Coi 1906/07 rete DOMANI UL | IE cali 7) la i” lissa: o i [I i , HR) n \ x n x 5 A ape: pi =“ PIO a 7 = _ ———- — 1——_ — —— — 5% » x io TAPETNITA NI TOR ANNALI DI OTANICA PUBBLICATI DAL Pro. ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma VOLUME QUINTO cani CON VI TAVOLE E 5 INCISIONI NEL TESTO psi ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1907 LIBRARY NEW YORK BOTANICA BOT; RA LL INDICE PER AUTORI f: Ù UARDEN BruscHI D. — Ricerche sulla vitalità delle cellule amilifere degli endospermi delle Graminacee, pag. 569. EN CARANO E. — Ricerche sulla Morfologia delle Pandanacee (Tav. I-V), pag. 1 dr Casu A. — Contribuzione allo studio della Flora delle saline (con due figure "0 nel testo), pag. 273. CERMENATI M. — Intorno al « Mappello » di Leonardo da Vinci, pag. 607. CHiovenpa E. — Di alcune Graminacee della Somalia, pag. 59. Cortesi F. — Orchidacee nuove o critiche, pag. 539. ‘— — Studî critici sulle Orchidacee romane, pag. 547 (con due figure nel testo) : (Tav. VI). . DE Toni G. B. — Spigolature Aldrovandiane, pag. 421. Gora G. — Studi sulla funzione respiratoria nelle piante acquatiche, pag. 4Al. Lonco B. — Contribuzione alla Flora dei monti del Cilento (Salernitano), pag. 653. > Mamx&LI E. — Di alcune specie e varietà del genere Fumaria nuove per la Flora sarda, pag. TT. PANTANELLI E. — Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XII. Meccanismo di secrezione degli enzimi, pag. 229. — — Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XIII. Meccanismo di secrezione degli enzimi (con una figura nel testo), pag. 35D. PrerortTI R. — Influenza di alcune azioni oligodinamiche su lo sviluppo e su l’attività del Bac. radicicola, pag. 87. ScortI L. — Contribuzioni alla Biologia fiorale delle « Personatae », pag. 101. Soave M. — L’inosite delle piante, pag. 4°. — — I glucosidi cianogenetici delle piante e la utilizzazione dell’azoto delle ri- serve, pag. 69 Riviste, pag. 93, 417, 657. Notizie ed Appunti, pag. 99, 421. Il fascicolo 1°, pag. 1-100 fu pubblicato il 15 novembre 1906 » 2°, » 101-424 » » 12 gennaio 1907 » 3°, » 421-668* . » » 20 aprile » | * Numerazione errata di 4 numeri in meno per errore tipografico, dovendo essere pag. 425-672. PUBBLICATI PIE È DAL p Bob Me, , A PRAIA Puo ROMUALDO PIROTTA | - 4 AAT) da LU paga i È Pioniere del RM Jatitato + del R. Orto Botanico di Komo "a -$0 dg a i a Ù n - pa È P Ei ei : È i di” a S; è ; i INDICE. “ Catano E — Ricerche sullo Morfologia delle Pandanacre (Tav. I-V), pag. 1. si * Boave M. — L'imogite delle pionte, pag. 47. + Ciuo wa KR — Di alcune Greminacee della Somalia, pag. 59. M.- I giueosidi cianogenetici delle piante e la utilizzazione dell'azoto delle È N Artio a DI Gleune specie e varietà del genere Fumaria nuove per la x utò Flora sorda, pag. Ti. e. °° Punorti R.— Sufuensa di alcune driani oligodinamiche su lo sviluppo e su ‘© n lattieità del Mac. radicicola, par LL Tia: . Riviste, pag 60. x Notizie n Spata par. so. o. È _— : Gli Anti di Botanica sì pobei a ): fiaciogitb | tempi non determinati ‘e con numero di fogli e ta- vole non determinati. Il prezz 0 sarà indicato RR per numero. Agli autori. saranno dati gratuitamente | | 25 esemplari di estratti. Si potrà. tuttavia chiederne un numero maggiore, pagando le. semplici rpese HS L carta, tiratura, legatura, ecc. UTO DA TRON COMA ic dad Gli autori sono responsabili della forma io) del conte. | AR nuto dei loro lavori. 3 RT Aree Uh M x va A AGI “= i Ricerche sulla Morfologia delle Pandanacee del dott. EnRICO CARANO LIBRARY NEW YORI i BOTANICA Sl GARDEN, (Tavola I-V). ‘Occupandomi da parecchio tempo dello studio delle Monocotile- doni, sopratutto dal punto di vista dell’accrescimento in spessore ._‘»—del loro caule, la mia attenzione è stata attirata dalle Pandanacee Do sulle quali, or sono pochi anni, ci è stata consegnata la monografia i del Warburg (1). L’autore fa precedere alla parte sistematica dei brevi cenni sulla struttura esterna ed interna di queste piante, ri- levando la scarsezza delle nostre conoscenze sull’anatomia del caule. Quindi, mentre si accontenta per gli altri organi di riferire senza alcun controllo quanto è stato detto dai suoi predecessori, sente per il caule la necessità di ampliare le sue osservazioni. Ed anzi dedica un paragrafo speciale alle formazioni secondarie, che egli riesce a scorgere, benchè poco abbondanti e con caratteri alquanto differenti da quelli con cui esse si presentano nelle Dracaena e piante affini. Ora è noto che il Mohl e quanti altri, fatta eccezione dello Schacht, si sono accinti allo studio del caule delle Pandanacee, col- l'intento di spiegare il notevole aumento in spessore, che esso rag- «giunge, abbiano perfettamente esclusa l’idea di un accrescimento secondario. Proponendomi dunque di risolvere la questione in favore del Warburg o degli altri, m’ero prefisso, all’inizio di questo studio, di limitarmi al solo caule. Senonchè, studiando il percorso e la strut- tura dei fasci nel fusto e quindi nelle foglie, mi colpì per i fasci di queste ultime l’estrema riduzione ammessa dal Warburg della por- zione cribrosa, di cui io, al contrario, avevo constatato non solo la ca PNT TIA, PRI 4 EMESNAIF Il materiale utile per queste ricerche, tutto allo stato fresco, l’ho “DI in gran parte attinto all’Orto botanico di Roma, in parte mi è per- venuto da Firenze; per cui sento il dovere di ringraziare il pro- fessor Pirotta ed il prof. Baccarini, che tanto gentilmente me lo * hanno favorito (8). 1° i SÙ (1) Van TIrEGHEM, Pa. — Recerches sur les Aroidées — Annales des Sciences E Naturelles. Bot. 5° Série, T. VI, 1866. (2) MANGIN, L. — Origine et insertion des racines adventives et modifications corrélatives de la tiye chez les Monocotylédones — Annales des Sciences Natu- relles. Bot. 6° Série, T. XIV, 1882. (3) Riporto qui l’elenco delle specie prese in esame, col nome con cui ven- gono coltivate nell’Orto Botanico di Roma e di Firenze. Le specie provenienti da Firenze sono distinte con l’asterisco. Pandanus amaryllidifolius. Pandanus Pancheri. » Baptisti. » pedunculatus. » caricosus. » reflerus. » cuspidatus *, » Sanderi. è furcatus. » humilis #. » graminifolius. » tenuifolius *. » inermis. » utilis. » javanicus. » Vandermeeschii. » javanicus (fol. varieg.) * » Van Geerti *. » odoratissimus. » Veitchii. J ai at: caule. più voluminoso da me sezionato apparteneva ad un ramo, che tolsi ad un vecchio e grosso esemplare di Pandanus Veit- Mi LE Ma Esso misurava nel punto di massimo spessore un diametro di 3 /, cm., e, oltre ad una ricca rosetta di foglie possedeva numerose radici avventizie, nessuna delle quali però aveva ancora raggiunto il terreno, ed un gran numero di giovani germogli. Ho esaminato anche i cauli di Pandanus graminifolius, java- nicus, humilis, tutti però dalle dimensioni alquanto inferiori a quelle del P. Vestchii. 1 L’apice vegetativo nel Pandanus al mio esame risulta a forma di calotta e non notevolmente appiattito, come ha riscontrato il War- .burg (1); nè trovasi, come in moltissime altre Monocotiledoni, sia arborescenti che erbacee, allo stesso livello delle foglie più adulte, che lo rivestono, o addirittura in una depressione dell’estremità del caule, bensì occupa sempre un livello superiore a tutte le altre parti, che da esso provengono (fig. 1, tav. I). All’ascella di ciascuna bozza fogliare nasce una gemma, sicchè in origine sì hanno tante gemme quanto è il numero delle foglie; ciò scorgesi benissimo operando delle sezioni trasversali in serie nella regione dell’apice (fig. 2 G”, G”, G""). Ulteriormente però il loro sviluppo è molto irregolare: di esse infatti alcune, senza ordine determinato e ad una distanza molto variabile dall’apice del ramo principale che le ha prodotte, ripren- dono la loro attività e svolgonsi in nuovi rami, i quali raggiun- gono spesso delle dimensioni ragguardevoli. Tale è ad es. il caso del ramo che asportai al grosso esemplare di P. Veitchii e che a sua volta portava numerosi e giovani germogli. Il gran numero delle altre gemme invece non si sviluppano e 0 muoiono o, ciò che è più probabile, rimangono per molto tempo allo stato di vita latente. La qual cosa è confermata anche da quanto mi riferiva il capo giardiniere addetto alle serre del nostro Orto Bota- nico per il P. furcatus. Egli trovò questa specie nelle serre quando fu assunto in servizio: ora solo pochi anni fa sull’unico e grosso caule, di cui essa era fornita, vide svilupparsi alla distanza di più di un metro dall’apice un getto proveniente senza dubbio da una delle gemme prodotte chi sa quanti prima nella regione apicale. (1) Warure. — L. c., pag. T. I “ig 2° PESI VEGA i Delle 15 specie, che noi Sese mo quali rappres | dr Mito da numerosi esemplari ottenuti ml io È E più Ta alte, di ben 10 producono rami per lo svolgimento successivo delle gemme. ascellari, rimanendo per altro vivo e VAGSA, l'apice del ramo si A cipale. i - Per le 5 altre specie (P. re/lexus, odoratissimus, Pancheri, peduncu- i SÉ latus e Vandermeeschii), quantunque di nessuna abbia sezionato % k* l'apice caulinare, non devesi minimamente dubitare che non si svi- “I rl luppino gemme all’ascella delle foglie. La ragione per cui esse in i“ n queste specie non sì svolgono ulteriormente noi l’ignoriamo, come ignoriamo pure perchè, solo dopo molti anni, il nostro esemplare di P. furcatus abbia sentito il bisogno di svolgere quasi alla base del 15:00 suo caule un nuovo ramo per il ridestarsi di una gemma dormiente. LL "a Hanno fiorito da 16 anni in qua, ed anche parecchie volte, due dj { sole specie e cioè il Pandanus Pancheri (che come abbiamo notato, PI è una delle specie che non hanno mai sviluppato rami sui loro lati) Ne ed il P. graminifolius. a) In seguito alla fioritura, secondo le osservazioni dello Schumann (1), n del Warburg (2) e dello Schoute (3), esaurendosi l’apice del ramo ? principale nella produzione dell’ infiorescenza, viene sostituito da di uno, da due, raramente da tre delle. più giovani gemme ad esso vicine e così si origina rispettivamente un simpodio, una cima bi- para o tripara (4). Ma prima della fioritura, almeno come ‘posso dedurre dall’osser- vazione delle piante delle nostre serre, la ramificazione si effettua secondo il tipo del monopodio a grappolo. Quel che mi produce meraviglia è che lo Schoute (5) e gli altri autori ritengano questo tipo di ramificazione molto raro. Il Warburg ad es. ammette come principale stimolo per lo svolgimento delle gemme la cessazione. dell'accrescimento del ramo principale in seguito allo sviluppo del- l’infiorescenza 0 in seguito a danneggiamento di esso (6). Ora delle * & edi i ° bas le Prg $ Sea - Fa». “0 > see (1) Sonumann. — Die Verzweigung der Pandanaceen — Engler's Bot. Jahr- bilcher, Bd. XXIII, 1897. (2) Warpuro. — L. c., pag. 4. (8) ScnoutE. — Die Verdistelung von Pandanus — Extr. des Ann, du Jard. bot. de Buitenzorg, 2° série, vol. 5°, pag. 63-87, 1905. (4) A rigore di termini non si potrebbe parlare di cima, essendovi nelle Pan. danacee disposizione isolata per le foglie. Essendo però i piani d’inserzione di esse, per la brevità degl’internodii, molto ravvicinati, i rami, che si svilup» | pano dalle gemme ascellari, vengono a trovarsi allo stesso livello. (5) Scnoute. — L. c., pag. b6. (6) Warburo. — L. c., pag. 4. NL gi eva Maat A te | e ù Mica a È rà a SC ERO Di RT IV ERBA I |> s ramificate eo di on del monepodio a grap- >, fatta ccezione del P. graminifolius, nessuna ha fiorito, nè ha da per una causa accidentale qualsiasi l’apice del suo caule principale. Nel Pandanus caricosus, javanicus e graminifolius ho po- tuto perfino notare lo sviluppo abbastanza inoltrato di nuovi getti all’ascella di foglie ancora vegete del ramo principale, che conti- nuava regolarmente a crescere pel suo apice. Se dunque in natura l'ulteriore svolgersi delle gemme laterali per dar nuovi rami, indipendentemente dalla sorte dell’apice del ramo principale, è un fenomeno piuttosto raro, non si capisce perchè in- vece sia frequente nelle piante allevate in serra, almeno che non si ammetta che, perdendo queste piante la facoltà di moltiplicarsi ses- sualmente (1), non assicurino la loro esistenza moltiplicandosi ve- getativamente. I giovani rami infatti, e sulla pianta madre, e stac- cati, mettono facilmente radici e facilmente possono allevarsi come piante indipendenti. Le gemme, come ho detto, compaiono molto presto all’ascella delle giovani foglie, benchè poscia non crescano colla stessa inten- sità di queste, ma molto più lentamente. Nella fig. 3 (tav. I) ho riportato ciò che scorgesi in una delle sezioni in serie ottenute a breve distanza dall’apice nel P. Veitchii, cioè due gemme all’ascella di due foglie sovrapposte nella stessa spirale. Esse mostrano benis- simo di non trovarsi sullo stesso raggio condotto dal centro alla pe- riferia della sezione. Ciò a me sembra possa costituire un'ottima conferma a quanto asserisce lo Schumann (2), contro il parere dello Schwendener, vale a dire che la lieve deviazione dalla divergenza ‘/, nella disposizione delle foglie abbia origine già nella gemma del ramo principale e non con l’aprirsi di essa, in seguito a lievi spostamenti che subiscono le foglie stesse. Prima di tralasciare lo studio della regione apicale, è d’uopo ac- cennare ad un’altra particolarità degna d’interesse e cioè che alla distanza di pochi millimetri dall’apice, in un tratto in cui già è designato il limite fra le due regioni, cilindro corticale e centrale, benchè in esse i tessuti non sì sieno completamente differenziati, prendono origine le caratteristiche radici aeree, che nel Pandanus, (1) Il Sorws (Engler und Prantl: Die Natiirlichen Pfanzenfamilien. II Teil, 1 Abteilung, pag. 190) attribuisce la scarsezza delle nostre conoscenze sul ge- ‘nere Pandanus colle sue numerose specie in primo luogo alla difficoltà che si incontra nel procurarsi i due individui, staminifero e carpellifero, poscia al fatto che « queste piante anche nella loro patria spesso non giungono fiorire che solo raramente ». | (2) ScHuMANN. — L. c., pag. 563. A Pal PI + ì come è La fessi il d OPP è) ufficio 0 erano sviluppati sul grosso ramo di P. Veitchii messo a mia disposal sizione. Non ho potuto constatare se si originino delle radici anche in porzioni già adulte del caule, a grande distanza dall’apice. Io però sono propenso ad ammettere che esse si formino esclusivamente in regioni molto giovani del caule, che crescano per un certo tempo, che poi in stadii differenti, ma sempre prima di rompere la corteccia del caule per venir fuori, arrestino il loro sviluppo ed, allo stesso modo che le gemme, possano attraversare un periodo talora lunghis- simo di riposo. Nonpertanto anche in questo stadio la loro esi- stenza è resa manifesta in molte specie per la formazione alla su- perficie del caule di bitorzoli o gobbe, prodotte dalla pressione che esse esercitano contro i tessuti periferici del caule stesso. Allorchè la pianta ne sente il bisogno, alcune di queste radici riprendono il loro accrescimento, manifestando già nei tessuti del caule un mar- catissimo geotropismo positivo, come ha anche osservato il Man- gin (1), quindi rompono la superficie del caule, vengono fuori e senza punto ramificarsi prima d’aver raggiuntto il terreno, salvochè per una qualsiasi ragione venga danneggiato il loro apice, crescono in robuste e diritte colonne, spesso di considerevoli dimensioni. Osserviamo ora il caule in un tratto molto adulto: gl’ internodii si presentano generalmente molto brevi e quindi le foglie assai av- vicinate; nondimeno in alcune specie (P. furcatus, Veitchii ecc.) essi sono abbastanza manifesti. Se noi esaminiamo delle sezioni pra- ticate-appunto. negli internodii, notiamo al di sotto dell'epidermide, che persiste ancora, uno strato di sughero più o meno sviluppato. Esso ripete la sua prima origine o dall’unica serie di cellule che co- stituiscono l’ipoderma, oppure dalle cellule immediatamente sotto- stanti all’ipoderma (fig. 4, tav. I pr) Nel primo caso l’attività delle cellule fellogéniche si esaurisce molto presto perfino talora dopo avere staccato un unico segmento ed allora la produzione del sughero viene continuata dalle cellule sottostanti. Nel secondo caso le cellule ipodermiche, pur non dividendosi, suberificano le pareti, ciò che scorgesìi chiaramente colorando con Sudan III. Cosicchè il secondo caso, benchè più generale, può considerarsi come un limite estremo del primo, in esso infatti le cellule dell’ ipoderma, pur per- dendo la capacità di dividersi, non perdono quella di suberificarsi. \ (1) MaxcIN. — L, c., pag. 846, cpr alimenti. Ciò ho ‘osservato in uno. de f: o, più a ch by: Sp FD dare origine al sughero, dopo un certo numero di divisioni, che varia per ciascuna cellula, si esauriscono ed allora subentrano nel loro ufficio le cellule più interne contigue, alle quali tocca più o meno presto la stessa sorte. Ciò si ripete costantemente per tutta la durata della produzione di sughero. Il sughero dunque nei Pandanus non è il prodotto di un’unica serie di iniziali, nè, a rigore di termini, di parecchie serie di ini- ziali, bensì il prodotto di tante cellule fellogeniche, non riunite a formare un vero meristema. Allorchè, infatti, cessa l’attività di un gruppo di cellule situate al medesimo livello per cedere il posto alle cellule immediatamente sottostanti, altre cellule, messe pure al livello delle precedenti, possono continuare per parecchio altro tempo a staccare nuovi segmenti di sughero. Questo caso rientra nella categoria degli Etagenkorke, stabilita dallo Schoute (1). La formazione del sughero nel caule s’ inizia relativamente pre- sto. Le tracce fogliari (2) vengono dalle cellule del sughero inte- ramente circondate e schiacciate, (fig. 5, tav. I #) dimodochè ri- mane impedito qualsiasi accesso di succhi alle foglie, in corrispon- denza della base delle quali le cellule, ricche di citoplasma, subi- scono un processo di disfacimento. Dunque nessuna formazione speciale di sughero alla base della foglia, che serva a determinarne la caduta, la quale, invece, è procurata dall’alterazione delle cellule suaccennate (fig. 5 st). Il resto delle cellule, che trovansi fra il punto di distacco della foglia e la zona di sughero, o non si divi- dono affatto o si dividono pochissime volte ed in tutti i modi sube- rificano debolmente le loro pareti, solo dopo la caduta della fo- glia (fig. 5 pc). Niente di particolare caratterizza il cilindro corticale. Vi si ri- scontrano sempre degli idioblasti a rafidi, che talvolta raggiungono grandi dimensioni. Alcune specie posseggono anche dei gruppi di fibre accompagnati da file di cellule cristallifere tanto diffuse nelle Pandanacee, specialmente nel caule e nelle foglie. Ogni cellula di queste file, contenente un elegante e grosso cristallo, inspessisce le (1) ScHouTe, J. C. — Ueder Zellteilungsvorginge im Cambium — Verhande- lingen der Konink. Akad. v. Wetenschappen te Amsterdam. Tweede Sectie, Deel IX, 1902. (2) Col nome di traccia foyliare indico in tutto il corso del lavoro non il complesso dei fasci, bensì i singoli fasci che dalla base della foglia penetrano pel caule. pg «A 970 | sue ‘pareti e U, dim 10 dochè : rima ne s , fig. 27, tav. IV O ‘Delle specie 0 me gf) o erano fornite di° fibre nella corteccia il P. graminifolius e humilis; ne erano prive queste fibre sono corte, fornite di numerose punteggiature ed a lume 3) inegaale per la pressione che su di essecsercitano le cellule a cri- i stalli (fig. 5 fr). Esistono inoltre nella corteccia costantemente delle lacune lisi- geniche molto ampie sopratutto in corrispondenza dei tratti più adulti del caule. Il Van Thieghem, che ha osservato questi spazii nel P. javanicus, li chiama lacune gommose (1). Io non vi ho mai con- statata presenza di gomma. A limitare verso l’interno il cilindro corticale talvolta v'è una -B endodermide molto irregolare, le cui pareti, benchè poco ispes- site, sono evidentemente cutinizzate (P. javanicus e graminifolius). È, Talvolta, invece, come nel P. Veitchit e hRumilis, l’endodermide manca ed allora il limite fra cilindro corticale e centrale è segnato esclusivamente dal complesso dei fasci più esterni, trapassando il . tessuto fondamentale della corteccia in quello del cilindro centrale senza la più piccola differenza, ammenochè il parenchima frappo- su sto ai fasci più esterni non s’ispessisca e si legnifichi, come ha os- servato il Mangin per il /. odoratissimus (2), ed allora la differenza fra le due regioni spicca più netta. Molto interessante nel caule delle Pandanacee è il cilindro cen- È trale per il caratteristico modo di presentarsi di un gran numero dei suoi fasci, osservati, come a me risulta, e descritti per la prima volta dal Van Thieghem (3); poscia dal Thiselton Dyer (4), il quale senza dubbio ignorava il lavoro del suo predecessore, non avendolo affatto citato nella sua memoria; quindi brevemente dallo Strasbur- ger (5) ed infine brevissimamente anche dal Warburg (6). Ciò che mi produce meraviglia è che il Mangin non li ricordi affatto, quantun- que descriva con qualche particolarità il cilindro centrale di P. odo- ratissimus e ne riporti parecchie figure. Egli non accenna che ai soli fasci con aspetto normale, i quali sono lintitati quasi esclusiva- (1) VAN TreGnHEM. — L. c., pag. 195, (2) MANGIN. — L. €., De B44. (3) VAN Trecmem. — L. c., pag. 196. Pine. Quarterly Journal of microscop. Science. New Series, vol. XII, 1872. (5) StrassurgEer E. — /listologische Beitrige. Heft III, pag. 49; 190034 (6) WarBURG. — L. c., pag. 8. (4) TiiseLToN DyrER, W. ti — On the structure of the Stem of the der P. Veitchii e jaranicus. In sezione longitudinale ho constatato che in prevalenza VIE caratteristici, il cui ra ho ritratto nella figura 6 della tav. I. Orbene dirò dii d’ora che il modo particolare di presentarsi di questi fasci è per l'appunto in stretta relazione con l’argomento trattato dal Mangin nel suo lavoro, cioè con l’inserzione delle grosse radici aeree sul caule. Il Van Tieghem, uniformandosi a ciò che il Trécul (1) stabilì pei fasci di alcune Aroidee, adottò anch'egli pei grossi fasci a più gruppi vascolari delle Pandanacee il nome di fasci composti, distinguendoli così dagli altri fasci, presenti in gran numero alla periferia del cilin- dro centrale, che chiamò fasci semplici, perchè possedevano un unico gruppo vascolare. Ho rappresentato questi ultimi nelle figure semi- schematiche 7-12 (6). Di solito i fasci composti nel genere Pandanus posseggono due o tre gruppi vascolari intorno ad un potente complesso di fibre scleren- chimatiche, rarissimamente quattro. Invece nel genere Yre: ycinetia, secondo le osservazioni del Van Tieghem il numero dei gruppi va- scolari intorno alla massa comune di fibre è maggiore (2). Lasciando da parte il genere Freycinetia, di cui non ho avuto ma- teriale a mia disposizione, ci occuperemo soltanto dei Pandanus: Il Van Tieghem, mentre descrive che i gruppi vascolari risultano dielementi vascolari propriamente detti accompagnati da « cellule cri- brose », nella fig. 6 della tav. IX disegna delle cellule a pareti sottili, che circondano completamente ciascuno dei gruppi vascolari del fascio composto, senza indicare se coteste cellule, tutte simili fra di loro, rappresentino i tubi cribrosi oppure il parenchima va- scolare. _ Il Thiselton Dyer (3) dichiara sinceramente di non essere riuscito a vedere una distinta porzione cribrosa: « After repeated search I ave failed to see anything in the interior of the bundles wich could be properly described either as vasa propria or cambiform cells ». Orbene i tubi cribrosi esistono (fig. 6 #); però in alcune specie, almeno nei tratti adulti del caule, sono notevolmente ridotti in nu- mero. In discreta quantità sono presenti nei fasci di P. humilis e gra- minifolius, più ridotti in quelli del P. javanicus. Il massimo di ridu- zione l’ho vsservato nei fasci del P. Veitchii. Nella fig. 6, già notasi questa riduzione, la quale raggiunge un limite ancora maggiore in certi fasci, i in cui a ridosso della porzione vascolare pr esentansi sol- (a) ia rendus, T. LXII, 2 janvier 1866. (2) VAN TreGHEM. — L. c., pag. 196, fig. 2, tav. 10. (3) THIsELTON DvER. — L. c., pag. 55. Bici ampio e coat più d'una cell due, talora perfino tre). C'è da notare ancora nella porzione cribrosa la tendenza dei sin- © goli elementi ad isolarsi l’un dall’altro (fig. 6). Tale tendenza si fa. più marcata, come più innanzi vedremo, negli assi fiorali, marcatis- sima poi nelle foglie. Nei punti d’innesto di due tubi cribrosi, essendo la superficie di contatto molto ampia, si generano degli estesi campi cribrosi; le pa- reti trasversali invece che separano i singoli elementi di ciascun tubo, essendo perfettamente orizzontali, posseggono un unico cribro. La riduzione della porzione cribrosa, che abbiamo constatata per il P. Veitchii specialmente, manifestasi sin dall’origine nella diffe. renziazione dei fasci vascolari daì cordoni di procambio ? Io ho osser- vato in sezioni praticate in tratti molto giovani del caule che il nu- mero dei tubi cribrosi non è molto più abbondante che nei tratti adulti; vi sono in più le primane cribrose, che in seguito rimangono schiacciate dalle potenti fibre che le circondano. Lo schiacciamento procede, come di regola, in senso centripeto e sì può seguire con grande facilità, riscontrandosi i tubi cribrosi in tutti gli stadii di distruzione. ‘ Nulla di speciale posseggono e la porzione vascolare dei fasci, che risulta esclusivamente di tracheidi, e il robusto complesso di fibre, che nei fasci composti tiene riuniti due o tre fasci semplici. Soltanto le fibre aumentano lo spessore delle loro pareti in corrispondenza della porzione cribrosa. Alla periferia del fascio trovansi delle serie verticali di cellule cristallifere (fig. 6 cr). L’aspetto abbastanza caratteristico dei fasci composti dei Panda- nus non può non attirare l’attenzione di chi lì osserva la prima volta. Nonpertanto è strano che nessuno degli autori su citati sì sia mai proposto il compito di trovare una spiegazione sufficiente sul modo d’origine di essi e, quel che più importa, d’investigare quale sia l’im- portanza di siffatta struttura. Tanto il Van Tieghem come il Thiselton accennano brevissima- mente che i fasci composti provengono dalla fusione di due, talora dì più fasci semplici. La qual cosa è troppo facile a constatarsi: basta guardare con un po’ d’attenzione un discreto numero di preparati per rinvenire dei fasci in tutti gli stadi di saldatura fra loro. Ma esempi di saldatura dei fasci non ce l’offrono soltanto i cauli di Pandanus, bensì di tutte le Monocotiledoni: basta osservare uno scheletro ben preparato di una Gigliacea arborescente o di qualche Palma per tro- varne degli splendidi. Gli stessi fasci composti di alcune Arocidee, de- ia sa fase i Li È — sione di parecchi fasci e fra loro. i Però nè la saldatura dei fasci delle Gigliacee e delle Palme, nè quella delle Aroidee, hanno nulla da vedere con la saldatura dei fui delle Pandanacee. È necessario, per formarsi un concetto esatto sui rapporti che si È stabiliscono fra i divarsi fasci e per trovare la ragione di siffatti rap- 3 porti, seguire il percorso dei fasci stessi per una lunghezza più o meno considerevole attraverso il caule, preferibilmente in tratti non i ._ troppo discosti dal punto d’inserzione di una radice. A questo scopo non è sufficiente lo studio del percorso dei fasci fatto sugli scheletri. Io ne ho preparati un gran numero e con essi non sono ad altro riu- scito che a scorgere l’enorme complicazione derivante per un verso dal saldarsi, per l’altro dal tornare a separarsi dei fasci. Per cui*ad ogni tratto numerose biforcazioni rivolte e verso l’alto e verso il basso del caule. Prendiamo a seguire ad es., una traccia fogliare: immedia- tamente la sperdiamo, perchè, appena penetrata nel cilindro centrale, contrae rapporti coi fasci periferici. Non a torto quindi il War- burg (1) dubitava dal solo esame d’uno scheletro che il percorso dei fasci nei Pandanus fosse eguale a quello tipico delle Palme. Non sì riesce infatti, guardando la superficie di sezione di uno scheletro ac- curatamente spaccato per metà, a scorgere, se non confusamente, la caratteristica doppia curva, che spicca evidentissima invece in uno scheletro di Dasylirion o di qualsiasi altra Gigliacea arborescente. È Smesso lo studio degli scheletri, che non approda quasi a nulla, ho adottato il metodo delle sezioni in serie, operate su tratti piut- tosto lunghi del caule. Quanto sacrificio di tempo esso abbia richiesto i è facile immaginarsi; tuttavia mi ha permesso di chiarire la que- % stione nel modo più evidente. Del resto anche il Falkenberg (2) nel È suo accurato lavoro accenna a questo metodo e, mentre lo dichiara È come < ausserst zeitraubend >, non esita a considerarlo come l’unico che possa fornire un valido aiuto nei casi dubbî. F Il pezzo di caule da cui ho ottenuto la serie di sezioni apparte- «. neva al P. Veztehii: Esaminiamo una prima sezione, per procedere poi verso l’estre- mità inferiore del caule (Fig. 7, tav. II) (3): alla periferia del cilin- dro centrale i fasci sono più numerosi e per la maggior parte sem- (Bo. pag. (2) FALKENBERG, P.— Vergleichende Untersuchungen iiber den Bau der Vege- tationsorgane der Monocotyledonen. — Stuttgart, pag. 14, 1876. (3) Le figure 7-12 sono schematizzate in quei particolari che per lo scopo nostro non interessano. gono i Sea composti a due ed a tre gruppi ‘vascolari (fe). di Il parenchima frapposto ai fasci è interrotto da numerose lrrego- — È lari lacune, prodotte per distruzione locale delle cellule (2a). Fra î fasci paliploi periferici scorgesi una traccia fogliare da poco pene- trata nel cilindro centrale (A); è necessario che noî la seguiamo nel | suo ulteriore cammino. Nella fig. 8 (tav. II) si rileva che essa sì spinge verso l’ interno ed intanto sul suo dorso si è saldato, dopo aver girato su se stesso, il fascio semplice B, che nella fig. 7 trovavasi verso la periferia. Intanto che il fascio A, proseguendo sempre il suo cammino verso il centro del cilindro centrale, si trascina seco il fascio B, la saldatura fra essi si fa sempre più intima (fig. 9). A poca distanza dal fascio composto AB sì osserva un terzo fascio C, il quale pure proviene dalla periferia del cilindro centrale e, come il B, non rappresenta che un fascio molto ridotto in via di estinzione. Nella fig. 10 esso si salda al fascio composto A B e sì origina così un fascio composto a tre gruppi vascolari, in cui il gruppo B tende sempre verso l’ A. Nella figura 11, riprodotta coll’ intervallo di poche sezioni, la distanza fra i due gruppi A e B è diventata minima; nella stessa figura notansi due altre tracce fogliari, di cui una penetra ; nel cilindro centrale (A) mentre l’altra (A') abbastanza internata, si è già caricato sul dorso un piccolo fascio della periferia. Finalmente nella fig. 12 il fascio B sì fonde paleictomente all’ A e di 3 gruppi ne rimangono 2. Gli stadii, che ha percorsi finora la primitiva traccia fogliare A, ha iniziati già la traccia fogliare 4’, penetrata posteriormente nel cilindro centrale, ed è già pronta ad iniziare la traccia 4”, che non ha ancora oltrepassato il limite del cilindro centrale. Seguendo in- fatti l'A" nel suo ulteriore percorso, si vede che ad essa s’'addossa il , piccolo fascio periferico D, che ha già girato su se stesso (fig. 12), volgendo la porzione vascolare verso l’esterno. Avvenuta la fusione del fascio B col fascio A, è necessario se- guire il fascio composto A l' fino all'ultima sezione della serie per osservarne le successive modificazioni (1): Dopo essersi ancora un po’ spinto verso il centro, incomincia a poco a poco a ritornare verso la periferia. Il gruppo vascolare 0 ad , (1) Non ho creduto opportuno disegnare gli stadii ulteriori del fascicolo A 0, interessando a me sopratutto dimostrare come terminano con le loro vip po ì° Ri: A ci cd 0A | con un ‘alta traccia fogliare penetrata ica all’ A nel ci- lindro centrale e così, allo stesso modo che il fascio B, pone termine alla sua esistenza. Del fascio composto A C' non rimane dunque che il fascio A, che continua la sua marcia a ritroso verso la periferia. Termina a questo punto la serie delle sezioni. Per comprendere quale sarà la fine del fascio A la cosa è molto | semplice; basta ricominciare l’osservazione delle sezioni in serie, fini nella prima sezione un fascio collo stesso aspetto dell’; i nell’ultima sezione. Si scorge snbito che esso, retrocedendo, rag- | giunge la periferia del cilindro centrale, vi si mantiene per un certo tratto, sempre più assottigliandosi, poi gira su se stesso e sì addossa alla prima traccia fogliare, che, penetrando nel cilindro centrale, gli passa accanto, Quel che di essa succederà in seguito, a noi è noto, perchè abbiamo seguito e descritto il fascio periferico B. Il tipo di percorso suesposto è il più frequente. Vi sono però delle lievi modificazioni, alle quali bisogna che accenni brevemente: 1° I fasci periferici talvolta, girando su se stessi, non si addos- sano subito ad una traccia fogliare che passi loro d’accanto, ma ri- tornano per proprio conto, nella nuova posizione assunta verso l’ in- terno, si addossano ad un altro fascio per distaccarsene dopo un poco ed accollarsi ad un altro più interno. Durante questo passaggio da un fascio all’altro, vanno man mano esaurendosi, finchè, ridotti a mi- nime dimensioni, si fondono ad una traccia fogliare che penetra verso il centro, e scompaiono; 2° Altre volte 1 fasci periferici, sensa girare su se stessi per accollarsi ad una traccia fogliare e ritornare verso il centro, vengono assorbiti nella loro posizione normale dalla traccia e quindi scom- paiono immediatamente alla periferia stessa. Questo però è un caso raro; 3° Altre volte i fasci più esterni fra i periferici, che sono pure i più esauriti, subiscono prima delle saldature fra loro, poi mandano di tanto in tanto dei rami verso l'interno, invece di penetrare tutti in- ‘ teri ed in questo modo scompaiono; 4° Anche i fasci periferici, che, girando su se stessi, penetrano verso l'interno o soli o addossati ad una traccia fogliare, non scom- paiono molte volte tutto d’un tratto, ma prima si liberano di un certo numero di ramuscoli, che vanno a perdersi in altre tracce; 5° Il giro caratteristico, che i fasci compiono su se stessi può effettuarsi non soltanto quando essi sono ritornati alla periferia, ma — in qualsiasi punto del loro percorso, per lo più oltrepassato il primo Pe LI » La “ PI Ti Tri tratto della pa È iigendente Wo oè quello che va de la pe: AIA il centro. Anche in quèsto caso essi si ‘addossano ad altri fasci, ch n= mantengono invece la loro posizione normale ed insieme compiono il | resto della curva, cioè il tratto che va dal centro alla periferia. I fasci — | composti risultanti da questa fusione sono facilmente riconoscibili perchè tutti e due i gruppi vascolari sono forniti oltre che dei grossi tracheidi anche delle primane. 7 Ponendo mente a ciò che abbiamo detto, si scorge che le piccole modificazioni al tipo da noi descritto e figurato, non costituiscono delle eccezioni, ma dei gradi dì passaggio, rientranti benissimo tutti nella regola generale, la quale possiamo così riassumere: Una traccia fogliare, pervenuta nel cilindro centrale, contrae nel . suo ulteriore cammino, che possiamo distinguere in tre tratti, rela- zione con altri fasci, donde nascono i così detti fasci composti. Nel | 1° tratto, che va dalla periferia verso il centro del cilindro centrale, essa stabilisce i suoi rapporti con fasci molto ridotti, ultime estre- mità di traccie fogliari superiori, che ad una distanza variabile dalla periferia assorbe completamente. Nel 2° tratto, che va dal centro verso la periferia, contrae relazione con fasci di età sempre meno differente da essa, giacchè anch'essa viene esaurendosi. In un punto qualsiasi di questo secondo tratto la traccia fogliare subisce il caratteristico giro su se stessa per addos- sarsi ad altri fasci. Finalmente s’inizia il 8° tratto, il quale va di nuovo dalla pe- riferia verso il centro. È lungh’esso che la traccia scompare, fon- dendosi in una nuova traccia, che percorre il pesi tratto del suo cammino. Contrariamente dunque allo. schema delle Palme, i fasci nel caulo dei Pandanus, dopoaver compiuto la curva caratteristica, non sì esau- riscono e muoiono alla periferia del cilindro centrale, bensì ritornano verso il centro e qui si estinguono. Qual’ è la ragione di questa differenza di comportamento? Noi sappiamo che nella grande maggioranza delle Monocotile- doni il sistema conduttore delle radici laterali, arrestandosi alla pe- riferia del cilindro centrale del caule, si collega, sia direttamente, sia indirettamente come a giusta ragione sostiene il Mangin (1), con le estremità in feriori delle tracce fogliari. Il Van Tieghem ha creduto che una simile inserzione avesse luogo Ì . anche per le radici delle Pandanacee (2). (1) ManGIN. — L. c., pag. 250-261. (2) VAN TIEGHEM. — L, c., pag. 195. » £* kia Lin ii er nt £ Cee Pini VE MIETTA, Sc di ? dini | condu el Se radici aeree PAEllo Panini non si arresta alla gar. del cilindro centrale del caule, ma vi penetra profonda- mente e, spesso dopo averne do il centro, si fonde coi fasci profondi del caule. L'osservazione del Mangin è molto facile a con- statarsi, sia operando attraverso il caule un taglio longitudinale, che passi pure per il punto d’inserzione di una radice, sia, meglio, guardando uno scheletro ben macerato: Si vede il complesso dei ‘fasci della base della radice sfioccarsi a guisa di pennello, ed insi- > nuarsi profondamente nel cilindro centrale del caule, dirigendosi dal basso all’alto (2). Il Mangin però, dopo»aver notato la sostanziale differenza, che corre fra il modo d’impianto delle radici nelle Pandanacee (3) e quello delle altre Monocotiledoni, si limita a concludere pei fasci radicali: « Après avoir atteint ou souvent meme après avoir dépasse le milieu de la tige, ils s'accolent aux faisceaux communs ». Ma a quali tratti si accollano dei fasci comuni? È questo senza dubbio il punto più importante della questione. Più sopra abbiamo detto che nelle altre Monocotiledoni i fasci della radice s’uniscono alla periferia del cilindro centrale del caule, colle estremità inferiori delle tracce fogliari. Anche nelle Pandanacee i fasci radicali si saldano con le estre- mità delle tracce fogliari; senonchè, penetrando questi profonda- mente nel cilindro centrale del caule, ne viene la necessità del ri- torno dalla periferia al centro delle estremità inferiori delle tracce fogliari medesime e come conseguenza la scomparsa di esse, invece che alla periferia come nelle altre Monocotiledoni, verso il centro del cilindro centrale. Si spiega inoltre anche la formazione dei ca- ratteristici fasci composti i quali, come abbiamo visto, sono tempo- ranee riunioni di diversi fasci fogliari in differenti stadii del loro percorso attraverso il fusto, alcuni essendo molto ridotti, altri meno. Quelli più ridotti servono appunto per l'impianto dei fasci delle radici e si riconoscono subito per la mancanza in essi di primane vascolari (fig. 6 X). Per esaminare la saldatura dei fasci radicali con le estremità in- feriori dei fasci del caule, basta seguire verso il basso il gruppo vascolare più ridotto di un fascio composto, ad es. il gruppo X (1) MANGIN. — L. c., pag. 947. (2) Io ho osservato in alcuni casi che la penetrazione dei fasci nel cilindro centrale si effettua secondo una leggera curva, che mira forse ad aumentare l’adesione delle radici al caule, tanto necessaria per la solidilà di queste piante. (3) MANGIN. — L. c., pag. 346. RE Re A fascetti, che accompagnati per un certo tratto mostrano un percorso molto irregolare. Sono dei fasci radicali, che nel caule stesso sal- dansì ad altri fasci radicali, ingrossandosi man mano che s’avvici- nano alla base della radice. Nella fig. 13 (tav. III) ho rappresentato uno di tali fasci per mostrare che essi nel caule posseggono un’ evi- dente struttura collaterale ed' un aspetto molto simile ad un fascio. ridotto del caule. Dopochè il gruppo vascolare più ridotto ai un fascio composto si è liberato di uno o più fascetti radicali, esaurito, pone fine alla sua esistenza, fondendosi con una traccia fogliare che compie il primo tratto della sua curva. È Non tutti i fasci radicali però penetrano profondamente nel caule. Vi sono ad es. i fasci più esterni del cilindro centrale della radice, che si diffondono alla superficie del cilindro centrale del caule, fon- dendosi coi fasci periferici di questo. Rimane così spiegato anche il caso — da noi enumerato fra le lievi modificazioni al tipo gene- rale — in cui le estremità inferiori dei fasci fogliari, a simiglianza delle altre Monocotiledoni, scompaiono alla periferia. Quale vantaggio derivi alla solidità della pianta dalle due dispo- sizioni: 1° saldatura di fasci caulinari fra loro; 2° penetrazione pro- fonda dei fasci radicali nel cilindro centrale del caule, disposizioni che sono, come abbiamo visto, in stretta relazione fra loro, anzi de- vono considerarsi l’una come la conseguenza dell’altra, è facile im- maginare, quando sì pensi che i Pandanus si affidano, distruggen- dosi col tempo la parte inferiore del caule, esclusivamente alle ra- dici aeree, che fungono a questo modo da veri puntelli. Se il robusto sistema conduttore di queste radici, invece di spingersi profonda- mente per fondersi all’intreccio quanto mai complicato, derivante dalla saldatura dei fasci caulinari fra loro, si arrestasse, come nel gran numero delle Monocotiledoni, alla periferia del cilindro cen- trale del caule, la stabilità della pianta sarebbe notevolmente me- nomata. Basterebbe infatti che un vento impetuoso ne scuotesse la chioma, per determinare il distacco delle radici e la lacerazione dei tessuti superficiali del caule. Studiata l’origine dei caratteristici fasci composti delle Panda- nacee, ci domandiamo: può per essi conservarsi detto nome adot- tato, come più sopra dicemmo, dal Van Tieghem ? No, per la stessa ragione per cui il Falkenberg (1) combattè il medesimo nome asse- gnato per la prima volta dal Trécul ai fasci di alcune Aroidee, che (1) FALKENBERG. — L. c., pag. 102. della fig. 6. Di tanto in tanto Wedbagi tata dh esso di piccoli. È L via rime enti parecchi grupp | vascolari. Ta pr da ' ergo nel e Aroidee la riunione dei diversi fasci sem- plici è do solo ‘temporanea; infatti ad altezze differenti nel caule, ognuno Pai essi diventa indipendente e costituisce per proprio conto un fascio fogliare. Ora nelle Pandanacee la riunione dei fasci sem- ‘plici è ancora più precaria, giacchè, mentre nelle Aroidee i fasci semplici, una volta riunitisi inferiormente, non si separano più, anzi a poco a poco si fondono con le loro porzioni vascolari, dimo- dochè in definitiva ne risulta di nuovo un fascio semplice, nelle Pandanacee i singoli gruppi vascolari di un fascio composto, possono anche verso il basso tornare a separarsi per andare a far parte di un altro fascio composto, e così si originano le biforcazioni dirette verso la base del caule, tanto comuni quando sì osserva uno sche- letro di caule di queste piante. | Mav'è un’altra ragione per escludere il termine adottato dal Van Tieghem, in quanto che prevale ora l’idea di assegnare il nome fasci composti a quelli che risultano di porzione vascolare e cribrosa. insieme, in contrapposto ad altri che posseggono o l’una o l’altra delle due porzioni e che chiamansi fasci semplici. Nè possiamo accettare il termine fascio multipolare, adottato dal Warburg (1), sia perchè anch’esso non esclude l’idea di un’ unità stabile, sia perchè le denominazioni fascio unipolare e multipolare sono state da parecchio tempo introdotte dal Bertrand, per indicare rispettivamente i particolari fasci delle foglie delle Cicadacee e i fasci di molte piante fossili a queste affini. Essendo in tutti i modi utile, per indicare nella maniera più breve i particolari complessi di fasci, introdurre un termine, il quale non li intenda che come temporanee riunioni e nello stesso tempo «non generi ambiguità, io proporrei di chiamarli, sia pure tempora- neamente, complessi vascolari. Ad avmentare la complicazione nella struttura del cilindro cen- trale del caule concorrono anche i numerosi fasci, che giungono dalle gemme ascellari. Alcuni di essi veramente scompaiono già nella | corteccia, saldandosi con tracce fogliari, che s'avviano verso il ci- lindro centrale; altri giungono indipendenti nel cilindro centrale, ma vi penetrano poco profondamente e ad ogni modo contraggono presto rapporti con gli altri fasci ivi esistenti., ‘Parecchi autori hanno accennato ‘alla presenza di fasci proprii anche nel caule delle Pandanacee. Io posso affermare che qualsiasi (1) L. c., pag. $. ANNALI DI BoranIca — Vo. V. Lo E sio cm e ‘pei ‘un tratto più o meno lungo, sì ri solve in un fascio comune, poichè, arricchendosi di Rava Del “a lari anulati e spiralati, piega verso l’esterno e, attraverso alla « cor-- j teccia, giunge alla base d’una foglia. | 2199 Bs: Ed ora alla questione tanto discussa: Esiste nel caùle delle | Pandanacee struttura secondaria ? 5 de 4 Primo a rispondere affermativamente a questa domanda, per Fi quello che 10 sappia, è stato lo Schacht (1). Egli ammise oltre che uf: È per la Dracaena e piante affini, anche per il caule di aleune Palme | e pei Pandanus una struttura CRE dovuta all’attività di un Mo + anello cambiale, messo al limite fra il midollo e la corteccia. di Mohl (2) contestò subito l’esattezza delle asserzioni dello Scha- e cht, non avendo scorto nessuna disposizione, che potesse lontana- 0 î mente paragonarsi a quella delle Dracaena. pat ni Anche il Van Tieghem (83) escluse l’idea della presenza di una 7905 zona generatrice permanente, nel Pandanus. ; è P Il Thiselton Dyer (4) ebbe la speranza, com’egli stesso dice, di poter x a citare pei Pandanus quanto era stato riferito dal Millardet per la da o Dracaena e per la Yucca. Però, in seguito alle sue ricerche, non È potè essere « soddisfatto completamente dell’esistenza di uno strato di V. È cambio. » Tuttavia non escluse l’idea che vi potessero essere forma- | | : zioni secondarie in tratti più adulti del caule, avendo egli esami- «V nato soltanto delle porzioni giovani di esso. Si sa infatti, egli dice, | | ‘ che nelle Monocotiledoni ad accrescimento secondario il cambio non © +9 fa la sua comparsa nei cauli molto giovani; « questa potrebbe essere | | la ragione di non averlo trovato nei Pandanus. « Il Thiselton ha ragione È fino ad un certo punto, giacchè, se è vero quello che egli dice, cioè Ve. che il cambio in molte Monocotiledoni non compare se non ad una il | distanza notevole dall’apice, in parecchie altre, come ad es. nella Yucca ni da lui menzionata, il cambio appare immediatamente sotto l’apice. S Anche il Falkenberg (5) non è rimasto estraneo alla questione. si Egli si associa pienamente al Mohl, giacchè, avendo avuto a sua disposizione un pezzo di caule di Pandanus pygmaeus abbastanza adulto, notò che non v'era nè zona di meristema come nella Dra- caena, nè un ordinamento speciale ed una struttura tale da mostrare. che si fosse effettuato un accrescimento secondario in spessore. (1) Scnacnr — Die Pflanzenzelle, Berlin 1852. (2) Monx. — Ueber die Cambiumschicht der Phanerogamen und ihr Verhilt: niss zum Dickenwachstum. Botanische Zeitung, Jahrg. 16, 1858, (8) VAN TieGnueM. — L, c., pag. 195. (4) THIseLTON DyER. — L. e., pag. 61. (5) FALKENBERG. — L. c., pag. 153. LISTA dr; pad lo: di, | prese l’assenza in essi di qualsiasi meristema secondario. Fa sata nie eni. i) ii tardi di; att #5) TolciPogli lia curiosità di crescimento doi cauli di Pandanus, afferma a più ri- Lo Strasburger (2), come gli autori precedenti, esclude perfetta- | mente l’idea di formazioni secondarie. ‘Ultimamente il Warburg (3) ha ripreso la questione ed ha am- messo che le formazioni secondarie ci sono. | Le affermazioni del Warburg sono state però subito messe in dubbio dallo Schoute (4) per la insufficiente validità degli argo- menti addotti. Il Warburg ha avuto a sua disposizione un grosso tronco di Pandanus furcatus, misurante nell’estremità inferiore 11 cm. ed in quella superiore 6 1/2 cm. di diametro. Questa differenza di spes- sore era dovuta al cilindro centrale, giacchè la corteccia era spessa circa 1 mm. tanto in alto quanto in basso. La distanza fra le ci- catrici dei fasci delle foglie cadute era di 2 mm. in corrispondenza della superficie di sezione superiore, di 3 millimetri in corrispon- denza della superficie di sezione inferiore. Le gemme rimaste sul caule misuravano insieme col profillo 9 mm. in larghezza verso la estremità superiore del caule, 13 mm. verso l’inferiore. « Tutto ciò >, dice l’autore, « parla per un accrescimento successivo in spessore. > Passando quindi all’esame microscopico, egli si convince che un anello di cambio, come nelle Gigliacee arborescenti, non esiste nei Pandanus; nompertanto crede di poter dimostrare che, quantunque in misura limitata, si effettua anche un accrescimento secondario : Non piccola parte in quest’accrescimento è devoluta, secondo l’autore, al parenchima fondamentale del cilindro centrale, le cui cellule ingrandiscono notevolmente e perciò i fasci nella sezione inferiore del caule si mostrano molto più slontanati fra loro che ‘nella sezione superiore. Al microscopio inoltre si scorgono alcune divisioni di coteste cellule. Ma si formano anche nuovi fasci, il che l’autore dedfice dal maggior numero di essi nella sezione infe- riore che nella superiore. Egli infatti ha contato con una lente su un settore uguale nella sezione superiore ed inferiore il numero dei fasci, marcandoli con l'inchiostro ed ha trovato che nel settore superiore erano 3600, nel settore inferiore 5400. (1) Maneix. — L. c., pag. 259, 260, 261, 344, 345, 352. (2) StRASBURGER. — L. c., pag. 415. - (3) WARBUNG. — L. c., pag. 9-11. (4) ScnouteE J. C. — Die Stammesbildung der Monokotylen. Flora, Bd. 92, 1908. 4 ee è» fui fe "> FI *7afr. Li, è _ we 9 Wi I fasci nuovi non si formano, sé secondo l’: autore, nell interi Toe lindro centrale, ciò che scorgesi col microscopio : con la opa sigiti Ke _ —»deglischeletri, non riscontrandosi, accanto ai grossi fasci poco 0 nicnioti Li di: E ramificati, dei giovani fasci. Invece si formano alla periferia del È ba cilindro centrale, dove quasi in ogni sezione trasversale si possono vs: È scorgere uno o più giovani fasci in tutti gli stadii di sviluppo, allo «i “i stato di meristema, al principio della lignificazione degli elementi Ri vascolari, con la guaina meccanica alquanto lignificata e infine allo stato adulto. Ciascuno dei nuovi fasci si collega con uno dei fasci più esterni della struttura primaria, come rilevasi da ciò che i fascì È. periferici, in contrapposto ai fasci centrali, mostrano pumerose bi- forcazioni. Infine l’autore conclude coll’ammettere che le forma- zioni secondarie dei Pandanus si collegano strettamente con quelle delle Gigliacee, solo che in queste, la formazione dei nuovi fasci essendo molto più abbondante e rapida, il parenchima frapposto, i per tener dietro, si divide anch'esso ripetutamente, in guisa che in 3 sezione trasversale si rende molto manifesto l'ordinamento radiale, mentre nei Pandanus, delle sporadiche divisioni di singole cellule del parenchima corticale sono sufficienti per agguagliare i lievi spostamenti prodotti dalla formazione dei nuovi fasci e dalla dila- tazione del parenchima del cilindro centrale. Ad illustrare i diversi stadii dei fasci secondari, il saldarsi di essi ai fasci primari ecc., il Warburg riporta parecchie figure che allo Schoute, come a me, non sembra dimostrino chiaramente quanto l’autore asserisce. Io ho sezionato un discreto numero di cauli di Pandanus, ho esaminato lo scheletro di un caule di cm. 8 '/, di diametro con- servato nella nostra collezione scolastica ed in nessuno ho trovato accrescimento secondario, neanche in maniera così limitata come lo ammette il Warburg. Vero è però che il Warburg ha studiato una specie, della quale io non ho potuto disporre, specie che possedeva un caule più grosso in basso che in alto, mentre è più frequente il caso contrario. Quindi potrebbe darsi che, mentre la grande mag- gioranza dei Pandanus sieno destituiti di struttura secondaria, al- cune specie, benchè in grado minimo, la posseggano. Parecchie ra- gioni però ci spingono ad abbandonare subito tale supposizione: * 1) La grande uniformità nella struttura anatomica dei Pan- danus, la quale già da sè basterebbe a priori ad escludere qualsiasi dubbio su una diversità così considerevole di comportamento nelle differenti specie. 2) Le ripetute affermazioni da parte di numerosi autori tutti degni di fede dell’assenza assoluta di un meristema secondario e quindi di formazioni secondarie. , PT na, ge Re POI RR A RI ar a N LI e an. VI o eng Lease FEET. fu è vindit gi rt eb a » x sata nia «a ro Pi ic dal Warburg,. e da La uno ad uno suesposti, a sostegno delle sue | asserzioni. Egli attribuisce anzitutto, come abbiamo visto, una grande im- portanza per l’accrescimento in spessore del caule al parenchima del cilindro centrale, le cui cellule non solo aumenterebbero in vo- lume ma si dividerebbero. Io ho misurato le dimensioni di parec- ‘ chie cellule e nell’estremità superiore e in quella inferiore dei cauli esaminati e non ho rilevato mai nessuna differenza; nè ho rinve- nuto delle cellule in divisione, eccettuate naturalmente quelle che dividonsi invece abbondantemente, per prendere parte alla forma- zione di quei tratti dei fasci radicali che scorrono nel caule. Ma vi è anche, secondo il Warburg, la formazione di veri e propri fasci secondari. La qual cosa, secondo lui, è messa anzitutto in evidenza dal numero notevolmente maggiore dei fasci contati su un settore inferiore del caule, in confronto di quelli contati su un eguale settore superiore. Ora basterebbe il caso, tutt'altro che raro, che egli avesse se- zionato a poca distanza SA punto Die di una delle enormi radici di P. furcatus, per contare, fra i fasci caulinari, i numero- sissimi fasci radicali che, come sappiamo, penetrano profondamente nel caule, scorrendo Jiberi in esso per un lungo tratto verso l’alto. Il Warburg ammette ancora che i nuovi fasci si salderebbero ai fasci periferici del cilindro centrale, come mostrerebbero le nume- rose biforcazioni presentate da questi ultimi in paragone dei fasci del centro. Io ho osservato invece che se le ramificazioni sono ab- bondanti verso la periferia, sono tutt’altro che scarse verso il cen- tro ed in tutti i modi, giusta quanto ho mostrato nel percorso dei fasci, esse ripetono tutt'altra origine che dalla formazione di nuovi fasci. 1 Ad aumentare infine i nostri dubbi sulla realtà dell’esistenza di una struttura secondaria, concorrono anche e la descrizione e l’il- lustrazione che il Warburg ci dà dei nuovi fasci. Essi non differi- rebbero dai fasci della struttura primaria che nella mole, essendo ‘ un po’ più piccoli.. Del resto sarebbero collaterali, normalmente orientati e forniti di una robusta guaina come i fasci primari. Sappiamo invece quanto differiscano fra loro le due sorta di fasci in quelle Monocotiledoni ad evidente accrescimento in spessore per opera d’un meristema secondario, sia nella struttura, essendo i fasci primari, per Zo più collaterali, e i secondari sempre concentrici, sia per gli elementi che entrano a costituirli, mancando sempre nei . fasci secondari ogni traccia di fibre. ALE dI. Lo Ul È RA * Ammesso meno frequente in cui il tronco dei Pandanus si mostra più grosso inferiormente che verso l’alto. Come si spiega invece il caso in cui il caule aumenta considerevolmente in spessore dal basso all’alto, acquistando la forma di un cono? Su tale questione noi possediamo alcuni dati del Mangin (1) e dello Schoute (2). M Il Mangin mette in relazione l'accrescimento in spessore del caule con la formazione alla sua superficie di grosse radici aeree. Egli dice: « Grazie alla comparsa di nuove radici sul caule, gli ali- menti vengono assorbiti in maggior quantità, per cui l'apice vegetativo di ogni piantina s'ingrandisce a poco a poco, ed aumenta regolarmente il numero dei fasci comuni, che esso genera. È per questo meccanismo, che esclude lo sviluppo di un meristema secondario, che il caule delle Pandanacee e di alcune Palme può raggiungere un diametro conside- revole ». La maniera di pensare dello Schoute è sostanzialmente uguale a quella del Mangin, benchè egli non abbia consaerato che pochissime parole alle Pandanacee. Egli collega il modo di formazione del caule in queste piante a quello dell’Iriartea (fra le Palme) descritto dal Karsten. Anche nell’Iriartea si sviluppano sulla superficie del caule, fino ad una certa altezza, numerose radici. Dallo schema. col quale lo. Schoute (3) rappresenta la formazione del caule nell’ /riartea, si rileva chiaramente che l'aumento nello spessore di esso è in stretto rapporto con lo sviluppo di nuove radici alla sua superficie. Cessata ad un certo punto la formazione di radici, il caule non.cresce più conico, ma cilindrico. Vi sono però dei cauli di Pandanus, che, pur presentando delle radici solo fino ad un terzo più o meno dell'intera loro lunghezza, continuano anche al di sopra di queste a svilupparsi, sempre in un cono abbastanza ampio. In questi casì le radici influiscono soltanto fino ad un certo punto sull’aumento in grossezza dell’apice, il quale dunque, una volta ricevuto l’impulso, continua a crescere lenta- mente in spessore, malgrado gli arrivi sempre la stessa quantità di alimenti. ì Coefficiente non trascurabile per l'aumento in spessore del caule è il complesso dei fasci radicali che dalla base della radice pene- (1) ManGIN. — L. c., pag. 259-260. (2) Scnoure. — Die Stammesbilduny der Monokotylen. Flora Bd. 92, pagine 38 e 48. (8) L. c., tav. IV, fig. 7. ure, per un momento, come esatto tutto ciò che ri- | ’ ? 22 o ferisce il Warburg, non sì spiegherebbe che il caso, se non raro, sto per collegarsi ai suoi fasci. Tali fasci, amo detto ripetutamente, formansi a spese del para Fondamentale del cilindro centrale, per cui le cellule di esso son costrette a dividersi un gran numero di volte. Io credo che nel caso in cui il tronco è più grosso in basso che in alto la differenza è data in non piccola parte appunto dai fasci radicali suddetti. Nel Pandanus furcatus delle nostre serre, che, come quello esaminato dal | Warburg, è più grosso inferiormente che superiormente, il maggior diametro è misurato dal caule immediatamente al disopra dell’im- pianto delle ultime radici; poscia lo spessore diminuisce gradata- mente verso l’alto. Asse dell’ infiorescenza. Ho esaminato soltanto gli assi di due infiorescenze carpellifere, una di P. furcatus proveniente dall’orto botanico di Napoli e l’altra di P. humilis proveniente da Firenze. | Al di sotto di un’epidermide molto povera di stomi v'è un ci- lindro corticale poco sviluppato, il cui parenchima si continua di- rettamente, senza subire alcuna modificazione, col parenchima del cilindro centrale. Nessun limite netto quindi fra le due regioni, con- trariamente alla regola generale per gli scapi ed assi fiorali delle Monocotiledoni, in cui le serie di elementi più esterni del cilindro centrale si ispessiscono e si lignificano, inglobando spesso i fasci periferici e costituendo in tal modo un ottimo apparecchio di so- stegno per questi organi. I fasci, a struttura collaterale, mostrano ancora più manifesta- mente dei fasci della porzione vegetativa del caule il frazionamento della porzione cribrosa, talora sino all’isolamento completo dei singoli tubi cribrosi, alcuni dei quali sono forniti di due e perfino, in rari casi, di tre cellute annesse (fig. 14 #. A lume molto ampio sono i tubi cribrosi di P. furcatus, misurando alcuni di essi fino a 26 | di diametro. Per quanto riguarda la porzione vascolare, ho notato nei fasci del P. furcatus, lo sviluppo considerevole che possono assumere le cellule del parenchima vascolare situate di fronte alle primane. Esempi migliori di tal genere mostreremo, parlando della foglia. Una guaina meccanica, sviluppata maggiormente dal lato della porzione cribrosa, circonda tutto il fascio. Alla sua periferia non . mancano le Direi serie verticali di cellule a cristalli di ossalato di — calcio. de x Lo é * Mi Pa È ie Non di ado È ! era accostandosi, si fon la caratteristica saldatura dei rig come nei tratti vegetativi caule. i Fra i fasci collaterali trovansi sparsi numerosi fasci semplici erì- È brosi. Nel P. Rumilis essi sono più voluminosi che nel P. furcatus, pos- seggono una robusta guaina meccanica, in cui sono sparsi tubi cribrosi (fig. 15?) e scorrono parallelamente AE altri fasci, saldandosi dopo un #50 tragitto più o meno lungo con la porzione disbrosa dei fasci collate- rali. Nel P. furcatus sono invece molto più numerosi, più piccoli, più irregolari, spesso sforniti di guaina meccanica ed attraversano in tutte le direzioni il parenchima fondamentale del cilindro centrale, mettendo però sempre capo alle porzioni cribrose dei fasci colla- | terali. n Foglia. Non meno interessante del caule è la foglia nei Pandanus. Delle prime ricerche su quest’organo noi andiamo debitori al Meyen (1). Molti anni dopo abbiamo avute quelle del Van Tieghem e di parec- chi altri autori, ai quali accenneremo più avanti. Al primo esame si rendono evidenti nelle foglie di molte specie di Pandanus, marcatissime poi in alcune, delle disposizioni atte non solo ad impedire una soverchia perdita d’acqua per traspirazione, "& ma anche ad assicurarne una discreta riserva alla pianta. Queste» disposizioni risiedono nell’epidermide e nei suoi stomi, nonchè in un tessuto acquifero abbastanza sviluppato. Le cellule epidermiche, rivestite di robusta cuticola, sono piut- tosto piccole ed allungate secondo l’asse longitudinale della foglia. Liscie per lo più alla loro superficie, presentano generalmente nella ì pagina inferiore, in corrispondenza dei punti in cui sono intercalati gli stomi, la particolinua di estroflettersi ciascuna in una o più pa- pille a guisa di verruche. Nel Pandanus amaryllidifolius tale par- ticolarità la posseggono tutte le cellule dell'epidermide della faccia inferiore della foglia, in maniera che ne risulta un aspetto abba- stanza caratteristico, che io ho illustrato nelle fig. 16 e 17 (tav. III). Gli stomi trovansi in prevalenza nella pagina inferiore della foglia, ma non mancano nella superiore, come vedremo in appresso. Degni di maggiore interesse sono però quelli della pagina inferiore, per cui fu attirata sopra di essi l’attenzione del Solla (2). In qualche (1) MevyEn, F. — Phytotomie. Berlin 1880. i (2) SoLLa, R. F. — Contribuzione allo studio degli stomi delle Pandanacee. co Nuovo Giornale Botanico Italiano. Vol. XVI, 1884. mit um sono ‘Wocorto che le mie osservazioni non concordano con quelle dell'autore. Delle 19 specie, che io ho ia per le foglie, quasi tutte possedevano stomi con cellule annesse fornite delle speciali verruche, a cui più sopra ho accennato. Io ho illustrato i casi che mi son parsi più belli, come quelli del P. amary2lidifolius, (fig. 16-18), del * P. utilis (fig. 19-20) e del P. Vandermeeschii (fig. 21). Solo 3 specie Pi mi sono risultate a cellule annesse sfornite di verruche, cioè il P. Do pedunculatus, javanicus, Sanderi. Gli stomi hanno costantemente 4 cellule annesse e non più, come invece ammette il Solla per il 2° e | _— 8° dei tipi di stomi da esso stabiliti. sec La costituzione di 3 tipi differenti di stomi è fondata dall’autore sul numero delle cellule ammesse e sulla presenza o assenza di ver- ruche: Il 1° tipo sarebbe caratterizzato da stomi con 4 cellule an- SÌ nesse destituite di verruche. Ora delle numerose specie ascritte a questo tipo, e tutte da me esaminate, ad eccezione del P. steno- phyllus, due solamente rispondono, a mio parere, ai caratteri del tipo stesso, il P. pedunculatus ed il P. javanicus, che sono i soli privi di verruche. L'errore dell’autore dipende probabilmente dal non aver egli fatto le sue osservazioni che in un solo tratto della faccia inferiore della foglia, forse nella metà inferiore di essa, anzi meglio verso la base. Nel /. Veztchiz.e cuspidatus ad. es., dal Solla annoverati nel 1° tipo, le cellule annesse si estroflettono in verruche . nell’estremità superiore della foglia; verso la base invece sono lisce. Il 2° tipo comprenderebbe quelle specie a stomi con cellule annesse, per lo più in numero di 8, ciascuna estroflessa in una verruca; se- _condo l’autore, esso non conta che pochi rappresentanti. Il 3° tipo infine possederebbe, come il 2°, più cellule annesse, ma sarebbe complicato dall’ intervento di altre cellule epidermiche vicine. Come ho detto più sopra, il numero delle cellule annesse è sempre 4. Il Solla si è ingannato nell’avere ascritto ciascuna verruca ad una cel- lula annessa, mentre effettivamente ogni cellula annessa produce parecchie verruche. Nella fig. 17, disegnata a fuoco basso, si scorge infatti che ognuna delle cellule annesse laterali ha originato cinque ‘°protuberanze, invece ognuna delle due altre messe ai capi dello stoma ne ha prodotto una sola, però molto grande. Non è raro il caso, come nel P. amaryllidifolius, Veitchii, Van Geerti, ecc., che le due . verruche più grandi si tocchino e perfino una di esse si incunei nel- l’altra (fig. 16), in modo da nascondere lo stoma sottostante. In se- peer ‘ 4 zione trasversale (fig. 18, tav: III) si vedono le cellule stomatiche i; notevolmente approfondate, le cellule annesse, che colle loro ver- È ruche formano una camera anteriore dello stoma, e finalmente tutte i Agia TERRE At reo cellule cpigeriiithe con le l lle. N |P. vi altre specie le cellule stomatiche sono ancora più abbassate porto a ra Mo (A esterno, e su di esse, oltre ad una camera anteriore, costituita dalle NE È; i P; estroflessioni delle (ellule annesse (fig. 20 ac), si forma a spese delle | e. cellule epidermiche circostanti un grande vestibolo o cripta (cr). Le Ba. R: cellule epidermiche non si modificano però soltanto in corrispon-. La & denza dell’apparecchio stomatico ma in tutta la zona, in cui essi» i Ù sono sparsi (1), alcune estroflettendosi, altre no, e precisamente le = SCAN 3 prime son disposte tutt’in giro alle seconde, sicchè si costituiscono numerosi avvallamenti, che rendono frastagliatissima la superficie TI (fig. 19). Nel P. Vandermeeschii alcune delle cellule epidermiche in SY corrispondenza degli stomi estroflettonsi in sorta di verruche digi- o tate, che al mieroscopio mostrano un aspetto assai curioso (fig. 21). si Tutte queste disposizioni, di cui Ja più interessante è data dalle RI verruche che s'incontrano proprio al disopra della fessura stomatica, soa per sottrarla il più possibile al contatto dell'ambiente esterno, sono si manifestamente destinate a limitare la perdita di acqua per evapo- Re razione. Contribuisce anche a questo scopo l’enorme cutinizzazione ri delle cellule estroflesse, nonchè la,cera, che in certe specie trovasi È in discreta quantità. È; Ho detto più sopra che non mancano gli stomi nella pagina su- “B periore della foglia. Devo anzi aggiungere che in taluni casi, ad es. pe nel P. pedunculatus, essi sono numerosi e dispongonsi nella metà su- e periore della foglia, in zone longitudinali, allo stesso modo che nella | © pagina inferiore. In generale però sono poco abbondanti e di solito " localizzati in speciali avvallamenti, vere e proprie cripte, che, osser- vateadocchio nudo, sembrano come tante punture operate sulla foglia da uno spillo. Sono manifestissime queste cripte alla base della foglia di P. utilis, odoratissimus,reflescus, tenuifolius, ecc., tanto che non sfug- girono all’osservazione del Meyen, senonchè egli non seppe interpre- tarle, avendole considerate come speciali soluzioni di continuità do- - i vute a locale distruzione di cellule epidermiche. Parlando infatti della mancanza di aperture nell’epidermide, fatta eccezione delle ci Hautdriisen (stomi), dice: « /solirt steht bis jetzt die Erscheinung, bei : Pandanus odoratissimusywoselbst das Oberhiutchen, auf beiden Blatt- fliichen, hin und wieder zerreisst und somit grosse, mehr oder weniger (1) Gli stomi nei Pandanus, come ha osservato il Solla, trovansi nella pagina inferiore della foglia ordinati in zone longitudinali, alternanti con altre zone, che ne son prive e che trovansi di fronte ai fasci vascolari. Tale regolarità però scompare verso la base della foglia, dove il numero degli stomi si riduce no- tevolmente. È, Bi” ; È 3 \ 7 olim Arie 8cher a erschemmen (1). E riporta anche due disegni abbastanza esatti in cui indica le cellule epidermiche lacerate intorno alla cavità. Se egli avesse messo il fuoco più in basso avrebbe visto che le cellule, secondo lui lacere, sono interissime e che in fondo alla cavità, costituita da un semplice avvallamento, senza alcuna di- struzione di cellule, c’era un unico stoma. Tutto ciò però può scor- gersi molto meglio in una sezione trasversale. Alla riserva dell’acqua provvede, come abbiamo detto, un tessuto acquifero, che si estende sotto tutta la superficie della foglia, benchè sì sviluppi maggiormente nella pagina superiore contro i fasci e rag- giunga il massimo spessore in corrispondenza della nervatura mediana. Facendo agire su una sezione preparata di fresco un disidratante, ad es. la glicerina, dopo un po’ si notano nelle cellule le caratteristiche pieghettature prodotte dalla sottrazione dell’acqua (fig. 22). Il tessuto acquifero non segue immediatamente all’epidermide, ma fra l’uno e l’altra è intercalato uno strato di 1, 2 o più serie di cellule allungate perpendicolarmente all’asse otite della foglia (fig. 22 ip) con membrana per lo più lignificata sopratutto verso la base fogliare, dove le pareti assumono uno spessore considerevole interrotto di tanto in tanto da numerose punteggiature a guisa di canalicoli. Fra le cel- lule che costituiscono questo speciale ipoderma, ve ne sono alcune che contengono dei grossi cristalli prismatici di ossalato di calcio, meno frequentemente dei fasci di rafidi. Mai ho trovato cellule con cristalli nell’epidermide e, se il Solla (2) ammette che in alcuni casi si trovino, è perchè le cellule cristallifere appartenenti all’ipoderma, spesse volte ingrandendosi, schiacciano le piccole cellule epidermiche sopra- stanti e mettonsi con la loro parete esterna al livello delle cellule epi- dermiche attigue. A contatto con l’ipoderma, come anche sparsi nel tessuto acquifero e nei tessuti verdi, vi sono numerosi fasci di fibre concamerate, accompagnati non di rado da serie di cellule cristalli- fere. Questi fasci diventano più numerosi ed anche più robusti verso la base della foglia. Il tessuto verde, differenziato in palizzata nella pagina superiore e in merenchima nella pagina inferiore, si estende tutt'intorno alle grandi lacune prodotte fra un fascio e l’altro per-di- struzione di un parenchima con cellule a pareti sottilissime. Talora tale parenchima perdura, na i suoi elementi sono morti e pieni di aria. Al limite interno del tessuto a palizzata trovansi delle cellule giganti a rafidi. (1) MEYvEN. — Phytotomie. Text., pag. 97. Taf. II, fig. 2 e 3. (2) Soka. — L. c., pag. 172. L i 9 #4, \ Ù tà: SR O Particolarmente interessan scolari. vi a porzione cribrosa nei fasci fogliari. Ecco com’egli si esprime: « Die ungeftih» in der Mittelschicht der Bliitter liegenden seitlich abgeplatte- ten Geftissbiindel haben collateralen Bau und sind von starken Scleren- chymfaserstriingen bedeckt: die Geftissen stehen in einfachen Reihen, die mit engen Tracheen beginnen und mit einem oder wenigen grosslumigen Gefcissen abschliessen. In den jingeren Geftissbindeln sind die Siebteile deutlich, spiiter finden sich nur einzelne Reste neben den starken Faser- striingen, die offenbar durch ihre Entwickelung den zarten Siebteil zusam- mendricken und unkenntlich machen ». Veramente il Warburg non fa che ripetere quello che precedentemente ha detto il De Bary (2), ma esagerandolo, in modo che l’idea di quest’ultimo è alquanto tra- viata. Il torto del Warburg però consiste sopratutto nell'aver voluto conciliare le idee del De Bary e del Van Tieghem, differenti fra loro, riferendo quello che ha detto il De Bary e riportando invece, ad illu- strazione del fascio, la figura del Van Tieghem, la quale è inesatta, mancando in essa dal lato della porzione vascolare qualsiasi traccia della porzione cribrosa. Il Van Tieghem infatti non riuscì a scorgerla ed allora interpretò come porzione cribrosa il complesso di cellule a pareti sottili, che trovansi contro le primane vascolari. La qual cosa sì desume chiaramente da quanto egli dice: « L'absence du tissu cri- breux au coté externe du faisceau, et le développement à l’autre extré- mité d'un tissu semblable, qu'on retrouve en méme temps que le tissu cri- breux dans les Thyphacées, donnent à ces faisceauwr foliaires des Pan- danus une physionomie spéciale ». Ora il Warburg non si è limitato a riportare la figura del Van Tieghem, ma ha creduto opportuno perfino di indicare nella stessa, con la lettera S (Siebròhren) quel complesso di cellule contro le pri- mane vascolari, dal Van Tieghem interpretato come porzione cri- brosa. Contro le primane vascolari invece non c’è che parenchima vasco- lare, i cui elementi son vivi e capaci, in certi casi, come mostrerò in seguito, di accrescersi considerevolmente. La porzione cribrosa esiste dal lato esterno della porzione vascolare ed è molto abbon-. dante. Il Meyen ha il merito di avere, se non descritto, giacchè ai suoi tempi ancora non si conoscevano, almeno figurato, per il primo, i tubi (1) L.c., pag. 12. (2) De Bary A. — Vergleichende Anatomie. Leipzig 1877, pag. 312. Come dissi nell’introduzione di questo lavoro, mi colpì la man-. canza 0 almeno l’estrema riduzione ammessa dal Warburg (1) della Po eri i dd I° 3 Ia 3 NI d de DI MISE ILE APRO IR pp i 422 ly }A LE y pur 69 2 * VOI‘ as a ù n i nice PR BAG EE; i eri sci delle foglie dei Pandanus. La rappresentazione non è esattissima, ma sufficiente per mostrarci che a lui non erano sfug- giti gli elementi a pareti sottili frapposti alle fibre, che sono appunto i tubi cribrosi (1). Lo Schwendener (2) prima e poi il De Bary (3) hanno notato l’e- stremo frazionamento della porzione cribrosa. Lo Strasburger (4) si è associato alle idee del De Bary e ci ha anche dato un disegno schematico del fascio fogliare di Pandanus nella figura 46 della tav. V. Ora vediamo un po’ da vicino la struttura di questo fascio in una sezione trasversale operata circa alla metà della lunghezza della fo- glia (fig. 23, tav. IV). La porzione vascolare ha le sue primane (pe) schiacciate per opera del parenchima vascolare (pc) le cui cellule, crescendo in dimensioni, distruggono spesso anche gli elementi vascolari posteriori alle pri- mane, o se incontrano resistenza nelle loro pareti, vi penetrano e formano dei tilli. Nella fig. 23 un solo tracheide rimane pervio, es- sendo gli altri più o meno distrutti. Questo però è il caso estremo; ‘in altri fasci possono rimanere pervii parecchi elementi (fig. 26). Chiu- dono questa prima porzione del fascio altre cellule del parenchima vascolare. Segue poscia una seconda porzione molto più complicata, il cui centro è occupato da un grosso elemento vascolare (v) circon- dato da una serie di cellule dirparenchima vascolare e quindi da un complesso robustissimo di fibre a pareti molto ispessite e punteggiate. Sparsi in mezzo alle fibre in numero abbastanza considerevole ed at- tornianti il grosso elemento centrale, trovansi i tubi cribrosi, alcuni dei quali forniti di due cellule annesse (#). Se noi immaginiamo riu- niti tutti i tubi cribrosi in una massa unica, tenendo calcolo e del loro numero e delle loro dimensioni (5), ci convinciamo subito che la por- zione cribrosa è tutt'altro che esigua in confronto della porzione vasco- lare. La riduzione dunque ammessa dal De Bary non esiste realmente. Nè è vero che la porzione cribrosa, dapprinìia abbondante, venga in seguito schiacciata dalle fibre; queste non schiacciano che i tubi cri- brosi più vecchi appartenenti al protofloema (pf). Sui lati del fascio, (1) MEYEN. — L. c., taf. VIII. (2) ScawENDENER. — Das mechanische Princip in anatomischen Bau der Monokotylen, Leipzig 1874, pag 109. (3) De BaRry. — L. c., pag. 342. (4) STRASBURGER. — Histologische Beitrige, Heft, III, pag. 420. (5) Nel P. furcatus e nel P- Pancheri ho osservato dei tubi cribrosi che mi- suravano perfino 18 ed anche 20 u di diametro! Relativamente dunque ai tubi cribrosi delle altre Monocotiledoni, sono tutt’altro che piccoli. è "ERI pesa della , altezza, notansi due pi di elementi a piccolo lume e Bar sottili (#'), che spesso ‘vengono a contatto coi tubi er ci brosi; accanto ad essi degli elementi a pareti piuttosto sottili ma lio WA, y ‘gnificate (#'). In sezione longitudinale i primi (#') si risolvono in Po A di lule cambiformi, i secondi (e') în corti tracheidi. i): Parenchima cambiforme e tracheidi insieme servono agli scambi fra il fascio e i tessuti vicini. La solidità del fascio è assicurata da s una guaina meccanica, sviluppata specialmente sul lato esterno e ri- sultante di fibre concamerate. Dal lato interno del fascio le fibre sono 3 pil È a lume più ampio ed a pareti meno spesse. Numerose serie di cellule SA È cristallifere accompagnano la guaina meccanica sopratutto dal lato | esterno del fascio (cr); verso la base della foglia esse sono ugualmente frequenti verso il lato interno (fig. 31, tav. V cr). Limitate per lo più alla periferia del fascio, qualche volta le cellule cristallifere sono intercalate anche nell’ammasso di fibre, che racchiude la porzione eribrosa. L'intero fascio è cinto infine da una serie di grandi cellule costituenti la guaina parenchimatica (gp). [7 bee 3 Se AE L'aspetto ordinario del fascio fogliare è quello che noi abbiamo descritto; tratto tratto però presentansi in esso delle modificazioni, È che complicano maggiormente la sua struttura. Spesso ad es., oltre ì ai tubi cribrosi, trovansi immersi nella grande massa centrale di fibre dei gruppi salone piccoli (fig. 24 #), talora molto grandi (fig. 25 #") di cellule ampie a pareti sottili, isodi aniengiene o un po’ più lunghe - che larghe. Quale sia la natura e quale l’importanza di tali gruppi, che conferiscono al fascio un aspetto assai curioso, sì fa dapprima fa- tica a stabilire. Solo in seguito allo studio del ibra apparire e scom- parire nel fascio, dei loro rapporti coi tessuti vicini, del loro conte- nuto ed infine del loro sviluppo si riesce ad interpretarli giustamente. Sono dei complessi di corti e grossi elementi cribrosi, molto irrego- lari, senza distinte cellule annesse e mancanti spesso perfino di placche cribrose, le quali, quando esistono, ciò che rilevasi soltanto con ingrandimenti molto forti, sono irregolarissime, essendo i fori del eribro molto slontanati fra loro. Col reattivo di Millon mettonsi in evidenza in questi elementi le sostanze albuminoidi. Osservando at- 4 tentamente numerose sezioni, si scorge sempre che i gruppi di ele- menti cribrosi vengono a contatto coi tubi cribrosi isolati fra le fibre È (fig. 24 e 25 #"). In un taglio longitudinale, praticato parallelamente all'asse minore del fascio (fig. 27, tav. IV t'°), i gruppi appaiono in forma di lenti biconvesse intercalate fra gli altri tessuti. Anche qui essi vengono a contatto coi grossi tubi cribrosi del fascio (t).Da un’altra parte i gruppi cribrosi mettonsi in relazione con le anastomosi, che i ‘anche la loro oa: essì servono innanzi tutto a Stabilire. di tanto in tanto delle relazioni fra i diversi tubi cribrosi imprigionati nelle fibre sclerenchimatiche. Non si sarebbe potuto altrimenti capire | come potessero funzionare dei tubi cribrosi così isolati e come po- tesse effettuarsi lo scambio delle sostanze albuminodi. Servono inol- tre a permettere lo scambio fra i tubi cribrosi di un fascio e quelli di un fascio vicino, attraverso alle anastomosi. Ho studiato anche lo sviluppo di questi gruppi cribrosi: essi provengono, nel giovane fa- scio (fig. 30, tav. V #') da gruppi di cellule grandi ed a grosso nucleo, simili a quelle che costituiscono i singoli elementi dei tubi cribrosi ‘isolati nel fascio (t). Un'altra particolarità interessante si rinviene in alcuni tratti del fascio fogliare per la comparsa di tubi cribrosi anche dal lato interno del grosso elemento vascolare centrale, che viene in tal modo com- pletamente circondato dalla porzione cribrosa, mentre per solito lo è solamente in parte. Altre volte invece un discreto numero di tubi cribrosi trovasi sovrapposto alla prima porzione vascolare (fig. 26, #') in modo che ne risulta come una specie di fascio collaterale a sé, in- dipendente fino ad un certo punto dal resto, che alla sua volta for- merebbe come un secondo fascio con la porzione vascolare riel centro e la cribrosa alla periferia. Non si può però realmente parlare di due fasci, giacchè, a poca distanza dal punto preso in esame, la porzione vascolare più interna perde la sua porzione cribrosa. Ad. ogni modo sia pure che questi caratteri sì presentino come semplici eccezioni, servono nonpertanto a dimostrare che il fascio fogliare delle Panda- nacee è tutt'altro che un fascio collaterale tipico. Dov'è infatti la costanza di posizione delle due porzioni essenziali di esso? La porzione vascolare è quasi sempre frazionata in due di- stinte porzioni, spesso molto lontane fra loro. Assai meno frequente- mente essa si segue ininterrotta dalle primane fino agli elementi più grandi formati per ultimo (fig. 29). Molto più frazionata e con posi- zione abbastanza variabile, per rispetto alla vascolare, è, come ab- biamo mostrato, la porzione cribrosa. La porzione vascolare più interna risulta per solito di un solo ele- mento molto grande, raramente di più. Questi elementi misurano delle dimensioni ragguardevoli; nel P. reflexus alcuni misurano un diametro superiore ad ‘/, di mm., tanto che sono visibilissimi ad oc- chio nudo. Essi sono dei SAT tracheidi a pareti rigate (fig. 2 tav. IV v) e lunghi quasi un centimetro, come ho potuto da isolandone alcuni con la macerazione di Schulze. Come nella foglia, & bee Li Ù PATITI | 4 DI } da CE Suri " Tosi nai caule e nelle Cano i dell o Pand anacee no cheidi, mancando assolutamente i i vasi. di cheidi centrali del fascio, ed anche nei tracheidi più resistenti hei pi prima porzione vascolare (fig. 26 e 29 #2), mentre le primane, che con le loro pareti non possono opporre una forte resistenza, rimangono schiacciate. Tilli numerosi, oltre che nelle foglie, formansi anche i nel caule e nelle radici. Conformemente a ciò che il Molisch (1) os- de servò in altre piante, ho constatato anch'io per le Pandanacee la 4, formazione di parecchi tilli per opera d’una sola cellula parenchima- | tica, che si estroflette in parecchi punti della sua superficie. L'aspetto del fascio verso la base della foglia cambia notevol- mente per la sostituzione di numerosi e piccoli tracheidi al grosso tracheide centrale (fig. 28). I tubi cribrosi rimangono sempre sparsi nel potente arco fibroso, che forma il maggior sostegno del fascio; però essì provano qui un’evidente diminuzione, solo in minima parte da attribuirsi allo schiacciamento operato dalle fibre, mentre in mas- sima parte a ciò che il loro numero diminuisce realmente man mano che il fascio fogliare s'accinge a passare nel caule. Abbiamo infatti detto più sopra che nel caule di P. Veitehii la porzione cribrosa è ta- lora rappresentata da pochissimi tubi cribrosi. Nel fascio di P. cuspidatus verso la base della foglia mi ha colpito un fatto assai curioso: alcune cellule del parenchima vascolare (fig. 28 pc) ingrossano considerevolmente e schiacciano un gran nu- mero di tracheidi (v). La stessa cosa, benchè in modo meno accen- tuato'ho osservato anche nel P. Van Geerti, tenuifolius e amarylli- difolius. Queste speciali ipertrofie delle cellule possono benissimo rite- nersi omologhe ai tilli, giacchè ripetono la stessa origine da cellule del parenchima vascolare, le quali invece di estroflettersi soltanto in'alcuni punti per formare le caratteristiche sacche nell’ interno degli elementi vascolari, crescono su tutta la superficie e vincono con la loro straordinaria tensione la resistenza opposta dai tessuti circostanti. Nella fig. 28 vedesi un gran numero di tracheidi (w) ridotti addirittura ad un ammasso informe. Nonpertanto le pareti degli enormi elementi sono molto sottili e solo leggermente gola ficate. (1) MoLisca H, — Zur Kenntniss der ThyMlen ecc. Sitzungsberichte der Math. Naturw. Classe der K, Akad. der Wissenschaften. Wien. Bd. XCVII I Abt. pento Ja pag. 268. sia la sa usa ie ian v insscofia delle cellule del pa- È ronobtiaia ‘vascolare e quale il significato, non ho potuto stabilire con sicurezza. Ciò che posso affermare è che nelle specie in cui ho constatato un tale fenomeno, esso non era prodotto accidentalmente in un solo fascio ma in tutti fasci alla base della foglia; anzi in al- cuni fasci del P. cuspidatus la cosa era molto più esagerata di quello che io abbia rappresentato nella fig. 28. Dato ora il fatto 1° che la formazione di veri e propri tilli nelle foglie di Pandanus è tanto frequente, come più sopra ho mostrato, 2° che spesso tilli e cellule iper- trofiche si presentano contemporaneamente nello stesso fascio, 3°che l’origine delle due produzioni è la stessa, come abbiamo dette. SE inclinati anche a pensare che la stessa causa — a noi ancora perfet- tamente ignota — che determina i tilli, determini pure l’ipertrofia delle cellule al lato interno del fascio. I tilli ostruiscono gli elementi vascolari, occupandone interamente il lume (fig. 29), le enormi cel- lule ottengono lo stesso intento, schiacciandoli addirittura. Ponendo infine mente al luogo in cui sì formano le ipertrofie, cioè alla base della foglia, si affaccia l’idea che esse possano coadiuvare, schiac- ciando i tracheidi, alla caduta delle foglie. Ho messo la mia spiega- zione semplicemente sotto forma di ipotesi, giacchè, ripeto, nulla ho potuto stabilire con sicurezza. Se potrò avere a mia disposizione mag- gior copia di materiale, mi prometto di riprendere la questione. Qualche volta anche le cellule della guaina parenchimatica del fascio si ipertrofizzano e possono anche dividersi ripetutamente, come ho constatato per un esemplare di P. înermis, al quale asportai una foglia quasi dalla base. Dopo qualche mese, sezionando il breve moncone ancora verde e vegeto rimasto sul caule, notai appunto che le cellule della guaina parenchimatica s'erano trasformate in un vero meristema fellogenico, che aveva prodotto una zona di sughero tutto intorno a ciascun fascio (fig. 29 gp). Nell’interno dei tracheidi eransi prodotti numerosi e grossi tilli (tà). In questo caso il tentativo da parte della pianta di ostruire i fasci è ancora più evidente, giacchè oltre i tilli, che otturano gli elementi vascolari, numerose cellule di sughero prodotte dalle primitive cellule della guaina parenchimatica, vincendo la straordinaria resistenza opposta dagli elementi lignificati del fascio, riescono a schiacciarli. Il Aug riprodotto nella fig. 29 era ancora poco modificato, ma ve n’erano' degli altri ad una certa distanza da esso resi perfettamente irriconoscibili per lo schiacciamento operato dalle cellule sugherose. Circa lo sviluppo del fascio vascolare nella foglia, ho osservato che la differenziazione delle primane vascolari e cribrose s’inizia ANNALI DI BoraNICA — Vo. V. 3 » # a Sn: | eo go la eiGNi Hifareo sse è (fis _ pf e pe). I tubi Mibroni pre senaeiohe alle SES si formano : isolatamente l’un dall'altro (#) in mezzo all’ammasso di cellule, che AR fx: costituiranno le fibre del fascio adulto (/#) e di essi non sono di- È. hi: Sat strutti che i più vecchi, come del resto avviene in generale per. 3; x SU ‘tutti i fasci. Quindi anche dallo sviluppo si rileva che non è giu- i di sto quanto suppone il De Bary e conferma il Warburg che i tubi È cribrosi esistenti in gran numero nel giovane fascio, vengano in “08 Da seguito schiacciati dalle fibre e resi irriconoscibili. Quando nel fascio già tutti i tubi cribrosi si sono differenziati e spiccano chiaramente in mezzo alle altre cellule, sia per il loro contorno poligonale ad an- È goli decisi, come per la colorazione più intensa, che acquistano con | di: sostanze coloranti differenti, le fibre ed il grosso tracheide centrale |__| non hanno per nulla ancora iniziato la lignificazione delle loro pareti. "SO Prima di lasciare lo studio della foglia, accennerò brevemente al percorso dei fasci in essa. Nella sua base i fasci marginali giun- gono dal caule estremamente ridotti sia nella porziorie cribrosa che vascolare e forniti invece di una robusta porzione meccanica. A poco a poco scompaiono anche gli ultimi tracheidi ed elementi eri- brosi ed il fascio vascolare, ridotto ad un semplice fascio fibroso, si accosta man mano al margine per fondersi coi tessuti meccanici ivi esistenti. Ciò si effettua però soltanto nella breve guaina della n Le Sup ri pate BERO a de . De o foglia. Nella lamina invece i fasci marginali solo dopo un lunghis- pù simo percorso si esauriscono e scompaiono, fondendosi non col mar- vo gine bensì col fascio vascolare più vicino. Sicchè nella lamina si ma forma un sistema conduttore completamente chiuso, senza la più I piccola terminazione a fondo cieco. va) Numerose anastomosi orizzontali o leggermente obblique con- pio) giungono i fasci longitudinali fra loro. Ognuna di esse, risultante fi di due, tre ed anche più tubi cribrosi, accompagnati dalle proprie Ni cellule annesse, e di altrettanti tracheidi, è sostenuta dall’impal- sd “catura che divide due lacune successive, prodotte, come dicemmo, * dalla distruzione di un gran numero di cellule del mesofillo fra un fascio e l’altro. Il tessuto delle impalcature è un merenchima a cellule stellate, in mezzo alle quali, sopratutto verso la base dove esse ispessiscono e lignificano le pareti, trovansi sparse numerosis- sime cellule a cristalli di ossalato calcico, simili perfettamente aquelle che si osservano al di sotto dell'epidermide, nei fasci fi- brosi, e nei fasci vascolari. i lano la base della foglia i fasci, oltre alla funzione Pea del trasporto degli alimenti, assumono anche un ufficio meccanico a esterno che dal lato. interno di un gran numero di fibre, costitui- scono delle vere pareti divisorie, che, toccando quasi di pagina | superiore ed inferiore della foglia, impediscono che vengano schiac- ciate le grandi lacune aerifere. Attorno alla guaina di ciascun fa- scio, disposte con grandissima regolarità, vi sono numerose serie di cellule cristallifere, che conferiscono al fascio maggiore robustezza {im oki cr). Radice. La radice nelle Pandanacee ha molto più che il caule e la fo- glia attirata l’attenzione degli studiosi (1). È perciò che m'intrat- terrò poco su quest’organo, rilevando soltanto quelle osservazioni, che mi son parse più interessanti o non DERE GERionte | consone con quelle degli altri autori. Ho sezionato le radici delle 8 seguenti specie: P. cuspidatus, furcatus, graminifolius, pedunculatus, humilis, tenuifolius, Van Geerti, Veitchii. Solo però della radice di P. graminifolius ho potuto esa- minare anche il tratto ipogeo, nel quale solamente ho trovato una epidermide più o meno manifesta. Non l’ho osservata invece nel tratto epigeo di nessuna radice, anche sezionando in prossimità dell’apice, come ho fatto per il P. Veitchii, essendo le cellule pe- riferiche schiacciate e rese irriconoscibili. Il Gillain (2) ha notato (1) NiGELI C. — Bestrdge zur wissensch. Botanik. I Heft. pag. 30, 1858, VAN TirGHEM PH. — Recherches sur les Aroidées. Pag. 199, 1566. — Recherches sur la symmetrie de structure des plantes vasculaires, pag. 157, 1871. FALKENBERG P. — Vergleichende Untersuchungen iber den Bau der Vegeta- tionsorgane der Monocotyledonen. Stuttgart, pag. 193, 1876. DE Bary. — Vergleichende Anatomie, pag. 243, 328, 376. 1877. OLIvieR L. — Recherches sur l’dppareil tégumentaire des racines. Annales des sciences naturelles. Bot. 6 série, T. II, 1880. ReIinHARDT M. 0. — Das leitende Gewebe einiger anomal gebauten Monoco- tylenwurzeln. Pringsh. Jahrbiicher Bd. XVI, 1885. BertHOoLD G. — Untersuchungen zur Physiologie der pflanzlichen Organisa- tion. Erster Teil, pag. 59, 1898 GiLLAIN G. — Beitréige zur Anatomie der Palmen und Pandanaceenwurzeln. Bot. Centralblatt Bd. 88, 1900. WarBure 0. — Pandanaceae. Das Pflanzenreich heransgeg. von A. Engler IV, 9, 1900. MùLLER H. — Ueder die Metakutisierung der Wurzelspitze undiiber die ver- korkten Scheiden in den Achsen des Monokotyledonen. Bot. Zeitung, 64 Jahrg. I Abt. Heft. IV, pag. 63, 1906. (2) L. c., pag. 410. at ida ille e hu Ò 4 MOI e Mi o VE ev i & le specie esaminate erano fornite nella corteccia di fasci fibrosi (fig. 32 /r), accompagnati o no da cellule cristallifere. L’ossalato di calcio però, oltre che in cristalli prismatici, trovasi anche in grossi fasci di rafidi. Sezionando l'apice radicale ho osservato così nel pleroma come nel periblema 2, 8 ed anche più cellule a rafidi so- vrapposte in file longitudinali, con aspetto pressochè uguale alle file di cellule, che, differenziandosi, dànno origine ai vasi nelle piante che ne sono fornite. Osservando gli stessi preparati ad una distanza maggiore dall’apice, si rileva che in alcune di queste file di cellule rafididere le pareti trasversali scompaiono e si riforma una cavità unica. Si origina in tal modo una vera fusione cellu- lare. Del resto anche il Poli ha osservato un’uguale fusione di cel- lule a rafidi nelle foglie di Narcissus intermedius (1). Il parenchima fondamentale della corteccia è interrotto tratto tratto da spazi aeriferi, che, secondo le ricerche del Warburg per il P. sylvestris, sì originerebbero schizogenicamente, senonchè dopo verrebbero ampliati dalla distruzione delle cellule circostanti (2). Anch'io nella radice di P. Veitchii, ho avuto l’agio di seguire lo sviluppo di siffatte lacune ed ho osservato che esse si formano a differenziazione completa dei tessuti del cilindro corticale per uno speciale processo di schizolisigenesi, giacchè al distacco di un certo numero di cellule dalle cellule attigue, segue subito l’aggrinzamento e poscia la distruzione di esse (fig. 32 sp). Il cilindro centrale ha uno spessore di gran lunga superiore a quello del cilindro corticale. In una radice di P. furcatus che mi- surava più di 5 cm. di diametro 4 millimetri soli spettavano alla corteccia. Dal Nigeli e poi dal De Bary e da parecchi altri autori è stato rilevato il numero straordinariamente grande di fasci peri- ferici eribrosi e vascolari, i quali ultimi non toccano mai l’endo- dermide. Il Gillain invece avrebbe ciò constatato nel P. Veitchii (3). Lo stesso autore sostiene anche che il periciclo è sempre uniseriato. Se ciò è vero per un certo numero di casi, non è la regola gene- rale, anzi io mi son potuto convincere che il più delle volte è plurise- (1) Por, A. — Contribuzione all’istologia vegetale. Nuovo Giornale Botanico italiano. Vol. XVI, pag. D7. 1884. (2) L. c., pag. 6. (3) L. c., pag. 409. però ho aa un periderma talvolta UUBESIONZA svilcoTat n ni il quale ha origine piuttosto profonda nel cilindro corticale. Tutte. seriato in un altro e viceversa, per cui in queste distin- zioni molto spesso non si può essere e iamalto rigorosi. Il centro del cilindro centrale è occupato da due sorta di fasci: 1° fa- sci puramente fibrosi, simili a quelli della corteccia, per lo più de- stituiti di serie di cellule a cristalli; 2° fasci contenenti oltre le fi- bre, che sono a pareti -più sottili che nei fasci puramente fibrosi, anche tracheidi e tubi cribrosi. Il Gillain (1) ha trovato tubi cri- brosi nel centro del cilindro centrale soltanto nel P. caricosus. Anche il Warburg per la maggior parte dei fasci centrali esclude la pre- senza di tubi cribrosi (2). Il De Bary (3) ammette che generalmente i tubi cribrosi sono presenti nel centro della radice, ma che in rari casi possono anche mancare. Per conto mio posso assicurare di averli trovati costantemente ed ho esaminato ben 8 specie differenti. Anzi devo aggiungere che ho sempre constatato un equilibrio perfetto fra il quantitativo degli elementi vascolari e quello dei tubi cri- brosi, fino al punto che in ogni grosso fascio centrale ad un certo numero di gruppi vascolari corrisponde per lo più un egual nu- mero di gruppi cribrosi. Ogni gruppo vascolare dei fasci centrali con- sta di uno, due o più tracheidi, di cui i più interni sono i più grossi, e di parenchima vascolare, ehe circonda il complesso dei tracheidi. In parecchie radici ho osservato che anche ad una notevole di- stanza dall’apice, cioè in tratti abbastanza adulti, le pareti dei grossi tracheidi rimangono sottili e poco lignificate. Nel P. Veitchii ho visto perfino che le pareti non si legnificano neanche, dimodo- chè in sezione longitudinale non si vedono neppure le tipiche scul- ture. Non di rado quindi accade che, non opponendo questi grandi elementi nessuna resistenza alle cellule del parenchima vascolare circostante, vengano da esse facilmente schiacciati. Ogni gruppo cribroso risulta, allo stesso modo che i gruppi va- scolari, di uno, due o più tubi cribrosi, circondati da parenchima cambiforme. Nei casi più semplici non vi sono che tubi cribrosi con cellule annesse. I gruppi cribrosi e vascolari ad un certo momento si associano alla periferia dei grossi fasci centrali per fornire il punto d’at- tacco ai piccoli fasci delle radici secondarie, i quali penetrano pro- fondamente nel cilindro centrale della radice principale, allo stesso modo che i fasci delle grosse radici aeree nel cilindro centrale del (1) L. c., pag. 410. (2) L.c., pag. 7. (3) L. c., pag. 376. fey i ù soa ari i ‘ È i+ SUA co ; RO nnt ar RARI. caule (1). Questi piccoli fasci di collegamento, come i fasci tav. II) che collegano il sistema conduttore delle radici aeree e quello del caule, non sono semplici, ma cribro-vascolari, quantunque di struttura semplicissima. Come vedesi, vi è dunque perfetta cor- Peo 4 rispondenza fra il modo d’inserzione delle radici sul caule e quello | 3 delle radici su altre radici. KS na A, Ora noi abbiamo visto che la complicazione dei fasci del cilindro p A i centrale del caule è intimamente legata al particolar modo d’im- bi; i I pianto su di esso delle radici aeree: senza dubbio dobbiamo am- SE mettere che la caratteristica struttura del cilindro centrale delle | 13 radici sia in diretta dipendenza del modo d’inserzione delle radici si secondarie. Ma | Ho voluto infine seguire alla base delle radici aeree il graduale scomporsi dei grossi fasci centrali nei piccoli fascetti cribro-vasco- : lari, che congiungono il sistema conduttore radicale a quello cauli- i i nare. Il passaggio si effettua in un modo semplicissimo, per l'avvi- si cinarsi di uno o più gruppi cribrosi ad uno o più gruppi vascolari : dello stesso fascio centrale. A ciò segue la scomposizione del grosso î ammasso di fibre in tante porzioni quanti sono i fasci cribro-vasco- 4 Ù lari originati. In definitiva si hanno tanti fasci coll’aspetto a noi p già noto fin da quando abbiamo studiato il caule (fig. 13). a i < CONCLUSIONI. 4 Nel riassumere quanto abbiamo esposto nel corso del lavoro, non possiamo astenerci dal far rilevare anzitutto il particolare interesse d che suscita nello studioso l’esame dell’intera struttura nei Pandanus, già abbastanza singolari per il loro portamento esteriore. Ogni parte è dotata di una speciale caratteristica sufficiente a farla distinguere, i anche per mezzo di un semplice frammento, da parti omologhe di altre Monocotiledoni. Oltre questa caratteristica noi troviamo nelle numerose specie del genere Pandanus una grande uniformità di strut- tura, che rende difficile, se non quasi impossibile, trovare dei carat- teri differenziali fra una specie e l’altra. Non a torto il Mangin (2) dice che « su una specie di Pandanus si potrebbe completamente descri- vere l'anatomia di tutte le piante della famiglia ». A. giudicare quindi (1) La profonda penetrazione del sistema conduttore delle radici secondarie nel cilindro centrale delle radici principali è stata osservata per la prima volta da De Bary (Vergleichende Anatomie, pag. 828). (2) MaNGIN L. — Origina et insertion des racines adventives ete. Ann. Sc. Nat. Bot. VI série. T. XIV, pag. 348. anus come ‘uno dei Si dini e naturali delle Minoc e eda riguardare come esagerata la necessità ammessa dal Solms a) di doversi col tempo scomporre questo genere in parecchi altri ge- | neri. Senonchè, ponendo mente alla descrizione che il Solms e il . Warburg (2) ci danno delle parti fiorali, si rileva che per esse esistono fra le diverse specie delle sostanziali differenze, quali ad es. la va- riabilità nella disposizione degli stami, nel numero dei carpelli e nella loro posizione, ecc. Di fronte ai caratteri rilevati dalle parti fiorali ‘naturalmente quelli desunti dall’interna morfologia degli organi vegetativi passano in seconda linea. Non per questo scema minima- mente la loro importanza ed in una futura revisione del genere Pandanus non si dovrà trascurarli come si è fatto finora. Caule — 1° Caratteristica del caule è la temporanea saldatura di.due o più fasci fra loro a formare delle particolari riunioni, che noi proponiamo di chiamare, anche temporaneamente, complessi va- scolari. | — Siffatta saldatura non si effettua, come si è creduto finora, per una semplice riunione di due o più fasci qualsiansi fra loro, ma è sottoposta ad una legge ben determinata, in diretta aa del modo speciale d’inserzione delle radici aeree sul caule di queste piante. Contrariamente a quello che avviene nel maggior numero delle Monocotiledoni, il sistema conduttore nelle radici delle Pan- danacee non si arresta alla periferia del cilindro centrale del caule, ma penetra profondamente in esso. Nelle altre Monocotiledoni il sistema conduttore delle radici si collega con le estremità inferiori delle tracce fogliari del caule; lo stesso effettuasi nelle Pandanacee, ma, penetrando i fasci radicali profondamente nel cilindro centrale del caule, le estremità inferiori delle tracce fogliari, che devono loro fornire il punto d’attacco, dalla periferia sono costrette a por- tarsi di nuovo al centro. Nei complessi vascolari è facile scorgere quale dei fasci rappresenta l’estremità inferiore d’una traccia fo- gliara; è quello appunto che presentasi più ridotto e quindi privo di primane vascolari (fig. 6, tav. I X). In tal modo anche il per- corso dei fasci nei Pandanus è costretto a deviare dal percorso tipico nelle Monocotiledoni, in quanto che una traccia fogliare, dopo (1) Sorms LauBacH H. — Pandanaceae. Die natiirlichen PHanzenfamilien. II Teil. Abt. 1, pag. 190. (2) WarBURE 0. — Pandanaceae. Das Pflanzenreich, herausgegeben von A. Engler. IV, 9, pag. 44. st da din 3 È ARES usi; : » . di Dee hema aver percorso | la enrva brutta stice da dol 0 s ch | ‘’‘’»’si esaurisce alla periferia, ma ritorna verso il centro per for 5 come abbiamo detto, il punto d’attacco ai fasci radicali, e quivi Lio i “dala spegne. TR Tàle percorso non può rilevarsi dallo studio di uno schelatoni di. TOcaa caule anche benissimo preparato, giacchè, una traccia fogliare, 4p- pena penetrata nel cilindro centrale, perde la sua individualità, ge È perchè contrae rapporti con gli altri fasci. Quindi quelli che noi vediamo nello scheletro non sono dei fasci distinti, ma dei com- v plessi di fasci in stadii differenti del loro percorso. Per comprendere mo esattamente dunque il percorso dei fasci nei Pandanus a noi è parso Ro che il miglior metodo sia quello dello studio di un gran numero di $, sezioni in serie. 3 2° Per quanto riguarda la controversa questione se esiste o no a struttura secondaria nei Pandanus, io posso affermare di nulla aver SA trovato che potesse interpretarsi come prodotto posteriormente alla d struttura primaria, neanche in modo limitato come è stato ultima- Pa mente ammesso dal Warburg. L’accrescimento in spessore del caule è strettamente legato al- di l'aumento in spessore della regione apicale. Contribuiscono, benchè lievemente, ad aumentare le dimensioni del caule, i numerosi fasci che congiungono il sistema conduttore delle radici a quello del caule, e che formansi a spese del parenchima fondamentale del cilindro di: centrale, le cui cellule sono perciò costrette ad accrescersi e a di- vidersi un gran numero di volte. 8° Ho osservato che le gemme all’ascella delle foglie, contraria- mente a quanto asserisce il Warburg, si originano molto presto, nello stesso tempo che dall’apice si differenzia la foglia ascellante si (fig. 2, tav. I). Anzi ho potuto scorgere due gemme messe all’ ascella di due foglie sovrapposte e notare che esse non trovansi sullo stesso raggio della sezione, per cui ho dedotto che la lieve deviazione dalla divergenza */, mostrata dalle foglie allo stato adulto, si effettua già nelle semme, come afferma lo Schumann e non posteriormente come sostiene lo Schwendener. Asse dell’infiorescenza — 1° Caratteristica dell’ asse dell’ infio- Sa rescenza è l’esistenza nel cilindro centrale di numerosi fasci sem- pi plici cribrosi, che collegano fra loro le porzioni cribrose dei fasci da ; collaterali. Pr: 92° Notasi anche l'assenza al limite fra il cilindro centrale e cor- ticale dell'anello sclerenchimatico tanto frequente negli scapi ed assi fiorali delle altre Monocotiledoni. Per cui non v'è nessun limite. 5° | trapassa senza ia A in POE dell'altra me. 1° Caratteristica della foglia è la struttura del fascio | vascolare, la cui porzione cribrosa è tutt’altro che ridottissima, come ammette il Warburg. Perciò non è neanche vero ciò che asserisce lo stesso autore, cioè che la porzione cribrosa, abbondante nel gio- vane fascio, venga nel fascio adulto resa irriconoscibile dallo schiac- | ciamento operato dalle fibre sclerenchimatiche attigue. Fin dalla prima differenziazione del fascio dal cordone di procambio i tubi -» eribrosi si originano isolati l’un dall’altro (fig. 30 #) e non vengono schiacciate che le primane (pf). La posizione che occupa la por- zione cribrosa rispetto alla vascolare è poco costante. Per lo più i tubi cribrosi si dispongono a ferro di cavallo intorno al grosso tra- cheide ultimo formato, che occupa il centro del fascio (fig. 23 v e #); non di rado però riescono a circondarlo completamente e talora per- fino riunisconsi in gruppo a ridosso della porzione vascolare più interna (fig. 26 #), che per lo più rimane staccata dal grosso tra- cheide centrale. Tenendo presente il frazionamento quasi costante ‘ della porzione vascolare e quello della porzione cribrosa, nonchè la variabile posizione di quest’ultima rispetto alla prima, ci accorgiamo che il fascio fogliare dei Pandanus si allontana abbastanza dal tipico fascio collaterale, fino al punto da farci dubitare se possa realmente considerarsi come tale. 2° A permettere lo scambio fra i diversi tubi cribrosi imprigio- nati nel potente complesso di fibre sclerenchimatiche, preseutansi tratto tratto nel fascio vascolare degli ammassi, talora considerevoli, tanto da far cambiare l’aspetto solito del fascio stesso (fig. 25 f'), . di corti e grossi elementi cribrosi, nei quali mancano le cellule an- nesse e perfino molte volte le piastre cribrose. Oltre allo scambio fra i diversi tubi cribrosi d’un fascio, essi permettono anche lo scambio, attraverso alle anastomosi orizzontali, fra le porzioni eri- brose dei diversi fasci. 3° L'aspetto del fascio vascolare muta totalmente alla base della foglia: quivi diventa realmente un fascio collaterale, con tendenza alla riduzione della sua parte cribrosa, tendenza che si fa sempre più manifesta, allorchè il fascio penetra nel caule. 4° Oltre alla frequente formazione dei tilli negli elementi va- ‘scolari, ho notato alla base della foglia in parecchie specie (Pan- danus cuspidatus, Van Geerti, tenwifolius, amaryllidifolius) un fatto abbastanza curioso : uno straordinario accrescimento di alenne cel- lule del parenchima vascolare, in seguito al quale un gran numero Pa Lu mi o peer Pd TP. Vie m 9 PAGE a Ù “i ni di tracheidi vengono tenta sciat e ridotti inf (fig. 28 ©). Queste ipertrofie, che per ‘origine sono omologhe a ancora ignota, che determina i tilli; ma quale sia la loro importanza io non sono riuscito a stabilire. Trovaglloni costantemente nelle specie suddette in tutti i fasci, alla base della foglia, si può pen- sare che esse cooperino insieme coi tilli all’otturamento dei fasci e quindi alla caduta delle foglie. 5° Degne d'interesse sono ancora nella foglia: «) l’esistenza in molte specie di vere e proprie delie stomatifere verso la base della pagina superiore ed inferiore, £) le particolari disposizioni of- ferte dagli stomi della pagina INGnon per impedire una soverchia perdita d’acqua per traspirazione, ) la presenza: di un tessuto acqui- fero, sviluppato specialmente in corrispondenza della nervatura me- diana. Radice. — Caratteristica della radice è la particolare struttura del cilindro centrale in cui, oltre ai numerosissimi fasci periferici eribrosi e vascolari vi sono dei grossi fascì centrali forniti in mezzo all’ammasso di fibre di gruppi vascolari e cribrosi in eguale pro-. porzione. Mai ho notato assenza di gruppi cribrosi in alcuno dei fasci centrali, come ammettono il Gillain ed il Warburg. Spesso anzi gruppi vascolari e cribrosi si portano al margine del grosso fascio in cui sono ammessi e si associano per fornire il punto di colle- gamento ai piccoli fascetti cribro-vascolari delle radici secondarie, le quali, allo stesso modo che le radici aeree sul fusto, s’inseri- scono profondamente nel cilindro centrale della radice madre. Come per il caule anche per le radici la complicata struttura del cilindro centrale dev'essere dipendente dallo speciale modo d’in- serzione delle radici secondarie. Carattere comune a tutte le parti è la tendenza ad isolarsi dei singoli tubi cribrosi. Tale tendenza già manifesta nel caule, si fa più marcata nei fasci degli assi delle infiorescenze, marcatissima nei fasci fogliari. Spesso i tubi cribrosi così isolati sono forniti di due cellule annesse, raramente perfino di tre. Un secondo carattere comune è la presenza di ossalato di calcio sotto due forme differenti. cioè di rafidi e di cristalli prismatici, come è stato osservato fin dal 'l'hiselton nel suo lavoro sopracitato. I rafidi, contenuti in cellule talvolta colossali, trovansi sempre in rapporto con le masse di parenchima fondamentale. I cristalli pri- smatici, occupanti interamente il lume della cellula, in cui sono devono essere determinate senza dubbio dalla stessa causa, vs : Pdci fasci vascolari, DZ che dividono Sa lacuna da un’altra | nelle foglie, ipodermi), aumentano o diminuiscono in dimensioni e in numero coll’aumentare o col diminuire dello spessore e della li- | gnificazione negli elementi che accompagnano. In molte specie ad es. verso la base della foglia, dove tutti i tessuti meccanici aumen- tano e s'accresce lo spessore delle pareti dei loro elementi, i cri- stalli diventano abbondantissimi (fig. 31 cr). Questa costante reci- procità fra il quantitativo di ossalato di calcio in cristalli prisma- tici e lo spessore e la lignificazione delle pareti dei tessuti mec- canici a me sembra parli in favore di quegli autori, che sosten- ‘gono serva il calcio al trasporto delle sostanze che fanno parte della membrana. i Lasi. da p Fig. Fig. Fig. a, Fig. Fig. Fig. ho SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (1) TAvoLa I. . — Pandanus Veitehii. Sezione longitudinale nell’apice del caule — Ocu- lare 3 — Obbiettivo 1. — Pandunus humilis. Sezione trasversale nell’apice del caule — ap) apice — G", G", G") giovanissimi abbozzi delle gemme ascellari — Microscopio da preparazione. — Pandanus Veitchii. Sezione trasversale a poca distanza dall’apice del caule principale — G’, G”) due gemme messe all’ascella di due foglie sovrapposte nella medesima spirale — Microscopio da preparazione. — Pandanus javanicus var. variegatus. Sezione trasversale del caule mostrante la formazione del sughero — ep) epidermide — ip) ipoderma suberificato — pr) periderma — oc. 4 — obb. 4. . — Pandanus humilis. Sezione longitudinale del caule nel punto in cui si distacca una foglia — st) strato di cellule che si disfa e de- termina la caduta della foglia — pc) parenchima alla base della foglia che suberifica debolmente le pareti — pr) periderma — tr) traccia fogliare — fr) fibra accompagnata da una serie di cellule cristallifere (cr) — oc. 2 — obb. 3, i. — Pandanus Veitchii. Sezione trasversale di un complesso vascolare nel caule — pv) primane vascolari schiacciate — v) elementi va- scolari — #) tubi cribrosi — cr) cellule cristallifere — fr) com- ‘plesso di fibre delle guaina meccanica dei fasci — pc) paren- chima vascolare — X) fascio vascolare molto ridotto, su cui sì impiantano i fasci radicali — oc. 3 — obb. 4. TavoLa II di Fig. 7-12. — Pandanus Veitchii. Sezioni trasversali nel caule alquanto sche- a g. q matizzate per mostrare il percorso dei fasci — A) traccia fo- gliare da poco penetrata nel cilindro centrale — A’ e 4”) due altre tracce penetrate posteriormente ad A nel cilindro centrale — B) fascio periferico semplice che si addossa in seguito alla traccia fogliare (A) — fc) fascio composto — fs) fascio semplice — ®) porzione vascolare — #) porzione cribrosa — /r) guaina mecca- nica — la) lacune aerifere nel parenchima fondamentale — 2) limite del cilindro centrale — oc. 2 — obb. 2. (1) Lenti, microscopio e camera lucida coi quali sono stati eseguiti i disegni sono della fab- brica Koristka. TavoLa III - Fig. 13, — Pandanus Veitchii. Sezione trasversale di un fascio della radice , nel tratto che attraversa il caule — +) porzione vascolare — t) porzione cribrosa — fr) fibre della guaina meccanica del fa- scio -— oc. 3 — obb. T. Fig. 14. — Pandanus humilis. Sezione trasversale di un fascio vascolare del- __ Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. l’asse dell’infiorescenza — +) porzione vascolare — f) porzione eribrosa — cr) cellule cristallifere — oc. 3 — obb. 7. 15. — Pandanus humilis. Sezione trasversale di un fascio cribroso del- l’asse dell’infiorescenza — #) tubi cribrosi — cr) cellule cristal- lifere — fr) fibre della guaina meccanica del fascio — oc. 3 — obb. 7. 16. — Pandanus amaryllidifolius. Epidermide della pagina inferiore della foglia vista a fuoco alto — e) cellule epidermiche che si estro- flettono in parecchi punti della loro superficie, formando delle papille a guisa di verruche — a) camera prestomatica — ac) cellule annesse — oc. 4 — obb. 7. 17. — Pandanus amararyllidifolius. Epidermide della pagina inferiore della foglia vista a fuoco basso — Spiegazione delle lettere come nella figura precedente Ci 00, 4 L'obb'7. 18. — Pandanus amaryllidifolius. Epidermide della faccia inferiore della foglia in sezione trasversale — Spiegazione delle lettere come sopra — oc. 4 — obb. 7. 19. — Pandanus utilis. Epidermide della faccia ora della foglia vi- sta di fronte — cr) cripte stomatifere — ac) cellule annesse con verruche — e) cellule epidermiche più sviluppate — e’ cel- lule epidermiche meno sviluppate — oc. 3 — obb. 6. 20. — Pandanus utilis. Epidermide della pagina inferiore della foglia in sezione trasversale — Spiegazione delle lettere come nella fi- gura precedente — oc. 4 — obb. 7. Fig.21. — Pandanus Vandermeeschii. Epidermide della pagina inferiore della foglia vista di fronte — e) cellule epidermiche estroflesse in verruche digitate — cr) cripta stomatifera — ac) cellule an- nesse estroflesse in verruche — oc. 3 — obb. 6. Fig. 22. — Pandanus graminifolius. Sezione trasversale in corrispondenza della nervatura mediana della foglia — ep) epidermide della faccia superiore — 7p) ipoderma formato di cellule sviluppate perpen- dicolarmente all’asse longitudinale della foglia — fa) tessuto acquifero — oc. 2 — obb. 7. TavoLa IV. Fig. 23. — Pandanus cuspidatus. Sezione trasversale in un fascio vascolare a metà della lunghezza della foglia — pc) parenchima vasco- lare — pv) primane vascolari — v) grosso tracheide centrale — t) tubi cribrosi — #) parenchima cambiforme — v') corti tra- cheidi — pf) protofloema — fr) fibre molto ispessite frapposte ai tubi cribrosi — cr) cellule cristallifere — /r') fibre della. AA n SPIRI STI, ù % i | guaina meccanica. —_ 9) cellule. | del fascio — oc: 2 — obb. 6, pe Fig. 24. — Pandanus utilis. Porzione centrale di un fascio Fanco i Nat: Lfot vg dl glia, mostrante un piccolo gruppo di corti tubi cribrosi. #”) = È n° agsao delle altre lettere come nella figura precedente «= .3 — obb. 6. A Fig. 25. — Milioni furcatus. Porzione centrale di un fascio vascolare nella foglia, mostrante un enorme gruppo di corti tubi cribrosi #") — Spiegazione delle altre lettere come sopra — oc. 2— obb. 6. “ Fig. 26. — Pandanus reflerxus. Sezione trasversale di un fascio vascolare nella i foglia, mostrante a ridosso della prima porzione vascolare un LI 1 ammasso di tubi cribrosi #) — #4) tilli — Spiegazione delle al- È, tre lettere come sopra — oc. 4 — obb. 3. i EL, Fig. 27. — Pandanus Pancheri. Sezione longitudinale passante per l’asse mi- i nore di un fascio fogliare — v) grosso tracheide — #) tubi cri- brosi — #") gruppi di corti tubi cribrosi — pc) parenchima va- . 4 e” scolare — fr) fibre sclerenchimatiche — er) cellule cristallifere i riunite in serie verticali — oc. 3 — obb. 6. 1 TavoLa V. Fig. 28. — Pandanus cuspidatus. Sezione trasversale di un fascio vascolare presso la base della foglia — ®) tracheidi schiacciati dal consi- L i derevole accrescimento -delle cellule del parenchima vascolare 9A D_ pe) — t) tubi cribrosi — fr) fibre — cr) cellule cristallifere — $ Ù gP) guaina parenchimatica. i i Fig. 29. — Pandanus inermis. Sezione trasversale di un fascio fogliare in prossimità del punto in cui una foglia era stata precedente- mente mozzata — gp) guaina parenchimatica le cui cellule, di- videndosi, dànno luogo alla formazione di sughero tutto intorno DI al fascio — #h) tilli — oc. 3 — obb. 4. Fig. 80. — Pandanus humilis. Sezione trasversale d’un giovanissimo fascio E° fogliare — pv) primane vascolari — pc) parenchima vascolare — ) Pf) protofloema — #) tubi cribrosi — pl) piastra cribrosa — fr) fi- i bre con pareti ancora sottili — #') gruppo di cellule a grosso nucleo che origineranno i corti e grossi elementi cribrosi — i ì oc. 4 comp. ‘/,y imm. omog. Le. Fig. 31. — Pandanus furcatus. Sezione trasversale alla base della foglia — f) fasci vascolari con potente guaina meccanica — cer) serie di pi cellule cristallifere disposte molto regolarmente attorno alla | 3300 guaina meccanica dei fasci — 2) lacune aerifere alternanti coi 4 fasci — fr) gruppi di fibre sparsi nel mesofillo — er') cellule a ù grossi cristalli intercalate nell’ipoderma — Microscopio da pre- Me: parazione. Fig. 32. — Pandanus Veitchii.. Origine delle lacune aerifere (sp) nel cilindro corticale della radice — fr) fasci di fibre sparsi nel cilindro cor- ticale — oc. 2 — obb. 7. L’inosite delle piante NOTA PRIMA Ricerche chimiche del dott. MARCO Soave La esatta natura chimica dell’inosite venne determinata, come è noto, nel 1887 da Maquenne (1) il quale dimostrò che essa è da con-. siderarsi come un alcool esavalente a funzione semplice derivante dall’esametilene. Maquenne estrae il materiale necessario alle sue asperienze dalle foglie secche del noce; ma che l’inosite, la quale era stata da prima scoperta da Scherer nei tessuti animali, fosse larga- mente diffusa nel regno vegetale, era cosa ormai nota per le nume- rose ricerche venùte in seguito a quelle di Vohl (1856) che l'aveva ottenuta dai fagiuoli verdi distinguendola col nome di faseomannite(2). E la inosite può considerarsi infatti come una specie di mannite a catena chiusa. Si comprende dunque come avendo l’inosite la stessa composi- zione centesimale degli esosi e sapore dolcigno, forse appunto per la sua larga diffusione nelle piante, sia stata per molto tempo inscritta fra le materie zuccherine, posizione che più che altro per comodità di studio le è tuttora mantenuta anche in alcuni dei migliori grandi trattati di chimica (Beilstein 8° edizione). Nulla sappiamo finora intorno alla storia biochimica di questo zucchero a nucleo aromatico che pare originarsi nell'atto stesso della assimilazione clorofillina. Abbiamo l’ipotesi di Crato il quale pensa che l’anidride carbonica disciolta nel succo delle foglie si idrati, per dare origine all’acido ortocarbonico C (0H), che, sotto l’azione dell'energia solare, sarebbe capace di dare origine a un fenolo esa- valente assai vicino all’inosite; ma anche di questa ipotesi manca tuttora la dimostrazione sperimentale. A me è parso che l’argomento fosse tanto più degno di studio ora che noi sappiamo esistere assai diffuso nelle piante, e special- mente "bbosMante Hani frsnti di riserva, un i 1c0. fosforato capace di dare inosite. ARI did; C Be Qeusto composto segnalato da prima da Pfeffer come facente parte dei globoidi inclusi nei granuli di aleurone, isolato da Palla- È din (3) dai semi di Brassica nigra, venne in seguito studiato da x Schulze e Winterstein (4) al quale ultimo ‘appunto va il merito di P aver dimostrato che scaldando la sostanza in tubo con acido cloridrico 7 fumante a 130°-140° per circa 30 ore si ottiene dell’inosite. (5) Win- terstein non ha però determinato la natura del gruppo atomico orga- nico esistente nella sostanza in questione, limitandosi a concludere che la sostanza stessa non poteva considerarsi come il sale calcico ma- gnesico di un acido inositfosforico in cui una molecola di inosite fosse legata a una molecola di acido fosforico; e ciò in base alle cifre otte- | nute dalla determinazione dell’acido fosforico nel composto in esame. Lo studio ulteriore di questa sostanza oltremodo interessante lo dobbiamo a Posternak (6) il quale potè isolarlo da tutti i semi, tu- beri, rizomi e bulbi esaminati e riuscì a stabilire che essa doveva essere considerata come il sale doppio di calce e di magnesio di un acido anidro ossimetilene difosforico VE _CH40. PO (0H), SOHZO . PO (01), RE, 0; aggruppamento che non sarebbe altro che l’etere di un isomero al- coolico, CH. OH, dell’aldeide formica, COH,, isomero incapace di . esistere allo stato libero. Scaldandolo in tubo chiuso per 8 ore a 150°- 160° con acido solfo- rico diluito al terzo, Posternak ha ottenuto da questo acido fosfoor- ganico una quantità di znosite che corrispondeva al 97,8 per cento del carbonio totale della sostanza impiegata. La reazione, secondo Posternak, dovrebbe essere espressa dall’equazione 3 C,H, P, 0, +3 H, 0—= (CH. OH)' (inosite) + 6 H, PO,; l’inosite si formerebbe dunque per condensazione di 6 gruppi CH.OH forniti dalle 3. molecole di acido fosfoorganico decomposto. Il quale acido fosfoorganico poi, sempre secondo Posternak, pren- derebbe origine nelle piante nell’atto stesso della riduzione cloro- fillina: normalmente l’alcool CH. OH formatosi nelle foglie sarebbe utilizzato dai cloroplasti al momento stesso della sua produzione per la sintesi degli zuccheri, degli idrati di carbonio, dell’acido anidro- ossimetilene difosforico, degli albuminoidi; se per una causa qua- vr ELLI lunque questa utilizzazione non può aver luogo, allora vi ha forma- Ap Sk ceri O i % A Ma Giuesti art di Posternak sull’origine del composto fosfoorga- nico in questione attendono, se potrà essere data, la conferma spe- rimentale ; e per quanto si riferisce alla origine della inosite nelle piante possiamo noi accettare l'opinione sua, o piuttosto tale inosite non rappresenta già essa stessa un prodctto di scissione di qualche aggruppamento atomico più complesso ? quale la sorte di quella ino- site che è stata riscontrata in quasi tuttii frutti immaturi e che pare scomparire colla maturazione ? può la inosite essere direttamente utilizzata dalle piante alla formazione dell’amido, degli zuccheri e in genere degli idrati di carbonio ? Questi e altri ancora i problemi la cui risoluzione sarebbe di grande interesse per la stretta relazione che essi hanno colla grande funzione della assimilazione clorofillina. Nelle esperienze delle quali rendo qui conto, mi sono proposto di studiare se nei semi in germinazione si origini inosite ed even- tualmente quale parte vi abbia il composto organico fosforato di cui si è più sopra tenuto parola. Semi di girasole (Helianthus annuus). Ricerca dell’inosite preformata. Ho scelto come materiale del primo esperimento i semi di gira- sole che, secondo Posternak, sono fra quelli più ricchi di fosforo legato al gruppo organico capace di dare inosite: e innanzi tutto ho voluto ricercare se essi contengano o meno inosite preformata. Gr. 100 di semi sbucciati sono fatti bollire a più riprese con acqua in modo da ottenere l’esaurimento completo: l'estratto acquoso ridotto a volums di un litro circa è trattato a caldo, prima con latte di calce e poi con acetato neutro di piombo e il liquido filtrato così defecato, addizionato di qualche goccia di ammoniaca è trattato con acetato basico di piombo che, come è noto, dà coll’inosite un com- posto insolubile. Il precipitato raccolto dopo 24 ore, lavato, sospeso in acqua è decomposto mediante acido solfidrico e il liquido filtrato è ridotto a piccolo volume. | Questo dell'impiego successivo dell’acetato neutro di piombo, previo trattamento o non con calce o barite, e dell’acetato basico è, si può dire, il procedimento classico seguito e consigliato da tutti gli autori per la ricerca dell’inosite nei tessuti animali e vegetali. ANNALI DI Boranica — Vot. V. 4 an Ore e del 1 quido, IroVe lente dalla scomposi: precipitato piombico con acido solfidrico, saggiato direttamente sd constatare la presenza dell’inosite mediante la reazione di Scherer, De: 9 ha dato risultato negativo. La reazione di Scherer si compie eva- Ta porando in una cassulina di PECE alcuni centimetri cubici del | | x liquido al quale si sia aggiunto un po’ di acido nitrico concentrato: be l'evaporazione si fa a bagno maria, a bagno di cloruro di calcio ov- Ra vero, operando cautamente, anche a fiamma diretta. Il residuo lo dr i sì umetta con soluzione di cloruro di calcio e lo si porta nuovamente . bi E a secco, con che compare una bella colorazione rosea con tendenza bi SA al rosso, più o meno intensa, a seconda della quantità di inosite pre- ; sente. La reazione sarebbe ancora francamente sensibile per meno di 12 millig. di sostanza. Io ho potuto persuadermi che il trattamente del residuo con qualche goccia di ammoniaca, così come è indicato nella reazione ori- ginaria di Scherer, prima di aggiungere il cloruro di calcio, è in molti casi a detrimento della purezza della reazione stessa. Ma se la reazione di Scherer praticata direttamente sul liquido proveniente dalla scomposizione del precipitato piombico, può in molti casì dare, per la presenza dell’inosite, esito positivo, molto frequentemente invece la comparsa della caratteristica colorazione è impedita dalla presenza di una quantità ancora troppo grande di sostanze estranee. Nel mio caso speciale forse la influenza delle so- stanze estranee era meno a temersi: tuttavia ho cercato di ottenere la separazione della inosite eventualmente presente, facendo bollire la parte rimanente del liquido con acido nitrico concentrato che an- davo aggiungendo a goccie a goccie. L'operazione essendo fatta in palloncino munito di imbutino a rubinetto e innestato a piccolo retri- gerante a riflusso, la concentrazione del liquido era mantenuta tale che l’acido nitrico aggiunto non superasse il 5 o G per cento; nelle quali condizioni l’inosite rimane perfettamente inalterata, mentre la maggior parte delle altre sostanze estranee vengono ossidate. Al li- quido così trattato, che misurava circa 15° ho aggiunto, dopo raf- freddamento, a poco a poco dall’alcool concentrato 25%, e poi del- l’etere, 50°. L'alcool prima e l’etere dopo determinarono nel liquido limpido un intorbidamento che andò man mano accentuandosi: dopo 12 ore si era depositato in fondo al recipiente uno strato sottile di una " sostanza bianca pulverulenta che, raccolta poi accuratamente, non È ha fornito la nota colorazione alla reazione di Scherer. p Ho descritto un po’ minutamente il procedimento impiegato in questa prima esperienza, perchè esso è quello seguito in appresso | opportune poi alcune osservazioni, sui risultati che dal procedimento cn Vide levi. direzioni a Pontida delle circostanze e perchè saranno stesso è lecito di attendere. I semi di girasole in riposo non contengono dunque inosite pre- , formata. Inosite che si origina per l’azione dell’acido solforico. In altra circostanza avevo avuto occasione di constatare che la reazione che Winterstein e Posternak compiono in tubo chiuso sul composto fosforato organico e dalla quale si origina inosite, può av- venire anche se si opera in pallone a refrigerante ascendente. Ho approfittato di questa circostanza, per vedere se dai semi di girasole sì poteva avere direttamente formazione di inosite. Gr. 100 degli stessi semi di girasole sgusciati sono posti in pal- lone di vetro e addizionati di gr. 150 di acido solforico, diluito collo stesso peso di acqua: il pallone munito di refrigerante a riflusso è messo in bagno di paraffina, che si scalda in modo da ottenere la ebullizione regolare del liquido, che si continua per 3 ore. L’ope- razione si compie colla temperatura del bagno esterno, fra 135° 145°. Dopo raffreddamento verso a poco a poco il liquido del pal- lone in una larga cassula di porcellana, dove è stata previamente sciolta la quantità di barite calcolata sufficiente a neutralizzare quasi completamente l’acido solforico; poichè ho cura che la rea- zione rimanga tuttavia leggermente acida. Si fa bollire il tutto e sì filtra a caldo: si lava accuratamente il precipitato prima con acqua calda e poi sospendendolo esso stesso in acqua bollente, e il filtrato perfettamente limpido e quasi incoloro si svapora a poco più di mezzo litro. Al liquido caldo aggiungo ora o poco a poco una soluzione di acetato neutro di piombo, in modo da precipitare le ultime porzioni di acido solforico ancora presente, filtro, rendo il liquido legger- mente alcalino con ammoniaca e precipito con acetato basico di piombo. Raccolto dopo 24 ore il precipitato, lavato e sospeso in acqua, lo decompongo con acido solfidrico e il filtrato colle acque di lavaggio svaporo a piccolo, volume. Alcuni centimetri cubici di questo liquido, direttamente saggiati, forniscono intensissima la caratteristica reazione di Scherer. La porzione maggiore di liquido addizionata di alcool ed etere, previa ebullizione con acido nitrico nel modo già sopra indicato, fornisce un precipitato bianco polverulento di cui una piccola por- zione dà in modo squisitamente intenso la stessa reazione Scherer. NU ; _ PELI Fi I semi di girasole che non contengono inosite preformata sono di que in grado di dare inosite per l’azione diretta dell'acido solforice pare logico ammettere che ciò debba avvenire a spese dell’aggruppa- mento organico fosforato del quale ci siamo più sopra occupati, e cioè dell’acido anidro ossimetilene difosforico di Posternak. Semi germinanti. Premesse le due esperienze fondamentali sopra descritte dirò ora dei risultati avuti dai semi in via di germinazione, per il quale scopo i semi stessi erano stati distribuiti in 6 lotti di gr. 200 al- l’incirca ognuno. I germinatoi sono costituiti da cassette in legno in cui è uno strato spesso di sabbia silicea lavata, cassette munite di coperchi che si adattano bene così che è possibile ottenere a volontà piantine eziolate o non. 18 RACCOLTA. (21 febbraio — 3 marzo: temperatura ambiente della camera da lavoro). (rerminazione all'oscuro. — Semi quasi tutti germinati: il fusti- cino perfettamente bianco misura 4, 5, fino a 10 centim: i cotiledoni di color giallognolo sono, nel maggior numero tuttora avvolti nella buccia che si lascia staccare con facilità. La radice misura 3, 4, fino a 6 centim. e anch’essa è perfettamente bianca. (rerminazione alla luce. — Piantine alquanto meno sviluppate che le precedenti: fusticini leggermente verdognoli, cotiledoni de- cisamente verdi. Il materiale dei due lotti liberato dalla sabbia, diligentemente triturato è sottoposto separatamente a metodico esaurimento con acqua bollente e l’estratto acquoso è trattato nel modo più sopra descritto per la constatazione della presenza dell’inosite. Qui occorre una avvertenza di non lieve importanza pratica, ed è che l’impiego dell’acetato neutro, previo trattamento o non con calce o barite, non dà, come ho già avuto occasione di av- vertire, una sufliciente defecazione con materiali come quelli dei quali qui si tratta. Ho più volte constatato nella serie delle mie esperienze, che il liquido il quale proviene dalla decomposizione del precipitato piombico col mezzo dell’acido solfidrico ridotto a piccolo volume, dà nuovamente precipitati voluminosi e più o meno abbon- danti con l’acetato neutro di piombo. Io ho avuto anche migliori risultati trattando questo liquido con soluzione di solfato mercurico che determina pur esso la formazione di precipitati voluminosi e NAS RAV Tra PRE PIA DER 4 CAO A ui Ma 2 ‘& o; NI Pio gta CY pitt 53 ti 3 ‘abbondanti, allontanando dal filtrato l’eccesso di mercurio col solfi- . drico e operando poi o direttamente sul liquido che così si ricava 0, meglio ancora, ripetendo la precipitazione con acetato basico. Il procedimento si fa a questo modo più lungo e laborioso, ma pur troppo parecchie volte io non ho potuto avere risultato soddisfa- cente che a questa condizione. Così operando adunque io ho ottenuto, dall’esame del materiale dei due lotti di questa prima raccolta, risultato positivo in entrambi 1 casi: alcuni centim. cubici dei singoli liquidi dell’ultima fase del > procedimento direttamente saggiati hanno fornita intensissima la nota reazione di Scherer. Di più i liquidi stessi bolliti con acido nitrico e trattati col mi- scuglio alcoolico etereo hanno dato luogo alla separazione di preci- pitati in parte amorfi in parte cristallini dei quali una porzione ‘relativamente esigua era sufficiente per ottenere delle reazioni molto marcate di inosite. Del materiale residuo dall’esaurimento metodico delle piantine con acqua bollente, materiale seccato a 100°, prelevo delle porzioni di circa 40 gr. per lotto, che sottopongo separatamente all’azione dell’acido solforico, gr. 100, in apparecchio a ricadere, così come avevo operato coi semi in riposo. Anche quì si accerta in modo molto distinto la presenza dell’ino- site vuoi operando direttamente sui liquidi concentrati dell'ultima fase del procedimento, vuoi operando su piccole porzioni dei preci- pitati ottenuti mediante l’alcool etereo. 9° RACCOLTA. Germinazione all’oscuro. (31 febbraio-10 marzo). — Fusticini di 7,8, 10, 12, centm. perfettamente eziolati: cotiledoni già molto ri- dotti, giallognoli: radice stazionaria. Germinazione alla luce. — Fusticini di 7, 8, 10 centm. al massimo, verdi: i cotiledoni pure verdi sono tuttora turgidi. Radice con nu- merose radichette secondarie. L'esito dell'esame è quì analogo a quello della prima raccolta : persiste la presenza della inosite tanto nelle piante eziolate che in quelle verdi; le reazioni qualitative praticate nel solito modo sono molto marcate. Anche il materiale già esaurito con acqua dà, per trattamento con acido solforico, nell’un caso e nell’altro reazioni molto distinte di inosite. fc > __— 51 — Pi f . È e LA Quì ho voluto anche accertare se e nei pr ecip ite che siottengono trattando l’estratto acquoso con Ha di Ren; e ace- tato neutro di piombo, non esistano porzioni più o meno sensibili dell composto capace di fornire l’inosite, il quale sì fosse in parte sciolto | e. nell’esaurimento del materiale con acqua bollente. a I precipitati di defecazione, che erano a questo scopo stati con- servati a parte, li lavo accuratamente sospendendoli nell'acqua bol- c lente a più riprese e filtrando: il primo, quello ottenuto col latte N di calce, lo sottopongo direttamente all’azione dell’acido solforico, 1 il secondo, quello ottenuto coll’acetato di piombo, lo decompongo i prima con acido solfidrico, facendo poscia agire l’acido solforico sul filtrato ridotto a piccolo volume. Nel primo caso la reazione finale dell’inosite è stata incerta: nel secondo caso invece la reazione molto tenue, se sì vuole, ma ca- ratteristica, operando direttamente sul liquido acquoso finale, fuanche meglio accertata operando sul tenuissimo precipitato avuto dall’ag- giunta di alcool etereo. Questa della presenza di piccole quantità di composto capace di dare inosite anche nei precipitati di defecazione, è una circostanza della quale bisognerà tener conto. ULTIMA RACCOLTA. (Germinazione all'oscuro (21 febbraio-14 marzo). — Le piantine sono prossime a perire. Fusticini molto esili, lunghi 10, li, 12 fino a 15 centim. scolorati: cotiledoni pressochè avvizziti, due o tre fo- glioline rudimentali gialle, (ierminazione alla luce (21 febbraio-18 marzo). — Piantine con portamento tuttora discreto, ma nelle quali il vero periodo germina- tivo può ritenersi finito: i cotiledoni non sono ancora completamente ridotti, ma i fusticini sono già provvisti di piccole foglioline verdi: la radice principale porta numerose radichette secondarie. i La reazione dell’inosite manca affatto nelle piantine eziolate; nelle piantine verdi essa è ancora positiva, quantunque tenuissima, — — se praticata su porzione non troppo piccola del liquido della fase ul- tima dell’estrazione: l'aggiunta di alcool e etere determina la sepa- sa razione di un precipitato relativamente sensibile, dal quale però non La s sì ottiene, operando con tutte le cautele, che una reazione appena "Zi percettibile. — | quelle verdi. da Semi di cicerchia (Lathyrus sativus). pes Operando con 100 gr. di semi di cicerchia ho potuto accertare che, allo stato di riposo, anche in questi non esiste inosite: gr. 100 ») dra degli stessi semi sottoposti a trattamento con acido solforico hanno dato non solo la reazione caratteristica nel liquido acquoso della fase finale del procedimento di estrazione, ma da questo liquido versato | nell’aleool concentrato e bollente si potè ottenere, previa filtrazione, | in seguito a raffreddamento e a riposo, la formazione di numerosi aggregati cristallini a cavol fiore caratteristici dell’inosite. ©. Non ripeterò i particolari dell'esperimento coi semi in via di ger- minazione che sono, in linea generale, gli stessi già descritti a pro- posito dei semi di girasole. Il risultato è stato, si può dire, identico perchè tanto nelle pian- tine eziolate che in quelle normali, io ho potuto constatare la pre- senza di inosite in tutto il periodo germinativo. La reazione è mancata soltanto nell’ultima raccolta, quando le piantine erano pros- sime a morire nel lotto delle eziolate (28 giorni dopo l’inizio della esperienza) e già davano segno evidente di deperimento nel lotto di quelle verdi: anche qui le riserve erano completamente esaurite e le piantine ben provviste di foglioline normali avrebbero potuto in- cominciare a vivere di vita propria, qualora avessero avuto a dispo- sizione la necessaria nutrizione minerale. Il trattamento con acido solforico del materiale già esaurito con acqua ha dato, nel caso delle piante eziolate, reazione ancora positiva di inosite, quantunque appena percettibile : nel caso delle piantine verdi la reazione è ancora molto intensa, sia se praticata direttamente sul liquido dell’ultima fase del procedimento di estrazione, oppure su porzione molto esigua del precipitato ottenuto mediante l’aggiunta di alcool e etere. Sarebbe stato desiderabile rendere le mie esperienze più complete ‘con opportune determinazioni quantitative, ma a questo sì oppon- gono difficoltà non facilmente superabili. Intanto la natura dei precipitati che si ottengono di defecazione degli estratti acquosi è tale, che non permette una separazione e un lavaggio accurato e rigoroso come sarebbe necessario: e questo spe- | cialmente se sì considera che dovendo lavorare in genere con quantità non troppo piccola di materiale, i precipitati che sì ottengono sono | piuttosto, voluminosi. Nelle mie esperienze ho procurato di ovviare ciò che permette di operarne i lavaggi più rapidamente e anche i ino modo più completo. Il precipitato che si ottiene coll’acetato basico di piombo non è completamente insolubile nell'acqua, e questa tendenza a sciogliersi in piccole porzioni è probabilmente accentuata e influenzata dalla presenza di sostanze estranee all’inosite, e dalla loro proporzione. L’i- nosite non forma composti a composizione ben definita e stabile, e di natura tale che si prestino ad una separazione quantitativa dalle sostanze estranee minerali e organiche che accompagnano l’inosite stessa, ancora nelle ultime fasi del processo di estrazione; nè la se- parazione diretta dell’inosite per precipitazione con alcool e etere e cristallizzazione dall’acido acetico può dare garanzie sufficienti, anche in una serie di esperienze comparative, quando dopo un pro- cedimento così laborioso come quello descritto si arriva ad avere la inosite ancora accompagnata da tanti materiali estranei. Per queste ed altre considerazioni, io ho creduto di dovermi limi- tare in questo primo ciclo di esperienze a giudicare nelle singole prove della maggiore o minore quantità di inosite presente, dalla maggiore o minore intensità delle reazioni qualitative praticate, per quanto era possibile, in condizioni uguali: io spero di poter ritor- nare sull’ argomento seguendo criterii e procedimenti diversi, i quali mi permettano di seguire un po’ più da vicino la storia bio- chimica dell’ inosite nelle piante e non nel periodo germinativo soltanto. Per ora la conclusione che si può trarre dalle mie esperienze è che nei semi esaminati di girasole e di cicerchia i quali allo stato di riposo non contengono inosite, questa compare, e in proporzioni da essere facilmente svelabile, coll’inizio della germinazione, che questa sì compia alla luce o all'oscuro: è soltanto nell’ultimo pe- riodo germinativo, quando sono esaurite tutte le riserve, che anche l’inosite scompare. L'inosite va annoverata pertanto fra i prodotti dello scambio ma- teriale nella vita germinativa delle piante ed è probabile che, in questo caso, debba ripetere la sua origine da quel materiale di riserva fosfoorganico che Posternak dimostrò doversi considerare come acido anidro ossimetilene difosforico. La scissione di questo composto procedendo, nei semi germinanti, nello stesso senso che avviene in vitro per azione degli acidi, viene messo a disposizione dell’embrione in via di sviluppo oltre all’ino- site, sostanza idrocarbonata, l'acido fosforico necessario alla forma- n sE ca eciti OE sine ecc. ba Rigi ultimi stadii del SERE ato, quando le riserve | sono completamente esaurite. La NS le È; BIBLIOGRAFIA. i. (1) Maquenne — Compt rend. Tom. 104 (1887) p. 225, 297, 1719. ; (2) Per la bibliografia dell’inosite v. fra gli altri HUsEMANN HILGER — Die + Pflanzen stoffe. si (3) PALLADIN W. — Zeitsch. f. Biologie 1894, p. 199. È (4) E. ScauLzE u. E. WixsTERSTEIN. — Zeitsch f. Phy.Chem. 22 (1896-97), di pag. 90. Si (5) E. WINTERSTEIN. — B. Deut. chem. Gesell. 30 (1897), 2, p. 2299. - (6) S. PostERNAK. — Compt. rend, Tom. 137 (1903), p. 202, 337, 459. + ), bh x Re, 4 0 SS O) DU VIGO SPAN 2 (SÌ O "0 © = N” fi 5, i - ae (è ) — pe / fi TT = = S (>, |=— PN e ) (& eee S La 3 Soa È pa -# Ln a ZA pre ” Vel idee) dle O) | Q 00 00 0) IA Di alcune Graminacee della Somalia del Dottor EMILIO CHIOVENDA Nel riordinare i materiali dell’ Erbario Coloniale istituito presso . questo R. Istituto Botanico si sono trovate parecchie Graminacee della collezione fatta dal Dr. D. Riva nella spedizione del Principe Eugenio Ruspoli, delle quali io non avevo fatto cenno nel mio la- voro di qualche anno fa (1). Ne tratto ora perchè ritengo alcune di queste specie affatto nuove e altre interessanti per la migliore conoscenza della delimitazione dell’area di loro distribuzione. Aggiungo cinque specie pure del paese dei Somali, ma raccolte dai chiari viaggiatori Baudi e Candeo, perchè quantunque già pub- blicate, debbono essere rettificate nella loro determinazione. Roma, 24 Giugno 1906. ANDROoPOGON Linn. 1. Andropogon Sorghum Brot. subsp. sativus var. £ £ abyssinicus Hackl. Androp. 518. Campi presso il Lago (Abbaca) Ruspoli 11. XI. 1893(Riva n. 1741 [1667]). 2. Andropogon Aucheri Boiss. var. quinqueplumis Hackl.: Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. V. 60. May Denn tra Mil Mil ed Imi (Ogaden) in luoghi aridi e de- serti 16. I. 1893 (Riva. n. 858 [350]). 3. Andropogon annulatus Forsk. = A. îschaemum var. radicans Chiov. (non Hackl.) in Ann. R. Istit. bot. Rom. V. 60. Luoghi arenosi e sabbiosi e presso i coltivati di dura sulle sponde del Ganana a Marro Mogala Umberto I 14-20. III. 1893 (Riva n. :1) CHIOVENDA E.: in Annuario del R. Istituto Botanico di Roma, vol. VII (1898) 58-78, tav. III-VII. . del fiume Jagan (Omo) 20. XI. 1898 (Riva n. 1739 [1670 ian -W 4. Andropogon glabriusculus Hochst.: A. Rich. Tent. Abyss. LL 468; Hackl. Androp. 616; Steud. Syn. Gram. I 387. n. 293. Giaribulè in luoghi erbosi 20. IX. 1893 (Riva n. 1719 [1387]). 5. Andropogon Schimperi Hochst. Da Biddume ad Alghe in luoghi erbosi e boschivi 15. IX. 19008 (Riva n. 1442 [1303] ). (i. Andropogon lepidus Nees. Lungo il Uaremmi Vallata di Coromma a Duaya. 7. X. 1893 (Riva n. 727 [1561]). LaTIPES Kunth. 7. Latipes senegalensis Kunth. = Tragus racemosus A. Terrace. (non Hall.f.) in Bull. Soc. bot. It. (1892) 426. n. 40. Gerar-Amaden IV. (1891 Baudi e Candeo). Osservazioni. — Questo esemplare differisce lievemente pei pe- dicelli dei fascetti di spighette più brevi e relativamente più lar- ghi e per le lamine più brevi fortemente convolute. PANICUM Linn. p. p. S. Panicum Crus galli Linn. var. polystachyum Munro f. mutica Chiov. l. c. 63. Torrente Danna tra Mil Mil e Inù (Ogaden) 17. I. 1893 | Riva n. 863 (363)). 9. Panicum colonum Linn. Sulla riva sinistra del Ganana a Marro Umberto I. Aprile 1893 [Riva n. 804 (688)]; Sulle sponde del Ganana a Marro Umberto I. 13-20. III. 1893 [Riva n. 819 (639)]. 10). Panicum ozogonum Steud. Sym. Glum. I. 68. n. 423. Nell’alveo del torrente Danna (Ogaden) tra Mil Mil e Web. Karenle, 16. 1. 1893 [Riva n. 925 (359)]. Osservazioni. — Specie assai prossima al /. Schimperianum Hochst. colla quale ha di comune la caratteristica dei culmi ra- . mificati duri e suffruticosi e le lamine densamente velutine. 11. Panicum hygrocharis Steud. Lago di Ermoi 22. VII. 1893 [Riva n. 1666 (029)]: stagni di Berry 15. VII. 1898 fire n. 1638 (894)]. "Stile rive del Ganana a Hifinro Umberto I. 1. IV. 1893 [Riva n. 811 (193)]. 13. Panicum maximum Jacg.; Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. VII. 64. Adama-Cioma 28 VII. 1893 [Riva n. 1652 (929)]. 14.. Panicum Hochstetteri Steud. var. gracilis. Culmi breviores, debilissimi, valde decumbentes ; laminae ovato-lan- ceolatae, flaccidae, apice vix acutae, marginibus 4 crispulis subtus hirtae. Spiculae virides, glumis acutissimis, paulo longioribus densius hirtis pilis basi granulosis. Villaggio di Burgi (Hamara) nei luoghi aridi e franosi 11. XI. 1893 [Riva n. 1519 (1641)]. Osservazioni. — Differisce notevolmente ad un esame superficiale di paragone colla specie tipica per le glume tutte più acute, e per le lamine in proporzione più brevi e larghe ed un aspetto più de- bole di tutta la pianta. Però i rapporti di lunghezza tra le glume, la struttura e forma del fioretto e specialmente gli orli bianco-membranosi delle glume, presso l’apice, mi hanno consigliato a non separarla. Per il carattere delle glume più acute questa varietà avvicina .il P. Hochstetteri Steud. al P. lepidum Hochst. specie pur anco inedita e caratterizzata per avere la gluma I assai breve e le altre all’a- pice attenuate cuspidate, meno quella del fioretto $ che è piuttosto ottuso (1). (1) Ritengo necessario qui descrivere questa nuova specie: Panicum lepidum Hochst. ap. W. Schimper P/. Abyss. ed II Hohenack. (1852) n. 2020. Annuum; culmi tenues et debiles, decumbentes, replicato-ramosi, undique pi- losi sed praecipue în mnodis et ad apicem sub inflorescentiam. Vaginae laxrae, internodiis breviores, undique pilis patulis basi minute granulosis pilosae, ore praecipue in loco ligulae densius pilosae; laminae lanceolatae, basi rotundatae vel subcordatae, apice acutissimae, faccidissimae, nervo mediano crassiusculo albido, nervi religui parum sensibiles. Panicula ovato-lanceolata ; rhachis sub- trigona, aliquantum fleruosa, undique et etiam pedicelli pilis albis tenuibus, patentibus, basi minute granulosis sparsa. Spiculae parvae 1,5 mm. longae, pedicellis multo longioribus, Gluma TI. bre- vissima vix '/, spiculae longa suborbicularis, membranacea, basim spiculae annulatim fere cingens; II. ovata, valde concava, apice caudato-attenuata, acutissima 7-nervia, nervis crassis, dorso undique pilis patulis praedita; III 0- vata, apice acuta, quam II brevior, sed reliquo idem, palea florem & fovens anguste elliptica, membranacea, gluma sua brevior ; flos $ ovatus apice obtusiu- Perennis. Culmi erecti Mongati basi simplices, apice ‘den fasci % culato-ramosi : nodi creberrimi in vaginis obsoleti, glabri. Internodii breves 0, 5-4 cm. longi, cylindrici, laevissimi, 2-3 mm. crassi. Vaginae strictissimae glaberrimae superne minute striatae: ad os auriculis parvis «{|{ {|< rotundatis vix conspicuis: ligula brevissima, densissime ciliolata : la- 3 minae, sessiles lineares angustissimae, patulae numerosissimae, arcte ( convolutae, glaberrimae, laeves longitudinaliter tenuiter striatae, apice obtusiusculae, basi obtusae, non amplerantes. Rami et ramuli nume- rosissimi, graciles, dense fasciculati et ob folias intricatas et fere contertas fasciculos obconicos densissimos praecipue in erxemplaribus vetustis in quibus saepe plures sunt în eodem caule, seriatim posttos. Inflorescentiae parvae ad apices ramulorum, foliis breviores vel vix superantes et in fasciculis ramulorum parum evidentes : rhachis, ra- muli et pedicelli filiformes angulato-sulcati, laeves eximie fleruosi ; spiculae pedicellos aequantes vel vix longiores, glaberrimae, ellipticae obtusae, 2-5 mm. longae 1-5 mm. latae, flavescentes. Gluma I dimi- diam spiculam aequans subrotunda, ample basim spicularum invol- vens, apice vir acuta, nervo mediano crassiusculo evidentissimo et 4 lateralibus subevanidis; gluma II 2,5 mm. longa, ampla, apice ob- 7 tusa, erquisite b-nervia; gluma III forma et mensuribus ut II pa- Ir, leam fovens sed cum nullo rudimento flosculi. Gluma IV cartilagi- nea, flava, nitidissima, ovato-lanceolata basi obtusa, apice obtusiuscula paleam fovens cum flore $. Kiunga nella costa del mare Indiano tra Brava e Zanzibar 28. III. 1894 (Riva, n. 1909-1869). MELINIS P. B. (sensu reform.). 16. Melinis ruficoma (Hochst.). = Tricholuena ruficoma Dur. et Schinz: Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. VII. 67. sculus, quam gluma III parum brevior, albidus, undique nitidissimus et laevis- simus. Abyssinia: Djeladjeranne (Schimper). Nell'’Erbario Cesatiano presso l’Istituto botanico di Roma due sono gli esem- plari preparati dallo Schimper: uno ha il cartellino impresso a litografia ec- cettuato il numero e il nome di calligrafia di Hohenacker, colla scritta: « W. Schimper PI. Abyss. Ed. II Hohenack. 1852, 2020. Panicum lepidum Hochst ». “ud Prope Dscheladscheranne. L'altro esemplare porta due cartellini uno colla scritta eguale alla suddetta e di pugno di Hochstetter: in lapis: 82/7, e in inchiostro: Panicum lepidum Hochst. In prioribus collectionibus non editum. Prope Djeladjeranne. BOE (Homara Togo Inoghi a 9. XI. 1893 (i nu- pr mero 74T- 1621). SETARIA P. B. 17. Setaria verticillata (Linn.) P. B. subsp. aparine (Steud.) Asch. u. Schwf.: Chiov. ap. Pirotta 7. Col. Eritr. 36. Letto del torrente Danna tra Mil Mil e Inù (Ogaden) 17. I. 1893 (Riva. n. 868-378); Burgi (Hamara) nei coltivati di Dura 11. XI. 1523-1653). PENNISETUM C. L. Rich. 18. Pennisetum orientale A. Rich. var. altissimum (Hochst.) Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. VII. 66. Letto del Danna tra Mil Mil e Inù (Ogaden). 17. I. 1893 (Riva, n. 864-372). 19. Pennisetum ciliare Lk. Letto del torrente Danna tra Mil Mil e Inù (Ogaden) 17. I. 1893 (Riva n. 869-377); pianura di Savati lungo il Sugan (Omi) 25. XI. 1893 (Riva n. 1734-1685). CENCHRUS L. 20. Cenchrus hiflorus Roxb. = C. montanus Nees: Chiov. ap. Pirot. Fl. Col. Eritr. 45. Presso le rive del Ueb Karenle in luoghi erbosi 26. I. 1893 (Riva n. 977-480). SporoBoLUSs R. Br. 21. Sporobolus somalensis Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. VI. 169. tab. XII. = S. spectes A. Terracc. in Bull. Soc. bot. Ital. (1892) 426 pro parte. Gerar-Amaden aprile 1891 (Baudi e Candeo). Osservazioni. — Aggiungo queste osservazioni a quelle conte- nute nella descrizione da me data, le quali possono servire a far meglio conoscere questa specie: le guaine infime sono assai brevi e prive di lamina, e quasi embriciate, le lamine fogliari sono munite in tutta la pagina superiore, sugli orli nella pagina inferiore presso l'inserzione alla guaina di lunghi peli setosi bulbosi; sono percorse da fitte nervature per cui sembrano minutamente striate, i margini sono strettamente cartilaginei, le glume sterili sono ialine disuguali di lunghezza, la I lunga */ della spighetta, la II ‘/,, la II- ovata è ottusa all’apice e sul dorso ha una larga macchia violacea, mentre gli orli sono ialini. aphyllis, brevissimis, albidis, subimbricatis tecti ; crebre nodosi et iterate ramosi. Vaginae breves dimidium internodiorum vix aequantes, stri- ctissimae, dorso laeviter carinatae, minutissime striolatae, glaberrimae praeter ad faucem ubi loco ligulae pilosulae : laminae breves lanceo- latae, planae, basi rotundato-semiamplexantes, apice acuminatissimae gqlaberrimae laeves, longitudinaliter striolatae, 3-10 em. longae, 2-4 mm. latae. Paniculae parvae (3-7 em. longae, 1-2 cm. latae) lanceolatae, a vagina suprema parum exrsertae, ramis solitariis erecto-patulis et sepissime sursum incurvis a basi in ramulos solitarios tantum in la- tere erteriori, ramuli densissime sed tantum în latere exteriori spi- culiferis; ramo infimo */'/3 paniculae longo. Pedicelli brevissimi stricte ramulis adpressis vix 0,2 mm. longi, scaberuli. Spiculae mi- nutae 1 mm. longae, 0,8 mm. latae, lineares acutissimae, pallidae, undique scabrulae. Glumae steriles uninerviae ovatae, subaequilongae, apice late acutae, membranaceae dimidiam spiculam subaequantes; qgluma III ovato-lanceolata , obtusiuscula, minute trinervia : palea glumam III aequans; caryopsis minutissima linearis. Luoghi sabbiosi lungo il Danna verso il Ueb Karenle 19 gen- naio 1893 (Riva. n. 1057-3883). Usservazioni. — Specie per la piccolezza delle spighette e per lo stato avanzato di maturazione difficile a studiarsi e per quante osser- vazioni su esse ho fatto, non mi è stato dato trovare traccia di rudi- mento della rachilla. L'infiorescenza a primo aspetto per i suoi rami densi di spighette tutte portate esternamente e sempre + arcuati verso l’alto, ha un aspetto che rammenta assai quello della 0g0- narthria falcata Rendl. solo che è pianta in ogni sua parte assai più piccola. 25. Sporobolus indicus (Linn.) RBr. = Sporobolus species A. Terrace. in Bull. Soc. bot. Ital. (1892) 426 pro parte. Gerar-Amaden aprile 1891 (Baudi e Candeo). 24. Sporobolus agrostoides Chiov. in Ann. R. Ist. bot. Rom. VII. 67. tab. V. Malcarì sul Ganana luoghi erbosi 25. I. 1894 (Riva n. 1779-1777); Marro Magale Umberto I, sulle spiaggie sabbiose del Ganana 8. IV. 1893 (Riva n. 791-668). 25. Sporobolus glaucifolis Hochst. Ueb Karenle luoghi erbosi 26. I 1893 (Riva n. 1008-464). Perito: caespitosus: culmi erecti vel adscendentes, DARLE duri, vas ii lide virentes, cylindrici, undique laevissimi et glaberrimi, basi vaginis ‘ à LIRE, e LEPORE PRI ene e ail nati LA ta Annuus, dense Cabapitosus. lerici fibris osa, glabris, tenuibis, albidis. Culmi simplices geniculato adscendentes, 4-8 nodi, internodii cylindrici glabri vaginis breviores vel via longiores. Vaginae laxae sulcato-striatae undique pilis tenuibus longis albis sparsis, simplicibus vel secus nervos crassiores basi tuberculatis: ligulae brevissimae mem- branaceae, margine minute ciliolato. Laminae lineares basi rotundatae, in sicco longissime acuminatae et convolutae undique pilis longis albis sparsae basi minute bulbiferis. Inflorescentia spiciformis, linearis 4-12 cm. longa, 7-12 mm. lata, pallidissima et nitens. Rami brevis- simi fasciculati et stricte adpressi a basi spiculiferis, flexuosi, sca- brulis. Pedicelli spiculis aequilongis vel brevioribus, fleruosi scabruli. Spiculae, lanceolatae, membranaceae pallide flavescentes glaberrimae, nitidae, Gluma I */, spiculae longa ovata, lata acuta, II ut III longa ovato-lanceolata acuta: palea glumae ITI aequilonga, apice rotundata. Stamina 3 antheris 0,3 mm. longis, Caryopsis ellyptica, cum pericarpio glutinoso evidentissimo. Gobo Duaya nella vallata di Coromma in luoghi freschi ed er- bosi lungo il Naremma. 7. X. 1893 (Riva n. 7831-1517). ARISTIDA L. 27. Aristida Adscensionis Linn.: Chiov. ap. Pirot. F. Col. Eritr. 46. Ueb Ruspoli verso Calalao in luoghi erbosi 26. II. 1893 (Riva n. 998-570); monti di Coromma 7. XI. 1893 (Riva n. 1533-1615). 23. Aristida Sieberiana Trin. ap. Spreng. Newe Entdeck. II 61; Trin. et Rupr. Stip. 160; Steud. Syn. Gram. 143 n. 118; Stapf. ap. This. Dyer 7. Cap. VII. 560. Irme sul Daua 7. VI. 1893 (Riva n. 1623-8831). 29. Aristida hirtigluma Steud. Ueb Karenle 24. I. 1893 (Riva n. 1033-4583). CrvyPsis Ait. 50. Crypsis vaginiflora Opiz. Nelle arene della sinistra riva del Ganana a Marro Umberto I. Marzo-aprile 1893. (Riva n. 802-689). AVENA L. 31. Avena abyssinica Hochst. var. granulata Chiov. ap. Pirotta #7. Colon. Eritr. ined. Coromma (Hamara Burgi) nei coltivati a Dura 3. XI. 1893 (Riva n. 1548-1595). ANNALI DI BoTANICA — Voc. V. Ol ic xopox C. L. Rich. Rich ME “i ca pr "+ AGE »; i 52. Cynodon Siate Steud. xe di: Letto del torrente Danna tra Mil Mil e Inù (Osibt) 1; I 1898 — d- (Riva n. 866-374). CHLORIS Sw. 35. Chloris multiradiata Hochst. Sulla sinistra riva del Ganana a Marro Umberto I. IV. 1893 (Riva n. 803-601), nei coltivati di dura sulle sponde del Ganana a Marro Umberto I. 14-20. III 1893 (Riva n. 755-638). 34. Chloris myriostachys Hochst: Chiov. in Ann. R. Ist. Bot. Rom. VII (1898) 74. Salulè 30, XII. 1893, (Riva n. 1699-1766). 35. Chloris Gayana Kunth. Pianura di Savati sulla sponda del Sagan (Omo) 25. XI. 1898 (Riva n. 1761-1684). DacrTyLocTENIOUM Willd. Dactyloctenium seminipunctatum Courb. Letto del torrente Danna tra Mil Mil e Inù (Ogaden). 17. I. 1893 (Riva n. 877-381). ELEUSINE Gaertn. 36. Eleusine multiflora Hochst. Villaggio degli Hamara Burgi in suolo arido e franoso 11. XI. 1893 (Riva n. 1489-1658). TrIPOGON Roth. ì 37. Tripogon subtilissimum Chiov. = Andropogon circinatus A. Terrace. (non Hochst.' in Bull. Soc. bot. Ital. (1892) 426, n. 42. i Perennis, densissime caespitosa. Vaginae inferiores integrae, mem- Di branaceae, striatae, qriseae; laminae subtilissimae filiformes, flexuosae, arcte convblutae, subcylindricae, angulis obtusissimis, culmos aequantes vel parum breviores, glaberrimae, apice ertremo acutissimo; ligulae longe albo ciliatae. ulmi filiformi a basi erecti 3-5 nodi, nodi ad basim adpressis, cum spica 10-20 em. longi. Spica 8-10 em. longa tenuissima vix 1 mm. lata, lariuscula rhachis trigona, amgulis acutissimis et anguste alatis, cum alis basim spicu- larum occultantibus, glabra, sed angulis scabra. ; Spiculae minimae cum aristis 4 mm. vin metientes, triflorae cum | flore superiori tabescente. (lumae steriles uninervae inaequales I ovato- Mao. glumas tiles (praeter aristas) par um superans, nervo mediano SCEDRA Glumae fertiles ovato-lineares 2 mm. longae, trinerviae, nervis apice in aristas tres eximias excurrentes, quarum mediana glumas aequat laterales parum breviores, valde denticulato-scabrae, inter aristas laci- nulae desunt. Somalia: Gerar-Amaden. Aprile 1891 (Baudi e Candeo). Osservazioni. — Dalle altre specie africane finora pubblicate è distintissima questa per la lunghezza delle areste apicali, per il quale carattere si avvicina ad alcune specie delle Indie Orientali e specialmente ai 7. capillatus Jaub. et Spach e 7. filiformis Nees. PAPPOPHORUM Schreb. 38. Fappophorum molle Kunth. = P. brachystachyum var pilosum A. Terrace. in Bull. Soc. bot. Ital. (1892) p. 426. n. 41. Gerar-Amaden. Aprile 1892 (Baudi e Candeo). PHRAGMITES Trin. 39. Phragmites communis (L.) Trinius var. isiacus (Delile) Cosson; C©hiov. in Ann. R. Ist. Bot. Rom. VII (1898) 77 Sponda dell’ Uebel Karenle 26. I. 1893 (Riva n. 982-462); Ela Meda lungo il Ueb Ruspoli 24. I. 1893 (Riva n. 1840-562). HALOPYRUM Stapf. 40. Halopyrum mucronatum (Linn.) Stapf ap. Hook. Icones PI. XXV. (1896) Tab. 2448. = Uniola mucronata L. Sp. PI. ed. II (1762) 104. = Eragrostis mucronata Roem. et Schult. Syst. II. 577; Schweinf. Samml. (1896). 43 = Desmazeria unioloides Deflers Voy. Vem. 220. = Triticum repens Twait. En. Zeyl. 376. = Brizopyrum mucronatum Nees ap. Wall. Cat. herb. Ind. n. 3893. Kiunga sulla costa dell’ Oceano Indiano 28. III. 1894 (Riva n. 1906-1866). ERAGROSTIS Host. 41. Eragrostis namaquensis Nees. Sulle rive sabbiose e melmose del Ganana a Marro Magala Um- berto I. IV. 1893 (Riva n. 807-687); Ueb Ruspoli a Caiammo luoghi erbosi 27. II. 1893 (Riva n, 1018-585). la fe Vl n 1 è mp? 42. Era gros tisi u tifl al Fo. sk. A schers. x. ( enuina Chiov TREE i d UNION 2a inedita. ] ae: ti: e. Umballo I. III-IV. 1893 (Riva n. 690); salda PA sa bra del Ganana a Marro Umberto I. nei coltivati di Dura 14. II. 1893 (Riva n. 756-645). è glandulifera Chiov. Inedita ap. Pirotta 7? Colon. Eritrea. Fasc. III. Letto del torrente Danna tra Mil Mil e Imì (Ogaden) 17. I. 1893 (Riva n. 865-373). 45. Eragrostis ciliaris Link. Ì Ueb Ruspoli a Cajammo luoghi erbosi 27. II. 1893 (Riva n. 994-583). 44. Eragrostis aethiopica Chiov. Sulla riva sinistra del Ganana a Marro Umberto I. IV. 1893 (Riva n. 806-687 bis). 1 glucosidi cianogenetici delle piante e la utilizzazione dell'azoto delle riserve Ricerche del dott. MARCO SOAVE Le comunicazioni di Guignard alla Société Nationale d’Agricul- ture de France prima (seduta 14 febbraio 1906) e all’Académie des Sciences poi (1) (seduta 5 marzo), le pubblicazioni dei profes- sori Schribaux e Mallèvre dell’Istituto nazionale agronomico (2) hanno richiamata in tempo, pare, l’attenzione del pubblico sopra la com- parsa nel mercato europeo, e specialmente su quello francese, di una quantità considerevole di semi di Phaseolus lunatus L. e sui gravi pericoli ai quali si sarebbe andati incontro adibendo tali semi alla alimentazione. I semi erano offerti ad un prezzo relativamente molto basso, sotto il nome di piselli o fagioli di Giava e come tali o con altro nome erano giunti già a Rotterdam dalle Indie nel marzo del 1905 ed avevano dato luogo ad avvelenamentigravi, seguitianche da morte di uomini e animali. Il principio tossico che si origina dai semi del Phaseolus lunatus era noto essere dell’acido cianidrico; però questa circostanza ha dato luogo non soltanto a nuove ricerche le quali sono dei pregevoli complementi agli studi chimici del Phaseolus lunatus stesso (3), ma ciò che non è privo nemmeno di importanza pratica, sono state fatte e compariranno probabilmente ancora delle accurate e istrut- tive rassegne intorno a tutti i prodotti vegetali i quali contengono acido cianidrico libero, o quasi libero, o sotto forma più stabile glucosidica o di altra natura. Si è così messo in luce che queste principio è nel regno vege- tale molto più diffuso di quanto ancora pochi anni sono non sì s0- spettasse, e che possiamo riscontrarlo nelle stesse piante che più fa- cilmente e più soventi sono coltivate a scopo di mangime per il bestiame. O ala IRE TT (0) PESI AR gii ce ici dle 4 Per-chi si occupa della chimica delle piante il >} ‘aseo us luna tus era noto oltre che per le ricerche di Dunstan e Henry che ne estrassero la faseolunatina, specialmente per quelle publicate lo scorso anno da Treub, il quale, sperimentando con questa pianta, ha potuto portare prove sicure a sostegno della ipotesi che era la conseguenza dell’altro magistrale lavoro sul Pangium edule; e cioè che l’acido cianidrico rappresenta in queste piante il primo prodotto riconosci- bile della assimilazione dell’azoto. In questo lavoro Treub mi fa l'onore di ricordare le mie ricer- che sulle mandorle amare e dolci: nelle quali ricerche io avevo di- mostrato che l’acido cianidrico rappresenta una delle forme di tra- sformazione e di migrazione dell’azoto delle riserve delle mandorle amare e non soltanto per la parte corrispondente alla amigdalina preesistente; e che anche nelle mandorle dolci, prive di amigdalina, questa compare e con essa l’acido cianidrico appena si inizia la germinazione. 5 Una conferma di questo fatto ho ora ottenuta dai semi del Me- spilus japonica Thbg. i quali contengono, secondo antiche ricerche di Ballard, amigdalina (5). vi Ricerca dell'acido cianidrico libero. — I semi impiegati in questa ricerca e nelle esperienze successive, provenivano da frutti comperati sul mercato di Torino e scelti, per quanto era possibile, fra quelli a maturazione completa. Alcuni semi (gr. 10 circa) grossolanamente e rapidamente tagliuz- zati li getto nel palloncino di un apparecchio distillatore che metto immediatamente in comunicazione per mezzo di un tubo di gomma, con un altro pallone generatore di vapor d’acqua e già in funzione: il refrigerante dell'apparecchio pesca in una boccia contenente alcuni centim. cubici di soda caustica al 5 per cento. Esaminando il distil- lato raccolto dopo 10 minuti da che continuava l'operazione, trovo che essa non intorbida menomamente con nitrato d’argento, previa acidificazione con acido nitrico, e non dà traccia di reazione col trat- tamento per il bleu di Prussia. Soltanto si sente un odore che lonta- namente rammenta quello dell'essenza di mandorle amare. Mettendo una porzione del distillato in un tubo da saggio, acidificando con acido solforico e chiudendo rapidamente il tubo con un tappo che tiene so- spesa una cartina picro-sodata, si osserva che questa, dopo mezz'ora dà cenno di colorarsi leggermente in rosso : la reazione è più evidente dopo un’ora e non dà indizio di essere cresciuta di intensità dopo 24 ore. Ripeto l’esperimento con una quantità più grande di sostanza (gr. 20) e operando rapidamentee con tutte le precauzioni, per non vd ho ÒE, td DAL st I mesto ic il UIttO è identico a quello ottenuto eta Non intorbidamento del distillato con nitrato d’argento, previa acidifica- zione con ‘acido nitrico, non traccia di reazione operando per il bleu di Prussia: anche qui la cartina picrosodata svela la presenza di traccie di acido cianidrico. Esistono dunquenei semi da me esaminati delle traccie di acido cia- nidrico libero o sotto forma labile, traccieindosabilie svelabilisoltanto con un reattivo oltremodo sensibile come è la cartina picro sodata (1). Azoto totale. — Ho determinato l’azoto totale col procedimento Kjeldahl. Poteva nascere il dubbio che il trattamento con acido solforico per la distruzione della sostanza organica desse luogo a sviluppo di acido cianidrico a spese dell’amigdalina, con perdita nel tenore in azoto. Si ha infatti sviluppo di acido cianigrico,riconoscibile colla cartina picrosodata, se si aggiunge l’acido solforico alla sostanza che sia stata più o meno bagnata o addizionata d’acqua. Se si fa agire invece l’acido solforico, in quantità non troppo piccola, sulla sostanza tal quale e se si aspetta ad iniziare il riscaldamento dopo 12 ore, non si ha sviluppo di acido cianidrico o per lo meno, se si mettono in libertà traccie di acido cianidrico queste non debbono avere influenza sensibile sui dosaggi. È ciò che ho verificato con dell’amigdalina pura: gr. 0,4732 di sostanza secca a 105-110° sono distrutti con gr. 15 di acido solfo- rico a cui aggiungo, come uso di abitudine, 1 gr. circa di solfato di rame e gr. 10 di solfato potassico: ottengo di azoto gr. 0,0113. Per gr. 0,4372 di C,, H,, N O, si calcola azoto 0,0130. Le determinazioni fatte su tre porzioni dello stesso campione di semi hanno dato cifre per le quali si calcola 1) 0,523 53) 0,492 ) in media 0,508 di azoto per cento di sostanza fresca: 5) 0,509 la Libia contiene, come è risultato dalla media di tre determina- zioni 51,48 per cento di acqua. Si vede ad ogni modo che l’azoto è rappresentato nelle riserve del Mespilus in proporzioni relativa- mente molto esigue. (1) Si preparano le cartine picrosodate, secondo le indicazioni di Guignard, bagnando della carta da filtro in una soluzione acquosa di acido picrico all’ uno per cento:si fa asciugare e si bagna con un’ altra soluzione preparata con car- bonato sodico al dieci per cento. Si ottiene, facendo essiccare di nuovo, la carta colorata in un bel giallo d’oro pronta all’uso e che si conserva perfettamente. a Ù g Ja Fa ‘ atti’ ‘SR4T9 - : pr dell'a 0 vmigo la ina. — Per stabilire o le né fra l’azoto totale e quello della amigdalina, prelevo ro ‘Toni di sostanza dallo stesso campione che aveva servito alla determina- — zione dell’azoto totale e le pongo in altrettanti palloni distinti. Tre dei palloni, chiusi accuratamente, li abbandono sul tavolo del laboratorio alla temperatura ambiente (mese di giugno) dopo di avere aggiunto in ognuna 100 c.c. di acqua. Nel quarto aggiungo c. e. 150 di acqua e c. c. 1,5 diacido sol- forico concentrato, collego il pallone stesso con un refrigerante a ricadere e scaldo, a bagno di cloruro di calcio, in modo da avere una ebullizione regolare del liquido per 2 ore: sì aveva avuto cura di col- legare la estremità libera del refrigerante con un lungo tubo ricurvo ilquale pescava in una boccetta contenente qualche centim. cubico, di soda caustica al 5 per cento. Questo per fissare quella parte diacido cianidrico che avesse potuto sfuggire durante l'operazione. Dopo raffreddamento che si fa avvenire in modo da evitare ogui perdita, si distilla il liquido del pallone, che ha assunto un bel co- lore rosso ciliegia, raccogliendo il distillato nella stessa soda caustica di prima. Nel distillato precipito con le dovute norme l’acido cia- nidrico con nitrato d’argento, pesando poi il precipitato di cianuro d’argento. Degli altri tre palloni l’uno è sottoposto a distillazione dopo 24 ore, l’altro dopo 40 ore e l’ultimo dopo 88 ore. La distillazione era fatta dapprima in corrente di vapor d’acqua e poi, opportunamente chiuso il tubo adduttore del vapore stesso, continuata per riscaldamento a bagno di cloruro di calcio, fino ad ottenere nel pallone un residuo quasi secco che in queste esperienze venne utilizzato a determinare l’azoto che dirò proteico e che, più che altro, doveva servirmi di controllo ai risultati delle determina- zioni precedenti. Anche in queste prove di scomposizione naturale della amigda- lina il dosamento dell’acido cianidrico è fatto precipitandolo dal di- stillato come cianuro d’argento e pesandolo come tale, Dai risultati ottenuti si calcola l’azoto dell’amigdalina per cento di sostanza fresca nelle seguenti cifre: prova a) (idrolisi con ac. solforico) . . . . . . + 0,036 » ) (scomposizione spontanea, distillazione dopo Da OMe)i nati . a sl RT) n n TT prova e) » » » 3 +28 >» dj) » » » LORD è E È ù = a sido so foricO dilnito dà gli stessi ri che la scomposizione spon- tanea della amigdalina per opera dei fermenti esistenti nei semi che questa scomposizione è completa già dopo 24 ore e probabil- mente anche prima; e infine, ciò che era di importanza capitale di fissare, che nei semi'del Mi spilus azoto della amigdalina (0,035) ) rappresenta il 6,89 per cento dell’azoto totale (0,508). Ho detto più sopra che la determinazione dell’azoto proteico nel residuo dei palloni in cui si era fatta la scomposizione della amig- dalina e la distillazione dell’acido cianidrico risultante, avrebbe servito di controllo alle ‘altre determinazioni. Dai risultati avuti si calcola, sempre riferendosi a 100 di sostanza fresca: prova a) la determinazione va perduta a i. e Lo... 0468 di azoto REGIO ia 0460 » IONI PE IO TANO 1 0,465 » in media 0,464. Si vede dunque che addizionando a questo azoto proteico quello della amigdalina (0,464 + 0,035 —= 0,499) si ottiene una cifra che corrisponde assai bene con quella dell’azoto totale (0,508). Semi germinanti. — La germinazione dei semi di Mespilus av- viene con una lentezza grande ad onta che i germinatoi siano posti sulla terrazza del laboratorio in pieno mezzodi, e dove la tempera- tura raggiunge per molte ore della giornata Finiti molto alti. Nei semi che hanno servito alle determinazioni seguenti (24 mag- gio. - 16 luglio) si hanno fusticini turgidi di 3. 4. 5 centim. di altezza, ancora sprovvisti di foglioline e tuttora coperti dalla sabbia ‘ dei germinatoi. In alcuni pochi esemplari il fusticino ha già rag- giunto l’altezza di 8 a 10 centim. ed è munito di due foglioline verdi. Le radici, eccettuata la estremità, hanno già l'apparenza ligni- ficata e sono provviste di numerose radichette secondarie. In queste esperienze quello che occorreva stabilire era il rap- porto fra le diverse forme di azoto presente: il riferire i risultati al | per cento di sostanza fresca, mentre non avrebbe avuto che medio- cre interesse, avrebbe condotto invece incontro a perdite inevitabili durante le pesate della sostanza stessa. Questo si era potuto fare coi semi in quiescenza dove le perdite non erano temibili. Opero quindi nel modo seguente: scelto un certo numero di semi nelle migliori condizioni, li trituro rapidamente mediante apposito è = 2005 — ò I pa Ò n, PA vR. ' d So apparecchio. n modo da avere una ma sa omogel rapidame divido in due porzioni uguali e l’una pongo in SUE conte sul tavolo del laboratorio: l’altra porzione la getto nel pallone del- l'apparecchio distillatorio a vapor d’acqua e in funzione da qualche he minuto. Il distillato lo raccolgo ancha quì in boccia contenente soda 3 caustica e, come nelle esperienze di prima, la distillazione iniziata | con vapor d’acqua è ultimata per riscaldamento a bagno di cloruro di calcio, fino ad ottenere nel pallone distillatore quasi un residuo Secco. Dopo 24 ore sottopongo a distillazione la porzione di sostanza messa a macerare, operando analogamente. Doso nel distillato dell'una e dell’altra prova l’acido cianidrico, precipitandolo con nitrato di argento e pesando il cianuro e deter- ti mino, colle avvertenze già sopra accennate, l’azoto del residuo ri- masto nei palloni distillatori. i, Ecco i risultati: Prova a 1) Azoto dell’ac. cianidrico libero . 0,0017 (Ag. CN 0,0L7) 2). ‘» | del:iresiduo» 0/1. e ve 05) i Silio Liotale n a Ae 0,08T7 L'azoto dell’acido cianidrico libero rappresenta l’ 1,95 per cento dell’azoto totale. Prova d 1) Azoto dell'acido cianidrico libero 4 azoto dell’amigdalina . . . 0,0055 (Ag. CN 0,053) 2) » del residuo . . . ©. ..0,0546 3) »iertotàle . .°. 1: A RNREN0G0 L'azoto dell’acido cianidrico libero e quello della amigdalina rappresentano insieme presi il 1),15 per cento dell'azoto totale : quello della amigdalina sola è POR, uguale al 7,22 per cento dello stesso azoto totale. un centinaio di centim. cubici d’acqua che abbandono, ben chibaoti «ifr: di n + acido cianidrico libero; o per lo meno, SoRIAO con semi pro- venienti da frutti on stato di maturazione in cui sono consumati, esiste acido cianidrico in quantità minime, svelabili soltanto ai re- attivi più sensibili quale la cartina picrosodata: la amigdalina vi è contenuta in una proporzione che rappresenta il 6,89 per cento . dell’azoto totale. Colla germinazione dei semi compare acido cianidrico libero o sotto forma oltremodo labile: l’azoto di questo acido cianidrico rappre- | senta in un certo periodo di sviluppo l’ 1,93 per cento dell’azoto to- tale, mentre nello stesso momento quello della amigdalina, o di al- tra forma glucosidica, sale al 7,22 per cento. L’azoto dell’acido- cianidrico e quello della amigdalina coesistente arrivano per ciò al 9,15 per cento dell’azoto totale: bisogna per conseguenza ammettere che una parte almeno dell’azoto delle riserve di altra natura abbia assunto forma glucosidica. È ciò che io avevo già dimostrato per le mandorle amare e dolci ed è probabile che, sperimentando con semi che contengano glucosidi cianogenetici diversi dalla amigdalina, io otterrò risultati analoghi. La funzione biochimica di un principio così diffuso nel regno vegetale, come l’acido cianidrico il quale, per un certo numero di piante almeno, rappresenta la forma di entrata dell’azoto nel mondo organico e il punto di partenza della formazione delle so- stanze proteiche (Treub) appare ogni giorno più degno di studio : spero che le mie esperienze rappresentino un modesto contributo a questo studio. BIBLIOGRAFIA 8 ale PO . Le LI (1) LL GuignAaRD. — Le Haricot è acide cyanhydrique, Phaseolus lunatus j i L. Comp. rend. T. 142 p. b45. p di (2) E. ScrIBEAUX. — A propos des haricots empoisonneurs. Journ. Agr. Pr. * È Tom. II. 273. A. MALLEVRE. — Les empoisonnements du Detail, 1. c., p. 460. 9 bad 3) E. KonN-ABREST. — Etude chimique sur les graines dites « Pois de Java » Comp. rend. T. 142, p. 586. -- Sur les principes cyanogénétiques du Phaseolus lu- ( natus. Comp. rend. T. 148, p. 182. : | (4) M. TREUB. — Nouvelles recherches sur le rile de l'acide cyanhydrique d dans les plantes. Ann. d. Jard. Bet. de Buitenzorg, 2° serie, vol. 14, p. 86. Quì è citata la bibliografia dell’argomento. (5) BaLLarD. — J. d. Ph. et de Ch., 1876, pag. 210. Di alcune specie e varietà del genere Fumaria È «nuove per la Flora sarda bea per Eva MAMELI L’abbondanza e la varietà delle specie del G. Fumaria, crescenti spontanee in quest’Orto Botanico e nei dintorni di Cagliari, mi in- dussero ad un nuovo e largo esame di esse, sicura di portare un qual- che contributo a quanto gli autori che mi precedettero, scrissero su questo argomento. Il numero delle specie, varietà ed ibridi nuovi da me trovati per la Sardegna, data anche la ristrettezza della zona alla. quale, per ragioni diverse, ho dovuto limitare le mie ricerche, ha su- perato le mie previsioni. \ I diversi autori da me consultati citano per la Sardegna, e più 5 specialmente per la provincia di Cagliari, a cui io limitai le mie ri- 5 cerche, le specie e le varietà seguenti del genere Fumaria L. ha Sezione Sphaerocapnos. i de I. — Officinales. E F. officinalis L. DI ih. » var. minor Koch. i: F. » >» floribunda Koch. Vi F. densiflora D. C. FP. parviflora L. » var. rubriflora. » >» albiflora. ) » » glauca J ord. | » >» erecta. » > tenuisecta. Sr: F. Vaillantii Lois. 1) é Gi mila 3 i” cea ‘©; ii 8 sal , > OLI Ut) e rr È, CI * II. — Capreolatae. F. capreolata L. uc “e » var. flavescens. Ss » » speciosa Iord. i : » » atrosanguinea Broch et Neyr. a E * F. flabellata Gasp. * 1 F. muralis var. serotina. ì, À III. — Agrariae. F. Gussonei Boiss. F. benedicta Nic. F. agraria Lag. » var. Morisiana Genn. » » spectabilis Bisch. F. major Bad. F. Boraei Jord. Sezione Platycapnos Bernh. F. spicata Bernh. Tra queste, la sola Y. benedicta Nic. è citata per Sassari e din- torni, non per Cagliari. Ultre le specie ora citate, eccetto due, che non mi fu assoluta- mente possibile ritrovare, nè a Cagliari, nè nei dintorni: la 7. ca- preolata L. e la F. spicata Bernh, raccolsi abbondantissime in tutto l’agro cagliaritano le specie e varietà qui appresso citate, non ancora trovate in Sardegna. Le loro classificazioni, per le quali ebbi il gentile aiuto della dott. Dina Pisano, furono cortesemente rivedute e corrette dal pro- fessor Nicotra di Messina. Mi è qui grata l’occasione di ringraziarli entrambi. Sezione Sphaerocapnos D. ©. I. — Officinales. Specie. . F. Wirtgeni Koch. . F. Schleicheri Soy-Will. F. Anatolica Boiss. . F. Alberti Fouc. et Rouy. H die è F pr Pes, TO TA DID #3 [R PA ) 3 TACE î ca A) 3 II. — Capreolatae., III. — Agrariae, 6. F. rupestris Boiss. et R. 7. F. benedicta Nic. I. — Officinales. Varietà. . F. officinalis 8 tenuifolia Guss. . F. micrantha var. Parlatoreana Boiss. » forma dunicola Nic. » var. litoralis Dumont. . F. Vaillantii Lois. var. Gasparrini Bab. F. parviflora Lam. forma vegetalis. D Di wi IL — Agrariae. 21 F. agraria Lag. forma humilis. F. major Bad var. judaica Boiss. » » var. spectabilis Bischoff. sO :00 Non credo del tutto inutile dare qui la descrizione dettagliata e, per quanto mi sarà possibile, esatta, di queste specie e varietà, ° tenendo conto di alcuni caratteri, minuti ma costanti, fin qui tra- scurati dagli autori, quali la dentatura e l’apicolatura delle brattee, l’aspetto dei frutti sia nel fresco che nel secco, ecc. Seguirò nella descrizione delle specie e delle varietà l'ordine con cui esse sono enumerate nell’elenco precedente. Sezione Sphaerocapnos D. C. I. — Officinales.. Specie. 1. F. Wirtgeni Koch. — Syn.: F. officinalisvar. Wirtgeni Hssk; F. tenuiflora Fries; F. media Rehb; F. Vaillantit Guss.; sec. Nicotra. Fusto pentagonale. Foglie tri e quadripennato-sette, a segmenti bi . più grandi di quelli delle Officinalis, lanceolati, staccati. Picciuoli !/-/, della corolla in lunghezza, larghi quanto il pedicello, va stretti della corolla e inseriti un po’ più su della base. Frutti più arrotondati di quelli dell’Oflicinalis, meno depressi, quasi globulosi, ottusi, non persistenti, brevemente apiculati, rugulosi, e con due fossette all’a- pice, ben distinte nel secco. Abbondante nei dintorni di S. Benedetto, alla Scaffa, all’Orto Botanico. 2. F. Schleicheri Soy-Will — Syn.: FP. Vaillantii è latifolia Gand; F. Vaillantii p. Parl.; FP. Vaillantii subsp. Schleicheri Rouy et Fouc. F. Vaillantii var. Schleicherî Arc.; sec. Nicotra. Fusto pentagonale (10-30 dm.), a rami più lunghi di quelli della F. Vaillantit e più allontanati. Foglie tripennato-sette, ordinaria- mente poco glauche; a divisioni più larghe di quelle della Vazllantiz. Fiori piccoli (5-6 mm.), di un rosa vivo, che diventa poi violaceo, in grappoli di 2-4 cm., abbastanza forniti. Pedicelli fruttiferi allungati, deboli, 3 volte circa più lunghi delle brattee, che sono dentate all’a- pice, apiculate, più strette del pedicello. Sepali più larghi di quelli della Vaillantii, larghi quasi quanto il pedicello ma più stretti della corolla, largamente ovali-lanceolati, frangiati, inseriti ua po’ più su della base, e lunghi ‘/,-'/, della lunghezza della corolla. Frutto li- scio nel secco, sempre apiculato, con due fossette all'apice, appena visibili nel secco. i All’Orto Botanico, a « is Mirrionis », a S. Bartolomeo, a Monte Urpino. Alcumi hanno voluto identificare questa specie con la Wirtgeni Hausskn; ma ne differisce per molti caratteri. I sepali, ad es., sono ovali-lanceolati e ‘/,-'/, della corolla in lunghezza, nella ScAlezcheri; 7/5 oblungo-acuminati e uguali a '/,-'/, della corolla nella Wirtgeni. 3. F. anatolica Boiss. — Syn.: F. micrantha var. Kraliki Boiss. F. Kraliki Tord. Fusto pentagonale, spesso ricurvo, quasi cirroso, ramoso, più o meno diffuso. Foglie due, trepennato-sette, a segmenti quasi lineari, non canaliculati, diraricati. Pedicelli fiorali brevissimi, esili. Pedi- celli fruttiferi un po’ ingrossati all'apice, reflessi, con brattee un po’ più lunghe di essi, quasi integre, acuminate. Sepali frangiati alla base, molto più larghi della corolla, ovali-acuminati, inseriti un poco più su della base, ed uguali a '/, della lunghezza della corolla. fta- n | s° È: . a picuto Spesso ricCurto. Fiori piccoli (5 mm.), di un bel rosa, in grappoli n un po’ densi. Sepali frangiati alla base, oblungo-acuminati, uguali a _cemi lassi, multiflori, con fiori bianco rosei, macchiati di scuro al- , . . . . 9 # 3 Pa da) e . la . . l'apice e disposti in grappoli densi, molto corti. Frutti brevi, subglo- bosi, ottusi, lisci, mucronulati, più stretti alla base. Trovata a «is Mirrionis », all’Orto Botanico, alla Scuola Eno- logica, a M. Urpino, alla Scaffa. 4. F. Alberti Fouc. et Rouy. — Fusto pentagonale. Foglie tri- pennato-sette, a segmenti oblunghi. Picciuoli attorcigliati e cirrosi. Pedicelli fiorali brevissimi e molto ingrossati all’estremità. Pedicelli fruttiferi, equali alle brattee, che sono integre, romboidali. Fiori piccoli (quasi 1 em.), giallo-rosei. Sepali ovali, frangiati, più larghi del pe- dicello, più stretti della corolla, e '/, di essa in lunghezza, inseriti a ‘/, della loro lunghezza a partire dalla base, persistenti. Frutti subglobosi, più lunghi che larghi, apiculati nel fresco, rugosi e un po’ mucronati nel secco, muniti di 2 fossette all'apice e tutti sterili. Abbondantissima all’Orto. Botanico, a « is Mirrionis >, alla Scaffa, a M. Urpino, ecc., nei campi e nei sentieri. Viene considerata dagli autori (Foucaud et Rouy), che la tro- varono in Francia (environs de Sollies-Toucas), come un ibrido delle F. Vaillantii var. Chavini e Officinalis var. Wirtgeni. Varietà. 1. F. officinalis, è tenvifolia Gauss. — Fusto di 11-27 cm., diritto, ramoso. Foglie glauche, bi-tripennato-sette, a segmenti piani, oblungo-lineari, con picciuoli qualche volta attorcigliati. Fiori di 7-8 mm. violacei, con apice molto scuro, in grappoli forniti. Brattee lanceolate, seghettate in cima, lungamente apiculate, uguali in lun- ghezza ai pedicelli fruttiferi, che sono molto sottili. Sepali ovali, bianchi con apice violaceo, dentati, lunghi '/, la corolla, più larghi del pedicello e del tubo della corolla. Silicule piccole, più larghe che lunghe, troncate, con due fossette apicali, leggermente granulose nel secco. Abbondante all’Orto Botanico, nei dintorni di S. Benedetto, alla Scaffa. 2. F. micrantha Lag. var. Parlatoreana Boiss. — Fusto penta- gonale, diritto, meno ramoso di quello della F. micrantha Lag. Foglie tri, quadripennato-sette; a segmenti oblungo-lineari, canali- culati. Picciwoli ricurvi. Pedicelli fiorali brevissimi, orizzontali 0 ascen- denti. Pedicelli fruttiferi cilindrici più 0 meno reffessi, non attorcigliati, con brattee uguali o quasi uguali ad essi in lunghezza, enfegre, rom- . boidali. Sepali uguali o quasi, in larghezza, alla corolla, ovali-rom- baie «ANNALI DI BoranicA — Vor. V. 6 \ sp td d gf ha Li ‘ ta Biba di Saletta Di «DA ta (A? ur" a i QD — = ” 1 i la a N f n. PA y ca n so # bia e * È DA do boidali, acumina 3 volte quasi più corti, sinuosi con poc] his denti (2-4). Frutti subglobulosi, tro LOGAN in cima a maturità e vo nettamente rugosi. dà 3. Fum. micrantha Lag. forma dunicola Nic. — Due esemplari | di questa varietà, classificati come tali dal prof. Nicotra, portano la || Di: nota seguente: « foliorum laciniis augustioribus conniventibus to- SÒ x tius plante statura humili glaucedine majore, etc.... (Vedi simi- lissimam super areras dunarum, tra il lago di Sorso a il mare ad ni est. di Portotorres) ». i “i 4. F. micrantha Lag. var. littoralis Damont. — Tra gli esem- di plari dell’ Herb. Gennari, esistenti nel R. Orto Botanico di Torino, # trovasi un saggio dì questa varietà, raccolto a S. Bartolommeo (din- È. torni di Cagliari). Differisce dalla tipica per i sepali integri con b macchia scura all’apice, oltre che per le foglie a lobi meno avvici- nati gli uni agli altri, più larghi e più spessi. La /. micrantha Lag. fa trovata abbondantissima all’Orto Bota- i nico, a « 1s Mirrionis », nei campi e nelle vigne. Oltre la forma tipica è pure abbondante la var. Parlatoreana Boiss., trovata al- a l'Orto Botanico e alla Scuola Enologica. Meno frequente è la forma dumnicola. n° D. F. Vaillantii Lois. var. Gasparrini Bab. — Fusto più svilup- pato in grossezza e in lunghezza, più ramoso, non diritto. Foglie 2-3 pennato-sette, a lacinie più lunghe e più glauche. Fiori piccoli vi ‘(4-6 mm.), bianco-rosei, macchiati di purpureo all'estremità, poco nu- i: merosi, in grappoli più lunghi. Si differenziano dal tipo per una spe- "Ta ciale dentatura, formata da due denti, che si trovano ai Que lati del petalo inferiore speronato, poco distanti dall’estremità, e sono sempre colorati in rosso. Pedicelli fruttiferi più deboli e corti, ugualmente come nel tipo. Brattee superanti i pedicelli, lanceolari-oblunghe, in- tegre. Sepali persistenti, più stretti, allungati, frangiati, 8-10 volte più corti della corolla, qualche volta con un'appendice che è dentata nella parte inferiore e quasi uguale alla lunghezza del sepalo. Frutto come nel tipo. i All’Orto Botanico, alla Scuola Enologica, a M. Urpino « alla Scaffa | | RE, i 6. F. parviflora forma vegetalis Hamm. — Differisce dalla tipica se per gli internodi molto sviluppati, ì sepalî più larghi e non persi. stenti, la corolla violacea. Le brattee sono uateore e piano, i frutti rugulosi, un po’ carenati in cima. sr All’Orto Botanico, a Monte Trpino e i dintorni dl a $ i sai II. — Capreo latae. F. muralis Sond.: — Syn. FP. muralis forma vera Rouy et Fouc.; F. muraliformis Clar; F. capreolata x Parl; F. capreolata subsp. muralis Coss.; F.capreolata x muralis Arc.; F. capreolata var. gra- cilescens Netra; F. media x muralis Hamm; F. media forma muralis WIk. et Luge, sec. Nicotra. Fusto pentagonale: 5-30 cm., ramosissimo, diffuso, cirroso. Fo- glie 2-3 pennato-sette, a segmenti grandi, ovali, cuneiformi, oblunghi, piani; picciuoli ordinariamente attorcigliati. Fiori stretti, lunghi quasi 1 cm., bianco-giallastri o rosei, con sperone '/, della lunghezza to- tale. Grappoli lassi, pauciflori. P’edicelli fruttiferi molto esili, lunghi, un poco spessi in cima; di '/, almeno più lunghi della brattea, inte- gra-lineare-lanceolata acuminata. Sepali uguali in larghezza al pe- dicello, più stretti del tubo della corolla e ‘/,-'/, di essa in lunghezza; ovali arrotondati, inciso-dentati, sopratutto alla base. Frutto liscio, fina- mente rugoso nel secco. Pochi esemplari furono trovati all’Orto Botanico, sui muri e sui sassi. III. — Agrariae. Specie. 1. F. rupestris Boiss et R. — Differisce dalla tipica per i sepali ovato-lanceolati, brevemente acuminati, lunghi ‘/, della corolla e poco più stretti di essa, appena carenati, muniti di numerosi e lunghi denti. Frutti apiculati, rugulosi, con due fossette in cima, nel secco. Brattee seghettate in cima, con apiculo rostrato, uguali o subuguali ai pedicelli. Aspetto della pianta: tozzo. Noto che ogni racemo di frutti è accompagnato inferiormente, al posto dell’ultima brattea, da una espansione biforcata, in forma di cirro. Trovata all’Orto Botanico, alla Scuola Enologica; frequentissima in vicinenza della F. Agraria. 2. F. benedicta Nic. — Fusto pentagonale; 15-25 cm.; più o meno ramoso e diffuso, quasi sempre diritto (mai cirrescente nei saggi trovati). Foglie glauche, ‘tripennato sette, a Jacinie larghe, talvolta retuse, mucronulate e macchiate all'apice di rosso. Racemi densi flori, eretti. Fiori di 7-9 mm., quasi sempre scuri, a pedicelli lunghi, deboli. Calcare ampio, corolla molto stretta verso la parte mediana. Pedi- celli fruttiferi lunghi, attorcigliati, un po ingrossati all’apice, con ANNALI DI BoranIcA — Vot. V. 6 rolla, 0 sa più stretti: più larghi del pedicello, Frangiati allo 4a i e dentati în giro ; */,in lunghezza della corolla, non persistenti. Frutto subgloboso, più largo che lungo, ruguloso nel secco, mucronulato, con 2 macchie brune evidentissime all'apice, e molto più largo del pedi- cello alla base. Trovata abbondantissima all’Orto Botanico, alla Scuola Enologica, alla Scaffa, a « is Mirrionis ». Varietà. 3. F. agraria Lag. forma humilis. — Differisce dalla tipica per i fiori per lo più biancastri, con apice intensamente colorato; per i frutti non persistenti, più piccoli (2 mm. o poco più), e per l’aspetto generale della pianta, che è a fusto breve, a cui stanno attaccati i rami quasi tutti nello stesso punto, a fior di terra. Le brattee sono integre. Trovata all’Orto Botanico, alla Scaffa, alla Scuola Enologica. 4. F. major Bad. var. judaica Boiss. — Differisce dalla tipica per i sepali più lungamente acuminati, subinteri all'apice, e non persi- stenti, e per la corolla assai ristretta verso l’apice. Frutti mucronu- lati nel secco. Brattee integre e apiculate. Frequente all’Orto Botanico, alla Scuola Enologica, a M. Urpino, alla Scaffa. D. I. major Bad. var. spectabilis Bischoff. — Differisce dalla ti- pica per i sepali più lungamente acuminati, subinteri all’apice, n0n persistenti, e uguali in lunghezza a ‘/, della corolla; per la corolla as- sal ristretta verso l’apice, per le foglie a lobi lunghi (sublineari) e allontanati a ventaglio, per i pedicelli fruttiferi molto lunghi e sottili, per 1 frutti rugulosi, per le brattee ondulate ai margini, apiculate, più brevi dei pedicelli fruttiferi. Nei dintorni di S. Benedetto, (campi, vigne), all’Orto Botanico, a « 15 Mirrionis », alla Scaffa. Ibridi. Caratteristiche sono le forme ibride di Fumarie, che classificai fra i saggi raccolti, poichè presentano nettamente alcuni caratteri di una delle specie che li hanno originati, e altri dell’altra, non solo, ma hanno anche maggiore esuberanza di forma, carattere che sì trova spesso nei bastardi (1). E che si tratti effettivamente di ibridi, credo poter affermare con i criteri ordinari, poichè nelle zone (1) V. SrrassurGer — Trattato di Botanica, 2° edizione, pag. 299. progenitrici, per pe si Focke asserisca che non sono queste 5A condizioni perchè i bastardi si formino (1). Intendo tuttavia di iniziare delle culture, tendenti a dimostrare la relazione fra la fecondità di questi ibridi e.le variazioni mor- fologiche, che i discendenti da essi possono assumere. Gli ibridi da me raccolti sono: . F. agraria Lag. X F. flabellata Gasp. — Ha della prima i carat- teri dei sepali, delle brattee e del frutto; della seconda quello ca- ratteristico dei pedicelli fruttiferi ricurvi e del colore dei fiori, bian- castri, con apice intensamente porporino. Trovata all’Orto Botanico, a S. Bartolommeo. F. agraria Lag. Xx F. major Bad. — Brattee generalmente sube- guali ai pedicelli fruttiferi: sepali lanceolati, lungamente acuminati, manifestamente carenati ed a pochi denti: (Caratteri propri della F. agraria Lag.). Sepali lunghi ‘/, della corolla e poco più stretti di essa; frutti smarginato-ottusi: (Caratteri propri della F. major Bad.). Nel congedare alle stampe questo piccolo contributo alla flora sarda, m’è grato esprimere, riconoscente, i miei ringraziamenti al prof. S. Belli, che mi fu largo di aiuto e di consigli. Regio Orto Botanico di Cagliari, giugno 1906 (1) W. FockE. — Lie Pflanzenmischlinge, (Berlin, 1881, pag. 463). Die Ent- stehungsbedingungen der wild wachsenden Bastarde sind in meisten Fiillen noch nicht zu beachtet wie es hiitte sein sollen. Auf den ersten Blick méchte ‘es scheinen dass sich ein Bastard aus leichtesten an Orte bilden Kiume wo die Staumarten in grosser Zahl durch einander wachsen. Dies ist aber Keinesweg der Fall! denn an solchen Orten werden die Narben jeder Art reichlich mit Bliitthenstaub der eigenen Art versogt werden, der jede Wirksamkeit des frem- den Pollens imméglich macht. Ganz anders gestalten sich die Chaucen, wenn nur wenige Exemplare der einen Art zwischen zahlreichen der andern einge- streut sind. Dann sind die Aussiehten einer Bliithe der seltenen Art-Pollen von einer andern Bliithe ihresgleichen zu bekommen sehr gering, wihrend die Wahr- scheinlichkeit gleich beim eintritt in die Geschlechtsreife fremden Pollen zu empfangen miglichst grosse ist. si E BIBLIOGRAFIA DELLE FUMARIACEE È SCO xd di L NicorRa. — Le Fumariacee italiane. Maggio 1897. Estratti dal N.° Giornale vi Bot. Ital. N. Serie, Vol. IV. % L. Nicorra. — Fumariacee italiane. (Saggio di una continuazione della Flora * 5. italiana di F. Parlatore). Firenze, 1897. ni F. PARLATORE. — Monografia delle Fumariace?. Firenze, 1844. Fiori e PAOLETTI. — Flora d’Italia. 1895. Vol. I, pag. 475. Parte III. i \V. BarBEY. — Florae Sardoae Compendium. Lausanne 1884. . F. H. Moris. — Flora Sardoa. Vol. I, pag. 87. 1837-59. ;” P. GENNARI. — Repertorium florae calaritanae. Cagliari, 1893, pag. 121. di): Rovy et Foucaun. — Flore de France. Tours. 1893-96. CesatI, PASSERINI E GIBELLI. — Compendio della Flora italiana. A "d ARCANGELI. — La Flora italiana. 1894, pag. 250. Nyman. — Conspectus Florae Europeae. 1878. Vol. I. pag. 26. GRENIER et Gopron. — Flore de France. T. I, pag. 66. 1848. Le Maour et DECAISNE. — Traité général de botanique. Paris, 1876. Pu. Van THiEGHEM. — Traité de botanique. 2% edizione 1891. Hy F.— Fumaria muraliformis blavandolium (Bot. Centr. 1903, pags 238). VerGuIN. — fumaria Burnati, hybride nouveau (F. agraria + F. capreolata) Bot. Centr. 1905, pag. 89. De CANDOLLE. — /rodromus sistematis naturalis. G. BoxxIEr. — Zlore complète de la France. 2* edizione, pag. 14. KocH. — Synopsis Florae Germ, et Helv. 1892. e Influenza di alcune azioni oligodinamiche su lo sviluppo e su Vattività del fRace. radicicola lI Nora: Per la generalizzazione dei risultati del Dott. RENATO PEROTTI Le conclusioni cui pervenni sperimentando l’azione di alcuni composti metallici sulle culture della fava comune mi sembrarono essere importanti, sia dal punto di vista teorico che da quello pra- tico, così da meritare ulteriori studi perchè con nuovi dati venis- sero confortate. Esponendo in una precedente nota (1) i primi risultati ottenuti, tracciai un completo piano di lavoro che intrapresi a svolgere. Per procedere con ordine cominciai dall’estendere le ricerche ad altre leguminose allo scopo di poter generalizzare quanto aveva potuto notare nello sviluppo di una sola specie di esse. In questa seconda nota sono in grado di riferire come il modo d’agire dei composti metallici nei rapporti della stimolazione che sono capaci di eserci- tare sullo sviluppo e sull’attività del radicicola è perfettamente pa- ragonabile nelle varie leguminose. Sperimentai su quelle specie che presentano la maggiore im- portanza agraria per entrare nel ciclo di una razionale rotazione o per essere destinate al sovescio, cioè: favetta, trifoglio ed erba medica. Seguendo lo schema di ricerche già da me tracciato, per ogni singola specie preparai una serie di undici vasi di cm. 15 di diametro con kg. 20 di terra ciascuno (azoto totale = 0.17 °|,). Come concimazione ‘fondamentale aggiunsi perfosfato minerale (P,0,= 17.60 °/,) e solfato o cloruro potassico nelle proporzioni di (1) Vedi: questi Annali, vol. III, fasc. 3, pag. 513. è Passa ss - quintali uno 0 m mezzo 2: Ea. doti SERE 5 igod Me Cr, Mn, Fe, Co, i, Cu, Ba, Hg, nella Coin binazione di Solrato È Li 03 v he” primi sei, di cloruro gli altri e nella quantità di mezzo quintale Vi; ui ad Za. La somministrazione di essi fu fatta periodicamente me- po diante soluzioni di concentrazione progressiva dall’1: 50.000 al- | w l'1:2500. Alternativamente, secondo il bisogno, somministrava quan- n° tità uguali per tutti i vasi di acqua Felice di Roma. Re ‘Nel seguente prospetto è riassunto l’intero impianto dell’espe- (e rienze rimandandosi per maggiori dettagli su di esso alla mia pre- "a citata nota. Pe FOIS | 4 i Concimazione . Sostanze : i foniamentale oligodinamiche 4 | s I i è | A Combina- | E s cs si SIVE Ie zione Note ti SR EOS E VII RT 7 gna Daan dis e| ES |s e E e 2 198 oll'ogalrzosipro Ò a fa3 SITO | LO | d2 | E = E Lari Diet a E KS) = 4 Ag 13 Sta = ai MILA: (0) Po) PIO BS i gr. | gr. | gr. gr. | gr \ 1 st rs > Ea Se — 13 novembre 1905 - Semina. x \ Favetta semi 2 | A 2| 2.0] — 1.0| — _ - — Î Erba medica semi gr. 0,5 00 “ Trifoglio semi gr, 0,4 (a PI. ]01:017 100] EI À — |25-30 novembre 1905 - Germinazione, fi 4 2.0 1.0 _ Cr 1.0 _ 30 novembre 1905 - Prima somministrazione delle s9- ne luzioni oligodinamiche. dr 5|j 2.0] 1.0| — Mn 1.0| — JA «Si 6| 2.0| 10| — Fe | .10| — 26 febbraio 1906 - Inizio della fioritura nella fa- SEA vetta. MERO LOT + Co 0a 10 aprile 1906 - Raccolta della favetta. di 8| 2.0| 10| — | Ni | 1L0| — 30 aprile 1900 - » — del trifoglio. i biSz.0] Lol —| cul 1.0] — 4 marzo 1900- » dell'erba medica. A 10} 2.0| — 1.0| Ba -- 1.0 E mene (| Lo} Hgi — | Lo Per aver stabilito, come sopra rilevasi, un appropriato controllo, fui in grado di accertare i caratteri differenziali presentatisi nello sviluppo delle diverse culture per effetto dell’azione su di esse eser- citata dalle sostanze oligodinamiche. Questi caratteri ricercai nella statura, nella grossezza del caule, nella grandezza, nella forma è . nella colorazione delle foglie, nella precocità della fioritura, ece. In si linea generale osservai che elevandosi il peso atomico dell’elemento metallico si verificava prima un aumento, poi una diminuzione delle piante testimoni. Nei dati che faccio seguire, desunti dalle misurazioni della sta- tura e dalle pesate della sostanza organica prodotta, questi fatti si trovano validamente documentati. Sostanze | E Sviluppo erbaceo > te oligodinamiche Statura | Peso secco z em. gr. Colture di Favetta. 1 _ 76 30.25 2 —_ 90 65.10 5) (K) 0 60.72 4 Cr 120 14.20 5 Mn 92 75.00 6 Fe 85 64.25 fi Co 93 62.05 8 Ni 78 67.80 9 Cu Cari 55.10 10 Ba 76 45.00 LE Hg 66 30.94 Colture di Erba medica ii 4 19.20 2, — 30 25.00 ks) (K) 40 22.15 4 Cr 5‘ 29.00 5 Mn Bb) 26.50 6 Fe 5I QIAA 7 Co 45 30.20 8 Ni 46 21.65 9 Cu 40 25.05 10 Ba 535 23.70 Di: Hg 32 15.50 Sviluppo radicale . e ad internodi. brevi, le foglie piccole e sincite di color verde chiaro, seguendo la serie delle culture ordinate secondo il crescente peso atomico degli elementi sperimentati, s' andavano il primo ingros- sando divenendo cespitoso ed allungando gl’internodi, l'altre ingran- dendo ed assumendo una colorazione verde intensa, per poi tornare ad assumere negli ultimi vasi i primi caratteri ch’erano quelli Totale del prodotto .05 .20 RIDI SA sii Sv luppo r dicale > ga otale. LIDO Sostanze AOLRO > X Peso secco del prodotto || © Statura N. dei vas e) [OPERAIO Peso secco Meo. em. gr. gr. gr. É *.4-0008 4 Colture di Trifoglio pratense. di 1 sa 23.10 4.10 Î 32.20) DI 2 _ ‘A 27.80 5.08 | 30.88 8 | (K) È 40,52 7.30 | 47.82 { 4 Cr io 98.50 5.6 |-. ‘44.8 s|j Mn ù 39.20 5.80 45.00 6 Fe S 36.40 6.00 40,40 7 Co Ei 40.67 8.15 | 48.82 8 Ni E; 37.05 6.55 13.30 9 Cu | 99.25 7.10 46.35 10 | Ba Z 30.70 3.90 34 60 u| Hg 32.20 4.05 36.25 Passando allo studio dei caratteri delle tubercolosità radicali ebbi agio di confermare quanto aveva già dedotto dalle mie prime espe- rienze con la fava comune. Un esame accurato ed esauriente dei tubercoli come per questa, non mi fu possibile eseguire con tutte l’altre leguminose che coltivai. I tubercoli dell’erba medica e spe- cialmente quei del trifoglio essendo numerosissimi, e, nelle condi- zioni di sviluppo delle mie piante, nella maggior parte di dimen- sioni piccolissime, avrebbero richiesto un lavoro eccessivo e difticile per venire distaccati, numerati e pesati. Perciò nel caso di queste due specie mi limitai ad alcune osservazioni sul loro sviluppo. Esa- minai la produzione delle radici, la disposizione dei tubercoli su di esse e la scarsezza od abbondanza di questi ultimi. Trovai che nelle piante sviluppatesi nei vasi trattati con i composti oligodi- namici che già mi risultarono meglio attivi, con la formazione ra- dicale più copiosa, s'accordava una maggiore abbondanza di tuber- coli, i quali in generale erano più voluminosi e disposti tanto "i sull’asse principale che su quelli secondari delle radici. Tubercoli radi e piccoli, prevalenti sulle ramificazioni secondarie delle radici stesse, il cui sviluppo era minore, osservai nei vasi trattati con gli elementi a più elevato peso atomico ed in quei di controllo. Mura È LI Elementi oligodinamici | | della ta , notando. la sini il numero ed i) peso dei tu- bercoli che oANGIO riportati nel seguente quadro: Tubercoli della Favetta Piccoli Hg 101 144 . Tali cifre confermano le conclusioni cui pervenni nella mia prima nota; per quanto si riferisce alla diretta influenza degli stimolanti chimici sul numero, sul volume e sul peso dei tubercoli radicali delle leguminose, sì che ad esse non debbo fare alcuna modificazione. Il rapporto tra il peso atomico degli elementi e gli effetti oligodi- gli elementi stessi più favorevolmente attivi, le conseguenze sullo DI delle leguminose mi risultarono, per le diverse piante studiate, esattamente i medesimi. Proseguirò nello svolgimento del programma tracciato. Una circostanza tuttavia mi cade opportuno notare fin d’ora, la quale è forse la più importante conseguenza della migliorata nu- trizione della leguminosa per influenza delle sostanze oligodina- miche e che mi sembra di un grande interesse economico-agrario. Intendo parlare del notevole sviluppo che assume la lamina fo- gliare delle leguminose sottoposte all’azione dello stimolo chimico, ‘per il quale la superficie assimilante di esse viene ad essere con- siderevolmente aumentata. Stampando sopra carta millimetrata sen- | sibile alcune foglioline delle piante di favetta, scelte con sano cri- terio dai vasi che avevano subito un differente trattamento, potel CS i a ì : differenze ui o sviluppo Tante come può desumersi da alcuni dati che faccio seguire: mm? mm piante.testumoniene cl... . ». + VASO DA = N00 782 » » TA » o = 10865 994 » trattate con solfato di cromo . . » 4A =AIS41 1328 » » » di manganese » b — 1250 1353 » » » ucramo. a » ON=603 1400 Il rapporto fra le misure delle foglioline delle piante di controllo, che scelsi fra le pochissime che presentavano le maggiori dimen- sioni e le misure delle foglioline provenienti dalle piante trattate, dimostra come in alcuni casi si ottenesse uno sviluppo della super- ficie assimilante quasi raddoppiato. Le conseguenze di questo fatto che, secondo quanto è noto, subor- dinato all'attività del radicicola, per la mutualità dei rapporti fra ì- simbionti, si riflettono in seguito certamente anche sullo sviluppo del medesimo, toccano molto da vicino uno dei problemi fondamen- tali dell’agricoltura moderna, quello cioè riflettente il miglioramento dell’ utilizzazione dell’ energia raggiante solare. Il processo per il quale gli organismi vegetali fissano questa energia in combinazioni chimiche ricche di forze di tensione è dipendente, oltre che dalla potenza organica specifica delle varie specie, anche dalla grandezza della superficie assorbente del corpo vegetale nel quale troviamo la caratteristica della forma espansa, laminare. Le valutazioni della quantità d’energia per tal modo immagazzinata, benchè non pos- sano eseguirsi che con mezzi molto imperfetti, hanno tuttavia por- tato alla poco confortevole conoscenza che di essa non sì ottiene neppure l’utilizzazione dell’1 °/,. Il compito di un sano indirizzo di economia agricola dovrebbe quindi essere quello di aumentare un rendimento così meschino, dal quale, non è chi non vegga, discen- dono conseguenze della massima gravità. I risultati degli studi snesposti considerati da questo punto di vista vengono a presentarsi sotto un aspetto di singolare interesse per il miglioramento dell’utilizzazione dell’energia solare ed io con- fido — continuando nello studio batteriologico-agrario su lo sviluppo e su l’attività del Bac. radicicola — di avvisare ai mezzi più acconci per favorire la cultura intensiva, la quale ancora una volta si di- mostra legata in singolar modo ai naturali fenomeni della fissazione biologica dell’azoto atmosferico. Dal R. laboratorio di bacteriologia agraria, Roma, luglio 1906. Riviste VierHAaPPER F. — Monographie der alpinen Erigeron - Arten Europas und Vorderasiens. Studien iiber die Stammesgeschichte derselben auf Grund ihrer morphologischen Beschaffenheit und geographi- schen Verbreitung. — Beihefte zum Bot. Central. herausg. von Prof. Uhlworm. Band XIX, Zweite Abteilung Heft 3 s. 385-560. È un interessante lavoro condotto con seri e profondi criteri scientifici. Premesso un elenco dei numerosi erbari consultati e del ricco materiale avuto in esame, la prima parte di questo studio si oc- cupa della morfologia comparata degli organi vegetativi e fiorali dei gen. Erigeron e Trimorpha; poichè VA. distingue dagli Er:geron veri che hanno due sole sorta di fiori nei capolini, le specie acris, alpinus. ete... (che altri autori ascrivono alla sect. Trimorphaea del medesimo genere) in un gruppo a sè costituente il gen. 77imorpha già ammesso dal Cassini fin dal 1816. Egli fa una minuta analisi delle foglie, dei cauli, delle produzioni tricomatose, delle squame in- volucranti dei fiori e dei frutti, analisi da cui deduce i principi fondamentali per la classificazione delle specie e per la subordina- zione delle varie forme. Delle singole specie - che sono minutamente descritte e corredate di notizie bibliografiche, di osservazioni critiche e di un copioso elenco di località di tutti gli esemplari esaminati, noi non citeremo che quelle che rientrano nel dominio della nostra flora. Gen. TRIMORPHA Cass. SEOT. — Brachyglossae. Trimorpha acris (L.) Cass. a PR p' NMmé LA ? È a PIA dc da SESSI NES y ST Hog < - pg \ pr ECT. — Macroglossae. Sussect. 1* — Hirsutae. T. alpina (L.) Vierh. BD a) gracilis. i b) calcarea. ’ c) compacta. ì» d) intermedia. fas “U e) strigosa. i i T. Epirotica Vierh. sp. n. (etiam in Aprutio). ‘È T. neglecta Vierh. a pi T. attica Vierh, ‘ 4 Supsect. 2* — Glandulosae. i à 9: T. alba Vierh. Gen. ERIGERON Cass. vo ad SECT. — Pleiocephali. E. polymorphus Scop. a) glabratus. et. e) unifloroides. ht f) occidentalis. È: SECT. — Monocephali. E. uniflorus L. a) typicus. È c) Tatrae. È d) Valesiacus. e) Aprutii. À HYBRIDI. . alpina (f. intermedia) Xx E. uniflorus= E. Engadinense Briigg. . attica Xx E. polimorphus (= T. Vandasii Vierh.). . alba x T. alpina. . alba x E. polimorphus ? alpina x E. polymorphus? = E. helveticus Briigg. formae: nf, La terza parte riguarda le deduzioni filogenetiche tolte dalla ana» lisi minuta ed esatta — quindi impossibile a riassumersi nei limiti della nostra rivista bibliografica — dei rapporti di parentela delle sin- gole forme alpine dei gen. Zrimorpha ed Erigeron, trattando della loro origine geologica, della distribuzione geografica ecc. Molto interes sante è pure quanto riguarda la diffusione delle forme sulla superficie terrestre, diffusione che può venire schematicamente riassunta nella | — seguente tabella : MR BESs5s5E ‘000 U[quioz BAONN BIPUB]UOOTO) | TouoItT pus] | OUIU RIABUIPUBOR | oumoA99 | eoIs1og]-uaddy | | | TdTV | Izedieo | _ edopor | VIUIAIE #ITOp odunto | | o) osroneA SINQUA i | *prooo umgsoy.aIng, [ —BPEAON ELIOIS —'sdeq SeIUISpid dv | Q]9IZIV VERTE — ere LL: TEXIEA [PP "QUO : vISV l Q19I].SIp109 T'IVHAHOONON NOUHOIUTI . Me << / ki DA Due: qQa a da P|Q ® © A=A|H=E io © |S Hielo È S| Iouerrg |É Peg Pegi far ad, | = ovs 5 ®P|ounoA99) | 5 P|S|® | A ob 2A | di drv = RIESI | | | IATV | (2 1d1v | tzedae) | ‘uuoddy CR OUTU z| | osteo |-uoddy odopot | o1rdr © | | | s|5 | eum |ondg Di Igo Ri 2€T TUBO[eq Der DI SBIYOS agi D rzedieo) 1d + } TugNBUos n Ml L 7 Qt LE dici SE OdUITO -teIT, i MB] OSBONnB() adopor CLIT]]] Ome osgonRA IMITV "Ep ‘qSeq | | CTS [a 6 cul da ee BASSE sa | | RITI] - par CIO]RIT]] TU Cope UV9SONIN, I i ‘J990s Cordomy eIe[euriH eIe]euaH CINE], 1 UIVSOTAUNVTIY) | UVLOSUI]T I VSSOTY x TIVHAHOOIHTAI *AHOVAT LONG 4 UYVSSOTIOHOVIN VArINatrA tV i VHAUONIUL TSE SR I LIT GIRI DE sa SEE OVINSITH ig Cali . E.o asi a od (SÌ P® ® / a = Dio 9BSSO]FO10V ovso[mpuv]s) [ 9usso[ AYA era. a Pec dr De a, voruisslge n _É Ni > i - sa edita], 9ado1nt-9[138ISY 2z1U0) | | | Opuow 0149994 ]Ap aziuo) "ez £uog IP ‘I}s90Ue QULIOA > INVDONO ‘IVI NOO TIVUISIONV IWUOL ‘} A Fra le specie nostrali è molto interessante la distribuzione della — Trimorpha Epirotica che dall’Epiro e dai Balcani si trova in Italia limitata solo agli Abruzzi (M. Morrone, Vettore, Velino, Sirente, Pizzo di Sevu). Senza dubbio ulteriori ed accurate ricerche sulla flora meridionale metteranno in rilievo i punti di collegamento e di diffusione attraverso la nostra regione di questa forma orientale. Alcune tavole illustrano i caratteri sistematici più importanti tolti dal frutto e dalle formazioni tricomatose dei due generi, le loro forme principali — molto opportunamente tratte da fotografie di esemplari d’erbario. Due carte geografiche schematicamente ac- cennano alla distribuzione delle principali specie in Europa e nel- l’Asia anteriore. FaBRIZIO CORTESI. Notizie ed Appunti La Direzione generale delle privative affidata in modo egregio al- l’ing. Roberto Sandri dalla qnale dipende il R. Istituto sperimentale dei tabacchi in Scafati, ha pubblicato recentemente tre lavori che attestano dell’indirizzo ottimo dato alle ricerche nell’ Istituto mede- simo, allo scopo di preparare con accurati lavori scientifici i materiali necessari agli studi di applicazione per rendere sempre migliore e proficua da noi la coltivazione e la produzione dei tabacchi. Il dott. EmrLio AxasrAsIa, tecnico nel R. Istituto di Scafati, ha pubblicato: Le varietà tipiche della Nicotiana Tabacum L. Scafati, 1906. Espone 1 risultati delle sue ricerche condotte per un decennio intorno alle forme pure di tabacchi, alle varietà tipiche della Nico- tiana Tabacum L., che riduce a poche, alle forme numerose, agli in- croci, descrivendo tutto particolareggiatamente e illustrando con nu- merose e belle tavole. Il dott. Anastasia rivolge la preghiera a tutti 1 coltivatori di tabacco di inviare campioni di semi al fr. Istituto spe- rimentale di Scafati (Italia), desiderando completare i materiali per un nuovo lavoro. Il dott. LreonaRDO ANGELONI, direttore dell’ Istituto sperimentale ha dato alle stampe: Costituzione e fissazione delle razze dei tabacchi a mezzo di meticciamento. Scafati, 1906. Suo scopo principale fu di fare esperienze per arrivare alla coltivazione e fissazione di nuove varietà indigene. Egli lo ha, in parte almeno, raggiunto e nel pre- sente lavoro, indicato il metodo seguìto, descrive appunto e figura in bellissime tavole, un numero considerevole di razze da lui ottenute e fissate. Il dott. AcHILLE SPLENDORE, pure dell’Istituto di Scafati, aila sua . volta pubblica: Sinossi descrittiva ed iconografia dei semi del genere | Nicotiana. Portici, 1906. Consta di due parti, la prima di testo, la x 100 — COR seconda di isvolgì sei Nel testo sono ‘deseriti i semi. specie e di numerosissime varietà, forme, ibridi, specialmente i in rin guardo alla forma, al colore, alla scolbarei alle ‘Aim ell al peso. — È L'autore è giunto a interessanti risultati scientifici e pratici sul va- | lore del seme nella distinzione delle‘ forme e per una razionale sen "0 lezione. Ubi. Re v ' % I tre lavori sono veramente degni di elogio. Sì n) . Da Il prof. EugexIio Baroni ha testè, ad opera del solerte editore Li- cinio Cappelli di Rocca S. Casciano, pubblicato la: Guida Botanica € ossia Uhiavi analitiche per determinare le piante spontanee che vivono principalmente nell'Italia media. Con 360 figure intercalate nel testo ed un elenco dei termini tecnici usati. Rocca S. Casciano, 1907. Il volume di 575 pagine costa L. 7. — Quantunque questo libro di compilazione non vada privo di mende ed abbia quei difetti che tutti i lavori di questo genere posseggono in grado più o meno ele- vato, tuttavia esso tornerà praticamente utile agli studiosi, agli in- segnanti, agli allievi per trovare prontamente e senza gravi difficoltà il nome delle piante spontanee e delle principali coltivate nell’ E- milia, Toscana, Marche, Lazio, Umbria. Il prof. Lino Vaccari ha pubblicato la seconda edizione italiana modificata e accresciuta della Flore alpine de poche, di R. Correvon. Egli la intitola: Flora alpina tascabile per 'touristi delle Alpi e degli Appennini. Torino, C. Clausen, 1907. — Il libro è illustrato da nume- rose tavole a colori. È uscito il 1° fascicolo del I volume del periodico: Progressus Rei Botanicae, pubblicato dalla Association internationale des Botanistes, e redatto dal dott. I. P. Lotsy. Contiene lavori di E. DE RAREUARO H. D. Scorr, CÒ. FLAHAULT. R. P. N II ea . è = cicol | Prezzo del presente fas DEE i DI BOTAN PUBBLICATI DAL Pro. ROMUALDO PIROTTA : Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE. Scotti L. — Contribuzione alla Biologia fiorale delle “ Personatae ,, pag. 101. Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XII. PANTANELLI E. — Meccanismo di secrezione degli enzimi, pag. 229. Casu A. — Contribuzione allo studio della flora delle suline (con due figure nel testo), pag. 273. Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XIII. PAnTANELLI E. — Meccanismo di secrezione degli enzimi (con una figura nel testo), pag. 355. Riviste, pag. 417. Notizie ed Appunti, pag. 421. ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA Me o SA a67 VEE pps a er Fior - CRT LN Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in tempi non determinati e con numero di fogli e ta- vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne un numero maggiore, pagando le semplici spese di carta, tiratura, legatura, ecc. ; Gli autori sono responsabili della forma e del conte- nuto dei loro lavori. N.B. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al prof. R. Pirorta, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. . ontribuzioni alla Biologia fiorale delle * Personatae ., LIBRARY VI 2:(4) NEW YORK BOTANICAL GARDEN, Note raccolte dal Dott. LUIGI SCOTTI. Questo fascicolo fa seguito al N. IV. Le famiglie seguenti, se- condo Engler (2), fanno ancora parte — insieme alle Verbenaceae ed alle Labiatae (Labiatiflorae) che tratterò in appresso — dell’ordine delle « Tubiflorae ».. Ho adottato per questo gruppo engleriano di piante, molto po- limorfo e vasto, la classificazione tenuta dallo Schimper (8), soltanto per una più facile divisione della materia. Fam. SOLANACEAE. Gen. Datura L. D. Metel L., a fiori bianchi, convolvuliformi, con tubo lungo circa 6 cm., ed aprentisi di sera, è sfingofila (MarTEI G. E.) (4). DA nefalorzoa DC. è proterogina (ScAneck) (5). Secondo Cockerell (Notes on New Mea. flowers etc. Bot. Gaz. XXIV, p. 104; 1897) è vi- sitata da Phlegethontius nel Nuovo Messico, e da numerosi individui di Apis. Lo stesso autore (Amer. Natur. XXXVI, 1902, p. 811) notò pure Xy/ocopa arisonensis e Caupolicana yarrowi a visitarne i fiori. (1) N. I. Ranales, in Rivista it. di Sc. Naturali, N. 3-4, 5-6, 7-8, Siena 1905. N II. Liliiflorae, in Annali di Botanica del Prof. R. Pirotta. vol. BE fase. III, pp. 493-514. ° N. III. Centrospermae, in Malpighia, XIX, 3, 1905. N. IV. Tubiflorae, in Ann. di Botanica del Prof. R. Pirotta, vol. III, fasc. 2, pp. 143-167. N. V. Rubiales, ibidem vol. IV, fasc. 3, pp. 145-195. (2) SyUabus der Pflanzenfamilien, Berlin, 1903. (3) Strasburger, ecc. Trattato di Botanica, trad. it. di C. Avetta. (4) I Lepidotteri e la Dicogamia, p. 31. (5) Proterogyny in Dat. Meteloides, Bot. Gaz. XII; 1887, p. 223. ANNALI DI BoTANICA — Vor. V. “ "po Sr L ha fiori « imbutiformi in alto. Il fiore si apre per lo più la sera e tramanda un forìe odore dic n sgustoso che di sera nei fiori sbocciati di fresco è più sensibile che di giorno. Col tempo cattivo il fiore si chiude, ripiegandosi la corolla. In fondo al fiore sono visibili cinque nettaropili, tubolosi, formati dalle basi posteriori dei filamenti staminali concresciuti insieme al tubo della corolla, e saldati per le loro porzioni anteriori e laterali (Revolverbliite, sec. Kerner). Lo stilo varia poco in lunghezza; più comunemente il suo stimma è quasi alla stessa altezza delle antere introrse, e quindi — essendo il fiore quasi eretto — il polline cade da sè su lo stimma e l’au- toimpollinazione spontanea è inevitabile. Questa poi — se coronata o no da successo, non è noto (3) — è anche favorita dal ripiegarsi della corolla durante il tempo cattivo. Secondo Kirchner (loc. cit.) il nettare è secreto dalla base del- l’ovario e raccolto alla base dei filamenti, ma Schulz (loc. cit.) ri- porta di non aver riscontrato nettare in questa specie. È sfingofila (Kirchner, Mattei, loc. cit... Knuth (Hand. d. Bli- tenblg. II, 2) osservò, frequente, Meligethes soltanto. Nel Maryland, nella Florida, secondo Howard (Yearbook Unit. Stat. Departm. Agrie. 1898, p. 131) i fiori sono visitati da due sfingi del gen. Phlegethontius, i cui bruchi sono dannosissimi alle foglie del Tabacco. D. feror L. è pure sfingofila (Mattei, loc. cit). D.arborea L., dell'America meridionale, fu detta ornitofila rould [(p. 130) Delpino, (Ult. Oss. II, 2, p. 334) Darwin (EP. fec. inc. etc. p. 269, sub Brug- mansia)] ma per la lunghezza del tubo, l’odore veemente, il colore biancastro, la fioritura vespertina, deve considerarsi piuttosto sfingofila. I fiori di co- lore bianco-giallognolo, di odore citrino o di magnolia, si aprono la sera e si chiudono al mattino seguente per riaprirsi la sera successiva È ercogama e adinamandra in modo assoluto (Mattei, loc. ci) D. sanguinea R. et P. secondo Delpino (1. c.) è analoga a D. arborea. I fiori penduli, imbutiformi, di questo albero dell’ Ecuador, sono lunghi 15-18 cm., di color verde nella porzione inferiore, rosso o giallo nella su- periore, ed esternamente solcati da linee longitudinali verdi. Hanno spiace» vole odore, mentre quelli di D. cornigera Lagerh. e 1. aurea Lagerh. spe- cialmente verso sera emanano gratissimo odore. (1) Flora von Stuttgart, p. bT1; 1588. (2) Biblioteca Botanica, Heft 10, p. 73; 1888. (3) Hildebrand: Geschl. — Vertheil. bei den Pfltanzen, p. 0. ) 5" Be orale” i itomelto alla base dei flo staminali; se ae ino il polline prima che lo stimma sia maturo; lo stilo A quasi la stessa lunghezza degli stami. I fiori sono visitati dal colibri Docimastes ensifer, mentre colibri a becco più corto producono fori nella corolla (De Lagerheim, Monogr. d. ecuadorian. Art. d. Gattung < Brugmansia » in Engl. Bot. Jahrb. XX, 1895, p. 662). Pure sfingofili sono i fiori di Sol/andra levis rassomiglianti a quelli di D. arborea. Essi sono di color bianco-verdastro, con un tubo lungo 14 cm. ‘ed infundibolo lungo 4 cm. (Mattei, loc. cit. p. 37). Th. Belt (Naturalist in Nicaragua) ne ha studiato la fecondazione per opera dei colibrì Heliothrix. (Nel Manuale del Wiesner — £i0l09. d. PHanz. 1889, p. 155 — è riportata l’illustrazione d’un fiore di Solandra visitato da MHeliot. aurita, tolta dal Brehm. Ma nel Brehm (Uccelli, IV, p. 100; trad. ital. 1870) a visitare il fiore di Solandra c’è Docimastes ensifer, altro colibri, ma abbastanza diverso «dal Baciafiori — Hel. auritus, — illustrato a pag. 107). (ren. Hyoscyamus L. H. niger L. ha fiori omogami. La corolla, debolmente zigomorfa, presenta dei nettarindici violetti. La metà inferiore dell’ovario, co- lorata in giallastro un po’ più fortemente della metà superiore, se- «cerne nettare che si raccoglie nel fondo glabro del tubo. I filamenti sopra la loro inserzione sono pelosi e si addossano allo stilo, curvato in basso. Alla base dei filamenti si trovano tre accessi al nettare, chiusi da peli. Mediante la visita degl’insetti — bombi — l’eteroimpollinazione è favorita dal trovarsi lo stilo so- vrastante alle antere e quindi viene toccato prima (Kirchner, loc. cit. p. 570). Secondo Kerner (1), nel gen. //yoscyamus l’ incrociamento è favo- rito dallo scambio di posto fra le antere e lo stimma. Nei fiori giovani lo stimma occupa il centro del fiore, ed essendo fortemente vischioso e giù maturo, può ricevere soltanto il polline portato dagl’insetti; le antere sono addossate alle pareti della corolla. Nei fiori vecchi le antere sono avvicinate ed occupano il centro del fiore, mentre lo stimma sì è ritirato da una parte ed appoggia contro la corolla. Inoltre, secondo lo stesso Kerner, durante la fioritura le foglie fiorali si accrescono e si allungano, di guisa che gli stami con esse saldati, vengono portati sovra i margini laterali dello stimma. Egli ha notato che le antere, le quali si trovano a 7 mm. sotto lo stimma nella mattina in cui si aprono i fiori, si sono già inalzate fino ad esso nella sera dello stesso giorno, per effetto dell’allungamento con- temporaneo del tubo e degli stami con esso saldati. (1) Vita delle piante, II, pp. 272, 300. Te / che andavano formandosi nelle parti inferiori dell’infiorescenza, di- stoglievano le sostanze nutritizie dall’arrivare al sommo dell’infio- rescenza. Avendo egli asportato i fiori situati più in basso, ottenne di nuovo dei fiori casmogami, all'estremità dell’ infiorescenza. Sprengel osservò i fiori visitati da Bombus, i quali per le loro di- mensioni sembrano i più adatti, ma Miiller (Befruch. p. 275), vide. soltanto Malictus cylindricus 2 a raccogliere polline. H. albus L. ha un tubo corollino bianco-giallastro che sporge 2 em. fuori del calice, ed è lungo 1,5 cm. Subito dopo l’apertura del fiore lo stimma è sessualmente maturo, e poscia si aprono le logge dell’antera dello stame superiore, deponendo il polline su lo. stimma, sul quale lo stame è piegato. Gli altri stami si sviluppano: successivamente e sì piegano verso lo stimma. L’autoimpollinazione spontanea è perciò inevitabile, ed è neces- saria mancando le visite degl’ insetti (Anutàh P.) (3). Comes (4) ha osservato che gli stami, i quali all’aprirsi del fiore si trovano ad un livello più basso dello stimma, in seguito si al- lungano e rasentano lo stimma con le loro antere riboccanti di polline. A questa impollinazione succede una completa maturazione dei semi. HH. albus L. var. Major Mill. ha fiori proterogini, nettariferi. Quando il fiore si apre, lo stimma largo, a capocchia, ne oc- cupa il centro e può ricevere perciò il polline dagl’insetti prove- nienti da altri fiori più vecchi. Dopo un giorno i cinque stami, per l'allungamento che hanno subìto insieme alla corolla, vengono ad occupare il centro del fiore, sorpassano in lunghezza lo stimma, e le antere mature emettono polline in abbondanza. Lo stimma si trova avvicinato ad un lato della corolla in apposita fenditura, e, nell’effettuarsi di questo movimento, se non ha ricevuto polline per eterogamia, viene impolverato col polline del proprio fiore. Questa fecondazione dev'essere comune ed anche fertile. Il nettare è secreto dalla porzione basale periferica dell’ovario in gran copia, ed è difeso contro gl’insetti inutili da una fitta peluria (1) In Bot. Centralblatt, Ba, VIII, p. 287. (2) Weitere biolog. Mittheitungen, Bot. Centralbl. VIII, N. 42, 1881. (3) Bliithenbiologische Beob. auf der Insel Capri, Gent. 1898, p. 11 ; Botanish Jaarboek, V Jaarg. (4) Ulter. studi su la Impollinazione ecc. Rend. Ace. se. fis. mat,; Napoli 1879, fase. III, febbraio. In Hyosc. niger L. db. agrestis Veit. lo stesso Ludwig DE Mor chel =" fiori terminali sono spesso cleistogami, evidentemente perchè i frutti o MOTGti in faolicso soltanto nello spazio fra la A e la parte Che sostiene le antere; lo stimma ha invece colorata solo la porzione stilare. I fiori, quantunque vistosi per il colore giallo-chiaro del lembo ‘ée per la macchia violaceo-porporina che tinge la fauce, i fila- menti e lo stilo, sono poco ricercati dagli insetti a motivo del- l’odore disgustoso che emana dal fiore e da tutta la pianta (Pan- dianiî) (1). i Pandiani (loc. cit. p. 64) cita come unico pronubo riscontrato Bombus terrestris, raro. Gen. Scopolia Jacq. S. carniolica Jacq. (= Scopolina atropoides Schult.) è proterogina (Hildebrand) (2). Secondo Kerner' (loc. cit.) vi ha luogo lo scambio di posto fra le antere e lo stimma come in Hyoscyamus. Secondo Loew (3) concorda nelle disposizioni fiorali con Atropa Belladonna, descritta da Miiller (Wezt. Beob. III, p. 24). Egli la vide più volte visitata nel giardino botanico di Berlino da Andrena fulva, la quale si cacciava interamente nella campana fio- rale e, a giudicarne dal suo indugiarsi in essa, ne profittava del nettare. Gen. Nicotiana L. N. rustica L. La corolla è giallo-verdognola con breve tubo, nel «quale si raccoglie il nettare secreto dalla porzione inferiore dell’ova- rio, colorata in arancio. I filamenti staminali i quali sono incurvati su l’ovario, contro lo stilo dal quale in alto si allontanano, sono nella loro parte inferiore forniti di peli morbidi che proteggono dalla pioggia il nettare, al quale conducono cinque accessi (Revolverbliithen di Kerner; Kirchner, loc. cit. p. 573). Secondo Comes (loc. cit.) l’impollinazione omoclina è possibile, giacchè gli stami che in principio sono più corti dello stilo, diven- tano in seguito più lunghi, ed a sviluppo completo rasentano lo stimma con le loro antere riboccanti di polline. Anche Kerner (loc. cit. p. 358) riporta che l’autogamia in Ni- cotiana, come in Hyoscyamus, è dovuta all’ allungamento delle foglie fiorali, per cui gli stami saldati alla corolla, vengono por- tati sopra i margini laterali dello stimma. Egli ha constatato che (1) I fiori e gl’insetti; Genova, 1904, p. 63. (2) Die Geschl.-Vertheilung ecc. Leipzig, Engelmann, 1867; p. 18. (3) Bliitenbiol. Beitrige, II: Jahrb. f. wiss. Botanik, XXIII, p. 209; 1891. “+ toa La “ vi PE, e 4 «“ > iù Pi cm e | l’allungamento che + >) in N. Tabacum è circa '/, cm. | n ARIE. (Ct SIR] Secondo Mattei (loc. cit. p. 35) N. rustica è forse più falenofila. che sfingofila. Focke (1) ha osservato che gl’ibridi di N. rustica e N. pa- niculata (ambedue visitate normalmente da falene) erano frequen- tati da Bombus lapidarius che forava il fiore per succiarne il nettare, che nell’ibrido sembra più abbondante che nelle forme genitrici. Infatti lo stesso Bombus non visitò la N. rustica che fioriva accanto. N. Tabacum L. Al principio della fioritura lo stimma è già ma- turo, mentre le antere talvolta sono ancora chiuse e talaltra sono già aperte; si ha cioè proteroginia od omogamia. Anche l’altezza delle antere rispetto allo stimma non è sempre la stessa. Un’antera è sempre più bassa dello stimma, le altre quattro. o sono ad eguale altezza o di poco più in basso; ovvero due di esse sono allo stesso livello dello stimma e due ad un’altezza maggiore. L’incrociamento è quindi favorito solo nei fiori debolmente proterogini, e nei fiori omogami in cui gli stimmi sovrastano le antere. In tutti è facile l’autoimpollinazione spontanea e nella massima parte dei casì è inevitabile; questa, dagli esperimenti di Darwin (2), è coronata da successo. La corolla è lunga 50-60 mm.; la sua porzione inferiore, concavo- cilindrica, ha circa 30 mm. di lunghezza e 5 mm. di larghezza; la porzione superiore, allargata a campana, ha alla fauce un dia- metro di circa 10 mm. ed i lembi sono patenti, rosei, e forniti cia- scuno d’una linea mediana più cupa. Il nettare viene prodotto dalla porzione basale, di colore aran- ciato, dell’ovario e così abbondantemente da raggiungere una consì- derevole altezza nella parte inferiore del tubo. I filamenti, concresciuti per qualche tratto col tubo, sono coperti di soflici peli. Da tutta la disposizione delle parti fiorali sì arguisce che l’impol- linazione è adattata alle farfalle (ArcAQner) (3). Tra i visitatori, Knuth (Handb. d. Bliitenb. II, 2, p. 184) nel giardino botanico di Kiel os- servò Macroglossa stellatarum, ed anche api. (1) Hummeln und Taback, Kosmos, IV, p. 478, 1880. (2) Gli effetti della fecond. iner. e propria, p. 267. (3) Neue Beobachtungen, p. 52, 1886. Liga al 5 Sette Spiate DES: (Diludia ee Dru., 3 A duponchelei Pos. | Phlegetonthius cingulata Fabr., Thlbphonita ello L., Anceryx alope Dru., Eusmerinthus jamaicensis Dru., Pachylia ficus T7 Dupo vitis L., Argeus labruscae L., Theretra tersa L. e Deilephila lineata Fabr.) da lui catturate in tre sere consecutive, presso Kingston nella Gia- maica, su i fiori di N. Tabacum. Molte Nicotiana esotiche sono da noi coltivate. N. acutifolia Burb.dell’America meridionale, ha fiori bianchi, odorosi, che si aprono di sera, con tubo lungo 3 cm. N. affinis Hort. pure dell'America me- ridionale, ha fiori bianchi, visibili nella notte o nel crepuscolo, che emanano un odore analogo a quello del caprifoglio. N. decurrens Tausch, del Brasile, ha fiori pure bianchi, aprentisi la sera ed esalanti un forte odore cario- fillino. N. noctiflora Hook., del Chili, ha tiori che si aprono parimenti la sera, con tubo lungo 3 cm. N. persica Lindl. ha fiori giallastri con tubo lungo 4 cm. Sono tutte sfingofile (Mattei, loc. cit. p. 35). N. glauca R. Grah., au- togama, secondo Comes (1874), è visitata da Nectarinia chalybea — nel Sud-America — secondo Marloth (Ber. bot. deuts. Gesells. XIX, 1901, p. 179). Un colibrì ucciso da Fries R. E. (Ornithoph. i. d. sidamerikan. Flora, p. 408- 409) mostrava polline della suddetta specie fra le penne anteriori del capo e della base del becco. N. cordifolia Phil. secondo osservazioni di Johow (Bestiiub. chilen. Bliit.. II, p. 32-83) è visitata da colibri a Masatuera nell’isola di Juan Fernandez, e N. affinis Hort (?) è menzionata dallo stesso autore (l. c., p. 34) come una delle specie americane che esercitano la maggiore attrattiva peri colibrì. N. fragrans Bernh. è pure autogama (Comes, 1874). Gen. Salpiglossis R. et P. Salpiglossis sinuosa KR. et Pav. produce, secondo De Bonis, fiori cleisto- gami; e ne produce pure, se coltivata in terreni magri, argillosi, $S. varia- bilis secondo E. Hackel (Bot. Centralblatt, BA. 60; cit. da Knuth, Handb. d. Blit. II, pag. 142). Gen. Physochlaena. Phys. orientalis G. Don. La corolla violetto-scura, percorsa da venature reticolate, forma un tubo lungo 18-20 mm., gradatamente allargantesi, il cui diametro di circa 4 mm. nella parte inferiore, raggiunge 12 mm. nella por- zione superiore. Lo stilo sorpassa di 6 mm. le antere sporgenti dalla bocca del fiore. Il nettare è secreto da un anello carnoso alla base dell’ovario, ed è pro- tetto da un rivestimento peloso che guarnisce l’interno della corolla e le basi dei filamenti staminali. La decisa proteroginia e la lunghezza dello stilo assicurano l’eteroimpol- linazione mediante le visite degl’insetti: Apis mellifica e Halictus cylindricus, n° TURE VISIT î Nello di giardino è pure diltivata È una “verisià la quis (ci dis ting ue | dalla forma principale per una maggiore grossezza e lunghezza del tubo | co- | rollino e per avere lo stilo più corto, cheappena giunge all’altezza delle antere, analogamente a quanto Ledebour (Flora rossica, III, pag. 185) riferisce per l’affine I/yoscyamus physaloiîdes L. Gen. Petunia Juss. P. nyetaginiflora Juss. ha fiori bianchi, lievemente odorosi, a tubo molto stretto e lungo cinque centimetri, in fondo al quale si raccoglie il nettare. All’aprirsi del fiore i cinque stami sono disposti in tre serie: lo stame infe- riore è il più corto, i due superiori lo sopravanzano in lunghezza, i due la- terali sono più lunghi dei due precedenti. Lo stilo è appena più lungo di questi due ultimi, si curva all’apice e porta in alto la superficie stimmatica, cosicchè il polline delle due antere vicine non può in nessun modo cadere da sè su la stimma. Il fiore è così disposto per l’impollinazione incrociata mediante gl’insetti. Piante sottratte alla visita degl’insetti non hanno abbonito nessun frutto (Comes, loc. cit.). Macchiati (Catal.) elenca per questa specie, Pieris, microlepidotteri Musca domestica, Sarcophaga carnaria ed altre mosche grosse, Polistes gallica. Secondo Mattei (loc. cit., pag. 76) è sfingofila. Secondo .Johow (1. e. p. 34) è eventualmente ornitofila. I fiori di P. violacea e viscosa, visitati prevalentemente da farfalle cre- puscolari, esalano durante il giorno un odore assai debole o nullo, ma dopo il tramonto del sole l'odore è assai forte (Kerner, loc. cit. pag. 200). Ingen (1) e Mann (2) riferiscono che i fiori vengono forati da specie di Bombus e da Xylocopa. Pet. violacea secondo Darwin è autosterile. P. hybrida Hort. Nell’Equatore, secondo Lagerheim (Best. v. Brack. ledif. p. 114) i fiori di ceppi coltivati erano visitati da colibrì. Gen. Nierembergia R. et P. N. calycina dal tubo esilissimo, lungo 8 em., è sfingofila (Mattei, loc. cit. p. 35). N. filicaulis Lind]. è proterogina secondo Francke (Dissert. 1883, p. 17-18). I filamenti staminali sono addossati allo stilo, e le loro antere sono rico- perte dallo stimma. Gen. Sarachea I. et P. S. viscosa Schrd. è pure proterogina, con possibile autogamia mediante l'intervento degl’insetti (Francke, Diss. p. 17). (1) Zumble-Bees and Petunia; Botan. Gazette, XII, p. 89. (@) Xylocopa perforating a Corolla-tube; Psyche, III, p. 298. FRS, pinnatus pesta rus Hook. hanno i due stami sviluppati ir- Hate di guisa che scattano e lanciano il polline quando un insetto si posi sopra di essi. Lo stilo in questo frattempo è situato in modo che lo stimma si trova fra le antere e le estremità dei due stami corti, abortiti; ma più tardi esso si distende e sorpassa in lunghezza i due stami lunghi, «cosicchè lo stimma viene toccato prima da un insetto che visita il fiore. Oltre l’impollinazione incrociata che, nelle località ricche d’insetti, è la più frequente, può pure accadere l’autoimpollinazione spontanea (Hilde- brand) (1). Gen. Cestrum L. C. Parqui L'Her. ha corolla giallo-verdognola, a tubo clavato, lunga 18-20 mm. I fiori, odorosi di notte, sono, come quelli di C. aurantiacum. Lindl. del Guatemala, forse più falenofili che sfingofili (Mattei, loc. cit. p. 30). Nel genere Cestrum l’autogamia, alla fine della fioritura, è pro- dotta dal fatto che lo stimma passa attraverso il tubo della corolla che cade, e viene così in contatto col polline. In C. aurantiacum, le cui antere, portate da filamenti rigidi e lievemente curvati in dentro, sono premute su lo stilo, la corolla rimane ordinariamente per due giorni dopo il suo distacco attaccata allo stilo, e cade in- sieme con questo soltanto dopo avvenuta la fecondazione. (Kerner, loc. cit. p. 359). R: E. Fries (1. c. p. 407) in alcuni casi osservò il colibrì C'Aloro- stilbon aureoventris a visitare i fiori di Cestrum campestre Gris., del- l'Argentina. Gen. Lycium L. L. europaeum L., dai .fiori roseo-pallidi, è . proterogino (Fran- cke) (2). L. barbarum L., come riportano Miiller (3), Kirchner (4), Knuth (5), è omogamo; proterogino secondo Kerner (I. c., p. 358). Il nettare secreto dall’ovario si raccoglie nel fondo del tubo, lungo 7-10 mm. Questo è internamente glabro, e solo alla fauce è for- (1) Ueber die Vorrichtungen an einig. Bliit. zur Befrucht. durch Insekten- lvilfe, Bot. Zeit. 10, 1866, p. 76. (2) Einige Beitr. z. Kenntn. der Bestiub.-einricht. d. Phanzen; Inaug. Dis- -sert. Freiburg i B. — Halle, 1883. (3) Die Befruchtung ete., p. 275. (4) Flora von Stuttgart, p. 565. (5) Blumen und Insekten auf den Nordfriesischen Inseln; Kiel und Leip- zig, Lipsius und Tischer, 1894, p. 108. zione, e quest’ultima ha luogo nella massima parte dei casi, man- RIT le visite degl’insetti (Miller, loc. cit.). Secondo Kerner (loc. cit., p. 358) l’autogamia nei fiori di questa specie è dovuta all’ sliiogalanato della corolla combinato con quello dei filamenti staminali: mediante tale allungamento (di '/, cm. in 24 ore) le antere vengono inalzate all'altezza dello stimma. Oltre la forma dei fiori descritta da Miiller, Knuth ne trovò altri in cui lo stimma era un po’ più lungo delle antere; in questi fiori lo stimma era piegato in basso e le antere rivolte in alto, cosicchè l’eteroimpollinazione vi è favorita, poichè gl’imenotteri, penepeinio nei fiori, vengono a contatto prima con lo stimma e poi con le an- tere. Più tardi, quando i fiori già cominciano a perdere il loro co- lore violetto, i filamenti sono allungati di tanto che lo stimma viene a contatto con le antere ed ha luogo l’autoimpollinazione spontanea. Miiller (loc. cit.) riporta come visitatori: Apis mellifica, frequente, Bombus agrorum, B. lapidarius, entrambi succianti nettare. In « Weitere Beob. » (III, p. 23) aggiunge ancora: Anthophora aestivalis, A. quadrimaculata, Bombus Itajellus, B. silrarum, B. tristis, Eucera longicornis, Melecta luctuosa, fra gl’ ime- notteri, e Syrphus balteatus. L. arabicum Schwfth. secondo E. Fisch (1) è proterogino. Il nettare è accessibile soltanto ad insetti a lunga tromba, come per L. barbarum osservava lo Knuth. L’allungamento dei filamenti staminali mediante il quale è possibile l'’autogamia, come Kerner riferisce per L. barbarum, non fu constatato in questa specie. I fiori pendenti sono più o meno protetti contro la pioggia, ma non lo sono invece quelli eretti. Manca pure in questa specie il rivestimento peloso che già Sprengel (Das entdeckte ete., p. 150) per L. afrum ed americanum, e Miiller per L. barbarum, riguardarono come mezzo di protezione del nettare. L. tubulosum Nees., arbusto od albero del Sud-Africa, ha fiori pendenti, bianchi, nettariferi. La corolla è notevolmente curvata, lo stimma è comple- tamente lontano dalle antere, cosicchè l’eteroimpollinazione è assicurata. Scott Elliot (Ornithoph. Flow. p. 271) ne vide i fiori frequentemente visi- (1) Beitrdge z. Bliitenbiologie; Bibliot. Botanica, Heft 48, p. 58, 54; Stutt- gart, 1899. volta lo stimma è Pian in su, sopra gli st stami. "in © O STA PSR Gl’ insetti visitatori possono effettuare etero ed autoimpollina» Na ‘od altri imenotteri. di, da 3 inia chalyi noltre entrano nei fiori coleotteri, ° d L. capense Mill. è analogo a L. barbarum descritto da Miiller. Quali visitatori Scott Elliot (S. Afric. p. 366) osservò al Madagascar Apiîs mellifica e diverse farfalle diurne. L. cestroides Schlecht. e L. confusum Dammer del Sud-America sono visitati secondo Fries (1. c. p. 402-404-406) da colibri, e Cokerell nel Nuovo Messico osservò api — Paranomia nortoni e Podalirius bomboides var. neo- mexicana a visitare i fiori di L. vulgare Dun. (Bot. Jb. 1901, II, p. 583). Gen. Jochroma Benth. J. macrocalyx Benth. è una specie sud-americana visitata esclusivamente dai colibrì. Quando il fiore si apre, emerge innanzi tutto lo stimma maturo, ma poco dopo gli stami si distendono e sovrastano infine lo stimma. L’autoim- pollinazione però viene evitata per la posizione pendula dei fiori. Il nettare è secreto abbondantemente alla base dell’ovario. Questa specie è interessante per la presenza di idatodi (1). Il calice è alla base largo 12-17 mm; quindi molto di più del tubo corollino, mentre in alto è solidamente addossato al tubo della corella. Qualora con la punta di un coltello si faccia un piccolo foro nel calice e lo si prema, ne sprizza su- bito fuori un getto d’acqua. È la parete interna del calice che è rivestita da tricomi secernenti acqua — idatodi —, analoghi a quelli descritti da Treub (2) nella bignoniacea Spathodea campanulata. De Lagerheim (Biolog. d. Jochr. macrocalyx, etc.) crede che questo li- quido — la cui presenza è costante — abbia un’importanza per la pianta. Questa va in fiore prima che si sviluppino le foglie, perciò i bottoni fiorali sono esposti ai raggi verticali d’un sole equatoriale ed alla forte irradiazione notturna. L’acqua rimuove queste dannose influenze, impedendo l’appassire ed il troppo rapido raffreddamento della gemma fiorale. Ma l’acqua che rimane nel calice per tutta l’antesi è utile ancora in altra guisa. Come i bombi, anche i colibrì — quando l’accesso legittimo al nettare sembri loro in qualche modo difficile — sanno praticare un foro alla base della corolla ed in tal modo frodarla del nettare. Ma quando essi tentano di forare in basso la corolla di J. macrocalye, devono prima praticare un foro nel calice, dal quale sprizza immediatamente l’acqua, che li trattiene da ulteriori tentativi per impadronirsi del nettare. Infatti De Lagerheim trovò molto spesso dei fori nel calice, ma non ne osservò quasi mai nella (1) HaBeRLANDT G. — Bau und Function der Hydathoden, Ber. d. deutsch. bot. Gesells. 1894. (2) Les bourgeons floraux du « Spathodea campanulata » Beauv.; Ann. du Jard. botan. de Buitenzorg, vol. VIII, p 38-46; Leide 1889. Delpino (Note ed osserv. bot., Decuria I, Malpighia III, 1889) riassumendo questo lavoro del Treub, non ne accetta la funzione protettiva attribuita agl’idatodi. mellifica = i q CALO i « fila, ciò che E rgvalohe l'acqua: è un Scoslicnte mezzo di P i ezione de l’accesso fraudolento al nettare. I IPC pr ce JI. tubulosum Benth., nativo del Messico, è proterogino, e come già Del- {°° BS pino (Altri appar. dicog. recentem. osservati, N. G. Bot. It. II, 1870) suppose, SQ 6 visitato dai colibrì, notati ripetutamente dallo Knuth (TIT, 2, p. 102) nel x Pr giardino botanico di Berkeley. i 24 Gen. Solanum LL. S. Dulcamara L. ha fiori omogami. Dal centro della corolla stel- lata si eleva il cono giallo delle antere, sovrastate dallo stilo spor- gente. Ogni antera si apre per due fori apicali. L’inerociamento mediante gl’insetti è favorito dalla posizione degli organi sessuali, poichè lo stimma viene toccato prima delle antere (Mac Leod) (1). Delpino (2) riferisce Solanum al tipo Borragineo, adattato alla fecondazione mediante l'intervento degli apidi, ed osservò che Sol. Dulcamara è visitata da parecchi bombi, specialmente B. italicus. Ma Miiller (3) non divide le vedute così esclusiviste del Delpino. Egli riguarda la disposizione fiorale di Sol/anum come eccellente- mente adattata ai ditteri, che effettivamente toccano con la loro tromba le cinque prominenze verdi, orlate di bianco, che a due a due stanno alla base dei petali violetti, lanceolati, — e che rap- presentano dei falsi nettarii — e poscia lo stimma e l’estremità del cono delle antere, fornita di polline. Miiller (4) non sorprese nei fiori di S. Dulcamara altro insetto che Rhingia rostrata, ma Delpino (loc. cit.) pensa che tale visita sia affatto accidentale e di nessuna importanza, mentre per Miiller ( Weit. Beob.) la visita dei ditteri dev'essere di efficacia decisiva per la conservazione della specie, dal momento che così spesso manca totalmente la visita delle api. Del resto anch'egli in « Alpenblumen » (p. 267) tra i visitatori cita Bombus lapidarius, Syrphus sp.? e Pieris brassicae. Questo lepi- dottero è stato pure osservato da me diverse volte a Mortara ed a Casalmaggiore, dove S. Dulcamara è frequente fra le siepi. Hoffer (5), osservando nei dintorni di Graz, riporta che S. Dul- camara è il fiore preferito di Bombus hypnorum, ed anche B. lapi- darius vola in talune località preferibilmente per i fiori di questa 1) Over de Bevruchting etc., p. 187. (2) Ulter. Oss. II, 2, p. 295. (3) Weitere Beobachtungen, III, p. 20-21. (4) Die Befruchtung, p. 275. "i (5) Beobacht. ii. Bliithenbesuchenden Apiden, Bot. Jahresb. BA. IV, p. 741, 1885. , peiti 2 die TASSA A Se da da “ Ca È Soi P - . al Meo h T a .d. Blut. Ep. 199) osservò Syritta «AA sj Eristalis ‘tenas; Apis mellifica, Bombus terrester, cosicchè il fiore sembra adattato ai due gruppi di visitatori. La descrizione delle disposizioni fiorali data da Kirchner (1) concorda con quella di H. Miiller. S. tuberosum L. ha fiori varianti dal bianco al violaceo, privi di nettare ed omogami (Miller, Knuth loc. c., p. 109). Il cono giallo ' delle antere si eleva dal centro del fiore, ed è traversato dallo stilo che, col suo stimma capitato, alquanto piegato in basso, le sovrasta. Malgrado le ripetute osservazioni, Miiller (2) non constatò che due sirfidi — Eristalis tenax e Syritta pipiens — a divorare il pol- line di questa specie. In conseguenza della sua posizione sovrastante ed inclinata in basso, lo stimma viene per lo più toccato prima dai sirfidi visitatori, i quali favoriscono l’inerociamento nel caso che fossero già sporchi del polline d’altro fiore precedentemente visi- tato. Il piegamento in basso dell’estremità stilare in molti fiori è così forte, che lo stimma viene a trovarsi su la linea di caduta del polline, cosicchè è inevitabile l’autoimpollinazione mancando le vi- site degl’insetti. Ad ogni modo Treviranus (Bot. Zeit. 1863, p. 6; cit. da Miiller, loc. cit.) non ha pienamente ragione riferendo che le specie di Solanum si autofecondano a causa del piegamento dello stilo contro le antere. Mac Leod (3) riporta d’aver osservato Meligethes sp. e Pieris bras- sicae che spessissimo caccia l'estremità della sua tromba nel fondo luccicante del fiore, come se volesse succiarne il nettare. Kirchner (4) nomina come visitatori Bombi e Sirfidi: secondo Delpino (loc. cit.) i fiori sono esclusivamente melittofili e Darwin (5) osservò calabroni. Presso Kiel, nei fiori per lo più proterogini, Knuth (l. c. p. 128) osservò Syrphus balteatus e Meligethes; ad Helgoland notò due mu- scidi: Coelopa frigida e Lucilia caesar. La specie è coltivata, ed alcune varietà sono completamente ste- rili, se non vengono fecondate col polline di un’altra varietà. S. nigrun L. ha fiori bianchi, senza nettare, omogami. Le antere sono un po’ più corte dello stilo, ed i filamenti staminali rigidi e brevi, sono coperti da peli rari, alquanto crespi, ai quali possono ag- grapparsi gl’insetti visitatori — api, bombi, sirfidi. Di notte i fiori (1) FI. v. Stuttgart, p. 566. (2) Die Befruchtung, p. 274-275 (3) Loc. cit. p. 187 in nota. (4) FZ. v. Stuttgart, p. 566. (5) Gli effetti della fec. incr. e propria, p. 279, in nota. CR tin 2° 78 se Pa "NE ia rimangono ‘obi (Iirchmett i fr dfn i riporta Melithreptus scriptus e Sì fatta pipiens; gd (1) osservò — pronube le api e i bombi. Mae Leod (loc. cit. p. 553) cita pure Sy- SA ritta pipiens. Knuth {l. c. p. 129) riporta Apis, Anthophora sp., Bom- bus agrorum, B. terrester. In « Weitere Beobachtungen » (III, p. 25) Miiller ribatte ancora le sne ragioni contro Delpino che anche per questa specie contesta l’etticacia della visita dei sirfidi, che ritiene puramente accidentale. Quantunque in S. nigrum, egli scrive, l'adattamento ai sirfidi non sia così evidente come in S. Dulcamara, pure di quando in quando an- che in S. nigrum si mostrano i primi rudimenti di tale adattamento. Le punte dei petali hanno talvolta una macchia violetta, e spesso lungo la loro linea mediana sì estende sin verso la fauce una sot- tile striscia dello stesso colore. E la fauce è abitualmente di colore aranciato. Robertson (Flow. Ascl. p. 582) nella Florida ne vide i fiori visitati da Bombus virginicus, e nell’Illinois da B. virginicuse B. americanorum. Johow nel Chilì osservò B. chilensis (Zur Bestiub. chilen. Bliiten). N Lycopersicum L. (Lycopers. esculentum Mill.) ha fiori omo- gami, privi di nettare. Dal mezzo del fiore sorge il cono degli stami, dai filamenti brevissimi e dalle antere di color giallo-oro, assotti- gliate all’ estremità ed aprentisi per due fenditure longitudinali ciascuna. Lo stilo filiforme che sorge dall’ovario globoso e traversa il cono delle antere, termina con uno stimma quasi alla stessa altezza delle antere, ovvero un po’ più in alto od un po’ più in basso. Tutta la disposizione fiorale ha molta analogia con quella di Borrago officinalis, e Delpino (Ulter Oss. II, 2, p. 295, 1875) rife- risce il fiore al tipo borragineo, melittofilo. I fiori sì aprono separatamente e la corolla, gialla, è in parte na- scosta dal calice, cosicchè i fiori sono poco appariscenti e poco visi- tati dagl’insetti. Quantunque questi possano effettuare l’incrociamento specialmente nei fiori che hanno lo stimma alquanto sporgente dal cono delle an- tere, l’autoimpollinazione spontanea ha luogo certamente in tutti i fiori che per avventura non si trovino eretti. Ordinariamente i fiori sono pentameri, tuttavia si nota non di rado un aumento nei membri di tuttii verticilli (Airc/hner) (2). Ponzo (L’autogamia etc. III, p. 10 estr.) dice che l’autoimpollina- zione è facilmente determinata dalla deiscenza delle antere per la (1) Das entdeckte Geheimniss ecc. p. 129. (2) Beitrlige zur Biologie der Bliiten, p. DI; 1890. La ‘abbondant GI PELÒ a a fruttificazione . N Ò s mt na e autofecondazione è seguita d è.” | | Fink Bruce (Poll. and reprod. of « Lycopers » esc.) trovò i fiori proterogini e visitati da Bombi raccoglitori di polline. S. rostratum Dun. è una specie americana (Texas, Nebraska, Jowa) molto interessante, descritta ed illustrata da Todd (Am. Natur. XVI, 4 p. 281;1882). I fiori, dalla corolla di color giallo-zolfo, privi di nettare e d’odore, pre- sentano cinque stami, dei quali quattro sono della forma solita e normale, mentre il quinto — l’inferiore — ha quasi una lunghezza doppia degli altri «e termina con un’antera molto alluncata e ristretta all’estremità in una D punta rivolta in alto. (È questa irregolarità che meritò senza dubbio alla pianta il nome specifico che ha avuto). i Il pistillo, che nella forma generale e dimensioni e posizione rassomiglia ‘all’antera ora descritta, è rivolto con la punta dello stilo in direzione op- posta a quella dell’antera. Inoltre il pistillo e lo stame più lungo, in fiori differenti, cambiano direzione, cosicchè in alcuni lo stilo è rivolto a destra e lo stame a sinistra, ed in altri avviene il contrario. Il prof. Todd ha chiamato destrostili (right-handed) quei fiori con lo stilo rivolto a destra, e Zevostili (left-handed) quelli con lo stilo volto a sinistra. Egli ha pure osservato che in uno stesso racemo — orizzontale e privo di brattee — si succedono sempre, alternandosi, un fiore destrostilo ed uno levo- stilo, ed è fiori aperti nello stesso tempo dello stesso ramo sono o tutti de- strostili o tutti levostili: soltanto in grandi ceppi si presentano fiori de- strostili e levostili in numero quasi eguale. Il vantaggio di tali disposizioni è così ovvio, che una spiegazione appare ‘appena necessaria. Come nella maggior parte delle irregolarità presentate dai fiori, si ha in questo caso una disposizione per favorire l’incrociamento. Ed ecco come. Se un bombo — come Todd osservò — viene a visitare un fiore levostilo, in cerca di polline, esso invariabilmente se lo procura dalle antere dei quattro stami più corti, giacchè non ebbe mai ad osservare che lo cercasse dallo stame più lungo. Afferrando ciascuna antera, presso la base, fra le sue man- dibole, con una specie di milking motion (Melkbewegung, secondo Miiller) ne fa uscire il polline dal poro terminale, mentre col movimento delle sne ‘zampe spinge ripetutamente indietro lo stame (elastico) lungo, che lancia una nuvoletta di polline sul corpo dell’insetto. Se questo poscia vola su un fiore destrostilo che, come è stato detto, molto probabilmente non è su lo stesso ramo ma su un’altra pianta, il pol- line della maggiore antera del fiore levostilo viene inevitabilmente deposto su lo stimma del fiore destrostilo. Analogamente operando in un fiore de- strostilo, il polline verrà deposto su lo stimma d’un fiore levostilo che esso più tardi visiterà. La specie in parola, come Miiller (Kosmos, VII, 4; 1883) ha dimostrato, presenta un esempio di divisione di lavoro da parte delle antere, assicu- rando l’inerociamento mediante pochi stami. In questo pito, le antere di e cofo cas sono dì Ive nella forma, in quanto che quattro di esse — le più corte — forniscono aio bombi il polline per l'alimento (Bekdstigungsantheren), mentre una, DIS lunga, cede il polline per la fecondazione (Befruchtungsanthere). Questa divisione di lavoro combinata con l’enantiostilia, cioè con la presenza di fiori destrostili (recktsgriffeligen) e levostili (linksgriffeligen Bliiten) contribuisce ad assicurare l’incrociamento nella stessa guisa che l’ete- rostilia dimorfa (1), poichè i bombi intermediari dell’incrociamento, mentre sfruttano le quattro antere più corte — Bekdstigungsantheren —, ricevono dalla Befruchtungsanthere una nuvoletta di polline sul lato destro del loro corpo nei fiori levostili ed a sinistra del corpo nei fiori destrostili; e questa nuvoletta essi depongono su gli stimmi dei fiori diretti in senso opposto (Knuth, Handb. I, p. 129). S. glaucum Dun., del Brasile, presenta antere a soffietto (Blasebalgan- theren) le cui pareti molto elastiche lasciano al minimo urto sfuggire dai due pori terminali una nuvoletta di polline finissimo e leggiero (Delpino Ult. Oss. II, 2, p. 139-140); antere analoghe a quelle delle Melastomacee. S. palinacanthum Dun. secondo F. Miiller produce, nel Brasile, fiori lon- gistili e brevistili su lo stesso individuo. Questi ultimi sviluppano stimmi papillosi e ovuli apparentemente normali nell’ovario, ma ciò nonostante fun- gono da fiori maschili, venerdo esclusivamente visitati da api raccoglitrici di polline — Melipona, Euglossa, Augochlora, Megacilissa, Eophila, ete. — le quali non cacciano mai la loro tromba tra i filamenti (Nature, XVII, p. 78). La riunione di Delpino di diverse forme fiorali entro categorie fisse è stata censurata, ed una delle critiche più severe di Miiller riguarda il tipo Borragineo, a cui Delpino riferisce 1 Solanum. In un recente lavoro, A. Harris (The Dehisc. of Anthers by Apical Pores, 1905), senza dare un apprezzamento completo su la classifi- cazione di Delpino, ritiene come. soddisfacentemente provate dalle osservazioni posteriormente accumulate, le generalizzazioni di Del- pino per questo tipo. Sol. Dulcamara — considera l’Harris — appartiene evidentemente al tipo Borragineo di Delpino. I sirfidi e lepidotteri osservati da Miiller devono essere riguardati come visitatori accidentali o insigni- ficanti. Dalla maggior parte delle osservazioni risulta che ,S. Dulca- mara è poco visitato, ma Hoffer in una località trovò i visitatori molto abbondanti ed attivi — non meno di 7 specie Bombus ed una di Osmia, osservando pure /2hingia, Volucella ed Argynnis. Su S. elae- (1) Willis (The present position of floral Biology) non accetta queste ve- dute di Miiller, avendo Burck dimostrato che i fiori di Cassia, pur avendo lo stilo rivolto ora a destra ed ora a sinistra, sono veramente autofertili. #\ rn ur ‘specie d di quid ni a 15 generi si A Parà, nel Brasile, Ducke (Beod. I, p. 7 e seg.) osservò come visitatori di Sol. grandiflorum (corolla violacea, diam. 2 ‘,,-3 pollici) . una specie di Oxaea, di Xilocopa, di Bombus e d’Halictus e 6 di Centris. Nella stessa località egli osservò una specie di Halictus, T specie di Euglossa ed una grande specie di Melipona, visitanti i fiori di Sol. toxicarium. In una specie indeterminata a fiori bleu egli men- ziona solo specie di Melipona specialmente M. fasciata, Bombus cayen- nensis e Halictus. Darwin: riferisce le osservazioni di Fritz Miiller su S. palinacanthum a S.ta Caterina nel Brasile, visitato esclusivamente da api raccoglitrici di polline. Sol. sysymbrifolium, dal profumo molto pronunciato, secondo osservazioni dello stesso Harris richiama api in gran frequenza. Nella sua nota su le api solitarie del Brasile, Schrottky riporta Sol. Balbisiù (= S. sysymbrifolium) come uno dei principali fiori visitati da Az/ocopa. Quantunque poche, queste osservazioni — conclude l’Harris — indicano chiaramente il vero metodo d’impollinazione nelle specie actinomorfe del vasto genere Solanum. Poche specie sono zigomorfe. Su due di queste furono fatte osservazioni dirette e tutte e due hanno mostrato di essere adattate esclusivamente all’impollinazione me- diante grandi api, essendo state osservate Apis e Bombus, nonchè al- cune delle api più piccole. Gen. Capsicum L. C. annuum L.I fiori hanno corolla bianca, a lobi bislunghi, acuti. Gli stami, eretti, circondano l’ovario ed hanno antere bluastre, le quali deiscono per fessure longitudinali. Queste diventano così larghe che inevitabilmente il polline biancastro, farinoso, deve arrivare su lo stimma, il quale si trova alla stessa altezza delle antere. All’aprirsi del fiore le antere sono ancora chiuse e lo stimma non è neppure vischioso; però questo diventa sessualmente maturo prima della deiscenza di quelle. L’ovario secerne piccole gocce di nettare, e, di insetti visitatori dei fiori, Kirchner (loc. cit. p. 52) osservò solo TArips e formiche. Gen. Physalis L In questo genere il calice continua a crescere dopo la fioritura e forma una specie di vescica cartilaginea che chiude la bocca. P. Alkekengi L. è stata già descritta da Sprengel (1). (1) Loc. cit. p. 127. ANNALI DI BoTANICA — VoL. V. 3 dra di SANI — di rado sul (no ariano sono no e pendono in E sono piegati obliquamente. Su la corolla si trovano quali nettarin- dici delle venature verdicce, e sul punto d’inserzione degli stami si osserva un numero di macchie più verdi disposte circolarmente. Il nettare è secreto în scarsa quantità dalla base gialla dell’ovario, verde nel resto; è raccolto nel fondo del tubo e protetto da piccoli insetti mediante peli che sì trovano alla base dei filamenti staminali. Lo stimma è già sviluppato quando il fiore sì apre, e sovrasta di circa 4 mm. a brevi stami, le cui antere sono ancora chiuse. Gli stami sono dapprima inclinati verso l'esterno e le antere si aprono all’esterno; ma più tardi essi si avvicinano alquanto allo stimma ancora vivace ed ancora sovrastante, cosicchè per la posi- zione inclinata del fiore è possibile che il polline cada spontanea- mente su lo stimma (Atrcehner). (1) Secondo Kerner (loc. cit. p. 358) l’autogamia nel gen. PAysalis è dovuta all’accrescimento delle foglie fiorali, analogamente a quanto siè detto per Hyoscyamus. Nei fiori di P. Alkekengi (loc. cit. p. 246) si osservano nel tubo della corolla cinque docce, le quali diventano canali poichè verso il centro del fiore sono ricoperte dai filamenti villosi degli stami. E poichè le antere sono rivolte col lato coperto di polline verso l’apertura dei tubi, gl’insetti le toccano inevitabil- mente e si caricano di polline, quando vi introducono il loro suc- clatoio. Ph. virginiana Mill. e P. philadelphica Lam. secondo Robertson (Flow. XIV, p. 146) concordano nelle disposizioni fiorali con P. lanceolata Mchx. L’eteroimpollinazione è assicurata dalla proteroginia e dallo sporgere dello stimma oltre le antere; mancando le visite degl’insetti può avvenire l’autoga- mia come in P. Alkekengi. Nell’Illinois la fioritura delle specie di Physalis coincide col tempo in cui volano i loro insetti, intermediarii dell’impollinazione, Colletes awilli- stonii e C. latitarsis (Robertson, Am. Natur. XXIX, 1895, p. 109). Gen. Nicandra Adans. N. physaloides Gaertn. ha corolla azzurro-violacea con fondo chiaro, sulla quale cinque macchie d’azzurro cupo, alternanti con gli stami, fungono da nettarindici. La parte inferiore giallo-pallida del- l’ovario, di color turchino chiaro nella porzione rimanente, secerne nettare che si raccoglie nel breve tubo ; i filamenti, con la loro base allargata e guarnita di peli ai margini, formano una volta ben - (1) Neue Beobachtungen ecc. p. 52, 1856. n stilo (Kirchner). 1) L’autoimpollinazione spontanea vi ha luogo facilmente per la ‘curvatura a semicerchio che subiscono i filamenti, venendo così le antere a contatto con lo stimma. Questo, appena un’ora dopo che il polline visi è deposto, non solo diventa vizzo e bruno, ma lo stilo si stacca ben presto dall’ovario e cade al suolo (Kerner, loc. cit. II, p. 209). Nel giardino della scuola superiore di Kiel, Knuth (1. c. p. 130) ‘osservò api a cacciarsi interamente nel fiore per succiare il nettare. Gen. Atropa L A. Belladonna L. ha fiori proterogini, adatti ad esser fecondati mediante i bombi. I fiori sono inclinato-pendenti, la corolla campa- nulata corrisponde nelle dimensioni a quelle d’un bombo. Ei fiori sono effettivamente visitati e fecondati in modo efficace da bombi. (Cfr. per la colorazione dei fiori e l’adescamento dei fiori per i dit- teri stercorari e mosche carnarie: Miiller, A/pendl., p. 499). La corolla ha color rossastro-livido, o violaceo-scuro; il tubo bian- «‘chiccio. Il nettare, secreto dalla base lucente, carnosa, gialla dell’o- vario, sì raccoglie nella parte inferiore, ristretta del tubo ed è reso inaccessibile ai piccoli insetti inutili dal fatto che ciascun filamento nella porzione che sta sopra il serbatoio nettarifero, è guarnito di peli rigidi e rari, di cui è fornita pure la corolla nel punto dove cessa il rivestimento peloso dei filamenti. L’eteroimpollinazione mediante l’intervento dei bombi è assi- curata dalla lunghezza dello stimma che sovrasta considerevolmente gli stami e sì sviluppa sensibilmente prima delle antere. Esso si trova in una tale posizione da essere urtato prima da un bombo od ape che sì introduca nel fiore. Le antere non sono ancora aperte ed a motivo della inflessione delle estremità staminali sono rinchiuse nella corolla; più tardi, quando le antere deiscono e sl ricoprono in- teramente di polline, le estremità staminali si distendono alquanto, ma rimangono sempre inflesse verso la corolla, cosicchè lo stimma le sovrasta ancora in questo secondo stadio, ed è ancora toccato prima delle antere non solo da un bombo che visiti il fiore, ma anche da api molto più piccole (Clissa, p. es.). Le antere superiori, le quali non hanno nessuna utilità per l’etero- impollinazione — che avviene regolarmente — possono servire al- (1) Flora ecc., p. 568; V. pure SPRENGEL, p. 126. Ae È î Mi o È È __ È î ie ì © no = nre LOI "00 “venendo esse in con stimma, quando la corolla cade (Miller (1) Kirchner (2). A tI Miiller (loc. cit. p. 26) elenca tra i visitatori dei fiori di questa. specie: Andrena Gwinana, Anthophora furcata, Apis mellifica, Bom- bus pratorum, Cilissa leporina, Halictus cylindricus, H. leucopus, H. malachurus, Megachile centuncularis, che tutti furono osservati presso Nassau dal dr. Buddeberg. Egli nel giardino botanico di Munster osservò api succianti nettare e Trips che, numerosi, si cacciavano nei fiori, fino al nettare. Knuth (1. c. p. 131) osservò Apis mellifica, Bombus agrorum e B. terrester ; Loew (cit. da Knuth) nel giard. bot. di Berlino notò 5. la- pidarius e terrester; Plateau (cit. da Knuth) presso Gand osservò pure Apis. Kerner (loc. cit. p. 272) ha considerato i diversi movimenti sta- minali che avvengono in questi fiori come uno scambio di posto. destinato a favorire l’incrociamento. Knuth (Handd. d. Bliitenb. II, 2, p. 181) non ha mai osservato cangiamento di sorta nella posi- zione degli organi sessuali. Gen. Mandragora L. M. vernalis Bert. è proterogina (MHildebrand, Geschlechtervert. p. 18), ed a favorire l’incrociamento si avvera lo scambio di posto fra le antere e lo stimma, analogamente a quanto fu detto per Hyoscyamus e Atropa (Kerner, loc. cit. p. 272). Loew (Blitenb. Beîtr., II, pag. 208) nei pochi fiori da lui esaminati constatò soltanto de- bole proteroginia, e nel giardino bot. di Berlino li vide visitati più volte da api mellifiche, che però raccoglievano polline. In ogni caso l’accesso al nettare, a motivo della sua posizione profonda, è limitato normalmente ai più grossi apidi. Sguardo generale su le “ Solanaceae ... La corolla imbutiforme, rotata, urceolata o campaniforme rap- presenta il mezzo di adescamento. Alcune specie (Solanum) offrono soltanto polline agl’ insetti; nelle altre specie il nettare è secreto sotto l’ovario. Il polline è coerente ed il suo trasporto avviene esclusivamente per mezzo degli animali. L'eteroimpollinazione è assicurata dalla proteroginia, e nel caso dell’omogamia essa è favorita dalla posizione sovrastante dello stimma. (1) Weitere Beobacht. III, p. 24. 3 (2) Flora ecc. p. 569. È | È | della fi -% Vv SPREA ST: oritura, dalla diversa posizione che assumono i fiori o dallo scambio di posto degli organi sessuali. Sono proterogini Physalis, Atropa, Mandragora, Scopolia ; omo- gami, Hyoscyamus, Datura, Solanum; omogami o proterogini, Lycium, Nicotiana. Meschina eterostilia mostrano Nicotiana e Datura, e fiori levostili e destrostili si osservano in Solanum rostratum. Visitatori dei fiori in genere, sono imenotteri e ditteri, farfalle «diurne e notturne. Fam. SCROPHULARIACEAE. Gen. Browallia L. (1). B. elata L. è coltivata per i suoi fiori d’un bel color lilacino col tubo lungo e di color giallo-dorato, insieme ad un’altra varietà, più bassa, a fiori azzurrognoli. Il fiore si discosta dalla maggior parte di quelli delle Scrofulariacee per avere una corolla ciatiforme, invece. che bilabiata. L’in- gresso fiorale è chiuso dai due stami superiori, situati alla fauce del fiore, ‘che hanno i filamenti considerevolmente allargati e sono fra loro collegati per le facce interne, cosicchè formano una valvola (valvola staminale: Delpino) che chiude l’ingresso del fiore. Lo stimma, vischioso nel primo stadio, si trova fra le due paia di antere. La valvola staminale lascia però libere due strette aperture, situate in modo che la tromba d’un insetto la quale s’introduca per una di esse, rasenti tanto le fenditure delle antere quanto la capocchia dello stimma. Né Delpino ( Ulter. ‘Oss. p. 140-148), nè Hildebrand (Bot. Zeit. 1870, p. 654, 655) osservarono in- setti su i fiori, ma Delpino suppone che pronubi ne sieno Sfingidi e Bombilidi. Ma Miiller (Befr. p. 276) nota che questa supposizione è in contrad- dizione con l’altra dello stesso Delpino che riguarda la colorazione bruna della valvola staminale come un mezzo atto ad indicare agl’insetti la via al polline, poichè sfingidi e bombilidi visitano i fiori per il nettare. Delpino menziona pure come possibili pronubi dei fiori di questa spe- cie, Antophora sp., ma Miiller pensa che esse sarebbero appena in condi- zione di raggiungere il nettare di tali fiori. Secondo Meehan (Proc. Ac. Sc. Philad. 1876, p. 13) questa specie pro- duce frutti abbondanti anche senza l'intervento degl’insetti, ed anche me- «diante gl’insetti ha luogo l’autoimpollinazione; tale veduta è però confutata da Asa Gray (1. c. 1878, p. 11). Gen. Verbascum L. Il genere conta nella nostra flora una ventina di specie, senza ‘contare quelle dubbie, le varietà e gl’ibridi. . (1) Nel manuale di Post e KUNTZE, « Lexicon Generum Phanerogamarum », questo genere è riferito alle Solanacee. Così pure nello Anuth, Handb. III, p. 111, mentre è incluso fra le Scrofulariacee nel vol. II, 2, p. 142. Die Pl si Ù “a ) n° DE ict Mir SOTTA SI Di azione. a è resa possibile, verso il termine VIE alcuni dicasi accessori. I fiori sono privi di nettare, e visitati da apidi e sirfidi alla ricerca del polline. Dei cinque stami i tre superiori sono più corti dei due inferiori, inoltre quelli sono barbuti nei filamenti, questi li hanno glabri. I peli delicati che rivestono i filamenti staminali nel Verbascum servono secondo le vedute dello Knuth ad accrescere l’appariscenza del fiore; secondo Delpino servirebbero ad offrire un attacco agl’ in. setti visitatori: secondo Kerner vengono mangiati o — secondo Miil-. ler — leccati dagl’ insetti (Anuth, Handb. II, 2, p. 137). Secondo Kerne» (2) il fiore è proterogino. Quando esso si apre, lo stilo è situato in modo che il suo stimma, capitato, debba es- sere incontrato dagl’insetti che muovono verso l’interno del fiore quindi a quest'epoca è possibile soltanto l’inerociamento. Quando più tardi sì aprono le antere e scoprono il loro polline giallo-aran- ciato, lo stimma sgombra interamente la via; lo stilo si piega in basso, per modo che lo stimma nè da sè, nè per mezzo degli insetti può venire a contatto col polline del proprio fiore. Ma verso la fine della fioritura, lo stilo ritorna nella primitiva posizione, si rivolge in alto e lo stimma si poggia sopra le antere ancora co- perte di polline. Anche Comes (1875) constatò l’autogamia dovuta a movimenti simultanei degli organi sessuali. E Darwin (3) riporta che questo Verdascum è completamente autofertile, quando vengano esclusi gl’ insetti. Miiller (4) cita come visitatori dei fiori Apis mellifica, Bombus Schrimshiranus, B. hortorum, Halictus Smeathmanellus © cylindricus, Andrena parcula, Polistes gallica, fra gl’imenotteri; Melophilus flo- reus, Syritta pipiens, Ascia podagrica, fra i ditteri. Heinsius (5) notò Bombus terrestris e Syritta pipiens. V. thapsiforme Schrad. I fiori di color giallo d'oro, molto vistosi, sono debolmente proterogini e privi di nettare e di nettarindice. Dei cinque lobi corollini l’inferiore è più grande ed offre un co- modo posatoio agl’insetti. I tre stami superiori forniti di bianchi peli sono un po’ piegati verso l’alto ed i due inferiori sì protendono di circa 4 mm. fuori del fiore; le loro antere deiscono per una fen- ditura longitudinale nel lato rivolto contro lo stilo. Lo stilo è più (1) ErcuaLer, Bliithendiagramme, I, .p. 208. (2) Loc. cit. p. B4A. i (8) Gli effetti della fec. iner. e propria, p. 68. (4) Die Befruchtuny, ecc. p. 278. (5) Eenige Waarnemingen ecc., Bot. Jahrb. IV, 1892, p. 57. r. pot ca IT fori gialli, sati. sono ani in iaia d ali pauciflori che formano una spiga terminale, a cui si aggiungono | sovrasta circa 4 mm. i due stami inferiori: esso quindi viene Til sno pis aliusateo deo all'apice toccato prima dagl’insetti, ed anche per la proteroginia l’incrocia- mento è assicurato. | Pare che l’autoimpollinazione spontanea non abbia luogo. Visitano i fiori mosche, sirfidi, bombi e farfalle (Kirchner) (1). Cfr. Miiller, Alpenblumen, p. 267. 3 In parecchie località degli Abruzzi io vidi spesso i fiori di questo Verbascum visitati da Pieris e Vanessa. Secondo Maury (Bull. soc. bot. de France 1886, p. 529-536), le antere in questa specie ed anche in V. ZRapsus, phlomoides, floccosum, Lychnitis, Blattaria, blattarivides deiscono all’aprirsi del fiore, quando sono a contatto con lo stimma. Tuttavia non può avvenire la fecon- dazione perchè le papille stimmatiche non sono ancora sviluppate. Schulz (2) riferisce che nella Germania centrale questa specie, come pure V. phlomoides e Lychnitis, sì presenta sporadicamente ginomonoica e molto più di rado ginodioica. V. phlomoides L. L’impollinazione in questa specie avviene come ‘in V. Thapsus, però Comes (loc. cit.) ha notato che se i due stami anteriori si muovono verso l’alto, convergendo anche verso l’asse fiorale, pure lo stilo a sua volta si curva ad incontrare uno dei due stami, ed in tal modo viene facilitato l’incontro dello stimma con le antere riboccanti di polline. V. Blattaria L. I fiori, omogami, hanno la corolla gialla con la fauce violetta, ed il nettare è secreto sotto forma di numerose goc- ciolette sparse su la porzione centrale del petalo inferiore che le produce (Kerner, II, p. 170) (Secondo Kirchner (Flora, p. 578) i fiori sono privi di nettare). Tutti gli stami sporgono in direzione obliqua dal lembo della corolla, e lo stilo, situato nel centro del fiore è ancor più sporgente e serve da posatoio per gl’insetti. Tale disposizione è favorevole all’incrociamento. Ma alla fine della fioritura, i due filamenti staminali più lunghi sì dispongono davanti all’apertura del tubo corollino come due braccia incrociate sul petto. Le due antere, ancora cariche di polline aranciato, vengono perciò portate dietro lo stimma. Allora la corolla si distacca dal ricetta- colo, cade in avanti — rimanendo per breve tempo appesa al lungo stilo — si volge un po’ a destra o a sinistra e cade alla fine con \ È È - = - 2 - - . " movimento giratorio. Ne risulta che inevitabilmente lo stimma è strofinato dall’una o dall’altra delle suddette due antere, disposte (1) Flora, ecc. p. 575; N. Beobacht, p. 5. (2) Bibliotheca Botan. Heft. 17, p. 194. via i Li - f IE PS a i Po Le LI Ci a » anca LE Ta ie li bn nr, » È Ù k i È davanti all’apertura. cit. p. 359). V. Lychnitis L. I fiori sono omogami e senza nettare. Dei a corollini l’inferiore è il più lungo ed i due superiori i più corti, I filamenti staminali sono forniti di peli bianco-giallastri un po’ in- spessiti a clava all’estremità, e sporgono dal fiore; i due inferiori alquanto più lunghi sono sotto il centro del fiore. In mezzo ad essi ad uguale altezza, o un po’ più basso di tutti gli stami si trova lo stilo con l’apice ricurvo, il cui stimma viene toccato prima delle antere dalle api e dai bombi che vengono alla ricerca del polline e che si aggrappano ai peli staminali. Partecipano inoltre alla vi- sita dei fiori piccoli coleotteri e muscidi. L’autoimpollinazione spon- tanea può aver luogo verso la fine della fioritura, quando gli stami si ripiegano in alto e in dietro, lo stilo si piega molto in basso e la corolla si ripiega un po’ in avanti (Kirchner, F/ora ecc. p. 577; Miiller, Weit. Beob. III, p. 26). Miiller (1. c.) in Turingia osservò coleotteri, ditteri e imenotteri, e Loew nel giard. botan. di Berlino notò Allantus scrophulariae L. Secondo Darwin (1) questa specie, come V. Thapsus, è affatto autofertile, ma di autofecondità minore (l. e. p. 69), quando vengano esclusi gl’ insetti. V. sinuatum L. I fiori, gialli nell’orlo corollino, hanno in vio- letto roseo i filamenti, i peli staminali ed il centro della corolla. Lievemente proterogini e privi di nettare, sono visitati dagl’insetti soltanto per il polline. All’aprirsi del fiore, lo stilo col suo stimma maturo è esserto, mentre gli stami sono un po’ ripiegati ; dopo poche ore essì sì ricurvano in avanti. Nel primo stadio è possibile l’eteroimpollinazione; nel secondo, gl’insetti aggrappandosi ai peli staminali possono venire a contatto tanto con lo stimma un po’ più lungo degli stami, quanto procurare l'avvicinamento delle antere allo stimma, e così favorire l’ eteroim- pollinazione se sono già sporchi del polline di altri fiori preceden- temente visitati, o l’autoimpollinazione. Questa è forse priva di sue- cesso. (Pandiani, loc. cit. p. 64). Pandiani raccolse pronubi Syritta pipiens, Eristalis arbustorum, Eristalomyiatenax, Echinomyia praeceps, Anthrax sp; Antophora qua- drifasciata, Halictus sp.; Polistes gallica; ed un coleottero, Cionus Olivierii. V. nigrum L. L'appariscenza dei fiori gialli è accresciuta dal colore rosso-aranciato delle antere e dai peli porporini degli stami. (1) Gli effetti della fec. incr. e propria, p. 249. LEV ‘OT n0g 3 dhs Miiller (Befr. p. 977) potò constatare, sorprendendo una piccola tignuola — Ephestia elutella Hiilbn. — a iz su 1 fiori d’una ° È ENICA. E una scarsa quantità di ni pianta che aveva in camera, ed a succiare con la tromba nel breve tubo corollino. (Sprengel — loc. cit. p. 122 — riporta i fiori come privi di nettare, quantunque designi come nettarindici cinque macchie di color bruno-castagno che si trovano nel mezzo della corolla). Dei cinque lobi corollini l’ inferiore è il più lungo, i due late- rali lo sono meno e i due superiori sono più corti, Saicolo gl’in- setti trovano un comodo posatoio nel lobo inferiore. Gli stami sporgono dal fiore e sono un po’ rivolti verso l’alto ed alquanto divergenti; il superiore è il più corto, i due inferiori più lunghi. Lo stilo è un po’ più corto degli stami inferiori, ma con l’apice rivolto in basso, cosicchè un insetto posato sul lobo in- feriore della corolla viene a contatto con esso prima che con le an- tere, e può effettuare l’eteroimpollinazione. Mancando le visite degl’insetti può facilmente aver luogo l’au- toimpollinazione spontanea, ina senza alcun successo, come già con- statarono Girtner (1) e Darwin (2). I fiori sono visitati da apidi, ditteri, da alcuni microlepidotteri e coleotteri antofili (M/ler, loc. cit.; Kirchner, Flora, p. 576). Mac Leod osservò nei Pirenei 3 bombi ed un sirfide a visitare 1 fiori (B. Jaarboek, III, p. 322). V. phoeniceum L. concorda nelle disposizioni fiorali con V. ni- grum. E privo di nettare, come è pure riferito da Sprengel, ma ne produce secondo Kerner (1. c. p. 170) alla stessa guisa che in V. phoeniceum. I fiori sono visitati da imenotteri (Apis, Bombus, Halictus e An- drena) e da Rhingia rostrata (Miller, Befr. p. 278). Secondo Darwin (loc. cit. p. 249) è affatto autosterile, come già fu riferito da Kòlreuter. Giusta le vedute di Delpino (Ut. Oss. II, 2, p. 278) fondate su la diretta osservazione delle visite degl’ insetti, anche i fiori di Ver- bascum sono adattati alla fecondazione incrociata mediante l’ inter- vento d’imenotteri (api e bombi) specialmente raccoglitori. di pol- line. Questi aggrappandosi ai peli degli stami fanno lesta raccolta del polline emerso in abbondanza dalle antere, mentre con una parte del loro rivestimento peloso, sporca del polline di fiori pre- (1) Bastarderzeugung, p. 35°. (2) Loc. cit. p. 249. ae d u Pa MO £ ped ni oi dieta” RI edi co fidi fr) ati, vengono a contatto dello s Ma se una tale interpretazione spiega sufficientemente la mag- gior parte delle caratteristiche dei fiori di Verbascum, essa non si accorda — rileva Miiller (Weitere Beobachtungen, III, p. 27) — con altri fatti osservati. I fiori di Verbascum nigrum contengono piccole gocce di nettare e fu constatata una tignuola intenta a succiarlo; inoltre, alla visita ed alla fecondazione di tutte le specie di Verbascum partecipano in diverso modo altri insetti, e questi fatti non collimano col tipo « Verbascino » del Delpino. Nè è giusto, prosegue Miiller, spiegare le visite degli altri insetti come una « mera accidentalità priva di significato ». E più innanzi (loc. cit. p. 21) contestando a Delpino l'inclusione dei fiori di Solanum nel suo tipo « Borragineo » esclusivamente me- littofilo, chiama arbitrario ed innaturale il fatto di incastrare in un certo numero limitato di forme fondamentali (Tip?) le molteplici forme fiorali, quasi innumerevoli. Contro questo aspro giudizio del Miiller, Loew (Einfihrung in d. bliitenbiol., etc. p. 191) giustamente rileva che « die von Delpino durchgefiihrte Charakteristik der Biologischen Blumentypen als einer der gestreichsten und grossartigsten Versuche zur Lòsung einer Aufgabe gelten muss, die ihrer Natur nach nie abgeschlossen sein wird, sondern je nach dem veriinderten Standpunkt des Wissens immer von neuem Verbesserung und Erginzung bedarf ». In un lavoro recente, il dr. Zodda (1) divide le vedute di Delpino. Egli riporta che il tipo verbascino è visitato dai ditteri in via se- condaria, e per il tipo borragineo — tanto a fiori penduli, quanto a fiori verticali — le visite dei ditteri sono nel vero senso accidentali, e il più spesso senza alcun utile nè per l’insetto nè per il fiore, nel caso di fiori penduli. Invece per i fiori verticali ha osservato che, in Solanum nigrum e tuberosum, le mosche, specialmente nelle ore mattutine, sì posano a succhiare quel po’ di rugiada che sì trova rac- colta alla base degli stami, e per lo più non si posano su gli stami, «ma su i petali. Gen. Celsia L. C. eretica L. I fiori grandi, gialli, leggermente odorosi, hanno lobi corollini disuguali e stami didinami. 1 due inferiori — più lunghi — hanno i filamenti glabri, ed i due superiori — più corti — li hanno rivestiti da fitti peli violacei e gialli. Secondo, Ponzo (1) I fiori e le mosche; Estr. dagli Atti e Rendic. dell’Ace. Dafnica di Aci- reale, p. 11-12, 1902, regolarmente l’eteroimpollinazione. 7 ST IND e Mrumiento dei lobi superiori in giù, He cui i ciuffi di peli CHeS si tro- vano alle loro basi vengono a contatto con le antere degli stami più corti; anche il distaccarsi della corolla può provocare l’autogamia, come avviene in altre Scrofulariacee. Celsia coromandeliana Vahl. Comes (loc. cit.) ha descritto il processo di autoimpollinazione in questa specie d’un genere prossimo a Verbascum.. All’aprirsi del fiore, lo stilo si trova compreso fra i quattro stami; le antere di quelli anteriori, reniformi e mesofisse, deiscono prima di quelle degli stami posteriori. Quando le antere degli stami anteriori si sono co- perte di polline, i filamenti cominciano a curvarsi in alto e convergendo le loro antere, che quasi si toccano, prima di rasentare lo stimma. Continuando questo movimento di curvatura, le antere toccano lo stimma e lo impollinano abbondantemente. Compiuta l’impollinazione, mentre gli stami anteriori si curvano ancora, fino a raggiungere i due posteriori, il lembo della corolla si arrovescia in dentro, si piega, si raggrinza e si raccoglie nel calice. Questo ,a sua volta si restringe, convergendo le sue lacinie all’asse fiorale, e lascia all’esterno lo stilo incurvato in alto. Gen. Calceolaria L. (- Fagelia Schwencke). C. pinnata L. del Perù presenta una disposizione analoga a quella che si trova in Salvia officinalis (Hildebrand) (1). L’antera subisce tutte le fasi di quella delle salvie, allungando trasversalmente e perpendicolarmente il suo connettivo e rendendo abortiva la loggia inferiore. Le due antere in C. pinnata si sono trasformate in una leva a due bracci. Uno dei bracci — quello dalle logge sterili — sta innanzi all’ingresso del fiore e viene da un insetto visitatore girato in modo che l’altro braccio quello dalle logge fertili, porta il polline fuori dalla cavità dove è contenuto. I fiori sono quindi disposti per l’incrociamento, ma l’autoimpollinazione ha luogo per la caduta della corolla (Miiller, Befr. p. 277). Il nettare è abbondante (Correns, Prings. Jahrb. XXII, 1891, p. 241-252). Il prof. F. Rizzatti (2) ha descritto il processo della fecondazione in Calceolaria, della quale fecondazione è attore principale un bombo. L’insetto posato sul labbro inferiore esercita una pressione sufficiente perchè la fauce del fiore si apra; venendo allo scoperto il nettario, nascosto sino allora nella cavità dellabbro inferiore. Appena l’insetto lascia il fiore, il labbro inferiore si rialza ed il nettario si nasconde nuovamente nella ‘cavità. Nel cercare d’impadronirsi del nettare, il bombo urta contro le an- tere e si carica del polline da esse cadente, tanto più che nel frattempo i filamenti degli stami si sono così allungati, che i sacchetti pollinici supe- riori giacciono su la convessità del labbro inferiore. (1) Fed. Delpino’s Beobacht. ii. d. Best.-vorrichtungen bei den Phanerogamen; Bot. Zeit. 1867, n. 36, p. 285. (2) La Calceolaria, in Natura et Arte, fasc. 16, V. (1895-96), Vallardi, Milano. ga cina È Se il PR fis n' Maori e pas una vii i sita da pe Rie degl'ine st , un } po fo ll po d line cade spontaneamente sopra questa convessità. Poco date pedunc ola cute fiorale si piega ad arco in giù, la parete superiore del labbro inferiore in- A M ho mi } cavato, o per dir meglio il tetto della cavità, che porta sul suo vertice il || Nin. polline cadutovi ed avrebbe dovuto servire da posatoio per gl’insetti, prende “A di una posizione inclinata; il polline discende per questo piano inclinato ed ||| È arriva per tal modo su lo stimma, assicurando l'autofecondazione. pO E il processo che mena all’autogamia, già descritto da Kerner Di loe. cit. II, p. 370-72) per Cale. Paronii, una specie sud-amerîcana. : Gen. Linaria Med. L. Cymbalaria Mill. concorda nelle disposizioni fiorali con L. vul- CS garis. Il labbro superiore e lo sperone sono di color lilla, il labbro dt inferiore è biancastro con due macchie giallo-aranciate. Lo sprone è lungo soltanto 3 mm.; presenta internamente una scanalatura, ma senza peli; la base dei due stami più lunghi è in- ‘» (ILI, p. 33) Zigaena carniolica. Gerstae- cker, (1) presso Bolzano, trovò i fiori di V. spicata visitati princi- Sena da specie di Mina: X. violacea, cyanescens, valga. Secondo Kerner (2) in V. spicata, spuria ed in quelle Veronica a infiorescenze spiciformi, i fiori sono decisamente proterogini ed avverrebbero inerociamenti per geitonogamia. V. Ponae Gouan. I fiori sono di un violetto-roseo; il nettare è com- pletamente nascosto. Mac Leod (De Pyreneeenbloemen, p. 38) osservava i seguenti visi- tatori dei fiori: Bombylius fugax, Bacha obscuripennis, Platycheirus manicatus, Empis chioptera, fra i ditteri. | V. longifolia L. In esemplari di giardino Knuth trovò disposizioni analoghe a quelle di V.spicata, ma i fiori sono omogami. In principio 1 due stami sporgono dal fiore circa 5 mm. ed un po’ divergenti, e volgono in basso le superficie di deiscenza delle antere. Lo stimma, già sviluppato, si trova sopra un corto stilo piegato a gomito e fuori della linea di caduta del polline. Quando le antere appassiscono, lo stilo si allunga e si raddrizza, venendo così lo stimma a trovarsi nel posto in cui prima erano le antere coperte di polline, e su la linea di caduta del polline dalle antere dei fiori giovani soprastanti (Knuth, Handb. BI. II, 2, p. 169). Knuth osservò nei dintorni di Kiel: Apis mellifica, molto fre- quente, Bombus terrester, frequente: Syrphus ribesii e ditteri di media grandezza. V. saratilis Jacq. ha fiori omogami. Il nettare è secreto in di- screta quantità da un anello carnoso, giallo-aranciato, ipogino; si raccoglie nel fondo di un tubo lungo circa 3 mm. ed è protetto da un anello di peli radi contro l’accesso delle gocce di pioggia. I fiori azzurri, dalla fauce porporina, concordano nei punti es- senziali con quelli di V. CRamaedrys, tanto nelle Alpi che in Groen- landia (Warming). Nei fiori che col tempo piovoso rimangono semichiusi ha luogo probabilmente l’autoimpollinazione spontanea per l'immediato con- tatto degli stami con lo stimma. Visitatori dei fiori sono ditteri e lepidotteri principalmente ed alcuni bombi (Miller, A/pend?. p. 267). (1) Sfettiner entomol. Zeitung, 1872, p. 272. (2) Loc. cit. II, p. 321. alti dello stimma e ai due lati di esso; talvolta gli sono così vicini che l’antoimpollinazione è inevitabile. Ma nei fiori proterogini, al principio della fioritura, quando le antere sono ancora chiuse, ha luogo l’incrociamento mediante gl’ in- setti (Miiller, Befr., p. 289; Kirchner, Flora, p. 589; Mac Leod, loc. cît., p. 196). Miiller (loc. cit.) osservò, in esemplari fioriti in camera, Calliphora erythrocefala introdurre la sua tromba successivamente in ogni fiore, effettuando quindi in quelli omogami l’auto- e l’eteroimpollinazione. V. bellidivides Li. I fiori omogami, nettariferi, mancano di netta- rostegio. Mediante gl’ insetti che con le diverse parti del corpo vengono a. contatto con gli stami e con lo stimma, è possibile l’incrociamento ; ma l’autoimpollinazione spontanea ha luogo regolarmente venendo a contatto, nei fiori semichiusi, stami e stimma. La fitta pelosità che ricopre l’ovario costituisce un mezzo di pro- tezione contro la crndezza atmosferica, mentre i peli glandolosi che rivestono il peduncolo, nella sua porzione superiore, ed il calice, costituiscono una difesa contro l’accesso ai fiori di piccoli animali striscianti. Visitatori: {mpis pilosa, Plusia Hochenwarthi e Melitaea varia (Miiller, A/penbdl., p. 269). Le osservazioni di Schulz (loc. cit., 17, p. 117) concordano con queste di Miiller. V. alpina L. I piccoli fiori azzurrognoli, del diametro di poco più che 4 mm., concordano con quelli della specie precedente. Non di rado essi sono proterogini, ma si trovano anche dei fiori, semiaperti persino col sole, ì1 cui stami hanno già le antere aperte. In conse- guenza della loro poca appariscenza, i fiori sono in ogni caso scarsa- mente visitati dagl’insetti. Ma col tempo freddo i fiori rimangono chiusi e gli stami si trovano in contatto immediato con lo stimma. Talvolta in molti fiori gli stami sono atrofizzati. Visitatori: Anthomyia (spec.?). (Miiller, A/pendl., p. 270). Cfr. Schulz (loc. cit. 17, p. 117), Lindman (1). Questi sul Dovrefjeld trovò i fiori prima proterogini e poi omogami : gli esemplari di Groenlan- dia, secondo Warming, concordano con quelli alpini. (1) Bidrag till Kinnedomen om Skandinaviska Fjellvixternas Blomming och Befruktning, p. 81, 1887. laterali sono ornati da linee can Gli stami sono un po” più. ul Al Mag e e Pi ORA I CRIAZZE site Va E __ V. arvensis L ri omogami, privi di nettarostegio nel tubo. | La base degli stami non è assottigliata. Le antere e lo stimma si tro- | vano alla medesima altezza e poco lontani fra loro, cosicchè l’auto- impollinazione spontanea può facilmente avvenire (Kirchner, N. Beob. p. 56; Flora, p. 591). Miller (Weit. Beob. III, p. 35) riporta come vi- sitatori dei fiori: Andrena cingulata, Halictus albipes, H. punctatis- simus, H. zonulus, Sphecodes gibbus, osservati a Lippstadt. Schletterer (cit. da Knuth) presso Pola osservò: Malictus calcea- tus e H. malachurus. 4 V. peregrina L. ha fiori omogami che per lo più rimangono: chiusi, e quei pochi che sì aprono anche in tempo soleggiato non espandono la loro corolla — bianca, priva di nettarindici — mai quattro lobi lanceolati eguali fra loro, sono rivolti in alto e simu- lano una piccola campanella, il cui ingresso è appena di un milli- metro. Il fondo della corolla non ha peli, e non vi si osserva alcuna secrezione di nettare. Lo stilo è cortissimo, cosicchè lo stimma posa quasi su l’ovario e si trova più basso delle antere. L’autoimpollinazione spontanea ha luogo, in ogni caso, di regola ed è senza dubbio coronata da successo, poichè la pianta produce numerosi frutti (Kirchner, N. Beob. p. 56; Flora, p. 591). V. triphyllos L. Fiori omogami. Gli stami non sono assottigliati alla base, e le antere si trovano alla stessa altezza dello stimma. L’autoimpollinazione spontanea è perciò inevitabile quando il fiore sì chiude, ciò che avviene nelle ore pomeridiane e quando il tempo è cattivo. I peli che rappresentano il nettarostegio sono poco svilup- pati (Kirchner, N. Beobd. p. 56; Flora, p. 590). Miller (Wett. Beob. III, p. 35) osservò visitatori Andrena Gwi- nana ed Apis mellifica, in gran numero. V. persica Poir. (= V. Tournefortii Gm.). Fiori omogami. Il nettario ed il nettarostegio hanno lo stesso sviluppo che in V. Chamaedrys. Nei fiori a corolla completamente espansa, gli stami sl elevano divergenti in avanti, cosicchè le antere distano circa 3 mm. l’una dall’altra; lo stilo un po’ più corto si trova piegato in basso. Nei fiori non completamente aperti, le antere sono addossate allo stimma, e l’autoimpollinazione spontanea ha luogo facilmente I filamenti sono alquanto assottigliati alla base (Kirchner, N. Beob. p. 51). Kirchner (loc. cit.) ne osservò i fiori, già aperti alla fine di feb- braio, visitati da Vanessa urticae. V. agrestis L. Fiori omogami. Col tempo cattivo i fiori si aprono imperfettamente, le antere rimangono a contatto con lo stimma.. V-do Pad e nen ahi FOT Us I-II et b . Ì invece, i fiori si aprono più amento, e gli organi sessual si ti ‘a vano quasi paralleli. Gli stami sono assottigliati alla base ed un po’ piegati in fuori, ma non così come in V. Chamaedrys, con la quale questa specie concorda per ciò che riguarda il nettario ed il nettarostegio. I fiori sono scarsamente visitati da apidi e muscidi (Miller, Weit. Beob. III, p. 33; efr. Kirchner, Flora, p. 593; Mac Leod, Zoc. cit. p. 197; Darwin, £/ fec. ecc. p. 267). L’autogamia, fertile, in questa specie, già riconosciuta da Darwin (E/f. fec. incr. e pr., p. 267) fu constatata, recentemente, da Ponzo (III, p. 12). V. polita Fr. Fiori omogami; concordano nel nettario e nel net- tarostegio con quelli di V. chamaedrys. Col tempo favorevole, so- leggiato, la corolla si espande in modo che gli stami divergono al- quanto; ordinariamente essi inclinano, cosicchè le antere, che si aprono verso l'interno del fiore, vengono fra loro a contatto e po- sano su lo stimma, rendendo inevitabile l’autoimpollinazione spon- tanea (Kirchner, N. Beod. p. 57; Flora, p. 592). V. hederaefolia 1. concorda per la secrezione del nettare e per la sua protezione con V. Chamaedrys. I filamenti staminali non si assottigliano alla base. Nei fiori omogami, le antere aperte circondano lo stimma ed ha luogo l’au- toimpollinazione spontanea, che dà regolarmente buoni frutti. (Cfr. Darwin. 1. e. p. 267). Col tempo sfavorevole ì fiori rimangono chiusi. Quantunque i piccoli fiorellini, isolati, di colori smorti sieno i meno appariscenti fra tutti quelli delle specie di Veronica trat- tate, e vengano soltanto di rado visitati dagl’insetti — apidi —, tuttavia è questa una delle specie più comuni del genere (Miiller, Befr. p.288, Weit. Beob. III, p. 88; Kirchner, Flora, p. 593; Mace Leod, Zoc. cit. p. 197; Darwin, loc. cit. p. 267). Gen. Wulfenia Jacq. V. carinthiaca Jacq. è proterogina (Mi/debrand) (1), con auto- impollinazione forse esclusa. Queste osservazioni si riferiscono ad esemplari coltivati. Gen. Digitalis L. D. purpurea L. ha fiori proterandri. Il nettare è secreto da un «cercine carnoso che circonda la base dell’ovario. La corolla, irrego- larmente campanulata, ha il lembo troncato a sghembo. (1) Gesehlechtervert. bei den Pflanzen, p.18. ; : Ù eci ii aaa Da e, come nettarindici, ha macchia porporino- -scure, cir- Mirto da anelli bianchi, e nella porzione inferiore è fittamente guar- nita di peli, mediante i quali alle piccole api è impedito l’accesso al nettare. La posizione obliqua dei fiori, con la bocca rivolta in basso, protegge il nettare contro la pioggia. L’androceo ha quattro stami didinami. Nel primo periodo fiorale, le antere ancora chiuse hanno una posizione trasversale sul fila- mento, e quindi all’asse del tubo della corolla. Prime ad aprirsi sono le antere degli stami lunghi, collocandosi in una posizione longitu- dinale. Secondo Ogle (1) le antere degli stami più lunghi, come quelle che si trovano più vicine allo stimma, sarebbero situate nel modo più conveniente per una facile autofecondazione, ma siccome ciò sarebbe poco vantaggioso, esse versano in sul principio il loro polline, di- minuendo le probabilità di un’autogamia. Anche le antere degli stami più corti sì comportano nella stessa guisa prima di schiudersi. Hildebrand (2) ha però constatato che finchè non si apra lo stimma bifido, il-polline sopra di esso non pro- duce effetto alcuno. I grandi calabroni possono penetrare facilmente in questi fiori, e mentre sono occupati a succhiarne il nettare, sì sporcano di pol- line le parti inferiori del corpo. Siccome nell’uscirne non rivoltano l'addome in su, il polline non può venire applicato contro lo stimma del proprio fiore, ma è facilmente depositato su quello di altri fiori che essi successivamente visiteranno (Darwin, loc. cit., p. 63). Ma Miiller (Befruch. p. 284) e Kirchner (Fora, p. 585) riferiscono che i bombi si cacciano completamente dentro nella campana fio- rale e col loro dorso strofinano antere e stimma, e quando la visita dei bombi è più frequente, tutte le quattro antere sono private del loro polline prima che avvenga la separazione dei lobi dello stimma. - Che se mancano le visite da parte dei bombi, le antere contengono ancora polline quando lo stimma divarica, e quindi facilmente accade l’autoimpollinazione spontanea. Questa, come appare dalle tabelle XXIII e XXV di Darwin (loc. cit.), è senza successo. Ludwig (3) in diverse località trovò individui a fiori femminili. Come visitatori dei fiori Miiller (Befr., p. 285) riporta Bombus terrestris, hortorum, agrorum, frequenti; Andrena coitana e Halictus (1) Pop. Science Review, Jan. 1870 (cit. da DARWIN in: Gli effetti della fec. iner. e propria, p. 63). (2) Bot. Zeit. 1865, p. 5, 6; Geslech.-Verth. ecc., 1867, p. 20. (3) Die Gynodibcie von « Digitalis ambigua Murr. » und « D. purpurea L. »7 Kosmos. I, 1885. \_ ra E I cylindricus, "frequenti. È che erano forati. D. ambigua Murr. (= D. grandiflora Lam.). I fiori nettariferi sono decisamente proterandri. La bocca del fiore è così aperta che bombi d’ogni specie vi pene- trano comodamente e poscia con la tromba distesa, succhiano il net- ‘ tare nascosto nel fondo del fiore. L’eteroimpollinazione è assicurata dalla spiccata proterandria e dal fatto che i bombi — secondo il loro costume — incominciando dai fiori più bassi di ciascuna infiorescenza, visitano dapprima i fiori più vecchi che sì trovano in condizione femminile, e quindi ì più giovani che sono in condizione maschile. Mancando le visite degl’insetti ha luogo molto facilmente l’au- toimpollinazione spontanea (Miller, Kirchner). Miller (A/penblumen, p. 275) riporta come visitatori Anthophora furcata e Bombus horto- rum nelle Alpi, e nelle bassure (Wezt. Beob. III, p. 30), Andrena coittana, Halictus sp., Dufourea vulgaris. Ludwig (loc. cit.) trovò que- sta specie ginodioica in Sassonia. Schulz (loc. cit. Heft 17, p. 194) vide dei fiori femminili di questa specie in esemplari disseccati, pro- venienti dai Riesengebirge, ed osservò nel Tirolo Bombus terrester che pratica un foro per succhiare il nettare. Loew (24. £7., p. 395) osservò nelia Slesia B. Rortorum, e Schletterer e Dalla Torre (cit. da Knuth) riferiscono per il Tirolo B. pomorum. D. lutea TL. Il nettare, come in D. purpurea, è secreto dalla base dell’ovario, rivestito in alto di peli radi; e peli lunghi, radi, guar- niscono pure l’accesso del giallo tubo corollino. Mentre questo è largo in D. purpurea tanto che i bombi vi possono comodamente ed interamente penetrare, in D. lutea esso è così stretto che vi trova posto soltanto il capo dei bombi; inoltre è così lungo (13- 14 mm.) che i bombi a tromba corta, e specialmente Bombus terrestris (S mm. di tromba), anche quando vi introducono il capo (lungo circa 5 mm), raggiungono il nettare, ma difficilmente possono sfruttarlo completamente. Gli esemplari di questa specie osservati da Miiller nei Vosgi, a meno di 1000 m. sul livello del mare erano spiccatamente proterandri. Si aprono prima le antere degli stami più lunghi che poscia si piegano lateralmente, più tardi si aprono le antere degli stami più corti che sì ripiegano anch’essi lateralmente. Lo stilo quindi si allunga e lo (1) Bestuivingen van Bloemen door Insekten, 1874, p. 11. G A Pi 0 PrVg De Vries (1) nell’orto botanico di Amsterdam. Schulz (06 ont He (Vai p. 216), ha osservato negli esemplari dell’erbario di Miinster dei fiori . con le visite degl'insett, ima se a mancano, loris i spontanea può tutt'al più avvenire quando, gsdo la corolla, le an- tere ancora coperte di polline vengono a strofinare contro lo stimma. Gli esemplari, invece osservati nella valle di Sulden (fra i 15- 1800 m. d’altezza sul mare) sviluppavano gli stimmi contemporanea- mente al secondo paio degli stami. Quindi l’autofecondazione era immancabile, mancando le visite degl’insetti. Nei Vosgi egli osservò Bombus hortorum a visitarne i fiori ed a succiarne normalmente il nettare, ed a Sulden osservò 2. terrestris che frodava il nettare mediante un foro che praticava nei fiori (Alpenblumen, p. 273). Schulz (loc. cit. Heft 17, p. 116), presso Bolzano, osservava nei fiori di D. lutea una proterandria ancora più pronunciata di quella degli esemplari da Miiller esaminati nei Vosgi. All’aprirsi del fiore lo stilo, con i lobi stimmatici ancora chiusi, sovrasta di poco le antere degli stami più corti od arriva alla base di quelle degli stami più lunghi. I lobi stimmatici per lo più si separano dopo che le antere degli stami corti — deiscenti per ul- time — sono vuote o quasi completamente vuote del loro polline; talvolta lo stimma ritarda la sua maturità sessuale fino a che la corolla comincia ad appassire e facilmente si stacca dal calice. Lo stilo, a sviluppo completo, raggiunge la base del labbro superiore o sporge alquanto dal fiore. L’autoimpollinazione perciò, nel maggior numero dei casi, è completamente esclusa. I fiori, nettariferi, presso Bolzano, sono frequentemente visitati da Bombus hortorum; inoltre da B. mastrucatus e più raramente da . B. terrestris vengono forati. Una sola volta Schulz (loc. cit. p. 216) osservò pure a Schloss Runkelstein 5. lapidarzus. Oltre i fiori ermafroditi, trovò pure fiori femminili, su lo stesso individuo, in numero molto minore di quelli e sempre nella por- zione più alta dell’infiorescenza. Talvolta nel mezzo dell’ infiore- scenza, fra le due specie di fiori si trovano forme intermedie. Solo due individui possedevano fiori esclusivamente femminili. Sicchè D. lutea in località più alte è omogama, in località più basse è proterandra. Si presenta ginodioica e ginomonoica abbastanza raramente (Schulz, loc. cit. p. 194). Gen. Erinus L. E. alpinus L. secondo Mac Leod è lepidotterofilo. Egli osservava, nei Pirenei, quali visitatori dei fiori Pieris brassicae ed Hercyna phry- I TAO gialis fra ì lepidot bloemen, p. 38). Nei fiori, omogami, è possibile l’autoimpollinazione Casn Bi f: FI. p. 50). Il nettare, secreto da un anello alla base dell’ovario, si di raccoglie alla base del tubo. te = E. (Zaluzianskya) lychnoidea, del Capo di Buona Speranza, odora forte- fel mente di notte ed è sfingofila, secondo Mattei G. E. ( Lepidott. e Dicog., p. 31). ’ q Gen. Melampyrum L. tr M. pratense L. I fiori sono proterogini e nettariferi. Il nettare, secreto dalla base dell’ovario — che sì allarga in un lobo carnoso, biancastro, solcato da una doccia nettarifera — si raccoglie nel fondo. del tubo ed è protetto contro la pioggia da un anello di peli. Il tubo bianco-giallastro, triangolare, stretto, si allarga bruscamente nella i parte anteriore. L'ingresso del fiore è però reso più stretto da due | pieghe laterali; mentre due eminenze gibbose del labbro inferiore ed una piega che sì trova dietro il margine libero del labbro supe- 4 riore contribuiscono sempre più a restringerlo. "e Un bombo può forzare dette pieghe ed introdurre la sua testa nel fiore, mentre insetti più deboli ne sono esclusi. Le quattro antere, collegate per i loro margini, formano un unico Cate ; serbatoio del polline, collocato sotto il labbro superiore conformato p a cappuccio. Il polline, in esso contenuto, non può uscirne se non r quando le antere vengano urtate nell’appendice spiniforme con la A quale esse sono terminate. L’urto produce la separazione delle antere, ed il polline farinoso cade dal serbatoio. | È I filamenti staminali, i quali nella porzione stretta del tubo sono " concresciuti con esso, diventano liberi e rigidi nella porzione slar- | gata del tubo stesso; si elevano obliquamente in alto e nei margini vi interni sono dentellati fino all’altezza della porzione cappucciforme " del labbro superiore. Quando un insetto introduce la sua tromba nel fiore seguendo la ; linea mediana, per evitare le punte acute che guarniscono i fila- menti, tocca prima lo stimma il quale si trova innanzi alle antere, e poscia le appendici spiniformi di queste. L’urto, come si è detto, determina lo scostamento delle antere ed il polline cade su l’insetto o su la sua tromba. L’incrociamento è quindi assicurato. Mancando le visite degl’insetti, avviene l’autogamia, giacchè lo stilo incurvandosi sempre più, viene a portare lo stimma sotto le antere, le quali, per l’afflosciamento della corolla e dei filamenti con essa saldati, si allontanano un poco l’una dall’altra e lasciano ca» dar : | dere liberamente il polline (Miller (1), Kirchner @), Kerner (3), — Mac Leod (4). IPS | I fiori vengono visitati da diversi Bombus, alcuni dei quali — B. terrestris, pratorum, lapidarius — producono fori al disopra del calice, nel tubo fiorale, per suggerne fraudolentemente il nettare (Miiller, loc. cit.; Wett. Beob. p. 36; Schulz, loc. cit. 17, p. 217. Di questi fori approfittano poi altri apidi, come Usmia rufa, Ha- lictus sexnotatus, H. zonulus ecc. e principalmente anche Apis melli- fica, la quale — come Schulz osservò — produce essa stessa il foro. Mac Leod (loc. cit.) oltre Bombdus lapidarius e B. pratorum cita due Hesperia (sylvanus ?, lineola?). La secrezione nettarea nei nettarii estranuziali (5) delle brattee su- periori continua sino alla maturazione dei frutti, ed attira le for- miche. Queste estraggono dalle capsule i semi; che per un singo- lare mimetismo sono simili per grossezza, forma, colore e peso alle loro ninfe, e li portano nei loro nidi, dove i semi germogliano (Kîr- chner, loc. cit.). Rathay (loc. cit.) non è dello stesso avviso di Delpino, Belt e Kerner circa la funzione dei nettarii estranuziali a proposito di quelli che si riscontrano in alcune specie di Melampyrum, e poichè le for- miche mediante queste glandole nettarifere vengono attratte in pros- simità dei frutti, Lundstròm (6) pensa che tali glandole nettarifere possano essere in stretta relazione col supposto mimetismo osser- vato nei semi. M. arvense L. concorda in generale con la specie precedente, ma le sue infiorescenze sono rese più appariscenti dalla colorazione por- porino-rossastra delle brattee, delle corolle a fauce gialla. Il tubo corollino è però più lungo. I fiori sono visitati da bombi e frequentemente sono forati. Dei fori poi approfittano Apis mellifica e parecchie piccole Vespe (Miiller, Weit. Beob. III. p. 36; Kirchner, Flora, p. p. 596; Schulz, loc. cit. (1) Die Befruchtung ecc, p. 296. (2) Flora, ecc. -p. 594. (3) Loc. cit., p. 346. (4) Loc. cit., p. 202. (5) Cfr. a questo proposito : Rathay, Ueder nectarabsondernde Trichome ei- niger “ Melampyrum ,, — Arton; Sitzb. der K. Akad. d. Wissensch. LXXXI, Abt. 11880, pp. 56-77. (6) PAanzenbiologische studien, 2. Die Anpassungen der Pfanzen an Thiere, Upsala, 1887. V. pure: Trelease W., Myrmecophilism; Psyche, feb. mar. 1889, pagine 171-180. ANNALI DI BoranIca — Vor. V. ll eduri, DO 3 PA 1 DL 28) "a tia “a PStra 739 e -3 IVAI o dis e (Lea. BE, 100; Boplino I) TTT 2-> PSP IAT SCARSI M. nemorosum L. ha d’ordinario infiorescenze più appariscenti n SE È È quelle della specie precedente giacchè il colore giallo-aranciato della A corolla e del labbro inferiore esercitano un contrasto spiccato col co- i Dl lore violaceo delle rimanenti foglie. "i Il tubo corollino è lungo quasi quanto in M. arvense, ma soltanto LC nei primi cinque millimetri della sua lunghezza è diretto obliqua- mente in alto, incurvandosi quindi quasi orizzontalmente. I fiori, x come quelli di M. pratense, subiscono alterazioni di colore. Il giallo si oro del labbro inferiore e della porzione inferiore (anteriore) del tubo o: si cangia in bruno giallo-aranciato nei fiori più vecchi; il qual colore ta agl’insetti più intelligenti (bombi), accenna che in questi fiori non v'è ta più nulla da sfruttare e ne risparmia ad essi la visita inutile. ì ‘Sa Al cangiamento di colore si accompagna un incurvamento dei fiori in basso, per effetto del quale accade l’autoimpollinazione spon- tanea, se essi non furono precedentemente incrociati. Bombus lapidarius, B. muscorum, B. terrestris, Psithyrus rupestris succhiano il nettare mediante fori che producono nel tubo. Apîs mel- lifica ne approfitta (Miller Weit. Beob. III. p. 38: Schulz, loc. cit., p. 217). Presenta nettarii estranuziali (Rathay, loc. cit.). M. cristatum L. ha, nei punti essenziali, le medesime disposizioni per l’impollinazione delle tre specie precedenti. Il tubo fiorale è però sensibilmente più corto di quello di M. pratense. Alla fecondazione concorrono egualmente bombi. Miiller ( Wet. Beob., III, p. 39) cita Bombus lapidarius. M. silvaticum L. ha fiori molto più piccoli che nelle precedenti specie di Melampyrum. Le disposizioni fiorali sono molto semplici e poco diverse da quelle precedentemente descritte. Un insetto il quale introduca la sua tromba nell’ingresso del fiore urta con essa prima contro lo stimma e poscia contro i lati delle an- tere coperte di polline. Non esiste un nettario speciale; il nettare, in quantità molto meschina, sembra prodotto dalla porzione inferiore dell’ovario. Coll’appassire della corolla, l'estremità terminale dello stilo sì piega in modo che lo stimma viene a trovarsi sotto le antere, e l’autoimpollinazione spontanea è assicurata. Visitatori dei fiori: Bombus senilis, Vespa rufa (Miller, Weit. Beob. ZII, p. 41). - (1) Fiori E PaoLETTI. — Flora anal, d'Italia, II. 8. 1° n | venienti dai + A sb ono fiori forati. A questo proposito, il dr. Ogle (Pop. Science Review, Jan 1870, P. 47) trovò nel genere Melampyrum 11 96% di fiori tomnnii Gen. Tozzia L. T. alpina L. I fiori hanno lo stesso color giallo intenso di Viola biflora; però invece delle linee nere che in queste rappresentano il nettarindice, in Tozzia alpina hanno lo stesso ufficio le macchie por- porino-nerastre dei tre lobi del labbro inferiore. Il nettare, secreto dalla base carnosa, gialla, dell’ovario, è accessibile comodamente ad insetti la cui proboscide raggiunga alcuni millimetri di lun- ghezza. La posizione orizzontale del fiore protegge il nettare dalla piog- gia, e forse nei fiori accidentalmente rivolti un po’ obliquamente verso l’alto, contribuiscono pure a tale protezione i peluzzi di cui è rivestita la parete interna del tubo fiorale nella sua porzione in- feriore. I fiori sono omogami o solo molto lievemente proterogini. Dal rapporto del relativo sviluppo fra la corolla e lo stilo, l’in- ‘erociamento, mediante le visite deel’insetti è in particolar modo as- ») (>) sicurato o almeno favorito, e dalla reciproca posizione degli stami e dello stimma l’autoimpollinazione spontanea è ordinariamente impedita (1). Quando i fiorì si aprono, la corolla non ha ancora terminato di crescere, e lo stilo, un po’ piegato in basso all’estremità, sorpassa di molto gli stami; cosicchè il suo stimma già sviluppato viene urtato dagl’insetti prima delle antere ancora chiuse in principio, ma molto presto deiscenti. Quindi, ogni volta che un insetto, sporco del polline di altro fiore precedentemente visitato, arrivi in un fiore an- cora giovane, l’incrociamento viene effettuato. Più tardi, allungandosi ulteriormente la corolla, lo stilo si ritira sempre più verso il fondo del fiore, e viene a trovarsi o sopra o fra le antere od anche dietro ad esse, con la sua estremità pie- gata in basso. Sicchè, se nel primo periodo i fiori erano manife- stamente femminili, più tardi hanno sola funzione maschile, giacchè difficilmente lo stimma viene urtato da un insetto che li visiti. Ma fra questi due stadi vi è un periodo in cui essi fungono nello (1) KERNER (loc. cit. p. 356) ha però osservato che per mezzo dell’incur- vatura dello stilo, lo stimma viene a contatto col polline caduto fra i peli della ‘porzione inferiore del tubo corollino, e quindi è possibile l’autogamia. tento gl’ pena; è Aaronto dalla posizione ‘#porgenieni anni stimma Ù, (Miller) (1). I fiori sono visitati da ditteri e Miiller (loc. cit.) riporta i se- guenti: Anthomyia impudica, A. humerella, Aricia spec.?, Scathophaga stercoraria, in gran numero; e fra i sirfidi: Cheilosia carbonaria, Ch. pubera, Ch. sparsa, in gran numero, C%. (spec. ?), tutte assiduamente. succianti nettare. Gen. Euphrasia L. E. salisburgensis Funck. I fiori, secondo Miiller (A/pendl. p. 280). concordano per la loro grandezza e l’appariscenza con la forma mi- cranta di E. officinalis Nei fiori giovani lo stimma sorpassa le antere ed è così piegato in basso, che viene toccato prima dalla tromba dei bombi, delle api, dei ditteri e forse anche delle farfalle, che vanno a succhiare il nettare. Questo è secreto da un rigonfiamento su la faccia anteriore della base dell’ovario e si raccoglie nel fondo del tubo lungo solo in principio 3-4 mm. Se la tromba di questi insetti è già sporca del polline di altri fiori precedentemente visitati, l’ incrociamento è effettuato. Poscia essi urtano in una delle appendici delle antere e sì ricoprono la tromba di nuovo polline. In seguito la corolla si allunga, mentre lo stilo conserva la sua lunghezza primitiva. Cosicchè lo stimma è portato dietro le antere, e nei fiori più vecchi si trova a giacere ora sopra le antere, ora in mezzo ad esse. Nella prima di dette posizioni, se esso non venne già precedentemente impollinato, si raggrinza inimpollinato, mentre se trovasi fra le antere ne riceve direttamente il polline. (I fiori più vecchi si lasciano riconoscere a prima vista da una colorazione violetta del labbro inferiore, bianco nei fiori giovani, e probabil- mente anche dai visitatori più intelligenti vengono riconosciuti e schivati). Lo stilo, lungo il tratto che nei fiori giovani giace su le antere, è fornito di radi peli bianchi, i quali ne assicurano la sua posi- zione su la linea mediana e gli impediscono di scivolare lateral- mente giù dalle antere, come non di rado avviene in £. Odontites. Visitatori: Melithreptus (spec. ?), Merodon cinereus, fra i ditteri ; Apis mellifica, Bombus pratorum, B. terrestris, fra gl’imenotteri; Sy- richtus serratulae, Lycaena Argus, L. Icarus, Argynnis Aglaja, A. Pales, Erebia Mnestra, E. Tyndarus, fra i lepidotteri (Muller, loc. cit.). (1) Alpenblumen, p. 277. ETC TO ee pe VENE I Spiendiio Tl tubo fiorale lungo 4-6mm.si allarga considerevol- mente all’ingresso, cosicchè un insetto fornito d’una tromba di 4 mm. può raggiungere il nettare qnando introduca il suo capo nella larga ‘apertura fiorale. (Perla secrezione del nettare, come in E. Odontites). Il labbro superiore della corolla, foggiato a tetto, ha l’orlo ro- vesciato in dietro, l’inferiore è trilobo coi lobi bifidi. Macchie aran- ‘ciate sul labbro inferiore e venature violacee sui lobi servono da nettarindici. Il polline è secco e polverulento e cade da le antere sul capo «degl’insetti visitatori. Ma se in £. Odontites ciascuna antera è for- g nita di due punte rivolte in basso, in £. officinalis (secondo Schulz) le due metà dell’antera superiore e la metà superiore dell’ antera inferiore hanno una breve punta, mentre le punte delle metà infe- riori delle antere superiori sono molto più lunghe, e vengono quasi ‘unicamente urtate da gl’insetti visitatori, quando questi cacciano il capo fra Je antere. Miiller (Befruch. p. 291) ha descritto due forme di questa specie: una forma macranta ed una micranta. Nella macranta, lo stimma sporge fuori del fiore prima della ‘deiscenza delle antere e perciò viene sempre toccato prima da gl’in-. setti, cosicchè esso rimane — anche dopo la deiscenza delle antere — sempre impollinato per incrociamento. Ma se mancano le visite degl’insetti esso resta infecondato. Delpino ha manifestamente os- servato soltanto questa forma, giacchè egli riporta E. officinalis come proterogina (Ulter. Oss. I, p. 150). Nella forma micranta, lo stimma si trova, al principio della fio- ritura, sopra e dietro le antere, cosicchè non viene toccato dagli è insetti; ma a poco a poco allungandosi lo stilo, esso viene portato sempre più in avanti e in basso, sicchè è possibile l’incrociamento mediante gli’insetti, o l’autoimpollinazione spontanea per la caduta del polline su lo stimma. Quindi nelle due forme l’eteroimpollina- zione mediante el’insetti è assicurata dalla reciproca posizione degli p organi sessuali, ma se mancano le visite deel’insetti, l’autoim pol- bj »j linazione è impossibile nella forma macranta, mentre è inevitabile nella micranta. Schulz (loc. cit., 17, p.121) distingue in questa specie 7 forme, ‘collegate da forme di passaggio. Il nettario è più o meno pronun- «ciato e la copia del nettare molto diversa. Le visite degl’insetti sembrano dipendere dalla quantità del nettare e non da la gran- dezza della corolla. I fiori sono visitati da api (Bombus agrorum, B. pratorum, Apis mellifica, Nomada lateralis) ditteri (Systoechus sulphureus, Syrphus «PAX 4 feti L'ati Sp. Maliiropià nana)” e e farfal le ( sar Befr. pag. Warming (1) per la Croci iROia menziona soltanto una forma. micranta, autogama; Lindman (2) in diverse regioni della penisola — scandinava trovò le due forme mulleriane, e presso Kongsvold sul Dovre (900 m.) e a Fokstuen (980 m.) trovò soltanto la forma mi- cranta, il cui stilo era così piegato che lo stimma giaceva proprio in direzione verticale sotto le quattro antere. Anche nel Belgio, se- condo Mac Leod (loc. cit. p. 202) la forma più diffusa sembra que- sta in cuì è assicurata l’autoimpollinazione spontanea, per l’incur- varsì dello stilo. Knuth (.Nordfr. Ins., p. 114) trovò pure le due forme. macranta e micranta nelle isole del nord della Frisia. Axell (3) riporta i fiori di E. officinalis come proterandri, ma secondo Schulz questo dato riposa sopra una osservazione sba- gliata. Kirchner (4) ha identificato la forma macranta di Miiller, in cui può soltanto aver luogo l’impollinazione mediante gl’insetti, con la forma fitografica £. pratensis Fries., e la forma micranta mul- leriana — in cui è pure possibile l’autoimpollinazione spontanea — con la forma fitografica E. nemorosa Pers. Ma Schulz (loc. cit.) os- serva che tal modo di vedere è completamente infondato, poichè tanto in £. pratensis quanto in E. nemorosa — che per altro non sono unite da forme ibride intermedie — si presentano individui con fiori solamente impollinabili con l’intervento degl’insetti e individui nei cui fiori accade regolarmente l’autoimpollinazione spontanea; senza dubbio il numero dei primi in £. pratensis è molto più con- siderevole del numero di quelli della seconda forma. Darwin ri- porta questa specie nella lista di quelle che protette dagl’insettì, pro- dussero frutti, ed osservò pure due piccoli ditteri — Dolichopus nigri- pennis e Empis chioptera — che frequentemente succhiavano nei fiori (2/7. fee. iner. e pr., p. 267). E. minima Schleich. Secondo Miiller (A/pendl. p. 281) ì fiori gialli rassomigliano nella struttura e nello sviluppo successivo delle parti a le forme micrante di £. officinalis, poichè in essa, come in questa, l’incrociamento mediante gl’insetti è assicurato dalla posi- zione sporgente dello stimma, e l’autoimpollinazione spontanea av- viene regolarmente mancando le visite degl’insetti. (1) Om Bygningen ecc., p. 148. (2) Bidrag till Kinned., ecc. p. 81-82 (3) Om Anordn. p. 28. (4) Flora von Stuttgart, p. 602-605, p. 279, Weit. Beob. p. 35; Schulz, loc, cit.). TT ba. de vario, si ‘raccoglie nel fondo del tubo. Questo sì ii in a co-o Hicchò molti visitatori (p. es. Muscidae) oltre la tromba, possono in- trodurvi anche il capo. Il labbro superiore si inarca, come in £. offi- cinalis e salisburgensis, a guisa di tetto su le antere e spiega in alto . e indietro il suo orlo come uno stendardo. Il labbro inferiore, trilobo, offre un comodo posatoio agl’insetti, e nello stesso tempo presenta nelle linee porporine correnti verso l’ingresso del fiore, un elegante nettarindice. I filamenti sono, separatamente, piegati nel largo ingresso del fiore, di guisa che la testa d’un insetto può cacciarsi in mezzo ad essì; le estremità superiori, curvate in alto, portano le antere. Le an- tere di ciascuna metà del fiore aderiscono fra loro, mentre sono stret- tamente serrate a quelle dell’altra metà del fiore per le facce su cui avverrà la deiscenza. Ciascuna delle quattro antere è munita inferiormente d’ una punta aguzza, la quale è così prolungata in basso, nell’ ingresso del fiore, che la tromba d’un insetto — forse quella delle farfalle eccettuata — non può evitare di urtarla. L’urto determina l’uscita d’un po’ di polline polverulento su la tromba. Come in £. officinalis, nelle forme micrante, anche in E. minima lo stimma giace in principio sopra le antere, cosicchè non viene toccato dagl’insetti; ma a poco a poco, per un ulteriore accresci- mento dello stilo, lo stimma viene portato in avanti ed in basso, sicchè è favorito l’ incrociamento; ed infine, continuando lo stilo a piegarsi in basso ed in dentro, lo stimma viene a trovarsi preci- samente sotto le antere superiori le quali, se manca la visita degli insetti, si aprono alla fine da sè, e l’autoimpollinazione spontanea è assicurata. Quali visitatori dei fiori Miller (loc. cit. p. 283) riporta due ditteri: Aricia lucorum, Melithreptus scriptus ed un lepidottero: Erebia Tl'yndarus. Kerner di Marilaun (1) considera tre stadi fiorali. Nel primo stadio, quando le antere sono ancora chiuse, lo stimma sporgente e innanzi alle antere, può ricevere soltanto il polline portato dagli insetti. Nel secondo stadio, quando le antere sono aperte, lo stimma mantiene la stessa posizione di prima, ma un’autogamia è impos- sibile, giacchè esso è così collocato, che da un insetto il quale si introduca nel fiore, viene sollevato e messo quasi fuori di strada. (1) Ueber die Bestiubungseinr. der Euphrasien, in Verhandl. d. k. k. zool. bot. Gesell. Bd. XXXVIII, 1888, pp. 563-566. sul peo contro le antere, | e può parlato su lo stimma d’un gia fiore primo stadio. Nel terzo stadio l'estremità dello stilo si curva in basso in modo che lo stimma ancor vivace viene sotto la fenditura delle antere, e quivi viene ricoperto di polline da se stesso cadente a motivo del rilassarsi dei filamenti. Secondo lo stesso Kerner (loc. cit.) £. salisburgensis Funk. ed E. strieta Host., riguardo al modo d’impollinazione — con piccole differenze — concordano con £. minima. Schulz (loc. cit. 17, p. 124), quantunque abbia osservato nelle stesse località dove anche Miiller osservò questa specie, trovò che nella maggior parte dei casi, lo stimma completamente sviluppato giaceva già nel boccio sotto le antere superiori o persino sotto le antere inferiori. Per lo più, siccome lo stilo durante la fioritura non cresce nell’egual misura della corolla (e secondo Kerner la co- rolla non subisce alcuna variante durante i tre stadi), lo stimma perviene un po’ più tardi sopra le antere superiori; talvolta però esso rimane nella sua posizione originaria. Di quando in quando lo stimma giace anche nel boccio sopra le antere superiori. In tutte le forme fiorali, almeno verso la fine della fioritura, l’au- toimpollinazione spontanea è quasi inevitabile. Ma in tutte, ad ecce- zione dell'ultima, in principio è possibile solo l’eteroimpollinazione. Egli osservò a visitare i fiori di £. minima ditteri e imenotteri minori. E. Rostkoviana Hayne. Nei fiori proterogini, nettariferi, si di- stinguono tre stadi. Nel primo stadio, quando il fiore sì apre, lo stilo è così spor- gente che lo stimma viene a trovarsi molto lontano dall’orlo delle antere anteriori. L’autogamia è impossibile, ma un insetto il quale, per succhiarne il nettare, deve farsi la via fra i due labbri del fiore e precisamente sotto lo stimma papilloso, può soltanto re- care su lo stimma polline proveniente da altri fiori più vecchi. Questo stadio dura un giorno. Nelle successive 24 ore ha luogo un aumento nella lunghezza del tubo corollino per cui gli stami in esso inseriti vengono spinti innanzi, mentre lo stilo il quale era arcuato, diventa semplicemente diritto, senza subire variazione al- cuna nella lunghezza. Lo stimma viene quindi a giacere su le an- tere anteriori, ma non può abbassarvisi più profondamente, essendo le due antere congiunte mediante lunghi peli. Frattanto le antere si sono aperte verso l'interno, ed il polline quantunque polveru- lento non può cadere da sè, poichè le antere con le loro fenditure 2" i sota i tri ine tan pitti Si e for. mano una Rie — come in tutte le Fupheasa — in cui esso è (EeeoTbo: In questo secondo periodo della vita fiorale, l’autoimpollinazione è ancora impossibile, ma un insetto visitatore rimuovendo le antere superiori, determina con l’urto la caduta del polline dalla conca. L’insetto così sporco del polline ricevuto, può cederne ad altri fiori, favorendo l’incrociamento. Nel terzo stadio, cioè nelle successive 24 ore, il tubo corollino si al- lunga ancora d’1 mm.; gli stami vengono nuovamente spinti innanzi, ma lo stimma — poichè lo stilo rimane invariato — viene a giacere su le due antere posteriori. Queste non sono come le due anteriori con- giunte fra loro, sicchè in seguito alla pressione esercitata dallo stilo sì separano, e lo stimma si caccia tra le fenditure ripiene di polline. Così, mentre nel primo stadio fiorale lo stimma può ricevere sol- tanto il polline d’un altro fiore e nel secondo stadio il proprio pol- line è fornito per l’incrociamento, nel terzo stadio — qualora nei due precedenti non avvenga xenogamia — ha luogo l’autogamia. E. tricuspidata L. ed E. versicolor Kerner si riferiscono ad E. Ro- stkoviana riguardo al modo d’impollinazione (Kerner, Ued. die Best. d. Euph.;. loc. cit.). All’inizio dell’antesi la corolla è lunga 9-11 mm., alla fine 11-14 (Béguinot, loc. cit.). Gen. Barisia L. [| —- Bartschia L. (1740) ]. B. alpina L. I fiori di color purpureo-violetto-scnro sono prote- rogini. Lo stilo con lo stimma quasi sviluppato sporge già lunga- mente dal fiore allo stato di boccio, e quando questo comincia ad aprirsi, lo stimma è sessualmente maturo, prima ancora che le antere abbiano effettuata la loro deiscenza. In quanto alla corolla il fiore si avvicina a Melampyrum pratense, edin quanto alla reciproca posizione delle antere e dello stimma si accosta ai fiori di RARinanthus major. Il nettare, secreto in gran quantità dalla base carnosa dell’ovario riempie la porzione inferiore del tubo della corolla. Questa è lunga circa 18 mm., ma nella parte anteriore si allarga e permette ai bombi di introdurvisi comodamente con la testa e, con qualche fatica, anche con la parte anteriore del torace, cosicchè essi, avendo una tromba lunga solo 10 mm., sono in condizione di succiare il nettare. Ma nel medesimo tempo la porta d’ingresso del fiore è resa così stretta dai rialzamenti del labbro superiore ed anche dai peli di cui sono prov- Viste le antere, che gl’insetti più piccoli, i quali sfrutterebbero il nettare senza giovare all’incrociamento, ne rimangono esclusi, ecce- zion fatta naturalmente per le formiche, Meligethes, Anthobium e Thrips. enti MR OE. » € PI loro. Questo urto è sufficiente a far cadere un po’ di polline su la tromba dell’insetto. Ma se l’insetto riesce ad introdurrà tutto il capo nella parte allargata del tubo fiorale, allora maggior quantità di polline gli cade sul capo stesso e l’incrociamento, con la visita suc- cessiva ad altri fiori, è assicurato, giacchè una parte di quel polline è depositata su lo stimma. La possibilità dell’autoimpollinazione spontanea è, nella stessa guisa che in RAinanthus major, esclusa; del resto la visita dei bombi è sufficientemente frequente da rendere superfluo questo mezzo. (Miiller, A/pendl. p. 288). Miiller (loc. cit. p. 284) riporta come visitatori dei fiori Bombus alticola, B. lapponicus, B. mendax. Anche Ricca (1) trovò i fiori proterogini. Warming (2) nella Finmarchia e in Groenlandia accanto ad esem- plari, i cui fiori rassomigliavano a quelli alpini descritti da Miiller, ne trovò pure altri che differivano nella lunghezza dello stilo. Tal- volta questo non sporge dalla corolla e lo stimma si trova su le an- tere, cosicchè l’autoimpollinazione dev'essere inevitabile. Così pure in Norvegia il prof. Nyhuus (cit. da Warming, loc. cit.) trovò sul Dalfjàld (fra 1500-2500 piedi) fra più centinaia di piante esaminate, soltanto la forma brevistile (autogama), mentre in località più basse e più ricche d’insetti è frequentissima invece la forma longistile (allogama). Lindman (3) nella penisola scandinava trovò solo la forma lon- gistile. Egli ha pure notato (4) che spesso le antere invece di essere rinchiuse sotto il labbro superiore della corolla, ne sono completa- mente fuori, e poichè il polline è molto asciutto, la pianta potrebbe quasi Bensrdare come anemofila. Schulz (loc. cit. Heft 10, p. 74) osservando nei Riesengebirge, trovò una forma fiorale che si scosta alquanto da quella alpina di (1) Attîi, XIV, fasc. IV, p. 260. (2) Om Bygningen 0g den formodede Bestivningsmaade af nogle grontandske Blomster; Kj6benhavn, 1556, pp. 7-10. Cfr. pure Loew: Die Verdndertichkeit der Bestiub.-einr. bei Pflanzen derselben Art; Humboldt, VIII, Mai 1889. (8) Bidrag till Kinnedomen om Skandinaviska Fjellvixternas Blomming och Befruktning; Bihang till K. Svenska Vet-Akad. Handlingar.Band. 12. Afd. IIl n. 6, 1887. (4) Bliihen und Bestiubungseinr. im Skandinavischen Hochgebirge, Bot. Cen- tralbl. XXX, 1887, del fiore, non Duo mancare di urtare con essa le punte di cui — come È in Rhinanthus — sono fornite le antere strettamente combacianti fra Mati; is 4 Lal id it ta a; % STAR SITÀ Adi ta do assunto. per ‘idettamento liizione suddetta ed all’insetto riesce facile introdurre il capo nell’ingresso del fiore. Come in P. silvatica, anche in questa i margini liberi laterali alla fenditura del labbro superiore sono revoluti e muniti di costola, ‘cosicchè l’insetto col suo capo si caccia nel fiore, provoca un allar- gamento delle pareti laterali del labbro superiore e che si estende fino alle antere, dalle quali perciò cade il polline sul capo dell’in- setto (Miller, A/pendl. p. 298). 3 Secondo Kerner (Schutzm. d. Bliithen ecc. p.T; Vita delle piante, II, p. 367) a motivo della conformazione del labbro superiore, l’au- toimpollinazione senza l’intervento degl’insetti è assicurata dal fatto che, nell’ultimo periodo della fioritura, il rostro del labbro su- periore, piegandosi fortemente ad angolo, prende una posizione ver- ticale. Il polline quindi cade su lo stimma che si trova davanti alla bocca del tubo. In seguito alla detta piegatura lo stimma è ri- tirato talvolta nell’interno del tubo, ed in tal caso l’autogamia av- viene nell’interno del tubo stesso. Miiller (loc. cit. p. 300) osservò come pronubo di P. rostrata sol- tanto Apis mellifica: Ricca (Atti Soc. it. sc. nat. XIII, 3, p. 260-261) trovò visitati i fiori di /. rostrata, come pure quelli di P. verticil- lata e tuberosa da bombi ed apiarie. P. asplenifolia Floerke. I fiori, protetti contro i piccoli insetti stri- scianti dalla fitta lanosità del calice — sono ancora più curvati di quelli della P. rostrata. Il labbro inferiore è così obliquamente in- clinato da destra verso sinistra, da presentare una superficie quasi verticale; cosicchè i bombi possono spingersi nel fiore soltanto dal lato sinistro, tanto più che il labbro inferiore con la sua porzione ‘eretta ne chiude in massima parte l’ingresso. L'accesso, quindi, al nettare è impedito a molti insetti inutili, mentre 1 Bogili possono facilmente abbassare la porzione eretta del labbro inferiore, ed allontanando le due pieghe che limitano la sca- nalatura della linea mediana; allargano l’ingresso del fiore in modo da spingervi entro il capo o almeno la parte anteriore. Le antere sono sfornite di peli ai margini e ad ogni scossa la- sciano sfuggire il polline; mancano pure i peli dei filamenti desti- nati ad impedire una dispersione laterale del polline cadente; essi per altro sarebbero qui superflui, poichè basta ad impedirla la posi- zione quasi verticale del labbro inferiore. In corrispondenza della più accentuata obliquità del labbro infe- riore, anche la lunga appendice a forma di rostro del labbro supe- riore offre una piegatura, verso sinistra, maggiore che in P. rostrata, # Metà di i questi hanno precedentemente visitato altri fiori. Su la possibilità dell’autoimpollinazione spontanea mancando le visite degl’insetti, vale quanto si è detto per /. rostrata (Aerner, p. 367). Miiller come visitatori riporta Lombus terrestris, B. alticola e Plusia gamma (Alpenblumen, p. 300, 501; Die Insekten als unbewusste Blumenziichter, Kosmos, 1878, 6 Heft, p. 493, fig. 15). P. tuberosa L. è molto analoga a /°. asplenifolia, ma se ne distingue oltre che pel colore dei fiori d’un giallo assai pallido — mentre sono roseo-rossastri nell’asplenifolia — per la torsione della corolla e l’obli- quità del labbro inferiore meno pronunciate. Da ciò dipende un’altra differenza nel meccanismo per l’impollinazione. Poichè il labbro inferiore non è così inalzato verso destra da im- pedire una dispersione laterale del polline cadente, viene raggiunto lo stesso scopo mediante peli i quali guarniscono l’estremità supe- riore dei filamenti. Questi peli nei filamenti degli stami più lunghi ricoprono un più lungo tratto che non su i filamenti degli stami più corti. Visitatori dei fiori sono Bombus mastrucatus, terrestris, mendaw (Miiller, A/pendl. p. 301); e Loew (cit. da Knuth) nella Svizzera os- servò Zygaena erulans. In quanto al processo ver assicurare l’auto- gamia, vale — secondo Kerner (loc. cit. pag. 368) — quanto sì è detto per P. rostrata. P. incarnata Jacq. è stata descritta ed illustrata da Kerner ( Vita delle piante, II, p. 366). La corolla, bilabiata, ha i lobi del labbro inferiore dapprima ri- volti in su, e poscia disposti in un piano obliquo. Il labbro superiore, ad elmo, termina all’estremità a forma di tubo, e sotto la sua cur- vatura sono nascoste le antere. Lo stilo, lungo, con la sua estremità anteriore traversa il tubo su detto, per cui lo stimma viene a trovarsi davanti alla bocca del tubo stesso ed alla via che conduce all’interno del fiore. I bombi che seguono questa via, debbono urtare lo stimma e l’inerociamento è inevitabile se essi sono sporchi del polline di altri fiori più vecchi, precedentemente visitati. I fiori sonò proterogini. Nel primo tempo della fioritura non può avvenire che l’eteroimpol- linazione dello stimma mediante gl’insetti; più tardi, lo stimma è ancora urtato per il primo, ma tosto, in seguito allo spostamento dei filamenti staminali, il polline farinoso cade dalle antere ed imbratta il capo dell’insetto che penetra nel fiore, cacciandosi nella fenditura del labbro superiore, che viene alquanto allargata. Mancando la vi- dere una posizione verticale; il polline è trascinato in avanti e in giù nell'interno del tubo e giunge su lo stimma posto, come si è detto, innanzi alla bocca del tubo. In conseguenza della predetta piega- tura ad angolo, lo stimma è talvolta ritirato entro il tubo, ed allora l’autogamia avviene nell’interno del tubo stesso. | P. foliosa IL. ha fiori bianco-giallastri raccolti in numero da 20-30 in un racemo lungo 6-8 cm. e intercalati da brattee spor- genti. Il tubo della corolla dei singoli fiori si eleva verticalmente per circa 4 mm., poi piega in avanti aumentando a poco a poco in lun- ghezza per quasi un centimetro ma conservandosi di eguale lar- ghezza, prima di dividersi nei due labbri. Il labbro superiore forma un cappuccio senza rostro, lateralmente compresso, dalla cui aper- tura anteriore nei fiori più giovani sporge soltanto la capocchia stimmatica, mentre nei fiori più vecchi lo stilo, rivolto in basso, è così sporgente che lo stimma dista solo di circa 4 mm. dal labbro inferiore obliquamente diretto in giù. Dall’apertura libera lasciata dai margini del labbro superiore sono visibili le antere. Quando i bombi introducono la tromba e poscia il capo nella scanalatura mediana del labbro inferiore, allar- gano i margini del labbro superiore e separano le antere, che apren- dosi lasciano cadere il polline sul capo degl’ insetti. Questi volando da fiore a fiore, da ceppo a ceppo, provocano l’impollinazione inero- ciata, mentre l’autoimpollinazione spontanea sembra esclusa. Dalle dimensioni fiorali accennate si rileva che soltanto i bombi i quali possiedono una tromba lunga almeno 12-14 mm. sono nella possibilità di raggiungere il nettare nei fiori di questa specie (Miil- ler, A/penb. p. 302). E gl’insetti da Miiller (loc. cit. p. 303) osservati sono Bombus hortorum (lungh. della tromba 16-18 mm.), B. mesomelas (15-18 mm. di tromba) e B. mastrucatus (10-12 ‘/, mm.). Quest'ultimo produce spesso un foro in prossimità del calice, ora a destra ora a sinistra del tubo corollino, pel quale foro introduce la tromba per succhiare. Kerner (Vita d. p., II, p. 368) però ammette l’autogamia possibile verso la fine della fioritura a motivo della piegatura che subisce il labbro superiore, per la quale lo stimma viene a trovarsi su la linea di caduta del polline che esce dalle antere non più unite come nel primo tempo della fioritura. * 000 de: sui margini della Lia, per effetto del iO: dei filamenti staminali, per cui gli stami si allontanano. Nello stesso tempo, il labbro superiore si piega sì fortemente ad angolo da pren- vicina di molto par la struttura fiorale a P. recutita LR a dal Miiller: il fiore è però notevolmente più grande. La doccia longitu- dinale del labbro inferiore non può assolutamente essere designata per l'introduzione della tromba degl’insetti, quindi nemmeno in P. recutita, a fiori molto più piccoli e a doccia più stretta — contro le vedute di Miiller. L'ingresso nel fiore avviene per la fessura del labbro superiore. Visitatori, fra i 1200-1500 m., ne sono Bombdus mivalis e B. al- pinus, rari. Lo stesso Lindmann (2) trovò pure parecchi fiori, in cui lo stilo era considerevolmente più corto e non giungeva fino alle antere, mentre lo stimma era normalmente sviluppato e viscoso. Natural- mente questa forma rimane designata per l’autoimpollinazione (spon- tanea). Anche Warming (5) dice che in P. Oederi Vahl. — non in Groen- landia — lo stimma sporge per lo più dal labbro superiore, e viene toccato prima e coperto di polline dal bombo visitatore, nel caso che questo ne sia già sporco. E l’autoimpollinazione avviene anche fre- quentemente, poichè non di rado lo stilo è notevolmente più corto e non giunge all’altezza delle antere. P. Oederi Kerner (P. flammea Wulfen?). Secondo Kerner (loc. it. II, p. 368) che l’ha osservata nei prati alpini vicino al Brenner, nel Tirolo, in questa specie l’autogamia è dovuta al fatto che verso la fine della fioritura il labbro superiore si curva di tanto che lo stimma viene a trovarsi sotto le antere, ed il polline viscoso da esse cadente rimane in parte attaccato allo stimma stesso. Kerner ag- giunge che i medesimi mutamenti di posizione, i quali si producono spontaneamente e conducono all’autogamia, possono al ‘principio della fioritura essere determinati dai bombi, appesi ai fiori, ed al- lora provocano l’incrociamento, analogamente a quanto si verifica in /. recutita. P. lapponica L. secondo le ricerche di Warming sul Dovrefjeld possiede una struttura fiorale analoga a quella di P. Oederì Vahl. Il labbro inferiore però è più obliquo e perciò sembra più delle altre specie affini adattata. alla fecondazione mediante gl’insetti. In conformità di ciò, secondo Aurivillius, lo stilo sporge dal fiore, cosicchè lo stimma viene toccato prima dagl’insetti (1) Ue. d. Best.-einr. einiger skandinav. Alpenpftanzen, Bot. Centr. XXXIII 1888. (2) Bidrag till Kéinned. ecc., p. 84. (3) Bestivningsmaade ecc. Saertryk, p. 44, 1886. Pre turi. Inoltre la pianta si propaga riccamente per rampolli sotterranei. Lindman (Bidrag, ecc., p. 84) sul Sédra Knudshé, a circa 1500 metri d'altezza, trovò quale visitatore dei fiori Bombus alpinus. Anche Aurivil- lius (1) dice che i fiori di questa specie sono diligentemente visitati da Bombus nelle regioni nordiche della Scandinavia, e riporta che il capitano Feilden osservò nella Terra di Grinnel, sotto 1’82°-83° di latitudine boreale, bombi a visitare le specie di Pedicularis. Schneider (2) osservò nella Norvegia artica Bombus lapponicus e vide Colias hecla Lef. posata su i fiori di questa specie. P. euphrasioides Steph. I fiori, osservati da Warming (Bestivningsmaade, p. 44) sul Dovre, presentano disposizioni analoghe a quelle di P. lapponica, ma lo stilo è meno sporgente dal labbro superiore. P. flammea L. secondo le osservazioni di Warming (Bestivn. ecc.) mostra nei fiori, sul Dovrefjeld, lo stilo sempre rinchiuso nel labbro superiore. Lo stimma giace su le antere cosicchè facilmente avviene l’autoimpollinazione. spontanea, seguita da fruttificazione. P. hirsuta L., come le tre precedenti specie artiche e come le rimanenti del gen. Pedicularis, ha una struttura fiorale adatta ai bombi. Nei fiori più vecchi, lo stilo si ripiega tanto in dietro che lo stimma e le antere vengono a contatto fra loro e l’autoimpollinazione spontanea ha luogo. Questa, tanto in Groenlandia quanto nello Spitzberg, è seguita da fruttifica- zione ( Warming, loc. cit.). Ma poichè i bombi mancano nello Spitzberg, Au- rivillius (loc. cit.) ha concluso che la specie vi si feconda, come la seguente, per autogamia, fin da una serie infinitamente lunga di generazioni (3). P. lanata Cham. concorda, secondo Warming, nelle disposizioni fiorali con la specie precedente, sicchè l’autoimpollinazione spontanea vi è inevita- bile e coronata — anche nello Spitzberg — da buon successo di fruttifica- zione. P. sudetica Willd. I rossi fiori, dall’odore di gelsomino, di questa specie della nuova Zembla, sono proterogini, e l’autoimpollinazione vi è possibile poichè lo stimma, a lungo vivace, è sporgente e giace su la linea di caduta del polline (Warming, Bot. Tidsskrift Bd. 17, p. 215). Ekstam come visitatore dei fiori osservò nel 1895 un piccolo dittero e Bombus hyperboreus, mentre nel 1891 non aveva osservato alcuna visita da parte degl’insetti. P. Sceptrum Carolinum L. I fiori della penisola di Kola e di Osterdalen (Norvegia) concordano pienamente nelle loro disposizioni. (1) Insektlifvet i arktiska Lénder: Stockholm, 1884. (2) Tromsi Museums Aarshefter, 1894. _ (8) V. pure Loew: Die Verdnderlichkeit der Bestiubungseinriehtungen bei Pflanzen derselben Art; Humboldt, VIII, Mai 1889. A atori e l’et imp. lina zione na zia: Con la SogiRori 0 ntale Si — del labbro inferiore è i Solis che il polline cada su lo tate e possa | quindi seguirne l’autoimpollinazione spontanea. Lindmann trovò frutti ma- Rd “ "4 det e, e O AT MR STI rea rt è Pi bro superiore un po’ più lungo (16 mm.), chiudendo interamente la bocca del fiore. Gl’insetti visitatori devono essere evidentemente grossi bombi o lepidot- teri notturni i quali, come in Antirrhinum e Linaria, cacciano il loro corpo o il capo fra i due labbri, venendo innanzi tutto a contatto con lo stimma, il quale è alquanto sporgente. Anche la distanza fra lo stimma e il nettario 2 cm. e mezzo) fa pensare con ragione che soltanto grossi insetti possano provocare l’incrociamento. I fiori sono proterogini. Pare che l’autoimpollinazione possa aver luogo difficilmente. Poichè questa specie in una località così nordica, come presso Alten (circa 10° lat. bor.), produce frutti abbondanti, la fecondazione è certamente effet- tuata da bombi. i Secondo Delpino (1) anche le 6 Pedicularis che fanno nella Nuova Zembla, come pure la P. Kanei, trovata dal Dott. Kane su la costa occidentale della Groenlandia al 79° di latitudine, devono la loro fecondazione a Bombus terrestris, ma Miiller (Befr. p. 303) osserva che se questa supposizione fosse giusta, tutte le dette Pedicularis dovrebbero avere un tubo corollino più corto che in /. silvatica (Cfr. pure Hi/debrand (2), Bot. Zeit. nn. 47, 48; 1869). Anche l’asserzione dianzi riferita del capitano Feilden ha bi- sogno, secondo Ekstam (3) di essere confermata, poichè essa contrasta con i risultati ai quali son pervenuti tutti coloro che hanno fatto ricerche nelle regioni artiche o su alte località alpine; cioè, che gl’insetti rappresentano una parte insignificante nella impollina- zione delle piante artiche. A conferma di ciò, Ekstam riporta quanto scrissero Kjellman e Holm. Kjellman (4) è venuto nella conclusione che in molte specie entomofile decisamente artiche, le visite degli insetti sono rare, o nella massima parte dei casi esse sì fanno lun- gamente attendere a motivo della grande scarsezza degl’insetti stessi. Holm (D) dice della Nuova Zembla che gl’insetti vi sono poco nu- (1) Alcuni appunti di geografia botanica, in Boll. Soc. Geogr. Italiana, fase. 3°, 1869. (2) Ueb. d. Wechselbeziehungen in der Verbreitung von Pftanzen und Thieren von F. DELPINO. (3) Zinige Bliitenbiologische Beobachtungen auf Novaja Semlja; Tromsò Museum Aarshefter, 18; 1895 p. p. 173—74—75 etc. (4) Ur polarvéirternas lif; A. E Nordenskiéld, studier och forskningar ete. Stockholm, 1888. (5) Novaja-Zemlja's Vegetation, saerligt dens Phanerogamer. Dijmphna- Togtets zoologisk-botaniske Udbytte, Kiòbenhayn 1885, p. 530, | soltanto di cs sì vede SEA farfalla poco appariscente sola: zare tra i fiori, oltre ad alcuni rari ditteri, cosicchè l’impollina- zione entomofila non vi è rappresentata in nessun modo o soltanto in via accessoria. Nella Norvegia artica invece, secondo le interessanti ricerche di Schneider (cit. da Ekstam) pare che il compito degl’insetti sia mag- giore, ma come risulta da tali ricerche e come lo stesso Schneider rileva, è affatto evidente che le specie di Pedicularis, le quali hanno avuto il primo posto tra i fiori adattati ai bombi, vengano solo di rado visitate da bombi. Ed allo stesso risultato è giunto anche Ekstam, il quale nelle alte montagne scandinave ha osservato soltanto in alcuni pochi casi Bombus alpinus a visitare « passando » ed. lapponica, mentre non constatò mai visite d’insetti nelle altre specie di Pedicularis da lui osservate. Anche le osservazioni del prof. Fries (in ltt. a Ekstam), tanto per le regioni artiche quanto per le alte montagne della Svezia, concordano in questo senso. Come si è riferito più innanzi, il prof. Aurivillius ed altri autori hanno asserito che le specie di Pedicularis vengono frequentemente visitate da bombi, che di preferenza accorrono a queste piante. Ma Ekstam pone il dubbio se proprio le specie di Pedicularis sieno adattate ai bombi, poichè il fatto, noto, che i bombi spesso sì pro- curano il nettare dei fiori di Pedicularis forandone la base e perciò in un modo illegittimo e poco vantaggioso per l’impollinazione, in- dica già evidentemente che i detti insetti hanno riconosciuta meno comoda la via ordinaria. Da comunicazioni (in 2itt.) fattegli dal è prof. Aurivillius, sono principalmente i bombi operai e le specie a corto succiatoio che praticano i fori; la qual cosa è ancor più degna di nota, quando si pensi che le specie nordiche ed alpine, in gene- rale, son quelle che possiedono il succiatoio bene sviluppato. Nelle due estati del 1891 e 1894 a cui sì riferiscono le osserva- zioni di Ekstam, nella prima (1891) egli non notò alcuna visita di bombi ai fiori di Pedicularis, e nella state del 1894 osservò solo due visite di Bombus hyperboreus ed entrambe ai fiori rossi, molto appari- scenti, odorosi di P. sudetica Willd. (loc. cit. p. 118). Gen. Castilleja.. C. pallida Kth. Questa specie, pure artica, è stata esaminata da War- ming. Tra il labbro superiore, eretto, e quello inferiore rimane libera soltanto una stretta apertura. Si trovano fiori longistili e brevistili; nei primi l’auto- "Di CCRUE al stipollinagicne è resa diffi skrift, Bd. 17, p. 220-228). C. coccinea Spreng. nel Nord-America, secondo Robertson (Pao) ASOLO p. 598), col suo colore scarlatto e la mancanza d’un posatoio qualunque, accenna a colibrifilia. Fd infatti egli, nell’Illinois, osservò Trockilus colubris unico visitatore dei fiori. A motivo della profondità del tubo corollino (15 mm.), non sono da esclu- dere bombi e farfalle diurne. - C. affinis H. et A., secondo osservazioni di A. J. Merritt in California (Eryth. V, p. 21), ha fiori rosso-scarlatti e affatto disposti all’eteroimpollina- zione mediante i colibrì. Considerazioni generali su le « Ncrophulariaceae ». I fiori delle Scrofulariacee sono in generale adattati alla eteroim- pollinazione per mezzo degl’insetti. Non solo il zigomorfismo e la posizione laterale dei fiori, ma anche la trasformazione di alcune parti della corolla si riferisce a questo scopo. Il nettare è secreto dal disco, cioè intorno alla base dell’ovario o principalmente nella sua faccia inferiore; nell'ultimo caso si hanno nettarii a forma di cercine, di squama, conici. Esistono pure net- tarii estranuziali. Il colore dei fiori è per lo più vivace, predominando il rosso 0 i) giallo, e nei tropici sì trovano fiori d’un rosso-scarlatto. Fu anche notato il cangiamento di colore in alcune specie. Varie sono le formazioni destinate a proteggere il nettare e contro i mezzi fraudolenti praticati dagl’insetti per impadronirsene (1). Intermediari della fecondazione sono principalmente api, bombi, vespe, mosche. Il polline è coerente o polverulento; polverulento specialmente nelle Rinantacee. I fiori sono dicogami, più di rado omogami ( Verdascum, Digitalis, Mimulus-sp.), proterandri (Pentastemon, Digitalis-sp.), proterogini (Scrophularia, Veronica, Linaria, Euphrasia, Odontites). Se manca l’eteroimpollinazione, ha luogo l’autogamia mediante determinafe disposizioni. Nei fiori omogami l'eteroimpollinazione ‘è è resa possibile o dalla diversa lunghezza dei filamenti e dello stilo (es. Verbascum), o dai movimenti dello stilo, rispettivamente dello stimma (es. Mimulus, Torenia, (lossostigma). (1) V. KERNER. — Die Schutzmittel der Bliiten gegen unberufene Giiste, Inn- sbruck, 1879. d alla relativa posizione dai organi sessuali e dal non contemporaneo sviluppo dei medesimi. Mancando l’eteroimpollinazione, l’autoimpollinazione si compie in diverse guise: per l’incurvarsi dello stimma sotto le antere (es. Rhinanthus minor, Euphrasia minima, E. stricta, Melampyrum); per l’incurvarsi dello stilo in alto e collocamento dello stimma su la linea di caduta del polline (Scrophularia, Veronica-sp.); per ulte- riore accrescimento della corolla, avvicinandosi così lo stimma alle antere (Rhinanthus hirsutus, Euphrasia Rostkoviana, Udontites); per la caduta della corolla, venendo così il polline che vi aderisce a rasentare contro lo stimma (Veronica-sp., Calceolaria pinnata ed altre); per l’incurvarsi del peduncolo fiorale che ha per effetto di portare lo stimma sotto le antere (/Zygelius); mediante varie curva- ture della corolla e per la combinazione parecchie di tali disposizioni ( Wettstein). Fiori cleistogami furono osservati in specie dei generi Vande/lia, Veronica, Linaria, Scrophularia e Salpiglossis. I Verbascum hanno fiori a tubo corto ed aperto; gli organi ses- suali sono liberi e sporgenti, ed ordinariamente lo stimma viene toccato prima delle antere dagl’ insetti visitatori. I fiori offrono sol- tanto polline, e in alcune specie anche nettare, in quantità scarsis- sima. L’incrociamento è favorito nella generalità dei casi dalla prote- roginia, ma l’autoimpollinazione spontanea è resa possibile dai mo- vimenti che subisce lo stilo e dalla caduta della corolla (1). Alcune specie (thapsiforme, phlomoides, Lychnitis) si presentano ginomonoiche e più di rado ginodioiche. I fiori — gialli, bianchi o d’un violetto cupo (V. phoenicea) — sono principalmente visitati da api e bombi raccoglitori di polline, ai quali si accompagnano — in seconda linea — mosche sirfidi e farfalle. | Le specie di Linaria e Antirrhinum — dai fiori gialli, aranciati, bleu, porporini etc. — hanno tubi fiorali speronati, più o meno lun- ghi, nettariferi e a labbri della corolla chiusi. Le specie trattate sono tutte omogame, ad eccezione di Linaria reflera che è prote- randra, secondo Ponzo (2). (1) U. MARTELLI. — On the cause of the fall of the Corolla in Verbascum. Journ. Linnean Society, XXX, 1894. (2) KERNER (Vita d. piante, II, p. 306) riporta come proterogini i generi Linaria, Serophularia, Veronica. ANNALI DI BorANICA — VoL. V, i 13 G. E. Mattei. | L'inerociamento è favorito dalla posizione delle antere sotto il labbro superiore; l’autoimpollinazione spontanea è inevitabile in al- cune specie, in altre (L. minor) è la regola. Alcune Linaria portano fiori cleistogami. Le Scrophularia dai fiori campanulati, verdastri, largamente aperti, ricchi di nettare facilmente accessibile, sono — almeno per le specie trattate — proterogine e melittofile, e visitate prevalente- mente da vespe. La proteroginia non è sempre così pronunciata da evitare — come in S. aquatica, secondo Pandiani — l’autoimpollina- zione spontanea che ha luogo facilmente. Alcune specie di Serophularia presentano fiori cleistogami. Du- rien de Maisonneuve ‘Bull. Soc. Bot. France, III, p. 565-570; 1856) fu il primo a scoprirne in Se. arguta, e ne è fatta menzione pure da Kuhn in « Botan. Zeitung, 1867, p. 67». Questa specie, delle An- tille, è anche nota per la sua anficarpia (Huth: Ued. geokarpe, am- phikarpe und heterokarpe Pflanzen, Berlin, 1890). | Le specie trattate del genere Veronica sono nella massima parte omogame; parecchie sono proterogine ed alcune proterandre. I fiori hanno tubo corto e sono aperti, con gli organi sessuali sporgenti e iberi. Alcune Veronica (hederaefolia, serpyllifolia, agrestis, triphyllos) presentano fiori pseudocleistogami, cioè fiori che in date circostanze non si aprono, ma in cui — pur rimanendo chiusi — sì effettua l’autofecondazione con produzione di semi maturi e fertili, come nei fiori cleistogami (Hansgirg, PAytodynamische Untersuchungen, in Oesterr. botan. Zeitschrift, 1890, n. 2). Hansgirg (l. c.) distingue i fiori pseudocleistogami in fotoclei- stogami, idrocleistogami e termocleistogami, a seconda che la scarsa illuminazione, la stazione subacquea o l’insufficiente temperatura determinano la pseudocleistogamia. Le specie di Veronica, citate or ora, rientrano nel gruppo dì quelle a fiori foto-termocleistogami. Secondo Mac Leod (Berrucht., p. 198) le specie monocarpiche, for- nite di piccoli fiorellini poco appariscenti (ad eccezione di V. tri- phyllos), di regola si autofecondano; fra le specie policarpiche ce ne sono diverse in cui la probabilità dell’inerociamento è abbastanza grande, ed in generale sono incrociate a motivo del maggior nu- mero delle visite degl’insetti o della dicogamia, più favorita che nelle specie monocarpiche (Ofr. pure Miiller, Be/r., p. 289). tori; L. sto) si è Halemofila, secondo Dane “VE Iù dp > "Ca “A star] 4; È 4 4 LE $ * a tata ae LI x e d iddai * L'A ucsta colore, e più E RE rosel, Bitoshi o biancastri, sono ditteri (sirfidi, empidi, muscidi) in prima linea, e poscia imenot- teri (apidi, ecc.), e lepidotteri in scarso numero. Le specie neo-zelandesi del gen. Veronica sono secondo Thomson (N. Zeal. Instit. 1880, p. 277) proterandre in diverso grado e proba- bilmente tutte xenogame; alla deiscenza delle antere, i filamenti si allontanano fra loro e lo stilo con lo stimma sovrasta in mezzo al fiore. Visitatori principali: imenotteri e ditteri. Secondo Armstrong (N. Zeal. Instit. XIII, 1880, p. 344), numerose specie (circa 60) neo-zelandesi di questo genere sono prevalentemente ‘autofertili e l’autogamia vi è determinata dal contatto fra antere e stimma in seguito all’appassire della corolla. Le Digitalis — a fiori rossi o giallicci — hanno tubi fiorali, nettariferi, lunghi, larghi ed aperti. D. purpurea ed ambigua sono proterandre, D. lutea è proterandra (nelle località più basse) od omogama (in località più alte). In tutte e tre le specie può avve- nire l’autoimpollinazione spontanea, mancando le visite dei bombi, da cui sono principalmente frequentate. Le prime due sì riscontrano ginodioiche, l’ultima ‘anche gino- monoica. Scrofulariacee esotiche hanno adattamenti molto diversi. Le Col- linsia presentano tutte le caratteristiche d’un fiore papilionaceo, e in Calceolaria pinnata è riprodotto l'apparecchio notissimo delle Salvia. Le Rinantacee, finalmente, costituiscono il gruppo più interes- sante fra le Scrofulariacee, a motivo della perfezione per vari gradi raggiunta dall’apparecchio di spargimento del polline, e dell’adatta- mento delle sue forme a diversi gruppi d’insetti. Tozzia alpina è adattata ai ditteri (liegenblume) ; tra le specie di Euphrasia, alcune di esse richiamano accanto ai ditteri un nu- mero discreto di apidi come intermediari per l’incrociamento, e tra quelle dei generi RWhinanthus, Melampyrum, Bartsia e Pedicularis — che presentano apparecchi meglio perfezionati per lo spargimento del polline — i fiori sono adattati affatto esclusivamente alle api e principalniente ai bombi. Solo nel genere ItRinanthus, a causa del suo spingersi in località ricche di farfalle, il fiore in origine adat- tato ai bombi si è disposto ad un incrociamento mediante le farfalle, dapprima contemporaneo e poscia esclusivo; cosicchè si ha in /?. Alec- torolophus un fiore bombofilo e lepidotterofilo, ed in /. a/pinus un fiore lepidotterofilo (Miller, A/pend!., p. 304). Silene nel terzo numero di queste Contribuzioni (in Malpighia, bi XIX, 1905). ‘e Nella parte descrittiva fu già accennato alle differenze che pre- sentano Bartsia alpina ed alcune Pedicularis delle regioni artiche, comparate agli stessi esemplari dell'Europa centrale. Negli esemplari artici, cioè, si nota una maggiore tendenza al- l’autoimpollinazione, in contngitto con le identiche specie dell’Eu- ropa centrale, allogame. È molto probabile che questo cangiamento. nelle disposizioni dei fiori e nel modo d’impollinazione sia in rap- porto con la povertà d’insetti della Groenlandia, poichè Warming riscontrò fatti analoghi anche presso altre piante; ed in generale, presso le piante più artiche, sì osserva un numero molto maggiore di specie autogame in generi che con specie affinissime — ma al- logame — s'incontrano pure nell'Europa centrale. Warming espresse l’idea che in Groenlandia, dove gl'insetti flo- ricoli sono poco numerosi, le piante a propagazione vegetativa at- tiva sono specialmente adattate alla fecondazione incrociata, mentre quelle prive di moltiplicazione per via vegetativa, le quali devono per conseguenza produrre semi a rischio di estinguersi, sono spe- cialmente adattate all’autofecondazione. Pedicularis lapponica, per esempio, è di regola fecondata per opera degl’insetti e la produzione di semi è perciò incerta, ma la sua propa- gazione per rampolli sotterranei è molto attiva; i fiori di Ped. lanata, hirsuta e flammea sono invece adattati per l’autofecondazione e la moltiplicazione vegetativa manca quasi del tutto. Linaria vulgaris, secondo Mac Leod, è in gran parte sterile se mancano le visite de- gl’insetti, ma può senza semi continuare a sussistere: L. m2220r ed Elatine hanno, invece, piccoli fiori, autofertili e sono piante annue. Se molti fatti analoghi possono trovare la loro spiegazione nell’i- potesi del Warming, ne esistono altri che ad essa sono contrari. Mac Leod pensa che un numero di fatti molto più grande possa spiegarsi con l’ipotesi seguente : Le piante entomofile devono fare dei sacrifizi per attirare gl’insetti; i materiali che devono servire alla produzione del nettare, degli odori, ecc. sono tolti in grandissima parte alle ri- serve di cui la pianta è provvista al momento in cui comincia a fio- rire. Se queste riserve sono considerevoli, la pianta potrà produrre molto nettare, ecc., attirerà numerosi insetti e sarà adattata alla fe- condazione incrociata. Ma se le riserve sono poco considerevoli, la pianta potrà adoperare solo una piccola parte delle sue risorse per 1 attirare gl’insetti, dovendo la maggior parte di quelle essere impie- i ‘RARE che la Dim può ara diverranno dicioni e, in seguito, ero quasi inutili. I fiori non saranno più visitati da l'ISSOLA e si adatte- ranno all’autofecondazione. ; Secondo tale criterio egli divide le piante in capitaliste, a riserve considerevoli ed i cui fiori sono adattati alla fecondazione incrociata ed in proletarie, le cui riserve sono meschine ed i cui fiori subiscono sempre o quasi sempre l’autofecondazione. Ma anche questa teoria — come egli stesso fa rilevare — è insufficiente a spiegare certi fatti, ‘ed allora egli si domanda se nei casi di specie capitaliste puramente autogame, ovvero di specie proletarie ad autofecondazione impossi- bile non intervengano altri fattori (l’apogamia ?). La questione è di sommo interesse e potrà risolversi quando sa- ranno compiute le ricerche sul meccanismo fiorale e specialmente su le sue variazioni sotto i più diversi climi e rapporti faunistici. Ed in questo senso da Warming stesso e da altri autori, quali Lind- man, Mac Leod, Kirchner e Aug. Schulz, furono da parecchi anni intrapresi degli studi nelle flore danese, norvegiana e belgica, e .dei dintorni di Stuttgart, di Halle e dei Riesengebirge. Loew (Die Verdinderlichkeit ecc.) prendendo a base i risultati ‘ottenuti dalle ricerche di Aug. Schulz conclude che piante con di- sposizioni fiorali variabili possono adattarsi a seconda delle circo- ‘stanze ora all’autogamia ora all’allogamia, e che, in conformità di ‘ciò, le piante con disposizioni fiorali diventate stazionarie, rappre- sentano un gruppo ai cui due termini estremi stanno forme pura- mente autogame e puramente allogame, legate fra loro da nume- rose forme intermedie. Fam. BIGNONIACEAE. Gen, Catalpa Scop. C.bignonicides W alf.(—Bignonia catalpa L. — C. siringifolia Sims.) ha fiori proterandri. Delpino (1) riporta che nei fiori si osservano movimenti inversi degli stami e dello stilo coordinati allo scopo della dicogamia pro- terandra ed entomofila. Gli stami, cioè, piegano in basso quando le loro antere sì sono aperte, e più tardi si drizzano in alto a pren- dere il posto dello stilo. Ma Kirchner (Beitrége, ecc. 1890, pp. 53-54) «dice di non aver mai potuto osservare tali movimenti, che anzi trovò sempre gli stami aderenti alla parete interna del labbro su- (1) Utt. Oss. I, 1868, 69; p. 149; II, 2, 1875, pp. 135, 162, 172. vi i î & maner Îa aa sata e collocare soltanto w suoi due è stimmatici, divaricati, sopra l’ingresso fiorale. Anche Heckel dra risce di non aver mai veduto il più piccolo movimento dello stilo verso le antere, nè di queste verso l’organo femminile, se non quello. che ha luogo per l’accrescimento (Darwin) (2). Gli stimmi sono eccitabili. I lobi stimmatici, toccati prima dal- l’insetto visitatore e sporco del polline d’un altro fiore precedente- mente visitato, si chiudono prima che il polline del proprio fiore. possa essere deposto sopra di essi (De/pino, loc. cit., Hildebrand, Bot. Zeitung 1867, p. 284; Miller, Befruchtung, ecc., p. 306). Lo stesso Kirchner (loc. cit.) ha pure osservato un particolare. cangiamento di colore che si avvera nei fiori più vecchi in con- fronto dei fiori più giovani, il quale cangiamento di colorazione ri- corda quello che analogamente avviene nei fiori di Aesculus Hip-- pocastanum (cfr. W. O. Focke (3) in Naturwissensch. Wochenschrift. Bd. 5, 1890, p. 37). Come pronubi dei fiori di questa specie, Macchiati (Catalogo, ece. N°. Gi. Bot. It., XVI, p. 355) elenca Apis mellifera var. ligustica, 2 Andrena, 2 Halictus ed altri apidi. Anche nella Florida, nell’Illinois, secondo Meehan (Proc. Amer. Ass. Ad. Sc. 1873) i fiori di questa specie erano visitati da api mel- lifiche, che però non toccavano lo stimma. La truttificazione era abbondante. Ryder (Am. Natur. XIII, 10, p. 648; 1879) ha scoperto in questa specie glandole nettarifere alla pagina inferiore delle foglie, negli angoli delle nervature, constatandone l'essenza non solo saggiandone il liquido secreto ma anche dalla presenza di formiche. C. speciosa Warder. Secondo Antisdale (Bet. Gaz. VIII, 2, p. 171; 1883) i fiori sono troppo grandi per essere fecondati da api o da piccoli bombi. Il loro dorso non è abbastanza alto per toccare gli stimmi e le antere. Un grosso bombo tocca lo stimma, entrando ed uscendo dal fiore. Gli stimmi sono eccitabili e si chiudono in pochi secondi dopo che sono stati toccati : essi si chiudono prima che un’ape esca dal fiore. (1) Cfr. Burrau, Monographie des Bignoniacces, p. 188. (2) Effetti della fec. incr. e propria, trad. it. 1878, p. 50, in nota. (3) Der Farbemwechsel der Iosskastanien-Blumen ; Verh. bot. Ver. Prov. Brandenburg XXXI, 1889, pp., 108-112, Ofr. pure: MarrELLI U.: Di- morfismo fiorale di ale. specie di Aesculus; Boll. Soc. bot. ital. in N. Giorn. Bot. It. vol. XX, 1888, n. 83, pp. 401-404, — Ref. Bot. Centr., XXXVI, p. 284. e' (SURI ae A ten. } DA 2 Halictus, sp DE e qualche afide alato. Il prof. Trelease (2) menziona che secondo il prof. W. A. Henry, i fiori di questa specie vengono — nella loro patria — perforati probabilmente dal 7rockz2us colubris. Il dr. Schneck (3) e George Sprang (4) hanno trovato i fiori perforati, ma l’ultimo osservò for- miche a rosicchiare la corolla. Nel giardino botanico di St.-Louis — riferisce Pammel L. H. (5) — è difficile trovare un fiore di questa specie, completamente aperto, che non presenti dei fori longitudinali nella corolla. Tec. ipé. Mart. è ornitofilo. Fries (1. c., p. 400) notò parecchie specie di colibri. Eccremocarpus scaber R. et Pav. I fiori di questa specie, da noi colti- vata, vengono nel Chili visitati frequentemente dal colibri Zusfephanus galeritus Mol.; il carattere ornitotilo dei fiori sembra ancora dubbioso (Johow, Bestiub. chilen. Blit. I, p. 121). Spathodea campanulata Beauv. secondo Treub (v. ante) e Parmentiera cereifera Seem. secondo Kraus (Flora 81, 1895. p. 151-194) presentano il calice con idatodi. Le Bignoniacee sono generalmente proterandre, ed i lobi stim- matici sì separano prima dell’antesi completa. In quanto all’ im- pollinazione sono entomofile od ornitofile: a favore dell’allogamia parlano la condizione esposta dei fiori e l’ associazione, frequente, di colori vistosi nel calice e nella corolla (Schumann). Le Bignoniacee sono anche mirmecofile con una percentuale del 66 °/, (342 specie circa) secondo Delpino (Funz. mirmecof. 1888, IV, p. 169-182). Più recentemente il prof. Penzig (Malpighia VIII) ri- scontrava un’altra specie formicaria in Sfereospermum dentatum (che secondo I. Martelli — lora Bogosensis 1886, p. 64 — è iden- tico a St. integrifolium), da lui rinvenuta alle falde meridionali del monte Lalamba, a nord-west di Keren, a 1800 m. d’altezza sul livello del mare. (1) Loc. cît. (2) Note on the perforation of flowers. — Bull. of the Torrey Bot. Club, yol. VIII, p. 133. (3) Mutilation of flowers by insects; Botan. Gazette, XIII, p. 39. (4) The fertilization of the Trumpet Creeper (Tecoma radicans), Bot. Ga- zette, VI, p. 302. (5) Perforation of Howers : Trans. of the St.-Louis Acad. of Science, V, n. 1, 1888. Ho grt: se wp Md “ * z x Ri pai Fam. MAR * Gen. Martynia L. « Houst » 1737. M. proboscidea Glox. (— Proboscidea Jussieui Stend.) ha fiori adattati ca È bombi (Robertson, Flowers and insects, VII; Bot. Gaz. XVII, 3, 1892, p. 65). Il petalo inferiore della corolla forma un largo posatoio su cui si posa. l’insetto. Le antere sono addossate alla parete superiore della corolla, e lo stimma le sovrasta. Il lobo inferiore di questo è molto eccitabile prima della fecondazione, durante il qual tempo esso pende quasi verticalmente (7’0dd, Amer. Nat. XIII, 1, p. 16; 1879). Ward (cit. da Beal, Am. Nat. XIV, 3, p. 201-204; 1880) ha osservato nei fiori di questa specie bombi, Apis mellifica ed un’altra ape. I bombi pene- travano nei fiori. Gli stimmi si chiudevano prima che le api uscissero dai fiori. Il minimo tempo osservato per la chiusura degli stimmi fu di tre secondi, ed il massimo di 12 secondi, in una giornata fredda e nuvolosa. Dopo la quinta volta cessa l’azione eccitabile degli stimmi. Harger (Bot. Gaz. VIII, 4, p. 208; 1883) presso Oxford (Connect.) ha osservato che quando i lobi dello stimma hanno ricevuto polline mediante la visita di un’ape, essi si chiudono per non riaprirsi più (1). M. lutea Lindl. (— Probose. lutea Stapf.). In questa specie del Brasile, le due lamelle eccitabili dello stimma, secondo Oliver (Ber. deut. bot. Ges., 1887, p. 165) sono eccitabili soltanto nella loro faccia interna, ove l’epi- dermide è munita di peli verrucosi. Fam. PEDALIACEAE. Sesamum indicum L. I bianchi fiori, ascellari, nel giardino botanico di Buitenzorg erano visitati da Xylocopa coerulea. La specie possiede pure, come parecchie altre Pedaliacee, nettarii estranuziali, secondo Ascherson (Bot. Ver. Brandenb. XXX, 1888). Trapelia Oliv. oltre i fiori casmogami, produce pure fiori sommersi, idro- cleistogami (Stapf). Fam. OROBANCHACEAE. Gen. Kopsia Dum. (— Phelipaea C. A. Meyer). K. ramosa Dum. (= Ph. ramosa L.; O. ramosa L.) ha fiori debol- mente proterogini, privi di odore, di colore azzurro-chiaro o bianco, a fondo giallastro. Il labbro inferiore della corolla, trilobo, porta pieghe meno pro- fonde che in Orobanche (alii; le antere non sono collegate fra loro, ma terminano ciascuna con due appendici acute e sono collocate in due serie dietro lo stimma, bianco. (1) Ofr. pure per questa specie: Delpino, Sugli apparecchi ecc. p. 82; Hilde- brand, F. Delpino's Beobacht., Bot. Zeit. 1867, n. 86, p. 284; 7. Miller, Die Befruchtung, ete. p. 306. TALI itura , l'eteroimpollinazione è molt i hi vi ai essere il caso — è iovvsiato alla possibilità dell’autoim- ‘ pollinazione spontanea mediante un abbassamento dell’estremità ‘anteriore dello stimma, che, piegandosi ad arco, viene a contatto pel suo margine posteriore col polline delle due antere posteriori (Kir- chner, Neve Beob., ecc., p. 62; Flora, ecc., p. 644). (Kopsia =) Phelipaea coerulea C. A. Mey. secondo le osservazioni di Knuth (1) in una località dello Schleswig-Holstein, ha fiori adat- tati all’autoimpollinazione, quantunque per il loro colore, la gran- dezza e la loro unione in racemi sieno molto appariscenti e lascino supporre una ricca frequenza da parte degl’insetti. Ma quantunque in detta località volassero numerosi ditteri, principalmente, ed anche farfalle ed api, i fiori di P%. coerulea erano sdegnati da questi insetti che si posavano invece su altre piante. E in diversi giorni e per lunghe ore non osservò mai che gl’in- setti visitassero i fiori di questa specie, che si presentano privi di odore e di nettare. Nei fiori ancora in boccio i filamenti sono curvati all’estremità e giacciono sotto lo stimma. Però subito si distendono e raggiungono lo stimma, ricoprendolo di polline, quando il fiore non è ancora com- pletamente aperto ed il suo ingresso è ancora quasi totalmente chiuso dal labbro inferiore, trilobo. Forse, pensa lo Knuth, questa disposizione per l’autoimpollina- zione in un fiore tanto appariscente è da riguardare come una con- seguenza del trovarsi la pianta isolata o della mancanza degl’insetti necessari; la questione può risolversi mediante l’ esame di altre piante in altre località. Knuth osservò pure in numerosi esemplari che i fiori terminali per la fusione di parecchi di essi sono trasformati in un fiore acti- ‘nomorfo, il cui stimma è a tre o quattro lobi e circondato da 9 o 12 stami. Gen. Orobanche L. O. caryophyllacea Sm. (0. Galiî Dub.) ha fiori omogami, ema- nanti odor di garofano. La corolla e lo stimma hanno un colore che va dal giallastro al rosso-bruno; il nettare è raccolto nel fondo del fiore. La corolla, alquanto piegata, si allarga gradatamente dalla base alla bocca ; il labbro inferiore, trilobo, è fornito di pieghe le quali (1) Die Bestiubungseinrichtungen d. Orobancheen von Schleswig-Holstein ; Botan Jaarboek, III Jaargang, Gent, 1891. resi co : CUBI f talme: n e IRE grossi, ai quali queste pieghe. voro da posatoio, devon o col capo venire a contatto con gli organi sessuali, situati sotto il labbro su- periore. ni di Lo stimma, grosso, Lieve midi bilobo, sorpassa le antere, le quali. || GA sono fra loro lateralmente collegate e fornite d’una punta rigida, Bi acuta, rivolta in basso. Le logge delle antere si aprono in alto, me- «Va A diante una fenditura, e lasciano cadere il polline sciolto, giallo-chiaro, IR quando la punta dell’antera subisca qualche urto. Le antere sono situate immediatamente dietro lo stimma, mentre le appendici delle antere sporgono un po’ più in basso dello stimma, . cosicchè esse vengono facilmente toccate da gl’insetti che visi- 4 tano il fiore. Il polline si riversa quindi su la tromba o sul capo dell’insetto da tutte e quattro insieme le antere collegate, come innanzi si è detto. "pet. le pe A motivo della posizione dello stimma, sporgente, gl’insetti effet- c tuano sempre l’ eteroimpollinazione, ed è impossibile l’autoimpolli- De. nazione spontanea (Kirchner, Hora ecc. p. 642). (1) DI, Le disposizioni fiorali per l’impollinazione ricordano interamente AH . . Vie quelle osservate nelle Rinantacee: Melampyrum, Euphrasia, ecc. O. elatior Sutt. (= 0. maior L.) secondo Knuth (loc. cit.) mostra la stessa disposizione all’autoimpollinazione riferita per Phelipaea coerulea. Negli esemplari osservati nella campagna di Oldenburg non osservò nessuna visita da parte degl’insetti su ì fiori, privi di Le odore e di nettare, e dalla tinta fosca, di questa Orobanche. O. Rapum Thuill., 0.minor Sutt. secondo Mac Leod (Berruck. ( p. 209) hanno fiori melittofili. I fiori di O. Rapum-Genistae Thuill., O.rubens Wallr. ed O. Epi v thymum DC. furono dallo Schulz (loc. cit. 17, p. 219), rispettiva- mente in Westfalia, presso Halle e presso Bolzano, osservati forati, senza che el potesse sorprendere gl’insetti autori dei fori; ma a Bol- zano Superiore notava parecchi fiori di 0. cruenta forati da Bombus terrestris. 0. speciosa DC. osservata dallo Knuth nel giardino botanico di Kiel, parassita su Vicia faba, a motivo della posizione delle an- tere, situate dietro lo stimma, biclavato e sporgente dall’ingresso del fiore, esclude l’autoimpollinazione spontanea. Un grosso insetto che si cacci nel fiore, tocca dapprima lo stimma, 4 e poscia urta contro le appendici delle antere rivolte in basso. Lo stimma del fiore che è visitato per il primo, rinculando l’insetto, (1) V. pure Kircnner: N. Beob. ecc. 1886, p. 61, sub Or. Gatti. va ” ut ‘vengono MUTE polini. lifica. Il nettare è secreto in questa specie dalla base dell’ovario, colo- rata in giallo-arancio. O. (Phelipaca) lutea Desf. Trabut (1) trovò in questa specie, nella provincia di Oran (Algeria) fiori sotterranei, cleistogami, la cui co- rolla tubolosa era chiusa. Gen. Lathraea L. (2). L. squamaria L. ha fiori proterogini, visitati da bombi. La co- rolla è percorsa da strie porporine; il labbro inferiore presenta un nettarindice; il nettare, secondo Stadler (Beitr. 2. Kennt. d. Necta- ‘rien, p. 9-12), è secreto da un cercine carnoso sotto l’ovario e si rac- coglie nel fondo del tubo calicino. Le antere, come nelle rinantacee, sono collegate fra loro for- mando due serbatoi di polline. I bombi che visitano questi fiori, introducono la loro tromba nella doccia del labbro inferiore, ed ur- tano — nei fiori più vecchi — contro le appendici a punta delle antere, provocando così la caduta del polline dalle antere disco- state. Nei fiori più giovani, invece, essi urtano contro lo stimma, sovrastante alle antere, portato da uno stilo inclinato sul labbro in- feriore. Poichè le antere si aprono quando lo stimma è appassito 0 caduto, l’autoimpollinazione spontanea non può aver luogo (Kirchner, Flora, ecc. p. 603). Secondo Kerner (I. c. II, p. 324), quando lo stilo e lo stimma sono appassiti, 1 filamenti staminali portano le antere aperte davanti al- l'ingresso del fiore. Durante questo periodo le antere opposte non sono più aderenti, ed il polline che ne esce in seguito agli scuotimenti del vento, arriva su gli stimmi, ancora atti alla impollinazione, dei fiori più giovani, giacchè l’infiorescenza porta tutti i fiori rivolti da uno stesso lato. Ha luogo, così, un incrociamento per geitonogamia, verso la fine della fioritura, mentre al principio di questa è possibile la fe- condazione incrociata mediante gl’insetti. (1) Bull. Soc. bot. de France, 1886, pp. 536-539. (2) Nella Flora analit. d’Italia di FioRI e PAOLETTI, questo genere é in- cluso tra le Scrophulariaceae, cosi pure nel Manuale di Post e KunTZE. Per la struttura dell'embrione il gen. Lathraea concorda perfettamente con quello delle rinantacee, e tra le Scrophulariaceae l’includono KERNER (1. c. I, p. 167) ENGLER nel suo Syllabus e KxuTH nell’ Handbuch der Bliitenbiologie. L’Ar- cangeli l’include in questa famiglia. Come visitatore Knuth ee tungen) osservò” Apis mel- tas 7 n - e pure il nettare in modo normale. Egli osservò parecchi fiori che pre- sentavano 4-5 fori. Knuth (Handbuch, II, 2, p. 207) che ha dato una descrizione completa dei fiori di questa pianta, riporta come visitatori, nelle vicinanze di Kiel, Bombus hortorum, terrestris e lapidarius. Stadler (loc. cit.) cita B. terrester e B. muscorum. L. clandestina L. (= Clandestina rectiflora Lam.) concorda secondo Kerner (loc. cit. II, p. 325) con la specie precedente. Loew (Blitenbiol. Floristik, p. 302), in esemplari del giardino bo- tanico di Berlino, trovò i fiori più debolmente proterogini di quelli di L. squamaria. Nel primo stadio — femminile — del fiore, il labbro superiore circonda le antere completamente, in modo che lo stimma, sporgente, può solo esser coperto da polline straniero. Nel secondo stadio, ma- schile, allontanandosi i margini del labbro superiore, l’accesso alle antere sviluppate rimane libero, e l’accesso al nettario trilobo, nella base anteriore dell’ovario così aperto, che la tromba d’un bombo giunge ad urtare le appendici delle antere, determinando la caduta del polline polverulento su la tromba stessa. Mediante l’intervento degl’insettì l’eteroimpollinazione è perciò assicurata. Come visitatore dei fiori, nel giardino botanico di Berlino, Loew riporta Bombus hortorum. Le Orobanche hanno fiori omogami, più di rado proterogini, in parte nettariferi, in parte privi di nettare. Sono melittofile, Qual. cuna presenta fiori cleistogami. Lathraea ha fiori proterogini, nettariferi, disposti in principio per la fecondazione mediante gl’insetti, e verso il termine della fio- ritura anemofili (Kerner). L. squamaria forma in gran quantità fiori cleistogami, che ri- mangono sotterranei e portano a maturità i semi (Heinricher) (1). Come mezzo di adescamento per gl’insetti servono oli eterei ed i nettarii colorati sempre in giallo vivace, alla base dei filamenti o «dell’ovario. (Beck v. Mannagetta). (1) Biolog. Studien and. Gatt. Lathraea; Berichte d. deut. bot, Gesells. XI, p. 16, 1898, fe Guestenn forata de Bombil terrestri, di quando i in quando n da B. lapidarius e rajellus, i quali insieme ad altri bombi ne succiano — sa : si Del 4 Ch VOR pene 01 pane Gen. Gesneria. In questo genere le diverse parti del fiore sono presso a poco disposte come in Digitalis (Ogle), (1) e la maggior parte delle sue specie, se non. tutte, sono dicogame, e proterandre per eccellenza (Delpino) (2). Dopo che le antere disseccate e vuote, per effetto dell’avvolgersi a spira dei filamenti, si sono ritirate nell’interno del tubo, lo stilo si allunga ra- pidamente, cresce del doppio e viene a far capolino nello stesso punto pre- ciso dianzi occupato dalle antere. È chiaro che un insetto, visitando questi fiori, non può a meno di trasferire il polline dei fiori giovani su gli stimmi dei fiori vecchi. Lo stesso fenomeno si verifica pure per Gloxinia tubiflora e per le specie di Ackimenes (Delpino, loc. cit.). Cfr. Hildebrand, (3) in nota. Per la fecondazione delle Gloxinia, cfr.: E. Faivre (A. Soc. botanique de France, 1860). Achimenes P. Br. Secondo Kitchener (Amer. Naturalist, VII, 1873, p. 478) il fiore è proterandro e, per un ulteriore scambio di posto fra gli stami, di- sposto all’eteroimpollinazione. Aeschynanthus speciosus è stato descritto da Hildebrand (loc. cit.). I fiori sono spiccatamente proterandri. Nel primo stadio, gli stami con le antere collegate a due a due, sporgono fuori del tubo corollino, mentre lo stimma è nell’ interno del tubo quasi a metà della sua lunghezza. Quando le an- tere hanno emesso il loro polline, i filamenti si ripiegano in modo che le antere vengano quasi a giacere sul labbro inferiore della corolla; nel me- desimo tempo tutto il pistillo si allunga e lo stimma giunge allo stesso posto in cui prima si trovavano le antere. È immancabile perciò che un insetto proveniente da fiori più giovani non depositi sopra di esso il polline che trasporta. Da quanto sopra, risulta che in questa specie non è possibile nè autoim- pollinazione spontanea, nè autoimpollinazione mediante gl’insetti, ma sol- tanto l’incrociamento. Gesneria bulbosa Hook. secondo Delpino (Ult. Oss. II, 2, p. 257) appar- tiene al tipo « Aeschynanthus », ornitofilo. Ramondia pyrenaica, coltivata nei giardini, si distacca dalle precedenti Gesneriacee peri fiori a corolla rotata, a 5 lobi, dalla fauce fornita di peli corti d’un vivo color giallo-arancio. I fiori rassomigliano a quelli di So/anum tuberosum anche per il cono formato dagli stami, cui sovrasta lo stilo molto più lungo. Le antere secondo Kerner (l. c. II, p. 268) sono fornite di appendici le quali, urtate dagl’ insetti che penetrano nel fiore, determinano lo spargimento del polline. (1) Pop. Science Review; Jan. 1870, pp. 51-52. (2) Sugli apparecchi ecc. p. 33; Ult. Oss. I. p. 185. (3) F. Delpino’s weitere Beobacht. ecc., 1870, Bot. Zeit. p, 43 (Sep.-Abd ); Bot. Zeit. 1867, p 284. MRI E Episcia maculata secondo. Olive "HB Tara ( plari di Kew, ha fiori pesanti mu bocca del or K quasi cl tivo della posizione delle antere e dello stimma l’autoimpollinazione spon- tanea è esclusa, e probabilmente la solida chiusura del perianzio viene aperta da un’ape a lunghissima tromba, ed effettuata la fecondazione. L’ API zione artificiale fu coronata da successo. La specie possiede nettarii extrafiorali, mediante i quali le formiche, sono distolte dal visitare i fiori. i Mitraria coccinea Cav. I fiori penduli, portati da sottili peduncoli sono analoghi a quelli di Sarmienta repens R. et P.; però in Mitraria si hanno quattro stami fertili ed uno staminode, mentre in Sarmienta vi sono tre staminodi di lunghezza diseguale. I fiori d’un rosso scarlatto, proterandri, come quelli di Sarmienta, sono AI pe è, * | visitati dal colibrì chileno Eustephanus galeritus Mol.(Johow, 1. e. II, p. 28). Anche le specie sud-americane del genere Nematanthus Mart. sono se- condo Gonld (1. c., p. 129) visitate pure dai colibrì. Columnea hirsuta, viene da Delpino indicata come ornitofila. La pompa non comune del colore di molti fiori delle Gesneria- ceae, che specialmente sì mostra in tutte le possibili sfumature del rosso più acceso, ed il zigomorfismo, accennano, secondo Fritsch, che i fiori sono entomofili, e forse adattati ai colibri. Secondo Del- pino e Ogle (ll. cc.) i fiori sono proterandri. Fam. LENTIBULARIACEAF. La famiglia comprende nella nostra flora i due generi seguenti — che sono i soli europei — e la massima parte delle specie. I fiori delle Lentibulariacee sono lungamente speronati come quelli dì Linaria, ma sempre con due soli stami. (Gen. Pinguicula L. P.vulgaris L. Il lungo, sottile sperone presenta nettare in poca quantità, che secondo Sprengel (Das entd. Geheimniss ecc. p. 54-56) viene secreto dalla estremità stessa dello sprone. I bottoncini pe- duncolati, numerosi nello sprone di 7. alpina, sono invece scarsi in questa specie, ed in luogo dei rigidi peli rivolti indietro e che in P. alpina impediscono all’insetto di ritirarsi prontamente dal fiore, sì hanno in /. vulgaris dei peli flessibili, che non offrono alcun ostacolo all’insetto quando voglia abbandonare il fiore. Secondo Miiller (A/pen02. p. 354) il fiore come accenna il color violetto è designato per le api (Bienenblume), quantunge egli non abbia osservato che una sola ape — Osmzia coementaria — e per una sola volta, a succiare nel fiore di P. vulgaris. Il labbro inferiore, trilobo, le serviva come comodo posatoio. Gli organi sessuali sono PIP no le ambere la medesima disposizione che si riscontra in Utri- cularia, con la differenza che in Pinguicula 1 lobi stimmatici non sono eccitabih. L’incrociamento è favorito come in /. alpina, mediante la visita degl’insetti, ma è impossibile l’autoimpollinazione. Secondo la terminologia di Axell P. vulgaris ed alpina hanno fiori ercogami; l’autoimpollinazione è resa impossibile o difficile dai caratteristici impedimenti che si hanno nei fiori omogami o prote- rogini ( Warming, Om Bygningen, ecc. 1886, p. 48; Axell, Om Anordningarna, ecc. p. 42, fig. 9). Lindman (Bidrag till Kinned. ecc. p. 80) menziona che spesso la corolla in P. vulgaris si presenta con tre soli lobi, mancando ora i due posteriori, ora i due laterali (T'afl. IV, fig. 45); talvolta manca soltanto un lobo. Questi fiori sono più piccoli dei fiori ordinari. Anche Warming (0m nogle Arktiske Vaexters Biologi, p. 37) trovò a Tromsò alcuni fiori in cui lo sprone era ridotto in varia misura, ed il numero delle parti fiorali era pure diverso; in un fiore il ‘calice e la corolla avevano 4 pezzi ed era presente un solo stame; in un altro, in cui lo sprone era ridotto a minimi termini, i due stami ‘erano rudimentali. Lo stesso Warming (loc. cit., p. 33) non esclude però l’autoim- pollinazione. » P.alpina L. I fiori bianchi, adorni al loro ingresso da due gib- bosità fornite di peli gialli, adescano principalmente ditteri di media grossezza, i quali si cacciano interamente nel fiore e giungono con la testa fino nello sprone cavo. Questo non offre ad essi nettare, ma pare che i piccoli bottoncini unicellulari, peduncolati — che ne ri- vestono la superficie interna — ricoperti di delicata membrana e pieni di umore, costituiscano il mezzo che richiama i ditteri a vi- sitare ripetutamente i fiori. A rendere più facile all’insetto di introdursi nei fiori, servono da comodo posatoio non solo i peli gialli delle due gibbosità del labbro inferiore, ma anche i rigidi peli, incolori, con la punta ri- volta indietro, e dietro le gibbosità suddette. Ma tosto che il dit- tero è giunto col capo nello sprone, esso rimane quasi impigliato. e non fugge nemmeno se si stacca il fiore. I rigidi peli gl’impe- discono di tornare indietro prontamente. Esso si ritira soltanto a poco a poco, spingendo quanto più gli è possibile il corpo in alto, che altrimenti urterebbe contro l'ostacolo formato dai peli; ciò fa- cendo esso rasenta col dorso le antere e rialza in avanti e in alto il lobo dello stimma (non eccitabile) che le ricopre. periore, uSbo: E lobi dello stimma rico- Pe ago A in Io È DIS n Ca Ora, poick hè o st imm: vier a me bu: rità n molto: DI venga la deiscenza delle i il dittero effettua — gue | = sporco del polline d’un fiore più vecchio — l’incrociamento (fra si Mi pi: fiori di ceppi diversi, essendo ì ceppi per lo più uniflori), ogni volta | che s'introduca in un nuovo fiore, giacchè rimane allora aderente al lobo inferiore dello stimma una parte di polline (Miiller, AZpendl., p. 352; Hildebrand, Bot. Zeit. 1869, p. 505-507). Dei 23 visitatori che Miiller (loc. cit.) osservava su i fiori di questa specie, 15 sono ditteri, 9 dei quali — Anthomyia humerella, Scatophaga stercoraria, C'heilosia pubera, Melanostoma mellina, Mel. (spec. ?), Platycheirus ciliger, PI. fasciculatus, PI. manicatus, PI. mela- nopsis — sì comportavano nella visita del fiore nella maniera de- scritta. Anche Ricca (Atti, XIV, 3) trovò /. alpina molto visitata da piccoli ditteri che solevano fermarsi per alquanto tempo nella cavità del fiore. Secondo Kerner (Vita ecc. II, p. 349) i fiori di /. alpina, disposti dapprima per l’incrociamento mediante gl’insetti, si autofecondano. necessariamente, qualora manchi la visita di essi. Il margine infe- riore dello stimma lobato che porta il tessuto stimmatico, teso come una tenda sopra le antere foggiate a piatto, si ripiega alla fine in modo che il tessuto stimmatico venga a contatto con esse. Un fatto analogo, secondo lo stesso Kerner, sì osserva anche nei fiori dî Utricularia, e probabilmente nella maggior parte delle Utricu- lariacee. P. grandiflora Lam., dalla corolla di color violaceo, secondo Mac: Leod (De Pyreneeénbloemen, p. 47) ha fiori melittofili. Egli cita un solo coleottero — Anthobium atrum — trovato numeroso nello sprone. P. villosa L., specie artica, è descritta estesamente da Warming (Om nogle arktiske ecc., p. 27-37). Ha fauce così stretta che può essere visitata soltanto da farfalle (forse piccole nottue?). Ma per la grandezza degli stami e la loro posizione presso allo stimma deve in particolar modo essere autogama. Questa specie fornirebbe il secondo esempio (V. Bartsia alpina) di una specie artica che nella biologia del fiore si allontana dalle specie affini, P, vulgaris e alpina (Warming: Om Bygningen, ecc., p. 46). P. lusitanica L. secondo Henslow si autofeconda (1. e. p. 377). Gen. Utricularia L. U. vulgaris L. Buchenau (Bot. Zeit. 1865, p. 93) ha fornito estese. osservazioni su la struttura e lo sviluppo dei fiori di U/tricularia, ma il meccanismo per l’impollinazione è stato descritto da Hildebrand (Bot. Zeit. 1869, p. 505, Taf. VI. fig. 27-37: Weitere Beob. ii. die Bestiubungsverhaltn. an Bliithen). , È, | v o N, DI mente nascosti sotto il aio superiore della corolla; il Tatto in- feriore, munito d’uno sprone nettarifero, combacia dol labbro su- periore, e mediante una pressione può essere abbassato. Il labbro inferiore presenta una gibbosità (nettarindice): un insetto il quale voglia giungere al nettare, abbassa il labbro inferiore (come in Li- naria vulgaris), e ciò facendo col capo e col dorso viene a contatto con le antere e con lo stimma, mentre lo sprone viene a pigliare una posizione verticale. Le due antere sono portate da filamenti larghi, arcuati, e — prima che avvenga la loro deiscenza per una fenditura longitudi- nale — sono disposte a forma di croce. Dietro le antere si trova l’ovario; lo stilo è più lungo degli stami, di guisa che lo stimma è più vicino delle antere all’ in- gresso del fiore, e quindi viene toccato prima di esse da un insetto visitatore. Lo stimma è bilabiato: il labbro superiore è corto, dentiforme, ed addossato al labbro superiore della corolla; il suo labbro infe- riore, invece, è lungo, a forma di linguetta, frangiato all’orlo e nella sua faccia superiore fornito di papille stimmatiche. Questo labbro inferiore dello stimma, dalla superficie stimmatica rivolta verso l’insetto che visiti il fiore, è eccitabile (1). Mediante uno sti- molo, esercitato da contatto, sì ripiega in sensa opposto, andando a combaciare contro il labbro snperiore della corolla. Da questa descrizione delle parti è chiaro che quando un insetto posato sul labbro inferiore della corolla lo abbassa ed avanza per aprirsi l’accesso allo sprone, esso urta dapprima contro il lobo stim- _matico che gli si presenta di fronte e che resta impollinato con polline straniero — qualora l’insetto abbia precedentemente visi- tato altri fiori — e poscia viene a contatto con le antere. Mentre è intento a succiare il nettare, il lobo stimmatico, eccitabile, in conseguenza del contatto, cangia nel modo descritto la sua posi- zione, ripiegandosi in alto contro il labbro superiore della corolla a cui combacia sì fortemente, che all’ insetto riesce impossibile, quando si ritira dal fiore, di toccare una seconda volta contro la superficie stimmatica; è evitata in tal modo l’autoimpollinazione. Anche se l’insetto dovesse ritornare subito — ciò che sarebbe af- fatto contro la regola — nel fiore che ha lasciato, questo non po- trebbe essere impollinato col polline da poco asportato dall’insetto stesso, poichè la superficie stimmatica rimane per lungo tempo (1) V. pure KERNER, Vita delle piante II, p. 205, ANNALI DI BoranIcA — Vor. V. 14 no — "Rec ERI E PARA PORTA: sottratta completamente bassarsi. micio el) Data la posizione degli organi sessuali, nessuna autoimpollina- zione spontanea può avvenire, mentre la loro disposizione è tale che gl’insetti, con la visita dei fiori, possono produrre eteroimpol- +D linazione e non autoimpollinazione. “gs A Che in molti casi, ed in molte località, gl’insetti possano man- care, sì rileva dalla nota di Buchenau (loc. cit., p. 96), secondo la quale le Utricularia raramente portano a maturità i loro frutti. i Miiller (Befruchtung, p. 541) riassume la nota di Hildebrand, e come lui non indica nessun insetto visitatore. Così pure Mac Leod ‘ (Orver de Ber. ecc. p. 207), che però designa il fiore come me- È, littofilo. Ma Heinsius (loc. cit. p. 78) ebbe occasione di osservare su i fiori di V/. vulgaris, e intento a succiar nettare, MHelophilus lineatus ed, una volta, /?Wingia campestris. Egli pensa che i Sirfidi a lungo succiatoio sieno i fecondatori normali dei fiori, e che per la maggior parte delle api l’accesso ne sarebbe troppo stretto. È Nota pure un grado elevato d’intelligenza nei detti sirfidi (1), che sanno trovar la via al nettare in un fiore completamente chiuso. Lo stesso autore, nel rilevare come sia impossibile l’autoimpollina- zione, ammette assicurata la geltonogamia o la xenogamia. G. M. Thomson (loc. cit. p. 278) nella descrizione di U. mo- nanthos che nei punti essenziali concorda con quella di Hildebrand per U. vulgaris, ritiene affatto impossibile che essa possa autofe- condarsi, ed a motivo del suo habitat e posizione dei fiori la ritiene probabilmente visitata da piccole specie di ditteri. Secondo Kerner (loc. cit. II, p. 349) l’autogamia può avvenire nei fiori di Utricularia nel modo descritto per Pinguicula. U. minor L. a fiore giallo, sarebbe pure melittofila come la prece- dente (Mac Leod, loc. cit. p. 209). U. neglecta Lehm. secondo Buchenau ha disposizioni fiorali ana- loghe a quelle di //. vulgaris (Bot. Zeitung 1865, p. 93 e seg.). mt Assai ide ddt Dei due generi esaminati, Pinguicula ha fiori violacei o bianchi, omogami 0 proterogini, adattati alle api o a ditteri, senza stimma eccitabile. Il labbro inferiore serve da posatoio per gl’insetti. Lo sprone alla sua estremità secerne il nettare che in esso si raccoglie, o contiene piccoli bottoni peduncolati come mezzo adescativo. cdi (1) Vedi l'osservazione di Errera per Pentstemon a p. 142. {i ittofili 0), HU0A stimma editabile; Il AbrO inferiore addossato a quello superiore chiude l'ingresso del fiore, ma serve da posatoio agl’ insetti visitatori che lo fanno abbassare mediante il loro peso; porta uno sprone nettarifero. Il labbro superiore, invece, funge da organo di protezione delle antere e dello stimma. Questo, eccitabile ‘come si è detto, si ripiega in alto dopo il contatto provocato da un insetto. Fiori cleistogami furono osservati in UV. clandestina Nutt. (Ka- mienski). Fam. GLOBULARIACEAE. Gen. Globularia L. I fiori, riuniti in capolino denso, globoso, secernono nettare dalla base carnosa dell’ovario. G. vulgaris L. è proterandra. Dei quattro stami, deiscono prime le antere di quelli più lunghi, mentre le due ramificazioni stilari ‘costituiscono ancora il prolungamento rettilineo dello stilo. Più tardi si aprono le antere degli stami più corti, e nello stesso tempo sì allungano alquanto le ramificazioni stilari e divaricano. Tutte le quattro antere rivolgono i loro lati coperti di polline verso il centro del fiore, e mentre le antere degli stami più corti compiono la loro ‘emissione pollinica, nello stesso tempo le due ramificazioni stilari completano la loro crescita e divergenza. Se le visite degl’insetti sono copiose, gli stimmi incominciano quindi ad esplicare la loro fun- zione quando le antere sono vuote, cosicchè in tal caso è assicurato l’imerociamento ed impedita l’autoimpollinazione; e poichè le far- falle, dopo la visita di pochi fiori, sogliono svolazzare sopra altri ca- polini, l’ incrociamento ha luogo fra fiori di ceppi diversi. Se man- cano gl’intermediari per l’incrociamento, il polline può facilmente ‘cadere dai fiori superiori su gli stimmi dei fiori che si trovano più in basso (Miiller, A/pendl. p. 327). Visitatori: Nizoniades Tages; Halictus cylindricus, Osmia fusca : Meligethes (Miiller, loc. cit.). Ricca (cit. da Delpino, Ult. Oss., p.ITERtaTo) Sento questa spe- ‘cle come proterogina. G. cordifolia I.. ha fiori più grandi e capolini più considerevoli (diam. 20 mm. e più) di quelli della specie precedente (diam. 12- 13 mm.). In corrispondenza di ciò, mediante l'intervento dei visi- tatori, l’incrociamento è in questa specie maggiormente assicurato, ‘e resa ancora più improbabile l’autoimpollinazione spontanea, in «confronto della specie precedente. G/ob. cordifolia presenta cioè una “ Pie Vi AA te, fedi fa più fica da della vulgaris, ma è , pre oterogina. ] ancora in boccio, ed anche nei fiori giovani sovrasta col suo stimma già maturo le antere, in principio, ancora chiuse. E dopo che queste si sono aperte, lo stilo si mantiene ancora più alto delle antere degli stami più lunghi. Ma a poco a poco i filamenti staminali si allungano in modo da raggiungere la lunghezza dello stilo o da sorpassarla di poco; cosicchè — alla fine — qualora fosse mancata la visita degli insetti e le antere conservino ancora un po’ di polline, è possibile l’autoimpollinazione spontanea (Miiller, A/p., p. 328). Visitatori: Plusia gamma, Colias Hyale, Erebia Evias, Nizoniades Tages, Vanessa cardui, Bombus mendar, Halictus (spec.?); Rham- phomyia (spec. ?); secondo Miiller (loc. cit.). Anche Ricca (cit. da Delpino, ioc. cit.). riporta questa specie come proterogina in sommo grado e visitata da bombi ed apiarie. G. nudicaulis L. ha fiori più grandi che nella specie precedente e riuniti in capolini ancora più grandi (diam. 20-25 mm.). Concorda in quanto alle disposizioni fiorali con G. vulgaris, ma è proterogina. Visitatori: Plusia gamma, Vanessa cardui, Vanessa urticae, Coligs Edusa; Halictus (spec. ?); Eristalis tenax (Miiller, Alpenbl., p. 328). Miiller (loc. cit., p. 327) ritiene le tre G/obularia trattate come lepidotterofile, in quanto che le farfalle ne sono effettivamente i principali insetti visitatori dei fiori e gl’intermediari dell’ inerocia- mento, ed anche per la maniera come è nascosto il nettare. Schulz però (in 5/52. Botan. Hett 17, p. 152) trova strano che Miiller abbia osservato per GI. nudicaulis soltanto un’ape (Halictus spec.) e due (Halic. cylindricus, Osmia fusca) per G. vulgaris mentre egli ha constatato che in queste due specie il numero delle api che ne visitano i fiori è di molto superiore a quello delle farfalle. Egli riguarda perciò i fiori come melittofili; ed a melittofilia accenna pure la loro colorazione (bleu, bleu-smorto), che Miiller ritiene come insolita — almeno per la flora tedesca e della Svizzera — per un fiore lepidotterofilo. Anche Mac Leod (De Pyrenecénbloemen, p. 48) riporta il fiore di GI. nudicaulis come lepidotterofilo, e fra i visitatori dei fiori elenca Halictus cylindricus e Smeathmanellus fra gl’imenotteri; Lycaena mi- nima, Hercyna phrygialis (numerosa) fra i lepidotteri; /latycheirus manicatus, Anthomyia tetra, Anth. Sepia, fra i ditteri. Tutte le Globulariacee sono entomofile. Esse sono visitate da apidi, farfalle e ditteri (Wettstein). a svilupparsi è lo stilo, il quale sporge col suo NA Id fo Gen. Acanthus L. I fiori, diretti lateralmente, ricordano nella loro forma generale quelli delle Labiate, ma sono privi d’un labbro superiore sporgente. Alla funzione protettiva di questo, rispetto agli organi sessuali, sup- plisce il lobo superiore del calice, foggiato ad elmo e ricoprente gli stami e lo stilo. È notevole il contrasto di colori, essendo il sepalo superiore violetto, ed i petali sottoposti biancastri. Il nettare è secreto da un disco glandoloso alla base dell’ovario e si raccoglie nel fondo del tubo, dove è difeso dagl’insetti inutili e dalle intemperie mediante un colletto di peli di cui è fornito il tubo stesso. A. mollis L. e spinosus L. sono proterandri. L'apparecchio per lo spargimento del polline, già descritto da Delpino (Sugli appar. ecc. 1867, p. 33; Ulter. Oss. I, p. 155-140) e da Hildebrand (Bot. Zeit. 1870, p. 652-654) ricorda quello delle Pe- dicularis. , Le antere dei due stami inferiori, i cui filamenti hanno la forma di S, combaciano esattamente con quelle portate dagli stami supe- riori, i cui filamenti sono curvati ad arco. Le antere però, anzichè bi- loculari come in Pedicularis, sono uniloculari, ed a rendere più esatta la chiusura dei sacchi pollinici contribuisce una fitta peluria di cui ‘è guarnito il margine di ciascuna antera. Nel primo stadio fiorale, lo stilo con lo stimma dai due lobi non ‘ancora pienamente sviluppati, si trova dietro le antere, completa- mente fuori della via percorsa dagl’insetti che vengono a visitare i fiori. Gl’insetti cacciano il capo fra i filamenti, li spostano in modo da provocare l’allontanamento delle logge polliniche, e quindi la ca- duta del polline farinoso sul loro capo. Questo stadio dura, secondo Delpino, 6 o 7 giorni, e si osserva che, malgrado la corolla appassisca, essa non perde nè forma, nè co- lore, e continua perciò ad essere visitata dagl’insetti. Nel secondo stadio lo stilo è piegato sopra le antere e con i suoi rami stimmatici sviluppati viene a trovarsi su la via percorsa dagli insetti, e da questi viene immancabilmente impollinato col polline preso dai fiori più giovani. A visitare i fiori di queste due specie Delpino osservò diverse specie di bombi, specialmente Bombus italicus e terrestris, e malgrado l'avvenuta impollinazione non constatò veruna formazione di frutto in A. mollis e soltanto una meschinissima fruttificazione in A. sp nosus. Egli attribuisce questo fatto al trovarsi queste due specie nel ARA AA Finrdig di Boboli Solva Cargnsslo esempi tuttavi - serva Hildebrand — occorrono ulteriori esperimenti per stabilire — n con certezza se in questo caso — come in Corydalis cava — la fe- condazione tra fiori d’uno stesso individuo non sia coronata da suc- cesso. i Macchiati (loc. cit.) riporta quali visitatori dei fiori di A. mollis microditteri e Musca domestica. Knuth nel giardino botanico di Kiel osservò Bombdus terrester e DB. hortorum (Handb. d. Bliitenb. IL, 2, p. 213). A. longifolius Host. ha, secondo Kerner (1. c., II, p. 267), una disposizione fiorale identica a quella delle due specie precedenti. Così pure A. ilicifolius, di Batavia, visitato da Xylocopa tenuiscapa e coerulea (Kunth); mentre A. niger è in California visitato occasional- mente da colibrì (Knuth, Handd., III, 2, p. 155). Cryphiacanthus barbadensis Nees. (= Ruellia clandestina L.) presenta fiori cleistogami, secondo Dillenius (H. v. Mok, Bot. Zeit. 1863: p. 310). Altri generi, come Naedalacanthus, Dipteracanthus, Aechmanthera, Ruel- lia, Eranthemum (cit. da Darwin: Le div. forme dei fiori, ecc. trad. it. p.211) contengono specie a fiori cleistogami. Eranthemum ambiguum porta su uno stesso individuo tre qualità di fiori: fiori neutri, ermafroditi e casmogami, ermafroditi e cleistogami (Scott: Journ. of. Botany, London, new ser. vol. I, 1872, p. 161-164). Ruellia tuberosa produce tanto fiori aperti che cleistogami, spesso portati contemporaneamente (Darwin, loc. cit. p. 221). Iuellia lilacina, del Brasile, dal tubo esile fatto ad angolo retto verso la sommità, è sfingofila secondo G. E. Mattei (I. Lepidott. e la ‘Dicogamia, p. 76). chinacanthus communis Nees è decisamente proterandro. Nel primo stadio le antere sono innanzi all’ingresso del fiore e lo stimma non ancora sviluppato è volto in alto; nel secondo stadio le antere ripiegano verso i due lati, e lo stilo con lo stimma sviluppato si trova precisamente su la via che percorreranno gl’insetti (probabilmente farfalle), in modo da essere urtato dalla loro tromba quando l’introducono nel fiore (Delpino, Altri appar. di- cogamici recentem. osservati; N. Giorn. Bot. It. vol. I, 4, ott. 1869, p. 55-50. Aphelandra cristata H. B. K. ed aurantiaca Lindl. specie dell'America tropicale, dai fiori rosso-scarlatti o gialli, sono probabilmente visitate da colibri (Delpino, Ult. Oss. p. 231-232). Thunbergia alata Bo). Gli organi sessuali sono completamente racchiusi nell’interno del tubo corollino di color violetto scuro, al quale si attacca, ad angolo retto, un lembo a cinque lobi, rotato e di color arancio. La capocchia. stimmatica ha una forma particolare. Nella metà superiore essa rassomiglia presso a poco ad un cartoccio con una fessura anteriore, e la metà inferiore pure somigliante ad un cartoccio ha un’apertura più grande. Ci “vicine ra loro: ognuna di esse è terminata ir un cry: un- | cino rivolto verso la bocca del fiore, cosicchè ad un insetto che voglia pene-. trare nel fiore, si presentano quattro di tali uncini. Nel fondo del tubo si trova il nettare, secreto da un cuscinetto ipogino. Quando un insetto visita il fiore, lo stimma viene urtato per il primo e poscia gli uncini delle antere; ma l’urto determina l’uscita del polline e la. caduta di esso sul dorso dell’insetto. Visitando l’insetto un altro fiore, il polline viene eraso dai margini delle aperture a cartoccio dello stimma e vi rimane aderente. Le disposizioni per una eterogamia sono quindi manifeste; l’autoimpol- linazione non può aver luogo (Zi/debrand, Bot. Zeit. 1866, p. 285). Nello stesso modo, secondo Kerner (Vita d. piante, II, p. 273), avviene lo scarico del polline in TRunbergia grandiflora. Roxb. Questa specie, di cui Burck (Myrmekoph. Phanzen, p. 99) ha dato una estesa descrizione, nel giardino botanico di Buitenzorg era visitata da nu- merosi individui di Xy/ocopa coerulea (O. Schmiedeknecht). Meyenia erecta Benth. è una specie dell’Africa occidentale. I fiori stanno quasi in posizione orizzontale. Lo stimma che si trova nell’ingresso fiorale è bilobo, ma solo la sua porzione superiore, arrotolata, è capace di risentire l’azione del polline. Il lobo inferiore, invece, si presenta agl’insetti visi- tatori e viene da questi abbassato in modo che il lobo superiore stimma- tico pervenga sul dorso dell'insetto. Ne consegue l’impollinazione, qualora l’insetto sia già sporco di polline. Penetrando l’insetto nel fiore, esso s'im- pollina il dorso di nuovo polline poichè le antere si trovano nel mezzo del tubo corollino e sono fornite di peli, i quali trattengono il polline già emesso. Quando l’insetto esce dal fiore, il lobo inferiore dello stimma impedisce che quello superiore venga coperto del polline del proprio fiore (Irwin Lynch (1), cit. da Knuth). In Strobilanthus (Goldfussia) anisophilla Nees invece, secondo Morren (2), è la parte inferiore dello stimma che risente l’azione del polline, e poichè lo stilo è piegato in alto, gl’insetti visitatori vengono prima a contatto con le papille stimmatiche. Dopo il contatto lo stilo si distende in modo da addossarsi al lato infe- riore della corolla. I fiori sono in posizione orizzontale, sicchè un insetto il quale penetri nel fiore e si carichi di nuovo polline, non può lasciarne su lo stimma. Secondo Trelease (Proc. Bost. Soc. XXI, 1882, p. 433) la dicogamia in questa specie, nativa dell’India orientale, non è constatabile; il nettare è secreto da una grossa glandola gialla sotto l’ovario, e protetto da peli e dai filamenti. (1) Journ. Linn. Soc. Bot. 1881, vol. 17, pp. 145-147. (2) Bull. de VAc. des Sc. de Bruxelles, 1831, vol. 6, pp. 69-71: Mem. de l’Ac. des Sc. de Bruxelles, 1838, vol. 12. diante bombi. SAI O Cyrtanthera Pohliana Nees. del Brasile, secondo Stadler (le. Miri p. p. 16) è dd AG debolmente proterandra. I fiori d’un rosso carminio ricordano quelli della salvia. Il labbro in- feriore è così delicato che alla più piccola pressione si piega così in basso da non offrire nessuna comoda posizione ad un insetto che voglia succiare il nettare nel fiore. Questa circostanza e la lunghezza del tubo corollino fanno supporre che i fiori sieno adattati a farfalle diurne o crepuscolari munite di lunga tromba (forse anche a Trochilidi?), le quali succiano te- nendosi librate a volo. Libonia floribunda C. Kock (= Jacobinia pauciflora) ha fiori tubolosi ; calice quinquetido, corolla infundibuliforme, bilabiata. Il labbro inferiore ha tre incisioni, il superiore è con l’apice rivolto in alto. I fiori, nettariferi (Meehan, Botan. Notes, Proc. nat. sci. Philadelphia, 1886, p. 59), sono pro- terandri; le antere si aprono prima che sia completa la separazione dei labbri della corolla. I due stami sono lunghi quanto il labbro superiore, lo stilo fili- forme raggiunge le antere. Lo stimma facilmente si applica contro le antere. In un esemplare in vaso, venuto al mercato di Casalmaggiore da un giar- dino di Bozzolo (Mantova) io vidi molte corolle già cadute, le quali presen- tavano un foro nel basso del tubo corollino. Comperato il vaso, lo tenni in osservazione, e ne vidi i fiori visitati dalle api, senza aver potuto sorprendere nessun insetto che li forasse. I fiori sono di un color rosso scarlatto, ma quelli giovani hanno gialla l'estremità del tubo (Scotti). Ducke (Beob. I, p. 7) presso Parà (Brasile), in una specie dai fiori d’un rosso acceso, osservò in essi frequente la visita di un apide, Melipona ful- viventris Guér. Justicia L. Una specie del Sud-Africa, secondo Scott Elliot (p. 370-371) era visitata da ditteri ed imenotteri, numerosi; ed un’altra, secondo Ro- bertson (VII, p. 65), nell’Illinois, in due giorni di luglio fu visitata da 14 apidi, 5 farfalle e 7 sirfidi. Tutte le Acantacee sono disposte per la fecondazione mediante gl’insetti. A questa entomofilia accenna la presenza d’un disco net tarifero sotto l’ovario e di nettarindici sul labbro inferiore, come pure la sporgenza delle antere e la decisa proterandria nel maggior numero delle specie. L'apparato versillare è rappresentato da corolle vivacemente colo- rate (in rosso, giallo, bianco e bleu) e da brattee parimenti variopinte. Il polline è farinoso e Lindau elenca più di 10 forme di granelli pollinici in questa famiglia (1). (1) Ofr. RapLkorer L.: Veb. den systemat. 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Dafnica di AA 1902 Casalmaggiore (Cremona), luglio 1906. Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel Regio Istituto Botanico di Roma XII. - Meccanismo di secrezione degli enzimi di ENRICO PANTANELLI 108 Ulteriori ricerche sull’influenza dei colloidi su Ja secrezione e l’azione dell’invertasi. 1. — Azione di diversi colloidi. Nel lavoro precedente abbiamo visto (1), specialmente per la gomma arabica, che i colloidi frenano la secrezione dell’invertina nei lieviti e nel Mucor stolonifer, ciò che è dovuto ad una diminu- zione della permeabilità cellulare in presenza dei colloidi. Ulteriori esperienze, nelle quali ho adoperato oltre la gomma, il peptone e la gelatina, anche la silice, l’amido solubile e l’agar-agar confermano questo fatto. La metodica è rimasta quella che ho descritto nel la- voro precedente. Ricorderò, che 1 dati di zucchero (hexosio riduttore) sono tutti in mg. di Cu0O per 10 cme. di liquido originale, ed egual- mente per l’invertasi è indicata (in mg. di CuO) la quantità di sac- carosio che 10 cme. di liquido originale hanno invertito in un’ora a 56° per i funghi, a 57° per i lieviti, stando a contatto con 10 cme. di saccarosio al 40°/,. Con questo sistema è reso assai facile al let- tore il confronto fra i diversi dati; egli potrà facilmente risalire alla quantità di zucchero che esisteva nei saggi, moltiplicando i dati per 0.8, cioè riducendoli in Cu, e cercando poi nelle tabelle di Allihn o di Pfliiger a quanti mg. di glucosio corrisponde il rame (1) Meccanismo di secrezione degli enzimi. I. Influenza dei colloidi su la secrezione dell’invertasi. Annali di Botanica, vol. III, p. 113 (1905). ANNALI DI BoranICA — Vot. V. 15 COS cal cols bo. L I fi azi o AgGI | we tità di CuO realmente pe ta reati cioè la diluizione b — del liquido VERDE per presa la concentrazione dello zucel erba riduttore ad 1%, circa, come è necessario per una esatta titolazione ———— secondo il metodo di Fehling-Allihn. “i a) Peptone. i fà Per il peptone abbiamo visto nel lavoro precedente, che esso frena notevolmente la produzione e la secrezione .dell’invertasi nel Ro lievito Chianti, mentre ne facilita lo sviluppo e la fermentazione. n Ho ripetuto l’esperienza con Mucor stolonifer. e Ogni cultura ricevette 200 cme. della soluzione solita (1. c. p. 120) e 25 eme. mosto d’uva; a B furono aggiunti 5 g. di peptone secco (2. 5 %). In termostato a 25° C. Durata: 12-20 dicembre 1905. Variazioni nel liquido esterno. Acidità Zucchero Invertasi DATA cme. */s0 CASS norm. totale hexosio saccarosio lorda netta È A ù 1 >= Prima della semina . .. . 5.5. [3120 (4) 250 (+) 2870 — — Dopo la semina: A. ui. 5.0 [2250 (8) 610 (3) | 1640 | 660(7)| 50 "Figo Y3SAATRZAN O DRPIAO 1950 () 1475(£)| 475 (22298(g)| 758 Bino, | 42 1452 (5) 1914 (1)| 198 1976(5)| 192 B. lip Se. | 4,0 1866 (53) UO(S) 1526 | 542 (3 | 2 Bino ea 5.0 |1570 (5) 608 (7) 962 1810 (7; | 702 80» .......] 5.4 |1380(3) [1072(3)] 308 |1480(g)| 408 > | Ap Micelio. o o rosato | rapporto | auto |. | | segna (1 0139 o. 1.284 g. 1.473 g. ) B L10406 EIAEì| e 0; 042 >| 1.468» | 00» |A | 1.2892 » Invertasi interna. Lorda ! In tutta la messe | In 10 cme. di succo Rapporto A La Ao | A...| 468(7) 5376 46390 } IZ 3900 (3) | 4543 35250 l Il Mucor stolonifer si è dunque comportato come il lievito Chianti: la presenza di peptone ha diminuito la produzione e la secrezione dell'enzima, mentre ha favorito lo sviluppo del micelio. b) Gelatina. Le esperienze pubblicate nel lavoro precedente (p. 136-139) mo- strano che la gelatina non ha influenza su la secrezione nè su la produzione dell’enzima, mentre favorisce lo sviluppo nel Mucor stolo- nifer, lo diminuisce leggermente nel Sacch. ellipsoideus. Siccome Panno scorso adoperavo una gelatina al 25 % <« tenuta lungo tempo (10-12") a bagno-maria per saponificarla ed impedirne la successiva gelatinazione », così ho ripetuto l’esperienza con ge- latina più viscosa, non tenuta a bagno-maria. ‘Esperienza con lievito Chianti, Nr. 31. Ognuna delle due culture Ae B conteneva 300 g. di acqua, 3 g. di ni- trato d’ammonio, 1.5 g. di KH, PO,, 1.5 g. di Mg SO, + 7 aq., 80 g. di sac- carosio crist. A B furono agg. 9 g. di gelatina (3%). In ogni cultura furono seminati 0. 8372 g. di lievito fresco (0.2093 g. di lievito secco) preparato e lavato nel modo solito. Temperatura della stanza. Durata: 17-22 di- cembre 1905. è a 4 a 30 è ‘Variazioni neliauido esterno, c& CO, . Acidità Zucchero Invertasi ri ARR DATA svolko:| fe | e g- Marsa totale ! riduttore | SASA | lorda |netta to, 4 Prima dellasemina | — 5.4 sa @) 0) 2620 _ | — i Dopo la semina: A. 2 giorni... .. 2.22 | 4.5 1984.2(5) 695 (5)|1299.2|1484 (33) 789 Bene ei, 5.40 | 6.0 | 779 (FG) 4242 (5) 3542/1057 (3) (692.8 B. 2 giorni . . .. . 2.44 | 8.0 [1874 (g){1120 (3)| 734 [1802 (7) (64 RIA LI I 4.86. 9.0 358.8(4) 521 (3) 347.81106 (1) 585 Il lievito fu alla fine lavato per decantazione con 400 cme. di acqua ste- rile, poi quello di A fu ridotto a 50 eme., quello di B a 25 cme. Di ognuno 10 eme. servirono a la determinazione dell’invertina interna e gli altri fu- rono raccolti su filtro, asciugati e pesati. Sviluppo del lievito. - | Semina Raccolta | Aumento Pe — Rapporto _______|[| Rapporto Secca na fresca secca | fresca secco | fresco ALE | A. . (0.2093g.(0.8372g.0.4518g. 1. di vio | 0. 2280g. o. 9120g. | "i 0. 2098» |0. 8372» 0. 1932» 1. 6928» (E CRON A t6= 1,066. I B. 0. 2139 » ù 8556» Invertasi interna. Lorda | In tutta la messe | In 10 cme. di succo A......| 190(7, 4950 38240 Wo Dei viscosa, non però la roi interna. Con questa constatazione sta d’accordo l’altro fatto ben noto, che i lieviti si sviluppano assai male su gelatine al saccarosio, evidente- mente per la grande difficoltà d’inversione del saccarosio esterno. Esperienza eon Mecor stolonifer. Ogni cultara ricevette 200 cme. del solito liquido nutritivo addizionato di mosto, solo che a B furono aggiunti 6 g. di gelatina (3%). Temper.: 25°. Durata: 9-18 gennaio 1906. Variazioni del liquido esterno. Acidità | Zucchero Invertasi Dea Ce: 10 | - sacca- | norm | totale hexosio ea lorda | netta Prima della semina . . . | 5.8 |3160 (3) E 1 [o /2}=4 425(3)| 2785 = = Dopo la semina: A. nolo 5.2 [2458(3)| 69 (3)| 178 | 78(])j 2 213 bis RAR IISZANO 5.6 |1816(g)| 718(7)| 1098 |1u2(3)| 39 B. Brioni o 8.7 Sai (i): | 126 [320 1 | | AE Men 9.2 |1708 (7) 615 (2) 1093 | 679 (3)| 64 Il micelio fu diviso al solito in due porzioni, di cui una fu asciugata e l’altra servi a la determinazione dell’invertasi interna. Sviluppo del micelio. Porzione seccata Totale Rapporto del micelio fresca pestata secca A... | 0.6268. | 0.073g8.| 5.790g. Mesa g. 3) B.....|0.583» | 0.067» | 8.912» |9.495» ) È | | Porzione Acqua ì Invertasi interna. uv Lorda In tutta la messe | In 10 cme. di succo Rapporto Ae È 9480 n) 1641 2940 Fi BOS (i) 1882 92941 Nel Mucor la presenza di gelatina viscosa nell'ambiente dimi- nuisce la secrezione d’invertina assai più che nel Sacchar. ellipsoideus e diminuisce anche la produzione intracellulare dell'enzima, mentre favorisce notevolmente lo sviluppo del micelio. c) Salice. L'acido ortosilicico, o silice colloidale, fu preparato mescolando da una parte 10 gr. di ortosilicato di potassio con acqua fino a for- mare 100 cme., da l’altra 10 gr. di HCl concentrato con acqua fino a formare egualmente 100 cme. Le due soluzioni vennero riunite, ben agitate, e il liquido risultante, limpido, fluido, lasciato riposare finchè si avvertiva un aumento di viscosità. Allora veniva portato in dialisatore e liberato così dell’acido cloridrico e del cloruro di potassio. Intanto la sua viscosità aumentava ancora, dopo di che ve- niva portato nei recipienti di cultura, vi sì scioglievano le diverse sostanze nutritizie e sì sterilizzava. Spesso gelatinizza nel riscaldamento a 100°, ma per lo più torna fluido col raffreddamento. L’uso della silice nelle culture di lieviti ha l’inconveniente che con lo sviluppo del lievito questo aggruma la silice e viceversa è agglutinato da la silice; i grumi così formati scendono al fondo, la fermentazione diminuisce ed è impossibile raccogliere e pesare il lievito sviluppato (1). Riporto alcune esperienze. I. Furono seminati in ogni cultura 1.136 £. di lievito Chianti Nr. 81. Tanto A come 8 contenevano 300,cme. della solita soluzione nutritizia, B' con 2 5% silice. Temperatura: 25°. Durata 20-25 gennaio 1906. (1) I risultati delle esperienze con la silice sono già stati pubblicati in una nota preventiva: Rendiconti d. Accademia d. Lincei, (5), XV, I. sem., p. 380 (1906). n Dio di COR Li Gi . . . ° e DES Variazioni nel liquido esterno. !CO.svoîto Acidità Zucchero Invertasi | a Fa n A E A ALII DATA | eme.'/so total ridutto sacca- [ord MFN i | g. norm. otale uttore. | rosio orda | netta | . Prima della semina | — 5.4 as (5) 0) 2920 oa Ì | A. 2 giorni .... .|7.42g.| 5.5 | 975 (5) 900 (3)| 75 {1220(7) 320 I | ara 8°» 14.68 »| 8.6| 0 0 0|3922(4). 892 B. 2 gioni . (...|8.55g.| 7.2|850(+)|415(1)]| 455 i40(1)| 1795 g | | | 10 a) 10 | Rise | 1 a Het» 80 0 | 0 2060 (7) | 2060 e Fuimpossibile raccogliere il lievito, perchè a la fine della fer- mentazione era totalmente agglutinato con la silice al fondo del recipiente. È da notarsi, che le prove di invertasi furono fatte col liquido limpido sovrastante, il quale però conteneva ancora silice disciolta, come potei convincermi precipitandola con soluzione al 50 % di SI d’ammonio. A maggiore attività invertasica del liquido limpido di B è ap- punto dovuta a la silice, la quale eccita l’invertasi comportandosi a modo di un acido assai diluito. Prova: Di questo stesso liquido culturale (1), alcune ore più tardi furono messi ad invertire 10 cme. Hexosio formatosi in un’ora, oltre quello esistente: 2330 (mg. Cu0O). Altri 10 cme. vennero prima della prova d’inversione tenuti a 98° C. per 25 minuti, e così distrutto l’en- zima. Poi: hexosio formatosi in un’ora (per azione della sola si- lice): 5. \° La silice appoggia l’azione dell’invertina; ma Questi azione non comincia che a temperatura assai elevata. Prova: Di questi stessi liquidi culturali, furono messi ad invertire, alla fine dell'esperienza, 10 cme. a 56°, 10 a 45°, 10 a 35° e 10 a 25°. (1) Nella nota preliminare è stato stampato per errore 25 °/, di silice invece di 2.5:°/.. N, hc il a: O Vo Fei dx è e x PO lato ua OPERE A pos RA SA ereasi.* MARE e a La SIETE 392 (1 2060 (3) AOL E III, MMI 158 (ii 1045 (3) à STA AR RR ARI IT 85 (3) 240 (3) RI RS air i RM î (1 88 (1) A temperatura normale, anzi ottimale, di sviluppo per questo lievito, troviamo anzi meno attività inversiva nel liquido con si- lice, ciò che era da aspettarsi, considerando che dopo due giorni il liquido A conteneva appena 75 mg. Cu0-saccarosio per 10 cme., mentre il liquido B ne conteneva ancora 415. Se ne deduce, che la si- lice frenò in questa esperienza, sebbene assai poco, l’ attività in- versiva estracellulare. Le cellule di lievito nelle culture con silicè hanno un aspetto ottimo, simile a quello che offrono nei liquidi contenenti peptone. Esse sono affatto prive di vacuoli, le gemme crescono rapidamente prima di staccarsi da la cellula madre, il protoplasma è assai denso. II. Seminati 3.8912 g. di lievito fresco (Chianti Nr. 31) in ogni cultura. Tanto A come B contenevano 200 cme. della solita soluzione, B con 2.5 °/, silice. In termostato a 25°. Durata: 28-31 gennaio 1906. Variazioni nel liquido esterno. Ico, svolto Acidità Zucchero x Invertasi DATA DI Fe ——————s RE“ “ E. CISA totale riduttore co lorda netta ARI SS AE PRE È ET e eo | | ! Prima della semina — 5.4 2920 (3) 0 2920. | _ _ | | Dopo la semina: A. 2 gioni .....| 7.25 | 8.0 | 412.5 (;5)| 285 (+) 127.5/2028 (7) [124 Meo) (0.40 | Sb 00 0 |275 (3) 275 B. 2 giorni... .. .| 5.85 | 9,0 712.5 (+) 665 (3) 47. 51944 (3) 1279 STE na SL 0 Ne 815 (+) | 815 | che cominciò verso il 9 giorno. In lia esperienza s sì osserva un fatto strano: il saccarosio fu consumato più presto in B che in A, mentre la determinazione dell’invertasi a 56° dette meno invertasi che in A. La contraddizione non è che apparente. Con la forma- zione dei grumi di silice e di lievito, il liquido diventa bifasico e l’invertina rimane in gran parte assorbita nella fase colloidale, «come ho potuto convincermi con la prova seguente: Il liquido limpido di 5 (contenente un po’ di silice) fu accurata- mente decantato a la fine dell'esperienza; ne presi 5 cme., li diluli con 5 cme. di acqua e li posi ad invertire a 56°. La parte grumosa rimasta di B fu diluita con l’egual volume di acqua e tenuta per 20 minuti in violenta agitazione, dopo di che essa aveva acquistato aspetto ‘omogeneo. Allora aggiunsi una cucchiajata di talco in polvere. Una leggera agitazione bastò per precipitare immediatamente la silice, il talco e il lievito. Non appena il liquido soprastante fu diventato limpido e con l’esame microscopico mi fui accertato che non conteneva più cellule di lievito, ne tolsi 10 cme. che posi ad invertire a 56°. Invertasi della fase acquosa. . . . . 188 » » *acolloidale -. + aMeizae Non essendo escluso che il liquido estratto da la fase colloidale contenesse un po’ più di silice, precipitai in due tubi da saggio 10 cme. dei 2 liquidi con 10 cme. di soluzione satura di solfato di ammonio: il precipitato che si formò, occupava, ad occhio, il me- desimo volume nei due tubi. L’invertasi dunque si distribuisce nelle due fasi con preferenza della fase colloidale (1). Può darsi che la quantità di enzima sia eguale nelle due fasi, l’attività invece maggiore nella fase colloidale; ma tali questioni sono vuote di senso, finchè non si saprà se gli enzimi sieno sostanze ben determinate o attività diverse di sostanze ‘ simili. Noi oggi siamo costretti a misurare l’enzima non come so- stanza, ma come attività; se in un dato caso troviamo più attività che in un altro, dobbiamo dire: c’è più enzima nel primo caso. (1) E. Rerss. — Ueder das Verhalten von Fermenten zu kolloidalen Liisungen, Beitr. z. chem. Physiol. u. Pathol., Bd. VII, pp. 151-152 (1905), ha mostrato che la chimosina e la tripsina passano da l’acqua al cloroformio, e che la catalasi del latte sta nelle goccette di grasso del medesimo. — DauwE F.— Veber die Absorption der Fermente durch Kolloide, Ibidem, Bd. VI, pp. 426-453 (1905) ha trovato che la pepsina viene assorbita da diversi colloidi, fra cui anche l’al- bumina, formandovi una soluzione solida. Essa si ripartisce fra le due fasi con preferenza della colloidale. PI pres * ij so pere hc 4 — sal 3004! } nl ERRO ri mu. Avendo carrai ne Sie Mistienti” esperienze, c | a caldo predispone la silice al successivo uao. agi in qu esta 7 "N i esperienza il riscaldamento sterilizzando separatamente i recipienti, l’acqua | i: Sa e le sostanze. In ogni cultura fu seminato 1. 7968 g. del lievito solito. B con- “ Ni teneva 2. 5 °/, silice. Temperatura: 25°. Durata: 1-4 febbraio 1906. 1 9 È es. se Variazioni del liquido esterno. fl | | 77: DO } (CO, svolto] Acidità Zucchero Invertasi DATA ni © | ————_—_—_—_—____—_____€— g: (RI totale | riduttore | agi | lorda netta Li a è : . | | 1 9299 Pi Prima della semina — | 6.4 12920 (7) 0) 2920 _ _ sai di. Dopo la semina: P giorni rn 9.09 | 8.5|180(7)|110(+)| 70 | 470(3)| 260 È BIS 9.05 | 8.7 0 0 o |27(3)| 275 te. À dB. e i re asceti dnnp() : n 1 D giorni. o 4 | c. 6° 8.9 | 375 (+) | 305 (;) 60 | 670 (7) 365 Bca Mo | 9,85 8.9 0 0 0 | 398 398 Il lievito si depose completamente in ambedue le culture, anzi in B sì agglutinò leggermente. La silice questa volta non precipitò nè fece grumi. Quindi potei decantare tanto da A come da B 140 cme. del liquido lim- pido a la fine dell’esperienza. Ai 20 cme. di lievito rimasti aggiunsi 180 cme. di acqua sterile. Dopo 24 ore, prelevai 10 cme. da ognuna delle culture, e dette per A 50) mg. Cu0-invertasi, per 8 46. In 24 ore, l’invertasi esterna era salita da 27.5 a 50 in A da 39.8 a 46 in # ossia il lievito di B aveva secreto meno invertina del lievito di A, sebbene fosse in quantità un po’ maggiore (vedi avanti). Il lievito fu per decantazione a la pompa ridotto a 25 eme. in A, a 30 in B. Di questi 5 servirono per dosare l’invertasi intracellulare e gli altri furono seccati e pesati. Sviluppo del lievito. Semina Raccolta | I Aumento | Rapporto |__| Rapporto: secco | fresco secca | fresca secca TORA A.. |0. 9g. 1.7928g. 0 7768g.5.1052g.B__, jgg 092718. 1.81248:)B B. . |0.4442» !1. 7928» 0. 8415» 3. 3660 » YA Ci 0.928 » 1.6792» VA | È Nar 33 TStEO) n Invertasi interna. Lorda In tutta la messe se In 10 cme. di succo Rapporto 1 II RR 0 IO) 5 15600 66970 | «SE Ro o 12080 & 12480 49420 B Questa esperienza mostra che la silice al pari degli altri col- loidi diminuisce la secrezione e la produzione intracellulare del- l’invertina. Il primo fatto è mascherato da l’azione favorevole che la silice esercita su l’attività dell'enzima, ma si riesce facilmente a dimostrare, allontanando la silice dal lievito, che la secrezione è minore, come pure misurando l’attività inversiva a temperature re- lativamente basse, a cui la silice non estrinseca ancora la detta in- fluenza accelerante. IV. Spore di Mucor stolonifer furono na in 200 cme. del solito liquido di cultura con mosto, 8 conteneva 4-5 % di silice per lo meno; perchè era. stato preparato con 20 g. di K, Si i ; ‘20 di H CI, 180 di acqua sterile. I recipienti, i liquidi e le sostanze furono sterilizzati separatamente.. Grazie a questo provvedimento, la soluzione silicea, sebbene molto viscosa, si mantenne omogenea e fluida fino al 4° giorno, in cui cominciò a formare qualche grumo. La massima parte della silice però rimase omogeneamente ripartita nel liquido, ciò che dimostra come nelle culture di lievito fosse realmente il lievito, o qualcuno dei suoi prodotti di secrezione, quello che faceva aggrumare la silice. Durata : 1-6 febbraio 1906. Temperatura: 25°. Variazioni nel liquido esterno. | Acidità TONI | Zucchero | Invertasi i a iotale E riduttore Tsaccarosio| E netta Prima della semina. | 6.2 |2935 (1) (25 (SÌ 2910 ! e | = | Dopo la semina: A. 2 giorni. . .....| 46 [2066.6(3)| 185 (>)|1981.6|150(7)) 15 a cn 1500 (L) fi (3) | 1126 | 268 (N Disiorni Sit: 5.8 1833.3(3) 132.5(+) 1700. 8 200 (7) | 67.5» PORTONI ESICTS L187.5(3) 210 (3) 977.5| 375 (3) 165 è 9 a la fine ipa dale: sì era ci Ma una coper ta sp sas e dure a come e cuoio, con sporangii grossi, a piede lungo 1. 5-2 cm., mentre in Alo sviluppo era assai minore, con sporangii più piccoli, a piede alto 0. 5-0. 8 cm. In am- bedue le culture i liquidi avevano un piacevole odore di frutta, ma quello di B conteneva anche 0.8 °/, di alcool in volume. Non fa quindi meraviglia che il liquido di 8 mostrasse più attività inversiva, tanto più che qui l’inver- | tasi era eccitata da la silice. Sviluppo del micelio. | pa eni ate Tota le Rapporto Aa | fresca | secca | fresca fresco fresco | del ialpello I | A... .|0.8276g.\0.1718g. 7.6929g. | 8.5205g. ) p | 6.750g | — L'ORA] B....|0.6196» |0,1262» | 13.7917» | 14.4107> \ A (11.48 » | Invertasi interna. EI # ci PRI — LIE Lorda In tutta la messe | In 10 cme. di succo Rapporto | Q0902 £ CA: 2095 DT | de... 898.8 ( 3) 3933 5826 ra Bel, - «| 1660 (i) 16600 14460 Dunque anche la produzione intracellulare d’invertasi fu in questa esperienza assai maggiore nella cultura su liquido conte- nente silice. Lo sviluppo del micelio fu assai più forte, pare perchè il Mucor stolonifer preferisce un substrato consistente ad un am- biente liquido. V.In questa esperienza i liquidi furono sterilizzati a caldo e così in B la silice, che formava circa il 4 °/,, si rapprese nel riscaldamento in una ge- latina assai consistente. Furono seminate spore di Mucor stolonifer, e il tutto fu lasciato in ter- mostato a 25 per 24 giorni (25 marzo-19 aprile 1906). Dopo di che furono tolti i grossi micelii duri come cuoio, lavati nel modo solito e pestati. AI liquido siliceo di /, che era rimasto gelatinoso, fu aggiunto l’egual: volume di acqua, e poi vi si introdusse un robusto agitatore, con l’aiuto del quale si riesci, in un’ora di violenta agitazione, a ridurre il tutto in una pol- K — zucchero Pl invertasi. Siccome esso era diluito a metà rispetto al liquido Io, così anche il liquido A fu diluito a metà per le eguali determi- La . . mi >» nazioni. i Ta È: pa Acidità Zucchero | Invertasi 4 SA ETA emi fto | i, S7 norm. totale riduttore |saccarosio | lorda | netta h: | | " ì ssa ira al n & Mizzi eiorni. i... AR tracce tracce | 0 565 =) | 565 ui I 1 da | a Bid > ....| 87 (1387(3) b5.8(3)) 7.9 |so()| st42 : È | x Dei micelii la porzione a servì per dosare l’invertasi interna, la porzione per altre ricerche. Ri Sviluppo del micelio. 3 È Porzione seccata Porzione pestata Posate RAI att > e i = | Rapporto T È $ e f | del micelio pi; resca secca a b fresco dg | n A.....|1.8016g.) 0.2890g.110.2034 g. 8. 3674 Î: 8724 s. <]B_ 14.50 g. CH B.....|1.1804»| 0.2766»|11.4959» | 9.6075» (22. 2348» (a 16.81» È fo i È Invertasi interna. gi» I i Lorda (in a) In tutto il micelio | In 10 cme. di succo | Rapporto ‘ pi: $ | A DE 1148.6(5) | 2097 1446 f; Riza MIO, 3 1 | e \ A ì i UO 3105-() | 6003 3575 3 | | di In questa esperienza in cui la silice era gelatinosa, quasi solida, la secrezione di invertasi pare fosse diminuita; la produzione fu. altrettanto favorita come nell’esperienza precedente. In complesso quindi la silice ha assai meno effetto su l’invertasi di Mucor che su quella di Sacchar ellipsoideus. ba COTTA d) Amido solubile. Con questo e con l’agar-agar è impossibile esperimentare sul lievito, perchè le cellule si depongono solo in parte e la determina- zione dell’invertasi esterna è quindi irrisoria. Spore di Mucor Mucedo furono seminate in 225 cme. della so- lita soluzione con mosto. B conteneva 1°/, di amido solubile, pre- parato con il metodo di Lintner (1) modificato da Ford (2). Tem- peratura: 25°. Durata: 8-15 febbraio 1906. Lo sviluppo di questa Mucorinea è assai favorito da l’amido, sebbene, come mi sono potuto assicurare, essa non secerna quantità misurabili di diastasi. Ne produce però dell’ attivissima, quando viene coltivata in presenza di amido, nell’interno del suo grande simplasto. Evidentemente per l’amilasi succedono fatti simili a quelli che abbiamo trovato a proposito dell’invertasi; una questione che rimando ad un ulteriore lavoro. Qui dirò solo che, nel liquido su detto l'amido aggiunto in grani, sebbene fortemente rigonfiato da la sterilizzazione a 100°, non è minimamente attaccato da questo Mucor neppure in 3 mesi; basta aggiungere un po’ di cloroformio o tappare ermeticamente il vaso di cultura (narcotizzare od asfis- siare il fungo) per trovare dopo 8 giorni, a 25°, una corrosione pro- fonda e discioglimento dei grani d’amido. Tornando alla nostra esperienza, sì può essere sicuri che le va- riazioni dello zucchero nel liquido esterno sono dovute a la sola invertasi; se anche il Mwucor profitta dell’amilodestrina e delle de- strine dell’amido solubile, deve necessariamente assorbirle come tali, perchè il liquido culturale in queste condizioni mai ha rivelato la più piccola traccia di amilasi (3). Con questo non è escluso, che quando i rizoidi di Mucor mucedo si cacciano dentro una pasta ami- lacea tenace e compatta, la mancanza d’aria determini l’esosmosi di et. 4 amilasi. (1) LintNnEr. — Studien iiber Diastase. Journ. f. pratet. Chem. XXXIV, p. 378, 1886. (2) Forp. — Chemisches Centralblatt, 1904. (3) In mancanza di amido nell'ambiente, nè il Mucor stolonifer nè il Mu- «cedo fabbricano amilasi, neppure nell'interno della loro grande cellula. È Lori azioni nel liquido esterno. Acidità | Zucchero Invertasi mic ia | riduttore [Pensa SUST | lorda | notta | | | Prima della semina | 6.2 [3385 (1,) | 278 E) 8107 | 2839 — | i, I Ì Dopo la semina: A. TH opa PA PAPA | 6.1 [1348(3)|845(3)|1008| 981|572(3)| 27 7 CEI | 78.) 9T1(3)|812(3)| o60| 637 c1i9(3)| 307 B. 4 giorni. ...... | 8.8 [1617 (1) 218(3) | 1899 | 1377 | 327 (3) | 109 (IRA | 7.2 (1288(7) 413(3) 825| 808 | 536 (3) 123 Ì | * 1°/o di amido solubile dà per idrolisi circa 110 mg. di glucosio o 268 mg. CuO per 10 cme. L’amido frena dunque potentemente la secrezione dell’invertina, quasi quanto la gomma. Si noti che lo sviluppo fin dal 8° giorno era mag- giore in 5. Sviluppo del micelio. Porzi t Porzione orzione pesata | pestata Totale | RT, | sedime | fresca | secca | fresca | | | | | A 098178. 0.1745g.| . 9. 7662 g. | 10. 7479 g. | B__; 997 8. 64 Beto 10.808» |'0.1652» | 12.3147> | 13. 1855 » | À 10. 69 Invertasi interna. È il Lorda In tutta la messe | In 10 cme. di succo | Rapporto A... ..| 378(5) 4127 4776 A = 99 IRORGIEENA, Li > 2076 (%) 42957 3983 B L’amido frena dunque leggermente anche la produzione intracellulare di . invertasi. nti : Me DA RO EIA Ea ale pil vi AS VA f ace atta Variazioni nel liquido esterno. | Acidità Zucchero Invertasi DATA = i 4 totale riduttore |saccarosio lorda netta | | Prima della semina . ..| 6.8 [2765(3)|315(3)| 260| — | — Dopo la semina: A. rn a REN È 1 ab | TRIO «| 64 [318(p)|476(G) 82/618) | | 137 5 lena I eso. Fat ERE SEO 72 |876()|42(3) du 746 (OI 346 B. Biiorni RLM | 6.6 [1400(7)|801(3)| 1099 | 827(3)| 26 Bi LEO 7.4 |624(3) 278(5) 846 | 406(5)| 128 Sviluppo del micelio. | deo: Porzi Porzione seccata | postata TOSALO Ravobità Regie fresca secca fresca fresco j | | | A... .|0.9766g.|0.186ig. 9.7462g. | 10.7228g. | B_, ogg 398 B... .|0.9814» [0.1682» | 10,8027» | 117841» | AT %| o.gei Invertasi interna. Lorda In tutto il micelio | In 10 cme. di sueco | Rapporto 70 | | POSSE RL. (1.0) (NA 4420 . 5091 \ B.. ...| 5780 (i) | 6299 6454 AL 4, nb, nelle culture bacteriologiche, frena la secrezione Follia vera) n, de. esperienza seguente fu fatta con Mucor Mucedo, che, come abbiamo visto, secerne un po’ più d’invertina del Mucor stolonifer. Il liquido nutritizio era il solito, con mosto (225 eme.); in B esso conteneva . 0.25 °/ di agar-agar. Durata: 16-24 febbraio 1906. Temperatura 25 °C". 2. — Portamento di altri fanghi. a) Phycomyces nitens. Le spore di questa gigantesca mucorinea furono seminate in due pal- loni da mezzo litro, ognuno dei quali conteneva 225 cme. del solito liquido nutritizio con mosto, in B addizionato di 2.5 °,, di gomma. Durata: 23 gen- pia febbraio 1906. Temperatura : 25° C. Variazioni nel liquido esterno. | Acidità Zucchero Invertasi nou “norm *| Rea | riduttore saccarosio) lorda netta cia ASA Prima della semina . . .| 6.8 |2970 (©) 307 (3) | 2663 _ = Dopo la semina: A. 10 giorni. . 6.4 |1975 (©) 295(3)| 1680 | 340(7)| 45 15 >» 6.2 |1640 i 318 (4) 1332 | 421 (i 103 B. 10 gioni. .......| 66 2004(7) 265 (5 ) 1739 (27(;). 18 dba 068 (1886(7)| Mi) dt le) es In B lo sviluppo fu assai favorito, in A invece assai misero; gli spo- rangiofori erano più lunghi in B e più numerosi. Evidentemente il Phy- comyces ha bisogno di un substrato abbastanza solido per erigere i suoi giganteschi sporangiofori. Sviluppo del micelio. . Porzione pesata Porzione x dona Resa Totale Rapporto Cat %,. del micelio fresca secca fresca (A. . . .|0.2342g.|0.0394g.| 4.6104g. | 48446 g. B. .. .|0.8108» |0.0486» | 7.9898» | 8.8006» 4,029 g. 1.714 1.150» ltd ANNALI DI BoranIcA — Vor. V. 16 rt! : AS: ‘interna veg Pi ta "Rab È. EU : be In tutta la messe In 10 cme. di succo | | È AUS: | 1778(1) 1868 4637 i Re: È RI 2316 (13) | pa0e | 3872 È Se La presenza di gomma arabica nel substrato liquido frena anche 4 153 in questa mucorinea tanto la secrezione come la produzione intra- È cellulare d’invertina. Ma è difficile coltivare il PAycomyces in sub- S strati liquidi, anzitutto perchè si sviluppa male, poi perchè ad ogni È urto collabisce un certo numero di sporangi: non abbiamo quindi k un'idea della quantità di punte d’ife sommerse che scoppieranno S ad ogni urto, con fuoruscita dei materiali cellulari (1). ; pe Xi b) Penicillium glaucum. =“ Fu seminato in 225 cme. della soluzione nutritizia con mosto. B conte- pe” neva 2.5 % di gomma. Durata: 8-17 gennaio 1904. Temperatura: 25°. Variazioni nel liquido esterno. “A | Acidità | Zucchero Invertasi 14 DATA PREC ‘eee | DE norm. | totale riduttore suocarosio lorda | netta be. pet: | Rd. Prima della semina .| 42 |2448 (3 5) 330(+)| 2118 SL di E) 5, Lal Dopo la semina: A. tate” % ; ; Baenni c.c... 4.0 [2025 (7)| BIO(3) 1485 |497.1(1)| 40 “fi AVIO 5.4 |1637.5(i)( SI0(E) 727.5]1010 (}5)|100 E (19 “ Bambi n... (8.6 2212.5()| 495(+)| 717.5 505.6(3)| 10.6 lè 9 lio (1 I. | À | LR LIE h.9 pose (ia) 875(3)| 1050 ST (i) 95 n , (1) Ofr. PANTANELLI. — Xsplosione delle cellule. Annali di Botanica, vol. AL |. 824 (1905). N90 N fl - yE Ò IR — Sviluppo del micelio. | I204 Pira SAT Porzione | ma PEZIONA Bee pestata R Acqua Mi î apporto ora dn = È del micelio ‘pl fresca | secca fresca d | | | fi Ra .0. 3180 g. 0.1110 g. |- 5.140g. | B o 3. 553 g. e. SB ire. 0. 3255 » 0.1045 » GINN9g. A i 4. 436 » | ; Invertasi interna. N | o Lorda In tutto il micelio | In 10 cme. di succo Rapporto i | ressa 4 È 1 3064 ( 723593 74210 { (0) | 3 — 8.014 Rea 1400 ( + 10920 24610 = ; (10) Nel Penicillium glaucum, come nelle mucorinee e nei lieviti, la presenza di gomma arabica nel substrato liquido diminuisce la se- erezione, specialmente nei primi tempi, e la produzione intracellu- lare dell’invertasi, mentre favorisce lo sviluppo del micelio. c) Botrytis cinerea. Questa esperienza fu condotta parallelamente a la precedente e nelle uguali condizioni. Variazioni nel liquido esterno. Acidità . Zucchero Invertasi Poor cme. 1/19 sacca- norm. totale riduttore aa lorda \ netta t} p. | f | Prima della semina. 4.2 |2448 (5) 390 (3) 2118 — lie Dopo la semina: A. orale. 3.4 [1912.5.(7)| 492.5(3)| 1420 | 858 (7) 366 CE 42 |i290 (})| 78.7) 54631086 (3) 29 , B. 9 3 4 giorni . ....] 3.4 (2187.5(7)| 420 (3)| 17675] 685.7(7)| 26 A n 33 1770.6(15) 882.3(71)| 588.3 1106.6(73)| 224 Sviluppo del micelio. Porzione seccata Porzione pestata Cozai s Rapporto AGILE) A sa fresca | secca fresca fresco Calmo na agi | 06 | af AI | 0. 2990 g.|0.0995 g.| 3.961 g. 4. 0505 g. 2, 699 o. * B pe ra 1.679 3 B. .-|10.2655 » |0.0820» 6.534 » 6. 7995 » 4. 701» Invertasi interna. £ | I Lorda In tutta la messe | In 10 cme. di succo Rapporto BITS 1) | 16732 62120 i; Bi. Ls) | 27670 La Botrytis sì comporta di fronte alla gomma come gli altri or- ganismi sperimentati. È da notarsi la quantità fortissima di inver- 7 tasi interna che contenevano questi micelii, manifestamente perchè erano ancora abbastanza giovani. Nell’esperienza seguente, le spore di Botrytis cinerea furono seminate in liquidi, in cui aveva vegetato per 3 giorni il Mucor mucedo, sterilizzati poi novamente; si trattava della consueta soluzione nutritizia con mosto, a cui però in £ era aggiunto 11 2.5 % di gelatina. Durata: 15-27 marzo 1906. Temperatura: 25°, “a Lo sviluppo cominciò più tardi nel substrato con gelatina, ma poi si fece Si anzi qui più gagliardo, A la fine ambedue i micelii erano potentemente svi- sa luppati, e quello di 8 era coperto inferiormente d’uno strato così abbon- dante di muco, che ad onta del lavaggio isotonico fu estremamente diffi cile asciugarlo fra la carta bibula. ; scie deci MiA 3 nel liquido esterno. if ì | Acidità Zucchero Invertasi Viscosità DATA na Di SE e totale riduttore EA lorda netta |Acqua=100 I | Prima della semina I 6.4 |2950 (3) 465 (3) 2485} — | _ I | A Dopo la semina: i A. 7 giorni... .. 5.0 nre (7) 1300(7)| 440/2090(7)| 790) 165.0 : LEI N 5.6 |1688(3) 1405(3)| 228 1820(+)|-85) 161.0 b. (FRS PRONTA 6.5 |2031(7)|1507(;;)| 5241690(7)| 183 482.1 SOIL I. PECORA 5.2 | 780(z)| S10(3)| 440) 488(7)| 148) 273.4 Sviluppo del micelio. Porzione seccata Porzione pestata Totale ZA 0A “È Rapporto do i del micelio fresca secca a fresca B secca fresco | | | A... .|0.4710 g.|0.1299 g.|7. 8678 e. _ | 8. 33888./B 6.039 g | ese") DIE B... .|0.4412>» |0.1324»> |7.0932» |5. 2928 g.|12.8272» \A 8.980 » | | Del micelio di B, la porzione x servi per la determinazione dell’inver- tasi interna, la porzione £ fu adoperata per altre ricerche. Invertasi interna. Lorda In tutta la messe In 10 cme. di succo Rapporto L “ si Nella Botrytis cinerea la ge questo fungo influenza la secrezione e Enbbricagiolii dell'esengei ben. più che in tutti gli altri organismi finora sperimentati. In armonia con la scarsa secrezione d’invertina vediamo che il 12° giorno dì cultura in B c’era ancora più saccarosio indecomposto che in A non ostante lo sviluppo maggiore del fungo. Il liquido culturale di A il 12° giorno rerertira a 56° anzichè invertire, ciò che sì doveva a la grande quantità di zucchero in- vertito che già esisteva nella prova (1). 3. — Influenza dell’età. Abbiamo fin qui veduto che, con l’invecchiare delle cellule, ri- spett. della cultura, aumenta sempre l’attività inversiva estracel- lulare, ciò che nei lieviti coincide con l'aumento di permeabilità della cellula dovuto a l’azione dell’alcool e degli altri prodotti di fermentazione, fra cui anche l’acido carbonico, che notoriamente ed al pari di qualunque sostanza nociva fa aumentare la permeabi- lità (2). Negli altri funghi è pure evidente l'aumento di secrezione con l’età (talvolta nella Botrytis accade il contrario, perchè, come vedremo parlando della revertasi, questa aumenta nel liquido cul- turale con l’ aumentare dello zucchero invertito), un aumento che dipenderà egualmente da l’azione dei prodotti del ricambio escreti e da l’insufticiente aereazione della parte sommersa del micelio. Ma si potrebbe anche ammettere, specialmente per il micelio di Mucor, che la quantità di invertasi secreta sia una frazione costante dell’invertasi prodotta nell’interno della cellula, la quale nella sua vecchiaia o nella sua morte lascerebbe diffondere liberamente l’en- zima attraverso la membrana plasmica. Per dilucidare questo punto, disposi le esperienze seguenti, in cui furono seguite le variazioni dell’invertasi interna parallelamente a le variazioni dell’invertasi esterna. (1) PANTANELLI. — Proinvertasi e reversibilità dell'invertasi. Rendic. Accad. Lincei, (5), XV, I. Sem. p, 587 (1906). (2) Per i corpuscoli rossi de] sangue, v. Bottazzi, Principii di fisiologia, vol, I, p. 283 (1906). Il primo a constatare che l’insufficiente aereazione deter- mina l’uscita dell’invertasi da le cellule, in parte già nei lieviti, assai mani- festamente nell’Aspergillus niger, fu FERNBACH. Sur la sucrase chez VA. n. et la levure, Annales d’Institut Pasteur, p. 1 e €41 (1890). — Effetto narcotisante dell'anidride carbonica su certi lieviti: PANTANELLI, — H'icerche sul turgore del lievito, Annali di Botan., vol. IV, p. 1 (1906). # DE: 8 culture, chiuse con colmatore ad acido solforico - priva di zucchero riduttore. 4 culture contenevano il 2.5 % di gomma ara- rabica, e le chiameremo B,, B., B;, B,; indicheremo le altre con A,, 4,, As, As. Le 9 culture furono tenute accanto, a la temperatura della stanza (16-18°). Durata 22-29 novembre 1905. In ognuna fu seminato ().243715 g. di lievito. i Dopo 24 ore fu sacrificato il paio A, 5, per le determinazioni dell’in- vertasi interna ed esterna, dopo 3 giorni da la semina il paio A; B., dopo 5 giorni il paio A, B,, dopo 7 giorni il paio A, B.. Nella tabella seguente riportiamo i risultati dell’analisi dei liquidi cul- turali. Variazioni nel liquido esterno. | CO.svolto Acidità Zucchero / Invertasi CULTURA DATA A I, _r——_m eme. '/ | g. norm. > totale riduttore pass lorda netta ! | | " è I 5; di! | Prima della semina | — 5.4 |2490 (4) 0 2490] — | — _ Dopo la semina: 2310 (53) 1460 (7)| 850|3080(5,){ 1620 LO teo kosiatmo; © ..|- 1:22 4 AS ES pio. | 8.90 |, 5.8 1360 (7) 1148(7) 212 1300 (5) 152 pb CO) (>) Se gaber | 984 (3) 900 (3) 84 1008 (5) 108 Ag. .|7 >» ..| 8.68] 58 | 75(3)| 203) 45) 8410(3) 110 B, . .|1giorno. .| 0.81 | 44 |2260(z)| 960(7)|1300 1900 (15) 240 | B, ..|3 giorni. .| 263 | 5.8 |1380(7)|1110()| 270 1540(3)| 430 19 1170(7) 910(3) 450 (73) 380 O) 7 540(1) 160 9) (<>) 60] 1620 (;)| 710 (cp Tatto 4 (eo) Lal -«I v n o Do 9 O) © IPO Î dv. valvola di Bunsen, contenenti ognuna 300 cme. della soluzione nutritizia i E ipo to ora | vertasi interna. Gruppo A, B, (1 giorno di cultura). Sviluppo del lievito. Semina i Raccolta i Aumento se TE» Rapporto I Rapporto secca fresca secca fresca secco I fresco A, SIRIA 0748g. (0. 4568g 11. 8272g.)4 0, sani 8524 8.) A i 2 —1.052 «lai 1.119 Ì B,. |0.2437>|0. bt 434 » [1.736 » BB 0, 1903 » È 7612 » î Invertasi interna. Lo] Lorda In tutta la messe In 10 cme. di succo Rapporto \ I FIERE | | | VIDE 35200 (753) 70400 513600 EEA: : \==1.242 “SRP ME 55464 493200 I ci A l’inizio della cultura dunque, il lievito si sviluppa più rapidamente e fabbrica più invertina nel liquido privo di colloidi. Ne secerne anche una quantità assai maggiore. (iruppo A, B, (3 giorni di cultura). Sviluppo del lievito. Semina Raccolta Aumento Re a Rapporto | Rapporto «Uta JU secca fresca | secca fresca secco fresco A ll | ®, | DI, A. (0. 2487 g.[0.9748g.(0. 6975g.[2. 7900 g.) 0.4538g.(1.8152g.)4 0. 8347» |1.8988»\B > ri re i Ea In tutta la messe ! In 10 cme. di succo IAEpozta DE, Sl a ADENR 14290 (3) |. 25740 123100 i o | i BISI 931 I B, 12441.6(2) | = 497664 236900 5 | Gruppo A, B, (5 giorni di cultura). Sviluppo del lievito. Semina Raccolta | Aumento T Rapporto i Rapporto secca fresca Secca | fresca | secco I fresco Ax . 0.2487g.00.9748g. 0.703 g.[2.812 g.)4 ‘0. 460 g.1.8872g./ n | === 5} | Ve 069 B, . |0.2487» 09748» |0. 6738» |2. 6952 » (B 0. 4801 » (1. 7204 » \B Invertasi interna. Lorda In tutta la messe In 10 cme. di succo Rapporto 1 | Mr | mat Az 5686 o) | 28480 135100 fia B; 5280 (;3) 26400 130500 s | | i Gruppo A, B, (7 giorni di cultura). i Sviluppo del lievito. | i Semina | Raccolta Aumento i Rapporto Rapporto Ò secca | fresca | secca fresca secco | fresco ‘N | Ì ì Mi | : I | È A, + |0. 2437 g.0. 9748 9.0. 7156 g. 2. 8624 g. . (0. 2437 » B Te = 165 0.9748 » |0. 8266 » 3 3065» | 0. 4719g.1. 88762. 5 | i 235 0.5819 » 2.3317» A | Lorda In tutta la messe | In 10 cme. di succo { Il } 1 } Ax: --.| 5790 23850 111100 A 2 ==1.190 BASSA LA (i 30870. 124500 = 100 ! N Nella tabella seguente riassumo i dati concernenti le variazioni dell’en- > zima e del lievito. s 3 Norm. Norm. -+ 2.5°/, gomma DI ETÀ Invertasi | Aumento Invertasi Aumenti DS Sii del peso fresco | ìnterna |esterna, peso fresco (*) interna |esterna P È 1 giorno. . . . .| 513600 | 1620| 0.8524g. | 423200] 240| 0.7612g. w . | ® n 3 giorni... ..| 123100| 152] 1.8152 » «| 286900] 430| 1.3388 » hi bi >» pa 0 1) ADDIO IO 1.8372 » 130500 | 710 1. 7204 » Vul» > ses | DI11004\LI04 198816 124500 | 160 | 2.8317 » i ; * Nella nota preliminare (Rend. Accad, Lincei, XV, I. Sem. p. 381) è stampato per errore: Aumento del peso secco. Egualmente sono incorsi due errori di stampa nella tabella degli zuc- 9 cheri. L'ultimo numero della seconda colonna è 730 e non 700; il secondo numero della sesta co- È lonna 1300 e non 1200. Da questa esperienza risulta, che nelle cellule di lievito l’in- vertina raggiunge un massimo in principio dello sviluppo e poi di- minuisce consentaneamente dentro e fuori la cellula, se il liquido” ambiente è privo di colloidi (1). Invece in presenza di questi essa raggiunge egualmente il massimo al principio della fermentazione nell’interno della cellula, ma di fuori solamente più tardi. In se- guito diminnisce ancora come in assenza‘ del colloide. La mancanza di coincidenza fra le variazioni dell’invertina esterna ed interna, mostra che la secrezione di invertasi n0n è sem- la qualità (permeabilità) delle membrane plastiche. LXI, pp. 693 e 926 (1892). plicemente una funzione della superficie di secrezione, ma dipende da (1) Ofr. FERNBACH 2. e. pp. 1 e 641; 0’ SuLLivan, Journ. of the Chem. Soc, colloidali è in relazione con il maggior numero di cellule forma- tesi. Il fatto che il saccarosio scompare più presto di quel che non i. Mea nio maggiore echi so giorni nelle cultura in lijuidi aumenti lo zucchero invertito e la lentezza con cui questo poi spa- risce, prova che il saccarosio specialmente nei primi giorni, viene assorbito come saccarosio, senza precedente inversione (1). b). Mucor Mucedo. Fu seminato in 6 scatole Koch, ognuna delle quali conteneva 225 cme. del solito liquido FASO AS con mosto. 3 culture, che chiameremo B,, B3, B,, contenevano 3 °/, gomma (2); le altre indicheremo con A,, A4,, 4z. Tem- peratura 25° C. Durata 7-16 marzo 1906. — Dopo 4 giorni furono sacrifi- cate per le determinazioni le culture A, B,, dopo 6 giorni il paio A, B.. Dopo 9 giorni il gruppo A, B.. Variazioni nel liquido esterno. Acidità | Viscosità | Zucchero Invertasi NA 2 a 25° CULTURA ETÀ \ “i = : CMert/ite _ [AMSA | : lorda ‘netta rosio norm. |acqua=100| totale [FI Prima della semina: Resto L= 5.4 | 134.8 12620 (3) 108) 81o — | - Bio di » 208.1 » Son mea n Dopo la semina: A, . .|4gioni .| 65| 1841 |2100(7 | 115(3)|1985 277(5) 162 MESE 6 io -90.-1389 ‘1600 (+ | 187(3)|1413 367(3)| 190 10: GR AR da 10.4 | 180.2 | 890(3)| 755(3)| 185 970(7)| 215 Bi ..|4 >» .| 62] 218.8 |206(}, 155(3) 1911 155(3)| 0 i NR RIDÌ one 1800 (;3)| 202(3)|1598| 270(3)| 6 Bea, 4 12.8 | 188.0 | 890 (i so (1) 560 585 (-) | 255 (1) Cfr. i lavori citati di FERNBACH e O’ SuLLIvAN, nonchè PANTANELLI questi Annali, III, p. 127 (1905). (2) Nella nota preliminare è stato stampato per errore 2. d ° DI Î (a # % ae 0 Fi | Gruppo A, bi (4g torni di cultu TA È Sviluppo del micelio. Porzione seccata A reg To t ale inca Acqua Si De - } f A del micelio | 4 resca secca fresca fresco | | PV0r 0.2577 g. | 0.0608 g. | 2. 7783 g. | 3.0360 g. | 000 2,320 g. ; 79) 0.2554> | 0.0676» | 15109» | 17663» 1 B° 1.299 » i Invertasi interna. : i | E debe (VI Nell pone afnensto, [cla li ese enna a A TOEEILEDEE | I - AIOrE 276(3) | 2208 | 2419 | 10400 ) A; “74 , ; B_ DIA È NARO, POE (E) 740 874.8 6659 | / 52 gl | | i È ME Gruppo A, B, (6 giorni di cultura). v& va i A ì Sviluppo del micelio. si Porzi t Porzi si | ta seccata Vietata Totale SE Abqua po del micelio fresca | secca fresca fresco w re | | A, 0. 0953 g. | 0.0207 g. | 3.3675 g. | 3. 4628 g. | RO 2.710 g. : B.. ::. | 0.1827> |0.0318»|/8.0158» |8.1480» | BU 2,403 » 2 | Ì | I Invertasi interna. Lord NIE" | melo | "di'seno” | Rapport A, 876.8(7) | 8758 3861 : PRIA | 167 (}) | 1670 1748 di A, B, (9 giorni di cultura). Sviluppo del micelio. Porzione seccata Porzione | Totale ) È pestata | SE Ra Acqua > PRODI del migelio- fresca | secca - fresca fresco 9 li VARIE | 0.5622 g. | 0.1223 g. 6.1540 g.| 6.7162 s. | EB 5.255 = A05 Brea i0- 2037» 0.0550 » | 11.2484 » |11.4521 >» NES 8.303 | | ! i Invertasi interna. Lode | Eee | litio | "acne | Rapporto (1 | | | ta 30616 (3) | 459 | 5018 9548 PSR | | D—- 1.987 1 | | Bre 302.4(+ | 6048 6156 7415 5 G, ) | | | Nella tabella seguente riassumo i dati concernenti l’invertasi interna ed esterna e lo sviluppo del fungo. Norm. Norm +3°/ gomma ETÀ Invertasi Massa Invertasi Messa interna |esterna Secca raccolta interna | esterna secca raccolta IFOHORAI a 10400 162 3.060 g. | 6659 0 | 1. 7663 g. (#) | » Gna | 142400) 180 | 342298» |l7249 68 | 3.1480» 6) SS na STARE Aa IPA 9548 9215 6. 7162 » 415 255 11. 4521 » (*) Nella nota preliminare fu stampato per errore 1. 7763 g. Da questi dati si conclude, che nel Mwucor l’invertina interna raggiunge un massimo verso il 6° giorno nelle culture a substrato non coiloidale, mentre in presenza di colloide aumenta lentamente, ma continuamente, con l’età. L’invertasi esterna in ambedue i casì aumenta continuamente, sebbene sia sempre in quantità esigua; anzi in substrato colloidale non c’è nei primi giorni secrezione. Lo zucchero viene assorbito a preferenza come saccarosio. La benefica influenza del colloide su lo sviluppo si manifesta tardi, nel Mucor come nei lieviti, ed anzi nei primi giorni l'accrescimento è minore in substrato colloidale. a LA gr 4 Pi ala + Se et cirio. e curvi cli del dell'enzima nelle culture dei lieviti quando lo zucchero è stato con- sumato, mentre nel Mwcor la secrezione aumenta continuamente, anche quando la produzione interna di enzima è cessata. Questa dif- ferenza nel portamento è dovuta al fatto che il lievito è sempre tutto vivo e regola quindi autonomamente la secrezione dell’inver- tina, mentre nel Mucor con l’ispessirsi del grosso micelio a la su- perficie del liquido le ife profonde, le ife sommerse collabiscono e muoiono, come ci sì può facilmente convincere osservando al miecro- scopio ana cultura di Mucor su gelatina’ ben filtrata, a strato sottile, in una scatola di Petri a vetro sottile.. Allora la libera diffusione dell’enzima da le cellule morenti si sovrappone a la scarsissima secrezione da le cellule vive e il risul- tato pratico è che esce più enzima, mentre magari la secrezione vi- tale è diminuita. È 11 solito fatto, che tutti gli autori sorvolano con tanta facilità e che ha portato a pregiudizî grossolani nel campo della secrezione. Del resto, come vedremo nel lavoro seguente, basta la soppres- sione dell’aereazione per aumentare notevolmente la permeabilità delle cellule di Mucor e la secrezione dei loro enzimi, anche senza la loro morte. 4. — Influenza della viscosità del substrato. Fin qui abbiamo visto che i colloidi diminuiscono la secrezione dell’iyvertina, o per lo meno l’attività inversiva estracellulare, che ne è l’unica misura possibile, ed anche la produzione intracellu- lare dell'enzima. Già la natura assai diversa dei colloidi adoperati mostra che tale influenza su l'enzima non dipende da la loro es- senza chimica, bensì dal loro stato fisico. È giunto il tempo di chie- derci: agiscono essi direttamente su la membrana plasmica, aumen- tando la sua impermeabilità per l'enzima, come avevo ammesso nel lavoro precedente (1) in base ad esperienze, in cui venne dimostrato; che in substrato colloidale le membrane plasmiche hanno una mag- giore impermeabilità per i sali neutri? Ciò è assai probabile, ma non bisogna dimenticare che gli en- zimi, i quali chimicamente sono dei polipeptidi assai complessi, sono solubili nei lipoidi delle membrane plasmiche, come le ricerche «di Reiss hanno mostrato (l. c.), e, anche senza ricorrere ai lipoidi (1) Annali di Botanica, vol. III, p. 127 (1905). esterna nel lievito di vino e Der Mi, ci colpisce la diminuzic ne EPLA: mne ds di Met Shi Le “come pure il fatto, che i cola: gelatinosi ed i corpi fsmmonte ‘ divisi assorbono con energia anche gli enzimi (cfr. l’esperienza con la silice, pag. 235). Se l'enzima può passare in ogni tempo la membrana plasmica, perchè la sola invertasi fra i numerosi enzimi del lievito esosmisce da la cellula viva? Perchè da le mucorinee sopra studiate esce così poca invertasi? Qui non bisogna dimenticare che l’invertasi di lie- vito, come il bel lavoro di O’ Sullivan e Tompson (1) ha dimostrato, ha un peso molecolare relativamente basso, e con ciò è in relazione la facilità con cui essa filtra attraverso membrane più o meno im- permeabili per gli enzimi più complessi (2). Dunque, oltre a la so- lubilità nei lipoidi plasmici, la grossezza delle molecole dell’enzima influenzerà il suo passaggio attraverso le membrane plasmiche. Giunto fuori della cellula, la sua diffusione sarà notevolmente ritardata dal colloide in soluzione, poichè è noto che i colloidi s’in- fluenzano fra loro diminuendo reciprocamente la velocità di diffu- sione, e ciò agirà a tergo impedendo l’esosmosi di nuove molecole 0 micelle d’invertasi. Le esperienze seguenti mostrano infatti che, con l’ anmento di viscosità dell'ambiente, diminuisce l’attività inversiva estracellulare e la produzione intracellulare dell'enzima. Li a) Lievito Chianti N. 51. Furono disposte 4 culture parallele con colmatore ad acido solforico e valvola di Bunsen; ognuna ricevette 400 cme. della consueta soluzione priva di hexosio e 0. 5276 g. di lievito (—= 2. 1104 g. di lievito fresco), coltivato nel modo solito. A servi come testimone; 5 pr > SCOIO0 EYE di gomma arabica. Temperatura: 25° C. Durata: 19-28 febbraio 1906. La vi- scosità del liquido culturale fu misurata con viscosimetro di Ostwald in bagno termoregolato a 25° C. (1) Invertase, Journ. chem. Society, LvII, p. 894 (1890). (2) FERNBACH: — Ann. Institut Pasteur, Iv, p. 645 (1590). La RENI is à si N 10 #4 ° i ge ie del NI Ù | Variazioni nel liquido esterno 0 CR DATA svolto le AT ; 4 SESSI co, Acidità Viscosità Zucchero - Invertasi vi Si g. libera sant .) Acqua=100) totale riduttore pon lorda | netta Ve Prima della semina: Ca Tad d| o j “n A... .|_— | 12} 6.8| 1816 2920 (7) 0. E 2sg0 Ve | = i Beh I _ » » 152.9. » » » _ _ ! | lor | 4 pa, De ! » » 220. 4 » | » » — | _ : Di la » » 307.7 » | » » —SNETRIR gp * | Ì ì, Dopo la semina: 4 A. i 1 giorno | 8.75|2.4| 7.8] 1844 19186) 1120(5)| 198 1872(7) | 252 i 3 giorni [18.33] 3.2| 10.5 123.9 | 120(3)| 120(3)] 0, 546(})| 426 ine B..| i giorno | 9.02 22| 7.5| 177.8 |1587(7)|1085(3) 00 1225 (3; ) 140: % 3 giorni 18.79 3.5| 12.5| 18270 | 0 CA ) 308(1) 308 S| | n° ; (3 È 1 giorno | 8.75|24 8.2| 216.2 1281(5 i (1155 di 5)| 126/1272(3)| 117 d: is 8 giorni [183.0 | 8.7 12.0| 206.8 | 0 0| 255(7)| 255 D. 4 a) 1 giorno | 9.22|2.8| 8.0| 288.7 (1298(7) 1105 (3) 188/1223 (7) | 118 8 giorni |18.35|3,8| 10.2| 2578. 0 0 | 0| 190(3)| 190 ——- ——__—_——_—_—_—_—_—_—_._.—.———————€—€€==€ — ———————_m—____—_—___m (*) Per l'acidità libera fu adoperato come indicatore l’arancio di metile, per i sali acidi la carta. di laccamuffa, In altre parole, la prima colonna porta l’acidità forte, la seconda l' BREA delle. Li s cet: È pa et ù 1 n° Sviluppo del lievito. Semina Raccolta Aumento secca fresca secca fresca secco | fresco » » 1.6102 » 6.4408 » 1.0326 >» | 4.8304 » I .|0. 5276 g. |2.1104 g.| 1.0912 g. 4.3648 sg. 0. 5656 gs. | 2. 2044 g. » » 1.9491 » 7.1964 » A. B. » » 1. 4904 » 5.9616 » 0.9628 » | 3.8512 » ; c. ‘ DE 1.4215 » | 5.6860 » ca Invertasi interna. Lorda | ln tutta la messe In 10 cme, di succo OMASIESO ci 4120 (3) 26520 80990 tt. 5680 (5) | 34080 76030 0537 LO SESIA SARRI 1280 (7) 36508 76190 1) e LA GRATA LASPRIINOO 5120 (53) 40960 | 69980 In connessione a questa esperienza osserviamo che nel liquido esterno, con l'aumento della viscosità, è sempre minore l’attività in- versiva. In ogni cultura poi, coì diminuire la viscosità durante la fermentazione, aumenta il vigore inversivo; è da notarsi però che in tutte le culture accadde-un discreto aumento dell’acidità. Lo svi- luppo è favorito proporzionalmente a la viscosità dell’ ambiente, mentre si fa minore la produzione interna d’invertina. b) Mucor stolonifer. Ognuna delle 4 culture ricevette 225 cme. della solita bo addi- ‘zionata di mosto. A era il testimone, B conteneva 2 %, C' 3 %; % ge- latina purificata. In B la determinazione della viscosità fu Dna solo dopo 3 giorni di sviluppo della AEASOTInEd,] in CeD dopo 5 5 giorni. Durata: 24 febbraio-5 marzo 1906. Temperatura: 25°. -_ ANNALI DI BoranIca — Vor. V. 1; ; x 3 È Tali È ELI n +“. zioni nel liquido esterno. A Acidità | viscosità Zucchero Invertasi A - DE DATA 5 — — bi libera fanne Acqua=100) totale riduttore pesta) lorda netta ) Di at | p: . : Prima della semina: Ni: “* i ù Aaa 0.2| 6.4] 142.2|2460($)| 18(3)|27%) — | 1 3 De TSI » » D » » » — la Greve » » lo 0) » » » ki Shi . 1 TR PE » » D » » » = cl 3 Dopo la semina: ; A. dA 3 giorni | 0.6 | a) 138.2 |1783(5)| 90(3)|1693 128(3)| 88 | | | | TIBIA 1 D 5» ....|80] 95 190.6 1700 (7) 147 (1) [1558 406(5) 259 | | | 7 | 9 » Ù 6.0 [11.8] 121.4 | 513(3)) 197(7)| 316 375(3)| 178 È B. 3 giorni ‘0 i i 621.8 |1950(7)| tracce Rini 5.6(+){ 5.6 3 i 1\! [PSICO | i 5 » |10 br 354.2 | 1750(7))| tracce \1750/197 (3) 126 9 » ....]|80|12.8| 1725) 687(z) 245 (1) 442370 (7)| 125 =" " c. ì 8 giorni... .|0.6} 5.5] co |1750(z)| 0 |1750} tracce {tracce | SA | 5 » . .|0.2) 7.5| 1152.4|1780(7)| tracce |1730! tracce |tracce | | : 9 » i | 7.2|10.8 241.8 640(3) 210(+) ss0 250(+)| 40 ©D. 8 ci è Ì 1 7 ‘ giorni... .|0.5 6.2| n 1810(15) 0 |1810) 0 0 v | a tracce |tracce 157(3)| 12 5»s ....00.2/7.5| 18182 1440(7) tracce |1490 D'ni. ra ABI p10,8, 587(3)| 145(7)) 392 PR Nes và “© Sviluppo del fungo. Cogne Porzi Porzione seccata orzione Totale pestata di Acqua Ù da del micelio fresca secca fresca fresco AI sy ta 0.4844 g. 0. 1238 g. | 10.7518 g. | 11.0562 g. 8.213 g. la rat ia dea 0. 7436 > | 0.2823 » | 11.0792 » | 11.8226 > 8.134 » e, 0. 7996 » 0.2670 » 11. 7259 » 12. 5255 » 8.347 » Da 0.5825 » 0.1934 » 12. 4694 » | 13. 0519 >» 10-95 Invertasi interna. | Lorda Nella porzione tritata | In tutto il micelio | In 10 cme. di succo | | A... .| 920 (3) 3200 | 334 4071 EC Bio. (3) 3100 MMIBE: =" 4070 0. PIZ9:(3) 1179 | 2066 2476 Dic. 196.8 (4) 1968 | 2061 1876 In questa esperienza l’influenza della viscosità dell'ambiente ri- -salta anche meglio che nella precedente. Il forte aumento di acidità dopo il 5° giorno di vegetazione tu dovuto a la fluidificazione pro- gressiva e parziale idrolisi della gelatina, per cui si formarono molti aminoacidi, a l'assorbimento favorito di ammoniaca, per cuì rimase fuori l’acido tartarico, a la secrezione di acido ossalico da parte del fungo. L'attività invertasica però non crebbe per questo aumento dell’acidità nelle culture di gelatina, come dimostra il confronto con la cultura A, in cui anzi l’invertasi diminuisce a poco a poco nel liquido esterno, ma perchè, a mano a mano che la viscosità del substrato diminuiva, sempre più invertasi diffondeva dal micelio. 5. — Influenza dei colloidi su l’attività dell’invertasi. a) Considerazioni teoriche. Le laboriose ricerche che fin qui abbianfo esposte, dimostrano l’in- fluenza della natura colloide del substrato su la secrezione dell’en- zima, come pure su la sua produzione intracellulare e su lo sviluppo Le sit TR < la è PEER E AIN PENARE, PNE SRI - a PASTO no fe Ve riguardo del meccanismo della digestione, mi: la is. a parte Ù; degli alimenti, anzi gli alimenti preferiti da gli esseri saprofiti ve- getali ed animali che popolano il nostro pianeta, sono di natura colloide (sostanze proteiche, carbidrati, lecitine). Non possiamo quindi considerare chiuso l'argomento, senza ri- volgerci una domanda: influenzano i colloidi solamente la secre- zione, o anche l’attività dell’invertasi, o più tosto solamente questa? La domanda è malsicura, perchè la « sostanza » enzima, sebbene. tutti oggi sieno, convinti della sua esistenza (1), nessuno l’ha mai vista; noi conosciamo dell'enzima solamente la sua attività. Siccome però in generale l’attività degli enzimi non varia proporzionalmente a la loro concentrazione, ma dipende da un gran numero di fattori, quasi tutti di natura fisica, così è lecito obbiettare, che le varia- zioni nell’attività inversiva estracellulare non debbono sempre es- sere necessariamente consentanee con le variazioni nella secrezione dell’enzima. Ciò mi ha condotto a studiare l’azione dei 6 colloidi sperimentati su l’attività dell’invertasi. Levi (2) ha trovato che la silice (1.5-2 %) non ha influenza su l'inversione del saccarosio con acido cloridrico diluito, nè diminuisce. la conducibilità elettrolitica nè la pressione osmotica di soluzioni, ciò che non fanno neppure la gelatina al 0.6 % e l’agar a l'1 % In ciò egli si trova d’accordo con Graham (3), Voigtlinder (4) e drei formatsky (5), però già Arrhenius (6) aveva insistito su l’influenza dell’attrito interno delle soluzioni su la loro conducibilità elettro- litica è Pringsheim (7) aveva mostrato, che attraverso la gelatina e l’agar-agar solide le sostanze diffondono con lentezza estrema. (1) OzaPEK F. — Biochemie der Pflanzen, vol. I, p. 58 (1904). (2) Levi G. — Contributo a lo studio della dissociazione in soluzioni colloi- dali, Gazz. chim. italiana, vol. XXX, II Sem., p. 64 (1900). (3) GRAHAM Tu. — Amvendung der Diffusion der Fliissigkeiten zur Analyse, Ann. d. Chemie, CXXI, p. 1 (1862). (4) VorerLANDER. — Veber die Diffusion in Agargallerten, Zeitschr f. physik., Chem., ITI, p. 816 (1889). (5) RerormatsKky. — Veber die Geschivindigkeit chemischer Reaktionen in Gallerten, Ibidem, VII, p. 84 (1891). (6) ArrueNnIUS Sv. — Veber die Aenderung der elektrischen TO durch die Reibung, Ibidem, IX, p. 487 (1892). (7) Prinasnerm N. — Veber Niederschlagsmembranen, Jahrb, t. wiss., Bot.,, Bd. XXVIII, p. 1 (1895). " sani oi in cilindri di gelatina ed albumina può raggiungere il 30-50 %. Anche Nell (2) è arrivato a resultati analoghi. Se un dubbio è ancora possibile per la diffusione dei cristalloidi, altra è la cosa per i colloidi stessi, i quali diffondono con somma lentezza anche nelle soluzioni diluite di cristalloidi, vengono enor- memente frenati da le micelle di altri colloidi e si arrestano addi- rittura di fronte ai colloidi gelatinosi (3). Ora, ammesso che le soluzioni enzimatiche sieno liquidi etero- .genei, in cui ogni micella di enzima costituisca una fase colloidale sospesa nella fase acquosa, ad esse è applicabile la teoria di Nernst (4), secondo la quale la velocità di reazione nei sistemi eterogenei di- pende puramente da la velocità di diffusione attraverso le super- ficie limitanti le fasi. Infatti le esperienze di Brunner (5) hanno dimostrato che, se è diminuita la velocità di diffusione per la pre- senza di un sottile strato di gomma dragante, la velocità di solu- zione di un corpo solido in acqua o in acidi è pure proporzional- mente diminuita. L'applicazione della teoria di Nernst all’enzima porta a la se- guente concezione: La rapidità con cui la sostanza è decomposta dipende da la rapidità con cui essa penetra nella micella dell’en- zima, nel cui interno essa si decompone. La micella di enzima però dopo un certo tempo ne è carica, ed i prodotti di reazione deb- bono uscire, altrimenti è raggiunto l'equilibrio od entra in scena la reazione inversa. Dunque in secondo luogo la rapidità di decom- posizione dipende da la velocità di uscita dei prodotti della rea- zione da la micella di enzima, cioè da la loro velocità di diffusione nella fase enzima e nella fase acquosa. In altre parole si ha come in qualsiasi sistema eterogeneo, una ripartizione dell’idrolito fra la fase acquosa e la fase colloidale (le micelle di enzima), con pre- ferenza di quest’ultimo. Presso alcuni Autori precedenti, specialmente presso Herzog (6), troviamo già una idea simile a questa, ma più rozza. Egli consi- (1) Meyer K. — Ueber die Diffusion in Gallerten, Beitr. z. chem., Physiol. u. Pathol., VII, p. 393 (1905). (2) NELL P. — Diffusionsvorginge wissriger Lisungen in è Gelatine, Ann. d. Physik, (4), XVIII, p. 323 (1905). (3) NERNsT. — Theoretische Chemie, III Ediz., p. 389 (1900). — CzaPEK. L.e., vol. I, p. 62 (1904). — BoTTAZZI. — Principii di fisiologia, vol. I, p. 181 (1906). 4) Theorie der Reaktionsgeschwindigkeit in heterogenen Systemen, Zeitschr. f. physik. Chem., XLVII, pp. 52-55 (1904). (5) BRUNNER. — Ibidem, p. 56. (6) Ueber die Geschwindigkeit enzymatischer Reaktionen, Zeitschr. f. physiol. «Chem., XLI, p. 416 (1904). ro Bones'esi ritiene che la velocità di reazione ficuisoì con enni di con- centrazione del substrato per l'aumento dell’attrito interno. Anche Henri, a cui sì deve una lunga serie di ricerche sul mec- canismo delle azioni enzimatiche, è entrato da alcuni mesi in que- sto ordine di idee. Egli ritiene che la teoria di Nernst non sia applicabile agli enzimi, perchè si avrebbero costanti di reazione più grandi del vero, però crede che la sostanza si ripartisca fra soluzione e fase colloidale e la velocità di reazione a /a superficie del colloide sia proporzionale a la concentrazione nella fase colloidale, ed insiste su l’importanza della viscosità per spiegare il rallenta- mento dell’azione enzimatica nelle soluzioni concentrate (1). In un ulteriore studio, Henri dimostra direttamente che anche la riparti- zione del fermento ha una grande importanza (2). In questo suo novo modo di vedere, Henri non tiene però conto. della concentrazione delle molecole di acqua ne/l2 tase colloidale e del loro allontanamento da questa, nè a le variazioni di concentrazione delle molecole di acqua nella fase colloidale, che fanno diventare bimolecolare la reazione e quindi ne diminuiscono la velocità, nè infine a la reversione, che di ciò è la conseguenza, come Visser ha mostrato (3). Su quest’ultimo punto avremo campo di trattenerci in un lavoro su la revertasi, nel quale esporremo anche la nostra teoria sul meccanismo di reazione dell’ invertasi (4). Ritornando su l’importanza della viscosità, ricorderemo che Senter (5), pur non volendo applicare agli enzimi la teoria di Nernst, ha osservato che l’attività degli enzimi diminuisce proporzional- mente a l’anmento della viscosità. A l’infuori di questo lavoro di Senter, mancano su questo punto. tanto importante ricerche dirette. Pure è noto che il peptone frena l’attività presamica della chimosina (6) e che l'aggiunta di albu- mine diverse diminuisce l’attività della endotripsina del lievito (7). (1) Henri V. — Gesetze der Enzymwickuny und heterogene Katalyse. Zeitschr. f. Elektrochemie, XI, pp. 790-794 (27 ottobre 1905). (2) HeNRI. — Action de l’invertase dans un milieu hétérogène, Comptes rendus, CXLII, pp. 97-100 (1906,. (8) Visser A. W. — Reaktionsgeschwindigkeit und chemisches Gleichgewicht în heterogenen Systemen und deren Anvendung auf die Enzymwirkungen, Zeitschr. f. physik. Chemie LII, pp. 257-809 (1905). (4) Una nota preliminare è già comparsa in: Rendiconti Accademia Lincei, (5) XV, I, Sem. p. 587 (1906). (5) Senter. — Velocity of reaction iu heterogeneous Systems, with special reference to enzyme action, Journ. of physical Chemistry, IX. pp. 311-315 (1905). (6) OppPENHEIMER. — Die Lermente, II Ediz., p. 183 (1904). (7) HarpEN. — Ber. chem. Ges., XXXI, pp. 715-716 (1903). | velocità di [ifione EST0E sostanza da decomporre e gi minore è la quantità di molecole della sostanza che nell’unità di tempo arrivano ad incontrare una determinata quantità di micelle del- Yenzima, come pure più lento è l’allontanarsi dei prodotti della reazione, che ostacolano l’azione litica. Per l’invertasi mancano misure dirette, per cui ho dovuto ese- guirle da me. b) Lievito Chianti N. 31. Il liquido di una cultura di 8 giorni, privo di saccarosio, conteneva 275.2 mg. Cu0-glucosio per 10 cme. La sua acidità era pari a 2.5 cme. (acidi forti) o 3-4 cme. (acidi deboli e sali acidi) '/,, norm. Esso conteneva ancora molta invertasi, per cui fu separato per filtrazione attraverso carta da barite da le cellule di lievito e servi a la seguente esperienza: 5 cme. di questo li- quido + 5 cme. acqua furono tenuti a 100° 20 minuti; dopo mescolati con 10 cme. saccarosio al 40 %, invertirono a 56° in un’ora 4.8 mg. CuO-hexosio. A. 5 cme, liq. inversivo + 5 cme, acqua + 10 cme. 40 % saccarosio Kona Bit >» +5 >» peptneal 5 % + 10 cme, saccarosio al 40 % I tenti a DG" C.D » > +5 > sommo >IYV+S10 » » 40 % \ per un'ora. DE >» +5 » get» D H+ 10 >» » 40%, (O) Passata l’ora fu determinata la viscosità (a 25°) e lo zucchero riduttore. Viscosità Invertasi lorda | Hexosio iniziale dI NSRSIDRO | Invertasi netta | | A (acqua) 125.8 | 430 | 275.2 48 | 200 B (peptone) | 180.8 |! 338 | » » | 58 C (gomma) BAGIDI (In 34 A » » 67.4 D (gelatina) 305.8 413.1 » > | 133. 1 Da questa esperienza, risulta che il peptone, la gomma arabic e la gelatina all’1.25 %, cioè nella stessa concentrazione in cui essi si trovavano nelle prove d’inversione di tutte le esperienze prece- denti, in cui il liquido culturale ne conteneva 2.5 %, diminuiscono fortemente l’attività dell’invertasi di lievito; se aggiungiamo la silice, la quale affretta quest'attività, la scala in ordine decrescente dei quattro colloidi sperimentati sul lievito, è la seguente : peptone > gomma > gelatina > silice. La soluzione nutritizia con silice al 2.5 % ha una viscosità assai variabile, a seconda dei momenti in cui la si esamina; quella del ,e ni NEVI era Mucor stoloni fer (esper. I Da questi numeri risulta già che la viscosità non è il fattore principale della diminuzione dell’attività enzimatica, o per lo meno questa non varia proporzionalmente a quella, perchè in ordine di viscosità decrescente si ha, per le soluzioni nutritizie con 2.5 % di colloide, la scala seguente: gelatina > silice > gomma > peptone. Per dimostrare più evidentemente questo fatto, ho coltivato lievito Chianti n. 31 in soluzioni isoviscose. Non è facile preparare soluzioni nutritizie iso- viscose; bisogna procedere empiricamente e tener conto del tempo e modo di sterilizzazione. Furono disposte 5 culture, ognuna con 400 cme. della consueta soluzione nutritizia priva di essosio. A era il testimone, le altre culture contenevano quantità diverse dei quattro colloidi, in modo che la viscosità fosse pressochè eguale. La viscosità fu determinata dopo la ste- rilizzazione ( E sterilizzato in modo speciale, v. pag. 243), immediatamente prima della semina, togliendo il saggio con pipetta sterile. Ogni cultura ri- cevette 0.458 g. di lievito secco (— 1.832 g. di lievito fresco). Durata: 29-51 marzo 1906. Temperatura: 25°. Acidità Viscosità | Zucchero 3 o _ a 25° COMPOSIZIONE omo.4/; ZAR norm. Acqua= — n totale tore | rosio ridut- | sacca- Prima della semina: A400cme. norm. . . . . ...... | 5.4 | 1385 [2985(5) 0 [2935 B » » con 2.5°/ peptone .| >» 180, 6 >» |»l» O » » » 2.0 » gommaarabica | » 182.9 » » | » D » »' » 10 » gelatina |» 183 » E » » » 2.0 » silice. . ... . | » 181,6 | » | Acidità Zucchero Invertasi omo, 3/;i Viscaiti \————————7————-| — | norm. totale riduttore | saccarosio lorda | netta Dopo 2 giorni: A. 6.8 | 127.8] 640 (i) 578 (3)| 62 |1235()| 667 B.......| 6.8 |1646) 770(3)| 610 (4) 160 1122(3 512 Wi: 7A | 168,0) 680 (p)| 817 (3)| 898 D. 8.2 |158.2 714 (3)|616(7)| 198 pit; 7.8 | —*530(3)|401(7)] 19 * Impossibile determinarla, perchè la silice si era aggrumata, cioè circa quanto la solide nutritizia con gomma al 3: or 1" RANA S "0 colloidi e, bons l'attività i vertaDica | estracellulare, ma senza una relazione netta con la viscosità. c) Mucor Mucedo. Dopo 10 giorni di cultura nella consueta soluzione con mosto, il liquido fu filtrato. Esso conteneva 240 mg. Cu0O-essosio per 10 cme, ed aveva una acidità pari a 2.8 cme. (acidi forti) o 7.2 (acidi liberi e sali acidi) ‘/,, norm. 5 cme. +5 cme. acqua + 10 cme. di saccarosio al 10°/, furono scaldati a 100° per 20 minuti; nella successiva prova d’inversione a 56° si ebbero 7.5 mg. di CuO, corrispondente ad essosio formatosi. Allora posi: A. 5 cme. liq. inversivo + 5 cme, acqua + 10 cme. saccarosio al 40 %. e >» > +5 > peptme al 5%+ 10 cme, saccarosio al 40% ) CO > >» +5 » gomma sa ld: 1005 dry 40) %, a 56° Da gi > ipo» gelatina >. (15% + 10» upr1>:40% | Bd > +5 » agaracar> 0.5% W-ERO » > >40% \ per un ora. 7300 MRRISO >» +5 » amdosol »> 20, +10 » >». >40% Passata l’ora, fu determinata la viscosità e lo zucchero riduttore. E Viscosità Invertasi lorda Hexosio iniziale | Inversione Invertasi netta non enzimatica IO E CR) 136.2 328(4) 240 7.5 80. 5 Boo. 185.4 350 » » » 32.5 - CAR 258. 6 402. » » | » 154.5 Di: 308.2 270 » » » 22.5 Boe 412 6 | 994 » » » 88. 5 JOE 5 242.0 | 808 » x | » 60. Di qui vediamo che l’attività dell’invertasi di Mucor Mucedo è «diminuita da i diversi colloidi nel seguente ordine decrescente: gelatina > peptone > amido > agar > gomma > silice, senza una relazione netta con la loro viscosità. d) Secrezione ed attività dell'enzima. La constatazione di questi fatti rende di nuovo oscura la que- stione, perchè ora incalza la domanda: nelle nostre esperienze, era uscito in presenza del colloide meno enzima dalle cellule, o soltanto la sua attività era minore? ge: Totib richare! come già sopra ho detto, che la domar ha ben poco fondamento, perchè non possiamo conoscere mail stessa quantità di enzima sviluppa un’attività ben diversa, a seconda del coHoide presente. Ciò porta a la conclusione, che la semplice misura dell’attività non basta per determinare quantitativamente un enzima. Nel nostro caso però l’ esame particolareggiato delle numerose esperienze ci permette di intravedere attraverso le variazioni del- l’attività, anche le variazioni della quantità di enzima. Nel lavoro su la proinvertasi e revertasi vedremo poi meglio, come si svolgano queste variazioni, e perchè i colloidi esercitino quell’azione depri- mente su l’invertasi, azione che è soltanto apparente. Quì possiamo osservare, rimanendo ai resultati esposti nel lavoro precedente ed in questo, che p. es. per la silice, che accelera assai l’azione del- l’invertasi, l’eguale o minore attività invertasica estracellulare nelle culture con silice, non può essere ascritta ad altro se non ad una minor secrezione d’enzima. Lo stesso vale per la gomma e l’agar ri- spetto a l’invertasi di Mucor. Quanto a gli altri colloidi, che frenano più o meno l’attività del- l’invertasi, osserviamo anzitutto che in loro presenza l’attività in- vertasica estracellulare nelle culture diminuisce nell’ordine: gomma > peptone > gelatina > silice, per il lievito e gelatina > gomma > amido > agar > peptone > silice, per il Mucor, ordine che non è in alcuna relazione con la diminu- zione di attività di uno stesso liquido invertasico a 56° in presenza di questi colloidi. Inoltre con l’età aumenta in tutte le condizioni l’inversione estra- cellulare, mentre la viscosità nelle soluzioni con gomma ed amido non diminuisce e in quelle con gelatina, agar o peptone si fa mi- nore. Poi, il lievito che è stato coltivato in presenza di colloide cede a le acque di lavaggio prive di colloide meno invertina, anche quando ne contiene di più. tì. Conclusione. I risultati empirici di questo lavoro, che è una continuazione del precedente (Ann. di Botan., vol. ITI, p. 113) e non tocca affatto il lato causale della questione, sono: quantità, ma solo l’attività di un enzima. Ma abbiamo visto che la VII pente ala GA ‘arabica; ‘anche gli altri caltordi ‘sperimen- | i psi ppi, ia, silice colloidale, amido solubile, agar-agar) diminuiscono l’attività inversiva bags nelle calante di Mucor Mucedo, stolonifer e Saccharomyces ellipsoideus (razza Chianti, n. 31). Essi diminuiscono anche la produzione intracellulare dell'enzima, mentre favoriscono lo sviluppo di questi organismi. 2. La gomma arabica ha lo stesso effetto su PAycomyces nitens, in grado maggiore o minore su Penicillium glaucum e Botrytis ci- nerea; lo stesso vale per la gelatina rispetto a quest’ultimo fungo. Si tratta dunque di fenomeni generali. 3. Nelle cellule di lievito l’invertina raggiunge un massimo in principio dello sviluppo e poi diminuisce consentaneamente dentro e fuori la cellula, se il liquido ambiente è privo di colloidi. Invece in presenza di questi essa raggiunge il massimo egualmente al principio della fermentazione nell'interno della cellula, ma di fuori solamente più tardi. In seguito diminuisce ancora come in assenza del colloide. Nel Mucor Mucedo l’ invertasi interna raggiunge un massimo verso il 6° giorno nelle culture a substrato non colloidale, mentre . in presenza di colloide aumenta lentamente, ma continuamente, con l’età. L’invertasi esterna in ambedue i casi aumenta continuamente, sebbene sia sempre in quantità esigua; anzi in substrato colloidale nei primi giorni la secrezione è appena sensibile. 4. Con l’aumento di concentrazione di uno stesso colloide, di- minuisce gradatamente, sebbene non proporzionalmente, l’attività inversiva estracellulare ed intracellulare, aumenta lo sviluppo vege- tativo. Nelle culture con gelatina, agar-agar, peptone, gomma, amido solubile, parallelamente a la progressiva diminuzione di viscosità cresce l’attività inversiva estracellulare. Ma una relazione costante fra viscosità del medium e secrezione o produzione di enzima non esiste. 5. I detti colloidi, ad eccezione della silice, deprimono tutti più o meno l’attività delle soluzioni di invertina in vitro; la silice in- vece la esalta. Quindi si potrebbe credere, che la diminuzione del- l’attività invertasica estracellulare sia soltanto apparentemente do- vuta ad una minor secrezione di enzima, in realtà dipenda da la paralisi dell'enzima per opera del colloide. Esistono però casi favo- revoli, in cui bisogna ammettere che anche l’attività secretoria sia realmente diminuita, p. es. quando il lievito contiene più invertasi (interna) in presenza che in assenza di colloide, e pure ne cede meno a le acque di lavaggio, prive di colloide. Ad ogni modo, è compito del lavoro seguente risolvere tale questione, con la quale sî a bi: 10 de term nin chi ‘e .qua, x fa | Li un enzima gi Vac n° 3 RIVA Ga PI IPER fase colloidale. L'azione accelerante della silice su l’invertasi co- mincia ad essere sensibile oltre ì 35° C, manca a temperature più basse. Roma; Laboratorio di Fisiologia del R. Istituto Botanico; luglio 1906. G. Nelle culture con silice spesso il lievito si ‘Rebiannio e fa ng glutinare anche la silice in fiocchi o grumi più o meno grossi. Allora l’invertasi secreta si ripartisce fra le due fasi con preferenza della si EE Contribuzione allo studio della flora delle saline di Cagliari del dott. AncELO CASU PAarTE III. — RESISTENZA FISIOLOGICA DELLA FLORA DELLE SALINE. ALL'AZIONE DEL SALE MARINO. Dalle osservazioni di biologia generale sulla flora delle saline di Cagliari (1) sono scaturite tre quistioni distinte le quali paiono ‘essere in rapporto di dipendenza colla presenza del sale marino del terreno, Esse sono: 1° La distribuzione sporadica di tutte le specie di piante ed il loro microfitismo generale ; 2° La prevalenza del numero e dell’ estensione delle specie er- . bacce sulle legnose; 3° La prevalente ubicazione di determinate specie vegetali (ha- lophytae), in contatto di soluzioni saline. Altrove ho già riferito alcune notizie bibliografiche (2) sulla in- terpretazione generale di questi fatti; qui continuerò l’esame dei lavori in merito; almeno di quelli che ho potuto avere in comu- nicazione; e di ciascuno dirò del criterio e del metodo di osserva- zione o di esperimento, e delle conclusioni alle quali si venne. (1) A. Casu. — Contribuzione allo studio della flora delle saline di Cagliari. Parte I. Biologia. (Annali di Botan. del Prof. R. Pirotta, vol. II, fasc. 3°. Roma, 1905). (2) A. Casu. — Loc. cit. es. » nere CRT LT ge poichè la contradizione i in cni io si trovano non può essere altr al menti spiegata se non colla conoscenza del processo, sperimentale 4 Si o no, con cui furono dedotte. A i Va x Per una più facile intelligenza avverto subito che il contenuto —— del presente lavoro è stato ordinato nel modo seguente: I. — Parte bibliografica. 100 1° Notizie generali sul valore biologico degli elementi del terreno; e 2 È 2° Notizie particolari sul valore biologico del sale marino de- " dotto dalla topografia delle piante ; “i 3° Notizie particolari sul valore biologico del sale marino in rap- porto all'energia assimilatrice delle piante ; s n CA i . eo. st sì 4° Notizie particolari sul valore biologico del sale marino in rap- “ . i porto alla struttura delle piante ; hh | b° Notizie particolari sul valore biologico del sale marino in rap- porto al suo coefficente tossico. II. — Parte speciale. i 1° Studio fisico-chimico del terreno delle saline e del littorale alla superficie, nel pertodo in cui i semi sono in germinazione o da poco germinati ; P 2° Studio fisico-chimico del terreno delle saline e del littorale a | diverse profondità nel periodo di accrescimento delle piante; 3° Studio comparato della costituzione chimica del terreno e delle piante spontanee. Considerazioni e conclusioni. Pe A - I. — Parte bibliografica. 1. — Notizie generali sul valore biologico degli elementi del terreno. « Chiamo valore biologico di un dato elemento fisico-chimico del « terreno, l'influenza che esso può esercitare sulla vegetazione e < conseguente prosperità e ubicazione delle varie specie vegetali, e < lo deduco dal rapporto che può esistere tra la:sua presenza nel <« terreno stesso e nella pianta e gli effetti che in questa gli cor- < rispondono ». Le osservazioni che formano argomento di questo lavoro furono appunto istituite con criterio comparato allo scopo di conoscere quale relazione esistesse tra alcuni sali del terreno (considerati nella qualità, quantità e distribuzione) e la quantità e la qualità assorbi- tane da piante che parevano presentare casì tipici di sviluppo (triste o rigoglioso) in dipendenza della loro presenza ed azione. Queste cognizioni apparvero assai per tempo una condizione sine qua non per tentare la spiegazione dei fatti di biologia generale ‘osservati in queste saline e altrove descritti. Ma prima di esporne 1 risultati credo opportuno premettere alcune considerazioni sulle notizie generali che si hanno circa l'influenza degli elementi del terreno sulla vegetazione delle piante e particolarmente di quella del sale marino. E ciò perchè, oltre ad essere di aiuto all’interpre- tazione dei risultati che verranno qui riferiti, suggeriscono anche utili considerazioni sul modo come l’interpretazione di un dato fenomeno possa cambiare col cambiare delle condizioni di osserva- zione e dei punti di vista sotto cui può essere in modo differente considerato. L'influenza che un dato elemento del terreno, o dell'ambiente in genere, può esercitare sulla vita delle piante, costituisce da tempo il soggetto interessante di molte ricerche e forse nessuna quistione biologica è stata tanto studiata quanto questa. Le notizie che se ne hanno sono perciò numerose, e particolarmente quelle sulla fun- zione del calcio, del silicio e del cloruro di sodio; però non sono conformi nè coordinate ad una stessa affermazione; anzi, e questo è per me l’interessante, la quistione studiata sotto i punti di vista più diversi, è stata risoluta in modo troppo contradittorio. Tuttavia il concetto generale che si aveva un tempo della funzione di uno di questi elementi del terreno, dedotto con criterio puramente in- =, nc ‘du sa d 106: osse) i | gradatamente nodi fioaniotia ioeniena dei ris otti culture sperimentali e colle ricerche analitiche rispondenti almeno ho in parte a criterio razionale. di L9I L'osservazione elementare scopre che vi sono specie di piante da: le quali localizzano la loro vegetazione, oppure si presentano pre- } valenti in zone di terreno più o meno vaste e aventi caratteri che G li contradistinguono. Questi possono consistere o nella prevalenza di uno degli elementi che li costituisce p. es. del calcio, del silicio, Dr dei sali di sodio, dell’acqua ecc., oppure nella loro particolare di- pie visione e aggregazione meccanica. Si hanno perciò i noti terreni calcari, silicici, salati, umidi, inquinati, asciutti, sciolti, compatti, db sabbiosi, pietrosi, So marnosi, ecc. E questi caratteri eminenti Ro non sì presentano mai soli, ma generalmente associati con altri, in SD modo da costituire tante qualità di terreni quante sono le differenti possibili combinazioni di tutti gli n caratteri presi 2a 2, 3 a 3, fn; 4a 4... (n-1) a (n-1), na n, offrendo così tutte quelle gradazioni di passaggio che sono il fatto più comune ad osservarsi, spesso anche in piccole estensioni di terreno. Dipendentemente, le specie vegetali è; che si mostrano esclusive o prevalenti di uno di questi terreni tipici prendono i nomi di calcicole, silicicole, alofile, ... ecc. 1 quali in ori- Re, gine volevano significare non solo l'elemento col quale le piante È avevano contatto, ma racchiudevano anche il concetto elementare ly: di ciò che si credeva fosse l’azione del calcio, silicio, sali, ecc. sulle a diverse specie vegetali. Ond’è che queste furono, e sono tuttora considerate come amanti rispettivamente di una di queste sostanze, ue. e così si definì o si credette definire ad un tempo e in forma em- po pirica il fatto topografico-biologico, consistente nella speciale distri- buzione di queste piante, e quello fisiologico 0 biochimico consistente nel modo come i detti elementi possono agire. Ma se gli autori per molto tempo si trovarono d’accordo in queste denominazioni e nel loro significato finchè si limitarono alla deseri- zione dei fatti di biologia che l'occhio nudo può scoprire, non lo fu- rono più quando con metodo sperimentale tentarono di stabilire il rapporto che esisteva tra i componenti del terreno e quelli della pianta, 0 il modo come le diverse specie vegetali venissero influenzate nella vita, forma e distribuzione, dai diversi elementi chimici del ter- reno, o quando vollero determinare il quantitativo massimo che quelle possono assorbirne e tollerare nel loro organismo. Nel caso speciale delle Alofite, la loro esclusiva o prevalente vegetazione in terreni salati non fu, per molto tempo, in aleun modo spiegata; forse perchè una spiegazione si riteneva superflua. Solo | stazione, ed in | questa, il sale marino, che, secondo RIO ancora ne scrive il Masclef, « recherchent partout où elles peuvent le ren- contrer » (1). Senonchè l’osservazione scopre che, nonostante questa facoltà insita nelle Alofite, la loro vegetazione ha luogo anche in terreni poveri di sal marino e spesso in quelli che ne sono affatto privi ed a breve distanza da tratti salati e scoperti d’ogni vegeta- zione. E chi ha conoscenza del terreno e della flora littoranea sa bene quanto questi esempi sieno comuni. Il Masclef, (2) per i casì da lui osservati, li spiega osservando che le specie Alofite « atti- rées d’abord par la présence du sel marin, ont fini, par une adap- tation lente, è s'habituer dans un milieu non salé, quand le Chlo- rure de sodium, après une diminution graduée et presque insensible eut complètement disparu ». Questa non è una spiegazione, ma una constatazione di fatto, che alla sua volta porta alla domanda : In che consiste l’adattamento delle piante Alofite ai terreni non salati? È di natura fisica o metafisica? E se è di natura fisica, con- siste essa in particolari fatti fisiologici (p. es. costituzione specifica del plasma) od in fatti strutturali (struttura delle piante); o negli uni e negli altri ad un tempo? i chiaro, non potrà mai spiegarsi l’adattamento di un organismo ad un ambiente anormale quando prima non si conosca la sua mco- dalità di essere nell'ambiente che gliè normale, epperò la questione contenuta in questi limiti si aggira in un circolo vizioso. Pertanto, la mancanza di cognizioni sufficienti per rispondervi portò, e porta tuttora, ad affermazioni come queste, vaghe e vuote di contenuto che perpetuano il contrasto tra la fisica e la metafisica. E ciò perchè troppo spesso il biologo di fronte ad un fatto di cui gli sfugge la dimostrazione, e per un senso di dignità male intesa, piuttosto che confessare l'insufficienza dei propri mezzi e delle co- gnizioni, fa appello all’impossibile, e riveste i fatti stessi di quel ca- rattere antropomorfico che lo toglie dall’imbarazzo di ogni esame. E così « piante alofite sono quelle che, amanti del sale, si localizzano dappertutto dove possono trovarlo!!! Comunque elementare ed empirica quest’ interpretazione del Masclef, sarebbe stato bene che egli, nel darla, avesse tenuto conto delle osservazioni e delle ricerche degli autori che l'avevano prece. duto, i quali nella questione in esame delle Alofite, o in quella (1) M. AspÈ MascLer. — Etude sur la Géographie Botanique du Nord de la France — Journal de Botan. Tom. III 1889. (2) Loc. cit. ANNALI DI BoranICcA — Vot. V. 18 ALL iÉ ficil'abiongione delle n Lveva zie abb stanza precise e dedotte < con criterio sperimentale, come verrà det o in seguito. i Già scrissi altrove che, Hncordo col Delpino, (1) «la distri- buzione delle specie deve Miri come « un fatto casuale e non intenzionato » dovuto all'intensità diversa con cui i fattori dell’am- biente influenzano la vita delle piante. Qui soggiungo che fra questi fattori, l'assorbimento delle sostanze del terreno è quello che ha il maggior valore, in quanto introduce nella pianta quella gran massa di materia prima la quale, riuscendo utile, indifferente o nociva alla vita vegetale, determina l’essere o non essere della pianta stessa in un dato punto dello spazio. Si tratta perciò di vedere anzitutto se, date le cognizioni ormai acquisite alla scienza su questa funzione e su quella della nutrizione, sia ancora lecito parlare di « facoltà di scelta di alimenti » e quindi anche di stazione. Contemporaneamente al Masclef, il Briosi (2) così scriveva in proposito di altri molti che l'avevano preceduto : <« Per Saussure, l'assorbimento delle varie sostanze in propor- zioni per ciascuna diverse, a seconda delle diverse specie di piante, è un fenomeno fisico più che fisiologico nel senso antico della parola. Contro questa spiegazione fisica del Saussure sorsero fra gli altri i nostri, Pollinie Trinchinetti i quali, come più tardi il Boussin- gault ed altri, vollero nel detto fenomeno vedere piuttosto una specie di facoltà propria ed attiva delle radici, per la quale queste scelgono le sostanze che loro meglio convengono a seconda delle specie di di piante alle quali appartengono. Era mettere una frase al posto di una spiegazione che non soddisfaceva o che essi pure non sape- vano dare, poichè questa loro forza elettiva era qualche cosa d’in- stintiro della pianta regolato dalla misteriosa forza vitale e non da note forze meccaniche (fisiche e chimiche), dalla dipendenza delle quali unicamente un fenomeno fisiologico può ricevere la sua spie- gazione scientifica ». E molti anni dopo (1896) così scrisse il Sestini (3): « È dimostrato che le radici non hanno la facoltà di scegliere il proprio nutrimento e che esse non prendono dal terreno o dalle so- luzioni nutritizie le sostanze di cui hanno bisogno per nutrirsi, ma anche quelle che per azione osmotica possono entrare nelle radici ». (1) Id. oc. cit. (2) G. Briosi — Intorno alle sostanze minerali nelle foglie delle piante sempre verdi (Atti dell'Istituto Botanico di Pavia - Serie II. Vol, 1° 1888). (3) F. SpstINI. — Chimica agraria — Nutrizione delle piante — Pisa — Ti- pografia F. Mariotti: 1896. Cal Ce ee © Pes ot che è di se Esotuta necessità, ma anche sostanze inutili e spesso dannose, di quale natura e di quale forma dobbiamo ritenere che sia ‘cotesto lo < potere elettivo? > Risponde il Sestini: « Sia detto con buona pace di chi la pensa diversamente, di scelta nè qualitativa nè quantitativa per parte delle piante ci sembra non debbasi far parola.Il fatto che con quella designazione si vuol in- dicare, non è una proprietà elettiva delle radici, ma una conseguenza dei mutamenti chimici che hanno luogo nell’ interno delle mem- brane che operano per azione diosmotica sopra le sostanze disciolte nei liquidi che bagnano le cellule o meglio i tessuti, non che dei mutamenti fisici e chimici che hanno luogo nell’interno delle cel- lule e nei tessuti medesimi >». Il potere elettivo delle piante resta perciò completamente svestito - di quel carattere di antropomorfismo che per tanto tempo gli si at- tribuì, e fu quindi ricondotto nell’ordine di tutti gli altri fenomeni “naturali di carattere fisico-chimico sperimentale ben determinato. La denominazione di pianta « Alofita » conseguentemente cessa pure di significare « pianta che si fissa dappertutto dove può trovare il sale >, e resta a indicare « una pianta che vegeta più o meno bene anche quando passivamente assorbe e tollera nel proprio corpo una quantità relativamente grande di sali », e ciò in dipendenza di particolari proprietà di struttura, già illustrate o da illustrare. Solo in questo modo la questione delle « Alofite e non Alofite » potè essere oggetto di studi sperimentali e fu possibile anche in- dagare come ed entro quali limiti si esplichi l’azione del sal marino, e come nei terreni salati possa condurre all’esclusione della genera- lità delle specie vegetali e alla sopravvivenza di poche altre che pre- sentano una organizzazione tipica. Nessun'altra sostanza è stata tanto studiata come questa nei suoi rapporti colla vegetazione, come a nessun’altra si sono attri- buiti a un tempo tanti pregi e tanti difetti. Tuttavia la letteratura in merito manca di lavori esaurienti che con osservazioni ed espe- rienze che si completino, illustrino in modo attendibile come detto sale agisca sulle piante. Il riassunto che fanno il Warming, (1) lo Schimper, (2) il Pfef- fer, (3) per non dire di altri, delle conclusioni alle quali Mari, (1) Eu. WARMING. — Lehrbuch der bkologischen PHanzengeographie — Ber- lin, 1896. \ (2) A. F. W. ScHimPER. — P/lanzengeographie ecc. Jena 1898. (3) W. PrEFFER. — Pflanzenphysiologie — Leipzig-verlag von Wilhelm En- gelmann, 1901. Pa da *“ PINI - SOY - ( ad” Li ; a i en e (PA Y PARAT TI CITATA | diversi autori, rispecchia fedel mente il contrasto appè le E piante danno luogo nei diversi fatti di vita sui terreni salati. E. come in questi ultimi è possibile che si osservino, spesso in una — pr breve superficie, le manifestazioni di vita le più opposte, così anche | È nella letteratura; e ciò perchè molte interpretazioni in merito altro ; non sono che la semplice traduzione in linguaggio comune di ciò. che si credeva fossero i fatti isolati presi in esame. fica 2, — Notizie particolari sul valore biologico del sale marino, studiato in rapporto alla topografia delle piante. Il Masclef (1) scrive che al Nord della Francia « Vingt espèces i véritablement maritimes qui y paraissent fixées par l’ influence du < sel marin, des vents de la mer ou de l’aridité de la station, sy mo- difient assez profondément pour constituer des formes littorales spé- ciales qui y remplacent exclusivement les types spécifiques ». Più oltre continua (2). « L’influence du sel marin semble primer toutes les autres. Non seulement elle fixe dans le dunes ou sur les levées des galets une vingtaine d’espèces veritablement maritimes, mais elle y modifie profondement huit espèces de la flore terrestre, don- nant à quelques-unes de ces formes littorales l’aspect de plantes ha- lophytes ». 5 Prende in esame l’influenza del clima, quella del calcare, dei venti del mare e dell’aridità della stazione, e osserva che esse « ne 4 sont plus qu’accessoires et ne se font souvent sentir que d’une ma- nière accidentelle ». | L'autore interpreta tutti questi fatti di biologia da un punto di vista « plus général et plus philosophique » e osserva che bisogna « faire une large part dans les sables maritimes à la Zutte pour 2e- nistence ». E continua « Le manque de concurrents nombreux sur des terrains ou de grands espaces sont encore presque sans végétation et un climat plus doux favorisent l’introduction des espèces continentales ; mais ces causes favorables sont souvent contrebalancées ou du moins attenuées par deux influences contraires, l’aridité de la station et surtout l’influence repulsive du sel marin. La lutte pour l’enistence ne transforme nullement les espèces; elle en soumet seulement. quelques unes à l’action du milieux ». i (1) MASCLEF. — Loc. cit., p. 108. (2) MAScLEF. — Loc. cit., p. 104. ci E lavoro, l’autore attribuisce al sal marino un valore biologico molto spiccato e preciso negli effetti, sia nel fissare o nell’escludere deter- minate specie, che nel modificarne profondamente delle altre. Non «dà però alcuna interpretazione della natura e del modo di agire del sale in parola, e solo rileva come la sua azione non sia la stessa per tutte le piante, e che essa ora è utile e forse necessaria, ed ‘ora dannosa. Analogamente, M. L. de Lamarlière (1) osserva che l’ influenza del sale marino così sensibile per un gran numero di fanerogame, è nullo, o quasi, per i Muschi sul littorale del Nord della Francia, ‘e sarebbe piuttosto repulsiva che attrattiva. Altrove (2) scrive che le piante che si possono qualificare per ‘alofite a causa della loro affinità, almeno apparente, per il sal ma- rino non tutte meritano questa denominazione nello stesso grado, ‘e conformemente descrive l’ubicazione differente che esse presen- tano in rapporto alla maggiore o minore ricchezza in acqua salata del terreno. Il lavoro è puramente topografico-descrittivo e nulla dice sul modo e sulla intensità con cui detto sale può agire sulla vegeta- zione. Pertanto l’autore così conclude: «In quanto alle influenze diverse che presiedono alla distribu- zione delle specie nelle diverse località, l’influenza preponderante ‘è quella del sal marino (specie alofite), dopo quella del clima (specie littorali ecc.) e infine quella della distribuzione geografica sul con- tinente (specie occidentali e meridionali)». È interessante il con- statare che moltissime specie alofite del littorale del Nord della . Francia siano comuni anche alle Saline ed al littorale di Cagliari, nonostante la grande differenza di latitudine. Non solo, ma l’ubica- zione delle differenti specie in tratti di terreno sabbioso, asciutto, umido, inquinato ecc. è analoga in ambe le località. Ciò dimostra all’evidenza che la causa che la determina, più che nel clima, risiede particolarmente sul carattere fisico della stazione littoranea. Il Ponzo (3) studia la distribuzione della flora littoranea in rap- porto ad alcuni caratteri fisico-chimici delle sabbie e del terreno in (1) L. GENRAU DE LAMARLIÈRE. -- Note sur la flore maritime du Chef ‘Grix-nez. (Pas de Calais). Revue gén. de Bot. 1900, (n. 137-188). (2) Etude sur la flore maritime du Golfe de Guascogne. (Rev. gén. de Bot. T. 7, p. 438-503). (3) ANTONINO Ponzo. — La flora Psammofila del littorale di Trapani. — (Stabilim. Tipogr. Virzi. — Palermo 1905). Il Natural. Siciliano, Anno XVII. | Con queste ed | altre. miemasioni che si [Co vazit nel Sas del AI A ca * = ”- Pali de. “ cia | generale, e per ciò che ha rapporto alla possibile : del s marino, così scrive: «si deve ammettere che nelle Alofite il clo- ruro di sodio sia necessario e non nocivo; potrebbe essere dannoso alle piante non Alofite, ma la loro presenza in terreni salsi dimo- stra che lo possono sopportare; in caso contrario non potrebbero vegetarvi o resterebbero rachitiche e morrebbero prima della fiori- tura e della fruttificazione ». Egli fa dipendere la carnosità delle foglie e dei fusti dalla presenza delle soluzioni saline che vi si fer- mano a lungo a causa della debole traspirazione. 3. — Notizie particolari sul valore biologico del sale marino studiato in rapporto all’energia assimilatrice delle piante. Queste notizie numerose ed interessanti sono state dedotte con esperienze ed osservazioni istituite su piante Alofite e non Alofite. L'ultimo lavoro in merito è quello del Sanna: (1) ne tolgo le seguenti note bibliografiche di molto interesse : « È scientificamente accertato che il sale marino esercita un’in- fluenza considerevole sulla nitrificazione (2) che agisce da stimolante sulle piante promovendone lo sviluppo erbaceo, e che avendo la pro- prietà di sciogliere e rendere diffusibili i fosfati e la potassa (3) aiuta la formazione dell’ amido nelle piante. (4) E più oltre: « Non si mette in dubbio che il sale marino dato alle piante in dose giusta possa essere utile al termine della fruttificazione; (9) anzi da indagini fatte con varie colture sì è potuto stabilire il quantitativo di cloruro di sodio per essere usato come concime ». La parte speciale del lavoro è costituita da numerose ricerche ana- litiche istituite su specie diverse, allo scopo di conoscere : 1° se il cloruro di sodio sia o no innocuo alla flora delle saline; 2° quale altra azione può esercitare su tale flora; 3° quali sono gli agenti che producono lo squallore in queste plaie salse. Per rispondere a questi diversi quesiti l’autore ha stabilito : a) il rapporto quantitativo del sale sodico contenuto da alcune alofite e da quelle altre piante che dimorano nelle regioni salate ed in terreni normali; b) il rapporto del sale sodico tra la pianta e il suolo; (1) A. SANNA. — Influenza del sale marino sulle piante. — Osservazioni sulla flora delle Saline di Cagliari. — (Le Stazioni speriment. Agrarie italiane. — Vol. XXXVII, fasc. II, III, 1904). a 29 PRI, 14 una nat 271 d) qual è il Miaiiiativo di sale sodico contenuto nella Dea: che muore. Interpretando e riassumendo i dati ricavati dalle analisi, così risponde alle questioni propostesi : 1° le alofite vegetanti in terreni contenenti minime quantità dî sali di sodio, purchè esposte in clima marittimo, accumulano questo sale in tale quantità da presentare una sproporzione saliente tra il sodio contenuto da queste alofite ed il sodio contenuto dalle altre piante viventi nello stesso terreno; 2° le ceneri delle piante giovani contengono sodio quanto e ceneri delle piante adulte, quando beninteso le piante siano della stessa specie e viventi nello stesso ambiente; 3° la percentuale del sale marino che in generale trovasi nelle plaie delle saline, non è nocivo alla flora che quivi vegeta, poichè ho potuto constatare piante rachitiche dove il terreno era povero di cloruro di sodio, e viceversa piante rigogliose attecchite in plaie molto salse; 4° la pianta adulta resiste di più di una pianta giovane all’a- zione del cloruro di sodio; 5° la irregolarità della percentuale del sale marino alla superficie del terreno è dovuta alla natura fisica del suolo, alla sua composi- zione chimica ed alla forma della superficie; 6° la percentuale del sale marino nel terreno delle saline cresce (astrazion fatta della superficie) in ragione della profondità; 7° lo stato fisico e la composizione chimica di questa zona non rispondono ai requisiti richiesti per la fertilità del suolo. Nella conclusione, in forma più categorica così risponde ai que- siti propostisi: Il fatto che le alofite le quali vivono in terreni contenenti minime quantità di sale sodico, accumulano questo sale in quantità maggiore delle altre piante viventi nello stesso terreno, conduce ad ammettere come il sale marino sia un elemento utile alle alofite e che il poco sviluppo che la flora presenta nelle saline, non sia dovuto al sale marino. Data l’azione utile del cloruro di sodio sulle alofite ci doman- diamo: il sale marino favorisce l'emigrazione dei principî immediati della pianta, o forse produce nel terreno una trasformazione chimica favorevole per l’assimilazione? Il Sanna non pretende rispondervi, nonostante le autorevoli conclusioni degli autori ai quali attinse, ma opportunamente chiude TACE IRA DT ©, VP diil.à P af n Ci x), aa lavoro dir eriodo”: Yelt0n del ] tai quale, tratta l'assimilazione dei cloruri sparsi nel suolo e dell'influenza « di questi nelle piante, così scrive: < Aujourd’hui que le ròle des organismes inférieurs qui existent dans le sol, sur les métamorphoses qui s'y produisent, commence seu- lement à étre entrevu, /es interprétation du role des agents employés derviennent singuliérement délicates et il est sage d’enregistrer les faits, sans essayer d’en donner une explication, sans doute infiniment plus complere qu'on ne le croyait naguère ». (10) Consiglio saggio, specie per coloro che basandosi sui risultati di ricerche isolate e AESNA formulano leggi di carattere generale, le quali, troppo spesso discordi, non hanno altro merito oltre quello di far apparire complesso un dato fenomeno, forse per sè stesso molto semplice, e che, assunte come base o criterio per nuove ricerche, al- largano e perpetuano l'errore. Pertanto il Sanna nel riassumere i dati delle sue analisi pone in evidenza fatti della massima importanza, che per quanto già intuiti, espressi e parzialmente illustrati, sono ancora ben lungi dal- l'avere quella forma sperimentale che si vorrebbe, e perciò costi- tuiscono sempre argomento importante di nuove ricerche. Così egli constata che « le ceneri delle piante giovani contengono sodio quanto le ceneri delle piante adulte » e ciò deduce dall’esame di piante di Mesembrianthemum nodiflorum L. e di Salicornia herbacea L. rac- colte in momenti diversi del loro sviluppo. Ed ancora, le ceneri delle piante rigogliose conterrebbero sempre una maggiore percentuale di soda delle ceneri ricavate da esemplari intristiti della stessa specie. Il Sanna ne prende motivo per affermare l’utilità del sale marino alla vegetazione delle piante; non solo; ma domandandosi, com’ egli fa, se questa utilità consista nel favorire l'emigrazione dei principî immediati della pianta, oppure se detto sale produca nel terreno una trasformazione chimica favorevole per l'assimilazione, egli implicitamente ne designa anche la natura fisico- chimica. In tutti i modi l’autore lascia la questione impregiudicata, e chiude il lavoro colle considerazioni del Behérain. Non poteva es- sere altrimenti. L'emigrazione dei principî immediati nelle piante va studiata contemporaneamente alla formazione di questi stessi principî, che nel caso speciale dell’azione del sale marino è appunto una delle questioni più controverse. Le conclusioni alle quali è ve- nuto il Nobbe, e cui il Sanna si riferisce, e secondo cui il sale ma- rino contribuirebbe alla formazione dell'amido, sono troppo contra- state perchè possano invocarsi a spiegazione di altri fatti. - rità Ù intristimento Da ico littoranea, cedri che le iù: sedine diminuisce la clorofilla nei Spes ed i cloroplasti stessi, e perciò ne risulterebbe un rallentamento nei fenomeni di assimi- lazione del carbonio. Dipendentemente la quantità dell’amido nelle diverse parti della pianta diminuisce tanto che, con soluzioni del 25°/, di sale marino, scompare del tutto, e con altre del 12 e del 15 se ne hanno appena tracce. Evidentemente l’autore si basa sulla teoria del Sachs (2) secondo cui « l’amidon reste le produit normal de la clorophylle dans l’im- mense majoritè de cas », epperò egli, il Lésage, assume la presenza di questo prodotto come criterio per dire dell’energia assimilatrice nella pianta. Ciò si deduce anche dal modo come egli confuta le con- ‘clusioni del Brick (3) il quale, trattando dell’azione dei cloruri sulla vegetazione, dimostra che essi costituiscono ambiente acido nella pianta e che in questo caso non si forma amido, ma solo glucosio. Questa tesi è alla sua volta basata sulla teoria dello Sehimper (4), secondo la quale « nei processi di assimilazione si forma prima glu- cosio e l’amido nasce da questo glucosio quando la sua quantità nella cellula ha sorpassato un grado determinato ». La differenza fra queste conclusioni è sostanziale sia dal punto di vista biochimico che da quello biologico; e mentre nel caso del Lésage 1 cloruri impedirebbero indirettamente i fatti formativi con- sistenti nella sintesi degli elementi dell’acqua e di quelli dell’ani- dride carbonica e conseguentemente anche quelli vegetativi di svi- iuppo, nel caso del Brick gli stessi cloruri non impedirebbero detti fatti formativi, e quindi sarebbe possibile la vegetazione della pianta che li contenesse. In altri termini, mentre colla teoria del Sachs l’amido sarebbe il prodotto primo e diretto dell’attività clorofilliana, secondo quella dello Schimper esso non sarebbe che un derivato di transizione, rappresentante perciò l’ultimo, e non il primo termine di una serie di idrati di carbonio avente per estremi presumibil- mente l’aldeide formica (CH, 0) e l’amido (C°H' 0%). E mentre nel primo caso la mancanza dell’amido significherebbe anche mancata assimilazione di carbonio, nel secondo significherebbe solo l’assenza (1) PierRE Lésage. — Influence de la salure sur la formation de l’amidon «dans les organes végétatifs chlorophylliens. — Comp. Ren., 81 marzo. 1891). (2) Dott. JuLius SACHS. — Physiologie végétale. — 1868. (5) P. LESAGE. — Loc. cit. (4) A. W. ScHmmper. — Ueber Bildung und Wanderung der Kohlehydrate in dem Laubbliittern. — (Bot. Zeit., 20 nov. 1885, pp. 737, 753 e 769). È # è il meno utile alla piasiai Ù ("RO Per il Brick e per il Lésage la tesi dell'uno doveva necessaria- mente essere la verifica per l’altra, ed in tutti i casì « lo sviluppo assunto dalle piante in dipendenza dei fatti biochimici da loro spe- rimentati doveva essere la verifica più elementare per ambi ». Intanto, E. Charabot e A. Hébert (1) dimostrano pur essi essere « indiscutibile l’azione del cloruro di sodio sull’energia clorofilliana poichè assorbito e portato in circolo modifica l’ambiente nel quale il plasma funziona ». Il Marcacci (2) così scrive: « Come già lo Schimper aveva speri- mentato che facendo reagire della glicerina sui filamenti di Spiro- gira sì determina amido, così il Boehm trovò che le foglie del Sedum spectabile private di amido ne formavano nuovamente non solo se esse venivano collocate in soluzioni di zucchero, ma anche in solu- zioni forti di sali, ad es. il cloruro di sodio. Dal che egli conclude, che la formazione di amido in diverse parti della pianta osservata da luì e da altri, quando queste soggiornino in soluzione zuccherina, è da attribuirsi alla sottrazione di acqua prodotta da queste solu- zioni ». Il Marcacci si vale di queste notizie per scrivere che « il fatto osservato dal Boehm ci permette di intenderne anche molti altri, che, a suo modo di vedere, non avevano ricevuto fin allora spiega- zione molto plausibile. Certe piante che in condizioni naturali non arrivano maia formare amido (tali ad es. varie specie di Allium; la Scilla maritima, S. hyacinthoides, Muscaris racemosum, Ornitho- galum comosum, Anthericum ramosum, Hemerocallis fulva, H. flava,, Asphodelus lutens), collocate in soluzioni zuccherine arrivano, al- meno molte di loro, a formarne. In questo caso la concentrazione della Bizzione di glucosio nelle foglie, necessaria per passare all’amido, non sarebbe raggiunta colla penetrazione dello zucchero dal di fuori, ma con una sottrazione di acqua effettuata dalle soluzioni esterne, o di altra sostanza avida di acqua. Anche il Marcacci fa dipendere pur luì la presenza ora di solo glucosio, ora di glucosio e saccarosio ed ora di amido, dalla concen- (1) M. M. Charapor et A. HéeBpert. — Contribution à Vétude des modifi- cations iui chez la plante soumise è lVinfluence du chlorure de sodium. — (C. R. T. CKXXXIV, p. 180, 1902). (2) A. Marcacci. — Formazione e trasformazione degli idrati di carbonio nelle piante e negli animali. — (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali. Vol. XI, 1891). de È anti ‘condizioni, che sono: 1 di reazione. dei ent vegetali in cui nuota e si nutre il granulo di clorofilla: 2° la ricchezza in acqua delle foglie; 3° la potenza della luce e del calore. E circa la prima condizione dimostra e formula la seguente legge: « L’accumulo dell’amido è tanto più abbondante quanto meno è acida la reazione dei succhi della foglia: all'estremo abbondante nelle foglie a reazione neutra. Nelle foglie a reazione acida si ac- cumula in minor quantità, vista anche la facilità somma che trova in simili.mezzi a scomparire ». Non seguo l’autore nella dimostrazione delle altre parti dalla sua tesi, ritenendo che le notizie già riferite sieno più che sufficienti a dimostrare che le conclusioni del Lésage hanno bisogno di verifica- zione. Quest’autore, che fino al 1894 si occupò dell’azione del sal marino sulle piante, avrebbe dovuto tener conto di tutte queste osservazioni che in massima parte avevano preceduto le sue ; ciò lo avrebbe costretto a studiare fin dal principio la questione sotto un punto di vista meno teorico e più pratico. Fu quanto egli tentò in seguito con colture sperimentali (1). Il criterio che seguì fu quello di sottoporre piante ad un regime di soluzioni pure di sale marino, oppure di mescolare questo sale al terreno di coltura, o di trattare le piante con acqua marina, di osservare i fenomeni ai quali le piante stesse in tutte queste condizioni davano luogo e di stabilire le analogie con quelli da lui osservati nella vegetazione dei terreni salati. Sussidiato dalle osservazioni microchimiche, constatò che: « Le soluzioni contenenti il 25 °/,, di cloruro sodico fecero diminuire la clorofilla più di quello che avvenne in piante cresciute in terreno salato innaffiato con acqua pura. Ciò tendeva a dimostrare che la clorofilla diminuiva con la salsedine ». Ed alle conclusioni, al n. 1 così scrive: « La foglia diviene più spessa in un suolo salato, ma sopratutto se la salsedine vi è deter- minata sotto forma di soluzione. Gli effetti si fanno sentire con più o meno energia da una specie all'altra ». Ed al n. 4: « La clorofilla tende a ridursi nelle piantine ove le palizzate sono esagerate, ciò che si verifica in quelle che sono state innaffiate con le soluzioni le più salate ». Questi risultati confermerebbero dunque quelli altri | ricavati con le osservazioni dirette sulla flora littoranea; pertanto essi non possono avere quel significato che l’autore loro attribuisce. (1) P. LESAGE. — Influence de la salure sur la formation de l’amidon dans les organes végétales clorophylliens. — (Compt.-Ren. 1886). è 2 alt o povertà di o possa rina anche da altre. cause diver: quelle descritte dall’autore; 2° non dimostrano se questi effetti sieno costanti anche in quelle cir che, trovandosi in buone condizioni di vegetazione, assumono sviluppo rigoglioso e assorbono in pari tempo quantità considerevoli di salì. M. Ed. Griffon (1), osserva come un certo numero di sali ab- bia un'influenza marcatissima sulla produzione della clorofilla e sulla sua colorazione ed energia assimilatrice. Esperimenta in modo particolare l'influenza del cloruro di sodio sull’assimilazione, nelle piante del littorale. Ricorda come il Brick, Lésage e Schimper ab- biano già dimostrato che la formazione dell’amido è più o meno impedita nelle piante alofite, ma che « non essendo stata fatta nes- suna esperienza diretta sulla decomposizione dell’acido carbonico, sì è proposto di colmare questa lacuna ». A. tal uopo esperimenta in modo opportuno, su foglie staccate di Lycium barbarum colto in riva al mare e nell’interno, calcola la quantità dell’ossigeno svi- luppatosi dall’una e dall’altra nella stessa unità di tempo e di su- perficie, la assume come indice delle rispettive energie assimilatrici e trova che quella delle prime sta a quella delle seconde nel rap- porto di 0,40. Le foglie del littorale, cioè, assimilavano due volte e mezzo meno di quelle dell’interno. Corrispondentemente que- ste foglie esaminate al microscopio rivelarono nel 1° caso un maggiore sviluppo del tessuto a palizzata ed una riduzione .dei cloroleuciti in numero e in dimensione. Basandosi anche sulle os- servazioni e ricerche del Costantin e del Lésage, osserva che dal punto di vista della funzione clorofilliana queste due specie di mo- dificazioni indotte dal sale nelle foglie, sono nettamente antago- nistiche. « In effetto » serive l’autore « se una foglia ha uno spes- sore più grande, un mesofillp più ricco di tessuto a palizzata e di lacune meno sviluppate, sembra che essa debba assimilare di più, e questo è quanto pensava Enrico Lecoq il quale, a proposito delle foglie spesse e carnose delle piante del littorale, diceva che il sale dà a questi organismi una più grande vitalità e una più grande potenza di decomposizione dell'acido carbonico ». Per contro, se i clorolenciti, sono meno grossi e sopratutto meno verdi essi assimile- ranno meno. Ma giusta i risultati ottenuti « il più grande sviluppo della palizzata non arriva dunque a compensare l’indebolimento della. funzione clorofilliana causata dalla riduzione del pigmento verde : (1) M. Ep. Grirron. — Sur l'action du chlorure de sodium sur l’énergie chlo- rophyllienne (Ann. de Sc. Nat. Bot. 8* série, tom. 10, p. 1, 1899, - dell’inte ria, ” fe ni marittima assimila meno per unità di superficie . rno delle terre ». | E circa la presenza di una maggiore o minore quantità di amido che in un dato momento si può osservare nelle piante, l’autore scrive che non può costituire un criterio certo per misurare rigo- rosamente l’energia assimilatrice. Con queste ricerche l’autore stabilisce con metodo razionale che < nelle foglie delle piante marittime l’energia assimilatrice è più debole che nelle corrispondenti specie dell’interno e che il fatto è in rapporto colla diminuzione della clorofilla e dei cloroplasti. Ciò è per se stesso molto interessante a sapersi. Senonchè volendo spie- gare il fenomeno, egli si vale di notizie che sono ancora in di- scussione. Infatti gli effetti attribuiti al sale marino dal Lésage e da al- tri, hanno bisogno di controllo, e devono essere meglio precisati onde eliminare quelle contradizioni di cui prima ho fatto parola. È bene ricordare che nella generalità dei casi si è sempre supposto, ma non si è mai dimostrato in modo soddisfacente, che i fatti di vegetazione osservati nei terreni salati avessero relazione coll’azione del sale marino; e la dimostrazione si sarebbe avuta solo che, ogni volta e per ogni singolo caso, si fosse posta in evidenza la quantità del sale che era contenuta nella pianta in esame e si fosse così stabilito se esisteva o no un dato rapporto tra il sale stesso (la causa) e il fenomeno constatato (l’effetto). Questa verificazione è resa necessaria dal fatto che se è lecito supporre che le piante del littorale contengano sempre sale, anche in grande quantità, è anche possibile il caso in cui lo contengano in quantità molto piccola senza che i fenomeni di intristimento presentino notevoli differenze. Inoltre la teoria dello Stahl, dell’Haberland ecc. secondo cui il tessuto a palizzata è il meglio adatto per i fenomeni di assimila- zione, è pur essa validamente combattuta. E lo stesso Stahl (1) e il Montemartini (2), per non dire di al- tri molti, dimostrano che i tessuti privi e poveri di lacune aerifere in cui i gas possano circolare, sono i meno adatti ai fenomeni di traspirazione e di respirazione; non solo, ma lo Stahl considera il caso speciale delle piante non alofite le quali, secondo l’autore, pe- rirebbero nei terreni salati perchè l’azione del sale vi determine- (1) SrAHL. — Ved. Montemartini. (2) L. MoNTEMARTINI. — Intorno all’anatomia e alla fisiologia del tessuto assimilatore delle piante. (Atti dell'Istituto Botan. della R. Università di Pa- via, 1895). iii rebbe dual: chius ura d i E mento e la circolazione di gas. iL Posto ciò resta sempre a dimostrarsi se il sit a petti I sia il vero tipo di tessuto assimilatore, o per lo meno, dato il con- È trasto che anche a questo riguardo esiste, non possiamo ritenere ci < che una foglia che abbia uno spessore più grande, un mesofillo Ri; più ricco di tessuto palizzatico e di lacune meno sviluppate debba assimilare di più ». L’accettare o meno l'una o l’altra teoria non F dev'essere cosa indifferente, dal momento che ciò può trarre ad af- j fermare in un senso od in senso contrario quello che supponiamo - possa essere l’azione del sale sulle piante. di 4. — Notizie sul valore biologico del sale marino dedotte S in rapporto alla struttura delle piante. Lo Schimper (1) istituì colture sperimentali di piante affini alle alofite, e osservò che anche in misura discreta, il sale è un ve- m- leno, l'assimilazione è ridotta, la formazione degli idrati di carbonio soppressa, l'accrescimento annullato e così pure la fioritura; e in alcuni casi nelle specie trattate con soluzioni concentrate si ebbe la morte del germogli. Donde questi effetti? Egli ammette accettando le conclusioni di Hansten, che tanto il cloruro di sodio, quanto il potassico, stiano in un determinato rap- porto con la formazione dell’albumina dagli ammidi e dagli idrati di 19 carbonio, e fa consistere l’effetto dell’azionedel sale ora in un regresso S) ed ora in un progresso della formazione dell’albumina stessa. L’a- zione nociva nelle alofite, sarebbe mitigata, secondo l’autore, dalla loro struttura xerofila, la quale, appunto perchè tale, limita la tra- spirazione e la perdita dell’acqua, e conseguentemente limita pure l’aceumulo meccanico del sale nel tessuto assimilatore della pianta, w mantenendone la soluzione ad una concentrazione che non è dannosa. i Analoghe esperienze furono istituite dallo Stahl (2) in piante non . alofite. Egli constatò che il sale occasionava la chiusura degli stomi e che secondo lui ciò avrebbe portato ad una limitazione nell’assor- f bimento e nella circolazione dei gas. E poichè secondo l’autore gli stomi delle alofite restano aperti, così il sale non produrrebbe su di esse quegli effetti nocivi che produce nelle non alofite la cui sele- zione, perciò, dai terreni salati resterebbe chiaramente spiegata. Ep- (1) A. W. Scuimper. — /ndomalaysche Strandflora, Jèna, 1891. (2) STAHL. — Botanische Zeitung, 1894, pp. 117-145. RT Ar \ Pol bra nocivo alla vegetazione solo in quanto determina la de- | formazione dell'apparato stomatico nelle foglie e restano così impe- diti tutti i fatti biochimici di cui le foglie sono sede. Questi risultati modificarono alquanto le vedute dello Schimper, il quale perciò così sì esprime altrove (1): < Lo avevo dapprima am- messo che il sale da cucina esercitasse un’azione cortraria, o almeno minima sulla formazione degli ammidi dai glicoli, ma l’ipotesi ha perduto della sua verosimiglianza sostanziale dopo che le ricerche di Stahl dimostrarono che nessuna pianta alofila, come quelle con le quali io sperimentai, chiude i suoi stomi per la presenza di mag- ‘ gior quantità di sali in soluzioni nutritizie ». Tuttavia soggiunge: « la parte che prendono i pori alla traspi- razione dev'essere minore di quella attribuita dallo Stahl, poiché il Rosemberg dimostra essere infondata l'ipotesi secondo cui le alo- fite possiedano stomi continuamente aperti e invariabili ». L’evidente contrasto costrinse lo Schimper a interpretare altri- menti la presenza delle alofite sui terreni salati, e trattando della distribuzione geografica delle piante così scrive (1): « La ricchezza dei sali nelle alofite non è esclusivamente dovuta ai loro substrati passivi, bensì dipende in gran parte dalla loro avidità di sale, giac- chè le piante che germogliano naturalmente in terreno salato, riu- niscono, anche se coltivate in terreno comune, maggiori quantità di cloruro sodico della maggior parte delle non alofite ». L'autore nota pertanto come alcune di queste ultime dimostrino in qualche caso la capacità di sopportare maggiori quantità di sale. Ed in se- guito, dopo avere preso in esame le famiglie di piante che danno il maggior contributo di alofite, così scrive: « Secondo le precedenti ricerche pare che i rappresentanti delle famiglie che inclinano per l’ alofilia siano più ricche di cloro di quelle delle famiglie che rifiutano il sale. Il rapporto del contenuto in cloro in en- trambi i gruppi (alofite e non alofite) delle diverse famiglie di cui nella tabella delle ceneri di Wolff, parla a favore di quest’ipotesi; pure il materiale non è abbastanza ricco e non permette ricerche esaurienti ». < Da queste ricerche » continua l’autore « risulta che le alofite possono prosperare anche su terreni ordinari dove spesso sì trovano in buone condizioni quando dei concorrenti non ne impediscano l'ubicazione. Ma la concorrenza di specie più forti esclude le alofite (1) A. W. ScHImPER, — Pflanzen geographie, Jena 1398. ug ”-_ C/. TTI e l'e | »% % » ni e Y > le qui possono trovare Ligo sche vegetali che CHLOS DOTT cotta per lo spazio dai terreni ordinari, avevano qui acquistato nel corso del tempo la capacità di assorbire il sale marino în quantità e perciò si erano immunizzati contro i suoi velenosi effetti. Sul terreno salato la diminuita concorrenza permise la loro vita ». < La proprietà di raccogliere sali e di esistere sopra terreni sa- lati incolti rende naturalmente capaci le piante più favorite a so- stenere la lotta. Infatti esistono alcune specie vegetali che trovano accesso tanto bene in luoghi ricchi di sale come in altri che ne sono privi, ad es. l’ Asparagus ofticinalis ed il Samolus Vale- randi ». In questo modo la quistione delle A/ofite e non alofite ritornò ad originem, e la definizione che ne dà ora lo Schimper come piante che hanno la proprietà di raccogliere, 0 no, sali, e di esistere 0 no sopra terreni salati incolti non è punto meno vaga di quella con la quale si designavano un tempo, come amanti e non amanti del sale. Si tenta di spiegare un fatto invocandone un altro che ha, esso stesso, bisogno di spiegazione. E la maggiore quantità di dui che l’autore afferma esistere nelle alofite e che riconosce come causa de- terminante della loro inclinazione per l’alofilia, è una questione che dev’ essere ancora dimostrata. Essa è troppo discutibile dal punto di vista della sua deduzione, e perchè questa nuova ipotesi si regga sono necessarie due cose, 1° bisogna dimostrare che il cloro riscon- trato dal Wolff nelle alofite non sia un prodotto di decomposizione dei cloruri assorbiti dal terreno; 2° che esso cloro sia presente anche quando le basi (Na, K. Mg. ecc.) fanno difetto, e che l'assorbimento. di queste sia nullo quando quello non preesista nelle piante. Chè se l’analisi delle ceneri rivela nelle alofite la presenza simultanea del cloro e delle suddette basi, non sì ha alcun diritto Ùli affermare che la presenza di queste ultime si debba alla preesistenza del primo e non piuttosto che questo e quelle siano gli elementi di un com- posto unico che la pianta assorbe dal terreno. Nonostante la discutibilità di questa seconda ipotesi, allo Schim-. per sì deve il merito di aver intuito la prima, e di aver tentato. di spiegare, ancor prima dello Stahl, l’alofitismo delle piante in rapporto colla loro particolare struttura. E se le sue ricerche non ebbero risultati soddisfacenti ciò devesi al fatto che esse furono. troppo unilaterali e basate sui caratteri xerofili, che se sono comuni alle alofite, non ne sono però esclusivi, e che come scrive lo Stahl, < se possono essere importanti nella loro economia debbono però in ogni caso essere considerati di secondaria importanza ». . nÀ ho A pP a Pot 1 all ss S < Spantagtio te; alofite; è d’accordo, e accetta le conclusioni del se- condo, circa ris di questa struttura sulla limitazione dello scambio dei gas; però dall’uno e dall’altro dissente negli effetti bio- chimici cui dettarstrattura, ed il limitato scambio di gas può dar luogo. Riporto una parte delle sue conclusioni: 4° In tutte le alofite ha sempre luogo una scomposizione dei cloruri, la quale dopo aver raggiunto un certo grado di concentra- zione fa equilibrio alla soluzione nutritizia esterna. 5° Questa scomposizione avviene per opera della struttura delle alofite la quale ostacola lo scambio dei gas e dura anche al- lorquando si impedisca l’afflusso delle soluzioni saline. n 7° Il chimismo di questo processo non è ancora spiegato; forse succede che dopo la dissociazione il metallo va a combinarsi in parte coll’acido malico, il quale si origina in grande quantità al- lorchè è diminuito lo scambio dei gas, mentre il cloro si associa all’idrogeno e viene emesso per mezzo delle secrezioni radicali acide. Qui occorrono ulteriori ricerche. 8° La quantità di acido necessario nella maggior parte di queste piante è raggiungibile solo per mezzo della struttura xeromorfa. Cosicchè solo vegetali fabbricati sul tipo xeromorfo possono vege- tare in terreno salato. 9° Quanto più salata è la località, tanto più accentuata è in queste piante la organizzazione xerofila contro la traspirazione. Secondo l’autore « l’adattamento delle alofite ai terreni salati con- sisterebbe nella capacità che esse hanno di assorbire il cloruro so- dico e di decomporlo, eliminando indi il cloro, sotto una forma qualunque, da illustrare ». «Il chimismo di questo processo non è ancora spiegato » scrive l’autore; non solo, dico io; ma è molto discutibile specialmente negli effetti cui esso condurrebbe. Invero, la dissociazione dei cloruri in presenza di acido malico libero e la conseguente formazione di malato sodico ed elimina- zione di cloro, sono fatti chimici possibilissimi; ma data la grande affinità del cloro pel sodio, il suo spostamento dal corrispondente cloruro, operato da un elemento meno attivo qual’ è l’acido malico, dev'essere minimo, e non può assumers il significato e l’importanza (1) DreLs. — Sfoffwechsel und Structur der Halophyten. (Jahrb. f. wissen Bot. Band XXXII, Heftz, 1898). ANNALI DI BoTanICA — Vor. V. 19 he fre Papi 5 ars: vs Neli LATTES IMRE REAE biologica che l’autore vorrebbe attribuirgli. Egli non dissimula dubbio, tanto che nel testo del suo lavoro così scrive: | || « La ricchezza in acidi delle alofite non deve meravigliare come è detto nelle ricerche di Kraus. Impedito in esse lo scambio dei gas, conduce, come nell’aloe e nelle crassulacee, come è noto da tempo, un’imperfetta combustione degli idrati di carbonio, e trae seco perciò alla formazione di grandi masse di acidi, le quali sono proprie ad entrare in servizio del ricambio materiale. Se ora noi ci domandiamo di qual natura sia nelle alofite questa partecipa- zione al ricambio materiale, noì entriamo in una quistione di natura soverchiamente problematica. Teoricamente può dar luce secondo i miei risultati, la formazione del malato sodico. In grazia del suo allontanamento diosmotico dalla cellula avverrebbe la con- tinuità della reazione, ma non è possibile seguire il fenomeno. nella sua intensità ». E più oltre: < A noi rimarrà sconosciuto il modo con cui i due acidi presenti < sì ripartiscono nel formare malati e cloruri, e con ciò se ne va < il punto di appoggio per decidere teoricamente se l'emissione del < cloro sia dovuta all’azione dell’acido, o no. < Però, qualitativamente, la realtà del processo è fuori dubbio REATI e Un'altra considerazione è quella che si presenta spontanea sulla bontà degli effetti di questa dissociazione. Giacchè, la tossicità dei cloruri si fa consistere (Stahl) special- mente nell’attività del cloro, libero o sotto forma di acido cloridrico. Ora l'eliminazione di quest’ultimo dall’interno della pianta partendo dalle foglie, è meno rapida di quel che lo sia la sua azione sul plasma delle cellule, e però sì fermerebbe sempre in contatto di queste un tempo sufficientemente lungo per farrisentire i suoi effetti deleterii. La disso- ciazione dei cloruri, cioè, quale viene concepita dal Diels, determi- nerebbe una condizione tutt'altro che favorevole alla vita delle Alofite, e riuscirebbe più dannoso dello stesso loro accumulo. In tutti i modi, la tesi dell'Autore può essere così riassunta: « L'acido malico delle Alofite dopo raggiunta una data concen- < trazione distrugge una quantità di cloruri equivalente a quella che « entra nella pianta e vi lega il metallo, mentre il cloro viene eli- « minato sotto forma di altre possibili combinazioni. » mesto — 5. — Notizie sul valore biologico del sal marino dedotte in rapporto al coefficente tossico dei suoi elementi isolati od associati. Ricerche di un altro ordine venivano intanto istituite allo scopo di stabilire quale fosse la «resistenza fisiologica » delle piante al- l’azione dei sali, e particolarmente a quella del cloruro di sodio. Oltre le esperienze del Lésage, di cui ho già trattato, se ne hanno molte altre condotte con lo stesso criterio e che dettero risultati analoghi. Il Coupin (1) col suo lavoro del 1898 si propone di colmare la lacuna che presentava lo studio dell’azione dei veleni sulle piante, ‘e procedette alla determinazione della dose tossica di ciascuno di ‘essi e quindi anche dei sali. Il metodo da lui seguito per questi studi fu quello di far germi- nare una serie di piante nell’acqua distillata aggiunta di una percen- tuale del sale in esperimento. E chiama equivalente tossico il peso mi- niîmo del veleno che disciolto in 100 parti di acqua impedisce la germi- nazione. Ricava così valori diversi per le differenti sostanze speri- mentate e che pel cloruro di sodio, per la maggior parte delle piante, è di 1.5 per cento. Osserva che le acque del mare ne contengono circa 2.5 per cento e che i terreni che esse bagnano sono ancora più salati. Ciò, egli continua, spiega è limite netto che separa la flora ma- rina e marittima dalla flora interna del Continente. » Si rivolge indi la domanda: « Le piante dell’interno delle terre che il caso trasporta nella zona salata, muoiono solo perchè vi è del cloruro di sodio? Gli altri corpi che si trovano nell'acqua del mare non agiscono essi ‘così? Dopo alcune considerazioni e confronti fra le percentuali dei diversi componenti dell’acqua marina, e quelle da lui trovate per le stesse sostanze come equivalente tossico, viene a questa conclusione: « L’acqua del mare uccide le piante dell’interno del Continente solo per il suo cloruro di sodio e non per gli altri sali che tiene in soluzione ». Stabilisce indi colle stesse soluzioni, fatte agire su rami staccati, il grado di resistenza delle piante marittime, e trova che per Beta maritima, Atriplex hastata e Cakile maritima è rispettivamente del 45,4%. (1) M. HenRI Coupin — Sur la toxicité du clorur de sodium et de l eau «de mer à l’égard des vegetaux. (Rev. gen. de Bot. 1898). LE asper rim er centi a costituire un criterio attendibile per risponane alle due que- stioni biologiche propostesi dall’autore. E ciò perchè, pur ammettendo che il cloruro di sodio sia la causa della netta separazione tra la flora marittima e quella del Continente, le condizioni di esperimento in cui. si è posto il Coupin per ricavare i dati su cui basa le sue conclu- sioni non riproducono affatto le condizioni nelle quali detto sale si trova nel terreno allorchè agisce sulla pianta, epperò i valori così ricavati non possono avere quel significato generale che loro attri- buisce in rapporto alla vegetazione. L’ammettere che l’ 1,5 % di cloruro di sodio in soluzione di acqua distillata sia il coefficente tos- sico sulla maggior parte delle piante del Continente, significa sup- porre che le stesse piante possano vivere con soluzioni di concentra- zione minore. Ed è questo che l’autore non ha sperimentato e che, certo, nessuno potrà maisperimentare, poichè nessuna specie di pianta vive di singoli salì, sibbene di soluzioni complesse i cui compo- nenti agiscono sulla pianta con una forma ed una intensità che non si possono dedurre dai risultati che si possono sperimentare allorchè vengano somministrati separatamente in soluzioni pure. Contemporaneamente al Coupin,, M. Ch. Dassonville (2) istituiva delle esperienze allo scopo di determinare l’influenza dei sali mine- rali sulla forma e sulla struttura del vegetali. Di queste ricerche non dirò per ora che alcune notizie sul modo col quale varia l'intensità dell’azione di un sale, a seconda delle condizioni di esperimento. L'autore ha coltivato diversi esemplari di Cannabis sativa L. a regime di acqua distillata, soluzione acquosa di solfato di magnesio, soluzione nutritizia con esclusione di questo sale, e soluzione nutri- tizia con aggiunta di solfato a dosì differenti da quella di 0,250 %, a quella del 10 °/,,, I risultati sono riassunti dall'autore nel modo seguente: Nella Cannabis sativa L. le soluzioni pure di solfato di magnesio sono tossiche; L'acqua Meina non sostiene la vita che durante una corta durata; L'assenza del solfato di magnesio in una soluzione contenente gli altri sali nutritivi sembra favorevole nel principio della vege- tazione; (1) Loc. cit. (2) DASSONVILLE. — Influence des sels sur la structure des végetaun. (Thèse de Doctorat, Paris 1898) Rev. gén. de Bot. T. X, 1898). tizie che se ne ricavano, per nio istruttive, sono tuttavia insuffi- di, | un’azione nociva quando sorpassa la proporzione del 0,5 ° ji che è ‘ottima. In tutti i casì l'intensità con cui agiva il sale veniva misurata collo sviluppo in lunghezza delle diverse piante. Ora quelle tenute ‘a regime di soluzione acquosa all’1 °/, raggiunsero l’ altezza di cm. 1.5 laddove le altre attivate con soluzione nutritiva aggiunta della stessa percentuale di solfato raggiunsero l’altezza di cm. 10.5. Analoghe esperienze di coltura furono da lui istituite in piena terra sul Polygonum Fagopyrum, e ottenne risultati che lo portarono ‘alle seguenti conclusioni: « Durante il primo periodo della vegetazione, gli effetti furono proporzionali alle dosi di solfato di magnesio; verso la fioritura le forti dosi non si rivelarono e Si è avuto un ottimo risul- tato colla dose di gr. 6.666 °/ La grande differenza fra questa percentuale e quella sperimentata ottima per la Cannabis è molto significativa, per quanto data da piante di specie diversa. Uguali risultati si ebbero con gli altri sali. Donde questa differenza? La spiega l’autore nella chiusa del suo lavoro: « Allorchè aggiungiamo un sale ad una terra, noi non possiamo apprezzare le modificazioni che a questa facciamo subire: una data quantità di sale può essere fissata dagli elementi del suolo, il resto rimane libero, o sparisce trascinato dall’acqua. Ed allora non si cono- sce più con precisione il grado di concentrazione del sale; e se vuolsi stabilire il rapporto delle variazioni delle sostanze secche (formatesi nella pianta) con la dose dei sali, è indispensabile ricorrere all’impiego di colture pure che permettono di valutare il peso secco di una data pianta in funzione della dose del sale impiegato. Solo le colture in soluzione acquosa hanno tutto il rigore e la precisione desiderabile ». Ma se l’azione specifica di un sale resta modificata dal terreno, non è solo per le ragioni esposte dall’autore, ma per altre ancor più interessanti, che tanto bene sono illustrate dal Loeb J. (1). Mi conforta il constatare che quest’autore contemporaneamente alle mie osservazioni ne abbia istituite delle analoghe in Biologia animale, e sia venuto a conclusioni che sono la conferma delle pre- senti considerazioni e dei risultati di esperienze da me in parte altrove già descritte. (1) Loe8 J. — On the Relative Toxicity of Distilled Water, Sugar Solution, and Solutions of the various Constituents of the Sea water for Marine Animals. = univ of. Cal. Pub. Physiology, Vol. I, 30 novembre 1903). fat. ne pebtin H. M. Richiedo quale sia stato l’obiettivo propostosi dall'autore con qUEse vivai. zioni e quale il criterio con cui furono condotte. Egli, il Loeb, spe- rimentò separatamente l’azione dell’acqua distillata e quella di altre soluzioni di sali contenuti nell'acqua marina, su una specie di Gam- marus che vive nel mare. Ebbe i seguenti risultati : 1° L’acqua distillata ed una soluzione di zucchero isosmotica coll’acqua marina sono quasi ugualmente nocive: 2° L'acqua del mare allungata con l'aggiunta di acqua distillata, o di una soluzione di zucchero, è rapidamente fatale oltre una certa diluizione p. es. '|, di acqua marina; 3° Una soluzione di cloruro di sodio isosmotica con l’acqua ma- rina o più debole, è fatale, come lo è una soluzione contenente tutti i costituenti dell’acqua del mare, eccetto cloruro di sodio; 4° In una soluzione di NaCl, KCle Ca CI, il Gammarus vive molti giorni ed anche più a lungo, se si aggiunge Mg CI,. Da ciò segue, continua l’autore, che la tossicità del sale di sodio è neutralizzata da quella del K e del Ca, mentre d’altra parte questi ultimi sono velenosi in assenza di NaCl. L'acqua marina è dunque una soluzione fisiologicamente definita, in cui la concentrazione dei sali o ioni che agiscono antagonisticamente deve stare in rapporto de- finito con ciascun altro. Il Loeb è abbastanza esplicito, e nel modo più chiaro afferma che l’azione specifica di ogni componente l’acqua marina non è costante in tutte le condizioni di ambiente, ma cambia e può essere anche neutralizzata dalle azioni antagonistiche degli altri componenti. Epperò se l’esperienza nel caso del Gammarus fosse stata limi- tata all’azione del solo cloruro di sodio (NaCl) e il risultato ottenuto si fosse assunto come base per interpretare il perchè tanti altri ani- mali e vegetali non vivono in contatto dell’acqua del mare, sì sa- rebbe commesso un errore che il Loeb dimostra essere troppo ele- mentare. Posto ciò, e dati i risultati delle esperienze del Loeb, è lecito supporre che, anche in rapporto alla vegetazione delle piante, l’azione dell’acqua marina possa essere diversa dalle azioni specifiche dei suoi componenti che il Coupin ha potuto sperimentare. E qui per non dar luogo ad equivoci, è bene notare che il Loeb, molto chiaro nella sua affermazione, allorchè ritiene essere l’acqua marina una soluzione fisiologica in cui i diversi sali agiscono antagonisticamente neutralizzandosi, intende parlare delle condizioni di ambiente esterno che l’acqua stessa costituisce al Gammarus, senza punto discutere se ar luenzare l’ambiente interno i RR, Quindi indipendente: mente da ogni considerazione che possa venire suggerita dalla diffe- renza dei rapporti che organismi animali e vegetali contraggono col- l’ambiente, e particolarmente dalla differenza dei fatti di nutrizione, appare chiaro che le esperienze ed i risultati in discorso hanno un significato d’indole generale che non può essere localizzato al caso singolo del Gammarus. D'altra parte sì sa che anche le alghe marine muoiono, o vegetano male allorchè si fanno soggiornare per un tempo più o meno lungo in soluzioni pure di sali. Ed è anche quanto le esperienze del Coupin, intese in senso lato, dimostrano per le piante in genere. E nel caso concreto della vegetazione dei terreni salati, e parti- colarmente di quelli littoranei, la funzione dei sali sperimentati dal Loeb e quella di tutti gli altri elementi che entrano a costituirli è ancor più complessa, anche perchè essi sono sottoposti a fattori fisici di importanza massima. E in queste condizioni le loro proprietà ed azioni saranno ancor più differenti per intensità e per natura da quelle chea ciascuno sono proprie e che isolatamente possono rivelare. Gli è come in un sistema di forze diverse aventi uno stesso punto di applicazione ed in cui la risultante ha una direzione ed una intensità che non si può dedurre in aleun modo dall’esame di una delle com- ponenti. Riassunto e considerazioni. Riassumendo le precedenti notizie sull’azione che si attribuisce al sal marino nelle piante, alofite o non alofite, si ha: 1°) Il sale dei terreni salati esercita un’azione spiccata e indi- scutibile sulle piante e può essere attrattiva per alcune specie e re- pulsiva per altre (Masclef); 2°) Favorisce la formazione dell’amido perchè ha la proprietà di sciogliere e di rendere più diffusibili i fosfati e la potassa (Nobbe); 9°) Esercita un’azione nociva sulle piante in generale perchè, introdotto nell’interno del loro organismo, vi decompone la cloro- filla e riduce i cloroplasti, rendendo così difficile l'assimilazione del carbonio e la conseguente formazione dell’amido (Lésage): 4°) Ha la proprietà, comune a tutti i cloruri, di costituire am- biente acido nell’interno della cellula impedendo la comparsa del- Pamido, ma non la sintesi degli altri carboidrati (glucosio e sacca- 54 DI sà 5 na MIO °. bho E OS10) che prece dono las Marcacci); i 5°) Esercita un’ azione nociva ai fenomeni dell'assimiisot nani so nelle piante non alofite, perchè vi determina la chiusura degli stomi © o e rende così impossibile l'assorbimento e la circolazione dei gas. un (Stahl); 6°) Fra tutti i componenti dell’acqua marina, il cloruro di sodio i è quello che nuoce alla vegetazione del littorale (Coupin); ‘ 7°) L'azione isolata del cloruro di sodio non è la stessa di quella che esso rivela in unione a tutti gli altri componenti dell’acqua ma- Ca rina (Loeb). La capacità delle Alofite di assorbire e di tollerare nel loro orga- nismo una grande quantità di sale è stata spiegata: 8°) Colla presenza di stomi sempre aperti ed invariati che per- mettono il normale assorbimento e la normale assimilazione dei gas, contrariamente a quanto avverrebbe nelle non Alofite (Stahl); 9°) Colla struttura xerofila che (Schimper) mitiga la perdita dell’acqua e impedisce la concentrazione delle soluzioni saline nelle piante: oppure (Diels) che dà luogo a formazione di acido malico il quale riduce i cloruri fissandone il metallo e ponendo in libertà il cloro che viene eliminato; 10°) Colla presenza di una grande quantità di cloro nelle piante. Pertanto, d’onde il contrasto sostanziale fra queste autorevoli conclusioni ? i A. parer mio, ciò devesi a due grandi ordini di fatti: 1°) Alla unilateralità delle osservazioni limitate all’esame di fenomeni isolati, apparentemente tipici e sufficienti, che la vegeta- zione dei terreni salati presenta come determinati da una causa certa e indiscutibile a priori, e la cui dimostrazione appare a tutta prima superflua ed oziosa. Così nella generalità delle osservazioni istituite sul terreni salati si considerò l’azione del sale marino come causa di tutti i fenomeni della vita vegetale epperò la si prese come punto di partenza di ogni ricerca e di ogni discussione, senza prima stabi- lire quali fossero i rapporti tra il sale del terreno e quello assorbito dalla pianta, valendosi solo come dimostrazione degli effetti che detto sale determina su quest’ultima, alofita o no, allorchè viene sommini- strato in soluzione di acqua distillata; 2°) Alla difficoltà di porre in evidenza e di illustrare ‘contem- poraneamente i caratteri e l’azione dei diversi elementi del terreno seguendoli durante il ciclo vegetativo di un dato numero di piante | prese in osservazione; se ciò è stato desiderio di molti, il farlo non. vit nere, si i combinano nei sica più diversi, e Lillastone il Had) come ‘ciascuna di esse agisca in dipendenza delle altre, nei diversi stadî di sviluppo della pianta, a partire dal suo punto di origine fino al suo punto termine, richiede mezzi di osservazione e di esperimento non ‘sempre possibili in un singolo osservatore, e costanza e sagacia non ‘comune. Epperò nessuna meraviglia se le ricerche istituite furono in pro- posito tutte parziali, e se tanto nel caso in cui sì intese di porre in ‘evidenza una causa, come in quello in cui si pensò di illustrare un dato effetto, lo si fece considerando l’una indipendentemente dall’al- tro perdendo di vista i rapporti di correlazione che tra causa ed ef- fetto sempre esistono, e tutti quelli altri di dipendenza che l’una o l’altro hanno coll’ambiente. Invero solo il Diels, per i singoli casi osservati, ha stabilito quale rapporto esistesse tra gli effetti attribuiti all’azione del sale e la quantità che le piante ne avevano assorbito dal terreno; ma nè lui, nè altri, dimostrano se in tutti i casi, o almeno nella generalità, le piante intristite in conseguenza degli effetti nocivi da loro descritti, ne rivelassero sempre una quantità maggiore di quella rivelata dalle piante rigogliose della stessa specie. La « resistenza fisiologica » delle piante all’azione del sale ma- rino va studiata nelle condizioni naturali di vegetazione o in rap- porto a tutti gli elementi che concorrono a determinarla. Solo in questo rnodo e con approssimazione attendibile si potrà dire dell’in- fluenza dei differenti fattori della stazione salina sulla vita delle di- verse piante. tali trae e "n - MAN e Te dati A n e , è “i di II. — Parte Speciale. ti i ; 1. — Studio fisico-chimico del terreno delle Saline e del litorale alla. superficie nel periodo in cui i semi sono in germinazione o da poco germinati. OSSERVAZIONI ALLA SUPERFICIE NEL PERIODO DELLA GERMINAZIONE DELLE PIANTE. Altrove ho già descritto come la distribuzione della flora. di queste saline sia irregolare e sporadica fin dal periodo della ger- minazione. Qui tenterò di illustrare se ed entro quali limiti ciò possa avere rapporto colla presenza di qualcuno fra i più importanti fattori dell'ambiente e specialmente col sale del terreno. 1a Osservazione (15 novembre 1901, Salina di S. Pietro). — Late- ralmente ad un cumulo di sale e dalla parte che guarda una ca- sella salante, resta una banchina larga oltre quattro metri, alquanto inclinata verso l’interno, in cui a diverse distanze si osservano dei piccoli raggruppamenti di piantine, da poco germinate di Mesem- brianthemum nodiflorum L. Suaeda fruticosa Forsk. e di graminacee non determinabili perchè non fiorite. La parte più distante dal cu- mulo e più interna verso la saliniera, è alquanto piana e serve pel transito. In diversi punti in cui le piante germinano ed in altri privi di vegetazione, si tolgono dalla superficie quattro campioni di ter- reno, le cui analisi dettero i seguenti risultati : | Silice Acqua | Humus Calcare| e Cloruri Vegetazione argilla ere RS) I - Alla distanza di 4 m. dal cumulo {15.00 ®/,] 5.60 °/,/14,00 °/3163. 20 ‘/,| 0.6425 °/,) Mesembrianthemum | ) nodiflor. Senecio. » » 2 » 13.10 4.37 |18.00 (62.50 1.4391 >» leucanthem. Sue- | da frut, S, herba- » » 3 n 11.10 7.40 |29.30 153.20 0. S654 cea, graminacee. » » A » |13+00 5.20 |20.00 (58.60 3. 2233 Nessuna vegetazio- | ne. Punto pianeg- I I giante di passag- gio. Nell'ultimo tratto privo di vegetazione, si riscontra la maggiore percentuale di sal marino la quale sì potrebbe assumere perciò come causa di sterilità Ma in questo senso non è possibile ancora al- la compattezza acq ‘reno co (ea ito fa pensare a cause meccaniche di qualche influenza, — che non devono trascurarsi. 2* Osservazione (20 gennaio 1902, Salina di S. Pietro). — La- teralmente ad altro cumulo si ripete osservazione analoga alla pre- cedente: | Silice Acqua | Humus | Calcare e Cloruri Vegetazione | | argilla | | ; i Miri i Ù Alla distanza di 1 m. dal cumulo | 9.00 °/,| 4.409/, 15.00 °/, 71. 0735 °/,| 0.5265 °/,| Nessuna » » 2 » 15.50... (5.50, (15.80. |63.5596 | 0.1404 Mesemb. nodifi. | | Sueda frut. | | | | » » 3 » 7.40 1.10 (16.00 (75. 4973 | 0. 0623 Nessuna AA » 17.2 — |2400 |57.2060 |1.5940 Nessuna | Ì » » 5 » 9.8. |4.00 |17.00 69. 0528 | 0.1472 | Sueda fruticosa | | Anche in questi assaggi, come già nel caso precedente, si rileva. che la sterilità del terreno corrisponde ad una maggiore percentuale di.sale alla superficie. Ma d’altra parte si osserva anche che alla sterilità corrisponde pure la mancanza o la percentuale minore di humus nel terreno, epperò pur ammettendo che le due cause si som- mino, non si possono vedere i limiti entro cui l’una e l’altra agi- scono. Gli altri elementi non presentano dati che possano dar luogo a particolari interpretazioni. 3° Osservazione (20 tebbraio 1902, Salina di S. Pietro). — La estremità orientale dell'unica aia di questa piccola Salina da molto tempo e forse mai, è stata coperta da cumuli di sale. E parallela e contigua al primo tratto della strada della Plaja, e ne è separata, oltre che da una banchina, anche da una siepe di Atriplex halimus L., ‘cui si mescola ogni tanto la Sueda fruticosa. Internamente è coperta da una vegetazione abbondante, costituita oltre che dalle due specie precedenti, da Obione portulacoides Moq., Senecio leucanthemifolius Poir., S. Vulgaris L., Calendula arvensis L., Pinardia coronaria Less., Bellis annua L., Urtica membranacea Poir., Plantago Coronopus L., graminacee diverse, etc. che costituiscono un tappeto verde alla super- ficie del terreno. Ad un tratto questa vegetazione cessa secondo una linea di demarcazione tracciata dalla mano dell’uomo, e incomincia il tratto dell’aia adibito alla raccolta del sale. Quivi il terreno è sgombro dalle specie fruticose e perenni dianzi accennate e solo cre- Pi è Ag * (ad fog Li Ul scono nel si piùi irregole DIS scolate ad altre nuove quali Mesembrianthemum AO dial Lo subito quale a puramente meccanica abbia qui la mano del- l’uomo nell’esclusione delle specie legnose o fruticose, epperò parrebbe ingenuità il volerla oltre spiegare. Ma se ciò non ha significato, era da supporre che ne avesse uno particolare la comparsa di tre specie che sono conosciute come alofite. Si procedette perciò a degli assaggi del terreno alla superficie, nell'intento di porre in evidenza i caratteri fisico-chimici che i due tratti contigui potevano presentare. Il 1° campione di terreno si è raccolto sul tratto dell’aia lasciato in riposo, ed a partire da quel punto si raccolsero gli altri cam- pioni nel tratto contiguo di 10 in 10 metri. Silice | | Acqua Humus | Calcare e i Cloruri Vegetazione argilla Sul tratto in riposo . . . .|14.00°/| 4.50 °/;/15.00 0/,/66. 4720°/,| 0.0230 °/,] Mista e normale » » adibito alla raccolta | del sale a 10 m. dal prece- GEAR go e E dl 0.50 |15.80 |78.1766 0. 034 Esclusivamente er- bacea e triste. Sul tratto adibito alla raccolta del sale a 20 m. dal DIEDE dente . . 9 = |12.30 2.40 | : [28.00 [66.645 | 0.6575 Le condizioni favorevoli alla vegetazione del 1° tratto sarebbero determinate da una quantità maggiore di acqua e di sostanza orga- nica e da una minore di sale; il contrario sarebbe per la vegetazione del tratto contiguo. La presenza delle tre specie Alofite sarebbe in relazione con la maggiore percentuale di sale nel terreno. Talchè dalle tre serie di analisi sì potrebbe dedurre che: la ste- rilità del terreno alla superficie è sempre in relazione ad una mag. giore quantità di sale, o ciò che è lo stesso: il sale potrebbe essere assunto come causa della sterilità del terreno. Senonchè, confron- tando tra loro 1 dati affidati ai tre specchietti, di cui alle prece- denti osservazioni, si osserva che percentuali di sale di 1.5940, 0.0623 che in alcuni casì si devono assumere come indice della ste- rilità, in altri casi, come nella prima osservazione, quantità di poco diverse non pare che lo siano più. Si osserva invece che nel primo caso l’humus è contenuto in quantità minima, mentre nel secondo se ne trova una percentuale relativamente elevata, tanto ‘che le medie dedotte dai tre esemplari di terreno fertile di cui alla prima ‘Osservazione (5.6 + 4.37 + 7.40) : 3, e quella dedotta dai tre esem- plari di terreno sterile di cui alla seconda (4.40 + 1.1 + 0.00) : 3 gularia rubra Pers., e Frankenia laevis L. Non è difficile intendere PI ORE .83. Posto ciò, sì dovrebbe concludere e sostanza organica. È 4°. Osservazione (detto). — Nella stessa salina di S. Pietro e sugli arginelli divisori si osservano abbondanti residui del feltro tolto dal fondo delle saliniere dopo l’estrazione del sale. Sarebbe superfluo dire che a questi residui di grandezza variabile aderisce sempre del- l’argilla del fondo e che coll’abbondante sale che contiene, l’ insieme costituisce zollette o croste indurite che restano tali fino al tempo delle pioggie. Nel tempo in cui avviene la germinazione dei semi, detti residui si presentano già slavati, morbidi nei giorni umidi, in- duriti e arricciati nei giorni asciutti. Su di essi sì osserva general- mente una diffusa vegetazione di piantine di Mesembrianthemum nodiflorum L. associate ad altre di Senecio leucanthemifolius Poir. e di graminacee diverse. Col terriccio aderente alle radici si è formato un campione, che analizzato ha dato: Acqua 23.50, Humus 18.00, Calcare 23.00, Silice e Argilla 34.9924, Cloruri 0.5076. Anche qui sì osserva che la percentuale del 0.5076 di sale non pare nuocere alla vegetazione in presenza di abbondante sostanza organica data dai residui dell’alga, che costituisce il feltro. E qui è ancora particolarmente interessante l’osservare che i semi delle di- verse piante erano rimasti per molto tempo in contatto con questi detriti salati almeno per qualche mese, e cioè dal periodo della lavo- razione, agosto-settembre, alle prime pioggie autunnali senza che per- dessero la proprietà germinativa. 5° Osservazione (detto). —— Analogamente al caso precedente si è sperimentato su piantine di Salicornia herbacea L. Dall’analisi del terreno si ebbe: Acqua 23.10, Humus 3.90, Calcare 22.50, Silice e Argilla 49.972, Cloruri 0.5228. Anche in questo caso i semi rimasero a lungo in contatto dei re- sidui salini, senza che l’embrione ne soffrisse. ConsipERAZIONI. — Per le cognizioni che si volevano avere, i dati riprodotti sono più che sufficienti; in tutti i casi altri ancora ne ver- ranno in seguito più opportunamente descritti e discussi. Risulta pertanto che la superficie del terreno, omogenea nella sua composizione qualitativa, non lo è nella quantitativa, in quanto i di- versi elementi vi entrano con percentuali molto differenti tra loro. > Sie no viene attenuata dalla presenza della. » Mi SME] La *uM rd Di co mo n t o É 4 e fx wi è f dt pid Pe È; 4 # Lr une sn % LY Son "A pie 1° L'acqua varia fra un limite massimo di 17 ed un mini 5‘. che sarebbero ancora discreti per favorire la vegetazione delle piante, quando nel terreno non venissero meno le altre condizioni utili alla vegetazione; 2° Il calcio varia tra un massimo di 29 ‘, ed un minimo di 14, ciò che impartisce al terreno un carattere spiccatamente calcare, su- perando ambi questi limiti la media del 10 °/, che generalmente si adotta per la classificazione dei normali terreni calcarei : 3° La sostanza organica varia fra 0°, e 7 ‘/, ciò che è in- sufficiente perchè possa comunicare al terreno quei caratteri fisico- chimici preziosissimi che l’esperienza sopratutto le attribuisce; 4° Il sale varia fra 3.2233 e 0.0230 °. Ora, chi basandosi su questi dati volesse fare delle deduzioni ca- tegoriche, o tentasse solo di indicare quale possa essere qui la fun- zione biologica di ciascuno di questi elementi, non potrebbe che tro- varsì nell’imbarazzo. Invero, solo il sale in qualche caso pare acquistare un particolare significato in rapporto alla sterilità del terreno; ma il fatto non è costante. Chè se in molti casi alla percentuale di 0.50 %,, 0 poco più, corrisponde la mancanza di vegetazione, in altri ciò non si verifica neanche fra valori molto più elevati, qual’è quello di 1.439 °/,. Maggior valore pare avere la presenza della sostanza organica :; le piante germinanti mancano là dove essa fa difetto, e sono pre- senti là dove esista, anche nei casi in cui trovisi associata ad una forte percentuale di sale marino. Tuttavia anche per questo riguardo si osserva che l’analisi scopre che vi sono tratti di terreno ricchi di sostanza organica e poveri di sale, e nel quali non germinò alcuna pianta. È necessario esaminare tutte le altre condizioni di ambiente che sono fatte ai semi, prima e durante la loro germinazione. Questi, appena caduti al suolo, provenienti da piante ivi esì- stenti o importati dai comuni mezzi di trasporto, restano general- mente allo scoperto in mancanza di uno strato mobile che li sep- pellisca e protegga, e.in mancanza di abbondanti residui di cessata vegetazione, che, fissi al terreno, vi costituiscano quel feltro di so- stanza vegetale in cui i semi caduti s’impiglino e riparino fino al momento della germinazione. Talchè per la violenza dei venti essi vengono continuamente smossi e trasportati, e spesso sperduti nei bacini salanti o nelle adiacenze, dove non germineranno che in casì rari. Una prova ne è la germinazione dei semi di Suaeda maritima Dumb. Salicornia herbacea L., Spergularia rubra Pers., Polypògon monspeliensis Desf. ed altre, alla superficie dell’acqua salata conte- . » D | SERERSE di Cladofore, EA e pulviscolo atmosferico. La pre- valenza delle specie Mesembrianthemum nodiflorum L., Spergularia rubra Pers., Frankenia laevis L. sul piano delle aie delle saline e su- gli argini divisori, è pur essa determinata da un fatto parimenti ca- suale e molto facile a sperimentarsi, il quale è stato altrove descritto. I loro rami, generalmente prostrati e cadenti al suolo per l’a- zione dei venti, e quasi sempre impolverati o coperti di terriccio, dopo la fruttificazione ed il tramonto della pianta acquistano tale rigidità per l’azione combinata del sale e del calore, da impedire la regolare deiscenza dei frutti. Epperò i semi in luogo di cadere sul nudo terreno sono conservati nei residui della pianta madre, dove trovano uno stato favorevole di conservazione; tanto che, pro- tetti da tutti quei disturbi cui tutti andrebbero incontro alla su- perficie del suolo, arrivano al tempo della germinazione (pioggie autunnali), e spesso germinano nel frutto stesso, e se ne distaccano a misura che la piantina si fissa al terreno acquistandovi quella stabilità che la garantisce ulteriormente. Questo fatto tanto comune spiega anche il perchè l’Halopeplis amplericaulis Ung. Sternb. (del gruppo delle Salicornie e quindi alofita per eccellenza) abbia qui un’area di diffusione che non sorpassa i 100 mq. ed il perchè, no- nostante l’uniformità del clima e del terreno, non si propaghi ad estensioni sempre maggiori. Pure in ciò trova la sua spiegazione il fatto per cui molte altre specie dal portamento normalmente eretto, non presentino qui che rari esemplari nonostante l'abbondante produzione di semi, e perchè delle specie spontanee che sì osservano vegetare nei terreni circo- stanti alle saline, se ne osservino esemplari solo ai crocicchi delle ‘ale, dove il terreno lasciato in riposo s'è andato coprendo di un leggero feltro di sostanza vegetale. Nel periodo della germinazione dei semi le condizioni fisiche «del terreno e del clima sono ancor più sfavorevoli e dannose alla vegetazione. Affinchè l'embrione, che si svolge dal seme, possa pro- gredire nel suo sviluppo è necessario sopratutto che perfori il ter- reno e vi si fissi, prima ancora che abbia esaurito le riserve e siasi liberato dagli integumenti che l’avvolgono. Ma perchè ciò sia possibile è anche necessario che il terreno sia relativamente sciolto e che la piantina che si svolge si trovi in uno stato rela- tivo di quiete. Quanto qui non si verifica. Il terreno è duro, ed il vento che soffia incessantemente tra- sporta e fa urtare contro corpi duri la piantina che si sviluppa, LA n Ù f° RENO i Lidi vi: - la quale, ferita nell’apice rad presto perisce. G: : In quelle specie poi in cui l'embrione ha già raggiunto uno. sviluppo notevole nel momento in cui il seme si distacca dalla piGriN madre, la mortalità delle piantine germinanti è allora enorme, e solo ne sopravvivono pochissime; quelle cioè che, cadute o traspor- tate in punti in cui il terreno è mobile, e favorite dalla quiete dell’aria, riescono a fissarsi al suolo in un tempo brevissimo. In molte Salsolacee (Salsola soda L. S. Kali L.) il seme nel momento: in cui sì stacca è già costituito per intero dall’ embrione col suo spermoderma e da un invoglio perigoniale membranoso, aperto. La sua caduta avviene dopo le pioggie invernali e ad essa segue su- bito l’inizio della germinazione. Ma per le ragioni esposte la pian- tina muore ancor prima di essersi liberata dall’invoglio seminale. Nelle mie colture all’Orto botanico potei seguire il fenomeno in tutti i suoi momenti, e ricordo che mentre in alcuni vasi di col- tura gli embrioni perivano tutti alla dura superficie, in altri vasi bastò che il prof. Belli ne rompesse il terreno, perchè vi si fissas- sero e progredissero. Questo fatto, tipico per le specie accennate, è comune nella ge- neralità delle piante; e seguito attentamente nel periodo della ger- minazione e studiato in rapporto alle diverse casualità che possono determinarlo, riesce oltremodo istruttivo e dà un notevole contri- buto alla conoscenza della biologia di questa flora. Esso è stato lar- gamente descritto nella prima parte di questo lavoro, ed il richiamo che qui ne faccio vada inteso come un complemento necessario delle cognizioni chimiche sul terreno, già ritenute indispensabili per spie- gare 1 fatti di biologia generale qui osservati. Pertanto riassumendo si può concludere: « La sporadicità e la distribuzione irregolare delle piante ger- minanti non dipende in queste saline dalla composizione chimica del terreno alla superficie, sibbene dalle particolari condizioni fisiche delle saline stesse ». 2. — Studio analitico del terreno a diverse profondità. Dopo la germinazione dei semi, ed a misura che la piantina si sviluppa ed accresce, il sistema radicale assorbente passa dalle con- dizioni che gli sono fatte alla superficie, a quelle altre differenti del sottosuolo, dove si sprofonda e sì distende. Nel terreno di una salina doveva appunto riuscire molto interessante la conoscenza di ale ve ioni irolondità: fa: i che” Porpnnanza di molti ann osservazione, e le SARA storiche raccolte ed esa- | —minate in merito, mi convinsero che sono prive di contenuto scien- tifico, o per lo meno poco esatte, quelle affermazioni di ordine bio- logico e fisiologico basate sui caratteri fisici e macroscopici della superficie e dei fatti di vegetazione che vi si possono osservare. Le condizioni esterne non sempre possono essere sufficienti a spiegare la natura ed il valore delle azioni diverse nella massa del terreno, e per quanto nel caso concreto dei terreni salati sia lecito supporre che dato ? carattere salino della superficie, anche in pro- fondità debbano esistere ricche soluzioni che bagnano le radici delle piante, pure, il sale che viene abbandonato ed incrostato all’aperto in maggiore o minore quantità, non può costituire in nessun caso un criterio sicuro per dire della intensità con cui esso agisce sulle radici e della « resistenza fisiologica » delle piante. Per dirne con qualche attendibilità è necessario illustrare la strut- tura del terreno dove le radici si diffondono, e mettere particolar- mente in evidenza il modo con cui il sale vi si distribuisce sotto l’azione di tutte le condizioni di ambiente. È quanto è stato fatto con le osservazioni e ricerche seguenti: 6% Osservazione (19 gennaio 1901, ore 17). — A pochi metri di distanza da un cumulo di sale, costruito nell'ultima lavorazione dello scorso estate, si è scavato un fossetto sufficientemente largo, ed alle diverse profondità si è formato un campione di terreno. Alla su- perficie, rifatta da pochi mesi, sì osserva una leggera incrostazione salina; nessuna traccia di vegetazione. — Tempo bello e asciutto da diversi giorni. Procedutosi alla determinazione volumetrica dei cloruri del ter- reno, si ebbe: Alla superficie 27.9136 */, — a 5 cm. di profondità 2.4024 — a S cm. 1.7380 — a 15 cm. 2.0599. Questo primo saggio dà subito un’idea del modo come è distri- buito il sale a diverse profondità del terreno. La forte percentuale che presenta alla superficie è dovuta all’evaporazione delle soluzioni che circolano nel sottosuolo, e che venendo all’aperto ve lo abban- donano sotto forma di un’estesa incrostazione. È interessante il no- tare fin d’ora come il sale diminuisca rapidamente alla profondità di soli 3 cm. ed a quella di 8 cm.; mentre a 15 cm. tende ad au- mentare di nuovo. 7a Osservazione (27 febbraio 1908, ore 16 — Tempo bello e asciutto). — Alla distanza di circa 6 m. da un cumulo di sale si è scavato ANNALI DI BoranIica — Voc. V. 20 ? È È asd da un fosso largo 15 em. ° prof ondo 25 ed 2a div erse p pr PI RR: ) DI PROFONDITÀ Acqua | Humus Cloruri Calcare |Silice e argilla 8 | Ri Alla superficie. . . .| 10.400/,] 3.300/| 6.13000%% | 16.000/] 64.1700% ‘G SAGA PV ae RBIRA | 7.50 | 2.50 | 1.698 |a17.00 |71.9012 di MEDE ari I ozio | n70 | 16474 | 17.00 |a 8696 È SI IAC O | 6.80 | 1.20 >| 1.7550 |27.00 | 68.7450 A Ut Ce a | 7.60 | 2.10 | 3.8867 |26.00 | 60.4138 E: 800 0: MALO 8.20 1.40 2. 8751 27.00 | 59. 0249 Il contegno del sale già posto in evidenza nel precedente as- sd saggio, è qui esaurientemente riconfermato: tuttavia prima di inter- pretarne i dati, riporto quelli di altre analisi istituite per lo stesso i fine. 5 s* Osservazione (9 aprile 1902, ore 17). — È stato scelto un punto Ri dell’aza su cui fino allo scorso estate sorgeva un cumulo di sale, e di cui ora non restano che poche vestigia. Si è scavato un fosso lungo m. 0.50 largo m. 0.40 e profondo m. 0.65, ed a diversi li- velli si composero altrettanti campioni di terreno. . Nessuna traccia di vegetazione alla superficie. Mi L'analisi ha dato: PROFONDITÀ Acqua Humus Cloruri Calcare |Silice e argilla SOA T-} o Alla superficie. . . .| 5.40°/| 4.8005| 6.79770/ | 11.000/5| 72.0023 0/0 ARI E, >. 0 0.90 | 1. 9071 17.00 73. 6929 e URI 3 IE 6.80 950° <|. 2. 5974 18. 00 69. 1026 bee... , 8.40 8. 60 2.8985 |21.00 | 64.6015 D_DO: Deere... 10.20 3. 50 3. 6036 21.00 G1. 6964 PID ee > 13.20 3.00 3. 6270 i 21.00 59. 1730 Anche questa volta si ha una riconferma del contegno che il sale ha rivelato fin dalla prima osservazione. Inoltre, con quest'a- nalisi si conferma il contegno che il calcare rivelò così distintamente nel saggio precedente. Esso aumenta colla profondità. À Pepi: DT A pre ni i Esp Mr st Aa gi A cre I PSR PR RE ICI «pitt % î Kia it È, i È È, i » fi o (Ra x A Ò ag = . | La sostanza organica e l’acqua presentano un contegno che bi- sogna verificare ancora. 9° osservazione (26 aprile 1902, ore 17). — Fra due cumuli di sale, distanti fra loro circa 6 metri, e costruiti nella penultima la- vorazione, si è stabilita una meschina flora costituita da Sper- gularia rubra Pers., Lepturus filiformis Trin., Mesembrianthemum no- diflorum L., ed altre piante erbacee. Si è scavato un fosso lungo m. 0.80 largo 0.60 e profondo 0.55 ed a diverse profondità sì sono ‘composti dei campioni di terreno, le cui analisi, condotte come nei ‘casi precedenti, hanno dato: PROFONDITÀ Acqua | Humus Cloruri Calcare |Silice e argilla | i Alla superficie. 5.500/| 2.900 | 1.2680 0/0 | 14.000/| 73.3320 0/o INR DA GIA ope i 7.20 1.70 | 1. 0280 12. 00 78. 0720 SI a e 10.00 1.60 | 1.4740 16. 00 70. 9260 INNER 10. 00 | 4510 1.4270 15. 50 1. 9730 MIDI Nol ci, | 10.00 | 0.90 | 1. 0570 15.00 73. 0430 Con quest’assaggio resta posto in evidenza e in modo sicuro il «contegno dei sopradescritti elementi, ed i dati relativi possono es- sere interpretati senza tema che siano stati indotti dalla casualità. Non mi fermo a discutere le facili ragioni fisiche che possono con- tribuire alla loro particolare disposizione; a me importa cono- scerla, per dirne solo quel tanto che può avere rapporto con la ve- | :getazione. CoNsIDERAZIONI — a) di ordine fisico. —- Il contegno dell’acqua, dell’humus, dei cloruri, della silice e dell’argilla, rivelato dalle pre- cedenti analisi, può essere così espresso : 1° L’acqua ed il calcare aumentano colla profondità; 2° L’humus, la silice e l'argilla diminuiscono; 3° I cloruri presentano sempre la percentuale massima alla superficie, diminuiscono rapidamente a soli tre centimetri di pro- fondità e, in minore proporzione, continuano a diminuire fino a 12-13 centimetri e poi aumentano gradatamente fino ad una per- «centuale che può in qualche caso sorpassare quella di 3,6 che è la media concentrazione dell’acqua del nostro mare. L'acqua del terreno è qui in massima parte di origine ipogea e proviene da quella delle saliniere e dei canali, d’onde in tutte le dendolo poi, per una estensione e ad una prora cHe sono in re- conserva nei bacini circostanti. Talchè, la maggiore percentuale ri- scontratane negli strati più profondi è spiegata dalla maggiore vi- cinanza al suo luogo di origine, che è il sottosuolo, e dalla maggiore distanza dalla superficie del terreno, dove gli agenti esterni (vento, calore, ecc.) ne provocano l’evaporazione. Il calcare, la silice e l'argilla, sono gli elementi che costituiscono la massa del terreno; il primo aumenta colla profondità e gli altri due diminuiscono. L'aumento del calcare nei terreni in posto cioè, in quelli che, deri- vati dalla disgregazione della parte superficiale di una roccia vi per- mangono a ricoprirla, è facilmente spiegabile. Ma nei terreni di tra- sporto, qual è quello che costituisce le ale e gli argini di una salina, la causa determinante è ben diversa. L'aumento del calcare qui è rela- tivo e non reale, ed è una pura funzione della diminuzione dell’argilla e dei sali solubili che vengono sottratti dall'acqua d’infiltrazione. Il fatto, oltre che dal punto di vista biologico, riesce molto istruttivo anche dal punto di vista fisico, in quanto è veramente interessante l’osservare come, in un terreno di trasporto relativa- mente recente, i diversi elementi abbiano assunto una disposizione che, come verrà dimostrato, è propria del terreno littoraneo. La sostanza organica presenta la sua maggiore percentuale alla superficie del suolo, e diminuisce rapidamente a pochi centimetri di profondità. Questa posizione rispetto agli altri elementi, in un terreno incolto come questo, non può derivarle solo dal suo debole peso specifico, ma particolarmente dal fatto che, non rompendosi e non rovesciandosi gli strati, essa non può allontanarsi dal suo luogo. di origine. Nelle saline, solo eccezionalmente può andare in profon- dità, e ciò avviene quando, durante i lavori di preparazione, sì estrae dal fondo delle saliniere e dei canali, e si distende sul piano delle aie e delle dighe il sedimento marnoso che vi precipita e che sempre contiene residui organici in quantità. Ma anche in questo caso essa non si allontana che di pochi centimetri dalla nuova superficie che: si viene a formare. I cloruri sono quelli che offrono il contegno più interessante, e tale che ha sorpassato ogni previsione. Invero, per quanto si sapesse della funzione dei sali nel terreno, e per quanto il richiamo e l’eva- porazione delle soluzioni alla superficie si potessero supporre, qui, più accentuate che altrove, per la temperatura elevata della stagione | calda e per la forte ventilazione di tutto l’anno, ero ben lontano dal- lazione colla permeabilità del terreno stesso e col livello che l’acqua. l’atte risultati di cui a lido: (6» piceno; STE ohi i altri più significativi a ancora ricavati con la 10* osservazione e seguenti. Essi sono condotti e abbandonati alla superficie dalle soluzioni ‘che vi arrivano dal sottosuolo e che vi evaporano, per l’azione di agenti diversi (calore, vento ecc.). Agglutinando le particelle terrose vi costituiscono allora una crosta nettamente distinta che può con- 4senere anche il 27°/, di sal marino mentre il terreno sottostante non ne rivela che il 2°/, od anche meno. Il fenomeno varia d’inten- sità col variare del calore e della ventilazione, epperò non solo varia col cambiare delle stagioni, ma in una stessa stagione e in uno stesso giorno, e sempre, col passare da un tempo bagnato od umido ad altro caldo ed asciutto. Chè il sal marino, eminentemente igro- scopico e deliquescente, si scioglie anche sotto l’azione dei venti umidi di scirocco e del mezzogiorno, e parzialmente scompare nel sottosuolo, per poi risalire non appena il sole ed 1 venti asciutti del nord e di nord-ovest riattivino l’evaporazione delle soluzioni alla superficie. Qual significato e qual rapporto abbia questo fenomeno colla ‘vegetazione delle piante, non è chi non veda, epperò assai per tempo mi convinsi della necessità di ripeterlo sperimentalmente nella sua forma più semplice e nel massimo d’intensità, e di verificarlo nel terreno littoraneo. Posto ciò, prima di entrare nelle considerazioni biologiche che dal contegno di tutti questi elementi del terreno sca- turiscono, reputo utile riportare altri dati in proposito onde avere una base sperimentale più larga che ne assicuri della loro costanza e del loro valore. 10: Osservazione ed esperienza. — (Orto botanico 1902). M’inte- ‘ressava ripetere in forma esagerata la condizione di vegetazione che in questi terreni è fatta ad ogni specie di pianta. Perciò mi servii dell'apparecchio descritto in altra parte di questo lavoro (1) ed ivi feci germinare semi di Sa/sola soda L. Lasciai una sola pianta la quale alimentata dal basso da una forte soluzione nutritizia con l'aggiunta di sal marino, prosperò a meraviglia, come può vedersi dalla fig. 6°, tav. II (2). Alla superficie libera della sabbia s' andò formando una crosta salina, dapprima leggera, ma che poi indurì notevolmente coll’inol- trare dell’estate. Essa è intera e solo presenta un foro regolare, là ove è attraversata dal fusto della Salsola. La soluzione salina venendo all’aperto attra- (1) A. Casu. — Loc. cit. (2) A. Casu. — Loc. cit. 3 1 fall e " e "" verso la sabbia del cilindro, sì è riversata esternamente abbando- nando una crosta di sale purissimo attorno all’orlo del vaso cilin- drico. ” Mln (Cfr. fig. 6, tav. II, vol. II, fase 3°, Ann. di Botan.). Il 5 agosto intaccai la crosta in un dato punto e per tutto il suo spessore, e ne tolsi un piccolo dado che pesò grammi 1.756. Lo spessore era circa 5 millimetri. Dal foro così praticato estrassi un grammo di sabbia sottostante. Procedetti alla determinazione volumetrica del sale ed ebbi nella crosta 40.491360 °/, nella sabbia 1.457325°/,. Dopo 10 giorni la crosta si era rifatta completamente e dell’in- taccatura non restò che un leggero avvallamento. Ripetei altri as- saggi ed ebbi risultati analoghi. In analoghe condizioni si condusse altro esperimento con appa- recchio simile, ma senza pianta alcuna. Il 80 ottobre lo consegnai dà Sanna (1) dn anche come Sica dei risultati precedenti. Avverto pertanto che l’apparecchio nel trasportarlo dall’orto al gabinetto di chimica, subì urti e rotture le quali stabilirono una comunicazione tra l’esterno e l’interno del vaso (4) ed in modo che in seguito, non più una sola estremità, ma ambe quelle del cilin- dro (5) si trovarono’ sottoposte all’azione dell’aria, epperò nell’una e nell’altra si verificò quanto altrimenti si con verificato e parte superiore libera. Si ebbe, pertanto: crosta (estremità superiore) sale 38.7017 alla profondità di 1 cm. id.- 4.380 alla profondità di 10 cm. id. 3.280 alla estremità inferiore di 20 cm. id. 17.420 La struttura particolare rivelata dal terreno ed il contegno fi- sico di ciascuno dei suoi principali elementi non parvero essere de- terminati da alcuna condizione speciale della salina, come tale, ma parvero essere determinati da condizioni d'ambiente, più generali, proprie di tutto il littorale del quale la salina stessa non è che una parte. Ond’ è che nonostante il proposito di limitare le osservazioni biologiche all’interno delle saline, fu necessario esorbitare, e verifi- care se nella zona circostante gli stessi fatti si ripetevano nella stessa forma e nella stessa misura. 11° Osservazione e ricerca. Littorale. — Tra la Palma ed il Canale vecchio di Palamontis sì distende un tratto di littorale a superficie leggermente accidentata ed in cui 1 caratteri fisici del suolo variano a seconda della sua elevazione sul livello del mare. Conformemente varia la flora che vi sì è stabilita, e partendo dai punti più elevati, forse qualche metro, per andare alle fn salate che tratto tratto si presentano, si osserva che essa è costituita da specie pret- tamente xerofile proprie dei terreni aridi e da specie succulente proprie dei terreni salati umidi. Fra le une e le altre non esiste una separazione netta, ma vi è un momento in cui sì mischiano in parte là dove la superficie del suolo presenta un’attitudine media fra le due indicate e partecipa dei caratteri fisici della parte più alta e della più bassa. Due tratti così caratteristici si presentano alla sinistra ed a mezza strada di chi parte dai locali della Palma e si dirige al Canale di Palamontis, e circa a 200 m. prima di arri- vare al Canale stesso. Furono scelti per gli assaggi di cui appresso: (1) A. SANNA. — Ecc. cit. Eryngium maritimum L. uti. pc o Endlich. ui "irta ser > lens Desf., Carduus DYCAIORO NIE L., Marrubium vulgare ti Diplo- taris ostrolil D. C., Echium maritimum W., Hordeum murinum L., Thapsia garganica L., Adonis aestivalis L., Medicago littoralis Rohde, Statice articulata Lois — St. echioides L., Statice dictyoclada Boiss., | Plantago marittima L.P., Coronopus L., Senecio leucanthemifolius Poir, S. vulgaris L., Frankenia laevis L., Frankenia pulverulenta L., Suaeda Fruticosa Forsk., Bellis annua L. e qualche altra. Fra queste piante, e nel punto più elevato, si procedette ai se- guenti assaggi : 9 aprile 1902. PROFONDITÀ Acqua | Humus Cloruri Calcare |Silice e argilla Alla superficie. . . .| 5.00°/| 3.80%| 0.1870°/ 15.000/0| 76.01800/ Ai em. ita] 700 |a 0, 0208 AI BAD > ieri SRO 0.30 | 0.2106 16.00 | 75.1894 e 2 (RE BRR PR Ab PL) 0.70 | 0.6190 13.00 75. 6810 3: PR O Rc) | 1.20. | 0.1521 12.80. | 76.8479 L'acqua e l’humus presentano anche qui lo stesso contegno già rivelato nelle 4ie delle saline, mentre gli altri 4 elementi non con- cordano affatto. Perciò si dova procedere ad altri assaggi in altro punto poco discosto dal precedente. Si ebbe: 26 aprile 1902 PROFONDITÀ |. Acqua Humus Cloruri | Qalcare |Silice e argilla Le I SIZE | SAP AI Pi L24400 A Alla superficie. . . .| 3.800/,, 2.509 0.876 0/, | 2.980/0] 90.8440/0 it i 64,20 1.00) 0.280) 3,00 91. 520 RR rd, 20 1.60 0.198 | 6,00 Re RO. 260 0, 468 I 12.00 ite ea — debe A E Lin però CUSho della ia e dell'argilla. Il terreno è molto dci e po- ‘vero di acqua e di sostanza organica, epperò, indipendentemente dalla percentuale del sale, è tutt’ altro che proprio alla vegeta- “zione, Pertanto è interessante constatare come la massa del terreno, costituita dal calcare, dalla silice e dall’argilla si presenti di costi- tuzione molto uniforme alle sue diverse profondità, e presenti un valore che oscilla tra due limiti molto vicini, che sono 88 e 93. b) Depressioni littoranee. — A partire dai punti su cui si fecero i precedenti assaggi, il terreno va dolcemente abbassandosi nella «direzione dei bacini della salina si distende in larga spianata a co- stituire una depressione salata, e poi ancora va elevandosi insensi- bilmente dalla parte opposta fin presso i due canali che lo limitano a levante ed a mezzogiorno (1). Il tratto più depresso non è che a m. 0.20 sul livello dell’acqua d’ infiltrazione che si raccoglie in un fosso che vi si osserva nel mezzo, ma per buona parte dell’anno l’acqua di pioggia e quella d’infiltrazione che proviene dal sottosuolo, impadula e ricopre la superficie. La flora che vi cresce è quella stessa del littorale acquitrinoso ed è costituita a partire dalla parte più in- terna, dalle specie: — Salicornia herbacea L. in contatto dn dell’acqua; — Salicornia fruticosa TL. in contatto diretto dell’acqua ed al- l’asciutto; — Juncus maritimus Lam. Polypogon monspeliensis Dest. Lygeum Spartum L., Hordeum maritimum With. ai margini ‘ della depressione in contatto dell’acqua e nella zona umida circo- stante. — Frankenia laevis L.,, Gynandriris Sisyrinchium Parl. — Suaeda fruticosa Forsk che stanno come anello di congiun- zione tra le specie più interne della depressione e quelle esistenti sul tratto più elevato del littorale e già preso in esame nelle precedenti ‘osservazioni. 9 aprile 1902. — A diversi metri dalla detta depressione e ad un livello di 0.40 su quello dell’acqua di infiltrazione raccolta nel fosso ivi scavato, si procedette alla formazione di diversi campioni di terra a differenti profondità. (1) A. Casu. — Vedi tav. /oc. cit. — _—91Dalle corrispondenti a Calcare. ì Silice e argill Humus | PROFONDITÀ Acqua Cloruri "O i. Ateieggerine: 92.900/| 9.100%| 0.58500/ | 10.000/0| AT.41500/ 0 F i A bem... 22.90 | 8.5 0.4829 | 14.80 | 5B.S671 e > ib» 22.40 | 0.6 0.117 = |26.60 |50.283 io 24.70 | 08 |-0.1755 | 27.00 | 47.324 » 35 » . 14.20 | 0.6 0.2574 |20.50 | 64 4426 Il contegno dell’acqua è ben diverso da quello dimostrato nelle osservazioni precedenti 1% serie. Sorvoliamo su ogni spiegazione in Ri attesa di conferma. L'humus, i cloruri ed il calcare si rivelano pienamente d’accordo È con tutti i risultati finora ottenuti, mentre la silice e l’argilla non lo sono affatto. Una verifica, più che opportuna, era necessaria, epperò a breve distanza dal punto precedente si procedette alla formazione di altrì campioni collo stesso metodo. 20 aprile 1902. PROFONDITÀ Acqua Humus Cloruri Calcare , Silice e argilla Alla superficie. . . .| 292% 2.08%| 0.1400% |, 8.20%/| 91.660%/ | A bem... . | 20.02 4. 88 0.2340 . | 14.00. | 60.866 » 15 » 15.80 1.40 0. 1050 13. 50 69.195 » 35 » VR SO 0.80 0). 0936 | 16.50 69. 707 Anche questa volta l’ acqua del terreno ha rivelato la percen- tuale maggiore a piccola distanza dalla superficie, confermando così il risultato dell’osservazione precedente. Probabilmente ciò deriverà dalla maggiore capacità idrica acquistata dal terreno alla superficie in grazia della sua estrema finezza e della maggiore ricchezza in sali e sostanza organica. È bene ricordare che il terreno superfi- ciale di queste depressioni salate, per l’azione dell’acqua che rigur- gita dal sottosuolo e per quella della pioggia, le quali a lungo lo co- prono, è stemprato e ridotto in poltiglia quando è coperto, ed in polvere finissima quando resta all’asciutto. Ha perduto perciò quelle proprietà fisiche che l’esperienza dimostra necessarie ad ogni ter- reno vegetale, e non le riacquisterà se non nel caso in cui venga ‘del golfo di APR ENT ca a RE Net) >. N VE Nalari ch LUI stesso che altrove si è fatto nel li ia Cagliari. Il calcare aumenta colla profondità; la silice e l'argilla rivelano un contegno poco deciso. Ora se si confrontano questi risultati dedotti dalle osservazioni istituite sul littoraie, con quelli altri dedotti dalle osservazioni con- dotte sulle saline e da quelle sperimentali istituite nell’Orto bota- nico, non sarà difficile rilevare la grande analogia di contegno of- ferta dai diversi elementi del terreno, e particolarmente dalla so- stanza organica, dal sale e dal calcare. Questi risultati, conformi nella loro pluralità, mentre tendono. ad avvalorarsi, dimostrano anche che il terreno delle aie e degli argini divisori delle saline ha assunto pur esso il carattere fisico- della zona littoranea in mezzo a cui le stesse saline sorgono, salvo quelle differenze di valore indotte dall’esercizio dell’industria. A complemento di queste notizie, credo bene aggiungere queste altre. Attraverso la grande striscia di littorale che si distende fra il mare e le grandi saline della spiaggia e del Porto e che misura una. larghezza che varia dai 200 ai 600 m., ho scavato a distanze diverse più serie di pozzetti onde raccogliervi acqua d’infiltrazione. Ho po- tuto così misurarne la concentrazione in gradi Beaumé, ed il livello, il quale varia a seconda dell’elevarsi e dell’abbassarsi di quello del mare e delle acque delle saliniere e dei canali vicini. È facile con- cepire il movimento, lento sì, ma incessante di quest'onda sotter- ranea che sì propaga in tutte le direzioni; e che si innalza e si ab- bassa seguendo specialmente il moto del vicino mare spinto ora verso terra ed ora allontanatone, a seconda del vento che spira. Questo flusso e riflusso si può seguire anche nei punti depressi del littorale dove l’acqua ora trapela, si distende e impadula alla superficie, tal altra scompare seguendo l’alta e la bassa marea. In questi movimenti dell’acqua sotterranea, è anche facile inten- dere come nel terreno che ne è percorso gli elementi solubili vadano totalmente sottratti e dispersi, un po’ per forza meccanica ed un po’ per diffusione. Da questo impoverimento vanno esenti solo quelle parti che si trovano al disopra del livello massimo che possono raggiungere le soluzioni infiltranti; ma quelle altre che ne sono continuamente ba- gnate non possono che ridursi, od essere già ridotte, al solo scheletro calcare-silicico. Ciò spiega a parer mio l'aumento relativo della percentuale del calcare in profondità. * Pertanto, nel a massa \ del terreno possie isti e I _ “aventi caratteri ben definiti: l’uno lai discontinuo Farr ui | “spessore variabile, asciutto o inumidito nella sua parte inferiore; ed un altro sottostante, inquinato da abbondanti soluzioni Sala ve in modo permanente o con interruzione, le quali ogni tanto affiorano là ‘ove il primo strato faccia difetto, come nelle depressioni littoranee. Nel 1° caso l’acqua si muove e si conserva nel terreno in virtù di particolari proprietà fisiche che a tutti i terreni sono comuni, ed è utile: nel secondo si conserva per forza meccanica, ed è nociva, e oltre che per la quantità, per le particolari condizioni fisiche che determina nel terreno. Vedremo in seguito quale influenza possa averé questo fatto sulla “i vegetazione delle diverse specie di piante. ('ONSIDERAZIONI DI ORDINE BIOLOGICO. — Le cognizioni acquistate sulla natura fisico-chimica del terreno permettono di intendere quali siano qui i giusti rapporti di posizione fra i suoi principali elementi y e la radice della pianta, e quanto sia diversa la condizione di vita fatta perciò alla pianta stessa a seconda della sua natura erbacea o i legnosa, e secondochè sia annua, vivace 0 perenne, e posta in punti » 5003 elevati oppure a livello del mare. Così la presenza di un sottosuolo inquinato dalle soluzioni del sal marino e la deficenza, e spesso. la mancanza di uno strato fertile soprastante, spiega all’evidenza il perchè ed il come le specie erbacee dal sistema radicale specifica- 18 mente ridotto o riducibile a minime proporzioni, prevalgano sulle À legnose, ed il perchè in tratti di terreno relativamente elevati sul a livello del mare, sia anche di solo qualche metro o meno, sia possi- bile la presenza di alberio di arbusti. Nel fare gli assaggi del terreno del littorale onde stabilirne l’al- titudine sul livello delle soluzioni infiltranti e conoscere la concen- trazione di queste ultime, bo scoperto anche il sistema radicale, i spesso sviluppato e profondo, di molte piante, ma non ho mai osser- vato che esso si propagasse nella parte inquinata del sottosuolo. Solo la Salicornia fruticosa L., la Salicornia herbacea L., l’Obione por- tulacoides Moq. fanno eccezione. Un fatto illustrativo degno di nota è quello che viene offerto dalla vegetazione che si è stabilita, o che annualmente si stabilisce nelle trincee che sono scavate attraverso il littorale del Porto e della Spiaggia. Esse sono profonde circa un metro tra scavo e rialzo, sono generalmente molto aperte, e nel periodo in cui non vi si tengono esercitazioni tattiche vengono in vario modo guaste a causa della fre-. «quenzadelle persone e delle greggi. Questo fatto congiunto al lungo riposo in cui è lasciato il terreno, permette lo stabilirsi di specie di lea da Welt» fe, di | non è pra: osservare in dr Dunk del littorale. Tuttavia, chi osservi attentamente, potrà rilevare che nelle trincee si BAI sempre se- condo un ordine determinato e preciso : al fondo non si osserva che una rada vegetazione di alcune specie di graminacee che vivono a spese della parte più superficiale del terreno; a metà altezzao poco meno, comincia quella delle Salicornie, delle Suede (succulente) ora isolate, ora mischiate a molte altre specie, le qaali ultime conti- nuano fino alla sommità dei rialzi, mentre le prime, Salicornie ecc. . seompaiono. Ora, qual è qui il fattore che agisce sulla distribuzione delle specie? La risposta non è difficile quando si sappia che in alcuni casì l’acqua del sottosuolo raccolta in fossetti scavati al fondo delle trincee non superò 1 0.25° Beaumè di concentrazione e che essa si fermò ad una profondità varia secondo i giorni, dai m. 0.25 0.40. Evidentemente, in questi casi bisogna escludere che sia il sal ma- rino l’elemento regolatore, giacchè la percentuale di 0.25° che pre- senta il fondo delle trincee, nelle soluzioni che lo infiltrano, è tale da essere tollerata non solo dalle Salicornie e dalle Suede, che sono qui i generi halofiti per eccellenza, ma dalla generalità delle altre piante in condizioni normali di vegetazione. Il fattore generale di selezione, poichè nella salina e nel littorale esiste, dobbiamo perciò cercarlo in altre condizioni dell'ambiente, e non ci sarà difficile riconoscerlo nella mancanza o nel debole spes- sore dello strato fertile del suolo. In molti tratti questo strato fertile manca del tutto là dove il basso littorale affiora, e la parte inferiore inquinata resta scoperta; in altri tratti, e questo è il caso più ge- nerale, detto spessore varia da pochi cm. a mezzo metro, ed in altri ancora molto meno frequenti, può raggiungere anche il metro. Ora qualunque radice fittonata o no, profonda o superficiale, non può che limitare il suo sviluppo a quella parte utile di terreno in cui le è dato di svolgersi liberamente. Se ora supponiamo che germi di ‘piante di natura diversa, erbacea o legnosa, vengano trasportati dai comuni mezzi di diffusione in un ambiente simile, vedremo prospe- rare solo quelli, o quelle piante, che troveranno a loro disposizione uno strato fertile sufficiente per un adeguato sviluppo delle loro ra- dici; le altre periranno. Ciò è appunto il fatto più comune in queste saline, e più ancora nel circostante littorale dove assume forma vi- sibilissima e interessante. Chi parte dal Rollone (1) e si muove in direzione della Torre che, sul lido, sorge di fronte, troverà a pochi metri dal lato esterno della Salina, specialmente verso Oriente, una vasta vegetazione di Juniperus macrocarpa S. A. S. e di J. phoeni- (1) Ved. tav. Voc. cit. F° ° . ti x + Aa wa ui to "022 = n 4 4 hrc. I si, ea K : h 7. _ » NO x nia 1 n° aos DI cea L. i cui esemplari presentano tutte le dimensioni possibil un massimo di m. 1.50 e un minimo di m. 0.15 compresa la radice. RITI e et Shi, Il differente sviluppo raggiunto dalle piante è in relazione all’al- ‘ i tezza, sul livello del mare, dei diversi tratti di terreno sul quale ‘esse sono fissate. Sono le superstiti, ma non le sole, della estesa vegetazione di Ginepro che una volta, come sì scrive, (1) copriva i dintorni di Cagliari: furono risparmiate dalla scure solo per la me- schinità delle forme. Il fatto riesce molto istruttivo dal punto di vista biologico, poichè, avendo queste piante un sistema radicale superfi- ciale, dimostra che la loro vegetazione è qui possibile sol perchè le radici non penetrano nel terreno che a piccola profondità, laddove ne sono escluse tutte quelle altre specie la cui radice non può essere contenuta in uno strato fertile relativamente debole. Questo tratto di littorale, confinante colla salina, serve in parte come discarica di quanto sì trae dalla pulitura delle saliniere. In diversi punti si sono formati, così, dei monticoli di oltre il metro, e gli esemplari di Gine- pro che vi si stabilirono raggiunsero forme migliori che altrove. Chi partendo da questo tratto littoraneo continui nella direzione della Torre, osserverà che il suolo va insensibilmente abbassandosi, e se a mezza strada scaverà un fossetto vedrà che in capo a poche ‘ore sì riempirà di acqua d’infiltrazione il cui livello si ferma a m. 0).20-0.30 dal suolo, a seconda della stagione e del movimento del mare, ed ha una concentrazione di decimi di gradi Beaume. Il ter- reno è marnoso, dalla superficie viscida in tempo di pioggia o di vento umido ; pulverulenta, crostosa e fragile nell’estate, spesso rotta ‘e staccantesi in zollette. Si presenta sempre irregolarmente coperta da una triste vegetazione di Salicornia herbacea L. nella parte più bassa e umida, e di Lygeum Spartum L., a distanza, su zolle iso- late e scalzate per l’azione dei venti e delle pioggie. E più oltre ancora, verso il mare, il suolo si eleva insensibilmente e si ricopre gradatamente, fino a circa 20 m. dal lido, di una vasta vegetazione di specie in gran parte legnose come Iuniperus, Cistus, Calyco- tome, ecc. mischiate a molte altre specie fruticose. Nelle mie escursioni raccolsi 331 specie di piante le quali sono comuni a tutto il litorale di Cagliari. Passo a enumerarle seguendo l’ordine secondo il quale si presentano a chi le consideri partendo dai punti più bassi fino ai più elevati del littorale stesso, e ciò perchè questa tipica distribuzione è la dimostrazione più evidente della intluenza della struttura fisica del terreno nella esclusione di molte specie e nella prevalenza di altre. (1) F. CAVARA. — La vegetazione della Sardegna meridionale. — Nuovo Gior. Bot. Ital., 1901. 1 Uro A Ma si in N Roe o A C omposizione e distribuzione della Fiora Fanerogama littoranea n rapporto all’altitudine del suolo sul livello del mare. Da Mm. 0A .M. 0:25 Da wm. 0.25 A m. 0.50 OLTRE mM. 0.50 Gimnosperme. | (1) # Juniperus macro- | carpa Sibth. | # Juniperus phoenicea L. (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delle tre altitudini dinota prevalenza «della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza anche altrove. # Albero od arbusto. È Monocotiledoni. Graminaceae. -« Avena sativa L. A | Id. fatua L. » Aegilops ovata L. » Agropyrum Junceum e, e Briza maxima L. » i Bromus madritensis L. » Id. maximus Desf. » Id. tectorum L. » Brachypodium dista- » | chyon KR. S. Catapodium loliaceum L. i n K. i ARRNRS Catapodium tuberculo- INN sum Moris. i ; Corynephorus articula- RN i tus P. B. E RN i Cynosurus echinatus L. » RR x . Hordeum maritimum INA 1 With. i È $ Hordeum murinum L. » IRR ; Imperata cylindrica /. £. » INS È Lagurus ovatus L. » Di i Lamarkia aurea Moerch. » i E SÒ + Frutice o sutfrutice. LEE, zh TRY o O Specie carnose e succolenti (Alofite). ATA, Le specie non contrassegnate sono erbacee. Lepturus cylindricus Trin. Lepturus incurvatus Trin. Lepturus filiformis Trin. Lygeum Spartum L. A Lolium rigidum Gaud. Id. temulentum Braum. Koeleria phleoides Pers. bi | Nera. ‘© setacea D.C. | | Melica Magnolii Gren. et | ‘God, Li Milium multiflorum Moris. » Psammalittoralis /.B. A Panicum Crus galli L. Phragmites communis h\ Trin. Polypogon maritimus Moris. | ae? Phalaris canariensis L. Psilurus nardoides 7'rin. Puccinellia festucaefor- mis Parl. Scleropoamaritima Parl. Setaria verticillata P. B. Sphenopus divaricatus Reich. Sporobolus pungens Kunth. Sripa tortilis Desf. » Triticum villosum P. B. Vulpia uniglumis Reich. » myuros Gm. Juncaceae. Juncus conjlomeratus L. A » acutus L. » » maritimus Lam. » i » multiflorus Dest. » . i » fasciculatus » dà Bertol. Cyperaceae. Carex divisa Huds. » ertensa (Go00d. » recurva Huds, Asparagaceae. | (1) Asparagus albus L. ì » acutifoliusL. | » aphillus L. Liliaceae. Allium roseum L. ». triquetrum L. Asphodelus ramosus L. >» fistulosus L. Muscari comosum Willd. Urginea fugax Steinh. » Scilla Steinh. Amaryllidaceae. Gladiolus bizantinus - > Mill. Paneratium maritimum ID Ginandriris Sisyrin- chium Parl. Romulea Columnae Seb. et Maur. Thelysia alata Parl. Orchideae. Barlia longibracteata i Parl. \ Serapias Lingua L. 7 È ; Dicotiledoni. Urticaceae. Urtica urens L. >» membranacea Poir. Urtica pilulifera L, Parietaria officinalis L. (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delle tre altitudini dinota prevalenza della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza anche altrove. # Albero od arbusto. + Frutice o suffrutice. O Specie carnose e succolenti (Alofite). . Le specie non contrassegnate sono erbacee. ANNALI DI BoTANICA — Vo. V 21 I dA Rs seiià w a i as pela pi A PE pn Gase T] “ "id zn MAC di AR Too \ : Dam. 0 a M.:0.25 —* Balanophoreae. o Na d © Cynomorium cocci- 4 al neum 7. Ù ì Euphorbiaceae. Euphorbia Peplus L. Peplis L. pinea L. terracina L. exigua L. helioscopia L. Pithyusa L. Mercurialis annua L. Polygonaceae. | | Emex spinosa Campder. | Poliyijonum aviculare L. » maritimum | fp | | Polygonum Roberti Lois. | Rumex buccphalophorus | I | Rumea pulcher L. Amaranthaceae. Amaranthus albus L. | » patulus Bertol. Chenopodiaceae. Atriplex crassifolia C.A. May. Atriplex patula L. » rosea L. A # Atriplex Halimns 1. A # Ohione portulacoides Moq. Tand. + O Harthrocnemum ma- A crostachyum Moris | | Beta vulgaris L. Lia Ò Halocnemum strobila- ceum Bieb. | . * è PL: Da m. 0.254 wm. 0.50, | —OLrrE Mm. 08 + iS 70IN ; E, i i ni ADI ‘È Salicornia fruticosa L. A "I Eee O» © herbacea L. Gi: > SA I Ò Suaeda fruticosa (1) 4 PR ; i Forsk. 3 © Suaedamaritima Moq. DI O » splendens tì, Gren. God. i et: Salsola Kali L. ni Salsola Soda L. le na Va A » vermiculata L. ti Chenopodium album L. e: » murale L. cd » opulifo- lium Schrad. } Chenopodium vulvaria L. ly | » urbicum L. " À i Cytinaceae. i J 9 La Cytinus hypocistis L. " È “ Ranunculaceae. " | Adonis aestivalis L. 300 Anemone hortensis L. | >» coronaria L. Ò | Delphinium gracile D. C. i | Nigelladivaricata Beaup. i \ » damascena L. x | Ranunculus bullatus L. A | > Ficaria L. o 4 : Papaveraceae. e Fumaria agraria Genn. { » officinalis L. | » capreolata L. È (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delle tre altitudini dinota prevalenza «della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza altrove. n # Albero od arbusto. + Frutice o suffrutice. QD Specie carnose e succolenti (Alofite). Le specie non contrassegnate sono erbacee. MT Da a0 Aia 0.25" Glaucium flavumo 0° i Crantz. L a | Glaucium phoeniceum —_—_—_— — ‘ i Crantz. i | Hypecoum procumbens L. CI Hypecoum glauezscens Guss. È Papaver Rhoeas L. - » hybridum L. » pinnatifidum Moris. Crucifereae. : Alysum maritimum i Lam. Brassica subularia Brot.. Cakile maritima Scop. Capsella Bursa Pastoris Si Moench. v. Diplotaxis tenuifolia Di 0. Diplotaris erucoides D.C. +4 Eruca sativa Lam. — Lepidium procumbens L.. Sinapis alba L. | Sysimbrium Jrio L. n Resedactae. = a) Reseda alba L. mi: ' » luteola L. Cistaceae. # Cistus salvifolius L. # » —monspeliensisL. | IHelianthemum quttatum Mill. » 4 Helianthemum satlici- folium Pers. Frankeniaceae. va RI Prankenia laevis L. i » » pulverulenta L. dual «Sagina marittima Dom. Cariophylleae. Herniaria hirsuta Moris. A Paronychia argentea Lam. Silene sericea Aff. A » Stellaria media L. (1) Arenaria rubra L . rici » media L. al Cerastium vulgatum L. » pentandrum L. Lychnis Coelis-rosa Des- 2A rouss. i Lychnis laeta Ait. A lum L. Polycarpon alsinaefo- lium D. C. "è Nì Polycarpon tetraphyl- 4 î;: 5 A Silene inflata Sm. » bipartita Destf. > Portulacaceae. x Portulaca oleracea L. G Tamaricaceae. SA # Tamarix africana Dest. = » gallica L. a Hypericaceae. 9 # Hipericum perforatum $ L. : Malvaceae. 5 Lavatera cretica L. i i Malva nicaensis All. >» sylvestris L. - 30 “@ (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delle tre altitudini dinota prevalenza À, «della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza altrove. 9 î a n È # Albero od arbusto, + Frutice o suffrutice. ©) Specie carnose e succolenti (Alofite). Le specie non contrassegnate sono erbacee. RI e DA x. 0 Am. 0.25 Mal 0.25 A x 0.50 Di Geraniaceae. si Erodium staphilirmum "0 eni] Bert. MM E”. Erodium laciniutum Si- bth. et Sm. gr Erodium affine Ten. È » malacoides È Willd. o Geranium molle L. Linum angustifolium e Huds. Oxalis cernua Thumb. » corniculata L.. Rutaceae. ) | # Ruta chalepensis L. Tribulus terrestris If U Gentianaceae. Chlora perfoliata L. Erythraea Centauriwn er. i Rich. O r Convolvulaceae. Comnvolvulus althaeocides Fa “a Convolvulus arvensis L.. Borragineae. i | | Asperugo procumbens L. | Borago officinalis L. li Cerinthe aspera L. n \ Cynoglossum pictum Ait.. Echium maritimum Willd. Echium plantagineum L.. Ieliotropiumeuropaeumi Lytospermum arvense L. — ahi Myosotis versicolor Reich. , T: i ui i REIAE 10 25 ul; fd DA x. 0.25 A x 0.50 }- & - i N Re Dr Solanaceae. ci è * TRI Bi | (1) Hyosciamus albus L. si A Lycium europaeum L. ig Solanum miniatum tod Wild. Sà » nigrum L. bo. 4 » sodomaeum L. & a 1 DS Scrophulariaceae. i È Antirrhinum majus L. t h; È Linaria reflera Dest. o: » triphyUa Mill. n è Trixago viscosa Reich. i Verbascum. sinuatum L. Celsia eretica L. Orobancaceae. A | Phelipaea ramosa Meiy. Lamiaceae. | Ajuga Jva L. Ballota foetida L. Lamiumamplexricaule L. Lavandula Stoechas L. Marrubium vulgare L. » Alysson L. Micromeria graeca Bent. Salvia Verbenaca L. Satureja Thymbra L. Sideritis romana L. Stachys glutinosa L. e # Teucrium capitatum L. : # » Marum L. # Tymus capitatus sa Hoftm. da (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delie tre altitudini dinota prevalenza vci della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza altrove. i # Albero od arbusto. + Frutice o suffrutice. O Specie. carnose e succolenti (Alofite). Le specie non contrassegnate sono erbacee. NY Let MRi 6 « Peo eta vale = “ a iii 3 Oa mM 0.25 Da m. 0.25 A x. 0.50 | = OLTRE Mm 0.50 Pe ST a PP è Da we 5 Verbenaceae.. Ù 4 | | Verdena officinalis L. de 23 : i v Primulaceae. ri v i. | | Anagallis arvensis L. : A i Ù Plumbaginaceae. | i Plumpago europaea Li ; AN | Statice echioides L. a » » densiflora Guss. £. » » . articulata Lois. leo » dictyoclada da » Boiss. » Statice Limonium L. | Statice oleaefolia Scop. ) a confusa Gr. God. ha 4 SR Plantaginaceae. Lal LEA Plantago albicans L. a Plantago Bellardi Al. A Sig 4 » Coronopus L. 0 Pi » Lagopus L. È ni » Psyllium L. his: Anacardiaceae. » biflora Dest. ne » variegata L. o » viscosa L. i Psoralea bituminosa L. Tetragonolobus purpu- pie reus Moench. Trifolium angustifo- lium L. Trifolium spumosum L. » scabrum L. » suffocatum L. » resupinatum L. » » Cherleri L. » » Arvense L. » | > . procumbens L. E » » stellatum L. | » Trigonella monspeliaca Vicia leucantha Biv. Sanguisorbaceae. i | | + Poterium spinosum L. È Rosaceae. i E; | + Rubus fruticosus L. Lythraceae. | | Lythrum hyssopifolia L. ; (1) Il nome scritto ir disteso in corrispondenza di una delle tre altitudini dinota prevalenza | della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza altrove. .## Albero od arbusto. + Frutice o suffrutice. ©) Specie carnose e succolenti (Alofite). Le specie non contrassegnate sono erbacee. ” i tt : a 20 E, ; Medit, ii "ge Da x.0Ax.025 | Dam. 0.25. 2 M. 0.50.L] LO \ e Crassulaceae. Me CA n de ‘S SEG UmbilicuspendulinusD.C DI: È x die "A O Sedum coeruleum A As . I Vahl. AR) LÉ A mm ) vr DE Aizoaceae. A l vi. © Mesembrianthemum » $$ i | cerystallinum L. en © Mesembrianthemum » tic . nodiflorum L. ia "p -+ mp”: Apiaceae. Blupleurum glaucuni Rob. et Cast. Carum Carvi L. O Critimum mariti- mum L. Daucus Carota L. Eryngium campestre L. » maritimum L. Foeniculum piperitum Foeniculum vulgare Gaertn. Oenanthe fistulosa L. Ridolfia segetum Moris. Smyrnium Olusastrum Thapsia garganica L. Tordylium apulum L. Torilis nodosa Gmel, ai x + 420] e eni ”- Ps v (a Rubiaceae. n, Sherardia arvensis La Galium saccharatum All. i CallipeltismuralisMoris. Valantia muralis L. - SSR tres; m. 0.25 4 sr 0.50 a Cai, nb i Dipsaceae. Ambrosiaceae. Compositae. (1) Il nome scritto in disteso in corrispondenza di una delle | (1) Dipsacus ferox Lois. » silvestris Mill. Scabiosa maritima L. Ambrosia maritima L. Scoltymus maculatus L. | Seriola aethnensis L. | Urospermum Dalecham- | pii Desf. Cichorium Intybus L. Hedypnois polymorpha D_G. Hyoseris scabra L. Crepis bulbosa Tsh. | Picridium vulgare Dest. Sonchus oleraceus L. » tenerrimus L. Lactuca saligna L. Bellis annua L. » perennis L. Aster Tripolium L. Jasonia sicula D. C. QQ Jnula crithmoides L. » viscosa Ait. Eschembachia ambigua Moris. Evax pygmea Pers. Filago germanica L. tre altitudini dinota prevalenza: | della specie vegetale, mentre il segno A ne indicherà la presenza altrove. * Albero od arbusto. + Frutice o suffrutice. x O Specie carnose e succolenti (Alofite). Le specie non contrassegnate sono erbacee, sd a sd Da 0 4 a 08 COSISE Kac'050 % Ki Ki: à: A Helichrysum angustifo- di “ lium D. C. sa A » + Diotis candidissima i É Destf. # Artemisia arborescens . Pinardia coronaria Less. Maruta fuscata Brot. ; Senecio vulgaris L. 2 » leucanthemifo- lius Poir. Calendula arvensis L. Carlina lanata L. » corymbosa L. SD a » racemosa L. » gummifera Less. Carduncellus lanatus L. v ki Centaurea aspera L. » calcitrapa L. Galactites tomentosa Moench. Carduus pycnocephalus b AI. La distribuzione delle specie non è mai così precisa, che piante : «descritte in nno dei precedenti gruppi non possano trovarsi mischiate 3 a quelle di un altro. Che anzi è facile osservare che molte piante e del secondo gruppo possono trovarsi ora nel primo ed ora nel terzo; N però, e questo è l'interessante, le specie descritte in questi due $ gruppi (1° e 3°) non si mischiano mai. Pertanto nel 1° caso si ha. una sola pianta legnosa, e nel secondo se ne hanno undici, e le p° altre sono vivaci o perenni, dal sistema radicale fittonato e pro- SQ fondo. Risulta chiaro che mentre queste profittano o tollerano tutte i quellè altre condizioni che il clima marittimo fa a tutta la vegeta- zione in genere, non tollerano però quelle fisico-chimiche fatte dal | sottosuolo inquinato. La loro generale esclusione nel terreno litto- sa LI ill dà, A s precisa AR CHA scrissi altrove come il Maseleff Pattimitie al particolare beneficio che le specie erbacee ritrarrebbero dalle condizioni del clima marittimo, e come il Warming la facesse con- sistere nel carattere aperto dei terreni salati, e dimostrai anche quanto queste ipotesi fossero insufficienti. Invece colle cognizioni ora acquistate è facile intendere che il fatto è determinato da una condizione fisica di ambiente, ben definita e sperimentabile che ri- siede nella struttura del terreno. La vegetazione della piccola flora erbacea alla superficie delle depressioni, e quella esclusiva delle specie legnose là dove il suolo si eleva di qualche metro sul livello del mare, sono la prova più eloquente di quest’affermazione. Per ciò che ha rapporto all'influenza del sal marino e della so- stanza organica, qui mi fermerò solo a riassumere i risultati delle analisi già descritte, per ritornarci in seguito dopo il reperto di ricerche appositamente istituite. La sostanza organica ed il sal marino si presentano in massima parte localizzati alla superficie, e pure agli strati superficiali è loca- lizzata la vegetazione della generalità delle piante. A tutta prima ciò ‘indurrebbe a due supposizioni: 1° che le piante ritraessero un beneficio dalla presenza simultanea delle due so- stanze; 2° che la loro resistenza fisiologica fosse molto aumentata per fatti speciali che per ora ci sfuggono. In modo assoluto non possiamo accettare nè l’una nè l’altra, non fosse altro che perchè mancano ancora i dati principali della discussione: « la quantità del sale assorbito dalle piante ». Tuttavia, combinando i risultati delle analisi finora discusse con quelli altri acquisiti sulla compo- sizione, sviluppo e distribuzione delle diverse specie non sarà dif- ficile il rilevare che alla superficie del terreno può raccogliersi una grande quantità di sale senza che le piante che vi si osservano vegetare ne risentano gli effetti in proporzioni corrispondenti. Ba- sterà ricordare, invero, che le percentuali medie del sale riscontrato alla superficie nel tempo della germinazione delle piante si man- tennero al disotto del ‘/,°/, e che solo in pochi casì salirono al e al 3 °/,: laddove, nel periodo della fioritura delle piante stesse sì ebbero medie che andarono oltre il 27°, nella salina, e del 40) °/, nelle colture sperimentali. Ora questo aumento del sale avviene a gradi a.gradi nel passare da una stagione fredda ad una calda, e da una meno calda a un’altra che lo è più. Ma a misura che il sale vi si raccoglie, le radici delle piante se ne allontanano pel conse- | guente sviluppo e raggiungono una profondità varia dai tre ai do- dici centimetri dove, come si è visto, le percentuali del sale sono: Lube f 7 ° vi N13 rano u inga molto ] pianta trovò alla superficie quando vi comparve pe Il sale che agisce sulle radici non è cioè quello solido che luzioni evaporanti all’aperto vi abbandonano, ma quello che trovasi nell'acqua che circola nel terreno. Riassumendo, sì ha: 1°) Il vero fattore di distribuzione delle specie vegetali nelle saline e nel littorale, risiede nella struttura fisico-chimica del terreno ; 2°) La vegetazione delle specie legnose è impedita dalla man- canza 0 insufficienza di uno strato fertile di terreno, dall’inquina- mento del sottosuolo e dal suo conseguente impoverimento; 53°) Il sale che si raccoglie alla superficie del suolo non può costituire un criterio sufficiente per dire del suo valore biologico in rapporto alla vegetazione delle piante. 3. — Studio fisico-chimico comparato del terreno e delle piante. Nel tempo in cui fiorisce la generalità delle piante, in queste sa- line e nel littorale, salta subito all’occhio dell'osservatore il contrasto esistente tra lo sviluppo ora rigoglioso ed ora triste offerto da esem- plari della stessa specie, che coprono, ora gli uni ed ora gli altri, vasti tratti delle aze a breve distanza tra loro. Si pensa subito all’influenza del terreno ed a quella del sale contenutovi; ma i molteplici fatti di vegetazione, tra loro discordanti, sono tali che spesso la causa ap- parente, che in alcuni casì pare determinare la tristezza della vege- tazione, in altri pare promuoverne il rigoglio. In queste condizioni ogni interpretazione riesce insufficiente, e l’analisi delle ceneri delle piante, e quella del terreno sul quale le stesse vegetano, appare an- cora il solo mezzo sicuro che possa mettere in evidenza fatti che l’os- servazione elementare non potrà mai scoprire nè illustrare. Le analisi furono estese a due specie, alla Cakile maritima Scop. ed al .Mesembrianthemum nodiflorum L., siccome quelle che in maggior grado presentano una grande diversità di forme. Osservazione (9 aprile 1902). — Nelle grandi saline della spiaggia l'estremità dell’aia esterna che fa capo a Staineddu resta elevata di circa mezzo metro sul livello del padule salato sottostante, ed ivi sì ripete periodicamente una triste vegetazione di Mesembrianthemum nodiflorum L., le cui piante sviluppano raramente più di quattro ver- ticilli di foglie, e la cui generalità non ne presenta più di due, Sh Ad ie analisi sono “già L fiorite ed Hana il peso medio di un n grammo. i L’analisi del terreno aderente alle radici, ba dato: Piante tristi. Acqua Sost. organ. Calcare Silice-Argilla Cloruri 11.000), 5:20 0/0 — 22.5. 0/a 60. 1885 0/, 1.1115°0 Come dato di confronto, i) 28 giugno dello stesso anno si ripetè la stessa osservazione su piante fiorite e normalmente sviluppate, che vegetano a poca distanza dalle precedenti. Peso medio gr. 100. Osservazione. — (28 giugno 1902). Piante rigogliose. i Acqua Sost. organ. Calcare Silice Argilla Cloruri 15.000/0... 7.900 22:000% = 65.50°/ 2.10 1.419°/, Confrontando questi dati, osservo che le piantine intristite si tro- vavano in condizioni sfavorevoli, per rispetto alle altre, per una mi- ‘| nore percentuale di acqua e di sostanza organica contenuta dal ter- reno, ed in condizioni migliori per una percentuale minore di cloruri. Le differenze presentate dal calcare, dalla silice e dall’argilla non eredo che abbiano avuto grande influenza sulla nutrizione e sullo sviluppo dei diversi esemplari della specie in esame, epperò tanto qui, come nelle osservazioni che seguiranno, non ao oggetto di particolare discussione. Questa in particolare verrà limitata agli altri elementi, sostanza organica, acqua e sali. Bisogna pertanto esaminare se i risultati ora ricavati sono con- fermati da analoga osservazione su altra specie. Ossercazione (26 aprile 1902). — A metà lunghezza dell’ aza esterna che guarda il mare, nella salina di Mezza Spiaggia si è lo- calizzata la Cakile maritima; presenta esemplari ora sparsi e intri- stiti, ora rigogliosi, per estensioni di qualche ara, o poco meno. a) A qualche metro da un cumulo di sale sono state tolte molte piantine estremamente tristi, dal fusto nullo, con un ciuffetto di 2 4 od al più 6 foglie ridotte a proporzioni minime e di color grigio cenere, difficilmente distinguibile da quello del terreno; lunghe in media 2 o 5 centimetri, larghe '/,, ingrossate, durissime al tatto, col picciuolo cortissimo ed inserito sulla pianta a livello del suolo. Il peso medio dell’intera pianta non supera il grammo, e solo qualche si = ci a PRESSO Mai n.3 TLT NET RTLA Spi Uò x esemplare già. ittifica ‘on tre ] i into, fra que ARTI il peso O) 4g ammi. di ci PEAZTA APERFVRII ni Osservo che la coperti del suolo è stata rifatta e adattata c con È inclinazione verso il canale navigabile da una parte e verso un col- We; È lettore dall’altra, e ciò dopo la costruzione del vicino cumulo di sale, i o quando ancora i residui salini vi erano abbondantemente dissemi- nati. Ora è ricoperta da uno strato di terriccio arido e sciolto, ma il terreno sottostante è duro assai, e con fatica si riesce a romperlo con A la spatola da erborizzazione. Il terreno aderente alle radici di molte piantine intristite, analiz- zato, ha dato: Piante inîristite. Acqua Sost. organ. Calcare Silice Argilla Cloruri “ma 7.40 0/o 1.650/, 9.200, 78.000), 1.400 285°, ; _ è) A pochi metri di distanza dal tratto precedente e proprio sul * ciglio del canale collettore, vegetano molte piante rigogliose della. ‘ stessa Cakile associata alla Crepis bulbosa. Il terreno è visibilmente N: sciolto e sabbioso, e colla massima facilità sì può scavare anche colle mani, tanto che per oltre un metro si possono seguire le radici della. prima, ed i rizomi ancor più lunghi della seconda. Composti e analizzati i campioni di terreno si ebbe: Piante rigogliose. È Acqua Sost. organ, Calcare Silice Argilla Cloruri - _ — _ —_ à 2.30 0/0, 1.80 0/0 5. 25 9/0 SI. 50 0/0 4.97 %/o 6.43 9/o “Ul Limitando pur qui il confronto ai soli elementi acqua, sostanza. organica e cloruri e traducendo in linguaggio ordinario il signifi- % cato delle cifre che a questi corrispondono, si ha che le piantine È intristite di Cakile si trovavano in condizioni sfavorevoli per ri- è spetto alle altre, per una minore percentuale di /Aumus nel terreno, % e in condizioni migliori per una maggiore quantità di acqua ed una minore di cloruri. L'acqua, invero, era contenuta nel terreno i in quantità tre volte maggiore di quella riscontrata in contatto del pr. sistema radicale dei corrispondenti esemplari a sviluppo normale, ed il sale in quantità tre volte minore; la differenza tra le due ‘a percentuali di sostanza organica è quasi iaia Riassumendo i dati di queste quattro Osserrazioni, si dovrebbe concludere : 1° L'acqua, la sostanza organica, il calcare, la silice e 1’ ar- gilla hanno rivelato un contegno che non ha nessun rapporto collo sviluppo della pianta ; Analisi delle piante. — Si ha: Mesembrianthemum nodiflorum L. — Le piante analizzate sono | Talchè, i oitirdlosi sul criterio utile dedotto dalla costanza con cui il rigoglio della pianta corrispose sempre, per le due specie esaminate, ad una maggiore quantità di sale nel terreno, si dovrebbe concludere in favore dell’azione utile del sale stesso. Ma il criterio non mi pare ancora abbastanza sicuro, ed è necessario prendere in esame, prima, le analisi delle ceneri delle piante in osservazione. quelle stesse di cui alle osservazioni del 9 aprile e del 28 giugno e di cui si è già esaminata la composizione del terreno aderente alle radici. In 100 parti di pianta intristita. Acqua Sost. organ, Ceneri 172.826 0/, 19.25°/ 7.924°/ In 100 parti di pianta rigogliosa. Acqua Sost. organ. Ceneri 78.840/, 15.049 11.12%/o Confrontando si ha: Cloro In 100 parti di ceneri. Acid. carb. Potassa Soda 18.25 0/0 28.920/0 8.480%/ 39.995 In 100 parti di ceneri. Acid. carb. Potassa Soda 10.295 ©/o 21.600/n 6.005°%/0 34.957 0/0 Nelle piantine intristite l’acqua era contenuta in quantità di poco minore che nelle piante rigogliose; le ceneri rappresentanti la somma dei sali, '/, meno; il cloro quasi al doppio e la soda il 2°/, in quantità maggiore di quello che era contenuta nelle piante rigogliose. Prima di discutere questi risultati, trascrivo quanto si ricavò analogamente per la Cakile maritima Scop. In 100 parti di pianta intristita. Acqua Sost. organ. , Ceneri 73.660/, 24.080 2,31% In 100 parti di pianta rigogliosa. Acqua Sost.organ. Ceneri Wp:880/0 021270)! 8. 35 9/0 ANNALI DI BorAaNnICA — VoL. V Cloro 23. 85 0/0 Cloro 11.85 9/0 In 100 parti di ceneri. Acid, carb. Potassa Soda (.280/, 8.88°/ 15.015°/0 In 100 parti di ceneri. Acid. carb. Potassa Soda 7.15°/ 17.80° 19,67% 22 » ” a A nl i 4 v PE è ARCO per agony specie, cc È Fonfind 0, erha (2 RARE PIRLA gliosi; i sali ‘/, in meno; il cloro in quantità più che doppia e la soda */, in meno. . La potassa rivela un contegno molto incerto. Gli elementi, che, nei casi delle due specie esaminate, conser- vano un comportamento uniforme, sono l’acqua, la sostanza orga- nica e le ceneri in 100 parti di pianta viva, ed il cloro in 100 E: di ceneri. Nell’interpretare queste analisi mi fermerò appunto a questi elementi ed alla soda, scrivendo di qualche altro quell’ac- cenno che mi parrà opportuno. Pertanto quale significato biologico dovremo dare a queste dif- ferenze, ossia quale rapporto potrà correre tra esse e lo sviluppo raggiunto dalle diverse piante? È quanto ora si vedrà. Acqua. — L'importanza dell’acqua quale componente normale del plasma è a tutti nota, e lo è particolarmente per le due specie qui prese in esame a causa della loro ricchezza in tessuti paren- chimatosi nei fusti e nelle foglie. Epperò anche le percentuali del- l'uno e del due al disotto dell’optimum potrebbe in alcuni casi de- terminare disturbi funzionali, e avere perciò un riflesso nell’accre- scimento della pianta. Ma la differenza di sviluppo che questi esemplari presentano è troppo grande, perchè possa essere anche in piccola parte determi- nata dall'uno o dal due per cento di acqua in più o in meno. Invero per l'una e per l’altra specie sì confrontano piantine intristite del peso medio di un gramma con altre di 100 pel Mesembrianthemum nodiflorum L., e di 200 per la Cakile maritima. È assurdo il sup- porre che nel caso delle piante tristi la sospensione dei fatti for- mativi, o comunque i disturbi che portano all’arresto dell’accresci- mento, possa essere determinata da una causa così piccola. Sostanza organica. — L'analisi centesimale ne rivela una per- centuale maggiore nelle piante intristite. Da ciò si dovrebbe dedurre, con criterio troppo elementare da molti seguito, che le condizioni di ambiente in genere, o le azioni specifiche dei singoli fattori, fos- sero più favorevoli alla loro vegetazione. Ciò è contrario al vero, sia per la possibilità che questa più alta percentuale sia una fun- zione numerica della diminuzione dell’acqua e dei sali, sia perchè ‘ la quantità della sostanza organica prodotta da una pianta, per es- sere assunta come indice certo e sicuro di rigoglio, va calcolata in Nelle piantine intristite l’. acqua era cons in a suit poco minore a quella contenuta nei corrispondenti esemplari rigo- | PA cui sviluppo è in ogni caso È dimostrazione. teniata e ion i | della sua attività vegetativa. Ceneri. — La composizione centesimale di 100 parti di pianta viva ne contiene una quantità che è maggiore negli esemplari ri- gogliosi, e per ambe le specie studiate le percentuali si trovano in un rapporto che approssimativamente può essere espresso con 3: 2. ‘Ora, una maggior quantità di ceneri in piante della stessa specie, .e che, come quelle prese in esame, contenevano una percentuale di acqua quasi uguale, è indice certo di un maggior assorbimento «di sali dal terreno. Ma la misura esatta di questa « maggior somma «di sali assorbiti », più che dalla composizione centesimale dell’u- nità di peso, si ha dal confronto della quantità totale della cenere fornita dalle piante intere. E ciò perchè è sempre possibile che pesi o volumi uguali di una stessa pianta o di piante diverse, in terreno della stessa natura, ‘contengano la stessa quantità di sali indipendentemente dallo svi- luppo raggiunto. Rifereudoci alle piante intere, la quantità delle ceneri diventa: Mesembrianthemum nodiflorum L. CENERI È Pose medio. Co pin 100 parti Inn Peso total | ‘di pata ' Imungr. di pianta dei sali saab Esemplari intristiti.| gr. 1.00 {14.924 gr 0401924 gr. 0.07924 » rigogliosi | » 200.00 di 12 » 0.1112 » 22.240. Cakile maritima. Esemplari intristiti.| gr. 1.00 2.81 gr. 0. 0231 gr. 0.0251 » rigogliosi | » 300.00 3. 35 >» 0.0335 > 10,050 Stabilito ciò, viene spontanea la domanda: Le specie chimiche ‘che entrano a costituire le ceneri delle piante intristite e quelle delle piante rigogliose, sono qualitativamente e quantitativamente le stesse, oppure, nell’uno e nell'altro caso presentano differenze apprezzabili che possano avere qualche relazione collo sviluppo cor- rispondente delle piante stesse? Ed ancora: Questa grande differenza di forme e di sviluppo ha la sua ragione nella maggiore o minore x ZITTA RAEE “ Bor A | (A: DA È A VA, E.) Pre Tui QRS BORE Rod dai 0 và, "dt uni » p = RAZOR PIPA STE ‘ = Masntiti ‘du qua cano degli ‘elemen TAI e cene ri, 0 per zione con qualche altra condizione di ambiente? i. 300 Per rispondervi basterà esaminare tre fra gli elementi "ni vestiti >" ; dall’analisi: il cloro, la soda e la potassa, e particolarmente i due. ve i £ primi, siccome quelli ai quali sì dà qui un valore biologico parti Sa à colare in rapporto alla vegetazione. Pr a) Cloro. — L'analisi centesimale delle ceneri rivela che questo Ti elemento trovasi più o meno in quantità doppia nelle piante in- ; tristite. Questa notizia però non è sufficiente da sola, per dire della 1 possibile influenza del cloro, ma è necessario anzitutto determi- pe narne la sua quantità assoluta nell’ unità di peso della pianta. LI ° *% . . . . ‘ . e. Ciò equivale a considerarlo nel momento in cui esso può agire sul M plasma vegetale. Questo risultato si ottiene calcolando il cloro con- ta tenuto nelle ceneri corrispondenti a 100 parti di pianta viva. fe: Si ha così; fi; ci Mesembrianth. nodifl. Vo: Esemplari intristiti : %: i; Se 100 parti di ceneri contengono parti 18.25 di cloro, parti 7.924 sd di ceneri, ne conterranno &. un * E semplificando: me. 100 : 18.25 :: 7.924 : e; d’onde + —=1.446 parti di cloro! DIE Esemplari rigogliosi : te, Con processo analogo si ha: Ja 100 : 10.295 :: 11.12 : @; d’onde «x = 1.1448 di cloro. * Cakile maritima. fi Esemplari intristiti : aa 100 : 23.85 :: 2.31: 2; d’onde a — 0.5509 di cloro. ‘A ‘ Esemplari rigogliosi : ld 4 4 ON i 100 : 11.85 : : 3.35 : 2; d’onde x — 0.3968 di cloro. pw H Le cifre così ricavate esprimono la quantità assoluta del cloro Ma contenuto nelle soluzioni saline che circolano nella pianta o nella fr sua unità di peso o di volume. Qui per essere più precisi occorre- 7A rebbe considerarlo anche in rapporto alla quantità dell’acqua che, 4 | —» libero o associato con altri elementi, lo tiene in soluzione. Ma nel vi SE caso delle piante in esame, ciò non è necessario, poichè le percentuali LE di acqua da esse contenute non differiscono che di uno o due cen- tesimi, ciò che è trascurabile. s% Ca pcdt 4 ala x dr; ; Nor - Talché, limi lo vil falcalo. alle E if” de SEL È rd lole in Fappusd collo sviluppo delle piante cui si riferiscono, alla «pi domanda si può rispondere che le differenze fra 1.446 e ev. - 1.448 che sono le percentuali del cloro in 100 parti di piante vive, en intristite le une, rigogliose le altre, pel Mesembrianth., e fra 0.5509 -.e 0.3968 per la Cakile, non sono sufficienti a spiegare l’intristimento i» degli esemplari che lo contengono in maggiore quantità. net Un elemento chimicamente attivo come questo se agisce sul pla-_ Ri sma vegetale allorchè è contenuto nella pianta colla percentuale di SE 1.446 agisce anche, per quanto in proporzione minore, con quella di "5 A 1.1448. Ed i disturbi funzionali ai quali nell’uno e nell’altro caso beer. può dar luogo non possono essere così diversi per natura ed intensità K; 4 «da determinare tanta differenza di sviluppo quant’è quella offerta pi u dalle piante in esame. Osservo poi che la sospensione dei fatti for- BE mativi non porta mai, o in casi rari, alla sospensione di tutti quelli altri fatti che danno luogo alla fioritura ed alla fruttificazione, i quali sono pur essi altrettante manifestazioni dell’attività del pla- È sma. Giacché, lo ricordo ancora una volta, la differenza che esiste nc | fra le piante prese in esame consiste solo nel numero, nelle dimen- i sy sioni e nelle forme degli organi, (radice, fusto, GELA fiori); ma il * ciclo vegetativo si compie per intero e in tutti i casi, a partire dalla a germinazione fino alla fioritura e maturazione del seme. b) Soda. — Le ceneri delle piante intristite di Mesembrian- i 5 themum nodiflorum ne rivelano una percentuale che è maggiore del nat. 2% di quella riscontrata nei corrispondenti esemplari rigogliosi, ma “DI nella Cakile maritima essa presenta un contegno diverso. Talchè, se | SÉ nel dire della sua azione sul plasma vegetale si adottasse per criterio iS ° il confronto tra queste percentuali e lo sviluppo che le piante pre- S sentavano in natura, si dovrebbe concludere che detta sostanza è vc dannosa in un caso e utile nell’altro ; il che sarebbe errato. La diffe- st renza del 2 % è poco significativa in confronto all’alta percentuale che anche le piante normalmente sviluppate, ne contengono; inoltre se con calcolo analogo a quello seguito per il cloro si determina la quan- tità della soda in cento parti di pianta viva, si troverà che la diffe- renza presentata dall’analisi centesimale delle ceneri delle piante di Mesembrianthemum scompare, assume senso contrario, e conforme a quello riscontrato nelle ceneri della Cakile maritima. Invero si ha: Mesembrianthemum nodiflorum. — Piante .intristite. — In 100 parti di ceneri ne erano contenute 39.99 di soda, e gr. 7.924 di À, Le: eg #6 [ASP ceneri ne avra con ontenuto tanto quanto ne viene indicata ” P9PW ut er Mg | proporzione: Mea, 2a 100 : 39.99 :: 7.924 : x; d’onde x — 3.169. Analogamente, per i corrispondenti esemplari rigogliosi, si avrà + 100.:'37.:967.;: 111272; d'onde x =‘4.221. I valori così dedotti sono troppo eloquenti perchè abbiano bi- sogno di interpretazione. Cakile maritima. — Piante intristite. — In 100 parti di ceneri sono contenute 15.015 parti di soda, e in parti 2.31 ne saranno con- tenute tante quante ne dà la seguente proporzione: 100 : 15.015 ::2.31:: x; donde x — 0.3468. Analogamente per gli esemplari rigogliosi : 100 : 19.67 :: 3.35: ©; donde x —- 0.6589. I risultati sono molto istruttivi; e anche nell’ipotesi ammissi- bile che una piccola parte della soda si trovi estranea alla soluzione libera, si avrebbe che nelle piante intristite, in esame, doveva cir- colare una soluzione sodica poco differente del 4.1700% ed i in quelle rigogliose una del 5.353 % le quali sono di gran lunga superiori a quelle più elevate di cloruro di sodio sperimentate come tossiche sul plasma vegetale. Non solo; ma per quanto non sì possa dire con precisione quale sia lo stato della soda nei succhi vegetali, pure tenendo conto della sua solubilità e di quella dei suoi sali, della sua affinità per il cloro e del suo stato di combinazione prima dell’assorbimento, vi è luogo a supporre che nei succhi vegetali s1 trovi allo stato di clo- ruro, epperò la concentrazione salina che vi determinerebbe sarebbe ancor superiore a quella precedentemente calcolata. Dal riassunto di tutti questi risultati si rileva una relazione costante tra la presenza e la quantità della soda contenuta nelle ce- neri delle piante analizzate, e lo stato di rigoglio che presentavano queste ultime prima di essere raccolte, epperò con interpretazione letterale si dovrebbe concludere in favore dell’utilità di questa so- stanza. Ma questa conclusione è da respingere, poichè se detta co- stanza è vera, è anche vero che le differenze con cui essa è stata riscontrata in tutti gli esemplari, non sono tali da far credere che | negli intristiti non possa più esercitare quell’azione utile che si at- tribuirebbe nei rigogliosi. nell'interno Jolla pianta, vi può essere contenuta a lungo e in quan- tità rilevanti, senza venire assimilata e senza ostacolare, se non in casi speciali, l’assimilazione di ogni altro elemento. Questi casi, a parer mio, vanno riferiti a quelle condizioni patologiche che spesso particolari fattori dell'ambiente inducono nelle piante e che sono capaci di accentuarsi anche per l’azione di cause che altrimenti riuscirebbero indifferenti. Tale sarebbe una nutrizione lenta e in- completa determinata da vera povertà del terreno di sostanze utili o da un assorbimento reso difficile dalle condizioni fisiche del ter- reno stesso. P. es. dalla compattezza o dalla presenza di elementi divisori troppo numerosi. c) Potassa. — Il contegno di questa sostanza, osservato nella composizione centesimale delle ceneri, ripete quello già osservato per la soda, però riferito a 100 parti di pianta viva se ne discosta alquanto. Si ha, nel Mesembrianthemum nodiflorum — Piante intristite. — In 100 parti di cenere ne sono contenute 3.48 di Potassa, e in 7.924 di cenere ne sono contenute tante quante ne dà la seguente proporzione: 100 : 8.40:: 7.924:x; donde x — 0.67195 (in 100 parti di pianta viva). Con lo stesso calcolo, si ha, per gli esemplari rigogliosi: 100 : 6.005 :: 11.12: x; donde x —=0.66775 (in 100 parti di pianta viva). La quantità della Potassa sarebbe perciò di poco differente nelle piante vive in esame, chè nelle condizioni di vegetazione in cui furono osservate e raccolte ne contenevano quantità eguali. Analogamente si ha per la Cakile maritima. — Piante intristite. bia: 21: a donde; W193597" e per quelle rigogliose: 100°1730%:: 3.35 x + dondette = 0.67955. Le piante rigogliose avevano assorbito, cioè, una percentuale di potassa quattro volte maggiore di quella assorbita dai corrispondenti esemplari intristiti. LI SN ona) fl $ mi AULA ui de de % pee-*.4 231 Li 1° La quantità relativa ed ott dei sali assorbiti ati fre è sempre maggiore negli esemplari meglio sviluppati; 2° L'acqua non presenta differenze quantitative apprezzabili ; 3° IL cloro, la soda e la potassa non rivelano alcun contegno co- stante in relazione al diverso sviluppo che presenta la pianta viva. E paragonando queste notizie con quelle altre relative alla co- stituzione chimica del terreno, si può scrivere: « La costituzione chimica delle piante ripete perfettamente quella < del terreno, e le differenze quantitative che nell’uno e nell’altro <« caso possono presentare i singoli elementi, non sono tali da spie- « gare e da permettere l’interpretazione di uno qualunque dei fatti « di vegetazione già descritti per la flora di queste Saline e per < quella del littorale circostante ». E più particolarmente: « Lo sviluppo e la forma delle piante analizzate non avevano re- lazione colla quantità di acqua, cloro, soda e potassa che le piante ed il terreno contenevano ». Il microfitismo così tipico nelle due specie studiate, sembra perciò essere determinato da cause estranee alla natura chimica del terreno. Invero l’enorme differenza di sviluppo presentata da piante della stessa specie aventi una stessa costituzione chimica, e vegetanti in terreni pure egualmente costituiti, non può dipendere che dalla di- versa intensità con cui nello stesso tempo furono assorbite ed assimi- late le sostanze nutritizie necessarie. Il regolare sviluppo, nel caso in esame, deve perciò considerarsi come una funzione delle azioni fisiche del terreno (compattezza, permeabilità, ecc.), le quali, costì- tuendo attorno alle radici l’ambiente in cui le differenti azioni chimiche si svolgono, favoriscono od ostacolano i fatti di scompo- sizione e di ricomposizione cuni le diverse sostanze danno luogo, e regolano l'assorbimento dei prodotti che ne derivano. Ciò viene provato anche dalla seguente esperienza: Basta to- gliere dal luogo di origine piantine di Cakile maritima Scop., Me- sembrianthemum nodiflorum L.... ecc. già fiorite e trapiantarle indi in terreno di giardino. Sottoposte a regime di soluzione nu- tritizia con aggiunta di sal marino, esse riprendono a vegetare, prima lentamente e poi con rigoglio, mentre i fiori già formati gra- datamente avvizziscono, senza che i frutti successivamente maturino. In capo a qualche mese le piante raggiungono considerevole sviluppo, rifioriscono e fruttificano. irrate alle piantine, sotto pra assorbibile, i sali che si i trovavano 0 nel terreno, e ossercare se, e come, si modificarano le dimensioni e la forma degli organi ». I risultati sono stati in tutti i casi eloquenti e dimostrano che «le piante prosperano anche in presenza di forti percentuali di sal marino, quando contemporaneamente possano assorbire altri sali utili, e che pertanto le tracce che di questi ultimi può contenere il terreno in vicinanza delle radici, non sempre sono sufficienti per una normale vegetazione ». A queste condizioni di vita deve anche riferirsi la precocità della fioritura nella flora spontanea, e che qui parrebbe determinata dal «carattere salino della stazione. Invero il fatto per cui i processi che conducono alla fioritura ed alla fruttificazione possono essere modificati e sospesi allorchè s interviene ‘opportunamente con soluzioni nutritrizie e si riattivano i fatti formativi, dimostra che i primi sono particolarmente favoriti dallo stato di in- sufficiente nutrizione in cui le piante si trovano. i Di non minore importanza è l’altro fatto rivelato dall'analisi e che’ si riferisce alla costituzione chimica della pianta e per il quale gli esemplari meglio sviluppati contengono in confronto di pesi uguali di quelli intristiti una quantità maggiore di cloro e di soda, od una di poco minore. Ciò dimostra che /a capacità che hanno le piante di contener questi due elementi aumenta in ragione diretta della pro- sperità che esse raggiungono in dipendenza delle loro condizioni utili di vegetazione. CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI GENERALI. — I risultati delle pre- senti ricerche concordano nel dimostrare che i fatti di biologia de- scritti per la flora di queste saline e del littorale (sporadicità; mi- crofitismo e particolare ubicazione) sono indipendenti dal valore tos- sico o da quello alimentare attribuibile al sale maririo, e che essi debbono considerarsi come l’effetto multiforme di condizioni più ge- nerali di nutrizione in cui le piante possono trovarsi. L'essere o non essere di queste ultime in determinati punti, dipende cioè dalla strut- tura del substrato e dal minimum di forme al quale le specie possono ridursi senza che periscano. Le stesse specie alofite le quali sono le prevalenti e spesso le esclusive dei tratti littoranei depressi ed inquinati, se da un lato dimostrano che la loro presenza è legata ivi a quella delle soluzioni salate del sottosuolo, dall'altro dimostrano anche col loro permanente intristimento, col loro contenuto di cloro, di soda e di potassio e coi La RI n di Pi [e] pe gi me AT, ra Mr TR 1-7 4 - ti ite 4% 7 Li sg St cui pre toga: quando in quelle condizioni vengano trattate 3 con soluzioni nutritizie, che quest’azione del sale marino resta estri ra- nea ai fatti vegetativi delle piante. Invero tutte le ricerche analitiche e sintetiche hanno dato il se- guente risultato : 1°Il cloro ed il sodio possono essere contenuti in quantità indif- ferente nelle piante; 2° L’intristimento delle piante cessa pel riattivarsi della loro vegetazione allorchè si somministrino ad esse delle soluzioni nutri- tizie. L’azione del sale si rivela così di carattere puramente meccanico ed in rapporto a particolari condizioni di struttura, le quali ultime co- stituiscono perciò il vero adattamento delle alofite. Intanto esse su- biscono tutte le altre vicende di vita cui ogn’altra specie va soggetta, e prosperano o intristiscono a seconda della ricchezza o della po- vertà di tutti quelli elementi che l’esperienza dimostra utili e ne- cessari ad ogni pianta. Il fatto costante, poi, per cui queste alofite dànno una grande quantità di ceneri, (il che equivale a contenere una grande quantità di sali) lascia anche supporre che in grazia della loro particolare struttura esse possano trarre dalle soluzioni saline un utile maggiore di quello che ogni altra specie può trarne. Posto ciò, è chiaro che il loro intristimento e quello di tutta la flora in generale, non abbia la sua origine nell'azione tossica del sale marino, ma nella povertà di sostanze utili e nei caratteri fisici del substrato. È E poichè la quistione ha il suo lato pratico, dirò, come, prima e durante le presenti ricerche la pratica agricola abbia risposto analo- gamente al vieto pregiudizio della tossicità assoluta del sale marino, e che il littorale sempre povero di vegetazione, e più che tutto di piante utili, da tempo ed in molti tratti, rotto e dissodato il terreno, è stato adibito alla coltivazione delle piante erbacee, di frutici ed an- che di alberi, con buoni risultati. Eppure, in tutti questi casì, la per- centuale del sale ne) terreno, è rimasta o si rivela costante o quasi. L'azione tossica del sale marino affermata dal Lesage e dal Coupin, e sperimentata somministrando questo sale in soluzione pura di acqua ridistillata, non può essere invocata per dire della resistenza fisiolo- gica delle piante prese in esperimento. (Giacchè il privare la pianta stessa di quelle sostanze che essa ha facoltà di assorbire e di assimilare, vale porre il plasma vegetale nella condizione di non potersi rifornire di quanto esso continuamente consuma. Sarebbe lo stesso che voler sperimentare la potenza di una macchina a vapore senza bruciare SI lia | mazione di calore. i Le condizioni patologiche nelle nai si pose il plasma nelle esperienze anzidette sono da sole sufficienti a determinarne la morte. epperò nessuna meraviglia se la presenza di una data sostanza in eccesso possa in qualche modo contribuirvi accelerandola. La resistenza fisiologica della pianta non è un attributo insito e- indipendente dalle condizioni di ambiente, ma è data « da quella risultante, di qualunque natura essa sia, cui i diversi elementi chi- mici possono dar luogo nell'interno della pianta stessa, in virtà delle loro affinità e delle molteplici cause fisiche che le influenzano ». Posto ciò, misurare l’una vale quanto misurare l’altra, nè si potrà avere giusto concetto del valore della prima, se non conservando le com- ponenti della seconda in condizioni normali. Il criterio da me seguito in queste ricerche fu appunto quello di « verificare per via analitica, e, meglio ancora, per via sintetica, se le piante avevano a loro disposizione e se assorbivano dal terreno oltre che il cloro e la soda, anche tutti gli altri n-2 elementi ». I risultati ottenuti per vie diverse e verificati nei modi più differenti confermano che: « Indipendentemente dallo stato, natura e intensità colla quale il cloro e la soda possono agire sul plasma vegetale, la resistenza fisiologica della pianta salina aumenta notevolmente in ragione della prosperità che le deriva dalla presenza e dall’azione di tutti gli altri fattori utili alla vita ». Epperò nelle condizioni di osservazione e di esperimento in cui sì posero 1 predetti autori, sarà sempre possibile constatare che la generalità delle piante che vegetino in contatto di 1.50 °/, di sale marino presentino una decomposizione della clorofilla; che questa percentuale sia l'equivalente tossico di detto sale; che si osservino molti fatti di vegetazione che conducano alla interpretazione data dallo Schimper alla sua azione sui succhi vegetali, od all’altra data dallo Stahl sulla chiusura degli stomi; ma l’alta percentuale del 6 % di sale marino trovato aderente alle radici delle piante spon- tanee qui prese in esame, la più alta concentrazione salina dei succhi vegetali, quelle altissime di cloro e di soda riscontrate in piante ri- gogliose in confronto a valori minori offerti dai corrispondenti esem- plari intristiti saranno certo la miglior prova che non sempre gli stomi si chiudono, che non sempre il sale marino avvelena i succhi, che il suo coefficiente tossico non sempre è elevato quale comune- mente lo si afferma, e che la ‘clorofilla non sempre si decompone, nè che i cloroplasti si “n d POETI gr Aa ; #* ; LE TACI urti Chi ne assicura che le. con dizioni di vita ch ‘nel littorale non sieno le stesse fatte dal Lésage e dal D loro colture, e che gli esemplari da loro osservati vi ein ” Dr sol perchè dal terreno stesso non potevano assorbire che soluzione #3 P di sale marino? E nell’ipotesi che il terreno contenesse tutti i sali | î M utili in quantità sufficiente, chi ne assicura che tutte le altre con-_ | Di dizioni di ambiente fossero favorevoli al loro assorbimento ed alla n. loro assimilazione? Dalle analisi precedentemente discusse risulta Ni che « piante vegetanti in terreno avente caratteri chimici costanti, co si rivelarono pur esse analogamente costituite, ma spesso con svi- "; luppo molto differente ». $ Non solo, ma, fatto interessante, il Sanna dimostra che nel caso del Mesembrianthemum nodiflorum L.la percentuale del sale marino assorbito si è rivelato quasi costante in tutti gli esemplari esami- nati a partire dalla germinazione fino al tramonto della vegetazione. 3 La costituzione chimica dell’unità fondamentale della pianta, cioè della cellula, si rivela quindi qualitativamente la stessa tanto nelle . piante intrististe come, in quelle rigogliose, solo che nel primo caso, per cause ignote o conosciute, le cellule della pianta non raggiun- gono quel grado di maturità fisiologica che porta alla loro moltipli- cazione ed al conseguente accrescimento della pianta stessa. Ove quest’accrescimento si verifichi, il sale marino, od i suoi elementi, passivamente contenuti e trasportati, si diffondono nelle partì reo- formate senza determinarvi quei disturbi funzionali che nelle piante intristite loro si attribuiscono. In tutti i casi il cloro e la soda permangono nei succhi come elementi inutili alla nutrizione (ma non i soli) e vi sono tanto più abbondanti quanto più ne sono relativamente ricche le soluzioni nutritizie assorbite dal terreno. Orbene, questa grande quantità di cloro e di soda che normalmente si riscontra nelle Alofite, è stata appunto assunta come criterio per chiamare queste piante « avide 0 amanti del sale marino o della soda ». Un vero paradosso fisiologico, se sì considera che l’elezione per una data sostanza è determinata e regolata dalla quantità colla quale la pianta la elabora, e che con- temporaneamente alle sostanze assorbite per elezione, avviene anche l'assorbimento di materiali inutili i quali sì riscontreranno nella pianta in quantità tanto più grande, quanto più quella degli ele- menti utili era piccola. Non capisco come lo Schimper possa conciliare ad un tempo /a ricchezza di sale nelle Alofite come dipendente da particolare avidità, col fatto che Ze Alofite possono prosperare anche su terreni ordinari, dore spesso si trovano in buone condizioni. Se questo grado di satu-_ sà Bg ha, LI re > Pi SETE 3 RIE) quantità significanti da soddisfare questa pretesa avidità. Essa sa- rebbe ammissibile solo quando si potesse dimostrare che, sommini- strando ad una di queste piante una soluzione complessa di sali dif- ferenti, compreso cloruro sodico, la pianta assorbisse quest’ultimo in quantità molto grande relativamente agli altri. Ma ciò non sarà mai possibile, e le presenti analisi dimostrano che tutti gli elementi erano presenti nella pianta, in relazione alla percentuale colla quale si tro- vavano nel terreno aderente alle radici o nella soluzione nutritizia. Per questa errata interpretazione del contenuto sodico, lo Schimper niega che la ricchezza dei sali nelle dette Alofite, si debba esclusiva- mente ai loro substrati passivi, e ricorda il fatto che esse « riuni- scono, anche se coltivate in terreno comune, maggiore quantità di cloruro di sodio della maggior parte delle non Alofite ». Questo fatto è sperimentabile, ma l’interpretazione non è esatta, giacchè qui è stato largamente dimostrato che detta quantità di sale non ha al- cuna relazione colla prosperità della pianta. . Subordinatamente, la presenza o la mancanza di determinate spe- cie nel terreno littoraneo, non deve spiegarsi soltanto coll’azione at- trattiva o repulsiva del sale marino quale viene ora dimostrata, sibbene col complesso di tutti quelli altri fatti di ordine fisico che risiedono nella struttura fisico-chimica del terreno e del clima, e di ordine biologico comune a tutte le stazioni botaniche, ed in cui la vita di ogni specie vegetale è in modo diverso influenzata, a seconda dell’inizio del suo ciclo vegetativo e dei fatti particolari di vege- tazione che esso può presentare. La spiegazione che ne danno il Masclef e lo Schimper, come do- vuta a mancanza di attitudine e di capacità alla lotta, è troppo ge- nerica e nulla spiega. Non si sa, cioè, se la morte di molte piante che vi germinano, e che non arrivano mai alla fioritura, avvenga per mancanza di una loro particolare organizzazione, oppure per il di- fetto di un substrato fertile nel terreno. Ciò che non è lo stesso. CONCLUSIONI GENERALI. — Riassumendo i risultati delle osserva- zioni condotte alla superficie del terreno, in profondità e sulle piante, “sì ha: 1° La presenza o meno di piante germinanti nel tempo del ri- sveglio della vegetazione, in queste saline e nel littorale circostante, è in rapporto colla presenza di residui organici alla superficie del terreno e colla sua durezza; fagginngerlo e lo nità, Menche dora ne sono contenute. buzion ) ite Della ae pu del terreno; n ei a Bi 3° La prevalenza delle specie erbacee sulle RIOREÌ DE xl mi-o 239 di crofitismo generale di tutte le piante sono determinati dalla insuf- SIE ficienza di uno strato fertile di terreno, dall’inquinamento del sotto- ‘ n ò suolo e dal suo conseguente impoverimento; ù: 4° Il sale che si raccoglie alla superficie del suolo non può co- È stituìre un criterio sufficiente di misura, per dire del suo valore bio- logico, poichè in profondità, ove sì diffondono le radici delle piante, trovasi in quantità molto minore; o 5° La percentuale del sale riscontrato in contatto delle radici delle piante e quella dei singoli sali da queste contenuti, non ha alcun rapporto collo sviluppo rigoglioso od intristito che le stesse Ri possono presentare È (i° Rimane sempre insoluto il problema perchè nelle plaghe sa- late vivano in diretto contatto del sale esclusivamente certe specie ve- a getali (Alofite), e nessuna delle altre crescenti altrove sul globo. Se la | soluzione di questo problema è possibile, essa è legata senza dubbio in massima parte ad uno studio accurato e profondo della struttura ar anatomica istologica delle alofite stesse. Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel ‘Regio Istituto Botanico di Roma XIII. - Meccanismo di secrezione degli enzimi di EnRICO PANTANELLI TERE. Secrezione reversibile dell’ invertasi. In un lavoro precedente (1) abbiamo dichiarato che per secrezione intendiamo una funzione vitale e precisamente: « L'emissione di sostanze dal protoplasto vivo, resa possibile da un cambiamento autoregolato delle condizioni di permeabilità della membrana plasmica, tale che l'organismo possa a piacere revertirlo >. < Se una sostanza abbandona il protoplasto perchè la membrana plasmica è definitivamente più o meno offesa, non ci può essere re- versione ed il processo non è una secrezione ». Nel presente lavoro esponiamo le ricerche che abbiamo fatto per stabilire se la emissione di invertasi può essere ad un certo momento arrestatada l’organismo; in questo caso si avrebbe una vera secrezione. Il metodo è quello già segnato in quello stesso luogo, p. 118: Au- mentare o diminuire la permeabilità della membrana plasmica con l'aggiunta di sostanze permeabili od impermeabili (2). Come tali vennero adoperate in questo studio non-elettroliti ed elettroliti (sali, acidi, basi), in alcune esperienze anche colloidi. (1) Annali di Botanica, vol. III, p. 113 (1905). (2) Su l’influenza delle sostanze permeabili ed impermeabili su la permea- bilità della membrana plasmica, v. PANTANELLI, Esplosione delle cellule, Annali di Botanica, vol. II, p. 345 (1905). “NATE, fi; h Ti P x A eTRi É © ge i) MA CAS SIE ì î te; PDA LES au ni Esperienze preliminari. | tall - =, OA a . Lievito Chianti, n. 31. ue Fu seminata un’ansa di questo lievito in due bocce, ognuna delle quali conteneva 200 cme. della soluzione: tartrato d'ammonio 1 %, KH, P 0, 0,5%» MgS0, + 7 aq. 0.5 %, saccarosio. Dopo 8 giorni, a temperatura della stanza (16°), il lievito si era completamente depositato. Allora furono tolti per decan- tazione, da ognuna delle culture, 35 eme. per fare le seguenti determinazioni. (dd . e BE, Acidità ViscositàN Zucchero | Invertasi n SLI | t forte | totale gia” totale | riduttore saccarosio | lorda | netta % | 2.2| 7.8| 1742 |424(7) 202. 0) 221.5 |872(3)| 169.5 È dd 1.8] 6.6| 1685 |378(3) (187.5(1) 190.5 |416(2)|228.5 Bia | | È Per acidità forte s'intende la quantità, 1n cme., di NaOH '/ norm. ne- cessaria a neutralizzare rispetto all’arancio di metile 10 cme. del liquido v da esaminare, liberato dal CO, per lieve riscaldamento ed agitazione; per A acidità totale la quantità di NaOH '/ norm. necessaria a neutralizzare 10) cme. rispetto al tornasole. }; La viscosità fu misurata su 5 eme. di liquido, con viscosimetro Ostwaldi de» in bagno termoregolato a 25°. Per la sottrazione dei detti 35 cme., i liquidi culturali erano ridotti a 265 eme. Furono aggiunti ad A 30 cme. di CaCl, al 3T%+ 70 cme. di saccarosio al 10%; a B 100 cme. di saccarosio al 10 %. Per questa aggiunta, il liquido primitivo fu portato in ogni cultura a 365 cme., per cni le sostanze, che prima si trovavano in 10 eme., ora si trovano in 15.77 cme., 0, vice- 3 versa, 10 cme. dell’attuale liquido culturale, ammesso che la concentrazione A dell’acidità, dello zucchero e dell’invertasi varii, entro questi limiti, linear- mente con la diluizione, contengono: x Zucchero Invertasi Acidità | | i | Viscosità | DEI forte I totale | totale riduttore | saccarosio | lorda netta MISI — 807,9 | 160,8 | 146.8| —is6Ae Bici LE i — .| 2745 | 188.8 156.1 nh 165,9 ta nel secondo caso Acidità Tr” Zucchero Invertasi Viscosità e forte | totale | totale riduttore | saccarosio lorda netta | i Ao .| 15] 82] 165.4 0 0 | 0 |480(=)| 480 | 1 SI 1 1 bB 1.2 4.5 IA:GEST 285 (= 65 | 220(3 {416(= 196 () e |20(3)| 006) | | | Vediamo da questi numeri, che l’aggiunta di cloruro di calcio e saccarosio ha prodotto un forte aumento nell’attività invertasica estracellulare, mentre l'aggiunta del solo saccarosio ha fatto anmen- tare di ben poco l’invertasi esterna. Nel primo caso si ebbe forse una leggera plasmolisi. Infatti il liquido subì un aumento di pressione osmotica di 4. 0379 %s., e pre- cisamente 3.664 is. CaCl, (= 3.041 %) e 0. 3739 is. di saccarosio ‘(=:1.918 %) ciò che bastò forse per produrre una leggera contra- zione, se non addirittura una plasmolisi (1), mentre in 5 l'aumento di concentrazione fu soltanto di 0.533 #s. di saccarosio (= 2. 739 %). Ora è noto, che la plasmolisi fa uscire invertasi da le cellule (2). Inoltre il cloruro di calcio esalta l’azione dell’invertina anche in vitro, come vedremo più avanti (3). Ma in questa esperienza mi convinsi, che il lievito male si adatta ad esperienze di questo genere, perchè, se riprende a fermentare, si depone a fatica e non è possibile allora avere il to soprastante affatto privo di cellule. Allora mi sono rivolto a le Mucoracee, che mi hanno prestato così eccellenti servigi negli studi precedenti. Per poter togliere a le culture di Mucorine ed altri organismi sviluppantisi a la superficie del liquido culturale i saggi per le analisi senza disturbare il fungo, ho fatto esclusivamente uso in questo lavoro del vaso di cultura schiz- (1) Dopo 8 giorni di fermentazione, il lievito non può avere più di 6-8 îs. di pressione cellulare. Cfr. PANTANELLI, Ricerche sul turgore del lievito, Ann. tu Botan., vol. IV, p. 7 (1906). (2) Gavon. — Comptes-rendus, vol. CII, p. 978 (1877). LixtNER. — Centralbl. f. Bakteriol., (II), vol. V., p. 793 (1899); IssaJeWw. — Zeitschr. f. ges. Brawwesen, vol. XXIII, p. 796 (1900); Cannon. — Centralbl. f. Bakteriol., (II), vol. XII, p. 472 (1904). (3) I sali di calcio esaltano anche l’amilasi: CZAPEK, Biochemie der Phanzen, Vol. I, p. 344 (1904). ANNALI DI BoTANICA — Von. V. 923 EI RA Ag GORE ar: DEI br at na | tubulatura nta ti CI di 7 ‘d cupola, in modo che si possa facilmente e Sia picnariitii ricomporre; è >. uopo è opportuno tracciare col diamante alcuni segni di rèpere. Leti perficie di frattura ricombaciano allora esattamente e si assicura la chiusura ee vw. A a con un anello di caucciù alto un cm. e robusto. Mi 4 » 4 PI é 3% } Ve 9 iQ] È bi: r è » ni i Seni pri À % 0 E 7 è. ® LA n: F. TTT gr ue 0 a E v È | P La È A) ui a AA É SE | È E I ata PI) PANZER TRAI bg vi — (A \ > ) L'apertura inferiore si chiude con un tappo attraversato da un tubo di vetro, il quale esternamente termina con un tubo di caucciù chiuso da una , morsetta e da un batuffolo d’ovatta. L'apertura superiore porta un tappo a Hi due o tre buchi, di cui l'uno è attraversato da un tubo di vetro abbastanza largo, entro cui scorre la bacchetta di un agitatore di vetro, fissato al tubo Pi» stesso da un tubo di gomma molto estensibile che li pROTEbGIA tutti e due. orta inf mente 20 più brgvsiai G o Gale le quali stanno TO, immerse nel liquic do culturale. Così sì può mescolare bene il liquido senza | toccare il fungo che vi vegeta sopra; il liquido deve naturalmente superare fo - di 1-2 cm. l’apertura inferiore del tubo che fa da calza all’agitatore. Si os- DI b serva, mentre si agita, il liquido per trasparenza, e, quando questo non fa più scie, si toglie per l’apertura inferiore il volume necessario per i saggi. Gli altri due tubi che attraversano il tappo superiore, servono per far «circolare aria od altri gas per il vaso di cultura e per eseguire la semina. “730 A quest’ultimo scopo si ripartisce un’ansa piena di spore in 1-2 cm. di acqua tp a sterile e s’introduce questa sospensione, con l’aiuto di una pipetta ricurva, CE sterile, per uno dei due tubi superiori (1). Tali vasi di cultura così preparati non si possono sterilizzare a caldo, PRAA perché si spaccano quasi tutti in corrispondenza della tubulatura inferiore; Al inconveniente a cui si pone facilmente riparo con la sterilizzazione a freddo o in liquidi antisettici. Ho provato il solfato di rame al 5 %, la formalina al- i l'1 %;, ma meglio di tutti serve l’alcoo) denaturato del commercio. Si empie È È. «di spirito denaturato un profondo catino e vi si tengono immersi per un’ora e SR i pezzi separati del vaso di cultura, poi, senza toglierli da l’alcool, si ricom- A pongono a formare il vaso, indi, senza preoccuparsi di asciugarlo, si estrae (i; da l’alcool e si porta in vicinanza di un grande pallone (circa 2 litri) di > acqua sterile. Si chiude uno dei tubetti superiori con ovatta sterile, si pone x in comunicazione con la pompa e si fa affluire per l’altro tubo superiore sE posto in comunicazione col pallone, mezzo litro di acqua sterile, aspirando con la pompa. Si chiude poi la morsetta che intercede fra la boccia e il pallone, si stacca la comunicazione con la pompa, si sciaguatta bene per lavar Sd via lo spirito e si apre la morsetta inferiore. L’operazione di lavaggio si ripete tre o quattro volte, fino a che l’acqua di lavaggio non sa più di alcool denaturato, poi si fa affluire nel medesimo modo la soluzione nutritizia sterile. > La quantità più adatta di soluzione per una boccia da un litro e per le SD «culture di Mucor è di 300 cme. » Con questo sistema non ho mai avuto un’infezione nelle mie grosse culture. $ La sterilizzazione con l’alcool ha anche il vantaggio che per l’evapora- v zione dello spirito l’anello di caucciù che chiude la frattura superiore viene : ad aderire così bene al vetro, che resiste ad una sovra pressione interna di arr più di mezza atmosfera, e non lascia passare l’aria esterna neppure se la : pressione interna scende a 15 mm Hg ('/s di atmosfera). Così è possibile far . circolare nell’apparecchio azoto, idrogeno o acido carbonico senza lutare l’a- nello di gomma in modo speciale. Tutte le esperienze seguenti vennero fatte in vasi di questa sorta, della ‘capacità di un litro. Essi occupano troppo posto nei termostati, e quindi ho dovuto tenere le culture a la temperatura della stanza (tutte ad egual luce), ciò che determina uno sviluppo più lento e un ritardo nella formazione delle spore, due vantaggi assai grandi per il mio scopo. o i (1) PANTANELLI. — Jahrbiicher f. wiss. Botan, XL, p. 307 (1904). lp +49 = | Vagitatore meat) la cupo a a boccia. Si può na togliere ti mente la coperta fungina e trasportarla su altri liquidi senza c feuaria me- di nomamente. i TOA la Ri ne de ll’ pe. ‘enzi za S 1 toglie l'a ne allo di gomma ,\eslì Pa Non ho bisogno di ripetere al lettore il perchè di tutte queste precau- mi “a ) zioni avendo in parecchi lavori precedenti (1) parlato della delicatezza delle ife fungine (quelle di Mucor sono anche più sensibili delle ife dei micelii pl // ricellulari, perchè costituiscono tutte insieme una cellula sola), le quali esplo- ES " dono o muoiono facilmente per gli urti, lasciando uscire i loro materiali, ed A cioè una quantità relativamente assai forte di enzimi intracellulari. e Mucor stolonifer. ‘on questa graziosa Mucorinea ho eseguito solamente 2 esperienze. Essa infatti non si sviluppa in substrati liquidi così vivacemente ed È uniformemente come il Mucor Mucedo, al quale in seguito ho dato la. preferenza, anche perchè secerne un po’ più invertina. I. Spore di M. stolonifer furono seminate nel modo descritto in 300 cme. della consueta soluzione nutritizia (v. pag. 353) + 25 cme. di mosto d’uva.. Composizione: Zucchero o: _YT_TT————_r_or --.V.-sT.rrr Acidità totale cme. '/,, norm. totale riduttore saccarosio ut x a 2430 (35) 85(4) 2345 Dopo 7 giorni il fungo era bene sviluppato a la superficie. Il micelio era affatto privo di spore. Dopo aver agitato con cura il liquido, ne tolsi 10 cme. per la seguente analisi: Zucchero Invertasi zzzo©”]noe© © —_ PE” E E Acidità totale riduttore saccarosio lorda netta 4.2 2066 (è 100 (È 1966 168(- 68 si (10) ( 6) (7 (& è) Il liquido culturale era stato ridotto a 315 cme. Aggiunsi 100 cme. della medesima soluzione nutritizia (senza mosto) e 5 cme, di glicerina al 95 % Per questa aggiunta il volume del liquido aumentò da 5315 a 420 cme. quindi le sostanze prima contenute in 10 cme. ora si trovavano diluite in 13,33 cme. (1) Novo Giorn. Botan., (2), XI, p.841 (1904); JaRrbd. f. wiss. Botan., XL, pp. 308, pid 829, 338 (1904); Annali di Botanica, Vol. II. p. 195 (1905); Ibidem, p. 827 (1905). 46 Zucchero [ee por x AP " i. Ser ToR== ‘A: TT_ see Acidità totale essosio saccarosio Invertasi netta SID 1550 "5 1475 5I Dopo 18 ore, tolsi 20 cme. che servirono per i seguenti saggi: Zucchero Invertasi Lai —°{ pn — i ae ——— — rr, Acidità totale essosio saccarosio lorda netta 1 1 1 40. 2225(3) = 180(3) - 2046 860(4) 180 L'aggiunta della glicerina ha fatto aumentare l’invertasi esterna da 51 a 180. La cultura fu poi lasciata tranquilla per 24 giorni. In questo tempo il fungo aveva formato una coperta unita e spessa con una discreta quantità di > «sporangii. Tolsi 20 cme.: Zucchero Invertasi e Sr — scr en Acidità totale essosio saccarosio lorda netta 6.4 1562 (3) 305 (3) 1257 388 (3) 33 Il liquido occupava dunque 380 cme. Aggiunsi per la tubulatura infe- riore 70 cme. acqua + 30 cme. alcool assoluto. Così il liquido aumentò da 380 a 480 cme. Il fattore di diluizione, per cui dobbiamo moltiplicare ® | precedenti valori per stabilire quanta acidità, zucchero ed invertasi ve- nisse a trovarsi in 10 cme. dopo la diluizione, è 0. 7918. Zucchero \ dr ren“ e _ _— nn Acidità totale essosio saccarosio Invertasi netta Del 1237 241. 5 995. 5 26 Dopo 18 ore, tolsi 20 cme. per saggi: Zucchero Invertasi ==, a} lc —C& ere ear: Acidità totale essosio saccarosio lorda netta 1 1 SS 2 d237.5(g) — 38() 9125 d5(3) ti Subito dopo, aggiunsi 100 cme. di Mizione 10 is. (5. 8 Big di GAT ci: di 4 dico. Il liquido, che prima occupava 460 cme., fu così portato a 560 cme. : MU Se ; fattore di diluizione: 0. 8215. MN, s4 Zucchero ne i = SI Acidità totale essosio saccarosio Invertasi netta A s 5.1 1016 267 749 T4 Dopo 18 ore esaminai il liquido. Zucchero Invertasi iio@@f(àE eSiCS!!EE E _ __Ò_O__r se —— __;; = I 2i Acidità totale essosio saccarosio lorda ‘netta 6.0 = 85(z) 875(:) 50 385.7(5z) 10.7 I L’arrivo di cloruro sodico ha fatto diminuire l’invertasi esterna da 74 b . , . 3 ». a 10.7, sebbene il liquido contenesse ancora alcool e forse anche un po’ di X glicerina, dell’esperienza precedente. | Se consideriamo che l’alcool e la glicerina sono due sostanze facil- mente permeanti (1), mentre il cloruro sodico è quasi affatto imper- meante, possiamo trarre la conclusione che in questa esperienza l’in- vertasi nel liquido culturale è aumentata a l’afflusso di sostanze permeabili, e di nuovo diminuita per l'afflusso di una sostanza imper- 3 meabile. Pare quindi provato, che il Mucor stolonifer possa arrestare l’emissione dell'enzima, cioè sì tratti di una vera secrezione vitale. II. Fn seminato il fungo in 300 cme. di soluzione saccarosata + 25 eme. di mosto, come nell’esperienza precedente. Dopo 9 giorni tolsi 20 cme. Zucchero Invertasi ————_ —T Nd” Ù Acidità totale essosio saccarosio lorda netta 6.8 2050(z5) = 40(3) 1610 570(73) 130 Lasciai affluire di sotto 100 cme. di saccarosio al 10 % + 10 eme. di glice- rina al 95 %. Il liquido anmentò dunque da 305 a 415 cme. Fattore di dilui— zione: (0). 7350. Zuechero —_ =" -r1l—T_PP Acidità totale essosio saccarosio Invertasi netta 5.0 1507 323.4 1183, 6 95.5 (1) Novo Giorn. Botan., }. c., p. 853; Jahrb. f. wiss. Bot. 1. c. p. 841. X sà DI i Ù S i TIT en i Wi Zucchero Invertasi Acidità totale ri essosio: \.. saccarosio lorda netta Ji 1 Du 1 4.6 1500 (3) , 12.5(3) 13815 2825(3) 170 L’afflusso della glicerina insieme al saccarosio ha fatto aumentare la secrezione dell’enzima. Subito fu aggiunto 80 cme. di acqua con 10 g. di saccarosio e 20 cme. di cloruro di calcio al 37.%. Il liquido aumentò da 385 a 485 cme. Fattore di diluizione: 0). 7939. Zucchero Invertasi Acidità totale essosio saccarosio | lorda netta RANE | | 3.7 1191 89.3 | 1102.7 — | 135 Dopo 18%... ul 44 | 1400 (13) 182.5(4) 1217.5 | 480(3) | 297.5 I Nonostante l’afflusso del saccarosio e del cloruro di calcio, dune so- stanze impermeabili, la invertasi esterna è ancora notevolmente au- mentata, come già accadde nel Sacchar. ellipsoideus (pag. 5); è dubbio se l'aumento fosse dovuto al saccarosio o al cloruro di calcio. Di passaggio, faccio notare che dopo ogni variazione il fungo si sforza di riportare l'acidità al valore primitivo e divora una gran quantità di zucchero. Così in questa esperienza lo zucchero totale dopo la prima aggiunta doveva essere aumentato da 1500 a 2100 circa, e il giorno dopo ne troviamo solo 1507; nella seconda variazione avrebbe dovuto crescere da 1191 a 1600 circa, e ne troviamo solo 1400. Ciò sta in relazione con l'aumento di respirazione, che per lo più i funghi accusano ad ogni variazione del substrato, specialmente se si fornisce nuovo zucchero (1). Mucor mucedo. Con questa mucorinea furono eseguite tutte le esperienze se- guenti. Esse costituiscono sei serie, ognuna delle quali comprende un certo numero di esperienze, eseguite parallelamente in condizioni identiche, quindi fra loro paragonabili. (1) PurIeWIC. — Ber. d. botan. Ges., XVI, pp. 290-293 (1898): Botan. Central- blatt, LXKXXVII, p. 141 (1901 (1899); Jahrb. f. wiss. Botan.,, XXXIV. p. 275 (1900). — FLJoRoFrF. — Botan. Centralblatt, LXXXVII, p. 273 (1901). — Ko- SINSKI. — Jahrb. f. wiss. Botan., XXXV, p. 137 (1901). — KosrTyTCHEW. — | Centralbl. f. Bakteriol. (II), XIII, p. 490 (1904). LÀ mosto. Dopo 9 giorni tolsi 20 c cme. per i saggi: |, Lari i È "3% Acidità Fiyizohe Zucchero | Invertasi Ta | saccarosio lorda | Lv | | più | ‘ sità netti ti totale I riduttore forte totale | Ì 0 | 5.8|140.6 2025 (7)|540(-)| 1485 |244(3)|- 296 wi 0.5 | 7.2 | 168.7) 1875 (3) | 345(3) | 1580 |486(3)] si | o | 7.2] 158. 8 1937.5(73) | 30(3) | 1207.5 | 264(3)|— 466 | | | | Q_d pb Adunque, due dì questi liquidi culturali, mescolati con l’egual vo- lume di saccarosio, invece di invertire a 56° revertirono, una cosa che oramai non fa più meraviglia, da che sappiamo che la reversione per opera dell’ invertasi di Mwucor si ha facilmente a qualsivoglia temperatura, quando il liquido non è acido e contiene una certa quantità di zucchero invertito (1), condizioni che vigevano appunto in A e in C. Anzi vediamo che in C, dove c’era più zucchero in- vertito, la reversione fu maggiore che in A. Ad ogni modo la reversione vivace che si compiè in A e C prova che l’enzima anche in queste due culture era uscito dal nicelio. Aggiunsi ad A 25 cme. di acqua. » » B15 » » + 10 cme. di glicerina al 95 %. » » C15 » » + 10 » di alcool assoluto. Il volume dei liquidi culturali crebbe così da 280 a 305 eme. Noi dob- biamo allora moltiplicare per il fattore di diluizione 0. 9181, ed abbiamo ì | seguenti valori subito dopo l’aggiunta: i (ai Acidità Zucchero Invertasi Tra Viscosità = forte | totale totale | "re (a STTORiei — 1860 | 495.8 | 195642|— |—-o717 "ai B.. .| 0.46] 6.6. — 1722 316.7 1405.8.|. —. 83. 5 — \— 427.9 er dB. | 1708 670,2 1107.8 4 A riduttore | saccarosio | lorda netta | (1) PANTANELLI, — Proinvertasi e reversibilità dell'invertasi. Rendiconti Ao- cademia Lincei (5), vol. XV, I sem., p. 587 (1906). ì pioli ; seguenti saggi: 5 i dea Zucchero Invertasi ta i) An. 3 } n | forte | totale. n totale riduttore | saccarosio lorda netta va ! | ! VANS | 5.8 | 188.0] 1875 (3) 300(1)| 1575 a70(3)— 30 | 6.7 | 157.8 1500 (}) 360 O) 1140 |1080(3) 720 6.8 | 152.2 1662.5(7) 205(3)| 1457.5| 600(3) I | 395 | | In tutte e tre le colture era accaduto in 24 ore un aumento for- tissimo dell’invertasi. In A la diluizione con acqua aveva fatto dimi- nuire il potere reversivo da — 271.7 a — 30; in B l’afflusso di glice- rina, d’accordo con le esperienze precedenti, ha fatto aumentare l’at- tività inversiva esterna da 83. 5 a 720 (quasi 9 volte!); in C' l’attività dell'enzima da reversiva è diventata inversiva per l'afflusso dell'alcool, ‘ed il salto è molto forte, da — 427.9 a + 395. Ciò non ostante in A e C accadde in quelle 24 ore una reversione non disprezzabile, perchè lo zucchero non riduttore, idrolizzabile, cioè il polisaccaride (saccarosio ?) aumentò a spese dello zucchero riduttore (essosio), da 1364. 2 a 1575 in A, e da 1107. 8 a 1457. 5 in B. Si noti, per com- prendere questo fatto, che in tutte e tre le culture mancavano acidi forti. Subito dopo, fu aggiunto ad A 25 cme. acqua. : B25 » » con 15 g. di glucosio. È 025 >» >» con 15 » saccarosio. _ Il liquido culturale risali così da 280 a 305 cme. Il fattore di diluizione è, come nella variazione precedente: 0.9181. Quindi: Zucchero Invertasi Acidità Vigani ‘ forte | totale | sità totale riduttore | saccarosio lorda netta E | | o i — | 1726 | OIL 1450,.6 ERRO ITS Mele I 1977 l'asgiel 10464] — | Gel Mon — | 1596, legni: (i337,8| — | 36256 Dopo 24 ore, es LAS Acidità x i “N96 Zucchero forte | totale i riduttore , saccarosio lorda | a...| 0 | 59|1856 1450(3)| 240(2)| 1210 | 34(4) 106 RE | 6.6 | 165.2 2525(5) | 1150 (7) | 575 | 1120()|- 80 | i | | i DTS NVO | 5.8 | 161.0 2275 (3) 875(+ ) 1900 265(5) = ‘fesa È. I I SCA Va a» È r Mentre la leggera diluizione con acqua pura ha portato un ul- teriore, notevole aumento dell’invertasi esterna, l’aftlusso del gluco- sio e del saccarosio ha fatto divenire reversivo l’enzima. Ma, al so- ‘8 lito, notiamo la discordanza fra il valore d’invertasi o revertasi de- . i terminato a 56° e i processi inversivi che si svolsero nelle culture, : a 18°, in quelle 24 ore. In 5, in cui la prova d’inversione a 56° accusa un’attività reversiva, che sì spiega benissimo per la grande quantità di hexosio presente, si ebbe invece nella cultura, a 18°, un’inversione energica: il disaccaride scese da 1046.4 a 575 in 24 * ore. Ma anche ciò non fa meraviglia, quando avremo letto nel lavoro N°. su la revertasi, che l’invertina col riscaldamento in presenza del glu- . o, SMR cosio sì trasforma rapidamente in revertasi. Bastano questi fatti per dare un’idea della complicazione del fenomeno, e per far temere che gli Autori, 1 quali, compreso me, hanno determinato fino ad oggi l’invertina col metodo di O'Sullivan e Fernbach o polarimetricamente, ci abbiano dato in molti casì delle cifre che non corrispondono affatto all’ attività reale dell'enzima! Si Il micelio era in ( un po’ più sviluppato: Peso fresco Peso secco 4 e 3 4 ‘+. . 12860 e. 0,4072 &. «] Bi. . e 0 ì 2.1647 » 06225 » | e ciò spiega in parte perchè le variazioni di enzima e di zucchero fossero in 0 più ampie che nelle altre due culture. duto, p. es., vertasi, tranne la silice, che la esalta. Nelle seguenti esperienze ho tenuto conto di questo fatto, de- terminando subito, dopo l’aggiunta di una sostanza, l’effetto che essa. ‘aveva su l’enzima esistente nel liquido culturale in quel momento, quando cioè il fungo vivente non poteva ancora avere prodotto al- cuna variazione nella quantità di enzima estracellulare. Inoltre noi sappiamo oramai, che il Mucor mucedo e lo stoloni- fer lasciano uscire dai loro micelii anche lo zimogeno dell’invertasi o proinvertasi, che fino ad ora era ignoto (2), il quale poi nel li- quido culturale si trasforma lentamente in enzima attivo. Quindi un aumento dell’invertasi esterna può esser dovuto: a) ad aumento di secrezione dell'enzima attivo; b) ad aumento di secrezione dello zimogeno:; c) ad accelerazione della trasformazione di zimogeno in en- zima attivo; | d) ad aumento dell’attività dell'enzima già esistente. Quest'ultimo fatto può essere dovuto: p a) ad esaltazione del potere inversivo dell’enzima; 6) al cambiamento dell’attività reversiva in inversiva, senza variazione della quantità ed attività dell'enzima. Bisogna tener conto almeno di questi fatti, se si vuole studiare la fisiologia di secrezione degli enzimi. Ciò basta per dimostrare l'enorme difficoltà degli studii su la secrezione degli enzimi e spiega perchè così poco si sa intorno a questo fenomeno d’importanza ca- pitale per la vita. Gli Autori sì contentano, anche i più moderni, di accertare la presenza di un enzima; ben poco di più essi fanno, anche quando s’illudono di compiere determinazioni quantitative.. (1) Meccanismo di secrezione degli enzimi. II. Influenza dei colloidi su la secrezione e l’ azione dell’ invertasi, Annali di Botanica, V, p. 227 (1906); Ren- diconti Accademia Lincei, 1906, 1° sem., p. 383. (2) EFendic. Accademia Lincei, 1906, 1° sem., p. 587. — Molto probabilmente nell'interno dei Mucor non c'è che proenzima, e così si spiega perchè GAYON, Ann. Chimie et phys., (5), XIV, p. 258 (1878); Comptes rendus LXXXVI, p. 52 (1878); BurkEwIrSscH, Jahrb. f. wiss. Bot. XXXVIII, p. 220 (1902) non ve l’hanno trovato. Per la maltasi di Monilia sifophila: WexT, Jahrb. f. wiss. Botan., XXXVI, p. 627 (1901). Per l’ossidasi di piante superiori; RACIBORSKI1,. Bull. Acad. Cracovie, 1905, pp. 668-698. Per l’invertasi di lievito: O’ SULLIVAN e Tompson, Journ. Chem. Society, LVII, p. 875 (1890); RonMANN, Ber. Chem. Gesellschaft, XXVII, p. 3251 (1894). ‘che î SANGIdi toa più o meno l’attività dell’in- di uÒ. 19) ù c e Su i PI ST fe DREI III otti N: - rete 0 A'Leiteeni "a è ih io stesso sono convinto che le mie ricerche, per quanto complicate « BIO Ti circostanziate possano apparire, non rappresentano che il principio E "0 te”, — AI di ciò che deve fare oramai il fisiologo moderno: studiare gli ef- fetti della combinazione di più fattori su le funzioni vitali. II serie. — Afflusso di non elettroliti permeabili, poi di non elettroliti impermeabili, infine di colloidi. Il fango fu seminato in 5 dei miei vasi di cultura da 1 litro, ognuno dei quali era provvisto di 300 cme. della solita soluzione saccarosata con mosto. Dopo 8 giorni (25 marzo-2 aprile) di vegetazione a 18°-20°, tolsi di sotto 35 cme. per saggi TABELLA x. Acidità | Zucchero Invertasi totale (*) | | eme. 70 norm. | totale riduttore | saccarosio lorda netta | | A... ..| 46 | 1666.6(5)|112.5(3) 16641 | 108.4(3) (- 9.1 4.8 1666.6 » | 50 » | 1616.6 | B7.l » Cd: 4.3 1568 » | 48 >» | 1520 IND » 15 i MERA. 6.1 1664 » | 44 » | 1620 | 70 » 26 ue. 5.3 1600 »|88 (7) 1562 64,0» “ieCRR {*) Per acidità totale s'intende la quantità di NaOH ‘/,, norm, necessaria a neutralizzare ri- spetto al tornasole 10 cme. di liquido culturale, Furono allora aggiunti ad A 45 cme. acqua. \ Bol» » Con 5 g. = 1.632 0), — 83 is. alcool etilico Gi » con 12.5 » — 4.17 » —» glicerina D » » con 7. pie 2,96, >» — » urta E » » con 0.75 » —= 0.25 » caffeina, Sono quattro sostanze notoriamente permeabili (1), non elettrolite. Le prime furono fornite in egual concentrazione osmotica; per la caffeina do- vetti adottare assai minore concentrazione per il suo potere venefico. (1) Per l'alcool etilico e la glicerina v. PANTANELLI, Novo Giorn. Botan , 1. c. p. 353; Jahrb. f. wiss. Bot., XL, p. 841 (1904). Per l’urea ‘DE VRIES, Bot. Zei- tung, 1889, p. 309; OvertoNn, Vierteljahrschrift d. naturforsch. Gesellschaft in Ziirieh, XLIV, p 88 (1895). Per la caffeina: Prerrer, Unters. a. d. botan. Inst. in Tiibingen, Bd. II, p. 179 (1886), nonchè OvertON, /. c.; Zeitschr. f. physik. Chemie. XXII, p. 89 (1897). totali " u Fal a " LA Pi È | questo numero 1° FRAVALI TABELLA f. Zucchero | Invertasi Acidità totale | totale essosio saccarosio netta Î ni 0 LEA A 3.9 1424 96 1328 (ici CLES MM AL 1424 42,7 1381.3 SET; L 3.7 1279 Al 1958: È. caparra D ATRIA 4.8 1422 37.6 18844 | + 22.2 E 5 4.5 13690 | 682.5 1835.5 + 22,2 Subito dopo le dette aggiunte, tolsi, dopo accurata agitazione, ad ogni cultura 10 cme. I liquidi culturali tornarono così al volume primitivo di 300 cme. I 10 cme. tolti furono subito mescolati con 10 cme. di saccarosio al 40 °/ eun po’ di cloroformio, poi lasciati stare accanto alle culture, alla temperatura della stanza (18-20°). Dopo due giorni determinai in 10 cme. di questi liquidi lo zucchero riduttore e posi gli altri 10 cme. ad invertire a 56° per un'ora. I valori sono riportati, come in tutte le tabelle, a 10 cme. di liquido originale; i valori iniziali sono della tabella 8. TABELLA Y. Zucchero riduttore Invertasi netta iniziale dopo 2 giorni iniziale dopo 2 giorni Ro ere 1 9g di Worgi B 1,71 | 19 » SEO + 452 el. 41 BO + 12.8 “Bi 17858 MR i. 37.6 lega 929:2 e TRS TEA ETICA RECATA 32.5 80 » 122,2 + 94 | Stando a contatto con tanto saccarosio, l’invertasi è aumentata in queste prove tranne che in D (urea), in cui l'enzima è diventato reversivo ad alta | temperatura ed è diminuito. Ciò non ostante anche in D ebbe luogo a 18-20 ai To “più enzima Do lo pe gli ), DI feina), A (acqua). té i "SR V'CTENPRR Da questi numeri non si può capire se aumentò solamente TRAan del- À l'enzima per la presenza delle sostanze aggiunte o se fu diversa la quantità di A zimogeno che si trasformò in enzima attivo; pare però certo che, ad ecce- — / zione di D, vi fosse trasformazione di proinvertasi in invertasi. Î I liquidi culturali furono egualmente esaminati dopo 2 giorni (4 aprile) | — n ed a tal uopo tolsi ad ogni cultura 35 eme. Ca x TABELLA È. Zucchero o Acidità . Invertasi totale totale | essosio è saccarosio netta Pe ba > (ori 1898(3) | 148 (3) | 1245 57 1386» 50 >» | 1836 28 leo) > > A 052 RR Mole Ah 1284 » 60 S| ana 20 : Di Rene 4,8 1382 » 40 » 1342 6 Re e E 4, 6 1368 » 22.5 » - | 1345.6 27,5 ev Confrontando questi dati con quelli della tabella f vediamo che n in due giorni l’acidità è aumentata, lo zucchero totale è stato poco consumato, in C' anzi (dove avevamo aggiunto la glicerina) nulla affatto. L’invertasi esterna è aumentata in tutte le culture, tranne in ed E (urea e caffeina) in cui è diminuita, in /) fortemente 4 diminuita. La diminuzione in 1) può essere indipendente dalla at- SM tività secretoria del fungo, perchè anche in vitro (tabella y) l’in- vertasi è diminuita in D in questi 2 giorni. Non così in £, in cui 1 i l’invertasi in vitro è aumentata quasi di 5 volte, mentre nella cul- î tura è diminuita. In questo caso si può ammettere una diminu- zione nella secrezione da parte del fungo. In A, Be C l'aumento A può essere dovuto tanto a nuova secrezione, quanto a la trasforma- zione di proinvertasi già uscita in invertasi, come è accaduto an- che in vitro. Anzi nella cultura l'enzima è aumentato assai meno che in vitro. Ma in vitro l’invertasi si trovava in presenza di molto sacca- rosio, e ciò può avere favorito il passaggio dello zimogeno in enzima attivo (1). Bisogna quindi, per porsi in condizioni eguali a quelle > (1) Rendiconti Accademia Lincei, (5), Vol XV I. Sem, p. 589 (1906). vd adi 50 eme. acqua. BEAR » cond5b.4 g — 5.13% — 1 is saccarosio. (EMERSO A » mas 2. (0% — :» glucosio. bio » » a = 322% — >» - manie. E 100 » » 3 not0a » — 2.20% » asparagina. Sono quattro non-elettroliti impermeabili (1). Per l’asparagina dovetti aggiungere 100 cme., perchè non si scioglieva nella indicata concentrazione in una quantità minore di acqua. I liquidi A-D aumentarono così da 265 a 315 cme; fattore di di- luizione: 078412; il liquido £ aumentò da 265 a 365; fattore di diluizione: 0. 7278. Moltiplicando i numeri della tabella è per i rispettivi fattori, si ha: lo PIRO ig TABELLA e. UE Invertasi Acidità Si, | totale essosio saccarosio SE A 38 1171 124.6 | 10464, | 47.9 3.7 1165 49 00 9, 0a | 23. 6 4.2 1079. 50.1. | 102.9 | - 16.8 i ASZIOI 1162 38.7 leeiODOoga lo LELO5 scagieal' --998 Tera toga) 19:98 Subito dopo l’aggiunta, furono tolti ad ogni cultura 15 cme. Di questi, 5 cme. furono mescolati con 5 cme. di saccarosio al 40 % e un po’ di cloroformio; gli altri 10 cme. furono provvisti di cloro- formio. Tutti questi saggi furono lasciati riposare accanto alle cul- ture, alla temperatura della stanza. Dopo 2 giorni (6 aprile), procedetti alla determinazione di zuc- chero ed invertasi. (1) Per il saccarosio ed il glucosio v. Jalwd. f wiss Bot., 1. c. p. 341; Novo 5 Giorn. Bot., 1. c., p. 353; per la mannite e l’asparagina, Ovegton, I. c.,. 189b; SA 172, 182. N ae caAOC d =) : 7 CUI Si ; ARI LI #carosio ‘al 40%, trovai: Seme 0-3 mid dg TABELLA &o Zucchero riduttore Invertasi netta bo) ; De i > iniziale \ dopo 2 giorni iniziale dopo 2 giorni DRITTA i 4 124. 6 220 | 47.9 38 Ba IA ceva 42 120 923. 6 150 CREA : : 50.1 688 16. 8 68 > ER ro, 88.7 90 5.05 : 18 Ml i 16.5 62 19.9 94 Si noti che a C'era stato aggiunto glucosio in ragione del 2.7 %, ciò che porta un aumento di 626 mg Cu0 per 10 cme. Quindi lo essosio iniziale in C era 50.1 - 626 — 676.1 mg Cu0. Ciò non ostante anche qui esso salì un poco in 2 giorni, da 676.1 a 688. I dati su l'inversione lenta allatemperatura della stanza (18-20°) vanno d’accordo con quelli su l'inversione rapida a 56°, e siccome in questa prova a 56° l’ invertasi sì trovava ad invertire in pre- senza di quantità di zucchero invertito ben più rilevanti che 2 giorni prima, così è evidente che in tutti i liquidi B-£ vi fu in quei due giorni anmento reale di enzima attivo a spese dello zimogeno. Fa eccezione il liquido di A, in cui accadde una discreta inver- sione lenta alla temperatura della stanza, ma la quantità d’enzima diminuì in quei 2 giorni, come mostra la prova a 56°. Vediamo ora come variò l'enzima nei liquidi addizionati di sac- caros1o al 40 %,. Dopo 2 giorni, essi accusavano i seguenti tenori di zucchero ed invertina: TABELLA % Zucchero riduttore Invertasi netta iniziale | dopo 2 giorni iniziale dopo 2 giorni Ab o da datati ca a > 124.6 160 47.9 1 REP SPIA 42 65 25.6 Oria aa RA 676.1 422 16.8 Mbit o si IE 38.7 1532 ' 5.05 Mia aa Aa alta a 16.8 100 19.9 Fatiodali per E ALA una diminuzione. L'enzima di C (glu- cosio) revertì, senza che si possa capire se è aumentato o diminuito; certo, come invertasi, è fortemente diminuito. Dunque le tabelle £ ed n mostrano un certo accordo per l’inver- sione lenta a bassa temperatura (escluso Cl), mentre pare discor- dino i dati riferentisi alla temperatura elevata. Un esame attento spiega il perchè di questo disaccordo. È noto, che il saccarosio favorisce la trasformazione della proin- vertasi in invertasi (1); ecco perchè A accusò aumento di invertasi in presenza di molto saccarosio, mentre aveva accusato diminuzione nel semplice liquido culturale. In C della tabella n l’invertasi durante il riscaldamento a 56° si trasformò in revertasi, a causa della quantità rilevante di glucosio che conteneva la prova; anche il saggio corrispondente della ta- bella 4 conteneva molto glucosio, ma la concentrazione totale dello zucchero era assai minore, quindi mancava una delle condizioni favorevoli all’azione della revertasi. Inoltre nei due giorni si era formato, per la stessa ragione, più enzima invertente nel saggio £, mentre si era indebolito quello x. In 5, D ed £ la variazione mostra lo stesso andamento. Queste prove comparative mostrano che, la presenza di molto saccarosio, influenza tanto la trasformazione dello zimogeno in en- zima, quanto l’attività di questo. Anche i liquidi culturali furono esaminati dopo 2 giorni (6 aprile). » A questo scopo tolsi ad ogni cultura 25 cme. I liquidi culturali rima- sero così ad occupare un volume di 275 cme. in A-D, di 325 cme. in £. TABELLA É. Acidità | Aa Invertasi | totale | essosio | saccarosio netta ' | de | a 1 : 1 dpr DEsgi. 5.5 1068 (3) | 148. (4) | 1020 | 56 12 PARC 5.5 200» | 48 (3) | 2032 24 e 8 Li 1642.6 >» «| 4960 > 1146.6 64 1a SR 5.2 1082; 61» ©1496 (7) | 1046.6 18 IR Sl 62 NE th i25 » 900.5 | Ì (1) Rendiconti Accademia Lincei, 1906, I Sem., p. 589. ANNALI DI BoraxIica — VoL. V DA i * Coltfioht ando ques vertasi sì è ta Rao in vg i : uanti x qua) e B (saccarosio), è aumentata di 4 volte in C' (glucosio), di3. adj vi a A . (03 Dr volte in D (mannite), è diminuita a meno della metà in si (aspa- 0 . id Sc: “ i ragina). Ma Si; 13 dh Anzitutto istituiamo un confronto con la variazione precedente. i oo In due giorni (48 ore precise ogni volta) l’attività inversiva estra- i cellulare nelle culture del nostro Mucor aumentò : n ni \ TABELLA 1. ci Per l'aggiunta di iO. | Per l'aggiunta di ' | è > .\ Acqua. ....daT— 7.8a4+57 |Acqua. ..... da 47.9 a b6 Pi RA .|Biîs.alcoolelitico » + 6 »+28 |1 is. saccarosio. . » 23.6 » 24 > glicerina. . » +12.8» +20 » glucosio. . . » 16.8 » 64 » urea... .> +22 2» 6 » mannite. . . » 5.05 » 18 > . .|0.250/, caffeina. » + 22.2». 27. 5 » asparagina . » 19.9 » 7.65 a + Me Me, : Per l’aggiunta delle quattro sostanze permeabili l’invertasi esterna Be; era in aumento in tutte le colture, tranne che in D (urea); il sem- plice atflusso di acqua però aveva fatto aumentare l’ invertasi dA anche di più. Evidentemente con l’agitare il liquido si allontanano i dal micelio i prodotti di digestione estracellulare e di escrezione, e si » diffonde in tutto il liquido l'enzima ed il sno zimogeno ; conseguenza è un anmento di attività dell'enzima e di secrezione di nuovo L enzima. o- Per questa ragione un aumento dovrebbe verificarsi sempre, e se > non sì verifica, è prova che o è frenata la secrezione, o è diminuita l'attività dell'enzima, o infine è diminuita la trasformazione del proenzima in invertina. Tornando alle nostre tabelle, vediamo che dopo l’aftlusso delle so- stanze impermeabili l’invertasi, invece di continuare ad aumentare con lo slancio preso, rimane (apparentemente) stazionaria in 5 (sac- carosio), aumenta un poco in A (acqua) e anche in /) (mamnite), dove prima era in diminuzione, sale di molto in € (glucosio), e dimi- nuisce in £ (asparagina), dove prima la caffeina, come abbiamo visto, aveva già frenato la secrezione. Il confronto con la tabella £ c’insegna, che in A si trattò di nuova secrezione dell'enzima, mentre in tutte le altre culture la secrezione diminuì o si arrestò. Infatti, per trasformazione di zimogeno in en- zima (tabella £), l’invertasi in 8 avrebbe dovuto aumentare di circa 7 volte, mentre non aumentò affatto; in C avrebbe dovuto crescere E avreb | vuto Eiiishtare ui quasi 5 volte, e invece ciato di più della metà. In conclusione, mentre le quattro sostanze permeabili, ad eccezione dell’urea avevano fatto aumentare la secrezione dell’invertina più dell’acqua pura, le 4 sostanze impermeabili l'hanno arrestata. Questa influenza inibente sula secrezione dell’invertasi diminuîsce per le quattro sostanze nell’ordine seguente: asparagina > saccarosio > mannite > glucosio. Vediamo che il saccarosio impedisce la secrezione assai più del glucosio ed abbiamo così una nuova conferma del fatto già da Fern- bach e me osservato (1), chela secrezione d’invertina non è in relazione «con la digestione estracellulare del saccarosio, il quale nel primo periodo di sviluppo del saprofita viene assorbito come saccarosio e digerito dentro le cellule; solo più tardi, quando l’invertasi è uscita da le cellule (2), la digestione estracellulare acquista importanza per l'organismo. ‘In seguito, le cinque culture furono lasciate riposare per due giorni, trascorsi i quali (8 aprile), eseguii una nuova analisi dei li- quidi culturali. A quest’uopo tolsi ad ogni cultura 50 cme., così che i liquidi di A-D si trovarono ridotti a 225 cme. il liquido di £ a 275 cme. TABELLA x. Re Zucchero Invertasi Acidità totale | essosio | saccarosio netta | È 1 Iv = Regi 5.7 945 (73) 84 (>) | 861 108 io rage | 1940 » 25 (1) | 1915 29 o 8 1440 » 520 (ia) | 920 80 D magia 097 ‘> 372.5(4) | 9605| 185 DM bg 982 >» 90 G) 792 =. BO (1) FERNBACH. — Ann. Inst. Pasteur, IV, p. 1 (1890); PANTANELLI, Ann. di Botan., IV. p. 113 (1905). (2) Annali di Botanica, V, p. 259 (1906); Rendiconti Accad. Lincei, 1906, I° Sem., p. 383. 1% 3 Agen butto os sse rv] in 2 giorni in A eni el'(g na cata era rimasta s ba. in B (saccarosio) e D (mannite) ed era divenuta reversiva in LAS s di - feina---asparagina). i ve + RA Aggiunsi subito ad A: 100 cme. acqua È B » » » con 10 is. peptone secco uti. Cc » » >» >» » gomma arabica o 2 SR D » >» >» >» >» >» gelatina Let? VOSIE a. INS » 1g. agar-agar a I liquidi di A-D aumentarono così da 225 a 325 cme; fattore di diluizione 0. 6923; il liquido di £ crebbe da 275 a 375 cme: fattore di diluizione: 0.7333. Abbiamo allora per effetto della diluizione: . TABELLA . Zucchero | Acidità A ee OI Invertasi netta. totale | essosio saccarosio "e APRE ZAR E LT 4.0 654.2 58 596.2 74.7 TESTO LE 4,1 1343 1013 1320. 7 20 Lie ABRO A 4:04, 997 359.9 637.1 ] bb. 4 IDA 1 3. 6 690.2 25.9. 664.5 12.8 Mo 4.3 646.9 66 580. 9 — 36.7 Subito dopo le aggiunte furono tolti 15 eme., in modo che i li- quidi di A-D si ridussero a 310 cme. quello di # a 360 cme. I 15 eme. tolti furono addizionati di cloroformio e lasciati in riposo ac- canto alle culture, alla temperatura della stanza. Dopo tre giorni (11 aprile) esaminai questi saggi TABELLA 1. Zucchero riduttore | Invertasi netta iniziale | dopo 8 giorni | . iniziale | dopo 3 giorni i Art ein ».- 58 240 ini A i. 17.8 90 i: sie 43. 309,9 494 RAEE, LIO AE 25.9 144 saggi, anche in D, nel quale però l'enzima reverti. Se si ORETISRI che tutti e quattro questi colloidi deprimono l’attività dell’invertina di Mucor Mucedo (1), non resta dubbio, che in questi liquidi aset- tici si ebbe un’ampia trasformazione di proenzima in invertasi. L’at- tivazione dell’enzima fu massima in (glucosio, gomma), minima in £ (caffeina, asparagina, agar-agar) dove però l’enzima da reversivo di- venne inversivo. Anche i liquidi culturali furono esaminati in questo giorno (11 aprile). TABELLA v. Zucchero Invertasi Acidità 1 i totale | essosio | saccarosio lorda netta SERIES AGIO 0 646 (33) 76 (5) 570 154 (3) 78 Bir Ae 1297 » 0 1297 0 0 ang 916 » 413 (i 503 235 (5) — 178 eat 58 629 » 61 (3) 568 tracce | — 61 a 1 Dato CN RA RO RIE 2 IT De». liga 18.6 (1) e St9G/4 Se confrontiamo questi dati con quelli della tabella 2, troviamo in A il solito leggero aumento d’invertasi esterna, mentre negli altri 4 . liquidi l’invertasi è scomparsa, per dar posto a revertasi, o per lo meno la trasformazione dell’invertasi in revertasi a caldo si è com- pita così rapidamente, che il risultato pratico è una reversione piùo meno energica. Quest’ ultima interpretazione è appoggiata dal fatto che nelle culture durante i 3 giorni si ebbe una debole inversione, fatta eccezione per 5, in cui pare che già nella cultura l'enzima si trovasse allo stato di revertasi. Ma evidentemente l’organismo deve avere influenzato la natura dell'enzima in un modo che non arrivo a comprendere, perchè nei saggi asettici in vitro (tabella p) si ebbe trasformazione di proin- vertasi in invertasi, e l’enzima rimase tale, fatta eccezione per D (gelatina), in cui a 56° revertì. (1) Rendiconti Accad. Lincei, 1906, I* Sem, p. 383; Annali di Bot., V, p. 267 (1906). Vene Hd zine cen To) che e Ss il fungo non pare ne emettesse di più. Anche i colloidi mi d. nano la secrezione, ciò che viene a dare la conferma ai risultati | Ri; dei miei lavori precedenti. SB "] "i Infine quel giorno stesso (11 aprile) fu raccolto il micelio: 4 Peso secco: do n ARE) AB48 g. (I pa: LO: 0062 >» i n ° CS ENO (84096 > ” DI CORRERE 0970 » Ei <<. 39026 >» n Lo sviluppo maggiore di C, che cominciò ad essere visibile dopo 4 l'aggiunta del glucosio, fu dovuto con probabilità a questa so- b stanza. III SerIR. — Afflusso di sostanze impermeabili, pol di sostanze permeabili, infine di colloldi. Il) 12 aprile fu seminato il fungo in cinque dei miei vasi da cultura, ognuno dei quali portava 300 cme. della stessa soluzione adoperata nelle È esperienze precedenti, addizionata però di 0.1 % acido tartarico. La com- posizione iniziale di questo liquido culturale dopo la sterilizzazione era la. DE seguente: Viscosità a 25°: (5 cme.): 158. 4. Acidità forte: (10 eme.): 0.8 '/ norm. wi Acidità totale: (10 eme.): 6.0 '/% norm. Zucchero totale: 2350; essosio: 916; saccarosio: 2134. Inversione in un’ora a 56°: 88 (prodotta dagli acidi). Dopo 12 giorni di cultura (24 aprile), tolsi 39 cme. per i saggi: p p p TABELLA %. Acidità Zuechero Invertasi Pa ri de o d'iSti forte | totale totale riduttore | Sf2So | lorda | netta Mitte. 1.5 | 8.1 |1596 (;5) 820 (.) 1216 : TA 1.5 | 7.0 | 1493 » | 804 » | 1189 IA DA! e Sd ET 1.8 LIL 1581108 308 » 1363 Ret deo Lia e 2,2 8.2 | 1706 » | 820 » 15386 MA 60 ce 16 | 7.83 | 1564 » B44 » 1220 si i vt È va Da Ca Li 39 ETTORE con 1 is. saccarosio. Do E Sia oi > » glucosio ‘ = d de Re s Zi Be Dia » #* » mannite E» » » > 0.5 » asparagina. I liquidi aumentarono così da 265 a 315 cme. fattore di diluizione: 0). 8459. In B il saccarosio crebbe di 1172 mg. per 10 cme., in C'il glucosio di 586 mg. Queste variazioni, insieme a quelle dovute alla diluizione, sono riportate ‘ nella seguente tabella: : TABELLA B. Zucchero Invertasi totale - essosio saccarosio netta Mo 1299 270.7 | 1018:8| 270.7 Bree, -11263.-4+-1172 = 2435 258 2177 284.2 OR eta 586-=-1967 260.54 556 — 846.5 || 1120.5 172.6 D le otra 1448, 205] MET4255 494 SIP | 1323 290 1083 . 169.1 Subito dopo le aggiunte, tolsi ad ogni cultura 20 cme., in modo che i liquidi culturali si ridussero a 295 eme. Dei 20 cme. tolti, 5 cme. furono messi subito ad invertire a 56° con 5 cme. di saccarosio al 40) %, per studiare l’influenza che le sostanze aggiunte avevano su l’attività dell’enzima, che esisteva già nei liquidi culturali al momento dell’aggiunta (Tabella ?). Altri 10 cme. fu- rono addizionati di cloroformio e lasciati in riposo accanto alle culture. I rimanenti 5 cme. furono posti subito a 56° insieme a 5 cme. di 2zuc- chero invertito al 40 % (1), indi il miscuglio fu addizionato di 10) cme. (1) Preparato sciogliendo 40 g. di saccarosio crist. in 100 g. di acqua, poi aggiungendo 5 cme. di HCI ‘/,, norm., e tenendo a bagnomaria (a 98-100°) per un’ora, passata la quale si neutralizza, rispetto al methylorange, con NaOH ‘/,, norm, e si hanno così 120 cme. precisi di liquido. 5 cme. di questo contengono tanto essosio riduttore (zucchero invertito) da precipitare subito al massimo 4200- 4262 mg di CuO.In seguito lo zucchero riduttore diminuisce lentamente anche in soluzione neutra per il methylorange (la quale può essere debolmente acida per il tornasole e la fenolftaleina), a causa della reversione, in proposito della quale vedi: E. FiscHER, Ber. Chem. Ges., XXIII, p. 3687 (1890); XXVIII, p. 3024 (1895); A. Woxx, XXIII, p. 2084 (1890). La revertasi o invertasi revertita non fa che accelerare un processo il quale si compie anche da sè, sebbene con ve- locità assai minore. 14) Non-mi consta che altri abbia studiato se questo processo possa venir cata- lisato con un enzima speciale. HENRI, Comptes rendus Soc. Biol. 1901, p. 288-290, 290-292; 945-947, 947-949, ha trovato che l’attività dell’invertasi diminuisce ra- pidamente con l’aggiunta di zucchero invertito. Visser, Zeitschr. f. physik. % Chem., LII, p. 257 (1905) ha osservato anche una lenta reversione. NaHo ie: LOTITO e così reso al lino e n riposo con un po’ di cloroformio a la” temperatura della stanza: prova d "aan reversione in liquido alcalino. Dopo 14 ore fu esaminato il contenuto. ino zucchero riduttore e totale; i valori della tabella si riferiscono a 5 cme. di liquido originale, e per essi si è tenuto conto che 5 di zucchero invertito contenevano 3996 mg. di Cu0 - zucchero totale e 3600 mg. Cu0 - zucchero invertito (essosio riduttore) all’inizio della prova. TABELLA Y. Zucchero Essosio riduttore Revere iniziale dopo 14 ore iniziale [Tano 12 SERI I: Ì A .| 649.5 + 3996 = 4645. 5 35/4619 (i 11 35.8 4- 3600 = 3735. 3 3440 ()- 295.3 B .|1217.54 » =5213.5/5208 > |129 + » —729 3320 — 409 C.| 983.54 >» _ 4979.5 4964 >» 492.94 » —4023.2)3560 — 463,2 D.| 721.54 » =4717.5/4718 » |1385.84+ » =38735.8|8480 — 255.3 E .| 661.5 — 8745. |8840 + 95 + » =4657.5|4650 » 145 - Lot Mentre la quantità di zucchero totale non variò affatto nelle 14 ore, lo zucchero riduttore diminuì in tuttii saggi, ad eccezione di £ (asparagina). La reversione massima accadde in B (saccarosio) e C (glucosio). Vediamo ancora una volta, che, più che il rapporto fra saccarosio e prodotti d’in- versione, è la concentrazione totale dello zucchero (1) quella che determina l'enzima a diventare reversivo. La trasformazione in vitro dello zimogeno in enzima attivo fu seguita, come ho detto poc'anzi, esaminando anzitutto l’attività invertasica delle. prove tolte ai liquidi colturali subito dopo l’aggiunta delle sostanze (per i valori iniziali cfr. la tabella £f). 9 TABELLA °. 5 cme. della soluzione > — Zucchero riduttore bi. cdi) Invertasi netta iniziale dopo l ora a 56° | prima’ dopo l'aggiunta Î h, (ERRE 270.7 | 492 (4 ) \aeR70:t 221.3 Bar 258 | 430 » | 984.92 172 gui 846.5: | 1056 » 172.6 209. 5 DI; 270.7 | 648 » 494 977.8 3, È 290 | 538.» 169.1 248 (1) Già alcuni autori (HENRI, 2. e. Comptes rendus Soc. Biol., 1901, pp: 73-74; Boxkorxy, Centralbl. f. Bakteriol., XII, p. 119 (1904) hanno osservato, che la concentrazione del saccarosio diminuisce l’attività dell’enzima, fino ad arrestarla, . secondo Bokorny, verso 57. 9 °/, (in peso) di saccarosio. VisseR (/. e.) ha poi tro- vato, che l'intensità dell'enzima diminuisce, se cresce la concentrazione iniziale. — “ E COTTE E I en a Bic Z dii nun nI 3 in A AU gi) 1a RIE ?"GaAros e con aa (pag. 376) Facada cpomsniihi Zucchero riduttore Invertasi netta | dopo 2 giorni iniziale | dopo 2 giorni prima i ' lorda netta MEMI (0.0.4 (2/07) 820(7) | 2213] 56(3) 248 ia PRI SEAN RESI 255 400 » 172 480 » 50 DR 1 846. 5 824 » 209.5. | 768 » — bi D MRIVI ARIA 270.7 |..280 » 307.3 | 128 » 445 E 290 304. >» 248 | 448 » 144 A temperatura della stanza (18-20) si ebbe un’inversione note- vole solo in 5 (saccarosio), assai minore in A (acqua), quasi nulla in D (mannite) ed £ (asparagina). In C' (glucosio) avvenne una leg- gera reversione. La determinazione dell’invertasi a 56° mostra che l'enzima è aumentato solo in A (acqua) e /) (mannite), mentre in £ (saccarosio) ed £ (asparagina) sì è ridotto alla metà ed in C' (glucosio) è diventato reversivo. Se però teniamo conto, riportandocì alla tabella è, di quanto in A, B e D l’attività dell'enzima è, ceteris paribus, depressa durante 1l (1) Il saccarosio, oltre un certo limite di concentrazione, diminuisce l’atti- vità dell’invertasi; vedi la nota a pag. precedente. WENT, Jahrd. f wiss. Bot., XXXVI, p. 641 (1901) ha osservato, che in presenza di saccarosio e peptone viene emessa meno invertasi da la Monilia sitophila che in presenza di glice- rina e glucosio. WENT non ha però studiato separatamente i diversi fattori di questo fenomeno; egli ha determinato solamente l’attività invertasica del liquido dopo parecchi (troppi) giorni di cultura. Osservazioni analoghe, da le quali non si capisce, se fosse influenzata la produzione, la secrezione, l’azione o l’attiva- zione dell’enzima, si trovano in WortMaNnN, Zeitschr. physiol. Chemie, VI, 287 (1882); Bot. Zeitung, 1890, p. 591; BELJERINCK, Archives Néerlandaises, XXIV, p. 391 (1890); Centr. f. Bakteriol., (II), I, p. 226 (1895); FERMI, Ibidem, (I), X, p. 405 (1891); Browx e Morris, Journ. Chem. Society, LXIX, p. 651 (1892); FeRMI e MonTESANO, Ibidem, (II), I, p. 542 (1895; BùsGEN, Ber. dot. Ges., III, p. XXX (1885); Karz, Jahrb. f. wiss. Botan., XXXI, p. 603 (1397). Per altra letteratura, concernente altri enzimi, vedi CzAPEK, I, p. 280 (mal- tasi), 343 (amilasi); II, pp. 82, 165 (proteasi). La mannite arresta l’azione della zimasi secondo Gromow e GrEGORIEW, Zeitschr. physiol. Chemie, XLII, p. 299 (1904). L’asparagina accelera l’azione dell’amilasi: ErrRoxT, Moniteur scienti- — fique, (4), XVIII, p. 561 (1904). TABELLA s. ° - È ‘proenzima, in B è rimasto stazionario. Per analoga ragione troviamo | fortemente diminuita l’ invertasi in E; questa diminuzione non è ap-_ È ata in A (acqua) e D (mante) l'enzima attivo è aumenta o as 4 a À A ‘saggio d’inve rare DG! , arriv. a con eludere e parente come in C, dove l’enzima è «a diventato rever- sivo, ma reale. Infatti la tabella y ci mostra che in £ l’invertasi non reverte neppure in 14 ore di soggiorno in ambiente alcalino, dopo un riscaldamento con glucosio. L’asparagina dunque impedisce la tra- sformazione dell’invertina in revertasi e la diminuzione dell’inver- tasi in E (tabella e) è reale, sia essa dovuta ad una combinazione del- l'enzima con l’asparagina, o al diventar racemico e inattivo l'enzima a contatto dell’asparagina, ciò che non fa meraviglia, perchè l'enzima è infine un polipeptide (1). i Dopo due giorni (26 aprile) tolsìi 30 cme. ai liquidi culturali per i seguenti saggi (tabella Z). I liquidi si ridussero così, da 315 a 285 cme. TABELLA €. Acidità Zucchero - | Invertasi Ì MI forte totale | totale riduttore . saccarosio lorda I netta | AC ì SR A 1.0 | 10.6| 1222() | 355(7) 907 | 647) 329 B. LS L0I6 2166 » 395 » 171 512 » nari C n ESS; ie LO 5; 1844 » 690 » 1154 128 » 38 D. 2.4 | 12.6| 1438 >» | 280 » | 1158. | 712 >| 430 E. 1.5 10.8 1300 » | 280 » 1020 362 » 82 Confrontando questi dati con quelli della tabella #, colpisce il fatto, che, ad eccezione di A (acqua), l’attività invertasica estracellu- lare è diminuita in tutte le colture. La tabella e ci mostra che la proinvertasi si è trasformata in invertasi in Ae /, in B è rimasta stazionaria, in (' ed £ l’enzima è » diminuito. Confrosigagii queste osservazioni con la tabella £ troviamo che non solo l’organismo non (1) OPPENHEIMER. — Die Fermente, II. Auflage, Capitolo III e pag. 45 (1904). E. Fiscner ha già da tempo (Ber. chem. Ges. XXVIII, p. 1433 (1895): Zeitschr. f. physiol. Chem., XXVI, p. 61 (1896); Ber. chem. Ges., XXXII, p. 2451 (1899) ; XXXIII, p. 2370 (1900) esternato l’idea, che gli enzimi abbiano una tale con- figurazione stereochimica, che essi si comportino verso la sostanza otticamente attiva da decomporre come la sua immagine speculare, come la serratura alla chiave. Cfr. inoltre, su la facilità con cui i peptidi si racemizzano: E. FISCHER, Untersuchungen iber Aminostiuren, Polypeptide und Proteine, Ber. chem. Ges., XXXIX, pp. 530-611 (1906). i sia che abbia subito un principio di Fira Abbiamo già osser- vato nell’esperienza precedente (pag. 374) un’influenza simile del- l'organismo vivente su l’enzima secreto. Arriviamo dunque anche qui a la conclusione, che l’afflusso dei quattro non-elettroliti impermeabili (saccarosio, glucosio, mannite, asparagina) determina l’arresto nella secrezione dell’invertina. Subito dopo, aggiunsi ad A 50 cme. aequa B » > om5 gg =1.632°,=83is.alvoletilieo a E° nio d2-b >» = DES slicerina Dies a. 7 » =2 26056 ina E » >» >» 0.75» =0.25 > caffeina. I liquidi aumentarono così da 285 a 335 cme. Fattore di diluizione: 0.8509. Moltiplicando per questo numero i valori della tabella Î, si ha: TABELLA x. Zucchero Invertasi netta totale essosio saccarcsio A. 1040 268 72 | 2799 BI. 1843 336 1507 i 99.5 (3 1569 586.9 982.1 | 32.5 DE 1219 238. 2 980. 8 365. 9 E. 1106 238.2 867.8. | 69. 7 ; Ì Subito dopo le aggiunte, furono tolti ad ogni cultura 20 cme., e così 1 li- quidi culturali si ridussero a 315 cme. Dei 20 cme., 5 cme. servirono per determinare subito l’attività reverta- sica dell'enzima. Furono mescolati con 5 cme. di zucchero invertito, tenuti a 56° un’ora, addizionati dopo di 10 cme. Na OH ‘/,, norm. e di cloroformio. In questi 20 cme. la determinazione dello zucchero subito dopo la prova (prova di reversione a 56° in liquido acido) dette: (i valori sono riportati a 5 cme. di liquido originale): TABELLA É. Zucchero totale | Zucchero riduttore | | | Rever- CALA dopo l ora | DE dopo 1 ora] 3!90* iniziale I 3, 56° | iniziale SH 560 | acida | .|520 + 3996 = 4516 | 4490 (7)181 +3600— 3734 |3312 (7) — 422 .|941.5+ » =4937.5|4928 > [168 + >» =3768 |3220 >» —548 .IBAB4 > =4780.5|4772 > [298.44 >» —3993.4/3660 » (—233.4 .1609.5-4+ » =4605.5/4610 » [119.14 » —3719.1|8340 >» |—879.1 668 + » =4549 |4540 > [119.14 >» — 5719, 1/5350 > |—88L1 ia: | ————_—_ HOaAqdb sia stato combinato da un antienzima, sia che sia dive racemico, | vamente in “questi liquidi alcalini lo zucchero (- (prova di liquido alcalino): TABELLA x. Zucchero totale Zucchero riduttore Reverione iniziale | dopo 4 giorni iniziale I dopo 4 giorni Sine A È 1 bt ege 4490 1 AO) | 3312 | 3408 (4) JEG9R B. 4928 4920 » | 8220 È 2912 >» — 208 C. MAO EA RIA e 3660. | 8328 » | — 382 ER DE dep i 4610 4600 ‘>° | 8840 .| ‘3282 » — 108 E. 4540 4520 » | 3380 | 8168 » ii A 56° in reazione acida tutti i liquidi revertirono fortemente, quello del saccarosio (58) più di tutti, perchè la concentrazione totale dello zucchero era maggiore (ctr. pag. 377); passati poi i liquidi a reazione alcalina, la reversione continuò ancora in tutti, ad onta della bassa temperatura (1), tranne che in A (acqua), dove il processo tornò di nuovo addietro e cominciò l’ inversione. L’alcool, l’urea e la caf- feina favoriscono pure di più la reversione acida a temperatura elevata, la glicerina invece accelera di più la reversione in liquido alcalino a bassa temperatura. La trasformazione in vitro dello zimogeno in enzima fu seguita negli altri 15 cme. tolti alle culture subito dopo le aggiunte (pag.380), di cui 5 cme. furono esaminati subito e gli altri lasciati riposare con eloroformio a temperatura ordinaria. Subito dopo le aggiunte l’attività dell’ invertasi era modificata come segue: (i valori iniziali di questa tabella sono tolti naturalmente dalla tabella n): TABELLA t Ì Zucchero riduttore Invertasi netta RI RM iniziale dopo l ora a 56° | prima dopo l’aggiunta A Ash M.] 268 536 (+) 279.9 268 B Mgnesnoe Ì. = 886 BAL >» 99,5 208 C 586.9 672 » 32.8 85.1 D sO. 238.2 682 » 365.9 393.8 E Re, 238,2 | 325 » 69. 7 89. 8 (1) Ciò è in accordo con l’osservazione di VissER (l. c.), secondo la quale la temperatura fra 0° e 25° non ha influenza sul processo di reversione. ali RE diluizione con acqua l’ha 00/6 din (CA) Poiana 9 C Dopo 4 giorni di dimora asettica a 18-20° (30 aprile): ha TABELLA \. Zucchero riduttore lnvertasi dopo 4 giorpi vasi iniziale dopo 4 giorni Nair Dal lorda netta 1 do A AS 348:() | 279. 108 p: tà Ti E Aa I: 392 » 99.5 | 680 » | 288 E (Di LIZA SIT 586.9 | 630 » 532.8 872 » 192 (do) > O Dì ZZZ (0) Uli di Di qui vediamo che mentre in A (acqua) l’invertasi diminuì assai “e più di quello che si sarebbe aspettato da la diminuzione d’attività “a dell’enzima già esistente (tabella e), in tutti gli altri liquidi l'enzima. È aumentò di più (in B, D ed E molto di più) di quello che comportava l'aumento della sua attività per la presenza delle diverse sostanze va aggiunte (tabella e). Ciò dimostra che in A vi fu una perdita di en- SI zima, in tutti gli altri liquidi un acquisto a spese dello zimogeno (1). si: (1) L’alcool secondo O’ SuLLIvan e Tompson Journ. chem. Society, LVII, p. 859 (1890) paralizza l’azione dell’invertasi di lievito. Osservazioni analoghe, ma non esatte, in BokrornY, Chemiker-Zeitung, 1901, pp. 365-366, 502-504; A/7g. ; Hopfen- und Brauerztg., 1901, p. 2849. Per altri enzimi: GROMOW e GREGORIEW, È I. c. (zimasi); GizeLT, Centr. f. Physiol., XIX, pp. 769-771 (1906) (tripsina, ami- i lopsina, steapsina). Per la glicerina i dati sono discordi. Mentre HeNRI, Journ. d. Physiol., II, p. 933 (1900) sostiene che l'inversione del saccarosio per azione degli acidi può decorrere in soluzione concentrata di glicerina, anche più presto che in solu- zione acquosa, BRAUNING, Zeitschr. physiol. Chemie, XLII, p. 70 (1904) ha di- mostrato che la presenza di molecole estranee, p. es. della glicerina, deprime l’attività dell'enzima. Altri dati simili in Gromow e GrEGORIEW, Z. c. (1904); Pei. WENT, /. c. (1901); Katz, 2. c. (1897). pi Per l’urea mancano dati. O, Quanto alla caffeina, mancano dati. Per altri alcaloidi, che in generale de- è 7008 primono l’attività degli enzimi, vedi MO: C. R. Soc. Biol., 1893, p. 116; < S SEA] Arch. ges. Physiol., CIII, pp. 225-256 (1904); Gromow e GREGORIEW,. i: ; FERMI, Z. c. (e È be. ognuna 295 eme. di liquido nutritizio. È 3 SI TABELLA ju. TA Mi 3 «0008 Acidità Zucchero | Invertasi i forte | totale totale riduttore | da) lorda netta % | | dl cei i CAI IC, 1009 (3) | 332(4) | 777| 496 (4) 164 Mes. do} | i S int 1.3 | 5.6 | 1782 » | 448 » 1354 044 » 296 AS 1.2 | 4.8 | 1474 » | 684 » | 790) 808 » | 124 arie gol 1 240612" N BILI SR 200 581 504 » 224 "ASSE | 1.4] 6.6] 948». | 860 » | sel vos + |a Il confronto di questa tabella con la tabella n mostra, che in A (acqua) e D (urea) vi fu diminuzione nell’attività invertasica, estracellulare, in tutte le altre culture aumento. Confrontiamo questi dati con quelli delle tabelle 1 e XA. Im A (acqua) la perdita di enzima in vitro fu maggiore che nella cul- tura, quindi vi fu secrezione di enzima da parte del fungo. In C, I) ed E l’enzima aumentò più in vitro che nella cultura, quindi non solo non vi fu secrezione d’invertasi, ma questa si perdette in parte nel liquido culturale (cfr. pag. 380). In B si nota un minu- scolo plus nell’aumento dell'enzima nella cultura rispetto al liquido asettico: forse qui vi fu una leggera secrezione. Per comodità del lettore, riunisco qui i dati delle tabelle m, t, i e pi: TABELLA v. Inflnenza su l'attività | su la oi Infiuenza k dell'invertasi a 56* | dello zimogeno | “del liquido culturale A (acqua) . .. .| da 279.9 a 268 da 279.9 a 108 da 279.9 a 164 B (alcool) . . ..| » 99.65 » 208 40% 99, D » 255 » 99.5 » 296 C (glicerina) . . .| » 82.8» S6.1| » 32.8 » 192 » 532.8 » 124 D (urea)... .. » 365.9 » 8983.8| >» 865.9» 508 » 366.9 » 224 E (caffeina) . . .| » 69.7» 89.8 » 69.7 » 168 » 69,7 » 144 In conclusione l'afflusso dei quattro non-elettroliti permeabili i (alcool etilico, glicerina, urea e caffeina) non ha provocato una secre- zione di enzima dal fungo, ma hanno semplicemente affrettato la tra- dirsi i Ù, e, x ere a he l’azione dell’enzima e, ciò che è più meraviglioso, tanto dello ve " i RENE ; si ‘enzima inversivo come dell’enzima reversivo in ambiente acido, seb- p: | bene non nelle stesse proporzioni, mentre influenzano meno l’enzima - CS reversivo in ambiente alcalino. Da - In seguito le culture furono lasciate in riposo per 1 giorno, dopo i di che (1 maggio) tolsi ad ognuna 30 cme. per i seguenti saggi : Sen TABELLA 0. e Acidità Zucchero ; Invertasi ll forte | totale totale | riduttore | paaa lorda | netta di. | | 4 1 | 99 l a or (1 Be: A; 1.0.| 4.8 | 998 (3) | 329(3) | 669] 527(G) | 198 2a DO, Ignora L61 > 449 » 1334 |. 782 >» 340 } OE dot NASO ITATO > 602 (7) | 868| 767 » | 165 ic DI: Dgelegre 1.810» 188(3) | 627) 5389 » | 206 "i E. LpX. 6.8 940 » 491 >» 519) 593 » 172 A Subito furono aggiunti ad A 50 cme. acqua ». B » con 3 g. peptone secco Ù (i » » gomma arabica sE Di » gelatina w 3 E » con 1.5 g. amido solubile (1). va ” o : di I liquidi culturali aumentarono così da 285 a 335. Fattore di di- i: luizione : 0. 8509. # Per effetto della diluizione, i valori della tabella c diventano: "i TABELLA ©. } Zucchero di - Invertasi netta cda totale essosio saccarosio Mi | | ‘da A. 848.9 BORA e n0S o 16805 È BE 151 | 376 1135 | 289. 3 s4 (0 ? 1250 512 KDE "738 pi 12: A Di: Ai 680. 6 loe@nigi 5246. |. ‘175.8 H E. PESTO MBAR O PA AO AO È 3 K> (1) Fu preparato secondo il metodo di LixtxErR, Journ. f. prakt. Chemie, Rei Pp. 380 (1886), modificato da Forp, Chem. Centralblatt, 1904. Il Mucor Mucedo sa coltivato in assenza di amido non contiene amilasi; la presenza d’amido però 1 $ ‘eleva la cifra dello zucchero totale determinato per idrolisi, vedi Annali di È: i Botan., V, p. 240 (1906). oa “ - d Î ‘eme., per cui i liquidi Ca sces ® va 310 CIEGSE Di questi 25 cme., 5 eme. servirono per determinare o di n. vertasi, ed altri 5 per determinare subito la revertasi. Gli altri 15 DR va furono lasciati in riposo con cloroformio accanto alle culture alla si Di temperatura ordinaria e furono esaminati di nuovo dopo 4 giorni. a : La revertasi fu determinata mescolando 5 cme. del liquido con le, 5 cme. di zucchero invertito al 40 %;, e tenendo un’ora a 66° il 3344 de miscuglio, dopodichè aggiunsi 10 eme. di Na0H *’, norm. ed un Fa NE. h- po’ di cloroformio. Subito trovai i seguenti valori (i valori iniziali >” 5 sono tolti alla tabella ©): NE: D TABELLA p. “. Zucchero riduttore l'SRevasone xa iniziale | dopo l ora a 56° | acida È È I ql * È 1 ti AL e a ent ala | AO TAO 3080 (53) — 660 ni B. ; 1884 » =8788 SI04IA AT È Di .| 2564 >» .=8856 3072 >». | — 784 ti D î (184% » =3678. | 3168.» | — 510 si E. 179+ » =8779 | B10 » | — 675 “n È | x Ò Gli altri 15 cme. di liquido alcalino furono lasciati riposare 4 ° giorni, dopo di che (5 maggio) eseguii una nuova determinazione TA degli zuccheri (prova di reversione a 18° in liquido alcalino): È Ji TABELLA c. È, > ‘ » \ | È Zucchero riduttore Reversione | Zucchero totale of | eGo lcalin: dopo 4 giorni c iniziale dopo 4 giorni BIRRA PROC SARIARDA È | ; | a, A 3080 |. 2880(4;) — 200 4400 (i) | regna Ceco, 3104 8456 » + 352 4696 » \ Uta» 3072 3480 » | +498 | 4600 >» 1o9 D en”. 3168 2976 » | —.192- |. 4672 >» | E E ar 3104 3072 » {| —. 82° |» 04888» > Pte 1 DE 4 Mentre in soluzione acida a temperatura elevata si ebbe in tuttii saggi una potentereversione, questa poi continuò insoluzione alcalina a temperatura bassa solamente in A (acqua), D (gelatina) ed £ (amido); in B (peptone) e] (gomma) invece il liquido alcalino era diventato a ;) Fe pie, sione e non di una decomposizione degli zuccheri riduttori. | °° Îal trasformazione in vitro dello zimogeno in enzima fu seguita deter- | minando subito dopo la presa dei saggi (1° maggio) l’invertasi: (i valori iniziali sono tolti alla tabella x): TABELLA tT. Zucchero riduttore —_ Invertasi iniziale | dopo l ora a 56° prima dopo l’aggiunta Mi 280 408 (3) 168.5 128 1 O IR Sr at 376 408» 289.3 52 STE RTS ee E GAI 512 640 » 140.4. | 198 IDEE AE real ore, 156 168 » 175.8. | 12 e n RIVA: 358 408 » A 6 50 L'attività dell'enzima si mostrò depressa anche nel saggio A, ma senza confronto di più negli altri quattro saggi, in cui erano presenti i colloidi, ciò che sta d’accordo con nostre esperienze an- teriori (1). Il colloide che ebbe meno influenza fu la gomma ara- bica; forte fu la depressione in presenza del peptone e della ge- latina. Il resto del liquido (la alle culture, conservato asettico con cloroformio, fu esaminato dopo 4 giorni (b magg 10): TABELLA v mudenero riduttore Invertasi pui dopo 4 giorni iniziale | dopo 4 giorni iniziale lorda | netta : SOSIO RI | ° da 1 È Bega i 980 300 (3) 168.5 504 (+) 204 IST Ah) Cl I 376 456 » 28959 | 602). » 216 ea e 512 616 >» |a 140.4 920.» 304 IT E RR 156 205 Moore 60244, 354 e 358 452 > | 146.3 560.» 108 (1) Annali di Botanica, vol. III, p. 113, (1906). _ ANNALI DI BoraxnIca — Vot. V. 26 na fine dell'esperienza, dino od che si image di una e, rever- cd) i * PIA pl + SOI "k po ALTO rr Lu SETTI Va PE ie . » Atria rat RA Li TSI Mo co si BM su er gir abbiamo Vis che l’attività dell'enzima è assai SL i ì colloidi. Questi dun que, specialmente la gomma e la gelatina, favoriscono assai la tra- sformazione dello zimogeno in enzima a bassa temperatura. Anche i liquidi culturali furono esaminati dopo 4 giorni (5 maggio): TABELLA ©. | Acidità Zucchero Invertasi! | forte | totale totale riduttore pr lorda netta | | > m ; | O ì | 2Q | 1 A. . .|0.6|88]| 764(5) 880(73) | 884 | 480(7) | 100 B. LETO 4,8 1427. > 616% 40 MS 468.» — 128 Gi 0). 8 Bi: 1220. » 655 » | 565 632 » Ls, 699 D. AIR AR RA» | 3499] 76 e E. 1.0 4.4 762 » 455 » | 307 456 » SILURI | Î Questo risultato non ha bisogno di molti commenti. Mentre a temperatura ordinaria l'enzima invertiva ancora e ne fa fede l’au- mento di zucchero riduttore nel liquido di tutte le culture (cfr. con la tabella =), in AA (acqua) invertiva anche a caldo, negli altri li- quidi, in presenza dei colloidi, svilappava a 56° un'attività rever- siva più o meno vivace. In E (amido solubile) l’azione inversiva bilanciò la reversiva a quanto pare, così che pare manchi l'enzima. In complesso la quantità di enzima è assai minore di quello che sì aspetterebbe da la trasformazione dello zimogeno (tabella v) e dal corso ascendente che l’invertasi estracellulare aveva prima del- l'aggiunta dei colloidi (cfr. la tabella p con la tabella 6), per cui possiamo concludere che i colloidi hanno impedito la secrezione di enzima ed hanno influenzato quello già secreto in modo da ren- dergli più facile la trasformazione nella modificazione reversiva (1). Sono tutti fenomeni che il lettore comprenderà assai meglio, quando avrà letto il lavoro su la revertasi. (1) Le osservazioni di alcuni autori citati (FERMI, KATZ, WENT), secondo cui il peptone o l’albumina diminuiscono la secrezione di determinati enzimi o proteggono una data sostanza (zucchero, amido) da l'elaborazione per opera del saprofita (efr. PrerrER, Jahrb. f. ‘rîss. Botan., XXVIII, p. 237 (1895) rien- trano evidentemente nel medesimo ordine di fatti illustrati da me. Certo nes- suno avrebbe finora potuto supporre che la presenza di colloidi nel substrato fa divenire reversivo un enzima a temperature elevate. i BA RATA me ì | —zima, elo stesso dicasi dei colloidi, ma l’afflusso delle sostanze per- si — —meabili, che nella precedente serie pare determinasse una leggera fe secrezione di enzima, in questa serie non ha determinato secrezione, be: ma ha semplicemente affrettato la trasformazione dello zimogeno già , RI > secreto in enzima attivo. n Infine, ecco il peso dei micelii alla fine dell’esperienza : }: RA Peso fresco Peso secco 6 a ANZIANI O-4/39-o. © (8849 g. - 8 15 PRC) ORI 3.4998 > 0. 9588 » SA ORI op RIO 1.4302 » 0. 4364 > perc Rec lr 2 5072 > 205/981» 9 IE ugPe 1.1852 » 0.5142 » Ri IV SeRrIE. — Afflusso di sali (elettroliti) permeabili, poi di sali impermeabili. DÀ Il fango fu seminato il 7 maggio in 5 dei miei vasi da cultura, ognuno - «dei quali conteneva la seguente soluzione: tartrato d’ ammonio 1%, KH PO; 0.5%, Mg S0, +7 aq. 0.5%, saccarosio crist.10%, glucosio 0. 2%, acido fosforico: tracce. Dopo 7 giorni (14 maggio) il fungo si era uniformemente sviluppato in tutte le culture ed aveva appena cominciato a fabbricare qualche sporan- gio. Tolsi allora 25 cme. per i saggi: TABELLA « o Acidità | Zucchero | lnvertasi forte totale | totale riduttore | pot | lorda netta È 1 SIAT | >, FAL CRC A RR TO 8a 2250 (73) 965 (7) 1285 | 1560 I 595 parere O 93 ISO.» 625 » 1255 856» 231 DeL RARI A CNAA IO Ao) 8.7 T9X0% 1» 025 » 1345 696. » Tal DERSAoiio09) SA0 lorda 340 » 1497 680 » 340 E 09 1900» 625 » 1275 (06 » 151 | E degna di nota la quantità così diversa d’invertasi nelle culture pa- rallele. Furono aggiunti subito ad A 50) cme. acqua. B » » con5.8 sg. tartrato d’ ammonio € » » » 2.31 » acetato » DD. » Sla 2» nitrato > E » sti. 6 2 » cloruro » nel liquido culturale alla concentrazione di ‘/,, mol. ù bet: I liquidi culturali aumentarono così da 275 a 325 cme; fattore di dilui- | zione: 0.8461. Moltiplicando per questo numero i valori della tabella x si ha: TABELLA 8. h | | Zucchero | Invertasi totale | essosio saccarosio BEE PER RITO IAP RO IE 1904 816. 4 1087. 6 505. 2 CAI PIREO E GR EE NICn 1591 528. 8 1062. 2 195. 4 e 1666 528. S 1137.2 600. 8 Da UE sa 1554 287.7 1266. 7 287.7 Mica sii Ale 1606 528. 8 1077.2 127.7 Subito dopo l’aggiunta, i liquidi di B e C' (sali organici d’ammonio) di- ventarono alcalini per il methylorange, ma rimasero acidi per la carta di tornasole. Tolsi subito 25 cme. ad ogni cultura. Questi furono conservati con clo- roformio alla temperatura ordinaria accanto alle culture e servirono per fare la prova di reversione acida a 56° e a 20° e studiare la trasformazione dello zimogeno in enzima attivo. alcalina a 20°, nonchè per La prova di reversione acida a 569, istituita come nella serie prece- dente di esperienze, dette il seguente risultato: i dati si riferiscono a 5 cme. di liquido originale, i valori iniziali sono tolti alla tabella 8. TABELLA Y iniziale AI n. ene. 26044 » A Oc. 2644 » 8 PRETE PENA. 144+ » PECORE LR 2644 » Zucchero riduttore 408 + 3600 = 4008 — 3864 = 3864 = 8744 — 3864 4416 (55) 3488 3616 3328 3616 dopo 1 ora a 56? » » » » | | | Reversione acida + 408 — 376 — 248 — 416 — 248 (1) OVERTON /. c., p. 182 (1895); Lévinson, Bot. Centr., LKXXIII, p. 1 (1900); XL, p. 408 (1904); Borrazzi, Principi di NATHANSOHN, Jahrb. f. wiss. Botan., Fisiologia, I, p. 282 (1906). | presente una x quanti così preponderante di zucchero invertito, negli altri | saggi reverti energicamente; non so se ciò sia dovuto ad un’ azione speciale dei sali d’ ammonio o dell’ammonio (NH,) sull’enzima o piuttosto all’acidità leggermente diminuita. Il liquido avanzato da questo saggio, reso alcalino con Na0H '/,, norm. ‘come nell’esperienza precedente, fu provvisto di cloroformio e conservato alla temperatura ordinaria (prova di reversione in alcali a 20°). Dopo 2 giorni (i valori iniziali sono tolti alla tabella >): TABELLA È. Zucchero riduttore LA ALI Reversione iniziale dopo 2 giorni Elio, i; 0 MM — 224 PI MEN Ae Ae 34S8S 3712 » + 294 ur 3616 | 93552 » Sg IDRE NL TESA 3328 | 2784 » — bad B.. usi” |. sid - 512 Come si vede confrontando questa tabella con la tabella y, in (0, D ed E l’ enzima continuò a revertire più o meno in alcali a bassa temperatura, ma in A (acqua) ed in D (tartrato d’ammonio) l’attività s’inverti; in A da inversiva divenne reversiva, in B da reversiva in acidi si fece inversiva in alcali. Non sono in grado di spiegare questi fatti; richiamo però l’attenzione del lettore su la constatazione assai importante, che l'enzima di Mucor Mucedo inverte anche in soluzione alcalina, per altro assai debolmente alcalina (1). (1) Ciò è dovuto al fatto, che in soluzione concentrata di zucchero l’alcali favorisce il passaggio della proinvertasi ad invertasi, come vedremo nel lavoro su la revertasi. FERMI e MonTESANO, Centr. f. Bakteriol. (II), I, p. 542 (1895), hanno già osservato, che l’invertasi di alcuni bacterii agisce anche in solu- zione debolmente alcalina. In linea di principio la cosa è concepibile, perchè anche gli ioni OH —, che sono i catalisatori di primo grado, determinano una in- versione energica, per quanto assai più lenta di quella determinata da gli ioni H+.—0'Sutivan, Journ. chem. Society, LIX, p. 939 (1892), dice che dopo il trat- tamento con potassa diluita l’attività invertasica aumenta. Alcali forti natural mente distruggono l’invertina: 0’ SULLIVAN e Tompson, Journ. chem.| Soc., LVII, p. 852 (1890). Piotta 97 "o STI LIO RIONE : # terminai l’attività inversiva subito dopo la presa del saggio (i valori i iniz sono tolti alla tabella £): i TABELLA € Zucchero riduttore Invertasi iniziale ! dopo 1 ora a 56° | prima dopo l'aggiunta i | BOLO RIA: (0 B16 4 856 (3) | 503.2 + 39.6 IRRIESIRIEOO | 528. S 464 » 195. 4 SO E RAT PAESE STABIA, 623.8. | 456 » 60 — 1/28 DERE Lote 287.7 | bi2 » 287.7 + 224.3 RI a 528. 8 640 » LONerd RR? Basta dunque che il liquido diventi alcalino per il methylorange (non contenga acidi forti), perchè l'enzima reverta. Del resto anche negli altri saggi l’invertasi è in diminuzione, fortissima in A (acqua). È però da considerarsi, che anche in A A forte era piuttosto 1 bassa (circa 0.5 cme. '/,, norm.). Il resto dei liquidi culturali fu provvisto di cloroformio e conservato. alla temperatura della stanza. Dopo due giorni (16 maggio; i valori ini- ziali sono della tabella $): TABELLA È. Zucchero riduttore Invertasi dopo dopo 2 giorni a 20* iniziale @i@2piorni ‘|. iniziale ie n a 20° | lorda | netta a x al AIEMRRIE >. pi VT RIS AO ROSE 503, 2 882 (3) 16 | 4 Ie i, TRA E 528.8 560 | 195.4 672 » 112. NASA, 528. 8 560 60 632 » 72 DAS is doi 287.7 576 287.7 7152 » 176 e Ve. 528, 8 624 127." 840 » 216 L’invertasi è aumentata solo in £ (nitrato d’ammonio) e un poco in C (acetato), negli altri liquidi è diminuita, in A (acqua) moltis- simo; infatti in A non è neppure accaduta inversione in 2 giorni a 20°. La diluizione del liquido culturale con circa '/, di acqua ha dunque fatto sciupare l’enzima in questa esperienza ; anche nella serie precedente abbiamo osservato (pag. 382) qualcosa di simile. w fere) za fra 1 influenza dei sali organici 7A | inorganici di ammonio. In B e C subito dopo l’afflusso dei. sali orga- | - nici l'enzima reverte, poi riprende adagio l’attività inversiva; in D ed E invece (nitrato e cloruro) si conserva inversivo, spec in E. Probabilmente qui si ha un’azione dell’anione. L’anione orga- nico (tartarico, acetico) viene assorbito da l’organismo più presto. dell’anione ammonio ed infatti i liquidi diventano alcalini per il metilarancio, non però per il tornasole. Invece l’anione inorganico non è assorbito (cloro, nitrico) od è assorbito assai più adagio del catione ammonio; cresce l'acidità nel liquido esterno, l’invertasi la- vora di più ed una maggior quantità di proinvertasi si trasforma in enzima attivo (1). Il cloro (E) deve in questo agire più dell’a- nione nitrico (D), ciò che l’esperienza conferma. I liquidi culturali furono pure esaminati 2 giorni più tardi (16 mag- gio) e per questo scopo tolsi ad ogni cultura 25 cme. I liquidi di cultura s1 ridussero così da 500 a 275 cme. TABELLA 7. IS Acidità Zucchero Invertasi 3 forte | totale totale | riduttore persi lorda netta — RESA I LIA A... .:| 1862) 120(7) 807) | 1100 | 784(2) | 150 Peck SIRIO | 1627 > 571 » | 956 | 872 > 301 c 0 | 46 | 1570 » | 560 » “| (9900) 548 | 82 O hall 66 |vIn60 » | 505: Sei 00 255 sal | | E 1.0.| 65 | 1530 » | 595 » (| 985.| S240» | 329 | | Confrontando questi dati con quelli della tabella ©, troviamo che l’attività invertasica estracellulare è diminuita in A (acqua), D (ni- trato) ed £ (cloruro), aumentata in B (tartrato), invertita in C' (acetato). (1) La trasformazione di proinvertasi in invertasi viene catalisata da gli ioni d’idrogeno. Si tratta probabilmente di un processo di idrolisi. Rendiconti i Accademia Linceî 1906, I Sem., p. 589. I corrispondenti "dar Tela seguente Di . TABELLA 6. Wisanna dell'attività Trasformazione Variazione ; dull'ia veni dello zimegeno dell'attività inversiva in enzima del liquido di cult. | A (acqua) . . . .|(dat503.2a+ 59.6 da + 503.2 a + 16da + 503.2 a + 150 B (tartrato d'’NH,)| » + 195.4» — 648) » + 155.4» + 112) » + 195.4» + 301 C (acetato >» )|> + 60 »— 72.8|/» + 60 »4 72 » + 60 »— 32 D (nitrato » )l>» sa 287.7 >» + 224.3) » + 287.7 » + 176) » 4- 257. 7 » + 255 E (cloruto . » ‘){» 4-127.7» 41119| » 4 197.7» + 216| > + 120.7» + 899 In A ci fu secrezione di enzima, perchè stando a lo sciupìo che soffriva l’enzima secreto, si avrebbe dovuto avere una diminuzione: assal maggiore di attività invertasica ultracellulare. In B la secrezione fu ancora maggiore che in A, tenuto conto che la composizione del liquido era tale, che subito dopo l'aggiunta l'enzima diventava reversivo, e la quantità di proinvertasi attiva non basta per spiegare l'aumento; quest’ultima ragione vale anche per dimostrare che vi fu secrezione in / ed in E; in Cl l'enzima ad alta temperatura diventava reversivo (non però a temperatura or- dinaria !) e quindi non si capisce se vi fu secrezione o no. . In complesso però si può ammettere chei sali d’ammonio, se non hanno provocato un aumento di secrezione, per lo meno non hanno impedito questo processo, fatta eccezione per. l’acetato. Subito dopo tolte le prove su dette, aggiunsi ad A 50 cme. di acqua B » » con 5.4 g. MgSO, (1) (i » » » 3 » KNO, D » » » 1.74 » NaCl E » » 2,49 » CaCl, Sono quattro sali impermeabili per le cellule dei funghi (2). La dose scelta era tale, che essi venivano a trovarsi alla concentrazione di / ?s nel liquido culturale. (1) 10.8 g. MgSO, + 7? aq. (2) Jarb. f. wiss. Botan., XL, p. 841 (1904); Novo Giorn. Botan., (2), XI, p. 353 (1904. : Fog Ù A Li Torte de w è Pif Pa eme. Fattore d lu 846 WoPer. 90 ITC REI IM SLA a concentrazione dello zucchero e dell’inver- * IRINA: TABELLA ©. Db: A Invertasi È È totale | essosio Î saccarosio Lee “A va i i | | - +16 Sa SAINT MS bas | 850 + 130,2 di: Me... Iole 488 | 809 + 254.2 E. MN 0 1998 491 | 837 Ss: bo Me... 0... 1320 497 | 898 + 215.7 da 7 EA RARI 1294 508: * ci + 24.5 SA È | ; A Subito furono tolti 25 cme. per fare le seguenti prove: “i i Reversione acida a 56°. 5 cme. del liquido culturale 4 5 cme. di zue- ‘= SEO -‘chero invertito al 40 % furono tenuti a 56° per un’ora, poi addizionati di pe: 10 cme Na0OH '/ norm. ed esaminati subito. (I valori iniziali sono tolti n. alla tabella :; tutti i valori della tabella % si riferiscono a 5 cme. di li- «$i > quido originale): r — 27 | — 5Bl D 427 584 » + 215.7) + 157 E | 503 | 640 » | + 24.5 + 157 | Troviamo aumentata l’attività dell’invertasi in A ed £ (cloruro di calcio),. diminuita in D (cloruro di sodio), in B e C' non è forse variata l’attività del- l'enzima, ma è diventata reversiva (1). Dopo due giorni di riposo a 20° in presenza di cloroformio: TABELLA v. SIR] Zucchero ‘riduttore. i Dio i Ro; Invertagio ul aL IR tesi sari dopo 2 giorni iniziale dopo 2 giorni iniziale lorda | netta | Or ASMARA O Ao RG s) 4 180.2 | 696 | SIA 10 ARAN 183 | 576 + 254.2 960 | + 884 FIR CORRA APRI ef 180 » Sar 520 | + 40 Bit 4 PAPERA 427 440 » + 215.7 672 | 4+ 232 Me li 08 456 » + 246 | 74 I + 288 (1) Secondo ArrHENIUS, Zeitschr. f. physik. Chemie, IV, p. 237 (1889), l’a- zione catalitica degli acidi viene notevolmente aumentata per la presenza di sali neutri. Ma non è sempre lo stesso per le azioni enzimatiche. I sali di calcio hanno un’influenza deprimente su la diastasi.: MoraczEWSKI, Archiv. fim ye- samte Physiol., LXIX, pp. 32-75 (1897), e su l’invertasi: BourqueLoT et Hi- RISSEYy, Comptes rendus Soc. Biol., LV, p. 176 (1908). Però secondo EFFRONT, Comptes rendus, CXV, p.1324 (1892); Moniteur scientifique, VII, p. 266 (1893), il fosfato di antimonio, di calcio, i sali di alluminio, il gesso favoriscono l’a- zione della diastasi. KeLLNErR, Mori e NAGAOKA, Beitr. z. Kenntriss der invert. Fermente, Zeitschr. f. physiol. Chem., pag. 316 (1890), riportano che il ‘sale da cucina deprime l’azione dell’amilasi. Cfr. WENT, €., p. 641, HENRI, C. LR. Soc. Biol., 1902, pp. 353-354; GONNERMANN, /. c.; GROMOW e GREGORIRW, Z. e. (1904); CoLe, Journ. of Physiol. XXX, pp. 202 e 281 (1908); Issamew. Zeitschr. f. physiol. Chemie, XLII, p. 112 (1904): DELEZENNE, Comptes rendus, CXLI, pp. 914-916 (1905); MALFITANO, Comptes rendus Suc. Biol., 1905, pp. 948-919, In complesso i risultati sono assai discordanti, gli Autori non hanno tenuto conto della reversibilità di questi processi e tutta la questione meriterebbe uno studio sistematico e profondo. — bt A SI È tenne c'è s' ata un'inversione ‘abbastanza forte in A. ea è diverso il Javorio dell’enzima a 56°! Pare che in A non ci sia più enzima o stia tra- CRE sformandosi in revertasi ; negli altri saggi è aumentato in tutti, specialmente in (cloruro di calcio). In B e C l’enzima si è abituato all'ambiente (cfr. pag. 392) e vediamo che, mentre subito dopo la presa dalla cultura svi- luppava attività reversiva, dopo due giorni invece ha acquistato notevoli proprietà inversive. Anche i liquidi culturali furono esaminati dopo due giorni (18 maggio TABELLA &. Acidità Zucchero | Invertasi forte | totale totale riduttore saccarosio | lorda netta | ada Ta | O Di A a 1320 (5) 636 (7) |- 684 | 840.| + 204 BEAR OO 8.9 1075 326 » | 749 573 | 24% CATS i 0 5. 5 RS 705. » 605 824 + 119 IO A et EL ingl ato 6.8 1300 » 445» 555 (68 | 329 E SRG (Et, 1260)» |-490, > | 40 | 924 piaas Per agevolare al lettore il confronto di questi valori con quelli di due giorni prima, ho riunito i dati corrispondenti alla tabella 1, ho v: TABELLA 0 Variazione dell’attività | Tres | Variazione d. attiv. x x | d. zimogeno | inversiva d. invertasi in enzima attivo | nel liquido d, cultura A (acqua). . . . .|da + 130.2 a + 171|da + 130.2a — 4da+ 130.2 a + 204 B (MgSO,). . . .|>» + 2542» — B1|» + 254.2» + 884 » + 254.2 » + 247 C (KNO,). . . . .|.>— 27 »— bll» — 27 >»+ 40|»— 27 >+119 D (NaCl). . .. .|» + 215.7» + 157| > + 215.7 > + 232] » + 215.7» + 323 E (CaCl)). . . . .|>» + 24.5» + 137] >» + 245» + 238) » + 245» + 334 Il confronto di questi dati ci porta a concludere; che in tutte le culture vi fu in quei giorni secrezione d’invertasi, tranne in B (solfato di magnesio), in cui l’attività inversiva estracellulare ri- mase stazionaria, mentre avrebbe dovuto aumentare, se nel liquido della cultura si fosse compiuta la trasformazione dello zimogeno in enzima nello stesso grado come in vitro. Dunque l’unico sale che ha impedito la secrezione dell'enzima è stato il solfato di ma- is RIE, = [NRE — E re ee PI © bi acqua), come Do ll'Sdponibinti ic MA rs Do Per vedere a colpo d’occhio come agiscono i diversi DoS isti- o tuiamo un confronto fra le tabelle 6 ed o. I valori che segniamo risultano dalla differenza dei valori segnati nelle colonne II e III delle rispettive tabelle; -+- significa aumento, — diminuzione del potere inversivo, non è quindi da confondersi con i segni delle ta- belle precedenti. TABELLA 7. Variazione Variazione dell’ invertasi dell’invertasi | in vitro a 20° nella cultura a 20° Aggiunta Ul: ACQUA sa IR NI — 457 — 5353 » '‘/i) mol. tartrato di NH, . . .| — 83 + 106 » » ACELALOR SIR no SE — 92 » » nitrato. . ......... .| — lil — 32 » » clonùuro Sesta 4 + 89 + 202 » Boilua: fx 001°, ARR, — 154 + 4 » 1:38, MpBOs ci + 150 — © » n e N00 7 TATTOO + 67 + 146 » DNA, + 17 + 108 » dc Oa II + 214 + 510 Vediamo da questo confronto che non c’è una relazione fra la permeabilità dei sali e la loro influenza su la secrezione dell’en- zima. Infatti la secrezione è aumentata sempre in tutte le culture, anche in quelle a cui erà stata aggiunta acqua pura; fanno ecce- zione la cultura C' dopo l’aggiunta dell’acetato d’ammonio e la cul- tura B dopo l’aggiunta del solfato di magnesio, in cui la secrezione fu arrestata e l'enzima diminuì. Assai più interessante è l’azione che i diversi sali hanno sul- l’attività dell’invertasi, su la sua modificazione in enzima sintetiz- zante, su la trasformazione del proenzima in invertasi o in rever- tasi, ma sono tutti fatti questi, che esorbitano dal nostro tema. I micelii avevano alla fine della esperienza il seguente peso secco: PPP Bi... L'ANSIA de, Mit. MOT 1 "ERRE 6151) ciù MR d° VERI ITI3A | —perficie secernente. Ta I MIR possono ascrivere alla grandezza della su- V. SeRrIE. — Afflusso di basi, poi di acidi, e viceversa. Il fungo fu seminato il 23 maggio in 5 dei miei vasi da cultura, ognuno- dei quali era provvisto di 300 cme. della stessa soluzione adoperata nella esperienza precedente. La temperatura della stanza oscillò fra 18 e 24°. Dopo f; giorni (30 maggio) tolsi 25 cme. per i seguenti saggi: TABELLA . Acidità | Zucchero __ Invertasi forte | totale totale riduttore | pri lorda | netta OZ 1 - l | me me 1 mr BE 2 8] 125 (-) 550(-) 6 0 (o Bean ii 172 TO uo 540 » 1172 728 » | 188 Coreana TELO) 216200» 525065» 1637 744. >» | 219 Re Lev 1697 > | 520.3 | GG | zola a een a 116 7.5 1787 >» 545 » 1242 708 » 163 Le aggiunte furono fatte in modo da portare con sufficiente approssi- mazione l’acidità totale (7 cme. ‘/,, norm. per 11 cme. di liquido culturale) al doppio (14 cme.) o neutralizzarla esattamente o sostituita con alcalinità pressoché eguale (intorno a 7 cme. ‘/i norm. per 10 eme.). A questo scopo furono aggiunte ad A 50 cme. acqua = 6.6" (acida) B 23.5 >» acido acetico norm. + 26: 5 cmeasgie "13:27 C 23.5 » carbonato sodico norm. + 26.5 » ve (neutra) D 47 » Ai fi SL » » = 6.4°(alcal.) E4l >» fosfato trisodico » +3 » MEA x I titoli delle soluzioni aggiunte erano stati stabiliti empiricamente, ti- tolandole con Na0H od HCl '/, norm., facendo uso come indicatore della fenolftaleina o del tornasole. Così in B l’acidità divenne circa 14 ‘/4, norm., C diventò affatto neutro e vi si formò infatti subito un precipitato di fosfato ammonio-magnesiaco, D ed E acquistarono un’alcalinità circa 7 ‘/,, norm., e il precipitato fu in ambedue le culture assai più voluminoso che in C. TABELLA f. «@ i i Zucchero o a S Invertasi netta TR : totale essosio saccarosio ; de» ì A. 1459 465 994 144 “Sh È B. 1448 457 991 159 Mi Oa .| 1829 AM | 1885 185 Bo x DI * 1428 440 988 210 “I E. 1512 461 1051 138 de Dopo accurata agitazione furono tolti alle culture 25 cme. Ki: Di questi, 5 eme. furono subito mescolati con 5 cme. di zucchero in- 1% vertito al 40 % ed un po’ di cloroformio e lasciati riposare accanto alle i: culture; si tratta dunque di reversione a freddo in liquido acido od alcalino da, a seconda dei saggi. Così avevo posto l’esperienza di reversione in condi- ‘A zioni più simili a quelle delle culture, di quel che non avessi fatto nelle Pu, serie precedenti di esperienze. o Dopo 24 ore precise determinai lo zucchero riduttore. I valori della ta- Ì bella si riferiscono a 5 cme. di liquido originale; i valori iniziali sono Ro prèsi dalla tabella 8. 00 TABELLA Y. Zucchero riduttore pr rr“ n SITO i A iniziale dopo 24 ore ; : (e Î È” Mi... 282-600 | 3200(7) | — 682 | d- B. 2284 » —8828 | 8440 » | — 888 ; (A C. ; 2224 » —8822 | 5200» ' — 623 | Dich 220+ » =8820 | 3320 » | — 500 Ì È Re::4 : | 2304 » — 3880 | 3320.» | — bo J % figil “ La reversione massima fu in A (acqua, debolmente acido) e in C' (li- quido neutro), minore nei liquidi alcalini e anche più debole nel liquido di più acido. La trasformazione in vitro del proenzima in enzima fu seguita determi- |, nando l’attività idrolitica dai liquidi appena tolti alla cultura e dopo 24 ore di dimora asettica in presenza di cloroformio alla temperatura della 0. stanza. tà: À l ì PCS 4 h (el toto Zucchero riduttore Invertasi | Ù inìziale | dopo 24 ore | , Ro dopo l’aggiunta i | v s : | d e i ... 465 720 (+) IM + 255 viti È 457 128.» 159 È 1 1 DATA e i 465 10 (3) | 14 816 (5) + 106 eni ca 457 710 » | 159 992 >» + 182 Nr. Sere a 444 50 » 185 (28 » — 22 D. 440 660 3 |iemionamannna > | 93 Eaeeego ae adi a 461 530 » 198 656 » N26 In A l'enzima è diminuito (ctr. la tabella 3), in Be Dè rimasto stazionario, in 1) è aumentato leggermente: in C non si capisce perchè, mentre a freddo inverte, a caldo reverte. Interessante è la inversione a freddo, la quale accadde anche nei liquidi alcalini, sebbene in minor grado (cfr. pag. 390). Il fosfato di sodio è dan- noso all’invertasi assai più del carbonato. Anche iliquidi culturali furono esaminati dopo 24 ore (31 mag- gio). A quest’uopo furono tolti ad ogni cultura 25 cme. Il fungo non mostrava di aver sofferto in nessuna cultura. WG Was x ly Ta E LLA î A F b L'daii PERTRAENE R t 7 S 4 I % &. } raf È Fielii rei ; ATO ner Ng — Zucchero alcalinità VELE nl” totale riduttore . | saccarosio lorda seria Ò B E È “E A 5.8H |1450 (î) MG sso | 80 (4) + 280: BEI I a 12.8H |1412 525 887 738 » | + 218 fi: PE 1%, 0.6H |1462 » | 530 » | 932 432 >» | — 98 ©) 1 Cl OA SLA 7.20H |1412 » | 510 » | 902 480 » | — 380 Wo; 107), 7.800 [14768 » | BI5 » | 960 |560 » | — 46 2 Per facilitare il confronto con le tabelle precedenti, traserivo qui i dati delle tabelle f, 3, è e Z: TABELLA x Variazione dell'attività Trasformazione Variazione ; dello dell’invertasi nel liquido. Uell'invertazi zimogeno in enzima di cultura A (acqua) .. . .|da-|- 144a + 255|da+#- 144a {- 106|da + 144 a + 230 Bi.(wcido) 0. » + 159 > + 271] » + 159» + 182| >» + 159» + 213 C (neutro) È » + 185» + 70] » + 185» — 22| » + 185» — 98 D (alcalino). . . .|» + 210» — 8|/» + 210» — 92] » A- 210» — 30 E( » )....| >» + 138» — 61] » + 138» — 126| » + 138» — 45 Da ciò sì deduce, che vi fu secrezione abbastanza vivace in A (acqua), B (aumento di acidità) e C' (liquido reso neutro), sebbene in quest’ultimo l’attività a caldo fosse reversiva, mentre l'enzima di- minuì fortemente nei due liquidi alcalini. È la solita influenza del- l'organismo su l’enzima secreto, che manca nei saggi asettici (co- lonna II) e di cui abbiamo già parlato. Anche qui dunque prevale l influenza del medium su l’attività dell'enzima e su la sua for- mazione da lo zimogeno, di quel che l'influenza su la secrezione. Subito dopo la su riferita analisi, a proposito della quale osserviamo an- che, che in 0 era già cominciata la produzione di acido organico da parte y del fungo, aggiunsi ad dd A50 cme diaqua . . . C+ +3 acidità resultante: circa 4. 9 È; B35 » » potassa caustica 2. 0 norm, + 16 ome, acqua: alcalinità. » =» 8 C' 23.5» » acido acelio 1.0 » + 26.5 » » tacidià >» >» 2 D39.6» '/, » tartarico 1.0 » -1-10,4 » »I » » » 1 i. » » 2 E39.6» *, » fosforico 2.0 » +10.4 » » “i ; ter” da tte divennero acidi. Il precipitato di solfato anonima e si sciolse in C, D ed E; in B invece si formò in grande quantità. È Per calcolare di quanto rimasero diluite le sostanze ed attività determi- n nate prima di queste aggiunte, moltiplichiamo i valori della tabella 4 per ; il fattore di diluizione: 0. 8461: w TABELLA 0. E h i Zucchero ad fto Invertasi netta Mie totale | essosio | saccarosio te | MM A 12928 482 | 746 | + 1946 so | "SONE B 1195 A44 | 761 | + 180.3 (È | ia US; 1237 4A48 | .c 789,0), — 8268 LE D 1195 482 | 763 | — 264 eo E 1248 436 | 812 | Ls 'agi "N i Ri È Subito dopo le aggiunte furono tolti ad ogni cultura 25 cme., di cui 5 bi furono mescolati subito con 5 cme. di zucchero invertito al 40 °/ e cloroformio, ai di poi lasciati in riposo alla temperatura ordinaria. Dopo 24 ore fu esaminato a in questi saggi lo zucchero riduttore (prova di reversione a freddo): a dp: TABELLA £. fr: Zucchero riduttore | i n; | Reversione for è iniziale dopo 24 ore a 20° | n A SE 1 Mi A: 241 4 8600 — 3841 3520 (3) Ci De - Bi 22924 » —3822 3600.» — 222 as C. î 2944 » —8824 8480 » — 344 SE D. 2164 » =8816 ERRO» — 216 di I e 184 >» — 38IRMNIRO 3640 18 0 | Bi: enne 7: Me 6 Per seguire la trasformazione dello zimogeno in invertasi determinai l’at- vo tività inversiva a 55°, nei saggi tolti alle culture, subito dopo le aggiunte A e dopo una dimora asettica in presenza di cloroformio alla temperatura della Ùi: stanza (183-200). be ANNALI DI Boranica — Vor. V 26 fe: IRA II ul TABELLA x. Zucchero riduttore | Invertasi iniziale Napo ERSTa prima dopo l'aggiunta | MIRA (0 e Ro 664 (3) | + 1946 | + 182 BI I dil 424 >» + 180.3 — 20 Ie OA «Al 1 sis 448 488 >» — 82.9 + 40 MPT EE 452 472 » — 25.4 + 40 RETRO E ari 436 DO2 >. | — 894 + 116 | In A (aggiunta di acqua) l’attività diminuì leggermente, ciò che sì spiega per la leggera diminuzione di acidità (cfr. pag. 401), in B (da acido ad alcalino) l’attività diminuì fortemente e diventò rever- siva, in C, D ed E (da neutro od alcalino ad acido) da reversiva divenne inversiva ed in £ aumentò fortemente (da fosfato basico di sodio ad acido fosforico) ciò che è in relazione con la maggior dissociazione dell’acido fosforico rispetto all’acido tartarico (1). Dopo 24 ore (valori iniziali della tabella 0): TABELLA ). | Zucchero riduttore | Invertasi dopo 24 ore a 20° | dopo 24 ore a 20° | iniziale iniziale lorda netta | | | | A. sca.fi CARE 630 (3) | + 19146 804($) +17 B. .| 444 550.» + 180.8) 430 » — 150 MR | AS 750 » 2.9) 0 00 IRR 0... 432 «0 » PMO brA 808 » | + 88 E. | 486 DROMtete (38.1) 612° NCAA Mentre in A, come sempre, l’ enzima diminuì un poco, negli altri l’attivazione dell'enzima fu proporzionale alla concentrazione ionica dei liquidi. In 5 (da acido ad alcalino) l'enzima diminuì un poco, ma divenne reversivo per le temperature elevate; in C' (acido acetico) diminuì la sua proprietà reversiva; in / e ancor più in E divenne inversivo. In complesso però, tranne che per B, non pare sì formasse nuovo enzima, se si considera la tabella x. Un fatto. degno di nota è che a temperatura bassa si ebbe inversione, per quanto debole, anche in / (liquido divenuto alcalino), come già prima (tabella e) abbiamo osservato (cfr. pag. 400). un leggero îmbrunimento Sofie ife inferiori. TABELLA y. ZTL ] Zucchero riduttore du Invertasi alcalinità SISI | totale riduttore par | lorda netta 208 7000 . «| B.4H | 1120(3) 500(3) leo. Len (3) | +12 i o 1900 122: >», 1 469 >» 653 | 440 > — 29 0 E REA EAT 8. 2H LIO 40.» 600°] 4586 e I 10° NOMI, 15 8.2H ILTODn i» 695» lu 505 64065 + 45 e a lego 1130 >» | 456 » | 674 | 536 » l'1a050 Riunisco i dati paragonabili delle tabelle 0, x, % e w.: TABELLA y Variazioni Trasformazione | Variazioni attività | dello dell’invertasi } dell’attività zimogeno | Tel dell’invertasi in enzima attivo i liquido di cultura A (aggiunta di acqua) . .(da + 194.6 a + 182da + 194.6 a + o + 194.6a + 172 B (da acido ad alcalino) .| » + 180.3 » — 20) » H- 180.3 » — 150) >» + 180.3» — 29 C (de neutro ad acido). .| >» — 829» + 40|>» — 829» — 46|» — 82.9» + 44 D (4a alcalino ad acido) .|» — 25.4» 4 40» — 25.4» + 88» — 25.4» + 45 E (da alcalino ad acido) .|>» — 38.1» + 116|» — 38.1» + 92» — 88.1» + 850 Questo confronto ci permette di stabilire che in nessuna cultura avvenne secrezione di enzima, perchè gli aumenti o i cambiamenti «di segno accaduti nella attività inversiva intracellulare sì spiegano già con la corrispondente variazione nell’attività dell'enzima pree- sistente. In B osserviamo al solito una distruzione di enzima che non si verificò in vitro (cfr. pag. 380). In complesso questa variazione dei liquidi culturali ha dato gli stessi resultati della precedente, mutatis mutandis (cfr. tabella m). Per le variazioni di acidità od alcalinità del medium non è Za secrezione del- l’enzima che varia, ma soltanto l’attività di quello già secreto e la ra- pidità di formazione dell'enzima da lo zimogeno già secreto. Il cam- biamento della reazione del medium da acida ad alcalina fa dimi- dell'enzima; il vd della reazione del sabateato da aleRlna n da) acida o mesto di acidità provoca i fenomeni inversi. VI SeRriF. — Influenza dell’aria, della narcosi, di agenti fisici. Il 7 luglio fu seminato il fungo in 5 dei miei vasi da cultura, ognuno dei quali portava 300 cme. di soluzione identica alla precedente. Dopo 6 giorni lo sviluppo era già assai avanzato in tutte le culture (tempera- tura: 22-26°). Effetto di un abbassamento della temperatura a 0°. — Ad una cultura (A) furono tolti 30 cme. alle 15.30 del 13 luglio, per un primo esame, Alle 15.40 la cultura fu immersa in bagno di ghiaccio fin sopra a l’anello di gomma (pag. 355). Dopo 2 ore e 30" fu tolta ed esaminata nuovamente: TABELLA «. Prima del raffredd. .| 1.7 | 7.2 | 1950 (3) 6555 (3) 1 Acidità Zucchero Ù | - ; FRESE Revertasi forte | totale totale | riduttore Baoa netta | Netta?) rosio | PT 1295 È 113 — 887 5 | 6.8 DEM 690.3 | + 228 — 1840 | Dopo il raffreddam. (‘) La revertasi fu determinata a 56° nel modo solito (pag. 376); i valori di revertasi si rife- risecono a 5 cme. di liquido originale, mentre iutti gli altri si riferiscono come sempre a 10 cme. È da escludersi, che nel breve tempo che durò il raffreddamento, sia accaduta una notevole trasformazione di proenzima in enzima; l'aumento indubbio dell'enzima, e precisamente tanto dell'attività inversiva, come dell’attività reversiva, mostra che il raffreddamento a ()° determinò una rapida secrezione d’invertasi (1). Effetto di un’elevazione della temperatura a 42°. — Ad una se- conda cultura (5) furono tolti in quel medesimo giorno 530 eme. alle 15.0. Alle 15.10 la cultura fu immersa fino al margine inferiore dell'anello di gomma in un grande bagnomaria termoregolato a 42°. Alle 1740" (dopo 2 ore e 30’) la cultura fu tolta dal bagno ed esa- minata. TABELLA f. Acidità forte totale 5) - Prima del riscaldam. .| 1.8 | 8. Dopo il riscaldamento.| 1.6 | 8.5 totale Zucchero riduttore | sacca- rosio Inver- | Rever- tasi tasi netta | netta Ì 1577 1) 640 (4 NI 937 |+ 240/— 880. 660 » — 124 610- (1) Su l’effetto delle basse temperature su lo sviluppo del Mucor Mucedo, vedi Cuopat, Bull. Herbier Boissier, 1896, pp. 890-897. i. già elevata, ed è diventato reversivo anche nelle sora dora di saccarosio ; il solito effetto che produce il riscaldamento (1). La ‘mancanza del saggio in vitro non permette di giudicare se vi fu ‘secrezione di nuovo enzima, a mano a mano che il vecchio si di- struggeva. Esposizione alla luce solare. — Il 16 luglio, ad un’altra cultura furono ‘tolti 30 cme., poi la cultura fu esposta al sole, dietro una grande cuvetta piena di acqua, alle 11.45 e tolta alle 16.46, cioè dopo 5 ore di insolazione diretta. Il cielo era perfettamente sereno, l’aria però alquanto mossa, così «che l’atmosfera interna della cultura non si riscaldò oltre 32° 5 (termometro ‘a massimo). TABELLA v. Acidità | Zucchero Inver- | Rever- Î tasi. ii «tai x | . sacca- | forte | totale | totale riduttore | rosio netta | netta I | | pu | Prima dell’insolazione.| 1.1 7.7 2116 (73) 600 (4) 1516 |4- 192) — 660 | del A | — | 800|— 995 | K | Dopo l’insolazione. . .| 1.5 | 8.5 Ra 710 » L’enzima aumentò fortemente nel liquido culturale, ma acquistò la proprietà di revertire a caldo anche a contatto della soluzione concentrata di saccarosio; però a freddo non poteva essere così, perchè in quelle 5 ore aumentò lo zucchero invertito nel liquido culturale. Dunque la luce forte al pari dell'elevata temperatura fece diventare reversivo l’enzima, ma non lo distrusse, o per lo meno determinò una secrezione di enzima superante lo sciupìo di quello già esistente (2). Sostituzione di un'atmosfera di acido carbonico all'aria. — Il 16 lu- glio tolsi 30 cme. ad una quarta cultura (D) e poi, dalle 10.45 alle (1) Su l’alterazione dell’attività degli enzimi a temperatura elevata, vedi Davis e Lina, Chemiker-Ztg., XXVII, p. 1257 (1903); ChopaT e RouGE, Centr. f. Bakteriol., XVI, p. 1, (1906). Cfr. CZAPEK, 2. c., I, p. 76, (1904). (2) Probabilmente la trasformazione dell'enzima invertente in enzima sin- tetico per azione della luce, similmente a ciò che succede per azione della tem- peratura elevata, è la causa della diminuzione dell’attività di un enzima esposto ad una forte luce. Vedi osservazioni di questo genere in GREEN, Philos. Trans., 1593; MARINO e SERICANO, Afti Soc. Ligustica, XVI, p. 46, (1905); DucLauUX, Mi- crobiologie, II, (1899); CZAPEK, 7. c., I, p. 77, (1904). Però GiLLOT, Bull. Acad. Royal d. Belgique, XL, p. 863, (1900), ha osservato che la luce intluenza anche l’inversione per acidi. i he È Bri È i 1645 pe (ohi eci pass Fal 9 acid ERRO del liquido art a e dopo la sottras ione dette i seguenti valori: n TABELLA È. Acidità. | Zucchero TIVE Rever. tasi | forte corte | totale totale totale riduttore | ASI netta rima della narcosi . .2 È Io 5) | I TAMENTE a ci TE | = Be7 Diluizioni. . . .| — —_ _ 5670 » ess + 156. 6/— 734. 5 e Dopo da narcosi. . .| 0.9] 68) — | 570 » | — [4312 [878 (I Nei saggi. STR Prima della narcosi .| — | — | Ce 567 — |+ 156. 6|— 754. 5 1. | | | 9 Dopo la narcosi. . .| — | = | —_ 572 — |+164 |— 748 si L'aumento dell’enzima nel liquido culturale fu ben più forte che nei saggi in vitro; la secrezione è indubbia (#). DE In conclusione, l’abbassamento della temperatura a 0° (fin verso Di; il minimo), l’elevazione a 42° (quasi al massimo), l’insolazione di- " - retta, la sostituzione dell’acido carbonico all’aria, l’azione narcotica del cloroformio hanno provocato una secrezione rapida di enzima, il quale in certi casi ha conservato l’attività invertasica (freddo, acido carbonico, cloroformio), in altri ha acquistato forte proprietà rever- tasica (temperatura elevata, insolazione). sare LL > VARE La Ù è h) (cei Riassunto. 1. Per studiare la secrezione degli enzimi, i Mwucor si prestano più dei lieviti, perchè in questi le cellule sospese nel liquido cultu- rale possono turbare le determinazioni. Per coltivare i Mwucor si è fatto uso d’uno speciale vaso di cultura, il quale permette di togliere 1 saggi senza toccare menomamente il micelio e di allontanare questo dal vaso di cultura senza offenderlo. 2. L'attività invertasica nei liquidi culturali di Mucor Mucedo . (anche di Mucor stolonifer) aumenta rapidamente dopo l'afflusso di alcool, glicerina, cloruro di calcio, diminuisce a l'aggiunta di sac- carosio e di cloruro sodico; il glucosio ha poco effetto. * ' n s # dA ST pri È i; (1) Tanto più che il cloroformio secondo Fokker, Centr. f. mediz. Wiss., 1591, p. 454; Dugs, Virchow's Archiv f. pathol. Anat., CKXXIV, p. 579 (1893), HéRISSEY, Recherches sur l’imulsine, Paris, 1899 ecc., frena leggermente l’a- zione degli enzimi. O’ SuLLivan, Journal of chem. Society, LXIX, p. 935 (1892) ha poi mostrato . «che l’afflusso di etere modifica la permeabilità della membrana plasmica, in modo che l’enzima è costretto ad uscire. qualsiasi sostanza che si fotte arrivare a contatto del micelio. può 5 ° agire: 0, SCC si a) su la secrezione dell'enzima attivo: I 4) su la secrezione dello zimogeno dell’invertasi: dii c) su la rapidità od ampiezza di trasformazione dello zimogeno . i in enzima attivo, (attivazione dell'enzima); ‘ > d) su l’attività dell'enzima già esistente, la quale a sua volta A può variare: bi 2) per esaltazione del potere inversivo dell'enzima; ©) per cambiamento dell’attività reversiva o viceversa, senza i variazione della quantità ed attività dell'enzima. a La considerazione di questi fattori ha portato ai seguenti risul- + tati (Mucor Mucedo): 4. L’alcool, la glicerina, la caffeina (sostanze plasmoliticamente A permeabili) affrettano la secrezione, ma anche l’azione e l’attivazione È dell'enzima; l’urea però, altra sostanza permeabile, frena un po” l’azione, non ha effetto su l'attivazione e frena la secrezione. 5. Il saccarosio, il glucosio, la mannite, l’asparagina (sostanze impermeabili) frenano la secrezione a segno, che anche aggiunte dopo i le precedenti sostanze (permeabili) arrestano l'uscita d’invertina dal | fungo. In questo caso dunque si può far in modo che il fungo freni A la secrezione dell’enzima. Se ciò è in relazione con l’impermeabilità delle sostanze, non vorrei nè potrei assicurarlo, perchè tanto la man- nite, come l’asparagina si comportano diversamente dai due zuccheri f quanto a l’influenza su le diverse componenti del processo (partico- i lari a pag. 376). I 6. Le quattro suddette sostanze permeabdili, aggiunte dopo le dette: sostanze impermeabili, non sono capaci a determinare una nuova secrezione; la loro azione si limita ad accelerare la trasformazione dello zimogeno già secreto in enzima attivo e ad esaltare l’azione ‘ dell'enzima; l’effetto resultante è però anche in questo caso un au- mento (apparente) di secrezione dell’invertasi nel liquido culturale. I colloidi (peptone, gomma arabica, gelatina, agar, amido solu- bile) frenano potentemente la secrezione (cfr. il lavoro precedente) e favoriscono la trasformazione della invertasi in revertasi. Questo se- condo fatto ha una grande importanza biologica, perchè il proto- plasma è un substrato colloidale; qui dunque saranno favorite le sintesi, mentre nel succo cellulare acquoso saranno favorite le idro- lisi (anche per effetto della reazione alcalina, risp. acida), e difatti i protoplasti crescenti, quelli cioè in cui le sintesi predominano su una diversa influenza s su szzione | e l’azione dell'enzima (parti- colari a pag. 384). 8. Quanto a gli elettroliti, non mi è riuscito stabilire una rela- zione netta fra permeabilità ed influenza su la secrezione. Tanto i sali permeabili (d’ammonio: tartrato, nitrato, cloruro), come i sali impermeabili (nitrato di potassio, cloruro di sodio, cloruro di calcio) determinarono un aumento di secrezione, mentre la frenarono tanto l’acetato d’ammonio (permeabile) come il solfato di magnesio (im- permeabile). Pare che nell’azione dei sali influisca l'assorbimento ineguale dei loro ioni, che fa variare l’acidità del substrato. I di- versi sali influenzano diversamente l’azione, l’attivazione, la rever- sione dell'enzima (particolari a pag. 388-397). Quanto all’affusso di basi ed acidi liberi fu osservato lo stesso svolgimento di processi facendo arrivare prima ia base e poi l’acido, .o viceversa. L’azione di queste sostanze eminentemente permeabili sì estrinseca però di più su l’attività dell'enzima già secreto e su la rapidità di formazione dell'enzima da lo zimogeno già secreto, che su la secrezione. Così il cambiamento della reazione del substrato da acida ad alcalina fa diminuire l’uno e l’altro fenomeno e fa di- ventare reversiva l’attività dell'enzima; il salto della reazione del substrato da alcalina ad acida o l'aumento di acidità provoca i fe- nomeni inversi. 10. L’abbassamento della temperatura a 0° (fin verso il minimo), l'elevazione a 42° (quasi fino al massimo), l’insolazione diretta, la sostituzione dell’acido carbonico all’aria, l’azione narcotica del cloro- formio provocano una secrezione rapida di enzima. Questo in certi casi conserva l’attività invertasica (freddo, acido carbonico, cloro- formio), in altri acquista forti proprietà revertasiche (temperatura elevata, insolazione). 11. È poi un fatto generale, che il Mucor non solo può frenare .od arrestare l’uscita di enzima, ma in certi casì, o quasi sempre ad una certa età, fa sparire una parte più o meno grande dell’en- zima che già era secreto ed attivo nel liquido cultarale. Siccome ciò non succede nel medesimoliquido culturale allontanato dal fungo, nel quale continua sempre latrasformazione del proenzima in enzima, così bisogna ammettere che il fungo neutralizzi o distrugga inun modo qualsiasi l’enzima estracellulare, ciò che esso potrebbe raggiungere con due mezzi, con la secrezione già nota di enzima reversivo, op- pure con la secrezione di una antinvertasi (molto probabilmente sono la stessa cosa). Tale importantissima questione mi riserbo dî trattare in seguito. de 12. In cone usione, 1a eat meabilità ed influenza su la secrezione sì può consta vare solo per g anelettroliti. : CTS CIA Ciò non ostante mi pare di essere riuscito a stabilire che l’emis- Ri; FAN] sione d’invertasi dal micelio unicellulare di Mucor Mucedo è una Ra vera secrezione, un processo vitale, che l'organismo può auto- “IR regolatamente aumentare o diminuire secondo le influenze del sub- strato. Ù, Ma riconosco di essere ancora ben lontano dall'avere un’ idea È” quantitativa di queste influenze, ciò che può avere per lo meno tre canse: 1° qualsiasi sostanza agisce di più sull'attività e l’attivazione | di dell'enzima che su la secrezione; 2° la quantità in peso di enzima 3 SJ tI Jell Dn } secreto è minima; 58° l'enzima è solubile nei lipoidi. Se aggiun- È giamo la facilità con cui l’invertasi diventa revertasi, la sua delica- 5 tezza di fronte agli ioni ed alla pressione osmotica della soluzione, : l'assorbimento capillare e superficiale fra le ife del micelio, la sua dd lenta diffusione nei diversi strati di liquido culturale ecc., ne ab- ; biamo già abbastanza per temere di dover abbandonare anche noi il difficile problema della secrezione degli enzimi, a cui noi uomini, saprofiti al pari dei funghi, dobbiamo la conservazione vegetativa del nostro corpo. . Roma, Laboratorio di Fisiologia del R. Istituto Botanico, agosto 1905. Riviste G. HaserLanDT. — Sinnesorgane im Pflanzenreich zur Perzeption me- chanischen Reize. — 2° edizione aumentata. Un volume di pa- gine VIII-207. — Leipzig, Wilhelm Engelmann, 1906. Prezzo 11 marchi. 5 Appena riconosciuto che anche le piante sono sensibili agli sti- moli che dall’esterno possono esercitarsi sopra di esse, si è subito pensato che dovessero essere dotate di una sensibilità analoga a quella degli animali; il fisiologo considera la cosa da un punto di vista diverso dal naturalista; per esso la sensazione è un processo fisio- logico, il quale può avere luogo senza che perciò le funzioni dei sensi siano circoscritte a determinati organi, i quali avrebbero il solo, o per lo meno, il principale scopo di percepire gli stimoli esterni. E secondo esso, le piante non possederebbero organi dei sensi speci- fici, simili a quelli degli animali, salvo rarissime eccezioni. Ma l’os- servazione imparziale permette senz’altro di concludere che, allo stesso modo che negli animali più elevati la progressiva divisione del lavoro ha condotto alla formazione di organi dei sensi sempre più complessi, anche nelle piante più sviluppate colla esigenza ognora crescente e differenziata alla facoltà, di percezione degli stimoli, an- dava unita la necessità di formazione di organi dei sensi speciali cor- rispondenti. Infatti le piante, specie quelle più sviluppate, possiedono degli organi dei sensi effettivi, e in modo più generico delle disposizioni destinate a percepire gli stimoli esterni; e se la cosa è poco cono- sciuta, dipende dal fatto che in passato poca attenzione vi si è por- tata, anche pel pregiudizio che, secondo Aristotile, i sensi costitui- rebbero negli animali uno dei caratteri più importanti che li distin- degli organi o apparecchi nelle piante atti a percepire le sensa- zioni, e noi abbiamo già avuto occasione di parlare di un altro suo libro nel quale studiava appunto i sensi della vista nelle foglie delle piante. Il volume che ora annunciamo è dedicato allo studio di quella categoria di disposizioni o organi dei sensi nel regno vegetale, che servono alla percezione di stimoli meccanici, urto, sfregamento, toccamento, e simili. Questi stimoli possono dare luogo negli organi che affettano a movimenti meccanici od a processi morfogenetici ; l’A. si occupa solamente dei primi effetti. Il suo libro vide la luce nel 1901, ed ora, dopo appena cinque anni, cl sì presenta in una seconda edizione riveduta ed aumentata di altre osservazioni, estese a parecchie piante prima non esaminate, cosicchè il volume del libro è cresciuto di oltre un quinto, e le tavole in numero di 6 nell’edizione primitiva, sono diventate 9. L’opera è quindi, sì può dire, rinnovata. Il D. Haberlandt premette alcuni cenni storici, i quali non ri- salgono molto addietro, poichè è solamente dalla metà circa del secolo decimonono che si è cominciato a portare l’attenzione su questi fenomeni: dapprincipio senza rendersi ben ragione della loro es- senza, ma poi poco a poco lo studio ha acquistato corpo, le idee si sono chiarite, ed una volta messì sulla buona via, i progressi furono notevoli, specialmente per opera di Ch. Darwin, Pfeffer, W. Rabsch, Ferd. Cohn ed altri ancora. L'A. tiene conto di tutte queste ricerche e in ogni caso da lui osservato, ne fa un’esposizione critica precisa; cosicché prima di passare ad esporre le proprie osservazioni, mette il lettore al corrente di ciò che esiste, dopo di che procede con mag- giore sicurezza. Egli esamina dapprima la sensibilità degli stami nelle piante seguenti: Upuntia vulgaris, Cereus speciosissimus, Portulaca grandi- flora, Berberis vulgaris, Mahonia aquifolium, Abutilon striatum, Cen- taurea cyanus, C. jacea, C. orientalis, C. montana, Alfredia cernua, mopordon acanthium, Echinops eraltatus, Neranthemum annuum, Sparmannia africana, Helianthemum vulgare e Mesembryanthemum pyropeum. Indi la sensibilità dello stimma, del pistillo e del gi- nostema, in (/0/d/ussia anisophylla, Mimulus luteus, Arctotis calen- dulacea, Catasetum, Mormodes buccinator e Stylidium. Passa quindi al perianto di Masderellia muscosa e di sei specie di Eterostylis: indi alle foglie di Mimosa pudica, e M. Spegazzinti, di Liophytum sensitivum e B. proliferum; poi ai viticei di Adlu- grande aloni aveva a tanti secoli di distanza consacrato. Ha berlandt da molti anni ha fatto oggetto delle sue riverche lo studio vl Intada sca de ens, - i, Rs di alcune Co di Urvillea ferruginea, Paullinia sorbilis e Hippocratea paniculata. In un libro che tratta dei sensi dei vegetali, non potevano man- care le piante insettivore, e infatti l'A. dedica un paragrafo spe- ciale allo studio degli organi dei sensi in Drosera e Drosophyllum, Aldrovandia vesiculosa e Dionaea muscipula. Da questo breve cenno si scorge quanto vasta è la materia trat- ‘ tata e ci duole che la mancanza di spazio non ci permetta di en- aasy trare in maggiori particolari, il cui interesse sarebbe certo vivissimo. L'autore termina con un capitolo nel quale fa una rassegna dei vari ‘organi studiati e li qualifica in 4 grappi: puntini od occhi, pa- pille, peli e setole. Le setole delle Mimose e le appendici a spor- genza degli stami di Sparmannia africana, le antenne di Catasetum, ed altri organi, non trovano posto nella classificazione suddetta e vengono considerati dall’A. come eccezioni; ma ciò è una prova della grande varietà e della molteplicità di organi sensibili a sti- moli meccanici, di cui sono dotati i vegetali. In paragrafi speciali Haberlandt esamina le proprietà caratte- ristiche degli stimoli meccanici, i principî fondamentali della strut- tura degli organi studiati, la trasmissione delle sensazioni e ter- mina, dopo alcune osservazioni filogenetiche, con un breve confronto fra gli organi dei sensi per stimoli meccanici degli animali e delle piante, da cui rilevasi la grande aftinità fra i medesimi, e la per- fezione degli organi vegetali che non sonò punto da meno di quelli animali; anzi l'organo del senso del tatto sembrerebbe assai più perfetto in quelli che in questi. L’A. nella sua trattazione è breve ma chiaro, preciso, senza di- vagazioni; le ricerche sono condotte con vero rigore scientifico; le osservazioni e conclusioni che ne tira, sono esposte con rara mo- destia, cosicchè il libro è di una lettura facile e molto interessante. Teramo, li 30 ottobre 1906. GAETANO CRUGNOLA. Notizie ed Appunti La Società Botanica italiana ha iniziata la pubblicazione della Flora italica cryptogama già annunciata fin dall’aprile 1902. Della Pars I: Fungi sono usciti: il vol. I, fasc. 1° Elenco biblio- grafico della micologia italiana compilato dal Dott. G. B. TRAVERSO; ed il vol. II, fasc. 1° comprendente parte delle Pyrenomyceteae pure lavoro del Dott. G. B. TRAvERSO. I due fascicoli costano L. 15,25 per i sottoscrittori di tutta l’o- pera, L. 18,50 per gli altri. Per la sottoscrizione e l’acquisto rivolgersi alla Presidenza della Società Botanica italiana, piazza S. Marco, 2, Firenze. È stato completato l’/ndex Filicum di CARL CaRISTENSEN. Hafniae 1906 ap. H. A. Hagerup. L. 58. È importante opera, indispensabile a chi si occupa dello studio delle Felci. Consta di tre parti. Nella prima parte si trova l’enumerazione sistematica dei generi, coi si- nonimi disposti cronologicamente e sistematicamente. La seconda comprende l’enumerazione alfabetica dei generi e delle specie (23,500 nomi). La terza parte è costituita dalla bibliografia, colla enumera- zione alfabetica e sistematica delle opere nelle quali si descrivono nuovi generi e nuove specie di felci. Il Prof. ErmANxNo GieLIo-Tos ha iniziata la pubblicazione del periodico trimestrale « Biologica ». Si accettano scritti in qualsiasi lingua che convergano alla maggior conoscenza dei fenomeni della vita e alla soluzione dei grandi problemi biologici. Editore Hans Rinck, via Po, n. 11, Torino. Abbonamento per l’Italia L. 16, per l’estero L. 18. ANNALI DI BoranIca — Von. DZ 27 14 > TI eni a PERO carta botanica della regione. NEnOERO ti 1D. DIRLA all'ing. Luigi ‘CE Gortani, Tolmezzo (Udine). Col fascicolo settimo del volume terzo, testè pubblicato, si è com- piuta la lore descriptive et illustrée de la France, de la Corse et des contrées limithrophes dell’Abbé H. Cosre, edita dalla casa Paul Klincksieck, 5, Rue Corneille, Paris, VI. Prezzo L. 70. L’opera rimarchevole, e molto utile anche per gli italiani, consta di tre volumi con un complesso di 1950) pagine e 4854 figure, le quali, collocate accanto alle descrizioni, raggiungono assai oppor- tunamente il loro scopo. In fine al volume terzo si trovano: Additions et corrections ai tre volumi (pp. 715-724) e la table alphabétigque dei tre volumi. Lo stesso editore ha pubblicato: Arboretum national des Barres ou Enumération des végétaur lignenr indigènes et erotiques qui y sont cultivés, par L. PARDE, 400 pp. di testo, 95 tavole e 22 piante. L. 25. L'editore Paul Parev ha pubblicato la parte X delle Botanzsche Wandtafeln di L. Kxy, cioè le tavole 101-105. È una nuova serie, in formato più grande delle precedenti (106-150 cm.). Sono illustrate: Drosera rotundifolia, Mimosa pudica, Spirogyra setiformis, Cuscuta trifolii, Berberis vulgaris. Il Dott. Ap. Toerrer (Minchen, Bayern, Blitenstr. 14) pub- blica Salicetum ewsiccatum. Il 1° fascicolo comprende i nn. 1-50 e costa Mk. 25. Pubblicazioni notevoli: DreLs L. Jugendformen und Bliitenreife im Pflanzenreich. Berlin 1906. Gebrid. Borntraeger. Nemeg B. Studien ueber die Regeneration. Berlin 1906. Gebrtider Borntraeger. SERNANDER R. Entwurf einer Monographie der européischen Myr- mekochoren. K. Sv. Vetenskapsakad. Handl. B. 41, N. 7; mit 11. Taf. u. 29 textfig. WieLanp (i. R. American Fossil Cycads. Publie. of Carnegie In- stitution, 1906, con 50 tav. e numerose figure nel testo. n re dt AE n ; — ——"Gosro B. Studzi sulle bioreazioni dell’arsenico, tellurio e selenio e VI _ loro applicazioni pratiche. Roma, 1907, con 4 tav. “ La Carnegie Institution di Washington ha già pubblicato sette Ù xi; scritti relativi a lavori eseguiti nella importante Station for expe- | rimental evolution diretta da C. B. DAveNPORT. I lavori che, finora, riguardano specialmente il campo zoologico, sono tutti interessanti, trattando questioni di eredità, ecc. studiate sperimentalmente. Il Dott. Biagio Lonco, già primo assistente nel R. Istituto Bo- s0 tanico di Roma è stato nominato, per effetto di concorso, professore i g di botanica e direttore dell'Orto Botanico nella R. Università di E Siena. È pi Il Dott. DomeNnIco Dr PERGOLA è stato nominato aiuto prepara- tore nel R. Istituto Botanico di Roma. Sono morti: il barone CÒÒarLes B. CLARKE il 25 agosto 1906; | È il Dott. Harry MarsHaL Warp il 26agosto: C. A. F. A. OUDEMANS; «SE il Dott. E. PrirzER. bop. "SA 9. I i 3 - PUBBLICATI DAL Pror ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma a ' n: È GIR ED: È Le è, 8 È INDICE. d E De ToxI (Agi DIRSI Spigolature Aldrovandiane, pag. 11 ES GoLa G. — Studi sulla funzione respiratoria nelle piante acquatiche, pag. 441. È Cortesi F. — Orchidacee nuove o critiche, pag. 539. È — Studî critici sulle Or chidacee romane, pag: 547 (con due figure nel testo) a (Tav. VD. È BruscHi D.— Ricerche sulla vitalità delle cellule amflafere delli endosper mi delle Sa _Graminacee, pag. 569. “a CERMENATI M. — Intorno al “ Mappello ,, di Lena rà da Vinci, p. 607. : ; Loxgo B. — Contribuzione alla Flora dei monti del Cilento (Salernitano), pag. 653. Riviste, pag. 657.0 E SA ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1907 (3li Annali di Botanica si abblicong «a a, È SE tempi non determinati e con numero di fogli e ta pe, vole non determinati. IU prezzo sarà indicato numero ov SII Sì per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente | 2 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne. 15 ti un numero maggiore, pagando le semplici spese di > Ri carta, tiratura, legatura, ecc. ASS OSSO ni. (d (3li autori sono responsabili della forma. e del conte | È nuto dei loro lavori. APR % CELL a par # si i N.B. — Per qualunque notizia, informazione, ino rivolgersi. lE af prof. R. Pirorra, R. Istituto Bota Panisperna, 89 B. — ROMA. ely _MAY 13 1907 i Luca Ghini À simo I il me- rito d’avere istituito nell'Università di Pisa una cattedra per la Let- tura dei medicamenti semplici, per la quale, andati a vuoto i tentativi di avere come lettore Leonardo Fuchs, in quell’epoca per la fama delle sue opere eccellente fra i conoscitori delle piante, ottenne nel 1544 (2) la venuta da Bologna del celebre professore Luca Ghini, che in quest’ultima città aveva tenuto con onore la Lectura Pra- cticae Medicinae in tertiis dal 1527-28 al 1531-32, la Lectura Medi- cinae ordinariae in vesperis nel 1532-1533 e la Lectura de Simplici- (#) Spigolature Aldrovandiane. I. I placiti di Luca Ghini nei manoscritti Aldrovandiani di Bologna; II Scritti Aldrovandiani nella Biblioteca Ambro- siana di Milano (Comunicazione [tuttora inedita] al Congresso dei Naturali- sti italiani in Milano, settembre 1906); III. Nuovi dati intorno alle relazioni tra Ulisse Aldrovandi e Gherardo Cibo (Memorie della R. Accad. di scienze, lett. ed arti in Modena, ser. III, vol. VII, sez. Lettere, 1907); IV. Il viaggio e le raccolte botaniche di Ulisse Aldrovandi ai Monti Sibillini nel 1557 [in corso di stampa]; V. Ricordi d’antiche collezioni veronesi nèi ‘manoscritti Aldrovan- diani [id.]. (1) Cfr. TARGIONI-TozzETTI G. — Notizie sulla storia delle scienze fisiche in Toscana, p. 191-193; Firenze, 1852, Tip. Galileiana di M. Cellini e C., 4°. (2) Cfr. l'interessante documento [pubblicato in ARCANGELI G. — Brevi no- tizie sull’orto pisano (Bollettino della Soc. botan. italiana 1900, p.171)] tratto dal ms. « Zibaldone » nell’archivio dell’Università di Pisa: « Nota delli dottori che leggono quest'anno nello studio di Pisa et lor salarj; M.° Luca Ghini da Imola semplicista, ef già si li è mandato li denari per condursi [da Bologna] Se. 250 ». L’anno scolastico incominciando col 1° novembre, è al 1° novembre 1544 che si può, io credo, fissare la data di venuta del Ghini a Pisa, visto che egli fu a Bologna professore nell’anno scolastico 1543-44 (cioè fino al 31 ottobre 1544). ANNALI DI BorANICA — Von. V. 27 BOTANICAL. GARDEN. po k% : : (3li Annali di Bot: tempi non deteri vole non determi pe numero. Agli autorrsatammo dati gratuitamente 25 esemplari di estratti, Si potrà tuttavia chiederne . un numero maggiore, pagando le semplici spese di carta, tiratura, legatura, ecc. (li autori sono responsabili della forma « e del conte- nuto dei loro lavori. N.3. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al © | prof. R. Pirorra, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. i sue . Pon, SOA N i, È E da ul A | Pet: gi * "è dea MAY 13 1907 Spigolature Aldrovandiane del prof. G. B. DE TonI VI. (4) — Le piante dell’antico Orto Botanico di Pisa ai tempi di Luca Ghini Com'è ben noto (1), deve attribuirsi al Granduca Cosimo I il me- rito d’avere istituito nell'Università di Pisa una cattedra per la Let- tura dei medicamenti semplici, per la quale, andati a vuoto i tentativi di avere come lettore Leonardo Fuchs, in quell'epoca per la fama delle sue opere eccellente fra i conoscitori delle piante, ottenne nel 1544 (2) la venuta da Bologna del celebre professore Luca Ghini, che in quest’ultima città aveva tenuto con onore la Lectura Pra- cticae Medicinae in tertiis dal 1527-28 al 1531-32, la Lectura Medi- cinae ordinariae in vesperis nel 1532-1533 e la Lectura de Simplici- (#) Spigolature Aldrovandiane. I. I placiti di Luca Ghini nei manoscritti Aldrovandiani di Bologna; II. Scritti Aldrovandiani nella Biblioteca Ambro- siana di Milano (Comunicazione [tuttora inedita] al Congresso dei Naturali- sti italiani in Milano, settembre 1906); III. Nuovi dati intorno alle relazioni tra Ulisse Aldrovandi e Gherardo Cibo (Memorie della R. Accad. di scienze, lett. ed arti in Modena, ser. III, vol. VII, sez. Lettere, 1907); IV. Il viaggio e le raccolte botaniche di Ulisse Aldrovandi ai Monti Sibillini nel 1557 [in corso di stampa]; V. Ricordi d’antiche collezioni veronesi néi ‘manoscritti Aldrovan- diani [id.]. (1) Cfr. TARGIONI-TozzETTI G. — Notizie sulla storia delle scienze fisiche in Toscana, p. 191-193; Firenze, 1852, Tip. Galileiana di M. Cellini e C., 4°. (2) Cfr. l'interessante documento [pubblicato in ARcANGELI G. — Brevi no- tizie sull’orto pisano (Bollettino della Soc. botan. italiana 1900, p. 171)] tratto dal ms. « Zibaldone » nell’archivio dell’Università di Pisa: « Nota delli dottori che leggono quest'anno nello studio di Pisa et lor salarj; M.° Luca Ghini da Imola semplicista, ef già si li è mandato li denari per condursi [da Bologna] Sc. 250 ». L’anno scolastico incominciando col 1° novembre, è al 1° novembre 1544 che si può, io credo, fissare la data di venuta del Ghini a Pisa, visto che egli fu a Bologna professore nell’anno scolastico 1543-44 (cioè fino al 81 ottobre 1544). ANNALI DI BoTANICA — Vor. V. 2 LIBRARY. NEW YORK BOTANICA! GARDEN. bus dal 1534 conq Co 1543-1544 (1). n fc dell'orto pisano, il quale, secondo un documento edito dall’Arcan- geli (2) si trovava situato, all’epoca della sua originaria fondazione, in una località (Cittadella vecchia) ben diversa da quella occupata, in via Santa Maria, dall'attuale orto botanico, le cui origini risal- gono agli ultimi anni del secolo decimosesto (3); invece io reputo utile, per la storia della nostra scienza, dere in luce il catalogo delle piante che esistevano nell’antichissimo orto di Pisa, traen- done le indicazioni dal manoscritto Aldrovandiano della r. Biblio- teca Universitaria di Bologna recante la segnatura 136 (Observa- tiones variae) Tom. XIV, chè in così fatta maniera si viene a con- tribuire alla conoscenza d’un altro fra i molti meriti di Luca Ghini, ponendo in rilievo l’importanza dell’orto botanico da lui istituito ed in breve tempo accresciuto; non mancano dati anché per la co- noscenza dei semplici che si trovavano nell'orto pubblico di Pisa nel 1569 (4) ma questi implicano piuttosto le benemerenze dei suc- cessori che non quelle di Luca Ghini. Per questo catalogo delle piante del primitivo orto botanico pi- sano la data avrebbe potuto correre tra il 1545 ed il 1555, se non sì avesse un modo di stabilire con certezza che esso deve essere an- teriore al novembre 1551 perchè in tale mese ed in tale anno il Ghini spedì da Pisa a P. A. Mattioli molti semplici tolti con ogni evidenza tra quelli che vegetavano nell’orto di Pisa; se anzi torni lecito valersi di altre deduzioni, sì può ritenere che il catalogo con- tenga l’indicazione delle piante coltivate nell’orto pisano nel 1548; nè la dimostrazione riesce difficile. Nel catalogo figura, tra altre piante, una /emorocalis sive Lilium marinum (che è tra i semplici spediti nel novembre 1551 (5) al Mattioli); qualora ammettasi che {1) Cfr. DaLLARI U. — I Rotuli dei Lettori Legisti e Artisti dello studio bo- lognese dal 1884 al 1799, vol. II, p. 52, 55, 58, 62, 65, 68, 75, 78, 85, 91, 94, 96, 100; 102, 185 (per le indicazioni delle letture di M. Luca Ghini); Bologna, 1889, Mer- lani, 4°, (2) Cfr. ARCANGELI G. — Op, cit., p. 172. (3) Cfr. SaccarDOo P. A. — La Botanica in Italia, parte |, p. 191, parte II, p. 184; Venezia, 1895, 1901, O. Ferrari, 4°. (4) Ofr. Zlenchus plantarum quae reperiuntur Pisis in horto publico anno 1569; Ms. Aldrov. n. 186 (Observationes variae) Tom, V, a carte 32 e seguenti. (5) Tra i semplici spediti dal Ghini al Mattioli nel novembre 1551 figura appunto sotto il n, 63 la ZZemorocatis. Cfr. De Toni G. B. — I placiti di Luca Ghini (primo lettore dei semplici in Bologna) intorno a piante descritte nei Com- mentarii al Dioscoride di P. A. MATTIOLI, p. 16; Venezia, 1907, C. Ferrari, 49, . . . . s . . d I 3 ica Non è qui il caso di discutere sull'anno preciso di fondazione Medico ill'isola d'Elba questa a nello stesso anno nel Viale egli fece la nota erborazione in quell’isola (2), la raccolta dell’ Hemoro- calis avvenne nel 1549 se non forse nel 1548: si avverta che abbiamo le prove come il celebre semplicista abbia nell’isola d’Elba raccolto anche altre piante (3) le quali si trovano enumerate nel catalogo dell’orto pisano (4). Ma ancor più concludente riesce il confronto dei due Apocynon repens et non repens del catalogo, i quali, per asserzione dello stesso maestro Luca, nacquero da sementi recate quattro anni prima del novembre 1551 da un nobile signore dalla Siria al Ghini; ciò che fa risalire almeno al 1548 l’esistenza delle piante indicate nel ca- talogo Aldrovandiano; se può prestarsi fede assoluta al Targioni- Tozzetti (5) che crede essere avvenuta nel 1547 l’apertura al pub- blico dell'Orto botanico pisano, questi Apocynon (6) costituiscono senza dubbio due tra le prime piante seminate nell’orto stesso. Che poi il catalogo comprenda i semplici coltivati nel 1548 e non nel 1551, abbiamo un’altra prova anche dal fatto che in esso non è elen- cata da pregiata Medica i cui semi Lodovico Beccadelli inviato nel 1550 come nunzio di Papa Giulio III alla Repubblica di Venezia portò al Ghini, il quale la ebbe fiorita nell'orto proprio appena in ‘tempo per poterne spedire un esemplare al Mattioli (7). Il Catalogus omnium plantarum è interessante perchè è, a quanto mi consta, il primo che si conosca in ordine di tempo per un orto I (1) Cfr. ms. Aldrov. n. 156 (Observ. variae) Tom. XIV, a c. 59 recto: < He- merocallis paucifolia ex Ilva Ins. Plantam hanc mihi depingi curavit Ecc.mus L. Ghinus piae memoriae, quam in Ilvam repertam, secum Pisas deduxerat... » (2) Nel placito De Glauco il Ghini scrisse (nel 1551): « Jam 8°. annus agi- tur cum littus circa Populoniam legerem atque inde in Ilvam descenderem ‘eamque navigio circuirem in quo itinere passim hac herba ipsum Ilvae littus undique virere conspexi...» Cfr. DE Toni G. B., Op. cit., p. 41. (3) Ad es. « Anemone ex Ilva flore candido... Ex Ilva ins. allata a L. Ghino » Ms. Aldrov. n. 186 (Observ. variae) Tom. XIV, a c. 89 recto. (4) Nel catalogus si trova, verbigrazia, « Anemones sex genera, duo... flo- ribus candidis... ». Si tenga a questo riguardo conto della nota precedente che ricorda un Anemone ex Ilva flore candido. (5) TARGIONI-TOZZETTI G. — Op. cif., p. 194 (con citazioni di vecchi autori). (6) Nel Placito De Apocyno il Ghini scrisse nel 1551:« Ante quatuor an- nos doro mihi dedit Nobilis quidam binas siliquas ex Syria allatas, quarum una inscriptionem habebat, Periploca repens, alteri inscriptum erat Periploca non repens... Utriusque ramos ad te mitto. Utramque Apocyni species esse credo, flores hactenus earum non potui videre ». E ne mandò infatti due cam- pioni al Mattioli insieme al placito sotto i n. 23 e 24. Cfr. De TONI G. B., Op. cit. p. 14. (7) Cfr. per la Medica, De Tomi G. B. — Op. cit., p. 23. ) Botanico: (1), m ma asta tresì i 9 presenta con i placiti e con gli be iu Beochi di piante sviste? da Luca | Ghini a P. A. Mattioli, nonchè per i rapporti con la formazione del — prezioso erbario di Andrea Cesalpino (successore del Ghini in Pisa) ® poichè in questo erbario è rappresentata buona parte delle piante esistenti nell’antichissimo orto pisano, ciò che a chiunque riesce 4 agevole dimostrare con opportuni riscontri (2). | Stabilita così in via generale la data del Catalogus ne faccio Di: seguire la pubblicazione integrale, corredandola di quelle note le quali possono servire a porre nella debita evidenza l’importanza di 4 parecchie piante coltivate nel primitivo orto di Pisa. i >” ì » MERE at Catalogus omnium plantarum quae erant in horto publico stu- diosorum tempore Lucae Gini qui publice profitebatur lectionem sim- ta plicium, et horti studiosorum praefectus erat. Numerus autem eo , tempore plantarum erat 620. Hic tamen describam ex illo horto pul- chriora simplicia et rariora, in quibusdam vero eius opinio apparebit. ia: Aconiti sex genera, tria floribus ex coeruleo purpureis, aliud flore luteo, aliud pallido, et aliud candido vel ex candido purpurascente. Anemones sex genera, duo floribus purpureis, duo luteis et duo candidis quorum alterum omnino candidum est, alterum vero supe- riori floris parte candido et inferiori in caeruleam vergente, quas vero Fucbsius credit esse ranunculi minimi speties, ego Anemonis potius esse opinor. Ne - Auricula muris (3). Sq (1) Per i più vecchi cataloghi stampati conosciuti per l’orto botanico di Padova (Cortuso e Porro 1591, Cortuso e Schenk 1600 ecc.) cfr. De Toni G. B.— Intorno ad alcuni alberi e frutici ragguardevoli esistenti nei giardini di Padova, p. 4 (Atti e memorie della IR. Accad. di sc. lett. ed arti in Padova, Ta III, disp. 4, 1887). (2) Ofr. CaruEL T. — /llustratio in hortum siccum Andreae PRAIA Florentiae, 1858, Typ. Le Monnier, 8° p. ue (8) Nell'Erbario Cesalpino ci sono delle specie di Anemone, Dentaria, Aco- da nitum; ma è difficile identificarle con la vaga indicazione del catalogus; ins vece vi sta al n° 175 (472) come Auricula muris la Veronica Anagallis L. i Br Sa th Misto Dorcadias s. muscium, et inter gerani} species recenseri ata ulgo moscholachano a deo Sc fodata potest (1). Arum cuius folia nigricantibus notis sunt insignita. Arum minimum caule ut Dracunculus maculoso (2). Acorus vulgaris quem Xiridis spetiem esse opinor (8). Apocynon repens et non repens (4). Aristolochiae tria genera, longa, rotunda, ut Clematitis (5). Aquilegia vulgo appellata, candidis, purpureis, et ex coeruleo purpureis floribus, alijs simplici foliorum contextu, alijs vero mul- tiplici (6). Angelica sativa et sylvestris vulgo vocata ego vel costum vel ei congenerem plantam esse opinor (7). Anchusae tria genera (8). Asphodeli 4or genera, duofloribuscandicantibus, sedalterum eorum caule est ramoso, alterum vero levi et sine ramis; et duo floribus luteis, alterum quidem lilio similibus, alterum vero eiusdem cum duobus prioribus figurae, sed caule folioso (9). Acornos Eringiorum generi a Plinio adscriptus folijs latis in ma- ritimis solum oriens (10). (1) Nell’Erbario Cesalpino al n° 257 (728) come Acus muscata sta l'Ero- dium cicutarium L’Hèrit. dimostrando quanto era giusta l'opinione del Ghini che l’Acus moschata inter Geranij species recenseri potest. (2) Su queste Aroideae cfr. De ToxI G. B. — I placiti di Luca Ghini ecc. p. 16. (3) Nell’Erbario Cesalpino al n° 220 (611) come Xiris, Acoro è l’Iris Pseu- dacorus L. (4) Per questi Apocynon si vegga in questa nota a p.423, n. 6.— Nell’Erbario Cesalpino sotto il n. 186 (517 e 518) si hanno rispettivamente per la Periploca e l’Apocynum le specie Periploca graeca L. e Marsdenia erecta R. Br. [entrambe con i fiori]. Su queste piante, viste poi a Pisa dal Lobel, si può vedere quanto questo botanico lasciò scritto in Adversar. p. 279. (5) Sono nell’Erbario Cesalpino tanto l’Aristolochia rotunda L. che VA. Cle- matitis L. al n. 231 (649, 650). (6) Aquilegia vulgaris L. nell’Erbario Cesalpino n. 260 (740). È noto che l’A- quilegia vulgaris ha fiori assai variabili quanto al colore. (1) Cfr. De TonI G. B.— I placiti ecc., p. 19 (De Costo). (8) È notevole il fatto che nell’Er Has Cesalpino esistono proprio i tre ge- neri di Anchusa sotto il n. 52 (125, 126, 127) cioè Anchusa 1° [= Echium ita- licum L.], Anchusa 2° [= Echium plantaugineum L.] ed Anchusa 3? [Lithosper- mum arvense L.]. (9) Sotto il nome di Haustula regia qualcuna di queste specie di Asphodelus fu spedita dal Ghini nel 1551 al Mattioli; nelle specie indicate nel catalogus è ovvio riconoscere l’Asphodelus albus W.,l Hemerocallis fulva L. e 1’ Asphodeline lutea Reichb. che esistono anche nell'nebdfio Cesalpino al n. 215 (595, 596, 597). (10). È la Carlina corymbosa L. (Erb. Cesalp. n 94 [237]) la quale, come è noto, predilige i luoghi prossimi al mare. + Li _*q bus proveniens sed. i annos perdurantes habet utcumque flores coloribus et figura similes habet. Absynthij tria genera, unum quod commune est, et duo in ma- ritimis provenientia sed odore et foliorum figura differentia (1). Asparagi sylvestris genera duo, alterum comune et alterum & Plinio pro tertio genere descriptum, palatium leporis et artetica vulgo vocatum (2). Aspalathus alba 2° loco a Dioscoride memorata (3). Aspleni duae species, verum et alterum quod ali] asperam Lon- chitim, alij vero polypodio congener esse opinantur (4). Ageraton vulgo Camphorata, sic enim opinor (5). Abrotonum triplex, duo similia et maris genera, et alterum foe- mina (6). Arbor fructus mixis seu sebesten proferens, vulgo Uva Indica di- citur, sunt qui loti arboris spetiem esse opinantur (7). Acanthium vel ei congener (8). Antirrhini quatuor speties, una foliis Anagallidis flore ex can- dido pallescente, reliquae foliis lini, sed una earum minor est, duae vero reliquae similes omnino, sed altera purpureum, altera vero can- didum florem profert. (1) Nell’Erbario Cesalpino ci sono proprio tre Absinthium al n. 77 (194, 195 e 196) ossia tre specie di Artemisia. (2) Designato anche col nome di Palatium Leporis si trova nell’Erb. Cesalp. al n. 189 l’Asparagus tenuifolius Lam. (3) Non manca nell’Erbario Cesalpino (n. 9). Cfr. anche De Toni. — / pla- citi ecc., p. 14, 18. (4) Nell’Erbario Cesalpino trovansi appunto le due specie qui indicate nel catalogus e precisamente ai n. 760 e 761 l’Asplenum verum (= Gymnogramme Ceterach Spr.) e la Lonchitis aspera (= Aspidium Lonchitis Sw.). Per queste piante si accese una viva questione tra il Maranta ed il Mattioli e sono ricor- dati esemplari spediti dal Ghini ad entrambi questi fitografi. Cfr. De Toxi G. B. — 7 placiti ecc., p. 16-17. (5) Nell’Erbario Cesalpino al n. 76 (191) c'è come Ageraton e Canforata l’Achillea Ageratum L. (6) Tanto l’Abrotonum foemina che 1’ Abrotonum mas sono nell’Erb. Cesal- pino al n. 78 (197 e 198) e corrispondono rispettivamente a Santolina Chamae- cyparissus L, (due varietà) e Artemisia camphorata Vill, (7) Nell’Erb, Cesalp. n. 4 (12) come Uva d’India è un rametto sterile di Diospyros Lotus L,. (8) Fu nel 1551 spedito dal Ghini al Mattioli sotto il n, 14, Nell’Erb. Ce- salp. col nome Acanthium al n. 93 è l’Onopordon Acanthium L. anno emoritur tota. Aoici0i vero radices vivaces et. Hi pluste perte EA TESI TO at scie hr spit ia Ageraton maius vulgo menta saracenica et herba S.tae Mariae et costum hortense vocatum (1). | Atriplex sylvestre alpinum. Atractylis. Arction (2). Apollinaris herba tria genera. Anthemidis seu Chamemeli species quae radices ad plures annos vivaces habet (8). Anonis non spinosa flores luteos ferens (4). Anisum ex semine singulo quoque anno provenit. Anagallis utraque. Ampeleprason. Ambrosia ut aliqui opinantur pro camedri foemina a Fuchsio depicta. Alisson Galeni (5). Alchimilla maior et minor Stellaria et pes Leonis etiam dicitur (6). Brassica purpurea sativa. Brassica Cannabis arabibus vocata. Blattaria duplex luteo altera, altera flore purpureo (7). Betulla arbor. Beta radices proferens rubras quae aliquando ad XX atque plu- rium librarum pondus excrescunt. Barbula hirci multiplex, altera purpureum, altera ex coeruleo pur- pureum et spicatum florem ferens, duae vere sed radicibus differunt et foliorum latitudine; siquidem altera radice est longe crassiori et latioribus folijs quam altera. (1) Vi corrisponde con ogni probabilità l’Herba S. Maria dell’Erb. Cesal- pino n. 81 (208) cioè il Tunacetum Balsamita L.i cui nomi vernacoli sono anche Menta greca, Erba costa ed Erba costina. È la Mentha saracenica dell’An- guillara. (2) Atriplex, Atractylis, Arctium sono nell’Erb. Cesalpino rispettivamente ai n. 60 (150, 161), 98 (248) e 84 (212). (3) Coi nomi di Anthemis e Chamaemelum è nell’Erb. Cesalpino al n. 69 (172) la Matricaria Chamomilla L. (4) Tra le piante spedite nel 1551 dal Ghini al Mattioli al n. 47 c'è Ononis levis luteum florem proferens. Cfr. De Toni G. B. — / placiti ecc. p. 15. (5) Anisum, Anagallis, Ampeloprasum ed Alysson Galeni sono rappresentati nell’Erbario Cesalpino ai n. 31 (82), 174 (474, 476), 224 (623) e 125 (323). (6) Nell’Erb. Cesalpino si trovano A/chimilla maior (anche col nome Pes Leonis) ed A. minor ai n. 65 (161 e 162), come due specie dell’attuale genere A/- chemilla. (7) Le due Blattarie sono nell’Erbario Cesalpino due Verdascum al n. 171 (467, 468) cioè V. Blattaria L. e V. virgatum With. Balbus Sonia 2) Barba Jovis Plinij ut aliqui Upisbntor (3). Batis seu Critmus sativus et sylvestris (4). Berberis vulgo vocatus (5). Bulapaton. Cotyledon seu Umbilicus Veneris (6). Conizae q.or genera, tria a Dioscoride descripta, et aliud saxosis et apricis montibus nascens, suaviore quam reliqua odore (7). Camedris minor et maior, quam opinantur nonnulli esse fru- ticem. Consolida alba et consolida saracenica a Fuchsio depicta. Chrisanthemon Democrati (8). Condrilla utraque (9). Condrilla altera a Plinio descripta, quae plures habet parvas ra- dices Asphodeli modo congestas. Cerasus ferens fructus mirtillorum fere magnitudine, uvae modo racematim congestos. Carduus benedictus vulgo appellatus, Attractilidis speciem aliqui opinantur. Chamedaphne (10). Coluthea ut Ruellius opinatur (11). (1) Ofr. il Blitum nell’Erb. Cesalp. n. 56 (135) che è l’Amarantus tricolor L. (2) Col nome di Bulbus vomitorius nell’Erb. Cesalp. al n. 217 (600) c’è il Muscari comosum Mill. Ma pare che col nome di Bu/bus vomitorius il Ghini comprendesse più specie. Cfr. De Toni G. B. — I placiti ecc. p. 24. (3) Nell’Erb. Cesalp. al n. 12 (39) c'è col nome di Barda Jovis Pli. un ramo fiorifero di Anthyllis Barba Jovis L. (4) Il Crithmum sativum e sylvestre sono nell’Erb. Cesalpino ai n. 44 (108) e 483 (107) e corrispondono rispettivamente a Crithmum maritimum L. ed Echi- nophora spinosa L. (5) Anche il Berberi è rappresentato nell’Erb. Cesalp. al n. 15 (49). (6) Sta con questi nomi nell’Erb. Cesalp. n. 262 (749) Umbilicus pendu- linus DO. (7) Proprio quattro Conyza sono nell'Erb. Cesalp. al n. 87 (218-221). È chiaro che la specie odore suaviore è la Inula graveolens DO. (8) Il Chrysanthemum Democriti nell’Erb. Cesalpino al n. 265 (723) è il Ra- nunculus repens L. (9) Nell’Erbario Cesalpino sono entrambe le Condrille; una al n. 91 (231) corrisponde alla Chondrilla juncea L., l’altra al n. 92 (285) pare sia la 17ypo- chaeris radicata L. Una (Chondrillae primum genus) fu nel 1551 mandata dA Ghini al Mattioli. Cfr. De Toni G. B. — JI placiti ecc. p. 16. (10) Come Chamaedaphne è nell'Erb. Cesalp. al n. 186 (871) il Ruscus Hvai phylum L. 1) (11) È nell’Erb. Oosalp. al n. 12 (87) come Colutea arborescens Lu. } get, ji Dinoglossi | Caracias Titimalus. Cianus flos maior et Saia cuius alia di, alia candidos, alia purpureos fert flores (1). Ciclaminus mense martio florens. Ciclaminus autumno florens, duplex (2). , Clinopodium (8). Coris. Caucalis a Graecis hactenus vulgo ita vocatur, sunt tamen (quia semen scuteolo simile proferat) qui Tortilion esse opinantur. Colchicon ex Creta magnis folijs constans. Cinosorchis species plusquam viginti. Carum: Carum germanorum. Christi palma vulgo vocata folijs maeulosis et flore fere inodoro, alia folijs non maculosis et inodoro flore et alia odoratissimo (4). Cirsium ut aliqui opinantur, alia a vulgare Buglosso (5). Chameleon uterque (6). Cumini sylvestris genus 2". (7). Carduncelli nomine planta ex Creta missa caule et folijs non spinosis longis candidis gracilibus, et circa caulem crebris hactenus non floruit. Clematis daphnoides maior et minor (8). (1) Nell’Erb. Cesalpino non mancano i Cyanus ma è difficile riconoscere una sicura corrispondenza con le tre qualità coltivate nell’orto pisano. (2) Su questi Ciclaminus abbiamo notizie nei placiti spediti nel 1551 dal Ghini al Mattioli: « Primae Cyclamini tres ego species observavi, quarum duae autumno suos flores proferunt, tertia in martio mense floret » Cfr. DE Toni G. B. — I placiti ecc. p. 24. Nella specie a fioritura primaverile è facile rico- noscere il Cyc/amen repandum S. et S., che è anche nell’Erbario Cesalpino al n. 230 (644). (3) Forma parte dei semplici spediti nel 1551 dal Chini al Mattioli sotto il n.85. È, al pari del Coris, nell’Erbario Cesalpino. (4) Corrisponde alla Orchis maculata L. e con lo stesso nome Palma Christi sì trova al n. 225 (628) nell’Erbario Cesalpino. (5) Era al n. 28 tra i semplici spediti nel 1551 dal Ghini al Mattioli, e ne è avvertita dallo stesso Ghini la differenza dal Buglossum. Cfr. DE Tomi — I placiti, ecc. p. 15 e 38. Non manca nell’Erbario Cesalpino. (6) Il Chameleon albus e il Ch. niger sono nell’Erbario Cesalpino ai n. 100 (251) e 101 (253) e corrispondono rispettivamente a Carlina acanthifolia All. e Carlina acaulis L. Si vegga il placito ghiniano De Crocodilio in De Toxi G. B —. I placiti, ecc. p. 24-25. (7) Il Ghini ricorda questa pianta nei Placiti. Nell’Erb. Cesalpino, come Cuminum sylvestre 2. sono conservate due specie di De/phinium. (8) Come Clematis daphnoides trovansi nell’Erb. Cesalpino al n. 184 (513, 514) la Vinca major L. e la Vinca minor L. A ì d 4 » iena: Clematis aspera duplex, a. ora candido et eo. Consiligo Plinij ut aliqui opinantur (1). vita. dii Si Mb: Capnos Plinij, quam pedes gallinaceos vocant. SA DÒ: Cimbalaria vulgo dicta. Capnos alpina vulgo Spijt vocata cuius altera luteum altera can- . Di didum fert florem (2). di Capparis spinosa et non spinosa. È Cedrus ut aliqui opinantur baccas proferens nucis avellanae ma- De gnitudine, in maturitate rubescentes. Phenicia (83). ; Cyperus radicibus olivae similibus (4). i Cucubalum Plinij vulgo solatrum maius et herba belladonna vo- i i catum (5). $ Cineraria maritima (6). ; Centaurio congener planta, in parietibus, in saxis nascens, sapo- s nariae vulgo appellatae satis similis, ideo rubram saponariam aliqui È vocant. ì Dauci 2.” et 3." genus (7). . Dracunculus. Dracunculus (8). Doronicum Italicum maius et minus. Delphinium utrumque (9). "I Dens caninus vulgo appellatus. Sunt qui Ephemeri non lethalis. et qui satyrij spetiem esse existimant. 3 Dentaria vulgo vocata, major et minor (10). ; (1) Col nome di Consiligo Plinii abbiamo nell’Erb. Cesalpino al n. 248 (701) l’Helleborus viridis L. (2) Designata col nome di Splith è nell’Erb. Cesalpino al n. 181 (504) la Co- rydatis ochroleuca Koch. È (3) Si noti che questa specie pare sia quella spedita sotto il n. 50 (Iuni- peri species, aliqui potius Cedri esse sentiunt) nel 1551 dal Ghini al Mattioli. Vi corrisponde nell’Erb. Cesalpino piuttosto l’Juniperus Orycedrus L. (n. 7 [18]) È che non l’Jur. phoenicea L. (n. 7 [17]). p (4) È probabilmente la stessa specie che è come Cyperus olivaris al n. 111 (283) nell’Erb. Cesalpino. (5) Coi nomi di Cucubalum Plinii e Solatro maggiore si trova nell’Erb. Cesalp. al n. 146 (891) l’Atropa Belladonna L. (6) È la Senecio Cineraria DO. al n. 76 (192) nell’Erb. Cesalp. (7) È difficile una identificazione sicura con i Daucum dell’Erb. Cesalp. (8) Al n. 141 (880) dell’Erb. Cesalpino è il Dracunculus vulgaris Schott. (9) Cfr. il Delphinium maius e il D. minus spediti nel 1551 dal Ghini al Mattioli sotto i nn. 53-54 (De Toni G. B. — I placiti ecc., p. 15-16). (10) La Dentaria maggiore nell’Erb. Cesalpino al n. 199 (551) è la Dentaria pinnata L.; la D. minore al n. 200 (552) è la Dentaria bulbifera L. divine do i Ferula et sagapeni io, ut aliqui opinantur. Filix mas duplex vel potius quadruplex. Foenum graecum (2). Frutex incognitus folijs fere rubi, flos in umbella candidus et odoratus, ebuli floribus similis, flores qui in umbella circuiti dispo- siti sunt longe majores ijs qui in eius medio siti sunt, fructus ro- tundi, oblongi, parum compressi, in maturitate rubri, crudi saporis, oritur locis palustribus et humidis [di scrittura di U. Aldrovandi in postilla: Forte est Sambucus palustris] (3). Frutex Chameceraso similis. Frutex folio citrij minoribus incognitus. Fructus ab alpinis pirus cervina vocatus. Frutex ribes similis, sed racemos non fert. Frutex parvus alpinus baccula dictus (4). Gentiana quinque genera, unum quod a Dioscoride describitur, luteis floribus, duo minima, coeruleis, et duo mediocria ex coeruleo purpurascentibus floribus, quorum alterum Cruciata vulgo dicitur (5). Gerani] variae species. Gith verum odoratum. Gith inodorum vel leviter odoratum. Glans unguentaria, sed jam perijt. Genistae genera duo (6). Gariophilata alpina luteos flores brevi cauliculo adnexos ferens. Gariophilata alpina altera flores extrinsecus rubentes, intrinsecus candidos flores ferens, et cubitalem cauliculum (7). Halicacabon (8). (1) È la Specularia Speculum DC. dell’Erb. Cesalpino al n. 229 (640); cfr. anche DE Toni G. B. — I placiti ecc., p. 34. i 2) È la Trigonella Foenum graecum L. dell’Erb. Cesalpino al n. 159 (436). (3) Mi sembra che la descrizione data dal Ghini per il Frutex incognitus coltivato nell'orto pisano, corrisponda assai bene al Samducus racemosa L. i (4) Verisimilmente a questa Baccula vanno riferiti i Mampè dell’Erbario Cesalpino, meglio il n. 234 (663) cioè il Vaccinium Myrtillus L. che ha il nome volgare di Baccola. (5) Di queste specie, taluna può venire facilmente identificata con esem- plari dell’Erb. Cesalpino; quella Zuteis foribus è al n. 180 (497) la Gentiana lutea L.; quella Cruciata vulgo è al n. 180 (498) la Gentiana Cruciata L. (6) Nell’Erb. Cesalp. al n. 9 (27) c’è una sola Genista (G. pilosa L.) (7) Come Gariofilata nell’Erb. Cesalpino al n. 237 (672 e 673) trovansi il Geum montanum L. ed il Geum urbanum L. (8) Non manca l’Alicacabum (Physalis Alkekengi L.) nell’Erbario Cesalpino n. 143 (388). Po . Pi * #3 "n it UU Tone duple " Helleboram candidum dupiaa xa vi herbaceo, « et al er um gricante rubro flore (2). Hemorocallis sive lilium marinum (3). Hemionitis. Herba sativa duplex. Hieracium utrumque. Hippoglosson (4). Hippolapathon (5). Horminum sativum et sylvestre verum (6). Hiacinthus orientalis et nostras et tertia quaedam BEI ex orien- talibus delata. Hysopum montanum Pisanorum (7). Heptaphilon duplex (8). Herba Lucciola Plinij Ischemon (9). Herba caprinella Romae vulgo vocata forte est Plinij Siliqua- strum. Hesperus ut alii opinantur dilicophe. et Plinij. Herba rena ut aliqui opinantur vulgo vocata Sylphium Ruellij oppinione (10). Herba Tritico similis quinque vel sex proferens radices invicem connexas candidas rotundas margaritis magnis similes. ox ut ] Pliniu PRETE (D}a ME L) A tdi i LU (1) Tre sorta di Alimo vennero nel 1551 spedite dal Ghini al Mattioli; cfr. De Toxi G. B. — I placiti ecc., p. 22 e 14, Nell'Erbario Cesalpino sono al n. 61 (152, 158) l’Atriplex Halimus L. e l’Obione portulacoides Moq.; a quest’ultima specie si riferisce con ogni evidenza il placito ghiniano. (2) Sono i due Veratrum dell’Erb. Cesalpino n. 246 e 247 (699). (3) Cfr. la nota 5 a pag. 422. La HMemorocallis dell’Erb. Cesalpino al n. 217 (602) è il Pancratium maritimum L. (4) L’Hypoylosson dell’Erbario Cesalpino n. 186 (372) è il Ruscus Hypo- glossum L. (5) Con questo nome nell’Erb. Cesalp. n. 59 (145) c'è una foglia indetermi- nata di Rumer. (6) Queste due specie furono al n. 16 spedite nel 1551 dal Ghini al Mat- tioli ed è importante il parere con cui m. Luca le accompagnò. Ofr. De TONI, G. B. — I placiti ecc., p. 29. L'HMorminum sylvestre dell’Erb. Cesalpino n. 115 (207) è la Melittis Melissophyllum L. (7) Tra i semplici mandati nel 1551 dal Ghini al Mattioli recava il n. dl; forse è la stessa cosa del Clinopodium ? “ (8) Vi corrispondono due Potentilla dell'Erbario Cesalp., cioè n, 239 (679) P. hirta L. e n, 240 (682) /. caulescens L. (9) Ischemon Plinii, Herba Lucciota trovasi anche nell’Erb. Cesalp. al n. 103 Uitr. (262) ed è la Luzula nivea Dec. d (10) Come Merba Rena trovasi nell'Erb, Cesalpino al n. 26 (72) il Laserpitium < latifolium L. * di Daria” Creta m issa, quam Falso dtt ‘syderttim‘@ esse opi-o Pantir es) sug pulchra [Di scrittura di U. Aldrovandi è la nota: Forte Rapum cretense flore vitis sylvestris]. Ilex. Iris candida coerulea et minor. Iaciminum candidum et luteum, coeruleum Senis reperitur. Ignotae plantae plures sed tamen pulchrae. Imperatoria vulgo vocata omnium fere opinione est ligusticum (1). Isatis utraque (2). | Ischemon vulgo Lucciola (3). Lampsana (4). Laserpitium vulgo Levisticum dicitur. Laurus sylvestris Tinus vocata; ali] sui generis arborem esse pu- tant (5). Lentiscus (6). Leucoi genera omnia. Leucoion Theophrasti ut opinatur Fuchsius. Lilium sylvestre rubrum et flavum Martagon vulgo appella- tum (7). Litosperma coeruleo et alterum candido flore. Lonchitis utraque (8). Lotus arbor vulgo fusaracha. Lotus arbor alia aliorum opinione, vulgo sicomorus. Lotus arbor alia aliorum opinione, vulgo matallus arbor vocata (9). (1) Nell’Erb. Cesalpino al n. 35 (89) con questi nomi si trova una foglia di Trochiscanthes nodiflorus Koch. (2) Non mancano due specie con questo nome nell’Erb. Cesalpino, apparte- nenti a due generi affatto diversi: n. 48 (117) Isatis tinctoria L., n. 57 (136) Plumbago europaea L. - (3) Cfr. nota 9 a pag. 482. (4) Nell’Erb. Cesalpino al n. 193 (533) è con il nome di Lapsana il Ra- phanus Raphanistrum L. (5) È il Viburnum Tinus nell’Erb. Cesalpino n. 18 (58). (6) È il n. 11 (55) dell’Erb. Cesalpino, Pistacia Lentiscus L. (7) Con evidenza corrispondono i nn. 219 (609, 610) dell’Erbario Cesalpino cioè il Lilium bulbiferum L. (con fiore giallo) ed il L. Martagon L. (con fiore TOSSso). (8) Cfr. nota 4 a pag. 426. (9) Per questi alberi di Lotus erano, nel medio evo, incertele opinioni come è facile scorgere dalla trattazione che ne fa il Mattioli nei Commentarii al Dio- scoride. Tuttavia a queste piante arboree dell’antico orto pisano si possono ri- ferire esemplari esistenti nell’Erbario Cesalpino. Il Lotus ardbor vulgo fusaracha [Fusciarago] è come Lotus arbor bu... gratico la Celtis australis L. nell’Erb. Cesalpino n. 19 (61); il Lotus arbor vulgo Sicomorus è la stessa pianta, Melia È » Lotus sylvestris set Lupinus silvestris. tari Lichnis coronaria et silvestris. î Lagopus ut aliqui opinantur. \ i Libanotis prima (2). uf: Lunaria odorata et inodora (3).. si Lunaria minor ab alpinis Iecoraria seu epatica vocata. Ry Laurus Alexandrina ut aliqui opinantur (4). L Mandragora mas (5). hi Medium candidum et purpureum (6). i Mirtus nostras candida et nigra (7). I i Mirtus exotica. È Melampiron seu miagron. Matallus arbor alpina ex Loti generibus una ut aliqui putant (8). Mellago sen Melloager vulgo dictus. . Malva arborea. da Malva alpina foliis plurimum incisis (9). è Azedarach L., che nell’Erb. Cesalpino al n. 20 (63) è denominata Lotus altera: Sicomoro. Di: Incerto resta il Lotus arbor vulgo Matallus, seppure non è il Pyrus Aria : Ebrh. che nell’Erbario Cesalpino ha il n. 15 (50) e che ha il nome volgare di vi Matallo. È (1) Del Lotus sylvestris, che è tutt'altra cosa dal Lotus arbdor, si ha un ih esemplare nell’Erbario Cesalpino al n. 160 (439) appunto coi nomi di Lotus sy/- s ti . vestris, Tripuli. Il Lotus sylvestris fu spedito nel 1551 dal Ghini al Mattioli i vi sotto il n. 89; cfr. De Toni G. B. — I placiti di Luca Ghini ecc., p. 15. % (2) Il Lupinus silvestris, la Lychnis coronaria e silvestris,il Lagopus e la Liba- id notis sono rappresentati nell’Erb. Cesalpino; alle due Lychnis appartengono D: senza dubbio le specie al n. 151 (406, Lychnis coronaria Lam., 407 Lychmis Githago Lam.). (3) La Lunaria odorata può corrispondere alla Lunaria rediviva L. Pre (Erb. Cesalp. n. 202), la inodora alle Farsetia clypeata R. Br. (Erb, Cesalp. sa nti ; . . . n | . di materiali, e specialmente con semi germinanti. Lo studio di w L “, piante in via di sviluppo, mi fornì infatti risultati di grande in- teresse e potei così ottenere specialmente dai giovani germogli delle notevoli quantità di distillato, le quali presentavano molto intense le reazioni che ho più sopra descritte. Riunendo insieme numerose porzioni di distillato e sottoponen- dole a distillazioni ripetute e frazionate, onde liberarle dall'enorme eccesso di acqua, io potevo eventualmente separare dei prodotti alcoolici bollenti a temperatura diversa che l’alcool. Anzitutto potei escludere con sicurezza la presenza di tali corpi, ed anche nelle pri- missime porzioni del liquido che distillava a 80° non ottenni mai le reazioni caratteristiche delle aldeidi e degli acetoni. Sul liquido alcoolico ottenuto dalla distillazione tra 80° e 95°, (come è noto il punto di ebollizione dell’alcool si innalza notevol- mente col crescere del contenuto in acqua) potei eseguire i seguenti saggi: Bicromato di potassio e H, SO, concentrato: colorazione verde e sviluppo di aldeide acetica, riconoscibile dall’odore e dalla ridu- zione del nitrato d’argento ammoniacale, del quale avevo imbevuto una cartina, esponendola ai vapori che si svolgevano. Nitrato d’argento ammoniacale: risultato negativo. Idrato potassico e iodio: formazione di iodoformio. Ioduro di potassio iodurato e idrato ammoniaco: reazione negativa. Acido acetico glaciale e H, SO, : formazione di etere etilacetico riconoscibile all’odore. Cloruro di benzoile e idrato sodico: formazione di etere etil- benzoico. Dal complesso di queste reazioni credo di poter affermare con si- curezza l’esistenza di alcool etilico nelle piante germinanti di 7rapa natans © T. verbanensis. Accertatane l’esistenza mi occupai di ricercare quale fosse la di- stribuzione di questi corpi nei vari organi della pianta e a quali funzioni si trovasse specialmente legata la sua presenza, onde sta- bilire il valore fisiologico. La presenza dell’alcool è costante in tutti gli organi della pianta durante la quiescenza e nei primi periodi della germinazione; la quantità maggiore si trova nell’organo di riserva e, in dosi pro- gressivamente minori, nel radicoforo, nella gemmula e nelle giovani radici; ma quando la pianta è cresciuta in sviluppo tanto da dare origine alla rosetta di foglie galleggianti, il che avviene circa un mese dopo l’inizio della germinazione, allora sì osservano delle par- ticolarità interessanti riguardo alla distribuzione dell’alcool. 0 Ro sebbene in piccola Great invece la quantità dell'alcool nella por- Not: zione caulinare e fogliare è soggetta a variazioni diurne, le quali mi MTA. fecero sospettare che su questo fatto avesse influenza l’attività della funzione assimilatrice. Eseguii allora numerosi saggi in varie ore della giornata vale a dire verso le ore 5 ant., quando terminava la notte e le piante pote. vano risentire al massimo gli effetti della sospensione dell’attività assimilatrice, alle ore 10 ant., alle ore 16 pom. e al cader del sole. I risultati furono i seguenti: OrE 3 ANT. Riserva dei semi. — Reazione positiva e intensa del- l'alcool; negativa quella delle aldeidi. Radici nere affondate nella melma. — Traccie di alcool; reazione negativa delle aldeidi. Porzione caulinare e radicale sommersa, ma verde. -— Alcool assai abbondante; reazione negativa delle aldeidi. Itosetta fogliare galleggiante. — Reazione negativa del- l'alcool e delle aldeidi. Ore 10 ANT. Riserva dei semi. — Alcool abbondante come sopra. Radici nere. — Traccie di alcool come sopra. Porzione caulinare e radicale sommersa. — Reazione debole di alcool; negativa quella delle aldeidi. vosetta fogliare galleggiante. — Reazione negativa del- l’aleool; positiva quella delle aldeidi; Ore 4 rom. Riserva dei semi. — Alcool sempre abbondante come nelle altre ore della giornata. Radici nere. — Presenza di piccole quantità di alcool indicata dalla formazione dell’iodoformio; come sempre mancanti le aldeidi. Porzione caulinare e radicale sommersa. — Formazione ben evidenti di iodoformio; mancanza di colorazione verde con bicromato di potassio e acido solforico; ri- duzione del nitrato d’argento ammoniacale. Rosetta fogliare galleggiante. — Formazione di tracce di iodoformio; reazione negativa col bicromato di potassio e acido solforico; riduzione del nitrato d’ar- gento ammoniacale. Ore 7,30 pom. Risultati perfettamente eguali a quelli ottenuti alle ore 4 pom. 3: È i aa ta”. SR Le. esperienza i mirono tali risultati Fisso Fidene as- va di frequente durante il periodo che va dalla formazione della rosetta galleggiante allo sviluppo dei primi fiori. Nelle piante più evolute il cotiledone amilifero aveva quasi esaurito tutte le sue riserve, e l’amido ne era pressochè scom- parso; tuttavia la presenza dell’alcool si verificava costantemente; però occorreva fare molta attenzione nella scelta dei semi da distillare, perchè quelli completamente esauriti erano facilmente invasi da microrganismi e specialmente dal BaciZlus amylobacter nella sua forma caratteristica dei substrati ricchi di amido, vale a dire avente il plasma colorabile in bleu violetto coi reattivi lodici. Il complesso dei numerosi saggi eseguiti non lascia più alcun dubbio che la sede principale della formazione dell’alcool stia nel tessuto di riserva del cotiledone, e che da questo centro l’alcool venga trasportato, insieme colle soluzioni dei materiali nutritizii, in tutti gli altri organi in via di sviluppo. L’ossidazione di esso non può avvenire nelle radici nere immerse nel limo riduttore ed ivi permane costante in tutte le ore della giornata; nella porzione sommersa (caule e radici avventizie) il si- stema assimilatore è relativamente poco sviluppato specialmente al- lorchè le rosette apicali stipate le une presso le altre sulla super- ficie dell’acqua intercettano l’ illuminazione dello strato profondo dell’acqua; inoltre il sistema di lacune capace di immagazzinare l’os- sigeno non è così sviluppato da assicurare durante la notte l’ossi- dazione dell’alcool che vi arriva. Tale difficoltà non si verifica nella rosetta dove abbondante e attivissimo è il sistema assimilatore, e dove le ampie lacune che provvedono al galleggiamento possono immagazzinare una quantità di ossigeno tale, da impedire la permanenza dell’alcool anche du- rante la notte. Come è noto, la funzione di assimilazione dà luogo alla forma- zione di prodotti capaci di ridurre il nitrato d’argento ammoniacale e tra questi è l’aldeide formica (1); è degno di nota il fatto della presenza di questo corpo riduttore, indice di attività assimilatrice, in quegli organi e in quei periodi di tempo nei quali si verifica la assenza dell’alcool. (1) PoLLacci G. — Intorno alla presenza dell’aldeide formica nelle piante. Atti Ist. Lombardo 1899. — In. Intorno all’assimilazione clorofilliana. Memo- ria I. Atti Ist. Bot. di Pavia. Vol. VII, 1899. formazione di aleool direttamente nei diversi organi, poser che, SS non per la Yrapa, è stata da aleunì autori ammessa per altre piante verdi: e vengo invece ad affermare che sì tratta realmente di una formazione di alcool sotto l'influenza di una vita anaerobica, analo- gamente a quanto si osserva in molti funghi. Si ammise infatti che la produzione di alcool fosse l’effetto nor- male dell’azione di un fermento presente se non in tutte, almeno in molte cellule vegetali. Mazé p. e. riferendosi ad esperienze sue e di altri ammise che « on doit trouver l’alcool de préférence dans les cellules où la nutrition est la plus active et non dans les tissus pro- fonds du végetale » (1). Ora è da notare che nel caso delle piante da me sperimentate, la quantità di alcool presente era sempre in misura inversa alla funzionalità dei tessuti. È certo infatti che il cotiledone amilifero della Trapa durante gli ultimi periodi della sua funzionalità, quando già è ben evoluto il sistema assile e fogliare, non sì può nemmeno lontanamente paragonare per attività al tes- suti della rosetta, dove è intensa e rapida la formazione degli organi fogliari nuovi e degli apparati riproduttori. Del resto la respirazione anaerobica in tessuti parenchimatici delle piante superiori, se, come credo, si osserva per la prima volta diretta- mente in natura nel caso che vado studiando, è stata già osservata spe- rimentalmente. Inoltre si è dimostrato quanto a lungo si possa far dnrare la vitalità nelle piante superiori, malgrado la respirazione anaerobica e come questa duri finchè a disposizione del plasma sì trovino quantità sufficienti di materiali nutritizii (2). Caso questo che si verifica appunto nella 7rapa, dove sì trova sempre amido in quantità, dove l’idrolisi di questo permette l’esistenza di notevoli quantità di glucosio, dove appunto il completo esaurimento delle riserve amilacee coincide colla invasione dei microrganismi e la di- struzione del seme (3). (1) Mazk. — Comptes Rendus 1899, T. CXXVIII, p. 1608. (2) PALLADINE W. — Sur le role des Hydrates de carbone dans la risistance a l'asphyrie chez les plantes supérieures. Rev. Gen. de Bot. VI, 1894, p. 701. — Napoxkici A. J. — Ber. d. Deut. Bot, Gesell, 1901 XIX. (3) L’alcool etilico si trova qua e là nelle piante e non si deve sempre attri- buire alla sua presenza il significato di prodotto di una respirazione intramoleco- lare. MAQUENNE ha trovato l’alcool etilico in diverse piante, (Compt Rend. CI, 1885). Non ha certamente significato di fermentazione alcoolica la presenza di alcool etilico libero in quegli organi dove sono abbondanti anche i suoi derivati eterei, come nei frutti di aleune ombrellifere: Heracleum, Pastinaca, ecc. GUTZEIT. Ann. der Chemie, 240, p. 248) — GenTHER. Ann. der Qhala MO, p. 209) estrasse alcool etilico dai rizomi di Acorus Calamus. Nymphea alba e dal Nuphar luteum durante la quiescenza e durante il germogliamento. Raccolsi in autunno avanzato una quantità di questi rizomi e li posi a svernare in una vasca alla temperatura media di 4°-6° cent. Durante l'inverno e la primavera, a periodi di 20-30 giorni dapprima, poi di 8 in 8 giorni, prendevo alcuni di tali rizomi per sottoporli a distillazione. Lavavo accuratamente la loro superficie ed asportavo poi con un coltello la parte esterna, onde sottoporre a distillazione solo por- zioni vive e sane; allorchè il sistema fogliare si era sviluppato, lo distillavo a parte dopo accurata lavatura. Nei rizomi quiescenti ed in quelli in sviluppo, fino al mese di aprile, riscontrai sempre positive le reazioni che mi avevano fatto riconoscere l’alcool nella Trapa; nell’apparato fogliare non riuscii mai a riconoscere alcool che nelle prime ore del mattino, e maia giorno alto. Eseguii inoltre una sola esperienza sui rizomi di Nel/umbium speciosum, i quali, come è noto, sono provvisti, in grado ancor mag- giore che quelli di Nymphaea, di ampî sistemi di aerazione; il pezzo sottoposto ad esame fu raccolto nel pomeriggio e mi fornì risultati negativi. Alcune ricerche recenti hanno fatto vedere come la vita degli or- ganismi vegetali in condizioni di asfissia, caratterizzata dalla produ- zione di alcool etilico, sia accompagnata da particolari modificazioni nella struttura del plasma e del nucleo delle cellule asfittiche. Anche nel caso della Trapa natans ho potuto osservare dei fatti analoghi nel tessuto di riserva dei semi; a tale scopo ho raccolto semi in stadit diversi della loro germinazione e li ho sottoposti a ricerche citologiche. I pezzi furono fissati in alcool e sublimato, o in acido ‘ pieroacetico, e colorati con Sudan III, Fuxina, Verde all’iodio, Sa- franina, Ematossilina ferrica secondo il Me di Heidenhain e colla ahi triacida di Ehrlich. Il parenchima cotiledonare è costituito da cellule molto ampie, poliedriche (70-80 u) riempite di granuli d’amido di dimensioni piut- tosto grandi, ma assai variabili, e di granuli di aleurone in quantità press’apoco eguale a quella dei granuli d’amido. Questi sono di figura ovoidale e ricordano quelli di Maranta; l’ilo però in essi è quasi centrale, le striature sono molto evidenti. I granuli d’aleurone So forma lenticolare, sono angolosi, di di- mensioni variabili tra 1e7pe sono privi di globoidi e di ul loidi. Nelle cellule periferiche sottoepidermiche i granuli d’amido lulare (1). "9010 (RS Il plasma è scarso, difficile da scorgere per la massa dei com- posti di riserva che sì stipano nel cavo cellulare e il nucleo è assai piccolo, addossato alla parete, visibile quando il seme è immaturo, e quasi impossibile a scorgersi a maturità; torna a essere facilmente visibile allorchè, a germinazione avanzata, le riserve sono scomparse. La sua colorabilità è sempre assai limitata; vi sì osserva un solo nucleolo o al più due, e durante tutto il corso della germinazione non presenta, a quanto pare, particolarità degne di nota. Le riserve grasse sono molto ridotte e il poco grasso che esiste in questi semi ha altresì una localizzazione speciale; manca nelle cellule periferiche, è ridotto a pochissime gocce nelle cellule del parenchima di riserva propriamente detto, ed è più abbondante nel tessuto fibro-vascolare che innerva il cotiledone. Le cellule relativamente più rieche di grasso, si trovano alla base dell'asse ipocotile, dove comincia a differenziarsi questo organo as- sile; e più ancora lungo questo stesso organo e lungo l’asse ipoco- tile; in tali tessuti tutti gli elementi sono ripieni di goccioline di grasso, eccettuati quelli che si trovano attorno alla gemmula e quelli costituenti la gemmula stessa. È interessante conoscere questa distribuzione del grasso per spie- gare alcuni fatti che si osservano nel periodo germinativo. Le prime riserve che sono idrolizzate durante la germinazione, sono quelle proteiche: i granuli di aleurone subiscono un debole ri- gonfiamento iniziale, poi le loro dimensioni vanno gradatamente diminuendo col progredire dell’ idrolisi. L’ amido vien disciolto in gran parte più tardi e la solubilizzazione di esso ha luogo senza rigonfiamenti e senza la formazione di particolari figure di corro- sione; i granuli conservano fino all’ultimo le loro striature e l’ilo perfettamente visibile. Allorchè le cellule si sono svuotate delle riserve, il loro conte- nuto appare ridotto a un piccolo nucleo che ha quasi perduto tutte le proprietà cromofile, a numerosi piccoli granuli proteici colorabili difficilmente coi metodi ordinari e a poche gocciole di grasso. Le scarse riserve grasse dei semi di rapa permangono presso- chè inalterate durante la germinazione. È specialmente lungo i fasci vascolari che spiccano immutate le gocciole di grasso nel tessuto di riserva: oltre che l'osservazione (1) GiseLLi G. e Ferrero F. — Ricerche di anatomia e morfologia intorno allo sviluppo dell'ovolo e del seme della Trapa natans L. (Malpighia, V, 1898). ni colorate; anche un ea quinminivà può io a “mieltero: in evidenza questa permanenza del grasso nelle riserve durante il periodo germinativo. Io ho preparato dei campioni di 20 semi ciascuno in due di periodi di germinazione e durante la quiescenza; li ho seccati, pol- verizzati, ho eliminato l’acqua fino a peso costante e li ho sottopo- sti ad estrazioni con etere in un apparecchio di Sochxlet. Ho eseguito il dosaggio impiegando un numero costante di semi iu ogni campione e con un peso eguale di materia secca onde evi- tare che l’idratazione dapprima, e quindi la soluzione delle riserve carboidrate e proteiche, dando luogo rispettivamente ad un aumento e ad una diminuzione di peso, potessero essere causa di variazioni relative nella quantità di grassi, variazioni troppo difficili a va- lutarsi. Col metodo da me seguito ho avuto cura di scegliere campioni ‘assolutamente omogenei, e la quantità relativamente grande di so- stanza secca impiegata permette di eliminare ogni dubbio sulla esattezza dei valori da me trovati sulla quantità assoluta del grasso. I valori ottenuti dalla media di due analisi per ciascuna delle due condizioni, nelle quali si trovavano i semi sono ì seguenti: Semi quiescenti novembre 1904 N. 20 Grasso gr. 0,1426 Semi a avanzato sviluppo delle piantine 4 luglio 1905 . . . . . N. 20 Grasso gr. 0,1478 Anche se si vuol prescindere dal lievissimo aumento del contenuto in grasso nei semi germinati, che sì può benissimo spiegare con una differenza inevitabile tra campione e campione, è fuori di dubbio che il grasso non viene assorbito durante la germinazione, anzi è da ritenersi che se ne formi del nuovo. Infatti, come ho già rilevato più sopra, una notevole quantità di grasso si trova nella porzione assile dell'embrione (asse ipoco- tile e radicoforo); ora tale porzione che nei semi quiescenti entra a far parte del campione per l’analisi, a germinazione avanzata, essendo espulse fuori dal tegumento per l’accrescimento intercalare degli organi sopra ricordati, non fa più parte del campione stesso. È naturale che io abbia tralasciato di valermi della porzione esterna assile per la formazione dei campioni d’analisi, perchè l’intensa at- tività fisiologica che ha luogo in questi organi può dar luogo anche alla formazione di nuovi grassi. La quantità di questi corpi che si trova nella porzione assile dei semi quiescenti è piuttosto notevole; io ho potuto eseguire una sola determinazione di grasso tenendo distinta la porzione cotile- ANNALI DI BorANICA — Von. V. 29 pre. Rev. Gén, de Bot., XV, 1902, p. 193, per cento della quantità 1; contenuta nei semi. Si deve quindi ammettere che non solo la mancanza dei Pang meni di ossidazione dei grassi contenuti nel seme di rapa, ma ad- dirittura la formazione di nuove quantità di grasso, sia da annove- rarsi tra 1 fatti che hanno luogo durante la quiescenza e la germi- nazione di tali semi. Occorre quindi studiare come abbia luogo tale formazione e quale valore fisiologico sì debba ad esse attribuire. Matruchot e Molliard nelle loro ricerche sulla fermentazione anaerobica (1) di alcuni tessuti parenchimatici, hanno posto in ri- lievo il fatto interessante che, se sì tolgono le cause che hanno dato luogo all’asfissia, e sì fa pervenire ai tessuti una sufficiente quan- tità di ossigeno, avviene nelle cellule una intensa degenerazione grassa sia del plasma che del nucleo. Già durante il periodo dell’asfissia ha luogo la formazione di fini gocciole oleose, le cosidette goccioline asfittiche, ma la forma- zione intensa di grasso la si ha specialmente a termine dell’asfissia. Nei semi di 7rapa sì trovano appunto sempre più o meno evi- denti 1 caratteri citologici dell’asfissia, rilevati da Matruchot e Mol- liard neì parenchimi dei frutti e dei tuberi; tuttavia nel maggior numero dei casi da me osservati la degenerazione si limitava alla formazione delle goccioline asfittiche, più di rado si aveva degenera- zione più avanzata, e ciò tanto negli individui coltivati per esperi- mento nell’Orto botanico, quanto in quelli liberamente cresciuti nel Lago di Candia presso Ivrea. Ho studiato particolarmente quelli stati coltivati, dei quali io seguivo lo sviluppo e conoscevo esattamente le condizioni d'ambiente e potevo così con sicurezza apprezzare le relazioni tra i fatti che andavo osservando e le cause che potevano averli provocati. Durante la germinazione l’asse radicoforo non inverdisce se l’illu- minazione di esso non è molto intensa: onde naturalmente, se il seme è di molto affondato nella melma, l’asse ipocotile deve allungarsi di molto e persino di 30 cm. onde porre la gemmula e l’asse radicoforo in condizioni di poter iniziare lo sviluppo delle radici secondarie. Nei semi, che si trovano in condizioni sfavorevoli, l’inverdimentò ha luogo con un certo ritardo rispetto a quelli situati negli strati più superficiali della melma; il ritardo corrisponde appunto al tempo ne- cessario per allungar maggiormente l’asse ipocotile. In tal modo la (1) MarRruonoT L. et MoLLiARD M. — Recherches sur la fermentation pro- mente asfittica del seme si compie per un tempo più lungo che normalmente, onde i suoi effetti sono così più evidenti; ma all’esame citologico, non si osserva tuttavia nulla di speciale. Che le condizioni di vitalità della pianta non siano profondamente alterate, lo prova il fatto che quando il giovane germoglio si è messo in grado di inverdire alla luce, il suo sviluppo ha luogo in modo identico a quello degli altri germogli. I semi dei quali ho testè fatto cenno, e che erano più degli altri sottoposti a vita asfittica, mi fornirono principalmente il materiale per lo studio delle degenerazioni cellulari causate dall’asfissia. Dopo un certo tempo di germinazione nell’oscurità, quando l’ac- crescimento intercalare degli organi assili pareva aver raggiunto il suo massimo, fissai alcuni di tali semi negli ordinarii liquidi fissa- tori, onde servirmene di controllo, e posi gli altri in una vasca alla luce in condizioni identiche a quelle dei semi germinanti normal- mente. Allorchè le porzioni assili cominciarono a inverdire, e più tardi, a sviluppo avanzato, raccolsi e fissai i semi per lo studio. Oltre i semi germinati in queste condizioni, mi servii di altri svi- luppatisi normalmente nelle vasche dell'Orto botanico e di altri rac- colti nel Lago di Candia. La colorazione che mi fornì il miglior risultato fu quella con ematossilina ferrica col metodo di Heidenhein seguita da un pas- saggio in Sudan III; buoni risultati mi fornirono pure il tratta- mento con acido osmico e la colorazione successiva con safranina; così pure perlo studio del parenchima in un periodo non molto avan- zato della germinazione, ottenni colorazioni assai istruttive colla mi- scela triacida di Ehrlich. Durante la quiescenza e all’inizio della germinazione la riserva di amido e di aleurone non presenta nulla di particolare; i granuli d’amido non perdono mai la loro forma e la loro striatura, i granuli di aleurone si rigonfiano dapprima, poi si vanno sciogliendo e spez- zando in’ granuli minori e le colorazioni col Sudan III o coll’acido osmico non mettono in evidenza la presenza di grassi; anche se le sezioni sono passate in acqua di Iavelle in modo da togliere tutto il plasma, si ha appena col Sudan III una leggera colorazione dif- fusa; che non autorizza per nulla ad ammettere la presenza di grassi. Col progredire della germinazione i granuli di aleurone presen- tano tra loro delle differenze, alcuni di essi fissano la colorazione col Sudan III, e riducono l’acido osmico, mentre altri, i più grossi, conservano i caratteri primitivi mantenendosi indifferenti rispetto al reattivi dei grassi. Il trattamento con acqua di Iavelle permette f) di; + SANO e dedi i) Te AT de 3 di porre în evidenza la presenza di goccioline di tra i diversi granuli d’amido. A germinazione più avanzata nelle piante normali, 2 in all eziolate e trovantisi quindi per un periodo più lungo in condizioni di vita asfittica, appaiono evidenti le goccioline di grasso sparse nel plasma, senza che occorra prima la distruzione di questo per metterlo in evidenza; poichè in questo periodo i granuli d’amido sono in gran parte stati assorbiti, il plasma appare tutto foggiato a guisa di rete, a maglie assai larghe le une, e le altre assai più piccole. Le prime sono evidentemente da attribuirsi agli spazi lasciati liberi dai gra- nuli d’amido, le seconde invece ad una struttura propria assunta dal plasma in tale periodo; si osservano qua e là numerose granu- lazioni proteiche evidentemente riferibili ai granuli di aleurone, ma che ne hanno perduto in parte la proprietà; così mentre nei semi quiescenti essi sì colorivano in rosso mogano colla miscela di Ehrlich, assumono ora una tinta violetta; in mezzo a queste granulazioni proteiche appaiono delle finissime goccioline di grasso aventi fra- zioni di p di diametro, di rado se ne trovano alcune aventi un dia- metro maggiore del . Il trattamento delle sezioni di tali semi con acqua di Iavelle permette di osservare un fatto molto rilevante: infatti se, dopo questo trattamento, si pone in evidenza il grasso mediante il Sudan III, si vede che esso appare in quantità assai maggiore che non nelle sezioni che non sono state passate in acqua di Iavelle. Si tratta qui di semplice apparenza dovuta al confluire delle singole goccio- line di grasso o di un reale aumento nella quantità di grasso do- vuta al mettersi in libertà di esso per l’azione ossidante dell’ipoclorito sulla molecola proteica ? Io non sono in grado di risolvere il problema, ma mi limito a rilevare che in favore di questa seconda ipotesi sta il fatto che la degenerazione grassa del plasma asfittico si verifica appunto quando, al termine dell’asfissia, l’ossigeno che sopraggiunge esercita una energica azione distruttiva sulla molecola albuminoide. Nei semi che hanno superato il periodo asfittico (come in quelli tenuti a lungo all’oscuro e poi posti nelle condizioni normali di ve- getazione), ed in parecchi di quelli che in natura hanno dato luogo a piante in avanzato sviluppo, si osserva che i granuli d’amido e quelli di aleurone sono totalmente o quasi scomparsi dalle cellule, e non residua che un plasma enormemente ricco di acqua che im- partisce al parenchima un aspetto traslucido particolare; il plasma è a struttura finamente reticolare, e contiene non più le minutis- sime goccioline di grasso che si osservano negli stadii precedenti, ma goccioline meno numerose 0 più grandi. Te maggiori occupano i punti nodali del reticolo, le minori sì dispongono in linea lungo le maglie del reticolo stesso; il trattamento con acqua di Tavelle non mette in rilievo una quantità apprezzabilmente maggiore di grasso; le goccioline confluiscono però in altre maggiori. Il nucleo presenta delle difficoltà grandissime allo studio; la sua piccolezza, la sua debolissima colorabilità, la difficoltà di po- terlo mettere in evidenza, allorchè le cellule sono ancora ripiene di materiali di riserva, non permettono di fare dei confronti suffi- cienti e di seguirlo nei varii periodi della sua vita asfittica. Ho dovuto limitarmi ad osservarlo nei semi immaturi allorchè non si è ancora accumulato materiale di riserva, e nei semi che hanno sofferto profonda asfissia o dato luogo a piante ben sviluppate. Le dimensioni del nucleo non variano di molto; ma non si può con questo negare un eventuale rigonfiamento di esso per causa dell’asfissia, perchè nel seme immaturo, allorchè il nucleo ha an- cora una notevole importanza nello svolgimento della vita cellu- lare, esso poteva avere dimensioni maggiori che non all’inizio della quiescenza. Il solo fatto che ho potuto rilevare con sicurezza è una strut- tura finamente reticolare di esso ed una frammentazione dei nucleoli; se questi fatti siano da riferirsi all’asfissia o ad un semplice invec- chiamento del nucleo, io non ho dati per stabilirlo. I fatti che sono andato descrivendo per quanto ha riguardo alla degenerazione grassa del contenuto delle cellule del parenchima della 7rapa, non si svolgono sempre esattamente come li ho esposti; la descrizione che ne ho data rappresenta i fenomeni come si svolgono nella maggior parte dei casi, ma non in tutti. Spesso la formazione delle socciole di grasso ha luogo precoce- mente durante la quiescenza; e così pure la degenerazione grassa, dei granuli di aleurone, rivelabile specialmente dopo trattamento con acqua di Iavelle, si osserva nei primi periodi della germinazione e invade non solo i granuli più piccoli prodotti dalla frammentazione della quale ho fatto cenno, ma anche granuli di dimensioni mag- giori del solito. Anche in piante ad eguale stadio di germinazione e viventi in ambiente identico si osservano delle differenze apparentemente ine- splicabili: queste riguardano specialmente l'utilizzazione dell’amido. In molti casi le cellule sono completamente vuotate di questa ri- serva, in altri casi esse non sembrano diminuite di molto. Ciò sì riconosce già a prima vista allorchè si spaccano i frutti per sia Mifdiari: in Pronti il contenuto sì presenta bianco opaco, dal spetto solito che presentano i tessuti ricchi di amido, in altri isp appare traslucido, come i parenchimi ricchi di echi e privi di aria; la consistenza però dei tessuti di questo ultimo tipo è solida, e non si può in nessun modo confondere con quella che si osserva nei casi nei quali ha avuto luogo l’invasione di microrganismi. Il fatto della mancata utilizzazione di buona parte dell’amido, che ho osservato per lo meno nel 50 °/, dei semi da me studiati, co- stituisce una ottima prova dell’adattamento all’asfissia per parte di questa pianta. È noto, infatti, che le condizioni di anaerobiosi richiedono una usura audizione di materiale nutritizio, sempre molto maggiore di quella richiesta in condizioni normali, e che una cellula di un organismo abituato a vita aerobica può sopportare tanto più a lungo la mancanza di ossigeno, quanto più sono abbondanti le quantità di sostanze nutritizie che può utilizzare. Nel caso della Trapa si os- serva appunto una enorme riserva di amido, affatto sproporzionata alla mole della pianta e al periodo di tempo, nel quale il germo- glio non è in grado di bastare a sè stesso. Fintantochè esiste materiale carboidrato, e le condizioni respira- torie si mantengono costanti, e ha luogo solo la degenerazione in fini goccioline, ma quando termina l’asfissia e specialmente allorchè l’af- flusso di ossigeno coincide coll’esaurimento quasi totale delle riserve di idrati di carbonio, ha luogo la distruzione totale del plasma e la messa in libertà di quantità maggiori di grasso. Come ha luogo l’afflusso di ossigeno al parenchima del cotile- done amilifero? Appena si è iniziato lo sviluppo dell’asse ipocotile, il tessuto ipodermico di esso presenta nelle sue cellule un forte au- mento di volume, onde queste assumono una conformazione sferoi- dale lasciando ampii spazi intercellulari. Il tessuto lacunoso, che così viene a formarsi, si continua direttamente da un lato con quello che si sviluppa nel caule della pianta adulta, e dall’altro si estende fino all’innervazione del tessuto fibro-vascolare nel parenchima del . grasso cotiledone. Più sopra ho già fatto rilevare come a sviluppo avanzato della pianta, l’attività assimilatrice della porzione verde riesca durante le ore del giorno a fornire di ossigeno tutta la parte sommersa della pianta, permettendo la distruzione di tutto l’alcool che si viene for- mando nel cotiledone; in questo periodo del giorno, quando le lacune del tessuto ipodermico sono più ricche di ossigeno, può anche aver luogo l’afflusso di esso alle porzioni del parenchima cotiledonare più prossime all’asse ipocotile; infatti è appunto in questa porzione ‘che è facile osservare più evidente la degenerazione grassa riferi- bile a fatti post-asfittici. | I fenomeni che ho rilevato finora e che hanno luogo negli ele- menti del tessuto di riserva del seme di 7rapa natans concordano abbastanza esattamente con quelli descritti da Matruchot e Molliard a proposito dell’asfissia sperimentale di alcuni parenchimi di frutti e di radici, e questi fatti istologici, e quelli chimici che ho più so- pra studiato, credo non lascino alcun dubbio per affermare che i semi germinanti della Trapa natans vanno normalmente soggetti ad una vera e propria respirazione intra-molecolare. Parte II. — Il ferro, il manganese e gli enzimi respiratorii nelle piante acquatiche. Nello studio dei varii organi di alcune piante palustri, ed in par- ticolare di quelli delle specie del genere 7rapa, l'osservatore rimane subito colpito dalla colorazione intensamente nero violacea che assu- mono alcuni di essi; tale colorazione, come è abbastanza facile rile- vare, è dovuta alla presenza di tannato di ferro. Se dalle poche piante che presentano organi così colorati e quindi così evidentemente ricchi di composti di ferro, si estendono le ricerche ad altre specie acquatiche, non è più dato di riconoscere in esse tali tannati, ma una analisi chimica dimostra facilmente che, se anche manca un tale gruppo di composti, non manca tuttavia la presenza di una notevole quantità di ferro. La quantità di questo elemento, che si può trovare nelle ceneri di molte piante acquatiche, è costantemente superiore a quella con- tenuta nelle specie terrestri; inoltre la sua distribuzione nei diversi organi è così strettamente legata all'ambiente nel quale si trovano, che non sì può certo intraprendere una ricerca sulle funzioni di essi, senza prima conoscere se e fino a che limite possano contribuire alla loro funzionalità, la presenza del ferro e la natura dei composti da esso costituiti. Uno studio sistematico a questo riguardo non è ancora stato ese- guito, e nel presente capitolo mi proverò a esporre quanto sono riu- scito ad accertare colle mie ricerche. Passerò in esame anzitutto i diversi gruppi di combinazioni ferruginose che si possono distinguere nelle piante acquatiche; quindi la loro distribuzione nei varii organi e la localizzazione nei tessuti principali; infine cercherò di stabilire l’importanza fisiologica del ferro nelle piante che sarò andato stu- diando. nd 2 piante palustri, la quale è è finora oggetto di discussione. Le nostre conoscenze sulla diliabgsione del ferro nei vegetali e sulla forma nella quale esso si trova nei vari tessuti, sono ancora assai limitate, quantunque parecchi studiosi sì siano rivolti all’inte- ressante argomento. Sappiamo tuttavia con certezza come la presenza di esso sia costante a tutti gli organismi viventi, e quanto sia impor- ‘tante, sebbene affatto ignota nei particolari, la sua funzione nella formazione della clorofilla; di solito però i comuni metodi di analisi non sono sufficienti per riconoscere la presenza nei tessuti del ferro che ivi si trova, e occorre distruggere la molecola organica, onde met- terlo in evidenza; invece in molte piante, specialmente se palustri, basta una reazione semplicissima mediante il ferro - o il ferri-cia-. nuro di potassio, per accertare la presenza di composti di ferro nei tessuti che si studiano. Questa differenza di comportamento, anche tenendo conto della quantità assoluta dell’elemento che può essere contenuta nelle diverse piante, ci indica già come si debbano distin- guere diversi stati di combinazione del ferro colle molecole organiche che costituiscono i tessuti viventi. Dopo le ricerche di Bunge (1), le quali dimostrarono l’esistenza nel tuorlo dell’ uovo di un composto di ferro con corpi del gruppo delle sostanze proteiche, nelle quali il ferro è così stabilmente legato alla molecola organica da essere difficile il riconoscerlo coi reattivi ordinarii, sì è riscontrata la presenza, quasi costante nelle cellule degli organi viventi, di molti composti di ferro dotati di tali proprietà chimiche; e da allora è invalso l’uso, specialmente in chi- mica fisiologica animale di distinguere due serie di composti di ferro. Nell’ una il ferro, legato o no ai composti organici, conserva sempre la proprietà di essere rivelato dai reattivi soliti usati in chimica ge- nerale; nell’altra la presenza del metallo non può essere messa in chiaro, se non coll’ uso di reattivi energici o dopo la distruzione della molecola organica. Si convenne di dare il nome di composti organici di ferro a quelli che contengono tale elemento così strettamente legato alla molecola organica, da esserne mascherata la presenza, cioè a quei composti che più si avvicinano per le loro caratteristiche a quelli contenuti negli (1) Bunce G. — Uber die Assimilation des Eisens. Zeitsch. f. phys. Chem. Bd, IX, 1885; cfr. anche BunGe G. — Lelrbuch der physiologischen und patho - logischen Chemie, IV, Aufl. 1896. nire la spiegazione delle funzionalità di alcuni organi speciali delle 9 sd ‘organismi viventi, e di chiamare composti anorganici quelli presen- tanti i soliti caratteri dei composti di ferro (1). La denominazione di anorganico non deve in questo caso inter- pretarsi come sinonima di inorganico; vi sono infatti molti composti di ferro con corpi organici, come i sali di tutti gli acidi organici (ace- tico, ossalico, citrico ecc.), i quali si comportano, rispetto ai reattivi, in modo identico ai sali degli acidi minerali. Veramente si sarebbero dovuti chiamare organizzati quelli di ferro strettamente legato e mascherato, onde non creare equivoci adope- rando la parola organico e inorganico che hanno già in chimica ge- nerale una significazione precisa. In questo equivoco è forse caduto Molisch (2) quando dichiara di non condividere l’opinione di Zaleski sulla grande difficoltà che hanno 1 reattivi ordinari ferro o ferricia- nuro, tannino, acido salicilico, a rivelare la presenza del ferro nei composti organici, e cita a prova della fondatezza dei suoi dubbii la possibilità per parte del ferrocianuro ecc. di reagire con molti sali di ferro ad acido organico, citrato, ossalato, acetato, lattato, ecc. Premesse queste considerazioni procurerò di passare in rassegna 1 varii tipi di composti di ferro che si possono trovare nelle piante; naturalmente avrò di mira specialmente lo studio di questo elemento nelle piante palustri. Anzitutto si deve ricordare la serie di composti già menzionati che si trovano presenti in tutti gli organismi animali o vegetali. La stretta analogia che oggi sì è riconosciuta esistere tra il plasma vege- tale e quello animale, non solo nei rapporti della costituzione morfo- logica, ma anche di quella chimica e della funzionalità, conduce ad ammettere come molto probabile che lo stato di combinazione sia, anche nelle piante, analogo a quallo dell’ematogene di Bunge. È certo ad ogni modo che la sua presenza non può essere con- statata se non dopo distruzione della sostanza organica e che la si 0s- serva anche nei tessuti e negli elementi più giovani e più ricchi di plasma e relativamente meno forniti di composti non proteici. Di più si osservano tali composti nella membrana cellulare, nelle riserve {1) I composti di ferro colle sostanze proteiche possono assumere diversi gradi di stabilità rispetto ai legami tra ossido di ferro e proteina; nelle piante non furono ancora studiati sufficientemente tali corpi, ma nel regno animale furono isolati dei nucleoproteidi veramente stabili rispetto all’azione prolun- gata degli ordinari reattivi (epatina di Zaleski), altre nucleine del medesimo tipo, ma meno stabili (ematogeno di Bunge), ed infine dei semplici albuminati scomponibili da tutti gli ordinari reattivi. (2) MoLiscH H. — Die Pflanze in ihren Beziehungen zum Eisen Jena. 1892. d’amido, negli idroleuciti. Ino] stata rilevata la presenza di cc posti nucleinici di ferro anche nelle riserve dei semi (1). È Anche nei plastidii clorofillini il ferro deve esistere in uno stato di combinazione assai complesso, come ne è prova la difficoltà di riconoscerlo; e la stretta relazione tra la sua presenza e l’inverdì- mento delle cellule, ne dimostra l’alta importanza funzionale. Nelle piante palustri esistono con tutta probabilità composti ana- loghi a quelli testè ricordati, e ad essi si debbono ascrivere forse quelli contenuti nelle riserve seminali della Trapa natans, dell’Oryza sativa (2) ecc., oltre a quelli che nei plastidii verdi sono indispen- sabili per la formazione della clorofilla. Nelle piante igrofite però la presenza del ferro nello stato di combinazione così complesso, è mascherata da altri composti di ferro più facili ad essere riconosciuti, sia per la quantità, che per lo stato di combinazions più labile nel quale essi si trovano. To non mi occuperò quindi dello studio delle combinazioni più stabili e di diffusione generale a tutte le piante verdi, e delle quali la funzione non è certo in rapporto colle condizioni di questo o di quel- l’ambiente, nel quale vivono, ma è d’ordine più elevato e complesso. A proposito dei metodi di ricerca del ferro nei tessuti delle piante Molisch (3) afferma non essere possibile dalla natura del reagente adoperato trarre delle conclusioni sullo stato di combinazione or- ganica o inorganica di questo elemento. Valendoci dei mezzi posti recentemente a disposizione della chi- mica fisiolegica credo sia possibile ora fare qualche passo innanzi sulla via di questa determinazione. Le reazione col ferro - o ferricianuro di potassio non ha luogo in molti tessuti delle piante acquatiche se la concentrazione dell’acido cloridrico non è relativamente forte (10 °/,, Molisch); inoltre anche nella maggior parte dei casi non ha luogo alcuna reazione coi sol- furi e solfidrati alcalini, e coi reattivi fenolici (acido salicilico, tan- nico); alla concentrazione del 10 °/, anche il tuorlo dell’uovo rea- gisce coll’ HCl e il ferro diventa riconoscibile coi prussiati. Facendo uso di soluzioni di H C1 più diluite, al massimo all’uno per cento, si può realmente riconoscere una differenza di comporta- mento di diversi tessuti rispetto ai reattivi del ferro; così, impie- gando soluzioni diluite nelle ricerche sopra organi verdi di Lanun- (1) Suzuki U. — Bull. Agric. Colt. Tokyo, Vol. 1V, p. 260, 1901; Pemt P. Compt. Rend. CXVII, 1904, p. 1105. (2) KénIG J. — Chemie der menschlichen Nahrungs und Genussmittel. (3) MoLisca H. — L. c. BRE n LOL Manca l’ossidasi; la perossidasi si trova nelle cellule del paren- 1) chima cotiledonare che sono più prossime all’epidermide, e nei fasci vascolari, Naturalmente i tessuti tegumentali morti e imbevuti di acqua sono privi di qualsiasi enzima respiratorio. Durante la germinazione esiste ferro allo stato di tannato nella parte superficiale delle cellule epidermiche del germoglio; coll’invec- chiare del radicoforo il contenuto in ferro va aumentando di qualche poco, ma le nuove porzioni di ferro che vi si aggiungono non as- sumono la forma di tannato. L’ossidasi è limitata ai punti meristematici, e la perossidasi è assai poca; manca la catalasi. Le radici geotropicamente positive hanno di solito una colora- zione nero-violacea, dovuta, come è noto, alla presenza di tannato di ferro che le impregna per molta parte della loro lunghezza; tal-. volta il loro colore è verde nel tratto più prossimo al punto d’in- serzione sul radicoforo, particolarmente nei primi periodi dello svi- luppo, quando l'illuminazione del fondo dell’acqua è ancora piuttosto viva. In seguito il colore diventa in questo tratto bruno-rossastro, come in tutti gli organi sommersi e male illuminati della Trapa; in. questa porzione di radici il ferro è in quantità limitata e sotto forma analoga a quella delle altre specie palustri. Nel tratto rimanente: delle radici vale a dire in quello affondato nel suolo fino quasi alla porzione meristematica, il ferro è quasi totalmente allo stato di tan- nato; questo composto si trova poi di nuovo in piccola misura nella pileoriza. In alcuni casì il tannato si trova solo nelle cellule epidermiche,. in altri invece esìste anche negli elementi situati più profondamente sino al fascio vascolare, senza però mai impregnare i tessuti con- duttori. Le cellule epidermiche delle radici, così fortemente impregnate di tannato, hanno il plasma finamente granuloso; il nucleo è fusiforme, ingrossato ed ha perduto in gran parte la cromatina; in complesso gli elementi non presentano molte differenze da molti altri elementi adulti che si trovano nella stessa pianta. Le cellule sottostanti all’e- pidermide conservano una intensa colorabilità del nucleo. L’impregnazione in nero delle radici ha luogo in misura note- vole solo se il terreno non è in grado di provvedere sufticientemente all’aerazione delle radici stesse. Se si coltivauo piante in acqua cor- rente o frequentemente rinnovata, sanza che vi sia melma nel fondo, oppure in bacini nei quali sia stata messa della terra da lungo tempo esposta all’aria e ben ossidata, la colorazione delle radici è rossastra. nel primo caso e manca ogni traccia di tannato; nel secondo la qua-. de Paste MOTO Aes cri É » Ù si LE * Mo —_ 69 Ta e € lità di tannato di ferro è minima in confronto a q L Ù uella che si osserva in natura. a ) Tutti gli elementi così anneriti reagiscono positivamente coi reat- tivi della perossidasi, e tale reazione sì osserva pure nella pileoriza ‘al di sotto delle cellule impregnate di tannato di ferro. Non ho con- statato la presenza di catalasi. Le radici geotropicamente negative emesse dal radicoforo e quelle avventizie ascellari delle foglie non danno reazione di ferro se non dopo incineramento ; si trova bensì alla superficie di esse un sottile strato di composti ferruginosi, ma essi sono asportabili mec- .canicamente mediante un’accurata lavatura. L’ossidasi è presente in piccola misura nei punti meristematici, la perossidasi si trova nell’epidermide e nell’endoderma delle radici più adulte. Esiste in piccola quantità della catalasi, avente sede piuttosto superficiale, ma solo nelle radici verdi. i Il caule presenta le cellule epidermiche e quelle dell’endoderma piuttosto ricche di ferro anorganico, ma non allo stato di tannato ; la perossidasi esiste nell’epidermide e nell’endoderma. Eguali osservazioni ho fatto rispetto ai peduncoli delle foglie; la porzione ventricosa di queste permette di studiare più minuta- .mente il tessuto uerifero; vi sì trova ferro organico e manganese; quest’ultimo in quantità relativamente grande rispetto al ferro; mancano enzimi respiratorìî, come del resto in quasi tutti 1 tessuti lacunosi che ho studiato. Il lembo delle foglie è provvisto di composti di ferro e manga- nese esclusivamente organici; nella 7. natans le cellule morte residue dei peli che ricoprono le pagine inferiori delle foglie giovani sono impregnate di ferro anorganico. Se si eccettua la perossidasi che si trova nei fasci vascolari maggiori, mancano gli enzimi respiratorii. Isnardia palustris L. — Individui cresciuti su fondo melmoso, in ‘acque lentamente scorrenti. Nelle radici (tutte avventizie) sviluppatesi dai nodi inferiori e ‘affondate nella melma, le cellule epidermiche contengono in notevole ‘misura composti anorganici di ferro; questi sono assai più scarsi in quelle radici, che sono inserite nei nodi superiori, e si svolgono na- tanti nell’acqua. Le cellule epidermiche della parte sommersa del caule contengono ‘composti anorganici di ferro; composti analoghi si osservano pure nel cilindro centrale. Esiste ossidasi in piccola quantità negli apici radicali, mancano perossidasi e catalasi. uliginosa che veramente acquatica, solo per rilevare che, quando la pianta ha la parte inferiore del caule ricoperta per lungo tempo dal l’acqua, si svolgono delle radici avventizie natanti, mentre quelle in- feriori sì impregnano fortemente di ferro e di manganese e acqui- stano il colore e l’aspetto di quella di 7rapa (1)., lussiaea repens L. — Le radici che si affondano nel suolo hanno le cellule epidermiche ricoperte di materiali ricchi di ferro che sì esportano meccanicamente con facilità e lasciano le cellule perfetta- mente scolorate e prive di qualsiasi composto di ferro anorganico, anche nelle radici ben sviluppate; esistono però sempre composti or- ganici di ferro e manganese, come lo rivela l’analisi delle ceneri. Non esistono ossidasi, perossidasi e catalasi; è degna di nota la mancanza di composti ferruginosi anorganici e di enzimi respiratorî in queste radici più d’ogni altra grandemente provviste di tessuto spugnoso aerifero. Anche le radici geotropicamente negative funzionanti da pneu- matodii non solo sono prive di ferro anorganico, ma questo elemento esiste in piccola quantità; anche in misura relativamente piccola si trova il manganese. In questi pneumatodii non esistono fermenti re- spiratorii. Il caule e le foglie non presentano nulla di particolarmente no- tevole. Myriophyllum spicatum L. — Le radici sono più o meno ricche di ferro secondo l’ambiente, nel quale si sviluppano: nell’acqua limpida e mossa dei canali e dei laghi, il loro colore è perfettamente bianco, e il ferro anorganico è appena riconoscibile sulla superficie delle cel- lule epidermiche. Se invece le piante sì sviluppano nelle acque len- tamente scorrenti su fondo melmoso, o addirittura nei pantani, le radici assumono un colore nero violaceo più o meno intenso, e la quantità di ferro in esse contenuto cresce considerevolmente. La co- lorazione degli organi, il forte contenuto in tannino che si osserva in tutte le parti della pianta, la facilità del composto ferruginoso a rea- gire coi soliti reattivi, permettono di affermare con molta probabilità l’esistenza di tannato di ferro. < (1) Allorchè le condizioni sono a ciò favorevoli, nelle parti sommerse di queste. e di altre onagrariee, si sviluppano abbondanti tessuti lacunosi destinati all’ae- razione; ef. Scnenk H. Uber das Acrenchym ein dem Kork omologes Gewebe bei Sumpfpflanzen (Jahrb f. wiss. Bot. Bd. XX, 1889). — A at Kei RETI) e RAR Epilobium tetragonum L. — Accenno a questa specie, più spesso ci SILA precipitazione del ferro in queste radici come pure in quelle della Trapa non si deve considerare come un fenomeno postmortale e conseguenza di una prolungata macerazione, come quello che ha luogo nelle cellule epidermiche in via di esfoliazione delle radici, p. es. di Nuphar o di Nymphaea, ma bensì un fatto, nel quale gli ele- menti cellulari prendono parte attiva; infatti, come già ebbi occa- sione di rilevare per la Trupa, le cellule epidermiche hanno tutti i caratteri citologici di elementi ancor vivi. Ilcaule, perla porzione che è affondata nella melma e nella sabbia, è assai ricco di ferro negli elementi superficiali; molto piccola è in- vece la quantità di ferro anorganico contenuta nel cilindro centrale. La perossidasi è assal poca e limitata al cilindro centrale: manca la catalasi. La parte superiore del caule e le foglie contengono solo composti organici di ferro e di manganese; la superficie delle foglie è spesso ricoperta d’un sottile strato di limo ocraceo assai ricco di ferro, il quale talvolta ossida il guaiacolo in presenza di acqua ossigenata. Mancano gli enzimi respiratorii. M. verticillatum L. — Gli esemplari che io ho studiato erano cre- sciuti su fondo melmoso e avevano le radici di color rossastro; man- cava in esse il tannato di ferro; per mancanza di materiale di diversa provenienza, non ho potuto accertare se l'assenza di tannato di ferro sia normale nelle radici di questa specie, o sia soggetta a variazioni in rapporto all’ambiente, come la specie precedente. Alla superficie delle radici ho osservato una leggera reazione di ferro da attribuirsi in parte a depositi extra epidermici; ad ogni modo il contenuto in ferro è assai piccolo. Conviene ricordare che tali radici sono per la maggior parte ben provviste di lacune aerifere. Nella porzione caulinare e nelle foglie non ho rilevato nulla di diverso dal M. spicatum. Hippuris vulgaris L. — Il ferro anorganico esiste in piccola quan- tità nell’epidermide delle radici; manca quasi totalmente nell’epi- dermide della parte sommersa e scolorata del caule; in questo organo il ferro che vi esiste è tutto sotto forma di composti organici ; le ce- neri assumono un colore leggermente ocraceo. Nelle foglie il ferro si trova in quantità minore e tutto sotto forma organica. Mancano enzimi respiratorii, salvo che nell’apice radicale dove non v'ha ossidasi. Menyanthes trifoliata L. — Le radici di questa specie per la parte che è affondata nella melma, sono scolorate, mentre sono assai ricche nell’acqua più o meno limafie à Ta parte ino0iote è LEE Ì ferro inorganico localizzato nelle cellule epidermiche, e particolar : mente in quelle in via di esfoliazione. Nei tessuti di questa parte delle radici non ho osservato alcun enzima respiratorio. La parte verde delle radici si comporta esattamente come ilcaule; il ferro è riconoscibile microchimicamente solo nella cuticola delle cellule epidermiche. Nel tessuto spugnoso, così abbondante nelle radici e più ancora nel caule, più che la presenza di composti di ferro esclusivamente organici, è notevole la grande quantità di manganese; questo ele- mento esiste in tutti gli organi della pianta, ma il massimo accumulo di esso lo si osserva nel midollo e negli apici meristematici. Lo stato di combinazione del manganese è vario: sottoponendo dei cauli ben lavati e contusi ad una fortissima pressione, il succo che se ne ottiene è assai ricco di questo elemento; sottoponendo poi il succo filtrato all’azione del calore, si trova manganese sia nelle ce- neri del coagulo, che in quelle della parte limpida; una parte notevole sì trova anche nel residuo spremuto; si deve quindi ammettere che il manganese si trovi legato a diversi composti, dei quali parte di na- tura albuminoide. È degno di nota il fatto che il tessuto midollare adulto è assolu- tamente privo di enzimi respiratori, mentre esistono perossidasi nei fasci vascolari. Il succo spremuto e lasciato all’aria si ossida in breve tempo, ma in un liquido ottenuto in tal modo, e costituito necessariamente non solo dal contenuto degli elementi del parenchima lacunoso, ma anche di quelli dei fasci vascolari, i fenomeni di ossidazione possono dipen- dere sia da enzimi ossidanti eventualmente esistenti, sia da prodotti di alterazione delle sostanze ottenute nel succo. Credo perciò non sia da tener conto delle ossidazioni del succo così spremuto, per affer- mare la presenza di enzimi ossidanti nel perenchima lacunoso del caule di Menyanthes. La guaina fogliare nella parte che è in diretto contatto coll’acqua, contiene piccole quantità di ferro anorganico nella cuticola delle cel- lule epidermiche; nella porzione rimanente della guaina, nei pe- duncoli e nel lembo, il ferro e il manganese esistono in discreta quan- tità esclusivamente sotto forma organica. Anche in questi organi l’ossidasi si trova nei tessuti ancora gio- vani, e la perossidasi solo nei fasci; manca la catalasi. - Utricularia vulgaris L. — Sulla spericio di tutte le o: si trova sempre un sottile. deposito ocraceo ricco di ferro e di manga- nese; asportato meccanicamente tale deposito, si può constatare l’as- senza costante di ferro anorganico ; l’incenerimento permette di con- statare sempre l’esistenza di ferro e di manganese in tutti i membri della pianta, con prevalenza del manganese nei tessuti più giovani. Mancano perossidasi e catalasi. Cicuta virosa L. — Le cellule ipodermiche delle radici e la pi- leoriza contengono assai presto dei composti anorganici di ferro; la ‘quantità, nella quale essi si trovano, non aumenta però di molto col progredire dell’età della radice stessa. Il ferro anorganico è limitato alla cuticola dell'epidermide. Nelle ceneri si può constatare, oltre alla presenza di ferro, anche quella di manganese in notevole quantità. Ta membrana e il contenuto degli elementi epidermici, reagi- ‘scono coi reattivi della perossidasi; l’ossidasi si trova negli apici radicali; manca la catalasi. Nulla di notevole ho constatato nella parte aerea della pianta. Berula angustifolia Koch. — Le radici hanno alla superficie un leggiero deposito di ferro anorganico, anche quelle relativamente giovani. All’ascella ‘delle foglie si sviluppano spesso delle radici avventizie che nuotano nell’acqua, e sono provviste di un po’ di clorofilla; anche in queste, si trova, sebbene in quantità assai pic- cola del ferro anorganico. Alcuni rami si allungano grandemente; essi si sviluppano in parte sotterra, a guisa di stoloni, e si mantengono perfettamente incolori; essi sono provvisti di una ampia lacuna centrale e nei loro tessuti non si trova del ferro che in piccola quantità, e esclusivamente sotto forma organica. I cauli verdi e 1 peduncoli delle foglie presentano spesso la cuticola impregnata di composti anorganici di ferro ; credo sì tratti in questo caso realmente di una impregnazione che ha luogo in condizioni di sofferenza delle cellule epidermiche, perchè assai spesso in questa specie mi è occorso vedere cauli o foglie, o parti di essi, chiazzati qua e là di bruno per mortificazione parziale di al- cuni elementi cellulari. i Si trova del manganese particolarmente nei tessuti giovani; man- cano la perossidasi e le catalasi; l’ossidasi è limitata agli apici ra- dicali. s Gratiola officinalis Brot. —- La parte emersa della pianta non pre- senta fatti particolarmente notevoli. La parte sommersa non con- tiene ferro anorganico; mancano altresì gli enzimi respiratori, ec- cetto che nei tessuti dei giovani rizomi, dove si trov Interessante è l'abbondanza di aerenchima nelle parti caulinari som- merse bene evolute. ’ % Littorella lacustris L. — Ho studiato esemplari cresciuti comple- tamente sommersi ed altri aventi solo la parte ipogea ricoperta da acqua. Irisultati sono stati sempre eguali e cioè: Assenza di composti anorganici di ferro; questo elemento e il manganese sono riconoscibili dopo distruzione della sostanza orga- nica, ma esistono in quantità piccola. Mancano enzimi respiratorii. La grande diffusione del manganese nelle piante palustri e acqua- tiche, già per la prima volta constatabile dalle ricerche di Gossl (1), riceve una nuova conferma dalle osservazioni sulle quali ho testè riferito; inoltre queste stesse osservazioni stabiliscono la particolare ricchezza di ferro che si riscontra in tutte le piante acquatiche, nozione questa finora accertata per un numero troppo ristretto di specie, per attribuirle con sicurezza un valore più generale. È possibile spiegare le cause della presenza di questi due elementi in quantità tanto notevole nelle piante palustri? è possibile farsi un’idea delle funzioni fisiologiche, alle quali essi debbono servire ? L'opinione di Pfeffer (2), già ricordata, potrebbe a tutta prima trovare un appoggio nel fatto che, appunto nel terreno costituente il substratum per la vegetazione di molte piante palustri, il ferro e il manganese si trovano in quantità molto superiore alla normale, e che l’anidride carbonica, prodotta dalla fermentazione dei mate» riali organici, costituisce coll’acqua un’ottimo veicolo per portare a contatto dei tessuti viventi i due elementi in discorso. Noi sappiamo però quanto sia sviluppato, negli organi assorbenti delle piante, il potere elettivo, potere che fa sì che le piante cre- sciute sul calcare contengano meno calcio di quelle cresciute su suolo siliceo, che permette che le piante assorbano solo in piccola quantità del magnesio dal terreno ricco di tale elemento. Inoltre lo studio della localizzazione del ferro e del manganese nei diversi tessuti delle piante palustri, toglie ogni dubbio che l’accumulo di questi due elementi non sia, in un gran numero di casì, l’effetto della attività fisiologica della pianta vivente. Se si trattasse di una semplice impregnazione di sostanze orga- niche, il ferro e il manganese dovrebbero trovarsi entrambi in quan- (1) Gossi J. — Loc. cit. (2) PFEFFER W. -— Loc. cit. a dell’ossidasi, tità sempre maggiore sulle vie dell’assorbimento, e, nelle piante som- merse, nelle quali, come è noto, l'assorbimento ha luogo su tutta la superficie degli organi, si dovrebbe avere un’accumulo di composti metallici in tutte le parti superficiali. Inoltre la stretta analogia delle proprietà chimiche del ferro e del manganese farebbe sì che, nel caso di una semplice impregnazione, i due elementi venissero accumulati nei medesimi tessuti, come avviene nei tegumenti car- pellari della Trapa. All'incontro ciò non si verifica, perchè per quanto riguarda il ferro si osserva bensì spesso un accumulo nella zona superficiale degli organi, ma pel manganese sì trova che la lo- calizzazione è sempre più profonda; e noi sappiamo del resto quanto. sia grande la quantità di manganese che esiste nei meristemi e in alcuni tessuti midollari, due tipi di tessuti, al quali certo non si può attribuire importanza nella funzione dell’assorbimento. Oltre alla differente localizzazione dei due elementi, si osserva ancora che, se una parte del ferro e del manganese si trova in cellule non completamente attive per ciò che riguarda la funzio- nalità chimica, o addirittura morte, e quindi assoggettate unica- mente alle comuni leggi della fisica e della chimica, una gran parte, e quella avente legami chimici più complessi, si trova in cellule soggette alle regolazioni della attività del plasma vivente; lo stato di combinazione poi è, almeno in parte, quello di composti di na- tura tale che la loro formazione non può aver luogo se non col concorso dei più elevati processi sintetici, proprî degli organismi viventi. Escluso così che nelle piante acquatiche la presenza del ferro e del manganese abbia sempre il significato di una comune impregna- zione, occorre studiare minutamente quali siano i caratteri di questi accumuli di elementi metallici, e con quali funzioni fisiologiche siano essi legati. Poichè dal complesso di quanto andrò esponendo ver- ranno a risultare due ben distinte funzioni fisiologiche che il ferro e il manganese compiono probabilmente nelle piante acquatiche, io condurrò fin d’ora separatamente lo studio di questi due elementi e inizierò lo studio del ferro. Negli organi emersi il ferro si trova sempre in quantità minore rispetto a quella contenuta negli organi sommersi; e tra questi sono meno forniti i tessuti assimilatori che quelli non tali; quando poi questi organi assimilatori per l’età o per l'accumulo su di essì di particelle solide, che, intercettando la luce, impediscono una conve- niente funzione assimilatrice, vanno perdendo la proprietà di pro- durre ossigeno libero, allora la quantità di ferro in essi contenuta va. «gradatamente aumentando, in molti organi costantemente non verdi. | ) Negli organi sforniti di tessuti assimilatori il ferro esiste in quantità variabile a seconda dei diversi tessuti, e delle condizioni d’ambiente nelle quali sì trovano gli organi stessi. A tal proposito conviene fare una distinzione tra gli organi non verdi che vivono natanti nell'acqua e quelli che stanno immersi nella melma del fondo del bacino acqueo. La porzione inferiore del caule e le radici natanti, come si osser- vano per es. nei Ranunculus, Callitriche ecc., viventi in acque correnti e ben aerate, contengono ferro in piccola quantità, quasi come gli or- gani verdi delle stesse piante; e analogo a quello contenuto nei tes- suti assimilatori ne è lo stato di combinazione, vale a dire pretta- mente organico. Soltanto nelle cellule epidermiche più adulte il ferro assume uno stato di combinazione più labile, ma non tanto però, come quello che si osserva in altri tessuti, dei quali discorrerò fra breve. In condizioni analoghe a quelle dei /anunceulus e delle Calli- triche, già citati, sì trovano le radici di Azolla Caroliniana, Hydro- charis Morsus-Ranae, Lemna minor, L. gibba, Montia fontana, Na- sturtium officinale. In alcune delle specie testè ricordate (lanunculus, Callitriche, Nasturtium) le radici che non sono libere e natanti nell'acqua, ma fissate negli strati superficiali del suolo, contengono il ferro in quan- tità un po’ maggiore, e l'accumulo ha luogo particolarmente nelle cellule epidermiche, dove assume uno stato di combinazione meno stabile, rispetto alla molecola organica. Sono rari i casi, nei quali le radici sì affondono nel suolo umido ad una profondità relativamente grande, pur rimanendo prive di qualsiasi accumulo di ferro anorganico; ciò ha luogo solo quando sia convenientemente provveduto alla aerazione delle radici stesse ; come avviene nell’/soetes Malinvernianum avente le radici affondate nella sabbia, e nella /ussiaea repens così abbondantemente provvista di tes- suto lacunoso. Se appena tuttavia le radici non si sviluppano in luoghi così bene aerati, come sarebbero gli strati superficiali delle raccolte acquee (Lemna, Azolla), 0 le acque limpide correnti (Callitriche, Ranuncu- lus), o i fondi sabbiosi sommersi sotto acqua costantemente rinno- vata (Is. Malinvernianum, Callitriche, Ranunculus), l’accumulo di ferro nelle radici si fa sempre maggiore, e vi ha un numero conside- revole di specie viventi in località più o meno costantemente rico- perte di acqua, nelle quali le cellule epidermiche delle radici adulte «contengono ferro in notevole quantità; lo stato di combinazione, fino a raggiungere quello che si osserva i rr sotto il quale si trova cotesto elemento, va facendosi sempre più: labile rispetto ai casi precedentemente enumerati. Si possono constatare questi fatti in Sparganium, Aponogeton, Alisma, Butomus, Vallisneria, Elodea, Glyceria, Cyperus, Carex, Pistia, Eichornia, Iuncus, Nymphaea, Nuphar. In tutte queste piante il ferro anorganico è limitato alla cuticola oppure alle cellule epidermiche, 0, quando di queste esistono più strati, solamente a quelle dello strato più superficiale (Nymphaea, Nuphar), mentre nello strato sottostante il ferro esiste solo allo stato- di composto organico. Vi ha infine un gruppo di piante, le radici delle quali, non solo vivono in un ambiente privo di ossigeno e fortemente riduttore, quale è 11 limo dei luoghi paludosi; ma sono assai poco fornite di sistema lacunoso atto ad assicurare loro gli scambi respiratorii; in tali condizioni l'accumulo di ferro si fa assai più intenso, e lo stato di combinazione che esso assume è perfettamente anorganico, quale è quello di tannato. Ciò noi vediamo non solo nelle radici di 7rapa e di Myriophyl- lum, piante le quali nelle nostre regioni sono, si può dire, quelle che si possono trovare nelle condizioni più sfavorevoli rispetto alla respirazione; ma anche in quei semi quiescenti e germinanti nel limo dei pantani, nei quali la penuria d’ossigeno è così grande, da mettere in pericolo la loro vitalità. Noi troviamo infatti il tannato di ferro nei tegumenti carpellari e seminali di Trapa, Nuphar, Nymphaea, Victoria, Euryale, al termine della quiescenza; e allorchè la germinazione si è iniziata e i tessuti assimilatori non hanno an- cora provvisto al regolare rifornimento di ossigeno, è il tannato di ferro che si accumula nell’epidermide del radicoforo, nei peli pri- marii delle radici, nelle papille degli organi così detti branchiali. Noi vediamo così che il tannato di ferro si forma nelle piante in tutte quelle condizioui, nelle quali il pericolo di asfissia è grave; ed è appena sufficiente che le condizioni di ambiente non siano così gravi e pericolose per le piante, perchè la precipitazione del tannato si riduca di molto o manchi affatto. Per la Trapa basta osservare le radici geotropicamente positive sviluppatesi natanti nell'acqua co- stantemente rinnovata, e quelle cresciute in terra da poco tempo sommersa sotto acqua e quindi non eccessivamente ridotta, nelle quali l'accumulo di ferro è assai scarso o mancante, e non presenta i caratteri dei tannati (1). Ho anche ricordato la differenza nella qualità e nella quantità dei composti di ferro che si osserva nel % Le (1) A proposito di ciò cfr. le esperienze riportate nella parte III. M, yriophyllum spicatum, sotitigoe condizioni di aerazione del mezzo, | nel quale sviluppano le radici. Oltre che nei tessuti epidermici, esistono dei composti di ferro labili anche in altri gruppi di elementi cellulari, ma ciò solamente negli organi più voluminosi e meglio differenziati; infatti, come si è visto più sopra, in parecchi casi anche i fasci vascolari e l'endo- derma contengono composti organici di ferro. Anzi, poichè la pre- senza del ferro, che io ho constatato nei fasci vascolari, riguarda spe- cialmente piante e organi, nei quali, per la piccolezza loro, non è possibile una più esatta differenziazione, dovendosi necessariamente fare ricerche sopra sezioni di spessore relativamente grande, è assai probabile che la sede precisa dei composti di ferro anorganici nei tes- sutì profondi, sia da ricercarsi sempre nell’endoderma o in generale negli elementi più esterni del cilindro centrale. Nei casi, come quelli delle radici di Nuphar e di Nymphaea, nei quali potei stabilire con sicurezza la localizzazione, la sede partico- lare dei composti di ferro è la parete cutinizzata delle cellule del- l’endoderma. È degna di nota la coincidenza della presenza del ferro nelle membrane cutinizzate dell'epidermide, in quelle pure cutinizzate dell’endoderma (Nuphar, Nymphaea) e infine negli elementi meta- cutinizzati degli apici radicali (Euryaleae). I composti anorganici di ferro ci appaiono così non come semplici sostanze morte poste qua e là nei tessuti in contatto con l’acqua più o meno carica di materiali ferruginosi, ma bensì come corpi intimamente legati a quegli ele- menti, siano superficiali che profondi, i quali costituiscono delle bar- riere ai fenomeni di diffusione tra tessuti e tessuti, e tra tessuti e l’ac- qua che li bagna all’esterno. Noi conosciamo già le proprietà di semipermeabilità o addirit- tura di impermeabilità che presentano le membrane cutinizzate siano esse delle cellule epidermiche (1) o di quelle dell’endoderma (2) o degli elementi più o meno profondi dei tegumenti seminali (3); e sappiamo pure come le membrane cutinizzate si oppongano ai feno- meni di diffusione dei liquidi e delle soluzioni, ma non, specialmente se umide, come nel caso delle piante acquatiche, alla diffusione e agli scambi osmotici dei gas. i (1) PeeereR W. — Pflanzenphysiologie. (2) HABERLANDT G. — Physioloyische Pflanzenanatomie III. Aufl. 1904 p. 825. Ivi è citata la letteratura dell'argomento. (3) GoLa G. — Ricerche sui rapporti tra i tegumenti seminali e le soluzioni saline (Annali di botanica, V. III, p. 59); Brown A. — Ann, ot Bot., XXI, p. 79. e I A NI nia cl al i da Î | Come gli accumuli superficiali di ferro, anche quelli profondi tro- vano luogo solamente in quegli organi, nei quali sono scarsi o man- canti i tessuti assimilatori, e questo fatto viene a mettere ancor più in evidenza lo stretto legame che corre nelle piante acquatiche tra la pre- senza del ferro e la possibilità di avere ossigeno in misura sufficiente. . Infatti dal minimo di composti di ferro, come si trovano nei tes- suti lacunosi bene aerati o in quelli assimilatori pur forniti abbon- dantemente di ossigeno, sì passa grado a grado ad accumuli sempre maggiori di ferro, quanto meno i diversi organi possono disporre di ossigeno libero per la respirazione. È vero che l’acqua è in grado di disciogliere ossigeno in quantità relativamente notevole (1), rispetto a quella contenuta nell’aria, ma anche la solubilità della CO, nell’acqua è notevole, onde se appena viene a diminuire l'ossigeno disciolto, la quantità di CO, può di- venire tossica per le piante. Se tale pericolo non si verifica mai per gli organismi viventi in acque continuamente rinnovate e aerate, come quelle nelle quali, sotto l'influenza della luce, migliaia di organismi verdi versano quo- tidianamente delle forti quantità di ossigeno, ciò non si può esclu- dere nel terreno sommerso sotto l’acqua. Eccettuati i corsi relati- vamente rapidi a fondo sabbioso, abitati appunto da /soetes Malin- vernianum, Callitriche, Ranunculus, Montia, Berula ecc., in tutte le raccolte acquee si ha, come costituente principale del fondo, un am- masso di particelle finissime argilloso-organiche, le quali oppongono un notevolissimo attrito ai movimenti dei liquidi, e possono perfino trattenere in rilevanti quantità i gas che vi sì producono; e ciò malgrado la minima densità delle bollicine gasose che pur dovrebbe portarle facilmente alla superficie dello specchio acqueo. Io non sono riuscito a trovare analisi quantitative dei gas con- tenuti in questi strati fangosi dal fondo delle raccolte acquee; è però nota a tutti la grande ricchezza di essi in idrogeno e metano e la penuria di ossigeno. In due saggi eseguiti sopra gas tratti dal limo del fondo delle vasche dell’Orto Botanico, ho trovato un con- tenuto in CO, del 5 °/, ed in O del 0,8 °/, in volume. È bene no- tare che il terreno del fondo delle vasche era stato rinnovato in gran parte da tre mesi, e quindi i fenomeni di riduzione non erano così avanzati, come nei terreni da lungo tempo sommersi e quasi torbificati. Del resto anche le analisi eseguite da parecchi autori sull’aria contenuta nel terreno vegetale non sommerso, nel quale perciò l’ae- (1) GorBEL K. — Loc. cit. razione, Matto ina sempre al disotto di 13 °/, e quella di CO, non è mai inferiore a 1%, (1). Le ricerche di Saussure (2) hanno dimostrato che gli organismi. vegetali non possono vivere senza sofferenza, quando la CO, conte- nuta nell'aria ambiente sale al disopra del 5-15 °/, e quella dell’O: si mantiene sotto il 0,1-3 °/,; non è quindi possibile immaginare una vitalità normale nelle parti sotterranee delle piante acquatiche, senza una serie di disposizioni che permettano gli scambii gasosi. indispensabili; a ciò certamente sopperisce, in parte, il sistema la- cunoso che è così sviluppato in molte piante acquatiche. Le ricerche di Devaux sulle piante acquatiche (3) hanno dimo- strato che nelle lacune degli organi forniti di tessuti assimilatori, i gas hanno una composizione assai prossima a quella dell’aria; è da no- tare che le piante da lui studiate (Elodea e Ceratophyllum), sono formate per la massima parte (quasi totalmente nei campioni che si impiegano di solito nelle esperienze, come quelle di Devaux) di tes- suti assimilatori. Ma negli organi meno provvisti di tessuti assimilatori, quantun- que con questi comunicanti, la composizione dei gas contenuti nelle lacune è assai differente, Così Dutrochet (4) ha trovato che mentre il gas estratto dai peduncoli delle foglie di Nuphar luteum contiene 18° di O, quello dei rizomi ne contiene 16 °/, e infine quello delle radici 8 °/,; sfortunatamente le analisi di Dutrochet non ci danno. le cifre riguardanti la quantità di CO,. Raffeneau-Delile (5) ha rilevato che il Nel/umbium speciosum con- tiene nei suoi peduncoli notevoli quantità di gas, la cui pressione aumenta notevolmente durante il periodo della assimilazione ; io ho. potuto constatare come questa pressione possa eguagliare talvolta quella di 4 em. d’acqua, durante le ore di maggiore illuminazione, (1) PrerrER W.— Pflanzenphysiologie BA. I, p.158; MANGIN L.— Etudes sur la végétation dans ses rapports avec l’aération du sol, (Ann. de la Soc. agronom, franc. et étrang.); BoussingauLTt et LEewy. — Mém. sur la composition de l’air: confiné dans la terre végétale. (Ann. de Chim, et de Phys., XXXVII, 1858), (2) Saussure 0, — Rec. Chim., 1804, p. 26. (8) Devaux H. — Du mécanisme des échanges gazeux chez les plantes aqua- tiques submergées. (Ann. Sc, nat., S. VII, T. 9, p. 35). (4) Durrocner H. — Mémoires pour servir à l’histoire anatomique et PIY- siologique des vigétaux. Paris, 1887, T. I, p. 340. (5) RAFFENEAU-DELILE. — Evidence du mode respiratoire des feuilles de Nelumbium. (Ann. Sc. nat., II série. vol. 16, 1841, p. 828), — Cfr. anche MerGET.. — Compt. Rend., 1878, T. LXXVII, p. 1469, T. LXXVIII, p. 845. è possibile, e dave i Par di qa duzione non sono molto intensi, mostrano che la quantità di O scende. È mentre è quasi eguale a quella dell’aria atmosferica nelle prime ore del mattino. Delle analisi quantitative che io ho eseguito sui gas usciti dalle superficie di sezione dei peduncoli delle foglie in due diversi mo- menti della giornata, mi hanno dato i risultati seguenti: Ore 7 ant. CO, 29 %.— 0 12,0 °/.. Ore 4 pom. CO, 1,7 °/, — 0, 19,3 °/» Come si rileva da queste cifre, la sospensione dell’attività as- similatrice è sufficiente a far diminuire in grado notevole la quan- tità di ossigeno presente nelle lucune del Nel/umbium, come Dutro- chet ha già dimostrato per il Nuphar. Se in piante, come nelle Ninfeacee, nelle quali il sistema lacu- noso è così sviluppato (e la mancanza di setti trasversali permette una rapida comunicazione tra i diversi organi), la sospensione della funzione assimilatrice è sufficiente ad avvicinare così rapidamente la composizione dei gas in esse contenuti al limite minimo, oltre il quale ha luogo la respirazione intramolecolare, è facile comprendere come siano più gravi queste condizioni nelle altre piante meno for- nite di spazii aeriferi, particolarmente nelle radici. Ad ovviare a tali condizioni sfavorevoli deve con tutta proba- bilità provvedere il ferro che esse contengono in così notevole copia; e la dimostrazione della attendibilità di tale ipotesi cercherò di darla nelle pagine che seguono. Anzitutto occorre distinguere due tipi differenti di composti che sì osservano negli accumuli di ferro anorganico nelle piante su- periori. Nell’ uno i composti di ferro hanno, al momento della loro prima formazione, l’elemento metallico così strettamente legato alla mole- cola organica da esser difficile il riconoscerlo cogli ordinari reattivi. e non è che coll’invecchiare del tessuto che li contiene e coll’aumen- tare della quantità di ferro, che tali composti vanno perdendo a poco a poco il loro carattere organico e diventano sempre più facilmente attaccabili dai reattivi ordinari; ciò sì può constatare facilmente esa- minando porzioni successivamente più adulte di radici o anche di assi caulinari (Ceratophyllum, Fontinalis). Si deve quindi ammettere che il ferro anorganico contenuto in talì tessuti subisce, quando è assorbito dalla pianta, una vera elabora- zione per parte del plasma vivente e il suo accumulo sotto forma anorganica va considerato come un prodotto deposto in un periodo | più avanzato della vita del tessuto; e il ferro anorganico ha quindi in questi tessuti una origine secondaria rispetto a quello organico. | ANNALI DI Boranica — Von, V. 32 alal LA 1 A L'Irst Il secondo tipo di composti di ferro anorganici vece una | origine primaria, o almeno la comparsa dei caratteri di composto anorganico è così precoce, da autorizzare una distinzione dai com- posti del tipo precedente. Infatti, fino dal primo momento, nel quale si formano nella pianta, essì assumono un carattere anorganico, senza mai in seguito mutarlo per nulla; si tratta specialmente dei composti formati dai tannini. Per i depositi di tal natura che hanno luogo nei tegumenti seminali, formati di cellule morte, non vi ha dubbio sulla assenza di qual- siasi elaborazione. E poichè le cellule epidermiche delle radici nere di Trapa, e quelle delle papille dei germogli delle Ninfeacee hanno una funzione transitoria ed una vitalità di così breve durata, è dif- ficile ammettere per essi una funzione di assorbimento, elaborazione ed escrezione dei composti di ferro. Del resto le nozioni forniteci dalla chimica ci danno il modo di spiegare le cause e lo scopo di queste deposizioni di tannato di ferro. Quando un sale ferrico precipita con un tannino, ha luogo anzitutto una parziale riduzione del sale metallico, e quindi la formazione del tannato; all'incontro un sale ferroso combinandosi con tannino dà un precipitato scolorato, il quale all'aria si ossida per formare il tannato stabile nero, bluastro o verdastro che tutti conosciamo (1). Ora nelle acque abitate dalle piante palustri e negli strati su- perficiali del limo, esistono in quantità del composti ferrici prove- nienti dall’attività delle miriadi dei cosidetti Zisenbacterien, i quali funzionano da trasportatori di ossigeno dagli strati superficiali del- l’acqua alle sostanze organiche esistenti nel fondo; così che se in tale ambiente viene a mancare l’ossigeno libero, non manca tuttavia la presenza di un tale elemento, quando gli organismi abbiano i mezzi necessari per approfittarne. Così colla combinazione dell’ossido ferrico esistente nel limo del fondo col tannino delle radici, le piante utilizzano l’azione ossidante di quel po’ di ossigeno che si mette in libertà durante tale reazione. Le piante caratterizzate dagli accumuli di tannato di ferro hanno appunto il mezzo di utilizzare l’ ossigeno dell’ossido ferrico, onde impedire una assoluta asfissia; del resto questo modo di provvedersi l'ossigeno è utilizzato dalle piante superiori solo nei momenti di maggior bisogno, quali sono quelli della quiescenza, dell’ inizio della germinazione e quando le radici non possono altrimenti procurarsi ossigeno. Infatti basta che le piante di Trapa o di Myriophylum (1) Roscoe H. E. u. ScnorLEMMER C. — Ausfiirliches Lehrbuch der Chemie, Bd. IV 1887, p. 657. o ta vengano poste a crescere in ambiente più aerato, che non quello nel quale si trovano di solito, perchè l'accumulo di ferro sì faccia ‘assai minore e le radici presentino, per ciò che riguarda i composti ferruginosi, gli stessi fatti che si osservano nelle comuni piante pa- lustri. Studiata così la funzione di quel gruppo di composti di ferro coi tannini che si trovano in un numero relativamente piccolo di piante palustri, e sono per dir così di funzione transitoria ed ecce- zionale, conviene tornare sullo studio di quelli del primo tipo, che hanno una diffusione più generale e costante. Nel ricercare la presenza e la localizzazione di tali composti, ho assai spesso avuto cura di accertarmi se essi si trovassero sotto forma di ossido o di ossidulo; ed ho sempre potuto constatare la ‘esistenza contemporanea di composti capaci di reagire col ferro e col ferricianuro potassico. Questa presenza contemporanea delle due serie di composti fer- rosi e ferrici è indice evidente che tale elemento si trova in quei tessuti, non sotto forma di combinazione stabile rispetto all’ossigeno, ma in una continua oscillazione tra i composti di ossido e di os- sidulo. Noi sappiamo (Bunge) (1) che il ferro è in natura un inesauri- bile veicolo dell'O; tutte le ossidazioni che si compiono nel terreno hanno luogo mediante l’azione di composti di ferro. Persino l’os- sidazione dell’ammoniaca in nitrati, che in questi ultimi tempi si riteneva causata per la massima parte dall’attività di microrganismi, è ora dimostrato essere in stretto rapporto colla riduzione dell’ossido di ferro (2). L’ossidulo di ferro, dal quale per l’azione di sostanze organiche attivamente riducenti, si è staccato un atomo di O, si combina fa- cilmente coll’anidride carbonica, e il carbonato ferroso disciolto ed asportato dall’acqua, appena venga in contatto di un eccesso di O si trasforma in idrato ferrico assorbendo O e mettendo in libertà CO,. È così che anche come corpo morto e non legato a qualsiasi molecola organica, il ferro compie la funzione di addurre ossigeno alle sostanze organiche, e di esportarne la CO, prodotta dalla ossida- zione stessa. (1) Bunge G. — Op. cit. (2) SESTINI F. — Sulla formazione di acido nitroso nell'aria confinata nel ter- reno agrario e sulla nitrificazione per processo chimico nel suolo. (Atti Acc. dei ‘Georgofili di Firenze, 1893). < d questa. una Ragione ar tras rapida, più intensa, e più prin il ferro compie nel pigmento emoglobinico del sangue. Nello stesso modo che il pigmento respiratorio del sangue compie la sua funzione di assorbimento di O e di eliminazione di CO, te- nendosi sempre in stretto rapporto colla superficie dell’ organismo (è un fatto assolutamente secondario, il movimento passivo subito dallo stroma sanguigno per mantenersi in rapporto colla superficie), così anche il ferro nelle piante palustri ha sempre una localizza- zione prevalentemente superficiale e manca quasi nei tessuti profondi quali il parenchimatico e il midollare. Accanto agli accumuli di ferro, dei quali ho potuto stabilire la localizzazione, si trova quasi sempre, come si è visto, una sostanza avente i caratteri delle perossidasi, caratteri che pure si riscontrano nell’emoglobina del sangue. A tutti è nota infatti la classica rea- zione dell'emoglobina del sangue coll’acqua ossigenata e la tintura di guaiaco. Anche in quei tessuti nei quali esiste in abbondanza il tannato di ferro, al quale, come io credo, si deve attribuire la funzione di addurre ossigeno, sì trovano sempre, all’interno degli organi ferro- tanniferi, degli elementi ben provvisti di perossidasi, e aventi ve- rosimilmente l’ufficio di servire da conduttori dell'O. Si può osservare che le perosidasi sono enzimi respiratorii che agi- scono solo in presenza di perossidi, mentre dell’ossigeno che si trova nell'acqua, nella quale vivono le piante, solo una parte estrema- mente piccola è legata a formare perossidi; e inoltre tanto meno se ne possono trovare in quelle parti, pur provviste di perossidasi, che sono affondate negli strati attivamente riduttori del limo. Ma anche l’emoglobina funziona quando è in contatto solamente con ossigeno molecolare e finora non sì è dimostrata la attivazione di tale elemento prima di entrare a far parte della molecola ossiemo- globinica (1); attivazione che forse ha luogo nella molecola stessa per la presenza del ferro. (1) Finora non mi consta che siano state trovate perossidasi contenenti sali di ferro, o comunque in rapporto così stretto con tale elemento da far pen- sare ad una funzione specifica di esso nel modo di agire di tali enzimi; sono state invece isolate ossidasi ferrifere (Sarthou) e manganesifere (Bertrand, Per quanto riguarda la natura di tali enzimi dei quali non possediamo ancora uno studio sistematico, cfr. OZAPEK YI. Biochemie der Pflanzen, BA, II, p. 471 e segg.; cfr. anche i numerosi lavori di Cuopar e della sua scuola: (Arch. des sciences physiques et naturelles XVII, Ber. d. deut. chem. Gesell. XX.XV-XXXVI; Nru- uAUSS F. Contribution à l'étude des ferments orydants. Genève, 1905. RENE A bag VOR LR pel AE i Rien: Tutte queste considerazioni che son venuto finora esponendo, mi portano, come si vede, ad ammettere che la funzione di una parte almeno del ferro contenuto nelle piante palustri sia da considerarsi come respiratoria, e che essa ricorda per la sua analogia quella eser- citata da altri composti pigmentati di ferro nel regno animale. Si tratterebbe non di una funzione di ossidazione intracellulare, (fenomeno che per la sua complicazione e delicatezza sfugge forse ad una analisi accurata, e che è probabilmente compiuto da quella porzione di ferro assolutamente organico che esiste in tutte le cellule viventi o forse anche da una parte di manganese), ma semplicemente della assunzione e del trasporto dell’O ai tessuti viventi. Tale ipotesi renderebbe ragione di alcuni fatti, che altrimenti non sarebbero facilmente spiegabili e che cercherò ora di ricordare. @) Il rapporto inverso tra la presenza del ferro e la possibilità di rifornimento dei tessuti con ossigeno gasoso. — Tutto lo studio della morfologia delle piante acquatiche ci insegna che, quantunque l’os- sigeno esista disciolto nell'acqua secondo una percentuale assai spesso maggiore di quella che si verifica nell’aria, tuttavia esse si trovano in condizioni sfavorevoli e, appena è loro possibile, si sforzano di dar luogo allo sviluppo di organi assolutamenta aerei e perfetta- mente adatti, per ciò che riguarda gli scambi gassosi, alla vita aerea; ciò fanno anche se la vita aerea comporta una diminuzione della quantità di CO, a disposizione, la quale pure, come indicano le ri- cerche di Montemartini (1), potrebbe favorire una più intensa e ra- pida attività assimilatrice. Infatti in nessun organismo vegetale, come nelle piante acquatiche, è così frequente il dimorfismo degli organi vegetativi, il quale si esplica sempre nello sviluppo transitorio di organi sommersi, ai quali fanno seguito, appena sia possibile, gli organi emersi; e allorchè questi hanno iniziato la loro funzione, cessa quasi completamente quella della parte sommersa, restando limitata a questa l'assorbimento. Tutti gli organi che si sono formati per la vita aerea della pianta diminuiscono notevolmente il loro contenuto in ferro rispetto a quello degli altri organi omologhi a stazione acquatica e particolar- mente cessa la localizzazione prevalente di tale elemento in tessuti determinati. Lo stesso fatto si verifica, come ho già avuto occasione di ri- levare più volte, in tutti quei casi nei quali la vita acquatica si (1) MoNnTEMARTINI L. — Sull’influenza d’atmosfere ricche di biossido di car- bonio sopra lo sviluppo e la struttura delle foglie. Atti Ist. Bot. di Pavia, 1894, Vol. III, p. 83. {or eiet ri LA et ili Ned: svolge in un ambiente sufficientemente aerato, e tale che. 4.1 ù

... 0,037 Cicer ametimume 5 SO Zeanblagngto", ©. ..°-.0 0,011 Polygonum Fagopyrum. . 0,023 Oryza sativa (2) . . . 0,081 Linum usitatissimum . . 0,041 Panicum italicum. . . 0,018 Brassica Napus . . . . 0,019 been zi 0016 Papaver somnifrum. . . 0,025 Phaseolus vulgaris. . . 0,010 Olea europaea (3) . . . 0,0023 Pisum sativum. . . . 0,023 Quercus pedunculata . . 0,025 Ervum Lens. <.<... 0,041 Castanea vesca (3). . . . 0,0033 Lupinus luteus. . . . 0,032 Aesculus Hippocastunum (3) traccie — angustifolius . . . 0,019 Trapa natans(A[Meeran 0,011 La Trapa natans, quantunque rispetto agli altri semi presenti un contenuto abbastanza piccolo di ossido di ferro, tuttavia supera. (1) Konie J. — Chemie der Menschlichen Nahrungs-und Genussmittel, IV Aufl., 1902, Bd., I-II. (2) Ancora ricoperti dalle glumette. (3) Sbucciati. (4) Nella memoria di SoAvE M. già citata il contenuto in Fe, O, */, della. sostanza secca è di 0,21; come si vede la differenza è assai rilevante; occorre rilevare che l’analisi fu eseguita in semi dopo lo svernamento e, come dimo- strano le mie ricerche microchimiche sopra riferite, in tale epoca si trova molto ferro nei sottili tegumenti proprii del seme molto difficili a allontanare com- pletamente dal tessuto di riserva, precauzione del resto, che non aveva impor- tanza per lo scopo propostosi dall’Autore. È certo a questo fatto che si deve attribuire la differenza dei risultati. ANNALI DI BoTANICA — Vot. V. 33 è I Ji — i È n pi / Fo di © . n ì) vi 4 7 PISTAC ORA Ù de quello dell’Aesculus e della Castanea, i semi che si avvicinano di più ad essa per ricchezza di amido, e per mole dei tessuti di ri- serva; è inoltre da notare il fatto che i campioni d’analisi di molti semi a contenuto relativamente alto in ossido di ferro furono for- mati con granelli ricoperti dai loro tegumenti propri e anche da quelli 4 Mi carpellari, mentre nella 7rapa, Castanea, ecc. i semi furono analizzati : dopo privati di tutti i loro tegumenti. D Non è quindi da presumere che il ferro, che l'embrione germi- i nante assorbe in tanta copia dall'acqua nella quale si trova, possa A servire, oltre che alla formazione del tannato, anche ad esercitare la A nota funzione di presenza nella formazione della clorofilla. ‘ Esclusa così la funzione del ferro come agente fabbricatore 3 del pigmento verde, come si spiega la sua presenza necessaria in tale periodo? Io credo sia abbastanza fondata la seguente , ipotesi. i L'influenza dell’alcool ostacola la formazione della clorofilla, e | la mancanza di questa non permette a sua volta un afflusso suffi- ciente di ossigeno destinato a impedire la formazione di nuovo alcool. Si ha quindi un vero circolo vizioso, entro il quale si aggira lo svi- luppo della pianta. Il tannato di ferro che si precipita ha proba- bilmente lo scopo di produrre nelle cellule superficiali una ossida- zione tale, da permettere la formazione della clorofilla, capace poi | a sua volta di produrre una ossidazione più intensa e più estesa e | dar luogo così alla formazione di altra clorofilla, e all’ulteriore svi- | luppo del germoglio. Una prova dell’attendibilità di questa ipotesi la si ha nel fatto | che, quantunque ferro (1) e illuminazione siano entrambi indispen- sabili per la formazione della clorofilla, tuttavia entro certi limiti la forte illuminazione permette l’inverdimento della pianta, anche i se il contenuto in ferro dell’acqua ambiente sia assai piccolo, e vice- versa un notevole contenuto in ferro supplisce alla deficienza di illuminazione. Io ho fatto germinare parecchie decine di semi in una vasca di vetro avente il fondo ricoperto di limo, e collocata a lato di altre | piante in germinazione in una serra illuminata solo da luce diffusa; ' gli altri semi germinarono e inverdirono come di norma, mentre nelle pianticine di rapa non si verificò che un debole inverdimento, lo sviluppo fu quello di piantine eziolate e l’alcool si trovò in quan- tità nei germogli, anche nelle ore diurne. (1) S'intende il ferro che perviene dall'esterno e di cui almeno una parte è visibile sotto forma di tannato. Dei saggi praticati ripetutamente nell’acqua ambiente, mi accer- tarono trovarsi sempre disciolto dell’ossido di ferro in quantità sen- sibile, del resto la colorazione violacea e il saggio microchimico sul ra- dicoforo mi convinsero che l’assorbimento del ferro aveva avuto luogo. In alcune culture eseguite durante l'inverno, tenendo le piante ad una temperatura relativamente bassa (18° C.), io potei consta- tare l’azione favorevole dell’aggiunta di sali di ferro e di manga- nese in modo ancora più spiccato che allorchè la temperatura era più alta; e riuscii così a constatare lo stretto legame che esiste tra ferro, illuminazione e temperatura, nel determinare le condizioni atte a far superare alla pianta le difficoltà opposte dalla intossica- zione alcoolica. È chiaro che, durante questo periodo di sviluppo, è necessaria una energica azione ossidante nelle cellule impregnate dall'alcool, e forse anche dagli altri prodotti tossici elaborati durante la quie- scenza del seme; a questa funzione ossidante la clorofilla può sop- perire allorchè le condizioni di luce e di temperatura assicurano al plastidio verde una intensa funzionalità. Quando la Trapa si trova in condizioni di non dover soffrire asfissia, non è necessaria nè la presenza del ferro in quantità rile- vante, nè l’intensa illuminazione, nè la temperatura elevata; in tal caso pure non si osserva, prima dell’inverdimento, la colorazione vio- lacea delle cellule epidermiche. Da alcuni anni io faccio svernare dei frutti di Yrapa in una vasca di legno avente il fondo ben pulito, e ripiena di acqua pota- bile continuamente rinnovata, onde in nessun modo è possibile che sì determinino delle condizioni di vita anaerobica. La germinazione dei semi ha luogo come normalmente, e, quan- tunque la scarsa illuminazione del fondo e la temperatura piuttosto bassa dell’acqua (14°22°) costituiscano delle condizioni sfavorevoli allo sviluppo, tuttavia questo ha luogo lentamente, ma con rego- larità, nè si osserva alcun indizio di eziolamento rei primi stadii. La colorazione della parte assile non è mai bianca nè violacea, ma rosso bruna come tutte le parti adulte non verdi delle piante normali. È evidente che la mancanza d’asfissia durante la quiescenza e la conseguente assenza dell'alcool, permettono alla pianta di svilup- parsi nelle condizioni che sono normali per la generalità delle piante verdi, e quindi di poter evitare la necessità di un notevole afflusso di ferro, di una illuminazione intensa e di una temperatura elevata. È degno di nota il fatto che nelle piantine provenienti da semi che hanno svernato in queste condizioni, la gemmula ha uno svi- ; cine dd - : ° chali si 10, < luppo molto precoce rispetto a quello dell’asse radicoforo, e special- mente delle radichette verdi geotropicamente negative; tale diffe- renza di sviluppo si va rapidamente accentuando, e in breve la porzione assimilatrice del radicoforo sì arresta nello sviluppo, pre- sentandosi così sempre più piccola e meno fornita di radichette verdi. Si ha qui una prova convincente che è l’intossicazione prodotta dalla vita anaerobica la causa che ritarda lo svolgimento della gem- mula, e che la funzione della porzione assimilatrice del radicoforo è appunto quella di rendere possibile lo sviluppo della gemmula stessa. La formazione delle radici secondarie e lo sviluppo della gem- mula hanno luogo solo dopo che è avvenuto l’inverdimento della porzione assile precedentemente sviluppatasi; allora si iniziano i fenomeni di attività formativa, e specialmente i processi cariocine- tici. Mentre prima questi erano nulli negli apici caulinari e lungo il cilindro centrale del radicoforo, essì sì svolgono ora con notevole frequenza, e si vanno rapidamente formando le bozze iniziali delle radichette secondarie, e sviluppando le gemmule. Come è noto, le prime otto o dieci radichette che si svolgono sulla parte inferiore del radicoforo, sono dotate di geotropismo posi- tivo e si affondano ben presto nel limo. Questi organi si trovano ben presto in difficili condizioni per ciò che ha riguardo alla respirazione, tanto più che i loro tessuti sono quasi privi di lacune aerifere. A differenza però di quanto avviene nel massimo numero delle piante, e nei tessuti meristematici della gemmula e del radicoforo della 7rapa stessa, gli apici vegetativi di queste radici possono, anche sotto queste condizioni, continuare le loro segmentazioni ca- riocinetiche. Se non che anche queste cellule, malgrado l'adattamento al mezzo poverissimo di ossigeno, non possono sottrarsi alle leggi ge- nerali che regolano la funzionalità del protoplasma vivente, e accanto a figure cariocinetiche perfettamente normali, si trovano qua e là figure di mitosi atipica, sulle quali ritornerò più innanzi. Inoltre la funzionalità dei meristemi di queste radici è assai limitata, e sembra che tutta l’attività di essi si concentri nell’apice, perchè non ha luogo mai la formazione di alcuna radichetta la- terale; le radici si allungano indefinitamente, conservando sempre lo stesso diametro per 25-85 cm., le cellule epidermiche si impre- gnano di tannato di ferro a partire da 1-2 cm. all’indietro dell’apice, e l'epidermide così impregnata costituisce, intorno alla porzione as- sile, una specie di astuccio capace di impedire ogni funzionalità as- sorbente. , DE cà pr vo - ata EA LT Non è da credere che la incapacità di queste radici ad una atti- vità meristematica più intensa, sia da ascrivere a proprietà carat- teristiche tramandate ereditariamente, ma si tratta di proprietà acquisite sotto l'influenza delle condizioni sfavorevoli, nelle quali queste radici si trovano. I fatti che riferirò varranno a dimostrarlo. Coltivai numerosi individui di 7rapa in un acquario di vetro ‘avente il fondo ricoperto di uno spesso strato di sabbia grossolana, ‘e ripieno di acqua frequentemente rinnovata e bene aerata. Le radici svoltesi dalla porzione inferiore dell’asse radicoforo si affondarono nella sabbia e presero uno sviluppo grandissimo; di esse la porzione fuori della sabbia o affondata nei primi strati di questa prese un colore rosso bruno, e l’analisi chimica non rivelò la pre- senza di tannato di ferro. Invece la porzione situata più profondamente assunse un colore leggermente nero-violaceo all’esterno, e l’analisi dimostrò la presenza di tannato di ferro in piccola quantità. Per tutta la lunghezza delle radici, sì notavano qua e là delle ramificazioni ben sviluppate, e piu ancora dei minutissimi addensa- menti di tessuto lungo i fasci vascolari, che all'esame microscopico sì dimostrarono non esser altro che punti meristematici per la for- mazione di nuove radici. Per un guasto sopravvenuto all’acquario, non fu possibile continuare l’esperienza fino al termine dello svi- luppo della pianta, e quindi di accertare se tutti 1 punti meristema- ‘tici si sarebbero sviluppati in radici. Nelle piantine provenienti da semi che avevano svernato in acqua aerata tenuta in vasche di legno ben pulite, le radici geo- tropicamente positive sì presentavano sempre colorate in rosso bruno, ‘e con numerose ramificazioni e ancora più numerosi punti meriste- matici, inizii di meristemi apicali di nuove radici. Altre piante, che avevano iniziato il loro sviluppo nel lago di ‘Candia, vennero trasportate a Torino e trapiantate; in parte fissan- dole colle radici inferiori al fondo delle vasche, in parte lasciandole libere, galleggianti alla superficie dell’acqua. In queste ultime potei ‘constatare l'assenza dei sintomi caratteristici dell’asfissia; mancanza «del colore nero, per precipitazione di tannato di ferro, nella porzione «di radici svoltasi durante la permanenza nella vasca; sviluppo di radichette laterali e formazione di altri numerosi punti meriste- matici per nuove radichette. È facile immaginare come piante vi- venti così galleggianti, senza alcun attacco al fondo, si sviluppassero in modo molto irregolare; e anche in questo caso quindi non fu pos- sibile seguirle in tutto il loro completo sviluppo, fino alla fruttifi- Poni ‘ ue gr —è sviluppo delle radici della Trapa, e che questo sì può riassumere in un ostacolo al compiersi dei fenomeni cariocinetici, appunto come è caratteristico dei veleni alcoolici. Un organo speciale a funzione transitoria durante la germina- LI zione dei semi, è stato osservato anche in molte specie delle Nin- feoidee, ma, a differenza di quello della 7rapa, esso funziona con modalità affatto particolari. L'esistenza di tale organo è in parte conosciuta da tempo, ma la interpretazione del suo scopo funzionale non è ancora bene ac- certata. Il Trecul (1) studiando l’anatomia della Victoria regia descrisse nel seme germinante un corpo particolare situato presso l’inserzione dei due cotiledoni, ramificato, irto di papille; tale corpo è il primo a uscire dal tegumento seminale all’inizio della germinazione, ed egli gli attribuì la funzione di sostituire quella della radice, non ancor svi- luppata nell’assorbimento delle materie minerali disciolte. Più recentemente Goebel (2) descrivendo la germinazione di pa- recchi semi di piante acquatiche, accennò di nuovo all’esistenza di tale organo nella Victoria regia e nell’Euryale ferox attribuendogli il nome di organo branchiale. Il nome non potrebbe essere più appro- priato tenendo conto della funzione alla quale Goebel ritiene debba servire. Infatti egli, considerando la grande superficie da esso presen- tata, la sua struttura lacunosa, la sua esistenza effimera, opinò trattarsi di un organo destinato alla respirazione dell'embrione. Haberlandt (3) riportando l'opinione di Goebel, quantunque non la ritenga dimostrata, dichiarò tuttavia di attribuirle molta probabi- lità di essere nel vero. L'ipotesi di Goebel acquista una attendibilità assai maggiore se si tien conto della localizzazione del ferro e di quella delle ossidasi e perossidasi nei semi germinanti delle due Eurialee in discorso. Un seme quiescente di Euryale o di Victoria che si trova da un certo tempo nell'acqua, e nel quale la germinazione non sia an- cora iniziata, ma assai prossima, contiene tracce di ferro e di peros- sidasi sulla superficie esterna dell'embrione, ma si mostra ancor più (1) TRECUL A. — Etudes anatomiques et organogéniques sur la Victoria regia et anatomie comparée du Nelumbium, du Nuphar et de la Victoria. (Ann, Sc. Nat. Bot. (S' 4me T. I.). (2) GorBeL K. — Op. cit. p 208. (3) HagerLANDT G, — Physiologische Pftanzenanatomie, III Aufl. 1904, p. 425. revoli ch ambiente quelle che determinano il dc ct di si ricco di ossige molti apici caulinari. Iniziata la germinazione, se si esamina l’organo branchiale dopo pochi giorni di sviluppo, si osserva spesso che alcune cellule super- ficiali, particolarmente quelle situate alla base della papilla sono impregnate di una sostanza bruno nerastra, facilmente riconoscibile per un tannato di ferro. Una reazione microchimica, oltre che con- fermare l’esistenza di tale composto di ferro. anorganico, mostra l’esistenza di ferro in tutto l’organo, sotto una forma di combina- zione più stabile; si può inoltre constatare l’esistenza di perossidasi con una distribuzione identica a quella del ferro. Quando comincia a svilupparsi la gemmula, e dall’ascella delle prime foglioline si svolgono una o due radichette avventizie, l’or- gano branchiale si trova ancora in perfette condizioni; in questo periodo le radichette mostrano di contenere perossidasi solo lungo i fasci vascolari e presso l’apice, ma in quantità minima rispetto a quella contenuta nell’altro organo; inoltre il ferro si trova in assai piccola quantità, oltre che all'apice della pileoriza, anche nelle cel- lule epidermiche situate alla base della radichetta, evidentemente impregnante le cellule morte o morenti che si andranno sfoliando dalla superficie della. radichetta. Lo stesso fatto si osserva nella radichetta principale (che però presto si arresta nello sviluppo), che si sviluppa nel genere Victoria e che è circondata, come da un cingolo, dalla porzione basale del- l’organo branchiale. Se quindi si volesse ammettere nelle radichette e nell’organo branchiale una comune funzione assorbente delle sostanze saline, la differenza di comportamento dei due membri rispetto ai reattivi del ferro e della perossidasi, costituisce una prova per dimostrare che il modo di funzionare dei due organi è diverso; poichè l’uno si arricchisce notevolmente di ferro, mentre ciò non avviene nelle altre. Tra i dne organi inoltre si osserva una differente ricchezza nel contenuto in fermenti respiratori, differenza anche questa difficile a spiegarsi se non ammettendo nei due organi due funzioni diverse. Anche i dati anatomici concorrono a far ritenere inesatta l'ipotesi di Trecul; infatti l'apparecchio branchiale, che pure ha un certo volume, è assolutamente privo di innervazione vascolare, ciò che è per lo meno insolito negli organi destinati ad una funzione assorbente. Le specie fornite di questo organo, sulle quali ho potuto fare le mie osservazioni, sono l’Euryale ferox, Victoria regia, Victoria Cruziana. Ma anche in altre specie di Ninfeoidee si osservano, quantunqu meno ben distintamente, degli organi analoghi. Già Trecul aveva notato l’affinità di struttura tra l'organo par- ticolare della Euryale e della Victoria ed un colletto, come egli di- ceva, che si trova nel germoglio del Nuphar luteum alla base dei cotiledoni, ricco di papille aventi analogia coi peli radicali della stessa pianta (1). Io non ho potuto studiare bene questa analogia, perchè i peli ra- dicali nel Nuphar fanno una apparizione molto fugace, ed io su piante giovanissime o troppo adulte non ne ho trovati. Le papille sono corte, tozze, clavate, colle membrane impregnate di tannato di ferro; all’interno esse, e tutto il cercine ingrossato che costituisce la loro base, sono ricche di ferro e di perossidasi, analogamente a quanto si osserva nella Euryale e nella Victoria. Colpito da queste analogie morfologiche e istochimiche, volli ricercare se anche nelle specie del gen. Nymphaea si potesse tro- vare qualche disposizione analoga; anche in queste alla base dei cotiledoni si osserva un ciuffo di peli disposti in circolo attorno all’asse radicale. Tali peli sono conosciuti col nome di peli radicali primarii. Esaminando accuratamente delle giovani radici di Nymphaea, (N. alba, N. zanzibarensis, N. thermalis, N. stellata), si osserva -facil- mente che questi peli sono disposti in circolo attorno alle radici; poi per un lungo tratto la radice permane nuda, e sì riveste poi di nuovo di peli disposti senza regola, come sì osserva in genere in tutti i peli radicali; questi sono assai più lunghi, più sottili, più sinuosi di quelli primarzi, che sono larghi, rigidi e corti (2). Anche i caratteri chimici valgono a distinguerli nettamente fra loro; i primarii sono ricchi di ferro e di perossidasi, come anche la base sulla quale sono impiantati; gli altri, come del resto si os- serva in genere nei peli radicali, ne sono privi. In questi ultimi occorre aver molta cura nel determinare la localizzazione, poichè spesso ad un esame superficiale questi appaiono colorati in bleu col ferrocianuro; ma ciò dipende dalla presenza di minutissime particelle di limo rimaste aderenti ai peli stessi. Rimane così stabilita la presenza in tutti i semi germinanti di Ninfeoidee di un organo più o meno profondamente differenziato, (1) TRECUL A. — Structure et developpement du Nuphar lutea. Ann. sc. nat. Bot. Ser. 5, T. IV, 1845. (2) Caspary B. — Nymphaeacacee (In Engleru. Prantl, Die natiirlichen Pflanzenfamilien III T. Abt. 2 p. 2). ‘in relazione al SONE del seme, provvisto di fermenti respiratori, ‘e anche di lacune, quando la & ferenzianione dell'organo renda ciò possibile. Questo organo ha sempre una funzione transitoria. La struttura dei tegumenti seminali, la scarsa capacità che essl hanno ad arricchirsi di tannato di ferro, il forte contenuto in grasso nell’embrione, sono tutte condizioni sfavorevoli alla vitalità del ger- moglio; nè si potrebbe spiegare come in condizioni di ambiente tanto simili a quelle della Zrapa esso possa fare a meno di disposizioni speciali atte ad assicurare l’ossigeno necessario alla respirazione. Gli organi situati alla base dei cotiledoni, ricchi di ferro e di perossi- dasi, sarebbero appunto destinati a questa funzione, e per essi è giu- stificato pienamente il nome assegnato da Goebel di « Kiemen- biischel ». Una dimostrazione diretta della loro funzione è forse pressochè impossibile: io ho tentato di asportare da Euryale e da Victoria germinanti le quattro ramificazioni, ma ne ottenni per risultato la morte del germoglio, senza aver potuto escludere che la causa sia «da attribuirsi all’azione di microrganismi, così attivi nel limo palustre, sopra delle ferite aperte così presso alla gemmula. Credo tuttavia che i fatti e le considerazioni riferite varranno ad accrescere la pro- babilità dell'ipotesi di Goebel. Parte IV. — Influenza dell’asfissia sui nuclei cellulari della < Trapa natans ». Le condizioni di vita che influiscono sulla funzionalità del pro- toplasma si riflettono sempre, come è noto, sui nuclei contenuti rel protoplasma stesso; è quindi interessante vale quali effetti eser- ‘citino sui nuclei nni nei tessuti giovani, quel complesso di condizioni sfavorevoli e di adattamenti particolari che si osservano sulle piante che sono andato studiando. Ho già riferito i pochi fatti che sono riuscito a rilevare sui nuclei degli elementi del cotiledone amilifero, durante la germina- zione del seme di Trapa. Ho pure accennato al fatto che durante il periodo nel quale l’asse radicoforo non ha ancora iniziato il suo funzionamento, vale a dire quando la pianta è ancora eziolata, la gemmula non si sviluppa o quasi. È raro trovare in essa qualche figura cariocinetica, e queste si possono annoverare al massimo ad una dozzina per tutta l’intera gemmula. L’assenza di sviluppo è, come già dissi, da attribuirsi all’azione dell’alcool e alla mancanza di una quantità sufficiente di ossigeno atta di impedire questa azione tossica. 4 L'influenza che la mancanza di gono esercita sulla n zione dei nuclei, è già stata riconosciuta da tempo, e sì è Milo che essa sì esplica nell’impedimento della funzione cariocinetica e che i diversi nuclei possono per un certo periodo di tempo variabile a seconda dei tessuti, al quali appartengono, sopportare la mancanza dell'ossigeno stesso. Quanto all’azione dell’alcool, essa, per quanto so, non è stata fi- nora studiata; furono invece oggetto di studio, molto accurato, spe- ‘ cialmente in questi ultimi anni, l’azione di altri farmaci del gruppo dell’alcool, quali l’idrato di cloralio, l’etere, il cloroformio. Tuttavia le ricerche su questi farmaci riguardano l’azione momen- tanea della sostanza posta ad agire su tessuti aventi 1 nuclei in attivo movimento cariocinetico; onde se la sostanza anestetica è in pic- cola dose, l’azione di essa si limita a produrre dei profondissimi tur- bamenti nelle mitosi già iniziate, se in dose più forte le interrompe, e infine se la sostanza tossica viene rapidamente eliminata, per esempio mediante una lavatura prolungata degli organi avvelenati, le cariocinesi interrotte riprendono il loro corso, e, quantunque con molta irregolarità, giungono a termine (1). L’azione prolungata di sostanze anestetiche sui tessuti meristematici, porta ad un arresto completo di ogni fenomeno di divisione nucleare. L'azione della mancanza di ossigeno e quella dell’alcool che con- seguentemente ad essa si forma, è stata studiata, come già dissi, sul nuclei di aleuni organi parenchimatici, frutti, tuberi, radici carnose ; in questi organi, come è naturale i nuclei hanno già perduta, o molto affievolita, la capacità di moltiplicarsi e quindi l’effetto dell’intos- sicazione è meno apparente, per la impossibilità di studiare i nuclei nella loro più importante funzione (2). Nel caso degli apici vegetativi della Trapa nel periodo della ger- minazione, la questione è alquanto differente; sì tratta di una intos- sicazione provocata da due cause: penuria, non assenza completa di ossigeno, e presenza di alcool. È da osservare inoltre che tanto la penuria dell’ossigeno, quanto l’afflusso di alcool sopravvengono ad agire sui meristemi non istantaneamente, ma con una intensità gra- datamente maggiore, e che l’alcool è tra i più deboli anestetici che (1) NATHANSON A. — Physiologischen Untersuchungen iber amitotische Ke- ratheilung. (Iahrb. f. wiss. Bot. Bd. XXXV, 1900); v. WasiLiewski W. Theore- tische und experimentelle Beitriige zur Kenntniss der Amitose. (Iahrb. f. wiss. Bot. Bd. XXXVII 1902); Nkmrc B. — Uber die Finmwirkung des Chloralhydrats auf die Kern und Zelltheilung. Iahrb. f. wiss. Bot. XXXIX 1902. (2) Mamrucnor L. et MoLLiARD M. — Op. cit. ° “ possano. agire sopra. un organismo vivente; quindi l'intonazione può farsi non di colpo, ma gradualmente, in modo da permettere una assuefazione, per dir così, dei tessuti all’azione tossica. Nel caso della Trapa, che vado studiando, non è possibile valu- tare così esattamente i rapporti tra causa ed effetto come nelle ri- cerche sperimentali già ricordate: così non è possibile determinare la quantità di alcool che agisce sopra i nuclei; determinare la coin- cidenza tra l'aumento e la diminuzione della quantità di alcool, e le modificazioni morfologiche che è dato constatare nel nucleo. Tut- tavia un confronto tra questi risultati e quelli ottenuti sperimen- talmente potranno servire a spiegare le condizioni di vita, nelle quali si trovano i nuclei durante il periodo di eziolamento. Lo studio della funzionalità del nucleo în cariocinesi durante l’asfissia è stato appena iniziato recentissimamente colle ricerche di O. Nabokich (1) sulle cariocinesi che hanno luogo negli apici vege- tativi sottoposti ad asfissia; l’autrice ha potuto constatare come la cariocinesi continui nell’IMelianthus annuus anche per un certo tempo dopo iniziata l’anaerobiosi, mentre essa cessa rapidamente nel Pisum sativum e più ancora nel Phaseolus; d’onde naturalissima l’ipotesi che sulla funzionalità del nucleo influiscano direttamente, più che la mancanza di ossigeno, le sostanze tossiche elaborate dalle cellule asfittiche. Nella sua nota preventiva VA. si è limitata a constatare la presenza o l’assenza di divisioni nucleari mitotiche o amitotiche ; io non ho avuto conoscenza del lavoro definitivo, nel quale si do- veva trattare anche delle alterazioni nucleari in seguito a prolun- gata asfissia. Sulla struttura dei nuclei delle cellule della 7rapa occorre ri- cordare quanto è già stato rilevato da Gibelli e Ferrero, cioè la grande difficoltà di colorazione che presenta la sostanza nucleare, mentre il nucleolo risulta sempre assai ben evidente qualunque sia la materia colorante impiegata. Io mi sono imbattuto nelle mede- sime difficoltà; ho eseguito colorazioni coi metodi più differenti, safranina, safranina e violetto di genziana, ematossilina ferrica, ema- tossilina all’allume, fuxina e verde all’iodio, ecc., ed ho ottenuto ottimi risultati quanto all’aver messo in evidenza le fibre del fuso, 1 corpuscoli polari, le anse cromatiche, ecc., ma non sono mai riu- scito a rilevare una differenza di colorabilità tra nucleolo e cro- matina, e neppure a vedere il nucleolo durante la cariocinesi ; (1) ZIMMERMANN A. — Die Morphologie und Pysiologie des Pflanzlichen Zel- Ikernes. Iena 1896; Nasokica. 0. — Uber die anaerobe Zellteitung. (Ber. d. deut.. Bot. Gesell. 1901 XXII p. 62). frequentissima e anzi su ciò si fondano appunto quelli che attri- buiscono al nucleolo una notevole importanza durante la mitosi. Ma l’assoluta identità nella colorabilità del nucleolo e della cro- matina (1), sia che questa entri a formare le anse durante la mitosi, sia che assuma una struttura reticolare alla superficie del nucleo, impediscono di fissare bene a quale dell’una o dell’ altra sostanza si debbano attribuire le modificazioni che si vanno osservando. È certo che nella 7rapa si hanno affinità strettissime tra nucleolo e cromatina; non ho mai potuto però osservare nei nucleoli una dif- ferenziazione tale da far pensare a addossamento di cromatina contro la superficie di essi. Lo studio su alcuni organi soltanto della pianta, e particolar- mente l'indirizzo che mi ero proposto di dare alle mie ricerche, non mi permettono di dedurne delle affermazioni recise, se cioè si tratti di nucleolo con scomparsa quasi totale della cromatina o di cromatina addensata in forma globulare. Chiamerò quindi col nome di cromatina la parte colorabile quando assume le forme solite alla sostanza chiamata con tal nome, e di nucleolo allorchè ha la forma e la posizione che ha di solito il nucleolo. Nel cono vegetativo dell'embrione, al termine della quiescenza, i nuclei non presentano nulla di notevole; le loro dimensioni sono di 4-5 p. Quelli che si trovano nel tessuto che sarà poi asse ipo- cotile o asse radicoforo, sono assai intensamente colorabili in quasi tutta la loro massa; i nuclei invece che appartengono alla gemmula, presentano il nucleolo assai ben visibile. Soltanto nelle cellule che formano la parte estrema dell’ asse radicoforo, è sempre impossibile constatare una differenziazione tra le varie parti del nucleo, che è piuttosto grosso e intensamente co- lorabile; gli elementi dell’apice però non subiscono una vera evo- luzione progressiva, ma cadono presto in putrefazione. Quando si inizia la germinazione, il volume delle cellule degli organi assili va fortemente aumentando, e tanto nell’asse radico- foro, che nell’ipocotile i nuclei perdono in parte la loro colora- bilità, assumono la forma sferoidale, e rimangono ben distinti la massa acromatica e uno 0 di rado due nucleoli. Nelle cellule della porzione superficiale delle giovani bozze caulinari, i nuclei son sem- pre ben differenziati in nucleoli e massa acromatica. (1) Nella colorazione con safranina e violetto di genziana si ha tendenza a fissare la safranina; in quella con fuxina e verde all’ iodio, è quest’ultimo «she si fissa prevalentemente sulle sostanze colorabili del nucleo. SI i de, sr nre tate Mea ISLA er «questa assenza del nucleolo durante la cariocinesi è, come si sa, der L'AS ella gem allorchè le giovani bozze caulinari non sono ancora uscite dal ri- paro loro offerto dalla squama protettrice, i nuclei sono già in in- tensa attività moltiplicativa; le figure cariocinetiche si osservano con molta frequenza, e tutte le fasi della divisione si presentano perfettamente regolari. Le anse cromatiche per la loro piccolezza sono assai difficili a studiarsi nei particolari, e non sì può scorgere bene il loro numero, la segmentazione longitudinale, ecc.; tuttavia esse appaiono ben distinte, e non mi è mai occorso di vedere delle aberrazioni nella: orientazione delle singole anse; sono assai ben vi- sibili le fibre del fuso, i corpuscoli polari, ecc. A_ cariocinesi termi- nata la cromatina si raduna in un nucleolo circondato da una massa nucleare non colorabile; di rado si osserva la presenza di piccole quantità di sostanza colorabile all’interno della membrana nucleare. Nelle gemmule eziolate il comportamento dei nuclei è ben di- Verso. Se l’eziolamento è completo e prolungato, non si osserva mai, anche nelle cellule delle bozze più giovani, alcuna traccia di feno- meno di cariocinesi; talvolta invece o l’eziolamento non è così asso- luto da non permettere una debolissima funzione di qualche cloro- plasta, oppure l’acqua, nella quale si trovano le piantine, è un po’ più aerata e provvista di sali di ferro, e allora si possono osservare qua e là delle figure cariocinetiche; la loro frequenza però è estrema- mente minore di quella che si verifica nei casi normali. Nelle esperienze delle quali ho ripetutamente trattato più ad- dietro, io ho spinto l’eziolamento degli embrioni fino al massimo grado possibile, al di là del quale aveva luogo una diminuzione nella turgescenza dei tessuti a cominciare dall’apice del radicoforo; a questo fatto teneva dietro la putrefazione della porzione radico- fora; la degenerazione e la conseguente distruzione dell’embrione procedevano sempre dall’ estremità apicale e invadevano gradata- mente la gemmula e così via sino alla base d’ attacco al cotile- done di riserva. Quando la degenerazione era giunta nel suo pro- gresso fin quasi alla gemmula, le piantine, anche se poste in con- dizioni favorevolissime di ambiente, erano incapaci di riprendere il loro sviluppo; invece le piantine nelle quali la degenerazione era ancora piuttosto distante dalla gemmula, se erano riportate alla luce riprendevano, quantunque lentamente, il loro sviluppo e davano poi origine a piante perfettamente sane e normali. Io ho raccolto delle gemmule turgide e apparentemente sane, ma immediatamente al disopra delle quali l’asse radicoforo era in » rs xii re avanzata degenerazione, e altre tolte da piantine in apparenza non | sofferenti; ero così certo di poter studiare i nuclei sotto l’influenza massima prodotta dall’eziolamento; nelle sezioni in serie, eseguite sopra intere gemmule ed esaminate con ogni cura non sono mai riuscito a osservare alcuna figura di mitosi nucleare. La cromatina era pressochè scomparsa anche negli elementi delle bozze meristemati- che, ma un altro fatto ancor più interessante sì osservava in queste cellule. Inucleoli presentavano tutti uno o due bitorzoli alla loro periferia costituiti dalla identica sostanza dei nucleoli stessi; talvolta essi erano ancora largamente aderenti alla massa nucleolare, tal altra invece ne erano riuniti soltanto per una porzione ristretta; altri di questi corpicciuoli si trovavano liberi nella porzione acromatica del nucleo. Questi nel maggior numero sì portavano verso la periferia del nucleo stesso, ne escivano e si trovavano così liberi nel plasma della cellula; la porzione che si distaccava dal nucleo era sempre costituita della sola sostanza colorabile, e mancava, almeno da quanto si poteva constatare data la estrema piccolezza di tali corpicciuoli, ogni alone di sostanza nucleare acromatica. Nel maggior numero dei casì la segmentazione dava luogo a corpicciuoli assai più piccoli del nucleolo che li aveva originati, e sì aveva così una serie di figure che ri- cordavano molto bene la gemmazione dei saccaromiceti. Di rado si formavano due sferette di eguale grandezza, e in tal caso i due nucleoli che si formavano si circondavano ciascuno di un alone acromatico, di membrana nucleare. Questo curioso fenomeno di gemmazione nucleolare era più evi- dente nelle sezioni colorate con ematossilina, e lo si osservava in modo particolare in quelle cellule nelle quali in condizioni normali è più intensa l’attività nucleare. (Apici caulinari). Negli stessi tessuti sì osservava spesso che il nucleo si andava ingrossando e si svuotava all’interno, e, mentre il nucleolo si portava fin contro la membrana nucleare, si formava un enorme vacuolo centrale; in alcune sezioni le quali dopo disidratazione con alcool erano state leggermente essiccate prima dalla montatura in balsamo, il vacuolo nucleare che si era riempito d’aria spiccava con grande evidenza. Nei casì nei quali l’eziolamento delle piantine non è così spinto da essere causa di una perdita irreparabile di esse, i nuclei degli elementi meristematici si presentano meno profondamente alterati. Non si vedono mai figure cariocinetiche, la massa colorabile ha una forma varia, ovoidale, semilunare, ecc, ed occupa quasi tutto il nucleo; nelle cellule più adulte si nota una distinzione tra la parte colorabile interna che si accentra nel nucleolo e quella periferica che si raccoglie all’interno della membrana nucleare a costituire un reticolo. Più tardi questo reticolo scompare e di ben colorabile rimane solo il nucleolo. Quando ha termine l’eziolamento e con esso l’asfissia, e le piante riprendono quindi il loro sviluppo, i nuclei iniziano i loro movi- menti cariocinetici. Se si esaminano numerose gemmule raccolte in vari periodi di tempo, a partire dal termine dell’eziolamento, si può constatare che i primi nuclei che riprendono la vita normale sono quelli esistenti nei tessuti già più evoluti, come quelli situati alla base della gemmnla, o appena al disopra di essa, dove si iniziano le radichette emesse dall’asse radicoforo; più tardi si osservano divisioni nucleari anche nelle bozze degli apici cau- linari. Allorchè i nuclei riprendono la loro vitalità e le divisioni sì ini- ziano, in generale queste hanno luogo nel modo più normale; sol- tanto nelle primissime mitosi che si osservano nei tessuti più adulti testè indicati, insieme a quelle regolari ne hanno luogo alcune che presentano qualche anomalia. Le anomalie consistono nel fatto che al termine della cariocinesi, quando non sono ancora scomparse le fibre del fuso, e quando si vanno abbozzando i due nuovi nuclei, una porzione di cromatina si interpone tra questi e i centrosomi, in modo da costituire come due cappucci conici che delimitano le due por- zioni estreme del fuso nucleare. Anomalie simili ho pure osservato nelle piantine che avevo col. tivato con aggiunta all'acqua di piccole quantità di cloruro ferrico, come dissi più sopra. Nelle radici verdi emesse dal radicoforo, gli apici vegetativi -hanno nuclei i quali perdono presto la loro attività moltiplicativa, sono anch'essi poveri di cromatina, e non presentano mai in tutti i loro stadii di sviluppo alcuna particolarità degna di nota. Altrettanto si osserva nelle radici avventizie ascellari e nelle loro ramificazioni d’ordine secondario o terziario. Più interessante è invece il comportamento dei nuclei delle ra- dici geotropicamente positive che si affondano nel suolo e anneri- scono per tannato di ferro. L'attività formativa permane di regola solo nei nuclei delle cellule dell’apice; è solo di rado, e in condi- zioni difficili a verificarsi in natura, e delle quali del resto ho di- scorso più sopra, che i nuclei situati entro gli elementi del tessuto vascolare possono riprendere le loro segmentazioni. denti tutti i fa della massa acromatica; lea DrS aa in come nel caso della gemmula, non si possono esaminare minuta- mente a causa della loro piccolezza. In taluni casi si osservano. alcune file di cellule i cui nuclei, senza presentare traccia di fibre acromatiche, o alcuna altra formazione che sia indizio di un pros- simo inizio di cariocinesìi, hanno la massa colorabile che si fram-- menta in rumerosissimi corpicciuoli sferici press’ a poco eguali in grandezza, i quali permangono nel nucleo. Più tardi le granulazioni più piccole scompaiono, probabilmente. assorbite dalle altre, e come residuo di questa frammentazione si trovano due nucleoli circondati da sostanza acromatica disposta concentricamente a ciascuno dei due, e racchiusi a loro volta nella membrana del nucleo che li ha prodotti. Queste frammentazioni sono piuttosto rare, non sì trovano mai in prossimità delle cellule iniziali dell’apice, ma un po’ più all’in-. dietro, specialmente nel pleroma e nel periblema; nei tratti ancora più evoluti, tali nuclei, da sferici che erano, sì allungano, si stirano un po’ a forma di biscotto e le due estremità sono occupate da due. nucleoli. Uno sguardo sintetico ai fatti che sì osservano nei tessuti meri- stematici della Trapa natans pone in chiaro come anche in queste piante la resistenza dei nuclei all’asfissia non sia molto grande; tutti gli apicì vegetativi, almeno nei primi periodi del loro sviluppo, ri- sentono molto l’azione tossica delle sostanze elaborate dai tessuti durante la vita anaerobica. Che si tratti qui dell’influenza di un’azione tossica e non diret- tamente della mancanza dell’ossigeno, lo prova il fatto che nelle piante bene eziolate le divisioni nucleari non avvenivano, anche se l’acqua era rinnovata ogni tanto; per dar luogo regolarmente a mitosi. occorre invece la presenza di un forte eccesso di ossigeno, quale solo può essere dato dall’assimilazione clorofilliana. Questo eccesso. di ossigeno è capace di distruggere i prodotti tossici della anaero- biosi, fra i quali indice a noi facilmente palese è l'alcool; infatti i saggi chimici mostrano l’assenza dell’alcool in quel periodo di tempo, e in quei tessuti nei quali ha luogo l’assimiliazione clorofilliana. Quando poi le radici inferiori si affondano nel suolo, esse tro- vano nei primi strati del limo un ambiente non assolutamente privo, di ossigeno (nei primi tratti queste radici anneriscono molto tardi), e man mano che le estremità si allontanano dalla superficie del bacino acqueo. le condizioni si fanno gradatamente più difficili ed. è possibile quindi una progressiva dbsusiabione) ad esse. "Noi sap- piamo che i nuclei di piante molto affini fra loro possono presen- tare differente sensibilità all’azione dell’asfissia: p. es. il Pisum è quattro volte più resistente del PRaseolus (1). Nella 7rapa vi ha una sensibilità differente a seconda dei varî organi; i meristemi degli organi abitualmente verdi e assimilatori, non resistono ad una anae- robiosi anche leggera per un tempo un po’ lungo: quelli invece delle radici che stanno nel suolo, sopportano assai meglio le diffi- coltà che loro si oppongono nella funzione respiratoria. Del resto i nuclei dei meristemi apicali di queste radici com- piono davvero uno sforzo speciale nel dividersi per cariocinesi; ne abbiamo una prova nella rapida perdita, in tutti i nuclei un po’ adulti, della facoltà di moltiplicazione. Tutte le ricerche eseguite sull’azione degli anestetici sulle didigni nucleari, dimostrano che questi farmaci se non sono applicati troppo a lungo, danno luogo ad una sospensione della facoltà di dividersi là dove questa è massima, come nei nuclei che hanno già iniziato i feno- meni di mitosi, e ad una inibizione assoluta (finchè dura l’azione dei farmaci) in quei nuclei meno attivi, che, pur facendo parte degli elementi meristematici, si trovano allo stato di riposo al momento dell’applicazione del farmaco. Cessata l’intossicazione, questi nuclei possono iniziare la cario- cinesi, la quale però risente l’influenza degli anestetici mostrando un andamento più o meno irregolare. Nella porzione già evoluta delle radici nere della Trapa si vede l’effetto di una analoga azione tossica; si osservano infatti degli accenni a divisioni anomale nella frammentazione dei nuclei, nella ‘ ricostituzione di due nucleoli che avvengono nella porzione retro apicale di esse, e nella assoluta inibizione nella facoltà moltipli- cativa lungo il fascio vascolare. Tale inibizione ha per effetto la pro- duzione di radici lunghissime senza alcuna ramificazione secondaria. Ma basta che vengano a cessare le cause tossiche inibitrici, perchè immediatamente lungo tutto il fascio vascolare si vedano differen- ziarsi numerosi punti meristematici. Anche la stessa gemmazione delle sostanze colorabili dei nuclei, che si osserva solo nei casi di profonda asfissia, e che dà luogo a nu- cleoli che si rivestono talvolta di sostanza acromatica per dare ori- gine a più nuclei distinti, può forse avere qualche analogia colla gemmazione che si osserva nei saccaromiceti sottoposti appunto ® eguali condizioni di ambiente. (1) NABOKICH 0. — Loc. cit. ANNALI DI BorANnICA — Vor. V i dd nella melma molto fine e molto ricca di sostanze organiche, sì colo- rano in nero violaceo per tannato di ferro: la colorazione non è però mai molto intensa; io ho studiato il modo di comportarsi dei nuclei in apici di radici interamente bianche e in apici di quelle annerite nella loro parte più evoluta. Non ho mai potuto osservare alcuna anomalia nel loro comportamento; essi del resto apparivano assai simili a quelli degli apici radicali di 7Yrapa. Anche in queste radici così annerite non sì osservano mai punti meristematici se- condaril. CONCLUSIONI. I. — Isemi di 7rapa natans e di T°. verbanensis trascorrendo il periodo di quiescenza in ambiente assai povero di ossigeno libero, quale è quello del fondo delle paludi, sono soggetti a profondi turba- menti nella loro attività respiratoria, la quale si svolge secondo le leggi della così detta respirazione intramolecolare. Le stesse condizioni d’ambiente, perdurando durante l’inizio della germinazione, lo stesso tipo di attività respiratoria si osserva anche in questo periodo, e per tutto il tempo nel quale non si è pie- namente sviluppata la funzione clorofilliana. I fatti che sono indice di questa alterata funzionalità del ri- cambio respiratorio sono di due ordini, chimico e citologico. Del primo è esponente più importante la formazione di alcool eti- lico nella riserva del seme. Del secondo il sopravvenire di una de- generazione grassa del plasma, dapprima debole e caratterizzata dalla comparsa di numerose e finissime goccioline oleose, poi più intensa e a grosse gocciole. Questo formarsi di grosse gocciole carat- terizza il termine del periodo asfittico, per la distruzione del plasma in seguito all'arrivo di maggiori quantità di ossigeno. Fenomeni analoghi, almeno tra quelli di ordine chimico, si veri- ficano nei rizomi di Nymphaea alba e di Nuphar luteum, nei quali pure durante la quiescenza e il germogliamento ha luogo la forma- zione di alcool etilico. L’alcool prodotto in tali condizioni si diffonde per tutti i tes- suti della pianta, anche in quelli situati fuori del limo palustre, come quelli verdi; in questi durante il periodo della assimilazione l'alcool scompare, evidentemente ossidato dall’ossigeno libero che vi sì produce in copia. II. — Le piante acquatiche sono tra i vegetali quelli più ricchi di composti di ossido di ferro e di manganese; lo stato di combina- zione di questi due elementi è assai vario; si possono distinguere Nel Myriophyllum GASINNRE done volte le radici, Ele sì Von. ini | composti org ano metallici, nei quali la molecola organica è così strettamente legata all’ossido da mascherarne l’esistenza, ed altri sempre meno strettamente combinati, e persino anche composti evi- dentemente inorganici. La quantità complessiva di ferro contenuta nei diversi tessuti, cresce coll’età dei tessuti stessi, e ancor più colla difficoltà per parte di questi di avere a disposizione dell’ossigeno libero; così se ne trova la minore quantità nei tessuti meristematici, ed in quelli assimilatori, la massima in quelli non verdi immersi nel limo riduttore delle paludi. Rispetto alla tendenza ad arricchirsi di ferro, è pressochè indif- ferente per la pianta che l’ossigeno le pervenga dall’esterno disciolto nell’acqua, o dall’interno attraverso i tessuti lacunosi di cui la pianta sia eventualmente fornita. La funzione di una parte dei composti di ferro è con tutta pro- babilità quella di servire come veicolo dell’ossigeno, sia solamente all’atto della fissazione del ferro nei tessuti della pianta (depositi tannici), sia per un' tempo più o meno lungo, servendo così agli scambii respiratorii tra tessuti viventi e ambiente esterno. A questa funzione respiratoria è strettamente legata la presenza di speciali enzimi del gruppo delle perossidasi, la cui distribuzione appare connessa con quella di alcuni composti ferruginosi labili. L’associazione dei composti ferruginosi e delle perossidasi avrebbe per iscopo di rendere possibile l'assunzione di ossigeno da ambienti come quelli palustri, nei quali il gas libero e disciolto ha una pres- sione parziale insufficiente perchè le piante possano assorbirlo diret- tamente, senza l’aiuto dei composti di ferro, e di facilitare il suc- cessivo trasporto del gas stesso ai tessuti più interni. I composti di manganese accompagnano quasi sempre quelli di ferro; essi per lo più esistono in quantità piccola rispetto a quelli dell'altro metallo; all’incontro nei tessuti giovani il manganese si trova in quantità prevalente rispetto al ferro. Negli elementi meristematici, oltre al manganese, esistono ab- bondanti enzimi del gruppo delle ossidasi, di tali enzimi è già nota la particolare ricchezza in manganese; non vi ha quindi difficoltà a ritenere come molto probabile che la funzione del manganese sia particolarmente quella di permettere gli intensi processi di ossida- zione che hanno luogo nei tessuti meristematici. In alcune piante acquatiche oltre agli enzimi sopra ricordati esiste anche della catalasi, localizzata per lo più negli elementi superficiali degli organi in diretto contatto coll’acqua. III. — La particolare difficoltà che incontrano le piante acqua- tiche a procurarsi l'ossigeno libero, rendono ragione di alcuni fatti ne si sono ancora sviluppati i tessuti con plastidii verdi, i soli che pos- sono assicurare un abbondante rifornimento di ossigeno. Così si stabiscono degli adattamenti particolari, viviparità, de- posito di clorofilla nei semi, formazione di apparati assimilatori o di apparati respiratorii di funzione temporanea. Nella 7rapa natans l'apparato a funzione transitoria è dato dal radicoforo e dalle radici avventizie che si sviluppano su di esso. L'asse radicoforo sì accresce assal rapidamente per semplice aumento di volume delle singole cellule, in modo da portarsi fuori dello strato di limo, nel quale ha svernato il seme, e nell’acqua limpida e ben illuminata inverdisce e inizia l'assimilazione. L'attività dei plastidi verdi dà luogo alla distruzione dei pro- dotti tossici elaborati nel parenchima di riserva del seme, soggetto a respirazione intramolecolare, e solo dopo che è avvenuta tale di- struzione, si iniziano i fenomeni cariocinetici che danno luogo alla formazione delle radici secondarie e poi allo sviluppo della gemmala. Anche in questo periodo il ferro ha una funzione importante nel favorire l’inverdimento dell’asse radicoforo e lo sviluppo ulte- riore della pianta. Nei semi germinanti delle Ninfecee l'emissione della radichetta principale, o almeno del mozzicone di questa, è accompagnata dallo sviluppo di organi assai più complessi (organi branchiali nelle Eu- rialee, peli primarii nelle Ninfeoidee), la cui funzione è quasi cer- tamente quella di servire come apparati respiratori nel periodo che precede lo sviluppo delle foglie. La dimostrazione della attendibilità di tale ipotesi è data, oltre che da caratteri anatomici, anche dalla presenza in essi di notevo- lissime quantità di composti di ferro, accompagnati da perossidasi; resta così confermata ed estesa l’ipotesi formulata da Goebel ri- guardo alla funzione del cosidetto « Kiemenorgan » delle Eurialee. IV. — Durante l’inizio della germinazione della 7rapa, allor- chè l’asse radicoforo non è ancora inverdito, tutti i nuclei dei giovani tessuti risentono gli effetti della intossicazione alcoolica, e non si inizia nessuna “divisione cariocinetica; solo se l’intossicazione è molto prolungata e intensa, hanno luogo delle singolari frammen tazioni nucleari aventi l’aspetto di gemmazioni, le quali però non danno alcun risultato profituo per lo sviluppo dei meristemi, e si debbono considerare come indizii di profonda sofferenza dei nuclei stessi. Quando l’intossicazione viene a cessare per l’iniziato inverdi- mento del radicoforo, allora, dopo alcune pochissime figure carioci- che si osservano durante la germinazione di esse, quando cioè non È Ni? a pg he legger ei anomale, la divisione ni inizia rapida- ORE e intensamente il suo corso normale. Nelle radici geotropicamente positive della Trapa, le quali vi- vono in condizioni particolarmente difficili di aereazione, i fenomeni cariocinetici-dell’apice vegetativo si compiono come di norma, ma lungo tutto il fascio vascolare non si verifica mai la formazione di alcun nuovo punto meristematico, capace di originare le radici di ordine secondario. Si può dimostrare sperimentalmente che tale man- cata formazione dipende dalla insufficiente aerazione delle radici; anzi già le ultime cariocinesi che hanno luogo nelle cellule più adulte dell’apice vegetativo mostrano, col verificarsi di alcune ano- malie, un principio di sofferenza dei nuclei. Torino. — R. Istituto Botanico, agosto 1906. Orchidacee nuove o critiche Nota del Dottor FABRIZIO CORTESI Nello scorso anno, in una escursione fatta nel mese di giugno al Monte Terminillo, ebbi agio di osservare grandi estensioni di terreno dei pascoli montani e submontani coperte di un numero grandissimo di esemplari di Orchis mascula L. in fiore. Esaminando questi esem- plari facilmente mi convinsi che nell’Orchis mascula L. potevano distinguersi due forme diverse, — una delle quali era già stata distinta dal Parlatore (1) — e di cui non stimo inutile darne ia descrizione. Orchis mascula L. f. purpurea — planta robusta usque ad 5-6 dem.; floribus in- tense purpureis in spica serrata, labio trilobo, lobo intermedio saepius tridentato, disco non luteo, maculato, calcare ovario aequante. f. rosea — 0. mascula L. bd. floribus roseis Parl. Planta plerumque gracilis usque ad 4 dem.; floribus roseis in spica plerumque lara, labio trilobo, lobo intermedio tridentato, disco luteo purpureo-maculato, calcare ovario longrore. Habitant in pascuis herbosis submontanis et montanis (700-1400 m. s. m.) in monte Terminillo (Aprutio). Non è difficile di riscontrare queste due forme in tutte le loca- lità ove lO. mascula cresce con una certa frequenza e con abbon- danza. Forse la f. rosea può avvicinarsi -- se non identificarsi — con l’Orchis olbiensis di Reuter (2), almeno a giudicare dalle figure della tavola di Barla. C)CeEz: it, III, p. 503. (2) In Ardoino FI. Alp. Marit. p. 353 et in Barla. Icon. Orch. p. 59. pl. 45 fig. 1-23. Nella stessa gita ho avuto campo di esaminare numerosi individui di Orchis provincialis Balb. e dell'O. pauciflora Ten. e mi son potuto persuadere come fra l’O. provincialis tipica e la sua forma o varietà pauciflora sì riscontrino tutti i gradi di passaggio, specialmente in rapporto alla diminuzione del numero dei fiori nella infiorescenza, al loro aumento di grandezza ed alla tendenza di assumere un colore giallo zolfino dal colore giallo avorio che generalmente possiede 1’0. provincialis tipica. Quindi l'opinione da me enunciata (1) che lO. pauciflora Ten. debba considerarsi come una varietà dell'O. provin- cialis Balb. mi sembra che resti confermata completamente. * * * Così ho avuto agio di riconoscere l’esistenza di un ibrido fra 1’0. provincialis Balb. var. pauciflora Ten. e lO. mascula L. f. rosea. Risultando dalle mie ricerche che questo ibrido non è stato an- cora descritto ne dò la diagnosi qui appresso: < Orchis Colemanii Cort. hybr. nov. = (2). = 0. provincialis pauciflora x 0. mascula rosea. O. tuberibus radicalibus duo indivisis, caule 4 dem. aequante : foliis oblongis lanceolatisve, obtusis aut obtusiusculis mucronulatis; flo- ribus spica lariuscula, perigonii phyllis exterioribus distinctis, latera- libus ut în O. provinciali reflexis rotundato acutis, binis interioribus bre- vioribus ovato-obtusis, conniventibus, labio phyllis erterioribus longiore, trilobo, lobis lateralibus rotundatis aut serrato-denticulatis, intermedio integro vel tridentato, calcare clavato, obtuso, horizontali ut in O. ma- scula (non adscendente ut in O. provinciali) ovario aequante vel lon- giore; bracteis ovario aequantibus vel longioribus; floribus luteis dilute roseis, disco labii maculis purpureis consparso. Habitat in pascuis herbosis monte Terminillo (800, 1400 m. s. m.) inter parentes. Questo ibrido si riconosce a colpo d’occhio principalmente pel suo colore specialissimo giallo lavato di roseo; a primo aspetto sem- (1) Cfr. Studi critici sulle Orchidacee romane I. — Le specie del gen. Orchis. Ann, Bot., vol. II, p. (2) Dedico questo ibrido al mio amito Enrico Coleman, pittore illustre, ap- passionato cultore e valente illustratore di Orchidee. dgr i Sai 5) ARL brerebbe una 0. provincialis con i fiori di detto colore. Probabil- mente esisteranno altre forme ibride fra lO. provincialis e la 0. ma- scula, dovute all’incrocio delle loro varietà. Così la O. pauciflora b. rubra Chab. — citata dal Fiori e Paoletti (1) — deve, quasi con cer- tezza, riferirsi ad una di dette forme ibride, perchè non è cosa troppo frequente (senza ammettere influenze d’inerocio) la repentina mutazione del color giallo in rosso. Dette forme ibride devono riscontrarsi in tutti i luoghi nei quali crescono promiscuamente le specie stipiti, specialmente nei pascoli montani e submontani del nostro Appennino, ove sono abbondan- tissime. * Un'altra forma ibrida, per quanto io sappia assolutamente nuova, è stata da me raccolta con una certa frequenza fin dal 1900 sulla spiaggia di Maccarese nella pineta. Si tratta di un ibrido fra ì'OpArys aranifera Huds. e 10. eraltata Ten., la quale forma, in omaggio alle consuetudini vigenti, ho voluto dedicare al sig. G. E. Camus, tanto benemerito e valente illustratore delle orchidee francesi. X Ophrys Camusii Cort. hybr. nov. — 0. aranifera Xx exaltata. Planta habitu O. araniferae: inflorescentia spiciformis, laxiflora 3-6 flora: floribus majoribus quam in O. aranifera et minoribus O. eraltatae, tepalis exterioribus amplis ovato lanceolatis marginibus re- flexis, alboroseis dilute viridibus, trinerviis; binis interioribus lanceo- latis acutis velutinis marginibus undulatis, exteriorum dimidio aequan- tibus vel longioribus, rubro-brunneis; labio ovato ut in O. aranifera holosericeo, trilobo vel bilobo, lobo intermedio emarginato, cum appen- dice triangulari lanceolata, carnosula, sursum versa, lobis lateralibus refleris, saepe gibberibus praeditis, brunneo cum maculis linearibus glabris luteo brunneis, varie conformatis; gymmostenii rostro brevi, acuto vel obtuso, bracteis orario dimidio superantibus. Habitat in arenosis maritimis alla pineta di Maccarese inter parentes. (Aprili 1902-1904). Di questo ibrido possono distinguersi due forme: a) gibbosa — gibberibus lateralibus bene prominulis. b) agibba — gibberibus obsoletis. Fra ambedue queste forme esistono forme di passaggio: questo è dovuto al fatto che ambedue le forme stipiti — e cioè tanto l’O- (1) FI. Anal. It., I, p. 245. phrys aranifera quanto l’O.exaltata — possono presentarsi con forme più o meno gibbose e con forme agibbe. Questo ibrido sì avvicina un poco all’O. aracknitiformis di Gre- nier e Philippe (1) — che malgrado l’avviso in contrario di Camus. ha tutta l’apparenza di una forma ibrida — ed in parte all’O. ara- nifera var. niceensis di Barla (2), dai cui disegni risulta chiaramente l’aspetto ibrido della pianta, però il colore dei tepali esterni della pianta di Nizza è di un rosso violaceo, mentre nella nostra pianta. è di un bianco roseo leggermente sfumato di verde. * * %* Un’ altra forma che non trovo segnalata dagli autori che ho consultato e che mi sembra degna di nota è un prodotto evidente dell’inerocio dell’ Orchis sambucina L. fl. luteis, e della medesima specie /l. purpureis. Questa forma ho raccolto qua e là a monte Ter- minillo nei pascoli montani ove cresceva abbondantissima l’0. sam- bucina L. nelle sue due forme. Questa pianta non ha caratteristico che il colore dei suoi fiori e si potrebbe così diagnosticare : O. sambucina lutea x 0. sambucina purpurea. Tepalis roseo-lutescentibus: labio luteo integro aut trilobo, disco ma- culis purpureis consparso, coeterum ut în parentibus. Legi in monte Terminillo; pascuis montanis 1000-1600 m. (giugno 1906). Pa Una forma, se non nuova, aimeno molto interessante per la con- fusione che a suo riguardo regna specialmente fra gli autori mo- derni è l’Ophrys eraltata di Tenore. Io ho avuto occasione di rac- cogliere questa pianta nella macchia di Marino ed alla pineta di Maccarese, ove è abbondante e da principio credetti che si trattasse di una forma ibrida, ma le esperienze culturali (poichè la coltiva per tre anni consecutivi nel giardino del R. Istituto Botanico) mi dimostrarono — ponendo in rilievo la assoluta costanza dei carat- teri — che si trattava di una buona forma autonoma. Tenore (3) così descrive questa pianta: « Caule folioso, labello villoso obovato convero apice integro ap- « pendiculato, ad basin bilobo, lobis prominulis, margine undulato-crispo (1) Rèch. sur qq. Orch. env. l'oulon, p. 19 (1859). (2) Icon. Orch. env. Nice, p. 66 pl. b4.55. (3) Ad catalogum plantarum horti regii neapolitani anno 1818 editum ap- pendix prima. Editio altera. Neapoli 1819 p. 88. ERPSTE ri FA pt RI RF ita MORE P CER IR tra det E POT _ 548 _ « disco fusco lineis glaberrimis inscripto, petalis tribus exrterioribus < oblongo-linearibus obtusis, binis interioribus dimidio brevioribus, un- « dulato-crispis pallide luteis; bracteis germine longioribus ». Habitat cum praecedente in nemoribus Silae Calabriae Ulterioris, in montibus Nebrodensibus Siciliae. Floret Martio. Perennis. Nell'anno seguente Mauri (1), senza sapere della descrizione te- noreana, descriveva così questa pianta col nome di Op4rys crabronifera: Ophrys crabronifera Nob. Rom. PI. (cent. XXIII pro errore) XIII. tab. 2. fig. 1). Labio indiviso, rotundato, convexro, villoso, apice retuso, appendi- cula lanceolata sursum versa interjecta; dorso macula glabra, reni- formi transversa. Nella macchia di Marino presso la Cappella. Perenn. Floret Aprili ad finem. Bulbi subrotundi. Caulis pedalis, foliosus. Folia ovato lanceolata striata, viridi cinerascentia. Bracteae foliaceae germinis longitudine. Flores 2-3 in spica lariuscula. Petala rosea, patentia lanceolata, duo interiora duplo breviora margine undulata. Labium pullum,'villo- sum, converum, late obovatum, rotundatum: labii dorsum circa ortum magis villosum, in centro macula glabra, pallidiore, reniformi medio attenuata transversali notatum: labii latera deflexa, margine obscure angulata, utrumque notatum macula minuta, pallidiore, glabra, trian- gulari, aetate evanida, labii apex levissime retusus cuspide flavescenti, sursum versa terminatus. Columna rostrata, labio duplo breviore flave- scente dorso sordide virenti. Anche il Bertoloni (2) dà una buona descrizione di questa specie di cui ebbe esemplari dal Mauri e da Tenore ed osserva: « Species a Lindleyo et a Reichembachio patre perperam con- < fusa cum aliis diversisque speciebus sub Ophryde fuciflora Orchid. « pl. p. 376 et sud Ophryde oestrifera FI. exc. I p. 128 n. 867 ». Todaro invece (3) include l'Op4rys eraltata, nella sua Arachnithes fuciflora come var. eraltata ma, bisogna pensare che in questa specie di Todaro erano confuse con l’0. aranifera anche alcune forme del- lO. arachnites Willd. Parlatore (4) ritiene 1’ O. eraltata Ten. come specie autonoma, di cui cita le località romane di Mauri, Sanguinetti e del Rolli ed (1) Romanarum, plantarum centuria decimatertia auctore ErnESTO MAURI Romae MDCCCXX tav. II pag. 42. (2) FI. it. IX, p. 588. (3) Orch. sic., p. 75. (4) #7. it., III, p. B31. ld osserva (1): « Si acari Eriliniate dall is < terne, più larghe alla base e piane nel margine, non lineari con < il margine increspato, per la forma del labello, per le sue mac- < chie non unite in vario modo, per l’appendice che è nella smar- < ginatura, oltre di avere le due gobbosità molto manifeste ». Questa ultima parte dell’osservazione di Parlatore non è esatta, perchè come vedremo appresso le gobbe del labello sono variameate sviluppate e non possono costituire un buon carattere differenziale. Arcangeli (2) tiene ben distinta l’O. eraltata dalle altre, inserì vendola però fra lO. aranifera Huds. e lO. lunulata Parl. Camus (3) accettando l'opinione di Todaro riferisce l’O. exaltata Ten. come varietà all’O. aranifera. Ma questo collocamento non è giustificabile per le grandi differenze che intercedono fra le due specie. Del pari non è accettabile la veduta di Kraenzlin (4) il quale fonde addirittura l’OpArys eraltata Ten. con VO. arachnites Lam., la quale pur avvicinandosi molto alla specie di cui ei occupiamo, molto ne differisce specialmente per l’aspetto del labello, per la forma dei tepali laterali interni, e per la grandezza dei fiori. Fiori e Paoletti (5) registrano questa OpArys come una sotto- specie dell'O. arachnites Lan. esprimendo il dubbio che si tratti di forma ibrida. Io, pel diligente esame fatto su numeroso materiale fresco, sono convinto che si tratti di una ottima specie e che sistematicamente potrebbe collocarsi fra l’O. aranifera Huds. e lO. arachnites Lam.; fra le quali sembra costituire una forma intermedia, da tenersi però ben distinta e caratterizzata da ogni altra come ben risulta dalla descrizione seguente: Ophrys exaltata Ten. ad. cat. pl. h. vr. neapolitani appendix prima 1819, p. 83 — Bert. 7. it., IX, p. 588 — Parl. £7. t., III, p. 634 — Are. Comp. FI. it., 2" ed., p. 171. O. crabronifera Mauri Rom. PI. cent. XIII (1820) p. 42, tab. II. ‘). arachnites Lamk. p. p. Kraenzlin Orch. gen. et. sp., 1, p. 100. (). arachnites Lamk. var. eraltata Ten. — Fiori e Paol. #7. anal. it., I, p. 235. (1) Loc. cit., p. 686. (2) Comp. FI. it., 2» ed., p. 171. (3) Mon. Orch. de France (ext. du Journ. de Bot., vol. VI-VII-VIII), p. 86. (4) Orch. gen. et sp., I, p. 100. (5) FU. anal. it., I, p. 286. « fiori molto più grandi, per la forma diversa delle foglioline © ia O. aranifera Huds. v. eraltata Cam. Mon. Orch. fr. (estr. Journ. Bot. vol. VI, VII, VIII), p. 85. Arachnites fuciflora Tod. $. ecaltata — Tod. Orch. Sic. p. 75. Tuberi ovoidei allungati; caule eretto 4-5 dem. robusto, con fg. basilari lanceolate acuminate di color verde cenere. Fiori grandi (fra i più grandi del genere) in spiga lassa pauciflora; tepali esterni ovato-lanceolati con i margini reflessi roseo-chiari o bianchi con una nervatura verde ben marcata: gli interni uguali alla metà circa . degli esterni, ottusi, vellutati rosei o biancastri; labello grande, vel- lutato espanso, convesso, con i bordi per lo più cinti da un largo margine glabro di aspetto membranoso verdastro o giallastro, di color bruno nel disco, con macchie lucide a forma di punteggiatura o di piccole linee o di lettera H, con gobbe laterali basali più o meno pronunciate, talora del tutto mancanti; intiero, bilobo o trilobo con una grossa appendice triangolare acuta od ottusa al suo apice, rivolta in alto. Ginostemio con becco corto per lo più acuto. Brattee ampie d'aspetto fogliaceo nei fiori inferiori, lunghe circa il doppio del- l’ovasio, nei superiori ad esso uguali. Fiorisce nel mese d’aprile. Herb. romano : Macchia a Marino 24 aprile 1820 (Mauri sub O. crabonifera); S. Polo 7553 (Sanguinetti); Macchia di Marino 29 aprile 1857. (Rolli); Maccarese poco dopo la torre verso il mare 25 aprile e 5 maggio 1863 (Rolli sud O. scolopar). Nella collezione in formalina conservo esemplari da me raccolti: alla Macchia di Marino presso la Cappelletta (V. 1900) ed a Mac- carese nella pineta (aprile 1900-1904-1905). Si tratta quindi di una specie straordinariamente sporadica, perchè fino ad ora segnalata solo per la nostra regione per tre dif- ferenti località fra di loro molto distanti quali sono la macchia di Marino, S. Polo de’ Cavalieri sopra a Tivoli e la pineta di Macca- rese. Forse è specie meridionale, perchè Tenore e Todaro la dicono relativamente abbondante in alcune località del Napoletano, della Calabria e della Sicilia e le località della nostra provincia fino ad oggi sono forse da considerarsi come limite settentrionale della sua diffusione. Dal R. Istituto Botanico di Roma, novembre 1908. Studî critici sulle Orchidacee romane del Dott. F. Cortesi 0) V.— Le specie del gen. OPHRYS. (Tav. VI). 1. — Notizie critiche e bibliografiche sul genere. Le Ophrys costituiscono un genere di Orchidacee prevalente- mente mediterraneo, perchè di quindici specie conosciute — tante almeno ne registra il Kraenzlin nel suo lavoro monografico che è il più recente (2) — oltre due terzi sono distribuite nel bacino me- diterraneo. Da quanto ho potuto convincermi dalla diretta osserva- zione in natura su una massa ingente di materiale fresco nelle Ophrys generalmente evvi un notevole polimorfismo ed una grande variabilità: talune presentano variazioni tali da giustificare l’iscri- zione delle forme — prese e considerate singolarmente — in specie differenti, ma queste differenze apparentemente profonde scompaiono quando si abbia cura di rintracciare le forme intermedie, che gene- ralmente non mancano mai. Però assai penose e difficili riescono le ricerche in proposito an- zitutto dal punto di vista bibliografico, perchè molti autori hanno voluto fare specie autonome delle singole forme individualmente considerate e poi perchè poco o niun valore per lo studio critico di queste forme, offre il materiale d’erbario che con lo schiaccia- mento deturpa i fiori carnosi, altera la forma dei labelli e delle loro appendici e con l’essiccamento cancella le sfumature dei colori ed i disegni del labello a cui si è voluto dare soverchia importanza. Che questi disegni poco o niun valore abbiano per la sistematica è dimostrato dal fatto che spesso i fiori di una medesima spiga (1) Questa ultima parte degli studi critici doveva essere preceduta da un breve studio di critica sistematica sui concetti di specie, varietà ecc..., ma tale lavoro non essendo ancor pronto vedrà la luce in seguito e potrà servire da epilogo alle mie osservazioni critiche. (Ore gen. et sp., I, p. 91. | fiorale en (vr dei disegni ‘alterenti e ri fatto per parecchi anni consecutivi, determinate Rane ogni a anno | si osservano cambiamenti notevoli nei disegni e nelle Misto. del labello. Un altro fatto che complica molto lo studio delle OpArys è la straordinaria facilità con la quale le differenti forme, che vivono per lo più promiscuamente nelle stesse stazioni, si ibridano fra di loro e questi ibridi — tutti fecondi — si incrociano alla lor volta con altre forme, cosicchè l’osservatore si trova spesso innanzi a delle forme cui non sa esattamente quale valore attribuire e quale posi- zione sistematica assegnare. In siffatto studio l’anatomia, che da molti si applica con profitto per risolvere questioni sistematiche, non ci rende alcun servigio, perchè ho anch'io tentato di istituire delle ricerche di anatomia sistematica sulle Orchidacee nostrali, senza raggiungere alcun risultato positivo (1). Questo ci è spiegato in parte dal fatto che per quanto variino le stazioni delle singole specie in rapporto all’ubicazione: sabbie marittime, càmpi, prati, boschi, colli, monti, pure il comportamento biologico di queste piante rispetto all'ambiente è sempre il medesimo, poichè in qualunque stazione si trovino le specie tuberose, cui appartengono la maggior parte delle Orchidacee nostrali ed anche le Op4rys, richieggono nel terreno la presenza di una certa quantità di Aumus, necessaria alla vita del fungo che albergano nelle loro radici e che forma la micorriza. Quindi le osservazioni che quì pubblico sono ben lungi dall’esser definitive e debbono considerarsi solo come una contribuzione allo studio critico del gen. Opàrys, perchè sono ben lungi dall’aver tro- vato il filum ariadnaeum che deve guidarci nell’intricato labirinto dei rapporti che intercedono fra le numerose forme di questo gruppo. Tournefort (2) ascrisse le OpArys od almeno le forme allora co- nosciute di esse alle Orchis. Linneo fu pel primo l’istitutore del (1) I generi da me esaminati furono: Orchis, Ophrys, Serapias, Aceras, Neo- tinea, Cephalanthera ed Epipactis. Potei solo osservare la netta differenza di struttura che intercede fra i generi tuberosi e quelli rizomatosi, differenza, carat- terizzata dal grande sviluppo in questi ultimi di guaine sclerose accompagnanti i fasci vascolari, mentre nelle forme tuberose riscontriamo, specialmente nelle foglie, abbondanti elementi collenchimatici che ci spiegano la molle flessibi- lità di questi organi. La differenza di struttura sta in rapporto certo con i dif- ferenti bisogni d’acqua che hanno i due diversi gruppi e con le differenze bio- logiche che questi presentano. Il sistema vegetativo delle specie tuberose non solo è uniforme per tutte le specie di uno stesso genere, ma anche per i di- versi generi da me esaminati Non ho creduto di pubblicare in lavoro separato queste notizie, trattandosi di ricerche con esito puramente negativo. (2) Inst., 2 tab. 247, fig. C. D. E RA 1 O ONTARIO | gen. Ophrys (1) cui egli ascrisse però anche quelle forme che attual- mente sono comprese sotto i generi : Neottia, Corallorhiza. Spiranthes, Listera, Liparis, Malaxis, Herminium, Aceras etc... Il gen. Ophrys, inteso nel senso linneano quindi è una specie di magazzino, dal quale solo più tardi Swartz (2) trasse e costituì in gruppo autonomo le Ophrys propriamente dette. Le Ophrys nostrali, Linneo (3) comprendeva in una sola specie: Ophrys insectifera, bulbis subrotundis, caule folioso, nectarii labio subquinquelobo e in essa iscriveva ben undici varietà le quali corrispondono ad altrettante specie, almeno così come sono attualmente considerate. Il concetto linneano che aveva ispirato la riunione di queste forme sotto un medesimo gruppo specifico era ben profondo, poichè Linneo, nell’acutezza delle sue osservazioni, si era ben accorto che si trattava di forme difficilmente limitabili e separabili, tant'è vero che egli scriveva la seguente nota (4) « Va- < rietates Myodes 2 et Arachnites ‘ fugitivis oculis inspicienti diver- « sissimae adparent, qui vero has confert cum congeneribus omnesque va- « rietas simul inspicit, primam originem ex una facile perspiciat nec « limitantes distinguendas obtinebit quamrvis constantes persistant ». Lo Schmidt nella sua Flora Boémica (5) istitui per le Ophrys il gen. Arachnites e questo ordinamento fu imitato dal Todaro nelle sue Orchidee sicule. Parlatore (6) divide le Op4rys in cinque gruppi: ur IT. — Aranîiferae. II. — Apiferae. III. — Speculiferae. IV. — Tenthrediniferae. V. — Musciferae. Divisione la quale viene anche seguita da Barla (7) nella sua ot- tima iconografia. Arcangeli (8) invece scinde il genere in due gruppi caratterizzati rispettivamente dalla presenza ed assenza delle gib- bosità alla base del labello. Ma il prendere per base questo carattere costituisce un errore perchè, come vedremo nell’esame critico delle singole specie, vi sono forme appartenenti alla stessa entità specifica (1) Gen. pl., ed. 2, Parigi 1743, p. 333, et Sp. pi., ed. I, (1753), II, p. 945. (2) Act. holm. anno 1800, p. 222. (3) Sp. pi., ed. I, (1753), II, p. 948. (4) Loc. cit. p. 949. (5) FI. Boém. I p. T4. (6) FU. it. III p. 529 e seg. (7) Icon. Orch. env. de Nice p. 64 e seg. (8) Comp. fl. it. ed. I p. 660 ed. II p. 171 ANNALI DI BoranIcA — Von. V. 39 provviste di gobbe, mentre si ne sono prive e per questo solo fa to dovrebbero assegnarsi a due gruppi differenti. Anche Fiori e Pao- letti (1) accettano questo carattere per la costituzione delle due se- zioni: Araniferae e Musciferae, carattere sussidiato anche da quelli che può fornire la forma del labello, anch'essa a sua volta abbastanza variabile. Kraenzlin (2) invece segue la stessa distribuzione dei gruppi proposta dal Reichembach (3) che divideva il genere nelle cinque tribù seguenti: I. — Musciferae, /abellum trilobum fere ommnino explanatum margine vix replicatum apiculo nullo, petala plerumque glabra. II. — Fuciflorae seu Arachnitiformes, /abellum basi utrin- que bigibbosum subsimplex vix converum petala velutina (questa sezione corrisponde alle Tenthrediniferae di Parlatore). III. — Araniferae, labellî margines replicati, lobi laterales (si adsunt) post intermedium refleri. IV. — Bombiliflorae, labellum abbreviatum trilobum basi bi- gibbosum, lobi laterales post intermedium refleri gibbere in apice cor- nicula duo pone basin : species parviflora. V. — Apiferae, labellum abbreviatum margine reflerum, petala plerumque abbreviata. Lo Schulze (4) invece — pure basandosi sopra i caratteri del labello — divide le OpArys in quattro soli gruppi: Musciferae, Fuci- florae, Araniferae ed Apiferae, poichè nella flora delle regioni da lui studiate manca l’Ophrys tenthredinifera e le forme ad essa affini che sono esclusivamente mediterranee. Ciò premesso ecco le caratteristiche del gen. Op4rys, del quale poi passeremo ad esaminare partitamente le forme dell’OpArys ara- nifera, che a nostro giudizio è la specie più polimorfa e variabile del gruppo. Gen. Ophrys L. Gen. pl. 1011 p. p. Swartz Act. Holm. 1800 p. 222. Bent. et Hook. Gen. P?. III 621. Parl. FU. it. III p. 529. Arachnites — Schmidt 2. Bom. L p. 74 p. p. Myodium — Salisb. Transact. Hort. Soc. I p. 289. (1) FL anal. d'It. I p. 238. (2) Orch. gen. et sp. 1 p. 91. (8) Fl. Germ. XIII-XIV. (4) Die Orchidaceen Deutschlands, Deutsch — Oesterreiche und der Schweiz. p. 13. di pe ci NO. | i ia ii Perianzio a divisioni libere, le esterne più grandi quasi uguali fra di loro, le interne più corte, più o meno erette. Labello privo di sprone, intiero, bilobo o trilobo, talora munito di due gibbosità laterali, carnoso. Ginostemio spesso munito di una appendice a forma di becco di varia lunghezza. Stimma assai grande. Masse polliniche con caudicoli muniti di glandole distinte racchiuse in dorsicule se- parate. Ovario non contorto. Tuberi intieri. 2 — Le forme dell’Ophrys aranifera Huds, sensu latissimo. Intendo includere nell’OpArys aranifera considerata in senso latis- simo tutte le forme di Ophrys a fiori bruni, muniti di macchie lucide sul labello, con i tepali esterni generalmente verdastri e col ginoste- mio munito di un breve becco acuto. Abbiamo già precedentemente veduto come Linneo comprendesse tutte le OpArys vere a lui note nella sua OpArys insectifera, distinguen- dole come varietà della medesima specie nella quale riconosceva un grande polimorfismo ed una grande difficoltà di limitazione fra le di- verse forme. Hudson nella 1° edizione della Flora anglica (1) aveva formato di questa specie una var. £ dell'O. apifera. Miller nel suo Dizionario (2) aveva chiamato tale pianta col nome di 0. sphegodes, nome come vedremo appresso usato anche dal nostro Maratti. La totalità degli autori da me riscontrati: Parlatore, Barla, ecc.... riferiscono all’Ophrys aranifera di Huds, la var. è di Linneo: Orchis muscam majorem repraesentans Breyn. Morison hist. pl. III. Essen- domi presa la cura di riscontrare questo fatto mi sono potuto persua- dere che tanto la figura e la descrizione di Breyn (3), quanto quella del Morison (4) si riferiscono senza dubbio alla Ophrys Speculum di Link. e per la forma del labello irto di peli alla sua periferia e per l’a- spetto filiforme dei suoi tepali laterali interni e pel disco del labello completamente glabro e d’un bel colore violaceo splendente. Evidentemente si tratta di un errore d’interpretazione compiuto da un primo autore e poi trasmesso per fedele trascrizione in tutti gli autori posteriori. L’'Ophrys aranifera di Hudson corrisponde invece perfettamente alla var. 5 di Linneo (5): Orchis fucum referens, colore rubiginoso (1) FI. Angl. ed. I. (1762) p. 340. | (2) Dict. ed. 8. n. 8 (1768). (3) Exoticarum plantarum centuria prima. Gedani Rheticum 1672 t. I. tab. 44 et t. II, p. 100. (4) Historia plantarum universalis, vol. III p. 494, sect. 12, t. 13, fig. 11. (5) Sp. pI., ed. I, p. 949. Bauhin Pin. Vaill. Par. Poi (el le splendide figure del Vaillant (2) dimostrano esaurientemente che o: BERE SR 41 re chè infatti la descrizione i Baul si tratta appunto della specie di cui noi ci occupiamo. Quindi perl’avvenire occorre rifiutare come sinonimo dell'O. arani- fera la var. è. di Linneo ed il relativo sinonimo di Breyn ed accet- tare invece la var. $ del medesimo autore col nome del Bauhin e del Vaillant. Il Maratti nella sua Flora romana postuma considera anche egli (seguendo l'esempio linneano) tutte le Op%7;ys come varietà dell’ O- phrys insectifera e Je distingue in numero di otto con le diverse let- tere dell’alfabeto: di esse la var. e: Orchis (adhracnites) araneum re- ferens, sembra dover essere la nostra 0. aranifera od almeno una delle sue forme. Egli descrive poi una varietà come nuova, caratterizzan- dola così: « Orchis (nigerrima) sphegodes floribus nigerrimis rutilantibus (3) — Ad Theathrum Flavium vulgo Colosseo inveni anno 1769: ad pal- mos duos vel tres scapus elongatur, flores in summitate disgregatim ve- getant et vespam aut fucum nigerrimum exprimunt ». Tale descrizione mi sembra corrispondere all’Op4rys atrata Lindl. che noi consideriamo come specie distinta, per quanto molti autori ne facciano una semplice varietà. Sebastiani e Mauri (4) riconoscono un certo polimorfismo nell’ 0. aranifera poichè nella descrizione riconoscono che le gobbe laterali del labello possono essere sviluppate o pur no e può mancare un’ap- pendice di esso. Ed in nota osservano « Ophrys crucigera Jacq. icon. « rar. I, t.86, coll. 1, p. 60 a Willdenoteio uti romani agri indigena re- « censita, species apud Botanicos adhue dubia, forte lusus est O. arani- « ferae, lineis glabris crucis figuram quodammodo mentientibus. Nullam « vere crucem in labello gerentem nobis interea fatendum ». Sanguinetti (5) include nell’O. aranifera come varietà anche 1’. atrata e nella descrizione della specie osserva: « labello . . . . . +... « postice protuberantiis acutis quandoque obsoletis munito ». Bertoloni (6) descrive così il labello di questa specie: « Labium con: « verum basi utrinque instructum colliculo conico vix sensibili interdum « deficiente, bilobum, vel quadrilobum, muticum aut cum appendicula (1) Pinar, p. 83. (2) Bot. parisiense, t. XXXI, fig. 15-16-16a. (3) FI. rom. post. LI, p. 304-305. (4) PF. rom. prodr. p. 810. (5) I. rom. prodr, alt. p. 734. (6) FI. ital. IX, p. 587. < vix rudimentali, supra holosericeum fuscum aut fusce virens varie ma- < culatum plerumque teniolis pectoralibus duabus elongatis ete. . ... » e ne ammette due varietà: var. f. Zabio holosericeo atropurpureo taeniolis pectoralibus liberis == 0. aranifera c. atrata Rchb. fil. et O. atrata Lindl. var. y. sepalis externis roseis, appendicula labii brevissima = 0. eraltata Guss. non Ten. « Var. 2. differt labio villosiore, atropurpureo, maculis taeniolari- < bus duabus quatuor, liberis neque per taeniolam transversam conjun- « ctis. Caetera omnino ut în typo speciei. Var. | vix differt a speciei se- < palis eaternis albidis vel roseis, nervis vividi, internis circiter di- « midio brevioribus, labio paulo longiore, convero taeniolis pectoralibus < subparallelis, lobo medio emarginato, appendicula interjecta brevissima < colliculis baseos evidentioribus. Labium paulo longius non praebet « characterem tutissimum cum viderim ita longum etiam in typo spe- « ciei ». La var. y. di Bertoloni può forse ravvicinarsi a quella forma ibrida da me descritta sotto il nome di Opàrys Grampinì (0. arani- fera Xx tenthredinifera): (1) giustificano questa mia opinione la colora- zione dei tepali esterni, la presenza in essi di nervature verdastre, la maggior lunghezza del labello e l’appendice che si trova alla smargi- natura del suo lobo medio. Bertoloni riferisce alla sua O. aranifera il sinonimo e le figure del Botanicon Parisiense di Vaillant, ma non fa parola del nome linneano. Parlatore ua il grande polimorfismo dell’OpArys aranifera così si esprime (2) « Questa specie varia molto non solo per le cose < sopra dette, ma ancora pel colore delle lacinie del perigonio, per la « grandezza e la forma del labello, per la forma delle sue macchie, < per la presenza o mancanza del dente nella smarginatura e per l’apice « del ginostemio, ora più ottuso, ora più acuto. Così si vedono le foglio- « line esterne di color bianco o bianco roseo con una linea verde lon- < gitudinale, le interne sfumate di violetto, di verde, ora più lunghe, < ora corte, ora più strette, ora più larghe verso la base. Il labello « ora è trilobo, ora intero, più grande o più piccolo, ovato 0 obovato, < più vellutato o più liscio, con le macchie ora unite con due linee < traverse, ora staccate fra loro ed alla base, in modo da formare due « macchiette allungate o parallele nel mezzo del labello, ora unite in- < sieme e larghe da formare una macchia grande e quasi quadra; le < protuberanze laterali ora sono più grandi, ota più piccole e quasi (1) CorTESI. — Una nuova Ophrys ibrida: Xx O. Grampini. Ann. Bot. Vol. I p. 359. (2) FI. it. vol. III, p. 632. u * CES di. € «nul bra x rit 4 » È L ciaO, perni AROMI ST e 3° 7° VRRRPCR RE RIO e, tutte vellutate o lisce in dentro ed ivi con una linea gia < che va sino alla base del labello; la smarginatura di questo ora è . è, « senza dente ora con un dente piccolo e talvolta quasi in forma d’ap- « pendice : l’apice del ginostemio ora cortissimo ed ottuso, ora meno < corto e con una punta quasi acuta. Tali ed altre sono le varietà che « questa specie presenta, nè io saprei qui tutte descriverle, per le « quali cose, variabilissime nei diversi individui, non è possibile di « fare di questi caratteri non solo delle specie distinte, come alcuni « botanici han fatto, ma nemmeno delle forme ». Riguardo all’Op4rys atrata Lindl. da lui considerata come specie. distinta, lo stesso Parlatore osserva : (1) «... Mi pare che sia una specie: « distinta dalla Ophrys aranifera alla quale è certamente affine: ciò. «non ostante essa merita di esser studiata sopra molte piante vive « per vedere sia essa se una delle tante forme o varietà dell’ Op&rys « anzidetta ». Todaro (2) preferisce al nome generico di Op4rys quello di Ara- chnites dello Schmidt (3) e nella sua Araclnites fuciflora forse ha confuso con l’OpArys aranifera di Hudson, anche alcune forme del- Ophrys arachnites come sembra dalla citazione di alcuni sinonimi e registra come sottospecie o varietà le forme seguenti: n. ercaltata. — Perigoni laciniis erterioribus binis interioribus duplo longioribus puberulis. .'panormitana. — Labello ovato, subelongato trilobo, lobis la- teralibus dependentibus basi gibbere conico instructis tab. I, fig. 1 e 2. 3. ambigua. — Labello ovato bilobo, disco glabro limbo piloso revoluto cincto, gibba conica utrinque instructo. La prima forma è l’Ophrys eraltata di Tenore (4) mentre le altre due sono probabilmente delle forme dell’OpArys aranifera. Barla (5) nell’Ophrys aranifera considera invece le seguenti sot- tospecie ed una forma ibrida: a. viridiflora Barla. b. pseudo-speculum DC. c. subfucifera Reich. d. quadriloba Reich. e. atrata Reich. f. niceensis Barla var. specularit. (1) Loc. cit, p. DA. (2) Orch. sic., p. 70. (8) FI. Boém, I, p. T4 (1793). (4) Cat. pl. h. r. neap. app. alt. p. 83. et FI. neap. II p. 303. (5) Ie. Orch. env. de Nice, p. 64 et seg. Di queste “fonme si dà ottime io la var. niceensis non è stata — ch’io sappia — mai ritrovata nel dominio floristico della regione romanae mi sembra che più che all’O. aranifera molto si avvicini all’O. arachnites; la var. quadriloba di Reichembach molto probabilmente — secondo anche l’opinione di Camus (1) — è un ibrido fra lO. aranifera e lO. lutea. Il Boissier (2) considera lO. atrata Lindl. come specie autonoma dall’O. aranifera Huds. aggiungendo la seguente osservazione: « Eam cl. Rchb. fil. ut varietatem O. araniferae habet a qua tamen < vexillo multo majore et magis elongato saepissime apiculato aliter < picto longius velutino basi multo crassius gibboso specifice distineta < videtur. O. mammosa est forma labello brevius velutino ». Lo Schulze (3) riferisce alla specie di cui ci occupiamo le seguenti forme ed ibridi: . genuina Rchb. fil. . fucifera Rchb. fil. . virescens Moggr. . rotulata Beck. . elongata Moggr. . fissa Moggr. . pseudo-speculum Rchb. fil. atrata Gren. araneola Rchb. fil. aranifera Xx fuciflora. aranifera X muscifera. hybrida Pokorny. apicula O. Schmidt. Reichembachiana M. Sch. Di queste forme però mancando una buona illustrazione alcune di esse risaltano poco chiaramente nei loro caratteri differenziali e forse talune sono prodotto di mostruosità o sono ibridi o meticci di difficile diagnosticazione. Il Camus nella sua Monografia (4) all’O. aranifera riferisce: DI ww SISI9 var. viridiflora Barla. var. subfucifera Reich. fil. (1) Mon. Orch. Fr. in Journ. Bot. VII, p. 115. (EI. Orient. V, p. (4. (3) Op. cit. (4) Op. cit. in loc. cit., p. 112 e segg. var. Rea, ‘Reich. fil. var. exaltata Tod. cui riferisce anche il nome di Ten. di Ophrys eraltata e che noi crediamo debba esser tenuta come specie ben distinta. var. specularia Reich. Come razza poi registra l’O. atrata Lindl.; come specie autonoma: 10. pseudo-speculum Coss. di cui registra anche la var. virescens Gren., l’O. arachnitiformis di Grenier et Philippe (che in parte cor- risponde alla var. niceensis di Barla) e che si presenta sotto tre forme: x. cornuta Gren,; f. mammosa Gren.; y. explanata Gren. specie che egli ritiene ben differente dall’O. arachnites cui invece, a giudicare dalle figure di Barla, io sarei molto propenso ad avvicinarla. Inoltre nella sua opera si trovano descritti i seguenti ibridi nei quali 10. aranifera ha funzione di maschio o meglio presenta caratteri prevalenti. X 0. Jeauperti G. Cam. = 0. aranifera Xx pseudospeculum. x 0. Todaroana Macch. = 0. aranifera x atrata. X 0. Saratoi G. Cam. = 0. aranifera % Bertoloni. X 0. pseudofusca Albert et G. Cam. — 0. aranifera Xx fusca. X 0. Aschersoni De Nant. = 0. aranifera Xx arachnites. Arcangeli (1) si basa sulla presenza od assenza nel labello delle gobbe basilari per dividere le Op/rys in due sezioni, il che come ho già detto non mi sembra esatto. Egli poi considera lO. atrata Lind]. come varietà dell'O. aranifera Huds. Fiori e Paoletti (2) nell’O. aranifera iscrivono: a. typica (cum b. Pseudospeculum DC.). f. Tommasini Vis. . lunulata Parl. ò. quadriloba Rcehb. e. fucifera (Sm.) Rchb. (cum db. viridiflora Barla et c. subfuci- fera Rcehb.). Z. atrata Lund]. non L. . Morisiù Martelli. 6. Specularia Rchb. O. aranifero % Bertoloni Barla. O. aranifero x Speculum Macchiati. L'O. Tommasini di Visiani è forse una forma ibrida, come forme ibride riferibili forse all’O. aracknites debbono essere le var. Morist e Specularia. (1) Comp. fl. it., 2" ed. p 171. (2) FI. anal. It., I, p. 283. Ksenelia (1) "rino i Olirge pussrazt o in attrae stes ponte con le seguenti fornie. A: araniferae. — Labello basi egibboso. a, genuina. B. lunulata. . quadriloba ? dò. aureola. bB . fuciferae. — Labello basi bigibboso. Mm . mammosa. . fucifera sea pseudospeculum. n. atrata. SO Egli non condivide l’opinione di Parlatore di tener separata lO. atrata dall’O. aranifera, e ritiene la prima una forma meridionale (od almeno più frequente nel mezzogiorno) della seconda. De Halàcsy nel suo Conspectus Florae Graecae (2) accetta lO. ara- nifera Huds e l'’O. Mammosa Desf.: per questa ultima osserva: < A praecedente (O. aranifera) labello majore, magis elongato, atro, < aliter picto, apiculato, basi gibbis longioribus crassioribusque in- <« structo specifice incedit. — 0). mammosa formam labello brevius ve- < lutino, O. atrata contra formam labello longius velutino unius et < eiusdem speciei sistit ». E Come risulta dall’esame critico dei varî autori noi vediamo che regna una non dubbia confusione nella distribuzione sistematica delle forme dell’OpArys aranifera, all’assettamento delle quali noi speriamo col presente lavoro di dare un certo contributo. Ora passiamo ad esaminare il valore dei singoli caratteri su cui è basata l’O. aranifera, per vedere con l’aiuto dei confronti che pos- sono istituirsi quale sia il limite da assegnarsi a questa specie in rapporto con le forme a lei vicine od affini. Hudson nella III edizione della Flora Anglica (3) così descrive questa specie: « N. 12 Ophrys aranifera. Ophrys bulbo subrotundo, scapo folioso, nectarii labio subrotundo integro emarginato convexo. (1) Orch. gen. et sp., I, p. 104. (2) Consp. fl. graecae, III vol., fasc. I (1904). (3) FI. Angl., ed. III, London 1798, p. 392. R. Syn. 380. Orchis fucum referens colore rubiginoso B. pin. 83. Vaill. par. SI CE dD/-106: Orchis araneam referens B. pin. S4 Vaill. par. 146. t. 30 £.-10.. Orchis sphegodes altera Park. 1851. Testiculus vulpinus major sphegodes Ger. em. 212. Anglis « spider Ophrys ». Habitat in pratis et pascuis cretaceis 24, IV, V. Obs. Corolla, petala quinque; tria exrteriora oblonga, patentia, vi- ridia; duo interiora, lateralia, linearia, herbacea, breviora. Nectarti labium magnum, subrotundum, integrum, emarginatum, converum, co- loratum, sericeum ad basin macula bilobata nitida, glabra, et utrinque maculae dente obtuso e.rerto: subtus concavo, supra atro purpureo, mar- gine viride, infra herbaceo. Da questa diagnosi e dalle osservazioni che l’accompagnano mi sembra risultare evidente che secondo Hudson si dovrebbero conside- rare come appartenenti all’ Ophrys aranifera quelle forme di OpRrys con tepali verdi, labello subrotondo, smarginato munito di gobbe laterali mediocremente sviluppate. Dico mediocremente, perchè nella sua de- scrizione egli chiama le gobbe col nome di dente, il che non avrebbe probabilmente detto se si fosse trattato di gobbe così sviluppate, quali le osserviamo nell’O. atrata Lindl, ove assumono un aspetto ben differente da quello di un semplice dente. Quindi bisogna am- mettere che nell’O. aranifera di Hudson rientri anche 1°0). Pseudo- speculum di Cosson (1)la quale può considerarsi come una semplice forma parviflora di quella specie. Del resto la grandezza dei fiori in questa specie è cosa altrettanto variabile come lo sviluppo delle gobbe del labello e la forma del labello stesso. Questo si può presen- tare: intiero, appena smarginato all’apice, o nettamente bilobo, op- pure trilobo col lobo mediano intero 0 smarginato od anche quadri- lobo per la profonda divisione del suo lobo mediano. Alla smargi- natura può esservi o no un piccolo mucrone. E il suo aspetto può essere subrotondo od orbicolare, od ovoideo più o meno allungato, 0 quasi triangolare oppure trapezioidale espanso. Ho già detto che le macchie glabre del labello hanno forma variabilissima, uno sguardo gettato sulle figure della tavola che illustra questa nota basta per convincersene completamente. Il colore di queste macchie per lo più è bluastro violaceo, ma possono divenir brunastre o gialle quando il (1) Cfr. Coss, Not. pl. crit., p. 16 e Coss. et GERM. 7. env. Paris., ed. II, p. 685 (1861). oa» 2° %0 1407 fiore dopo la fecondazione comincia ad appassire. Così varia con la. epoca della fioritura il colore dei fiori, che per lo più è bruno oppure violaceo oscuro, quasi nero. La superficie del labello — eccet- tuate le macchie glabre -— è vellutata in talune forme, irsuta in altre, come lO. mammosa e lO. atrata ove i peli raggiungono una considerevole lunghezza tanto da conferire un aspetto ispido alla su- perficie del labello. I margini sono sempre meno pelosi, talora per VIE GIA OOO A — Diverse forme di labello in fiori di O. aranifera. B — Variazione nei disegni del labello in fiori di una stessa spiga (forma gibbosa). C — Variazione nei disegni del labello in fiori di una stessa spiga (forma agibba); (figure schematizzate). un certo tratto glabri del tutto ed allora assumono un aspetto car- tilagineo o membranaceo e sono per lo più espansi. Anche variabile è la forma dei tepali esterni talora lineari lanceolati oppure ovato lanceolati con i margini reflessi od arrotolati e con nervature per lo più manifeste (talora è visibile solo la nervatura mediana): gli in- terni sono più brevi, ma variabili anch'essi, perchè alle volte non raggiungono in lunghezza la metà dei tepali esterni, altre volte la superano, sono vellutati con ì margini ondulati, in alcune forme fortemente increspato-crenati, 11 loro colore è generalmente bruno- verdastro mentre quello degli esterni è verde più o meno chiaro, ta- lora con sfumature brunastre. Abbastanza costante è la lunghezza delle brattee che nei fiori inferiori sono più lunghe dell’ovario, nei superiori uguali ad esso o poco più brevi; esse però non raggiungono» mai una lunghezza doppia dell’ovario, come dice Parlatore (1); al- (1) L. cit., p. 532. p° } 4 fi Se ba tg Te -- a ; A 74 SI ad a x Vga DI. PIRA I DS) g SIINO pa » 4 i j uit, - c è alia) RETTO PET, 0 TRE RITO meno in tanto materiale fresco e secco da me studiato io no mai osservato. La statura della pianta è anche assai variabile: le piante a fiori piccoli sono le più basse, talora non superano 1-dem. e giungiamo fino ad esemplari di altezza superiore ai 5 dem. Il nu- mero dei fiori è anch’esso vario: da 2 fino a 9 0 10 in una stessa spiga, che è sempre lassa. Reichembach (1) ha descritto come varietà genuina dell’OpArys aranifera una forma agibba, a giudicare dalle descrizioni e dalle fi- gure degli autori: però questa denominazione non è esatta perchè è capace di generare confusione, poichè la var. genuina o tipica del- l’Ophrys aranifera di Hudson dedotta dalla diagnosi di questo autore è una forma a fiori mediocri con due brevi gobbe alla base del la- bello (... et utrinque maculae dente obtuso exserto). Ed ora ecco sistematicamente riassunte e descritte le forme del- l’Ophrys aranifera. 47. Ophrys aranifera Huds. PZ. ang?. ed. ITI, p. 392. — Seb. et Mauri Fl. rom. prodr., p. 310. — Sang. F. rom. prodr. alt., p. 734. — Bert. FI. it. IX, p.587 (excep. var.). — Parl. 7. it. III, p. 532. Ces. Pass. Gib. Comp. /l. it., p. 192. — Barla /c. Orch. env. de Nice, p. 64 (excep. var. b. c. d. e. f.) — Arc. Comp. fl. it., ed. 2, p. 171. — Ca- mus Mon. Orch. Fr. in Journ. Bot. VII, p. 113. — Schulze Orch. in texto. — Kraenz. Orch. gen. et sp. I, p. 104. — Fiori e Paol. F/. Anal. st. I, p. 233. O. insectifera v. 5 (non è plerorumque auctorum). L. Sp. pl., ed. I, p. 949, p. p. (1753). O. apifera var. f Huds. F/. Angl. ed. I (1762) p. 340. O. arachnithes Savi 7. pis., II, p. 303. O. insectifera e. — Maratti /7. rom. post., IT, p. 304. Arachnites fuciflora Tod. p. p. Orch. sic. p. 72 (excep. var. eraltata). Icones: Vaill. Bot. Par. tab. XXXI fig. 15-16-16 (non Morison Cent. tab. 44 et Breyn /ist. pl. III sect. 12 tab. 13 fig. 11) — Reich. f. Orch. taf. CCOCCXLIX (mediocris). — Barla Icon. Orch. env. Nice pl. 51. — Schulze Orch. tab. 28. — Fiori Paol. Zcon. I fig. 800 Pianta di statura variabile da 1-5 dem: due tuberi ovoidi o su- brotondi : foglie ovali-lanceolate od oblunghe, mucronulate, le infe- riorì curvate esternamente le superiori erette, guainanti. Brattee con- cave, lanceolate, acute 0 rotondate; le inferiori più lunghe dell’ovario, le superiori ad esso uguali o più brevi. (1) Orch, p. 118, var. a, tab. 449. Th di < pcs: MZ ie] Da A et . i ; it : Fiori in spiga assai lassa pauciflora da 2 ad 8 0 più raramente da. 10 a 12 di grandezza varia da cm. 1.5 a cm. 2.5 od anche 3. Divisioni esterne del perianzio erette, ovali-oblunghe o lineari, subottuse, con- cave, con i margini reflessi, trinervie, ma spesso col solo nervo me-. diano ben visibile di color verde o verde-giallastro, talora con sfuma- ture brunastre: divisioni interne lineari lanceolate, con i margini ondulati od increspato-crenati di color bruno-verdastro vellutati, con un nervo mediano ben visibile, di lunghezza inferiore, uguale od al- ‘quanto superiore alla metà dei tepali esterni. Labello in lunghezza uguale o maggiore od alquanto minore dei tepali esterni, di forma 5 5 ’ ‘variabile: rotondato, suborbicolare, ovato-allungato, trapezioidale od ovato triangolare, di color bruno intenso o bruno violaceo nella prima fioritura, bruno giallastro o verde-giallognolo dopo la fecondazione con macchie glabre lucide, di forma e di disegno assai variabili e bizzarre; vellutato sul disco, talora quasi irsuto, quasi o totalmente. glabro sui margini spesso espansi e d’aspetto membranaceo; intero, bilobo, trilobo o quadrilobo, spesso con un piccolo dente o mucrone. all'angolo della smarginatura: privo totalmente di gobbe o con gobbe GGI Diversi gradi di sviluppo delle gobbe del labello. (Figura schematica). manifestantesi come un piccolo dente, oppure mediocremente od anche ben sviluppate. Ginostemio verdastro con becco breve, acuto: ovario 6-costato leggermente contorto. Brattee uguali o più lunghe dell’ovario, lanceolato-acute, concave. Vive nei luoghi erbosi dal mare ai colli e monti fino a 1000 m. circa. Fiorisce in marzo ed aprile nei luoghi bassi, in maggio ed anche ai primi di giugno nei luoghi elevati. Nel suo polimorfismo che — come abbiam visto dalla precedente descrizione — è assai grande si possono distinguere due serie di forme, parallele dedotte dall'esame delle variazioni del labello. Queste serie di forme in parte corrispondono alla divisione che ne fa Reichembach in Araniferae e Fuciferae per quanto non sia esatto chiamare — come egli fa — Araniferae le forme con labello privo di gobbe perchè lO. aranifera tipica di Hudson di queste gobbe è munita, per quanto mediocremente sviluppate esse siano. Ben inteso che queste due. serie di forme non sono nettamente separate fra di loro, ma collegate. 4 I : [i i per mezzo di Poi terri specialmente per ciò Ghe” Yigur da lo sviluppo delle gobbe, per il quale noi troviamo tutti ì gradi di” passaggio. Secondo la mia opinione una classificazione naturale delle molteplici forme dell'O. aranifera basata sulle più importanti. variazioni morfologiche dei suoi fiori è la seguente: A) Agibbe - labello privo di gobbe basali. Serie a. — Forme parviflore: 1) Labello intiero = 0. araneola Rehb. fil. BI Ca bilobo (v. tav. fig. D). 3).ca trilobo (v. tav. fig. C). Serie 4. — Forme con fiori mediocri o grandi. 1) Labello intero — 0. aranifera genuina Rchb. (v. tav. fig. E). - 2) » bilobo(v. tav. fig. 7). 33 BRE trilobo (v. tav. fig. G). B) Gibbose - labello con gobbe più o meno manifeste. Serie a. — Forme parviflore = 0. Pseudo-speculum Coss. (v. tav. fig. Bb). 1) Labello intiero. 2) » bilobo. 9)/ >» trilobo. Serie 6. — Forme con fiori mediocri o grandi —= 0. aranifera typica Huds. (v. tav. fig. A). 1) Labello intiero. 2) >» bilobo. 3) » trilobo —= O. aranifera var. subfucifera Rchb. fil. Le forme gibbose con fiori grandi vellutati od irsuti di color bruno violaceo e con labello trilobo si collegano con lO. atrata Lindl. e con l’ 0. mammosa Desf. che può considerarsi come una forma della prima. Le diverse forme non crescono in stazioni separate, ma promi- scuamente fra di loro, per cui non è troppo agevole dare l'elenco delle località, tanto più che il materiale d’erbario non può servire per fare tali distinzioni, per cui debbo limitarmi a dare l’elenco complessivo delle località ove fu raccolta l’O. aranifera, avvertendo che le forme da me distinte nella classificazione suesposta furono osservate su ma- teriale fresco da me raccolto negli anni 1896-1904, a Fiumicino, a Maccarese, a Monte Testaccio, a Bagni di Tivoli, nei monti sopra Ti- voli ed in altre località della provincia romana. seo */,, (Mauri). — Testaccio */,,*/, (Sanguinetti). — Ostia */4, (San- guinetti) (1). — In montibus Latii ‘/,,, — Villa Pamphily */,,;-°/s (sub O. aranifera Willd. var. atrata! (Sanguinetti). — Villa Pamphily, marzo. — Ad Coliseum (Fiorini-Mazzanti). — Valle dell’ Inferno, 14 apr. 1863. — Maccarese, 25 apr. ’63 (Rolli). — Lungo la via Ostiense a Malafede, 23 apr. 1878; Villa Pamphily, 11 apr. ’77 (Cuboni). — Monte Mario */, 1881 (?). — Porto d’Anzio, 4 apr. ’84 (Pirotta). —— Tra i cespugli lungo la strada sopra al mare tra Anzio e Nettuno, 3 apr. ’84. — Filettino, apr. 1887 (leg. Martelloni det: Pelosi). — Tivoli, 27.V.’87 (leg. Terracciano sub O. neglecta ?). — Strada da Martignano ad An- guillara, 5 apr. '87; Acque Albule, 30 apr. ’87 (Pelosi). — Testaccio, 29 IV 1891 (Terr. et Cann.). — Acquatraversa, apr. 1894 (leg. Pappi det. Cortesi). — Isola Sacra a Fiumicino, 30 marzo 1895 (Pappi det. Cortesi). — Alla sinistra della foce dell’Arrone, Maccarese, 16 apr. ’95 (T. A. Baldini). — Borghetto (Civita Castellana), 19 apr. ’95 (leg. Pappi det. Cortesi). — Lungo il torrente Paglia presso Montearaba- glio, 17 V1 1900 (leg. Pappi det. Cortesi). Herb. Cortesi: Fiumicino. — Isola Sacra, IV 1895. — Ostia, apr. 1900. — Acqua Traversa. — Monte Gennaro. — Monti calcarei intorno a Tivoli. — Maccarese. — Monte Testaccio. — Monte Circeo. — Bagni di Tivoli — Dintorni di Terracina (leg. F. Cortesi). Herb. Grampini: Monte Testaccio, IV. 1889. — Fiumicino, IV 1895 (0. Grampini). Ophrys atrata Lindl. A prima vista sembrerebbe confondersi con una delle tante forme dell'O. aranifera Huds. con la quale molti autori l'hanno confusa ed alla quale altri l’hanno subordinata come varietà. Ma la costanza dei suoi caratteri dedotti dalla grandezza dei fiori, dalla irsuzie del labello di color violaceo scuro, dal grande e costante sviluppo delle gobbe laterali, e dalla presenza sul discodellabello di due macchie gla- bre sotto forma di linee parallele congiunte alla base, caratteri che si dimostrano assai costanti attraverso le esperienze cnlturali cui per parecchi anni ho sottoposto questa forma fanno ritenere che sì tratti di una buona entità sistematica ben distinta. Può conside- (1) Sul cartellino è scritto: Ophrys aranifera Willd. varietas labelli mar- gine expanso patulo dorso toto lineato prominentiis nullis apice minime ap- pendiculato. Si tratta della forma agibba, grandiflora a labello appena smar- ginato rappresentata nella fig. E della nostra tavola. rarsi come una forma meridionale dell'O. aranifera poich CA La y * È) °° ì ELGcA r 4 LA «g? * » i PARTA wu è gione mediterranea e nelle reg. meridionali d’Italia, nelle isole, in Grecia, a Creta ecc. l’O. atrata è più frequente dell’aranifera, anzi in alcuni punti del littorale si può dire che non si trova altro che (). atrata. In molti luoghi vive promiscuamente con l’O. aranifera, e non è improbabile che s’ibridi con essa, ma queste forme ibride sono straordinariamente difticili a potersi riconoscere. 48. Ophrys atrata Lindl. Bot. reg. t. 1087. Orchid. p. 376. Parl. FI. it. III p. 533. Ces. Pass. Gib. Comp. F. it. pag. 192. Camus, Mon. Orch. Fr. in Journ. Bot. VII pag. 114. O. aranifera var. atrata Sang. FI. rom. prodr. alt. p. 734. Are. Comp. fl. it. 2 ed. p. 171 Barla. Ze. Orch. env. p. 66 Schulze Orch. in texto. Fiori e Paol. 7. anal. It. I p. 238 Kraenz. Orch. gen. et. sp. I pag. 105. O. aranifera b. Bert. FI. it. IX p. 586. Arachnites fuciflora var. Panormitana et ambigua. Todaro Orch. sic. p. 15. Icones: Reich. f. Orch. taf. CCCCLII — Barla Ic. OrcA. pl. 53 et 54 fig. 1-11 — Schulze OrcA. taf. 28 fig. 9. — Tab. nostra fig. H. Nessuna differenza nelle parti vegetative di questa specie con . quelle della precedente. Fiori grandi in numero di 2-6, in spiga lassa. Tepali esterni eretti oblunghi-ottusi di color verde chiaro; i due laterali interni più corti uguali circa alla metà degli esterni ottusi 0 un pò smarginati con i bordi ondulati od increspati, vel- lutati di color verde bruno. Labello uguale in lunghezza alle divi- sioni esterne perigoniali o più lungo di esse, obovato o subrotondo, vellutato irsuto di color bruno violaceo molto scuro, con due gobbe coniche laterali basali molto sviluppate, più o meno manifestamente trilobo col lobo mediano smarginato e spesso munito di un piccolo dente all'angolo della smarginatura; con macchie glabre lucide di color bluastro oscuro, a forma di due linee parallele congiunte verso la base del labello. Questa forma di macchie a differenza di quella della specie precedente è costante. Ginostemio a becco corto ottusetto. Brattee lanceolato, lineari, concave, acute all’apice, uguali in lunghezza all’ovario o più lunghe. Vive nei luoghi arenosi ed erbosi marittimi e submarittimi e qua e là nei colli aprici: è specialmente abbondante nelle stazioni marittime. Probabilmente dà degli ibridi con le forme dell’OpArys aranifera (0. Todaroana Macch. Nuov. Giorn. Bot. XIII p. 5314, 1881 —= 0. aranifera X atrata) ma stante la grande somiglianza fra le vr ss: nella re- due: specie la loro distinzione e limitazione è assai difficile per non dire impossibile. Herb. rom: M. Testaccio 21 apr., 75 (D Ntrs. sub. O. aranifera var.) 2.41881 (det. F. Cortesi) — 29. IV. 91. (Terr. Canneva). Ho poi raccolto questa specie e ne conservo esemplari in forma- lina a Fiumicino a Maccarese ai Bagni di Tivoli. Herb. Cortesi: Fiumicino — M. Testaccio — Bagni di Tivoli (F. Cortesi). Herb. Grampini: Fiumicino (IV. 1895) (0. Grampini). 3. — Forme ibride riferibili all’O. aranifera. Huds. Fino ad ora nella nostra provincia non sono state segnalate che due forme ibride di questo gruppo, che sono state da me trovate e descritte, ma non è improbabile che ulteriori ricerche conducano a scoprirne delle altre. 49. x Ophrys Grampini Cort. Ann. Bot. I p. 359. fig. C. —= O. aranifera X tenthredinifera. dl dall’aspetto di Op4rys aranifera della statura di 4-5 n: foglie oblunghe lanceolate, mucronulate lucenti nella pagina supe- riore; fiori 4-7 in racemo, brattee verdi, erbacee, chiaramente ner- vate le inferiori più lunghe 1'/,-2 volte dell’ovario le superiori uguali ad esso; tepali esterni ovato-ottusi, roseo verdastri 3-nervi, gli in- terni bruno-verdastri lunghi circa '/, degli esterni, più lunghi che nell’ O. tenthredinifera, più brevi che nell’O. aranifera, labello simile a quello dell'O. aranifera, gibboso alla base, bilobo, mueronulato alla smarginatura, col mucrone leggermente eretto, col disco bruno pu- bescente vellutato, con i margini glabri giallo-verdastri quasi mem- branacei. Fiorisce fra le specie stipiti nel mese di aprile. Via Appia antica 17.IV. 1905 (leg. O. Grampini). M. Testaccio 25 IV. 1905 (F. Cortesi). Nell’Erbario Grampini, per gentile dono del proprietario venuto in mio possesso, ho trovato un esemplare di quest’ibrido dal profes- sore Grampini raccolto fin dal 14 aprile del 1892 e da lui determi- nato come 0. tfenthredinifera Xx aranifera. L’esemplare di M. Testaccio ha i fiori più piccoli di quello della Via Appia, forse ciò è dovuto al fatto che 1’O. aranifera è interve- nuta nell’ibridazione con una delle sue forme parviflore. 50. x Ophrys Camusii Cort. Ann. Bot. vol. V pag. 541. , = 0. aranifera X exaltata. ANNALI DI BoranIcA — Vot. V. . 36 pi, Pi P D) +, - > È £ ® « 4 è RT re 7 * È ge — ee TI VASIPET, [PS ha REC, VS ® PVT SIETE nia Pianta dell'aspetto di 0. aranifera, alta 2-4 de m.; fiori 3-6 in spiga lassiflora; fiori più grandi che nell’O. aranifera typica e più piccoli di quelli dell’ O. eraltata, brattee verdi erbacee le inferiori lunghe circa 1'/, volte l’ovario, le inferiori eguali ad esso manife- statamente nervate; tepali esterni grandi, ovato lancolati con ì mar- gini reflessi bianco rosei dilavati di verde, trinervi; i due interni lancolati acuti, vellutati uguali o più lunghi della metà degli esterni, di color rosso bruno: labello ovato convesso come nell’ 0. aranifera, vellutato trilobo o bilobo col lobo intermedio smarginato munito di un’appendice triangolare carnosetta rivolta in alto; lobi laterali re- flessi spesso muniti alla base di due brevi gibbosità, di color bruno con macchie lineari glabre giallo-brunastre di vario aspetto: gino- stemio con rosto breve acuto od ottusetto. Quest’ibrido fu da me trovato a Maccarese fra le specie stipiti e si presenta in due forme: a — gibbosa — con gobbe del labello bene sviluppate. b — agibba — senza gobba alla base del labello. Maccarese, nelle sabbie marittime della pineta, aprile 1902-1904. (F. Cortesi). Dal R. Istituto Botanico di Roma, Gennaio 1907. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. SOA A — Fiore di Ophrys aranifera typica; 1 ni "e lo stesso visto di profilo. ; passo B — Fiore di Ophrys aranifera parviflora gibbosa; ei Sa lo stesso visto di profilo. Si C — Fiore di Ophrys aranifera parviflora agibba con labello trilobo; lo stesso visto di profilo. s % D — Fiore di Ophrys aranifera parviflora agibba con labello smarginato , vare ovato-triangolare; ; Sco lo stesso visto di profilo. Rel: E — Fiore di Ophrys aranifera grandiflora agibba con labello quasi in- tiero, ovato-triangolare F — Fiore di Ophrys aranifera grandiflora agibba con labello espanso smarginato, mucronato; lo stesso visto di profilo. G — Fiore di Ophrys aranifera agibba con labello trilobo e col suo lobo mediano bilobo; Rag £ lo stesso visto di profilo. ILA H — Fiore di Ophrys atrata; wo lo stesso visto di profilo. # È i, Tod 23 REI «Pa 5. Tia be pene ge, «I F£ Ricerche sulla vitalità delle cellule amilifere degli endospermi delle Graminacee della signorina dott. DIANA BRUSCHI ARGOMENTO. Ancora è irresoluta la questione se il materiale di riserva contenuto nell’ endosperma dei semi venga durante la germinazione digerito esclusivamente dagli enzimi che sono segregati dall’embrione, o se piuttosto anche le cellule stesse dell’albume ritornino in attività vitale e sciolgano da sè la massima parte dei carboidrati, grassi e sostanze proteiche trasformandoli in prodotti solubili a piccola mole- cola, così che l'embrione non farebbe che assorbire l'alimento pre- parato dalle cellule del tessuto nutritizio. Per sciogliere tale questione si sono battute due vie. L'una con- sisteva nel cercare se l'embrione secerne realmente enzimi, i quali penetrino nell’albume: l’altra se esso possa sostentarsi da sé anche se strappato all’endosperma e provvisto di alimento. Van Tieghem (1) (1873) e Blociszewski (1876) trovarono che di- versi embrioni privati dell’albume si sviluppano su poltiglia d’amido, ma non badarono ai bacterii che senza dubbio avevano infettato le loro culture e decomponevano l’amido con la loro potente diastasi. Lo stesso appunto è da farsi alle ricerche di Brown e Morris (1890) ‘e Griiss (1894), secondo i quali gli embrioni di orzo si sviluppano sulla gelatina inamidata -flaidificandola. A Linz (1896) riuscì di far crescere sterilmente embrioni di mais su gelatina contenente amido solubile e trovò che essi per la super- ficie dello scutello assorbono bensì zucchero, ne segregano anche, ma non lasciano uscire la minima traccia di diastasi, ciò che Griss ha «confermato in un lavoro ulteriore (1897). (1) Vedi in fine l’elenco degli autori citati. ta ; Eps n “ee i E REV CANNA «49 i 7 Li" "CR RAMON A restii, . A SET i Far Lieder Vic in linda ide A Dunque l’epitelio dello scutello non è una glandola diastasì sebbene le sue cellule, come già osservò Haberlandt (1884), si allunghino enormemente durante lo svotamento dell’albume e pre- sentino, come le fine ricerche citologiche di Reed (1904), di Sargant e Robertson (1905) hanno dimostrato, tutti ì caratteri di cellule vi- vacemente secernenti. Quest'ultimo fatto resta spiegabile anche se. esse non lasciano esosmire enzimi: sono infatti essi, come ha mo- strato Linz (1896), che fabbricano la massima parte di amilasi al servizio dell'embrione e che assorbono ed elaborano anche, come già constatarono Brown e Morris, tutti i prodotti dello svotamento del- l’albume. Se l'embrione non manda diastasi nell’endosperma, bisogna che questo pensi da sè a disciogliere il proprio contenuto; e qui ci im- battiamo in una serie di ricerche che la nostra ha per scopo di com- pletare ed ampliare. Sachs (1862) ritenne che l’endosperma delle graminacee rimanesse affatto passivo durante la germinazione, e venisse sfruttato attiva- mente dall’embrione. Al Gris (1865) era già noto il differente portamento degli albumi amilacei da quelli contenenti aleurona ed olio. I primi esperimenti però furono fatti da Van Tieghem. Van Tieghem (1877, pag. 582) trovò che gli albumi isolati del Ri- cinus communis, posti in condizioni paragonabili alla germinazione, respirano e digeriscono se stessi dopo che l’aleurona e l’olio sono consumati, mentre gli endospermi di canna (endosperma amilaceo) e di dattero (endosperma corneo) sono passivi e restano invariabili. Ciò dimostrerebbe che gli endospermi ricchi di olio e di aleurona dige- riscono sè stessi e posseggono vitalità, mentre gli endospermi ami- lacei e quelli che contengono come riserva emicellulosa, non digeri- scono sè stessi e non posseggono vitalità. Brown e Morris dopo un esteso studio dell’endosperma dell’orzo convennero con Van Tieghem che l’endosperma amilaceo delle gra- minacee è un « magazzino morto » di materiale di riserva. Essi ulte- riormente trovarono (1890, pag. 525) che la capacità diastasica delle cellule scutellari è distrutta dal trattamento con vapori di cloro- formio. D'altra parte essi dicono morte le cellule dell’endosperma mentre pur queste contengono diastasi, dal momento che si sciolgono. È bensì vero che Brown e Morris sperimentarono esclusivamente coll’orzo in cui molto tempo prima che l’amido sia attaccato, le pareti cellulari dell’endosperma vengono totalmente distrutte, così che difficilmente sì potrebbe ascrivere vitalità a queste cellule; ma non è men vero secernente e Ei VA prat a PI PSIO i he nel mais lo scutello non emette diastasi, così che, per lo meno in questa pianta, le cellule dell’albume debbono pure produrla da sè. Dunque esiste già una differenza tra il mais e l’orzo. Haberlandt (1890) tentò di sostenere che lo strato ad aleurona secerna da sola la diastasi che scioglie i materiali dell’endosperma, basandosi sul fatto che grani d’amido, deposti sullo strato ad aleu- rona lavata, sono attaccati entro 24 ore. Egli escluse che questa amilasi vi arrivasse dallo scutello, interrompendo la comunicazione fra quest’organo e lo strato ad aleurona, mediante una incisione anulare. Ma questi esperimenti provano solo che anche lo strato ad aleurona contiene diastasi. Linz ha infatti poi dimostrato, quantita- tivamente, che nello strato ad aleurona di mais c’è diastasi, la quale anzi aumenta durante la germinazione come aumenta nell’endo- sperma; ma la quantità di fermento fabbricata dallo scutello è sempre molto maggiore. Con grande chiarezza abbordarono la questione Pfeffer (1893) ed il suo allievo Hansteen (1894); essi ritennero non esatte le conclusioni di Van Tieghem sullo svotamento autonomo, che avverrebbe solo nei semi oleacei ma non nei semi amilacei, perchè Van Tieghem non aveva provveduto alla eliminazione dei prodotti della digestione, l’ac- cumulo .dei quali potrebbe impedire subito l’ulteriore digestione, ciò che si può facilmente prevedere per il principio dell’azione di massa che governa tutte le reazioni e gli equilibri chimici. Siccome si tratta di reazioni reversibili, allorchè i prodotti di de- composizione hanno raggiunto una data concentrazione, la velocità » di reazione nel senso della scissione tende a diventare nulla, mentre si fa sensibile la reazione inversa, nel senso della ricomposizione dell’amido. Per consiglio di Pfeffer, Hansteen, per ottenere un rapido allonta- namento dei prodotti di dissoluzione dell’amido, fissava gli endo- spermi isolati su colonnette di gesso immerse quasi fino alla som- mità in una sufficiente quantità di acqua. Così gli endospermi erano bene aereati e i prodotti di scioglimento dell’amido, usciti dall’en- dosperma per la superficie di ferita (d’onde era stato staccato l’em- brione), si diffondevano attraverso il gesso nel liquido circostante. In questo modo infatti accadde uno svotamento completo con fuo- ruscita di zucchero riduttore dagli endospermi amilacei di orzo, fru- mento, segale; fu quasi completo quello del mais, dell’endosperma corneo (emicellulosa) di dattero e di altri tessuti di riserva. Se la quantità d’acqua era limitata, lo svotamento si arrestava appena iniziato. endospermi farinosi e cornei sono vivi, telo che per il 6 svota- mento è condizione necessaria l’asportazione continua dei prodotti di scioglimento. Anche Griiss (1895) osservava che le sostanze di decomposizione diastasica dell’amido paralizzano l’azione dell’enzima. Linz (1896) ripetè questi esperimenti coll’endosperma di mais. Posti questi endospermi in uno spazio umido, ma in modo che non potessero emettere nulla, il contenuto in diastasi aumentava (1). Lo stesso si ottiene tenendoli cinque giorni su carta bibula. Infatti Griiss (1896, pag. 439) trovò che gli endospermi di mais mantenuti sterili in condizioni simili a quelle di germinazione per dodici giorni, det- tero una reazione molto positiva col perossido di H e la tintura di guaiaco. Un simile risultato ottenne Griiss per l’endosperma di orzo. Se questa prova col guaiaco potesse accertarsi come valevole per la dimostrazione di diastasi se ne potrebbe arguire che gli endospermi di mais e di orzo sieno capaci di generare enzimi indipendente- mente dall’embrione. Ma la prova del guaiaco non vale che per le ossidasi, la cui presenza è nota anche nella farina, cioè in endospermi indubbiamente morti. Mettendo invece l’albume su colonnette di gesso, in 80 cem° di acqua, dopo 5 giorni Linz non notò alcuna cor- rosione dei grani d’amido. Egli stabilì anche che la diastasi non dif- fonde nel liquido ma bensì continua anche dopo diciotto giorni ad aumentare lentamente, così che alla fine l’amido viene parzialmente corroso e sciolto. La corrosione comincia verso 1’ 8° giorno ed au- menta fino al 18°; ciò che corrisponde al periodo normale coll’em- brione. L'aumento di diastasi nell’endosperma isolato potrebbe es- sere ritenuto un fenomeno dimostrante la vitalità di questo tessuto, assai meglio delle esperienze di Hansteen, perchè, come osserva Linz, anche se si trattasse di amilasi morta si avrebbero i fenomeni su cui insiste Pfeffer. Haberlandt aveva già notato l’importanza dell’a- sportazione dei prodottti dell’amilolisi, perchè aveva osservato che se si taglia l'embrione di segale fino allo scutello non si ha svotamento di sorta, il che accade invece se sì lascia un moncone di radice che cresca. Nel mais, in queste condizioni, Haberlandt ottenne solo un principio di scioglimento che presto si arrestava. Questi fatti ser- virono ad Haberlandt per spiegare come mai nonostante la pretesa secrezione di diastasi da parte dello strato glutinoso gli endospermi isolati nelle sue esperienze non si svotavano. (1) Brown e Morris avevano trovato che in queste condizioni la diastasi . mon cresce. « Mao ramai, la teoria di Haberlandt può considerarsi definitiva- mente battuta, oltre che da Brown e Morris, anche dalle osserva- zioni di Linz e Hansteen. Linz obbietta che non è vero, come ammette Haberlandt, che in tutti i serbatoi la dissoluzione incominci dalla periferia, e osserva che lo strato ad aleurona staccato corrode l’amido perchè contiene cellule rotte che lasciano sfuggire la diastasi. Hansteen aveva in- tanto trovato che gli endospermi privati dell’aleurona, messi sul gesso, sciolgono il loro amido. Però, osserva Linz, si potrebbe cre- dere che l’amilasi vi fosse già immigrata dall’aleurona, qualora Linz medesimo non avesse dimostrato che la diastasi aumenta anche nel- l’endosperma isolato. Siccome però Griiss, in una serie di lavori (1893-'94-’95’-96) ten- tava di sostenere le idee di Haberlandt e portava confusione anzichè chiarezza nell’intricata questione, Purjewitsch (1898) per consiglio di Pfeffer riprese le esperienze di Hansteen sul frumento, segale, orzo, riso, Tetragonolobus purpureus, Phoenix dactylifera, ponendoli sopra colonnette di gesso immerse in 200 cm* di acqua, addizionate per lo più di un centimetro cubo di H* PO* al 5 %, oppure in soluzione al 0.5 °,, di KP, PO,. Ne seguì una notevole corrosione del grani d’a- mido e la comparsa di sostanze riducenti nel liquido esterno. Le esperienze duravano parecchi giorni alla temperatura di 25°-27°. La corrosione dei grani d’amido cominciava nella parte vicino allo scu- tello e progrediva verso il centro. Secondo Purjewitsch la tempera- tura accelera lo svotamento perchè fa aumentare la respirazione (per- dita di sostanze) e perchè accelera l’azione della diastasi. Anche Purjewitsch osservò che l'accumulo dei prodotti di digestione osta- cola l’ulteriore svotamento, e per questo nelle sue esperienze adope- rava una forte quantità di acqua. Nei liquidi esterni trovava sostanze riducenti che aumentavano se si facevano bollire 1 liquidi con H° SO* diluito. La quantità di zucchero non riducente diminuiva man mano che si andava avanti nello svotamento; quindi l’autore opina che dagli endospermi esca prima zucchero facilmente solubile, già preformato, e poi gli zuccheri dovuti alla decomposizione dell’amido; oppure si può ammettere, egli dice, che la decomposizione dell’amido accada gradatamente, e che prima escano prodotti diversi dalla de- strina e dal maltosio. Dall’albume di frumento sarebbe uscito anche del saccarosio. Zuccheri e sali, come K NO*, Ca Cl? e K CI, ad una concentra- zione maggiore del 5 %, ostacolavano lo svotamento nelle esperienze di Purjewitsch che spiega questi arresti ammettendo che le dette sostanze producano una parziale plasmolisi, la quale impedirebbe alle sostanze cellulari di uscire; Bir st urta c con ‘numerose os SAT servazioni fatte sul lievito, in cui la plasmolisi fa anzi uscire perfino dell’ invertasi (1). Del resto anche Griiss si serviva della plasmolisi per far uscire diastasi dai semi germinanti. Piuttosto Purjewitsch non ha tenuto conto che altri sali, anzi- tutto il fosfato di calcio e il gesso medesimo, accelerano la diastasi, ciò che può avere favorito notabilmente lo svotamento nelle sue espe- rienze. L’experimentum crucis di Purjewitsch rimane quindi quello sul- l’azione dell'etere e del cloroformio, i quali narcotici impedirebbero, secondo il nostro autore, lo svotamento degli endospermi di mais. Meno dimostrativa in favore della vitalità delle cellule dell’albume è l'osservazione di Purjewitsch, secondo cui l’endosperma non aereato: non si svota. Infatti, se per caso l’amilasi sì trova nel seme in riposo precipuamente allo stato di proenzima, il quale poi per ossidazione passa in enzima attivo durante la germinazione, si avrà un risultato analogo a quello di Purjewitsch. A. questo proposito ricorderò che or sono molti anni Baranetzky (1878), Wortmann (1882) e Detmer (1885) hanno provato che la presenza di ossigeno libero è necessario alla for- mazione della diastasi nei semi. Infine appunto l’esperienza che do- veva essere più probativa, dette a Purjewitsch un resultato contrario alla idea che egli si sforzava di sostenere. Diversi organi di riserva notoriamente vivi e svotati col metodo di Hansteen sì riempiono se posti su acconce soluzioni nutritive; ma cogli endospermi farinosi e cornei ciò non riuscì. Ciò nonostante Purjewitsch e Pfeffer (1897), ritengono che anche gli endospermi amilacei e cornei sieno vivi e si svotino autonomamente. Brown ed Escombe (1898, pag. 14) hanno confermato che endo- spermi di orzo rimasti in acqua satura di cloroformio per 24 ore non mostrarono alcuno svotamento per parecchi giorni fino a che non furono invasi da microrganismi, mentre altri non cloroformizzati mo- strarono un notevole svotamento. Essi osservano che in questo caso lo svotamento è sub-aleuronico e la soluzione dei grani d’amido è più forte nelle cellule dell’endosperma subito sottostanti allo stato glutinoso; volendo così dimostrare che le sole cellule dello strato ad aleurona si possono considerare vive. Inoltre lo studio citologico delle cellule dell’endosperma provò a questi autori che mentre le cellule dell’aleurona mostrano un nucleo ben definito e tutti gli usuali segni citologici di attività vitale, le (1) Letteratura al proposito in PANTANELLI (1906, pag. 16). ed * Î) = za dae e v) n . ve cellule amilifere dell’albume hanno un nucleo deformato e una strut- tura che in generale indica vecchiezza. Brown ed Escombe negano anche la capacità autodigestiva delle cellule amilifere dell’orzo, perchè l’endosperma di orzo senza embrione e senza aleurona, tenuto in con- dizioni favorevoli per la germinazione e per l'allontanamento dei prodotti di scioglimento dell’ amido, non mostrò alcuna differenza paragonato agli endospermi trattati per 24 ore con cloroformio. Dopo queste esperienze essi conclusero che sebbene lo strato pe- riferico dell’endosperma, il cosidetto strato ad aleurona, consista in- dubbiamente di cellule viventi, non può ottenersi la prova dell’esi- stenza di una vitalità nelle cellule amilifere che costituiscono la più grande porzione dell’endosperma. Però essi ammettono oramai che l’albume di varie graminacee e di dattero sia capace di autosvota- mento; ma questo potere sarebbe interamente indipendente dall’em- brione essendo necessaria per la sua manifestazione la sola condizione, che sia impedito l’accumulo dei prodotti di scissione nell’endosperma. Ciò però, secondo Brown ed Escombe, non basta per dimostrare che questo tessuto è vivo. Recentemente Pond (1906, pag. 181) ha dimostrato che l’endo- sperma isolato di dattero non si svota affatto da sè in contrapposto a quanto affermavano Hansteen e Purjewitsch. Le mie ricerche hanno per punto di partenza le esperienze di Purjewitsch, che ho accuratamente ripetuto. Non mi sono però ac- contentata dei suci metodi ed argomenti, bensì ho chiamato in aiuto diversi metodi di fisiologia macroscopica e cellulare per stabilire se e quanta vitalità si abbia negli endospermi delle quattro graminacee principali: mais, frumento, orzo e segale. Svotamento del mais durante la germinazione. Una sezione di seme completamente secco di mais ci mostra alla perife- ria oltre i soliti tegumenti del seme uno strato di cellule ad aleurona, ricco d’albumina, ritenuto e provato da tutti gli autori come vivente. Al disotto di esso si presenta la massa endospermatica divisa in due parti: una più vicina allo strato ad aleurona, più compatta d’un colore più intenso, trasparente, ricca di amido di riserva in forma di grani poliedrici, regolari presso a poco eguali i quali riempiono totalmente la cellula e stanno incap- sulati nel protoplasma in modo che questo è ridotto ad un fine reticolo o me- glio. ad un sistema di alveoli. Queste maglie di protoplasma sono nella porzione esterna dell’albume. più spesse che nell’interna, così che la porzione periferica ha consistenza ed aspetto di tessuto corneo (glutinoso) mentre la parte centrale del seme che. uil it —S x "D “ i È. . scutello embrionale le cellule dall'altbims sì appiattiscono Gradita “in--& «direzione tangenziale alla superficie dello scutello, fino a collabire quasi com- pletamente in vicinanza di questo. La porzione cornea dell’albume si rivela anche microchimicamente assai più ricca di albumina che la porzione farinosa centrale. Nell’embrione, la parte maggiore è costituita in questo seme dello scu- - tello. Negli organi embrionali si trovano albumine in quantità rilevante, e, ciò che può sorprendere, anche dell’amido in piccoli grani. Nello scutello l’amido trovasi nel tessuto perenchimatoso insieme a una certa quantità di albumina; le cellule assorbenti dell’epitelio, che rivestono la superficie esterna dello scutello, sono nel seme in riposo poco allungate; conten- gono molta albumina e punto amido. Zuccheri riduttori non si incontrano in alcuna parte del seme in riposo. Dopo sette giorni di germinazione a 18°, la quantità d’albumina nelle diverse parti è rimasta invariabile o quasi, e lo stesso vale per l’amido; solo è da notarsi la presenza di zucchero riduttore in quantità rilevante nella parte di albume prossimo ‘allo scutello; più rilevante ancora nelle cellule assorbenti di questo e nei fasci vascolari dell’ embrione. Le ‘cel- lule dello scutello si sono un po’ allungate. Con il procedere della germinazione si nota fino al 16°-18° giorno un au- mento continuo di zucchero in tutti i tessuti del seme ma in ispecial modo nell’endosperma. I grani d’amido, che non sono molto grossi, presentano sempre più una netta corrosione fino a ridursi in frantumi piccolissimi, quasi fossero co- stituiti da tanti granelli più piccoli, cementati insieme da una sostanza che viene disciolta più presto. Le albumine in questo tempo diminuiscono nell’albume e in parte anche nei tessuti dell'embrione e lo strato corneo va sempre più riducendosi di spessore. Dopo 16-17 giorni di germinazione, quando la piantina ha già messe due foglioline, raggiungendo la lunghezza di 5-7 centimetri, la quantità di zucchero viene a diminuire nell’endosperma come nei tessuti embrionali dello scutello, per quanto il materiale di riserva del seme sia abbondante. Lo scutello in questo tempo è cresciuto fortemente per aumento di volume delle sue cellule parenchimatose, ma in compenso le cellule assorbenti del- l’epitelio non si sono allungate ulteriormente. Svotamento dell'endosperma di mais privo di embrione e di scutello. Per ottenere questo svotamento ho fatto uso del metodo di Hansteen e Purjewitsch come quello che dà i migliori risultati. Si pongono i semi, dopo averli tenuti in bagno per 48 ore, in CuSO* al 3°, per alcuni minuti per disinfettarli esternamente, quindi, privati con arnesi sterili dell'embrione e dello scutello, si immergono di nuovo in CuS0', per disinfettarne la ferita, poi in acqua sterile. Fatto ciò, i semi | va al gesso sterilizzato, immerse sia in acqua sterilizzata sia in H° PO‘ 0. 001 norm.,. pure sterile. Prima di cominciare l’esperienza i semi subiscono un accurato esame. microchimico. Finita l’esperienza, durante la quale il decorso dello svotamento è seguito microchimicamente, i semi avanzati vengono fissati per lo studio citolo- gico; ed il liquido esterno viene esaminato per vedere se contiene sostanze riducenti. Purjewitsch fissava il materiale sulle colonnette mediante gesso iresco in modo che la superficie di ferita fosse completamente immersa nel gesso. Nelle mie prime esperienze invece formavo una specie di piattaforma di gesso con un leggero orlo, e la riempivo di sabbia quarzosa lavata con acido clo- ridico, poi con acqua distillata fino a scomparsa della reazione acida. In questo straterello di sabbia venivono ficcati gli endospermi con la superfi- cie di ferita immersa nella sabbia, ma per la grande difficoltà di impe- dire l’accesso delle muffe ho presto abbandonato questo metodo per tornare a quello di Purjewitsch. Lo svotamento si svolgeva in ambedue i casi in modo simile, ed ecco quanto ho osservato: Esp. I. — 71.7 cme. di acqua (senza H° PO*); forme di gesso con strato di rena silicea; varietà: Zea Mays romana: temp. 16°; durata dell’esp.: 7-16 dicembre. Dopo 9 giorni forte quantità di zucchero nell’albume e grani d’amido fortemente corrosi. I 71.7 cm° del liquido concentrati fino a 35,5 cme. ridussero debolmente il liquido di Fehling, accusando così la presenza di piccola quantità di zucchero riducente; però colo- rarono il liquido in verdastro, intorbidandolo; colorazione e intor- bidamento dovuti all’albumine che erano passate dal seme nell’ac- qua (1). Gli endospermi avanzati furono fissati in acido cromo- acetico. Esp. II. — 75 cme. di H5 PO* 0.001 norm.; endospermi fissati con gesso fresco su colonnette di gesso; varietà: Mays quarantino di Lombardia, affine al Cinquantino Mays usato da Purjewitsch; temp.: 16°; durata: 17 marzo» 9 aprile. Questo metodo Lie risultati migliori del primo. Dopo 9 giorni gli endospermi presentavano una certa quantità di zucchero riducente, e i grani d’amido corrosi. Dopo 20 giorni la quantità di zucchero era fortemente cresciuta, lo strato corneo del seme diminuito di spessore e sparita la parte farinosa. ‘ (1) Anche Pursewirscn menziona per il mais e per il frumento l'uscita di sostanze albuminoidi dall’albume in svotamento. Dopo 23 giorni tolta l'esperiénza, fu esaminato il guido, che concentrato al volume di 10.4 cm° ridusse il reattivo Fehling dando mg. 42 di Cu0. Gli endospermi avanzati furono fissati in soluzione satura di sublimato corrosivo ed acido picrico in alcool assoluto (1). Volli vedere come sì comportassero le specie saccarine di mais. A ciò posi le seguenti due esperienze. Esp. 1II.—150 em° di H* PO* 0.001 norm.; endospermi fissati con gesso fresco su colonnette di gesso; varietà: Zea Mays saccharata lilacina dulcis ; endospermi 10; temp.: 18°; durata: 7-19 maggio. Nel giorno in cui l’esperienza fu tolta si osservò che questo mais, che in istato secco aveva esternamente un colore lilla chiaro, aveva preso una tinta molto più scura tendente al rosso cupo. I grani di amido erano fortemente corrosi specialmente nella parte in cui si era staccato lo scutello, abbondante il glucosio. La parte farinosa del seme era fortemente diminuita. Esaminato il liquido esso reagì col Fehling dando traccie di Cu0 (circa 2 mg.) e un precipitato colloide (albumina). Esp. IV. — 130 em* di H° PO* 0.001 norm.; fissati con gesso fresco su colonnette di gesso; varietà: Zea Mays saccharata rubra dulcis; 10 endo- spermi; temp.: 18°; durata 7-19 maggio. Quando l’esperienza fu tolta l’amido era molto corroso nella parte da cui era stato staccato lo scutello. Però la corrosione era minore che nella Zea Mays lilacina ed infatti le sezioni presentarono meno zucchero riducente di quelle del mays lilacina. Esaminato il liquido - ridusse anch’esso il relativo di Fehling dando tracce di ossido di Cu (circa 1 mg.) ed anche qui sì ebbe un precipitato di colloide di al- bumina. Constatato che uno svotamento dell’endosperma isolato di mais avviene, per stabilire quale azione avesse il cloroformio in questo processo, sì fece un’esperienza comparativa con endospermi in due camere: Koch che contenevano: l’una cem* 185 di H° PO* 0.001 norm. che fu lasciata all’aria libera, mentre l’altra, con 145 cm' della stessa soluzione, fu posta sotto una campana ove l'atmosfera era satura di cloroformio. Temp. 16°; durata 18 aprile 4 maggio. Dopo 10 giorni un endosperma di mais della camera tenuta in aria libera presentava sempre il suo aspetto normale e non aveva (1) Questa esperienza fu ripetuta una seconda volta dall’11 aprile al 4 mag- gio con i medesimi risultati. cambiato esternamente di colore. Le sue sezioni presentavano grani d’amido fortemente corrosi e gran quantità di zucchero. La parte ‘cornea era diminuita di spessore. Il liquido fu concentrato fino al volume di cm° 17, dei quali 7 ridussero il Fehling dando mg. 32 di Cu0. Gli endospermi della capsula posta in atmosfera satura di cloro- formio presero invece una tinta bruna esternamente ; la massa endo- spermatica si mantenne più compatta, le sezioni presentarono pochi grani d’amido corrosi e piccolissima quantità di zucchero. Il liquido ridotto al volume di cm° 14 ridusse il Fehling dando appena traccie di zucchero. Gli erdospermi furono fissati nella soluzione alcoolica- sublimato-picrica. Avviene dunque nell’endosperma di mais un parziale svotamento con diffusione dei prodotti di digestione nel liquido circostante. Ed. il cloroformio, se non arresta completamente lo svotamento, l’osta- cola, rallentandolo notevolmente. Ottenuti questi risultati, si volle vedere se l’amilasi potesse cre- scere, a spese di un eventuale zimogeno, nelle cellule dell’endosperma anche quando in queste fosse annullata ogni traccia di vitalità, ciò che porterebbe ai medesimi risultati descritti sopra. Esp. I. — A 100 semi di mais quarantino (del peso secco di gram- mi 30.5) stati in bagno per 48 ore, furono tolti tutti gli scutelli e gli embrioni; quindi furono pestati fortemente e aggiunti 100 cm° di gli- | cerina al 20 °/, e del cloroformio: Poltiglia A. Gli scutelli cogli embrioni furono pestati separatamente, addizio- nati anch’essi di 100 cm° di glicerina al 20 °/, e cloroformio: Pol- tiglia B. Le poltiglie così preparate furono abbandonate all’autolisi a 18° in luogo scuro. Di quando in quando si determinava lo zucchero ri- duttore e l’amilasi quest’ultima facendo agire per un’ora a 56° 10 cm° di poltiglia su 10 cm° di amido solubile al 2 °/, (preparato secondo il metodo di Lintner, 1886) più un cm° di HC10.1 normale. Si ebbero 1 seguenti resultati : Poltiglia A Poltiglia B DATA | Zucchero in 5 cm? | Amilasi per 5 cm* | Zucchero in 5 cem° | Amilasi per 5 cm? 13 aprile. .|mg. 17 di CuO | Tracce di Cu0O | mg. 72 di CuO|mg. 42,5 di CuO Suaprile:.. |:> 67 >» mg. 2-3 » » 130 » » BIO —» 30 aprile. .| » 30 » » 219 » » 432 >» » 684,0» messì @ ‘Bagno per 48 ore, don staccati gli seutelli e pet: ua: }: poi pestati fortemente gli endospermi e addizionati di 25 cm° di glî--" cerina, 25 cm° di acqua e cloroformio: Poltiglia A. Gli scutelli e gli embrioni furono Don separatamente e addi- zionati di 25 cm° di glicerina e 25 em° di acqua e cloroformio: Pol- tiglia B. Temperatura di autolisi 10-15°. Poltiglia A Poltiglia B DATA Zucchero in 5em? | Amilasi per 5 em? | Zucchero in 5em? | Amilasi per 5 cm3 4 maggio . | Tracce di CuO [mg. 20 di Cu0| Tracce di CuO |mg. 9 di CuO 11 maggio . |mg.184 » » 98.8 » |mg.113.52 » » 1419 » 5 giugno .|» 116.96 » » 182.8 >» » 89.44 » » 19.68 » Come sì vede, si ha un continuo aumento dello zucchero e dell’a-. milasi nelle diverse prove; con questo però che nei primi giorni pre- domina il potere sintetico dell’enzima. Infatti non solo non venne. formato zucchero riduttore nella prova di idrolisi, ma anche quello che c’era scomparve in gran parte: un fatto nuovo ed importante, di. cui spero di potermi occupare in seguito. Quest’azione sintetica del- l’amilasi di mais è maggiore per l'enzima degli endospermi che per quella degli embrioni, in cui anzi (Esper. 2°.) può mancare affatto, ma non esiste che nei primi giorni di rammollimento; dopo su- bentra una potente azione idrolitica che va sempre aumentando.. Si può quindi ritenere che l’amilasi sia nell’endosperma allo stato. di proenzima o zimogeno, il quale diviene attivo nella germina- zione sia in contatto dell’aria, sia per l’azione degli acidi cellu- lari. È da notarsi che già Reychler (1889) e Lintner ed Eckhardt. (1890) avevano osservato, che trattando il glutine di graminacee con acidi diluiti gli sì conferisce un debole potere diastasico; evi- dentemente quel glutine teneva aderente un po’ di zimogeno del- l’amilasi. Ricerche cellulari su la vitalità dell’endosperma di mais. Non potendosi dunque ritenere l’aumento di diastasi che i vari autori hanno osservato avvenire nell’endosperma di mais come una ; prova della vitalità delle cellule, poichè questo aumento sì a no Festo di risolvere la questione con metodi di fisiologia cellulare. Per riuscire a questo si usarono i seguenti tre metodi: 1) Metodo della plasmolisi; 2) Metodo della colorazione vitale; 3) Studio citologico del nucleo. Metodo plasmolitico. — Si fecero alcune sezioni in endosperma di mais in germinazione da 5 giorni, e si posero in soluzioni di cloruro di calcio al 10, 20 e perfino al 37 °/,. Si plasmolizzarono visibilmente le cellule ad aleurona, e dopo qualche tempo che le sezioni erano im- merse nella soluzione parve comparire un accenno alla plasmolisi an- che nelle cellule subito sottostanti a quelle ad aleurona, e in gene- rale nelle cellule della porzione cornea; nulla si distingueva invece nella porzione farinosa. Però la quantità grandissima dei grani di amido, impossibile ad allontanarsi senza offendere le cellule, im- pedi osservazioni più esatte a questo riguardo. Colorazione vitale. — Come è noto, questo metodo è basato su la permeabilità della membrana plasmica viva e sana per deter- minati colori di anilina come dimostrò Pfeffer (1886), mentre per altri colori essa è impermeabile. Fra questi Mosso, ha già da molto tempo raccomandato l’uso del violetto di metile (1888), il quale non penetra che negli elementi morti; recentemente Ruzicka (1905) sì è servito del rcsso neutrale per il medesimo scopo. Anche il bleu d’anilina, come dimostrò Pantanelli (1903), può prestare ot- timi servizi. Per questa colorazione si fecero delle sezioni piuttosto grosse di mais quarantino in germinazione, per non ledere la vitalità delle cellule; alcune furono immerse in una soluzione diluitissima di violetto di metile ed altre in una soluzione diluita di bleu d’ani- lina. Ambedne queste sostanze colorarono immediatamente le cel- lule dello strato farinoso, le cellule più lontane dalle cellule ad aleu- rona, mentre non sì colorarono le cellule dello strato corneo in ispecie quelle più vicine alle cellule ad aleurona, accennando così ad un passaggio graduale dalle cellule vive, che sarebbero quelle della por- zione periferica o glutinosa del seme, alle cellule morte, che si tro- verebbero nel mezzo della porzione farinosa. Aspetto del nucleo. — Il materiale fu fissato sia con acido cromo- acetico, sia col sublimato alcoolico-picrico. Le sezioni furono poste in malto d’orzo alla temperatura di 47°-52° circa per disciogliere l’a- mido. Ho tentato anche di fare preparati senza allontanare l’amido, ma non si riesce allora a vedere bene le colorazioni, perchè anche ANNALI DI BoranIca — Vor. V. 37 Pt | i % L VITRO ge IMI ESSI l’amido trattiene diversi colori, per es., eosina, verde di jodio, safra= © nina e bleu di metile. ; Le sezioni furono poi colorate con diversi metodi. Fu fatta la doppia colorazione con bleu di metilene ed eosina; e si ottenne una colorazione mista dei nuclei, con tendenza ad una co- lorazione più definita rossa, mentre il reticolo protoplasmatico si tinse nettamente in bleu. I nuclei si presentavano deformati e con vacuoli, aleuni dei quali contenevano in antecedenza dei grani d’a- mido: altri però erano vacuoli non amiliferi. Si tentò anche la tripla colorazione introdotta da Longo (1898) e cioè: safranina per la colorazione dei nucleoli, verde di jJodio per la sostanza nucleare e orange per il protoplasma: ma mentre il protoplasma veniva colorato dall’orange, non si vollero colorare i nuclei i quali assorbivano il medesimo colore del protoplasma. Si tentò allora la colorazione del nucleo con verde di jodio acetico e non acetico e con verde di metile pure acetico e non acetico, e si ot- tenne una colorazione confusa del nucleo il quale presentava sempre il suo aspetto frastagliato e vacuolizzato. Si coloravano invece net- tamente i nuclei delle cellule ad aleurona. Si notò che i nuclei dello strato dell’endosperma più vicino allo strato ad aleurona tentavano di assorbire maggiormente il colore ; che erano un po’ meno deformati e più piccoli, mentre la deforma- zione e la poca colorabilità aumentano quando si passa nella porzione farinosa. Con violetto di genziana ed eosina si ebbe la colorazione delle pareti cellulari e del reticolo protoplasmatico in violetto, mentre non si ebbe una vera colorazione dei nuclei, i quali non si presentarono colorati coll’eosina se non nello strato corneo del seme, apparendo più piccoli e meno deformati verso la periferia, e di grandezza sem- pre crescente andando verso il centro; e mostrandosi qui anche più deformati e vacuolizzati, finchè giunti allo strato farinoso del seme tale colorazione sparì del tutto. Si tentarono anche, colorazioni più energiche usando come mor- dente e colorante una soluzione di acido tannico al 10 °/, d’ema- tossilina al 0.5 °/,, solfato ferroso al 5°/, lavando poi con acqua aci- dulata con HCI, e colorando poi con uno dei metodi suddetti. Poi tentai le colorazioni semplici con fuesina, safranina in soluzione acquosa e la doppia colorazione con la fucsina e il verde di malachite, e la safranina ed il verde di metile, Ma non riuscii a mettere in maggiore evidenza di quella che avevo ottenuto fin qui, i nuclei del tessuto amilifero, mentre si mo- strarono sempre netti e ben colorati quelli delle cellule ad aleurona. da 1g | n è DA oi “ si Quest'ultimo metodo lo adoperai anche per colorare alcune se- zioni di un endosperma di mais quarantino stato in camera di Koch in atmosfera di cloroformio e fissato con acido picrico ac- quoso. Ma in questo caso non ottenni neppure più la colorazione dei nuclei dello stato corneo, le cui cellule avevano preso l’aspetto di quelle dello strato farinoso, tanto che le sezioni facilmente sì rom- pevano e si sfarinavano, il che prova che anche in questo endosperma si era avuto un principio di digestione. Se con tutto ciò non si può stabilire che le cellule di mais siano addirittura morte, certo è che esse non assorbono più i colori che tingono normalmente le cellule giovani e in piena vitalità. L'aspetto del nucleo accusa decrepitezza che sembra aumentare dalla Pera ria al centro dell’albume. Come risultato delle nostre ricerche sul frumentone, possiamo dunque dire che il suo albume, all’infuori dello strato ad aleurona, conserva ancora una traccia di vitalità nella porzione periferica, cor- nea, sebbene anche qui le cellule e specialmente i nuelei accusino una grande vecchiaia, mentre la porzione farinosa centrale è con tutta probabilità addirittura morta. La corrosione e lo scioglimento dell’amido è massimo in questa porzione, sebbene in generale non si riesca mai ad allontanare tutto l’amido dall’albume privato dell'embrione. Del resto l’amilasi aumenta anche in autolisi a spese di un proen- zima che si trova nei semi in riposo, per cui non è affatto necessario invocare la presenza di cellule vive per spiegare lo svotamento autonomo dell’albume di frumentone. Svotamento dell’endosperma di orzo durante la germinazione. Brown e Morris (1890) hanno dato una descrizione minuta ed esatta della germinazione dell’orzo; per cui io non aggiungerò che pochi dati con- cernenti l’orzo italiano da me studiato. Il seme completamente secco di orzo presenta abbondanza di albumine nelle cellule ad aleurona che qui sono in più strati. Le cellule dell’albume sono zeppe di grani d’amido grandi e piccoli, hanno pochissimo protoplasma e manca assolutamente lo zucchero riduttore. Le cellule di albume più vi- ‘cine allo scutello, da 3 a 5 strati, sono schiacciate e vuote; le loro pareti però sono ancora intatte. Lo schiacciamento di queste cellule avviene du- rante la maturazione del seme, quando lo scutello cresce a spese dell’ en- dosperma. Interessanti sono poi gli spessimenti di emicellulosa, che sono tanto più grossi quanto più la cellula è vicina alla periferia., ‘ P. "ù he BT ag È , A " Ve RA Ù aa Nei pes ® ca “ n : x y Vest, e VERNICI, SA Nello scutello e nell’embrione non c’è amido affatto, bensi una gran quan- tità di albumina in parte condensata in minuti granelli d’aleurona, in parte come sostanza amorfa, finmamente granulosa. Durante la germinazione la temperatura fu tenuta costante a 17°. Dopo due giorni di rammollimento in acqua non si ha alcun accenno di zucchero nell’endosperma, e le cellule assorbenti dello scutello non hanno ancora co- minciato ad allungarsi. i Dopo 9 giorni di germinazione nell’embrione si ha sempre abbondanza di albumine; però queste sono accumulate in maggior quantità nei punti vegetativi e nelle cellule dello scutello, il cui epitelio è notevolmente al- lungato. Nell’endosperma si ha invece una forte quantità di zucchero che si trova nello scutello e nei tessuti embrionali, però in minor quantità. I grani d’amido si presentano alquanto corrosi specialmente nella porzione più vicina allo scutello. Gli strati di cellule già schiacciate nel seme in riposo, di cui sopra si è parlato, sono oramai già scomparse, prova che una citasi è entrata in azione anche prima della diastasi. Dopo 14 giorni le albumine sono diminuite nelle cellule ad aleurona e nei tessuti embrionali, ma si trovano sempre*abbondanti nello scutello spe- cialmente nelle cellule assorbenti fortemente allungate. Gli zuccheri invece sono aumentati nell’endosperma, nello scutello e in tutti i tessuti dell’em- brione. L’amido si presenta ancora non molto corroso; le cellale amilifere abba- stanza compatte. Dopo 19 giorni si ha un aumento degli zuccheri in tutto il seme, una corrosione più forte dei grani d’amido dell’endosperma e presenza in esso di amilo-destrina che si colora in rosso con lo jodio. L’endosperima non si può più sezionare e presenta l’aspetto di sostanza lattiginosa, ciò che è dovuto allo scioglimento delle pareti cellulari per opera della detta citasi, la cui azione procede dallo scutello verso il centro dell’endosperma e finisce poi per invaderlo tntto. Nelle cellule ad aleurona, si nota un principio di svota- mento: compaiono dei vacuoli, il protoplasma si fa più fluido. Dopo 21 giorni le albumine sono fortemente diminuite; si trovano ancora in piccola quantità, nello scutello e nei tessuti della piantina. Le cellule ad aleurona sono scomparse: gli zuccheri crescono ancora in tutto il seme, mentre l’amido non resta che in piccola traccia nell’endosperma, il quale non esiste più come tessuto essendo scomparse completamente le pareti cellulari, I grani d’amido sono fortemente corrosi e ridotti a piccoli frammenti. L’amilo-destrina è aumentata. — Dopo 27 giorni scompaiono anche l’amilo-destrina e i frammenti di grani d'amido. L'organo di riserva può dirsi completamente vuoto. Le cellule as- sorbenti dello scutello giunte al loro massimo accrescimento si presentano staccate l’una dall’altra così da non avere più un margine esterno unito, come sul principio della germinazione, ma un lembo tutto frangiato. Non danno più reazione dell’albumina col reattivo di Millon. Svotamento dell’endisperma isolato di orzo. f Esp. I. — 75 cm? di acqua; endospermi fissati con sabbia quarzosa su piattaforma di gesso; temp. 12°; durata: 10 gennaio — 2 febbraio. Dopo 5 giorni: niente zucchero, nè grani d’amido corrosi. Dopo 10 giorni solamente accenno a zucchero, che poi cresce fino al 23° giorno, in cui l’endosperma si mostra meno consistente. I grani d’amido sono fortemente corrosi, specialmente nella parte da cui fu tolto lo scutello. Il liquido esterno però non contiene zucchero. Esp. II. — 110 cm$ di Hs PO* 0.001 normale; endospermi su colonnette di gesso, fissati con poltiglia di gesso; temp. 17°; durata 17-30 marzo. Già dopo 6 giorni l’endosperma presentava gran quantità di zuc- chero dalla parte da cui era staccato lo scutello ed in corrispondenza della ripiegatura mediana dei tegumenti del seme. I grani d’amido erano notevolmente corrosi. Quando dopo 13 giorni l’esperienza fu tolta, il liquido concentrato fino al volume di cm° 15, ridusse il reattivo di Fehling dando mg. 11 di Cu0O. Vi fu anche precipitato di sostanza colloidale (probabil- mente albumina). Anche coll’endosperma di orzo fu cercata la influenza del cloro- formio. L'esperienza fu posta nelle identiche condizioni di quella con 11 mais. Solo gli endospermi non furono fissati con poltiglia di gesso, ma posti in infossature fatte sulle colonnette. Temp. 17°. Durata: dal 30 marzo al 12 aprile. Dopo 12 giorni gli endospermi non cloroformizzati erano così molli da non potersi più sezionare. Gli spessimenti di emicellulosa infatti erano completamente scomparsi, e anche le lamelle mediane erano disciolte in tutta la regione più vicina alla superficie di ferita (lato scutellare). Lo zucchero riduttore era assai abbondante e l’amido fortemente corroso. L'aspetto esterno dei semi non era però cambiato. Invece gli endospermi in atmosfera di cloroformio avevano presa esternamente una tinta scura, la massa endospermatica si mante- neva compatta, anzi quasi indurita. Le pareti si mostrarono intatte, nè gli spessimenti mostravano accenno a corrosione. Si riscontrò però una certa quantità di glucosio poco minore di quella degli endo- spermi all’aria libera. I grani d’amido erano un po’ meno corrosi. — Ambedue i liquidi esterni non reagirono col Fehling. Dungds aio. cloroformio aveva impedito solamente la produzione della citasi, e xa. in parte la produzione della diastasi. | Da queste esperienze sì può concludere che l’acido fosforico age- vola lo svotamento dell’endosperma come nel mais, mentre il clo- roformio ha un’azione assai minore che sull’endosperma di mais, ciò À U/ Li che indica di già come la vitalità dell’albume di orzo debba essere È minore che nel frumentone. sa Purjewitsch ha seguito le sue esperienze di narcosi soltanto sul cinquantino-mais. Del resto anche io svotamento è nell’orzo assai i più energico che nel mais, e siccome le pareti cellulari vengono at- taccate anche prima dell’amido, difficilmente si potrebbe ammettere 5 che un tessuto che non esiste più come tale, disciolga per propria at- tività vitale le sue riserve; una convinzione che già aveva conquistato r la mente di Brown e Morris. | Con questo non voglio dire che tutte le cellule dell’endosperma È di orzo debbano essere morte fin dal principio della germinazione. Le seguenti ricerche cellulari sulla vitalità mostrano piuttosto che anche nell’orzo c’è un passaggio graduale delle parti vive alle parti morte. Si fece anche qui la prova dell’amilasi col medesimo metodo usato pel mais, per vedere se l’amilasi fosse contenuta nell’endosperma allo stato di proenzima e perciò sì operò con 30 gr. di semi secchi. Essì si lasciarono rammollire per 24 ore e quindi sì separarono gli em- brioni e gli scutelli dagli endospermi. Si pestarono fortemente questi ultimi e si aggiunsero 20 em* di HC1 0.01 normale e 80 cm° di acqua con cloroformio poltiglia A. : Quindi pestati gli embrioni e gli scutelli vi si aggiunse la mede- sima quantità di HCI], acqua e cloroformio: poltiglia B. Poltiglia A Poltiglia 3 M DATA — —— _ Zucchero in 5 em* | Amilasi per 5 em* | Zucchero in 5 em* | Amilasi per 5 em' : i 4 bisi e LR - sr 16 maggio . | Tracce (mg.2) mg. 8 di CuO| Tracce (meno | mg. 4 di CuO k di CuO di 1 mg.) di CuO s 3 27 maggio . |mg.92 diCu0) » 88 » |mg.82 diCu0| » 8. » 7 giugno .|» 80.52 » » 782 » » BUA » » 80.3. » Anche qui, dunque, la quantità di enzima’ attivo aumenta. Ricerche cellulari sulla vitalità delle cellule dell’endosperma di orzo. Tentativi di plasmolisi. — Sezioni di endospermi di orzo in ger- minazione furono poste in soluzioni di Ca Cl? al 20, 30 e 37 °/., in cui era disciolta un pò di eosina. Dopo 10-20 minuti si vide una plasmolisi netta nelle cellule ad aleurona, ma non si potè vedere nulla di preciso nelle cellule dell’endosperma, per l’abbondanza dei grani d’amido impossibile ad allontanarsi. Solo il primo strato di cellule dell’albume sotto gli strati ad aleurona parve dare dopo vari mi- nuti un accenno a plasmolisi, mentre negli strati più profondi non sì riuscì a vedere assolutamente nulla. Colorazione vitale. — Sezioni di seme germinato da due giorni, piuttosto grosse, di endosperma di orzo s'immersero in soluzioni di- luitissime di violetto di metile e bleu d’anilina. In ambedue i casi tutte le cellule del tessuto amilifero fin sotto gli strati ad aleurona, assunsero immediatamente il colore, lasciando incolore solo le cellule ad aleurona. Ciò sarebbe una prova che le cel- lule amilifere dell’endosperma di orzo sono tutte morte. Studio citologico del nucleo. — Sezioni di semi fissati in sublimato alcoolico-picrico vennero tenute in estratto di semi di mais in ger- minazione avanzata, per ottenere l'allontanamento dell’amido. Ma le sezioni che furono poste nell’estratto, anche solo dopo 48 ore, non mostrarono più della massa endospermatica che un unico strato di cellule al disotto di quelle ad aleurona. Il resto andò perso nel li- quido in cui furono trovati 1 resti del reticolo protoplasmatico già in parte corroso. Tentata la colorazione dell’unico strato di cellule rimasto col me- todo Longo o col solo verde di jodio o verde di metile ambedue forte- mente acetici, non si potè avere colorazione netta del nucleo di queste cellule, mentre la si ottenne nelle cellule ad aleurona. Nel protoplasma dell’unico strato rimasto delle cellule amilifere, si notarono dei corpi che prendevano una tinta bleu invece che verde e si mostravano molto larghi e deformati, oppure si aveva la colorazione in diversi punti del protoplasma cellulare come se la sostanza nucleare fosse diffusa nella cellula. Queste cellule dunque non presentano un aspetto normale. E poichè ponendo le sezioni di orzo nell’estratto di mais per l’al- lontanamento dell’amido, la maggior parte del tessuto endosperma- “ha; “ HALO STE AEON NA tico andava perduto nel liquido in cui erano immerse le s fecero delle colorazioni su sezioni di orzo germinante, senza allonta- nare i materiali di riserva. Su queste sezioni si eseguirono le colorazioni semplici col verde di jodio, col verde di metile e col verde malachite, e le doppie colo- razioni col verde malachite e safranina ed il verde di metile ed eosina; ma mentre i nuclei delle cellule ad aleurona, tanto nelle co- lorazioni semplici, quanto nelle doppie, assorbivano decisamente i diversi verdi, colorandosi nettamente, i nuclei del tessuto amilifero non assorbirono per nulla tali colori e perciò non poterono in nessun modo essere posti in evidenza. Ma siccome temevo sempre che ciò dipendesse dalla grande quan- tità d’amido di riserva accumulata nelle cellule, tornai alla prima idea di allontanare l’amido; e questa volta ci riuscii facendo bollire le sezioni fatte su di un seme appena in germinazione e fissato in alcool forte, in una soluzione di 5 cm° di HCI 0.19 norm. in 20 cme di acqua. Su queste sezioni, ripetei le colorazioni già esiguite negli altri casi, ma anche qui mentre i nuclei dei vari strati delle cellule ad aleurona conservarono la proprietà di colorarsi sia col verde di me- tile, sia col verde malachite, i nuclei delle cellule amilifere non mo- strarono per nulla questa proprietà, e restarono incolori di fronte al verde di malachite o si colorarono in rosa quando adoperai la doppia colorazione del verde di metile ed eosina. In sezioni poi da cui non era stato allontanato l’amido di riserva feci agire come mordente e colorante la soluzione di acido tannico ed ematossilina: e sezioni state in questa soluzione per alcune ore, e lavate indi in glicerina ed in acqua acidulata con HCI, furono poste parte in safranina, parte in fuchsina. Con questo metodo ebbi il reticolo protoplasmatico fortemente colorato in nero dall’ematos- silina, esso spiccava nettamente sul fondo rosso dovuto all’assorbi- mento della safranina o della fuchsina avvenuto da parte dell’amido di riserva. In questo reticolo protoplasmatico si poteva notare qualche punto più fortemente colorato in nero, oppure una certa quantità di protoplasma riunito in grumi di aspetto loboso. Tali grumi si pre- sentavano con più frequenza nello strato.di cellule posto subito al disotto delle cellule ad aleurona, ma non avevano affatto l’aspetto di nuclei. Ripetei questa colorazione su sezioni di un endosperma di orzo stato in camera di Koch in atmosfera satura di cloroformio, e fissato poi in soluzione acquosa di acido picrico. Ma qui non ebbi più nep- pure la colorazione del reticolo protoplasmatico, poichè le cellule si ezioni, sì p l'agidibitàe. NE oa” dl pla dis AIA | trovavano in uno stato molto avanzato di digestione, e sebbene esse contenessero ancora una forte quantità d’amido, nondimeno il reti- colo protoplasmatico era ridotto in frammenti specialmente verso il centro dell’endosperma. In complesso nell’orzo la vitalità manca completamente nell’al- bume del seme germinante; gli ultimi resti di vita si rintracciano a fatica nella porzione periferica specialmente nelle cellule attigue agli strati aleuronici e nei primi giorni di germinazione. Del resto queste cellule sub-aleuroniche sono anche quelle che resistono di più all’azione dissolvente della citasi. Svotamento dell’endosperma di frumento durante la germinazione. Il seme in riposo presenta alla sua periferia le cellule ad aleurona ricche d’albumìine, però un pò meno che nell’orzo, in un solo strato. Sotto le cellule ad eleurona si distende la massa endospermatica colle cellule ripiene d’amido in granelli ovali striati o addirittura screpolati, riempienti esattamente la cellula, presso a poco come nel mais; anche nel frumento però, come nel- l’orzo, ci sono i grani grandi ed i grani piccoli. L’embrione è ricco di al- bumina e di aleurona specialmente nelle cellule scutellari. Zucchero ridut- tore non si trova nell’endosperma nè nell’embrione. Dopo 2 giorni di rammollimento in acqua a 17° il seme contiene tracce di zucchero nell’endosperma e nelle cellule assorbenti dello scutello. Dopo nove giorni le albumine crescono nell’embrione, specialmente nelle cellule assorbenti dello scutello e nei punti vegetativi della piantina, mentre non diminuiscono affatto nelle cellule ad aleurona. Lo zucchero riduttore aumenta in tutto l’endosperma ma non s’incontra ancora nei tessuti embrionali L’a- mido dell’endosperma mostra i grani fortemente corrosi, però tutto il tes- suto endospermatico si mantiene compatto. Le cellule assorbenti dello scu- tello si sono molto allungate. Dopo 14 giorni le albumine diminuiscono, gli zuccheri invece aumentano nell’endosperma e nello scutello, e si trovano anche nei tessuti della gio- vane piantina. I grani d’amido sono sempre più corrosi. L’endosperma è divenuto molle, impossibile a sezionarsi. Le pareti sono in gran parte flui- dificate o addirittura scomparse per l’azione di una citasi. Sono cresciute ancora in lunghezza le cellule epiteliari dello scutello. Dopo 18 giorni le albumine cominciano a diminuire anche nelle eellule ad aleurona. Il loro protoplasma diventa meno denso e si vacuolizza. Zucchero si trova in tutti i tessuti del seme. L’amido è fortemente diminuito nel- l'endosperma che è ormai divenuto un liquido biancastro lattiginoso. E pochi grani d’amido che restano sono fortemente corrosi. Le cellule assor- benti dello scutello sono ancora cresciute, e le loro estremità si separano le une dalle altre a guisa di ife di fungo. e. ‘ A NOIA (E Sr OTO Ù Dopo 21 giorni le albumine diminuiscono fortemente nelle cellule ad aleurona che sono occupate da grandi vacuoli. Gli zuccheri trovansi ancora nello scutello specialmente verso la parte centrale e in gran massa nei tes- suti della piantina. Nella ‘poltiglia che occupa il posto dell’antico endo- sperma, l’amido è quasi completamente scomparso; i pochi grani rimasti sono ridotti al solo scheletro di x amilosio. Trovansi qua e là anche dei grani di 8 amilosio che si colorano ancora in violetto con lo jodo. Si ha anche presenza di piccole quantità di amilo-destrina; ma il magazzino del materiale di riserva può considerarsi esaurito. Svotamento dell’endosperma isolato di frumento. Esp. I. 100 cm° di acqua, endospermi fissati in infossature praticate sulle colonnette di gesso — temperatura: 17-18°. — Durata: 3-24 marzo. Dopo 9 giorni non si notò ancora la presenza di zucchero. Dopo 18 giorni lo zucchero era comparso in forte quantità ed i grani d’amido presentavano bellissime figure di corrosione. Le pareti delle cellule amilifere più vicine alla parte da cui era stato staccato lo scutello e quelle della parte centrale del seme erano scomparse; restavano intatte ancora le cellule sotto lo strato aleu- ronico. Le cellule ad aleurona si mostravano ancora intatte, nè ac- cennavano a diminuizioni d’albumine. Dopo 21 giorni il liquido esterno dava sul vetrino un accenno a presenza di zucchero. Esp. II. 190 cm° di H* PO* 0,001 normale; disposizione simile alla esperieza precedente; temp. 17-18°; durata 3-24 marzo. Dopo 9 giorni ancora nessuna traccia di zucchero. Dopo 18 giorni i semi erano quasi completamente vuoti, e del tessuto di riserva non restava che una piccola quantità di poltiglia che trattata con potassa caustica e con reattivo di Fehling mo- strava i grani d’amido fortemente corrosi, alcuni dei quali non pre- sentavano più che una membranella ripiena di Cu0. Dopo 24 giorni esaminato il liquido esterno, ridusse il reattivo di Fehling. Le esperienze comparative con l’endosperma di frumento in at- mosfera satura di cloroformio ed in aria libera furono poste nelle identiche condizioni già stabilite per il mais e per l’orzo. I liquidi furono: cm* 135 della soluzione 0.001 normale di H* PO' per la cul- tura non cloroformizzata, e cm’ 145 di H* PO' 0.001 normale per Dn ato) alta Mi la cultura in atmosfera s el’ ar DLE e A 2 s atura di vapore di cloroformio. L’esperienza durò dal 9 al 19 marzo alla temperatura di 17-18°. Dopo questo periodo di tempo i semi dell’esperienza in aria li- bera non mostravano esternamente alcun cambiamento. Nell’interno si trovò abbondanza di zucchero; i grani d’amido erano corrosi e la massa endospermatica rammollita. Gli spessimenti erano scom- parsi nelle cellule amilifere, le pareti disciolte nelle cellule più vi- cino allo scutello, giacchè in questa parte il tessuto era completa- mente sfasciato. I semi cloroformizzati avevano invece preso una tinta scura al- l'esterno, l’endosperma era ancora molto compatto, quasi indurito ; conteneva piccolissime quantità di zucchero e grani d’amido poco o punto corrosi. Non si notava che un piccolo cambiamento nella struttura delle cellule amilifere. I liquidi esterni non ridussero il Fehling. Pare che in questo caso dunque la presenza di cloroformio osta- coli lo svotamento, e cioè tanto l’azione citasica, come l’azione ami- lasica. Feci anche nel frumento la prova dell'aumento della amilasi per vedere se-in questi endospermi in riposo l’enzima sia contenuto allo stato di zimogeno. Perciò i soliti 30 gr. di semi secchi li tenni in bagno 24 ore, indi separai gli scutelli e gli embrioni dagli en- dospermi. Quindi aggiunsi agli andospermi pestati 20 cm° di HCL e 80 di acqua con cloroformio: poltiglia A. Altrettanto feci per gli embrioni e gli scutelli: poltiglia B. Poltiglia A Poltiglia B DATA -—oooo@co@@@P»»s Zucchero in 5 cm* | Amilasi per 5 em? | Zucchero in 5 em* | Amilasi per 5 em° | 16 maggio . | Nessune tracce Tracce impesab.| Quan. minime | Tracce minime di CuO di Cu0 (mg. 1) di Cu0 (1) | di Cu0 (mg. 2) 27 maggio . |mg.123 diCu0|mg.102 diCu0|mg. 32 di Cu0 mg. 20 diCu0 5 giugno .|» 2214 » » 123.92 ‘> |» ‘(43.92 > |» 4026 > (1) La riduzione si ottenne dopo varii minuti (presenza di maltosio). Si ebbe anche un precipi- tato colloide il cui peso fu mg. 20. L’enzima attivo aumenta fortemente. In questa esperienza, io non avevo tenuto conto della piccola parte che lo scutello e l’embrione formano nel seme, da ciò ne ve- niva che essendo stati fatti gli estratti con una medesima quantità di liquido, quelli degli endospermi venivano ad essere molto più concentrati di quelli degli scutelli. Mica” si i poteva quindi cONvsGETBSi esattamente in quale proporzione crescesse in essi l’amilasi, tanto. più che essendo la concentrazione degli estratti degli endospermi molto forte, i prodotti di scissione che in questi si formavano molto (dBA bra dato venivano secondariamente a sintetizzarsi 0 almeno ad arrestare la scissione. Allora furono fatti degli estratti a concentrazione molto minore e di cui era noto il rapporto. Pesai 10 gr.di semi di frumento, li posi in bagno 24 ore; quindi staccati gli embrioni con gli scutelli dagli en- dospermi li pestai separatamente dagli endospermi. Per i primi sì ebbe un peso di gr. 1.03, e pei secondi un peso di gr. 12.42. Allora pestai fortemente gli endospermi tanto da ridurli in pol- tiglia finissima e li addizionai di 619 cm° di acqua e 46 di HCL 0.19 normale, cosicchè si avevano gr. 12.42 di sostanza in sospen- sione in 665 em°. di liquido, ottenendo così una concentrazione del 2°/ (Poltiglia A). Pestati quindi gli scutelli con gli embrioni si addizionarono di cem'. 7.7 di HC1 0.19 normale e di em°. 62.3 in acqua in modo che si ottenne una concentrazione dell’ 1 °/, (Poltiglia B). Agli estratti fu aggiunta una forte quantità di cloroformio. Per gli scutelli e gli embrioni non si potè avere la medesima concentrazione degli endospermi, perchè sarebbe occorsa troppo pic- cola quantità di liquido, tale da impedirmi in seguito le prove ne- cessarie. Su questi estratti si fecero col solito metodo le prove dell'aumento dello zucchero e delle amilasi. Essi furono tenuti per tutto il tempo me durò l’esperienza in termostato a 25°. La prima prova fu fatta 24 ore dopo dopo la preparazione delle poltiglie. Ottenni così 1 seguenti risultati : rr __—_— S e ziziee_.._._-.-._—_—-_— rr Poltiglia A Poltiglia 7} DATA Zuechero in 5 em? | Amilasi per 5 em? | Zucchero in 5 em* | Amilasi per 5 cm } luglio. . |mg. 12.5 di i mg. 8 di CuO| mg. 18 di CuO | mg. 6 di CuO t luglio. .| » 27 » > + ed >» 898 » DX sd 14 luglio, .| » 81 » » 42 » » 40 » » 187 » "uh n Y PESTO RE he DI Ki s K rt di n P bi . y ° n iS la Essendo la concentrazione della poltiglia B circa la metà di d pS° quello di A, per una medesima concentrazione del 2°/, si avrebbe: - Poltiglia A Poltiglia B DATA | Zucchero in 5 em? | Amilasi per 5 cm? | Zucchero in 5 cm? | Amilasi per 5 em8 3 luglio. . |mg. 12.5 di CuO| mg. 8 di CuO0 | mg. 26 di Cu0 | mg. 12 di CuO Menlagiiot. ;;il-» 27 » ve 13 » » 76 » > 34 » 14 luglio. .|» 31 » » 42 » >» 80° >» » 274 » Come si vede da ambedue le tabelle si ha una quantità mag- giore di amilasi nell’estratto degli scutelli con gli embrioni che in quello degli endospermi, il che potrebbe far supporre che la mag- gior quantità di pro-enzima si trovi sempre nello scutello e che sia per opera di questo divenuto attivo che avvenga la digestione dei ma- teriali di riserva, però è necessario considerare che tutto l’embrione collo scutello non costituisce che una piccola parte di tutto il seme; (circa l’ottava, B- in peso) mentre si è eseguita questa esperienza come se l'embrione con lo scutello costituisse nel seme una parte uguale in peso a quella dell’endosperma. Quindi in realtà la quantità di pro-enzima che diviene attivo nell’endosperma era rispetto a quella contenuta nello scutello e nel- l'embrione, la seguente: Poltiglia A Poltiglia B DATA Zucchero in 5 em? | Amilasi per 5 cm? | Zucchero in 5 em? | Amilasi per 5 em? 5 luglio. . mg. 104.50 mg. 65.6 mg. 26 mg. 12 T luglio. . » 221.40 » 106.6 » 76 >» 34 14 luglio. . » 2542 » BAL » S0 » 274 Nell’endosperma di frumento dunque abbiamo sempre una quan- tità di pro-enzima molto maggiore di quella che può trovarsi nello scutello e nell’embrione, la quale divenendo attiva in presenza di ossigeno libero o di un acido diluito, può da sola produrre la dige- stione dell’endosperma. Ricerche sulla vitalità delle cellule dell’endosperma di frumento. Plasmolisi. — Si tentò anche qui la plasmolisi con le soluzioni di CaCl° al 20, 30, 37 °/,; ma la si potè osservare con sicurezza solo nelle cellule ad aleurona, poichè la quantità di amido che riem- piva le cellule dell’albume impediva qualsiasi netta osservazione. Tuttavia una traccia di plasmolisi parve accennarsi dalle cellule po- ste subito al disotto dello strato ad aleurona. Colorazione vitale. — Questa prova ha dato risultati uguali a quelli che si ebbero per l’orzo, poichè anche nel frumento il violetto di me- tile e 11 bleu di anilina colorarono immediatamente tutte le cellule del tessuto amilifero lasciando incoloro lo strato ad aleurona. Studio citologico del nucleo. — I semi erano fissati in alcool forte. Le sezioni furono poste per l’allontanamento dell’amido in estratto di semi di frumentone per tentare d’impedire lo sfasciamento del tes- suto amilifero che poteva essere dovuto alla citasi del malto d’orzo. Ma anche con questo mezzo delle sezioni non restò, come nel- l’orzo, che un solo strato attaccato alle cellule ad aleurona, mentre gli altri restarono nell’estratto di frumentone ove le sezioni erano state poste per l’allontanamento dell’amido (1). Adoperai verde di metile, verde di jodio, eosina, fuchsina, safra- nina, bleu di metilene, violetto di genziana, per le colorazioni dei nuclei, ed ebbi colorati i soli nuclei delle cellule ad aleurona e non quelli dell’unico strato delle cellule amilifere; anzi qui la colora- zione appariva distribuita in diversi punti del protoplasma come se la sostanza nucleare fosse stata disciolta in esso. La colorazione col metodo Longo non dette qui alcun risultato: non vi è dubbio che sì tratta di cellule vecchie e forse in istato di disfacimento, perchè non sì riesce in verun modo a mettere in evidenza il nucleo. Anche nel frumento, poichè nel cercare di allontanare l’amido in estratti ad azione citasica, si aveva il discioglimento di tutto il tes- suto amilifero, eccetto il primo strato di cellule subaleuronico, tentai con i diversi metodi usati per l'orzo, le colorazioni su sezioni fatte su semi appena rammolliti in acqua senza allontanarne l’amido. (1) È qui da notarsi che invece le, sezioni di mais non venivano attaccate dal loro estratto, è quindi da ammettersi che la causa dello sfacelo del tessuto amilifero sia dovuta alla citasi esistente nelle cellule medesime, poichè non è ammissibile che citasi appartenente ad estratto di mais attaccasse le pareti cellulari del frumento e non le proprie Ma nel frumento, come nell’orzo, il verde malachite colorò solo i nuclei delle cellule ad aleurona, lasciando perfettamente incolori le cellule del tessuto amilifero ; e così le doppie colorazioni con verde di metile fortemente acetico e safranina, con violetto di genziana ed eosina e con bleu di metilene ed eosina. Cercai di sciogliere l’amido facendo bollire le sezioni nella stessa soluzione molto diluita di HCl, usata già per l’orzo; ma anche ri- petendo tutte le colorazioni suddette in sezioni che avevano subito questo trattamento, non potei ottenere in alcun modo il rilievo dei nuclei nel tessuto amilifero, mentre sempre risaltavano quelli delle cellule ad aleurona. In ultimo tentai di mordere le sezioni con acido tannico ed ema- tossilina senza allontanare l’amido. Ma la successiva colorazione con safranina o con fuchsina, pose in rilievo il solo reticolo protoplasma- tico, reticolo che in alcuni punti presentava dei grumi più colorati, specialmente nello strato di cellule subaleuroniche, senza avere però alcuna somiglianza con un nucleo. Anche negli endospermi stati in atmosfera di cloroformio risaltava dopo questa colorazione il reti- colo protoplasmatico ridotto in frammenti ed un principio di corro- sione nelle pareti cellulari. Pel frumento ebbi anche occasione di studiare come si compor- tassero, rispetto a queste colorazioni, le cellule amilifere di semi in cul s'iniziava appena la formazione dell’endosperma, e di semi il cui tessuto endospermatico era molto innanzi nello sviluppo, e le sue cellule già ricche di grossi grani d’amido. Usai a questo scopo le colorazioni col verde di jodio, verde di metile, verde malachite, violetto di genziana e le doppie colorazioni col verde di metile o di malachite ed eosina, violetto di genziana ed eosina, verde di jJodio ed orange. Con le prime ottenni, sia nei primi stadî di sviluppo dell’endo- sperma, sia negli stadî più avanzati (seme però sempre verde), la netta colorazione dei nuclei delle cellule amilifere; nuclei che per la quantità di colore assorbito spiccavano nettamente fra i grani di amido, sebbene questi negli stadî più avanzati si presentassero in grande abbondanza ed avessero raggiunto il volume definitivo. Con eosina e con orange si ebbe la colorazione del protoplasma di tutte le cellule, mentre i nuclei assorbendo i colori a loro propri, come il verde di jodio, verde di metile, verde malachite, violetto di genziana, spiccavano nettamente nel centro della cellula mostrando una struttura perfettamente normale. Siccome si poteva ritenere che, nelle sezioni dei vecchi endo- spermi, fatte bollire in acido diluito per l’allontanamento dell’amido, N : Lr a RITA. SP su i nuclei avessero perduto, pel trattamento subito, la sorbire i colori a loro proprii, feci a queste cellule giovani con nuclei normali, il medesimo trattamento, e difatti sì colorarono col verde di metile tutti i nuclei, e con verde di metile ed eosina anche il prò> toplasma in rosa. Non è dunque da credere che il metodo usato per l'allontanamento dell’amido di riserva, anche per endospermi maturi ed in principio di germinazione alterasse la costituzione chimica delle sostanze nu- cleari, in modo da impedirne la colorazione. Anche per il frumento dunque le ricerche cellulari e citologiche mostrerebbero che le cellule del suo albume non riacquistano vita- lità durante la germinazione; però rimane il fatto che esse si vuo- tano anche senza l’embrione, e che il cloroformio ostacola assai questo svotamento. Il discioglimento dei materiali di riserva non prova la vitalità del tessuto, perchè questo nel seme in riposo contiene un proenzima che anche in autolisi per azione dell’ossigeno e di acidi diluiti si trasforma in enzima attivo. È poi un fatto interessante che il cloro- formio ostacola non solo la decomposizione dell’amido, ma anzitutto lo scioglimento delle pareti; non v'ha quindi dubbio che la citasi sia prodotta da cellule vive. Siccome però le cellule dell’endosperma sono da ritenersi morte per le ragioni suddette, così non resterebbe che ammettere che la fabbrica della citasi risieda nelle cellule ad aleurona. Svotamento dell’endosperma di segala durante la germinazione. Un seme in riposo di segale presenta alla periferia uno strato di cel- lule ad aleurona ricche d’albumina, e al disotto di esso le cellule d’albume ripiene di grossissimi grani di amido e con leggeri spessimenti emicellu- losici sulle pareti. Non vi sono in esse tracce di zucchero. Lo scutello e l’embrione contengono al solito, molta albumina, di cui una parte in forma di granelli d’aleurona. Dopo 2 giorni di rammollimento in acqua, il seme presenta già un ac- cenno di zucchero nell’endosperma e le cellule assorbenti dello scutello sono un po’ allungate, Si nota sin da questo momento il fenomeno della separazione completa delle cellule amilifere fra di loro. Dopo 9 giorni di germinazione, le albumine sono aumentate nei punti vegetativi dell'embrione e nelle cellule dello scutello, Lo zucchero è oramai molto abbondante in tutto l’endosperma, ma non si trova ancora nello scu- tello e nei tessuti embrionali. I grani d’amido presentano le caratteristiche figure di corrosione, mentre l’endosperma si è già fatto molle ed il distacco pie i È on roprietà di as- pe - delle. : è x ee LL a TRE f i Pe? < A y (2a NO p. STRA RR ie: "STI _ CERI Hr) 0° AI p. ATO. 6 cellule è completo. Le cellule assorbenti dello scutello sono forte- mente allungate. Lo svotamento dell’albume è in uno stadio più avanzato che nell’orzo e nel frumento della stessa età. Dopo 14 giorni le albumine diminuiscono nelle cellule ad aleurona; au- mentano invece gli zuccheri che si trovano in tutto l’endosperma ed anche nello scutello e nei tessuti embrionali. I grani d’amido in prossimità dello scutello sono estremamente corrosi e frammentati; essi hanno perduto la loro struttura. Nella poltiglia dell’endospernfa nuotano scheletri e grumi di x — amilosio e piccole quantità di amilo-destrina. Le cellule assorbenti dello scu- tello si sono allungate ancora un poco. Dopo 19 giorni le albumine si trovano ancora nelle cellule dello scutello e nei tessuti della piantina. Sono invece diminuite fortemente nelle cellule ad aleurona che ormai sono fortemente vacuolizzate. Lo zucchero è quasi del tutto scomparso dall’endosperma; si trova ancora invece nei tessuti della piantina. L’amido è scomparso completamente dall’endosperma ; non vi è nep- pure più traccia di amilo-destrina. Il serbatoio è completamente vuoto. Du- rante tutta la germinazione, la corrosione dei grani d’amido ha sempre pro- seguito (come del resto per le altre specie studiate) dalla parte vicina allo scutello verso la parte periferica del seme. L’azione citoidrolitica precede in questo albume l’azione amilasica. Svotamento dell’endosperma isolato di segale. Esp. I. — 100 cm° di acqua; endospermi fissati con sabbia quarzosa su piattaforme di gesso; varietà: segale romana, temp. 16-17°; durata: 12-22 dicembre. i Dopo 2 giorni soli sebbene non si notasse ‘presenza di zucchero nell’endosperma e i grani d’amido fossero intatti, si osservò che le cellule dell’albume già si staccavano l’una dall’altra. Dopo 7 e dopo 10 giorni, ancora non si trovò zucchero; ed il li- quido, dopo questo tempo, non ridusse il reattivo di Fehling. Le cel- lule dell’albume nuotavano ormai liberamente, pur conservando la loro parete cellulosica e i grani d’amido per lo più inattaccati. Esp. II. — 118 cm°di H° P 0* 0.001 normale; endospermi fissati con gesso su lastre di gesso sostenute da pilastrini pure di gesso, perchè la diffu- sione trovasse meno impedimento; varietà: segale romana; temp. 16-17°; durata 17-28 marzo. Dopo 7 giorni, zucchero abbondante nell’endosperma; grani di amido fortemente corrosi; cellule quasitutte staccate. I grani d’amido mostravano maggior corrosione nella parte da cui era stato staccato lo scutello e in corrispondenza della ripiegatura mediana dei tegu- menti del seme. ANNALI DI BorANICA — Vor. V. 38 i RSOTSO K vi , ' v ene x à ; PIET ESSI NS di Dopo 9 giorni l’endosperma si mostrava molle, quasi lattigin Tolta l’esperienza, il liquido, concentrato fino al volume di cm* 14, ridusse il reattivo di Fehling dando mg. 3 di Cu0. Le esperienze comparative con segale in atmosfera di cloroformio ed in aria libera, furono poste nelle identiche condizioni delle altre esperienze di questo genere. I liquidi furono rispettivamente cm° 135 di H* PO* 0.001 normale per la cultura non cloroformizzata e cm*145 per la cultura in vapore di cloroformio. Durata: 23-80 marzo. Dopo 8 giorni i semi non narcotizzati non avevano cambiato esternamente il loro colore naturale. Le loro cellule amilifere mostra- vano l’amido corroso, gran quantità di zucchero ed erano quasi tutte isolate le une dalle altre, così che il tessuto era molto molle. Il liquido di questa cultura fu concentrato fino a cm* 12 e dette mg. 14 di Cu O. Isemi tenuti in atmosfera satura di cloroformio avevano preso esternamente una tinta quasi bruna. La consistenza dell’endosperma, sebbene molle, era un po’ maggiore di quella degli endospermi non cloroformizzati. Le cellule amilifere però contenevano molto zuc- chero e sì staccavano quasi tutte le une dalla altre. Il liquido concen- trato fino a cm° 15 dette mg. 11 di Cu O. Come si vede, la presenza del cloroformio ha un'influenza minima o nulla sullo svotamento degli endospermi di segale, i quali quindi dovrebbero essere morti fino alle cellule ad aleurona. Siccome poi in questo albume il distacco delle cellule precede lo scioglimento dell’amido, così non si può ascrivere quest’ultimo pro- cesso ad un’attività vitale delle cellule medesime. Però è curioso il fatto che, mentre nell’orzo prima viene sciolta l’emicellulosa poi quasi subito anche la cellulosa, qui dapprima scompare la sostanza della lamella primaria, quella che tiene cementate le cellule fra loro (probabilmente sostanze pectiche) e solo in uno stadio molto avanzato, quando l’amido è quasi tutto sciolto, anche la membrana cellulosica ed i suoi spessimenti di emicellulosa vengono idrolizzati e scom- paiono. Siccome Purjewitsch non parla affatto di questi fenomeni, che egli ha del resto sorvolato anche per l'orzo, il frumento ece., così sorse il dubbio che la segale romana si comportasse diversamente dalle altre varietà e specie di segale. Per fortuna il mio Chiarissimo Maestro Professor Pirotta ha potuto farmi pervenire subito le più svariate qualità di segale, i cui endospermi ho sottoposto alle prove di svo- tamento. OSO. «osa Nea net © — boo © | Esp. III. — 50 cm° di acqua; endospermi tissati con sabbia su piatta- forme di gesso; varietà: secale cereale del giardino botanico di Parigi.temp. 25° (in termostato). Durata: 9 febbraio-5 marzo. Dopo 5 giorni le cellule dell’albume erano tutte isolate o quasi; ma non contenevano zucchero, nè avevano l’amido corroso. Dopo 24 giorni, sebbene l’endosperma si mostrasse completamente molle e i grani d’amido corrosi, non c’era zucchero e neppure il liquido esterno reagì col Fehling. Esp. IV.-- 100 cm di acqua; condizioni come sopra; varietà: secale cereale del giardino botanico di Lione; durata: 9 febbraio-5 marzo. Dopo 2 giorni gran quantità di zucchero nell’endosperma, quan- tità che crebbe fino al 24° giorno. Presentò anch’essa fino dal secondo giorno il fenomeno dell’isolamento delle cellule; il liquido esterno non ridusse il Fehling. Esp. V. — Parallela alle precedenti. 75 cm’, di acqua; varietà secale ce- reale di Liegi. Dopo 5 giorni si aveva isolamento delle cellule. Il tessuto non stava più insieme e conteneva una piccola quantità di zucchero. Amido poco corroso. Dopo 10 giorni lo zucchero era cresciuto. I grani d’amido erano fortemente corrosi. Dopo 24 giorni il liquido esterno concentrato fino a cm' 17 ac- cusò tracce di zucchero, Esp. VI. — 150 cm’ di acqua; endospermi tenuti fermi con sabbia su gesso; varietà: secale cereale aestivum annuale della Stazione di controllo dei semi di Zurigo; temp. : 16-17°; durata 14 febbraio-2 marzo. Dopo 18 giorni si ebbe sfasciamento completo dell’albume. In que- sta poltiglia trovavasi gran quantità di zucchero e grani d’amido for- temente corrosi. La corrosione cominciò ed era sempre più prossima alla ferita di separazione dello scutello. Dopo 16 giorni si avevano alcuni endospermi completamente vuoti; negli altri gran quantità di zucchero, e i grani d’amido quasi del tutto corrosi. Il liquido, che dava già sul vetrino reazione col Fehling, concentrato fino a cm° 14.2 dette mg. 38 di Cu O. Esp. VII. — Parallela alla precedente. 85 cme. di acqua; varietà: secale cereale perenne di Zurigo. Stesso decorso dello svotamento come nella secale annuale. Già dopo 13 giorni un endosperma era completamente vuoto. il Fehling dando mg. 88.5 di Cu 0. Esp. VIII. — 15 cme. di acqua; varietà: secale cereale del giardino bo- — tanico di Marburg; durata 20 febbraio-10 marzo. Dopo 4 giorni endospermi molto rammolliti con completo disfa- cimento del tessuto ed isolamento di tutte le cellule ; i grani d’amido. erano fortemente corrosi. Dopo 18 giorni il liquido sul vetrino accusava già presenza di zucchero riducente. Dopo 18 giorni esso riduceva fortemente il reattivo di Fehling. Esp. IX. — Parallela alla precedente, 25 cme. di acqua; varietà: secale montanum di Parigi. Dopo 13 giorni gli endospermi non presentavano zucchero; ma le cellule erano già isolate. Dopo 18 giorni: piccola quantità di zucchero; il liquido esterno non riduceva il Fehling. Esp. X. — Parallela alla precedente. 30 cm di acqua; varietà: secale montanum di Lione. Dopo 18 giorni presenza di poco zucchero nell’ endosperma, le cui cellule però erano tutte staccate. Dopo 18 giorni lo zucchero era aumentato e l’amido fortemente corroso. Il liquido esterno però non conteneva zucchero. Esp. XI. — 400 eme. di H° PO‘ 1.001 normale; endospermi fissati con poltiglia di gesso su lastre di gesso; varietà: secale cereale di Utrecht; temp.: 17°; durata: 17-28 marzo. Dopo 6 giorni l’endosperma presentava già gran quantità di zuc- chero e grani d’amido fortemente corrosi. Le sue cellule erano però. completamente isolate. Il liquido esterno riduceva il Fehling. Adunque la segale romana si comporta come tutte le altre se- gale, e non vha dubbio che anche la segale adoperata da Purje- witsch doveva presentare l’isolamento delle cellule dell’albume al pari di quelle usate da me. Le segueriti esperienze mostrano che si tratta realmente di un enzima citasico. a- } “ai 137 Me è: Ca »il wr Mr n Si pestaro erosi semi di segale che erano stati in acqua per due giorni e vi si aggiunse 25 cme. di acqua e 25 di glicerina e timolo. La poltiglia fu spremuta per panno. In questo estratto furono poste ‘sezioni di cotiledoni di /upino bollite in acqua distillata per 20 mi- nuti; e il tutto fu posto a digerire in stufa a 47°. Dopo 12 giorni le sezioni furonv esaminate al microscopio; e si notò che, in confronto di quelle che non erano state poste nell’e- stratto, mostravano gli strati di emicellulosa notevolmente corrosi. Per provare che questo enzima provenisse dallo scutello o fosse nelle cellule dell’endosperma si fecero nel modo suddetto due estratti separati degli albumi e dei semi interi. In questi estratti furono poste le solite sezioni di lupino bollito in acqua e lasciate digerire a 47°. Esaminate le sezioni dopo 9 giorni in ambedue i casì furono trovati gli strati di emicellulosa corrosi. In questi estratti furono poste anche sezioni di semi di segale, le quali dopo solo due giorni avevano perso completamente il tes- suto amilifero, non restando della sezione che le cellule ad aleurona e i tegumenti del seme. Da ciò si conclude che nell’endosperma di segale vi è presenza di citasi e che questa non proviene dallo scutello. Infatti è vero che i semi erano rimasti per 24 ore.in bagno prima che da essi fossero staccati gli scutelli con gli embrioni, tempo che potrebbe sembrare sufficiente per permettere il passaggio dell’enzima dallo scutello nel- l’endosperma, ma è facile constatare che se si pongono a svotare nel modo solito endospermi di segale da cui sia stato staccato lo scu- tello e l'embrione prima del rammollimento in acqua, si osserva sempre il medesimo fenomeno del rapido isolamento delle cellule. Come poi hanno mostrato le procedure dirette ad allontanare l’amido dalle sezioni per lo studio citologico dei nuclei, la citasi di orzo discioglie altrettanto rapidamente le pareti cellulari di segale e di frumento, mentre non ha azione su quelle di mats. La segale non è dunque la sola a fabbricare energiche citasi non ‘appena iniziata la germinazione. Si fece anche per la segale la prova dell’amilasi, per vedere se ‘essa esista nell’endosperma allo stato di proenzima. | Pesai perciò gr. 23.5 di semi secchi, li misi a rammollire per 24 ‘ore e staccai poi gli scutelli e gli embrioni dagli endospermi. Pestai separatamente questi ultimi aggiungendo 20 cm* di HCI 0.01 norm. e 80 cm' di acqua: poltiglia A. Db: ‘ ian! wr p va pa PIE 5 CARO : A Er È n eo Altrettanto feci per gli scutelli e gli embrioni: poltig Temp.: 18°. Poltiglia A Poltiglia B | Amilasi per 5 cm? | Zucchero in 5 em? | Amilasi per 5 cm3 DATA Zucchero in 5 cm? 16 maggio . mg. 7 di CuO Tracce di CuO| Tracce di CuO | Tracce di Cu0O (1) (circa 4 mg.) (circa mg. 2) (circa mg. 2) 27 maggio . |» 83 » mg. 25 diCu0 mg. 17 di CuOmg. 24 di CuO 6 giugno . |» 732 » >» 129.9 >» | » 292 » >». 25,60.» (1) Si ebbe anche un precipitato colloide, Anche nelle segale si ha formazione di amilasi da un proenzima che esiste nel seme in riposo, e ciò tanto nella poltiglia degli endo- spermi isolati, come nella poltiglia degli embrioni con scutello. Ricerche sulla vitalità delle cellule dell’endosperma di segale. (Segale cereale romana). Plasmolisi. — In soluzioni di Ca C1° al 20, 30, 37 % plasmoliz- zarono le cellule ad aleurona, ma non sì potè avere alcun accenno di plasmolisi nelle cellule amilifere. Del resto vi è anche qui il solito: inconveniente della presenza dei grani d’amido che impediscono una osservazione esatta. Colorazione vitale. — Questo metodo in semi appena rammolliti dette tanto col violetto di metile quanto col bleu di anilina gli stessi risultati che pel frumento e per l’orzo, accennando così alla morte completa delle cellule dell’albume di segale. Studio citologico del nucleo. — Le sezioni di segale poste in malto di orzo per l'allontanamento dell’amido vennero a perdere tutto il tessuto amilifero, non restando che il puro strato ad aleurona. Poichè in questi endospermi si ha anche in principio di germi- nazione lo sfacelo del tessuto amilifero, non potei ottenere sezioni, su cui ripetere le colorazioni eseguite nelle tre graminacee prece- denti. Solo su di un endosperma, stato in bagno per qualche ora, potei fare alcune sezioni, che, dopo aver subìto l’azione di acido tannico» ed ematossilina, colorai con safranina. Risaltò così il nucleo nelle cellule ad aleurona, ed Ai reticolo protobIseMimtto nelle cellule ami- lifere senza però alcuna traccia di nuclei in esse. Tentai anche di sezionare un endosperma di segale stato in ca- mera di Koch in atmosfera di cloroformio, e fissato nella soluzione alcoolico-sublimato-picrica, ma le sezioni appena immerse nelle so- luzioni coloranti si disfecero non lasciando intatto che lo strato di cellule ad aleurona, il che prova come in questo endosperma la di- gestione in atmosfera di cloroformio avvenisse con una rapidità quasi uguale a quella di avveniva all’aria libera. e come il tessuto amili- ‘ fero fosse qui pure in completo disfacimento. Tutto ciò unito al com- pleto sfasciamento delle cellule dell’endosperma fin dal primo mo- mento di germinazione o di autosvotamento, è una prova dell’asso- luta mancanza di vitalità in queste cellule. Conclusione. — L’albume amilifero delle graminacee studiate: mais, orzo, frumento e segale, può digerire se stesso, però in grado molto diverso, da ciò i risultati diversi ottenuti dai vari autori. L’autosvotamento nelle diverse specie può avvenire senza bi- sogno della vitalità delle cellule amilifere, poichè la digestione del- l’amido si compie per l’azione acceleratrice di un enzima, che per l'influenza degli acidi diluiti o in presenza di ossigeno, si forma a poco a poco, da un proenzima che esiste nell’albume del seme in ri- poso, anche quando si sia con mezzi meccanici tolta ogni vitalità al tessuto di riserva. Con ciò non è negata qualunque vitalità alle cellule dell’endo- sperma di queste graminacee, anzi i nostri studi conducono ad am- mettere che la vitalità, la quale è certa per le cellule ad aleurona che si trovano alla periferia dell’albume, sia conservata anche negli strati posti subito al disotto dello strato aleuronico, ma che poi essa vada via via diminuendo fino a scomparire del tutto verso la parte centrale dell’albume, come pure nella porzione attigua allo scutello. Ciò si vede chiaramente nel mais, il cui albume mostra nuclei ben netti, sebbene curiosamente deformati, nella porzione glutinosa che costituisce, per così dire, lo strato corticale dell’albume, mentre non si riesce più a metterli in evidenza nella porzione farinosa cen- trale che ne costituisce la polpa. Nell’orzo e nel frumento invece, se un resto di vitalità è rimasto nelle cellule amilifere, essa si deve rintracciare nello strato subito sottostante a quello delle cellule ad aleurona mentre tutta la massa maggiore dell’endosperma può considerarsi morta. Lo sfasciamento, completo fin dai primi momenti della germi- nazione, dell’endosperma di segale mostra come quivi l’albume sia completamente morto. che le cellule nuotano isolate, ma intere e con amido intatto, entro la cavità dell’endosperma, il quale orarnai non esiste più come tessuto. Un fatto simile, sebbene in grado molto minore e in un periodo più avanzato di germinazione, si nota anche nel frumento e nell’orzo, non però nel mais, sebbene anche nell’endosperma di questa grami- nacea si formi una citasi durante la germinazione. Quindi le discordanze esistenti nei dati dei vari autori che stu- diarono questo argomento, provengono molto probabilmente dall’a- vere essi usato nelle loro esperienze diverse specie di graminacee: così Purjewitsch, Griiss e Linz che hanno sperimentato a preferenza con frumentone, non hanno torto se in complesso ammettono che il suo albume sia vivo, mentre -Brown e i suoi collaboratori hanno ragione quando sostengono che l’albume di orzo è un magazzino morto di riserve alimentari. Roma, R. Istituto Botanico. Agosto 1906. à { ha C Na Last > A di e precede l’azione denti e che istinglie la lamelle mediana, — rimanendo per molto tempo intatta la membrana cellulosica, così — SCRITTI CITATI. È 1. 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Bot., XXIX, p. 267 (1896). Intorno al “ Mappello ., di Leonardo da Vinci del Prof. MARIO CERMENATI Contributo agli studî vinciani ed alla storia. della botanica E, Leonardo ed il napello della Vals:issina Nel maggio del 1904 fui pregato di scrivere un’ Appendice na- turalistica ad una Guida per la Valsassina, compilata dal mio egre- gio amico prof. Magni di Introbio (2). E poichè l'editore mi aveva cortesemente imposto di esser breve e di far presto, così, in poche pagine ed a penna corrente, radunai alcune notizie intorno a quanto fu contemplato, osservato e studiato nella Valsassina in fatto di amenità e di prodotti naturali, sotto il titolo: La Valsassina da- vanti ai naturofili ed ai naturalisti. Nel fare tale veloce rassegna —— integrantesi con altri precedenti miei scritti su la medesima regione (3) — ho preso le mosse dalla (1) Le successive contribuzioni svolgeranno i seguenti argomenti: Storia del napello avanti e dopo Leonardo — Le fonti e le relazioni botaniche di Leo- nardo— Il « dello erbolaro » di Giuliano da Marliano. (2) Prof. Fermo MaGnI. Guida illustrata della Valsissina (Lecco, tip. Magni, 1904). — La Valsassina è uno de’ più incantevoli, pittoreschi luoghi delle Prealpi lombarde, in provincia di Como, presso alla città di Lecco. (3) I nostri monti. — Conferenza tenuta a Lecco il 16 marzo 18920. (Son+ drio, edit. Quadrio, 1890). — Le bellezze naturali dei dintorni di Lecco. — Introduzione alla Guida di Lecco e dintorni (Lecco, tip. Grassi, 1893). Estratto in-8 di p. 102, con fo- toincisioni (Lecco, id., 1892). — La ghiacciaia di Moncodeno. — Note per la storia dell’alpinismo la- riano. Nella Rivista mensile del Club Alpino Italiano, vol. XVIII, n. 2. (Torino,. Candeletti, 1899). Estratto in-4 di pag. 14. (Torino, ivi). — Lecco e dintorni nella letteratura itineraria. — Prefazione alla Guida-iti- nerario alpina descrittiva di Lecco, ecc. del prof. EpxonDo BruSONI (Lecco, frat. Grassi editori, 1903). a &% è i principali autori, che ci hanno tramandate, per le stampe o mano- scritte, le rispettive impressioni estetiche o ricerche scientifiche su la natura valsassinese. Mi sono così imbattuto — graditissimo ed emozionante incontro! — col sommo Leonardo da Vinci, il quale fece alla Valsassina l'alto onore di una sua visita, 0, fors'anche, di più escursioni. Di che egli lasciò poi traccia, in uno dei fogli raccolti nel Codice Atlantico (1), con alcuni brevissimi appunti su i fenomeni e su le produzioni na- turali della Valsàssina stessa; e questi appunti, naturalmente, m’af- frettai a riprodurre, come il migliore ornamento di quella mia mo- desta Appendice. i Leonardo in Valsassina. Che Leonardo siasi recato in Valsassina e vi abbia direttamente osservati i fenomeni di cui fece menzione, io tengo per sicuro, vin- cendo ogni dubbio che taluno possa agitare al riguardo. Appoggio la mia opinione, non soltanto sui particolari che Leonardo dà della Valsassina, alcuni dei quali hanno tutto il carattere dell’osserva- zione immediata e personale, ma anche su altri suoi appunti, che evidentemente sì presentano come vere e proprie annotazioni di viaggio. Così in uno dei manoscritti della biblioteca del conte di Lei- cester, a Norfollk, riprodotto dal Richter, Leonardo, parlando delle sorgenti intermittenti, accenna alla celebre fonte pliniana del lago di Como, e dice testualmente: « i0 per me n’ò veduto una in sul lago di Como detta Fonte Pliniana ». Nel Codice Atlantico, discorrendo della vallata di Chiavenna, accenna alle « duone osterie » che vi si incon- trano di miglio in miglio, e nelle quali « c’è bon vivere a quattro soldi per scotto »; e ricorda le cadute d’acqua « le quali fanno bel vedere ». E proprio là dove parla, come dirò appresso, delle mon- tagne di Mandello, e d’altre cose notabili del Lario, aggiunge l’av- vertenza: « Queste gite son da fare nel mese di maggio ». Ora è chiaro che affermazioni e particolari di tale natura ba- stano per autorizzarci ad ammettere che Leonardo fu certamente sul lago di Como ed in Valtellina; e che, di conseguenza, fece una (1) I Codice Atlantico di Leonardo da Vinci nella Biblioteca Ambrosiana di Milano riprodotto e pubblicato dalla R. Accademia dei Lincei, con trascrizione di- plomatica e critica di G1ovANNI PiumatI, — Milano, Hoepli, 1894-1904; 835 fasc. in fol.) Vedi foglio 214 recto e verso del Codice e pagg. 755 e 760-61 della tra- scrizione. ‘antichità classica, e sono venuto ai tempi attuali, ricordando via via. È È } i i Dato ai dati che si riferiscono a quelle due regioni. Quando Leonardo da Vinci fu in Valsassina? Non è possibile dare a questa domanda una precisa risposta, im- perocchè sono varie le epoche che, da quanto sappiamo intorno alla. permanenza di Leonardo in Lombardia, si potrebbero assegnare per quella o per quelle gite. Il grande artista-scienziato può aver preso occasione di visitare la Valsassina — e nello stesso tempo il lago di Como e la Valtellina — tanto nel primo periodo del suo soggiorno a Milano, alla corte di Lodovico il Moro — periodo che va dal 1483 al 1499 — quanto nel secondo — dal 1506 al 1518, salvo la gita a Firenze, pe’ suoi affari privati, nell'autunno del 1507 — allorchè fu ospite del governatore francese in Milano Carlo d’Amboise, si- gnore di Chaumont-sur-Loire, o del patrizio Girolamo Melzi a Vaprio. Le maggiori probabilità sono per il primo periodo, forse quando, nel 1492, per ordine di Lodovico il Moro, fece i primi studî per rendere navigabile l’Adda. E ciò perchè troviamo accennato, negli appunti di Leonardo relativi alla Valsàssina, un certo Ambrogio Fer- reri, il quale « fa venire il suo legname » dalla valle d’ Introzzo o del Varrone, compresa nella regione valsassinese. Questo Ferreri (o Ferrario, o de Ferrari) era precisamente il com- missario generale degli approvvigionamenti e delle opere pubbliche sotto Lodovico il Moro. Da Leonardo è ricordato ancora in un suo scritto autografo, che sembra la minuta di una lettera diretta da terza persona ai Fabbricieri di Piacenza, fra il 1490 ed il ‘99, ove dicesi che un certo Delsignore si è vantato « d'esser compare di Messer Ambrogio Ferrere da cui ha buone promessioni > (1). Inoltre figura in una lettera di Bartolomeo Calco, cancelliere ducale, in data S dicembre 1490, nella quale si comanda al Referendario di Pavia di avvisare i pittori maestro Bernardo di Genaro e maestro Bernar- dino de Rossi, che un giorno dopo ricevuto l’ordine vadano a Mi- lano e si presentino ad Ambrogio Ferrario Commissario generale del Duca ...(2). E figura ancora, come sovrintendente ai lavori del Castello di Milano, in un documento a firma Gualtero, in data 20 aprile 1498, dal quale si apprende che Leonardo venne incari- (1) Codice Atlantico, 323r. — Cfr. CARLO AMORETTI, Memorie storiche su la vita, gli studi e le opere di Leonardo daVinci.(Milano, tip. Giusti, Ferrario & C. 1804), pag. 56. — G. P. RicHtER, The literary Works of Leonardo da Vinci, ecc. (Londra 1883), vol. II, pag. 400. — Gusravo UziELLI. Ricerche intorno a Leo-- nardo da Vinci. Serie prima, 2* edizione. (2) Cfr. UzieLLI. — Op. citata, pag. 134. Valsissina, le cui notizie raccoglie. pi oprio ac I Ca “4 [az x PE ad n 4a n PENA IO - i Si pe SR pi cato dallo Sforza di sistemare, d’accordo con « Messer Ambrosio », la Saletta negra del Castello e di dipingerla, « per modo che la stae bene » (1). L’Uzielli (2) congettura che Leonardo, nel settembre 1499, all’av- vicinarsi dei francesi, che spodestarono Lodovico il Moro, dovette ritirarsi verso i monti del lago di Como, rientrando poi in Milano, dopo che i francesi vi sì erano stabiliti e la calma era ritornata. Si potrebbe pertanto additare anche questa circostanza come adatta per una visita in Valsassina; ma essa è semplicemente ipotetica. Quel che è certo si è che, nel dicembre dello stesso anno, Leonardo, con Luca Pacioli e co’l fido Salai, lasciò Milano per rifugiarsi a Venezia. Nel secondo periodo sono parecchi i momenti nei quali si può con tutta verosimiglianza allogare una escursione in Valsàssina per parte del grande uomo. Ei può benissimo averle fatto una o più vi- site nell’occasione in cui villeggiò cinque mesi consecutivi (dalla metà di dicembre del 1506 alla metà di maggio del 1507) presso il suo amico Melzi a Vaprio; come pare siasi allora spinto anche su le montagne bergamasche, e specialmente in Valcava (3). Ma a questo (1) UzieLLI. Op. cit. pag. 319. — VERGA ETTORE. Regesti vinciani (in Rac- colta Vinciana, Milano, 1906, fascicolo II, pag. 48). (2) Op. cit., p. 613. 3) La notizia delle gite di Leonardo sui monti del Bergamasco, e parti- colarmente in Valcava, nel gruppo dell’Albenza, si desume da un sonetto pub- blicato dal mio compianto amico conte CARLO LocHnIs, deputato per Caprino Ber- gamasco, Il sonetto è del poeta Guidotto Prestinari, contemporaneo di Leonardo (Cfr. Locnis C. Prestinari in Bergamo, 1887) e poichè porta l’indicazione: « a Leo- nardo pho Fiorentino G. P. » l’Uzielli (Op. cit., p. 522) suppone con fondamento che si tratti proprio di Leonardo, filosofo (così deve interpretarsi il pho), mentre il Lochis, pur pensando al sommo artista, aveva tuttavia abbandonata l’ipotesi sia per la sostanza del sonetto, come per aver interpretato le lettere, che debbonsi leggere phRo. per un abbreviativo di patrizio o di petro. Il sonetto, ostico a Leonardo, accennerebbe dunque alle escursioni di questi in Valcava, con la quartina: Sin che valchava t’ebbi u' si trastulla Fra quelli boschi solitarij et hermi Per varij monstri e mille strani vermi Fosti balorilo et anchor posto in culla : quartina abbastanza strana che l’Uzielli così interpreta: « Mentre andasti a trastullo nei boschi solitarî ed ermi della Valcava a raccogliere mostri e strani vermi (cioè animali viventi e fossili) fosti balordo e ancor posto in culla (ossia non desti se non che spiegazioni prive di buon senso e degne di un bambino). Invero la Valcava, che penetra nell’ossatura «del Monte Albenza, è ricca di fossili: quanto poi alle giuste idee di Leonardo sui petrefatti, non è da mera- vigliarsi se fossero derise dai poeti del tempo, i quali avranno voluto seguire le fallaci teorie geo-paleontologiche propugnate dalla scienza ufficiale e sco- lastica d'allora. RP È dan d£ 4 N del; Lar n : R È riguardo occorre osservare che l’epoca invernale e primaverile non pale eat ve 7% se De i Ma Ta RA TAI NCISE era propizia ad incontrare su quei monti, nel suo pieno sviluppo e nella sua vistosa fioritura, quella pianta di cui è oggetto questo studio, e che può supporsi abbia colpito, per la sua abbondanza e pel suo portamento, il visitatore. Altre epoche assegnabili ai viaggi vinciani a Lecco — e da qui sul Lario od in Valsassina — corrisponderebbero all’anno 1509, op- pure fra il 1511 e 1513. Nel 1509 Leonardo riprese e condusse a ter- . mine gli studî per rendere navigabile l’Adda da Lecco sino a Trezzo, ‘e per completare e migliorare il canale della Martesana: può quindi darsi che abbia allora soggiornato parecchio tempo a Lecco, facendone come un quartiere generale per le sue escursioni. Nel marzo del 1511 venne a morte Carlo d’Amboise, al cui go- verno ne succedette altro grettamente militare, nemico delle arti e delle scienze. Per il che ebbe a mancare la protezione che dianzi Leo- nardo godeva: esso fu perfino trascurato come inutil cosa. E mag- giormente si lasciò in disparte quando, nel giugno 1512, rientrato nella capitale lombarda Massimiliano. figlio di Lodovico il Moro, sì stabili una amministrazione completamente avversa a quanti ave- vano serviti i francesi. Sicchè, non più addetto a pubblici uffici od a servigi di corte, Leonardo, prima di partire per Roma.(ciò che avveniva ai 24 di set- tembre del 1513) non fece altro che attendere alle sue predilette ricerche scientifiche. E però si sarà dedicato a quelle escursioni nell’agro milanese — di cui faceva parte il territorio lecchese e val- sassinese — con le quali raccoglieva elementi per le sue positive spe- culazioni intorno ai fenomeni di botanica e di geologia. Comunque sia intorno a queste date (e m’auguro possano essere stabilite con precisione dagli studiosi futuri; e forse qualche maggiore notizia si avrà quando saranno resi di pubblica ragione i mano- scritti vinciani, che stanno nelle biblioteche inglesi) non ci può essere dubbio, ripeto, dal tenore degli appunti, che Leonardo constatasse de visu le naturali bellezze della Valsassina, della quale scrisse: « Valsasina viene di verso la Italia. (1) Questa è quasi di simile forma e natura; nascevi assaî mappello, ecci gran ruine e cadute (1) Questa frase abbastanza strana: Valsasina viene di verso la Italia, non è stata spiegata, ch’io sappia, da alcuno: il RICHTER e l’UZIELLI tacciono in pro- posito. A meno che la si voglia intendere per « viene dalla parte dell’Italia », ossia appartiene all'Italia (osservazione spiegabile trattandosi di una regione di confine prossima alla Svizzera grigione), io penso che possa interpretarsi riferendola alle carte topografiche dell’epoca, le quali rappresentavano la Val- AL ie % INI COMINO 206, hi fà fc» CAI DI d'acque... In Raanza: infra Vimognie e Introbbio; a man des entrando per la via di Lecco, si trova la Trosa, fiume che cade da. uno sasso altissimo, e cadendo entra sotto terra, e lì finiscie il fiume (1). Tre miglia più in là si trova li edifizii della vena del rame e dello. arzento, presso a una terra detta Pra Sancto Petro, e vene di ferro, e cose fantastiche. La Grignia è più alta montagna ch'abbin questi paesi ed è pelata ». | sassina come una valle che scendeva approssimativamente da nord a sud, par- tendo dal gruppo del Legnone e venendo a sboccare nell’Adda, poco sotto il ponte visconteo a Lecco. Questa curiosissima inversione della Pioverna appare. infatti nelle più vecchie topografie della Lombardia che si conoscano, come quella d’ignoto autore edita a Roma nel 1558 e quella del milanese GIorGIO SETTALA, pubblicata ad Anversa, e poi inserita nel celebre atlante di ABRAMO ORTELIO, la cui prima edizione è del 1570. Lo stesso enorme errore ricompare nella Lombardia alpestris, parte occidentale, dell’atlante di GERARDO MER- CATORE, primieramente stampato nel 1585; e persino nella carta del lago di Como unita alla edizione del 1636 dell’opera cosmografica di PAoLO MERULA: Italiae specialis membrum alterum etc. (Amsterdam, Blaw)! Ammettendo, dunque, come corrispondente al vero questa rappresentazione topografica della Valsassina, si spiegherebbe la sua direzione verso l’Italia; nonchè la forma allungata del territorio valsassinese, che ricorderebbe ad un dipresso quella della penisola italiana. Ho già notato nella mia Appendice che siffatta arbitraria rappresentazione ha però un significato geologico. È da supporsi che, assai prima dell’assetto at- tuale, risultato dagli ultimi movimenti orogenetici e dal lavorio glaciale, e prima che si fosse formato il ramo del lago di Lecco, esistesse una corrente fluviale, la quale partiva dalle alture fra il Legnone ed il Pizzo dei Tre signori, pas- sava per la depressione di Casargo, scendeva ove oggi sorgono Introbio, Bal» labio, Lecco e proseguiva per Valmadrera, continuando poi, suppergiù, l’attuale corso del Lambro. Questa corrente, unita ad altre, depositò il conglomerato (diluvium antico) che da alcuni è ritenuto pliocenico e da altri del principio del quaternario; e si conservò anche, tranne alcune varianti, per tutto il quater- nario medio (diluvium medio). Contro il San Martino, a Rancio ed a Laorca sopra Lecco, affiorano conglomerati, che sono appunto le alluvioni di quella Pioverna a rovescio dei tempi quaternarî... e delle carte del cinquecento. A proposito di carte topografiche, ricorderò che Leonardo ha nel Codice Atlantico (128 r 8366 r) il seguente appunto: Paesi di Milano in istampa. Sa- rebbe questa, forse, un’antica carta topografica in silografia del Milanese? (1) L’UzieLLI, nel suo lavoro su Leonardo da Vinci e le Alpi, rileva quest’as- serzione di Leonardo, che il torrente Troggia, dopo il salto formante la bel- lissima cascata, finisce sottoterra, invece di proseguire, come fa realmente, e di raggiungere subito dopo la Pioverna; e serive: « Ameno di supporre feno- meni tellurici, di cui del resto non è rimasto memoria, non si capisce come Leonardo dica che la Troggia era un fiume che cade da un sasso altissimo € cadendo entra sotto terra e lì finiscie il fiume. Nella mia Appendice, commen- tando le parole vinciane, io non esclusi che potesse trattarsi di un fatto tel- lurico, intervenuto temporaneamente, forse in seguito ad un terremoto, come. ERO È depp pair Ed a proposito della Val Varrone, o, com’egli la chiama, di Trozzo (dal paese d’Introzzo), appuntò (1): « Questa valle produce assai abeti e pini e larici; è dove Ambrogio Ferreri fa venire. il suo legname ». In questi rozzi e fugaci accenni Leonardo ha condensato ciò che si poteva dire di più saliente circa la Valsassina, regione oggi for- mata dalle due valli dei torrenti Pioverna e Varrone, fra di esse comunicanti mediante la depressione di Casargo; e che in antico comprendeva anche la valle d’Averara, tributaria del Brembo, e quella di Esino, scendente a Varenna sul Lario. Essi ci danno modo, in primo luogo, di rispondere con alcune congetture all’altra domanda: Quale via tenne Leonardo per recarsi in Valsassina? Se la frase: Valsassina viene di verso la Italia signi- fica realmente che egli condivise l’errore dei cartografi del cinque- cento, i quali facevano sboccare la valle della Pioverna a Lecco anzichè a Bellano, ciò potrebbe già far ammettere che non vi fosse entrato per la via di Lecco, salendo alla sella di Ballabio, nè per quella di Bellano, seguendo l’antica via a ritroso della Pioverna. Se queste strade Leonardo avesse tenuto, certamente si sarebbe accorto dello sbaglio topografico con cui si invertiva il corso del fiume; & meno che, come tante altre volte fece, egli non abbia segnato le sue note assai tempo dopo l’escursione, così a memoria ed alla rin- lo stesso Leonardo spiega altrove, citando esempî di corsi d’acque scomparsi od apparsi durante i terremoti [*]; ma aggiunsi che poteva anche essere una semplice supposizione o leggenda popolare della quale, come in altre circostanze fece, il sommo autore volle prender nota. Ripensandoci meglio sono entrato nella convinzione che Leonardo abbia ciò scritto metaforicamente, cogliendo al volo l’espressione di qualche valligiano presente con lui davanti alla cascata, la quale meglio si contempla standole di fianco, a metà circa del salto. La nube formantesi per gli spruzzi abbondanti, che si spandono nell’aria quando la colonna d’acqua batte in terra, non permette più di vedere dove il fiume vada a finire, sicchè sembra che si sprofondi nel sottosuolo. Difatti PARIDE CAT- 'TANEO DELLA TORRE, che dettò una descrizione della Valsassina nel 1571, accenna | a tal fenomeno, dicendo della Troggia che « da un alto precipizio tanto stra- bocchevolmente dirocca, che al basso giungendo nè fiume più nè acque veder si pole et questo dal fiume, vento, nebbia, polvirio, che fino alle stelle se ne sale adviene ». (Descrittione della Valsassina in Documenti inediti riguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe editi dall'ing. GIUSEPPE AR- RIGONI, Milano 1857-61). (1) Codice Atlantico, ivi. ['] «Come son-vene che per terremoto o altri accidenti subito nascono e subito mancano; e questo accade in una montagna in Savoia, dove certi boschi sprofondarono e lasciarono un baratro profondissimo e lontano circa 4 miglia di lì s’aperse il terreno in certa spiaggia di monte, e gittò una subita innondazione grossissima d’acqua, la quale nettò tutta una vallata di terreni lavorativi, vignie e case e fece grandissimo danno ovunque discorse ». (Mss. Leicester Library, 11 b.). ANNALI DI BoTANICA — Vor. V. 39 t'occhio. Allora meglio si spiegherebbe anche l’errore suo, se è proprio da esso che dipende l’espressione su citata; e, naturalmente, la spie- gazione tornerebbe più ovvia, ammettendo addirittura che Leonardo non fosse stato sul posto, ed avesse avuto quelle notizie per infor- mazioni, o magari copiandole da qualche scritto che gli capitò tra le mani, come sovente usava. Ma io credo per certo, come già ho detto, che il grand’uomo fu realmente in Valsàssina, e suppongo che per recarvisi abbia tenuto — lui alpinista (2) e botanico — la via più alpinistica e più propizia alle erborizzazioni (8), attraver- sando, cioè, il gruppo montuoso delle due Grigne (Grigna setten- trionale o di Moncédeno, Grignone, Grigna propriamente detta; e Grigna meridionale, o di Campione, Grignetta) che separa la Val- sàssina dal Lario. A questa congettura possono dar credito parecchie circostanze. Anzitutto Leonardo indica quale montagna più alta della Valsàs- sina la Grigna, che nota essere <« pelata », raccogliendo il nomi- gnolo (come assai più tardi lo raccoglieva il G Grossi pel suo Marco Visconti) dalla viva voce di quelle popolazioni, che ancora oggi così contraddistinguono il brallo colosso del Grignone. Tace quindi del Legnone e del Pizzo dei Tre Signori e d’altre vette valsassi- nesi, che sono più alte di esso; ed in altro punto ne riparla, gene- ricamente chiamandolo «montagna di Mandello », lù dove accenna all’orografia lariana: « £ è maggiori sassi scoperti ‘che si trovino in questo paese, sono le montagne di Mandello vicino alle montagne di Leche e (iravidonia inverso Bellinzona a 30 miglia da Lecco e quelle di valle di Ciavenna, ma la maggiore è quella di Man- (1) Che Leonardo non seguisse ordine di sorta nelle annotazioni sui suoi libretti, abbondano gli esempî. Uno fra questi è là dove scrive: « A Bormi sono i bagni ; sopra Como 8 miglia è la Pliniana », nominando così l’una accanto all’altra due località che distano fra di loro intorno a 150 chilometri ! (2) Cfr. su Leonardo considerato come alpinista: FresnHrIELD DOUGLAS W., The Alpine notes of Leonardo da Vinci (in Proceedings of the R. Geograph. So- ciety ecc. di Londra, vol. VI, n. 6, giugno 1884; recensione in KRivista mensile del C. A. I., vol. IV, 1885). — UzieLLI Gustavo, Leonardo da Vinci e le Alpi (in Bollettino del Club Alpino Italiano, anno 1889, v. XXIII, n. 56, (Torino, Can- deletti, 1890, con sette carte in facsimile; Estratto di pag. 76, Torino, ivi). — Max Jacosi, Leonardo da Vinci als Alpinist. Beilage zur Al/gemeinen Zeitung, Monaco di Baviera, 9 luglio 1904, n. 155. (3) Il gruppo delle Grigne è assai interessante per la sua florula e come tale fu visitato (e lo è tuttodi) da molti botanici, che ne perlustrarono attentamente i fianchi e ne salirono le cime, fusa (1), e magari con una di “opreto errate carte topografiche sot- o a» ba a quale va sotto 200 scalini e qui d’ogni tempo è diaccio e vento ». Pertanto, secondo Leonardo, la Grigna settentrionale sarebbe più alta, non solo delle montagne di Lecco (Resegone), il che risponde al vero; ma persino di quelle sopra Gravedona e Chiavenna, che sono esse invece notevolmente più elevate. Ora; a parte che siffatti errori altimetrici non debbono stupire in un’epoca ancora lontana da quella in cui si poterono ottenere le prime misure relativamente esatte circa l’altezza dei monti, io inclino a scorgere in questa at- tribuita superiorità alla Grigna settentrionale, in confronto alle montagne dell’alto Lario e della valle del Mera, una prova — di ordine, direi quasi, subiettivo, psicologico — che Leonardo, mentre non fu su queste, sali invece sulla Grigna, e, se non sulla punta estrema, certo fino a buona altezza. Onde la Grigna, e pel selvaggio imponente aspetto con cui si presenta guardandola da Mandello, e per le fatiche dell’arrampicata — allora assai più difficile per man- canza di sentieri — e per la gigantesca maestà delle ultime rupi dalle forme le più strane, e per la smisurata vista che di lassù si gode, e che permette di identificare parecchie centinaia di vette del dia- dema alpino e prealpino, gli avrà lasciata l'impressione di essere proprio la più alta ed aspra fra quante si estollono nella zona circo- stante, compresa fra Lecco, Gravedona e Chiavenna. Anche il cenno ch'egli fa della buca « Za quale va sotto 200 sca- lini, ecc. » serve & comprovare la sua ascensione, 0, quanto meno, la sua traversata della Grigna. . Comealtrove ebbi occasione di dichiarare (2), io penso che questa buca possa essere (fra le tante caverne naturali ed artificiali che (1) L’UZIELLI (Leonardo e le Alpi) identifica le « montagne di Mandello » per la Grigna meridionale o Monte Campione. Ma è chiaro, anche pei riguardi della maggiore altezza, che con quella locuzione Leonardo intendeva riferirsi alla Grigna settentrionale o di Moncédeno, come giustamente aveva già inter- pretato il FRESHFIELD. (2) Cfr. la mia nota: La ghiacciaia di Moncédeno, già citata. L’UZIELLI (Leonardo e le Alpi) scrive: « Certamente questa buca non era se non una gal- leria abbandonata di una delle numerosissime miniere di piombo, di ferro, o di rame scavate in quelle regioni fino dai più remoti tempi » e cita in appoggio l’AmorETTI. Il quale (Viaggio da Milano ai tre laghi, sei edizioni, Milano 1794, 1801, 1806, 1814, 1817, 1824) ricorda come nel monte che sta dietro a Mandello siano antiche miniere abbandonate. Anche DomENICO VANDELLI nel suo inedito Saggio di storia naturale del Lago di Como, della Valsassina, ecc., di cui parlo più avanti, e che rimonta al 1762, accennò a questi antichi cunicoli, e fra essi ne descrisse uno di piombo nel cosidetto Monte della Miniera, avente la bocca verso ponente (quindi verso il lago) ed internantesi nella montagna per oltre tali SE PR SSIAPE TERI a, % A — 615 — ; IIS ali UA : x VERI a ‘ Y x dello (1), la quale à nella sua base una buca di verso il lago, la. % Biznno asl gruppo CE nino) la A ghitoriale! i deno, che si trova presso l’alpe omonima sul fianco nordico del Gri- gnone, che scende a formare la Valle dei Molini, tributaria della. Pioverna; e che per la sua celebrità dovette certo attirare l’atten- zione di Leonardo, come più tardi l’attirò di tanti geologi, com- preso quel valoroso pioniere della scienza della terra che fu Nicola Stenone, il quale la visitò e la descrisse. Leonardo può appunto essersi recato in Valsassina per questa via; salì da Mandello, per la Val Meria ed il valloncello di Prada, alla bocchetta di questo nome, a settentrione della vetta della Grigna maggiore; da quì, con breve cammino, fece una punta alla Ghiacciaia, e poscia discese per la valle dei Molini in Valsassina al villaggio di Prato San Pietro. Difatti Mandello e Prato San Pietro sono due paesi che l’autore: del Codice Atlantico espressamente ricorda. E della Valsassina, oltre a Prato San Pietro, non cita che Vimogno ed Introbio, cioè solo 1 paesi centrali della valle, e nessuno di quegli altri che stanno verso Lecco o verso Bellano. Possiamo quindi supporre che nelritorno abbia rifatta la stessa via; oppure percorsa una variante, valicando uno dei tre passi a sud della Grigna-vetta: la bocchetta di Releccio (che è prossima alla cima), il passo della Bassa, od il Buco di Grigna, j quali mettono parimenti in comunicazione la Valsassina con la valle trecento metri: « Entrai in questo abbandonato ed antichissimo cunicolo di miniera, che subdividesi in molte laterali gallerie; la maggiore avrà di lun- ghezza mille piedi parigini, e forse più oltre internavasi; ma i caduti sassi ne impediscono l’ulteriore ingresso ». Ma io osserverò che, se veramente colà ci sono parecchie buche artificiali, più o meno profonde e fredde, non mancano anche le naturali, perchè l’intera Grigna, per la sua natura dolomitica, è, sì può dire, sforacchiata da tutte le parti. Presso la bocchetta di Prada, p. es., c'è un pozzo verticale di parecchie diecine di metri, detto il Buco della Vacca, in memoria certo di qualche vacca cadutavi; ed invero gli alpigiani hanno cura di tenerlo coperto con legnami e fronde per evitare che il bestiame vi caschi. Non nascondo tuttavia le difficoltà che sorgono dalle due espressioni di Leonardo; e cioè, la buca trovasi « alla base » della montagna di Mandello e « di verso il lago »; ciò che non può dirsi della Ghiacciaia di Moncòdeno. Par- rebbe quindi più esatto pensare ad un pozzo ai piedi della Grigna e di faccia al lago. In val Meria, nella località denominata Fontana dell'acqua bianca ad un'ora e mezza da Mandello, esiste una caverna bellissima, internamente spa- ziosa e di profondità inesplorata, nella quale spira aria fredda; è detta la Grotta del Rame ed anche «la ferréra » in omaggio alla tradizione che la considera un’antica miniera di ferro abbandonata. Pure il VANDELLI (op. cit.) cita la grotta della Ferriera, e giustamente osserva che contrariamente a quanto ap- parirebbe dal nome, essa è « una grotta dalla natura formata; il suo piano è ineguale, con alti risalti e profondissime perpendicolari fenditure ». ‘che scende a Mandello. Come può anche darsi che una di queste tre strade sia stata da lui tenuta nell’andata, quando salì da Man- dello, e che la Val'dei Molini l’abbia percorsa nel ritorno; e, se si spinse sulla vetta, può esservi salito tanto dalla bocchetta di Prada quanto da quella di Releccio. Leonardo cita anche la « via di Lecco »; ma ciò non implica che egli l’abbia seguita, venendo proprio da Lecco. In questo caso non avrebbe detto: « infra Vimognie e Introbbio, a man destra entrando per la via di Lecco », bensì « infra Introbbio e Vimognie ecc. » per- «chè, venendo da Lecco, s'incontra dapprima Introbio, sulla destra della Pioverna, e poscia Vimogno. Del resto egli può benissimo, per un buon tratto, aver battuto la « via di Lecco », sia nell’andata come nel ritorno, se nel traversare la Grigna. tenne una delle tre mentovate vie meridionali, che fanno capo a Pasturo od a Balisio. Che poi non abbia affatto seguita la via da o per Bellano, ciò emerge evidente dal suo silenzio circa il celebrato Orrido, che la Pio- verna forma sbucando verso il lago; fenomeno grandioso ed assai più impressionante che non sia la cascata della Troggia, che invece ricorda. Leonardo che, fors’anche in relazione ai suoi studii d’inge- gneria idraulica, menziona ne’ suoi appunti tante fonti e cascate della regione lombarda, non avrebbe certo taciuto dell’Orrido di E il ghiaccio allora? Bisognerebbe intendere diaccio unicamente per freddo intenso; ma osservo che, in buona lingua, diaccio, come aggettivo, significa ghiacciato, mentre usato come sostantivo indica tutt’altro, e precisamente il campo ove i pastori racchiudono il gregge, circoudandolo con rete o palizzate. Del resto può darsi che Leonardo, scrivendo forse queste sue note a distanza di tempo dal sopraluogo, avesse poi fatto qualche confusione, cadendo in ine- sattezze altimetriche o d’orientazione; di che non sono immuni non pochi de’ suoi appunti. Quanto alla base, si potrebbe intendere: alla base della parte superiore «della Grigna, cioè al disopra dei pascoli, ove la montagna si fa per davvero pelata. La Ghiacciaia di Moncòdeno è situata proprio là dove finiscono gli ul- timi prati di Valle dei Molini, e comincia a levarsi, con rapidissimo pendio, il dorso affatto nudo del Grignone, che talora si presenta in enormi scogliere dalle bianche pareti a picco. E i duecento scalini? La Ghiacciaia di cui è pa- rola, pel suo ghiaccio inesauribile e purissimo, fu continuamente sfruttata nei secoli andati, durante il periodo estivo; e, specialmente nelle annate secche e calde, grandi quantità di quel ghiaccio venivano portate a Milano. Gli scalini, pertanto, erano scavati nel ghiaccio medesimo man mano veniva esportato; «e secondo la descrizione che fece della Ghiacciaia GiusEPPE D'ADDA per comu- nicarla al dott. BArRToLoMmEo Corte, che a sua volta la mandò ad ANTONIO + VALLISNERI (Raccolta di varie osservazioni spettanti all’istoria medica e natu- rale, Venezia 1728) il piano del ghiaccio, nell’estate del 1725, arrivava « fino a duecento braccia di profondità ». veduto. Un’ultima congettura, che potrebbe mettersi avanti, è questa. Entrato in Valsassina, valicando la Grigna, Leonardo forse passò dalla valle della Pioverna in quella del Varrone, per la depressione di Casargo o per la valle della Troggia; e dalla Val Varrone uscì a Dervio, oppure entrò in Valtellina per la bocchetta di Trona, o quella di Varrone, che mettono in Val Gerola, scendente a Mor- begno. Quest'ultima supposizione si fonderebbe su’] fatto che il cenno leonardiano relativo alla Val Varrone non trovasi unito a quello della Valsassina, bensì ad altro riguardante la Valtellina, quasichè Leonardo considerasse la Val Varrone come parte od appendice della. Valtellina. Invero, subito dopo aver detto della valle di Trozzo e del Ferreri, continua annotando: « In testa della Valtellina è le mon- tagne di Borme, terribili e piene sempre di neve : qui nasce ermellini ». Da Leonardo escursionista passiamo a Leonardo naturalista. Quelle poche parole che egli ci ha tramandate su la Valsassina ci presentano il sommo artista-scienziato intento alle sue predilette ricerche di storia naturale, ed in pari tempo ci attestano come la. Valsassina lo abbia da questo punto di vista assal interessato. Egli rimase colpito dagli spettacoli di dinamica terrestre, ond’è. esuberante questa splendida plaga prealpina; e ricordò le grandi rovine e le cadute d’acqua ivi esistenti, con speciale accenno alla rinomata cascata della Troggia, la quale, come ha esercitato il pen- nello di tanti pittori ed acceso l’estro di tanti poeti, così non po- teva certo sfuggire all'’ammirazione di quell’anima di pittore e di poeta-naturalista per eccellenza. Nella frase semplicissima: «e cose fantastiche », che ha del dantesco. e dello shakesperiano ad un tempo, ognuno, che abbia dimestichezza coi paesaggi delle montagne calcaree e dolomitiche, vede sintet1z- zati tutti i curiosi fenomeni svariatissimì, che caratterizzano sif- fatte regioni. E la Valsassina, la quale per una buona metà, specie nel massiccio della Grigna, è appunto costituita da roccie calcaree e dolomitiche, nonchè da marne e da arenarie facilmente lavora- bili dagli agenti meteorici, presenta un vero teatro di cose fanta- stiche, che formano la delizia del viaggiatore e dell’alpinista. Cì sarebbe da cavarne nna serie interminabile di illustrazioni fotogra- fiche, una più bella e più interessante dell’altra, per un trattato su la degradazione meteorica o denudazione delle terre! Leonardo accennò poscia alle precipue produzioni metalliche del- l’alpestre regione, ed alle materie che il regno vegetale forniva per ; fa I ‘ b; , i 9 Fr? Da + PIVA FE ENEA butto A Bellano, se, in occasione del viaggio in Valsissina, egli l’avesse AIA al Ù » ia dle È. de Pi ci ero? gel ; “ #5 tu wi ea nf 4 Ve NL ( UTI CI at sig a o use p La Ri L RIPARATA €1)A (Le; SI à Ar le grandiose costruzioni, alle quali era sempre fisso il suo pensiero di ingegnere, di architetto e di idraulico. Tra le prime noverò, in scala di nobiltà decrescente, l’argento, il rame ed il ferro. Ricchissima di galene argentifere, fu, ed è ancora, la Valsassina; e quando nei tempi andati le terre d’oltre mare non riversavano nell'Europa, come fanno oggi, enormi quantità di argento, alla for- nitura di questo metallo essa concorreva coi distretti più celebrati. Ond’è che Paolo Giovio, nell’ elogio di Martino Torriani (1), ebbe a dirla « argentifodinis clara », espressione ricopiata poi dall’Hen- ninges (2); e forse essa si meritò una visita del celebre senese Van- noccio Biringucci, emulo d’Agricola, che, appunto per studiare e ri- cercare miniere argentifere, viaggiò, nel secondo quarto del cinque- cento, per l’Italia settentrionale e per la Germania. Domenico Vandelli, del quale dirò più avanti, trovò nel 1762 numerosi in- dizî di vetuste miniere di galena argentifera a Cortabio, a Fal- piano presso Vimogno, al Canale del Ceppo ed al Pendaglio presso Introbio, ed altrove; testimonianze indubbie delle antiche escava- zioni abbondanti. Anche di rame, nelle epoche trascorse, la Valsàssina è stata generosa produttrice, con le sue calcopiriti frequenti nei terreni permiani; e quanto al ferro, questo, per lunghi secoli, dai primordî dell’èéra cristiana alla metà dell’ottocento, vi fu scavato in tale gran- dissima abbondanza, sotto forma di siderosio e di limonite, da me- ritarle il titolo, che leggesi in varie carte antiche, di « terra clas- sica del ferro > (83). Tra le produzioni vegetali Leonardo indicò gli abeti, i pini, i larici, i quali a’ suoi giorni coprivano, con fitto manto rigoglioso, i fianchi delle aspre montagne di Val Varrone, che dividono la Val- sassina dalla Valtellina, col Legnone alla testa. In quelle grandiose (1) In Elogia virorum bellica virtute illustrium veris imaginibus supposita, quae apud Musaeum spectantur (Firenze, Torrentino, 1551), tradotti in italiano da Lopovico DoMENICHI: Gli elogi, vite brevemente scritte d’huomini illustri dî guerra antichi et moderni (Firenze, Torrentino, 1554; Venezia, Lorenzini, 1559). Altre edizioni latine: Basilea 1561; Elogia virorum bellica virtute lustrium, septem libris jam olim ab authore comprehensa et nunc ex ejusdem musaeo ad vivum expressis imaginibus exornata (Basilea, Perna, 1575 e 1596). (2) Theatrum genealogicum, Tom. III pag. 1115. (8) Chi desiderasse avere notizie sulle escavazioni del ferro che facevansi ne’ tempi andati, risalendo fino all’epoca romana, in Valsàssina, potrà consul- tare con profitto l’ArRIGONI (Notizie storiche della Valsassina e delle terre li- mitrofe dalla più remota età sino all'anno 1844; 1° ediz. Milano, Pirola, 1840-47; 2? ediz. aggiornata fino al 1888, Lecco, Grassi, 1889, ed il CurIONI (L'industria del ferro in Lombardia, Milano, Bernardoni, 1860). mosci; ma fin dall'epoca di Leonardo, com’egli disse, si traevano da esse grandi quantità di legnami: e la continua esportazione finì per assottigliarle sempre più, sino alla quasi totale loro distruzione. Ed eccoci ad un ultimo prodotto naturale, che Leonardo da Vinci menziona come abbondante in Valsassina, e cioè il mappello. Laco- nicamente egli scriveva: « nascevi assai mappello ». Il significato di « mappello. » Io debbo confessare che, allorchè lessi per la prima volta questa frase, mì trovai parecchio imbarazzato a darne spiegazione. Pensai simultaneamente che potesse trattarsi di un animale, come di una pianta, come di una pietra, perchè nei vecchi testi il verbo nascere usavasi indifferentemente, sia per l'habitat degli organismi, sia per la topica dei minerali. Lo stesso Leonardo, subito dopo negli appunti a proposito delle montagne del Bormiese, annotava: qui nasce ermellini. Prima però di accingermi da solo alla interpretazione del voca- bolo, volli verificare se qualcuno dei commentatori de’ manoscritti vinciani già l’avesse additata; ma, da quanti potei consultare, non ebbi lume di sorta. Giovanni Piumati, nella sua trascrizione diplomatica e critica del Codice Atlantico, riporta testualmente: « mappello », senz'altro ag- giungere, nè fra parentesi, nè a piè di pagina, a dilucidazione della parola. Una delle due: o il Piumati conobbe cosa fosse il « mappello » e credette il vocabolo tanto conosciuto, da non richiedere spiegazioni; o non ne comprese neppur lui il significato e, trascrivendo material- mente, preferì star zitto. E però, dopo consultata l'edizione lincea del Codice Atlantico — ammirevole lavoro pel quale il Piumati merita ogni plauso più caldo — io ne seppi quanto prima. Maggiore oscurità incontrai nella ben nota antologia vinciana di Gian Paolo Richter (1). L’illustre inglese, cotanto benemerito per le sue pazienti indagini e le sue dotte conclusioni intorno ai mano- scritti di Leonardo, riferisce per intero il frammento relativo alla Valsassina. Ma alla parola « mappello » fa tanto di richiamo, per affermare bruscamente in nota: « The meaning of mappello ist unk- nown ». (Il significato di mappello è sconosciuto)! Possibile? fu la mia spontanea esclamazione a così dura sentenza. (1) The literary Works of Lronarpbo DA Vinci, compiled and edited from the originals manuscripts by J. P. Ricurer, Ph. Dr. in two volumes. (London, Sampson how, ecc., 1883), v. II, p. 2837. lupi, cinghiali, e cercavano ospitalità co stambecchi e ca- Anche nell’interessantissimo scritto di Gustavo Uzielli: Leonardo da Vinci e le Alpi, nel quale si illustrano con molto acume gli appunti dei viaggi in montagna di quel grande, nessun chiarimento. Il valoroso leonardista commentò con intelletto d’amore le parole «che riguardano la Valsassina: ma, mentre diede spiegazione d’altre cose, scivolò su’l1 mappello, tacendone nel testo; e nelle appendici, riportando il periodo intitolato « /n Va/sasina », giunto al vocabolo in questione non fece altro che accompagnarlo con un: [sc]. Quel: [sic] poteva indicare un errore nella scrittura della parola, il cui senso era però noto all’Uzielli: oppure, viceversa, stava a si- gnificare come anche a questo profondo vinciano fosse tornato nuovo ed oscuro il vocabolo. Nel dubbio, pensai bene di interpellare direttamente l’Uzielli stesso, chiedendogli se, quando scrisse la me- moria di cui sopra; sapeva che cosa fosse il « mappello » 0 se, nel- l'intervallo di quasi quindici anni, con tante ricerche da lui fatte intorno alle cose di Leonardo, avesse potuto scovarne il significato. Il cortese ed erudito naturalista e geografo mi rispose subito con una cartolina da Firenze, in data 22 giugno 1904, nella quale mi an- nunciava che nel 1888-89, allorchè dettava la memoria in questione, do- vette « fare ricerche speciali ed infruttuose », dal momento che aveva apposto quel [s:c], equivalente ad un punto interrogativo. Soggiun- geva: « Il Richter che per la sua importante, per quanto informe raccolta, ebbe aiuti di dottissimi lombardi, tra i quali l’abate Ceriani dell’Ambrosiana, pone in nota, vol. IT, p. 237, nota 14: « The meaning of mappello ist unknown.» E concludeva: « Non rimane che rivol- gersi al prof. Trombetti! », alludendo al valente poliglotta in quei giorni diventato ad un tratto celebre per la sua opera premiata dal- l'Accademia dei Lincei. Questa risposta di persona tanto autorevole, e tanto addentro nei segreti vinciani, mi tolse li per li la speranza di trovar subito il significato del vocabolo. E però, tempestato da lettere e da tele- grammi dall’editore, impaziente di metter fuori la Guida prima del- l’aprirsi della campagna alpinistica, licenziai le bozze della Appen- dice, senza poter dare alcuna spiegazione della parola mappello, ma riserbandomi espressamente (1) di farne in seguito oggetto di studio. (1) In fatti scrivevo in nota a pag. 194 (16 dell’estratto): « Mi riserbo tut- tavia di fare ulteriori ricerche al proposito [circa gli uccelli ircani], come pure pel mappello di Leonardo da Vinci...» Gli uccelli ircani sono menzionati nella già ricordata Descrittione della Valsassina di PARIDE CATTANEO DELLA TORRE: ‘ed ho recentemente identificati anche questi per me allora enigmatici esseri, «come dimostro in una memorietta già pronta per le stampe. E così ho man- tenuto entrambe le promesse! ai A Pi E; ; w ") Ate ” . se fosse la più facile e natural cosa di questo mondo, trovai la de- siderata spiegazione, non senza meraviglia di non averla subito colta al volo, al primo incontro con l’enigmatica parola! Per una improvvisa idea suggeritami dall’analogia di mappello con napello, fermai la mia attenzione su questa specie vegetale, scar- tando la congettura che, nel frattempo, avevo mulinato di una pro- babile, per quanto stiracchiatissima, derivazione di mappello dal latino mappa (tovagliola, salvietta, ecc.), per indicare il lino o la canapa, da cui ricavasi la materia prima per fabbricare la tela. Tornai subito a consultare i vecchi testi di botanica, di materia medica, di tossicologia, ecc., ed i più reputati dizionarî di queste dot- trine: ma in nessuno dei libri, che mi fu possibile in quei giorni avere tra mano, vidi indicato mappello o mapello come equivalente di napello, o nappello (1), o malapelle (2). Considerai allora che gli appunti, dei quali Leonardo aveva tem- pestato 1 taccuini, che seco portava durante le escursioni, non pote- vano essere — come non lo sono — modelli di lingua o di stile, se non altro per la fretta con cui venivano segnati. E poichè il sommo non soltanto appuntava ciò che vedeva o toccava con mano, o ciò che trovava scritto nei libri che capitavangli sott'occhio, ma teneva nota fedele anche di ciò che gli veniva riferito dai contadini o mon- tanari coni quali imbattevasi, così sospettai che mappello fosse la italianizzazione di una voce dialettale da lui udita, e indicante ap- punto il napello dei botanici. Lontano in que’ giorni dalla regione valsassinese non potei su’1 mo- mento controllare direttamente la fatta supposizione (ciò che constatai (1) Trovasi scritto nappello (con due p)in varî autori, p. e.: MATTIOLI (Il sesto libro di Pedacio Dioscoride Anarzabeo in cui si tratta dei rimedî dei veleni mor- tiferi ecc. Ediz. di Venezia, Valgrisi, 1551 ed altre); TENnorE M. Saggio sulle qualità medicinali delle piante della flora napoletana (Napoli 1808); VALMONT DI BomarEe, Dizionario ragionato universale di Storia naturale, Trad. ital. Tre edizioni: Venezia, Milano, 1766-71, 12 vol.; Napoli, Coltellini, 1788, 12 vol. Roma, Puccinelli, 1701-1804). (2) Malapelle"o aconito malapelle come sinonimo di napello trovasi indi- cato da varî botanici e farmacologi italiani; p. e. TARGIONI-TozzETTI (Dizio- nirio botanico italiano, II. edizione, Firenze 1825); BeRrTOLONI (Flora italica, vol. V, Bologna 1842, p. 420); Cassone (Flora medico farmaceutica, Torino 1847); Guareschi (Commentario della farmacopea italiana e dei medicamenti in generale, ad uso dei farmacisti, medici, veterinari, studenti, ecc., Torino, Unione Tip. Ed., 1877, parte I, vol. I, p. 149); CoRREvoN (Flora alpina tasca- bile per i touristi nelle montagne dell'alta Italia, della Svizzera, della Savoia, del Delfinato, dei Pirenei, del Giura, dei Vosgi. ecc. con 144 tavole colorate Torino, Clausen, 1898, p. 18); ecc. Ma ecco che — avviene sempre così! — pochi giorni dopo, come enne — -. ETNA si RE ITC EE pienamente un mese dopo dalla viva voce parlata degli abitanti della Valsassina. e dei monti lariani); ma bastò ch’io aprissi il Vocabo- lario dei dialetti della città e diocesi di Como di Pietro Monti (1) per avere la conferma desiderata. Infatti a p. 136 di tal dizionario è segnata la parola mapé! come corrispondente dialettale di napello. E consultando contemporaneamente il Suggio sui dialetti Gallo-Ita- lici (2) del Biondelli trovai indicato Mapè! per Aconitum Napellus in dialetto bresciano. Messo così sulla buona strada non faticai a trovare nelle flore locali ed in alcuni dizionarî la stessa spiegazione. Il Comolli, nella sua Flora comense (3), dà mapell e napell come nomi dialettali del- l’Aconitum Napellus; e lo Scotti, nella sua Flora medica della Pro- vincia di Como (4), indica la voce mapello come sinonimo di aco- conito e di napello. Giuseppe Massara, nella sua F/ora della provin- cia di Sondrio (5), addita mapello (e anche ruga) come nome volgare della pianta di cuisi tratta. Parimenti l’ Alberti (6) ed il Malacrida (7) danno come sinonimi mapello e napello; e recentemente, su un giornale bresciano (8), a proposito di un avvelenamento causato da chiocciole che avevano nello stomaco avanzi di Aconitum Napellus, ho letto usato senz’altro il nome di mapello. Il mappello vinciano — lo « sconosciuto » del Richter, il « certo mappello » del Farinelli, (9) la x formidabile per la quale l’Uzielli ue” (1) Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, con esempî e ri- scontri di lingue antiche e moderne (Milano, Società tip. dei Classici ital., 1545). (2) Milano, G. Bernardoni, 1853, pag. T1. (3) Flora Comense disposta secondo il sistema di Linneo, a comodo dei me- dici, degli speziali e dei dilettanti nelle escursioni botaniche (Como-Pavia 1834 1357) volume IV (Pavia 1846), p. 172. (4) Flora medica della provincia di Como del dottore Gilberto Scotti medico municipale (Como coi tipi di Carlo Franchi, 1872) p. 132. (5) Prodromo della flora valtellinese (Sondrio, tip. Della Cagnoletta, 1834). (6) Zora medica ossia Catalogo alfabetico ragionato delle piante medicinali. descritto in lingua italiana (Milano, tip. De Stefanis, 1817, vol. 10). A_p. 91 dell’Indice generale si legge: « mapello V. napello ». (€) Manuale di materia medica (Milano, edit. Hoepli). A p. 10, sotto Aco- nito, è detto: « In vulgare napello o mapello ». — Anche il PoLLINI: Flor. Veron. II. (1822) pag. 198, ed il Franzoni: Piant. fan. Sviz. Insub. (1890) pag. 27, indicano Napel e Mapell per napello. (8) La Sentinella Bresciana del 12 giugno 1905. (9) Arturo FarINELLI, che nel 1903 pubblicò un bellissimo studio sul: Sentimento e concetto della natura in Leonardo da Vinci (in Miscellanea di studì critici edita in onore di Arturo Graf, Bergamo, Istituto italiano di Arti grafiche) non doveva conoscere il significato di mappello, perchè, a p. 310, parlando degli appunti sulla Valsassina, dice che Leonardo ricorda « certo map- pello che vi nasce abbondante >». "£ ig) invocava nientemeno che la scienza del Trombetti — non è quindi che la notissima specie vegetale dell’aconito napello; e questa no- tizia, che non potei dare quando si stamparono i fogli della Guida alla Valsassina su menzionata, fui tuttavia a tempo ad inserire a p. 26 degli estratti della mia Appendice, i quali furono tirati poco dopo, e precisamente nel luglio 1904 (1). Ma allora mi limitai ad una breve nota in cui, data la spiega- zione della parola mappello — spiegazione così ovvia e semplice una volta trovata! — aggiungevo la promessa di fornirne dimostrazione con <« apposito scritto ». Nel frattempo da varî amici, fra i quali citerò il dott. Antonio Magni e l’avv. Luigi Majno di Milano e il dott. Luigi Fugini di Brescia ed il prof. G. B. De Toni di Modena (dottissimo di cose vinciane) ebbi la conferma di aver colto nel se- gno: e più tardi fui lieto di leggere un articolo del dott. Diego San- t'Ambrogio di Milano, che addiveniva alla stessa mia conclusione. In questo articolo, apparso nel numero 20 novembre 1904 del pe- riodico quindicinale di Firenze Arte e Storia, co’l titolo: Dell’inter- pretazione del Vodice Atlantico riguardante la Valsassina, (2) Verudito scrittore milanese identifica appunto il mappe/lo vinciano co’l na- pello dei botanici, citando a conforto della sua tesi il Comolli, che registra, sotto la specie di Aconitum napellus, 1 nomi volgari di na- pello mapetl, ed esprimendo l’opinione che « molte ragioni si hanno per ritenere che la volgare voce antiquata dell’aconito sia piuttosto quella di mappello (poco importa se con uno o due p) anzichè di nappello, che più si avvicina al nome specifico latino dato da Linneo a quella ben nota ranunculacea, quantunque il Comolli le registri entrambe senza distinzione » (3). (1) La Valsassina davanti ai naturofili ed ai naturalisti. Seconda edizione, (Lecco, Tip. G. Magni, 1904). Opuscolo in-8 di p. BI. (2) Il SAanr'AmBRoGIO scrisse questo articolo per dare quella spiegazione del mappello che mancava nella mia Appendice unita alla Guida, senza evidente- mente conoscere l’estratto dell’Appendice stessa, ove la spiegazione appariva. N'è prova anche il fatto che attribuisce al prof. Magni, autore della Guida, la nota sul mappello in quella Appendice. Non capisco poi perchè trasformi il ndscevi usato da Leonardo nel verbo créscevi. (3) Il SANT'AMBROGIO accenna alla possibilità di escogitare una spiegazione etimologica di mappello, facendo derivare questa parola dalla poco usitata voce latina di mappello, o piccolo Umbracolo per gli usi del culto, così come la stessa pianta dell’aconito napello ebbe dai francesi, per l’elmo emisferico che copre gli organi florali, il nome di Casco di Giove. Ma giustamente osserva che questa sarebbe una delle tante « contorte spiegazioni » o « mirabolanti derivazioni », che pure si prediligono. — Dal mio canto farò osservare che, data l’analogia fra le due parole sinonime mappello e malapelle, può supporsi la prima deri- ‘a SA ni pg Stabilito così il significato preciso, indubbio, della parola mappello, eccomi a mantenere la promessa fatta di un « apposito scritto » su. quel vocabolo vinciano. L’ « Aconitum Napellus » in Valsassina. « Nascevi assai mappello » appuntava, dunque, Leonardo da Vinci riferendosi alla Valsassina; e ciò è perfettamente vero. Comune in tutta la regione alpina e prealpina — come notaron già 1 più vecchi floristi — l’aconito napello fu trovato abbondante in Valsassina da quanti botanici ebbero a percorrere questa interessan- tissima plaga montuosa, dalla flora assai ricca e svariata. Nei manoscritti di Ulisse Aldovrandi, che si conservano nella biblioteca universitaria di Bologna (1), io ho trovato una noticina di piante, risalente al 1571, che ha per titolo: Catalogus plantarum quae nascuntur în montibus Bergamensibus (2); ed a capolista figura l’aconitum pardalianchis seu Herba taura, con che si vuole indicare appunto il napello. E ciò dimostra che i botanici del cinquecento già additavano come sede di questa pianta i monti bergamaschi, cioè le vata per abbreviazione della seconda; e malapelle, probabilmente, può alludere alla azione irritante sulla cute. Quanto alla etimologia di napello, (che è il nome vero, e più antico che non mappello, come dimostrerò in altra contribu- zione) tutti gli autori sono concordi nel vedervi un diminutivo della voce Napus (rapa) dall’aspetto napiforme della radice. Siffatta etimologia è data per proba- bile dallo CHAUMETON (F/ore Medicale, Parigi 1814) e dal CASSsoNE (Flora me- dica farmaceutica) che copiò dal precedente. Appare poi come sicura secondo il Nouveau Dictionnaire de Botanique ecc. di GERMAIN DE SAINTE PIERRE (Parigi, Baillière, 1870) e nel Dictionnaire de botanique del BarLLon (Parigi, Hachette, 1876). — GABRIELE Rosa nella sua opera Dialetti, costumi e tradizioni delle pro- vincie di Bergamo e Brescia (2% ediz. Bergamo, Tip. Pagnoncelli, 1858), in un elenco di vocaboli radicali di Valsassina, segna Nape! per ciottolino; e nel più ampio elenco ch'egli dà di vocaboli radicali bergamaschi e bresciani segna Napa (bresciano) per grande naso (donde il sopranome di Napoleone — naso da leone — che ebbe anche un Torriani valsassinese della celebre famiglia ri- vale dei Visconti); e per entrambi i vocaboli addita l'analogo greco nape, napos, valle, bosco, donde le ninfe Napee. Potrebbe avere la parola NapeZlo questa derivazione greca (come a-dire: fiore della valle, del bosco ecc.) anzichè la la- tina su riferita? — Mi riserbo di discutere lungamente intorno alla origine della parola napello in altra serie di queste contribuzioni. (1) Cfr. la mia prolusione: Ulisse Aldrovandi e UV America (Annali di Bo- tanica del prof. R. PrrotTA, vol. IV, fas. 4, Roma, Voghera, 1906) nella quale rilevo l’entità e l’importanza dei manoscritti inediti del sommo naturalista bolognese e faccio la proposta che il Ministero della Istruzione pubblica prov- veda ad una critica edizione nazionale. (2) In Observationes variae, vol. V, cart. 60 v. montagne più prossime alla Valsassina, quando non si voglia com- prendere sotto la denominazione di « bergamaschi » i monti stessi valsassinesi, anche per la considerazione che a quei tempi la Val- sàssina estendevasi nel bacino del Brembo. Domenico Vandelli, che erborizzò su i monti ad oriente del Lario nella estate del 1762, e lasciò notizia delle sue raccolte nell’opera inedita: Saggio d’istoria naturale del lago di Como, della Valsas- stna, ecc. (1), segna il napello fra le piante da lui incontrate nella Val Varrone; e precisamente su quel monte delle Ferriere, che, se Leonardo passò dalla Valsassina in Valtellina per vie alpestri, avrà fiancheggiato o salito. Compagno del naturalista padovano in quelle escursioni fu il milanese Paolo Sangiorgio, allora quindicenne, che in seguito tornò reiterate volte su i monti lariani a scopo botanico. Egli constatò che, diffuso ovunque nella regione comasca, il napello < cresce abbondantissimamente » in Valle Assìna, su’l1 monte sopra Canzo, lungo il torrente Ravella (2). Il Comolli — il maggior studioso della flora della provincia di Como — dice nel suo Prodromus (3) che l’Aconitum Napellus « pro- venit in montibus Vallium Sasîna et Cavargna, inter terminos Ju- glandis, atque Fagi; invenitur etiam in locis regionem Abietis at- tingentibus ». E nella Flora comense ripete: « Questa specie abbonda sui monti delle valli Intelvi, Sassina, Cavargna, dai confini della regione del Noce a quelli del Faggio e dell’Abete (4). Lo stesso Co- molli fornì al Bertoloni, che li ricordò nella sua classica Flora ita- lica, bellissimi esemplari di napello valsassinese tipico, nonchè della varietà B (Aconitum neomontanum Comoll. Prodr.) raccolta in Bian- dino, nella valle della Troggia. Lo Scotti (5) conferma le precedenti affermazioni, asserendo che il napello si trova sula maggior parte dei monti della provincia (1) Un esemplare di questo importante lavoro conservasi nella Biblioteca Universitaria di Pavia, dal quale feci trarre anni sono una copia per uno studio, che pubblicherò tra breve, su Domenico Vandelli e le sue perlustrazioni naturalistiche in Lombardia. Devesi al prof. Saccardo di aver tolto dall’oblio questo valentissimo naturalista, trascurato al punto che nessuno neppur sapeva quando e dove fosse nato e morto! (2) Istoria delle piante medicate e delle loro parti e prodotti conosciuti sotto il nome di droghe officinali (Milano, Pirotta, 1809, 4 vol.) Vol. II, p. 700. (3) Plantarum a Josepho Comollio M. D. in Lariensi provincia lectarum enumeratio, quam ipse in botanophilorum uso atque commodo exhibet uti Pro- dromum Florae Comensis (Como, tip. Ostinelli, 1824), p. 104 (4) Flora com. op. cit., p. 171 e segg. (5) /lora med. op. cit., p. 182. di ri Sto di Como, ed è reputato essere della migliore qualità, dal punto di vista farmaceutico, secondo la asserzione dello Zaniboni (1). Narra lo stesso Scotti di aver trovato presso al Buco del piombo sopra Erba un magnifico esemplare di napello, alto non meno di due metri, lar- gamente ramoso e cespitoso, col gambo quasi affatto ligneo del diametro da cinque a sei centimetri; il che lascia credere che anche nella vicina Valsassina siansi osservati consimili giganti della specie. Ecco una prima e duplice ragione per cui Leonardo avrà segnato sul suo taccuino l’esistenza del « mappello » valsassinese: per la abbondanza e la vistosità della pianta e per la sua buona e, forse, fin d’allora ricercata qualità. La duplice notizia — se non l’ebbe a constatare co’ suoi occhi e con le sue esperienze — egli la può aver avuta da quei montanari, qualcuno dei quali, probabilmente, erbo- rista, o rizotomo di professione, raccoglieva già anche il napello: oppure da qualche farmacopola del luogo o di Milano. Che il napello si raccogliesse in Valsassina fino dai tempi di Leo- nardo non saprei affermare; ma indubbiamente in Milano eranvi er- boristi che tenevano tra le loro erbe il napello (2). Potrebbe darsi che quegli alpigiani lo usassero semplicemente per farne bocconi avvelenati per uccidere orsi, lupi, volpi, gatti selvatici ed altre pic- cole fiere, che nei tempi andati popolavano gli allora fitti boschi della regione; o fors'anche se ne erano serviti anticamente per avvelenare le freccie con cui colpivano le bestie feroci, a somiglianza di quanto praticavano i pastori del monte Ida, di cui parla Nicandro, ed ancora oggidi fanno i cacciatori dell’Himàlayo. Certo è che ai giorni nostri — e da molti anni — si compie in Valsassina grande incetta di napello, come pure nelle concomitanti valli delle provincie di Como, di Bergamo e di Sondrio. La farma- copea moderna — come tutti sanno — assegna all’aconito un largo uso; e ciò dà ragione della estesa ricerca che si fa del napello, che è l’aconito per eccellenza — anzi l’aconito per antonomasia — ed il più desiderato, perchè il più ricco di principî estrattivi impiegati in me- dicina, quali l’aconitina e la napellina. (1) Materia medica spontanea del Trentino. Questo autore dichiara espli- citamente, a proposito dell’aconito napello, che «è dei migliori quello che si raccoglie sui monti della provincia di Como >. Non trovo citato lo Zaniboni nel diligente, utilissimo repertorio del prof. Saccardo: La botanica in Italia. (2) Più avanti ricordo il caso, avvenuto nel 1479, di un garzone di erborista o semplicista che fu avvelenato dal napello. Nell'estate del 1904 ho conosciuto in Valsàssina un individuo che si dedica proprio a questa speciale erborizzazione da oltre un ven- tennio. Nella stagione propizia costui va, e manda anche altre per- sone, ai monti in cerca di napello, che viene raccolto con lo strap- pare l’intera pianta fiorita. Indi fa essiccare lentamente all’ombra le radici, le foglie ed i fiori; e delle tre parti separate, e di prezzo di- verso, fa poi commercio. Mi disse che ogni anno egli raduna una cinquantina di quintali di napello secco, e lo spedisce ad una casa di Trieste... della quale però non mi diede l’indirizzo, forse per tema che gli avessi a far concorrenza. Per mezzo del dott. Fugini, ora medico a Lecco, ebbi modo di co- noscere in via epistolare, un altro raccoglitore di napello delle mon- tagne ad occidente del lago, e cioè della Val d’ Intelvi e della Val Cavargna. Il brav'uomo, saputo che io m’ interessava del napello, e. credutomi un farmacista od altro, si affrettò a comunicarmi che non mi poteva vendere il suo prodotto dell’annata, perchè già ceduto, me- diante caparra, ad altra persona; ma che tuttavia avremmo potuto intenderci di presenza per l'avvenire. Egli teneva pronti intanto dieci quintali di radici e tre di foglie e fiori; il tutto già essic- cato. Mi bastarono questi due incontri per meglio illuminarmi circa la abbondanza del napello su i monti lariani e valsassinesi, e per istruirmi circa la ingorda incetta che tuttodì se ne opera. Nè sarà - poi da meravigliarsi, continuandosi a questo modo, se la specie ve- getale finirà per iscomparire da quelle valli, dal momento che ne svel- lono tanti e tanti quintali di individui interi ad ogni stagione. Così la frase vinciana diventerà un anacronismo! A tutt'oggi, però, la graziosa — per quanto mortifera — specie orna ancora le alture della Valsàssina, ed io ricordo di averla sem- pre incontrata nelle infinite escursioni, che, in ogni direzione e ripe- tute volte, son venuto compiendo, quasi ogni anno, da un quarto di secolo a questa parte, su quelle impareggiabili montagne, note agli alpinisti coi nomi di Legnone, Pizzo dei Tre Signori, Zuccone di Campelli, Grigna, Resegone, ecc. Su quest’ultima montagna — resa celebre in tutto 11 mondo dall’accenno che ne diede il Manzoni, che fu, dirò di passaggio, squisito cultore della scientia amabilis, intorno alla quale, ed alle sue applicazioni, lasciò scritti tuttora inediti, benchè se ne sia già da tempo annunciata la pubblicazione — ho poi avuto la sorpresa, il 20 settembre 1905, di trovarne l’estrema. punta (metri 1879) tutta chiazzata di azzurro, appunto perchè vi Tdi erano in piena fioritura molte piante di napello, (1) radicate tra le fessure dei grossi massi della vetta. . Onde mi balenò improvvisa alla mente, davanti a quel pittoresco spettacolo, il pensiero che Leonardo, in un settembre dei tanti anni che passò in Lombardia, forse avesse asceso il Resegone, e che lassù gli occhi suoi avessero constatato che « nascevi assai mappello »! A. parte questa congettura, è certo che la constatazione da me fatta su la cima, e poi in molti luoghi della porzione più alta di quel monte, specie su l’altipiano ove sorge la cosidetta Cà del Daina, presso la quale vidi napello abbondantissimo, viene a suffragare maggior- mente la verità dell'appunto vinciano. Leonardo botanico Consideriamo ora in Leonardo, fra le tante manifestazioni del suo genio, lo studioso dei vegetali, l’uomo che, dal « mappello » ai fiori dei suoi quadri, si diletta a scrutare gli arcani di Flora. Il sommo artista-scienziato, precursore e divinatore di tante dot- trine della scienza moderna, ha dato anche una mano poderosa alla costruzione della botanica positiva, sperimentale. Già fin dalla metà del settecento, quando dell’immensa opera sua non si conosceva che il Trattato della pittura, an valoroso naturalista e storico delle scienze naturali — Giovanni Targioni-Tozzetti — collocava primo fra gli. < studiosi dei semplici » Leonardo da Vinci « famoso pittore » (2). Allorchè poi i manoscritti vinciani, strappati agli scaffali della Biblioteca Ambrosiana di Milano, ove da quasi due secoli giacevano inesplorati, richiamarono l’attenzione degli uomini di scienza, a principiare dal Venturi, che subito, a Parigi, gettò gli occhi intelli- genti su quel cumulo di tesori inestimabili; e la figura di Leonardo cominciò a scindersi, elevandosi lo scienziato di fronte all’artista, e la figura -dello scienziato, a sua volta, si frazionò in altrettante personalità distinte, quante furono le scienze alle quali apparve de- dicato — ecco Leonardo presentarsi anche in veste di botanico. (1) Raccolsi coi rispettivi tuberi alcuni esemplari, li portai a Lecco e li piantai nel mio giardino. Nella primavera del 1906 si svilupparono rigogliosa» mente ed alla metà di luglio diedero splendida fioritura; quindi con due mesi di anticipo su un dislivello di circa 1680 metri. (2) Prodromo della Corografia e della Topografia fisica della Toscana (Fi- renze, stamperia imperiale, 1754) p. 84. ANNALI DI BoranIcA — Vot. V. 40 — SE Libri (1), it Bomazi Bi l’Uzielli (8), il Govi tw, il Ferri (5), il Grote 6) a i: il Raab (7), Henry (8), il Ravaisson Mollien (9), il Caverni (10) il ‘9 Séailles (11), il Thayer (12), il Muntz (13), il Von Lippmann (14) il De E È (1) Histoire des sciences mathématiques en Italie. (Parigi, 1838-41, 4 vol.) © Tomo III, pp. 52 e 225. ì (2) Sui lavori scientifici di Leonardo da Vinci. In VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, ecc. (Firenze, Le Monnier, volume VII, 1851, pag. 52 e segg.; ediz. Sansoni |1878-85] con note del MrrAnESsI) ed in Trattato della Pittura di L. d. V. (Roma, Unione cooperativa editrice 1890) pag. XXXIII e segg. Dice il Bonazia che il settimo libro del Trattato della pittura di Leonardo da Vinci è « un trattato di fisiologia vegetale tanto perfetto, quanto lo permet- tevano le cognizioni d’allora ». E questo giudizio condivise anche il Livi: Di- scorso preliminare agli Opuscoli di Storia Naturale di Francesco RepI (Fi- renze, Le Monnier, 1858) pag. IX, XXXII. (3) Sopra alcune osservazioni botaniche di Leonardo da Vinci. In Nuovo giornale botanico italiano, Vol. I, marzo 1869, Firenze. — Questa nota fu poi riprodotta, con lievi modificazioni e con alcune osservazioni ed aggiunte, nel volume dello stesso autore: Ricerche intorno a Leonardo da Vinci. Serie II, p. 3-25, 413-414, (Roma, tip. Salviucci, 1884). (4) Leonardo letterato e scienziato. In Saggio delle opere di L. d. V.con 25 tavole fotolitografiche di scritture e disegni tratti'dal Codice Atlantico (Milano, Ricordi, 1872), p. 11. (b) Leonardo da Vinci e l’idea del mondo nella Rinascenza In Nuova An- tologia di scienze, lettere ed arti, anno VIII, vol. XXIII, fasc. VII, luglio 1873, Roma pp. 557 e segg. Il FERRI dà in nota un Estratto delle memorie dell’ Uzielli su Leonardo botanico. (6) Leonardo da Vinci als Ingenieur und Philosoph, (Berlino 1874), p. 63. (7) Leonardo da Vinci als Naturforscher. Ein Beitray zur Geschichte der Na- turwissenschafen im Zeitalter der Renaissance, (Berlino, Habel, 1880, p. 18-19). (8) Léonard de Vinci et la théorie de la capillarité. In Cours de pata ment secondaire et de l’enseignement supérieur, (Parigi, 1881). (9) Etude sur les connaissances botaniques de Leonard de Vinci, (Paris, Ra- pelly, 1877). Trovasi pure in appendice all’articolo di L. CouraGROD: Congjec- tures è propos d’un buste de marbre de Béatrice d'Este au Muste du Louvre, in Gazette des Beauxr Arts. pp. 344-355, ottob. 1877. (10) Storia del metodo sperimentale in Italia, (Firenze, ‘Civelli, 1891-98, vol.) Vol I p. 74 e segg. (11) Léonard de Vinci, lartiste, le penseur, le savant; essai de biographie psychologique, (Paris, Perrin et C., 1892; 2° ed. 1906). Chap. IV, p. 269 e segg. (12) Leonardo da Vinci as a Pioneer în Science, in The Monist (Chichago The Open Court Publishing Co., 1894) Vol. 4. No. 4, pag. 519-21. (13) Leonard de Vinci, l’artiste, le penseur, le savant, (Paris, Hachette, 1899), p. 347-349, (14) Lionardo da Vinci als Gelehrter und Technicker (in Zeitschrift fiir ni Naturwissenschaften, Halle 1899, Bd. 72, pag. 291, ed in Abhandlungen und —_— D: Vortriige zur Geschichte der Naturwissenschaften, Verlag von Veit & Comp.in | d Leipzig. 1906, pag. 345, e segg.) n n “aa 7 zo i durature impronte nel campo della fitologia, facendo acute ed importanti osservazioni, e scoprendo, molti anni prima di coloro che poi ne | ebbero la priorità, alcune leggi fondamentali che regolano i processi della vegetazione; ed il Richter nella sua antologia vinciana ha rac- colto in un capitolo le nozioni botaniche che Leonardo ha scritto pei pittori (Botany for Painters, ecc. Vol. I, cap. VIII, pp. 203-231). Oggi, infatti, sappiamo che il sommo artista-scienziato trovò pel primo la formula fillotassica i e conobbe anche la formula 3 ed altre più complesse; precorrendo così di un secolo e mezzo circa il Brown, cui attribuivasi la priorità della scoperta della disposizione delle foglie in quinconce, e tutti gli altri botanici, dal Malpighi, dal Grew e dal Sauvages al Bonnet, e dal Bonnet al nostro Delpino, at- traverso a tanti valenti che fecero oggetto di ricerche e di ipotesi l’importantissimo argomento della fillotassi. Leonardo, inoltre, avvertì il geotropismo negativo; la costanza dell’angolo di divergenza dei rami; la struttura a strati concentrici dei tronchi, palesante l’età degli alberi; la eccentricità dei fusti per l'accrescimento maggiore nelle piante della parte rivolta verso l’om- bra. Fece acute osservazioni sul modo con cui sì accresce annual- mente la scorza degli alberi, e sulle funzioni della zona generatrice o cambio dei fusti; distinse una linfa ascendente e una discendente, intravide il fenomeno fisiologico della così detta spinta delle ra- dici; riconobbe la necessità del sole per l’esistenza delle piante; stabili una serie di osservazioni intorno all’assorbimento acqueo da parte delle foglie. Diede ancora altre notizie molto interessanti di morfologia e fisiologia vegetale; sperimentò l’azione dei veleni ar- senicali e mercuriali sulle piante; constatò la solubilità nell’acqua- vite di alcuni pigmenti vegetali, e mise in opera un processo ingegnoso per riprodurre sulla carta le immagini delle foglie, pre- correndo il metodo fisiotipico proposto poi nell’ottocento (3). (1) Commemorazione di Pietro Andrea Mattioli botanico del secolo xVII (Siena, tip. Coop. 1901), pp.9-10. — La biologia in Leonardo da Vinci. Discorso letto nell'adunanza solenne del R. Istituto Veneto il24 maggio 1903, (Venezia, tip. Ferrari, 1903), pp. 17-22. (2) Studî sulla filosofia naturale di Leonardo da Vinci (Modena, G. T. Vin- cenzi, 1898), pp. 90-101. (8) Ecco le testuali parole di Leonardo, che accompagnano l’impressione di una foglia di salvia: « Questa carta si debbe tignere di fumo di candela temperato con colla dolce e poi imbrattare sottilmente la foglia di biacca a olio come si fa alle lettere in istampa, e poi stampare nel modo comune, e così tal foglia parrà aombrata ne’ cavi e alluminata nelli rilievi, il che interviene qui i contrario. » (Cod. Atl. T71v.,209 v.). È stato il LiBrI (Hist. des Science. Mathém. 7 dome vedesi, Teonirio' ha al suo attivo un tal ‘corre a dipingere vegetali, e specialmente fiori, sì spiega con ciò come riuscisse perfetto, insuperabile, in tali pitture. Rappresentazioni di piante e di fiori'sono sparse qua e là nei suoi manoscritti e disegni (1) come pure vi troviamo frequenti nomi di vegetali, alcuni dei quali Vol. III, p. 52) a rilevare pel primo tale processo vinciano per riprodurre l’im- magine delle foglie sulla carta. Il Govi (Saggio delle opere di L. d. V., p. 11) riproducendo il passo surriferito, col fac-simile dell’impressione della foglia di salvia, così commenta: « Forse aveva egli pensato ancora a farsi un erbario, od almeno a riprodurre facilmente su carta le forme ed i particolari delle fo- glie di diverse piante ». (1) Parecchi schizzi botanici che adornano i manoscritti vinciani furono riprodotti dal RICHTER (op. cit ) specie nel capitolo: Botany for painters and Elements of Landscape Painting; altri sono nelle riproduzioni del RAvAISSON MoLLIEN, del BELTRAMI, del PiuMaTI, ecc, Il MUNTZ (op. cit.) dà alcuni bellis- simi saggi dei disegni leonardeschi di fiori, foglie, alberi ecc., (vedi pp. 260, 349, 3653 e 467), riprodotti dagli originali della biblioteca di Windsor. In que- sta collezione, che da sola riunisce circa i quattro quinti dei disegni autentici di Leonardo che si conoscano, stanno parecchi studî artistici di argomento bota- nico. Eccone la lista, che tolgo integralmente al Muntz (p. 547): Arbres. — Plantes. — Fleurs. Un Arbre, n, 187. — Plume sur papier bleu, (« Grosvenor » n. 77.) — Braun, n. 248, Gravé, p. 353. Une Plante avec des épis et des baies, n. 152, Plume, (« Grosvenor », n, 27). Six dessins de Fleurs et de Plantes sur Un Lis n. 199. À la plume lavé de jaune, passé au poncis, (« Grosvenor », n. 97), Un Arbre avec ses racines, n. 131, Plume. six feuillets — Campanules, n 195, Sanguine, Deux arbres à racines fort apparentes, Plu- Gravé, p. 349. — Fraises, n, 131, — Roseaur, me, n. 99, V. 17. | n. 126. Au revers une autre plante. — Arbre Six Etudes, détachbes et de formats diffé - et feuilles d'iris — Fleurs, Gravées, p. 260, rents, (n. 133, 133, 154), de plantes, de feuilles, n. 130. — Deux fleurs de jones (« Gionchi »), et un dessin à la plume. Au revers du 133 une n. 153, Plume ou sanguine, (Voir « Grosvenor » {Ate d'homme de profil imberbe, tournée à droite. | n. 25-35). In altre raccolte di disegni vinciani si trovano studî di piante e fiori. Nella collezione del signor Leone Bonnat, alla cui illustrazione attendeva il Ravais- son Mollien, c'è una foglia a penna, forse d’acanto. Ornamenti vegetali fanno parte d’altri disegni, ed appaiono in taluni quadri. — Il volume XIV della recente pubblicazione dell'editore parigino RouveYRE: Feuillets inédits de L. d. V. accompagniés de plusieurs millier de croquis et dessins, riproduzione degli originali della Royal Library di Windsor, è formato unicamente da Croquis et dessins de botanique, zioni circa le piante, da apparire un perfetto botanico, superiore "I non solo ai suoi contemporanei, ma a tanti studiosi dell’amabile scienza venuti dopo di lui; e poichè il suo pennello sì trovò spesso tolti al vernacolo toscano, quali: rovistrice (Ligustrum vulgare), to- tomaglio (Euphorbia), cicerbita (Sonchus oleraceus), ecc. (1). Forse un’altra grande benemerenza versola botanica ha Leonardo, benemerenza ch'io vedo chiarissima, ed alla quale credo ferma- mente, sebbene mi manchino documenti positivi per stabilirla. Egli accorse a Roma non appena fu eletto papa Leone X, e nel- l’ottobre o novembre del 15183 era già ospite della città eterna, allog- giato in apposite stanze del Belvedere in Vaticano. È coincidenza fortuita quella della presenza di Leonardo alla corte di Leone X, e l’istituzione, in quel novembre, della cattedra per la spiegazione dei Semplici nell’ Università Romana e l’ingran- dimento poscia dell’orto del Belvedere, con fornitura di ogni specie di piante; o vi è stretta relazione fra un fatto e l’altro, nel senso ‘che la cattedra botanica ed il rinnovamento dell’orto siano il frutto dei suggerimenti di Leonardo a quel papa intelligente ? Io accarezzo quest’ultima opinione. Se poi la cattedra fu istituita indipendente- mente da consigli vinciani, certo l’orto del Belvedere venne miglio- rato sotto gli occhi di Leonardo stesso che vi abitava, e vi faceva os- servazioni ed esperimenti su animali, su piante, sul volo degli uc- celli, e metteva in pratica quei « modi stranissimi » — il che vor- rebbe dire originali, nuovi, non praticati da alcuno — di cui favella il Vasari, per confezionare olî e vernici. Hanno dimostrato il Lais ed il De Rossi, e più ampiamente il mio illustre collega ed amico prof. Romualdo Pirotta nella sua storia della botanica romana, scritta in collaborazione col valente ed eru- dito dott. E. Chiovenda (2), che l’Università di Roma fu la primis- sima fra le consorelle ad avere una cattedra di botanica, creatavi fin dal 1514; e che il giardino del Belvedere, fondato da Inno- .cenzo VIII, e da Leone X migliorato notevolmente, dovette sin (1) Specialmente nelle sue Favole ed Allegorie (Cfr. RicHTER, op. cit. Vol. II, XX Humorous Writings, e SoLxI, Frammenti letterari e filosofici di L. d. V., Firenze, Barbera, 1899 e 1904), Leonardo prende occasione di ricordare molte piante, fra cui il giglio, il noce, il fico, il cedro, la vitalba, la vite, il sa- lice, il pesco, l’olmo, il lauro, il mirto, il castagno, la zucca, il biancospino, il lino, la ruta, l’edera ecc, Ricorda anche la celidonia (Chelidonium maius), col cui sugo la rondine « rende il vedere agli inorbiti figliuoli », (Mss. H, 272). Tale pianta fu in credito presso i medici-astrologici dei bassi tempi, e noverata fra le sette erbe corrispondenti ai sette pianeti; dicevasi che le sue foglie e radici, seccate all'ombra, fornivano rimedio opportuno per gli occhi. (2) Flora Romana. Parte prima: Bibliografia e Storia. (Roma, tip. Voghera 1900-1901), pag. 38 e segg. d'allora assumere carattere di orto botanico, perchè indubbiament serviva ‘al professore dell’Università per l'insegnamento pratico deî Semplici (1). (1) Prima dell’Orto del Belvedere il Vaticano possedette altro giardino — il Viridarium novum — che in certe epoche, per le persone che vi attendevano, assurse alla dignità di orto botanico, o, quantomeno, medico e farmaceutico. Il Viridarium novum fu fatto costruire nel 1277 da Nicolò III, con lusso di fon- tane e d’alberi d’ogni sorta: e d’allora in poi servi ai medici pontifici, che vi coltivarono piante utili ai loro fini. G. B. De Rossr accenna a documenti re- lativi alla costruzione di questo orto a pag. 83 della sua opera [*|] Piante ieno- grafiche e prospettiche di Roma anteriori al secolo XVI, ecc. (Roma, Salviucci, 1879); e secondo lo stesso illustre archeologo (op. cit. pag. 59) pare certo che Simone da Genova, l’autore della Clavis sanationis e d’altri testi e commentarî di ma- teria medica, divenuto nel 1287 archiatra di Nicolò II, approfittasse del Viri- dario pe’ suoi studi botanici, coltivando in esso le piante esotiche riportate da suoi viaggi. Ciò pensa pure il LAIS (I due orti botanici che successivamente fio- rirono in Vaticano, in Atti dell’Accademia pontificia de’ nuovi Lincei, anno XXXII, sessione II* del 19 gennaio 1879, p. 66 ed in Monumenti d’osservazione în Va- ticano nei primordi del ristoramento scientifico, Roma, tip. delle scienze mat. e fisiche, 1879, p. 4) e ripete il De Rossi (I gabinetti di oggetti di scienze na- turali, artì ed archeologia annessi alla biblioteca vaticana, in Studi e documenti di Storia e diritto, anno V, Roma 1884). — Durante la residenza dei papi ad Avignone l'Orto vaticano inselvatichi; nel 1367 Urbano V lo fece rimondare; Bonifacio IX lo rimise a nuovo nell’ultimo decennio del secolo x1v e n’ebbe parimenti cura Alessandro V verso il 1410. Nel 1447 Nicolò V raccolse le piante più rare e di maggior uso, formando « ab inferiori Palatii parte magnus pul- cherrimusque Hortus cunctis herbarum atque omnium fructuum generibus refer- tus, ecc. » (MANETTI in MURATORI Rerum Ital : script. vol. III, parte II, col. 933); BoneLLI Hortus romanus, Roma 1772, vol. I; LADELCI, Storia della botanica in Romavedi nota seguente). Fu questa certamente una restaurazione e continua- zione del Viridarium.E poichè c’era allora nell'Università romana l’insegnamento unito delle scienze mediche e naturali (Medicinae professores famosissimi ad eam ipsam artem ostendendam deputati, nec Philosophiae, rerumque naturalium ecc.), istituito con bolla del 1406 da Innocenzo VII, così è a supporsi logicamente che tale orto servisse anche per la dimostrazione delle piante utili alla medicina. Pio II, il papa geografo ed alpinista, fece prosperare l’Orto vaticano; il botanico e biografo PLATINA scrive che egli « per hortos recreandi animi gratia delatus pran- debat » ( Vita Pontif. Rom. Lovanio 1572, p. 249). — Sotto il pontificato di Inno- cenzo VITI (1484-1492) fu aggiunto il Belvedere ai giardini già esistenti: « vil- lam vulgari Pulchri visus dicta » (DonaTUSs, Roma vetus, 1725, pi 601): e dal 1514 in avanti il Belvedere diventò l’orto da cui i professori di botanica alla Università romana prendevano le piante necessarie alle loro ostensioni, come leggesi nel citato pregevolissimo lavoro storico di Pirotta e Chiovenda. [*] Questo lavoro esclusivamente archeologico e storico del De Rossi è citato nella bibliografia botanica di BeniAMINO Daypon JAcKSON: Guide to the literature of Botany (Londra, Longmans, Green etc., 1881); e forse lo sarà per l'accenno di pochissime righe al Vividario vaticano, ed a Si- |, mone da Genova, chè altrimenti bisognerebbe pensare ad un equivoco preso da quel bibliografo circa la parola: piante. = | A tale dimostrazione, che ha un grandissimo valore per la storia della botanica, io aggiungo adesso la supposizione che di questo movimento in favore dello studio delle piante, fatto con intendi- menti scientifici e su la natura, svincolato dalla medicina e dal- l'autorità dei vecchi testi, sia stato ispiratore Leonardo stesso, che durante il suo soggiorno a Roma, oltre alla botanica, studiò l’ana- tomia umana all'ospedale e la paleontologia a Monte Mario. Così essendo, l’accenno che opportunamente Francesco Ladelci, nella sua Storia della Botanicavin Roma (1), fa di Leonardo botanico, non de- v'essere più un ricordo incidentale, ma ha da entrare come parte inte- grante nell'esposizione e nella illustrazione di coloro che, tra le mura della città eterna, dedicaronsi agli studî della fitologia. L'istituzione di una cattedra di scienza nuova nell’insegnamento superiore, anche in epoca di riforme più o meno radicali, è sempre un avvenimento importante, che richiede il concorso di più circo- stanze collimanti allo scopo, e sopratutto l’interessamento e la vo- lontà energica di persone autorevoli ed ascoltate. Se ciò necessita ancora ai giorni nostri, in tanta luce di progresso scientifico, e di fronte a voti reiterati di studiosi e di congressi, figurarsi quali spe- cialissime condizioni favorevoli e qual giuoco d’intluenze d’ordine superiore dovevano esplicarsi all’uopo quattro secoli or sono, prima che nella tradizionale gerarchia degli studî potesse essere accolto ‘un insegnamento nuovo! E però io penso che, anche per la istitu- zione della prima cattedra di botanica in Roma, sia occorso questo complesso di propizie ed eccezionali circostanze, quale poteva essere dato appunto dall’intervento e dall’insistenza di un uomo così sti- mato come Leonardo e forte per giunta del più cordiale appoggio del fratello del papa, Giuliano de’ Medici, che del pari amava gli studî e prediligeva le scienze naturali. (1) In Memorie della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei, vol. I. (Roma, tip. Cuggiani, 1884). Ecco testualmente l’accenno: «. . . . Ora l’ordine storico mi porta a riferire quali fossero i principali cultori della botanica in Roma, e come professori, e come direttori del detto orto vaticano nel secolo decimo- sesto; prima però di dare le notizie di questi distinti scienziati non sia discaro ai lettori il rammentare che in questo secolo stesso visse un grande luminare italiano con il nome venerando di Leonardo da Vinci, che tutti conoscono come sublime pittore, scultore, ingegnere idraulico, architetto . .,. ma tutti non sanno ch’egli si occupò ancora delle scienze naturali, come risulta da’ suoi scritti, ne’ quali si ritrova ch’egli per il primo fece ricerca e studiò nelle piante le varie disposizioni delle foglie, e diede così le prime nozioni della fillotassi, di- venuta in seguito una parte molto interessante della organografia vegetale per la distinzione delle famiglie naturali che le piante stesse presentano, Ciò premesso, ecc. ecc. ». Ww # E fors'anche contribuì il consiglio d’altri botanici che in quel- l'epoca trovaronsi in Roma. A questo riguardo arrischio ancora una congettura, che mi vien suggerita da un libro (1) appartenuto ad Alessandro Benedetti, e da lui acquistato in Roma, come è scritto sull’interno della copertina in pergamena. In altra di queste mie contribuzioni vinciane, nel tentativo che farò di ricostruire l’am- biente scientifico entro cui visse e da cui trasse gli elementi della sua coltura botanica Leonardo, esporrò le ragioni per cui ritengo che il sommo enciclopedico ed il celebre anatomico Benedetti, da Le- gnago, morto nel 1525, fossero in relazione scientifica fra di loro, specie per ciò che s’attiene alle ricerche anatomiche e fitologiche. L'epoca in cui il Benedetti, che risiedeva a Padova e poscia @ Venezia, fu in Roma, e vi acquistò quel libro, coincise con la resi- denza in Vaticano di Leonardo e con la istituzione della cattedra di botanica? E non potrebbe il Benedetti — appassionato studioso della botanica con intendimenti moderni, raccoglitore di piante ne’ suol viaggi in Grecia, in Candia ed in Egitto, e sperimentatore ori- ginale su le virtù medicinali di molti vegetali — aver influito an- ch’egli, — e magari con chi ne fu nominato titolare: il maestro Giuliano da Foligno (su’1 quale sono tuttodì desiderabili notizie bio- grafiche) — alla creazione della cattedra stessa? L'incontro in Roma di questi botanici può verosimilmente aver portato all'istituzione dell’insegnamento universitario della scienza delle piante, distinta dalla filosofia naturale, così come un quarto di secolo più tardi l’in- contro al mercato romano dei pesci fra Paolo Giovio, Guglielmo Rondelet e Ulisse Aldrovandi costituì il più bell’incentivo alle ri- cerche ittiologiche del secolo decimosesto. E poichè ci troviamo sul terreno delle ipotesi, siami concesso di metterne innanzi un’altra. Leonardo ebbe in dono, verso l’estate del 1498, da Lodovico il Moro un giardino di sedici pertiche (2), (1) Questo libro, ora in mia proprietà, è una rarissima collezione, in ca- rattere gotico, di piccoli scritti medici: Liber Hysagoge Joannici. || Liber Phi- lareti de pulsibus. || Liber Theophili de urinis. || Liber Aphorismor. Hyppo. cù an || tiqua traslatide et nova Theodo || ri gaze elegantissima. || Liber pro- nosticorà Hypocratis. || Liber Tegni Gal. || Liber aphorismorum Damasceni. || Flosculi in medicina ex Cornelio || Celso extracti. || Collectio Aphorismorù Hyp. || ad unamquag. egritudinem per || tinentium. (In fine) Impressum venetiis per Joannem & Gregori de Gregoris fratres Anno dni MDII. (2) Pari ad ettari 1.048. In un appunto (Msst I?, 112) Leonardo spiega il valore della pertica: « 24 tavole fanno una pertica; 4 traboechi fanno una ta- vola, 4 braccia e mezzo fanno un trabocco; una pertica è 1936 braccia |_|ov- vero 1944 », d "i già dell'Abbazia di San Vittore presso al convento di San Girolamo ‘a Porta Vercellina ; e ciò con strumento, a titolo di speciale ricom- pensa e considerazione (1). Tale giardino venne confiscato a favore dell’erario, quando i francesi, nell’autunno del 1499, conquistarono Milano; ma alcuni anti più tardi, e precisamente nel 1507, fu restituito al proprietario in seguito alle insistenti pratiche dello stesso ed a speciale ordinanza dello Chaumont: e gli rimase fino alla morte (2). i Qui io domando: non è probabile che in questo vasto giardino, Leonardo, oltre alle coltivazioni ordinarie, per trarne qualche reddito, facesse anche piantagioni ed esperienze a puro scopo botanico? Data la sua grande viva inclinazione per le ricerche fitologiche parmi che la cosa, anzichè probabile, debba ritenersi, per logica induzione, quasi sicura. Nei manoscritti vinciani troviamo una indicazione al riguardo; «andare in provisione per il mio giardino », si legge su un foglio della R. libreria di Windsor. L’appunto si riferisce indubbiamente all’orto di Porta Vercellina, e alluderà alle pratiche fatte da Leo- nardo, presso la magistratura competente, per riscattarlo dalla av- venuta confisca. Estendendone il significato, la frase cl testimonia anche della grande cura ch'egli doveva avere del giardino, sia che lo coltivasse a guisa di campo, di vigna, di frutteto, di ortaglia, o di giardino puro e semplice; sia che vi provvedesse per farne un orto botanico sperimentale. Che vi facesse seminagioni pratiche n’assicurano altre indica- zioni, disperse nel Codice Atlantico e nei manoscritti d’Inghilterra, come: « fatti mandare spiche di grano grosso da Firenze >» — « fave, melica bianca, melica rossa, panico, miglio, fagiuoli, fave, pisegli »; ammenochè questi appunti non si riferiscano al podere che, se- condo altri documenti, Leonardo doveva possedere vicino a Fiesole, avuto in dono dal padre o dallo zio, o fors'anche acquistato, e che alla morte lasciò, secondo la lettera 1 giugno 1519 di Francesco Melzi, ai proprî fratelli. Ma ciò non esclude che, oltre a cereali ed ortaggi, egli approfittasse del suo pezzo di terra per educarvi altre (1) Per questa donazione e successive vicende cfr.: AMORETTI. Op. cit. pag. 77. — CaLvi, Notizie dei principali professori di belle arti che fiorirono in Milano durante il Governo dei Visconti e degli Sforza: III. Leonardo da Vinci (Milano, Borroni, 1869), pag. 87. — BoMettino della Consulta archeologica di Milano (Mi- lano 1875), pago 114. — UziELLI, Ricerche ecc. Serie I. ed. II. pag. 591 e segg. — VERGA, Regesti vinciani, pagg. 44-45 e 56. (2) Nel suo testamento Leonardo lasciò questo « iardino » metà ciascuno ai suoi servitori Battista De Vilanis e Salai. MA e * "oi o "i studio (1) se chi sà che “i jon v'abbia col pon c È ; . i, x VE I specie vegetali a scopo di "ZINIO alle spalle « delli sciocchi > e della « stolta moltitu- dine >»; « chimere che non hanno fondamento scientifico >. E gli al- chimisti chiamava « bugiardi interpreti della natura >, gente avversa all'esperienza, perchè « l’esperienza è nemica degli alchimisti, negro- manti ed altri semplici ingegni». E tanto non poteva soffrire gli alchi- misti, che raccomandava a quanti avessero a cuore la propria salute di star lontano dai medici, perchè questi tiravano dall’alchimia i lor rimedì: « Insegnoti di conservare la sanità, la qualcosa tanto più ti riu- scirà, quanto più da’ fisici ti quarderai, perchè le sua compositioni son di specie d’alchimia (Mss. della R. libreria di Windsor). Dell’alchimia Leonardo non conosceva che la parte operativa e giudiziosa diretta a confezionare «i semplici prodotti naturali, il quale ufficio fatto esser non può da essa natura, perchè in lei non sono stru- menti organici, colli quali essa possa operare quel che adopera l’uomo mediante le mani » (Cod. Atl. 1192). Ecco le ricerche di natura chi- mica alle quali Leonardo si dedicò; e da non confondersi, come ta- luno ha fatto, con le misteriose operazioni degli alchimisti « cercatori dell'oro » ed affermanti « l’argiento vivo essere comune semenza a tutti i metalli ». (Trattato della Pitturd, ed. Ludwig, 501). Ch’egli si dilettasse a sperimentare sulle erbe, cavandone colori, essenze, olii od altro, n’abbiamo prova nei numerosi appunti ch'egli ci ha lasciato in materia, e che danno spiegazione della frase del Va- sari: « tentò modi stranissimi nel cercare olii per dipingere, e vernice per mantenere l’opere tatte ». Noto è l’aneddoto raccontato dal Vasari, secondo il quale Leone X si sarebbe lamentato di Leonardo perchè, invece di mettersi subito - se N 3 noe CARRI (DR, lesa, E | —’all’opera a far la pittura murale nel convento di Sant'Onofrio su] 5 06 _ Gianicolo, che gli aveva commessa, buttava tempo «a stillare olii È De per fare la vernice ». * 32 i Nelle ricette vinciane per preparar colori ed altri materiali oc- » correnti alla pittura, riscontriamo, infatti, insieme ai prodotti mi- “ nerali, un buon numero di sostanze d’origine vegetale, su le quali Leonardo deve aver tentato combinazioni e manipolazioni d’ogni sorta. Anzitutto vediamo com’egli sapesse approfittare dei colori dei fiori, facendone soluzioni alcooliche: « ricordo come l’acquavite rac- coglie tutti i colori e odori de’ fiori, e se vuoi fare azzurro mettivi fior- dalisi, per rosso solani » (Mss. Istituto di Francia, B. 2 v.). E non potrebbe darsi che facesse anche soluzioni e pitture co’'l bel co- lore azzurro del napello, pei cieli de’ suoi quadri immortali? «Vino bianco, aceto, cremortartaro » sono altri ingredienti comuni nelle ricette di Leonardo; ed inoltre vi troviamo: « curcuma, aloe, ò polvere di galla, zafferano, succo di limone, latte di gichero (gigaro), scorza d’arancio, mallo della noce, olio di semenza di senape, olio di linseme, olio di noce, lacca, trementina, ragia, pece greca, resine di varî alberi, liquore di cipresso (ed a proposito di cipresso riconosce l'origine vegetale dell’ambra, dicendo «sappi che le carabe [nome arabo dell’ambra] è liquore d’arcipresso » Mss. Kensington Museum, Forster librery South, Londra), liquore e gomma di ginepro, incenso, canfora », ecc. ecc. 1 Improbabile non è quindi, ripeto, che, come esperimentò su tanti prodotti vegetali, egli abbia anche fatto ricerche di natura chimica sul napello, la qual pianta, come vedremo, fu pure oggetto delle investigazioni degli alchimisti d'allora. Nè è da escludersi che Leonardo siasi interessato di sapere ove il napello potesse trovarsi, perchè trattavasi di un veleno potente, noto fino dall'antichità, e dei cui effetti anche a’ suoi giorni sì ave- vano non dubbie prove per semplice accidente o per delitto. Alla corte di Lodovico il Moro c’era quel che si direbbe una vera accademia di medici, alchimisti, astrologhi, et similia; ed il tema dei veleni doveva essere sovente all’ordine del giorno, anche perchè in quei tempi l’arte dell’avvelenare eccelleva tra le finezze della diplomazia e della politica. Non è pertanto improbabile che le di- scussioni di questo genere si potessero specializzare intorno al È napello, e che un bel giorno Leonardo presentasse a quei signori Ù la vera pianta del terribile veleno, da lui trovata sulle pendici della 5 Valsassina. i PA Nè dovettero mancare casi fortuiti di aconitismo quando Leonardo trovavasi in Lombardia, e tali da richiamare la sua attenzione e spin- gerlo ad indagini ed esperimenti al riguardo. A pprendo, per esempio, dai registri mortuarî che si conservano all’archivio di stato di Milano, e vanno, salvo interruzioni, dal 1452 al 1552 (1), che nel 1479 il gio- vane ventenne Mondino da Como «famulus cujusdam herborarij » fu avvelenato « cum napello et bufone », e morì all'ospedale come testificò il medico Valentino da Lomazzo. Può quindi darsi che altri casi del genere, seguiti o meno da morte, siano accaduti anche più tardi, quando Leonardo viveva in Milano e cioè, salvo il primo lustro. del cinquecento, nel trentennio fra il 1483 e il 1513. Del pari è verosimile che la notizia di qualche suicidio tentato o consumato co ’1 napello abbia fatto impressione su Leonardo. A. pro- posito di suicidii ricorderò come uno degli amici milanesi del gran- d’uomo, e precisamente quel Fazio Cardano, che fu padre al ce- lebre Gerolamo e godette egli pure una larga riputazione a’ suoi dì, abbia due .volte tentato di togliersi la vita. Questo particolare psi- chiatricamente importante parmi sia sfuggito a coloro che, studiando la psicologia interessantissima di Gerolamo Cardano, estesero le me- desime indagini al genitore (2). Lo stesso Gerolamo ci dà contezza del duplice tentativo in alcune pagine di due sue opere che, sebbene impregnate di elucubrazioni e di follie astrologiche, sono tuttavia preziosissime per la biografia di lui e de’ suoi parenti (3). Ivi racconta che suo padre a ventitrè (1) Cfr. E. MortA. Morti in Milano dal 1452 al 1552 (in Archivio storico Lombardo, serie seconda, anno XVIII, fasc. II, 30 giugno 1891). (2) CesARE LomBroso. Su la Pazzia del Cardano (in Gazzetta medica ita- liana lombarba, Milano 1° ottobre 1855). — Genio e follia, (Milano 1877, 3° ediz.). — L’uomo di Genio, (Torino 1888). — L’uomo delinquente, (Torino 1889, 4° ediz.). — Nuovi studi sul geniv: Da Colombo a Manzoni, (Palermo, Sandron, 1901). Francesco BuTTRINI. &erolamo Cardano. Saggio psico-biografico, (Sa- vona, tip. Ricci, 1884). ALronso AstuRrAaRO. G. Cardano e la psicologia patologica (in Rivista di filos. scient. VI, 1880). EnRrIco RivarI. — La mente di Gerolamo Cardano, (Bologna, Zani- chelli, 1906). i (3) Hrrronymi CARDANI. Mediolanensis medici. Geniturarum exemplar, Praeterea et multa quae ad interrogationes et electiones pertinent super addita. Et cxemplum eclipsis quam consecuta est gravissima pestis (Lugduni, apud Theobaldum Paganum, 1555). È in calce all’altra opera: In 07. Plolomaei Pe- lusiensis IIII de Astrorum Judiciis aut, ut vulgo vocant, Quadripartitae Con- structionis libro Commentaria, etc. Praeterea ejusdem Hier. Cardani Genitu- anni ingolò, in compagnia di altri amici (1), dell'acido 1 a cinquanta, secondo dice in un punto, od a cinquantanove, secondo afferma in un altro, (Cardano si contraddice persino nelle date della sua nascita!) bevve certo venenum tabificum 0 terminatum, dal quale tuttavia scampò, come era sfuggito alle conseguenze del primo, tranne un rilassamento nei denti, i quali finirono poi tutti per ca- dere, ed una perpetua palpitazione di cuore (2). Essendo nato ai 16 luglio 1445, la seconda volta che Fazio Cardano prese veleno do- vette essere fra il 1494-96, stando ad una versione, oppnre fra il 1503-05 (3) accogliendo l’altra; e nella prima di quest’epoche Leo- nardo era indubbiamente a Milano. Quale il veleno ingoiato la seconda volta? Il figlio nol dice, e quell’aggettivo : tabificum (4) è troppo vago perchè si possa con la rarum XII, etc. (ivi) — Trovasi anche unita ad altri scritti astrologici: De septem erraticis stellis etc. col titolo di Geniturarum exempla (Basilea, ex of- ficina Henricpetrina, 1579). — Nella raccolta completa delle opere (Mieronymi Cardani Mediolanensis Opera omnia in decem tomos digesta cura Car. Sponsti. (Lione, Jo. Ant. Huguetan, 1663) è inserita nel quinto volume. — Idem: De exemplis centum geniturarum (in Opera omnia, vol. V). (1) Curioso questo fatto di avvelenamento collettivo! Che si trattasse forse d'una società di arsenicofagi, o di seguaci di Mitridate? (2) Ecco testualmente i due passi. « Et quia Venus erat infelix cum Sole et Saturno, ideo anno 23 bibit au- ripigmentu album, vocant Arsenicum. Et anno 59 venenu tabificum, et evasit, amisit tamen, ut dixi, omnes dentes, quia ex priore veneno quo socij omnes periere, concussi sunt omnes dentes, et semper post modum fuere invalidi, Caeterum sanus, ut dixi, nisi quod erat subiectus perpetuo cordo palpitationi. (Geniturarum XII: Genit. ottava: Hieronymi Cardani Medici et expositoris hujus operis Genesis, p. 63 dell’ediz. 1555; 632 dell’ediz. 1579, e 519 del vol. V, Opera omnia). « Quintum est, quod bis bibit venenum, quod nescio an unquam cuiquam hoc contigerit. Hoc significat Saturnus infortunatur, cum Venere sub infortu- nata, quia sub radiis Solis iungitur in fortunae infortunatae, primum habuit annorum 23 secundum anno 50 et primum fuit Arsenicum, sublimatum, et se- cundum erat venenum terininatum. Et cum eo alij sumpserunt, qui perierunt, et ipsa evasit: remansit autem ‘tremor cordis, qui duravit 56 annis et hoc vi- detur contra Galeni experimentum cum vixerit valde senex, sed non est. (De eremplis centum geniturarum, Genitura quarta, p. 460 del vol. V, Opera omnia). (8) Calcolo su tre anni, pel caso che si tratti del ventitreesimo e del cin- quantesimo (0 cinquantanovesimo) anno, anzichè di 23 e 50 (59) anni compiuti. (4) Questo aggettivo fu adoperato con vario significato dagli antichi autori ed applicato al sole (Luorezio: ubi in campos albos descendere ningues Tabi- ficis subigit radiis sol, VI, 756) ed all'atmosfera (SENECA: Tabifica coeli vitia ; Oedip. 79; Lucano: Tabificus atr; Phars., V, 111); nel primo caso per liquefat- | tivo, liquefacente; nel secondo per corrotto, mefitico, pestilente. Applicato ad animali lo troviamo in LucANO (Ossaque dissolvens cum corpore tabificus seps ; Nel dol se sua scorta. iden are una nni Sa oli ancor di Vago è quell’altro epiteto: terminatum (1). Neppure nel suo speciale trat- tato De venenis, Gerolamo fornisce più precisi particolari in argo- mento; nè là dove parla del veleno tabefaciente, (2), nè dove accenna agli incomodi che si buscò il padre suo, in conseguenza dei veleni bevuti (3). Comunque, per varie ragioni, sì può pensare ad un ve- leno vegetale; ed in questo caso, se si por mente che Fazio fu un uomo assai strano, che amava atteggiarsi a Socrate — come egli stesso pubblicamente dichiarava, anch’egli credendo all’esistenza di un proprio demone consigliatore —f può supporsi che abbia voluto imitare il grande filosofo ateniese pure nella scelta del veleno, in- Phars., IX, 23). Col significato di velenoso, nocivo, ecc., appare in PLINIO (Ele- phantis terram edisse tabificum est, VIII, 10; Urinam ex se reddunt tabi- ficam, parlando dei ricci spaventati, VIII, 56) ed applicato a veleno in TACITO XLentum et tabificum venenum, VI, 65) ed in Sveronio (Venenum lentum atque tabificum ; Tib. 13). Fu parimenti usato in senso figurato (Tabificae mentis per- turbationes, CicERONE, Tus. IV, 16; Livor, tabificum malis venenum, Intactis vorat ossibus medullas. Anthol. lat. n. 636). In lingua italiana fabificus fu reso in diversi modi: tabido, tabescente, in marasmo, consunto, tisico; che produce tabe; che ha effetto sul midollo spi- nale o sull’intestino, ecc. Applicasi quindi, tanto al male od alla sostanza che il male produce, quanto all’ammalato. Il VALLISNERI usa « tabifico» per mar- cioso, corruttivo, infettivo. Il CoccHI parla di veleno tabifico, di tabido con- tagio, riferendosi all’etisia ed alla facilità con cui il tisico attacca agli altri la sua malattia. — Ora il veleno usato da Fazio Cardano poteva essere tale da produrre piaghe, o lenta consuuzione, oppure da perturbare il cervello; ed il napello, sotto questi aspetti, può meritare la qualifica di Tadifico, perchè talvolta appunto l’aconitismo si presenta con forme deliranti, e talora anche con lesioni anatomiche, dalle emoraggie alle cancrene. (1) Epiteto che si può tradurre in varî modi: finito, compiuto, determinato, stabilito, prescritto, circoscritto, ristretto, limitato, confinato, ed anche: asso- luto, perfetto, pieno, ecc. (2) Per veleno fadefaciente G. Cardano intende un veleno che consuma len- tamente l'organismo umano con atrofia delle membra, violente diarree, ed altre alterazioni viscerali, comprese le cardiache. Taluni degli effetti di siffatto ve- leno — come le diarree, i vomiti, ecc. — rientrano appunto nel quadro dei sin- tomi dell’aconitismo. (3) Ecco quanto dice, nell’ultimo capoverso del trattato sui veleni: « Pro- prium est autem veneni, relinquere morbum quendam peculiarem, ex tertio generare crassi morbi, quod sit a pituita putrefacta, seu illi abunde simili : quum vidi in pluribus qui a veneno convaluerant, ut maxime patre meo Facio iurisconsulto, qui quotidie de eo conquerebatur. Eructant acidum, flatu multo abundant, vago dolore, hinc, inde torquentur, ac saltatorio ut ita dicam, modo a pede, confestim in oculum, modo in ventrem, aut ex aure in manum. Mor- tuus est cum eo, non ex eo neque grave est symptoîna, morbus autem diei non potest... » (De Venenis, lib. tertius, p. 355 del vol. VII Operumì). SE TOCE goiando la (oadicionale dicuta: Ma può “parimenti: ono che abbia usato il napello, in una dose non mortale; tuttavia tale da procurargli disturbi intestinali e di cuore ed una continua melanconia, che sono precisamente fra i sintomi caratteristici dell’aconitismo (1). Data l'amicizia, 0, quanto meno, la stretta conoscenza che do- veva intercedere fra Leonardo e Fazio Cardano non è improbabile che quegli, allorchè ne ebbe notizia, si informasse del modo con cni l’amico effettuò il secondo tentativo di suicidio. E se il veleno pre- scelto fu proprio l’aconito, ragione di più perchè Leonardo sì interes- sasse al vegetale che lo produceva, per quella impressione che desta un fatto straordinario, che colpisce persone amiche o assai note, e per la curiosità, nella fattispecie, che vi si accompagna... E forse anche quando trovossi in Roma, e faceva continue ri- cerche ed esperienze sui vegetali, per estrarne colori, olii, od altro, avrà avuto notizia di qualche avvelenamento col napello, la cui po- tenza venefica doveva essere allora dai romani conosciuta. Tant'è vero che soli nove anni dopo la partenza di Leonardo da Roma, volendosi verificare l’efficacia di certo antidoto contro ogni sorta di veleni, che suggeriva il chirurgo bolognese frate Gregorio Caravita, il papa decretò che la prova si facesse contro il napello: il che di- mostra che lo si riteneva de’ più potenti e pericolosi. E mentre Leone X aveva proibito a Leonardo di continuare ne’ suoi studî. anatomici all'ospedale — in omaggio alla inviolabilità dei cadaveri umani — papa Clemente VII, cristianamente, anzichè sovra animali innocenti, volle che si sperimentasse sovra il vile nonchè vivente corpo di due ribaldi nostri simili, caduti nelle unghie della giu- stizia! A tale esperimento presenziò il botanico Pietro Andrea Mat- tioli, che ne diè più tardi contezza ne’ suoi celebri Commentarì a Dioscoride (2); nè la cosa deve troppo meravigliare, poichè siffatte (1) In fatti Fazio era di temperamento così malinconico, che sovente ri- peteva di desiderare vivamente la morte, e di sentirsi bene solo quando trova- vasi immerso nel sonno più duro, che lo isolava dal mondo. Fu anche assai debole di ventricolo (Fuit praeterea humidi ceredri..... et debulis ventriculi Genit. XII). Nel libro De Venenis, Gerolamo accenna alla pal/pitatio cordis come una delle principali conseguenze del napello, e chiama questo il principe dei veleni subitanei. (2) Eccone il racconto, che fa per dimostrare la immane forza venefica del napello. « Huius immanitatem vidimus nos Romae anno a Christo nato 1524 mensi novembri in Capitolio, Clementi VII Pont. max. anno primo. Nam cum decrevisset experiri olei cuiusdam praestantissimi vires, quod Gregorius Cara- vita Bononiensis Chirurgicus tune praeceptor meus contra deleteria medica- menta, et venenosorum animalium quorumcunque morsus paraverat, iussit Pontifex venenum dari duobos latronibus, quos leges damnaverant, quo suorum, n prove di veleni in scelerato homine furono comuni in quel secolo, e vennero eseguite anche dal Brasavola, dal Falloppio, dal Paré e da altri insigni. Per ragioni, dunque, che diremo, con parole anacronistiche, di chi- mica docimastica e tossicologica, può darsi che Leonardo siasi inte- ressato del napello della Valsissina; ma più fondatamente è a sup- porsi ch’egli se ne sia occupato per motivo botanico. Io amo vedere, anzitutto, in quell’accenno, come un inizio, un germe degli studî flo- ristici, che, solo a cinquecento inoltrato, si cominciarono a fare nelle principali località del mondo civile. Nè penso che questa caratteri- stica indicazione sia l’unica che Leonardo abbia dato ne’ suoi scritti: altre notizie relative a flore locali si riscontrano ne’ suoi manoscritti pubblicati, e chissà quante stanno racchiuse nella porzione non in- differente degli inediti ed inesplorati che sono in Inghilterra! Volendo ripescarle tutte, si potrebbe cavarne tanto da additare in lui anche un precursore di siffatta importantissima branca della scienza fitologica. Invero i suoi contemporanei che occupavansi di botanica: Teodoro Gaza, Ermolao Barbaro, Pandolfo Colenuccio, Nicolò Leoniceno, ecc. (1), si erano completamente dedicati alle traduzioni ed alle revi- sioni degli antichi testi greci e latini, nè davansi troppo pensiero — se sl eccettui il Barbaro che segna indicazioni floristiche — di ricercare e studiare da sè medesimi le piante, indinvendentemente da quanto ne avevano detto o taciuto i vecchi scrittori. E questa mania dell’antico facinorum poenas luerent, laqueo vitam finire, ut in ijs olei huius experimentum fieret. Horum alterum, qui plurimum Napelli sumpserat dulciarijs panibus com- mistum, pontificii medici statim oleo inungendum praebent, qui post tertium diem saepius oleo perrunctus evasit incolumis: quanquam non sine magna for- midabilium symptomatum accessione. Altero vero, cui longe minus venenati panis exhibuerant, oleo inungi vetant, ut assumpti veneni effectum, saevitiamgue cernerent. Id quod illis rei exitus facile comprobavit: quandoquidem paucis post horis obijt infelix, ijs omnibus incommodis, cruciatibus et symptomatibus correptus, quae epoto Napello provenire scribit Avicenna ». Commentarii in sex libros Pedacii Discoridis Anarzabei de Medica materia, etc, (Venezia, ex officina Valgrisiana, 1565), p. 1096. (1) Il Gaza tradusse in latino le opere botaniche di Teofrasto (Theophrasti "de historia et de causis plantarum, traduzione stampata la prima volta a Tre- viso nel 1483 e ristampata più volte con altre opere di Teofrasto o di Aristo- tele e Plinio: Venezia 1504, 15183; Strasburgo 1528, Parigi 1529, Basilea 1534, 1541, Lione 1552, ecc). — ErmoLAo BARBARO, purgandone i codici, commentò Plinio e Dioscoride (Castigationes Plinianae ecc. Roma 1492, ivi 1493, Cre- ANNALI DI BoranIcA — Vot. V. 4l era così conte: DO ‘taluni dei TOATIOA ©, per din © più mente, dei medici-botanici o semplicisti ‘della seconda metà de quattrocento e del primo trentennio del cinquecento, che non si |, vedevano nè si ammettevano altre piante all'infuori di quelle de- | scritte anticamente; e qualcuno arrivò all’esagerazione di non am- mettere come utili alla medicina quei « semplici» de’ quali non era parola in quei testi! SUE Contro questo cieco servilismo verso l’infallibile autorità degli antichi dettati, reagì più d’ogni altro Leonardo da Vinci: ma a libe- rare la botanica da una siffatta condizione di vassallaggio e d’infe- riorità, che la cristallizzava in formole viete e spesso erronee, ed im- pediva la vera conoscenza delle piante, non fu posto mano che nel secondo quarto del cinquecento, per opera principalmente del ferra- rese Antonio Musa Brasavola, subito seguito da altri dotti. Il quale valente Brasavola non esitò a dichiarare l'insufficienza dei testi di Teofrasto, di Dioscoride e di Plinio, di fronte al numero infinitamente superiore delle piante quali si presentano in natura (« Certum vero est centesimam partem herbarum in universo orbe con- stantium, non esse descriptam a Dioscoride, nec plantarum a Theo- phrasto, aut Plinio, sed in dies addiscimus et crescit ars medica ») ed riprendere, in nome del progresso scientifico che mai si posa, que’ suoi colleghi medici che — per esempio — non volevano saperne del guaiaco d’America, solo perchè non l’avevano prescritto gli an- tichi (1). mona 1495 [14852] [#] Basilea 1534; Corollarii in Dioscoridem ecc. Roma 1492 [##] Venezia 1516, Colonia 153), Strasburgo 1581 [in BrunreLs]. Il LEONICENO com- mentò e confutò Plinio (De Plinii et aliorum medicorum erroribus, Ferrara 1492, 1494 e 1509, Basilea 1529, Strasburgo 1531 [in BruNFELS| e Basilea 1532 [con altri opusooli dello stesso] ed il CoLeNUCCIO difese Plinio contro il Leoniceno (Pliniana defensio adversus N. Leonicenum, Ferrara 1493; De interpretatione simplicium, Strasburgo 1531 [in BruNxFELS]. — Di questi botanici e degli altri del tempo riparlerò nel capitolo: Storia del Napello avanti e dopo Leonardo. (1) Cfr. l’opera del BrasAvOLA. Eramen omnium simplicium medicamen- torum, quorum usus est in publicis disciplinis et officinis (Roma, apud Anto- nium Bladum de Asula, 1536, in fol., Lione, apud Vincentium, 1586, in 8; ivi, sud [*) Edizione citata dal Matraire (Annal. Typogr.), dal SeguiIER (Bib. bot.) dal BrancHi (De” primi libri a stampa pubblicati in Cremona, in: Sulle tipografie ebraiche, Cremona 1808) e dall'A. » MATI (Ricerche storico-critiche scientifiche sulle origini, scoperte, invenzioni, ecc. (Milano 1830, vol, V, pag. 388), ma negata dall'Aupirreppi (Spec, Hist. crit, ital, Secul. XVI, pag. 222) e da altri, che dicono trattarsi di equivoco con quella di dieci anni dopo (1495). ch {**) Il Seguier ritiene probabile che esista questa edizione romana: PirortA e CHIOVENDA — È (Flora romana, fasc. I, pag. 34-85) ne sostengono l'impossibilità. — Ma testè il Dott. Chiovenda — mi annunciava d'aver avuto una copia di quest'opera del Barbaro, con la quale può provare che l'edizione del 1516 è formata precisamente coi fogli stampati fin dal 1492 o ’93, e probabilmente. rimasti giacenti per l'avvenuta morte del Barbaro stesso; tirati fuori nel 1516, furono uniti alle Annotazioni dell'Eanazio, edite in quell'anno a Venezia, — 617 — Nello stesso giro di tempo altri medici-botanici venivano pro- pugnando il principio che convenisse meglio studiare le singole flore locali per trovarvi i « semplici » occorrenti per le varie malattie, anzichè farli venire da lontani paesi, come l’India e l'Egitto, o an- darvi apposta a prenderli, per seguire appuntino le prescrizioni degli antichi scrittori. Questa tesi fu sostenuta con particolare foga da Sinforiano Champier (1), un contemporaneo di Leonardo, sebbene più giovane di vent’anni, e che, probabilmente, come dimostrerò al- trove, strinse seco lui relazione. Il Champier, stabilendo l’assioma che « Dio e la natura hanno dato ad ogni regione ciò che è neces- sario alla vita di chi l’abita », eccito, con argomenti teologici e pra- - tici ad un tempo, i botanici allo studio deile flore locali. _ L’ammonimento fu tosto raccolto da Giovanni Ruel, che nei tre libri della sua opera De natura stirpium, edita nel 1536 a Parigi (2), e dedicata al re Francesco I, cominciò ad illustrare la flora francese. Accenni alle specie della flora italiana trovansi già in alcuni er- bolarii del medio evo, ed in taluni botanici, come il già citato Bar- scuto Coloniensi apud Frellonios, exudebat Joh. Barbous) 1537; Venezia, sud signo Putei, 1559; Lione, apud Pullonium de Tridino, 1544; Venezia, apud Val- grisium, 1545 —Un commentatore del Brasavola fu LuiGI MUNDELLA, bresciano: Epistolae medicinales. Ejusdem Annotationes in Antonii Musae Brasavolae Sim- plicium medicamentorum examen; Basilea, apud Michael Isingrin, 1538). — Per ‘ la vita del BrasavoLa (1500-1555) cfr. BarurrALDI G.: Commentario istorico- erudito all’ iscrizione eretta nel Almo studio di Ferrara l’anno MDCCIV in memoria del famoso Antonio Musa Brasavoli già vivente nel secolo xvi (Fer- rara, 1704) con ritratto. — CASTELLANI AL. De vita A. M. Brasavola, Com- ment (Mantova, 1767, con ritratto). (1) Le myrouel des Apothiquaires et pharmacopoles par lequel est demonstre comment Apothicaires communement errent en plusieurs simples medicines contre l’intention des Grees, de Hypocras, Galien, Orìbase, Paule Egynette, et autres Grecs. Et par la maulvaise et faulce intelligence des autheurs Arabes, lesqueux on falcifie la doctrine des Grecs par leur maulvaise et non entendue inter pre- tation et intelligence faulce (Lione, par Pierre Mareschal, senza data [15832]; ristam- pato recentemente a Parigi per cura del dott. P. Dorveaux nel 1894). — Mortus Gallicus, pro Gallis in Gallia seriptus, verumtamen non minus Italis, Germanis et Hispanis, quam Gallis necessarius, in quo Gallos in Gallia omnium aegritu- dinum remedia reperire docet, nec medicaminibus egere peregrinis, quum deus et natura de necessariis unicuique regioni provideat. (Lione, în aedibus Melchio- ris et Gasparis Trechsel, 1533). — Campus Elysius Galliae amoenitate refer- tus: in quo sunt medicinae compositae, herbae et plantae virentes: in quo quie- quid apud Indos, Arabes et Poenos reperitur apud Gallos reperiri posse demon- stratur. (Lione, ivi, 1583). (2) Ex officina Simonis Colinaei. — Altre edizioni dell’opera del RueL (la- tinamente Ruellius, 1474-1587) sono di Basilea, în officina Froebeniana, 1537. — Venezia, per Bernardinum Bindonum, 1538. — Basilea, în off. Frob., 1543. EPS P 2% ad Pi ’ “ i > dt ae e Di) a Peg baro, dell’epoca del Rinascimento: poi, sopra tutte, nelle opere del Mattioli e dell’Anguillara, i quali erborizzarono lungamente, fin dal. secondo quarto del secolo xvi, lungo la penisola italiana, sugli Ap- pennini e sulle Alpi, affrontando fatiche e disagi non lievi (1). Ma il primo saggio prettamente floristico fu quello del benemerito far- . (1) Il MartIOLI accennò alle sue reiterate escursioni botaniche nella lettera. al cardinale Madruzzo, premessa fin dalla 1* edizione del 1544 ai suoi Com- menti a Dioscoride, là dove disse che « nell’amenissimo gloriosissimo et sere- nissimo seno [d'Italia], hora per ombrose valli, hora per opache spilonche, hora per fangosi paludi, hora intorno a chiarissimi fonti, hora per gli berbosi et fioriti prati, hora per fruttifere campagne, hora per le rive de i fiumi et degli amplissimi mari, hora nelle più chiare et principali città per privati giardini, ho con non poca fatica vagato ». Specialmente erborizzò sui monti della valle di Non (valle Anaunia) nel Trentino, i quali nella lettera stessa appellò « al- tissimi» e «di gloriose piante dalla natura dotati ». GIROLAMO DONZELLINI,. alludendo a queste faticose peregrinazioni, così scriveva al Mattioli: « Dici vix potest quot labores, aestus, frigora, coeli tempestates, peregrinationes lon- ginquas pertulisti: quot inaccessos montes ascendisti, quot valles, sylvas, ne- mora peragrasti, quot immanium ferarum truculentiae te, tuamque vitam exposuisti, scilicet ne idem tibi contingeret, quod Galenus in iis reprehendit, qui rerum atque herbarum, quas ne per sommium quidem viderunt, figuras: deuribere aggredientur ». (MATTIOLI, Epistolaum medicinalium, lib IV [Praga 1561, Lione 1544, ed in Opera omnia)). L’ANGUILLARA (meglio: Luigi Squalermo detto Anguillara, perchè oriundo di Anguillara Sabazia) viaggiò dal 1539 al 1560 non solo tutta l’Italia e le sue isole, ma fu anche in Dalmazia, nell’Illiria, in Turchia, in Candia, in Cipro ed in parte della Svizzera e della Francia; sicchè il suo libro — oggidi divenuto rarissimo — intitolato: Semplicì dell’eccellente M. Luigi Anguillara, li quali in più pareri a diversi nobili uomini scritti appaiono, et nuovamente: da M. Giovanni Marinello mandati in luce (Venezia appresso Vincenzo Val- grisi, 1561) può a buon dritto ritenersi uno dei primi fondamenti della flora italiana e della europea. L’ANnGUILLARA fu anche sulle montagne del Comasco, e quindi forse in Valsàssina; quelle montagne ricorda, p e, a proposito dei rosmarini di Teofrasto (« si trovano nel monte chiamato Generoso sopra Como, et gli erbari del luogo il chiamano Livistico salvatico »), dell’Absintio Pontico» DI («lo Absintio che nasce nel Comascho è molto aromatico, et odorato più che in ogni altro luogo d’Italia »), del dauco cretico (« 1’ ho veduto in Monte Baldo e nel monte Generoso nel Comasco »), della radice idea (« quella che fa .i frutti rossi trovai essendo in compagnia del mio carissimo amico signor Fabricio- Candiano, nobile milanese, ne! monte Generoso ») ecc. — Mi associo toto corde al' voto espresso dagli ottimi colleghi SAccarDO e BaLpACCI: « Sarebbe uno studio raccomandabile quello di estrarre dai Semplici dell'’Anguillara un catalogo. delle piante italiane quali si conoscevano allora, coi luoghi, coi nomi e colle date. Codesto riuscirehbe un importante contributo per un lavoro, che certo a. suo tempo verrà fatto e che potrà intitolarsi: Storia della prima invenzione: delle piante italiane» (in Malpighia anno XIV [1900], vol. XIV). — E chò porrà mano a questo lavoro si ricordi del Mappello vinciano! per: macopola e naturalista veronese Francesco Calzolari, che in un’ope- retta, divenuta celebre, descrisse la non meno celebre florula del Monte Baldo (1). Così il Viaggio al monte Baldo, che è stato il primo tentativo di flore locali, ed al quale tennero subito dietro numerosi lavori con- generi, si riallaccia, in certo qual modo, all’appunto vinciano sul ‘mappello ; e questo appare come l'embrione, per così dire, delle illu- strazioni floristiche, che furono compiute assai più tardi, — dal Van- delli all’Artaria — sui monti e le convalli che formano la regione «della Valsassina. Infine io suppongo che Leonardo abbia preso quell’appunto re- lativo al napello, per una vera e propria ragione scientifica di bo- tanica sistematica. Oggidì chi non conosce il napello, dal portamento caratteristico, dalle foglie profondamente intagliate, dal grappolo compatto, rigido, dai fiori grandi a cappuccio, di uno splendido azzurro, talora venati di bianco, o bianchi addirittura ? Per la sua bellezza il napello è anche coltivato nei giardini, e quindi maggiormente conosciuto. Allo stato selvatico poi non v'ha montanaro, pastore o boscaiuolo, che non lo sappia distinguere fra i tanti fiori svariati e vivaci che ador- nano le pendici alpine e spiccano fra il verde dei pascoli o fra i ce- spugli entro ai boschi. Ai tempi di Leonardo, invece, questa specie di aconito non era bene identificata dagli stessi botanici più esperti conoscitori di piante, e però doveva importare assai a lui di poter dare l’annuncio di averla trovata, vera e abbontante, in Valsassina. (1) Il Calzolari pubblicò primieramente il suo viaggio al monte Baldo, in ita- liano (17 viaggio di monte Baldo della magnifica città di Verona nel quale si de- scrive con meraviglioso ordine il sito di detto monte et d’alcune altre parti ad esso contigue, et eziandio si narra d’alcune segnalate Piante et Herbe che ivi nascono et che nell'uso della medicina più di tutte l'altre conferiscono. Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1566); trovasi isolato, oppure unito alla Fabrica degli speziali di PRo- spero BorcaARUCCI (ivi, 1566) essendo stato scritto come appendice a questa opera. Indi ii Calzolari, per consiglio del Mattioli, lo voltò in latino (Iter Baldi civitatis Veronae montis, in quo mirabili ordine describitur Montis ipsius atque aliarum quarundam ipsum contingentium partium situm, ecc.), e venne ag- giunto all’opera dello stesso MATTIOLI: Compendium de Plantis omnibus, ecc. (Ve- nezia, Valgrisi, 1571), ripubblicata poi, ancora con l’Ifer, ma col titolo: De plan- tis epitome utilissima novis plane ad vivum expressis iconibus, ecc., aucta et locupletata a J. Camerario (Francoforte 1586). Apparve pure in calce al trattatello dell’OLIVI: De reconditis et praecipuis «collectaneis ab honestissimo et solertissimo Fr. Calceolario veronensi in musaeo adservatis (due ediz.; Venezia 1584, Verona 1593). — Una quinta edizione latina : k » PETRA tea EINE Sia ch'soli arrivasse da sè a i scoprire il tanto, : verso napello; sia che altri gli insegnasse quale pianta realmente fosse (ed in questo caso può darsi spetti il merito a qualche intelligente valsassinese dell’epoca), certo è che l'annotazione fatta dimostra il suo interessamento per una questione di sistematica, ‘allora assai difficile a risolversi. Difatti i botanici di quell'epoca, tutti affannati, come ho detto, a studiare la scienza dei vegetali su le opere degli antichi, e non in aperta campagna su 1 vegetali stessi, non sapevano orientarsi nella ricerca di questa specie più o meno bene descritta nei testi antichi e medioevali, e facevano confusioni di ogni sorta, o magari rinun- ciavano all'impresa. Basta dare un’occhiata agli scarsi libri dei Semplici che avevano: corso quando Leonardo viveva — e rappresentanti tutta la botanica d'allora — per trovarvi, di rado, qualche imperfettissima notizia, e più spesso nessuna affatto, intorno all’aconito napello, del quale sape- vasi solo essere un potentissimo veleno. E sulla scorta di quest’ unica caratteristica, lo vediamo spesso fatto sinonimo di pianta velenosa; e quindi furono spacciate col suo nome altre ranunculacee, come l’Actaea, 11 Ranunculus Thora, ed alcuni Anemone, Delphynium, Helle- borus, nonchè la composita-corimbifera Doronicum pardalianches, ecc. Ma vale la pena di fare una particolareggiata storia del napello (e ciò sarà oggetto di altro capitolo di queste modeste contribu- zioni), per maggiormente provare che Leonardo non se n’è occu- pato a caso, o per mera curiosità, bensì per rimediare ad una la- cuna nella letteratura botanica del suo tempo, e che durò per lunghi anni dopo. E allora sarà anche a chiare note dimostrato che se Leonardo seppe identificare in natura l’aconito napello, non lieve merito fu il suo, dato che tanti e tanti botanici venuti dopo di lui, non seppero riconoscere in natura questa specie, o la confusero con altre, o non ne ebbero notizia. Par quindi che il sommo artista-botanico, per quel senso pro- fetico, divinatorio, ond’è provvisto il genio, prevedesse, con l’ ap- (non terza come vi è detto) va unita al libro del SEGUIER: Plantae veronenses, seu stirpium, quae in agro Veronensi reperiuntur, methodica synopsis, ecc. (Ve- rona, tip. Seminarii, 1742). Questa quinta edizione fu tirata anche in esemplari a parte; ed infine comparvero due sunti in italiano dello stesso viaggio (Yra- duzione della descrizione di monte Baldo fatta latinamente da Francesco Calceo- lario, ecc. — Venezia, Lazzaroni 1740; ed in Prose e Poesie P. Bergant). Il Calzolari raccolse anche un ricco museo naturalistico, della cui illu- strazione mi sono occupato, e conto pubblicarla prossimamente; e fu in corri- spondenza con l’Aldrovandi, scrivendogli parecchie lettere, che ho trascritto. e pubblicherò con relativo commento, È punto | preciso 1 so n, le Forte faticite” e To vivaci sE scussioni che sarebbero nate dalla ricerca del napello, e che quindi si affrettasse a notare sovra i suoi quaderni in quale località pote- vansi rinvenire e toccar con mano i veri esemplari della problema- tica pianta. Sembra persino di vederlo partecipare alle discussioni, che sì facevano a’ suoi dì, e si prolungarono quasi tutto il cinquecento, per assidersi sereno e sorridente fra quei dottori disputanti e dir loro: < Ma perchè tante discussioni inutili? Chiudete una buona volta i vecchi libri, e Teofrasto, e Dioscoride, e Galeno, e Avicenna, e gli er- bolarî tutti, che non insegneranno mai quanto la natura, letta nel suo . libro reale e vivo, a tutti aperto! Venite con me sui monti della bella Valsassina: ivi vi farò cogliere, come ho colto io, in mezzo a quei boschi fitti el a quei pascoli opimi, il tanto celebre e discusso napello ». Non è esagerato il dire che se Leonardo avesse pubblicato il libro di botanica che aveva in mente, e pel quale prendeva continui appunti, la scienza dei vegetali avrebbe guadagnato un secolo e forse più. Certo è che tante questioni, che affaticarono lungamente i botanici venuti dopo quel sommo, sarebbero state da lui risolte, con grande vantaggio del progresso scientifico. Tra queste io pongo la questione del napello, piccola in apparenza, ma di grande im- portanza pur essa, come tutte le questioni scientifiche. In fatto di scienza ogni minima cosa può essere preziosa, anche quando non ap- paia; e più, che ad altro, si attaglia perfettamente al progresso scien- tifico il noto verso dantesco della « poca favilla ». "o RAT Contribuzione alla Flora dei monti del Cilento (Salernitano) per il Dott. B. Lonco Sulla flora dei monti del Cilento non mi è stato possibile tro- vare, nella letteratura in proposito, alcun lavoro. Credo perciò utile raccogliere in questa nota i principali risultati di due gite da me fatte, verso la fine dello scorso luglio, sui monti Cervati ed Alburno. Sono questi, infatti, i due monti più elevati fra quelli del Cilento, misurando il primo metri 1899, il secondo metri 1742 sul livello del mare. Su questi due monti, che hanno entrambi natura calcarea e manifesti fenomeni carsici, la flora è ricca e svariata; sui loro fianchi sì presentano belle foreste di Faggi che si spingono sul monte Alburno fin quasi alla vetta, sulla quale primeggiano ricchi cespugli di RAamnus alpina L. I Faggi si arrestano, invece, sul monte Cervati parecchio al di- sotto della vetta sulla quale sì trova una larga zona scoperta ove raccolsi non pochi rappresentanti della flora alpina, fra i quali ri- cordo: la Carex ferruginea Scop. f. sempervirens (Vill.), la Sari fraga moschata Wulf., la Rosa Heckeliana Tratt., 1’ Astragalus cam- pester L., il Carum carvifolium Arc., la Trinia glauca Rchb. b. car- niolica (Kern.), la Primula Auricula L. è. Balbisii (Lehm.), il C'yno- glossum magellense Ten., Vl Anthemis mucronulata Bert. Nell'elenco, che segue, di tutte le piante raccolte, ho riunito soltanto quelle che mi risultano nuove o interessanti per la regione. Taxus baccata L. — Piuttosto frequente tra’ Faggi sul monte Alburno. Abies alba Mill. — Sul monte Alburno, piuttosto raro. Phleum Michelii All. ?. ambiguum (Ten.).. — Sul monte Alburno. Gymnadenia conopsea R. Br. — Alla vetta del monte Cervati. " Silene GieRTAte L. ai pei o Via Faggi, sul monte Cervati. | vigne, ) alto ro ce, tra. Ranunculus brutius Ten. — Tra gli ultimi Faggi presso il San- | tuario sotto la vetta del monte Cervati. R. geraniifolius Pourr. ©. poZlinensis (Chiov.) (R. montanus W. b. pollinensis Terr. N.). - Alla vetta del monte Cervati. Sedum atratum L. — Nelle fessure delle rocce, presso il Santuario, alla vetta del monte Cervati. S. magellense Ten. — Nelle fessure delle rocce, tra’ Faggi, e delle rupi della vetta, presso il Santuario, del monte Cervati. Saxifraga tridactylites L. f. adscendens (L.). — Tra le rocce della vetta del monte Cervati. Cotoneaster integerrima Medie. — Rupi della vetta del monte Alburno. C. integerrima. Medic. f. tomentosa (Lindl.). -— Rupi; al di sopra dei Faggi, sul monte Dei Rosa Heckeliana Tratt. — Alla vetta, presso il. Santuario, del monte Cervati. Astragaius Tragacantha L. {. sir2nicus (Ten.).. — Sul monte Al- burno. A. campester L. — Alla vetta del monte Cervati. Euphorbia Myreloites L. — Sul monte Alburno e sul monte Cer- vati. Rhamnus alpina L. — Vette del monte Alburno. Carum carvifolium Arc. — Rupi, presso il Santuario, alla vetta del monte Cervati. Heracleum Orsinii Guss. — In una profonda spaccatura di rupe presso il Santuario, alla vetta del monte Cervati. Laserpitium Siler L. {. siculum (Spr.). — Rupi della vetta del monte Alburno e del monte Cervati. L. latifolium L. b. asperum (Crantz.). — Tra i Faggi sul monte Alburno. Pirola secunda L. — Tra i Faggi al monte Alburno. Primula Auricula L. #. Ba/bisit (Lehm.). — Rupi della vetta, presso il Santuario, del monte Cervati. Di Va SADE rs . S2Alla vetta dol monte Cervati. | Gentiana Lutea LL i Cynoglossum magellense Ten. — Nei pascoli al disopra dei Faggi | alla vetta del monte Cervati. Lavandula Spica L. (excl. 8.). — Pendici ol monte Cervati. Galium silvaticum L. — Tra i Faggi del monte Alburno. Valeriana montana L. — Rupi del monte Alburno e del monte Cervati. Hedraeanthus graminifolius DC. f. — Rupi del monte Alburno e del monte Cervati. i Oss. Il Beguinot indica questa specie anche pel Salernitano: < ... Appennino... salernitano al M. Coccovello (Fiori) ...» (1). Eviden- temente si dovrà trattare di una svista, giacchè il monte Coccovello, ove fu raccolta dal Fiori (2), fa parte della Basilicata. Adenostyles alpina B. et F. — Tra i Faggi al monte Alburno. Anthemis mucronulata Bert. — Rocce dei dirupi, presso il San- tuario, alla vetta del monte Cervati. Centaurea montana L. 8. variegata (Lam.). — Nei pascoli sul monte Alburno e sul monte Cervati. Carduus affinis Guss. b. pollinensis Fior. Adr. (C. affiinis Guss. c. Terr. N.). — Sul monte Alburno. Oss. I capolini laterali erano sessili e peduncolati analogamente come li avevo trovati negli esemplari raccolti sul monte Ciagola in Calabria (3). Siena, marzo 1907. (1) BeGuINOT A. — In FrorI A. e PAOLETTI G. Flora analitica d’Italia. Vo- lume III, p. 190. (2) FioRI A. — Contribuzione alla Flora della Basilicata e Calabria. Nuovo Giorn. Bot. ital. (N.S.) Vol. VII. (1900), p. 269. (3) Longo B. — Nuova contribuzione alla Flora calabrese. Annali di Bot. Vol. II, fasc. 1° (1904), p. 182. È sE Riviste DreLs A. — Droseracede: mit 286 Einzelbildern in 40 Figuren und Verbreitungskarte. — Engler's Pflanzenreich IV, 122. — Leipzig, Verlag von W. Engelmann 1906. Questa monografia — come le precedenti — comprende due parti. La parte generale comincia con l’esame dei caratteri di questa interessante famiglia composta di sole erbe e largamente diffusa sulla superficie terrestre. Segue una diligente rassegna degli organi vegetativi, cominciando dalle piantine appena germogliate ed esa- minando diffusamente le radici avventizie, il fusto, le foglie — le quali presentano interessanti modificazioni in rapporto con l’adat- tamento di queste piante alla vita carnivora — le appendici che in esse si riscontrano, specialmente i tentacoli che tanta impor- tanza hanno per la cattura e la prensione dei piccoli insetti che formano la base dell’alimento complementare di questi vegetali. Quindi l’A. esamina il modo di accrescimento*e di ramificazione dei vari tipi ed in particolar modo delle Drosera, la sensibilità ed il modo di reazione agli stimoli delle foglie, e specialmente delle appendici di esse, il che è molto importante per le funzioni di prensione e di cattura. Seguono poi delle osservazioni sulle prin- cipali particolarità anatomiche e sulla struttura ed organizzazione fiorale, che è di fondamentale importanza per la classificazione. Si hanno resti fossili di Droseracee nel pleistocene del Canadà. I rapporti di parentela di questa famiglia sono stati variamente discussi ed interpretati, tanto che i diversi autori l’hanno varia- mente spostata e trasportata nel sistema naturale: altri autori hanno considerato i gen. Byblis, Roridula e Parnassia come generi anomali delle Droseracee, mentre che oggidì si considera il gen. Byblis da alcuni come una Lentibulariacea od una Pittosporacea, il gen. or:- dula si attribuisce alle Ochnacee, mentre che il gen. Parnassia dalla . fe reco o I VASTA >: N Li 7] di : 9 fi , ; A i : SALI t ar] x maggioranza degli EI sì e che AISHA appartenere ad una i speciale tribù delle Sassifragacee. Nelle Droseracee si osservano molti caratteri di convergenza con le piante acquatiche, poichè le loro specie vivono in luoghi torbosi, umidi o palustri. I generi di questa famiglia sono quattro, e sono basati sui ca- ratteri tolti dall’androceo e dal gineceo: Drosophyllum Link. Dionaea Ellis. Aldrovanda L. Drosera L. Di questi tre i primi sono monotipici e due non appartengono alla flora del nostro paese. Il Drosophyllum (D. lusitanicum Link.) è limitato alla provincia mediterranea meridionale-occidentale e cioè : al Portogallo, alla parte meridionale della Spagna ed alla parte settentrionale del Marocco. La Dionaea (D. muscipula Ellis.) si trova nella zona atlantica del- | l'America settentrionale e specialmente nella Carolina settentrionale e meridionale. L’Aldrovanda (A. resciculosa L.) è pianta dell'Europa centrale che sì estende però attraverso l’Asia fino al Giappone ed in Australia. In Italia è rara: si trova qua e là sporadica nei laghi e nelle paludi del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, si riscontra anche in Toscana, nel Lazio ed in Terra d'Otranto. Il gen. Drosera comprende invece numerose specie (84) divise in tre sotto-generi e distribuite in XII sezioni. Subg. I. — RorELLA DC. Sect. I. — Psychophila Planch. — 3 sp. antartiche. >» II — Bryastrum Planch. — 1 sp. Australia austro-or. Nov. Zel. » III — Lamprolepis Planch. — 14 sp. Australia. » IV. — Thelocalyx Planch. — 1 sp. Bras. or., 1 Asia austr-or. » V.— Coelophylla Planch. — 1 sp. Australia. » VI. — Arachnopus Planch. — 8 sp. diffuse in Austr., Asia, Afr. trop. » VII. — Ltossolis Planch. — 26 sp. variamente diffuse sulla sup. terrestre. » VIII. — Stelogyne Diels. — 1 sp. Austr. austr.-occid — PrycxostTIGma Planch. — ana Planch. — 2 sp. Reg. del Capo. Subg. III. — ErcaLeIUM DC. È: 2 ea a Polypeltes Diels. — 18 sp. Australia: 1 si spinge e"; nell’Asia orient. fo: » XII. — Erythrorrhiza Planch. emend. — 10 sp. Australia. Sd La sola sez. VII /ossolis (1) comprende specie nostrali, le quali _ —sono le seguenti: È. 1° Drosera intermedia Hayne. È DEA E rotundifolia L. $ D. rotundifolia x anglica Lausch. 3° » anglica Huds. : Esaminando la carta di distribuzione delle sp. del gen. Drosera, ‘i ci colpisce la mancanza assoluta di specie del genere in alcune re- gioni e la loro grande concentrazione in altri luoghi. Così mancano in tutta la parte meridionale della Pen. Iberica, nella Sardegna, in Sicilia, nell’It. peninsulare, nei Balcani, nell'Asia minore, in Arabia, in tutto l'immenso altipiano dell’Asia centrale, nella maggior parte della China, in tutta l'Africa settentrionale ed in buona parte della orientale, in tutta la zona delle Cordigliere, nella Rep. Argentina ed in una piccola porzione occidentale dell'Australia, nel resto della quale regione riscontriamo una delle maggiori concentrazioni di specie di questo genere. La sez. Rossolis — che è quella che comprende le spe- cie nostrali — è la più largamente diffusa ed è esclusiva dell'Europa, i dell'Asia settentrionale e di tutta l'America sett., nelle quali regioni non si riscontrano rappresentanti di altre sezioni. Come appendice si trova un elenco di tutte le essiccata di Drosera pubblicate. F. CORTESI. bt be 1) L’A. per tal fatto crede che nel rosoglio (sic) degli italiani entrino le i liquori zuccherini e densi. Dro ere in grande quantità, senzà sapere che rosolio è un nome generico per 4 Ù . 4 i » # Ù - a ? . S è MALA Botanik. — Un vol. in-8° gr. di pag. VIII-690, con 341 figure. — Prezzo L. 20. — Leipzig, Wilhelm Engelmann 1905. Non è necessario di rilevare l’importanza, anzi diciamo meglio, la utilità di un Dizionario; tutti gli studiosi di qualsiasi scienza sanno per propria esperienza il vantaggio che da esso possono avere e la necessità di ricorrervi; ora se questo bisogno è sentito dagli stu- diosi, ancora maggiormente lo proveranno gli allievi delle Università e le persone che, senza essere specialiste, pure sì occupano di studi scientifici. Non vi è disciplina oggidì che non abbia un Dizionario. proprio, ed anche nella botanica non mancano ; ma, allo stato attuale di questa scienza, che negli ultimi decenni ha fatto progressi notevo- lissimi, i Dizionari esistenti sono invecchiati, e non contengono molti dei vocaboli che pure sono di un uso comune. D'altra parte la bota- nica nell’ultimo quarto del secolo decimonono si è suddivisa in varie discipline, che sono andate sviluppandosi ciascuna in una direzione propria e costituendosi in rami distinti, e diremo così in altrettante scienze speciali. Ne è venuto di conseguenza la creazione di un lin- guaggio proprio per ciascuna di esse; molti vocaboli che prima ave- vano senso piuttosto generico o vago, hanno acquistato un significato particolare, talvolta ben diverso da quello che loro si attribuiva prima, sempre più preciso circoscrivendosi dentro limiti più ristretti. Altri sono stati coniati a nuovo, e invano sì cercherebbero nei Dizio- nari antichi :la loro etimologia non è sempre corretta, ma il signifi- cato è ormai accettato da tutti, e così hanno acquistato diritto di na- zionalità nella scienza. Riconosciuta adunque la necessità di un nuovo Dizionario di botanica, siamo lieti di poter annunciare la pubblicazione di quello del D. Schneider, poichè esso corrisponde al bisogno che si ha di esso. Il libro è fatto veramente con intendimento classico, le defi- nizioni che accompagnano i vocaboli sono prese dagli autori stessi che li hanno creati, o che vi hanno assegnato quel significato par- ticolare che poi hanno mantenuto, o che nei loro libri li hanno defi- niti con maggiore chiarezza, e per garanzia Schneider cita le fonti a cui ha ricorso, e il nome dell’A. che ha introdotto la nuova voce. Una difficoltà grave e che si presenta in tutti i Dizionari spe- ciali, era quella di fissare i limiti della botanica colle scienze affini; ciò era necessario non solamente per non impinguare il Dizionario con termini che si possono trovare facilmente altrove e che non hanno relazione colla botanica, ma anche per conservare al libro. un carattere proprio speciale. L'A. ha superato felicemente tale dif- ficoltà, ha eliminate tutte le voci di genere descrittivo che si trovano. CRAIG e. ” ina Ò ‘ RECR 1 fissa: Ma, CamiLLo KARL SCHNEIDER. — Illustriertes Handwòrterbuch der — 661 — anche nei vocabolari comuni; ha pure omesso i termini della bio- chimica, della microtecnica nel suo significato più ristretto, quelli esclusivi alla fisica e alla geologia, e simili; pure accogliendo altri che sebbene di significato generale, interessano in modo diretto la botanica, come catalisi, turgore, fermentazione ed altri. Egli ha tra- scurato le voci morte che non hanno più valore, e che avrebbero «ingrossato il volume non solo senza vantaggio, ma sarebbero riu- scite d’imbarazzo nell’uso del medesimo. L’A. poi si è valso del sussidio di altri scienziati, micologi, brio- logi, anatomici, sistematici, fitogeografi, ecologi, ecc., i quali hanno riveduto le definizioni che si riferiscono alle rispettive discipline di loro specialità, e per maggiore garanzia le hanno firmate con le pro- prie iniziali. I termini sono dati colle loro etimologie; per guadagnare spazio quando si seguono diverse voci composte, nelle quali solo una parte di esse varia, l'etimologia si limita alla parte cambiata; del resto queste ed altre indicazioni sono spiegate in una breve premessa che il lettore trova al principio del Dizionario. Le definizioni sono abbastanza estese, direi quasi eccessive, ma vista la novità del significato di certe voci, diventa necessario di ben spiegare il loro valore scientifico, perchè una semplice defini- zione arida, bene spesso lascia il lettore perplesso e all’oscuro quanto prima, mentre la vera importanza di un Dizionario si misura dal modo come risponde a ciò che gli si domanda ; non dovrebbe mai la- sciare insoddisfatto colui che vi ricorre. Numerose figure illustrano il testo e permettono di facilmente comprendere le definizioni brevi, quando senza la rappresentazione grafica, riuscirebbero troppo lunghe. Sebbene il Dizionario sia tedesco, pure è utilissimo anche per noi italiani, poichè la maggior parte dei termini registrati hanno una impronta che trova perfetta corrispondenza nella nostra lingua; e per avvalorare il mio dire cito a caso alcune (voci: Endotrophie, Endospore, Enneandria, Epiplasma, Formation, individuelle Variabi- litiit, Parenchym, Praefloratio, Tropismus, ecc. L’A. nella sua prefazione prega di segnalargli i desiderî di mi- glioramenti per introdurli in una nuova edizione; a noi sembre- rebbe utile l’aggiunzione delle designazioni grammaticali; forse ciò può sembrare inutile pei tedeschi, ma siccome il Dizionario è utilis- simo per i botanici di tutto il mondo, così la designazione gram- maticale diventa una necessità. Con questo desiderio chiudiamo il nostro cenno raccomandando il Dizionario ai botanici italiani. Teramo, 18 novembre 1906. GAETANO CRUGNOLA. ANNALI DI BoTANICA — Vot. V. 42 in: ca. Srrassurcer E. — Uber die Verdickungsweise der Stimme von Palmen und Sehranbenbiiumen. — Jahrbiicher fiir wissensch. Bo- tanik. Bd. XLIII, December 1906. Fino a pochi anni or sono, d’accordo con l’ Eichler, si ammetteva che il caule delle Palme aumentasse il suo spessore per il conside- revole ingrandirsi degli elementi del parenchima fondamentale e delle fibre della guaina meccanica del fascio. Escludevasi dunque l’esistenza di formazioni secondarie. Nel 1896 però il Borzì dalle ricerche condotte su diverse specie di Palme, rilevava che le formazioni secondarie esistono e che sono paragonabili a quelle di Yucca, Aloè e piante affini. Nel 1901 il Barsickow, studiando l’accrescimento di un discreto numero di Palme viventi nei Tropici, confermava le idee dell’ Eichler. Nel 1903 lo Zodda riprendeva la questione e nel caule di Li- vistona chinensis ed australis ritrovava le formazioni secondarie os- servate dal Borzì. Lo Strasburger, col vivo desiderio di formulare in proposito un proprio giudizio, riesce a procurarsi dal Winter di Bordighera un esemplare di 20 anni di Waskingtonia filifera, una delle specie in cui dal Borzì erano stati riscontrati maggiormente evidenti i tes- suti secondari. Egli inizia le sue osservazioni con lo studio della regione apicale, che alla distanza appena di 5,4 cm. dall’apice misura per il cilindro centrale un diametro di 19 cm. e per il cilindro corticale uno spes- sore di 1,75 cm.! Da questa semplice constatazione può rilevarsi quanta parte spetti alla regione apicale nella formazione del grosso caule di W. filifera. L’apice vegetativo, molto piccolo, giace in fondo ad una cavità, come di regola per un grande numero di Monoco- tiledoni e mostra evidentemente i tre istogeni, dei quali il periblema ed il pleroma, all'altezza delle prime bozze fogliari, dividono dap- prima per mezzo di pericline, poscia di anticline, le loro cellule e i tessuti che ne derivano sono così abbondanti, che presto l'enorme massa di essi sollevasi attorno all'apice stesso, generando la caratte- ristica cavità ad imbuto. L’attiva segmentazione diminuisce notevol- mente nel centro del caule già alla distanza di 1 millimetro dall’apice: a mano a mano che la distanza aumenta, la zona di diminuita at- tività dal centro si propaga verso la periferia, di modo che in de- finitiva la segmentazione rimane limitata ad un anello periferico, il cosidetto anello d’ispessimento o cilindro cambiale dei vecchi au- tori. Esso dura in attività finchè non venga raggiunto il massimo " gir S& vit #7), diametro della regione apicale: le formazioni però a cui dà luogo sono da riguardarsi come primarie. Con l’accrescimento della regione apicale si collega lo sviluppo dei fasci e la distribuzione di essi nel caule. A. tale argomento però lo Strasburger accenna appena, ripetendosi nella Waskingtonia quanto egli ha osservato e descritto con maggiori particolari per la Cocos flexruosa (Leitungsbihnen, p. 382). Per spiegare l’ulteriore accrescimento del caule l’autore compara le sezioni operate su frammenti di 4 dischi tolti a differenti altezze; le conclusioni alle quali egli giunge sono quelle dell’ Eichler più sopra accennate. Nonpertanto trova che il periciclo segmenta le sue cellule e genera verso l’interno dei nuovi piccoli fasci vascolari e dei fasci puramente fibrosi e verso l'esterno, benchè scarsissimi, nuovi tessuti della corteccia. I fasci vascolari nuovi formati sono molto semplici, risultando per lo più di sola porzione vascolare, cinta da fibre sclerenchimatiche, raramente di porzione vascolare e cri- brosa; scorrono spesso obliquamente, talora perfino orizzontalmente nel piano di sezione e fondonsi coi fasci periferici del cilindro cen- trale. La loro origine procede da una o più cellule meristematiche, allo stesso modo come nelle Monocotiledoni ad evidente struttura secondaria. L’ attività del periciclo però non si estende a tutta la periferia del cilindro centrale, ma è limitata soltanto ad alcuni punti, per cui risultano tanti focolai di nuove formazioni, i quali non sono duraturi, ma più o meno presto si esauriscono e tutti i tessuti di cui sono costituiti passano definitivamente allo stato adulto. I pic- coli fasci nuovi formati non costituiscono un nuovo sistema di tra- sporto dell’acqua, bensì hanno per ufficio di ristabilire le comuni- cazioni interrotte fra i fasci primari periferici in seguito alla trazione a cui sono stati sottoposti per l’ingrandirsi delle cellule del paren- chima fondamentale. Il periciclo dunque ridiventa attivo solo in quei punti in cui rendesi necessaria la presenza dei piccoli fasci, che lo Strasburger perciò chiama Ergiinzungsbiindel, Ergiinzungsbéihnen, Geféissbiindelkommissuren. Il meristema generatore di questi fasci è senza dubbio di origine secondaria, perchè proviene da un tessuto definitivo primario, il pe- riciclo, il quale riacquista la capacità di dividersi. Devesi per con- seguenza, si domanda l’antore, attribuire alle Palme un accrescimento secondario? Attenendosi alla regola, sì; però alle richieste di un ac- crescimento secondario, le nuove formazioni non rispondono esat- tamente, inquantochè non contribuiscono per nulla ad aumentare lo spessore del caule; offrono non pertanto un nuovo esempio di gra- duale passaggio fra le forme con sola struttura primaria e quelle con evidente struttura secondaria. messa in campo dal Jost nella critica al lavoro del Barsickow, c cioè CI DI se l'aumento in spessore del caule delle Palme è continuo, oppure cessa dopo aver raggiunto un massimo variabile per ciascuna specie. Osservazioni dirette in proposito egli non ne ha fatte; ma in base a quanto gli è stato riferito da parecchi allevatori di Palme, sembra propenso ad ammettere che un limite esista realmente. | Per quanto riguarda il caule delle Pandanacee nessuno finora, ad eccezione del Warburg, ha ammesso una struttura secondaria. Anche allo Strasburger l’esame microscopico ha dato dapprima esito negativo. Solo dopo ripetuti saggi operati a diverse altezze, in uno dei due vecchi cauli di Pandanus utilis da lui sezionati, è riuscito a trovare delle nuove formazioni che corrispondono esattamente a quelle riscontrate nello stipite di WasRingtonia filifera. Anche nei Pandanus infatti esse sono il prodotto dell’attività del periciclo che riacquista la capacità di dividersi solo in alcuni punti della sua superficie, appunto dove si presenta il bisogno di fasci complemen- tari (Ergiinzungsbiindel). Senonchè, mentre nella Washingtonia i nuovi fasci sono quasi sempre destituiti di porzione cribrosa, nei Pandanus ne sono sempre forniti. La porzione vascolare talora riducesi a pos- sedere un solo vaso. Il periciclo, come nella Waskingtonia, nei punti di maggiore attività produce anche dal lato della corteccia nuovi tessuti, fra cui fasci di fibre sclerenchimatiche. Ben presto però tutte le cellule meristematiche passano allo stato adulto ed i focolai si estinguono. I nuovi fasci sono ordinati in serie spirali e si collegano, penetrando più o meno profondamente dal basso all’alto nel cilindro centrale, coi fasci della struttura primaria. Le formazioni secondarie, limitate, come abbiamo detto, soltanto ad aleuni punti del periciclo, costituiscono delle specie di rilievi calottiformi alla superficie del cilindro centrale, i quali, premendo sui tessuti della sovrastante cor- teccia, riescono a rendersi manifesti anche all’esterno del caule a guisa di bozze. In un lavoro che è comparso nel novembre scorso (1), anch'io mi sono occupato dell’accrescimento del caule delle Pandanacee ed in verità, quantunque abbia osservato numerosissime sezioni, mai ho rinvenuto formazioni secondarie. Può ben darsi che il risultato ne- gativo da me ottenuto sia in relazione con la giovine età ed il non notevole spessore dei cauli presi in esame, oppure col fatto che le specie da me esaminate sieno destituite della capacità di produrre (1) Carano E. — Ricerche sulla Morfologia delle Pandanacee. — Annali di Botanica, vol. V. fasc. 1°. ; Ka fasci secondari. Nonpertanto l'insieme delle particolarità che carat- terizzano le nuove formazioni riscontrate dallo Strasburger, mi ri- chiamano alla mente quanto io ho osservato pei primordii delle grosse radici aeree sul caule. Anche queste infatti allo stato giova- nissimo, in cui possono rimanere per molti anni (possono anche non svilupparsi ulteriormente), accusano la loro esistenza alla superficie del caule, manifestandosi a guisa di bozze, coperte dalla corteccia del caule stesso; come le nuove formazioni, trovansi sparse qua e là su tutta la superficie del caule. I fasci che collegano il sistema con- duttore delle radici con quello del caule, allo stesso modo che i nuovi fasci dello Strasburger, penetrano profondamente nel cilindro cen- trale dal basso all’alto per saldarsi, come «è denti sul pettine», ai fasci primari. Data dunque la grande simiglianza che corre fra le nuove formazioni dello Strasburger e 1 giovani fasci che collegano 1 pri- mordii delle radici col caule, i0 credo che si tratti della stessa cosa. Ammesso pure che sieno invece due cose distinte, lo Strasburger non attribuisce, ed a ragione, grande importanza ai nuovi fasci per l'aumento dello spessore del caule, dovuto invece in maggior parte all’ingrandirsi degli elementi del parenchima fondamentale ed alle fibre della guaina meccanica dei fasci vascolari, come nello stipite di Washingtoniafilifera. L'autore occupasi anche nel caule delle Pandanacee dello studio della regione apicale, del percorso dei fasci ed anche della parti- ‘colare disposizione delle foglie. E. CARANO. KRrinzLIn H. — Uber das Dickenwachstum der Palme « Euterpe oleracea ». — Berichte der deutsch. bot. Gesellschaft; Bd.XXIV, Heft 9, 1906. La memoria della Krinzlin è un nuovo contributo alla soluzione dell'importante quesito dell’accrescimento del caule delle Palme. Le osservazioni sono state condotte su materiale raccolto dal prof. Mòller a S.Caterina nel Brasile. Il notevole spessore che raggiungono le parti adulte in confronto della regione apicale nel caule di Euterpe ole- racea farebbe a tutta prima pensare ad un probabile accrescimento in spessore per opera di ur@@@fieristema secondario. l'ale supposizione viene confermata guardando macroscopimente la superficie di sezione di uno dei tagli trasversali operati nello stipite; vi sì s infatti un limite nettamente marcato fra cilindro coni. no, Al microscopio però si rileva che non esiste nessun meristema e che te bud i-d Put No si Ma Ò s Ù e, h + 9 n fe CLASE alli, POI Lena Der rei BE TIR OLI RITA VAR SER, da , h ; | % — 666 — l'accrescimento del caule si effettua, come di regola per le altre Palme, mediante l'ingrandimento degli elementi già esistenti. Senonchè la Krinzlin ha osservato un fatto sfuggito agli autori che prima di lei si sono occupati dell’anatomia dell’ Euterpe oleracea e cioè che gli elementi della robusta guaina meccanica dei fasci vascolari manten- gonsi per parecchio tempo allo stato embrionale, segmentandosi più volte, finchè la guaina non abbia raggiunto ad un dipresso lo spessore di 30 cellule. Il passaggio dallo stato embrionale allo stato defini- tivo di questi elementi si effettua dall’interno verso il margine del fascio di modo che gli ultimi a perdere la capacità di moltiplicarsi sono i più periferici. Le fibre, differenziandosi, allargano conside- revolmente il loro lume nella direzione del raggio di sezione, poscia lignificano la parete. Terminata la differenziazione e costituitasi la guaina, il fascio ha raggiunto il suo stadio adulto e non è quindi più capace di accrescersi ulteriormente. Con tale stadio coincide, secondo la Krinzlin, anche il termine dell’accrescimento in spessore del caule di Euterpe. I fasci dunque contribuiscono non indifferen- temente ad aumentare il volume del ‘caule, sebbene però in minor grado del parenchima fondamentale. E. CarANO. WieLanp G. R. — American fossìl Cyeads. — Carnegie Institation of Washington, August 1906. Il poderoso lavoro iniziato dal Wieland fin dal 1898, mentre ri- guarda più da vicino le Cicadacee fossili (Cycadoideae) dell’Ame- rica, sì può ben considerare come il riassunto di quanto oggi sì sa su questo interessantissimo gruppo di piante. Nell’introduzione l’autore dà anzitutto minuti particolari sui ter- reni non solo d'America, ma anche d’ Europa e dell’ India, in cui sono stati riscontrati gli avanzi di Cicadacee fossili, nonchè un elenco dei musei nei quali detti avanzi vengono oggidì conservati. Com- paiono così anche gli esemplari italiani posseduti in maggior numero dal Museo geologico di Bologna. Quindi accenna alle condizioni sotto il cui dominio si è effettuata la fossilizzazione ed alla forma che, in dipendenza di tali condizioni, hanno assunta i tronchi fos- silizzati. L’imtroduzione termina con un capitolo dedicato alla de- scrizione dei pazientissimi metodi adottati dall'autore per ottenere delle sezioni microscopiche. Nella parte speciale vengono molto particolareggiatamente trat- tati gli organi vegetativi (caule e foglie) nella loro morfologia esterna Tg SAS, fio capitoli, che costituiscono senza dubbio la parte E. interessante del lavoro, il Wieland accenna alle affinità di pa- rentela delle Cycadoideae con le Cicadacee tuttora viventi, poi con i loro progenitori del gruppo delle Pteridofite. L'esposizione dell'intero lavoro, pubblicato in un'elegante edi- zione dalla Carnegie Institution of Washington, è chiara ed a renderla più comprensibile concorrono, oltre le numerose illustrazioni inter- calate nel testo, 50 splendide tavole! E. CARANO.