distinti o più o meno saldati fra di loro. Tuberi radicali ovoidei o globosi, indivisi. Sror. I. — PAPILIONACEAE. — Parl. * L'unica specie di questa sezione ha: è tepali esterni conmiventi ma distinti cioè non saldati fra di loro; il labello integro, le brattee plurinervie a nervature semplici lunghe circa quanto l’ovario. À | 4 ! (1) Klinge in Dacty/orchidis, orchidis subgeneris, monographiae prodromus in Acta Horti Petropolitani, vol. XVII, fase. I, 1898, divide il gen. Orchis in due sottogeneri la cui differenza fondamentale sta nella forma dei tuberi: Euorchis (a tuberi intieri), Dactylorchis (a tuberi divisi lobati o palmati). Questa suddivisione certo è comoda dal punto di vista pratico. * Ho accettato le sezioni del gen. Orchis proposte da Parlatore nel terzo volume della sua Flora Italiana. 0 Ù À È MEcLO rchis papilionacea L. — È specie comunissima; alcuni autori hanno voluto separare dall’O. papilionacea l’0. rubra Jacq. basan- dosi sulla differenza del labello più stretto, allungato, canalico- lato col margine ondulato crenato: specie che altri accettano solo come varietà. Il valore di questa forma è molto relativo. Già nel 1818 Sebastiani e Mauri (1) scrivevano: Differientiam inter O. papi- lionaceam et O. rubram auctorum non invenimus. Il Sanguinetti (2) descrive l’ O. rubra Jacq.el'0. expansa Ten. aggiungendo alla de- scrizione di questa specie (che secondo la maggior parte degli au- tori è l’O. papilionacea di Linneo) la nota seguente: 0. expansa Ten. perfecte congruit cum O. morio papilionacea Tumbalii apud. Gren. et Godr. fl. de France t. 8, p. 185. Nomen Clmi Tenoris servavi ut legibus philosophiae botanicae obtemperarem licet nomen Tumbalîi aptius ad originem speciei indicandam. Ma l’esame dell’esemplare di Sanguinetti raccolto a Porcareccio da lui ritenuto per 0. expansa Ten. ci mostra però trattarsi di vera O. papilionacea L. Bertolonî (3) accetta il nome di 0. rubra Jacq. poichè in una nota fa osservare: O. papilionacea L'. ex Lindleyo Orchid. p. 266 differt labio exun- quiculato, sive sessili, venis omnibus in denticulos desinentibus. Est, planta Hispanica, Lusitanica et Algeriensis ertans in herbariis Linnaei Snuthii, et Benthamii huic prorima est amplitudine labii O. expansa Ten. quae tamen differt labio unquiculato, venisque in apicem den- tium et în sinus inter dentes desinentibus. Questi caratteri della ter- minazione delle nervature su cui il Bertoloni insiste tanto e cui dà una straordinaria importanza, in realtà non hanno alcun vAlore scientifico. Todaro (4) ritiene lO. rubra Jacq. come mera varietà: anche Parlatore l’accetta come varietà, ma nelle osservazioni fa notare (5): Però tra luna (0. papilionacea) e l'altra (0. rubra) varietà si tro- vano tante forme intermedie, che non è possibile, a mio avviso, di non considerarle come varietà o forme di una medesima specie. Cesati, Passerini e Gibelli (6) ammettono l’ 0. rubra Jacq. come razza più estesa ‘della specie. Barla (7) segue l'opinione di Parlatore e ne ri- (1) Fl. rom. prodr., pag. 306. (2) E. rom. prodr. alt, pag. 719-724. (3) Flora Italica, IX, pag. 516-515. (4) Orchid. sicule, pag. 14, nota. (5) Op. cit. vol. III, p.462. (6) Comp. ff. it., p. 188. (7) Icon. Orch. env. de Nice, p. 43. ESIMGPESESA SEO ORI OA DI ferisce l'osservazione. Il Camus (1) scrive a questo riguardo: croît . — (0. rubra) avec le type, (0. papilionacea); dans les localités où elle —— a été obsereée on l'a vue réliée à l’espèce par un grand nombre de formes intermediaires. Kraenzlin (2) poi fonde lO. rudra con 10. papilionacea poichè: die sogennante v. rubra ist nur eine Form mit schmalerem Labellum wie sie 2. B. Barla 1. c. abbildet. i Noi in seguito allo studio di un copiosissimo materiale siamo venuti nell'opinione di fondere le due specie insieme sotto il nome di 0. papilionacea L. poichè i caratteri con ì quali si vogliono tener distinte sono di lievissima importanza e spesso sì vengono a me- scolar fra di loro, cosicchè uno stesso individuo mentre pel numero, per la grandezza dei fiori e per la lunghezza delle brattee dovrebbe essere ascritto all’ O. papilionacea L. per la forma del labello do- vrebbe ritenersi come 0. rubra Jacq. e quindi noi seguiamo l’opi- nione del Kraenzlin fondendo le due specie: OrcHIs PapiLionacea L. Syst. nat. éd. X, p. 1242, (1759) Gren. et Godr. F/. de France III, p. 284. Kraenz. Orch. gen. et sp. I, p. 116. Seb. et Mauri. 7. rom. prodr. 306. Tod. Orch. sic., p. 11. Paol. et Fiori, Fl. anal. It., p. 240. O. exrpansa — Ten. ind. sem. h. r. neap. (anno 1827) et Sy22., p. 455 (1831) Sang. Fl. rom. prodr alt. p. 724 (?) et in herbd. O. papilionacea rubra Brot. phyt. lusit 2, p. 17. O. Var. grandiflora: Boiss. Voy. en. Espagne, p. 592. O. rubra Jacq. collect. 1 p. 60 Bert. /l. it. 9, pag. 516. O. papilionacea b. rubra — Barla Iconogr. Orch., p. 43 — Parl. Fl. it. III p. 459. Arc. FI. it. ed 2°, p. 166. Tcones: Ten. FI. Nap. fig. 2 tav. 192. — Barla Iconogr. Orch. pl. 28 fig. 1-18. — M. Schulze Orchid. tab. 2 — Paol. et Fior. Icon. i TILT, LI; é Statura variabile 1-6 dem. Molte foglie alla base lanceolate-lineari acute, canalicolate: talora il fusto è foglioso fino alla metà. La spiga ! fiorale talvolta è ridotta ad un sol fiore, talora ve ne ha pochi, al- tre volte molti, grandi, roseo-carnicini, con venature verdastre ed 1 il labello generalmente più chiaro, talora biancastro. I tepali esterni sono ovato-allungati, ottusi, talora acuti, spesso acuminati, conni- venti ma patenti all’apice, con nervature longitudinali ben visibili; gli interni sono più piccoli degli esterni con 1-2 nervature longi- tadinali. Il labello (v. fig. 1-6) assume forme variabilissime: è ro- (1) Mon. Orch. frane. in Journ, de Bot., vol. VI, p. 152. (2) Orch. gen. et sp., p.116. 1 Y ;M ARETINO SNITTÀ ci $ ° 5 3 È £ i 3 3 + É pero Bpprizs sente! o) ; fabe[iformos a agrge appena sinuato | . dentato o frastagliato, o smarginato o mucronato o nettamente trilobo con nervature di color oscuro disposte come i raggi di un ventaglio. Lo sprone è saccato, acuto, discendente, uguale alla metà dell’ovario o poco più lungo. Le brattee sono ovate-lanceolate, acute, uguali o poco più lunghe dell’ovario, ampie. È pianta comune nel piano e nei colli, dal mare fino alla regione dell’olivo e del castagno. Herb. Rom. — Villa Pamphili ‘/,, (Sanguinetti). Comune nei colli presso Roma V. 1852 (forme robuste con labello trilobo) (Rolli). Roma 1826 — */g, 7, (Mauri sub. O. rubra). Testaccio ‘/,, (San- . guinetti sub. O. rubra Jacq. = 0. papilionacea Seb et Mauri). Villa Pamphili */, (Sebastiani in Herb. Sang. 0. papilionacea flore pal- lido); Circo u Romolo Apr. (Fior. Mazz. sub 0. papilionacea bd. rubra Parl. Fl. it., p. 49); Alla Caffarella Apr. 1853 (Fior. Mazz. sub O. rubra dios (Fior. Mazz.); Villa Pamphili; Praticelli e boschetti fra Palazzolo e Monte Cavo 27. IV. 1875; Testaccio IV. 1874 (Cherici) 21 IV.1875; (D. Ntrs.)2.IV.1881 (Brizi e Terr.) Monte Mario 6. IV. 51; ‘ Bosco Madama 4. IV 82; (Avetta, Della Nave, Tamburlini); Monte Cave 5. IV. 84; sg del Colle a Nord del capo di Martignano 5. IV. 87; Colli di Martignano 5. IV. 87 (Pelosi); Vicino al lago di Gialianelio 12. V. 1895 (T. A. Baldini); Torre di Stracciacapre m. 267 12. IV. 1895 (Pappi); Alla sinistra della foce dell’ Arrone; Maccarese 16. IV. 1895 (T. A. Baldini); Boschi di Carrocceto V. 1887 (Pelosi); S. Spirito, Roma 10. IV. 1889 (Pir. Terrac.); Testaccio 22. V. 1891; (Terr. et Canneva) Macchia di Ladispoli 2. V. 1891; (Pir. Terr. di Cerulli). Wolbinio Traponzo tra Vetralla e Toscanella 18. V. 1900; Monte Santo tra S. Severa e Bracciano 3. V.; Monte Paperano a Brac- 9A Paà : pe: S. Severa 3. V.; Lungo il fosso delle Tre Cannelle tra = ; 4 clano e mone presso i Pianetti 30. V.; Paglieto lungo il fiume Fiora 28 V.:; Castel Giuliano sui Colli di Lupara 3. V.; Macchia tra Allumiere e Tolfa 8. V.; Monte di Canino 26. V; Macchia della Manziana, 4. V. 1900 (leg. A. Pappi det. F. Cortesi). Macchia di Anagni lungo il Sacco 6. V. 1901; Macchia di Sgur- gola lungo il Sacco 6. V.; Tra Ferentino ed Anagni 5. V.; Tra Pisterzo e Giuliano 20. IV.; Monte Siserno m. 784 tra Giuliano e Ceccano 21. IV.; Monte Sajano presso Piperno 19. IV; I colli tra Veroli e Collepardo m. 1117, 30. IV. 1901; (leg. A. Pappi det. F. Cortesi). Herb. Grampini. — Testaccio 5. IV. 1892; Tuscolo 10. V. 1896 (O. Grampini). Herb. Cortesi. — Cecilia Metella 1. IV. 1892; Acquatraversa IV. 1897; Palo 31. III 1899 (F. Cortesi). Fra i numerosi esemplari da me esaminati ho riscontrato una forma anomala che merita di essere descritta a parte: ORCHIS PAPILIONACEA L.— forma ABNORMIS mihi — pianta alta 25 cm. con foglie e fusto normali: spiga con tre fiori uno dei quali abor- tito, un altro con i tepali laterali esterni della medesima forma del labello, rosei, dentellato-crenati ai margini, il terzo con uno dei te- pali lat. esterni come il labello e l’altro circa della medesima forma che i normali, un po’ più piccolo con un dente alla base: Brattee normali, sprone molto acuto. Paglieto lungo il fiume Fiora 28. V. 1900 (leg: A. Pappi). 2. Orchis Gennarî Reichb. f. — Quest’ ibrido era sconosciuto agli antichi autori di flora romana: Sebastiani, Mauri e Sanguinetti. Il primo a trovarlo nella nostra regione fu il Rolli, come risulta da un esemplare del suo erbario raccolto alla Caffarella a mezzodì del Colle della Fonte Egeria il 1° aprile 1855. Questo esemplare porta due cartellini, in uno è scritto in inchiostro bleu Orchis rubra e la località e poi aggiunto in nero (evidentemente dopo) Orchis expansa ex Ten. Syll. — Orchis Gennari Reich. L'altro cartellino che è attac- cato ad una busta che contiene delle spighe fiorali porta scritto: Orchis Gennari Iteich. O. erpansa Ten. Syll. — È forse ibrida dell'O. papilionacea L. e dell'O. Morio L. e perciò siccome è osservata da tanti si potrebbe chia- mare 0). hybrida. Parlatore registra quest’ibrido fra le varietà dell'O. papilionacea L. accennando il dubbio che si tratti di pianta ibrida (probabiliter planta hybrida?) : suppongo che l’Orchis Gennarî sia pianta ibrida, È MI A bo È Man- î ziana e Bagni di Stigliano 5. V.; Manziana 4. V.; Selva del La- oo — quantunque i io ne Pass dliulo cigno 5; ‘pinto SIA attesa la va- riabilità della forma del labello che ora si mostra intiero ora diviso in due o tre lobi. Per la maggior densità e forma della spiga, per la forma ed il colore del labello sospetto che tale pianta sia nata da in- crociamento della O. papilionacea e dell'O. Morio che abbondano nei luoghi ove sono state raccolte le piante ricevute. Come pianta ibrida inclina pure a crederla lo stesso Reichenbach. Anche Cesati, Passerini e Gibelli (1) ed Arcangeli (2) danno que- sto ibrido: Paoletti e Fiori (3) citano un O. perpapilionaceo Xx Morio Parl. che certamente è la nostra O. Gennarî. OrcHis Gennarî Rchb. f. Icon. Orchid. suppl. 182 (1851); Parl. Fl. it. v. III, pag. 459; Camus Mon. Orch. Fr. in. Journ. de Bot. VI, pag. 350. Kraenz. Orch. Gen. et sp. I, pag. 118. O. Morio-papilionacea Timb. Lagr. Mem. hybr. Orch., pag. 14, (1854). Icones: Barla Icon. Orch., pl. 29. Pianta ora con l’habitus dell'O. papilionacea, ora con quello del- lO. Morio. Statura variabile 15-50 cm. Foglie lanceolate acute mu- cronulate, le caulinarî bratteiformi sfumate di violetto all’ apice. Spiga fiorale lassa ora con pochi, ora con molti fiori (da 8-20) di color violaceo-porporino. Brattee violacee con numerose nervature oscure, ampie, ovali lanceolate, acute o mucronate, sempre più lun- ghe dell’ ovario. Fiori un po’ più piccoli che nell’ O. papilionacea ed un po’ più grandi che nell’Orchis Morio. Tepali esterni ovali li- beri conniventi in elmo eretti all’apice: gli interni più corti, stretti, ottusi, riflessi in modo da proteggere il ginostenio. Labello patente o deflesso più largo che lungo, intiero (fig. 1-2), bilobo (fig. 3) o tr, cl lobo (fig. 4-5) con i margini ondulati dentellati o crenati. Sprone cilin- drico, più corto dell’ovario orizzontale, o discendente (la sua posi- | zione varia anche fra i fiori di una medesima spiga), acuto od ot- tuso, leggermente clavato all’apice. (1) Comp. fl. italiana, pag. 188. (2) FI. italiana, ed. 2*, pag. 166. (3) L. cit., pag. 240. Una i forma con labello quasi rotondo Be. 1) Pte bisnooo vel: lutato con nervature oscure, a fiori roseo-violacei chiari racco alla sinistra della foce dell'AGgdne a Maccarese è forse ibrida fra lO. papilionacea e VO. Moro v. alba. Vive nei luoghi erbosi dal mare spingendosi fino alla zona sub- montana con le specie stipiti. Herb Rom. — Alla Caffarella al mezzodì della fonte Figeria 1 apr. 1855. Testaccio (Orchis di Testaccio forse O. rubra?) (Rolli). — Colli di Martignano 5. IV. 1887 (Pelosi); Alla sinistra dello foce dell’Ar- rone (Maccarese) 16. IV. 1895 (T. A Baldini sub O. rubra); Nei prati alla Caffarella insieme con 10. papilionacea 23. IV. 1896 (Cortesi); Macchia nella R. Lestre della Roccaccia fra Toscanella e Montalto 21; V. su Macchia della Manziana 4. V. 1900 (leg. Pappi det. Cortesi). i Herb. Grampini. — Tuscolo 10. V. 1896 (0. Grampini). Herb. Cortesi. — Monti Laziali V. 1896; Frascati V. 1896; Maccarese IV. 1901 (Cortesi). Seor. II. — MORIONES Parl. Questa sezione è caratterizzata dai tepali esterni distinti, la- bello trilobo col lobo intermedio subequale, più breve ai laterali od anche quasi totalmente mancante, le brattee 1-3 nervie circa della medesima lunghezza dell’ovario (1). Vi appartiene la sola O. Morio. 3. Orchis Morio L. — Degli autori di flora italiana che accen- nino alla variabilità di questa specie, il primo è il Parlatore (2) il quale distingue quattro varietà: . b. floribus albis, c. floribus roseis, d. spica laxiflora-floribus mino- ribus = 0). picta Lois, e. folis maculatis di Corsica (secondo Requien). Egli inoltre dice: (53) Però è da notare che vi sono tutte le gradazioni e forme intermedie e che nelle Urchidee e segnatamente nel gen. Orchis nulla è più variabile della grandezza e della forma del labello. L'Ar- cangeli (4) e Paoletti e Fiori (5) accettano l’O. picta come varietà. 1) Park. Op. cit. III} p. 463 dice nei caratteri di questa sezione: ladium tri- lobum, lobis lateralibus postice rotundatis, lobo medio subaequali vel minore aut subnullo truncato emarginato. Noi non abbiamo potuto accettare tutti questi caratteri per la grande variabilità del labello. (2) Op. cit., pag. 464. (3) Op. cit., pag. 466. (4) Op. cit., pag. 167. (5) Op. cit., I, pag. 24. 4 i x E : o È i ; Il Camus invece (1) la ritiene come razza; il Kraenzlin poi la fonde ‘addirittura con l’O. Morio, ma nulla vi è che possa giustificare tale « fusione. Noi abbiamo accettato 1’0. pieta di Loiseleur come varietà ca- ratterizzata non solo dalla minore grandezza dei fiori (poichè non sì deve confonderla con le forme parviflore di Orchis Morio che fre- qaentemente si riscontrano in montagna) ma anche dall’ habitus gracile e dall’ aspetto della spiga fiorale, composta di pochi fiori disposti lassamente. Forse sì deve far rientrare nell’O. Morio lO. longicornu di Poiret (2): questa pianta di cui alcuni autori vogliono fare una specie distinta, differisce precipuamente dall’O. Morio per il labello e per lo sprone; noi però abbiamo visto ‘delle O. Morio a sprone breve con labello come nell’O. Zongicornu e viceversa; però non avendo a nostra disposizione sufficiente materiale specialmente di Sardegna, Sicilia ed Algeria non abbiamo potuto risolvere tale que- stione, che qui accenniamo a titolo solo d’osservazione. OrcHIs Morto L. sp. pl. 1333 ed. I, p. 940 (1753) et omnium auctorum. i O. crenulata Gilib. exere. phyt. II, p. 474 (1792). O. Nicodemî Ten. fl. neap. prodr. ILL p. 4 (1811). Icones: Barla Icon. Orch. pl. 30 except. fig. 6, G. Camus Icon. Orch. Par. pl. 10. Schultze Orch. +. 3., Paol. et Fiori Ic. FI. It. I fig. 818. Statura da 6-7 cm. fino a 7 dem.; portamento ora umile ora ro- busto. Foglie lineari lanceolate o lanceolate mucronate. Spiga fio- rale sempre ricca di fiori più o meno allungata. Fiori di grandezza variabile, porporini oscuri con nervature verdastre, labello più chiaro, biancastro nel mezzo e verso la base con punteggiature porporine oscure. Brattee lanceolate ottuse, mucronate od acuminate più lunghe dell’ovario od uguali a questo, le inferiori 3-nervie, le superiori l-nervie, violacee o porporine lavate di verdastro. I tepali esterni sono fra di loro ravvicinati così da costituire un elmo, ma non saldati. Il labello è di una forma variabilissima (fig. 1-11) quasi in- tiero, bilobo, o trilobo col lobo mediano uguale o più breve dei late- rali leggermente o profondamente smarginato, ed i margini dei lobi sono interi, dentellati o crenati (V. figure), ora i con lobi laterali re- flessi, ora espansi quasi a ventaglio. Lo sprone è cilindrico od un (1) Op. cit., pag. 133 (2) Voy. EN BARB. II, pag. 247 — dente Mito più breve, gi Las un po’ più pag ell'ondri 0. 7 | Questa specie vive nei luoghi erbosi, nei boschi, nei luoghi — Kobioi rocciosi dal mare fino alla regione del faggio ed è abbon- dantissima. A — FLORIBUS RosEIS: fiori roseo-pallidi. B — rLorisus aLpis: fiori bianchi o giallastri. Queste due varietà sono frequenti insieme alla specie. C — piera: fiori più piccoli, pianta gracile a spiga lassa. O. picta Lois FI. gall. ed. 2, t. 2, p. 264 (1828). O. longicornu Var. y. Lindl. Orch. p. 269. O. Morio Var. picta violacea Barla Icon. Orch. p: 45. Teones: Barla 2. cit. tab. 31: Schultze Orch. t. 4. Questa varietà sì trova nei luoghi marittimi e sporadicamente anche altrove. Herb. Rom. Roma, ne’ prati (Sebastiani var. B); Villa Politi ls (Sp. et var. A); Marcigliana * /an (Sp. et var. B Sanguinetti); Fiu- micino ‘/,,(leg. Sebastiani det. Cortesi); Alla Marcellina sotto Monte Gennaro IV. — Monti Tuscolani 25, IV. 1863; Monti Albani sopra A Palazzolo 23. V. 1861 (Rolli); Prati d’Annibale 30. VI. 1873; Prati di Rocca Priora V. 1875 (Cuboni); Prati sotto Tivoli 4. 1882; Ai Cappuccini d’Albano 23. IV. 1882 (leg. Baldini det. Cortesi); Monte Cave (sp. et var. A); Tivoli a Monte Catillo V. 1887 (Pelosi); Tivo | di o) #‘ e PRA ME “last SA * Vu NI . 7 PA IT. V.87 Pir., Terrac.); Monte Gennaro al Pratone 6. VI. #891; (Rees Terrac. var. B); Maccarese 16. IV. 1895 (sp. et var. B); Alla sinistra della foce dell’Arronea Maccarese 16. IV. 1895; Lago d’Albano Apr. 1882 (T. A. Baldini); Dintorni della Torre di Stracciacappe m. 267 14. IV. 1895; Lungo il Canale Monterano: 7. V. 1895 (leg. Pappi det. Cortesi). Macchia della Manziana 4. V. 1900 (fl. et fruct); Lungo il Mi- gnone poco lungi dalla foce 10. V; Lungo il fosso delle tre Cannelle tra Manziana e Bagni di Stigliano 5. V; Macchia la Riserva tra Toscanella ed Arlena 25. V; Fosso Caldano presso la Macchia delle Spiaggie alla Tolfaccia 7. V; Capodimonte 3. VI; Bosco di Baccano lungo la Fiora 29. V; Monte di Canino 26. V; Macchia tra Allumiere e Tolfa 8. V.1900 (leg. A. Pappi, det. F. Cortesi). Monte delle Fate m. 1090 presso Sonnino 23. IV. 1901; Monte Bove m. 1320 presso la Pietra Pizzuta: S. Maria-Pietrasecca 24. V; Lago de’ Gracilli tra Sezze e Sonnino 19. IV; Monte Partilepre m. 1149 tra Nespolo e S. Lucia 26. V ; I colli tra Veroli e Collepardo m. 1117, 30. IV; Monte S. Cataldo presso Falvaterra 26. IV; Monte Calvilli m. 1102 presso Vallecorsa 25. IV: Veroli dalla R. Porcafura a S. Maria Amaseno m.1000,30.IV; Monte Pellecchia m. 1369, 13. IV; Fontana Campoli m. 1014 presso S. Francesca-Veroli 29. IV; Tra Nespolo e Collalto 26. V (sp. et var. 4); Carsoli: tra Tufo alto e Villa 25.V; Monte Val di Varri m. 1870 presso Pescorocchiano 28. V; R. Le Serre tra Tonnicoda ed Ascrea 30. V; Monte Siserno m. 784 tra Giu- liano e Ceccano 21.IV.1901; Macchia Uppa presso Pietrasecca 24. V; Veroli: Vallevona m. 1100 presso S. Francesca 29. IV. (sp. et var. A); Falde del monte Pedicino da 800-1200 s. m.: Veroli 28. IV; Colle Viare m. 468 presso Castel Liri 28. IV; Monte Gemma m. 14836 presso Lupino 4. V; tra Orvinio e Percile 12. VI. (fruct); Monte Navegna m. 1506 versante O. presso Castel di Tora 3. VI; Monte Faito presso Pozzaglia 11. VI. (fruct); Monte Cervia m. 1439 versante N-0. presso Paganico 81. V; Monte Filone m. 1320 presso Ascrea 31. V; Carsoli tra Pietrasecca e Tufo Basso 25. V; Pietrasecca presso Carsoli 21. V.1901-(leg. A. Pappi, det. Cortesi). Herb. Grampini. — Acque Albule 16. 4. 1892 (sp. et var. A); Mac- carese 25. IV. 1896 (0. Grampini). Herb. Cortesi. — Monti Laziali V. 1896 (sp. et var. B); Nemi, pendici erbose del lago 12. V. 1895; Fiumicino IV. 1895; Mac- carese V. 1897. IV. 1901 (var. A et B); Monte Gennaro IV. 1897 (F. Cortesi). (1) Op. cit., III, pag. 470. A RI todi by) pis OT SRI, PATATA gi 3.» omeoo » e spica lazifora. Kina minoribus); Fornaio prati 2.V. 1878 (0 u- "SI boni); Macchia nella R. Lestre della Roccaccia tra Toscanella e Mon- talto 21. V. 1900 (Pappi det. Cortesi); Frascati V. 1896 (Herb. Cort. leg. F. Cortesi). Sror. III. — CORIOPHORAE Parl. L'unica specie di questa sezione (1’0. coriophora L.) ha è tepali esterni del perigonio connati, liberi all'apice: il labello trilobo con è lobi laterali più grandi obliquamente troncati, il lobo mediano più lungo dei laterali, le brattee uninervie, più lunghe dell’ovario. 4. Orchis coriophora L. — Di questa specie gli autori accettano una var. cimicina = 0. cimicina Crantz, che il Kraenzlin fonde in- 3 vece con la specie. Questa varietà Parlatore dà per le parti nordiche i d’Italia: essa sarebbe caratterizzata dai fiori più piccoli ad elmo | acuto, con lo sprone uguale alla metà dell’ovario e da un forte e sgradevole odore di cimice. Nelle mie erborizzazioni non ho mai incontrato tale varietà, quindi non sono in grado di formulare in- torno ad essa un esatto giudizio, tanto più che sul secco il carat- tere principale (biologico) dato dall'odore è assolutamente irricono- scibile. OrckIs Corrorzora L. Codex 6.811 (1732); Sp. pl. ed. I, p. 940 (1755) et omnium auctorum. O. cassidea M. B. FI. taur. cauc. 3, p. 600. O. fragrans Poll. in elem. bot. 2, p. 155-159. 0). Polliniana Spreng. Pugill. 2, p. 78. Icones: Barla Icon. Orch. pl. 31, 1-16; Camus Icon. Orch. Par. pl. 9; Schulze Orch. tav. 5; Paol. et Fiori Icon. fl. it. I, f. 821. Pianta da 2-5 ec ora a portamento robusto ora gracile. Le foglie sono lineari lanceolate acute: la spiga fiorale ora è breve, di pochi fiori e lassa, ora è lunghissima, densa. I fiori sono di colot vio- laceo verdastro col labello più oscuro. I tepali superiori esterni sono conniventi in elmo con apice libero e divergente: gli interni più piccoli e più stretti. Il labello è rivolto in basso, trilobo con i lobi laterali integri ed appena denticolati o profondamente dentati, più corti del lobo mediano, il quale è ottuso od acuto. Le brattee sono l-nervie lanceolato-acute od acuminate, talora uguali all’ovario ma, per lo più, più lunghe di esso. Lo sprone è più o meno saccato, acuto od. ottuso, diretto in basso, più breve dell’ovario. È specie che vive nei luoghi erbosi dal mare (anche nelle arene marittime) ai colli ed ai monti. A Castel Fusano. Presso la solfatara di Tivoli V. 1856 (Rolli); Circa Tibur ‘alle Solfatare VI. 1861 (Fiorini Mazz.); Fiumicino 10. V. 1877; | Lago de’ Tartari in copia 22. V. 1878 (Cuboni); Lungo la via | Appia 1879? (Miss Price). È. L. de’ Tartari 25. V. 84; Boschi di Carrocceto V. 1887 (A. Pe- o losi); Monte Gennaro 6. VI. 1891; Isola Sacra: foce del Tevere 17. ; V. 1896 (T. A. Baldini). Paglieto lungo il fiume Fiora 28. V. 1900; Bosco di Baccano i lungo la Fiora 29. V; Lungo il Siele dalle sorgenti alla foce nel Paglia 11. VI. 1900; Lungo il Turano tra Rieti e Magnalardo 9. VI. 1901; Tra Percile e Licenza 12. VI; Lungo l’Aniene tra Man- dela e Vicovaro 13. VI. 1901 (leg. A. Pappi, det. F. Cortesi). Herb. Grampini. — Bagni di Tivoli V. 1896 (Grampini). i Herb. Cortesi. -— Prati sulla riva destra del Tevere andando a monte Soratte 24. V. 1894; Bagni di Tivoli V. 1896; Maccarese V. 1897 V. 1903 (F. Cortesi). 5. Orchis.... — In mezzo a molti individui d’O. palustris Jacq. fissati su di un foglio senza alcuna etichetta, appartenenti però molto probabilmente agli erbarî di Mauri, di Sebastiani o di San- guinetti e raccolto forse fra Ostia e Fiumicino, ho trovato un solo individuo di questa interessantissima forma, certo ibrida, che non mi è stato possibile determinare esattamente, della quale però dò una accurata descrizione. Pianta di 3-4 dem. con foglie brevi lineari lanceolate acute, le superiori squamiformi guainanti. Spiga fiorale di 1 dem., brattee lanceolate acute 1-nervie più brevi dell’ovario od appena uguaglianti questo. Tepali esterni eretti non conniventi in elmo di color roseo- violaceo, gli interni conniventi; labello trilobo col lobo mediano più lungo dei laterali lanceolato integro, i laterali dentati o fimbriati; la superficie del labello pubescente. Sprone discendente più lungo della metà dell’ovario, mai però uguale a questo. Fiori della grandezza di quelli dell’ Orchis coriophora; pianta avente il portamento di questa specie. La nostra pianta per la forma del labello si accosta all’x 0. par- vifolia Chaub. (1), da cui però differisce sopratutto per la super- ficie del labello pubescente e per lo sprone più lungo della metà dell’ovario. La pubescenza del labello la fa accostare all’x O. Tim- | (1) Fl. agen,, p. 369. ino V. 12 (Sebastiani); Tenticnia ts; ‘Ostia v, ion "a x il che ci nella nostra pianta. ESCE ih sf Si tratta d’una forma ibrida di difficile ideniRcatione con quelle v. fino ad ora descritte, ma che rientra certamente nel gruppo d’ibridi fra lO. lariflora Lamk. e 1°0. coriophora L., forma assai interessante da ricercare con grande diligenza, nuova certo per la flora italiana, perchè diversa dall’O. coriophora x lariflora v. palustris Timb. ci- tata da Paoletti e Fiori (2) nella loro flora analitica d’Italia. Seor. IV. — MILITARES Parl. In questa sezione ho ascritto: le Orchis con i pezzi perigoniali esterni lungamente saldati o conniventi, liberi all'apice, con labello tri- fido 0 trilobo con lobo mediano più largo dei laterali, smarginato, bi- lobo 0 bifido con i lobi secondarî spesso divaricati, con un mucrone più o meno manifesto interposto ; brattee 1-nervie spesso assai brevi, mai “i superanti la metà dell’ovario. Il Kraenzlin (3) ascrive alla sua sezione Militares anche 1 Orchis coriophora, che merita però di esser tenuta distinta in una speciale f sezione per avere 1 lobi laterali del labello più larghi del lobo me- diano e per le brattee sempre più lunghe dell’ovario. Alla nostra sezione: militares appartengono dunque con le loro forme ed i loro ibridi le seguenti specie: 0. purpurea Huds, Simia Lamk, militaris L., longieruros Link, tridentata Scop, ustulata L. 6. Orchis purpurea Hudson. — Per ragioni di priorità accettiamo : la denominazione 0. purpurea di Hudson (4), che è anteriore di ben i quattro anni a quella di 0. fusca di Jacquin, pure adottata da molti autori. Questa specie è fra le più variabili del gruppo militares, ma le sue variazioni sono — specialmente per quanto riguarda la forma ed il rapporto dei lobi del labello — costanti, cosicchè crediamo oppor- tuno di distinguere un certo numero di forme, come ha fatto il Camus per le Orchidee francesi (5). L’Hudson (6) non ha affatto riconosciuto tale polimorfismo, poichè egli diagnostica tale specie nel modo seguente: Orchis bulbis indivisis, nectari labio barbato quinquelobo lateralibus obtusis, crenulatis, medio (1) Sitzb. d. b6hm. Acad, 1882. (2) Op. cit., I, pag. 241. (3) Op. cit., vol. I, p. 112. (4) Flora anglica ed. I (1762), p. 334-885. (5) Bull. Soc, Bot. Franc., xxxII, p. 218. Loc. pi p. 188, (6) Loc. cit., p. B3A, 1 ; È È AA ® cinque lobi, o anche come lobo il mucrone interposto fra i lobi fidari del segmento mediano. Sebastiani e Mauri (1) ritengono invece il labello quadrifido, ammettendo quindi il lobo mediano manifestamente diviso in due lobi: concezione in parte errata, perchè esso non sì presenta mai tanto profondamente diviso da far perdere il concetto d’unità. Il Berto- loni accenna alla possibile mancanza del mucrone fra i lobi secon- darî: appendicula inter lobos minima aut nulla, ma 10 nei numerosis- simi esemplari che ho avuto agio di osservare, ho bensì riscontrato una notevole variazione nello sviluppo del mucrone, ma mai la sua assoluta mancanza. Il Kraenzlin (2) accenna alla variabilità del labello accettando due varietà: sfenoloba Coss. et Germ. e moravica Jacq.; la seconda — come lo indica il nome — non appartiene al dominio della nostra flora e quindi attualmente non c’ interessa: della prima discute- remo appresso. Prima di passare all’esame delle singole forme dob- biamo far notare che non possiamo accettare il carattere che pone in rilievo il Camus nella tav. VIII della sua citata memoria: del rap- porto cioè che intercede fra la lunghezza dei tepali esterni con quella degli interni. Egli ritiene tale carattere assai importante per distinguere fra loro le 0. purpurea, militaris, Simia ed alcuni loro ibridi, ma noi non possiamo condividere la sua opinione perchè in molti individui da noi studiati — appartenenti indiscutibilmente al- lO. purpurea — la lunghezza dei tepali interni era variabilissima, ora uguagliando quasi gli esterni ora mostrandosi di essi assai più brevi. OrcHIS PURPUREA Huds fl. ang?. edit. I, p. 384 (1762); Reichb. fil. Orchid., p. 51 plerorumque auctorum. O. militaris L. Sp. pI., p. 1334 var è e y; Lamk /l. frang 3, p. 506; Vill. pl. du Dauph., 2, p. B4. 0. fusca Jacq. Austr. 4, p. 4 (1776); Seb. et Mauri 7. rom. prodr., p. 305. 0. fusca Wild. Si, t. IV p. 123; Sang. FI. rom. prodr. alter, p. 727. Bert. 7. It., vol. IX, p. 541. O. brachiata Gilib. Exerc. phyt. II, p. 477 (1792). O. fuscata Pall. It. IL, p. 124 (1773). Tcones: Barla Iconogr. des Orch. pl. 37; Camus Ieonogr. Orch. par. pl. 6; Bu2!. Soc. Bot. Fr. XXXII pl. 8; Schultae Orchid. t. 10; Paole e Fiori /conogr. fl. it. I, fig. 824. (1) Ses. et MAURI, Fl. rom. prodr., p. 305, sp. 1102. (2) Loc. cit., p. 182. ANNALI DI Boranica — Vor. I. IN 21 sd bi, f ? Nafiubile da 3- 7 deli" Fegiti basali, grandi, c oval late 0 lauceolate: spiga fiorale ovoidea od allungata Rei “dan” fiori purpurei con macchie verdastre a labello bianco sfumato di roseo ai margini, sparso, specialmente nel centro, di ciuffetti di peli porporini. Tepali conniventi in elmo, lineari-lanceolati accuminati conniventi alla base; labello generalmente ampio e ben sviluppato, trilobo, con i lobi laterali allungati, più stretto del lobo mediano, che è più o meno profondamente bilobo con un mucrone interposto fra i lobi. Sprone leggermente clavato e smarginato, discendente, lungo circa un terzo dell’ovario. Brattee piccolissime, ovate, minervie. È specie polimorfa — specialmente nella forma del labello — che vive nei luoghi boschivi freschi ed ombrosi del piano, dei colli e dei si i Dallo studio diligente del ricchissimo materiale da noi osservato crediamo di poter istituire le seguenti forme: 1° AmeprastINA Camus — medzastino (1) non ben differenziato, lobi laterali non ristretti alla base, mucrone di grandezza variabile (fig. 1). 2° SpatHuLATA Camus — mediastino più 0 meno sviluppato, lobi laterali nettamente spatolati, lobi secondarî ora rotondati ora espansi, col margine intiero o dentato (fig. 2). (1) Chiamiamo con Camus mediastino la parte indivisa del labello, SA a ampi arrotondati, Melosa poco so (fig. 3). 4° li Camus — mucrone assai lungo, mediastino poco ‘sviluppato (fig. 4). 5° Minima Camus — fiori piccoli in pianta mediocre, lobi laterali del labello convergenti (fig. 5). ;; Expaxsa mihi — lobi secondarî assai ampi cd espansi (fig. 6). (° LongImEpIastTINA mihi — mediastino lunghissimo, lobi secon- darî ora rotondati, ora espansi, intieri, dentati o fimbriati (fig. 7). 5° RorunpILoBA mihi — lobi secondarì nettamente e manifesta- mente rotondati, mediastino ben sviluppato (fig. 8). 9° ParaLLELA Camus — lobi laterali ristretti alla base, line la- terali dei lobi secondarî parallele (fig. 9). 10° BreviLoBA mihi — lobo mediano leggermente inciso con un piccolo mucrone, lobi laterali brevi (fig. 10). Non mi è stato possibile di riscontrare le forme: incisiloba, con- fusa ed albida che il Camus descrive per la flora francese; ma non credo sia improbabile trovarle in ulteriori e più diligenti ricerche. Non ho riscontrato nessun rapporto fra l’habitat ed il polimor- fismo di questa specie: le forme crescono promiscuamente nei luo- ghi erbosi, freschi ed ombrosi che tale specie predilige. Ad ogni modo le diverse forme che qui noterò solo col loro numero d’or- dine sono state fino ad ora trovate-nelle località seguenti: 1° — Villa Pamphili 14 IV. 1902. (Cortesi). 2* — Macchia Mattei, Villa Pamphili. Monte Verde, Villa Borghese, M. Madama (E. Moi Roma %,ss (Mauri); Villa Pam- phili 8. IV. 1861. fiorita nell’ orto Botanico (Rolli); Dintorni di Roma 29. IV. 1876. (Miss Price); Tivoli 27. V. 1887; Acqua Bollicante ‘/ 31 (Sanguinetti); Tra Palo e Cervetri 2. V. 1900; fosso la Lenta presso i bagni di Stigliano 8. V. 1895. 2. V.1901; Torrice-Ripi 2. V. 1901; Ripi-Arnara 2. V. 1901; macchia presso Frosinone 31. V. 1901 (leg. A. Pappi, det. F. Cortesi); Alla Balduina verso Val d’Inferno 2%. IV. 1901. (H. Gr., O. Grampini); Via Cassia Nuova 26. IV. 900. i si Grampini); M. Antenne 12. IV. 97. (H. Cort: L. Senni). — Villa Pamphili 14. IV. 1902 (Cortesi). do -— id. id. (id). DA — id. id. (id). 6° — Monte Piano m. 1000 presso Nespolo 26. V. 901; Ar- nara-Ceccano 3. V. 1901 (forma a lobi fimbriati) (Leg: A. Pappi «determ. F. Cortesi); Villa Pamphili 14. IV. 1902 (Cortesi). (° — Villa Madama (Mauri sub. O. fusca «a Willd)? — Fosso la Lenta ai bagni di Stigliano 8. V.1895; Ciciliano-Tivoli 17. IV. 1890; i MAINEAMGolegall e S. Giovalità. Pics 26. IV. 1901; Macchia presso Frosinone 31. IV. 1901; Ripi Arnara 2. V. 1901; ea tra Pietrasecca e Tufo basso 25. V. 1901. (Leg. A. Pippi det. F. Cortesi). Villa Pamphili 2. V. 1900. (H. Gr., O. Grampini); Monti sopra a Tivoli V. 1896. (H. Cort., F. Cortesi). 8* — M. Piano m. 1000 presso Nespolo 26. V. 1901; Presso il bosco di Potenzani a Rieti 12. VI. 1901; A Villa Pamphili 29. IV. 1901-14. IV. 1902. (Leg. A. Pappi det. F. Cortesi). ì ; 1 LA(1N i i Sn Ju HNV\ dà $ À PE f* 1 1. Orchis Simia. — 2, — Orchis purpurea-Simia, — 3. Orchis purpurea. )* — Bosco di Villa Corsini 18. V. 1866 (Rolli sub. O. mili- taris L.); Villa Pamphili 14. IV. 1902 (Cortesi); Bagni di Stigliano al SA di S. Anzino 8. V. 1895; Maschia presso pp (Leg. A. Pappi det. F. Cortesi). 10% — Selve attorno a Riofreddo 23. IV. 1901; Ciciliano (T1- voli 17. IV. 1895. (Leg. Pappi, det. Cortesi). Degli esemplari raccolti nelle seguenti località, perchè in cat- tivo stato di conservazione o già fruttificati o con i fiori appena in boccio non si è potuta determinare la forma: Valle dell'Inferno '/.. (Sang); Lungo l’Arrone a Castel Ghezzo 22. V. 900 (Pappi); Monte Parioli, Villa Pamphili (H. Gr. O. Grampini) 2. V. 1890; _ Macchia Mattei 20. V. 1888? La varietà stenoloba di Cosson e Germain invece che varietà dell’ Orchis purpurea deve considerarsi come ibridofra 1 O. Simia Lamk. e lO. purpurea Huds., come risulta dall’esame eritico che ne sà abbiamo fatto appresso. A; me raccolto a Villa POMpi nell’ aprile del 1901 3a è perfetta- mente caratterizzato e distinto dai suoi stipiti pel suo habditus e per la forma del labello dei suoi fiori. La spiga si avvicina per forma e per portamento a quella d el- l’ O. Simia, pel colore dei fiori invece all’O. purpurea; il labello è trifido con le lacinie laterali lunghe sottili di color rosso, il m e- diastino largo, ben sviluppato, disseminato di ciuffetti di peli por- porini oscuri, con i lobi secondari larghi almeno il triplo dei la- terali, assai più brevi di questi con un breve mucrone interposto. La seguente tabella comparativa varrà a mettere in rilievo 1 rapporti che intercedono fra questo ibrido e le sue forme stipiti. \ = == = == —= = = ORCHIS PURPUREA ORCHIS SIMIA O. PURPUREA Xx SIMIA Tepali esterni conni- i venti ad elmo, liberi al- | l’ apice un po’ reflessi : verdastri con macchie porporino-oscure. Labello trifido coi lobi laterali spatolati larghi 2-3 mm., il mediano più lungo con due lobi se- condarî ampi, espansi, a | margine intieri dentati | ocrenati con un mucro- i ne fra leduelacinie. Me- i diastino mediocremente è stata inversione delle specie stipiti (0. Simia x sviluppato. Sprone più breve della metà dell’ovario. Tepali esterni liberi, a metà reflessi all’ apice: | bianchi o rosei con mac- chie porporine oscure. Labello trifido con i lo- | bi laterali lunghi, stretti (1 mm.), arricciati all’e- stremità, mediastino lun- go e stretto, lobo media- no profondamente bifido con ilobi secondarî ugua- li in dimensioni e forma ai laterali con un mu- crone interposto. Sprone uguale o più lungo della metà dell’o- | vario. Casco dell’ O. purpu- rea per portamento e per colore. Labello trifido, lobi laterali come nell’O. St mia, mediastino largo circa come i lobi secon- darî, i quali sono due o tre volte più larghi (2-3 mm.) dei laterali ed alquanto più brevi di | essi. Sprone uguale metà dell’ovario. alla | Quest’ibrido è perfettamente distinto del seguente — in cui vi la forma del casco e del labello. Forse Cosson e Germain (1) lo comprendevano nella loro var. stenobola dell'O. purpurea, e Sanguinetti (2) nella var. angustata Gren. et. Godr., ch’io credo però più opportuno riferire all’ ibrido seguente. (1) Flore des environs de Paris, pag. 550. (2) Loc. cit. p. 728. purpurea) — per MR, PELO 2 E gie "SE, RI LI ki ù È Tee de . 1): 2° À "ae” Fatta. PALE A Ri = La sinonimia di questa forma mie vedute — così stabilita: OrcHIS PURPUREO x SIMIA. — 0. angusticruris Franchet pro parte. O. Simio x purpurea Wedd. in Gr. et Godr. Fl. de France III, p. 291; Kraenz. Orchid. gen. et. sp., p. 128. O). purpurea Huds x Simia Lamk. Focke P/. mise., p. 376. x O. Franchetèù G. Camus Bull. Soc. Bot. Fr. XXXIV, pag. 242; Journ. Bot. VI (1892), p. 415. Icones. — G. Camus /oc. cit. pl. III; M.Schultze Orchid. sub. O. purpurea ; ic. nostra (V. fig. 2 pag. 160). Di tale ibrido esistono esemplari nell’erbario romano del R. Isti- tuto Botanico e nel mio privato da me raccolti il 21 aprile 1901 a Villa Pamphili nei luoghi ombrosi e freschi presso illago; è da ricercarsi in tutti 1 luoghi ove le specie stipiti crescono in comuue. 8. Orchis Simio x purpurea.— Studiando le Orchidee delle collezioni P. Sanguinetti conservate nel nostro erbario romano ho trovato un esemplare di Orchis da lui raccolto a Villa Pamphili nel mese di aprile del 1828 e determinato come 0. fusca Wil2d., che invece è certamente un ibrido fra 10. Simia e lO. purpurea. Planta habitu Orchidis purpureae 3-4 dem: foliis amplis ovato-lan- ceolatis, supra lucentibus: bracteis parvis longe acuminatis umquam ter- tium ovarî superantibus: floribus mediocribus racemosis. Tepalis supe- rioribus ut in V. Simia, labio 3-fido, lobis lateralibus spathulato-linea- ribus, disco mediocri, lobulis secundariis lateralium brevioribus sed duplo amplioribus, mucronulo interiecto: cornu brevi, retuso. Il colore dei fiori è irriconoscibile per l’essiccazione. Tale ibrido per l’aspetto del labello si avvicinerebbe assai al- l’Orchis Chatinî di Camus (1), che secondo l’autore sarebbe un dop- pio ibrido dell'O. Simio x militaris e dell’O. Simia; però nessuno fino ad ora — ch'io sappia — ha raccolto lO. militaris a Villa Pamphili o negli immediati dintorni di Roma, ove invece crescono in abbondanza e promiscuamente VO. Simia e 10. purpurea, che possono con tutta facilità ibridarsi. Quest’ibrido si accosta molto all’). Simza, da cui differisce so- pratutto per una maggior larghezza dei lobi secondarî del labello nettamente spatolati (mai così larghi come nell’O. purpureo x Simia) (V. fig. 1-2), per il mediocre sviluppo del mediastino oltre che per l’habitus generale della pianta che s’avvicina assai a quello dell'O. pur- purea. lo penso quindi che si possa anche trattare di un ibrido doppio \ (1) Bull. Soc. Bot. de France, t. XXXII (1885), tav. VIII. De” dp e fra FRE LA ipa"; n. in può esser quindi — secondo le | n LTT ___r—_————_————————tkn È orli i A me A 6% i . fra un 0. S mio x dh a a una 0. Simia, la quale sb bia nuo- È vamente ‘compiuto la funzione di maschio. Tutto ciò però è straor- Dic | dinariamente difficile a stabilire con certezza sr Secco in cul sono scomparsi i colori e con essi tutta quella serie di piccoli caratteri, che sul fresco servono mirabilmente per scoprire i parenti degli È 7 ibridi. Alla nostra pianta si devono riferire le var. % N angustata di Gren. et Godr. (1) e stenoloba di Cosson e Germain (2) dell'O. purpurea; quest’ultima varietà Parla- tore (3) chiama — per lapsus calami — stenobola e molto giusta- mente dubita si tratti di un ibrido. Il nome di 0. angusticruris dato da Franchet al gruppo d’ibridi fra lO. purpurea e O. Simia è da abbandonare, perchè è più esatto e più scientifico tenere fra di loro distinti questi ibridi che sono così numerosi e così ben caratterizzati. . Da quanto abbiamo detto possiamo dunque così stabilire la si- nonimia di questa forma: O. Simo x PurpuREA. — forsitan O. Simio x (Simio-purpurea) ? O. augusticruris Franchet pro parte, in Camus Mon. Orch. Fr. Journ. Bot. VI, pag. 415. O. Jacquini Godr. Fl. Lorr. III p. 83, non Camus Bull. Soc. boat. p-.216. O. purpurea ®. stenoloba Coss. et Germ. FI. ene. Paris (1845) p. 550; Parl. (pro errore stenobola) FI. It. JII, p. 487; Kraenz. Orch. gen. et sp. p. 132. O). purpurea %. angustata Gren. et Godr. FI. x France III, p. 290; Sang. 7. rom. Prodr. alter. p. 728 2; Gillet. et Magne 1. de France, p. 494. O. Weddellî Camus Bull. Soc. Bot. Fr. XXXIV (1887), p. 242 et Mon. Orchid. Frang. in Journ. Bot. VI (1892), p. 414. Icones. — Camus Bwu2!. Soc. Bot. Fr. XXXIV t. III È da notarsi che mentre Sanguinetti registra la var. angustata dell’O. fusca per Villa Pamphili, l'esemplare da me studiato e da lui raccolto in detta Vilia, è stato da lui semplicemente determi- nato per 0. fusca Willd. Parlatore dà la var. stenoloba per Villa Pamphili, certo sulla fede del Sanguinetti. (1) Flore de France III, pag. 290. (2) Loc. cit. pag. 550. (3) Flora italiana III, pag. 487. 9. Orchis longicruris SERGE DIRO agio. di i priori à è da tifolia Bivona di è posteriore di alcuni anni. In questa specie è anche un buonissimo carattere, la costanza delle ondulazioni sui margini delle foglie, da cui Bivona tolse ap. punto il nome di O. undulatifolia; io l’ho riscontrato in un numero grandissimo d’individui veduti a Monte Circeo (nell’aprile del 1899) ove tale pianta è abbondantissima. La sinonimia di questa specie, con la scorta di diligenti studî bibliografici, può venire così stabilita: OrcHIs LonGIORURIS Link. — in Schrad. journ. fiir. bot. 2, p. 329. (1799); Paol e Fiori F7/. anal. it. I, p. 243. O. undulatifolia Biv. Sic. PI. cent. 2, p. 144; Fior. Giorn. dei Lett. di Pisa t. 17, p. 180; App. al prodr. della fl. rom., p. 22. (1807) Sang. fl. rom. prodr. alter., p. i; Bert. /l. it. IX, p. 537. O. tephrosanthos Desfj AÙ: 2, p. 319 non Villars. O. tephrosanthos {}. - SARRI Bot. Reg. tab. 375. O. Simia 8. undulatifolia Webb. èt. hisp., p. 9; Boiss. Voy. en Espagne. O. italica Poir. in Lamk. diet. IV, p. 60; Arc. fl. it. ed. 2°, p. 167. Icones. — Biv. 2. cit. tab. 6; Paol. e Fiori Je. fl. it. I f. 827. Pianta di statura variabile da 3-6 cm.; foglie basali oblungo-lan- ceolate, acute o mucronate, ondulate ai margini. Spiga fiorale ora piramidato — globosa ora allungata, più o meno compatta, con fiori di grandezza variabile, rosei con qualche lineetta di colore più in- tenso sui tepali esterni e con macchiettine rosse oscure alla base del labello. Tepali esterni distinti e conniventi, acuminati, un po’ re- flessi all'apice, gli interni più brevi del doppio, distinti e conni- venti. Labello tripartito con lacinie laterali brevi subfalcate, acu- minate, col lobo medio lungo il doppio dei laterali, profondamente diviso con un lungo mucrone interposto fra i lobi secondarî. Sprone lineare lievemente compresso, all'apice un po’ smarginato, discen- dente, ricurvo uguale circa alla metà dell’ovario. Brattee ovali ac- cuminate, uninerve, brevissime. Questa specie vive nei luoghi erbosi marittimi, nei colli e nei monti fino alla regione del castagno. Monti di Terracina V. 1826 (Mauri) (1), Albano *n (Sangui- netti): Terracina prope la fontana di S. Stefano (Fior-Mazz), Monte Circeo apr. 1879 (Cuboni), apr. 1899 (H. Cort. Cortesi). (1) Sull’eticherta è scritto di pugno del Mauri: abita anche a T'ivoti: malgrado le mie diligenti e ripetute ricerche non ve l'ho mai trovata. cettarsi il nome di Link che data dal 1799: quello di O. conci È, | sei to m. 784 tra Giuliano e Cercato 21. IV. 1901 n Pappi det. Cortesi). Herb. Cortesi — a Fiumicino V. 1896 (leg. Coleman det. F. Cor- tesi); Monte Circeo IV. 1899 (Cortesi). Sanguinetti la dà anche di Monte Mario presso Roma, ov’ io non l’ho mai trovata e si può dubitare dell’ esattezza dell’ indicazione perchè non esiste l'esemplare in erbario, e Parlatore (1) sulla fede di Bertoloni la indica per Viterbo e Canino. 10. Orchis ustulata L. — Questa specie è una delle meno varia- bili del gruppo: presenta variazioni soltanto nella statura, nella ric- chezza della spiga fiorale, nella grandezza dei fiori. Il lobo mediano del labello — che può essere più o meno profondamente bilobo — può aver un piccolo dente fra i lobi secondarì e ne può essere privo. OrcHIS ustuLAaTA L. — Sp. pi. p. 1333 MOR auctorum. Ophrys antropophora FI. dan., p. 103 (1763). O). amoena Crantz. Stirp. austr., p. 490. O. Columnae Schmidt PZ. bohem. n. 58, p. 227 (1791). O. parviflora Willd. Sp. pl. 4, p. 27 (1805). . Icones. — Barla Iconogr. Orchid. pl. 83, f. 1-15; Camus Ze. Orch. par. pl. 5; Schulze Orchid. t. 6; Paol. e Fiori Iconogr. fl. it. I, fig. 822. Pianta da 1-5 dem. Foglie allungato lineari talora acute. Spiga fiorale talvolta raccorciata, talora allungatissima (specialmente dopo la fioritura). Fiori piccoli rosso-scuro leggermente violaceo, coni tepali laterali esterni spesso sfumati di biancastro ai margini, con labello bianco con macchie violacee. Tepali esterni ovato-ottusi conniventi distinti: gli interni poco più brevi, un po’ spatolati, leggermente smarginati, conniventi; labello piano, pendente, tripartito con i lobi laterali stretti e più corti del lobu mediano, troncati all’apice, lie- vemente crenati; lobo mediano bilobo talora con un mucrone inter- posto fra 1 lobi secondarî. Sprone discendente ottuso ‘lungo circa - un terzo dell’ovario. Brattee ovato-lanceolate, ottuse le inferiori e più corte; le superiori più lunghe acute poco più brevi dell’ovario, tutte 1-nervie. È pianta della regione montana e si spinge fino alla zona su- balpina. Monte Catillo °/,,, S. Gregorio ‘/,, Tivoli ‘4, (Sang.); sopra i monti di Subiaco a S. Polo (Rolli), Monti Tiburtini a S. Polo (1) Op. cit. III, pag 480. 2 Vl Si ESCO: asta sal deg “Afartelloni det. Cortesi), i ii Monte Gennaro VI. 1870. Da Vicovaro al Monte della Guardia 13. VI. 1901; Monte Pel- lecchia m. 1368, 13. VI. 1901; Monte Cervia m. 1439 versante N-0 presso Paganico 51. V. 1901; Monte Val di Varri m. 1370 presso Pescorocchiano 28. V. 1901; Monte Filone m. 1320 presso Ascrea. 31. V. 1901; Monte Cervia 1439 versante S-E presso Collegiove 31. V. 1901 (leg. Pappi det. Cortesi); Sopra a Tivoli, V. 901 (H. Cort. F. Cortesi). 11. Orchis Simia Lamk. — Noiaccettiamo perragioni di priorità tale denominazione del De Lamarck invece di quella del Villars, ma non sappiamo spiegarci come il Kraenzlin (1) abbia voluto comprendere sotto questo nome anche l’Orchis militaris, che dall’O. Simia è molto ben distinta. La descrizione di Lamarck (2) non ammette tale confusione, perchè egli parlando delle lacinie del labello dice: toutes ces divisions sont fort étroites et d’une couleur rougedtre à leur extremité, mentre nell’0. mailitaris le lacinie del labello sono larghe. Il labello presenta oltre alla forma tipica una forma a lobi più brevi del tipo, più larghi e rotondati, forma che neppure il Camus ha segnalato nella sua diligentissima monografia. Pertanto noi pos- slamo distinguere, come vedremo in appresso, due forme. OrcHIs Simra Lamk. — 7. Fr. III, p. 503 (1778). Gr. et Godr. #2. de France III, p. 3888; Kraenzl. Orch. gen. et. sp., p. 129 (pro parte). 0). italica Lamk. Enc. IV, p. 600 (1789). O. tephrosanthos Vill. fl. Dauph. II, p. 32 (1787); Seb. et. Mauri FI. rom. prodr., p. 306; Sang. 2. rom. prodr. alt., p. 126; Bert. /l. it. IX. p. 588. O. zoophora Thuill. 7. par., p. 459 (1790). O. militaris v. è L. Sp. pl. ed. II, p. 1334 (1763). O). macra Lindl. Orchid., p. 273. Icones. — Barla /con. Orch. pl. 85 fig. 1-5 (non 6 e 7); Camus Bull. Soc. Bot. Fr. XXXII, pl. 8; Schulze OrcA. tav. 8; Paol e Fiori Iconogr. fl. it. I, fig. 826. Pianta da 2-6 dem. di statura con foglie basali lanceolate od ovali lanceolate o quasi del tutto ovali. Spiga fiorale densa, ovato piramidale talora allungata, sempre molto ricca di fiori bian castri con molte macchie porporino oscure o rosee (talora comple- tamente bianchi [var. a/biflora]; in tal caso però esclusivamente in (1) Op cit. I, pag. 129. (2) FI. frang.I ed., tomo 8°, 1778, p. 507. * p | Da 7 "i CA e K te “i LORI UA, È : ” # w i ® od acuminati sono conniventi, connati alla base, un po’ reflessi all’a- pice, gli interni più brevi degli esterni, lineari, acuti connenti fino alla metà e conniventi. Il labello è più lungo dei tepali superiori, profondamente tripartito, con le lacinie laterali anguste, lineari, ot- tuse od acute, arcuate all’apice, con la lacinia media più larga del doppio delle laterali, profondamente divisa, con un mucrone inter- posto fra ilobi secondari che sono della medesima forma dei late- rali, arcuati all'apice. Sprone compresse, all'apice talora leggermente bilobo, discendente lungo circala metà dell’ovario. Brattee ovato-acute brevissime (1). È specie che vive nei luoghi erbosi e boschivi del piano e dei colli. n f\ da il | P/ [DI] \ // I 1} if VA Ji N A) ti x ’ Î ft , LAST (4% PAR) A 4 4 \\ ZA A { FE }/ ln P4 Î 4 ff i? f | \ / | il / 3 i r 1? forma: rvypIca: lodi laterali e secondarî della medesima lun- ghezza e larghezza, lineari-acuti 0 subspatolati, molto arcuati in avanti, più stretti del mediastino; mucrone sempre bene sviluppato, talora lunghissimo (*, dei lobi) (V. fig. 1-2). 2° forma: RoTUNDILOBA mihi: lobi secondarî più brevi ed il doppio più larghi dei lobi laterali, mucrone di sviluppo mediocre (V. fig. 3). Labello ravvicinantesi per forma un po’ a quello dell’ O. mi/itarzs. Ho poi raccolto a Monte Testaccio, il 21 aprile 1902, un indi- viduo di 0. Simia con cinque soli fiori, di cui: uno abortito, un altro normale tipico e tre normali nel casco ma col lobo mediano del labello profondamente diviso fin quasi presso al ginostenio, cosicchè il labello assumeva un aspetto quadrifido con i lobi me- diani il doppio più lunghi dei laterali (V. fig. 4). Sebastiani e Mauri (2) dànno tale specie per Villa Pamphili e Villa Borghese; Parlatore (3) per Monte Mario (Webb), Villa Pamphili (Rolli), Monte Testaccio (Magnaguti). (1) Parlatore 1. cit. pag. 483, 484, descrive le brattee, almeno le inferiori, come uguali o più lunghe dell’ovario od anche del fiore Questo errore è ine- splicabile. i (2) Fl. rom. prodr. pag. 306. (3) Ft. it. III, pag. 482. el cono in luoghi folti ed ombrosi), con labello bianco | sparso di ciuffetti porporini, con l’ estremità delle lacinie sfumate . di porpureo violaceo o di roseo. I tepali esterni ovato lanceolati acuti 1 fo, Villa Pamphili va eracina Ho i o. na tifolia Biv), Valle dell'Inferno presso Roma ‘/,, Villa Borghese Tp Alla Caffarella */,,, Albano % (1) (Sanguinetti), intorno a Roma (Mauri), Villa Pamphili (Rolli), Monte Mario 21. IV. 1875, anche la var. albiflora (De Notaris), Macchia Madama, V. 1886 (Cuboni); Valle dell’ Inferno (Orsini, Herb. Ces.) IV. 1901 (H. Cort. Cortesi), M. Autore 8. VI. 95 (H. Cort. Chiovenda) Villa Pamphili 2. V. 90 (fl. Gr. Co VI. 96 (H. Cor. Cortesi); Nemi, IV. 1877 (sub. O. globosa? Cuboni); Villa CARA aprile 1884: Soratte V. 1885 (Armitage), a Villa Doria, IV. 1891 (Terracciano); Farnesina, IV. 1888; Casal di S. Anzino a S. Severa, V. 95 (A. Pappi); Villa Pamphili, 27. IV. 1900 (Parsi) IV. 1902 (Cortes1!); Colli oltre PonteMolle, V. 1875 (De Notaris). Monte Testaccio, IV. 1902 (Cortesi). 2" forma: Monte Testaccio IV. 1902 (Cortesi), da ricercarsi diligentemente altrove per conoscerne la frequenza e la diffusione. 12. Orchis militaris L. — Questa specie è stata sovente confusa 0 fusa con la precedente da cui invece è perfettamente distinta per la forma del labello. Così il Kraenzlin nella sua recentissima mo- nografia delle Orchidee — non sappiamo perchè — persiste nel te- nere fuse queste due specie. Gli autori romani Sebastiani e Mauri e Sanguinetti nei loro pro- dromi ci hanno dato diagnosi molto esatte dell'O. militaris, ma nelle loro collezioni hanno dimostrato di non averne una esatta co- noscenza, perchè molto spesso hanno determinato come 0. militaris delle 0). Simia e delle O. tridentata. Camus (2) distingue — basandosi sui caratteri del labello — due forme. 1° forma rvPIca: con i lobi secondari troncati all’apice (fig. 2). 2° forma spatHULATA: con i lobi secondari rotondati (fig. 1). Nel dominio della nostra flora, mentre ho riscontrato un solo esemplare della 1° forma, ne ho trovati moltissimi della 2° forma, cosiechè per la diffusione da noi la 2*% dovrebbe costituire il tipo, visto che la diagnosi linneana (3) non permette di stabilirlo : (1) In questo foglio vi erano cinque individui, quattro di O. Simia ed uno di O. longieruris Link. (2) Note sur les O. militaris L., purpurea Huds. Simia Lamnk, leurs varietés et leurs hybrides dans la flore parisienne. — Bull. Soc Bot. Fr., XXXII (1885), p. 215, tab. VIII; Monogr. Orch. de France, Journ. de Botanique. VI (1892) p. 408. (3) Sp. pl. ed IV, tom. IV, Berlino 1805, p. 22-23. MEO. labello-tripartito punctato scabro, lacintis lateralibus linearibus, |} {|} °° intermedia biloba obtusa cum mucrone interiecto, petalis acutis conni- dI ventibus, cornu recto germine duplo breviore, bracteis obsoletis. "i Le figure del Camus nella tav. VIII dell’Op. cit., non sono esatte | per quanto riguardano i lobi laterali del labello; mai — nei nume- rosi esemplari da me esaminati — così larghi; spesso sono filiformi, acuminati o rotondati all'apice, talora spatolati. OrcHIs MILITARIS L. F?. suec. ed. 2* (1755), p.310; Spec. n. 1533 escl. var. B, d, e; Gr. et Godr. F7. Fr. III, p. 289; Camus Monogr. Orch. fr. Journ. Bot. III, p. 140; Sang. F. Rom. prodr. alter, p. 129; DarlkEg ILL, p. 484. O. militaris Willd. Sp. pl.; Seb. et Mauri PZ. rom. prodr., p. 305. O. Rivinî-Gouan I0l., p. 74 (17753). O. galeata Lamk. Dict. IV, p. 593 (1797); Enc. IV., p. 598 (1789); Iacq. Ze. III 598; Coss. et Germ. N. env. Paris, p. DI. O. Simia Kraenz. Orchid. gen. et sp. I, p. 129. O. Simia v. a Lamk FI. franc. 3, p. 507. O. mimusops Thuill. F2. paris. ed. 2°, p. 458. O. cinerea Schrenck. Baser. fl., p. 241. — Icones. Hooker Eng!. Bot. suppl. I, tab. 2675; Camus. Zconogr. Orchid. Par. pl. 7, fig. 1; Bull. Soc. Bot. Fr. XXXII, pl. 8; Barla Icon. Orch. pl. 36; Schulze Orchid. t. 9; Paol. et -Fiori Icon. fi. it. I, fig. 825. Pianta da 2-5 dem. di statura, molto simile nell’aspetto alla specie precedente, dalla quale differisce per il colore dei fiorì roseo- cenerino e per la forma del labello il quale è profondamente trifido con i lobi laterali lineari, falcati, col lobo mediano due o tre volte più largo dei laterali, diviso all’apice in due lobi secondari larghi più del mediastino; ottusi, rotondati o troncati, con un breve mu- crone interposto. (V. fig. 1-2). Questa specie vive nei prati e nei pascoli dei colli e dei monti fino alla regione del faggio. 1° forma: rypica Camus: lodi secondari troncati. 2° forma: spAaTtHULATA Camus: lobi secondarî rotondati. 1° forms : Monte Cervia m.1439 versante S-E presso Collegiove 81. V. 1901 (lpg. A. Pappi, det. Cortesi). 2" forma. Monte Calvo (sud 0. Sinia). Monte Cervia m. 1439 versante S-E: fra Pisterzo e Giuliano 20. V. 1901; Lago di Gracilli vv. fra Sezze e Sonnino 19. IV. 1901 (forma gigantesca dal portamento i . dell'O. purpurea); Monte Cervia m. 1439 versante N-O presso Paga- nico 31. V. 1901 (leg. A. Pappi, det. Cortesi). Monte Autore 8. VI. 1895. (H. Cort. Chiovenda). cita VID SIETE CEL RR ny pi RAMI 7 i (I 9] VIS RR gara | Esemplari con i fiori non ancora sbocciati sono stati racco Monte Mattavello m. 684 presso Roccasecca de’ Volsci 20. IV. 1901; Macchia tra S. Spirito e S. Giovanni presso Piperno 19. IV. 1901 (leg. Pappi det. Cortesi). Sebastiani e Mauri (1) dànno tale specie per monte Gennaro e presso Albano: i loro esemplari non li ho potuti trovare nelle col- lezioni del R. Istituto Botanico di Roma ove pure esistono i loro er- bari: forse sono andati perduti o distrutti nel corso del tempo. Un esemplare da E. Mauri determinato per O. militaris genuina raccolto presso Roma è invece 0. Simia Lamk. Sanguinetti (2) indica tale specie per i dintorni di Roma (forse sulla fede del Mauri) e per Albano. I suoi esemplari di monte Gen- naro %/,, e di Albano ‘/,, devono senza dubbio riferirsi all’O. triden- ad LÀ tata Scop. Così pure gli esemplari di Terracciano di Monte Gennaro (6. VI. 1901) determinati per O. militaris sono delle O. tridentata Scop. 18. Orchis tridentata Scop. Questa specie per il suo straordinario polimorfismo è fra le più critiche del gruppo. Per quanto molti autori accettino il nome 0. variegata proposto da Allioni nella sua flora Pe- demontana, pure per ragioni di‘priorità deve usarsi il nome di Sco- poli. Questa specie è stata (pelsuo grande polimorfismo e per l’abi- tudine — non mai abbastanza biasimata — di molti autori di valersi spesso di un solo individuo per istituire delle nuove specie) scissa in parecchie altre. Già il Sanguinetti (3) aveva riconosciuto le variazioni del lobo mediano del labello: Zade/lo plano trifido maculato, laciniis apice den- ticulatis crenatisve, lateralibus oblongis angustis, media latiore biloba rel indivisa quandoque apiculata. Bertoloni (4) poi dice: inter indi vidua utrinque ertrema habentur innumera individua intermedia quae ea coniungunt adeo ut, ne varietates quidem firmari possint vel si sta- tuantur plus negotii quam utilitatis afferant. Ex his factum est ut haec species in plures falsas species discerpta fuerit, quas Reichem- bachius filius jure merito abolevit et omnes comprehendit sub nomine O. tridentatae (Iconogr. FI. Germ. et Hele. 13-14, p. 23-24). Questo giudizio del Bertoloni sul polimorfismo di tale specie è a mio avviso preziosissimo, perchè ci dimostra come egli, puro linneano stretta- mente attaccato alle forme, avesse compreso l’impossibilità di chiare e (1) FI. rom. prodr., p. 305. (2) Fl rom. prodr. alt., p. 127. (3) Op. cit., p. 726. ‘4) Op. cit, IX, p. 537. dici PAN N07 dI Iti a: 0 di b; 1 latore 1) parla, senza insistervi però Lain ‘el grande Bi ivorfismo di questa specie e non così esplicitamente come il Bertoloni e mentre questi aveva fuso insieme l’0. lactea di Poiret con 1°0. tridentata di Scopoli, il Parlatore (2) tiene distinta 10. lactea per i caratteri desunti dalla statura, dalla forma della spica fiorale, dai fiori più piccoli, bianchi, col labello diretto all’ingiù avvicinato all’ovario, con i lobi laterali più aperti e col lobo medio avente il dente non rivolto in giù, caratteri questi che non hanno grande importanza differenziale, quando si abbia a propria disposizione un ricchissimo materiale di studio. Anche Arcangeli (3) e Camus (4) tengono lO. lactea distinta dall’O. tridentata; il Camus anzi crede che questo debba essere perchè lO. lactea ha i lobi laterali del labello lineari, della medesima larghezza in tutta la loro lunghezza ed il lobo me- diano più lungo dei laterali, flagelliforme e sovente indiviso. Noi nell’ Erbario Generale del R. Istituto Botanico di Roma abbiamo ve- duto esemplari, in cui alcuni di questi caratteri si trovano in alcuni esemplari col lobo mediano di ugual lunghezza dei laterali e bilobo, in altri esemplari invece i lobi laterali erano espansi all'apice, quasi spatolati, con la lacinia mediana flagelliforme ed indivisa e tutto questo era accompagnato da variazioni di statura, di grandezza fio- rale, ecc., ecc. Paoletti e Fiori (5) distinguono nellO. tridentata di Scop. una forma typica uguale all’O. variegata di Allioni con i tepali esterni acuti od anche acuminati (b. commutata Tod) col labello incli- nato pendente a lobi laterali lineari-spatolati troncati, il medio obcor- dato, bilobo, spesso con un denticino ricurvo tra i lobi, ed una forma lactea uguale all’ 0. Zactea di Poiret ed all’O. acuminata Desf., con i fiori più piccoli ed il labello col lobo medio smarginato bilobo. Il Kraenzlin (6) — che è il più recente monografo delle Or- chidee — ammette per lO. tridentata Scop.: labello e basi cuneata- dilatata lobis lateralibus linearibus retusis antice plus minusve den- tatis vel interdum laceris, lobo intermedio antice denticulato subbilobulo denticulo énterposito interdum latissimo et adeo bipartito ut labello quadrilobum appareat... e poi ne considera tre varietà: x. variegata: caule elato labello fere quadrilobo denticulo in sinu lobi intermedii; (1) Op. cit., p. 479. (2) Op. cit., p. 476. Gia) 2 p.: 167." | (4) Op. cit, p. 188. i (5) FZ. anal. d’Italia, vol. I, p. 242. (6) Op. cit., I, p. 127. y. LacrEA: caule brevi, statura compacta, lobo intermedio la- belli cuneato indiviso, floribus minoribus quam in x e f. Dalla diagnosi originale di Scopoli non emerge affatto questo aspetto quadrilobo del labello che vuol attribuirle il Kraenzlin, poichè essa è così concepita: galeae petala coadunata, barba trifida rubra maculata, segmento medio cordato serrato, come non risulta af- fatto dall'esame del materiale sia fresco che secco. Il Kraenzlin poi parlando della distribuzione geografica di queste varietà, che possono essere considerate anche come specie, dice: 0. tridentata in ganz Mittel-Europa bis Taurien und Transkaukasien, O. commutata in Italien, O. lactea nur in Mittelmeergebiet etc... Da questo emergerebbe: 1° che il tipo non esisterebbe in Italia; 2° che queste forme avrebbero diversa distribuzione geogratica. Noi possiamo far osservare a tal riguardo che nell’Erbario Ge- nerale del R. Istituto Botanico di Roma abbiamo trovato esem- plari di Germania e di Turingia con fiori di grandezza e di forma uguali a quelli raccolti a Perugia, a Monte Cavo ed a Tor di Quinto presso Roma, esemplari di Verona che per la piccolezza dei fiori avrebbero dovuto accostarsi all’ 0. lactea ma che ne differivano per la forma del labello; nell’erbario Cesati esemplari di Zante con fiori di grandezza assai variabile e con labello ora integro ora appena smarginato ora nettamente diviso; nel nostro Erbario esemplari di Nieder-Oesterreich con fiori grandi quanto quelli di piante raccolte nel Napoletano, nel Romano od in Sicilia, Quindi noi crediamo impossibile tener distinte tali forme e fac- ciamo rientrare tutte queste variazioni nell’ 0. tridentata di Scopoli cui riferiremo lO. Zactea e 1’ 0. commutata con tutti i loro sinonimi. Neppure possiamo distinguere come usa Ascherson per molte specie polimorfe — in cui non possono farsi varietà —- delle serie di forme, perchè spesso si hanno variazioni da fiore a fiore in una stessa spiga o v’'ha difformismo in uno stesso fiore. Orcnis rripentata Scop. Fl. Carn. ed. II. vol. IT., p. 190:(1772); Reichb. fil. Icon. /l. Germ. et Helv. 13-14, p. 23; Paol. e Fiori /7. an. It. I, pag. 242. O. variegata All. fl. ped. 2°, p. 142 (1785); Seb. et Mauri #4. rom. prodr., p. 306; Sang. FI. rom. prodr. alter, p. 726; Bert. fl. it.IX, p. 534. O. Simia Vill. PI. du Dauph. 2, p. 33 (1787). O. parviftora Ten. Prodr. in. fl. Nap. I. p. L III. (1) Flora carniolica, ed. II (1772), vol. II, pag. 190. . acuminata Ten. N Nap. 5, p. 239. . Parlatoris Tin PI. rar. Sic. fasc. 2., p. 29 n. 21. . Tenoreana Guss. Syn. 2 part. 2, p. 533 e 875 (1842). . commutata Tod. Orch. sic. p. 24; Guss. Syn. 2, p. 253. . conica Guss. Syn. fl. sic. p. 538; Willd. sp. pl. IV, pag. 14. . aetnensis Tin. in Guss. Syn fl. sic. 2, p. 876. în add. et emend. . lactea Poir. in Lamk. Enc. IV p. 594 (1789). . acuminata Desf. fl. alt. II, p. 318 (1800). O. variegata et acuminata Boiss. Voy. en Espagne. TI p.598 (1845). O. tridentata è acuminata Gr. et. Godr. Fl. Fr. III, p. 285. O. Henricì (in Bert. errore Henrî. in Kraenz. errore Hanrici) Hénon Ann. sc. agr., p. 722 (marzo 1846); Jord. Fragm. bot. I, p. 27 (maggio 1846). O. Mauri Jord. in exsice. ex herb. Ces. O. brevilabris Fisch. et Mey. Ann. Sc. Nat. 4 série I, pag. 30 (ex Boyss. fl. Or). O. Ricasoliana Parl. in Diario V. riunione scienz. ital. a Lucca settemb. 1843 n. 7, p. 4 et Atti della med., p. T. O. Scopoli Timb. Lagr. Diagnoses (1856). O. globosa Brot. FI. Lusit, p. 18 non Linn. (*). Icones; Barla /con. Orch. pl. 34 fig. 1-19; Schulze Orchid. t. 7; Paol. Fiori fl. it. I fig. 823. La statura va da 1-6 dem. Le foglie sono talora ovate lanceolate, talora lanceolate acute. L’ infiorescenza si presenta piramidale (simile a quella dell’ A. pyramidatis), globosa, ovata e cilindrica allunga- tissima (in esemplari fruttificati). I fiori variano di grandezza in proporzione però con la statura della pianta; sono di color bianco o roseo con lineette e macchioline roseo-oscuro o porporine : talora del tutto bianchi. I tepali superiori esterni sono ovato-lanceolati acuti, acuminati, spesso acuminatissimi, conniventi in elmo cennati alla base, talora un po’ reflessi all’apice; gli interni sono più brevi, lineari in parte connati con gli esterni. Il labello è assai variabile, sempre trilobo con i lobi laterali brevi, lanceolati acuminati ed integri (v. fig. 1-2- 3-4-5-6) o più lunghi, spatolati (7-10-11-12-18) intieri, smarginati, dentati o fimbriati, talora sono difformi (9), il lobo mediano varia di lunghezza, può esser breve, ampio, espanso (1-2-8 ecc...) o lungo epegoeRegepefe ti. (#) Nota. Molte forme i cui nomi ho scritto nella sinomia di O. tridentata forse sono ibridi come O. tenoreana Guss., O. lactea Tod. fl. Sic. exsicc. dell’Herb. Ces.; altre invece O. commutata Tod., O. Corsica (aut conica ?) Guss. non Viviani se- condo esemplari del med. erbario, sono tutte O. tridentata. ANNALI DI BoranIca — Voc. I. 12 tellato noe appena LEI O) mel nigenta e bilobo. in in agi: caso Mea Li secondarî sono espansi o rotondati, semplicemente dentati oppure fimbriati. | 142 13 ZL Lo sprone è discendente e circa uguale o più breve dell’ovario, le brattee sono lanceolate, uninervie, sempre lunghe almeno due terzi dell’ovario, talora ad esso uguali in lunghezza. Questa specie vive nei luoghi erbosi e boscosi del piano, dei colli e dei monti. Herb. rom. Albano */,, (Mauri) Roma (Mauri sub. O. militari genuina); Macchia Mattei "/, (i2 cartellino porta 7, cioè luglio, ma evidentemente si tratta di un errore); Monte Gennaro °/, (sub. 0). militaris); Monte Mario, Villa Pamphili */,,,} Albano *, (San- guinetti); In montibus latii ‘/,, (Sang. sub. O. variegata); Colli vi- cino a Roma Tor di Valle Apr. 58 (Rolli); Cipressi presso l’acqua sulfurea a Tivoli 8. V. 1868 (Rolli); fuori porta S. Pancrazio 1 V. 1875; Monte Mario 7. V. 1875 (De Notaris); Monti 'l'iburtini a S. Polo V. 1880 (Cuboni); Ponte di Nona sulla via Prenestina 19. IV. 1881 (Pedicino); Cappuccini d’Albano 22. IV. 1882; id. S. Onofrio 10. V.88 (T. A. Baldini sub Anacamptis pyramidalis); 14. Alla Magliana 12. V. 1889 (Terracciano sub. id, id.); Dintorni di Roma (Canepa sub. 0. St- mia); Soratte 5. V. 1885 (Armitage); Monte Cave 21. V. 1886 (Martel- oa e 714 k ; cai e | Ioni det _Simia Lamk); Monti Simbruini a Filettino VI. 1888 (Martelloni det. Cortesi); Monte Gennaro 6, VI. 1891 (Terraciano sub O. militaris L.); Vicino al lago di Giulianello 12. V. 1895 (T. A. Baldini); Bassiano VI. 1900 (1: Mercuri det. Parsi); L. di Mezzano 31. V. 900; Torrente Traponzo tra Vetralla e Toscanella 18. V. 1900; Poggio del Diavolo presso Toscanella 22. V. 1900 (leg. Pappi det. Cortesi); Monte di Canino 26. V; Lungo un fosso presso Barbarano Romano 14. V.; Monte Riccio presso Corneto Tarquinia 12. V.; Bosco a S. Giovanni di Bieda 14. V.; Castel Giuliano sui colli di Lupara 3. V.; Capodi- monte 3. VI. 1900 ; Monte Partilepre m. 1149 tra Nespolo e S. Lucia” 26. V. 1901 ; R. le Serre tra Tonnicoda ed Ascrea 30. V.; L. de’ Gra- cilli tra Sezze e Sonnino 19. IV; Lungo il fiume Turano fra Pe- tescia e Paganico 1. V. Monte Val di Varri m. 1870 presso Pesco- rocchiano 28. V; Presso Vivaro 20. V; Monte Flavio II 3. VI; . Monte S. Cataldo presso Falvaterra 25. IV; Amaseno 22. IV; Monte Faito presso Pezzaglia 11. VI; Monte Pellecchia 183. VI. 1901 (leg. A. Pappi det. F. Cortesi). Fiumicino (H. Ces. Orsini sub. 0. corzophora). H. Cort. Ariccia 1880 (Decio Cortesi) Monti Albani al Tuscolo V. 1895, V. 1896; Macchia di Lunghezza V. 1895; Monte Gennaro V. 1897; Monte Autore VI. 1898 (Fabrizio Cortesi). H. Gr. Bosco di Marino 11. V. 1895; Via Latina 22. IV. 1895; Al Tuscolo 10. V. 1891 (0. Grampini). Sotto-gen. II. — Androrchis Reich. f. Orch. p. 84; Parl. fl. If. III, pag. 489. Tepali distinti: gli esterni laterali patenti, patentissimi o re- flessi. Tuberi radicali intieri o divisi ‘(digitato-lobati). Seer. V. — PROVINCIALES — Parl. fl. it. III, p. 491. Questa sezione comprende le Orckis che hanno: labello trilobo con î lobi laterali rotondati, col lobo mediano più piccolo dei laterali 0 ridot- tissimo, troncato, smarginato 0 smarginato-subbilobo, con due tuberi ra- dicali indivisi. Per la diversità nel numero delle nervature delle brattee, questa sezione viene suddivisa in due sottosezioni. Susseor. A. — Euprovinciales mihi. Secondo Parlatore comprendeva 10. provincialis Balb. e lO. pau- ciflora Ten: noi abbiamo fuso queste due specie, cosicchè questa sot- tosezione comprende una sola specie caratterizzata dall’ avere /e brattee 1-8 nervie. A SBBEERRE. \ I LAICO IA seguendo l’opinione di Kraenzlin (1), anche lO. pauciflora Ten. Parlatore (2) dice che l’O. paucifllora si distingue benissimo dalla O. provincialis — cui è molto affine — per la sua statura costan- temente più piccola, per essere più robusta, per le foglioline non mac- chiate, per la spiga per lo più composta di pochi fiori e non mai tanto allungata e gracile come nell’ 0). provincialis, per i fiori più grandi, più folti ed aventi il labello di color giallo sfumato leggermente verso il margine, con è lobi laterali più acuti in avanti e per lo sprone più acuto ed ascendente. Camus (3) invece distingue le due specie perchè 1’0. pauciflora ha i fiori più grandi in spiga più densa e le foglie più larghe non macchiate. Noi non abbiamo potuto trovare nel numeroso materiale esaminato differenze tali da giustificare la separazione delle due forme, sia pure considerando l’ 0. pauciflora come semplice varietà della O. provincialis, poichè abbiamo riscontrato tutti i gradi di pas- saggio nella forma della spiga fiorale, nel colore e nella grandezza dei fiori, quindi: OrcHIs ProvincIaLIs Balb. Mise. Bot. alt. p. 20 (1806); Kraenz. Orch. Gen. et Sp. I, p. 139. O. Morto. var. Poll. Veron. III 9. O). pallens Savi (non L) flora pis., p. 298 (1728). O. Cyrilli Ten fl. nap. II, p. 287 (1820). O). leucostachys Gris. Spicil. II, p. 359 (1844). O. mascula Alsch. FI. Jadr, p. 210 (1832). O). pauciflora Ten. FI. nap. II, p. 288 (1820); Bert. £7. SAVE 7 (1) KLINGE, l. cit., p. 190, ammette il nome di 0. basilica L. benchè nome pubblicato prima della comparsa dello Species plantarum e poi abbandonato e lo accetta come nome più comprensivo suddividendo le forme che in esso rien- trano in tre sottospecie: 1° O. maculata L.; 2° O. saccifera Brogn; 3° 0. Car- talinae Klinge. (2) Op. cit., p. 307. 3 x "i - Pv Tot + P : Il Parlatore (1) distingue una varietà b. saccifera : calcare subin- | DA flato conyco cylindraceo = O. saccifera Brongn. da lui riscontrata in Sicilia; deve trattarsi di forma esclusivamente. meridionale, perchè nella nostra regione — deducendolo almeno dall’abbondan- tissimo materiale da me studiato — non è stata trovata. Paoletti e Fiori (2) tengono distinte in questa specie due forme: x typica = O. Calvellî N. Terrac. e } saccifera = 0. saccifera Brogn. Il Camus nella sua ottima Monografia (3) ammette tre varietà di questa specie tenendole distinte fra di loro per una serie di carat- teri dedotti dalla forma della spiga, dalla grandezza e dal colore dei fiori, dalla forma delle foglie e dal diverso sviluppo dei lobi del labello. Noi accettiamo queste varietà solo per quanto riguarda le diverse forme del labello che a detta di questo autore, secondo le sue espe- rienze culturali: restent stables pour tous les individus issus d’un méème pied; tutti gli altri caratteri non ci sembrano nè costanti nè d’ un valore sicuro, la forma della spiga fiorale dipendendo dalla età della pianta, la grandezza ed il colore dei fiori e la forma e lo sviluppo delle foglie dal diverso grado d’illuminazione ecc... Ci preme anche di far notare che talora, data la straordinaria facilità d’ibridazione che posseggono queste piante per la loro im- pollinazione zoidiofila, si trovano degli individui per i quali è ben difficile assegnare un posto determinato in queste varietà. Le macchie brune che presentano le foglie di questa specie non costituiscono un carattere costante, variano di numero, d’intensità di colore, spesso mancano totalmente, scompaiono poi con grande facilità nel secco, specialmente in esemplari un po’ vecchi. Secondo le nostre ricerche la sinonimia di queste specie può sta- bilirsi così: OrcHIs macuLaTA L. Sp. pl. ed. I°, p. 942 (1753); Seb. et Mauri Fl. Rom. Prodr., p.304 (1818); Bert. 2. It. III d. 516; Lindl OrcA., p. 266; Barla /con., p. 60. Icones: Barla Icon. Orch. pl. 47 (escluse fig. 6 ed 8 che rappre- sentano ibridi); G. Camus Zeon. Orch. par. pl. 15; Schulze OrcA. t. 28; Paol. et Fiori Icon. FI. it. I fig. 839. La sua statura varia da 2-3 dem. nei luoghi aridi, silicei, cal- carei, fino ad 8 ed anche 10 dem. nei luoghi pingui ed umidi, sul margine dei ruscelli. Le foglie sono ovali lanceolate mucronate, op- pure lanceolate lungamente acuminate, le superiori gradatamente (1) Op. cit., p. 516. (2) Op. cit., p. 246. (8) La cit., p. 159. ceti. attinenti i PITT LA ridotte e bratteiformi (1). Spiga fiorale di forma varia, piramidale ovato-allungata oppure anche cilindrica allungatissima, fitta e ricca di fiori. Fiori variabili di grandezza e di colore: roseo chiari o car- \1nicini, roseo più intensi fino a raggiungere un colore porporino oscuro, talora anche quasi bianchi con macchie o lineette più oscure, talora sul tepali esterni, sempre sul labello, macchie e lineette disposte spesso regolarmente ed elegantemente e che scompaiono col dissecca- mento. Le brattee inferiori sono più lunghe dei fiori (mai però supe- randoli più del doppio) e vanno gradatamente riducendosi man mano che si risale verso l’apice della spiga fino ad essere più brevi di essi. I tepali esterni sono eretti, ottusi mucronati od anche acuti, gli in- ORCHIS MACULATA L. 1-6 var. 4 trilobata — 7-9 var. è media — 10-12 var. y palustris. terni sono conniventi. Il labello è trilobo eretto, i lobi laterali (V. figure) generalmente sono più ampli del mediano, ondulati, denti- colati od anche intieri sui margini; il lobo mediano è corto, ottuse od allungato ed acuminato. Lo sprone è uguale all’ovario, talora più breve di esso, saccato-conico ottuso o cilindrico-acuto. Var. x. TRILOBATA, lobo mediano del labello più lungo dei laterali ed acuto od acuminato, raramente ottuso (V. fig. 1-6). Var. 8. mepIa, labello inciso poco profondamente, lobo mediano del labello non superante i laterali, ottuso (V. fig. 7-9). Var. y. PALUSTRIS, forma robusta dei luoghi palustri o dei mar- gini dei ruscelli, spiga allungata ricchissima di fiori; lobo mediano dellabello acuto, i laterali ampi espansi ondulato-crenati (V. fig. 10-12). Questa specie vive nei luoghi umidi e palustri nei boschi, nei luoghi freschi ed ombrosi ed anche in località aride silicee o calcaree e nei prati. (1) Il carattere — sul quale il Camus insiste tanto — dato dalla denticola- tura dei margini delle foglie non ha alcun valore, perchè esiste anche nell’O. latifolia L. RR IA O PI TA te >; "POI Forme non ascrivibili ad alcuna varietà (1). Herb. rom. — Frascati %/, Albano */,, La Riccia */, (Sanguinetti); in umbrosis versus li Riformati di Castel Gandolfo. Junio (Fior. Mazz.); Bosco delle spiaggie. Tolfa 28. VI. 1877 (Cherici); Albano nelle selve volgare, Giugno (Sebastiani); Macchia Madama V. 1879 (Cuboni); Monte Gennaro 6. VI. 1891 (Pir., Terracciano), Trevi-Valle- pietra 3. VII. 1891; (Terracciano, Brizi, det. Chiov. sub O. mascula); Macchie presso Gradoli 5. VI. 1900; Monte delle Fate presso Sonnino m. 1090 23. IV. 1901; Carsoli fra Tufo alto e Villa 25. V. 7901 (leg. Pappi det. F. Cortesi). Herb. Cortesi: fra Tivoli e S. Polo 27. IV. 1899 (leg. Cortesi). &. TRILOBATA. Herb. rom. — presso Tolfa VII. 1877 (Cherici) Filet- tino (Simbruini) VI. 1887; (Martelloni det. Pelosi sub. 0. latifolia L); Macchia di Acquatraversa 29. V. 1881 (Salomonsohn), Lungo la fon- tana Rolli-Filettino VII. 1888; Macchia presso Gradoli 5. VII. 1900; Tra Onano e S. Quirico in R. Montorso 6. VI. 1900; Lungo la Fiora presso la selva 9. VI. 1900; R. Le Serre tra Tonnicoda ed Ascrea 30. V.1901; Lungo il Turano tra Ascrea e Castel di Tora 2. VI. 1901; Monte Cervia m. 1439 versante N-0. presso Paganico 31. V. 1901; Varco Sabino 5. VI. 1901; Lungo il Turano tra Rieti e Magnalardo 9. VI. 1901; Monte Pellecchia m. 1368. I3. VI. 1901; (leg. A. Pappi det. F. Cortesi). Herb. Gramp. Monti Albani 26. V. 1889 (0. Grampini). Herb, Cortesi; Tuscolo 11. VI. 1892 (Grampini), Monti Tiburtini V. 1896. 1. VI. 1902 (Cortesi). È. MEDIA. — Herb. rom. — Macchie fuori Porta Pia 14. V. 1875 (D. Ntrs.) Macchia Palazzuolo 11. VI.1878 (det. Cortesi) Lungo la Fiora presso la selva 9. VI. 1900 (leg. Pappi); Bassiano m. 500 s. m. (leg. Mercuri det. Parsi sub. 0. /atifolia L.) Selve attorno a Riofreddo 23 V. 1891 (Pirotta); R. le Serre tra Tonnicoda ed Ascrea 80. V. 1901: Varco Sabino 5. VI. 1901; Lungo il Salto tra Cenciara e Rieti 8. VI. 1901 (leg. Pappi det. F. Dagibsi): Herb. Cortesi. Monti Laziali V. 1895 (Cortesi). y. pALUSTRIS. Herb. rom. — Monti Albani V. 1840 (Rolli); Dintorni di Viterbo; boschi 10. VI.1891 (Mari); Castagneti di Riofreddo 14. VII, 1897 (Pirotta); Poggio Fontenassa presso Castellazzara 9. VI. 1900; Lungo il Turano tra Rieti e Magnalardo 9. VI. 1901 (leg. Pappi det. F. Cortesi). Herb. Cortesi. Acquatraversa VI. 1895 (Cortesi). I . (1) Ciò è dovuto o al poco buono stato dell'esemplare od al fatto che esso trovasi in stato di avanzata fruttificazione. MSDO. Orchis latifolia L. — Questa specie non era i conosciuta, dagli autori di Flore romane tanto che nè Sebastiani e Mauri, nè Sani netti ne fanno menzione. E neppure gli autori di flore italiane la ricordano per il territorio della Flora Romana, considerandola limi- tata di preferenza alla regione settentrionale italiana, nei luoghi fre- schi elevati delle Alpi e degli Appennini. È una specie che non può ben distinguersi dalla precedente anche per il fatto che in molte località vivendo le due specie promiscuamente devono originarsi delle serie numerosissime di ibridi, anche multipli che è ben difficile (se non del tutto impossibile) tener distinti fra di loro e che vengono a complicare notevolmente gli studî e le ricerche che si volessero fare sui limiti di variabilità delle due specie. Linneo nella sua diagnosi (1) caratterizza l’O. latifolia così: Orchis bulbis subpalmatis rectis, nectarî cornu conico: labio trilobo lateribus reflexo bracteis flore longioribus. Habitat in Europae pratis è il segno 4. Petala 2 lateralia sursum flexa tria vero conniventia. Nectarî la- bium lateribus reflerum e ne distingue, riferendosi ai nomidati da Bauhin nella Pinax, quattro varietà B,Y, d, €. Nella flora Suecica (2) poi così descrive questa specie : Radices rectae nec multum divaricatae, inque duos v. tres digitos divisae. Folia parum maculata praesertim inferiora. Petala duo dor- salia patentia margine postico reflero. Nectarî labium retrorsum com- plicatum, serratum, obscure trilobum. Bertoloni (8) dice di questa pianta: Zabio convero crenato ci boideo laeviterve trilobo, e distingue due varietà: © folzis lanceo-latis, Y foliis lanceolato-linearibus = 0. latifolia, =. LO nidl= O. augustifolia Reich. Interessantissima è questa sua osservazione : inter spectes et varietates dantur innumera individua intermedia quae eas consoctant.forte rectius foret conjungere omnes ut placuwit Allionio. Il Parlatore (4) scrive: labio obsolete trilobo, lobis lateralibus duplo latioribus subcrenatis medio ovato obtuso. Però da nostre osservazioni risulta che il labello può essere anche profondamente diviso col lobo mediano anche allungato acuminato. Abbiamo precedentemente accennato alla grande difficoltà di tener distinta l’O. latifolia dalla O. maculata per la presenza di nu- (1) Sp. pi. ed. I, 1753; p. 942. (2) Ed. II, 1755, p. 312. (3) Op. cit, IX, p. 652. (4) Op. cit., III, p. 619. LP n LEN ha è È N a * asta E A Pas ILIFE: a E ’ SL È + PIEDI LA ATO AA E Den OSE CARS O REI AT A Se fi 2, dare n > x a af ca pai n ga O È + Pr merosi ibridi tanto più che que e vana la distinzione che Reichembach (1) ha fatto di quattro serie di forme per l’0. latifolia comprendenti numerose varietà e sottova- rietà, tant'è vero che anche Kraenzlin (2) osserva: varzetates a Rei- chenbachio L. c. publici juris facta merae formae judicandae videntur est enim species a specimine in specimen varians. I caratteri per i quali l’O. latifolia deve tenersi distinta dall’0. maculata secondo il Parlatore sono numerosi, secondo nostre osser- vazioni sono pochi: quelli desunti dalle foglie non sempre sono rico- noscibili poichè spesso le foglie basilari si presentano deteriorate o di- strutte; quello della diversità nella incisione più o meno profonda del labello non è valido poichè sappiamo cha questo carattere è straordinariamente variabile; il più apparente è il carattere presen- tato dalla straordinaria lunghezza delle brattee inferiori. La sino- nimia di questa specie è la seguente: OrcRISs LATIFOLIA L. sp. pl. ed. I (1753) p. 941; Bert. /7. It. IX, p. 551; Parl. #7. /t. III, p. 519; Barla Icon. Orch. p. 61; Camus Mo- nographie Orch. in Journal de Botanique VI, p. 157; Ardoino £7. Alp. Marit., p. 8354; Kraenz. Orch. Gen. et Sp. 1, p. 146; Paol. et Fiori #7. anal. It. I, p. 246. 0). comosa Scop. fl. carn. 198 (1789). 0). fistulosa Moench. Meth., p. 715 (1794). Tcones: Barla /conogr. Orch. pl. 48 et 49 (ercep. fig. 7-11 della tav. 48 che rappresentano forse una forma ibrida); Camus /eonogr. Orch. Par. pl. 16; Schulze Orchid. t. 21; Paol. et Fiori Zcon. fl. It. I, fig. 880. Statura 4 dem. fino circa ad un metro. Foglie inferiori ovate lan- ceolate acuminate, le superiori lanceolate acuminate. Spiga fiorale ovata breve oppure cilindrico-allungata, talora allungatissima (circa 3 dem.) densa e compatta. Brattee acuminate e inferiori lunghe fino a 4-5 volte i fiori e le medie alquanto più lunghe di essi, le supe- (1) Ofr. Orch. Gen. et sp. I, p. 146 et sequent. (2) L. cit. DS SFAVORE LE RE FTA APTE TON 04 1 AO ste specie in molte località montuose a } ù Art cp crescono promiscuamente: onde ci sembra assolutamente artificiosa ‘rosso porporino ila loro sommità. dai HE i gli interni. ‘conniventi, labello (V. fig. 1-5) oscuramente trilobo od anche profon- damente diviso con i lobi laterali un po’ reflessi, espansi, interi, den- tellato-crenati anche lanceolato acuti; mediano breve ottuso od anche allungato ed acuminato; sprone saccato-conico ottuso diretto; in basso, parallelo all’ovario e circa uguale ad esso. Fiori porporini oscuri quasi violacei col labello punteggiato e sparso di lineette porporine oscure disposte simmetricamente. È pianta che da noi vive in regioni fresche e montuose umide, nei boschi o nei prati donde talora scende anche verso il piano. È stata spesso confusa con 10. maculata, cosicchè poco conosciamo della sua distribuzione. Herb. Rom. — Filettino VI. 1887 (Martelloni det. Pelosi); Trevi Vallepietra 15. VII. 1891 (Terracc., Brizi, det. Cortesi); Bassiano m. 500 s. m., 18. VI. 1900 (leg. Mercuri det. Parsi); Torre Alfina 2 VI. 1900; Macchia tra Allumiere e Tolfa 8. V. 1900; Lungo la Fiora presso la Selva 9. VI. 1900; Lungo il Paglia presso Castel Viscardo 12. VI. 1900; Lungo il Turano tra Ascrea e Castel di Tora 2. VI 1901 (leg. Pappi, det. Cortesi). de pe Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. VI. Sulla particolare struttura delle radici tuberizzate di Thrincia tuberosa D. C. del Dr. CARANO ENRICO (Tavola X). In una delle mie passeggiate nei pressi di Roma raccolsi, quando era ancora studente, la Thrincia tuberosa e sezionando per caso le ra- dici tuberizzate, mi accorsi della particolare loro struttura. Non indu- giai allora a raccogliere anche i semi di questa Asteracea per potere a mio agio allevarne le piantine e seguire lo sviluppo dell’anomalia delle radici. Contemporaneamente consultai con diligenza la biblio- grafia nel dubbio che siffatta particolarità di struttura fosse già stata osservata da altri. Al mio esame bibliografico risultando che fino al- lora nessuno se n’era mai occupato, decisi di farne argomento di un mio studio, il quale, benchè procedesse lentamente, era già completo quando nel luglio del 1902 venivo a conoscenza della breve memoria sullo stesso argomento pubblicata dai Sigg. Maige A. e C. L. Gatin (1) nel « Comptes Rendus de l’ Académie de France ». Tuttavia reputo non inutile pubblicare 11 mio lavoro, past seb- bene i miei risultati concordino con quelli degli i sopra ricor- dati, l'illustrazione che io ne ho fatta è molto più particolareggiata, . come mi sembra meriti il caso nuovo ed abbastanza interessante. La Thrincia tuberosa D. C. possiede in gran copia alla base del caule delle radici tuberizzate, fusiformi, le quali offrono, dal punto di vista della loro interna struttura, uno speciale interesse, in quanto (1) Marge A. ET C. L. GATIN. — Sur la structure des racines tubercu- r leuses du Thrincia tuberosa. (C. R. Acad. Sc. Paris. T. 134, 1902, pag. 302-303). rP, i Pata dA i az che raggiungono l’ispessimento proprio di tutti i tuberi radi cali, nea dovuto allo sviluppo predominante dei tessuti parenchimatici di ri- serva, in un modo che mi sembra differente dai casi finora studiati. All'epoca della fioritura di questa pianta, cioè dalla fine del- l'estate a quasi tutto l'autunno, i tuberi, che allora incominciano a svuotarsi dell’abbondante quantità d’inulina che contengono, per produrre gli scapi, 1 fiori e i frutti, presentano all’esterno, nella parte ingrossata, dei solchi longitudinali. Le sezioni trasversali praticate in questo tratto e sottoposte ad un piccolo ingrandimento, simulano a bella prima la concrescenza di parecchie radici, giacchè alle prominenze, che alternano coi solchi da noi rilevati allo esterno e che adesso al microscopio risultano più evidenti, corrispondono altrettante masse legnose con relativo corpo corticale tenute tutte insieme da una massa di parenchima fon- damentale (fig. 1). Però all’ esterno di queste masse disposte in una cerchia, spiccca chiaramente una linea scura (fig. 1 e), nella quale noi già intravediamo l’endodermide; cade perciò il dubbio che si tratti di una concrescenza di radici, altrimenti avremmo riscontrato per ciascuna di dette masse una propria endodermide. L’anomalia di struttura, se così si può chiamare, perchè devia dal modo generale d’ispessimento nella radice, si è originata dunque nel primitivo cilindro centrale. Le stesse sezioni sottoposte ad un esame più accurato e ad un ingrandimento maggiore, mostrano a partire dalla periferia verso il centro: 1° una zona di sughero notevolmente spessa; 2° il fello- geno, attivo soltanto sul suo lato esterno, mancando dal lato interno ogni traccia di felloderma; 3° un tessuto collenchimatico; 4° un pa- renchima a grandi cellule limitanti ampiî spazii tracellulari; 5° l’en- dodermide i cui elementi hanno le pareti suberificate su tutta la superficie, Collenchima, parenchima sottostante ed endodermide, che rappresentano gli avanzi della corteccia primaria, sotto la pressione erercitata dall'interno dall’abbondante massa carnosa, che sì è for- mata nel cilindro centrale, e dall'esterno dalla zona di sughero molto compatta ed aderente alla radice, vengono quasi totalmente schiacciati. L’endodermide cinge le masse di legno e corteccia immerse in un parenchima di cellule allungate, che a guisa di stroma, scorrendo fra esse, le avvolge da tutti ì lati e le rende ben nette e separate l’una dall’ altra. In ciascuna massa (fig. 2) il corpo corticale è abbondantemente eviluppato e nei grandi elementi, che lo costituiscono, si precipi- tano in considerevole quantità, dopo il fissaggio del materiale in ticale fra le grandi celiule spiccano dei gruppi di tubi cribrosi (fig. 2 e 3, ©.) accompagnati costantemente da elementi a lume un È po’ più ampio, ripieno di un contenuto. bruno, i vasi laticiferi (fig. 3, t). Il corpo legnoso al contrario è assai ridotto sopratutto negli elementi vascolari e meccanici, che formano delle lamine molto sot- tili, irradianti dal centro della massa, dove si rinvengono pochi ele- menti bruni, quasi schiacciati, gli avanzi del legno primario. Le | sottili lamine di legno sono poi separate tra loro da grandi zone di i tessuto parenchimatico, ricco anch’esso d’inulina. Al confine tra O il corpo legnoso ed il corpo corticale spicca distintamente il me- ristema generatore (fig. 2, c). Una disposizione tutto affatto differente offre una sezione tra- sversale nella parte più assottigliata della radice. Anzitutto, questo tratto essendo più giovane, le formazioni secondarie sono meno ab- bondanti e la struttura primaria meno alterata. Persiste infatti spesso l’epiblema coi peli assorbenti ed al disotto di esso lo strato più esterno della corteccia (esoderma) a pareti suberificate, che lo so- stituisce dopo la caduta. Più al disotto vi è il periderma, che si è appena iniziato; quindi il tessuto collenchimatico e il parenchimatico, gli elementi dei quali, essendo la struttura secondaria soltanto in- cipiente, sono poco schiacciati, ed infine l’endodermide. Nel cilindro centrale è manifestissimo alla periferia il periciclo addossato all’en- dodermide e risulta di un’unica serie di cellule. All’interno di esso non vi è affatto esistenza di masse isolate di legno e corteccia come nella parte carnosa, bensì contro il periciclo vi è un anello con- tinuo e di un certo spessore costituito dai fasci cribrosi primarii e dai nuovi elementi cribrosi originati dal cambio, il quale pure forma un anello completo al disotto del primo e cinge il corpo legnoso molto compatto e duro, giacchè tutte le parti che lo compongono hanno gli elementi forniti di pareti ispessite e lignificate: più all’e- sterno vi è il legno di origine secondaria quantunque in scarsa quan- tità: sepolte in esso sì distinguono le lamine vascolari primarie, “in numero di 4, 5, 6 e talora più a seconda della grossezza della Ì radice; infine il centro è occupato dal midollo anch'esso lignificato. Dall’una all’altra di queste differenti disposizioni nella mede- sima radice si passa con graduali passaggi, ai quali accenneremo brevemente; ma invece di muovere dalla parte ingrossata più vec- chia verso la parte assottigliata e più giovane, come sarebbe più logico, faremo il contrario solo per comodità d’esposizione. Il corpo legnoso, da principio compatto, come abbiamo detto, per l’ingrossare della radice si scava nel centro, dove al midollo N \ co0 5 affossi coristi. d’ inulina. Qua. e la però nel corpo cor- A ed a pareti sottili. Lo stesso corpo legnoso intanto alla re. da liscio che era diventa flessuoso per grossi cunei di parenchima, corticale secondario che sì insinuano in esso e per l'appunto si ori- ginano tante prominenze quante sono le lamine vascolari della strut- tura primaria. Continuando in questo senso la differenziazione, la massa del midollo nel centro aumenta, perchè le sue cellule si divi- dono attivamente, mentre i cunei di parenchima, sempre più insi- nuandosi nel corpo legnoso, riescono a frazionarlo in tante parti e sì congiungono al midollo centrale. Ogni porzione del corpo legnoso frazionato contiene nel centro una lamina vascolare. Anche il cambio dapprima chiuso in un anello continuo perfet- tamente circolare segue i mutamenti del corpo legnoso, cioè di- venta flessuoso, poi si fraziona ed insieme con le cellule parenchi- matiche, che oramai da tutte le parii circondano le singole masse del corpo legnoso e che si segmentano attivamente, forma un meri- stema ininterrotto intorno a ciascuna massa stessa fig. 3, c). Sì costituiscono in definitiva tanti meristemi circolari quante sono le masse in cui sì è seomposto il primitivo corpo legnoso e ciascuno di essi, agendo per proprio conto, produce elementi di legno verso l’interno e corteccia all’esterno. Da questo momento la parte molle parenchimatosa tende a prendere il sopravvento sulla meccanica. Ad ogni modo da principio l’anello di legno in ciascuna massa è chiuso ed abbastanza spesso, come si vede nella fig. 3 e come io ho osservato meglio in esemplari ancora più adulti. Col crescere però dello spes- sore della radice, questo anello in ciascuna massa non solo si riduce, ma si fraziona, come il primitivo corpo legnoso, per l’ineguale fun- zione del meristema che in luogo di produrre legno su tutta la sua superficie interna, produce soltanto delle lamine sottili alternanti con larghe zone di parenchima, mentre dalla superficie opposta stacca nuovi elementi, che aumentano considerevolmente il corpo car- ticale (fig. 2). Dalla descrizione suesposta due fatti possiamo far risaltare: 1° la riduzione continua della parte meccanica a muovere dall’estremità assottigliata verso la carnosa, riduzione che si effettua nella gran- dissima maggioranza dei tuberi, di qualsiasi origine essi sieno; 2° il legno primario a cui ho accennato nell’illustrare le sezioni praticate nella parte ingrossata della radice, altro non è che una lamina va- scolare della struttura primaria. Di modo che già noi conosciamo, prima ancora di studiare lo svi- luppo di queste radici, in che consista la loro particolare struttura. Però fin d'ora si può rilevare un altro fatto e cioè che al numero | delle lamine vascolari, che si contano nella parte assottigliata, non corrisponde un egual numero di masse di legno e corteccia nella parte ingrossata della radice; perciò bisogna ammettere che le la- mine vascolari aumentino con l'aumentare dello spessore della radice dal basso in alto. Anche questo si rileva e meglio, seguendo, come ora farò, lo sviluppo della radice. Per siffatto studio ho allevato delle piante da semi, che raccolsi appena fui colpito dalla particolare conformazione dei tuberi. Dall’embrione si svolge una piantina, che porta inferiormente una radice primaria, la quale cresce per un certo tempo vertical- mente in giù. Ho sezionato parecchie di queste radici primarie in diversi stadii di sviluppo, ma ho sempre in esse osservato una strut- tura perfettamente normale: sono diarche nella primaria disposizione dei tessuti, ma non tarda a presentarsi un anello di meristema che produce legno all’interno e corteccia all’esterno, regolarmente. In piantine più adulte, accanto alla radice primaria alla base del caule, spunta un’altra radice che cresce con rapidità, prende il sopravvento su questa, anzi la sposta da un lato ed offre l’aspetto a chi l’osserva per la prima volta d’essere essa il fittone perchè cresce perpendi- colarmente in giù; laddove la radice primaria sembra una sua ap- pendice laterale. Ben presto questa nuova radice nella parte supe- riore si ingrossa, si trasforma ‘in tubero radicale ed offre l'anomalia più sopra descritta. La radice primaria persiste ancora per un certo tempo ma poi si distrugge. Anche l’unica radice tuberizzata alla fine del primo anno di vegetazione si svuota e va a male per essere sostituita da una corona di nuove radici tuberizzate, che ogni anno si rinnovano alla base del caule, come si osserva benissimo negli esemplari adulti, in cui si incontrano frequentissimamente due corone sovrapposte, delle quali la inferiore è in via di disfacimento. Se sezioniamo il primo tubero radicale quando è giovanissimo, distinguiamo le tre regioni caratteristiche della struttura primaria: 1° l’epiblema fornito di peli; 2° un grosso cilindro corticale il cui strato esterno è differenziato in esoderma, ed i successivi in collen- chima, parenchima a grandi cellule ed endodermide; 3° il cilindro centrale (fig. 4). Quest’ultimo ha all’esterno il periciclo (p) contro . cui sono addossate le lamine vascolari in numero relativamente considerevole ed alternanti coi fasci cribrosi; il centro è occupato da un abbondante midollo con cellule a pareti sottili. A. misura che le sezioni vengono praticate sempre più verso l’estremità libera, le lamine vascolari diminuiscono in numero non solo, ma si avvi- cinano al centro ed i pochi elementi, che rappresentano il midollo, sì sclerificano. A sviluppo più inoltrato nella parte basale, che si > . vlad IA 3 Ur > Bi 53 SAI “pit ì — 204 — 7 tuberizzerà, l’epiblema in molti punti va a male ed è sostituito dall’esoderma, mentre al disotto di questo, precisamente tra esso ed il collenchima, uno strato di cellule dà origine al fellogeno, che si segmenta tangenzialmente, staccando il primo strato di sughero, Il fellogeno dunque è di origine molto superficiale, ragione per cui è attivo soltanto sul lato esterno. Nel cilindro centrale in luogo dì formarsi degli archi di meristemi al di sotto dei fasci cribrosi e al di sopra dei vascolari per poi congiungersi per le estremità, si seg- mentano le cellule che attorniano le lamine vascolari (fig. 5) e for- mano un meristema circolare intorno a ciascuna di esse, meristema che comincia subito a staccare elementi di legno verso l’interno e di corteccia verso l’esterno. Le cellule del midollo, che confinano coi fasci cribrosi non ri- mangono pertanto inoperose e si segmentano anch’esse, ma invece di formare degli archi generatori di legno e di corteccia, originano del parenchima a lunghe cellule, che costituirà, a sviluppo com- pleto del tubero, quella sorta di stroma riunente le singole masse circolari. La maggiore attività di segmentazione si effettua quindi nel cilindro centrale, in cui appunto si localizza la tuberizzazione, benchè, per tener dietro all’accrescimento in spessore, anche gli altri tessuti sì segmentino: e sì segmentano il periciclo, l’endodermide, i tessuti della corteccia primaria, compreso anche il fellogeno, me- diante divisioni radiali. In definitiva però essi saranno schiacciati sotto la pressione. dei tessuti interni. Nella porzione assottigliata il cambio si produce normalmente e genera regolarmente legno verso l’interno e corteccia all’esterno. Riassumendo, dai brevi cenni suesposti possiamo ricavare: 1° che la YWrincia tuberosa D. C. possiede nei primi stadii di sviluppo della piantina nna radice primaria, la quale, dopo un tempo più o meno breve viene sostituita da una radice laterale, che presto si tuberizza. Questa alla sua volta alla fine del primo periodo di vegetazione si disfà ed è sostituita da una corona di radici tube- rizzate, che si sviluppano alla base del caule; 2° che la struttura primaria e secondaria della radice embrio- nale è normale; 3° che Je radici tuberizzate, regolari nella struttura primaria, deviano invece dal tipo normale tosto che cominciano le forma- zioni secondarie e deviano precisamente in quel tratto che si tube- rizza, rimanendo normali nell’estremità libera assottigliata ; 4° che la tuberizzazione si effettua nel cilindro centrale e la anomalia consiste in ciò che le lamine vascolari diventano, ognuna , ti His del parenchima fondamentale A attive, ori- ginano un meristema, che produce legno e corteccia, in maniera che a sviluppo cal sì producono tante masse simulanti una 2 concrescenza di radici. Roma, gennaio 1903. : Spiegazione della Tavola X. Fig. 1. — Sezione trasversale in una radice tuberizzata vista con un ingrandimento di pochi diametri. s) sughero - a) cilindro corticale - e) endodermide - r) masse di legno e corteccia - x’) corpo legnoso - f) corpo corticale - pr) parenchima fondamentale. Fig. 2. — Sezione trasversale di una delle masse di legno e cor- teccia ingrandita 85 volte. pr) come sopra - f) come sopra - v) fasci cribrosi - c) meristema - x’) come sopra - x) lamina vascolare. Fig. 3. — Sezione trasversale di una massa di legno e corteccia in quel tratto della radice in cui la tuberizzazione comincia a sce- mare. Spiegaz. delle lettere come sopra, #) vasi laticiferi. Fig. 4. — Sezione trasversale del cilindro centrale di un giova- nissimo tubero. p) periciclo - m) midollo. Il resto come sopra. Fig. 5. — Sezione trasversale di una lamina vascolare cinta dal meristema che si è formato per divisione delle cellule circostanti. Spiegazione delle lettere come sopra. ANNALI DI BoTaNnICA — Voc. I. 14 SEAL “al LO, e Ls Brevi comunicazioni Aggiunta alla Nota « La nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per mezzo del tuhetto pollinico. » — In una nota pubblicata nel maggio decorso (1) esposi brevemente alcune osservazioni da Apice di un seme maturo di Cucurbita Pepo Lin. privato del tegumento. — Ingr. 42. (1) LoxGo B. — La nutrizione dell’embrione delle Cucurdita ope- rata per mezzo del tubetto pollinico. Ren. d. R. Accad. dei Lincei, Cl. -d. Sc. fis., mat. e nat., vol. XII, 1° sem., ser. 5° (3 maggio 1903); e Ann. di Bot., vol. I, fac. 2°. me fatte studiando lo sviluppo dell’ embrione delle Cucurbita e che, insieme con altri fatti già da me antecedentemente osservati (1), sono venute non solo a confermare quanto avevo fin da prima am- messo — che, cioè, il tubetto pollinico coadiuvasse in queste piante alla nutrizione dell'embrione —, ma anzi a provare che in esse il tu- betto pollinico rappresenta l’unica via attraverso la quale la cor- rente trofica può giungere all’embrione. E mentre sto ora attendendo ad un lavoro in cui mi propongo di pubblicare particolareggiatamente le ricerche da me fatte, con i relativi disegni, credo bene frattanto far seguire alla breve de- scrizione già data, il disegno qui unito che rappresenta il tubetto pollinico con i suoi rami a fondo cieco, così come si presenta nel seme maturo della Cucurbita Pepo Lin. allorchè dal seme sia stato allontanato il tegumento. Questa abbondante e considerevole ramificazione di un tubetto pollinico, a cui è devoluta anche l’importante funzione di traspor- tare da tessuti nutritizi i materiali necessari allo sviluppo di un embrione che assume dimensioni notevoli — qual è quello delle Cucurbita —, è senza dubbio della massima importanza allorchè sì consideri quale straordinario aumento della superficie assorbente dei materiali nutritizi venga con tale mezzo raggiunto. Bragro Lonco. Roma, novembre 1903. Sul nome di alcune Felci nostrali. — 1° Giacomo Edoardo Smith nella sua memoria che ha per titolo: Tentamen botanicum de Fi- licum generibus dorsiferarum (2) fonda tra gli altri generi (come del resto è a tutti noto) il genere Scolopendrium al quale attribuisce e come specie sicura l Asplenium Scolopendrium L. e con dubbio l’Asplenium Ceterach L. In questa memoria ricorda Gleditsch solo per la sua opera: Sy- stema plantarum a staminum situ Berolini 1764 e non fa punto cenno della distribuzione dei generi fatta da questo autore, nè pare cono- scesse che prima di quell’anno il Gleditsch pubblicò nella Flora Lipsiae Indigena, Lipsiae 1750 di G. R. Boehmer ottime diagnosi ge- neriche delle felci di quella regione, le quali sono dall'autore del- (1) Loxco B. — Ricerche sulle Cucurbditaceae e il significato del percorso intercellulare (endotropico) del tubetto pollinico. (Me- moria presentata nel dicembre 1902). — Atti dei Lincei. Mem. CI. sg. fis., mat- e nat. Ser. V., vol IV, tav. I-VI, 1903 (2) In Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Vurin. Serie I, Vol. X. Années 1790-91 (1798), p. 401-422, tab. IX. rl AA a = (40 - — 209 _ | l'indicato libro riportate come note aggiunte alle singole specie. Ivi il Gledistch fonda i due generi Pteridium (1) e Phyllitis (2) attri- buendoal primo la Pteris aquilina L., al secondo l’ Asplenium Scolopen- drium L. Ambedue questi generi sono stati ritenuti validi e distinti con ottimi caratteri dallo Scopoli nella sua Flora Carniolica Editio Prima Viennae 1760 (3). Il nome generico di Phyllitis deve perciò avere la preferenza su quello oggi più comunemente usato di Scolo- pendrium sia che si voglia prendere come termine cronologico per la validità dei generi l’anno 1753 nel quale fu stampata la 1* edizione delle Species plantarum di Linneo, sia l’anno 1737 nel quale fu stam- pata la l°edizione del Genera plantarum dello stesso ovvero un anno anteriore, il che sarebbe più logico, poichè tutti dovranno conve- nire meco, che non fu certo Linneo il primo che formò i generi. Così il genere Pteridium dopo che si cominciò ad usare la nomen- clatura binomia prima del Kuhne è stato adottato dallo Scopoli. Nella nomenclatura binomia il genere PAyl/litis è stato pel primo adottato da Newmann nel 1851 (4), che fece il Phyllitis Scolopen- drium; Ottone Kuntze vi aggiunse il Ph. Memionitis e parecchie altre specie esotiche (5). Per maggiore brevità porrò qui in ordine cronologico i diversi nomi specifici stati usati per indicare la Lingua cervina dal 1753 in poi. Asplenium Scolopendrium Linn. Spec. Plant. ed. I. (1753) 1079. Scolopendrium Phyllitis Roth Tentamen Florae Germanicae IV. [1798] (1800) p. 47. Scolopendrium officinarum Sw.in Schrader Journal fiir die Bo- tanik Ann. II. [1800] (1801). p. 61. Scolopendrium vulgare Symons Synopsis Plantarum Insulis Bri- tannicis indigenarum (1798), p. 193. Scolopendrium Lingua Lag.G.et Clem. in Annales de Ciencias Naturales V. (1803), p. 150. Scolapendrium officinale D.C. et Lam. Flore de France II. (1805) 552. Phyllitis Scolopendrium Newmann Hystory of British Ferns ed. II (1851) p. 6. Scolopendrium Scolopendrium Karsten Deutschlands Flora (1880- 83), p. 278. x (1) BoEHMER. — FI. Lipsiae, p. 295. (2) BoeBMER. — 7°. Lipsiae, p. 290. (3) ScopoLi. — FI. Carniolica, ed. I, p. 169 e 171. (4) NEwMANN. — History of British Ferns, ed. II, p. 6. (5) O. KunTtzE — Revisio Generum Plantarum, II, p. 817-818 Piaftti vulgaris Babani Flora Pyrenea IV. ‘son Pp. 498, 2° Il genere Aspidium quale è inteso oggi, caratterizzato cioè dall’indusio tondeggiante con attaccatura puntiforme, dovrebbe por- tare il nome di /ol/ystichum. Alberto Guglielmo Roth nel suo Tentamen Florae Germanicae vol. IV. Lipsiae (1800), del quale la prefazione porta la data del 1798, a pag. 69 istituisce il genere Po/ystichum dandone una ‘ottimà descri- zione: « C'apsulae in punctis subrotundis, sparsis; disco frondis su- bjectis, annulo cinctae. Involucrum bilia undique fere li- berum, ad punctum suum centrale vel laterale fixum demum con- tractum ». In questo genere pone come specie sicure: P. Lonchitis (L.), P. Phegopteris (L.), P. montanum (I. A. Vogler), P. Thelypteris (L.), P. aculeatum (L.), P. Dryopteris (L.), P. Filix-Mas (L.), P. cristatum (L.), P. strigosum (= Polypodium rigidum Hoffm.), (P. multiflorum (= Polypodium dilatatum Hoffm.), P.spinosum (= Polysticum spi- nulosum Lam. et. D.C.); e come dubbia il P. Marantae (= Notholaena Marantae R. Br.). O. Swartz nel Journal fiir die Botanik dello Schrader annata II 1800 vol. I. (stampato nel 1801) pag. 4, 29 istituisce il genere Aspe- dium che caratterizza: « Capsulae in puncta subrotunda sparsa di- gestae, Indusiis umbilicatis 1. umbilicatis tectae »; e vi assegna solo le specie assegnate ai generi Nephrodium e Aspidium (sens. str.), escludendone le specie delle quali Fée fece più tardi il gen. Phegopteris: mentre vi include i generi Athyrium, Cystopteris ecc. Il genere Dryopteris creato da Amman nel 1739 ed accettato da Adanson nel 1763 non lo ritengo sufficientemente ben caratte- rizzato. 3° Il nome della Cystopteris fragilis Bernhardi devesi correg- gere in Cystopteris Filix fragilis poichè Linneo (1) la chiamò così, scrivendo Polypodium F. fragile a quella guisa che per il Polyste- chum Filir mas Roth (2) scrive Polypodium F.mas. Non è certo per errore di stampa che si trova scritto fragile poichè Linneo ha usato il Filix-fragile come un solo aggettivo che necessariamente deve concordare con /o/ypodium (3). Dr. EMILIO CHIOVENDA. (1) Linn. — Species Plantarum ed. I (1758), p. 1090. (2) Linn. — Ibidem. (3) Ascuerson. — Synopsis der Mitteleuroptischen Flora I. (1896), p. 16, dopo riportata la citazione esatta della prima edizione aggiunge proponenti (sic, wohl Schreib-oder Druckfehler|. i ME RASSNSXNSISNININASNLINFIUNAFXINGIEUNININSINANSNA Notizie ed Appunti Il prof. AnTONINO Borzi è stato nominato Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei. Furono nominati Soci stranieri della stessa Accademia P. SORAUER e TH. SCcHLOESING Sen. Hanno conseguito la libera docenza in Botanica il Dr. AuGUSTO BEGUINOT (Padova), il Dr. Gino PoLtacci (Pavia) e il Sig. G. MATTEI (Napoli). L’ incarico dell’ insegnamento della FARMACOGNOSIA (Storia naturale delle Droghe medicinali) per gli studenti di Farmacia presso l’Università di Roma è stato affidato al libero docente Dr. BrAGIO LoxGo, primo assistente al R. Isti- tuto Botanico. Il giorno 17 corr. FEDERICO DELPINO compieva il suo 70° anno di età. Col. leghi, amici ed ammiratori del chiaro botanico in segno di alta stima e di affetto gli consegnarono un ricordo. Al collega illustre, al geniale botanico la Direzione degli ANNALI invia il suo cordiale: ad multos annos! Annunciamo con vivo dispiacere la morte dell’illustre HERBERT SPENCER. L’Association international des Botanistes terrà, in occasione del Congresso internazionale di Botanica a Vienna nel 1905 una interessante esposizione, della quale crediamo dare i particolari. Come è noto, l’ultima assemblea dei delegati ha approvato la istituzione diun BUREAU CENTRAL incaricato: 1° di dare indicazioni sulle località ‘dove si trovano collezioni, erbari, ecc., sulle spese di soggiorno nelle diverse località, ecc.; 2° di fondare una collezione di‘estratti di pubblicazioni botaniche da met- tersi a disposizione di tutti i membri dell’associazione; 3° di servire da intermediario per lo scambio, la vendita e l'acquisto di fo- tografie di associazioni vegetali. di piante o di parti di piante; 4° di procurare materiali di ricerca allo stato fresco, secco, in aleodl ecc.; 5° di facilitare lo scambio e la vendita di preparazioni microscopiche e di sezioni al microtomo; 6° di procurare materiale di dimostrazione e colture pure di funghi e di alghe. Ora per attirare l’attenzione degli interessati, profittando della assemblea generale dell’associazione che avrà luogo a Vienna dall’11 al 13 maggio 1905 in occasione del congresso internazionale per la nomenclatura botanica, si terrà una Esposizione relativa agli argomenti sopra indicati. Si avverte che gli estratti resteranno proprietà della Biblioteca del Bureau central, tutto il resto rimarrà di proprietà dell'espositore, che potrà vendere, indicando prima le con- dizioni della vendita. Gli invii dovranno essere fatti (meno per le colture) prima del 1° maggio 1905 al Botanisch. Garten d. k. k. Universiticit in Wien, III. Rennweg, 14. Ù ni iù G1Là “ f da «Wi Mw LS + % que da di, 6 stata fond. ata: a ia ana nu Te va Società nie culton mato rn Botanica sistematica e della Geografia botanica, eni 1a prima > riunione a Berlino dal 16 al 19 settembre u. sc., nella quale furono fatte molte | e interessanti comunicazioni. ci È fn L’editore Bernard Quaritch (London, 15 Piccadilly, W.) ha pubblicata. dt Qt seconda edizione dell’opera di autore anonimo: Agrestia Ligustica: Riviera pi - NaturaL Notes. A popular account of the more conspicous plants and Ani- SAI) mals of the Riviera. È un volume di pag. XV-402 corredato di 31 tavole e 98 Piet illustrazioni nel testo. H. e P. Syrpow hanno iniziata la pubblicazione di una MycoTHECA GER- | a MANICA al prezzo di 15 Mark il fascicolo. Dirigersi agli editori Berlin, W., e, Goltstr., 6. Presso l’Istituto Botanico di Firenze, per iniziativa del Direttore prof. pere P. BACCARINI, è stata fondata una SOCIETÀ ITALIANA PER LO SCAMBIO DELLE x ai PIANTE. Fu già distribuito il Progetto di regolamento della Società medesima, la ne quale comincierà a funzionare col prossimo anno 1904. ) Il sig L. PAULET, preparatore dell’Istituto Botanico di Liège (Belgique) ha Miei > costruito. sulle indicaziani del prof. A. GRravIS, un modello del percorso dei fasci vascolari nel caule della T'radescantia Auminensis Vell., che fu premiato all’ul- Si tima Esposizione quinquennale di Gand (1903) e cheegli cede al prezzo di franchi 50. A.LaAUBY di Clermont Ferrand (P. d. D.), 9, Rue Dallet, offre una serie di grandi tavole murali per le famiglie delle Fanerogame al prezzo di franchi 20 # l’una per la serie completa di 50 tavole, di franchi 25 per singole tavole, che sono pe larghe m. 1, alte m. 1,50, disegnate a mano, ombreggiate all’inchiostro di China | es con tinte all’acquarello, montate su tela. È Dell’opera DAS PFLANZENREICH diretta da A. ENGLER sono usciti recentemente SE il 17° e il 18° fascicolo, che riguardano rispettivamente la famiglia LYTHRACEAE o elaborata dal noto specialista E KoEHNP 'di pagg. 5326, con 59 figure nel testo), NL e la famiglia TAxacEAE di R. PriLGER (di pagg. 124, con 24 figure nel testo). "i Ba, NNALI DI BOTA PUBBLICATI DAL S Pror ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE Cortesi F. — Studi critici sulle Orchidacee Romane. - TI. Le specie del genere Serapias, pag. 213. o BACCARINI P. — Notizie intorno ad alcuni documenti della Società. Botanica Fiorentina del 1716-1783 ed alle sue vicende, pag. 225. Ricerche :di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di «Roma, — Bosetri E. — VI. Contributo. allo studio dell'influenza dell’am- ‘ biente acqueo sulla forma e sulla struttura delle piante, pag. 255 (Tav. V-VII).. SPECIE BéGUINOT A.— Materiali per una Monografia del genere Myosotis L., pag. 275. vai MASSALONGO C. — Intorno alla « Radula Visianica » sp. nov. (con figura nel testo), pag. 297. “ x LS | ‘Brevi comunicazioni: ‘——;. Pirorta R. — / canali mucipari delle Cyclunthaceae e delle Hypoxida- ceae, pag. 301. | | Notizie ed appunti; pag. 308. ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1904 x Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in | tempi non determinati e con numero di fogli e ta- vole non determinati. Il prezzo sarà indicato nu- s «se dà, pr Pe e mero per numero. Agli autori saranno dati gratui- tn tamente 25 esemplari di estratti. Sì potrà tuttavia chiederne un numero maggiore, pagando le semplici. spese di carta, tiratura, legatura, ecc. Gli autori sono responsabili della forma e del contenuto dei loro lavori. | - ”, N.B. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al prof. R. Pirorta, R. Istituto Botanico, Panisperna 89 .B. — ROMA, TRISTI SPO E O ENI IERI LUI I * de} e $ 2 | J ARIA VEST Ra ATTI re hi eri Studî critici sulle Orchidacee Romane del Dr. FABRIZIO CORTESI LIBRARY TANICag II. — LE SPECIE DEL GEN. SERAPIAS. GARDE rio Serapias. (L. Genera 1102 ex parte) (Helleborine Pers. Syn I p. 519; Seb. et Mauri 7/. rom. Prodr. p. 300). Perianzio con divisioni esterne saldate fin quasi all’apice. Tepali interni dilatati alla base, assottigliati all'apice ed ivi saldati con gli esterni. Labello munito alla base di un callo allungato, nerastro, lucente, intiero o diviso, trilobo, con i lobi laterali tondeggianti eretti così da formare una specie di doccia, col mediano più lungo dei laterali, reflesso, quasi articolato, pendente. Sprone totalmente mancante. Ginostemio molto inclinato in avanti, con un lungo becco acuto: masse polliniche con caudicoli ben sviluppati, con glandole saldate, riunite in un’unica borsetta. Ovario non contorto. Brattee ben sviluppate. Tuberi ovoidei o globosi, sempre indivisi. ‘Linneo (1) nelle sue diagnosi e nelle sue descrizioni non accenna affatto alla presenza del callo basale del labello, così caratteristico nelle specie di questo genere. Sebastiani e Mauri (2) non ne fanno menzione nella diagnosi del gen. HelZleborine, ma tengono conto di questo carattere nelle loro ottime descrizioni specifiche. Bertoloni .— che pure ci si mostra così accurato e diligente osservatore — non tiene alcun conto di questo carattere nelle diagnosi e nelle descrizioni della S. Lingua e della S. cordigera, mentre ne fa men- zione per le altre specie ed a ciò io credo debba attribuirsi la. con- fusione da lui fatta in queste specie di forme diversissime, confusione di cui parleremo e discuteremo appresso. (1) Gen. pl. p. 462; Sp. pl. p. 1344. (2) FI. rom. prodr. p. 300 e p. 312-313. ANNALI DI BoraxnIcA — Vot. I. 15 Nel gen. Serapias noi accettiamo quattro specie: Serapias Lingua L. p. p., S. longipetala Poll., S. cordigera L., S. occultata Gay. Altri autori ne comprendono cinque, poichè vi aggiungono anche la S. neglecta De Notaris, che noi includiamo invece — e ne dimostre- remo ampiamente in seguito le ragioni — nella S. cordigera. A. pro- posito del numero di specie incluse in questo genere non è fuor d'interesse citare l’opinione di Tineo — riferita da Gussone (1) nella Flora sicula — il quale delle quattro specie conosciute ai suoi tempi (e che sono quelle appunto da noi accettate) in duas tantum redu- cere putat solo charactere firmo glandulae basilaris assumpto, reliquis posthabitis quia variabilibus, ita ut ex ejus sententia sic disponenda : a) glandula basilari sulcata 1° Serapias cordigera b. longipetala c. parviflora ( = occultata) b) glandula basilari non sulcata 2° Serapias Linqua. A quest’opinione si accosta lo Zodda (2) in uno studio sulle Serapias. Noi non possiamo però convenire in questo modo di vedere, che a nostro avviso è assolutamente contrario ad ogni sano concetto sistematico, poichè confonde specie — per molti caratteri — diver- sissime fra loro, le quali — se possono esser derivate l’una dall’altra — pure allo stato attuale della loro evoluzione presentano diffe- renze tali, da doversi ritenere nettamente distinte. Quanto alla presenza od assenza delle macchie porporine alla base del caule e sulle guaine delle foglie inferiori, siamo pienamente d'accordo con lo Zodda sul loro nessun valore sistematico: anzi neppur le riteniamo buon carattere per istituire delle varietà, poichè secondo noi si tratta di pure accidentalità (utili forse dal punto di vista biologico). Si riscontrano infatti in una stessa specie piante non macchiate, esemplari con poche e lievi macchie, per giungere — attraverso tutte le forme di passaggio — ad individui con mac- chie straordinariamente numerose ed abbondanti. 23.* Serapias Lingua L. pro parte. — La Serapias Lingua di Linneo (3) è una specie complessiva che comprende due specie diverse : infatti la var. x della specie linneana è la S. longipetala di Pollini, # La numerazione è in continuazione con quella della nostra precedente memoria sulle specie del gen. Orchis. Cfr. Annali di Botanica vol. I, fase. 3, pag. 143-107. (1) FI. sic. syn. II., p. 544. (2) Studî sul gen. Serapias. Nuovo Giorn. Bot. It., Vol, IX. p. 177. (3) Sp. pi., pag. 1544. et RE ta sem si Lingua « È uri (1), tennero invece ben distinte le due specie, mentre Hal toloni (2) mantenne l'ambiguità linneana, poichè accettò la S. Lingua come pianta avente brattee grandi e labello col lobo medio, allun- gato, ovato-lanceolato, o lanceolato, acuminato, pendente, caratteri questi che esclusivamente si riferiscono alla S. /ongipetala. Poll. Egli poi descrisse (3) col nome di ,S. Oxryglottis una pianta, la quale a nostro giudizio altro non è che una S. Lingua col labello color per- sicino, giallastro o biancastro (variazioni di colore, che — come risulta dalla nostra descrizione — si riscontrano facilmente nella S. Lingua), tant'è vero che egli vi riferi, come sinonimo, la var. f della specie di Linneo, che come abbiamo detto è la vera S. Lingua degli autori. Per cui noi riferiamo la S. Vxyglottis (4) di Bertoloni alla S. Lingua, poichè non vi sono ragioni sussistenti per tenerla distinta. Noi “abbiamo visto infatti nei boschi intorno ad Anzio fiorire contem- poraneamente S. Lingua con fiori di diverso colore: rosso mattone, rosso violaceo, roseo-persicino. i La nostra specie varia anche nella forma del lobo mediano del labello talora ovato-lanceolato, altre volte lanceolato, ottuso, acuto od acuminato: tali variazioni aveva già osservato il Bertoloni, che scriveva nella sua Flora: repetita observatione in sylvis instituta, cognovi eam ludere labio nune augusto nunc lato in utroque statu floret serius coeteris, scilicet mensibus Majo et Junio et lusus alter jurta alterum occurrit. Mai noi abbiamo riscontrata la forma con macchie porporine alla base del fusto e delle guaine delle foglie inferiori che descrive lo Zodda come var. maculata (5). Kraenzlin (6) fa di questa specie ‘una var. parviflora che caratterizza con la seguente frase diagno- stica: floribus plus duplo minoribus, ceterum a typo haud discernendis. Quello che è strano si è che egli riferisce a questa varietà la S. occul- tata di Gay, la S. parviflora di Parlatore e le fig. 1-3 della tavola 22 dell’ Iconografia di Barla, che rappresentano specie ben diversa dalla S. Lingua, e che egli descrive appresso la S. occultata di Gay (7) cui riferisce ancora le figure ed i nomi sopra citati. (1) Op. cit., pag. 312-313. (2) Op. cit., IX, pag. 600. (3) Ibid., pag. 605. (4) SANGUINETTI, Op. cif., pag. 739, riferisce questo nome alla S. Lingua L. (5) Mem. cit.. p. 173. (6) Orch. gen. et sp. I, p. 156. (7) Op. cit. I, p. 159. Seite fini L. — ig ji di sa p. 950 TIGaNÀ p. p. a fl. rom. Prodr. alt. p. 738; Parl. FI. It. III, p. 422: Barla Icon. Orch. p. 30; Ard. //. dep. Alp. marit. p. 358; Ces. Pass. Gib. Comp. fl. it. p. 185; Arc. /7. It. 2° ed. p. 115; Camus Mon. Orch. Fr. in Journ. Bot. VI, p. 24; Kraenz. Orc. gen. et sp. I, p. 156, (excel. var. par- viflora); Paol. Fiori Fl. anal It. I. p. 238. S. Oxryglottis Bert. Fl. It. IX, p. 605 (1853). Helleborine Lingua Pers. Syn. II, p. 512 (1807); Seb. et Mauri Fl. rom. Prodr. P.- 313. IH. Oxyglottis Pers. Bert. Amoen. it. p. 202 (1819). Icones-Barla Icon. Orch. pl. 17; G. Camus, Atlas pl. 4; Schulze Orch. tab. 34; Paol. et Fiori /con. F?. It. I, fig. 810. Pianta con due tuberi radicali, dei quali uno — generalmente il più giovine — sì presenta peduncolato. Fusto da 1-6 dem. cilin- drico, foglioso alla base: foglie lanceolato-lineari, canalicolate acute, arcuate all’infuori, di color verde glauco. Brattee ovato-acuminate, concave, uguali o più lunghe dei fiori, sfumate.di color rosso-violetto o roseo persicino 0 rosso mattone, con numerose nervature longi- tudinali anastomosate. Fiori 1-6 in spiga allungata, di color rosso mattone o roseo persicino, di grandezza media : pezzi esterni del perigonio saldati, liberi solo all'apice, acuti, talora lungamente acu- minati, carenati, con nervature longitudinali, tepali interni dilatati alla base, subulati acuminati. Labello trilobo, lungo almeno il doppio dell’elmo, munito alla base di un callo bruno lucente leggermente solcato lobi laterali porporino-nerastri, rotondati, rialzati così da formare una doccia, nascosti totalmente od in parte dall’elmo. Lobo mediano lungo il doppio dei laterali, ovato-rotondato o cuoriforme, ottuso, acuto 0 lanceolato, acuminatissimo, reflesso, pendente, rosso. violaceo, rosso mattone, roseo persicino o biancastro, con pochi peli verso la base. Ginostemio con becco dritto allungato. È specie che vive nei luoghi erbosi e scoperti, dal mare fino alla regione dell’olivo e del castagno. Forma: abnormis mihi — elmo con i tepali esterni liberi fino alla base. Anzio: alle Cinque miglia 15, V. 1902 (F. Cortesi). Herb. rom. : Roma, maggio (Sebastiani) (1); Pigneto Sacchetti */ TÀ 1828 (Mauri sub Ze. Lingua); Albano */,s,y (leg. Sangainetti det. Mauri (1) Sull’etichetta di questo esemplare è scritto di pugno di Sebastiani 77e/- leborine Lingua. — Roma, maggio; aggiunto poi da Mauri: Serapias Lingua poi da lui cancellato ed aggiunto: est Ser. orxyglottis W. MR 37 | ipa ate «sub Zell. Lingua var. labello subvilloso = Ser. oxyglottis var.) ; Villa Pamphili ‘/,,,, (Mauri sub ell. Lingua var. labello villoso); Villa Pamphili */, - ‘/, (Sang. sub Zell. Lingua, v. labello subvilloso) ; Romae frequens ‘/,, (Sang.); Villa Pamphili; Spiaggia di Nettuno 27. V. 1857 (Rolli); Villa Pamphili (Fior. Mazz. sub Ser. Oxyglottis Willd. v. labello pubescente); Val d’ Inferno 18. V. 1878; Circa Romam 1879; Acquatraversa IV. 1879; Bosco della Farnesina 15. V. 1880 (Cu- boni); Lungo la via Tuscolana. V. 1887; Boschi di Carroceto V. 1887; ‘Tra S. Onofrio e la via Aurelia 8. V. 1887 (Pelosi); S. Onofrio V. 1888 (T. A. Baldini); Monte (Circeo: fonte della Bagnaia 20. V. 1888; fonte Moresca 19. V. 1888; Macchia Giacchetti 18. V. 1888 (Terr.); Ladispoli 2. V. 1891 (Pir. Bald.); Monte Gennaro 1. VI. 1891 (Pir. Terr.); Castel Giuliano sui colli di Lupara 3. V.; Monte Santo tra S. Severa e Bracciano 3. V; Monte Paparano tra Brac- ‘ciano e Santa Severa 4. V; Lungo il Mignone poco lungi dalla foce 10. V; Macchia la Riserva tra Toscanella ed Arlena 25. V. 1900 (leg. Pappi det. Cortesi). Herb. Gramp.: Macchia sotto il forte Bravetta 15. V. 1896; via Portuense 26. V. 1895 (0. Grampini). He?b. Cortesi: Roma 1880 (Decio Cortesi); Casetta Mattel 5. V. 1895, (0. Grampini) 17. V. 1896 (F. Cortesi); Acquatraversa 1. V. 1896. V. 1897; Monte S. Angelo a Terracina 24. IV. 1900 (F. Cortesi). 24. Serapias longipetala (Ten.) Poll. — Questa specie è in parte la S. Lingua di Bertoloni (1), come emerge dalla frase diagnostica : bracteis grandibus, labii lobo medio elongato, ovato lanceolato lanceo- latove, cuspidato, dependente, e dal fatto che Bertoloni riferisce alla sua specie la figura interna della tavola di Sebastiani e Mauri (2), che è la vera Serapias od Helleborine longipetala. Alcuni autori dànno a questa pianta il nome di Moricand (3) di S. Pseudo-cordigera, il quale, benchè anteriore di alcuni anni (1820) a quello di Pollini (4) (1824), non può accettarsi secondo le leggi della nomenclatura, poichè questa specie descritta fin dal 1811 da Tenore (5) col nome di Helle- borine longipetala, poi trasportata nel gen. Serapias, deve conservare il nome che aveva antecedentemente. L’/ndex Kewensis, forse basan- dosi esclusivamente sulle date di pubblicazione, ritiene il nome di Pollini come sinonimo di quello di Moricand. Posa (1) Op. cit. IX, p. 600. (2) FI. rom. Prodr., tab. X. (3) FI. veneta, p. 574. (4) FI. veron. III, p. 30. (5) FU. neap. Prodr., p. 53. La Ss. longipetala è è specie poco VARIE atona che AR sara nella ricchezza della spiga fiorale, nella maggiore o minore acumi- natezza dei tepali esterni. SERAPIAS LONGIPETALA (Ten.) Poll. FZ. Veron. III, p. 80 (1824); Parl, FI. It. III, p. 424; Barla Icon. Orch. p. 31; Camus Mon. Orch. Fr. in Jour. de Bot. VI, p. 23; Paol. et Fiori /7. an. It. I, p. 288. Helleborine PRATT Ten. F?. neap. Prodr. p. LITI sie: Seb. et Mauri 2. rom. Prodr. p. 312 (1818). H. Pseudo-cordigera Seb. Rom. pl. fasc. I, p. 14 (1813). Serapias cordigera M. B. FI. taur. c. II, p. 53 (1808). n S. hirsuta Lap. Abr. p. 551 (1818); Schulze OrcA. în texto (1). S. Oxyglottis Reichb F7. ercurs. p. 130 (1830) non Willd nec Bert. S. Pseudo-cordigera Moric FI. ven. p. 374 (1820); Are. fl. it. 2* ed. p. 115: Kraenz. Orch. gen. et sp. I, p. 158. S. Lingua Bert. Amoen. It. p. 202 (1819); F?. it. IX, p. 601-603. excl. var. © Icones. — Seb. Rom. pl. fasc. I, tab. 4, fig. 1; Seb. et Mauri £7. rom. Prodr. tab. 10, fig. 1; Ten. F/. neap. II, tab. 98; Barla /con. ‘ Orch. pl. 18, fig. 1-15; G. Camus Atlas pl. 3; Schulze OrcA. tab. 36. (sub S. hirsuta Lap.); Fiori e Paol. Icon. Fl. it. I, fig. 812.' È pianta robusta che varia da 1 a 5 dem. d’altezza, general- mente di color violaceo nella parte superiore, con fusto cilindrico, foglioso in basso con numerose foglie lanceolato-lineari canalicolate, arcuate infuori, gradatamente riducentesi lungo il fusto. Le brattee, specialmente le inferiori, sono lunghissime di color mattone oscuro o violaceo rossastro con nervature longitudinali anastomosantesi per mezzo di nervature trasversali. Fiori 4-12 in spiga allungata, ora. lassa ora densa: i tepali esterni sono saldati insieme fin quasi all'apice che è libero, lanceolati acuminati sempre coprenti i lobi laterali del labello, un po’ carenati all’esterno con nervature longi- tudinali color violetto rossastro, più chiari all’esterno, più oscuri internamente, i due interni rossastri 3—nervi, acuminati, a base di- latata con i margini ondulato-crespi poco più corti e molto più | stretti degli esterni saldati ad essi per il loro apice. Il labello è trilobo, più lungo dell’elmo, con due callosità nere, lucenti, lineari un po’ divergenti alla base, con i lobi laterali porporino-nerastri nella loro parte superiore, arrotondati, eretti, in parte nascosti dalla base dell’elmo, e col lobo mediano ovale lanceolato, rotondato od (1) Non possiamo citare la numerazione delle pagine dell’iconografia di Max Schulze Die Orchidaceen der Mittel-Europas, perchè le pagine del testo ne. sono prive. SITI Sarto di ne numerosi ati ti i mani lisci od GAdGIRnI Ginostemio bruno violaceo, diretto in avanti, con un becco dritto, allungato. . DS Vive nei luoghi erbosi e nei prati dei colli e dei monti. var. © ochroleuca Cocc. Fl. Bol. p. 480: fiori bianco-giallicci in tutte le loro ana Herb. rom.: Roma */,., Mauri sub S. Lingua L. non H. R. Br. = Hell. nppiata Ten. et H. R. Br.); Testaccio ‘/,, (sub S. cord?- gera Poll. — H. cordigera Seb. et Mauri = S. Lingua è cordigera Bert.) ; Valle d’ Inferno ’/,,,, (Sub S. longipetala Li: - S. Lingua Bert. = Hell. longipetala Seb. et Mauri); Terracina °/,, (Sanguinetti); In uli- ginosis maritimis Terracinae (Fior. Mazz.); Testaccio V. 1851, Rolli 30. V. 1873, 28. V. 1875 (1) (De Notaris) IV, 1881, 15. V. 1888, 26. V. 1891. (Terr.) Macchia Madama 20. V. 1879 (Cuboni); tra S. Ono- frio e la Via Aurelia 8. V. 1887 (Pelosi); Vetriche presso Torre Ole- vola 25. V. 1888 (Terr.); Monte Gennaro 6. VI. 1891 (leg. Pir. Terr. det. Chiovenda); vicino a Giulianello 12. V. 1895 (T. A. Baldini); Paglieto lungo il fiume Fiora 28. V. 1900; Cellere 25. V. Lungo il Sele dalle sorgenti fino alla foce nel Paglia 11. IV. Macchia nella R. Lestre della Roccaccia tra Toscanella e Montalto 21. V. Arlena Piansano 25. V. 1900; Tra Percile e Licenza 12. VI. 1901; Lungo l’Aniene tra Mandela e Vicovaro 13. VI. 1901 (leg. Pappi det. F. Cortesi). Herb. Gramp.: Testaccio 8. V. 1889; Presso il casale della Cam- panella lungo la via Trionfale 13. V. 1896 (O. Grampini). Herb. Cort.: Testaccio 14. V. 1894. Valle Insugherata o Monte Mario 28. V. 1896; Monti Tiburtini V. 1896 (F. Cortesi). La varietà © ockroleuca : Herb. Cort.: Monte Testaccio 11. IV. 1894 (F. Cortesi). 25. Serapias cordigera L. — Bertoloni confonde questa specie con la precedente in modo inesplicabile: instituisce una var. /ati- labia (2) della sua S. Lingua, che per i sinonimi che vi riferisce e per la citazione della figura esterna della tavola di Sebastiani e Mauri (3) evidentemente è la vera ,S. cordigera. Però nella sua (1) Quest’esemplare porta scritto sul suo cartellino di pugno del De Notaris forma abbastanza meritevole d’attenzione. Ha i fiori di color più chiaro, con le brattee ed i tepali esterni acuminatissimi ed il labello più corto che di consueto. (2) Non latifolia come per errore la cita il Sanguinetti : cfr. Op. cit., p. 738. (3) Op. cit. tab. X, fig. exterior. e Ì di P | molti autori come vedremo appresso, ifariboonni alla S. neglecta do: De Notaris, Con la sua S. cordigera noi crediamo che Bertoloni abbia voluto intendere — come lo dimostra anche la citazione del nome — la S. neglecta di De Notaris, poichè la S. cordigera, com'è descritta dalla maggior parte delle flore, non ha nè il caule umile tutto fo- gliato, nè il lobo medio del labello grandissimo. E giacchè parliamo della Serapias neglecta, per quanto tale specie nessun autore abbia ancora citata per il nostro territorio non crediamo inutile di soffermarci alquanto a discutere sul suo valore, onde giustificare i motivi per i quali l’abbiamo inclusa nella S. cor- digera. Il De Notaris (2) così diagnostica la sua specie: ,S. mneglecta- bracteis flore brevioribus, labello e basi attenuata bicallosa, porrecto trilobo, lobis lateralibus fere ex toto erertis ovato-rotundatis suban- qulatis vel erosis, medioque ovato vel ovato lanceolato, attenuatove obtusiusculo vel plus minusre acuminato, disco villoso, pendulo, fortiter renosis concoloribusque foliis inferioribus recurcatis. E dopo una accu-. rata descrizione così osserva: A reliquis speciebus generis mihi notis certe differt: a cordigera /abelli forma, colore, venositate; a longipe- tala Vracteis constanter flore brevioribus, labello basi attenuato, quo fit ut lobi ejusdem laterales sepala exrteriora ercedant, labello gran- diore caeterisque. Parlatore (3), Cesati Passerini, e Gibelli (4), Barla (5), Arcangeli (6), Camus (7), Kraenzlin (8), tengono distinta la S. neglecta dalla S. cor- digera oltre che per un complesso di caratteri dedotti dalla statura della pianta, dalla grandezza e dal numero dei fiori, dalla man- canza di macchie alla base del fusto — anche per l’apice del lobo mediano del labello tridentato. Questo carattere, sul cui valore gli autori molto insistono e che Kraenzlin ritiene « diusserst constant » in realtà non presenta gran valore. Zodda (9) ba osservato — e nostre particolari osservazioni confermano — -delle S. cordigera tipiche col lobo mediano smarginato o tridentato all'apice. Noi ci - (1) Op. cit. IX, p. 608. 2) Rep. fl. ligusticae, p. 889. (3) Op. cit. III, p. 480. (4) Comp. fl. it., p. 185. (5) Op. cit., p. 83, tav. 21-22. 6) 7. it., 2" ed. p. 166. (7) Loc. cit. p. 22. (3) Op. cit. I, 168. 9) Mem. cit., p. 187. Se Rat i O " oi . . Ù . . DE | siamo poi presi premura di studiare diligent emente tutte le Serapias conservate anche nell’ Erbario Cesati e nell’ Erbario generale del R. Istituto Botanico di Roma e ne abbiamo trovati oltre quattordici esemplari, fra cui molti autoptici dello stesso De Notaris, determinati per S. neglecta; nella maggior parte di essi nessuna differenza essen- ziale che valesse a tenerli distinti dalla S. cordigera — se si eccettui una maggior grandezza nei fiori — abbiamo riscontrato. Onde noi rite- | niamo che la S. neglecta debba unirsi con la S. cordigera : chi volesse tenerla distinta, tutt’alpiù potrebbe farne — come hanno fatto Fiori e Paoletti (1) e Zodda (2) — una varietà. La S. cordigera varia nella statura, nel numero e nella gran- dezza dei fiori, nella lunghezza ed acuminatezza dei tepali esterni e nel lobo mediano del labello ora ottuso, ora acuto, ora acuminato, intiero, sinuato-dentato o tridentato. SeRapIas coRDIGERA L. Sp. pl. ed. II, p. 1345 (1763); Reichb. fil. Orch. p. 10; Sang. FI. rom. Prodr. alt. p. 738; Parl. FI. It. II, p. 427; Barla Icon. Orch. p. 32; Ces. Pass. Gib. Comp. FI. it. p. 185; Are. FI. it. 2° ed. p. 165; Camus Mon. Orch. Fr. in Journ. Bot. VI, p. 22; Paol. et Fiori Flora anal. It. I, p. 239; Kraenz. Orch. gen. etspi I, pi 157. _ Helleborine cordigera Pers. Syn. II, (1807); Seb. et Mauri /7. rom. Prodr. p. 313; Ten. FZ. Neap. II, p. 315. S. Lingua © latilabia Bert. FI. it. IX, p. 601 (1853). Serapias neglecta De Notaris Rep. FI. lig. p. 389, (1844); Parl. Fi. it. III, p. 480; Ard. F/. anal. Alp. Marit p. 358; Baria, Icon. Orch. p. 32; Ces. Pass. Gib. Comp. FI. it. ‘ed. 2° p. 185; Arc. FI. it. p. 165; Camus Mon. Orch. Fr. in Journ. de Bot. VI, p. 22; Kraenz. Orch. gen. et sp. I, p. 158. S. cordigera Bert. FI. it. IX, p. 603 (non L.); S. cordigera var. {; neglecta, Paol. Fiori FI. anal. it. I, p. 239. Icones — Seb. pl. rom. fasc. I, tab. IV; Seb. et Mauri 7. rom. Prodr. tab. X; Barla Icon. Orch. pl. 20-21; G. Camus Atlas pl. 1-2: Schulze Orc. tab. 35; Paol. Fiori Icon. FI. it. I, fig. 813. Fusto da 2-5 dem., eretto, spesso con macchie porporine alla base ed alla guaina delle foglie inferiori, di color rosso violaceo alla sommità. Foglie canalicolate, lanceolato-lineari acute, le infime ridotte a squame membranose brune, le caulinari riducentesi man mano a brattee guainanti. Brattee ovali-lanceolate od ovato-acute, di color rosso bruno o rosso violaceo, con nervature ben visibili, (1) FZ. anal. d’ It. I, vr. 239. (2) Mem. cit., p. 188. sulisiiionio più brevi dei 1 Bon raramente le inf CAT Cali a b Dia PERS. S| ue , IZ ; È i) iori Ido più lunghe. Fiori in spiga corta ovoide, talora assai compatta com- posta da 2 a 10 fiori: tepali superiori comunali in casco, gli esterni acuti, talora lungamente acuminati, liberi all'apice, di colba violetto rossastro quasi glaucescente all’esterno, più oscuri all’interno, gli interni lungamente acuminati sabulati, a margini ondulati, 3—nervi, di color violetto porporino oscuro, lunghi quanto gli esterni e ad essi saldati all’apice. Labello trilobo, di color porporino oscuro, ampio, lungo circa il doppio dell’elmo, diretto in avanti, munito di due callosità nere, lucenti, divergenti alla base, con i lobi laterali rotondati, eretti, ravyicinati fra loro alla sommità, porporino-oscuri, col lobo mediano più lungo e più largo dei lobi laterali, reflesso così da sembrare articolato, ovale, cuoriforme alla base, acuto od acuminato, raramente ottuso con margini lisci o dentato crenati, talora tridentato all'apice, peloso. Ginostemio fornito di un becco dritto uguale alla sua lunghezza. È pianta che va dal mare ai monti, vivendo nei luoghi arenosi, erbosi e rocciosi. Herb. rom.: Ostia */,, (Sanguinetti); Valle d’Inferno °/,,; Pi- gneto Nachhiebui fine d’aprile-maggio (Sebastiani sub /7e22. cordigera) maggio (Rolli); Valle d’ Inferno 17. V. 1860 (Rolli); Ad ripas fluvio- rum pontinorum, abunde vere (Fior. Mazz.); Nettuno 13. VI. 86; Car- roceto V. 1887; Tivoli a Monte Catillo V. 1887 (Pelosi); Monte Circeo: Fonte della Bagnaia, Tempio di Circe al Lago di Paola 25. V.1888; Anzio e Nettuno 29. IV. 89, (Terracciano); Macchia Mattei 20. V. 1888: Nettuno 10. V. 1888 (T. A. Baldini); Selva dì Nettuno: Lestra Campo Cerreto 5. VI. 1895 (Chiovenda e Pappi). Herb. Gramp.: Macchia sopra forte Bravetta (Roma) 15. V. 1896; Macchia sotto forte Bravetta 7. V. 1896 (Grampini). Herb. Cortesi: Casetta Mattei 3. V. 1895 (Grampini) 17. V. 1896, (Cortesi); Monti Tiburtini V, 1896, 1. VI. 1902; Anzio 15. V. 1902 (Cortesi). 26. Serapias occultata Gay. — Questa specie è stata da noi per la prima volta segnalata nel dominio della Flora romana (1): manca quindi la sua descrizione nelle opere di tutti gli autori che si sono occupati della nostra regione. Questa pianta va in molte flore sotto il nome di S. parviflora datole da Parlatore (1837) ma — per la legge di priorità — deve accettarsi quello di Gay, anteriore di un anno (1856). À (1) Cfr. Ann. Bot. I, p. 105. È È % rodda (1) come varietà della S. cordigera. La presenza in ambedue di due calli alla base del labello può permettere di considerarle come deri- ‘vate da un tipo ancestrale comune, ma nulla può giustificare questo ravvicinamento di due specie, che differiscono per l’hRabitus, per la grandezza e la forma dei fiori e del labello e pel diverso loro habitat. Poco conosciamo sulla distribuzione della S. occultata nella nostra regione, forse molti studiosi debbono averla confusa con la S. Lingua cui a prima vista è molto affine. SERAPIAS OCCULTATA Gay — Ann. sc. natur. (1836) p. 119, et in Durieu pl. Astur. exsicc. (1836); Ces. Pass. Gib. Comp. FI. it. p. 185: . Camus Mon. Orch. fr. in Journ. Bot. VI, p. 25. S. parviflora Parl. Giorn. Sc. lett. per la Sic. (1837) p. 66; far. pi. sic. fasc. I, p. 8. PI. nov. p. 17 et in Linnaea XII p. 347: Fi. it. III, p. 420; Bert. Fl. it. IX, p. 606; Tod. Orch. Sic. p. 114; Barla Icon. Orch. p. 84; Arc. FI. it. ed. 2° p. 164. S. longipetala © parviflora Lindl. Orch. (1830-1840) p. 378. S. laxiflora Chaub. F2. du Pelop. p. 62 (1838). Icones — Parl. Rar. pl. sic. fasc. I, tab. 8; Linnaea XII, tab. 4. fig. 1; Barla Icon. Orch. pl. 22, fig. 1-2; G. Camus Atlas pl. 5; Paol. et Fiori Icon. FI. it.I, fig. 811. Fusto 1-4 dem. cilindrico, un po’ angoloso all’apice: foglie lan- ceolato lineari acuminate, di color verde glauco, canalicolate, care- nate, le inferiori ridotte a squame guainanti. Brattee più lunghe dei fiori, ovate, ampie, acute od acuminate, verdastre o rossastre. Fiori piccoli da 4-8 in spiga lassa allungata: tepali esterni saldati in elmo nella loro metà inferiore, lineari lanceolati acuti, di color violetto rossastro pallido, gli interni verdastri o rossastri allargati alla base a bordi piani, saldati alla sommità con gli esterni. Labello trilobo, uguale o più corto dell’elmo, munito alla base di due cal- losità parallele, con i lobi laterali porporino oscuri nella loro parte superiore, arrotondati, eretti ed in parte nascosti dalla base del- l'elmo, col lobo mediano subarticolato reflesso, peloso, lanceolato- acuto. Ginostemio con becco di lunghezza variabile, sempre però molto lungo. È pianta che vive nelle arene e nei luoghi erbosi marittimi e submarittimi del litorale, non frequente. Herb. rom.: Selva di Nettuno, Lestra Campo Cerreto 5. VI. 1898. S. Lingua L.). (1) Mem. cit., p. 188. nei suoi studi sulle Serapias considera la S. occultata (Chiov. e Pappi det. F. Cortesi); Nettuno VI, 1886 (Pelosi sub. si Pret J 2:11 LU O IC. “Sa no. 1898, V. 1903 ® “Varie e Rit Ci riserviamo di pubblicare i nostri s'udî sugli ibridi del seen i SS iso Serapias, quando avremo raccolto maggior copia di osservazioni ——— sw su materiale fresco, essendo fallaci le osservazioni fatte esclusiva- È de." mente su esemplari secchi, in cui scompaiono tutti quei caratteri A secondarî così preziosi pel riconoscimento e per lo studio degli ibridi. —— Dal R. Istituto Botanico dell’ Università di Roma nel gennaio del 1904. ET Notizie intorno ad alcuni documenti della Società dI Botanica Fiorentina del 1716-1783 ed alle sue vicende, del Prof. P. BaccARINI. (1) Non sarà discaro ai Botanici italiani che io riferisca queste notizie intorno alle vicende della Società Botanica Fiorentina del secolo de-. cimottavo, desunte da alcuni volumi di atti, verbali e documenti della Società stessa che si conservano nelle Biblioteche della città di Firenze. Notizie della Società Botanica surricordata noi abbiamo parecchie, sparse principalmente nelle biografie e negli elogi degli accademici che ne fecero parte, e segnatamente nella magistrale prefazione che Giovanni Targioni (2) premise al Catalogo Micheliano delle piante dei Semplici. Questa narrazione, peraltro, non riguarda che un periodo solo della Società, e ne narra le vicende soltanto in rapporto alla attività ed ai meriti di Micheli, riuscendo, forse, in qual- che punto, parziale e alquanto apologetica. Un altro Targioni, 'An- tonio, ci ha pure fornite notizie intorno alla Società stessa in un di- scorso letto il 23 settembre 1841 ai Botanici riuniti a congresso in Firenze. Il sunto di questo discorso è pubblicato negli Atti della terza riunione degli scienziati italiani (3), ma il manoscritto inedito sì conserva tra le carte della famiglia Targioni, alla Biblioteca Nazionale di Firenze (4): sì l’uno che l’altro però ci apprendono poco di nuovo. (1) IZ presente lavoro già presentato al Congresso Botanico di Palermo di due. anni or sono, vede la luce in questo periodico in conseguenza del ritardo della pubblicazione degli Atti e per bemevola concessione del porf. Borzi. (2) TARGIONI “G. : C2. P. A. Micheli — Cat. Plant. Hort. Caes. Florent. — Florentiae, 1748. — MANETTI S. : Elogio del P. Ab. Montelatici -- Atti Ace. Georg., È vol. I, pag. 5, 1791. — LastRI M.: Elogio del Dott. G. Targioni, vol. II, pag. 22. 1795. — Id. Id.: Elogio del Dott. Saverio Manetti. ibidem, pag. 30. — Id. Id.: Elogio dell’Abate Lapi, ibidem, vol. III, 1796. — AxoxnIMmo: Ristretto della vita del ce- lebre Dott. N. Gualtieri — Firenze. (Breve opuscolo stampato senza data e senza editore, ricco di esatte notizie). — TARGIONI G.: Vita di P. A. Micheli. — MaTTIROLO O.: Cenni cronologici sugli Orti botanici di Firenze. — Firenze, 1898. (3) Atti della terza riunione degii scienziati italiani tenuta in Firenze — Fi- n renze, 1841, pag. 487.. (4) Non ancora catalogato insieme a moltissimi altri volumi di manoscritti di Targioniani che attendono un illustratore, e èiò mi toglie di darne un’indica- zione più minuta. 1 fi I IRIS È > x SETTA LISBOA ? PAR ; . vie Antonio, molto probabilmente, non ebbe conoscenza che di una sola:© à parte dei documenti della Società Botanica, e cioè del solo volume apo partenente alla sua famiglia, e depositato ora anch’esso alla Nazio- nale di Firenze (1). I documenti pervenuti a mia conoscenza sono i seguenti: 1° Un volume di verbali delle sedute (sarà ricordato nel seguito col titolo di Diarzi), contenente i verbali dal 1727 in poi, ai quali sono premesse alcune copie autentiche del Motu-proprio di Sua Altezza Reale e dei Capitoli d’oneri concernenti la cessione del- l'Orto dei Semplici alla Società e il piano dei capitoli o statuti della Società Botanica, compilati da Sebastiano Franchi nel 1720, e quello dei capitoli, sviluppati successivamente da Pandolfo Pan- dolfini nel 1721 (2). I verbali conservati sì succedono nell’ordine seguente: Segr. Alamanno Alamanni, 27 luglio 1729 — 5 febbraio 1733; » Dott. C. A. Guadagni 7 9 luglio 1749; » Dott. Saverio Manetti, 19 luglio 1749 — 11 aprile 1758; » Dott. Pietro Pierucci, 5 gennaio 1764 — 18 gennaio 1766; » Dott. Luca Martini, 13 febbraio 1766 — 1° marzo 1770; » Dott. Francesco Durazzini,5 aprile1770 — 16 febbr. 1775; >» Dott. Luca Martini, 14 settembre1775 — 28 giugno 1780. ‘ Mancano, come si vede, i verbali anteriori al 1729 nel qual periodo di tempo funzionarono successivamente da segretarii: Tommaso Strozzi, 1718-1720; Giuseppe Suarez, 1720-agosto 1722; Pandolfo Pandolfini, agosto 1722-settembre 1724; Tommaso Strozzi, settembre 1724-settembre 1726 » » settembre 1726-luglio 1729. Mancano ancora quasi tutti quelli relativi alla gestione del Cocchi e quelli del primo biennio della gestione Guadagni. 2° Un volume (sarà citato col titolo di Documenti), costituito da una filza di carte, lettere, relazioni, bilanci della Società, intra- mezzati da qualche appunto di verbali della gestione Cocchi: ad esempio, quello della seduta consecutiva alla morte del Micheli: da liste di piante e semi, coltivate o da coltivarsi nel giardino, sia raccolte dai botanici della Società, sia pervenute in dono da corri- spondenti; da elenchi di piante raccolte nelle erborazioni per la t (1) Manoscritti di Antonio TArgIONI-TozzeTtTI: Memorie e scritti diversi (vol. II, n. X, 4,2; pag. 591-597). (2) Diarii della Società Botanica Fiorentina dal 1718 al 1 774. (Biblioteca del R. Istituto Botanico di Firenze). È i | Toscana dal Targioni e dal Manetti, e da numerose dissertazioni, lette . alla Società Botanica, dal 1785 in poi(1). Di notevole vi è inoltre una serie di lettere di accademici onorari, «come Carlo Linneo, Enrico Crantz, Giovanni Rohadsh, Guettard, E. Mendez da Costa, D. Van Royen, Tilli, Morand, Monti, Allioni, Voltaire, ecc. Quella di Linneo è veramente un autografo prezioso, inedito, per quel che ne so: e poichè contiene parecchie notizie inte- ressanti sarà riprodotto in appendice, 3° Un volume di documenti della Società Botanica (sarà nel seguito indicato col titolo di Volume Targioniano), il quale con- tiene parecchie notizie interessanti: quali, principalmente, una storia dettagliata (scritta probabilmente dal Moniglia), dell'origine della Società Botanica, e delle sue vicende all’Orto di Boffi; i capitoli ap- provati nel 1717; quelli approvati in seguito nel 1722; una storia, forse non intieramente esatta, del Giardino dei Semplici, dalla sua fondazione, per opera di Cosimo I, in poi; le bozze di convenzione tra la Società Botanica e Micheli, relativamente alla Direzione del- l’Orto, delle quali sarà parlato più tardi; le liste degli accademici eletti, nelle diverse tornate, sino al 1734, e degli ufficiali della So- cietà, sino all'anno medesimo. 4° Un registro delle entrate e delle uscite della Società tenuto «con molta cura dallo scrivano Alghisi dal luglio 17539 a tutto il 1750 (2). 5° Un volume di svariati documenti conservato all'Archivio di Stato (Finanze N. 234) il quale contiene, tra gli altri, parecchi incarti relativi alla Società Botanica e segnatamente: A) Uno schema di fusione della Società stessa con quella di Agricoltura sotto il titolo di Società Reale di Botanica ed Agricol- tura, in data 10 maggio 1778. Non so quale seguito abbia avuto ‘questo progetto; perchè la Società ha continuato a vivere perfet- tamente indipendente per parecchi anni ancora, ma il proposito do- vette essere così serin che fu persino nominata una Deputazione per i nuovi regolamenti nelle persone del senatore Federici; G. Tar- gioni; dott. P. Ferroni, per la Società Botanica, e dell’arciprete ‘G. degli Aibizzi; commissario G. Neri, e l’auditore G. Michele Ciani pei Georgofili: e furono prescritte come norme da seguire nella re- (1) Documenti, dissertazioni, lettere e bilanci, ecc., della Società Botanica Fio- rentina dall'anno 1724 al 1774. (Biblioteca del R. Istituto Botanico di Firenze). (2) Registro delle entrate e delle uscite della Società, tenuto dallo scrivano Alghisi. — Archivio di Stato (Archivio 92, Convento di Santa Croce in Fi- renze, N. 271). “4, Sa do. Neo, #3 1 24 Ms 74 A dazione. der nuovi FOROIROINAO la vi dovesse: essere un n presidente FIR nominato da Sua Altezza. Dda un segretario dell’Accademia, un direttore del giardino ed un custode del ii ed insieme giar- diniere (1): B) Una copia delle Costituzioni compilate dalla Società Bo- tanica in obbedienza al Motu-proprio del 6 luglio 1739 da aver pieno vigore all’ 11 febbraio 1745, approvate nella seduta dell’11 febbraio 1744; C) Un elenco dei socii botanici sì internì che esteri asso- ciati all’ Accademia fisico-botanica, disteso dal Manetti nel. lu- glio 1742. È curioso che del nuovo titolo di Accademia fisico-bo- tanica assunto dalla Società non si ha traccia nè nel Motu-proprio granducale, nè nella copia sopraccennata della Costituzione; D)) Una relazione al Granduca intitolata: Sentimento di R. C. sull’Accademia dei Georgofili. Questa relazione non ha data, ma è po- steriore al 1767 e lo spirito bizzarro del suo autore non vi si pa- lesa animato da sentimenti troppo favorevoli, nè verso i Georgofili, nè verso la Società Botanica, che accusa di avere vissuta una vita fri- vola e languida, questa dalla morte di Micheli in poi, quella fin da. quando viveva il Montelatici: « Egli è anche vero che questa Georgo- . fila, per quanto so, non è stata agitata da risse così gravi (si riferisce alla Società Botanica) perchè non ha il denaro da spendere onde nasca con- tesa del come abusarne : nè regna sopra un distretto come il giardino, e non dà impieghi che portino pane ». Riporto questo periodo, che non è forse il più aspro, come indice delle tendenze ufficiali del tempo, e perchè, più forse degli atti ufficiali ci illumina sulla natura della crisi che la Società dovette attraversare più volte e sulsuo progres- sìvo deperire. 6" Un progetto di riforma del Giardino dei Semplici compi- lato dal Manetti in data del 20 ottobre 1753 e conservato nella Bi- blioteca del R. Istituto botanico in seguito a gratissimo dono del signor Cav. Iodoco Del Badia. Non è difficile che qualche altra raccolta di documenti esista. negli Archivi privati delle famiglie a cui appartennero i soci e in qualche altra biblioteca pubblica; e sarebbe certo interessante poter ritrovare i Capitoli approvati dalla Società il 15 gennaio 1734 (1) È il progetto del quale discorre il Senatore Marco Tabarrini a pag. 28. del suo libro intitolato Degli studii e delle vicende della Reale Accademia dei Georgofili, Firenze 1856. È singolare che nei verbali e negli atti della Società botanica si taccia intieramente di questo progetto che pure era a conoscenza. di molti soci e che fu effettuato solo dieci anni dopo. e ni pa I quan do essa assunse il titolo di RAORCA e chel restarono in vigore fino al 1744, cioè per uno dei suoi più fiorenti periodi, i quali ci mancano del tutto. . Secondo la esposizione conservata nel volume Targioniano, la fondazione non avrebbe avuto luogo precisamente come narra Gio- vanni Targioni (1), ma invece ad iniziativa esclusiva di Giuseppe Gualtiero e Gaetano Moniglia. Questi avevano: da lungo tempo il . desiderio di condurre un Orto nelle vicinanze della Porta a S. Pier Gattolino per ritirarvisi a studiare i semplici, e finalmente vi si decisero, aggregandosi il Micheli (il quale era per la sua profonda conoscenza dei semplici entrato da qualche tempo in famigliarità .col Gualtiero) con patto che egli fosse esente da qualunque spesa per l amministrazione sociale. Poco dopo convennero di ammettere fra loro un quarto socio; cioè il dott. Sebastiano Franchi; specialmente per iniziativa del Micheli, ma non con soverchio entusiasmo degli altri due: e poscia affiatatisi distribuirono le cariche così: Franchi, Direttore — Moni- glia, Segretario — Gualtiero, Custode — Micheli, Provveditore. Il Gualtiero condusse allora l'Orto in proprio nome succedendo di fronte alla Religione Gerosolimitana, che ne era proprietaria, al Baccelli dal quale l’ aveva tenuto in subaffitto; e tutti i quattro soci pensarono all’ arredamento delle stanze annesse all’Orto, por- tandovi mobili e libri. Non tardarono però a sorgere dissensi in seno alla Società, sia per conflitto d’attribuzioni, sia specialmente perchè Micheli e Franchi volevano allargarne le basi coll’aggregazione di nuovi soci: mentre Moniglia e Gualtiero temevano che in tal modo venisse minacciata la loro pace e la loro libertà. Ad ogni modo nuovi soci furono ammessi, principalmente Giuseppe Suarez, il se- natore Cerchio dei Cerchi, il quale spese parecchio per l’ abbelli- mento del giardino, il dott. Bartolommeo Gornia, che morì poco dopo, edil dott. Cipriano Targioni; tutti favorevoli al Micheli ed al Franchi; mentre gli amici di Gualtiero e Moniglia vennero esclusi (2). Tutta la narrazione sopracitata è piena delle querimonie e delle contese in- terne del piccolo cenacolo; cosicchè il Gualtiero ed il Moniglia fi- (1) Notizia della vita e delle opere di Pier Antonio Micheli di G. 'TARGIONI, pubblicata per cura di Ad. T. T. — Firenze 1858. (2) Il Gualtiero all’11 luglio 1717, cioè meno d’un anno dalla fondazione era già uscito dalla Società ; ed il Moniglia fu messo fuori il 18 aprile 1718 cosicchè quando la Società passò ai Semplici questi due membri non ne facevano più | parte: e va quindi rettificata l’asserzione del Saccardo (Malpighia VIII, pag. 487 — Cenni storici e Bibliografici sugli Orti Botanici) relativamente alla parte che il Gualtiero avrebbe presa nella sistemazione dei Semplici. ANNALI DI BoranIcA — Vot. I. 16 nirono Sal tirarsi in disparte e fi uscirono dalla Bociehi inviati i ramente. Fu solo più tardi che per intromissione d’amici comuni si rappacificarono col Micheli e gli altri consoci, ed avendo espresso il desiderio di rientrare nella Società, vi furono riammessi nella se- duta del 4 settembre 1732, e tenuti di poi in molta considerazione: troviamo difatti nella sir del 5 febbraio 1733 nominati archi- vista il Moniglia, e promotore degli studi insieme a M. Cerati il Gualtiero. Non ostante le querele interne surricordate, 1° Orto di Boffi, per l’attività del Micheli fioriva sino al punto da essere ri- petutamente visitato da botanici stranieri di passaggio per Firenze, come narra il Giovanni Targioni nella prefazione sopracitata, e nella vita del Micheli (1). Il Micheli che pure era già Soprintendente all’ Orto dei Sem- plici, s'era dato a tutt'uomo alla cura dell’Orto di Boffi, stanco senza dubbio degli inutili tentativi fatti per sistemare le cose ai Semplici, dove il giardiniere Vannini gli creava ostacoli d’ ogni sorta, mandandogli a male le piante raccolte con tante fatiche nei snoi viaggi, e facendo un conto molto limitato persino degli ordini di S. A. il Granduca. È probabile che se il Micheli avesse trovata quivi più libertà d’azione non si sarebbe aggregato ai botanici della Società: egli dovette pensare dapprima di poter trovare nell’ orti- cello di Via dei Boffi un campo più tranquillo e sicuro per le sue ricerche sotto il benevolo incoraggiamento di persone amiche ed inclinate alla botanica: ma comprese subito che solo un’associazione più vasta e che accogliesse nel suo seno persone influenti per ca- sato e posizione sociale poteva offrirgli i mezzi dei quali aveva bisogno: e di qui ne nacque al certo la tendenza a nuove aggre- gazioni che urtava tanto i nervi a Gualtiero ed a Moniglia (2). L'ammissione di fatto in seno alla Società di persone influenti quali il sen. F. Buonarroti, il sen. Pandolfo Pandolfini, il sen. Fer- rante Capponi e Carlo Strozzi le diede nuovo incremento, e le valse la considerazione del pubblico. Nel novembre 1717 forni fatti i nuovi Capitoli: i socli sì gravarono di mezza dobla per anno da pagarsi in mano del Camerlengo: stabilirono di riunirsi le dome- niche dopo desinare dal marzo al settembre, ed elessero i nuovi ufficiali alle cariche sociali nelle persone di Giuseppe Suarez, /’rowv- veditore. — Pier Antonio Micheli, Sottoprovveditore. — Cerchio dei Cerchi, Depositario cancelliere. — Tommaso Strozzi, Segret. degli atti. (1) Loco cit., p. XXVII. (2) La versione qui esposta dei primi anni della Società Botanica con- corda anche con quella adottata dall’anonimo serittore della vita di Gualtiero. vi - 3 4 una grave lacuna: nulla infatti risulta dalle ich da essa fatte per entrare in possesso dei Semplici. È probabile che le influenti persone che ne facevano parte abbiano patrocinata la sua causa presso il Granduca, e che questi, osservando quanto le cose procedessero bene all’ Orto di Boffi abbia pensato che cedendo quello dei Sem- plici alla Società avrebbero dovuto procedere anche meglio. Il Micheli fin dal 1706 (1) era già aiuto al custode di questo giardino, e sembra che qualche anno dopo ne divenisse soprinten- dente effettivo poichè difatto in una sua memoria conservata nel volume Targioniano e priva di data, ma posteriore all'anno 1718 che vi si trova ricordato, afferma di aver accudito per 10 anni come soprintendente al giardino, e di essere stato messo in ufficio dal sig. B. Parenti a ciò delegato dal Granduca. È probabile che non vi sia stato un rescritto sovrano al riguardo: ma che l’'inca- rico sia stato solo verbale; poichè il Micheli cita come testimoni di questo suo incarico i gentiluomini che assistevano con lui alla tavola granducale. Egli tentò in quel tempo varie riforme con poco profitto, ed ot- tenne solo che al vecchio Bartolommeo Vaanini, giardiniere dell’Orto, fosse dato per aiuto un suo figliuolo, allora praticante orefice, il quale gli succedette prima del o e per compenso gli procurò in se- guito moltissime noie. Verso la cessione dell’Orto alla Società l’Amministrazione della Casa Granducale era spinta anche da un desiderio di economie: il giardino difatto costava 550 scudi l’anno e non rendeva quasi nulla, cosicchè non vi dovettero essere molte difficoltà al riguardo. La cessione avvenne sotto la presidenza del sen. Buonarroti che il Targioni chiama vir summus e per mezzo del sen. Benedetto Bre- sciani. Nel volume Targioniano si conservano le bozze dei capitoli relativi che questi stendeva durante le trattative con la Deputa- zione nominata dal Granduca per ridurre le aziende de’ suoi felici Stati: capitoli che poi furono riprodotti nel rescritto ufficialé, e che egli firmò come delegato della Società. Il Giardino dei Semplici venne ceduto con una dotazione annua di 350 scudi: somministrata per 270 scudi dall’ufficio della Parte e per 80 dallo scrittoio delle possessioni reali (2): ma fu fatto ob- bligo alla Società di conservare nel suo ufficio e stipendio il giar- diniere Vannini vita natural durante, salvo il caso che fosse prov- (1) TARrGIONI G. — Vita di P. A. Micheli, p. 60. (2) Diarti, p. 23-24. i veduto Miimenti; che pelo bia affidata n. cRIF va è Deo TT e 7 lai ti piante, semplici compresi; e che dovesse concederglisi il diritto di tener un certo numero di piante da fiori. Da questi dirittti del Van- nini, il quale fu, fino a che visse, una spina nel cuore di Micheli, nacquero contestazioni e querele infinite ed il volume Targioniano e quello Documenti ce ne conservano parecchie. Essendo con questa investitura mutate le sorti della Società parve conveniente aumentare il numero dei soci e darle nuove co- stituzioni più rispondenti alla sua importanza. Lo schema dei nuovi capitoli fu disteso dal dott. G. Franchi ed approvato con 15 voti. favorevoli su 16 nella seduta del 23 agosto 1720. Le cariche sociali erano elettive e gli eletti duravano in carica due anni. Esse comprendevano: Un Presidente: Un Segretario: Un Depositario o Camerlengo: Due Provveditori del giardino: Due 0 tre Deputati per gli affari esteri: Due 0 tre Consiglieri per le cose botaniche: Un Soprintendente alla custodia dei semi. Questi diversi ufticiali si riunivano poi in tre consigli distinti, e cioè Consiglio d’azienda od amministrativo: Consiglio degli affari esteri o legale : Consiglio botanico 0 tecnico. I soci erano tenuti ad una tassa d’am- missione di una doppia e-ad una uguale tassa annua, per i primì 10 anni: per i cinque consecutivi la tassa era ridotta a metà e in seguito cessava. Questo schema sì trova poi più minutamente sviluppato nel piano dei capitoli proposto da Pandolfo Pandolfini nel 1721 nei quali si fissano minutamente gli obblighi ed i diritti dei soci e dei singolì ufficiali, gli obblighi, i diritti ed il meccanismo abbastanza com- plicato della costituzione dei tre consigli sopracennati, e sì stabilisce in 20 il numero dei soci. Quei bravi accademici dimenticavano però che l’osservare le leggi è più difficile del farle, e difatto quei farra- ginosi capitoli furono osservati con molta rilassatezza, specialmente per quel che riguarda gli oneri finanziari dei soci, cosiechè si può dire che sino al 1758 la morosità costante sia stata una dellè carat- teristiche più spiccate della Società Botanica. Comunque sia la Società si resse sotto questi capitoli sino al 17533, pur trovandovisi a disagio, e pensando ogni tanto alla neces- sità di nuove costituzioni: la preparazione delle quali fu nella seduta del 26 luglio 1750 aftidata ad una Commissione di 8 membri(1). Il Micheli intanto che era l’anima della Società andava gradual- mente sistemando il giardino, sottraendone ogni anno tra difficoltà d’ogni sorta, un nuovo scompartimento alle brame del Vannini, per (1) Diarii, p. 18. zione delle adibirlo alta” cultura delle più interessanti piante esotiche e no- | strali che egli andava raccogliendo nelle sue peregrinazioni per varie parti d’Italia, aiutato dai non troppo lauti sussidii della Società me- desima. Non ostante la fama nella quale era oramai salito il suo nome; la sua posizione in seno alla Società non era delle più liete, vincolato com’era dagli obblighi imposti alla Società nei capitoli d’investitura, e dal Consiglio botanico, al quale certo facevano capo tutti 1 lamenti, i desiderii, e fors’anche i capricci dei soci. È notevole a questo proposito che il Vannini anche per la col- tivazione dei semplici dipendeva dai Provveditori e non dal Bota- nico: e che il registro dei semplici coltivati al giardino era con- servato dal Segretario, ma non dal Botanico che lo redigeva. Una deliberazione in questo senso fu presa nella seduta del 4 gen- naio 1730. Il numero dei semplici coltivati al giardino era in quel- l’anno disceso da 1200 ad 850, e quella considerevole mortalità allarmò straordinariamente i nostri botanici e scatenò, a quel che pare, una tempesta sulle spalle del povero Micheli. Quale fosse l’azione del consiglio botanico non ci risulta chia- ramente dagli atti: ma esso fu regolarmente nominato fino al 1734 ‘fino cioè all'entrata in vigore dei nuovi statuti coi quali sembra abolito. Ne fecero parte successivamente: dal 1718-1720 Micheli — Targioni — Franchi » 1720-1722 Targioni — Tozzi — Franchi — Micheli » 1722-1726 Franchi — Targioni — Felici — Micheli » 1726-1729 Tozzi — Franchi — Targioni — Felici — Micheli » 1729-1734 Tozzi — Targioni — Franchi — Micheli — Felici — Giorgi (1). Le rimostranze che i membri della Società facevano al Micheli ogni qual volta il numero dei semplici accennava a diminuire erano frequenti e gli fu chiesto di proporre a quali condizioni avrebbe accettato di coltivare al giardino 1000 semplici in perma- nenza. Il Micheli accettò la discussione su queste basi chiedendo anzitutto la esclusiva ingerenza nella coltivazione dei semplici e (1) Il Consiglio Botanico, secondo gli Statuti del Pandolfini, nominava nel suo seno un Soprintendente ed un Segretario: il catalogo degli ufficiali con- servato nel volume Targioniano è scarso di notizie riguardo alle cariche dei sopraddetti consiglieri: solo nel Consiglio del 1722-1726 il Franchi viene indicato come Segretario, in quello del 1726-1729 vengono indicati Tozzi come Soprin- tendente e Franchi come Segretario. Il Micheli sembra essere stato sempre semplice membro. L’abate Tozzi fu aggregato alla Società nel 1719: ma la data di quella seduta è incerta. la più assoluta libertà di scelta nel personale da adibirvi: ma le trattative non poterono andar oltre, perchè queste pretese urtavano contro i diritti del Vannini. Fu quindi chiesto al Micheli (1) nella seduta del 4 gennaio 1730 quanto voleva ogni cento semplici intro- dotti: intendendosi che elle dovessero esser già allignate e aver prodotto semi e fiori e che il Consiglio le avesse approvate. Il Micheli rispose che egli poteva bene impegnarsi a introdur nuove piante; ma non già a mantenerle senza le condizioni proposte: e le cose restarono come prima. Delle seccature che egli dovette avere a parecchie riprese resta traccia nella minuta di una lettera diretta ai soci botanici nella quale si lamentava che essendosi assentato per fare il viaggio alle spiaggie del mare nostro e avendo dati in antecedenza gli ordini per la coltivazione delle piante, al ritorno non trovò nulla eseguito o di pronto onde suppone esserci stato qualche ordine contrario di tutta la Società e che non spetti più a lui l’ufficio di Soprintendente ai Semplici, cosicchè rassegna le dimissioni. Disgraziatamente la lettera non porta data, ed il Micheli di viaggi alla spiaggia ne fece pa- recchi (2). Forse però si tratta di quello effettuato pel Val d’Arno inferiore nel 1781. La Società finalmente comprese che conveniva toglier di mezzo il Vannini e si iniziarono delle pratiche collo Scrittoio delle posses- sioni per trasferirlo ad un’altra sede: e queste parevano a buon punto, quando il 27 agosto 1731 egli venne a morire. I membri della Società, non presaghi ancora della burrasca che si addensava sul loro capo, dovettero trarre un sospiro di sollievo, ed infatti nella seduta del 1° settembre seguente elessero caporale del giardino Paolo Buoni antica opera con uno stipendio inferiore a quello del Vannini che era pagato 100 scudi l’anno; portarono la recognizione del Micheli da 24 scudi a 36 annui, gli assegnarono l’alloggio del Vannini, quantunque non sembri che egli l’abbia mai occupato; e gli affidarono finalmente l’esclusiva ed assoluta ingerenza nei Sem- plici (8). ; La nomina però di Paolo Buoni a caporale non piacque al Ginori che presiedeva allo Scrittoio delle Possessioni Reali e voleva avocare a sè la nomina del giardiniere. La Società protestò contro questa lesione dei suoi diritti e finalmente per l’intromissione di Pompeo Neri si accordò nell’ annullare la nomina del Buoni ed eleggere (1) Diarii, p. 47-48-49-50. (2) Vol. Targioniano, p. 126. (3) Diarii, p. 91. PR re > TS vece un i certo dpagiicio ® ‘Gratta di Lappeggi Sho piacque al Ginori. Durante questo periodo di tempo la vita sciEifica della Società si svolgeva attivissima, quantunque sempre in forma amichevole e privata, ed il Targioni ricorda con singolare compiacenza le ami- chevoli e dotte conversazioni del pomeriggio nel Giardino dei Sem- plici, alle quali intervenivano le più colte persone di Firenze e spesso molte celebrità di passaggio per la città: però questo al pubblico non bastava, e lo spirito mordace fiorentino tacciava gli accademici di essere poco attivi, di non fare ostensioni o letture, e di coltivare soltanto: anzi di coltivar poco e male. Infatti sì con- serva nel volume Targioniano l'appunto di un accademico in data del 1722: nel quale si portano a conoscenza dei soci queste voci, e pur trovando ingiustificata e insussistente quest’ultima accusa si suggeriscono delle innovazioni culturali e si propone di rendere le riunioni più attive. Di queste discussioni che indubbiamente furono frequenti ed interessanti non resta traccia negli atti. È solo nel 1735 che le sedute presero forma solenne: il 19 agosto di tale anno infatti il socio Dr. Domenico Civinini lesse alla presenza dei soci, di Monsignor Forteguerri e di altri non soci, un erudito discorso sul tema: Se gli agrumi menzionati dagli antichi sieno gli stessi che i nostri, e quando questi a noi sieno venuti. Fu forse questa lettura, tenuta probabilmente con una certa solennità, che spinse i nostri botanici verso un nuovo orientamento della loro associazione ed infatti nella seduta del 14 dicembre 1733 fu incaricato il Neri di stendere 1 nuovi capitoli e fu determinato di celebrare la solenne inaugura- zione della Società con una pubblica orazione che fu letta in effetto il 2 settembre 1734 dal Cocchi e pubblicata di poi in appendice alla prefazione del Catalogo Micheliano (2). I nuovi statuti distesi dal Neri furono votati sotto la presi- denza del Canonico V. Capponi nella seduta del 14 gennaio 1734. Quali fossero questi statuti non ci risulta dai documenti: ma l’elenco degli ufficiali nominati nella seduta del 5 febbraio 1734 ci desi- gnano un Presidente, un Segretario, un Auditore, un Custode del giar- dino (Micheli), un Archivista, un Bibliotecario, un Custode del Museo, due Promotori degli studi, quattro Censori. La Società assunse allora il titolo di Filosofica ed i regolamenti furono sottoposti alla san- zione di Sua Altezza, il quale temporeggiò molto prima di appro- varli: ed è anzi probabile che non lo abbia mai fatto. L’inaugu- ble . (1) Diarùi, p. 53. (2) TaRGIONI in MicHELI P. A. — Catal. Plantarum, 1. c., p. LXIX. n — Per razione pNiEnne È avvenne senza nil Ein ; ufficiale der sabval fi statuto della Società e negli anni consecutivi si tennero le sedute È delle quali parla il Targioni. (1) | Non pare che dopo la quarta se ne sieno tenute altre, proba- bilmente in causa della crisi gravissima che la Società attraversò per la morte del Micheli e per le divergenze sorte col Marchese i Riccardi Soprintendente generale dei giardini, il quale spalleggiava a lo Spagnuolo contro la Società accogliendone i reclami, e voleva esercitare sul Giardino dei Semplici una ERRE che la Società reputava illegale. Il Marchese Riccardi la vinse, almeno per IG le proteste difensionali della Società (2) vennero tenute in non due e lo Spa- guolo ottenne rescritti in suo favore contro la volontà dei soci. il Presidente Capponi dovette dimettersi e fu sostituito dal Nicce- lini che ebbe incarico di appianare le vertenze col Soprintendente nel modo che reputasse più proprio. Le faccende sociali non do- vevano procedere liete e si ricorse certo al Niccolini come ad un salvatore. Egli infatti fu proposto socio e nominato Presidente nella seduta del 25 settembre 1735; la stessa nella quale si dimise il Capponi. Anzi più che la Presidenza gli venne concessa una specie di dittatura e di questo periodo di tempo ci restano dati scarsissimi. Le cose si composero forse solo nel 1739; poichè allora appunto la Società ottenne da Francesco III un nuovo motu-proprio in data del 6 luglio (3), (col quale essa era accettata sotto la speciale ed immediata protezione di Sua Altezza); la libera amministrazione del Giardino dei Semplici: con piena facoltà di eleggere e rimuo- vere il personale: l'annullamento dei rescritti anteriori in contrario se ve ne fossero: la dotazione annua di scudi 300 da pagarsi dal- l'Ufficio della Parte, e fu invitata a compilare prontamente le proprie costituzioni. Il Micheli morì come è noto il 1° dell’anno 1737 e la Società nella seduta del di 7 dello stesso mese gli decretò solenni onoranze e nominò a suo successore colla recognizione di scudi 24 l’anno il suo scolare Giovanni Targioni (4). Si trattò poscia a lungo dell'acquisto delle collezioni lasciate dal Micheli, ma nella seduta del 12 maggio 1738 la proposta venne definitivamente respinta e questo prezioso materiale fu acquistato dal suo scolare Giovanni (1) TaRGIONI, l. e., p. L-LILI. 2) Documenti, p. 45. Diarii, p. 86. (53) Documenti, p. 302. 4 Vedi appunti del relativo verbale — Volume Documenti, p. 162 suoi desiderî in ordine alla direzione dei ina potessero essere | appagati. Lo Spagnuolo di fatto fu licenziato il 14 agosto 1739 ed il Buoni rimesso nell’ufficio conferitogli nella seduta del 7 set- tembre 1731, ufficio al quale aveva dovuto rinunciare per l’oppo- sizione del Marchese Ginori. i Gli anni seguenti furono occupati nella stampa del Catalogo dell'Orto, lasciato incompleto dal Micheli e la cui redazione fu perciò affidata al Targioni, e nell’arricchire sempre più il Giardino dei Semplici, per il quale il botanico suddetto compì parecchi viaggi in diverse località della Toscana, viaggi dei quali, come è noto, ci ha lasciati interessanti descrizioni. Il motu-proprio di Sua Altezza per altro allargava il campo di attività della Società Botanica inca- ricandola dello studio delle scienze naturali in Toscana, e così essa dovette pensare alla compilazione dei nuovi statuti, che però pro- cedè molto a rilento. Essa fu affidata ad una Commissione composta di Antonio Niccolini, Luigi Lorenzi, Pompeo Neri, Antonio Cocchi e Giovanni Targioni. Ci è rimasto negli atti la lettera dei redattori con la quale vengono presentati alla Società in data del 5 feb- braio 1744 (1) e quella circolare del segretario colla quale se ne trasmette agli accademici una copia perchè la firmino, giusta la deliberazione presa nella seduta dell’11 febbraio dell’anno mede- simo. È la copia conservata nel volume delle Finanze, la quale si trova infatti firmata da 16 soci. ‘Queste costituzioni fissano a 50 ‘il numero dei soci attivi o con- tribuenti, e del pari a 50 quello degli esteri od onorarî: stabiliscono che la Società debba adunarsi regolarmente una volta il mese alle 22 (due ore di giorno) in giorno di giovedì, e che il numero legale sia di 10. La Società si sarebbe governata per mezzo di un Presidente, un Tesoriere, due Censori, un Segretario, un Botanico. Erano facolta- tive commissioni speciali. Gli ufficiali suddetti venivano eletti nella seduta del dicembre: prendevano possesso nel gennaio seguente e duravano in carica due anni. Il Tesoriere ed il Botanico erano con- fermabili; gli altri no, ed alla fine della gestione ricevevano una medaglia di benemerenza in argento: i soci contribuenti erano tas- sati di tre piastre all’atto dell'ammissione e dell’annualità d’una piastra. I regolamenti furono sottoposti all'approvazione di S. A. e l’ottennero; però molto tardi: una lettera infatti di G. Targioni (2) (1) Documenti, p. T1. (2) Documenti, p. 364. + ; ; È k \e CSI dt ETRE bi ME Ò ci apprende che egli fu dalla Imp. Presidenza di Finanza inca- | ricato in data del 18 settembre 1758 di dare il suo parere sopra | queste medesime leggi, e si gloria di aver non poco contribuito a procurarne l approvazione del Governo ad esclusione di un altro disteso. Ad ogni modo queste leggi approvate nella seduta dell’11 feb- braio 1744 non soddisfacevano tutti i soci, e nella seduta del 3 lu- glio 1745 il socio Ferrante Capponi proponeva delle modificazioni Î che furono rimesse all'esame dei Censori. Il primo gruppo di soci / esteri od onorarî, dovette esser nominato subito dopo approvati gli ; statuti, perchè già nel 1749 essi sono in numero di 45, mentre nel se- condo triennio della gestione Guadagni troviamo nominati appena Schwedenborg (8 luglio 1745): Voltaire (26 maggio 1746): e Maratti (6 ottobre 1746). Dal lato finanziario, benchè i regolamenti imponessero, come è detto; una tassa d’entrata ed un’altra annuale ai soci residenti, pare che nessuno l’abbia pagata sino al 1758, quando il Presidente Albizzi allarmato della non lieta finanza sociale, pensò di richiamare i soci all'osservanza delle leggi ed al pagamento degli arretrati; e giunse persino a ripetere dal Targioni la tassa d’entrata 26 anni dopo che egli era socio. La lettera che il Targioni inviò per risposta, interessante non foss’altro per la vivacità dello stile, meriterebbe di esser pubbli- cata. Egli giunge al punto di scrivere: Supplico V. S. Ill.ma e gli altri signori soci a degnarsi di riflettere che la nostra Società ha goduto sempre una perfettissima e costante anarchia ed anomia, se si eccet- tuino questi ultimi due anni: anzi è stata fino al 1758, mi stia lecito il dirlo, talmente informe, anomala e tumultuaria che le sue tante leggi e disposizioni effimere, variabilissime e contradittorie non hanno mai avuto vigore di leggi: non sono mai state osservate, e rispet tate: anzi sono state neglette; mute ed inerti come se state fatte non fossero (1). Il Targioni conservò l’ufficio di Botanico sino al 26 maggio 1746, nel qual giorno chiese che gli fosse aggregato come aiuto il Manetti ammesso tra i soci nella seduta del 2 settembre 1745, e che era già stato a far qualche viaggio per conto della Società. Pochi mesi dopo il Targioni si ritirò del tutto ed il Manetti fu eletto in sua vece ed incaricato di firmare i mandati al giardiniere in data del 2 marzo 1747. Nella sua storia pubblica della Società il Targioni attribuisce il suo ritiro alla moltiplicità degli affari: ma le ragioni vere furono altre, (1) Documenti, p. 364 i Oi "°° piega Ren per 26 anni (la lettera è in data del 7 marzo 1760) lamenta che i suoi servizî non sieno stati compensati abbastanza e che essendogli stato promesso al ritorno del primo viaggio un aumento di 12 scudi l’anno, tal decreto non fu mai eseguito: sicchè dopo tre anni e per questo, e perchè mi feci scrupolo di rimettere il fare altri viaggi mentre cono- scevo che non avrei potuto mantenere la promessa, mi credei in obbligo di chiedere la dimissione dell'impiego. Per quanto scarseggino le carte relative a questo periodo, non mancano negli Atti alcuni rapporti dei Censori relativi all'andamento del Giardino e si comprende quindi come il Botanico privo di qualunque libertà d’azione dovesse trovarsi a disagio, ridotto, come era, a divenir l’esecutore degli ordini degli altri soci non sempre botanicie preoccupati soltanto del numero materiale delle piante coltivate al giardino. In Micheli la passione pei Semplici era così viva ed ardente che si rassegnò a subire più d’un capriccio dei colleghi e protettori, pur di vivere in mezzo alle sue piante dilette: il Targioni che aveva altre occupazioni, preferì andarsene con la corret- tezza dei modi propria al suo elevato temperamento, facilitando la strada al suo successore Manetti. Anche in seguito non mancò, si può dire, ad alcuna delle sedute sociali, e più volte intrattenne i colleghi con interessanti dissertazioni e neppure s’offese quando nel 1758 la Società invasa da una frenesia di ordine e di regolarità, pretendeva da lui tutte le produzioni naturali non botaniche raccolte nei suoi viaggi e portate a Firenze coi suoi denari. La Società del resto riconobbe im certo modo i suoi torti verso il Targioni perchè nella seduta del 16 lu- glio 1751 gli assegnò una gratificazione di scudi quarantuno in com- penso dell'aumento promessogli e non mai mantenuto. Se la Società abbia ripreso subito dopo l'approvazione dei nuovi statuti il co- stume delle letture pubbliche, non risulta nè dai diarî nè dai documenti. Sino al 1751 i diarî contengono soltanto notizie di atti e deliberazioni amministrative o di erborazioni affidate al Manetti, ‘e solo il 16 luglio 1751 si ebbe una prima lettura del T'argioni Intorno ad una acqua acidula dei dintorni d'Arezzo, ed un’altra del Manetti sul Suo viaggio nei dintorni di Pistoia, alle quali seguì nel 1752 la lettura del dott. Felici della traduzione di un discorso di Tournefort. i Nel 1753 per iniziativa del Manetti fu approvata la costruzione di un piccolo tabernacolo per le piante grasse, e nel 1755, quella di una stufa per le piante esotiche; costruzioni che il Micheli aveva sollecitate invano. È il progetto rintracciato da Del Badia e donato all’Istituto botanico. A questo tempo la Società aveva già raccolto un 0 i n quelle sole: e la lettera surricordata ci illumina al riguardo. In essa infatti ricordando i servizî da lui resi alla Società : Satr. Ge Bea POSI Lo PRI A SITI, Psa ; T Kart 707 MI RS Lr Ù ticeo materiale di libri, erbarii (1), oggetti di storia Datnrale in ge- nere, onde ripetutamente si discusse sull'opportunità di costruire una fabbrica e gli scaffali per la loro conservazione, quantunque sor- gesse più d’una opposizione tra i soci per essere pendenti le leggi? e non potersi quindi considerare efficace l'imposizione che le leggi facevano ai soci di versare una contribuzione (2). Paolo Boni morì il 4 aprile 1756, e nella seduta consecutiva del (i maggio fu eletto giardiniere Ulderico Prucher, costituendosene mal- levadore per la osservanza dei patti l'Abate Franceschi. La stufa de- liberata fu costruita in quest'anno essendosene assunte le spese Sua Altezza Reale: ma il Manetti non ne restò contento e registrò nei verbali come gli ingegneri non avessero seguite le prescrizioni del Botanico. Anche i verbali delle sedute di questi anni sono tutti occu- pati (salvo qualche lettura del Manetti relativa ai suoi viaggi), da pratiche amministrative: il nuovo Presidente Casimiro degli Albizzi cercò di richiamare in vigore le leggi non rispettate e specialmente di ottenere il pagamento delle tasse d'ammissione arretrate (3 piastre) e di quelle annuali: ed allora anche fu regolarmente ripresa la con- suetudine delle letture pubbliche che continuò più o meno attiva sino al 1774. È verso quest'epoca che la Società è nel suo secondo periodo di floridezza. Nella seduta del 7 settembre 1758, fu approvata la patente da accordarsi ai soci residenti ed onorarii, la quale fu infatti distri- buita nell’anno seguente: e la Società era provvista anche di un’in- segna che sì conservava in casa del Presidente. Più tardi, il 4 feb- braio 1768, fu approvata la proposta di una medaglia da distribuirsi al soci che più si distinguessero nelle conferenze e lezioni, e siccome la Società non poteva sopperire alla spesa, i soci si tassarono per qualche anno di una quota (3). Il pubblico però doveva mormorare contro l'Accademia perchè ap- punto nel 1767 Leonardo del Riccio e 0. R. Pucci presentarono alla Società la proposta di eleggere nel suo seno un certo numero di pro- (1) Il Manetti aveva composto per la Società stessa un erbario di 11 volumi che donò alla Società chiedendone una qualche recognizione. Esso ebbe infatti una gratificazione una prima volta nel 1752 (Diariî, p. 191) quando l’erbario era ancora incompleto: ma tornato più tardi a chieder nuovi compensi la So- cietà non glieli accordò ulteriormente, ritenendo che quell’erbario formato con piante raccolte nel giardino o nelle escursioni fatte a spese della Società le ap- partenesse legittimamente (Documenti, p. 355 e seg.; Diarii, p. 267). Esso com- prendeva 2618 scheletri di piante, tra le quali 480 esotiche. (2) Diarii, seduta del 4 luglio 1755, pag. 64. (5) Diarii, pag. 850. 3 9 h) PI a di occuparsi solo di cose ne a LL fu per altro respinta (1). Quali Dizo gli argomenti intorno ai quali i soci dissertavano può agevolmente vedersi dall’elenco posto in nota, il quale comprende tutte le letture menzionate negli atti e conservate in sunto od in ex- tenso: ricorderò tra le più notevoli dei soci esteri una del Bassi re- lativa all’Ambrosinia Bassi; un’altra del Maratti relativa a due nuove piante, Saturnia e Romulea (2), e delle quali inviò i disegni origi- nali che ancora si conservano: quella dell’Abate P. Boissier de Sau- vages sull’Origine della melata delle piante, un’altra di G. B. del Co- volo letta nella tornata del 4 settembre 1764 e poi pubblicata in un libercolo (3) oramai raro e dimenticato. La scoperta della irrita- bilità dei filamenti staminali delle Carduacee viene generalmente at- tribuita a Gottlieb Kéòlreuter (4), 11 quale pubblicò le sue osserva- zioni nel 1766; ora è bene ricordare che il chiaro e preciso libercolo del Covolo e la sua ostensione ai semplici sono anteriori di due anni alla pubblicazione del Botanico tedesco. Tra gli accademici o soci residenti erano specialmente il Manetti ed il Targioni quelli che sostenevano il peso delle discussioni, rife- rendo sui loro viaggi e le loro osservazioni di botanica e storia natu- rale: ma non mancavano neppurs dissertazioni intorno ad argomenti di natura medica. Neppure allora, non ostante i maggiori poteri dei quali era in- vestito il Manetti, la posizione del Botanico era troppo felice: se i suoi predecessori avevano dovuto lottare col Vannini e lo Spagnuolo, egli ebbe a che fare col Prucher: il volume dei documenti e quello dei diarî sono pieni delle querimonie di accademici ed estranei contro questo signore, il quale aveva, a quel che pare, in mediocre concetto la coltivazione dei semplici e vi preferiva quella, forse più lucrativa, . degli agrumi e dei peri. In compenso il Manetti era meglio pagato: fin dal 1751 il suo assegno annuo fu portato a 36 scudi e le recognizioni pei suoi viaggi e le dediche d’opuscoli molto più frequenti e ricche di quelle con- cesse al Micheli ed al Targioni, ma il 13 febbraio 1766, trovandosi (1) Documenti, p 217. (2) MaraTTI Jo. F. — Plantarum Romuleae, et Saturniae in agro komano existentium. Romae MDCCLXXII. (3) Discorso sulla irritabilità d’alcuni fiori nuovamente scoperti - Firenze presso Gaetano Albizzini MDCCLXIV. (4) KoLrREUTER D. Jos. GOTTLIEB - Vorliufige Nachrichten. 3° Forsetzung - Leipzig 1766. dgri salpa 6 dg Re, la Società in critica situazione finanziaria; gli fu ridotto lo stipendio — a seudi 24 annui, colla promessa di rimetterlo in pristino non appena — la situazione fosse migliorata. Le finanze sociali non erano vera- mente floride in quel tempo in seguito alle spese sostenute per la sistemazione del giardino, dei locali e delle stufe, e vi fu provveduto col diminuire le spese pel riscaldamento delle stufe; le quali del resto servivano in gran parte per le piante del Prucher: col soppri- mere l’ assegno allo scrivano Alghisi che si acconciò a servire la Società gratuitamente: col mettere in pensione il figlio di Paolo Boni vecchio e malato e col ridurre di un terzo come si è detto lo sti- pendio al Botanico. Contemporaneamente però la Società era larga di favori al Prucher; fu tolta la chiave della Biblioteca al Manetti ed affidata a lui; ed un suo figliolo ebbe a lungo un sussidio per: apprendere l’arte del giardiniere in Germania, senza profitto, a quel che pare. A questi maneggi e a questi dissidii che benchè non consegnati ufficialmente negli atti trapelano d’ogni lato, deve alludere certa- mente la relazione conservata nel volume 234 Finanze dell’ Archivio di Stato. Il dissidio tra Prucher e Manetti era acutissimo; ed il mo- vente recondito delle riforme, più che nella situazione finanziaria, va ricercato nella situazione reciproca del botanico e del giar- diniere. I tentativi di torre di seggio il Manetti furono parecchi e vi fu un momento nel quale la cosa parve probabile: nella seduta infatti i del 19 febbraio 1766 egli riuscì eletto Botanico con soli 14 voti contro . 13 dati al Durazzini: e anche dall’alto si cercò di favorire in seno alla Società l’Abate Lapi, lettore di botanica all'Ospedale diS. Maria Nuova, dove aveva istituito un ricco e florido giardino. L’Abate Lapi fu aggregato alla Società nella seduta del 1752; e lo si trova per un decennio assiduo alle riunioni senza però che vi abbia mai spiegata alcuna attività, nè ricoperto alcun ufficio; sia che v’intervenisse solo per deferenza verso i consocìi di elevata po- sizione sociale, sia che il Manetti non tollerasse una sua intromis- sione soverchia nelle cose del giardino. Però, nel 1762, l’Auditore di Stato Pandolfini, per mezzo del proprio segretario Marmorai, cercò di ottenere a favore del Lapi un’annua ricognizione di 14 0 15 scudi poichè, come diceva, lo scopo della Società era quello di favorire lo studio della botanica ed i soggetti che se ne interessa- vano. Prima di portare la faccenda in seduta il Presidente conferì col Lapi, al quale offerse anche il posto di Botanico che egli non accettò. è; aliene pesa La Hociatà quindi con un Last di fr di Missione alle- gando il cattivo stato delle sue finanze e la presenza nel suo seno di soggetti non meno degni del Lapi e che da maggior numero d’anni la servivano gratuitamente, respinse la domanda dell’Auditore e la cosa per allora rimase in tacere. Forse il fiorire dell’Orto di S. Maria Nuova (1), che dopo la morte di Micheli si pose in gara con quello dei Semplici, non andava troppo a genio ai membri della Società Bota- nica, e di qui lo stimolo continuo esercitato sul Botanico per mi- gliorarlo ognora più e darvi una disposizione delle piante più ra- zionale. Oltre ai partiti personali esistevano in seno alla Società due altre correnti scientifiche, cioè i Linneani ed i Tournefortiani, le quali si concigliarono adottando il partito di disporre i semplici secondo l’uno e l’altro sistema, contro il parere del Manetti, il quale giudiziosamente osservava non essere sempre possibile coltivare le piante vive dove il sistema richiede, ma doversi collocare là dove esse trovano le condizioni di vita opportune. Nel 1772 le finanze sociali, grazie alla più rigida amministra- zione seguita dal 1766 in poi, erano un’altra volta normali: e fu in- fatti accordata al Manetti, per una volta tanto, una gratificazione di 50 scudi (2); ma quanto al ritornarlo in pristino, giusta la pro- messa fattagli, i soci non vi si decisero mai, ma preferirono di eso- nerare sè stessi dalla contribuzione :sociale (3). Però i dissensi so- ciali continuavano ad essere gravi. Nel biennio 1772-74 le adunanze furono sei o sette in tutto e vi furono trattati argomenti d’indole pu- ramente amministrativa: cosicchè il sobrio Durazzini, segretario del tempo, chiude così il suo liberculo : Più numerose sarebbero state le nostre adunanze; ma come sono state pendenti alcune vertenze relative ad una proposta aggregazione alla nostra Società ancora da alcuni dei nostri soci: benchè ottenuto non abbiano il loro intento, una tal discussione ha tenute ‘sospese molte de- terminazioni che sarebbero state da farsi e che mediante la cura e la premura del sig. Presidente hanno avuta la loro soluzione. Non risulta dai documenti e dagli atti a chi veramente alluda il sopracitato periodo del Durazzini, ma esso dimostra quanto profondo fosse il dissidio. È probabile che la relazione del volume Finanze sì riferisca, almeno in parte, a questo tempo. Non pare che nell’anno consecutivo queste discussioni avessero termine: poichè nel 1775 si ha una sola seduta: ma nel 1776 se ne (1) MattIROLO O., 1. c., pp. 23-24 @) Diarii, foglio 403. (3) Diarii, foglio 403 e 404. ite, tese? TE | Giovanni), Manetti e Medarer: poi di nuovo la Società ricade nel- I l’atonia: nell'annata 1777 si ha una sola seduta, nel'1778 nessuna; nel 1779 di nuovo una sola, ed un’altra infine il 28 luglio 1780. Dovevano certamente essere scoppiati nuovi dissidi e contestazioni. A questa seduta non assisteva il Manetti (1), ed il Presidente Roberto Pandolfini (l’Auditore di Stato protettore del Lapi)lesse una Memoria mediante la quale S. A. R., senza alterare per altroin veruna partei re- golamenti della Società, eleggeva il Sîg. Abate Lapi, Prefetto dell'Orto dei Semplici, con l’obbligo di dovervi dare le sue pubbliche lezioni di Botanica per il corso di tre mesi continui (maggio, giugno e lu- glio), con una conveniente provvisione annua sulla cassa dello Spe- : dale di S. Maria Nuova. Il rescritto porta la data del 9 aprile 1780, e la partecipazione al Presidente della Società Botanica viene fatta in data del 14 dello stesso mese dal Presidente-della Deputazione degli Spedali (2). Inoltre in data del 12 maggio la Deputazione del. l'Ospedale di S. Maria Nuova chiede a S. A. R. Pietro Leopoldo, che essendosi soppresso l’Orto di S. Maria Nuova e il relativo posto di Soprintendente occupato dal Prucher: sì continui ciò non ostante a pagare al sopraddetto la somma di seudi 20 l’anno, col peso al me- desimo di dovere servire in qualità di ministro per le lezioni al detto Lapi e che in occasione di dover provvedere di successore Prucher, la Società Botanica debba pensare a sceglierlo e stipen- diarlo col cessare ogni peso a S. Maria Nuova (3). Sua Altezza Reale approva in data del 16 maggio 1780. Questi documenti ci apprendono quindi che l'Abate Lapi non fu nominato Prefetto dell’ Orto dai Georgofili, come accenna il Matti- rolo (4), ma direttamente dal Granduca, e che l'Orto dei Semplici servì all'insegnamento ufficiale della Botanica fin dal 1780, epoca alla quale fu soppresso il Giardino dello Spedale. Per l’addietro in- vece sì era concesso agli studenti dell’ Università di Pisa di fre- quentare il giardino in dati giorni della settimana, affinchè potes- sero farvi pratica di piante: ma non si impartiva loro dal Botanico alcun insegnamento cattedratico. * “Arte è diet ala È ì | bl (1) Il Manetti non assistè neppure alla seduta del 1779 per deliberato pro- posito: Si doveva in quella seduta procedere alle elezioni delle cariche sociali ed egli temeva di non esser confermato Botanico. In una lettera al Segretario Luca Martini (Diari, p. 435-436) lo dice chiaramente; lamentando le replicate offese fattegli dalla Società e il mal governo che dell'Orto faceva il partito dei saccheggiatori per mezzo del Prucher. (2) Diarii, p. 458. (3) Diarii, pp. 463-465. (4) MartTIROLO 0. — L.c., p. 12. _ Con queste disposizioni le quali paiono prese per mettere fuori 3 il Manetti, inguantochè pongono anche il Prucher alla dipendenza del Lapi, cessa ogni attività della Società Botanica; molto proba- bilmente il Manetti e i suoi sostenitori disgustati, non si fecero più vivi, nè il Lapi, oramai vecchio e malato, aveva l'influenza e l’atti- vità necessaria per radunare intorno a sè i soci dispersi. Non fu difatto tenuta più alcuna seduta. La Società era virtualmente di- sciolta e la si tollerava ancora di nome, forse solo per un riguardo al vecchio Presidente. Difatti in calce al verbale del 28 luglio 1780, Luca Martini così registra l’atto di morte della Società avvenuta appunto pochi giorni dopo quella del suo Presidente C. Pandolfini: Qui termina la Presidenza del fu C. Ruberto Pandolfini morto il dì 19 maggio 1783. Ha regnato anni sette e mesi 6, tre di governo; e anni quattro, mesi sei la Società è stata afflitta con un profondo le- targo che ha terminato con la morte. Stante un biglietto di Segreteria di Stato, questo dì 1° giugno fu consegnato alla Rispettabile Società dei Georgofili tutto ciò che era di pertinenza della Società Botanica per esser passati questa eredità in detta Accademia dalla quale ne ho riportata la mia opportuna sicurtà. . Firmato: Luca MARTINI. I documenti ufficiali segnano così la data della morte della So- cietà Botanica al 19 maggio 1783: ma essa era già estinta in effetto da parecchi anni; ed il Giardino dei Semplici aveva fin dall'aprile 1780 cominciato a trasformarsi in agrario: poichè da un biglietto, con- servato nell’archivio del nostro Istituto Botanico, di Francesco Piom- banti, Segretario allo scrittoio delle Possessioni Reali, al Prucher (1) si rileva che appunto in quell'epoca avvenne la cessione di una parte delle piante dei Semplici all’ Orto del Museo di Fisica, alla quale accenna Antonio Targioni (2). Quella data è interessante; perchè ci prova che il Lapi fu nominato Prefetto di un Orto Bo- tanico in liquidazione; e che molto probabilmente fu Prefetto solo di nome, poichè altrimenti non saprebbe spiegarsi l’ordine peren- torio del Piombanti dato direttamente al giardiniere. Da Prefetto dei Semplici il Lapi passò Direttore del nuovo Giardino agrario (1) Ecco il biglietto: A di 20 aprile 1780 — Il signor Leopoldo Prucher consegnerà subito ed ad ogni richiesta del sig. Ab. Fontana tutte quelle piante botaniche che erano nella stufa e che occorreranno pel gabinetto di Fisica — PIOMBANTI. (2) TarGIONI-TozzeTTI A. — Catalogo delle piante coltivate nell’Orto Bota- nico agrario detto dei Semplici in Firenze l’anno 1841. — Firenze 1841, pp. VIII-IX. ANNALI DI BorAnICA — Vot. I. 17 e - È cl /3a : pera i x ia £0 cs 4 È. Coe È ” A i | Sca 4 sostituitosi a quello: ma nell’anno stesso ottenne di esser collocato a riposo (1). Così finì la Società Botanica fiorentina dopo circa 70 anni di vita, durante i quali devesi convenire che non ostante gli interni dissidî, portò un notevole contributo alla conoscenza della Storia Naturale in Toscana. Il pernio dei suoi lavori furono successiva- mente tre uomini cari alla scienza italiana: P. A. Micheli, G. Tar- gioni, S. Manetti, cosicchè non ostante la vernice accademica e so- ciale, il lavoro della Società Botanica restò nella sua essenza, lavoro essenzialmente individuale, come del resto osserva il relatore del volume 234 Minanze. Gli altri consocî furono per questi tre laboriosi dei protettori benevoli, quantunque la loro protezione ne abbia più volte intralciata l’azione; e per l'Orto dei Semplici furono dei mi- nuziosi e sovente queruli amministratori. Pochi di essi erano vera- mente botanici; quelli che lo erano, quali il Tozzi, il Tilli, il Lapi e qualcun altro, non presero mai parte attiva alle vicende sociali e lasciarono il campo libero a quei colleghi pei quali la botanica costituiva, come si direbbe al giorno d’oggi, uno sport. Narra il Targioni che il Granduca rimanesse sorpreso quando il Sherard gli affermò che egli non esitava a dichiarare che il Micheli era il maggior conoscitore di piante del suo tempo, ed esclamasse: Ma come può essere se non conosce il latino! Dalla lettura degli atti sì riceve l'impressione che non molto diversa dovesse essere l’opi- nione dei suoi colleghi nella Società; altrimenti mal sì spieghe- rebbe quel continuo tenerlo sotto tutela e quel circondarlo di consigli botanici che avevano per verità ben poco da consigliargli. La estima- zione nella quale egli andò progressivamente salendo presso di loro, fu il riflesso di quella che gli tributavano i dotti stranieri del suo tempo: e fu soltanto dopo la sua morte che accettarono a profitto dei suol successori, quelle proposte che egli aveva più d’una volta caldeggiate invano. Se non che questi ultimi, per quanto colti, illustri ed attivi, erano ben lontani dal possedere l’elevata intelligenza di Pier Antonio Micheli. Ad ogni modo anche a quei membri della. Società Botanica si deve essere grati: essi diedero il primo esem- pio di riunione delle energie individuali in una collettiva a scopo scientifico, e prepararono il terreno a quella più ricca fioritura’ botanica che illustrò la Toscana nei primi decenni del secolo passato. . (1) LastRI. — Storia della Real Società. Atti della R. Accad. dei Georgofili, Vol. II, p. 8 ed Z/ogio dell'Abate Lapi. Ibidem, Vol. IIT, p. XXII. ; | Patente di nomina pei socii onorarii dettata dal socio S. Manetti. Societatis Botanicae Florentinae Praeses Viro CI..... Nil nobis antiquius magisque cordi est quam Societatis nostrae Botanicae Florentinae incrementum et decus: quapropter curam omnem diligentiamque in eo posimus, ut Societas ipsa floreat et augeatur non modo popularium nostrorum labore et vigilantia, sed conlata etiam opera Exterorum Doctissimorum virorum, qui in Re Physica universa inclarescunt, quique perhumaniter nobiscum com- municare veluit peculiaria sua inventa, observata, vel adnotata ad institutum nostrum illustrandae amplificandaeque Historiae Natu- ralis Etruriae perutilia. Quum igitur nobis satis superque innotuerint egregia tua in phy- sicis studils merita, plurimumque inde juvari posse rem nostram speremus, concordibus suffragiis in Comitiis habitis die .....Te........mnostrum Honorarium Collegam elegimus, inque Societatis Botanicae Florentinae albo describendum curavi- mus. In huius proinde rei testimonium praesentes litteras Tibi mit- tendas decrevimus, orantes ut nostram erga te voluntatem et studium aequi bonique facias et symbolam tuam spartae nostrae ornandae conferre non graveris. Vale. Datum Florentiae in Caesareo Viridario, a. d. MDCCL. M. Praeses. N. N. a secretis. ELENCO DELLE LETTURE DELLE QUALI È FATTA MENZIONE NEI DOCUMENTI. CivinIni G. B. — Se gli Agrumi menzionati dagli antichi sieno gli stessi che i nostri e quando questi siano a noi venuti e da qual parte trapiantati in Italia (17 Agosto 1733). CoccHI A. — Discorso inaugurale (2 Settembre 1734). MicHELI P. A. — Intorno a due Ippocastani ed alla Yucca indica (20 Set- tembre 1734). FeLICI G. B. — Sopra dei calcoli biliari trovati nei cadaveri umani (20 Set- tembre 17534). Tarcioni G. — Sulla struttura geologica del Valdarno superiore (20 Settem- bre 1734). De BarLLou G. — Sulle fermentazioni (20 Settembre 17534). MicHELI P. A. — Sopra alcuni generi di Testacei (8 Giugno 1734). CoccHI A. — Sopra tre casi di morte per inedia in seguito a chiusura dell'esofago . (8 Giugno 1734). VO» 3 23 lc e di TRAE? GENTILI G.- _ Sulla storia delle FSbBR Berni (8 Gina Ita); TOTTI MicHELI P. A. — Fruttificazione di SERIO di Androsace e di Caltha (11 Ago- sto 1735). Cocconi A. — Sopra i vermi cucurbitini (11 Agosto 1735). FeLici G. B. — Sopra uno spirito estratto dallo zucchero e sulla combustione. dello zucchero (11 Agosto 1735). CrvininI G. — Sopra l'apertura del cadavere di una donna morta allo spedale con: un tumore insigne all’ovario (11 Agosto 1735). MicHeLI P. A. — Sopra il frutto dell’Arancio detto Pomo d’Adamo (7 Settem- bre 1735). Ip. — Sopra una pietra miliaria al passo di Simone (7 Settem- bre 1735) FeLICI G. B. — Sezione anatomica d’un cadavere coi visceri disposti al rovescio. (7 Settembre 1735). GENTILI G. — Osservazioni mediche sopra le mole (7 settembre 1735). T. \RGIONI G. — Sopra un corno di Cervo impietrito in Valdarno superiore (7 Set- tembre 1735). Ip. — Descrizione delle Pietre dette Silex aculeatus Mercati (7 Set- tembre 1735). BeRrTINI G. — Sull’ultima malattia, morte e apertura del Cadavere del signor M.* Pucci (31 Agosto 1740). MANETTI S. — Descrizione del suo viaggio al Mugello (10 Marzo 17-16). Ip. — Analisi chimica di alcune terre del vulcano di Pietra Mala (10 Marzo 1746). TarGIoNI G. — Alcune osservazioni su d’un’acqua acidula vicino ad Arezzo (16 Luglio 1751). MaAxETTI S. — Osservazioni fatte per la strada e la campagna di Roma e di Napoli (8 Giugno 1758). Ip. — Memoria intorno a cose naturali osservate nei contorni di Na- poli (3 Agosto 1758). Ip. — Catalogo di piante vedute nella campagna di Napoli (7 Set- tembre 1758) Lapi FerDpINANDO. — Elogio del Sig. Dott. A. Cocchi (14 Febbraio 1759). TargGIONI G. — Sopra l’albero detto Platano (2 Agosto 1759). CiriLLo D. — Lettera sopra una erborazione fatta sul Monte . . . . . (3 Settem- bre 1759). Pigrucci P. — Sopra un gruppo di Porcellana stato più anni in mare (6 Mag- gio 1762). Maxnerti S. — Sopra alcuni Tartuffi di Boboli (1° Luglio 1764). Ip. — Sopra un nido di Calabroni (5 Agosto 1762). DeL Bonino 0. — Glossopetra o sia Dente di pesce (2 Settembre 1762). Maxerti S. — Notizie sopra un frutto Indiano chiamato Areca (3 Feb- braio 1763). In —— Notizie sopra un frutto di Pinanga (7 Aprile 1763). Guapagni C.— Descrizione dell’Istrumento trovato dal Sig. Dott. G. de Videmar (9 Giugno 1763). MasertI S. — Relazione del Dott. G. de Videmar intorno ad una malattia gua- rita con la China (5 Agosto 1768). In. — Notizia su di una carta prodotta dalle deposizioni di Torbe (1 Settembre 1763). Dà «di Bologna. — Lettera al Manetti con descrizione di una nuova pianta chiamata Ambrosinia (1° Settembre 1763). Bo1ssiER DE SAUVAGES A. — Observations sur l'origine du Miela PIERO (9 Feb- braio 1764). FMEANETTI S. — Sopra le varie sorte di pane e grano (5 Aprile 1764, 5 Lu- glio 1764). Rosini Dott. M. — Sulla analogia delle produzioni terrestri (10 Maggio 1764, 7 Giugno 1764). DeL CovoLo G. B. — Irritabilità dei fiori flosculosi (3 Settembre 1764). MANETTI S. — Osservazioni intorno a nomi italiani volgari di nostre piante (11 Ottobre 1764). Ip. — Relazione di un viaggio botanico al Monte Baldo del Dott. A. Scura (7 Febbraio 1765). Ip. — Relazione d’alcune osservazioni del Sig. Scheffer sopra il vaiolo naturale ed artificiale (7 Febbraio 1765). Ip. — Sopra alcune Borse marine (2 Giugno 1765). Ip. — Propone 14 argomenti di studio per letture da farsi all’Acca- demia (6 Giugno 1766). Ip. — Aggiunge un altro argomento (8 Agosto 1766). MEeERNY G. -- Sulle proprietà dell'amianto (2 Ottobre 1766, 3 Ottobre 176...). MANETTI S. — Aggiunge altri tre argomenti (4 Febbraio 1767). Mari L. — Importanza delle Matematiche (letta dall’Ab. Niccolini (4 Feb- braio 1767). i DeL Riccio. — L’eleggersi le parti marittime e le mediterranee per ricomin- ciarne la popolazione (12 Marzo 1767). MANETTI S. — Sopra un ravanello mostruoso (12 Marzo 1767). MEsNnY B. — La natura e le cause producenti i varii generi delle febbri infiam- matorie (6 Agosto 1767). ManETTI S. — Prefazione al Catalogo delle piante del giardino (4 Feb- braio 1768). MeEsny B. — Storia di una malattia detta Priapismo (3 marzo 1768). MARATTI G — Lettera al Manetti con descrizione di Romu/ea e Saturnia (1° Giu- gno 1768). MANETTI S. — Relazione delle sue osservazioni sì naturali che erudite fatte in un viaggio a Volterra (7 Luglio 1768). Ip. — Intorno a due operazioni chirurgiche (4 Agosto 1768). MavyNARD. — Lettera a Manetti intorno ad una operazione chirurgica (4 Ago- sto 1768). # MANETTI S. — Sopra la natura e le proprietà del Larice (9 Settembre 1768). * ID. — Sopra alcune piante e frutti della Giudea (3 Ottobre 1768). DURAZZINI A. — Osservazione di una donna isterica che vedeva gli oggetti in giallo (12 Gennaio 1769). * MANETTI S. — Sopra quei pascoli detti Lotofagi. Conchiude che il Loto debba essere il Ce/tis africana procera fructu flavo (9 Feb- braio 1769). Bovi Rocco pi SciLLa. — Sulla formazione delle piante Marine (11 Mag- gio 1769). Ma .... G. — Sull’asfissia e modo di combatterla (letta da Manetti) (8 Giu- gno 1769). ManeETTI S. — Sopra alcune sorgenti d’acque nella sommità di Volterra (8 Giu- gno 1769) Maverti S. — Osservazioni naturali sulle montagne di Falzone (6 Tiglio 1769). di In. — Osservazioni naturali sui Monti della Vernia (3 Agosto 1769). _*I». — Trattato sulle Tartarizzazioni (1 Febbraio 1770). Ip. — Sul pane di Patata e di Grano gentile (1 Marzo 1770). In. — Produzioni naturali del Levante raccolte nei suoi viaggi dal signor G. Mariti, fiorentino (5 Aprile 1770). Ip. — Sul genere di vita delle Rondini in inverno (7 Giugno 1770). Mesxy B. — Notizia di una malattia endemica di America chiamata Fram. - (€ Giugno 1770). MaxETTI S. — Traduzione del viaggio di Latournet al Mont-Pilat (Francia) (11 Settembre 1770). In. — Sulle fermentazioni dei vini (Trad. dal francese) (7 Marzo 1771). Ip. — Sulla storia dell’introduzione dei Gelsi (10 Settembre 1771). Ip. — Sulle maniere di preservare le ulive dalle punture di insetti (29 Luglio 1773). Ip. — Nuovo metodo per estrar l’olio di ulivo (29 Luglio 1773). ZuccagGnI. — Dissertazione sopra il Te (Pres. dal Segretario) (14 Settembre 1775). TARGIONI 0. — Sulmeccanismo col quale i O attraggono alimento acquoso (12 e 18 Settembre 177 TarGIONI LuiGir — L'influenza dell’aria a sulla vegetazione delle piante (10 Ottobre 1776) MEDERER Dott. . .. — Sopra l’uso dell’olio di Ricino (11 Ottobre 1779). Lettera di Linneo. Viro Amplissimo D." D.» Xaverio Manetti Professori Botanico Florentino D. Po Carolus Linnaeus. Ante octiduum Tuas, Vir amplissime, die 26 Augusti 1757 accepi, quae ideoque ultra duos annos in itinere haeserunt; Accèpi simul Regnum Vegeta- bile, quod multo studio et doctrina adornasti, ut contineat in parvo compendio facile omnia, quae inserviant Botanicis fundamenti loco, in quo etiam me tanto adfecisti honore, ut anxius haeream qui queam mutuis inservire, ne in- gratus moriar. Mitto has cum Tabellario incertus num in tuas manus rite perbeniant ob longinquum nobis interjectum spatium. Laetabor si acceptas responsorias dederis, quo sciam num liceat ulterius per Tabellarium publicum literas mittere. Si itaque rescribes sit titulus epistolae Societati Regiae Scien- tiarum Upsaliae, ut eas tanto certius accipiam, cum ego ipse praefatae Socie- tatis literas aperio. Pulcherrimas ibidem adiecisti Plantas exsiccatas scilicet. Linum Flavum. Passerinas birsutam. Schoenum mucronatum. Anthyllides Vulnerariam rubro flore. Convolvulum ..... Andropogon hirtum. Senecionem trilobum. Cynosurum aureum cum ramulo Poae rigidae. Parietariam Lusitanicam. a Ai | Resedam odoratam. — denis atri Asplenium monstrosum. Rhamnum Alaternum. Cheiranthum tricuspidatum. Lysimachiam Linum stellatum® Euphrasiam latifoliam. Rumicem aculeatam marem. Lotum creticam. Medicaginem arboream. Filicem gallas ferentem nequeo ad speciem referre cum planta integra non sit; facile crederem gallas esse non proprias speciei, sed produci ab insectis, uti in reliquis plantis. Pro hisce omnibus ac singulis devotissimam refero mentem. At o Bone Deus quam multae rariores, pulchraeque plantae in vestra Italia, sub felicis- simo Coelo, sponte regerminant, apud nos extra solis vias facile remotos, vix nomine notae. Optaveram diù F/oram Romanam videre, Sabbati tamen illius longe per- fectiorem, sed vix videbit nostra aetas. Possent inde Botanici videre quae nam plantae septentrionales a Svecia suos terminos extendant per totam Europam et quae in itinere cessent. Doleo me numquam obtinuisse Drypim Micheli, nec Valisneriam, et Vali- snerioidem ejusdem, si poteris aliquando legere, quaeso eis meum herbarium instruas, quod forte hoc tempore vastissimum omnium est. Utinam via pateret transmittendi ad Te mea opuscula, quae tibi deficiant, quam lubenter hoc facerem; imprimis vellem mittere. Zoeflingii Iter Hispanico-americanum. Hasselquisti Iter Palaestinum. Systematis naturae editionem 10*, Vol. 2. Dissertationes. Politiam naturae, quae decet animalia creata ob Plantas. Generationem ambigenam, quae Cerebrum a matre, corpus a Patre oviri statuit. Floram Capensem. Floram Jamaicensem. Authores Botanicos. Naturam Pelagi etc. E discipulis meis Martin est in Norvegia; Ah/promer petiit Lusitaniam ; Logiè Algerium; Pontin Suratte; Forsgar Arabiam. Brownii omnes plantas americanas accepi. Jacquinus pulcherrima delexit. Doleo quod communis noster Amicus Dom." Saurages adeo adversa expe- riatur apud suos fata, cum tamen totius orbis medici eum antesignanum adgnoscant, et pueri ipsi praeferantur ad Cathedram. An ne aliquis in vestra Patria posset colligere Insecta. Accepi insecta a tota Europa excepta Italia. Dissertationes meae, quae prodiere, praeter eas, quae habentur in Amoeni- tatum Academicarum. Tomo 1°, 2° e 3°, sunt. Plantae officinales. Flora Anglica. Censura Vegetab. Officinalius. Herbarium Amboinense. Cynographia. Cervus Rheno. — Stationes Plantarum. Oves. LIV AI È | Mus Indicus. Horticultura academica. ee Chinensia Layerstromiana. Centuria I. Plantarum. Ù CI Metamorphoses Plantarum. Mi: Somnus Plantarum. “i Fungus Melitensis. ui. Flora Palaestina. 4 Flora Alpina. ni Calendarium Florae. 1a Morbi expeditionis Classium, s Febres Upsalienses. : Flora Danica. î Panis Diacteticus. Natura Pelagi. Buxbaumia. Exanthemata viva. Transmutatio Frumenti falsa. Culina mutata. Spigelia anthelmia. Medicamenta graveolentia. Arboretum Svecicum. Frutetum Svecicum. Pandora Sears 13 230007 » » » 3. Caule sommerso di Mentha rotundifolia. . . ./..° » >» » 4. Cilindro centrale del caule sommerso di Mentha ro- iundlifolia ala i nn ri » 5. Caule emerso di Mentha rotundifolia. . . ..... >» » Dea » 6. Cilindro centrale del caule emerso di Mentha rotun- i TOMI I ERO E and LARA » TavoLa VII Fic. 1. Caule terrestre di Menzha rotundifolia . . . . . . Sez. trasv. — » 2. Lamina sommersa di Mentha rotundifolia. . .. . >» DI » 5. Lamina aerea di Mentha rotundifolia . . .. . si DET » 4. Caule acquatico di Nasturtium officinale . . ... . >». >» _ » 5. Caule terrestre di Nasturtium officinale. . . .... » » i » 6. Caule acquatico di Comarum palustre . . . ... >» » _. » €. Caule terrestre di Comarum palustre. . . ..... >» » ui Le abbreviazioni usate per tutte le figure sono le seguenti: c. = cuticola | p. = pelo ca. — cambio ! pa. = palizzata e. = epidermide | p.c. — parenchima corticale en. — endodermide p.cr. = parte cribrosa f. = fibre | p.m. — parenchima midollare fm. = fascio midollare p.v. = parte vascolare g.a, — guaina amilifera s. = stoma kia,» sclerenchimatica s.a. = spazio aereatore i, = ipoderma s.m. = spazio midollare me. —— merenchima i ll 708 5009 (©) (o) x ®. CIR ve. FA 2 A Ho OG Juerarss gotta AIRRITIZA de o, MID SO SIR eso; ue ra TY PAM Og CO) r HE LI x eee.@; i STESO c Se 2. TER ( TE (@) De | dea a pi i; I I 2005: A_N PZA î © « Ann.Botan.] 3 ‘Ann.Botan.I. > ENT Sa es Li SSR (8, DESTRA el @; DARIDA A ui IR ( Fa ; STIA () . N ve S 0 DE rqfant, | IC: IRA PA A Tree a) Lu o RR SSIS N DS SITISIOLA O. INDI RU 3 SN) \ TAV Ì NI O 3 SLEFSSISIORTI ) TSI DESECNO AM RE - (7 PLOT NES INSTRUGA ADI) RESI vp rispettivamente alla sez. II, n. 1146 ed ‘alla sez. III, n. 1889, per esemplari raccolti presso Demerki nella prov. Semiène (typ.) e pel m. Scholoda presso Adua (var.). Avendo avuto occasione di esaminare gli esemplari in questione nell’ Erbario Centrale mi è sorto il dubbio che, a causa del calice più grande e della corolla a tubo più lungo del calice (2), sia il tipo come la varietà debbano rientrare nel ciclo di M. versicolor Sm. Se questo dubbio è giusto, vorrà significare che anche questa specie, notoriamente a racemo ebratteato, presenterebbe una forma a ra- cemo foglioso, anch’essa di origine stazionale. 6. MyosorIs ruscinonENsIS Rouy, Note sur le M yosotis bracteata Rouy, in Bull. Soc. Bot. Franc. a. 1891, p. 374 — M. bracteata Rouy, Espèces nouvelle pour la flore francaise, in 1. c. p. 265 (1891), non Alex. Braun? (3). (1) G. Rouy, Note sur le Myosotis bracteata Rouy, in Bull. Soc. Bot. Franc. 21891, p_ 307. (2) Ciò è è confermato anche dalla diagnosi data dal Richard, (op. c.) nella quale è detto: corollae tubo calycem paulo superante. (8) Il cambiamento del primitivo nome dato dal Rouy alla specie dei Pirenei fu determinato dal rinvenimento, da parte di questo florista, di una etichetta così concepita: M. bracteata Alex. Braun = M. hispida var. bracteata Hochst. Dalle mie ricerche non risulterebbe però che la specie di Braun sia stata mai pub- blicata. © più inno del Galico É & N°) (o > Meda, la ; è ; (pae Ro and Foe AL SC? LA re ® } A et a >; e ,4 4 A RES Si as ri x sedi sw è. valeria) SOT rate ROGER di, x e ra o i oa > »- vi È Questa specie, scoperta nei Pirenei orientali e precisam sabbie erbose fra Argelès-sur-Mer e Collioure e di cui potei esami- nare esemplari autentici nell’ Erbario Sommier, fu oggetto di molta controversia da parte dei floristi francesi (1). Trattasi anche qui di una forma principalmente fondata sulla fogliosità del racemo e da accostarsi, per il complesso dei caratteri, a M. collina, da cui però sembra abbastanza distinta per il fusto prostrato-diffuso a rami divaricati, il racemo flessuoso a zig-zag, i peduncoli fruttiferi patenti, gli inferiori 1-2 volte più lunghi del calice, i superiori subeguali, il calice piccolo a divisioni ottusette, le corolle minutissime e bianche. Una forma a corolla violacea fu distinta come var. Godeti Coste. L'opinione del Franchet (in l. c.) che debba sinonimizzarsi con M. hispida var. bracteata delle montagne abissine, non mi sem- bra sostenibile sia per il diverso portamento delle due piante, sia per la piccolezza del calice nella pianta dei Pirenei, ma sopratutto perchè il tubo della corolla non è allungato quanto nella forma abissina! In ogni caso ho voluto citare anche questa entità la quale; quan- tunque abbia raggiunto un certo grado di differenziazione, tuttavia, si riattacca a M. collina e sta a dimostrare che anche questa specie è in grado di attuare forme a racemo foglioso. L'esame particolareggiato delle entità passate in rassegna ci per- mette di risalire a qualche considerazione più generale e completare quanto avanti già esposi a proposito della interessante Myosotis del- l'Appennino marchigiano. Tutte le specie o varietà avanti descritte sono fondate sulla ri- presentazione di un carattere fillotattico di natura ancestrale, che me- rita di essere brevemente dimostrato. Come è noto, alcuni Autori hanno voluto scorgere nell’ infiore- scenza delle Borraginee quel sistema di ramificazione individuato dal monopodio, laddove invece, come chiaramente dimostrano molti generi della famiglia, concretasi in esse un vero e proprio sim- podio o cima bipara scorpioide, attuantesi per una successione di assi tutti od in parte monofilli od anche, in seguito ad aborto, del tutto afilli. (1) Oltre i due lavori sopra citati del Rouy, cfr. intorno a questa specie: Coste, Description d'un Myosotis d’'après de nombreux exemplaires récoltés, le 25 mai, sur la plage d’Argelès-sur-mer, in Bull. Soc. Bot. Frane., a. 1891, p. 267; FRANCHET, A propos du Myosotis bracteata G. Rouy; ibid. a. 1891, p. 327. ente Lana 4% pc Nei generi nei quali l’ infiorescenza presentasi fogliosa, la rea- lizzazione del simpodio è completa ed evidente. In quelli invece nei quali siffatta infiorescenza è afilla, il sistema simpodiale è assai meno evidente e può prestarsi ad una erronea interpretazione. Parecchie specie del genere Myosotis si trovano in quest’ultimo caso ed hanno fatto ritenere a molti che il genere in questione abe- rasse dal tipo di ramificazione più largamente esplicato dalla fa- miglia: e si sono citate le Myosotis come esempio di infiorescenze nude od afille. Se non che l’esame esteso a tutte le specie del genere mostra che non poche di esse sono fornite di assi tutti, od almeno gli infe- riori, monofilli e rientrano perciò nel sistema generale di ramifica- zione della famiglia: anzi, secondo qualche monografo, questo carat- tere serve a contraddistinguere intere sezioni del genere. Seguendo la classificazione del De Candolle (1), presentano in- fiorescenze fogliose o bratteate, del gruppo Eumyosotis: M. pusilla Lois.; M. stricta Lk.; del gruppo Gymnomyosotis DC: M. spathulata Forst.; del gruppo Strophiostoma Endl. tutte le specie e cioè: M. sparsiftora Mik., M. propinqua Fisch. et Mey., M. amoena Rupr.; del gruppo PAyllocephalum Boiss. l’unica specie nota e cioè: M. in- volucrata Stev. Delle altre specie ad infiorescenza normalmente afilla, si può dire non esista alcuna nella quale non si conoscano individui o forme, descritte spesso come entità specifiche, ad individui simpodiofori in tutto od in parte fogliosi. Tali sono le specie e varietà da noi sopra illustrate. In queste i singoli peduncoli fiorali, concrescenti in parte con l’asse che li porta, vengono a distaccarsi in punti assai diversi, come all’ascella o contro la foglia bratteale, in mezzo a due foglie eda due rami (nel quale ultimo caso stanno a rappresentare evi- dentemente l’asse principale abortito) od anche tra due foglie con- secutive. Ed è questa per avventura la più bella dimostrazione della natura simpodiale del sistema di ramificazione del genere, più o meno mascherata nella specie e forme ad infiorescenza denudata! Una siffatta fogliazione o frondescenza credo appunto debba in- terpretarsi come la ripresentazione di una disposizione fillotattica ancestrale, attuantesi in condizioni particolari di stazione in cui la pianta viene a trovarsi. Quali saranno le presumibili cause che determinano questo ri- torno di un carattere atavico? (1) A. De CanpOLLE, Prodrom. X. p. 105. Per limitarmi alle specie e ariora «ta me stata, SOGISNIO visto | che per alcune di esse (M. tenella, M. speluncicola, M. Alberti e forse anche M. hRispida var. bracteata) è essenzialmente la stazione ombreggiata ed umidiccia nella fenditura delle roccie riparate dalle radiazioni solari dirette che provoca tale fenomeno. Lo sviluppo di foglie, più o meno bratteali, sarebbe una reazione a queste partico- lari condizioni di stazione, esplicantesi con l'aumento della super- ficie traspirante. La pianta, escita da un ceppo xerofilo, attua di- sposizioni ordinate alla igrofilia. In altri casi (M. ra bitati ord) sembra essere principalmente l’influenza dell’altitudine che determina la riduzione di ogni parte della pianta, pure conservando nel maggior numero degli individui una facies xerofila. Quanto alla specie (M. ruscinonensis) raccolta nelle sabbie della regione mediterranea in prossimità del mare, non è facile determinare la causa efficiente del fenomeno, ma è molto probabile che debba attribuirsi a fattori edafici diversi da quelli che hanno provocato la coneretazione delle forme precedenti. In ogni modo possiamo concludere che la RC di una tale atavica disposizione fillotattica è strettamente connessa con cause che risiedono nella stazione e quindi con i fattori edafici. Ci resta a trattare l’ultimo argomento, che versa sul valore flo- ristico e sulla posizione nel Sistema delle entità avanti illustrate. Nella precedente enumerazione abbiamo tentato di riavvicinare le singole forme a tre specie diverse, generalmente ammesse come tali, sebbene tra loro molto affini, e cioè a M. stricta Lk., MM. collina Hoffm. e M. versicolor Sm. Questo riferimento attinge il vero nel caso di MW. minutiffora rispetto a M. stricta e di M. ruscinonensis rispetto a M. collina: nelle altre specie o forme è solamente approssimativo: sembra però che esse nel sistema debbano riferirsi od interporsi tra M. stricta e M. versicolor : ma credo che la sola osservazione non basti a decidere. A questo proposito è degno di rimarco l’osservazione che le entità in questione, pure essendo fondate sopra una deviazione fil- lotattica, presentano, ciascuna per sè, un complesso di caratteri per cui possono distinguersi fra di loro e dal presunto capostipite. Non sì tratta soltanto della distensione ed ampliamento della superficie traspirante, provocata evidentemente dalla stazione, ma della rea- lizzazione di caratteri concomitanti, quali la lunghezza, direzione, curvatura dei peduncoli, la forma e grandezza del calice e della corolla, l’abito della pianta, ecc. che sono in rapporto meno evidente con l’ambiente dove la forma stessa si attua. Se M. speluncicola e M. tenella si riattaccano, come pare, a M. stricta, 10 non so pen- si | i x A ‘debba conservarli eretti ed appressati al fusto anche a completa maturità. Dirò anzi che se vi è carattere certo che serva a distin- guere questa specie dalle affini è appunto la dirittura dei peduncoli in qualunque stadio dello sviluppo. Il caso presente è perciò sommamente istruttivo perchè mentre rivela che lo stimolo per la realizzazione di dette forme risiede es- senzialmente nelle condizioni di stazione, mostra anche che le rea- zioni non sono tutte in evidente rapporto con l’ambiente in cui dette forme si attuano. Ciò che rende assai verosimile la congettura che in realtà si esplichino in esse due ordini di caratteri e cioè quelli che rispecchiano fedelmente e direttamente l’ambiente ed altri che sono una manifestazione dell’attività vitale e specifica della pianta. Quanto poi al significato e costanza dei due ordini di caratteri credo che soltanto una prolungata coltura potrà completare od anche correggere i dati della osservazione ed assegnare esatta- mente la posizione gerarchica delle forme studiate. 9. Myosotis collina Hoffm. Deutsch. FI. ed. I, p. 61 (1791), var. gractllima (Lose. et Pard. Ser. inconf. plant. ind. Arrag. p. 72, a. 1563) — M. collina Ebrh. var. in Huet, 7. sic. exsic., n. 460. Questa varietà descritta e considerata come specie si riattacca evidentemente al tipo, da cui è distinta, secondo il Willkomm (1), per i fiori il doppio più grandi, per la pubescenza molle e per i fusti e rami più robusti e, secondo l’Halàcsy (2), per i racemi molto allungati e lassi ed i calici più piccoli. Gli esemplari della Sicilia « ad cacumen montis Busambra » pubblicati nell’ Evsiccata sopra citata e già riferiti dai signori Willkomm e Lange (3) a questa forma, corrispondono alla deseri- zione e figura della pianta spagnuola, che, a giudicare dal materiale secco, non pare possa ritenersi come specie distinta. Questa forma sarebbe, allo stato delle conoscenze, distribuita . nella Spagna, Sicilia e Grecia. Quanto poi al nome di M. collina Hoffm. (1791) esso deve es- sere preferito a quello generalmente invalso di M. hispida Schlecht. (1818), perchè anteriore. (1) WiLuKomwm, IMustr. fi. Hispan. insular. Balear., vol. II, (1886-92), p. 124, tav. 162 B. (@) Haràcsy, Conspectus florae grecae, vol. II, p. 356 (1902). @ (8) WiLLxom eT Lange, Prodrom. FI. Hisp. II, p. BU4 (1902). ANNALI DI BoranICA — Voc. I. i 20 sare perchè la forma igrofila e bratteata debba allungare e ricurvare | maturità i peduncoli, laddove la forma wxerofila ed a racemo afillo 10. My scotis -striola TL. a RORn SI yet. p.104 (1819) — M. arenaria Schrad. in Schultz, Prodrom. fl. Stara ; Suppl. I, p. 12 (1819). Questa specie, qua e là citata per la flora italiana per scambio con forme della precedente o ritenuta come varietà di M. arvensis e crescente con questa, è invece, come ho già dimostrato in una precedente nota (1), piuttosto rara nella Penisola e forse soltanto lo- calizzata nell’Italia settentrionale, ed in qualche punto di quella centrale. Alle stazioni già citate in quella nota aggiungo tre altre: Bergamo (Rota!) per saggi testè da me visti nell’ Erb. Zanardini conservato presso l’Istituto Veneto (Venezia); Sala (Berenger! in hb. Pat.); Sarmego in prov. di Vicenza (Sartori !). Quanto poi al nome di M. stricta, esso mi risulta pubblicato nello stesso anno di M. arenaria, ma merita, a mio giudizio, la prefe-- renza perchè più noto ed usitato. 11. Myosotis versicolor (Pers. pr. var. M. arvensis) Sm. Engl. bot. sub t. 2558 (1790-1814), var. Caprariae Nob. Nell’Erbario Sommier ho trovato dell’isola di Capraia (Argi- pelago Toscano) numerosi esemplari di una Myosotis che, per il com- plesso dei caratteri, rientra nel ciclo di M. versicolor Sm. Essi fu- rono raccolti presso il Semaforo (ZIV 1896), alla Punta dello Zenobito (6 IV-1896) e presso lo Stagnone nei luoghi umidi (21 IV 1398). Gli esemplari da me esaminati differiscono però dalla forma più co- mune nella quale si presenta in Italia questa specie caratterizzata, come è noto, dalla corolla, dopo l’antesi, manifestamente più lunga del calice da a tubo DIOItO sottile. Una forma di questa specie a corolla a tubo in grande Luna rinchiuso nel calice fu descritta da Jordan sotto il nome di M. fal- lacina Jord. in Boreau, 7. du Centr. de la France, ed. III, vol. II, p. 463 (1857), e ritenuta come varietà di M. versicolor dal Coste (op. c. II, p. 601). | I saggi di Capraia che ho sotto gli occhi sì avvicinano per il carattere della corolla a quelli della specie di Jordan, ma ne dif- feriscono, da quanto si può giudicare dalla diagnosi, per la pianta cespuglioso-ramosa con tendenza a diventare perenne (e forse tale negli esemplari più evoluti!), per il racemo corto ed a fiori molto ravvicinati e per la corolla a tubo alla fine un po’ più lungo del . p po -p & calice, ma senza però raggiungere le dimensioni solite della forma (1) Bécuinotr, in Bull. Soc. Bot. Ital., a. 1903, p. 260. . | x n non ancora descritta, ira quale del resto sono Foosiderabili ulteriori osservazioni in situ! Sez. II. — Strophiostoma Endl. 12. Myosotis sparsiflora Mik. in Hoppe, Taschend. p. 74 (1807). Nell’Erbario Centrale di Firenze esiste un esemplare di questa specie con l’esatta determinazione e l’indicazione in «Litore veneto » dove sarebbe stata raccolta dal Kellner nel 1846 ed acquistata nel 1848 dal raccoglitore. Questa specie, largamente distribuita nell’ Europa settentrionale, centrale ed orientale, non mi consta che sia stata fin qui Sh: per l’Italia. Siccome però la località indicata trovasi al difuori dell’area na- turale della specie, che mancherebbe inoltre nelle regioni finitime al Veneto (Istria, Tirolo, Svizzera, Littorale Austriaco, Dalmazia ecc.) così l'habitat desunto dall’ esemplare del Kellner desta qualche so- spetto e merita ulteriore conferma (1). ‘ Ho creduto tuttavia di annunciare il rinvenimento di questo esemplare per richiamare l’attenzione dei floristi di questa parte della Penisola sulla pianta. Dal R. Istituto botanico di Padova, gennaio 1904. (1) Avendo avuto occasione di esaminare recentemente l’ Erbario Kellner, conservato a Venezia presso il R. Istituto Veneto, non vi ho trovato della specie in questione che esemplari provenienti da Graz (Stiria). Ciò aumenta naturalmente i dubbi sopra esposti. MELI DI BoraxnICA — Vol. I. 204 en - DA Da ve dg x ei IR TT Re) e PI - } DI PERE TAN Saga è ia ; 3 Miitineltttà iodio y ieri Intorno alla “ Radula Visianica,, sp. nov. Nota del Dott. C. MaAssaLoNGO Lo Stephani nella monografia del genere Radula dallo stesso pubblicata nell’anno 1884 (in « Hedwigia »), distribuisce pres- sochè tutte le specie, fino allora note di questo genere, in do- dici gruppi o sezioni, essenzialmente basandosi sui loro caratteri ed abitazione; fa però notare come alcune specie di tipo aberrante non si possono subordinare a nessuna delle anzidette sezioni. Le specie della Flora d’ Europa spettano a due soltanto dei gruppi ammessi da questo epatologo, cioè a quello delle Macrolobae e delle Communes; di esse la sola Radula voluta va ascritta alle Macro- lobae, specie distintissima e caratterizzata dal lobulo delle sue foglie molto sviluppato, di forma rotondato-cordata, di cui il margine in- terno si estende, coprendolo, al di là del caule. Il gruppo delle Communes, comprende tutte le altre specie del nostro continente cioè: la PR. complanata (incl. ft. alpestris), I. Notaristi, R. Linden- bergii (incl. R. commutata e R. germana), It. aquilegia, R. Carrin- gtonii e R. Holtii, le quali, fra loro affinissime, possiedono in gene- rale foglie subrotundo-obovate, in diverso grado convesse, e lobuli romboideo-, od ovato-quadrati, più o meno rigonfi inferiormente. Il margine interno di detti lobuli è di solito saldato al caule E dalla base fino oltre la sua metà, superiormente invece è libero % d’ogni aderenza, dove, un poco inarcandosi od inflettendosi, produce un’ansa o minuta appendice incumbente, che arriva a coprire appena la metà del diametro del caule. Avuto riguardo alla spiccata uni- formità dei caratteri morfologici offerti dalle forme europee com- | prese in questo gruppo, onde facilitarne la loro distinzione, si è — dovuto ricorrere ad altri caratteri, così al colore ed alla condizione più o meno convessa delle foglie, alla presenza di lobuli appressl 0 rigonfi, e specialmente alla distribuzione monoica o dioica degli or- gani riproduttori, - A e Li A Le "al Be Sr RR mi zo 905 ” . pra - Lo % ale a quo | sì confinati che le piante “hdigene dil questo” Eenore i sono di grandezza relativamente mediocre e che per di più formano dei cespugli abbastanza appariscenti, sì avrebbe motivo di ritenere 1 ormai molto improbabile che, almeno nel dominio della Flora Eu- G ropea, si dovessero ancora rinvenirne delle specie nuove, tanto meno poi delle entità di tipo affatto esotico. Per questi motivi di grande interesse è la scoperta da me fatta nel nostro paese di una distin- tissima specie nuova di Radula, scoperta rilevante non tanto dal lato floristico, quanto per le considerazioni di geografia botanica che vi sì connettono. Qui intanto trascrivo la diagnosi della specie di fa- dula oggetto del presente articolo e nello stesso tempo unisco alcuni disegni illustrativi: i x | FIG. 1-2 — Frammenti di due piante, con foglie e brattee pericheziali, visti dal lato ventrale 89/,. FiG, 3. — Reticolo delle foglie 359/,. Itadula Visianica sp. nov. — Divica, minuta, caespitosa; caule ir- regulariter subbipinnatim-diviso; foZiis subflavo-viridibvs, flaccidis, disticho-patulis, planis, laxe imbricatis, ovato-subligulatis, rotun- dato-obtusis, margine ob cellulas prominentes (sub mieroscopio) minutissime crenulatis, dorso caulem subtegentibus; cellulis poly- gonalibus ad fol. medium 26:30 p. in diametro, trigonis minutis evanidisve. Lobulis foliis utplurimum quintuplo minoribus, basi tumidulis, oblique ovato-lanceolatis, apice saepe acuto vel acuminato et vulgo falcato-ineurvo, margine interno angusto cauli connato, externo et anteriore pro more arcuatis. P’erichaetio Sela QIARICA foliis subconformibus. Caetera desiderantur. Ro ET RT Sh dA Nei Colli È Ruga” « prov. di Padova » si Tali ‘Sengiari Ga terra o sul tronco degli alberi D sopra Torreglia, non lungi dal luogo | dove trovasi la villa che un giorno possedeva il defunto professore R De Visiani; 23 febbraio 1878. Ho agro questa insigne novità della Flora epaticologica eu- ropea alla venerata memoria del celebre botanico prof. R. De Vi- ‘siani, sotto la direzione del quale iniziava la mia modesta carriera scientifica. Osservazioni. — Per la forma delle foglie e dei loro lobuli, nonchè per l'aderenza del margine interno di quest'ultimi, per tutta la sua lunghezza, al caule, non può neppure paragonarsi con veruna delle Radula finora conosciute in Europa. Fra le altre specie esotiche, con tutta probabilità, particolarmente la /. flaccida Lindenb. et Gott., del Messico sarebbe quella, se mon erro, che più si accoste- rebbe alla /. Visianica. Noto però che la R. flaccida è specie epi- filla (în fol. cujusdam Psychotriae), possiede foglie integerrime nel margine (nè minutamente crenulate) e lobuli superiormente bensi attenuato-acuti, ma come sembra, non subfalcato-incurvi. La RR. flaccida come la . buccinifera fornite di foglie « mit spitz trianguliren Unterlappen » non potrebbero, secondo lo Stephani, per i loro caratteri, incorporarsi a veruno dei dodici gruppi sur- riferiti, in cui dallo stesso viene diviso il genere; a mio avviso a questa categoria aberrante si dovrebbe aggiungere ancora la £. Vistanica. Resta ora a spiegarsi la singolare presenza in una località dei Colli Euganei, di questa specie di tipo esotico. A tale riguardo è naturale che non si potranno fare che delle congetture, delle quali però la più probabile sembrami quella di ammettere cioè che in una ‘epoca anteriore e più o meno lontana dalla nostra, l’area di diffu- sione dei progenitori della /. Visianica fosse stata molto estesa. In ‘seguito per le mutate condizioni di clima, detta area si sarebbe, almeno nel nostro dominio, sempre più ristretta, fino a ridursi ad alcune poche e privilegiate stazioni, delle quali finora si avrebbe - segnalata quella dei Colli Euganei. La /?. Visianica in altre parole ‘costituirebbe un esempio di quelle specie relitte, che, forse più o meno modificate, successivamente all’epoca durante la quale gode- vano di un’area di diffusione assai più grande, restarono fra noi quali superstiti e testimoni viventi di una Mora, che esisteva una volta sul nostro continente, quando cioè il suo clima era molto di- ; | verso dall'attuale. Recentemente il sig. H. Lett, scoperse in Irlanda una specie di Bi; Adelanthus che, unitamente al prof. Douin, descriveva ed illustrava d SI Y , a = # L] % Motto sE nome di 4. TAI RANIS (1) pra: affatto « 3 held da yi. fr. dot Li 22 Pi | na pi pe vi sw , di Sh, si dat CSS 00. È Y IV ria shot” x vr j Rare altre congeneri nostrali, mentre sì rivela affinissima all’A. ì mis (Tayl.), indigeno del Capo Horn, Capo dellaBuona Speranza eu del Madagascar. Come ben si vede anche questa scoperta fa riscon- tro a quella della R. Visianica, e certamente tanto l’una che l’altra. devono annoverarsi fra quelle delle quali, nel dominio dell’ epati- cologia europea, da molto tempo non se ne aveva esempio. (1) Dourn. — Adelanthus Dugortiensis Douin et Lett; Chartres, 1904. TOA TE Brevi comunicazioni _V canali mucipari delle Cyclanthaceae e delle Hypoxida- ceae. — Nei due ultimi anni sono stati pubblicati due lavori in- torno alla anatomia delle Cyclanthaceae, uno di H. Mr- | CHEELS (1), l’altro di Erxsr von Oven (2). L'uno e l’altro di questi ‘autori notano la presenza e descrivono il percorso e lo sviluppo «dei canali mucipari come se essì li avessero peri primi accurata- ‘mente studiati. E però opportuno ricordare, che fin dal 1891 io trattavo ampiamente l'argomento in uno speciale lavoro (3). Analogo fatto avveniva tempo addietro, a proposito dei canali mucipari delle Hyporidaceae, dei quali io avevo trattato in speciali lavori nel 1892 (4). ni R. PiROTTA. (1) MicareLs H. — Carludovica plicata. Esquisse anatomique d'une Cy- clanthacée. Bull. Soc. Linn. Normandie, 5* sér., vol. V, 1901-02, p. 3. (2) Oven (von) E — Beitr. z. Anatomie d. Cyclanthaceae. Beih. z. Bot. -Centralblatt, XVI, 1904, p. 147. — (8) Pirorra R. — Sulla presenza di serbatvi mucipari nella Curculigo recurvata (Herb.). Rendic. Acc. Lincei. Cl. Sc. Fis. an. 1891, 2 sem., p. 291, e Ann. Istit. Bot. Roma, vol. V, p. 1. (4). — — Sulla presenza di serbatoi mucipari nella Hypoxis erecta L. ‘Bull. Soc. Bot. ital. 1892, p. 112, e Ann. Istit. Bot. Roma, vol. V, p. 83. | conoscenze botaniche all’agricoltura, se Notizie ed appunti Il. P. GABRIELE STROBL, ben noto per altri lavori intorno alla flora della ‘Sicilia, ha ora pubblicato, a complemento di quanto già apparve sulla Zora delle Nebrodi o Madonie di Sicilia: Die Dialypetalen des Nebroden Siciliens, nelle VERHANDL. D. Z00L. BOTAN. GEsELLSCH. Wien B. 53, 1905, pag. 433-558. Com- prende oltre ad un elenco nominativo di Briofite (determ. l'uratzka) e di Licheni (determ. Stein) 540 specie di Dialipetale. Spesso notizie interessanti e osser- vazioni critiche accompagnano l’indicazione delle località date per le diverse specie. E. OrtAVI e A. MarESscALCHI colla collaborazione dei signori Dewitz e Ver- ‘ morel hanno iniziato lo scorso anno, secondo le regole usate dall’Institut inter- national de Bibliographie con sede a Bruxelles, la pubblicazione di una « Br- BLIOGRAPHIA AGRONOMICA UNIVERSALIS », Reépertoire bibliographique des tra- ‘vaur parus sur l' Agriculture. Si pubblicano quattro volte all’anno i titoli in forma di schede, che si possono riunire per materia o'per autori. L. 10 all’anno. Dirigersi alla Ditta Fratelli Ottavi, Casalmonferrato (Italia). È annunziata la pubblicazione di un nuovo giornale dal titolo: ARCHIVES LAT!INES.DE MÉDECINE ET DE BioLoGIE. Fra i direttori si annovera il nostro collega prof. B. Grassi. Redattore capo è il sig. dottor Gustavo PITTALUGA e-la Redazione è a Madrid, Calle del Conde de Avanda, n. 18. ; L’AccapeMIA DELLE ScIENZE DI PARIGI ha messo a concorso per il gran premio delle Scienze Fisiche da conferirsi nel 1905 il seguente tema: Rechercher et démontrer les differents modes de formation et de developpement de l'oeuf | chez les Ascomycètes et les Basidiomycètes. | Dal 4 all’8 settembre 1904 si terrà a Ginevra il secondo CONGRESSO INTER- NAZIONALE DI FiLosoria. Delle cinque sezioni nelle quali si divide il congresso, "due sono importanti per i biologi, cioè: a) Logique et philosophie des Sciences; b) Histoire des Sciences. Quest'ultima sezione rappresenta il ITI Congresso in- tfernazionale di Storia delle Scienze, dei quali il secondo ebbe luogo in Roma «nel 1903. Per comunicazioni, adesioni, ecc., al Congresso di Filosofia, rivolgersi a ‘M. re Dr. Ep CLaParÈDE, 11, Champel, Genève; per quello di Storia delle | ‘Scienze a M. PauL TanneRY, Pantin (Seine, France). Gli editori Fratelli BorntRAGER di Berlino hanno iniziata la pubblicazione di Li un nuovo periodico organo della Vereinigung der Vertreter der angewandten | Botanik, che ha per iscopo il progresso degli studii della applicazione delle lvicoltura, commercio, industria. Il pe- | riodico ha il titolo: JAHRESBERICHT DER “VEREINIGUNG DER VERTRETER DER — ANGEWANDTEN BOTANIK. aa | parte del = tino terzo dell'opera iniziata da P. Kino | Handbuch der Bliiten- © Biologie. Come è noto, la morte del Dr. KnuTH interrompeva la continuazione di questa pubblicazione tanto lodata perchè molto ben fatta e assai utile. I primi due volumi, scritti da KxuTH trattano rispettivamente: Ein/eitung und Literatur e Die bisher in Europa und in arktischen Gebiet gemachten Dbliiten- biologischen Beobachtungen. 11 terzo affidato alle cure del Dr. O. APPEL e spe- cialmente del Dr. E. Loew tratterà: Die dbisher in aussereuropiiischen Gebieten gemachten bliiten-biologischen Beobachtungen, completando quindi l’opera. La prima parte, ora uscita, di questo terzo volume, condotta sul tipo dei prece- denti, contiene oltre la continuazione della bibliografia (dal titolo 2872 al titolo . 3547), la trattazione, per famiglia, genere e specie, delle Gymnospermae (p. 37-45), delle Angiospermae Monocotyledones (p. 43-218) e delle Angiospermae Dicotyledones Archichlamydeae fino alle Cornaceae (p. 218-562). Il testo è illu- strato da 141 figure-in parte nuove. Dobbiamo essere grati all’editore e specialmente al dott. Loew, perchè a loro si deve la continuazione e il complemento di questa opera indispensabile per tutti coloro che delle piante vogliono conoscere non solo la forma, ma spiegarne la ragione e il funzionamento. O. KircuxER, E. Lopw e C. ScHroRTER hanno iniziata una utilissima pubbli- cazione, ricca di fatti e di illustrazioni originali intorno alla vita di relazione (ecologia) delle piante dell'Europa media: Ledensgeschichte der Bliitenpflanzen Mitteleuropas. L’opera edita da E. Ulmer di Stuttgart, si comporrà di sei vo- lumi, che usciranno a fascicoli di 6 fogli di stampa a marchi 3,60. Il primo fascicolo comprende le Taxaceae e le Pinaceae tra le Gymnospermae. Un comitato composto dei professori ADRIANO FIoRI, AUGUSTO BEGUINOT e del dott. RENATO PAMPANINI si è costituito in Firenze allo scopo di pubblicare una Flora italica exiccata. Siamo lieti di annunciare che la opportuna idea è stata favorevolmente accolta, e che fin dal corrente anno si inizierà la distri- buzione dei fascicoli. Per ogni notizia rivolgersi al dott. R. PAMPANINI, presso il R. Istituto Bo- tanico, via Lamarmora, n. 6 dis, Firenze. I giornali hanno annunziato che la Commissione esaminatrice del concorso per la cattedra di Z/0/ogia agraria nella Scuola di agricoltura di Bologna (Borzi, Cavara, Morini, Nicotra, Giglioli) ha proposto primo, a maggioranza, il dottor VirtoRIO PEGLION, già incaricato di quest’ insegnamento nella Scuola medesima. Il 22 marzo moriva in Berlino il Prof. Dr. CARLO SCHUMANN. RsPB Dig Fui, pito o) AI fa J CdR VALI DI BOTANICA | SES PUBBLICATI Do RE, DAL Bi.; Pror. ROMUA EDO PIRO TELA ; 4 Direttore del R. Istituto e del R. Orto dio di Roma b;, INDICE 3 Biauinor A. — Nota sopra una specie di Diplotaris della flora italiana, A | pag. 305. ‘Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di d “Roma — Cerica MaxeILi G. — VII. Sulle modificazioni di struttura che fa la luce determina nel mesofillo delle piante a foglie persistenti, pag. 311 k - (T'av..XII, XIII, XIV). | LoxGo B. — Intorno ad alcune Conifere Italiane, pag. 323. . Rossi C. — La tossicità dei Sorghi come foraggio fresco, pag. 335. È: PiroTTA R. — Ricerche ed osservazioni intorno alla origine ed alla differen- |. ziazione degli elementi vascolari primarî nella radice delle Monocotiledoni | (contin. vedi pag. 43), pag. 345, con 18 incisioni. A Brevi comunicazioni : Re: : È 7 CORTESI F. — Una nuova Ophrys ibrida: > Ophrys Grampini (0. Ata "_. feraX tenthedinifera), pag. 359. Si TrorreR A. — Intumescenze fogliari di “ Ipomaea Batatas ,, pag. 362, ROMA ‘TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1904 } Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in Pad ta È z N h Vi 43 d A tempi non determinati e con numero di fogli e ta- ra . . aloe . Ù TOA Dì DI vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero Da ‘per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente | in 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne K un numero maggiore, pagando le semplici spese di pr carta, tiratura, legatura, ecc. î r Gli autori sono responsabili della forma e del conte- | D, nuto dei loro lavori. | 3. N.B.— Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al Va di prof. R. Pirorra, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. i i L Nota sopra una specie di Diplotaxis della flora italiana, pel Dott. AuGusto BEGUINOT LIBRARY PETE NEW YORK BOTANICAL GARDEN Nel n. 191 dell’/ter italicum tertium i signori Huter, Porta e Rigo distribuirono sotto il nome di Diplotaxis versicolor una specie, rite- nuta nuova, dagli stessi scoperta nella Calabria meridionale-orien- tale. La scheda che accompagna gli esemplari di detta specie porta la seguente indicazione di località: Calabria I orient. in collibus argillosis loc. humos. sub udis (sic). Dare Iroccella, versus montem St. An- drea, 300 m. Essa trovasi inoltre così descritta nella relazione del viaggio bo- : tanico compiuto dai nominati floristi in Calabria nell’anno 1877 relazione dovuta all’ab. Pietro Porta (1): Diplotaxis cersicolor nob.: a basi ramosa, ramulis singulis folio lyrato suffultis, siliquis linearibus brevi pedicellatis, floribus albis, dissecatione (sic) partim violaceis. Questa specie fu poi nuovamente raccolta nel 1898 dal Rigo a Roccella nei pascoli verso Caulonia e Bova e pubblicata, sotto il nome di D. apula Ten., dal Dòrfler nel n.° 259 dell’Ifer italicum quartum di G. Rigo. Di questa presunta nuova Diplotaxis potei recentemente esami- nare esemplari conservati nell’Erbario Centrale ed in quello privato del sig. S. Sommier, tutti provenienti dalla prima Exsiccata sopra citata, ed altri testè comunicatimi dal sig. Rigo appartenenti alla seconda. Non trovando menzione di essa in nessuno dei lavori che ri- guardano la flora italiana ho creduto opportuno di attuare qualche ricerca e presento in questa nota i risultati a cui son giunto, mercè l’esame del materiale secco avuto sin qui a mia disposizione. Secondo risulta dalla diagnosi e da un primo esame degli esem- plari, il carattere dei petali che sarebbero bianchi sul fresco e con tendenza, nella disséccazione, a diventare bianco-violacei, condur- rebbe a ricercarne le affinità nelle tre specie della sezione Anocar- (1) PORTA. — Viaggio botanico intrapreso da Huter, Porta e Rigo in Cala- | bria nel 1877, in Nuov. Giorn. Bot. Ital. X (1879), pag. 249. ANNALI DI BoTANICA — Vor. I. x Di da ug ea dia A pa: È Lim È Pa pei FIN À Fed TRN WE 53 "avi ta vr r dui È wi x a i — pum DC. (= Rhyncocarpum Prantl, p. p.(1)) a fiori bianchi o bianco- n. hi, Sri Ch Ò si Ae AEEO ì violacei e cioè D. erucoides DC. ; D. acris Boiss.; D. Griffithii Hook. fil. et Th. Ma dalla prima si distacca per la forma delle foglie, per la forma e grandezza dei petali, e per la costante mancanza di semi nel rostro : dalle altre due per non avere il calice, dopo l’antesi, un po’ gibboso alla base, carattere per cui ricordano il gen. Moricandia, a cui fu rife- rita da qualche Autore (De Candolle, Gay) la seconda di queste specie. Tratterebbesi perciò di una specie diversa e quindi, come riten- nero gli scopritori, nuova. | Alla stessa conclusione sì perviene confrontandola con i prodotti della frammentazione a cui è andato incontro la prima delle spe- cie nominate e cioè D. erucoides, nella parte meridionale della sua area distributiva. (1) Il carattere per cui il Prantl (in Engler e Prantl, P/lanzenfam. III, pag. 176) ha stabilito questa sezione, staccandola dalla sez. Anocarpum e cioè la presenza di 1 o 2 semi nel rostro è del tutto artificiale, poichè si verifica soltanto negli individui molto evoluti ed in questi nelle silique meglio svilup- pate. L’ impiego di tale carattere allontana, ad esempio, D. muralis e D. tenuifolia da D. virgata DC. collegate da affinità evidentissime. La mancanza di semi nel rostro in questa ultima è costante negli individui meno sviluppati, i quali perciò dovrebbero essere assegnati ad una sezione differente da quella a cui appartengono le forme descritte come tipiche!Questa specie, come altre del genere, attua la eteromericarpia, ma, come fu riconosciuto anche recente- mente dal Villani « Malpighia, a. 1903, p. 523 » questo carattere resta un’acquisi- zione individuale. Nè mi sembra più felice il raggruppamento proposto dai signori Willkomm e Lange « Prodrom. Fl. Hispan. III, pag. 864 (1880) », adottato anche da al- cuni autori più recenti, di riunire in un gruppo le specie presentanti uno scapo (Scaposae) ed in un altro quelle provviste di un vero fusto foglioso (Foliosae). L'impiego di questo carattere porta ad avvicinare, ad esempio, D. virgata e D. tenuifolia, ma ne allontana D. muralis. Ora se è vero che la forma tipica di quest’ultima specie presenta soltanto uno scapo e si comporta come pianta annuale, esistono individui che in con- dizioni particolari, come ho potuto testè verificare studiando questa pianta nei Colli Euganei, diventano bienni e si provvedono di un vero e proprio fusto fo- glioso per un certo tratto. Se perciò non è, allo stato delle conoscenze, giu- stificato di ritenere come già il Bertoloni « FI. It. VII, pag. 70 (1847)» D. mu- ralis come una varietà di D. fenuifolia dovuta alla stazione (Raditus totius spe- ciei pendet a loco), e credo azzardata l’opinione manifestata dal Tanfani « FI. It. IX, pag. 966 » che D. muralis possa essere D. tenuifolia alla prima fiori- tura, sono d’altro canto persuaso che le due specie non possono essere riposte in due gruppi differenti. D’ altra parte D. virgata, che di solito presenta un fusto distintamente foglioso, offre alcune forme, probabilmente annuali, sca- pose, a portamento :.nalogo a D. muralis e perciò non può essere riposta in una sezione differente da questa. Le affinità poi fra D. muralis e D. tenuifolia, oltre che da forme intermedie (come ad es. D. intermedia Schur) sono, in qualche modo avvalorate dalla presenza di ibridi, tra i quali è ascritta D. Wirtgeni a e OnnS è noto, il iene: a) una pianta a qa lirato-roncinate o roncinato-pennatifide a lobo voti , 1) tec) Ì a "7% ritenne come tipo di DI ‘erucoides terminale lanceolato-acuto poco più grande degli altri. | La figura citata del Barrelier (2) riproduce esattamente il tipo tenoreano. Sembra che anche Linnè (3), come si deduce dalle dia- gnosi e dalle figure citate, intese di descrivere sotto il nome di Sina- pis erucoides essenzialmente la pianta di cui è parola. Lo stesso T'enore per piante della Basilicata e delle Puglie creò, a spese di /). erucoîdes Auct., due specie e cioè D. hispidula Ten. 4) e D. apula Ten. (5). Hausskn.(= D.tenuifoliaX muralis Wirtg. FI. pr. Rheinlande, pag. 169, a. 18 70); Cfr. Focke, Die Pflanzen-Mischlinge: Berlin, pag. 89 (1881) e Camus, Stati- stique ou catalogue des plantes hybrides spontanées de la flore Europèenne, in Journal de Botanique, pag. 158 (1898). Assolutamente artificioso si appalesa poi il raggruppamento stabilito dal Bois- sier (op. cit.) sul colore dei fiori. Secondo questo criterio, nelle Diplofaris a | fiori gialli sono ravvicinate due stirpi morfologicamente e filogeneticamente assai distanti e cioè quella che abbraccia le specie a silique erette (Anocar- pum DC.) e quella a silique pendenti (Catocarpum DC.). Ed io invece credo che solo questo carattere, data la sua costanza ed ii suo evidente significato nella biologia della disseminazione, sia valevole a di- stinguerein due gruppi naturali la specie del gen. Diplotaxis. Il raggruppamento perciò del De Candolle, per quanto più antico, ritengo sia più attendibile di altri proposti in seguito e perciò meritevole di essere ripristinato. Esso è in qualche modo avvalorato dalla distribuzione geografica attuale delle specie, perchè mentre molte delle Anocarpum, presumibilmente dopo il periodo glaciale, hanno reinvaso gran parte dell'Europa, tutte le Catocarpum sono rimaste legate nella presunta patria di origine e cioè nel bacino Mediterraneo, sia nell'Europa me- ridionale come nell’Africa boreale. (1) Cfr. M. TENORE. — Sy0l. plant. vascul. fl. neap. ecc. Neapoli, a. 1831, p. 325. (2) I. BARRELIER — Plant. per Gall. Hisp. et Ital. observ. ecc., Parisiis, a. 1714, 1c. 132! (3) Cfr. H. E. RicaTER. — Codex botanicus linnacanus : Lipsiae, a. 1835, p. 648, n. 4869. (4) Questa specie fu stabilita dal TENORE sotto il nome di Brassica hispida nel 1815. Cfr. Ad catalogum plantarum horti regii neapolitani a. 1813 editum appendix prima: Neapoli, ed. I, a. 1815, pag. £9; ed. II, a. 1819, p. 54; 7. Nap. (Prodrom.) p. xxxIx, a. 1811-15 (nom. nud.) Fu poi trasportata dal Tenore stesso sotto il nome di Rispidula (onde evitare l’omonima D. hispida [VALA. sub Si- symbrio] DC.) nel gen. Diplotaxis. Cfr. FI. Nap. Syll. (in folio) vol. IV, ‘a. 1880, p. 93; Sy. fl. neap. (in 8°), a. 1831, p.325; FU. Nap. V., p. 73, a. 1885-36, La tavola 240 che doveva ritrarre queste specie e D. apula non vi corrisponde e non mi consta che sia stata mai pubblicata. (5) Questa specie fu stabilita dal Tenore sotto il genere Sinapis. Cfr. FI. Nap. (Prodrom.), p. xxxIx, a. 1811-15; Ad catal. plant. append. ecc. ed. I, a. 1815, p. 60, ed. II, a. 1819, p. 54. Fu trasportata in seguito nel genere Diplota ris. Cfr. FI. Nap. Sy. (in folio), vol. IV, a. 1830, p. 941; Sy2. fl. neap. (in 8°) a. 1831, p. 326; 7. nap. vol. V, a. 1835-36, p. 73. s ee e. sarebbe glabro o solo sparsamente peloso lungo il fs ma so- pratutto per le foglie lirato-pennato-partite, a lobi ovali-ottusi il terminale assai più grande dei laterali, laddove sono lirato-ronci- nate o pennatifide ed a lobi acuti e subeguali in quello. Secondo la diagnosi del Tenore i fiori sarebbero bianchi e percorsi da venature di un violoceo-oscuro. D. hispidula fa quasi generalmente sinonimizzata con D. eru- coides o tutt'al più considerata come una variazione peloso-ispida del tipo; però la forma delle foglie, negli esemplari meglio carat- terizzati, si appalesa abbastanza diversa e costante e pere di distinguerla senz’altro da quello (1). D. versicolor differisce dalla specie tenoreana in questione per essere pianta glabra, eccetto che nel fusto munito di piccoli peli sparsi, per le foglie strettamente lanceolate, meno manifestamente lirate, e per i fiori più piccoli bianchi sul fresco e con tendenza con la disseccazione a diventare violacei. La pianta calabra non può perciò essere scambiata con questa forma. La seconda specie e cioè D. apula Ten. è pianta glabra ad. ec- cezione della parte inferiore del fusto munito di brevi peli, ed è ca- ratterizzata dalle foglie lirato-roncinate o sinuato-dentate e perciò a lobo terminale poco distinto, dai petali di colore carnicino e porporini nell’anghia, dalle silique lungamente peduncolate e circa il doppio più lunghe delle precedenti. Di questa presunta specie ho potuto esaminare esemplari au- . tentici conservati nell’Erb. Centrale (Firenze) ed altri provenienti da piante coltivate nell’Orto Botanico di Napoli e posseduti dal- l’Erb. Generale dell’Ist. bot. di Padova. Differisce dalla tipica D. erucoides per la forma delle foglie e sopratutto per la particolare incisione del lembo che la fecero pa- ragonare dal Tenore a Brassica elongata Ehrh. (2), per il colore dei fiori e per le silique circa il doppio più lunghe ecc. Nonostante ciò, D. apula o fu del tutto trascurata come dal Bertoloni, o sinoni- (1) Corrisponde egregiamente agli esemplari distribuiti nel n. 109 dell’IZer- barium siculum (sub D. erucoides DC.). Cfr. H. Ross, Beitrdige zur Flora von Sizilien. Erliuterungen und kritische Bemerkungen zum Herbarium Dei x II Cent., in Bull. Herb. Boissier, a. 1901, p. 1209. (2) Cfr. L. ReicHENBACH. — Ice. fl. germ. et helvet n. 4430 (sub PARSO] elongatum). arthalo ale zati On” | ne È Tanfa di TILGUMIE o ‘= sa) come una ani di di "Da considerarono invece come specie a sè i signori Cesati, Passerini e Gibelli (2 ). Altre o sono poste in evidenza dal confronto con D. ver- sicolor della Calabria. La pianta calabra si distacca dal tipo tenoreano per il fusto ramoso fino in prossimità della base e quivi solo foglioso, per le foglie più piccole e più strette, ne lirato-sinuate a lobi subeguali e soltanto il superiore un po’ più sviluppato, per i racemi lunghi e vergati con i fiori inserentisi a distanza eguale e per lungo tratto ecc. Negli esemplari da me esaminati inoltre i petali sono circa la metà più piccoli, strettamente obovati ed insensibilmente attenuati in basso (3); bianchi nel fresco e con tendenza sul secco ad assumere una tinta bianco-violacea; le silique sono brevemente pe- duncolate e della lunghezza di n della tipica D. erucoides. Il portamento della pianta e sopratutto quello dell’ infiorescenza vergata e la piccolezza dei fiori avvicinano D. versicolor a forme ridotte di D. virgata DC. con cui potrebbe senz’ altro essere con- fusa sul secco, mentre sul vivo se ne distaccano nettamente per i fiori gialli (4). In ogni caso la pianta calabra è una forma paral- lela a varietà diminuite ed annuali di D. virgata e ricorda nel porta- mento le D. muralis e viminea. Il cambiamento di colore nei fiori è abbastanza diffuso nelle specie del gen. Diplotaxis. Esso è anzi caratteristico di molte Di- plotaxis a fiore giallo le quali, in seguito alla disseccazione, assu- mono un colorito biancastro. Questo fatto è ben noto per specie estranee alla flora italiana quali D. virgata DC., D. catholica DO., D. tenuisiliqua Del., D. trifolia Kunze ecc.: nelle nostre specie è in- vece eccezionale: è avvertibile soltanto uno scoloramento negli in- dividui a fiori violacei e carnicini di D. erucoides e, da quanto ho potuto osservare, in quelli di D. apula Ten. (1) Il quale sentenziò: La Diplotaris apula di Tenore non differisce per nulla (!) dalla comune D. erucoides ; non è tampoco una varietà ..... ecc. Cfr. FI. It. di F. Parlatore, continuata da T. Caruel, vol. IX, p. 970. (2) Compendio della flora italiana, p. 838. (3) La forma assunta da questi petali corrisponde in tutto a quella dei pe- tali di D. viminea DC. i quali ultimi ne differiscono soltanto per essere circa la metà più piccoli. (4) Si confronti, ad esempio, con D. virgata DC. var. humilis Coss. ap. Bourg, | distribuita appunto da Cosson e Bourgeau nei n. 999 (a. 1850) e 1564 et dis (a. 1858) delle « Plantae Hispanicae exsiccatae!» Sul polimorfismo poi di D. virgata DC. cfr. Cosson, Compendium florae atlanticae ecc. Paris, II (1887). p. 162. ll pe è (4 ST « "n + À tata ieri: da non sì ga, che pre un Li debo. e Carattere organole co, COStIti peculiarità di D. versicolor che serve a distinguerla dalle altre forme o razze affini. La forma dei petali realizza un’altra valida nota. differenziale. — È probabile invece che i caratteri desunti dal sistema vegetativo e sopratutto dalla forma delle foglie e dal portamento dell’ infio- rescenza siano in rapporto con le condizioni di stazione e di clima nelle quali la pianta vegeta. Le ulteriori ricerche su materiale più abbondante e meglio an- cora in situ potranno mettere in evidenza i limiti di oscillazione e la costanza o meno di detti caratteri. Dall'esame fatto risulta che D. versicolor concreta uno dei prodotti della frammentazione a cui è andato soggetto un tipo di lata distribuzione come D. erucoides, prodotto che, allo stato delle conoscenze, deve essere avvicinato a D. apula, ma non può essere sinonimizzato nè con questa nè con altre razze o forme affini. Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma VII. Sulle modificazioni di struttura che la luce determina nel mesofillo delle piante a foglie persistenti, del Dott. GrovANNI CERICA MANGILI (Tavole XII, XIII, XIV). Per consiglio del mio maestro prof. R. Pirotta mi occupo da parecchio tempo di ricerche intorno alla diversa forma, posizione e struttura delle foglie di piante legnose sempre verdi sotto l’in- fluenza di diverso grado di illuminazione. L'argomento non è nuovo certamente; ma credo che non sia stato finora da nessuno con- dotto uno studio di questo genere nel modo da me seguito. /o, cioè, avuto cura di togliere sempre le foglie dallo stesso individuo e pre- cisamente le une nel più folto dei rami interni e quindi debolmente illuminate ; le altre, dai rami isolati alla periferia e specialmente alla sommità della pianta e perciò illuminate fortemente. E ciò ho fatto per tentare di eliminare con semplici osservazioni su indi- vidui viventi liberamente nel giardino, le altre cause, che, come è noto, concorrono insieme alla luce nel determinare modificazioni di forma e di posizione delle foglie e per cambiare la loro interna struttura. È chiaro infatti, che studiando le foglie del medesimo individuo, di alcuna di quelle cause, come dell'umidità del suolo, non è più il caso di parlare, e di altre se non si può dire che sieno del tutto eliminate, si ottiene di certo una grande attenuazione. Il mio studio consta di osservazioni e di esperimenti; numerose ‘sufficientemente mi sembrano le prime, troppo incompleti invece . sono i secondi. Per ciò, sembrandomi che anche i risultati di sem- plice osservazione, condotti col metodo sopra indicato, siano di qualche interesse, ho creduto farli conoscere quale modesto ma nuovo con- tributo, riservandomi di continuare le ricerche sperimentali. Per ciò tralascio di fermarmi a trattare di quelle differenze di- pendenti da adattamenti a forma e posizione e riguardanti in gran parte la morfologia esterna della foglia, non potendosi per esse, Me | _ non pochi autori che si sono occupati della aUCSTRRE ed hanno emesse varie opinioni ed apprezzamenti, ma non hanno determi- nato con esperienze numerose e sicure le singole cause e la loro speciale o comune azione. In oltre quaranta specie di piante sulle quali ho fatto le mie osservazioni, la maggior parte, mi sembra, da nessun altro studiate sotto il mio punto di vista, ho trovato a gradi e in diversa maniera le foglie all'ombra generalmente più ampie di quelle al sole, salvo poche eccezioni. Al contrario il loro spessore è molto minore, di- modochè si presentano più molli e pieghevoli, liscie sulle due superfici, di colorito più pallido, mentre quelle al sole erano più robuste e consistenti, di un verde intenso, con nervature affondate sulla faccia superiore, sporgenti invece nell’inferiore, caratteri tutti già da parecchi autori constatati. Ho riscontrate inoltre differenze nella lucentezza o meno delle superfici fogliari, nel rivestimento di peli delle stesse nelle foglie al sole in alcune piante, mentre le foglie all'ombra ne sono prive o quasi: differenze nel numero e riparti- zione degli stomi, che in alcune specie erano più numerosi nelle foglie soleggiate, in altre non variavano di quantità apprezzabile, in altre infine erano più numerosi nelle foglie ombreggiate. Come già da molti notata, la posizione delle foglie poco illuminate è oriz- zontale o pendente, e la lamina è generalmente piana, mentre al sole questa ultima è variamente piegata e talvolta accartocciata, e la stazione è più o meno eretta tendendo spesso ad accostarsi alla verticale. Per ciò che ha riguardo alla diversa struttura anatomica delle due sorta di foglie, ometto di rilevare le differenze notevoli dell’epider- mide e della cuticola, degli strati ipodermici quando esistono, del tessuto conduttore e di sostegno costituentii fasci fibro-vascolari ece., per le stesse ragioni addotte innanzi, e mi limito per ora ad esporre 1 più importanti fatti da me osservati nei parenchimi verdi del me- sofillo. Si ammette generalmente, che la differenza di struttura nei tes- suti clorofilliani, ai quali è affidata la formazione della sostanza organica, nelle foglie ombreggiate di fronte a quelle soleggiate, e cioè il pochissimo sviluppo del parenchima a palizzata nelle prime e quindi il predominio dello spugnoso, l'enorme sviluppo invece. del palizzata nelle seconde, sia dovuto all’intensità ed alla du- rata dell’illuminazione. Ricorderò a questo riguardo soltanto al- cuni lavori, he le i luoghi om brosi come il Peucedanum Cervaria, la Linosyris vulgaris ecc., è quasi esclu- sivamente di palizzata; fra questi tipi estremi esistono poi tutte le gradazioni intermedie. Nota pure che le diverse piante posseggono maggiore o minore facoltà di adattarsi a differenti condizioni di luce, e cita come forme molto adattabili gli alberi da foresta, e sopratutto. il faggio, in cui il mesofillo delle foglie all’ombra è in prevalenza formato da cellule stellato-schiacciate, mentre quello di foglie cre- sciute al sole è tutto di cellule a palizzata. Conclude infine dicendo che le cellule a palizzata sono la forma cellulare adatta ad una viva luce, le spugnose ad una luce debole. Pick (2) conferma l’opinione di Stahl mediante le sue osserva- zioni ed alcune esperienze. Illuminando fortemente la faccia infe- riore della foglia di un Colchico, su questa faccia egli ottenne del tessuto a palizzata, mentre la faccia superiore poco rischiarata pos- sedeva i caratteri del tessuto spugnoso; ed illuminando in piante con cellule clorofillifere nella corteccia del caule un lato molto più del lato opposto, trovava che in questo lato si accentua molto il carattere di palizzata delle cellule corticali. E ritiene che se è vero che il palizzata nella maggior parte delle piante si trova già nelle foglie embrionali per ereditarietà, esso però non sì sviluppa se non per effetto della luce. Haberlandt (3) constata anch'egli il maggior sviluppo del pa- lizzata alla luce intensa; crede però che questa non abbia un’ in- fluenza diretta sulla struttura, bensì sulla disposizione. Della di- versità di struttura poi dà una spiegazione fisiologica, in rapporto cioè alla funzione fotosintetica che le cellule del palizzata compiono egregiamente a differenza delle cellule spugnose, e cioè, che esse (1) Sraunr E. — Ueber den Einfluss der Lichtintensitàt au f Structur und Anor- dnung des Assimilationsparenchyms — Botan. Zeitung vol. 38, 1880, pag. 568 Ueber den Einfluss des sonnigen oder schattigen Standortes auf die Ausbildung der Blétter — Ienaische Zeitschr. f. Naturwiss. XVI, 1888 (2) Pick H. — Ueber den Einfluss des Lichtes auf die Gestalt und Orientirung | der Zellen des Assimilationsgewebes — Botan. Centralblatt vol. XI, 1882, pag. 400. (3) HasERLANDT G. — Vergleichende Anatomie des assimilatorischen Gewe- di: | besystems der Pflanzen. Pringsheim Jahrbiicher vol. XIII, 1881, pag. 74. — ID. Ueber das Assimilationsystem. Berichte der deutschen Botanischen Gesellschaft. < A B. 4, 1886, pag. 206. sofillo a tipo el tutto differente di quello di piante di stazione so- | leggiata. Così in piante proprie di bosco, quali l’Oralis Acetosella, la Mercurialis perennis, molte Felci ecc., il mesofillo è totalmente costi- tuito da parenchima spugnoso ; in piante invece di luogo soleggiato, Piro in più breve tempo i Foro della Sane verso il AME i di trasporto. Quest’opinione da pochi condivisa è, come si vede, un’interpre- tazione diversa dell’azione luminosa; ma in realtà sarebbe sempre la luce la causa efficiente che aumentando l’attività funzionale del parenchima più ricco di cloroplasti, ne determina le modificazioni di struttura. Grosglick (1) studiando lo sviluppo progressivo delle foglie di Eucalyptus Globulus, dalla gemma fino allo stato adulto, trovò una altra prova in sostegno delle opinioni di Stahl, confermandola anche sperimentalmente. Osservò che nella gemma le foglie presentano il mesofillo costituito di cellule tutte uniformi, poco più alte che larghe; che più tardi esponendo la loro faccia inferiore all’azione luminosa, solamente su questo lato si forma il palizzata: e che in seguito, spiegandosi, assumono una posizione in cui le due faccie ricevono presso a poco la stessa quantità di luce, ed ambedne allora presentano del parenchima a forma di palizzata; che alla fine, quando le foglie diventano orizzontali prendendo l’orientazione de- finitiva, il palizzata si allunga ed aumenta molto sulla faccia supe- riore, mentre nella inferiore le cellule scostandosi ed arroton- dandosi vengono a formare il parenchima spugnoso, e che quando le foglie restano verticali, allora conservano il palizzata sui due lati. Dufour (2) che ha accompagnate le sue osservazioni con delle esperienze eseguite su varie piante erbacee, facendo agire ora la luce solare diretta, ora la luce diffusa e mantenendo per quanto è possibile identiche le altre condizioni di ambiente, ovvero variando nelle stesse condizioni di luce, gli altri agenti esterni, confermò, per quanto riguarda lo spessore della lamina fogliare e le modifi- cazioni che subisce il mesofillo, che il parenchima a palizzata era sviluppatissimo alla luce Hifctte, mentre si presentava molto ridotto alla luce diffusa, in cui alla sua volta aveva un forte predominio il parenchima spugnoso. E poichè tanto le esperienze che le semplici osservazioni degli autori citati e di altri ancora, che credo omettere per brevità, sono concordi nel far ritenere che sia la luce la causa che modifica va- riamente la struttura anatomica del mesofillo, determinando la for- (1) GrosaLick S.— Ueber den Einfluss des Lichtes auf die Entwickelung des . Assimilationsgewebes. — Botan. Centralblatt, t. XX, pag. 374. (2) Durour L. — Influence de la lumière sur la forme et la structure de la feuille. — Annales des Science. Natur 7° série, Botanique, t. V, 1887, pag. 311. ù Marca È pai ‘minate, e di spugnoso in quelle poco illuminate, esporrò qui i risultati delle ri-. È | cerche da me eseguite che confermano quelle dagli altri già fatte; È i portando però, come ho detto per il metodo da me seguito, un con- * tributo modesto ma non privo di interesse. 0 Mi limito pertanto a illustrare ora, corredate da appositi disegni, 2 le strutture più rimarchevoli del mesofillo, che io abbia riscontrate, È per profonda differenza anatomica tra le foglie più ombreggiate (che Sa fin da ora per brevità chiamerò colla lettera A) e quelle più soleg- giate (che chiamerò 5). Kapsura JapoNICA Juss. — In una sezione trasversale di una fo- glia A di questa pianta eseguita nel mezzo della foglia stessa, os- serviamo sotto l’epidermide una sola serie di cellule molto grandi e tozze, non misurando in altezza che due o tre volte al più la loro larghezza, orientate col loro asse maggiore normalmente alla super- ficie fogliare, e quindi costituenti il così detto parenchima a pa- lizzata (Tav. XII fig. 1a) Il resto è occupato dal parenchima spugnoso, le cui cellule grandi anch’esse sono rotondeggianti od allungate pa- rallelamente alla detta superficie; e questo tessuto rappresenta quivi oltre i due terzi di tutto lo spessore del mesofillo. Nella foglia B poi le cellule a palizzata sono enormemente allungate, arrivando misurare in altezza da sei a sette volte la propria larghezza (Tav. XII, fig. 10); il tessuto spugnoso si presenta fortemente ridotto in con- fronto del palizzata, consta di minor numero di serie di cellule, e non rappresenta che appena la metà del mesofillo, l’altra metà es- sendo occupata dall’unica serie di cellule del palizzata. Pirrosporum Topira Ait. — Nella sezione della foglia poco illu- | minata, vediamo il tessuto a palizzata formato da tre serie di cel- k lule poco allungate, con un rapporto fra altezza e larghezza da 1 ‘/, a 2; le cellule della prima serie immediatamente sotto l'epidermide |. superiore sono un po’ più alte di quelle della seconda serie, e que- : ste alla loro volta un po’ più di quelle della terza (Tav. XII, fig. 20). ; Questo fatto, che riscontreremo molto frequente, possiamo addurlo i come un’altra prova per ritenere, che è l'intensità della luce quella che determina l’allungamento delle cellule clorofilliane, che vengono È a costituire il palizzata; giacchè man mano che le serie di cellule È sono più profonde, ricevono i raggi luminosi sempre più indeboliti per aver attraversato le serie soprastanti, e quindi la loro azione ci produce effetti meno evidenti. Nella sezione di foglia molto illumi- nata osserviamo il palizzata costituito da tre serie anche, come prima, ma le cellule sono di altezza notevolmente maggiore e lar- | ghezza minore, con un rapporto fra quella e questa variante da 3 a ua M gilt la 3 ; (Tav. XII, Sr spa A Filato cono Saghe e qu la: ene SÒr si pa cialmente è a cellule più corte delle altre due. Il tessuto spun su non presenta differenze rimarchevoli, e mantiene rispetto al paliz- zata le stesse proporzioni in abete le sorta di foglie. HOLBOELLIA LATIFOLIA Wa. — Il mesofillo è formato, nella fo- glia A, di due serie di cellule non molto più alte che larghe (rapporto da 1°%,a 2) costituenti il palizzata (Tav. XII fig. 3a), e di molte serie di cellule allungate fortemente in senso opposto alle prime, interrotte da grandi spazi intercellulari, che rappresentano lo spu- gnoso. Nella foglia B abbiamo il palizzata in due o tre serie di cel- lule più larghe e di un'altezza molto maggiore delle già dette (rap- porto da 3 a 5); la terza serie è discontinua ed a cellule più corte (Tav. XII, fig. 30). Anche il tessuto lacunoso è a cellule di maggiori dimensioni, e non differisce di molto per struttura da quello della foglia A. Prumus BoLpus Molina. — Tra le foglie più illuminate e le meno illuminate di questa pianta le differenze di struttura del mesofillo sono ancor più spiccate che nella precedente. Infatti nella foglia A troviamo a rappresentare il palizzata due serie di cellule; nella prima queste sono poco più alte che larghe (rapporto neppure 1 '/,), nella seconda sono perfettamente isodiametriche (Tav. XIII, fig. 4a). Segue una serie non continua di cellule della stessa forma delle precedenti, o più spesso schiacciate un po’ dall’alto in basso; e poscia le vere cel- lule schiacciate del parenchima lacunoso. Nella foglia B invece, le cellule a palizzata sono più strette di molto, main compenso forte- mente allungate, quelle della prima serie con un rapporto da 4 a 7, quelle della seconda con un rapporto minore, essendo notevolmente più brevi. Abbiamo poi una terza serie di cellule che lasciano pic-. cole discontinuità, e che possiamo considerare come cellule racco- glitrici: esse però si presentano allungate normalmente alla super- ficie fogliare, benchè in grado minore di quelle del vero palizzata (Tav. XII, fig. 40). Le cellule del parenchima spugnoso si presentano a contorni meno regolari, e di forma non appiattita come nelia fo- glia A; esse tendono bensì alla forma ramosa. Differenze analoghe a queste finora osservate e molto marcate le. ho riscontrate anche nel mesofillo delle foglie A e B del Buawus sem- pervirens Linn. (Tav. XIV, fig. 12 a e 128); in grado minore poi nel- l’Euonymus japonicus Linn., nell’ Apollonias canariensis Nees., nella Persea indica Spreng. e nel Cocculus laurifolius D. O. KIGGELARIA AFRICANA Linn., — Questa pianta ci offre differenze bellissime tra le foglie sviluppatesi rispettivamente a debole ed a viva luce; ed è perciò che indugierò un po’ più ad illustrarle. Nel me- i È A | E a | cellule un po’ ramose, appiattite parallelamente alla superficie della foglia (Tav. XIII, fig.5 a). In quello della foglia B il palizzata sviluppa- tal; dh ” Di Mita 7 > Ser sg x | due s | gn Da DE ata a oco alte DE larghe. (a gSon 1 ), ra), e poscia varie altre serie di tissimo consta di tre serie di cellule più strette e più alte (rapporto — 3a4)(Tav. XITI, fig. 55); spesso ed in più punti le serie sono quattro, ma allora Paliedza delle cellule è minore; il resto del mesofillo è oc- cupato dal parenchima spugnoso, non più a cellule schiacciate, ma bensì a cellule ramoso-stellate; in complesso lo spessore del mesofillo è quivi più che doppio di quello della prima foglia, Fra le due strutture già dette, voglio qui ricordarne una di passaggio presen- tata da una foglia A, ma un po’ più alla luce della prima, e che chiameremo Abis. Il palizzata è ancora formato di due serie sole di cellule, benchè queste abbiano la forma e l’altezza riscontrata nel palizzata della foglia B; esiste però una terza serie a cellule più o meno ovoidi, non a perfetto contatto, le quali differiscono perciò da quelle del palizzata e da quelle dello spugnoso (Tav. XII, fig. 5-abis); son queste che diventando più strette, più alte ed a contatto perfetto fra loro, vengono a costituire una terza serie di palizzata. Anche le cellule dello spugnoso segnano un grado di passaggio fra quelle della foglia A e della 5. Ho riscontrato poi differenze simili ma a tipo più semplice nel mesofillo delle foglie di Correa alba Andr. e di Myrsine africana Linn. MazHonIa AQquiroLIuM Nutt. — Anche in questa pianta troviamo enormi differenze fra il mesofillo delle foglie isolate ed esposte quindi a luce intensa, e quello delle foglie più riparate che sia possibile dalla luce stessa. Queste ultime mostrano sotto l’ epider- mide due serie di cellule di un’altezza pochissimo superiore alla larghezza, le quali rappresentano il parenchima a palizzata (Tav.X.III, fig. 6a); a questo seguono mòlte serie di cellule a contorni piut- tosto regolari, alcune rotondeggianti, le più schiacciate dall’alto in . basso, con l’asse maggiore cioè parallelo alla superficie fogliare, le quali costituiscono il parenchima spugnoso. Le prime al contrario mostrano un fortissimo sviluppo assunto dal palizzata, il quale risulta di tre serie di cellule molto allungate (rapporto da 4 a 7); . la terza serie, come già si è visto altrove, è a cellule più brevi È . delle altre due (Tav. XIII, fig. 64). Le cellule spugnose non sono affatto schiacciate, ma bensì ramose; solo verso la faccia inferiore della foglia, dove debolissimi arrivano i raggi solari, si conserva qualche i “I fi a po 4 « ci n volte e mezzo maggiore di quello della foglia all'ombra; esso è per metà occupato dal palizzata, per metà dallo spugnoso, mentre nella foglia A già detta, il palizzata non rappresentava neppure la quarta parte di esso. Come nella Kiggelaria, un grado di passaggio fra le due strutture ce lo mostra una sezione di foglia A' (Tav. XIII fig. 6ali5), in cui si vedono le cellule del palizzata ancora in due serie, ma notevolmente più sviluppate in altezza. ge Meno grandi tali differenze di struttura le abbiamo anche nel-. l Hedera Helix Linn., Citrus vulgaris Risso e Laurus nobilis Linn. OLEA ExcELSA Aît. — Nella foglia A il mesofillo consta di due serie di cellule a palizzata grosse e poco alte (rapporto 1 a 3): in alcuni punti invece di due, le cellule sono sovrapposte in numero di tre, ma allora sono più brevi ancora; viene poscia il parenchima spugnoso a cellule rotondeggianti schiacciate, a grandi spazi inter- cellulari, e che termina verso la faccia inferiore della foglia con una serie di cellule più piccole, a perfetto contatto fra loro e pres- sochè isodiametriche (Tav. XIII, fig. 7a). Nelle foglie B il tessuto a palizzata, che rappresenta la metà circa dello spessore di tutto il mesofillo, è formato di cellule molto più strette e di altezza varia- bilissima (Tav. XIII, fig. 73). Osserviamo qui il fatto che le cellule a palizzata essendosi enormemente allungate e segmentate trasver- salmente ad altezze diversissime, non possiamo più distinguerle in serie, ma solo dire che sono sovrapposte in numero da quattro a cinque; il loro rapporto tra altezza e larghezza varia pure molto (da 1 a 5). Il tessuto spugnoso si conserva per la forma delle cellule simile a quello della foglia precedente; esiste contro l’epidermide inferiore la serie di cellule a stretto contatto già vista, ma queste hanno dimensioni notevolmente più grandi. Differenze altrettanto spiccate e completamente identiche a que- ste riscontrate nel palizzata delle foglie di Olea excelsa, le troviamo anche in quelle del Ligustrum japonicum Hort.; in minor grado ma sullo stesso tipo, in quelle dell’ /lex Aquifolium Linn. e della Photinia serrulata Lindl]. RapmioLepis INDICA Lind/. — In questa pianta il mesofillo pos- siede un aspetto singolare, giacchè sotto l’ epidermide superiore troviamo una serie continua di idioblasti secretori ripieni di muco; essi hanno forma di grandi cavità a foggia di sacco, interposte in mezzo al parenchima a palizzata. Questo è costituito nella foglia A da una, due ed anche in qualche punto tre serie di cellule allun- gate, un po’ assottigliate alle estremità (rapporto 2 a 4); nei punti invece in cui arriva il fondo delle cavità nominate, non esistono affatto cellule a palizzata ed incomincia il parenchima spugnoso x; = PERITI ET RECON Gu i il fondo stesso è a contatto (Tav. XIII, fig. 8a). Nella foglia B lo stesso palizzata è formato da tre o quattro serie di cellule sot- tili e molto lunghe quasi fusiformi (Tav. XIII, fig. 80), ma non ben distinta ciascuna serie, perchè molte delle cellule sono variamente incastrate fra di loro; quivi, all'incontro della foglia A, il fondo delle cavità secretrici non arriva a.toccare le cellule spugnose, restando interposte ancora una o due serie di vero palizzata, ed un’altra serie . ancora di cellule allungate ed erette, palizzatiformi, che possiamo ritenere cellule raccoglitrici. Segue poi il parenchima spugnoso & {grandi lacune intercellulari, a cellule non molto dissimili per forma di quelle che si osservano nella foglia A; solo presso l’epidermide in- feriore si presentano allungate normalmente alla superficie fogliare; fatto che in altre piante riscontreremo anche più evidente. Nella foglia B quindi lo spugnoso è molto ridotto, non rappresentando neppure la metà dello spessore del mesofillo, mentre nella A ne rap- presentava 1 due terzi. CeRratoNIA SiLiqua Linn. — Degne di molta considerazione sono anche le differenze che ci offre questa pianta. Il mesofillo sia nella foglia cresciuta a luce povera, sia in quella svoltasi a luce intensa, ci mostra un palizzata a cellule molto sottili e lunghe, strettamente avvicinate fra loro; nella A però esse sono disposte in due serie (Tav. XIV, fig. 9a), nella B in quattro serie (Tav. XIV, fig. 98). Le due prime di queste quattro serie corrispondono per larghezza ed altezza a quelle che formano il palizzata nella foglia A; la terza poi è a cellule più larghe e quindi più grosse, la quarta a cellule più larghe ancora ma più brevi. Il parenchima spugnoso è uniforme nelle due sorta di foglie; le sue cellule sono brevissima- mente ramose, e lasciano fra loro piccoli meati intercellulari. Nelle foglie A infine contro l'epidermide inferiore v'è una serie di cellule allungate normalmente alla superficie della foglia, serie a cui nella foglia B se ne aggiunge una seconda, cosicchè il vero e tipico tes- suto spugnoso si è grandemente ridotto in quest’ultima foglia. Nerium OLEANDER Linn. — Esso ci presenta nelle foglie una struttura che può dirsi di passaggio alla isolaterale, struttura che è già accennata nelle A e molto pronunciata nelle B. Nella foglia A il mesofillo è formato da due serie regolari di cellule a palizzata verso la pagina superiore, del parenchima spugnoso nel mezzo e di una a due serie di palizzata contro la pagina inferiore (Tav. XIV, fig. 10a); quest’ultimo palizzata è meno regolare del primo, le sue cellule in molti punti si trovano sovrapposte anche in tre serie, essendo beninteso più corte; il rapporto fra la loro lunghezza e la larghezza varia perciò da 1 ‘/, a 4. Nella foglia B si manifesta ulte- DI ri È; Set (17 kn NE x 104 ni 4 pi Sii 5 pinna dia È ER ae i aù ica Waicrmente sviluppato. in : : accie; vers la superiore ne < aper abbiamo tre serie a cellule molto allungate (rapporto da 4 a 7), quelle della prima di più di quelle della seconda, e queste più delle ultime; fatto questo già rilevato e discusso. Verso la faccia infe- riore il palizzata è costituito da due a tre, in qualche punto quattro serie di cellule di lunghezza varia (rapporto 1 '/, a 6); di esse solo la prima, cioè quella a contatto con l'epidermide, è a cellule molto ‘allungate, di più naturalmente delle seguenti (Tav. XIV, fig. 100). Il parenchima spugnoso è a cellule ramose, che non variano per forma da quelle che si vedono nella foglia A, ma esso si è fortemente ri- dotto e non rappresenta più che la quarta o quinta parte dello spessore del mesofillo, mentre prima ne occupava oltre la metà. In complesso se il palizzata che trovasi contro la faccia inferiore della foglia molto illuminata, non fosse interrotto dalle numerose cripte stomatiche, proprie di questa pianta, potremmo dire che il meso- fillo presenta struttura isolaterale. Le foglie colpite da luce intensa e diretta assumono nel Nerium Oleander, più che nelle altre piante osservate, una posizione eretta che si avvicina alla verticale, ed è perciò che trovandosi le foglie stesse illuminate da ambedue i lati, sviluppano egualmente il palizzata anche sulla pagina inferiore. Quercus Inex Linn. — Im questa pianta le modificazioni di struttura del mesofillo al sole sono di tipo tutto differente da quelle già descritte. Nelle foglie A il palizzata è rappresentato da una prima serie di cellule a perfetto contatto (rapp. 3), e da una seconda di cel- lule qua e là interrotta (rapporto 2); il parenchima spugnoso è a grandi lacune intercellulari, ed a cellule di varia forma, le quali in parte sono un poco allungate secondo la stessa direzione di quelle a palizzata (Tav. XIV, fig. 11a). Nelle foglie B abbiamo due serie di cellule sottili e IR i, lunghe (rapporto fino ad 8), a stretto con- tatto fra loro; poi una terza serie a cellule un po’ più brevi che lasciano fra loro piccole discontinuità in più punti; tutto il resto del mesofillo in ultimo è anch'esso di cellule palizzatiformi (rap- | porto 2 a 4) che lasciano fra loro degli interstizî (Tav. XIV, fig. 110). Il tessuto spugnoso quindi possiamo dirlo completamente mancante, giacchè tutte le cellule del mesofillo sono allungate in direzione nor- male alle superfici fogliari, e ciò naturalmente in grazia sempre della posizione eretta e quasi verticale presa dalle foglie sviluppate a maggior luce, posizione che ne permette l'illuminazione anche dalla faccia TTI Dalla esposizione delle diverse modificazioni che il mesofillo presenta nelle foglie sviluppatesi rispettivamente al sole ed all’om-. "Si | Fig. 2a » » » 3 de dall'alto: in basso, o molto allungate in direzione paral- lela alla superficie fogliare, le modifica spesso in nuove forme non schiacciate, a contorni più irregolari, e più o meno ramose. Lo svi- luppo maggiore del palizzata si manifesta sia con l’allungamento ulteriore delle sue cellule, sia con l'aumento delle serie di esse. Questo aumento di serie si compie a volte per segmentazione tra- sversale delle cellule che già di troppo sì sono allungate ed assot- tigliate; più spesso invece sono le prime una o due serie di cellule del tessuto spugnoso, quelle verso la faccia superiore prossime al palizzata, e che perciò ricevono maggior luce, le quali si arroton- dano, diventano ovoidi, poi allungate, sì serrano a perfetto contatto fra ii andando ad ingrossare il detto palizzata ed a costituirne le nuove serie. Si è visto poscia lo sviluppo del palizzata anche sulla pagina inferiore della foglia, e ciò in rapporto alla stazione eretta assunta dalle foglie molto esposte alla luce, stazione che ne permette l’illuminazione da ambedue le faccie, e che tende quindi a conferire alle foglie stesse una struttura isolaterale; e in ultimo la scomparsa totale del parenchima spugnoso, restando tutto il me- sofillo formato da cellule a palizzata. Ora però è il caso di notare che non tutte le piante osservate mi hanno mostrato differenze rile- vanti di struttura nel mesofillo; aleune poche come la Camellia japo- nica Linn., l’Aucuba japonica Thunb. ecc., non offrono che diffe- renze leggerissime; ciò dimostra, come del resto alcuni autori hanno rilevato, il diverso potere nelle singole piante di accomodamento dei tessuti fogliari alla diversa intensità e durata d'illuminazione. ‘Questa diversa facoltà di adattarsi a condizioni differenti, che molti chiamano plasticità, si riscontra in tutte le gradazioni possibili, come noi abbiamo avuto occasione di vedere nelle numerose piante — osservate. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE XII, XIII, XIV. Fig. 1a Sezione trasversale di una foglia all’ombra nella Kadsura japonica Juss. (Tav. XII). | Fig. 1-0 » » » al sole nella stessa pianta. (Tav. XII). all'ombra nel Pittosporum To- bira Ait. (Tav. XII). ‘ ANNALI DI BOTANICA — Von di 292 À 9 la Pi È ’ 1 “ ‘, Fig. 3-b Fig. 4a Fig. 4-d Fig. B-a Fig. B-abis Fig. 5-b Fig. 6-a Fig. 6-abis Fig. 6-0 Fig. T-a Fig. T-d Fig. 8-a Fig. 8-0 Fig. 9-a Fig. 9-5 Fig. 10-a Fig. 10-b Fig. 11-a Fig. 11-b Fig. 12-a Fig. 12-06 » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Wall. (Tay. XII). al sole nella stessa (Tav. XII). ombreggiata nel Peumus Boldus Molina (Tav. XIII). soleggiata nello stesso individuo (Tav. XII). ombreggiata nella Kiggelaria afri- cana Linn. (Tav. XIII). un po’ meno ombreggiata della precedente (Tav. XII). soleggiata sempre nella stessa pianta (Tav. XIII). molto all'ombra nella Mahonia Aquifolium Nutt. (Tav. XIII). un po’ meno ombreggiata della precedente (Tav. XIII). al sole nella stessa Mahonia Aqui- folium Linn, (Tav. XIII) — all'ombra nell’ Olea excelsa Ait. (Tav. XIII). al sole nello stesso individuo (Tav. XIII). ombreggiata nella Raphiolepis in- dica Lindl. (Tav. XIII). soleggiata nella stessa. (Tav. XIII). ombreggiata nella Ceratonia Sili- qua Linn. (Tav. XIV). soleggiata nella stessa pianta. (Tav. XIV). all'ombra nel Nerium Oleander Linn. (Tav. XIV). al sole nella stessa pianta (Tav. XIV). all'ombra nel Quercus Ilex Linn. (Tav. XIV). al sole nella stessa pianta (Tav. XIV). all'ombra nel Burus sempervirens Linn. (Tav. XIV). al sole nella stessa pianta (Tav. XIV). Nota. — Tutte le sezioni trasversali rappresentate dalle figure delle Tavole sono state eseguite sempre nella foglia ad egual distanza dalla base e dal- l'apice, ossia sempre nella stessa regione; l’ingrandimento delle figure poi è di 207 :1. all’ombra nell’HolboeZlia latifolia " DI <7 TATE IOSIVL2OO Ù ct —"@"— PESA TC) IA le P pid iaia LE; A AETT | È EAT 3 sai | j Sg ; do 3 Mb, O <) < S| Luss 7 X Da — Gare pi] da gi DI A- ama O TA IA OL \ | \ \ \ VIE i \ \ i | UTO o darctani DA RUSANNA ER RaZI A U i 19) ) "ar DUI Dassi (00 3 SHX) 4 DI È Intorno ad alcune Conifere italiane del Dott. B. Longo Nel 1845 lo Schouw scriveva: « Je remets aux recherches ultérieu- res des botanistes du pays à décider si le Pin-arbuste du sommet du mont Pollino en Calabre, et que je n’ai trouvé que sans cònes, appartient au Pumilio ou au magellensis. Les rapports géographiques sembleraient en faveur de cette dernière supposition; mais les exem- plaires que]’ ai cueillis moi-méme n’ avaient point les téguments des bourgeons longs et persistants (1) ». Ed aggiungeva inoltre oc- cupare il detto < Pin-arbuste » una certa estensione « entre la Serra di Dolcedorme et le mont Pollino proprement dit, à la hauteur de . environ 6200 p. (2) ». Già dissi (3) che, non ostante non avessi potuto esaminare l’e- semplare autentico delio Schouw, pure alcune ragioni m’inducevano a ritenere che questo Pino dovesse invece riferirsi al Pinus nigri- cans Host. Nella scorsa estate, trovandomi al Pollino, colsi l’ occasione per recarmi nella località indicata dallo Schouw e ricercare il Pino in questione onde togliere qualsiasi dubbio che ancora potesse restare. Già dirigendomi al Piano di Pollino, per la via mulattiera, pas- sando per la Porta di Pollinò fra i monti Serra Crispo e Serra delle Cidvole, osservai su questi due monti delle masse nereggianti di Pinus nigricans Host che spiccavano nettamente sul tono grigiastro delle roccie (4); e, appena oltrepassata la Porta di Pollino, sulla destra, poco discosto dalla via mulattiera, trovai raggruppati qua e (1) Scnouw J.—F., Les Conifères d’Italie, sous les rapports géographiques et historiques. Annal. d. Sc. Nat. (Bot.) Sér. III T. III (1845), pag. 233. (2) Scnouw J. — F., op. cit. pag. 234. (3) Longo B.— Sul Pinus nigricans Host. Ann. di Bot. Vol. I, fascicolo 2° (1908), pag. 67. (4) Non osservai però su questi due monti le foreste di Abeti a cui accen- nano Petagna, Terrone e Tenore (PETAGNA L., TERRONE G. e TENORE M., Viag- gio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore effettuato nel 1826. Napoli, 1827, pag. 50). v là esemplari dello stesso Pino. Tali esemplari, annosi, col tronco DA grosso e perlo più torto, presentavansi con la caratteristica chioma ad ombrello che, se ricorda molto quella del Pinus Pinea L., è però ì bi - più cupa, più folta e meno appiattita. — Proseguendo poi — at- traversato il Piano di Pollìno e salito fin al valico fra la Serra di Dolcedorme ed il monte Pollinell0 (1) — continuando alquanto l’ascesa sulla Serra di Dolcedorme dal versante occidentale, prospiciente Ca- strovillari, sulle roccie, nei dirupi, mi si presentarono numerosi Pini, che andavano assumendo aspetto sempre più arbustivo man mano che salivo verso la vetta fin quasi all’apice della quale essi sì spin- gevano. L’ultimo individuò che osservai nel dirupo appena a pochi metri al disotto della vetta — che misura 2271 metri —, io credo che non raggiungesse forse neppure l’altezza di un uomo (2). Tuttavia, tranne il cambiamento di dimensioni e di portamento, io non ho trovato in questi Pini caratteri diversi da quelli del Pinus nigricans Host, sia per quanto -si riferisce ai caratteri mor- | fologici, sia a quelli anatomici della foglia. Ed è quindi senza | dubbio al P. nigricans Host che essi vanno riferiti, attribuendo il i cambiamento di dimensioni e di portamento unicamente all’ in- fluenza dell’altitudine — influenza, che, come è noto, fa assumere forma arbustiva anche ad alberi che raggiungono ordinariamente dimensioni maggiori del P. nigricans Host. E, senza voler citare esempi relativi ad essenze latifoglie, credo tuttavia non fuor di (1) Il monte Pollinello (che misura 2248 metri s. 1. d. m.) viene spesso im- propriamente chiamato col nome di monte Pollino e cosi viene anche riportato nelle carte topografiche dello Stato Maggiore. Col nome di Pollino s’ intende invece non un unico monte, ma tutto il gruppo montuoso di cui il Pollinello | ì È | ì È A fa parte. (2) Questi Pini salgono al di sopra della regione del Faggio, giacchè i Faggi non si spingono, sui monti più'elevati del Pollino, oltre i 2100 metri come - dice il Terracciano (TERRACCIANO N., Synopsis plantarum vascularium montis Pollini. Ann. d. R. Istit. Bot. di Roma, vol. IV, 1890, pag. 52 dell’estratto), od al massimo, come io trovai sopra uno di quei monti (Serra del Prete), oltre. i 2150 metri (Longo B., Contribuzione alla conoscenza della vegetazione del ba- cino del fiume Lao. Ann. d. R..Istit. Bot. di Roma, anno IX, fasc. 8°, 1902, pag. 259). to) Fo notare qui incidentalmente che lo Schouw (Scnouw J. F., Tableau du climat et de la végétation de l’Italie, résultat de deux voyages en ce pays dans les années 1817-1819 et 1829-1830, vol, I, I suppl., Copenhague, 1839, pag. 33) assegnava in vece come limite superiore del Faggio al Pollino due cifre più basse: 6062 piedi di Parigi [cioè 1969 metri] e 6104 piedi [cioò 1983 metri). Probabilmente si deve trattare di errore di calcolo, giacchè anche pel « Pin- arbuste» egli dà una cifra più bassa di quella riscontrata da me, cioè, come egli scrive, all'incirca 6200 piedi [vale a dire circa 2014 metri]. La bg i Pili A og Ò rdarn che si rif riscono ad essenz agl foglie, ne ali quelli dell’affine P. Laricio Poir. (1), del P. leucodermis An- ._—toin. (2), del Larix decidua Mill. (3), non che quello della Picea fav: o, #@ excelsa Lk. (4), che diventano nani raggiungendo il loro limite 19 estremo di elevazione sul livello del mare. Anzi per la Picea exrcelsa RI Lk. trovo citato che mostra risentire, come quella dell’altitudine, fo anche l’influenza della latitudine: il Wahlenberg fa, in fatti, osser- CAR vare che tale pianta, raggiungendo il suo limite estremo settentrio- nale, diventa talmente gracile che può appena sostenersi (5). È 4 hi 2 . . . . #1% Certo è che chi non assiste a questa successiva riduzione di Se] f- statura di tali Pini ed osserva solo gli esemplari più o meno ar- : bustivi, li trova così diversi dall’esemplare ordinario arboreo, da he E rendere fino ad un certo punto giustificato l’errore di considerarli, pi come aveva fatto lo Schonw, come appartenenti ad un’altra specie. e E GE Per quanto riguarda la distribuzione del Pinus nigricans Host nell’Italia centrale e meridionale, possiamo dire che esso è assai più ‘abbondante di quel che non ritenesse il Tenore, secondo il quale sì sarebbero trovati « appena pochi alberi isolati alla valle dell’Or/enta della Majella sopra rupi e balze inaccessibili; al Pollino sul limite set- tentrionale della Calabria al piano del Trabucco, e nelle Stile (6) ». Infatti, per l’Italia centrale, alla località data dal Tenore, vanno aggiunte le località Bosco Martese e Selva degli Abeti del Gran Sasso date dal Crugnola (7). Sullo stesso Pollino trovasi. abbastanza frequente in parecchie località, come risulta da quanto ho sopra detto e dalla distribu- (1) MarHEU A. — Fiore forestière, 3° éd. Paris, 1877, pag. 522: « Le pin de Corse s’élève jusque 1700 mètres, hauteur à laquelle il n'est plus qu’à l’état de buisson rabougri ». (2) Nyman C. F. — Conspectus Florae Europaeae, 1878, pag. 674: « Arbor 90-100-pedalis, sed versus regionem nivalem tantum 6-12-pedalis ». (8) ScHouw J. F. — Les Conifères d’Italie, ecc., pag. 241: « Quelquefois le Mélèze monte jusqu’à 7000 p., et est alors nain ». (4) Scnouw J. F. — Les Conifères d’Italie, ecc., pag. 2399: « La Pesse s’élève à quelques endroits jusqu°à 7000 p. (Stilfser Joch), mais alors elle reste naine ». (6) WanLENBERG. — Flora Lapponica, pag. 257, in ENDLICHER S., Synopsis Coniferarum, Sangalli, 1847, pag. 119; e in CARRIERE E.-A., Traité général des Conifères, Paris, 1855, pag. 252. (6) Tenore M. — Flora Napolitana. T. V. (1835-1836), pag. 266. (7) CruenoLa G. — La vegetazione al Gran Sasso d’Italia. Teramo, 1894, | pag. 63. 3 zione che il Terracciano (1) dà pel Pinus Laricio, sotto il quale nome egli lo riporta (2). Di più, oltre che al Pollino, lo trovai al Timpone del Pino in quel di Acquaformosa (3), e, nella scorsa estate, piuttosto abbondante al monte Montea e dintorni in quel di S. Agata d’E- saro, localizzato per lo più nelle fessure delle rocce, sui dirupi, ed in diverse località (sotto 11 Piano del Carpino, Corno Mozzo ecc.), sem- pre nei dirupi, delle montagne di Orsomarso. Un esemplare solo osservai ancora sulla rupe presso la vetta del monte Caràmolo in quel di Saracena, e credo non improbabile che esso possa trovarsi anche in qualche altra località (4). (rià feci rilevare come ai caratteri differenziali tra il Pinus ni- gricans Host ed il P. Laricio Poir. sì potesse aggiungere quello del diverso sviluppo dell’ipoderma scleroso nella foglia (5). Ora, se si tien conto del maggiore sviluppo che assume tale ipoderma nel P. nigricans Host in confronto al P. Laricio Poir., come pure di di- versi altri caratteri quali la presenza di foglie più brevi, più grosse, più rigide e più serrate, il P. nigricans Host si rivela come una pianta in cui i caratteri xerofili sono più marcati che non nel P. La- ricio Poir. Ed infatti troviamo il P. nigricans Host ad occupare di preferenza stazioni più secche che non il P. Laricio Poir., anzi, ta- lora, stazioni ove, a causa appunto della troppo scarsa umidità del suolo, non solo il P. Laricio Poir., ma nessuna altra essenza aghi- foglia sembra poter vegetare. In tutte le località citate in cui trovai il Pinus nigricans Host esso vegetava sempre su rocce calcaree (calcari, calcari dolomitici, dolomie) (6), ed occupava sempre siti dirupati, mostrando, sì potrebbe dire, una vera predilezione per essi. (1) TERRACcIANO N. — Op. ciît., pag. db. (2) Lonco B. — Sul Pinus nigricans Host, 1. c. (3) Longo B., — Appunti sulla vegetazione di alcune località di Calabria Cite- riore. Ann. di Bot. Vol. 1, fasc. 2°, 1903, pag. 89-90 e 93. i (4) Sul monte Caramolo mi fu detto da un pastore che nei dirupi del sot- tostante monte Le Cataratte sono frequenti dei Pini, che ho ragione di cre- dere siano esemplari di Pinus nigricans Host. Con mia meraviglia trovo scritto dal Savastano (Savasrano L., Il rim- boschimento dell’ Appennino meridionale. Napoli, 1893 pag. 97) che il Pinus au- striaca Hòss (cioè il Pinus nigricans Host) non sarebbe indigeno dell'Appennino meridionale. (5) Longo B. — Sul Pinus nigricans Host, pag. 66-67. (6) L'unica località per la quale, non avendovi fermata l’a:teazione, non posso dire quale sia la natura del suolo è il Timpone del Pino. eo i ee) ; Tarcatissima ti predilsginne no le «temo presto io: eu | strava, ad esempio, nelle sucitate montagne di Orsomarso, sulle quali fo anche si estende l’immensa foresta di Faggi di cui già ebbi occasione di parlare (1). Su queste montagne, nei precipizi, i Faggi si arre- 4 stano e cedono il posto al Pinus nigricans Host, il quale mostra di «trovare colà le condizioni più favorevoli al suo vegetare, presen- tandosi esso in robusti esemplari che, talora, per la grossezza dei ; tronchi, rivaleggiano coi Faggi. fi. Siffatta sostituzione di questo Pino al Faggio ricorda una so- i i stituzione analoga che ho sempre osservata nella regione inferiore, cioè in quella della Quercia, ove al Quercus Robur L. B sessiliflora Parl., albero a foglia caduca, si sostituisce nelle rocce, e special- mente sui dirupi, il Quercus Ilex L., albero a foglia persistente, e che anche, come il Pinus nigricans Host, spicca da lungi pel verde cupo del suo fogliame. Anche il Terracciano per tatte le località del Pollino, dà come stazioni di questo Pino le rupi calcaree (2); di natura cal- - carea sono anche le rupi della Valle dell’Orfenta nella Majella, come gentilmente m’informa il prof. G. De Angelis d’Ossat, non ‘che le stazioni del Pinus migricans Host nelle due località su citate del Gran Sasso, come gentilmente mi comunica l'ing. G. Crugnola. Endlicher (3), Reichenbach (4), Carrière (5), Schur (6), Ascherson ‘e Graebner (7) parlano di stazioni calcaree. Ed anche nelle indicazioni accompagnanti esemplari di erbario (E. de Halacsy, A.L. Reuss, ecc.), (1) Lonco B. — Appunti sulla vegetazione di alcune località di Calabria Cite- riore, pag. 87-89. (2) TerrAccIANO N. — op cit.., pag. 16: « In rupibus calcareis montosis ». (8) ExpLIcHER S. — Synopsis Coniferarum, pagine 180: « Frequens in montibus calcareis Carinthiae, Styriae, Austriae inferioris, Moraviae, Ga- liciae (nuspiam in Carpathis Euronoto subjectis), Transylvaniae et Bana- tus ». (4) ReIcHENBACH H. G. L. — Deutschlands Flora: Coniferae ecc. Leipzig, 1849, pag. 3: «.... wiichst hiufig auf den Kalkbergen von Kiirnthen, ecc. ». (5) CARRIERE E. A. — Traité général des Conifères, pag. 388: « Habite très- fréquemment dans les montagnes calcaires de la Carinthie, ecc. ». (6) Scaur J. F. — Enumeratio plantarum Transsilvaniae. Vindobonae, 1885, pag. 627: « In Bergwàldern, vorziiglich auf Kalksubstrat ». i | (7) AscHERsON P. und GRAEBNER P. — Synopsis der mitteleuropdischen Flora. Bd. I, Lief. 3-4 (1897), pag. 213: « Bildet auf Kalkbergen der unteren und mit- tleren Region (bis 1400 m. ansteigend) in òstlichen Alpensystem und den siid- lichen (und sstlichen?) Karpaten stellenweise grosse Bestiinde ». TTT rr ea w x se tit e RA pe RA e _ quando ho trovata notata la. calcareo. Esso inoltre, attesa la sua resistenza alla sa: estiva, si è ad- dimostrato come un vero albero prezioso pel rimboschimento degli aridi terreni calcarei (1). Però il Beck, il quale dà pel Pinus nigricans Host stazioni cal- caree in diverse località (2), parla pure di presenza di esso anche su rocce di natura silicea (serpentino (8), scisti quarzitici e scisti argillosi primitivi « Urthonschiefer » (4)). Possiamo quindi concludere che il Pinus nigricans Host vegeta di preferenza su terreno calcareo, non però esclusivamente come ri- terrebbe il Wiesner (5). Esso occupa, infatti, di preferenza stazioni calcaree perchè, come del resto fa giustamente notare poi il Wiesner stesso (6), trova in esse le condizioni di umidità e di calore che più si confanno ai suoi bisogni, e non dobbiamo quindi meravigliarci che esso possa vegetare anche su rocce di altra natura allorchè in esse trova realizzate le medesime condizioni fisiche, che, ordinaria- mente, presentano le rocce calcaree. Ed anche i risultati ottenuti con la coltura conducono alla me- desima conclusione : la coltura ha, infatti, dimostrato che se il Pinus nigricans Host riesce molto bene su suolo calcareo, può tuttavia ve- getare su qualsiasi suolo, per quanto magro, calcare o siliceo, purchè esso sia secco; mentre riesce male nei terreni umidi, per quanto fer- tili possano essere (7). Per quanto riguarda poi il Pinus Laricio Poir. 10 non ho osser- vazioni personali in proposito; però i pochi autori, che, come mì risulta, accennano alla natura della stazione ove lo raccolsero, parlano (1) FrREROT J. — Notice sur le Pin noir d’Autriche employé comme arbre forestier pour boiser les plaines stériles de la Champagne, in KirwAN (DE) C., Les Conifères indigènes et erotiques. T. I. Paris (1867), pag. 296. MaTHIEU A. — Flore forestière, pag. 527. MourLLEFERT P. — Traité des arbres et arbrisseaux. Paris, 1892-1898, pag. 1301. (2) Beok RirreR von MannaGETTA G. — Die Vegetationsverhiiltnisse der illyrischen Lénder, in ENGLER A. und DrUDE 0. — Die PAMRSOO der Kira, IV; Leipzig, 1901, pag. 140, 287, 289, 291, 294. (3) Beck RirTER von MANNAGETTA G. — Op. cit., pag. 219, 221, 222. (4) Beck RirtER von MANNAGETTA G. — Op. cit., pag. 301. (5) Wiesner J. — Elemente der wissenschaftlichen Botanik. III. Biologie der Pflanzen. Wien, 1889, pag. 218 (Tr. it., pag. 183). (6) WiesxER J. — L. c. (7) FrEROT J. — L. c. Sy monte (1) e CHRIS) per la Corsica (2). Del resto se si considera in complesso la natura del suolo della Ced dell’ Etna, d’Aspromonte e della Sila, per le quali regioni appunto vien dato, per quanto riguarda l’Italia, il Pinus Laricio Poir., appare come molto probabile che esso occupi in tutte queste | regioni stazioni di natura silicea. Anche per la Spagna Willkomm e Lange parlano, per. Pinus ° Laricio Poir., di stazioni specialmente silicee (3). Il Mathieu nella sua Flora forestale fa rilevare quali siano le condizioni più adatte al vegetare del Pinus Laricio Poir. scrivendo: < Il recerche les graviers argileux qui résultent de la désagrégation et de la décomposition des granites et atteint son plus beau dévelop- _pement sur ceux qui sont moyennement frais » (4). Altrettanto di- cono il Kirwan (5) ed il Mouillefert (6). Per cui sembra che, all’op- posto del P. nigricans Host, occorra al P. Laricio Poir. un certo grado di umidità per ben vegetare — umidità, che nei terreni che, come dicono gli autori su citati, sono preferiti dal P. Laricio Poir., verrebbe appunto mantenuta dall’argilla che essi contengono. Però il P. Laricio Poir., come fa rilevare il Kirwan (7), può vivere anche «su suolo di altra natura, e ciò, verosimilmente, quando tròva in esso le condizioni fisiche indispensabili. * E = Un tempo il Pinus Laricio Poir. doveva vivere anche nella parte centrale e settentrionale della penisola, come lo attestano resti fos- sili di questa conifera. Già il Link, infatti, nel 1841 scriveva a proposito del Pinus Laricio Poir.: « Olim frequens circa Genuam, uti testantur strobili (1) Hurer, PortA et Rigo. — PI. exsicc. N. 306, ex itinere italico III (1877), @) Coste H. — Rapport sur l’herborisation du 22 mai, à la montagne de | Pozzo di Borgo. Bull. de la Soc. Bot. de France. T. 45° (1901). Sess. extr. en Corse, mai-juin 1901, pag. CVIII. (@) WiLLtomm M. et Lance J. — Prodromus Florae Hispanicae. Vol. I (1870), pag. 18: « In regione montana Hispaniae austro-orientalis ad alt. 1000-3500’, praecip. in solo siliceo-arenoso ». . (&) MatHIEU A. — Flore forestière, pag. 522. (5) Kirwan (DE) C. — Les Conifères indigènes et exotiques. T. I. pag. 228. (6) MourLLerERT P. — Loc. cit. (7) KiRwAN (DE) C.— L. c. EZIO Val e 2% 9 ap Ritridi delli parla di un Pinus Laricio Thomasiana Heer rinvenuto alla Folla d’Induno presso Varese nell’argilla pliocenica (2), aggiun- gendo che « secondo Heer questa forma sarebbe specificamente identica a P. Laricio Poir. » (3). Recentemente, in fine, l’ing. E. Clerici rinveniva alcuni resti di P. Laricio Poir. (4) al Monte Amiata « nella SO lacustre post-vulcanica di Abbadia S. Sal- vatore » (5). Ed a questo punto mi sembra non fuor di luogo ricordare il Pinus resinosa di cui parlava il Savi nella sua Flora pisana e che egli dava allora come vivente « nei monti fra Calci e Buti » (6). Il Berto- loni (7) ed il Caruel (8) citano tale Pinus resinosa del Savi sotto il nome di /. sy/vestris L., senza però accennare se abbiano esaminato l'esemplare autentico. A me non è stato possibile esaminare tale esemplare, giacchè i professori G. Arcangeli e P. Baccarini hanno fatto gentilmente sapere che esso non esiste nè nell’ Erbario pisano nè nell’ Erbario fiorentino; però, sia la descrizione data dal Savi, sia quanto egli poi aggiunge riguardo a questo Pino in altro suo . lavoro, sembrano escludere che possa trattarsi del P. sylvestris L. In- fatti il Savi, nella sua Flora pisana, mentre dà per questo Pino foglie « di color verde-pallido, quasi verde-cenerino » (9) — carat- tere, che concorderebbe con quello delle foglie del P. sylvestris L., — dice poi, tra l’altro, parlando degli strobili, che essi hanno le « fac- | cette delle squame lustre » (10), il che, come è noto, non sì verifica nel P. sylvestris L., nel quale, invece, l’apofisi delle squame si pre- (1) Link H. F. — Abietinae Horti Regii Botanici Berolin®nsia cultae. Lin- naea. Bd. XV (1841), pag. 494. (2) SORDELLI F. — Flora fossilis insubrica. Studî sulla vegetazione di Lom- bardia durante i tempi geologici. Milano, 1896, pag. 108. (3) SORDELLI F. — Op. cit., pag. 109. (4) Incidentalmente fo rilevare che nei frammenti di foglie di questo Pino, che ho avuta occasione di esaminare, non solo era abbastanza riconoscibile la struttura anatomica, ma la cuticola presentavasi ancora così ben conservata che potei colorarla col Sudan JII come se si trattasse di foglie fresche. (5) CLERICI E. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Siena ed al Monte Amiata nel settembre 1908. Boll. Soc. Geol. It., vol. XXII (1908), fase. II Id. — Sui resti di Conifere del Monte Amiata. Id., fase. III (6) Savi G. — Flora Pisana. T. II (Pisa, 1798), pag. 354. (7) BerTOLONI A. — Flora italica. Vol. X (1854), pag. 257. (8) CARURL T. — Prodromo della Flora toscana. Firenze, 1860, pag. 589. (9) Savi G. — Loc. cit. (10) Savi G. — Loc. cit. o SZ IE. ta, 5 i Lt, ji E, : NS fa si # i xa aan e at ARI ; AR : _ effossi cam Theatrum S. Carlo construeretur » (1). eriehe il Sor. ass opaca. Di più il SR stesso, il n altro suo lavoro Sp teriore, a proposito del Pinus Laricio Poir. scrive: « Ho veduto uno strobilo di Pinus Laricio venuto di Parigi, ed ho conosciuto essere affatto simile a quelli di quel Pino che io nella Flora pisana descrissi sotto il nome di Pinus resinosa, di cui me ne mandò allora un ramo frut- tifero il fu dottor Seban Sichi Medico a Vico Pisano, ma di cul non si son mai più potuti trovare individui viventi fra Buti e Vico, ove mi aveva detto che ritrovavasi » (1). Ed aggiunge inoltre: « ... il Pinus Laricio sarebbe l’istessa cosa che il Pinus sylvestris è di Willdenow » (2). Veramente il Pinus sylvestris è Willd. — dal Willdenow stesso dato come sinonimo del « Pinaster latifolius, julis virescentibus s. pallescentibus. Bauh. pin. 492 » (3), e questo dal Bauhin stesso come sinonimo del « Pinaster secundus Autriacus, Clus. hist. > (4), il quale già antecedentemente dal Clusio era stato pubblicato sotto il nome di « Pinaster vulgaris alter » (5) «| — è da considerarsi invece come sinonimo del Pinus nigricans Host. Da tutto ciò sembrerebbe quindi che il Pinus resinosa del Savi do- vesse piuttosto riferirsi al P. Laricio Poir., 0, anche, al P. nigricans Host, coi quali concorderebbe il carattere su citato delle apofisi lucide; ma, poichè ad essi non si adatta l’altro carattere del colore delle foglie, sorge il dubbio che possa forse anche trattarsi di un ibrido. Del Pinus sylvestris L., nella Toscana, non è stato trovato ‘ora vivente che un solo esemplare annoso nel val d’Arno infe- riore (6) e pare anche che esso forse vivesse un tempo al Monte Amiata (7). (1) Savi G. — Trattato degli alberi della Toscana. T. I (II ed., Firenze, 1811), pag. 153. (2) Savi G. — Trattato ecc., loc. cit. (8) WiLLoeNnow C. L. — Species Plantarum. T. IV (1805), pag. 495. (4) C. BAUHINI. — Pinax theatri botanici. Basileae, (1671), pag. 492. . (5) C. Crus. — Rariorum aliquot Stirpium, per Pannoniam, Austriam, et vicinas quasdam Provincias observatarum Historia. Antuerpiae, MDLXXXIII, pag. 16. (6) BargcAGLI P. — Nuova stazione del Pinus s ylvestris Linn. Bull. Soc. Bot. It. (1891), pag. 327. Il Baroni (BaroNI E., Supplemento generale al « Prodromo della Flora to- scana dî T. Carnel ». Tigà V, 1902, pag. 480) scrive che il Pinus sylvestris L. sarebbe stato trovato dal prof. G. Arcangeli « in pochi esemplari nel m. Pi. sano». Evidentemente si dovrà trattare di una svista; in ogni modo il prof. G. Ar- cangeli gentilmente mi scrive che egli non ve lo ha mai trovato. Sa CLERICI E. — Sui resti di Conifere del Monte Amiata. Loc. cit. Che che ne pensasse lo Schouw (1), sembra che nella penisola l’area di distribuzione della Picea ercelsa Lk. si estendesse un tempo assal più in giù che non attualmente (2). Resti di Picea excelsa Lk. sono, infatti, stati rinvenuti dall’in- gegnere E. Clerici (3) al Monte Amiata insieme con i resti su ricor- dati di Pinus. Inoltre, nel 1827, lo Spadoni scriveva a proposito della Picea excelsa Lk.: « A dir vero non ho mai veduto questo bell’albero nelle mie peregrinazioni per il Piceno: ma vengo reso certo da persone fede degne, che avvene qualche pianta nelle alte montagne del Ducato di Urbino ed a Monte-acuto nel territorio di Acquasanta » (4). Pare poi che la Picea excelsa Lk. fosse, ai tempi dei Romani, molto diffusa alla Sila come si rileverebbe dalle seguenti parole di Plinio: «Pix in Italia ad vasa vino condendo maxime probatur Brutia. Fit e piceae resina » (5). Ed è bene tener presente che Plinio distin- gueva benissimo l’Abete bianco « Abies » dall’Abete rosso « Picea ». Che di questa pianta non resti ora nessun individuo vivente nei boschi della Sila, non mi sembra un fatto sufficiente a farci esclu- dere che essa abbia potuto esservi allora diffusa. Sono oramai a nostra conoscenza numerosi fatti riferentesi ad essenze forestali (re- sinose o latifoglie), che sarebbero scomparse totalmente o quasi da - certe località, cedendo il posto ad altre essenze, senza cause appa- renti, quasi obbedendo ad una legge di rotazione naturale, e ciò, spesso, in un lasso di tempo anche assai più breve di quello che ci | separa dai tempi di Plinio (6). — Anche io, per l’ Abies alba Mill., posso ricordare qualche cosa di analogo per l’alta valle del fiume Lao. (1) Scnouw J. F. — Les Conifères d’Italie ecc., pag. 259-260. (2) Noto che, contrariamente a quanto ho trovato nelle Flore da me con- sultate che assegnerebbero le Alpi alla Picea excelsa Lk. come limite meridio- nale per l’Italia, trovo dal Briquet (Briquet J., Iecherches sur la Flore des montagnes de la Corse et ses origines. Ann. du Conserv. et du Jard. Bot. de Genève. bme Ann. 1901, pag. 84, 89, 42) segnalato l’Abete rosso anche nella Corsica. (3) CLERICI E. — Op. cit. (4) SpaponI P. — Xilologia Picena. 'T. II (Macerata, 1827), pag. 1183. (5) C. Prini SEcUNDI. — Naturalis HistoriaeLiber XIIII. Cap. XX, pag. 252 (ed. Basil. 1585). (6) Ofr. specialmente: DE CANDOLLE A. — Géographie botanique raisonnee. T.1(1855), pag. 471-473. scomparsa dell’Abete sia da ricercarsi più che altro nell’opera del- f l’uomo, il quale avrebbe contribuito a rendere più secco il clima di | questa regione, sia col prosciugamento di estesi tratti pantanosi un | tempo molto frequenti in questa valle del fiume Lao, sia col dibo- — scamento operato su larga scala (2). Ed è bene che noi teniamo pre- sente che le piante sociali — come quelle che hanno bisogno per prosperare di un cumolo di fattori locali — sono più sensibili delle altre ai mutamenti delle condizioni fisiche del luogo. Roma, aprile 1904. 3 ‘ (1) Anche il' nome di Serra dell’Abete, dato ad un monte — ora completa- «mente brullo — sopra Viggianello nell’istessa valle, accenna chiaramente che «un tempo doveva vivervi l’Abete. (2) Lascio naturalmente impregiudicata la questione se l’uomo vi abbia potuto contribuire anche direttamente abbattendo gli stessi Abeti. La tossicità dei Sorghi come foraggio fresco, del Dott. CARLO Rossi Verso la metà del secolo scorso, quando in Francia il secondo Impero volgeva il pensiero a vivificare tutte le energie agricole ed industriali della nazione, fu universalmente consigliata da scuole e giornali agricoli la coltivazione del Sorgo zuccherino come ottimo a fornire una materia saccarifera abbondante e a buon mercato e un foraggio che permettesse di dare maggior impulso all’alleva- mento del bestiame. Nè mancarono i volenterosi, dove le condizioni lo permettevano e forse anche dove non lo permettevano, di dedi- carsi alla coltura di questa pianta. Lasciando da parte la rassegna dei lavori che sorsero allora e posteriormente sulla sua convenienza sotto l’aspetto dell’industria saccarifera, è interessante ricercare come essa rispose al secondo com- pito cioè come pianta foraggiera. Nel 1858 una curiosa polemica si accese nel Journal d’agriculture pratique fra i sostenitori di questa pianta come ottimo mangime e 1 denigratori, che la ritenevano addirittura un veleno propinato ai loro greggi e alle loro stalle (1). Il Dossineau coltivatore ad Allones riferiva, che fornito del Sorgo zuccherino fresco a 15 vacche in quantità di circa 2 kg. a capo, ebbe a riscontrare dopo un'ora tremori generali, respirazione pro- fonda e accelerata, aria inebetita, marcata sonnolenza, reni incavati, leggeri trasalimenti, calpestio continuo con gli arti posteriori, fre- quenza nella minzione, procidenza del bulbo oculare dall’orbita, disappetenza e sospensione della ruminazione. Dopo mezz'ora due vacche erano morte e all’autopsia nulla mostrarono di rilevante salyo un lieve arrossamento della mucosa gastrica. Mallin di Poisviller notava, che inviati al pascolo in un campo di sorgo i suoi montoni essi ono di mangiarne. Tagliato il sorgo e somministrato alle vacche in ragione di 2 kg. a capo, due vacche su cinque morirono appena ingerito il foraggio, senza che (1) Journal. d’agr. pratiq. Anni 1858-1859. ri che I rcoriini Mo morte sì mostrassero Sato di colica, ma solo uno stato comatoso. - Albi affermava che segato un campo di sorgo, malissimo riuscito a causa della siccità, il 19 agosto e somministrato il 20-21 a 28 bovini in ragione di 3 kg. a capo, un toro mostrò i sintomi sopra notati, ma guarì con un salasso praticato a tempo. Der poi dichiarava che somministrato sorgo in ragione di 7-8 kg. a capo a 6 bestie vaccine, ne vide morir quattro con sintomi con- vulsivi. Forsan, falciato un campo di sorgo mal riuscito per eccessiva sic- cità il 26 agosto, lo distribuì il 28 agosto a 5 vitelli, essendo il forag- gio rimasto dopo falciato sul campo nei due giorni tragdonai Quattro vitelli ne mangiarono per circa 2 kg. ciascuno e dopo due ore uno era morto, tre coi soliti sintomi comatosi e quello che l’aveva rifiu- tato era sanissimo. All’autopsia del vitello morto null’altro si notò che forte meteorismo con gas assai fetido. Il Forsan volle in seguito a questi fatti sentire il gusto delle piante recise. Trovò dolci quelle ben sviluppate, amare quelle meno sviluppate che sì presentavano con foglie striate in violetto. La residua quantità di questo foraggio, seccata perfettamente fu usata con ottimo esito più tardi. E così non diedero disturbi i ricacci delle stesse piante nati in buone condizioni per le pioggie cadute dopo il taglio. A star quindi a queste affermazioni la più completa proscrizione si sarebbe dovuto dare a questo /oraggio-veleno. Ma d’altra parte Chri- stofle assicurava di aver gradatamente portato la razione giornaliera delle sue mucche a 70 (sic) kg. di-sorgo saccarato senza alcun effetto dannoso e Boulard-Moreau di trovarsi contentissimo della razione completa a sorgo per vacche e vitelli, in cui constatava anzi un notevole ingrassamento. Damourette trovava il sorgo vantaggiosissimo per gli ovini. Biard rilevava ovini e bovini appetire il sorgo in tutte le epoche di svi- luppo e solo i cavalli mostrarne una certa ripugnanza. Nè mancano le osservazioni di veterinari esperimentati. Saint Priest seminato sorgo in annate umide (1856-57), lo vide preda alle uredinee, ciò che lo indusse a pensare, avendo nella polemica spesso sentito parlare di sorghi soffrenti e languenti, che nei casì di di- sturbi del bestiame sì sian somministrati sorghi attaccati da crit- togame e i fenomeni notati sian dovuti piuttosto ai parassiti e alla facile putrescibilità delle piante in quelle condizioni. E infatti De Madoen potè seguire varie coltivazioni di sorgo sano a scopo foraggiero con cui nutrì senza inconvenienti bovini Ù È € a tener conto dell’o nte (bagnate o gela ra o recentezza del taglio te); e così Mailfert fece su ‘Da o dello stato delle pia ciò ottime esperienze senza notare danno alcuno per il bestiame. Rodet infine, della scuola veterinaria di Lione, pensando agli incon- venienti che la foglia di gelso guasta dà ai bachi da seta, credeva anche nel caso del sorgo sian fenomeni di putrefazione quelli che danno i notati inconvenienti. In sostanza la polemica parve dar ragione a chi ritenendo il sorgo saccarato come un ottimo foraggio, ne metteva i notati inconve- nienti in conto alla cattiva conservazione e mancata integrità della. foglia. Nè pare che più si avessero a notare inconvenienti da che il sorgo saccarino prese discreta importanza nelle rotazioni agrarie fran- cesìi, come già ne aveva il sorgo vulgare nella economia dei nostri campi. E il Cornevin (1), attento ricercatore di fatti del genere, riporta nel 1887 ancora le prime osservazioni del Dossineau, e scartate di- verse ipotesi ritiene, che nei casi sempre eccezionali in cui il sorgo ha dato intossicazioni, la più accettabile spiegazione sia la forma- zione di sostanze nocevoli, all'infuori della fermentazioni delle sue materie zuccherine. Recentemente Wyndham R. Dunstan e P. A. Henry (2) portarono la loro attenzione sul S. vulgare (?) che deter- mina talora in Egitto fenomeni simili a quelli più sopra descritti. Gli autori affermano che quando le giovani piante sono triturate nel- l’acqua, per azione in esse di un fermento idrolitico apparentemente identico all’emulsina delle mandorle amare su un glucoside cianogeno contenutovi che chiamano durrina, si produce acido prussico (circa il 0,2°/, in peso). Questa durrina idrolizzata con un emulsione o con un acido diluito darebbe C, EH N+H* 0=0,H, 0, + H Oo+H CN Durrina Paraidrossialdeide Destrosio Ac prussico. il quale così sarebbe la causa degli inconvenienti notati sopra. Con- siderando come oggi si insista di nuovo sui pregi del sorgo come foraggio e si cerchi introdurlo anche nelle regioni che meno 0 punto lo usano a questo scopo, non parve inutile accertare se, col- tivato in buone condizioni, corrisponda a questo compito riguardo alla intolleranza altre volte notata. E conseguentemente si cercò (1) Cornevin — Des plantes vénéneuses, 1887. (2) WrnpHam R. DusTAN e P. A. Henry. — Cynogenesis in plants : Sorg- hum vulgare — Proceedings of the Royal Society of London. 1902. — Phaseolus lunatus. Ibidem. 1903. 9 ANNALI DI Boraxica — Vor. I 953 tessero o meno variarne le attitudini per la ottima nutrizione del bestiame, ricercando anche con altri mezzi, se esclusivamente al sorgo debbano ascriversi i fatti tossici. che talora fu accertato se- guire in seguito alla sua ingestione. Per ottenere sempre a disposizione per le intraprese esperienze, giovani germogli delle diverse varietà di Sorgo, ne fu compiuta la semina in 3 .tempi diversi, ad intervalli l’un dall’altro di 15 giorni. E poichè le condizioni di coltura diversa avrebbero forse potuto avere una influenza qualsiasi sulla sua intollerabilità come alimento per il bestiame, ognuna delle semine della medesima varietà fu divisa in due distinti campetti lavorando accuratamente, concimando ed irrigandone l’ uno e lasciando compiere nell’ altro la vegetazione in cattive condizioni di lavoro, di nutrizione e di umidità. E siccome l’osservazione fu portata su tre varietà Sorghum vul- gare, Sorghum sacharatum e Sorghum caffrum, per ciascuna varietà tu seguito lo stesso metodo. Pertanto in ciascuna delle tre semine (15 marzo, 1° aprile e 15 aprile) furono preparati nel terreno annessa all'Istituto botanico, terreno di riporto, e in quel punto da lungo tempo in riposo, sei campicelli di cui tre vangati a circa 35 centimetri di profondità e concimati con sali fosfatici in ragione di kg. 400 l’ettaro e senza ni- trati perchè in terreno ricco di humus, gli altri tre semplicemente liberati col badile della cotica erbosa e senz'altro seminati. Inoltre durante la coltura ai campi della prima specie fu data acqua quando si stimò necessario, mentre gli altri restarono nella condizione naturale di vegetazione. Non sì stimò conveniente ag- giungere dei campi artificialmente tenuti con eccesso di umidità, visto che l’esperienza voleva eseguirsi con sorghi sani e possibil- mente non preda alle crittogame od altri parassiti vegetali. La se- mina fu fatta a righe nel campi lavorati concimati, alla volata negli altri, calcolando il seme in modo da ottenere circa 15-20 piante per metro quadrato, tenendo, nel far ciò, conto che esse dovevano servire allo stato di giovane germoglio e non a completo sviluppo, nel qual caso avrebbe dovuto abbassarsi il numero dei futuri ceppi a 6-7 il mq. Per chiarezza e brevità chiamiamo con tre lettere le tre qualità di Sorghi coltivati in buone condizioni, indicando con asterisco sulle lettere stesse quelli della medesima qualità coltivati in cattive condizioni : Mifratono e caffrum, ne conto di “Quetie? ircostanze che po î E Sorghun ‘vulgare. ira. . Sorghum saccharatum . i ca | Sorghum caffrum. . ./.0.. S c. Sc, % sean Ad effettuare esperienze sulla tossicità o per lo meno sulla intol- ali Pa . leranza da parte degli animali per questo foraggio, allo stato di gio- “I vani germogli di fresco recisi, furono dovute usare delle cavie, che de: | per il loro piccolo peso. permettessero di compiere lo studio senza 4 | occupare una quantità troppo grande di terreno, riservando animali h più grossi se e quando, ottenuti. primi risultati, si fosse potuto re- fi: stringere il campo all’ indagine. Bi Furono pertanto prese sei cavie e poste esclusivamente al nutri- “mento con giovani germogli di sorgo, senza limitazione nella quan- "a tità, e ciascuna rispettivamente colle varietà Sv.Ss.5 0.,S v*. S s*. Se®. “ Il foraggio era reciso due volte al giorno e senz'altro fornito agli ani- mali, ciascuno tenuto in gabbia separata, in buone condizioni di luce, d’arià e di calore. LU Ciascuna cavia fu previamente pesata e saggiata per ciascuna la tossicità delle urine. i Cessata dopo il primo giorno una specie di ripugnanza al nuovo va cibo, tutte e sei le cavie se ne nutrirono esclusivamente ed abbon- Mi: dantemente (2/3 circa del loro peso) per 30 giorni consecutivi. JE Pesate di dieci in dieci giorni diedero i seguenti risultati: vB Varietà | Peso iniziale al10° giorno al 20° sioni 30° giorno) Differenza | LA HenSv: gr. 850 | gr. 358 | gr. 366 | gr. 368 | gr. 18+ lo Cd Tse: » 360 | » 869 » 370 | » 878] » 16+ % Sc. » s76 | asd >» 380 | » 380] # 5+ Ri Sv. » 555 » 5360 » 8363 » 364 » 9+| Ss# » 967 | >» 375] » 350 | » 380 | » 13 +| nd Sc. SESTO » 369 sod » Ba ri E | Riguardo a sintomi generali le cavie non perdettero un giorno Ja loro vivacità; l’appetenza al cibo fu sempre eguale; mai mostra- a rono tremori e sonnolenza o disturbi respiratori, nè la tossicità delle p urine aumentò, e solo si notò l'emissione di maggior quantità di ‘urine da mettersi in rapporto presumibilmente all’esclusiva nutri- 1 zione con foraggio fresco ricco di acqua. ì |. —’1’Riuscita così negativa l’esperienza del sorgo fresco furono ini- |_ziate le prove col sorgo fermentato. di darlo in Sora Legno rio in acqua per qualche minuto e luxindo) poi esposto all’aria in luogo poco luminoso a circa 15° di temperatura. Servirono per la prova le stesse cavie reduci dalla nutrizione col sorgo fresco, ma a titolo di confronto una ne fu aggiunta di nuova appunto per eliminare il sospetto di possibile adattamento all’ a- limento in parola. I risultati ottenuti con questa serie di esperienze furono asso- lutamente identici ai primi salvo una eccezione come più sotto. Le tabelle del peso diedero: | Varietà Peso iniziale (A 10° giorno al 20° giorno al 25° giorno Diferenza Osservazioni | i ! Sv gr. 368 | gr. 870 | gr. 875 | gr. 875 \ger.7+ ! | Ss. » 375 » 373 » 374 PST (Ca MSI ESA E disturbi | (e to » 380 |.» 379 | » 879 | » 888 |> 8+ I S v.# » 364 » 369 » 373 » 876 |» 121 | 88% >» 380 | » 878 | » 8379) » 880» 0+ |tievi disturil| | Sc » 373. >» 375 | » 878) >» 880 |» 104 | | Controllo S v. » 5320 » 828 » 337 Mad SAL |> 21 + La tossicità delle urine si mantenne uguale per quanto la quan- tità delle urine fosse diminuita dalla precedente esperienza e le cavie non diedero alcun segno di malessere. Le due però nutrite con sorgo zuccherino parvero alquanto torpide e poco pronte alla reazione, fatto che io misi in rapporto ad un leggero ma continuato avvele- namento alcoolico dovuto all’aleool prodotto nella fermentazione per lo sdoppiamento del glucoside contenuto nella pianta. Contemporaneamente alla prova del nutrimento nelle cavie con le varie qualità di sorgo coltivate in buone e cattive condizioni, sì provarono gli effetti dell’iniezioni sottocutanee dell’estratto al- coolico ed acquoso delle giovani piante. Furono usate per far ciò soltanto piante raccolte fresche e non fermentate per la considera- zione che nella macerazione acquosa sarebbero ugualmente avvenuti i processi ossidativi e di sdoppiamento che si potessero verificare. nella fermentazione della pianta. Esrrarro ALCOOLICO. — Raccolti pertanto 200 grammi per cia- scun campicello di sorgo (S v. S s. S e. S v*. S s*. S e*.), furono separa- tamente previa rapida lavatura in acqua finamente trinciati con le forbici e posti a macerare in alcool a 36° in altrettanti vasi non a chiusura ermetica. MPA a sa ig, % 3 fe 1a Dopo dieci giorni di macerazione da tutti i campioni si is decantò «un liquido intensamente colorato in verde oliva, di odore erbaceo, torbido e di reazione leggermente acida. SoRGO VOLGARE, s. v.* — Filtrato il liquido ottenuto fu saggiato con la reazione di Trommer e Bottger e non si potè ottenere neppure decolorando con carbone animale traccie di uno zucchero riduttore qualsiasi. Svaporato il liquido all’aria, sì ricavò un estratto bruno verde oscuro di consistenza molle. Questo estratto agitato con una bacchetta di vetro in acqua distillata in parte si ridisciolse, precipitando al fondo l’altra parte. Questa parte insolubile svaporata l’acqua addi- zionatavi si presenta di consistenza picea, appiccaticcia, di color bruno nero e di odore caratteristico non del tutto sgradevole. Riscaldata alla fiamma Bunsen sulla punta di una spatola, non brucia, ma diviene più molle accentuando il suo tipico odore. Questa sostanza insolubile anche a caldo nell’acqua è solubile un poco nell'olio di ulivo bollente e bene nell’alcool assoluto, cui comu- nica un color rosso marrone con tendenza al verde e una discreta facoltà di lucidare il legno. Lasciata cadere una goccia di questa «soluzione alcoolica sulla carta da filtro forma una aureola color terra d'ombra chiara. Sarebbe quindi interessante studiare se questa sostanza possa riportarsi al gruppo delle resine e se potesse avere qualche utilità pratica ed industriale. Trattato pertanto l’estratto alcoolico secco di 200 grammi di pianta con 5 grammi di acqua distillata bollente, la soluzione risul- tante fu iniettata completamente sotto la pelle di una cavia di circa 300 grammi. Seguita la cavia per più ore, nessun disturbo ebbe a risentirne benchè minimo. La parte rimasta indisciolta fu in parte soluta' e in parte sospesa in 5 grammi di olio d’ulivo caldo e subito iniettata con ago da calomelano in una cavia di gr. 280. E simil- mente per le successive 24" non si notò sonnolenza, perdita dell’ ap- petito o disturbi della deambulazione 0 dell’equilibrio, in una parola nessun sintomo benchè leggero di alterata funzionalità. Ambedue le cavie seguite per una settimana non diedero maggiori segni di sofferenza che il primo giorno. Sordo saccaRraTo, s. s.# — Filtrato il liquido ottenuto furono riscontrate con la reazione di Trommer e Bottger, previa decolora- zione della soluzione con carbone animale, leggerissime tracce di uno zucchero riduttore (glucosio ?). | Riguardo al resto del comportamento identici risultati del sorgo volgare. Sordo carro, s. c.f — Come il sorgo volgare. a x (tà ; : Naldi 5 "SL Estratto acquoso. — Raccolti grammi 200 per ciascuna sorgo (Sv. Ss. Sc. Sv.*Ss.* Sc.) furono separatamente previo rapido lavaggio in acqua stillata trinciati finemente con le forbici e quindi messi in vasi aperti ricoperte appena di acqua stillata e lasciati in ambiente poco luminoso a circa 15° C. Di queste macerazioni in acqua. ne furono ripetute per più volte, saggiando il liquido ottenuto al 8°, 5°, 10° giorno di macerazione. Riferiremo per brevità i risultati ottenuti con la macerazione prolungata al 10° giorno, i quali del resto sono presso a poco identici agli altri due. Esposti i giovani germogli di sorgo appena ricoperti di acqua all’azione della temperatura e dell’aria, questi germogli venivano a trovarsi con notevole somiglianza nelle stesse condizioni del sorgo bagnato qualche giorno prima di essere dato in pasto al bestiame e quindi sl poteva riportare gli effetti ottenibili con abbastanza esat- tezza ‘alle condizioni in cui il bestiame viene a trovarsi quando è obbligato alla nutrizione con foraggi leggermenti fermentati. Soreo voLcaRE. — Al 10° giorno si ottenne decantando il liquido della macerazione un liquido giallo paglierino torbido, di reazione acida e di odore appena sensibile. Filtrato e trattato con le reazioni di Trommer e Bottger non lascia riscontrare tracce di zuccheri riduttori. Trattato con la reazione di Lieben per l’alcool etilico il risul- tato fu negativo. Trattato con la reazione al bicromato di potassa ed acido solfo- rico non sì ebbe sviluppo del tipico odore dell’aldeide formica e quindi si escluse la presenza dell’alcool metilico, per quanto bisogni notare che anche essendovi presente facilmente la tenuissima quan- tità potrebbe essere sfuggita ad una analisi non finissima coma questa. Finalmente trattata la soluzione previamente filtrata con una goccia di solfato ferroso e una di cloruro ferrico, più qualche goccia di idrato sodico e riscaldando moderatamente non si ottenne col- l'aggiunta di acido cloridrico la tipica colorazione del bleu di prussia. Ugualmente, distillata la soluzione acquosa non filtrata e raccolto il distillato in H°O, con la stessa reazione non si rilevarono acido | idrocianico 0 cianuri. Presi 200 grammi per ciascuna delle diverse varietà di sorgo e messi a macerare in acqua leggermente acidificata con acido ace- tico, al decimo giorno si ottenne un liquido più intensamente co- lorato in giallo, che filtrato, scaldato leggermente e quindi trat- tato con la reazione dell’acido cianidrico, non diede la reazione del alità di n ST, i} tolo fa x Mu Si 1 è biz >, Dr at 1 ua [Pda ovuto dare secondo la formula C,;H,70;N + H,0 = 0,H,0, + C;H,0, +HON SoRrGo SACCARATO s. s.* — Il filtrato trattato con la reazione "Trommer e Bottger non diede traccia di zucchero. i Trattato invece con idrato potassico e jodio polverizzato si ot- ‘tenne, riscaldando e lasciando depositare 24", un tenuissimo preci- | pitato bianco-gialliccio riconoscibile al tenue odore caratteristico per Jodoformio. | Quindi vi erano traccie di alcool etilico. Negativa la reazione per l’alcool metilico. E negative pure le reazioni varie per i derivati dell'acido ciani- drico. È SorGo caFFRO s. c.# — Come il sorgo vulgare. 3 Evaporati i liquidi della macerazione dei-differenti campioni di sorgo fino a consistenza sciropposa e iniettati separatamente in cavie di circa gr. 300, nessun effetto nocevole fu notato per 24" successive, nè per il tempo che ancora rimasero in osservazione. _ Posteriormente a questi risultati negativi per la intolleranza da parte delle cavie a questo nutrimento e della innocuità degli estratti della pianta incriminata, volemmo seguire in altri animali la nn- trizione col sorgo, ripetendo per altro il comune esperimento pra- tico di molte campagne italiane (Toscana, Umbria, Veneto) in cui il sorgo volgare fa in certe stagioni parte integrale del nutrimento dei grossi e piccoli capi di bestiame. Pertanto dal 15 settembre al 15 ottobre a due capre adulte, in buone condizioni e che davano tuttavia latte in discreta quantità fu somministrato un cibo misto composto di orzo, crusca e quantità di\sorgo fresco da ‘, a 1: kg giornaliero delle varietà volgare e sac- «| _‘»’—carato in miscuglio, cercando di fare abbondare nella razione 1 | germogli recenti. Sui primi giorni si ebbe risoluta ripugnanza a nu- trirsene, dovuta credo al genere di foraggio ignoto e non appetito dagli animali caprini. Più tardi divenne per essi un desiderato com- “—plemento al foraggio secco che gli si amministrava. Dal 15 ottobre | —al 81 dello stesso mese il sorgo fa pure somministrato, ma dopo | 2-4 giorni dal taglio e dopo essere stato in questo tempo, e previa- «mente inumidito, nel soppalco della stalla ove dimoravano gli ani- mali. Nel primo e nel secondo periodo dell’esperimento nessuna funzione apparve alterata nè alcun disturbo fu addimostrato dalle | capre. Anche la produzione del latte non ne risentì danno alcuno, | salvo se togli il sapore erbaceo caratteristico che acquistava, e i wr e” lay ia e a ta RI x, vida Da i A di 5 È fono, "RUIMIE Contemporaneamente Pai assoggettato a questo ‘complemento di. cibo il bestiame di un intiero podere. E così furono distribuiti per circa 15 giorni a 4 mucche 2 vacche, un vitello ed un cavallo, circa kg 2 per ciascuno di sorgo volgare e saccarato a medio stadio di sviluppo segato sempre tre o quattro giorni avanti e nessuno dei sintomi altrove notati fu dato riscontrare. Soltanto il latte acqui stava il solito sapore erbaceo. In conclusione i risultati riuscirono anche qui negativi per la intolleranza. Proponendoci in un ulteriore lavoro di ricercare le cause e le circostanze per cui il sorgo può divenire un cibo pericoloso per i nostri bestiami, sarà bene rilevare oggi una sola constatazione di fatto e che cioè nelle sopra notate esperienze fu nostra somma cura evitare che il sorgo distribuito alle cavie e agli altri animali fosse affetto da crittogame o altri qualunque parassiti vegetali. in altre parole fosse un sorgo botanicamente integro. Ricerche ed osservazioni intorno alla origine ed alla differenziazione degli elementi vascolari primarî nella radice delle Monocotiledoni. del prof. R. PIROTTA (Contin. Vedi pag. 483). Però fin dal 1865 O. Nicolai, allievo di Caspary, in un lavoro molto importante ma quasi completamente dimenticato (1), seguendo lo sviluppo del cilindro centrale della radice, valendosi del metodo delle sezioni in serie per poter seguire le no succes- sive mano mano sl presentavano fino allo stadio adulto, potè se- guire per il primo esattamente il processo di differenziazione degli elementi vascolari tutti del cilindro centrale medesimo (2). Sic- come questo lavoro è di importanza fondamentale per la questione dell'origine e della differenziazione degli elementi vascolari della radice delle Monocotiledoni, così ritengo necessario esporre particola- reggiatamente i risultati delle ricerche. Nell’ ordeum vulgare vi è un largo vaso centrale; i raggi vascolari sono a due elementi, che hanno origine uno dopo l’altro. Di èssi « die hinzugekommene liegt (1) NicoLa1 0. — Das Wachsthum der Wurzel. Schrift. d.k.physîk. iikon. Gesellsch. zu Kénigsberg, J. V, 1860. (2) Merita di ricordare, come il Nicolai avesse già nel 1865 veduto in ge- nerale assai bene tutto quanto venne molto più tardi esposto come cosa nuova da Leger e Chauvaud intorno al modo di differenziazione degli elementi della porzione cribosa. Descrive infatti e figura egregiamente il tempo e il modo di comparire dei primi tubi cribosi, riconoscibili per la posizione, la forma rom- bica o a losanga e la grossa parete, e lo sviluppo degli altri elementi che con- corrono a formare il fascio criboso. Basterà riportare al riguardo quanto Ni- colai scrive intorno allo sviluppo dei primi tubi cribosi nella E/odea (1. e p. 52-54). Descritto il modo di differenziazione del cilindro centrale, soggiunge: « In diesem zeichnen sich zundichst vier einzelnen Zellen aus, in dem sie sich am friihesten verdicken, sie bilden den Anfang von vier Biindeln einfacher Leitzellen. Zwischen diesen finden sich spéfer vier Ringleitzellen, die bisweilen wieder resorbirt werden ». Vedasi anche a pag. 63 per l’Hordeum vulgare. Nicolai descrive bene anche l’origine periciclica di alcuni elementi vasco- lari dei fasci della radice di certe Graminacee (I, c., p. 14, ecc.). in der issersten hi des Leitstranges, ist (brak Ù end enger na _ —9‘als di gròssere dicht darunter nach innere liegende und spiiter als. ii diese durch Theilung einer Zelle der iiussersten Reihe des Leit- pi strangs entstanden. Trotzdem verholzt sie zuerst, dann die gròssere A nach innen liegende Zelle, zuletzt die weite Zelle in der Mitte des È Stranges. Wir finden also Verholzung der Geftisse in centripetaler $ Folge. » a Nella Zea Mays verso il mezzo del cilindro centrale compaiono prestissimo 5-8 grandi cellule isolate; un poco più tardi e dopo la comparsa dei primi tubi cribrosi, appariscono delle cellule tra il centro e la periferia, che crescono come le centrali e sono vasi. Però si ì primi vasi a lignificarsi originano dalle due o tre piccole cellule | che stanno all’esterno dei grossi vasi, e che « sind auch hier erst spiiter entstanden als die mehr nach innen liegenden gròs- seren Zellen, dennoch verholzen sie friiher und es dauert geraume Zeit, bis die Verhotzung die in der Mitte liegenden, sehr weiten, schon so friih angelegten Geftisse erreicht » ; i quali grandi vasi della A parte centrale, ripete più volte, che sono quelli formatisi prima di tutti (1). | E concludendo (2) ripete che la differenziazione e la lignificazione A procedono in modo, « so dass die zuerst angelegten, weitesten in der | Mitte stehenden Theile der Leitbiindel zuletzt verholzen ». Nel 1874 E. de Janezewsky (3), avendo trovato nelle radici di : Orzo e di Mais che i grossi vasi centrali sont definis les premiers, tandis que les autres d’un diamètre plus faible, ne sont pas encore distincts; osserva che in questi,casi però la membrana dei grandi vasi centrali s épaissit bien plus tard que celle des vaisseaua periphé- n riques; e, non conoscendo i risultati delle osservazioni di Nicolai, ritiene che il modo di comportarsi dei vasi centrali sia un fatto E generale per le radici che hanno numerosi vasi disposti in lamine i radiali, benchè sempre di carattere eccezionale (4). Anche J. Klinge (5), che ignaro delle osservazioni di Nicolai e Janezewsky, pur sostiene, come vedemmo, l’origine centripeta dei ; raggi vascolari della radice, ricorda tuttavia qualche eccezione; le K quali riguardano però non l’intero raggio vascolare, ma soltanto il 2 cosidetto protoxilema. E l’eccezione sarebbe questa, che in certe Gra- re pi (1) NicoLar O. — L. c., p. 63, 64 e segg. (2) L. c. p. 74. (3) JAnczEWSKyY E. DE. — Kecherches s. V accroissement rante des ra- cines d. 1. Phanérogames. Ann. Se. nat. b° Sér. t. XX, 1874, p. 181. (4) L. c. p. 102; nota. 6 (5) KLINGE J. — Vergl. Histiol. Untersuch. et. c., 1. c. 4l. n» È ere da Pte? Ra alli» # hai PUT amatus o: Eltola sì svilupperebbe per primo il vaso più interno S sa e il mediano, poi il più interno, poi il più esterno. Uonsiglio della struttura della radice delle Mostentidoni (1) segue l'origine degli elementi vascolari e osserva ed es. nel Dasylirion lon- gifolium, che nel cilindro centrale i primi elementi vascolari a con- parire sono quelli centrali isolati nel parenchima, che però i primi elementi a ispessirsi sono quelli appartenenti al raggio vascolare. G. Chauveaud che: fin dal 1895 ha intrapreso una serie di ricerche accurate sulla origine e sulla differenziazione degli elementi dei cordoni cribrosi della radice delle Monocotiledoni, ebbe occasione anche di osservare e descrivere, in alcuni casi, quasi contem poranea- mente a me, anche l’origine e la differenziazione degli elementi vascolari, pur non conoscendo i lavori precedentemente ricordati. Nel 1897 infatti, nell’importante lavoro da lui pubblicato (2), incidentalmente accenna, che nel Triticum sativum il vaso che sta nel centro della radice si differenzia per il primo, mentre quelli del raggio vascolare si differenziano moltò più tardi; e per altre specie (Heleocharis, Philodendron, ecc.) accenna pure che l'ordine di com- parsa degli elementi del fascio legnoso è centrifugo, mentre la diffe- renziazione ulteriore è centripeta, e cioè è vasi esterni sono già ligni- ficati allorchè gli interni grandi hanno ancora la loro membrana sottile cellulosica. LI: Origine degli elementi vascolari. La struttura dell’apice vegetativo della radice delle Monocotile- doni non è uguale per tutte, anzi è considerevolmente differente. ‘In tutte però le radici terrestri ed aeree è ben manifesta quella regione interna di tessuti embrionali, che comunemente è detta ple- roma e che darà origine, differenziandosi, al cilindro centrale 0 stele della radice. Essa si differenzia ben presto e normalmente in tre regioni o istogeni, una esterna che darà origine al pericambio, l’altra mediana, immediatamente susseguente, il parenchima procam- biale, e la terza interna più o meno sviluppata, il parenchima centrale. (1) CeruLLI-IRELLI G. — Contribuzione allo studio della struttura della radice nelle Monocotiledoni. Ann. Istit. Botanico Roma. A. V, 1892, p. 42. «|. (2. CÒauveaUD G. — Recherches sur le mode de formation des tubes cri- x blés dans la racine des Monocotylédones. Ann Sc. nat. VIII Sér. t. IV, 1897, p. To ‘980, 302, 3D5. flu tans, Elymus Sa DAel Holcus ‘ Nel 1892 il mio allievo G. Cerulli-Trelli, occupandosi per mio 4 Le £ P » 6. y "a dI * Ù Wi Ù E 7 e Pisi # Re o - A pit Td, PISA PINTO, In ciascuna di queste tre regioni, ma sopratutto nella seconda e nella terza, si sviluppano elementi vascolari, in modo regolare nel pa- renchima procambiale, di solito non regolare nel parenchima centrale. Nel parenchima procambiale infatti hanno origine gli elementi del raggi vascolari, caratteristici per la radice in generale, che col- locati ad eguale distanza, in numero di due o più, spesso molti o moltissimi, si veggono a completo sviluppo, regolarmente disposti in cerchio, alternando coi cordoni cribrosi, dai quali li separano elementi di parenchima fondamentale. Nel parenchima centrale invece hanno origine i vasi centrali, frequentissimi nelle radici delle Monocotiledoni, differenti di solito per disposizione, forma, dimensioni e struttura da quelli dei raggi vascolari. Talora infatti vi è un solo vaso centrale, ed occupa allora l’asse del cilindro centrale, cosicchè può dirsi assile; tal’altra ve ne sono pochi o molti, con o senza quello assile, ‘isolati o a gruppi, in modo variabile, come vedremo più innanzi. I primi elementi vascolari a comparire sono quelli centrali e, se ve ne è uno assile, questo è il primo di tutti a presentarsi. Essì sì differenziano già in vicinanza dell’apice del pleroma, dove stanno le iniziali, dalle quali sembrano talvolta provenire diret- tamente. Però quando i vasi centrali sono parecchi o molti, quelli che man mano seguono verso l'esterno si differenziano ad una mag- giore distanza dalle iniziali medesime. Ad ogni modo, quantunque la loro differenziazione abbia luogo di regola rapidamente, non compariscono contemporaneamente, ma centrifugamente, cioè dal centro verso la periferia, benchè in modu non perfettamente regolare. Le cellule embrionali del parenchima centrale, ricche di conte- nuto e attivamente in segmentazione nella parte più giovane, ces- sano di regola ben presto di segmentarsi per dar luogo agli elementi dei vasi nel modo che sarà detto più innanzi. Gli elementi dei raggi vascolari si differenziano più o meno tardi relativamente a quelli dei vasi centrali, sempre però anche dopo la differenziazione dei tubi cribrosi. Di essi elementi vascolari i primi a comparire, di regola generalissima, sono quelli che stanno più allo interno del futuro raggio, e si seguono man mano in ordine centri- fugo, cioè dall'interno verso l’esterno, dai più grandi ai più piccoli, che sono quelli periferici. Il che è reso palese anche dal fatto, che il processo di segmenta- zione cellulare continua ancora alla periferia, quando è già cessato verso l'interno. . Mai 5a <% k - Con E rego a ge) eraliss ma, di tutti questi vasi i primi. rag _giung ra la loro completa differenziazione, il loro stato adulto, reso TI | manifesto dal processo di lignificazione della parete e dalla scomparsa “ del corpo protoplasmatico, sono quelli dei raggi vascolari, e preci- "A 4 | samente in modo centripeto, vale a dire che la lignificazione procede Ki pi dall’ esterno, dai più piccoli elementi vascolari, verso l’interno, verso ‘@ Me | i più grandi del raggio medesimo, e poi a quelli man mano centrali. De % Talvolta poi si modifica profondamente il parenchima fondamen- 19 È tale della porzione centrale del cilindro, lignificandosi più 0 meno. > |. Allora, di regola, la lignificazione procede dal centro alla periferia. 9 4 î ’ Lo sviluppo degli elementi vascolari, sia nel parenchima procam- i biale che in quello centrale, ha luogo nelle sue linee generali pres- 3 sapoco allo stesso modo in tutte le radici studiate fino ad ora. Le Ì particolarità che si presentano nei singoli casi non modificano la : ‘ legge generale di sviluppo. i Se si segue con cura il successivo differenziamento del cilindro bi centrale nell’apice vegetativo della radice delle Monocotiledoni collo ; studio delle sezioni’ trasversali successive, l'origine e la differen- = ziazione degli elementi vascolari ci si presentano molto chiare. Di Nell’estremo apice, sotto la piloriza, in quella regione che viene h anche chiamata punto vegetativo caratterizzata dalla formazione di i nuove cellule per segmentazione di un gruppo di iniziali, si vede il x La pleroma costituito da elementi pochi di numero, quasi uniformi, ric- 2 chissimi di fitto citoplasma granelloso con grosso nucleo (fig. 1). sot î #8 ), Ka i RIONE ti ma Fig. 1. — Taglio trasversale immediatamente sotto la piloriza dell’apice vegetativo di una radice laterale di Tritonia crocata (L.) (oc. 3, ob. 8° Koristka . «Queste cellule continuano a segmentarsi, cosicchè un po’ più lontano . dall’apice si possono distinguere, a costituire il pleroma, due gruppi — dicellule embrionali, uno centrale ad elementi di regola poligonali in pa + aa , Pe LA Sia DL Not cen A RIA n | ‘sezione, un po’ più grandi, l’altro perifei BR “ I Cee utero AMIN VEE o Via pe ASSE un po’ più piccole, meno regolari, in attiva segmen azione, le periferiche. Dalle prime cellule ha origine il parenchima | entrale, > Fic. 2 — Taglio trasversale della stessa radice un poco più lontano dall’apice vegetativo (oc. 3, ob. 8° Kor.). Un poco più lontano dall’apice, nel parenchima centrale comincia la differenziazione delle cellule madri o iniziali degli elementi va- " scolari centrali. Nel caso più semplice una cellula centrale, che oc- cupa l’asse del cilindro, aumenta rapidamente, quasi improvvisa- mente di dimensioni, cosicchè spicca sulle altre cellule, e in pari tempo il suo citoplasma comincia a presentare vacuoli, che si fanno sempre più grandi, e in'numero maggiore, cosicchè il protoplasto perde quella omogeneità e quell’aspetto granelloso, che caratterizzano lo stadio embrionale e diventa più trasparente e meno colorabile. Le iniziali possono continuare a segmentarsi; ma ben presto il processo di segmentazione cessa, dopochè esse sono cresciute più 0 meno in grossezza, talvolta enormemente, e dopo che il citoplasma ; ed il nucleo sono scomparsi dalla cavità cellulare. Si formano al- Jorn man mano gli elementi definitivi del vaso centrale. Fio. 3. — Le figure 3.7 sono sehematiche + rappresentano, in tagti trasversali, i principali stadii di sviluppo degli elementi vascolari del vaso centrale e dei raggi vascolari nel pleroma delle Monocotiledoni. In queste figure non sono segnati i tubi cribrosi. In tutte ed, endodermide; p, pericambio ; pp, parenchima procambiale; pc, parenchima centrale; ve, vaso centrale. 1rv, primo elemento vascolare radiale; 2rv, 3rv, rispettivamente, secondo, terzo elemento vascolare radiale, SARÀ si va verso l’ gono più a lungo nello stato em- brionale, quindi ricche di contenuto e in attiva segmentazione, in i da relazione appunto alla più tardiva differenzazione in esse degli ele- Ri po: menti vascolari. Mentre le cellule madri del vaso centrale si stanno — i ._—differenziando e già spiccano per le loro dimensioni spesso enormi sa sulle altre cellule circostarti, il parenchima procambiale non pre- N ‘senta, di regola, ancora nessun accenno di differenziazione di ele- ei A menti del raggio vascolare (fig. 3). Però ad una distanza variabile dal‘ Wi E sommo apice, ma sempre più o meno presto dopo la prima differen- È ziazione degli elementi del vaso centrale, nella parte più interna del Ti parenchima procambiale, in punti determinati per numero e pressa- poco equidistanti, alcune cellule cominciano ad aumentare di dimen- sione ed a differenziarsi in modo analogo a quello sopra indicato per Mie le iniziali del vaso centrale, cosicchè spiccano presto su tutte le altre cellule del parenchima procambiale ancora in segmentazione, per "8 la loro ampiezza e per la maggior trasparenza. Sono esse i primi, Aa elementi dei raggi vascolari, i quali hanno quindi origine all’ in- 50 terno, verso il centro del cilindro centrale (fig. 4 1r 7). Questa prima br ‘differenziazione ha luogo, di sclito, quando gli elementi costitutivi 0) o S 9 h vi 1. Le sa Via fl si ji Nav 4 1 i cl È . K Ta I del pericambio, pur essendo ben distinti, sone ancora allo stato di “al do segmentazione. s Più tardi, e molto rapidamente, si differenziano man mano e 1n “al ordine centrifugo, cioè verso la periferia, addossati più o meno re- Me golarmente al primo comparso, gli elementi, pochi o molti, del rag- ‘ È gio vascolare, elementi che suno ordinariamente più piccoli talvolta #7 vi molto più piccoli di quelli interni del raggio stesso (fig.5,62r0,3r®). wi Gli elementi più esterni sono accollati alle cellule del pericambio (qual- n at o 2 ino anche ni RE itutti gli altri e) Fic. 5. sisecono e lignificano con molta precocità, quando gli elementi più interni del raggio vascolare e quelli del vaso centrale non hanno Fic, 6, AID Teo pte ° 9° STR CIBETÀAV APIRET SIA uu aatansa AITINA] E © Peelnd À ORE Hi è DE A . ER te: sl BRT NCLSEI UA ia 5, RINO ficano abbastanza rapidame te, altra volta quelli del vaso cen- © trale o anche i più interni dei raggi vascolari molto tardivamente. ug In altri casi, più frequenti, le cellule iniziali o madri degli elementi A dei vasi centrali sono più di una, poche o molte e diversamente distri- JA È —_. buite nella massa del parenchima centrale. Allora, a seconda dei casì, y la differenziazione delle iniziali ha luogo quasi contemporaneamente u* % su tutta la superficie di sezione, più spesso successivamente benchè a i distanza non troppo grande ed in modo non perfettamente regolare. . . . . . . . . . . NT Nel caso in cui le cellule iniziali sono molte e distribuite per tutto il priy . y . . . ul parenchima centrale, la comparsa loro si fa di regola centrifugamente. d E se di questi vasi centrali uno è assile, questo è sempre il w. primo a comparire ed a differenziarsi. Gli altri compariscono più 0 tardi, in un tempo di regola assai breve. Le figure 8-11 mostrano egregiamente quanto sopra si è detto. È î Pei \ Le A SAI te ne di 1.vC. 4 Di LE (I aa ER be be. Sali 5) a ' A UU ; L0@ I Mi. pe. bad n: ui SAL ME. Da f i "9 4 È _ vi * ‘ ». P, . li r1 - 8-11. — Le figure 8-11, in parte schematizzate rappresentano, in tagli trasversali, i principa i Su stadii di TRAP degli “ini vascolari nel cilindro centrale della radice laterale di Triticum polonicum (L). ; , L : li: fig. 10, comparsa dei i e del vaso assile; fig. 9, comparsa della serie dei vasi centrali; fig. “0, comparsa 7° i î dementi interni) dei dae vascolari; fig. 11, comparsa degli altri plecieg E del N e. raggi vascolari medesimi. In tutte le figure: lve, primo vaso centrale (assile); 2ve, secondi BL a i* vasi centrali; lrv, primi elementi vascolari dei raggi vascolari; 2rv, secondi elementi vasco- fo lari dei medesimi raggi. — Nelle figure non sono segnati i tubi cribrosi. . ", Pa | ANNALI DI Boranica — Vo. I. 24 i È, 7, A EI via a; sti cc ora i va eng CA L DE vascolari ha osa 0 1 ir *LSAGA cato più sopra, quando esiste un solo vaso centrale Wes e cioè. 100 gli elementi dei raggi vascolari si differenziano centrifugamente e mo si lignificano centripetamente, il che è pure mostrato dalle Heure DI "I . suddette. Lo studio delle sezioni in serie longitudinali dell’ apice ve- getativo della radice conferma e completa quanto sopra si è detto. Dal piccolo gruppo delle iniziali del pleroma, in corrispondenza \ della regione costituita dal parenchima centrale, si vedono partire, pa "è PR RT E gira E + RSI rai Rex o ve” 7 Lt Ùh lad 4, fw Fia, 12, — Taglio longitudinale mediano dell’apice vegetativo della radice laterale di Canna ini diftora Ruiz Pav, per mostrare lo sviluppo degli elementi dei vasi centrali del pleroma della — radice medesima, — c, pileoriza; pb, periblema; pl, pleroma; ve, vasi centrali. in linea retta se si tratta di vasi assili o mediani (fig. 12), o in linea prima curva verso l’esterno ed il basso, se si tratta di vasi ci Bi: gi. L parench ma centra Fic. 13 — Taglio longitudinale c. s. dell’apice vegetativo di una radice laterale di Zex Curagua Mol. per mostrare lo sviluppo degli elementi dei vasi centrali. —- cy, caliptrogeno ; le altre lettere come nella figura 12. Gli elementi di queste file di cellule, già a piccola distanza dal punto vegetativo, pur continuando a segmentarsi in direzione quasi sempre normale all’asse longitudinale, crescono rapidamente di di- mensioni trasversali, cosicchè spiccano sulle altre serie di cellule del pleroma (fig. 12). Ogni elemento di questa serie è una cellula madre dell’elemento del vaso centrale. Mentre essi crescono in gros- sezza, il citoplasma che avvolge il grosso nucleo centrale si scava di vacnoli e diventa sempre più trasparente, cosicchè la serie o le serle spiccano nettamente su tutto il resto della sezione (fig. 12, 13). Le cellule continuano a crescere, ma ora sopratutto in lunghezza; cosicchè a poca distanza dall’apice diventano più volte, anche molte volte, più lunghe che larghe, pur mantenendo ancora le pareti sottili. Per tutto questo stadio il parenchima procambiale del pleroma st mantiene in istato di attiva segmentazione trasversale e longi- tudinale. Soltanto quando le cellule madri dei grandi vasi sono già molto ampie e svuotate o quasi di citoplasma, cominciano alcune cellule ad ingrandire e ad allungarsi nel modo e nella successione più sopra indicati, e cioè, per ogni raggio vascolare, prima le cel- lule più interne, poi man mano le più esterne. | ‘ANNALI DI Boranica — Vot. I. 24% la Ve sorta di elementi SAVI Horta loro Stront ‘primaria. Mo9 " do É CA fi. I raggi vascolari variano di numero da due a moltissimi, come i Y variano in ciascun raggio il numero degli elementi che li costitui- a vi scono e la loro natura. La loro disposizione è però, di solito, costante 4 eregolare. I più esterni, quelli che compariscono ultimi ma che ligni- È ficano prima, sono tracheidi, gli altri più interni che compariscono primi ma lignificano più tardi, sono di regola fusioni cellulari o trachee. I vasi centrali possono variare non soltanto per il numero, ma o anche per la disposizione, in relazione sopratutto colle dimensioni ln delle radici e col numero dei raggi vascolari. Senza entrare in par- ticolari, basterà ricordare i casì principali che sono i seguenti, e presentano del resto tutte le forme di passaggio: 1° Un unico vaso centrale, che è allora quasi sempre assile (certe Graminacee, Ciperacee, Gigliacee, Amarillidacee, Commelinacee, ecc. ecc.). un iii 2° Parecchi o molti vasi centrali isolati disposti in cerchia più o meno regolare verso la periferia del parenchima centrale, più o meno in relazione, a sviluppo completo, coi raggi vascolari; la porzione centrale è allora o priva di vasi, o presenta talvolta un vaso assile (certe Iridacee, Aracee, Commelinacee, Cannacee, Gigliacee, ecc. ecc.). Numerosi vasi isolati sparsi più 0 meno irregolarmente per tutta la massa del parenchima centrale, (certe Palme, Gigliacee, Aracee, Ciclantacee, Taccacee, ecc. ecc.). 4° Gruppi di vasi (mescolati spesso con tubi cribrosi) sparsi più o meno in tutta la massa del parenchima centrale (certe Aracee, Bam- busee fra le Graminacee, Musacee, Pandanacee, Gigliacee, Palme, ecc.). Di regola nelle Monocotiledoni le radici sono poliarche, cioè provvedute di numerosi raggi vascolari; di rado diarche od oligar- che. Nel primo caso ordinariamente i raggi vascolari formano una 4 cerchia verso la periferia e la parte centrale ampia del cilindro cen- trale è occupata da molti o parecchi vasi centrali. Nel secondo caso i i raggi vascolari si avvicinano al centro, dove si trova pochissimo parenchima, e toccano di regola il vaso assile o i pochi vasi cen- I trali, facendo a completo sviluppo l'impressione come se i raggi va- È scolari si incontrassero al centro del cilindro centrale. Riassumendo in brevi parole quanto siamo venuti finora espo- nendo in questa prima parte del nostro lavoro, possiamo giungere alle seguenti conclusioni; Mi Wa iisono ii raggi i vi meno ari diet ‘e che si riscontrano anche in tutte le altre radici, e si svolgono dentro al parenchima procambiale (qualche volta dia in quello pericambiale); quelli centrali che diversi per numero e per disposi- zione, si svolgono nel parenchima centrale. 2° Contrariamente all’opinione generalmente seguìta, i primi vasi a differenziarsi sono quelli provenienti dagli elementi centrali; seguono poi gli elementi dei raggi vascolari în direzione centrifuga. Ma gli ele- menti più esterni, quelli che si credeva si formassero per i primi e che per ciò si ritenne costituissero un cosidetto protoxilema, sono però quelli che lignificano prima di tutti gli altri, cosicchè la lignificazione è centripeta. 3° Nelle radici delle Monocotiledoni non sì può parlare di pro- cambio, poichè gli elementi dei raggi vascolari, che sono fascì va- scolari semplici, si svolgono per differenziazione diretta dalle cellule embrionali del meristema. Ho dato alla regione in cui essì si for- mano, il nome di parenchima procambiale, per ricordare che i in essa sl E) 1 fasci vascolari. 4° La struttura e il modo di sviluppo degli elementi vascolari primarî nelle radici delle Monocotiledoni non sembra possano venire in sostegno della opinione recentemente esposta, all’appoggio del solo studio delle Dicotiledoni, da G. Bonnier intorno all’ordine di forma- zione degli elementi del cilindro centrale nella radice e nel caule (1). (1) BonnIER G. — Sur Vordre de formation des élements du cylindre central dans la racine et la tige. C. R. Ac. Sc. Paris, T. CXXXI, 1900, pag. 781. Brevi comunicazioni Una nuova Ophrys ibrida: x Ophrys Grampinî (0. aranifera x tenthre- dinifera) del dott. FaBrIzio Cortesi. — Il 17 dello scorso aprile il mio egregio amico prof. Ottavio Grampini — cultore appassionato di floristica — m’inviava un’Op4rys, da lui raccolta lungo i mar- ciapiedi erbosi che fiancheggiano la Via Appia antica, in mezzo al- PO. aranifera Huds. ed all’O. tenthredinifera Willd., accompagnando la pianta con un biglietto, nel quale m’esponeva il dubbio che po- tesse trattarsi d’un incrocio fra le due specie. Pochi giorni dopo io raccoglievo il medesimo ibrido sul caratteristico e famoso Monte Testaccio. Nelle diligenti ricerche bibliografiche che eseguii per identifi- carlo, potei persuadermi che sl trattava di una forma nuova, fino ad ora mai descritta: di coloro, cui mi rivolsi per avere notizie più sicure — ed è doveroso ch’io tributi loro i più cordiali ringrazia- menti — il sig. E. G. Camus — il chiaro autore della Monographie des Orchidées de France, conoscitore profondo degli ibridi della flora europea — mi rispose che non conosceva nessun incrocio fra l’Ophrys aranifera e VO. tenthredinifera; il sig. S. Sommier mi scrisse di aver descritto un’OpArys tenthredinifero X aranifera (1) citata an- che da Paoletti e Fiori, nella loro Flora (2), alla quale però non può riferirsi la nostra forma. Infatti mentre dalla descrizione del Som- mier emerge che si tratta di una pianta in cui i caratteri del- lO. tenthredinifera sono in prevalenza, nel nostro ibrido sì osser- vano invece prevalenti — nell’aspetto generale del fiore — i carat- teri dell’0. aranifera, per cui mentre per la prima si può ritenere che l'elemento maschile sia stato fornito dall’O. tenthredinifera, nell'altra invece è l’O. aranifera che deve aver fornito il polline. Ed ora ecco la descrizione del nostro ibrido, corredata da alcuni disegni eseguiti dal mio egregio amico Enrico Coleman — pittore illustre e valente cultore d’Orchidee — cui sono gratissimo pel fa- vore concessomi, dolente solo che la scarsezza dei mezzi non mi (1) Bull. Soc. Bot. It. 1892, p. 353. © (2) Fiori e PaoLETTI. — FI. anal. d’It., I, p. 256. elit wa er CAT — sarebbe stato mio vivissimo desiderio L’ibrido — seguendo l’uso attualmente vigente — è dedicato al prof. Grampini che per primo lo raccolse e richiamò la mia at- tenzione su di esso (1). * X Ophrys Grampinî hybr. nov. — Planta habitu Ophrydis aranife- rae: 4-5 dem.; foliis oblongis lanceolatis, mucronulatis, supra lucentibus; floribus 4-7 racemosis, bracteis viridibus, herbaceis, manifeste nervosis : inferioribus 1 '/,-2 germine longioribus, superioribus id aequantibus; te- palis eaterioribus ovato-obtusis, roseo-viridibus, 3-nervis; interioribus brunneo-viridibus, circiter tertium exterioribus aequantibus, quam in Ophryde tenthredinifera longioribus, quam in Ophryde aranifera brevio- ribus; labio ut în O. aranifera, basi gibboso, bilobo, mucronato apiculato, mucrone laeviter reverso, disco brunneo pubescente villoso, marginibus glabris luteo-viridibus, quasi membranaceis. Habitat in Via Appia Antica (leg. 0. Grampini) et in Monte Te- staccio (leg. F. Cortesi). A — Ophrys aranifera Huds. B — Ophrys tenthredinifera Willd. CU — X Ophrys Grampinî Nob. (1) A questo proposito si potrebbe dare un nome all’ibrido già citato, de- scritto dal Sommier: non si può dare ad esso it nome di X Ophrys Sommierî, perchè il sig. E. G. Camus mi scrive d’aver dato questo nome all’ibrido fra l’Ophrys bombyliflora e O. tenthredinifera descritto ed illustrato dal Sommier nel Nuovo Giornale Bot. It. n. serie, 1896, p. 254. È i da ZU E i Me £ | fiorali perchè Rich organi vegeta prezzabili — delle due specie stipiti e dell’ibrido da esse prodotto : Tepali esterni verdastri o verdi giallastri. Tepali interni lineari, acuti od ottusi, vellutati, ondulati sui margini, di color bruno, mai più brevi della metà degli interni. Labello obovato tondo convesso, gibboso alla ba- se, vellutato dovunque ra- ramente con margine gla- bro) eccetto che nel centro ‘ ove presenta delle striscie longitudinali e trasversali glabrelucenti, smarginato bilobo, spesso mucronu- lato. Ginostemio con una bre- ve appendice a forma di becco acuto. Ophrys aranifera | Ophrys tenthredinifera Non esiste differenza apprezzabile nelle parti vegetative. Tepali esterni rosei, Tepali interni ovati, ot- tusetti, 3-4 volte più corti degli esterni, rosei o bian- castri, pelosi. Labello grande, quasi quadrangolare, oscura- mente gibboso alla base, di color oscuro nel centro ove ha una grande mac- chia glabra lucente: verde- giallognolo nel resto, con ciuffo di peli presso la smarginatura, con un’ap- pendice bensviluppata fra i due lobi, rivolta in alto. Ginostemio ottuso sen- za becco. L'individuo da me piccoli di quelli della pianta raccolta dal prof. Grampini sulla Via Appia: questo forse si deve al fatto che in detto ibrido lo stipite O. aranifera avrà appartenuto ad una di quelle tante forme parvi- flore di questa specie straordinariamente polimorfa, forme che an- cora non sono state ben studiate e classificate e delle quali mi occuperò diffusamente nei miei <« Studi critici sulle Orchidacee romane >», - raccolto a Testaccio presentava i fiori vi non si trovano differenze ap- X 0. Grampinî Tepali esterni roseo-ver- dastri, 3-nervi. Tepali interni ovali a-, cuti vellutati, bruno ver- dastri, uguali in lunghez- za ad '/, degli esterni. Labello come nell’O. a- ranifera, ma con margine glabro, quasi membrana- ceo, verde giallastro, vel- lutato nel centro, bruno constriscielongitudinali e trasversali glabre lucenti; bilobo, con mucrone ben sviluppato e manifesto al- quanto rivolto in alto, Ginostemio con un pic- colissimo accenno di becco acuto, più Il materiale sul quale è stata elaborata la presente nota è con- servato in formalina — per evitare lo schiacciamento che lo avrebbe deformato — nelle collezioni del I. i Dal R. Istituto Botanico di Roma, luglio 1904. Istituto Botanico. dg A Lig ri . Col nome di infumescenze ( ntumescentia, Bla tau i si Br growths) furono già da molti anni MISRGARDÌ dal SORARUER (1) le «S208 € particolari alterazioni verruciformi dei tessuti vegetali derivate || % da un accrescimento anormale (ipertrofia) delle cellule, del tes- i suto corticale o del tessuto primario nei fusti, dell’epidermide o del mesofillo nelle foglie. Sono note per varie piante dei ge- Si neri Cassia, Epilobium, Eucalyptus, Ficus, Hibiscus, Populus, ecc. Der È e sì sviluppano d’ ordinario in piante che vegetino in condi- E zioni anormali specialmente in rapporto all'umidità ed alla luce: R in eccesso la prima, la seconda, con influenza tuttora non ben 24 definita. f: Tali neoformazioni, che interessano sopratutto la patologia ge- % nerale e l'anatomia patologica, circa l’ eziologia si collegano, come ogni altro fenomeno patologico, ad un processo fisiologico, nel caso nostro alla traspirazione, che turbata nel suo equilibrio normale ne determinerebbe la formazione. Io le ho riscontrate su foglie di/pomaea Batatas, pianta sulla quale, per quanto so, non sono state mai segnalate. Le condizioni poi del loro sviluppo furono tali da permettermi di portar una qual- che conferma alle opinioni ora prevalenti sull’eziologia di tali al- terazioni. Le piante in parola, ottenute da semi fatti RIM RO nella sabbia, crebbero in una serra calda, fortemente umida e moderata- li mente illuminata, nel R. Orto botanico di Padova. È Le loro toglie, quando le piantine erano appena alte 1-2 dem., avevano l’epifillo disseminato da intumescenze le quali spiccavano assai bene sul verde della lamina asa una colorazione bruno- pallida. s La lamina fogliare di /pomaca Batatas ha una struttura abba- ' stanza semplice: tra le due epidermidi, composte di uno strato di cellule quasi isodiametriche, fornite qua e là di qualche glandola e di stomi nella pagina inferiore, sì trova un mesofillo composto di un palizzata uniseriato, soprastante ad un parenchima a cellule irregolari, a tracellulari limitati, contenenti qua e là qualche drusa ì cristallina, In corrispondenza delle intumescenze si notano le seguenti si (1) Handb d. Pflanzenkrankh., IL Auf. 1886, I Bd., p. 222. — Questo argomento è anche trattato ampiamente, con numerose indicazioni bibliografiche, dal Kèùsrer, Pathol. Pflanzenanatomie, an. 1908, p. 88. Le intumescenze di Vitis vinifera furono di recente studiate da ViaLa e PacortET (C. R. Ace. d. Sc., Paris,"an. 1904, T. 188, p. 161). + SALOGERE PA SIOE Ma divenire, ad un tratto, d. ‘intero spessore fogliare. cellule. sono a contorni irregolarissimi, a pareti sottili e di color bruno, prive o quasi di protoplasma, con nuclei addossati alle pa- reti e sensibilmente ipertrofici. Me) Anche le cellule del palizzata sono notevolmente allungate in Mid. senso verticale, molto meno nel senso della loro larghezza e sembra quasi sì sieno aperto un passaggio tra le cellule epidermiche so- e prastanti. Il parenchima al di sotto e l’ipofillo si mantengono in- vece normali. Nelle intumescenze adunque di /pomaea non è in giuoco che il semplice processo dell’ipertrofia, analogamente a quanto fu osservato per le intumescenze fogliari ed anche per quelle caulinari di molte altre piante. C'è questo di diverso però nel presente caso, che l’in- i tumescenza deriva dall’ipertrofia di due tessuti, epifillo e palizzata, mentre nella maggior parte dei casi già noti, deriva dall’ipertrofia dell’uno o dell’altro soltanto. Le intumescenze fogliari di [pomaea sono perciò abbastanza com- plesse.e, come ho detto, si sono sviluppate in un ambiente ecces- sivamente umido e moderatamente illuminato. Se vi è un accordo nell’ammettere come fattore indispensabile alla formazione delle intumescenze l’umidità in grado eccessivo, non sì può dire altrettanto in rapporto alla luce. Secondo E. Dare (1) al buio non si svilupperebbero intumescenze; KùsreR invece, il quale studiò non è molto (2) intumescenze fogliari, esperimentalmente prodotte, su Populus tremula, trovò ch’esse sì sviluppano tanto al buio che alla luce, ma che una luce troppo in- tensa ne rallenta lo sviluppo. Di fronte a questi dati contradditori 1) Investigations on the abnormal outgrowths or intumescences on Hibiscus vitifolius (Philos. Trans. R. Soc. London, Ser. B. an. 1901, v. 194, p. 163). (2) Bericht. d. deutsch. bot. Gesellsch., Bd. XXI, an. 1903, p. 452. Ci elle patata ia in rappo rto alla mee, le. vazioni analitiche sopra questa parte dell’ argomento. sono tuttora. i troppo scarse. È possibile inoltre che piante specificamente diverse reagiscano anche in modo diverso a stimoli che pur possono essere di egual natura, cosicchè anche per questa ragione è prematuro as- segnare alla luce, in un senso o nell’altro, una influenza cui sì vo- glia dare un significato troppo assoluto. Qualora però le osservazioni fossero tutte concordi nell’ammet- tere la necessità di una luce deficiente, il problema potrebbe dirsi senz'altro risolto, poichè in tal caso l'eccessiva umidità, non potendo essere eliminata dalla pianta con una più attiva traspirazione — non certamente possibile con luce mediocre o deficiente — la formazione delle intumescenze troverebbe così una razionale spiegazione. Le intumescenze, come ognuno vede hanno notevoli analogie, di origine e di forma, con le lenticelle, così frequenti sui fusti di molte piante legnose, la cui funzione traspiratoria ha avuto oramai, specialmente per le esperienze di DETMER, prove incontestabili. An- che le intumescenze sarebbero destinate, a mio vedere, alla stessa funzione; senonchè le intumescenze rappresentano un adattamento solo temporaneo, mentre le lenticelle, aventi forse la stessa origine patologica, partecipano alla normale funzionalità della pianta e per- ciò sono adattamenti fissati stabilmente e trasmissibili per eredità. 3 Italia e alla conoscenza dei progressi della E pubblicazione i fatta, AR casì eccezionali, a artt ii i; fascicol li i allo e di evitare Ì FIR Tee che Li A Prof. R. PIROTTA. Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in È tempi non determinati e con numero di fogli e ta- vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne. carta, tiratura, legatura, eco, (li autori sono responsabili della forma e del conte | nuto dei loro lavori. N.B. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al prof. R. PrrorrA, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. un numero maggiore, pagando le semplici spese di 33 A & LS | K bi vet ato RT 3 5185 00257