eta o I pe Sv amari ee dar dra , RI UOLIALE b.} è. COIES E = NN CAI RE 1, Ni ju dr | FILATO fatta ANNALI OTANICA v'E PUBBLICATI Pror. ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma VOLUME OTTAVO con XIV TAVOLE E 5 INCISIONI NEL TESTO DE LIBRAR) NEW YORI BOTANICA! ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1910 INDICE PER AUTORI Acqua C. — Sulla formazione della parete e sull’accrescimento in masse di plasma prive di nucleo, pag. 43. — Sull’azione dei raggi del radio nei vegetali, pag. 223. BADALLA L. — Lo svernamento di alcune piante sempre verdi nel clima del . Piemonte, pag. 549. BergaMasco G. — Alcune osservazioni sulla durata dei macromiceti, pag. 243. Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel KR. Istituto Botanico di Roma.— XXIV. Carano E. — Su le formazioni secondarie nel caule delle Monocotiledoni (Tav. I-IV), pag. 1. Cortesi F. — Studii critici sulle Orchidacee romane, pag. 190. — Nuova contribuzione alla Flora delle isole Tremiti, pag. 259. DE Toni E. — Luigi Anguillara e Pietro Antonio Michiel, pag. 617. FaurE G. — Note di Tecnica: Liquido conservatore per frammenti di pi e per piccoli organismi interi, pag. 63. GoLa G. — Saggio di una teoria osmotica dell’e A ‘Tav. XIII-XIV), pag. 275. Longo B. — Ricerche su le Impatiens (Tav. VIII-X), pag. 65. MarmtiroLo O. — Il « Colus hirudinosus» Caval. et Sich. nella Flora di Rel degna, pag. 269. Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XXV. MiGLIorato E. — La fogliazione delle Acacie a fillodii verti- ciltati, subverticillati, conferti e sparsi (Tav. V-VII), pag. 79. _— Sull’impollinazione di Rohdea japonica Roth per mezzo delle formiche, pag. 241. — Alcune notizie sull’Orto Botanico di Lecce, pag. 245. PagLia E. — L’eterocarpia nel regno vegetale (Tav. XI), pag. 175. PANTANELLI E. — Meccanismo dî secrezione degli enzimi, pag. 133. | PasquaLe F. — Quarta aggiunta alla bibliografia della Flora vascolare delle provincie meridionali d’ Italia, pag. 247. RAvENNA C. e ZamoraNnI M. — Nuove ricerche sulla funzione fisiologica del- l'acido cianidrico nel « Sorghum vulgare », pag. 51. SevERINIG. — Sulle formazioni tubercolari nello Juniperus communis(Tav.XII). Riviste, pag. 263, 687. Notizie ed appunti, pag. 268. Il fascicolo 1°, pag. 1-64 fu pubblicato il 25 gennaio 1910 » 29, » 65-268 » » 25 luglio » » 30, » 269-688' » > 15 dicembre.» ApabLiohi DAL Prop. ROMUALDO PIROTTA . Direttore vi PA Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE, Î È Ricerche di Morfologia e "Fialologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. ix © — XXIV, Carano E. — Su le formazioni secondarie nel caule delle Mo- nocotiledoni. (Tav. I-IV), pag. 1. , | Lcqua C. — Sulla formazione della parete e sull'accrescimento in masse di i arte prive di nucleo, pag. 43. i | acido cianidrico nel « ca vulgare >, pag. bl. RE Gi — Note di Tecnica — Liquido conservatore per frammenti di organi e per piccoli organismi interi, pag. bad A 1 Gli Annali. di Benicio si | pubblicano « pi i tempi non determinati. e; con numero di. fogli. ei ta vole non determinati. n prezzo sarà indicato numero | per mumero. A gli autori saranno. dati gratuitamente. 20 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia c chiederne “mm numero. maggiore, pagando le semplici 8 carta, tiratura, legatura, sce. a Eolo x toa Rs Gli autori sono responsabili della, forma « a del conte di nuto dei loro lavori, | - î x « sk t tu % W7 APLA B _ Per furzote, notizia, informazione, ‘Schiarimento, rivolgensi al | prof. R. PikorTA, via oo Bolo, Pata 89 Re « ROMA. Tn Po E NANUNASANEELNAI RSNITCINTFNARSI Ricerche di morfologia e fisiologia ‘NE eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma o XXIV. Su le formazioni secondarie nel caule delle Monocotiledoni del Dott. Enrico Carano. Tav.sI-. Dunque il Nigeli fa distinzione fra i prodotti del meristema primitivo (Urmeristem) ed i prodotti dell’anello di meri- stema persistente al limite fra la corteccia ed il midollo, introdu- cendo il concetto di tessuti secondarii nelle Monocotiledoni ad ac- crescimento illimitato. Che il Nigeli però, contrariamente a quanto afferma il Cordemoy nel suo lavoro (1), non consideri il suo anello di meristema come secondario (Folgemeristem), a me sembra si ri- levi dal fatto che egli lo fa derivare direttamente dal meristema pri- mitivo (Urreristem) il quale al limite fra la corteccia ed il mi- dollo rimarrebbe indifferenziato e conserverebbe quindi la capacità di dividersi. Del resto anche il Sachs interpreta come me l’idea del Nàgeli. Egli dice: « dei Calodracon Jacquini stammt nach Néigeli der Meristemring ummittelbar vom Urmeristem der Stammspitze ab, indem diese Schicht theilungsfihig bleibt, wenn die priméiren Stringe und das primtire Grundgewebe sich aus dem Urmeristem differenzieren » (2). Per le piante studiate da lui invece, il Sachs afferma che il me- ristema generatore dei tessuti secondarii è un meristema secondario (Folgemeristem), il quale compare solo quando è avvenuta la diffe- renziazione dei tessuti primarii e precisamente dai 4 ai 5 centi- metri al disotto dell’apice in Aletris fragrans, dai 17 ai 20 cen- timetri in Dracaena reflera (3). (1) Ecco quanto dice il Corpemoy, 1. c., pag. 14-15: « Le ‘Calodracon Jac- quini est, parmi les Dracoenées, le type qu'a choisi Ncigeli. Dans cette plante, d’après sa description, de nombreux faisceaux se forment au dépens du me- ristome primitif. Mais bientit AvpARAÎT un meristome spécial situé entre la moelle et l’écorce et qui donne naissance à des tissus secondaires, parenchyme et faisceaux. Dicendo egli « apparaît, » sembra come se il Niigeli ritenesse di ori- gine secondaria il meristema in parola. (2) SAcHS; J. — Lehrbuch der Botanik. IV Aullage. Leipzig, 1874, pag. 131. (3) Ip. — L.c., pag. 180 n. “pe dp o Nè il Nageli, nè il Sachs, nè alcuno degli autori precedenti però accennano in modo determinato al luogo d’origine del meri- stema. Tutti lo pongono al limite fra la corteccia e lo strato più ‘esterno di fasci, senza specificare se debba considerarsi come appar- tenente alla corteccia, oppure al complesso dei fasci. Il Millardet chiama cambio il meristema in parola e lo considera indipendente dal meristema apicale. Infatti a proposito della Dra- caena reflera e marginata, egli dice (1): «aussitòt que le cambium com- mence à se développer on voit apparaître dans quelques-unes des cel- lules de l'écorce qui sont les plus rapprochées du corps ligneux primor- dial une cloison dirigée tangentiellement par rapport à lare de la tige. Ces cellules, ainsi divisées, sont d’abord isolées, mais le meme phénomène se répétant peu-à-peu dans leurs voisines, il en resulte une ceinture de tissu cambial formée d’une ou de deux couches qui embrassent le corps ligneux tout entier >. In Dracaena reflera, secondo lui, il cambio compare dai 14 ai 18 centimetri al disotto dell’apice; in D. mar- ginata a ben 22 centimetri dall’apice. In Yucca invece il cambio si spinge fino a 3 millimetri dall’apice, benchè il suo primo compa- rire si manifesti come in Dracaena (2). In conclusione, dunque, il Millardet ammette che il cambio generatore dei tessuti secon- darii sia d’origine secondaria e precisamente si formi a spese delle cellule più interne della corteccia. Il Falkenberg (3) e il De Bary (4) sostengono entrambi che il me- ristema sia secondario (Folgemeristem), ma contrariamente all’au- tore precedente, affermano che esso derivi dal cilindro centrale e non dalla corteccia. Lo stesso pensano il Mangin (5) ed il Van Tie- ghem (6). Queste ultime vedute sono state in seguito ammesse in massima dagli studiosi che sì sono occupati dello stesso argomento; senon- chè essi hanno delimitata maggiormente la regione del cilindro centrale generatrice dello speciale meristema. Introdotto infatti dal Van Tieghem nell’anatomia del caule il ter- mine periciclo per denotare lo strato di cellule più esterno del cilin- dro centrale, compreso fra l’endodermide e la porzione cribrosa dei (1) MiLLARDET, A. — Sur l’anatomie et le développement du corps ligneux dans les genres Yucca et Dracaena. — Extrait des Mémoires de la Soc. Impér. Sc. Nat. de Cherbourg, vol. XI, 1865, pag. 10. (2) MiLLarpET. — L. c.. pag. 19. (3) FALKENBERG, P. — Vergleichende Untersuchungen iiber den Bau der Vegetationsorgane der Monocotyledonen. — Stuttgart, 1876, pag. 152-155. (4) De BaRry, A. —- Vergleichende Anatomie. — Leipzig, 1877, pag. 637. (5) MANGIN, L. — L. c., pag. 335. (6) Van Trecnem, Ph. — Traité de Botanique. — Paris, 1884, pag. 798. ridi Dpr fasci vascolari, vediamo Morot (1) per il primo indicare il peri- ciclo come luogo d’origine del meristema in parola. Lo stesso fanno lo Strasburger (2), il Van Tieghem medesimo (3), Scott e Brebner (4), il Cordemoy (5), il Bonnier (6), l’Hausen (7), il La Floresta (8). Malgrado però che l’idea predominante sia che il meristema secondario nelle Monocotiledoni appartenga al cilindro centrale e precisamente al periciclo, non mancano dei seguaci delle idee del Sachs e di quelle del Millardet. Si associano ad es. al Sachs il Frank (9), il Wiesner (10) ed il Rees (11), i quali indicano come generatore del meristema secon- dario il parenchima fondamentale a contatto dei fasci vascolari più esterni senza precisare se esso appartenga alla corteccia o al cilindro centrale. Al Millardet si associano, fra gli altri, il Weiss (12), l'Haber landt (18), lo Schoute (14), indicando anch’ essi gli strati più in- terni della corteccia come luogo d’origine del meristema, Prima di terminare questi brevi cenni bibliografici è necessa- rio ancora accennare a due fatti molto importanti, uno riferentesi alla radice e l’altro al caule, sempre in riguardo al luogo d’ori- gine del meristema secondario. (1) MoroT, L. — Recherches sur le perieyele. — Annales des Sc. Naturelles, VI Série, T. XX, 1885, pag. 271. (2) STRASBURGER, E. — 1) Leitungsbahnen. — Jena, 1891, pag. 345. — 2) Lehr- buch der Botanik (Neunte Auflage), 1908, pag. 122-33. Ueder die Verdickungsweise der Stimme von Palmen. Jahrb. — f. wissensch. Bot., Bd. XLIII, 1906, pag. 595. (3) VAN TIEGHEM, PH. — Traité de Botanique. — Paris, 1891, pag. 827. (4) Scort D. H. and. G. BREBNER. On the secondary Tissues in certain Mo- nocotyledons. — Annals of Botany, vol. VII, 1893, pag. 55 e 59. (5) CorpeMoY. — L. c; pag. 102. (6) BONNIER, G. et LecLERc DU SABLON. — Cours de Botanique. — Paris, 1901, Vol. I, pag. 228. (7) Hausex, E. — Veber Morphologie und Anatomie der Alotneen — Ver- handl. des Bot. Vereins der Provinz Brandenburg, — Jahrg XLII, 1900, p. 27. (8) LA FLORESTA, P. — Struttura ed accrescimento secondario del fusto di Xanthorrhoea Contribuzioni alla Biologia vegetale. Palermo, Vol. III, 1902. (9) FRANK, A. — Lehrbuch der Botanik. — Leipzig, 1892, vol. I, pag. 195. (10) WIESNER, J. — Elementi di Botanica Scientifica. — Traduzione del Solla sulla 3° ediz. tedesca, 1890, pag. 141. (11) Rees, M. — Lehrbuch der Botanik. — Stuttgart, 1896, pag. 94. (12) WrEISs, A_— Anatomie der Pflanzen. — Wien, 1878, pag. 471. (13) HaBERLANDT, G. — Physiologische Pfanzenanatomie. — 2° Auflage. Leipzig, 1896, pag 521. (14) Scnoute, C. J. — Uber Zellteilungsvorgiinge im Cambium — Verhan- delingen der Konink. Akad. von Wetenschappen, Tweede Sectie, Deel IX, 1902. TAN E A x È ser 7 ea Nel 1884 Strasburger (1), studiando una grossa radice di Dra- caena reflera trovò che il meristema produttore delle formazioni secondarie, originatosi dapprima nel pericambio, dopo un certo tempo trapassava all’esterno dell’endodermide, quindi dal cilindro centrale nella corteccia. L'osservazione dello Strasburger fu subito confermata l’anno successivo dal Morot (2). Egli scriveva: « Les faisceaux surnuméraires de la racine des Dracaena, qui normalement sont d’origine péricyclique, peuvent aussi EXCEPTIONELLEMENT prendre mnaissance dans l’écorce ». Egli di più osservò che talora anche le cellule dell’ endodermide sì dividevano qua e là quasi come per prendere parte alla forma- zione dei tessuti secondarii. Scott e Brebner (3), benchè aggiungano poco a quanto era stato detto dai due autori precedenti, tengono giustamente a mettere in rilievo, più che non fosse stato fatto prima di loro, lo speciale modo di comportarsi del meristema generatore delle formazioni seconda- rie nelle radici delle Monocotiledoni in paragone col cambio delle Dicotiledoni e Gimnosperme. Infatti a differenza del cambio che possiede una serie di cellule iniziali che funzionano per tutta la vita della pianta, il meristema secondario delle Monocotile- doni cambia spesso iniziali. Mi piace di riportare qui per esteso quanto essi dicono a proposito, perchè di sommo interesse per noi: « This peculiar mode of growth is really only a special case of the type of secondari; thickening prevailing in Monocotyledons. There îs not as a rule a single initial layer here, as there is in typical Dicotyledons and Gymnosperms. The same cambial cell only continues active for a limi- ted time, and then the divisions are taken up by an adjacent cell to- wards the exterior. An extreme illustration of this process is afforded by fig. 8, wich shows an early stage of purely cortical growth in thick- ness în the root of D. Draco. Here three or even four distinct rows of cortical cells have already taken up the cell-division. It is essentially the same phenomenon when pericyclie is succeeded by cortical divisions, only here there îs usually a thick-walled endodermis to be overleapt. If this physiological barrier were really continuous it would probably be an effectual obstacle to any such mode of growth. We know, however, that it is not absolutely continuous, though it may be so for long distan- ces.That the divisions should pay no respect to the morphological distinc- tion between stele and cortex cannot surprise us ». (1) StrAsBURGER, E. — Das dotanische Practicum. Jena, 1884, pag. 202. (2) MoroT. — L. c., pag. 248. (3) Scott e BREBNER. — L. c., pag. 88. i s/n esi Il Cordemoy accentua l’importanza della partecipazione della corteccia nella formazione del meristema secondario nelle radici di Dracaena, sicchè ciò che Morot ammetteva come un’eccezione diven- ta per lui una regola: « Le méristème...... est souvent d'origine pericy- clique ; mais sa présence dans l'écorce loin d’étre une exception, est au contraire assez fréquente » (1). Il Wright (2), benchè sì occupi in special modo della relazione esistente fra il punto d’inserzione di una nuova radice sulla radice principale e l’inizio delle formazioni secondarie, relazione ammessa precedentemente da Scott e Brebner, constata anch'egli il passag- gio del meristema dal periciclo alla corteccia. Lo Schoute (3) aggiunge un fatto interessante, precedentemente appena accennato dal Morot e cioè che i caratteristici ispessimenti dell’endodermide in una specie di Dracaena da lui esaminata ve- nivano riassorbiti e le cellule riacquistavano la capacità di dividersi, concorrendo così alla formazione del meristema, il quale trapasse- rebbe in tal modo gradualmente dal periciclo alla corteccia, sa- rebbe dunque, come lo stesso Schoute l’ha chiamato, un ZEtagenme- ristem., Recentemente il Lindinger (4), studiando l’accrescimento secon dario in numerose radici di Dracaena, è giunto al risultato che esso è indipendente da altre nuove formazioni, cioè dalle radici secondarie che sviluppansi sulla principale, contrariamente a quanto sostengono Scott e Brebner ed in parte anche il Wright. Secondo lui le formazioni secondarie sono assolutamente d’origine corticale, e perciò non hanno nulla a che fare con le radicelle che provengono invece dal peri- cambio. Fra il meristema delle prime e quello delle seconde non c’è alcuna relazione. Egli infatti dice: « Das Meristem das dieses Dicken- wachstum (accrescimento secondario) verursacht, stehet in keinem Zu- sammenhang mit dem Perikambium, sondern nimmt seinen Ursprung in der Linde ». Il parere del Lindinger è, a mio avviso, alquanto esagerato, giac- chè se è vero che la grande abbondanza dei tessuti secondarii pro- viene dal meristema istallatosi nella corteccia, non è men vero che (1) CorpeMoy. — L c., pag. 102. (2) WriGHT, H. — Observations on Dracaena reflera Lam.— Annals of the Royal Bot. Gardens Peradenija, vol I, Pt. II, 1901. (3) ScHOUTE, J. €. — Veber Zellteilungsvorgiinge im Cambium. — Verhande- lingen der Konink. Akademie van Vetenschappen te Amsterdam. Tweede Sectie, Deel IX, 1902, pag. 26. (4) LinpinGER, L. — Zur Anatomie und Biologie der Monokotylenwurzel. — Beihefte zum bot. Centralbl. Bd. XIX, 1905, pag. 355. gni delle comunicazioni sì stabiliscono fra i fasci vascolari della strut- tura primaria e quelli della struttura secondaria mediante elementi che si originano nel periciclo. Dunque quello che possiamo con sicurezza ritenere per le osser- vazioni degli autori precedenti, sopratutto di Scott e Brebner e di Schoute, è che il meristema secondario delle radici di Dracaena è un Etagenmeristem, il quale s’ inizia appena nel periciclo per trapassare poi subito nell’endodermide e nelle serie successive di cellule della ‘corteccia. Il secondo fatto importante, come ho accennato, si riferisce al caule. Anche nel caule fin dal 1889 il Ròoseler (1) aveva notato che manca per il meristema secondario una serie di cellule iniziali. Simile costatazione fu fatta l’anno seguente anche dallo Strasburger: « Eine einschichtige Initialschicht, egli dice, ist in diesem Verdickungs- ringe micht vorhanden. Die Teilungen in den benachbarten radia- len Zellreihen treffen nicht auf einander und man muss nach Einblick in die Vorginge annehmen, dass auch innerhalb der einzelnen radialen Reihen nicht immer dieselben Zellen als Initialen fungiren ». (2). Successivamente Scott e Brebner e Cordemoy affermano la stessa cosa; finchè nel 1902 lo Schoute nel suo accurato lavoro sopra ricor- dato stabilisce come per le radici anche per il caule delle Monocotile- doni ad accrescimento secondario l’esistenza di un Etagenmeristem, il quale produce tessuti nuovi soltanto sul suo lato interno. Col erescere dell’età della pianta le nuove cellule che entrano a far parte del meristema diventano sempre più attive, finché ad un certo momento acquistano la capacità di dividersi indefinitamente ed il meristema a gradini (Etagenmeristem) diventa in tal modo un meristema ad ini- ziali (Initialenmeristem).. 7 Riassumendo ora i principali pareri emessi sull’epoca della com- parsa del meristema produttore dei tessuti secondarii nelle Monocoti- ledoni, possiamo stabilire che essi sono due: Il primo, sostenuto dagli «autori più antichi e recentemente dall’Hausmann (8), e dal Lindin- ger (4), ammette che detto meristema è primario, avanzo cioè del- (1) RòsELER, P. — Das Dickenwachsthum und die Entwickelungsgeschichte .der secundiiren Geflissbiindel bei den baumartigen Lilien. — Jahrbiicher fir ‘wissensch. Botanik, Bd. XX, 1889. (2) StRASBURGER, E. — Leitungsbahnen. — Jena, 1891, pag. 395-396. (3) HausMmann, E. — L. c., pag. 79. (4) LinpinGER, L. — Die Structur von Aloé dichotoma L. mit anschliessen- -den allgemeinen Betrachtungen. — Beihefte zum Bot. Centralbl., Bd. XXIV, 1908 I Abt., Heft 2, pag. 241, 249. Ul el | È 4 N LA Sughi po l'antico meristema apicale rimasto indifferenziato al limite fra la. corteccia ed il corpo centrale. Il secondo, sostenuto tuttora dalla grandissima maggioranza degli autori, ritiene che il meristema sia di origine secondaria, e provenga quindi da tessuti già differenziati. Per quanto riguarda il luogo d’origine alcuni indicano il limite fra la corteccia ed il cilindro centrale senza specificare se questo li- mite debba attribuirsi piuttosto all’una che all’altra di queste due regioni. Altri indicano gli strati più profondi della corteccia; altri, e sono i più, il periciclo ossia lo strato di tessuti più esterni del ci- lindro centrale. i Date le idee oggigiorno predominanti sul modo di sviluppo e sulla distribuzione dei tessuti primari nel caule, sì rimane a tutta prima sorpresi come mai gli autori sieno tanto discordi tra loro, da attribuire gli uni alla corteccia delle produzioni che gli altri attri- buiscono al cilindro centrale. Non esiste anche nel caule delle Mo- nocotiledoni fornite di accrescimento secondario un fleoterma che de- limiti le due regioni suddette, come pure un distinto periciclo al- l’esterno dei fasci periferici del cilindro centrale, dal momento che la grande maggioranza degli studiosi attribuiscono ad esso la forma- zione del meristema secondario? E se fleoterma e periciclo non esi- stono a quale criterio si sono essi attenuti per fissare la posizione del meristema ? Allo scopo di portare un contributo all'importante per quanto di- scusso argomento, ho iniziato le mie ricerche su numerose specie di Gigliacee arborescenti. In questa memoria riporto però solo quanto ho osservato in Yucca aloifolia. Questa è una pianta da noi coltivata abbondantemente; fiorisce e fruttifica molto bene; dimodochè ho potuto avere a mia disposizione materiale in grande copia e piantine in tutti gli stadii di sviluppo. Senza ripetere ciò che precedentemente è stato detto dal Millardet e da altri autori pei tessuti secondarii nella parte adulta del caule di Yucca aloifolia, noi inizieremo le nostre osservazioni da un tratto poco discosto dalla regione apicale (estremità del caule occupata da tessuti embrionali), per muovere successivamente verso l’apice (punto vegetativo). Una sezione trasversale praticata in questo tratto mostra già l’e- sistenza del meristema in questione (fig. 1, m), risultante di un com- plesso di cellule allungate tangenzialmente, e divise qua e là me- diante una parete parallela al loro asse maggiore di sezione. I tessuti parenchimatici all’esterno ed all’interno del meristema hanno quasi raggiunto la loro differenziazione, (fig. 1 p, p°). I fasci vascolari e i ese invece sono ancora tutti in via di differenziazione, anzi i più esterni (f, f.) sono addirittura allo stato di cordoni procambiali. Se ora noi in questa stessa sezione ci adoperiamo per stabilire se il meristema appartenga piuttosto ai tessuti della corteccia oppure a quelli del cilindro centrale, non vi riusciamo in nessun modo; ‘anzi giungiamo alla conclusione che esso ‘appartiene all'una ed all’altra delle due regioni, le quali d’altronde non sono distinte fra loro che per la presenza del meristema stesso. Manca infatti dal lato della corteccia un endoderma che valga a determinare il limite interno di essa, mentre vi sono delle cellule del meristema, preci- samente le più esterne, che senza dubbio, come rilevasi dalla figura, provengono dalla corteccia, e presentansi già divise (fig. 1,c). Dal lato interno poi il meristema trapassa regolarmente nel cilindro cen- trale, mostrando in comune gli elementi dell’uno e dell’altro, oltre la forma e la grandezza, anche un certo ordinamento in serie radiali. Allorchè comincia la curva della larga calotta apicale, le sezioni trasversali non si prestano più per seguire il meristema, perchè lo incontrano sempre più obbliquamente ; si rende quindi necessario ri- correre alle sezioni longitudinali che passino esattamente per l’a- pice vegetativo. La fig. 2 mostra ad un ingrandimento di pochi diametri una di tali sezioni, la quale possiede da a a è una lunghezza reale di 19 mm., ciò che indica quanto vasta fosse la regione apicale nell’esemplare esaminato. Orbene se noi osserviamo ad un ingran- dimento maggiore, partendo dal punto estremo c (fig. 2) la zona di tessuti immediatamente all’esterno dei fasci periferici, notiamo an- cora per un buon tratto il meristema. Nella fig. 3 ad es., che rappre- senta ingrandito un tratto corrispondente al punto d della fig. 2, sì scorge ancora con sufficiente chiarezza a contatto del fascio perife- rico fv il meristema (m) con le sue cellule in attività di segmen- tazione. Anche qui, come nella sezione illustrata con la fig. 1 il me- ristema trapassa verso l’esterno gradualmente nella corteccia e dal lato interno nelle cellule del cilindro centrale, i cui tessuti parenchi- matici sono tanto più adulti quanto più sono profondi. Nella fi- gura 3 infatti lo strato di parenchima compreso fra i due fasci /v e fo mostra ancora un’evidente disposizione in serie dei suoi ele- menti che posseggono soltanto pochi spazii tracellulari; quello in- vece all’interno del fascio fw presenta cellule già arrotondate ai margini, fornite di numerosi spazii tracellulari e disposte in serie meno evidenti. Procedendo però più oltre verso l’apice vegetativo, si giunge in un punto in cui non è più possibile distinguere il meristema, es- SMI sendo tutti i tessuti all’interno ed all’esterno dei fasci periferici fin contro l'epidermide in uno stadio di attiva divisione, alla quale ap- punto la regione apicale deve il suo enorme sviluppo. Mediante tale divisione sì originano delle lunghe serie anticline di cellule decor- renti dalla periferia verso il centro della sezione in modo analogo a quelle descritte e figurate dallo Strasburger ‘per Cocos e Washing- tonia (1), per cui mi risparmio di illustrarle, Scomparsa la distinzione del meristema dai tessuti contigui, scompare anche quella fra cilindro centrale e corteccia. Ciò risulta evidente dalla fig. 4 tolta ‘alla sezione precisamente nel punto e della fig. 2. Si potrebbe a tutta prima supporre, guardando tale figura, che il limite fra le due regioni fosse indicato dal fascio periferico fvw; ma ci accorgiamo subito che tale supposizione è erronea, giacchè a poca distanza da questo fascio ve n’è un altro /w' situato ad un livello più esterno, pur appartenendo anch'esso al cilindro centrale. Riassumendo dunque quanto abbiamo osservato fino a poca di- stanza dall’apice, possiamo affermare che un limite netto fra cilin- dro centrale e cilindro corticale non esiste e che quindi è impossibile ascrivere il meristema, là dove esso si rende manifesto, piuttosto all’una che all’altra di queste due regioni. Rivolgiamo allora la nostra attenzione allo studio dei giovani tes- suti apicali per tentare se mai da essi possiamo ricavare un criterio esatto per risolvere la questione. Ed ecco quanto si osserva in un ta- glio longitudinale mediano di una delle serie che io ho ottenute sezionando numerosi apici tolti in parte a piante adulte in riposo ma in maggior numero a piante in piena attività di vegetazione (2). L’apice vegetativo giace nel centro di una depressione, a guisa di coppa, della larga regione apicale. Alla periferia dell’apice notasi il dermatogeno, costituito sempre da un’ unica serie di cellule (dr, fig. 5); immediatamente al disotto di esso scorgonsi 83 altre serie abbastanza regolari di cellule, che possono seguirsi sul lato destro della figura fino al punto d’inserzione della giovane bozza fogliare bf. All’in- terno delle i serie scompare gradatamente la disposizione seriata SOIN A ° Caf 7 , MIRI ATA RO SA TRL 7 ‘ - Ad Se è impossibile nella foglia di Yucca fare una distinzione fra meristema vascolare e corticale e quindi fra i loro prodotti, non lo è meno nel caule, i cui tessuti, come più sopra abbiamo sostenuto, sono in diretta dipendenza di quelli della foglia: l'epidermide del caule è quella stessa della base fogliare; i tessuti parenchimatici della foglia si continuano regolarmente nel caule; i fasci del caule provengono dalle foglie, in corrispondenza delle quali solamente si è . iniziato da principio il loro sviluppo. Oltre queste considerazioni, altre difficoltà si presentano ad ostacolare nel caule la distinzione suddetta. Infatti se per corteccia consideriamo tutta la massa di tessuti parenchimatici che si estende dall’epidermide fin contro i fasci periferici del cilindro centrale, come possiamo spiegarci la presenza in essa di piccoli fasci che vi percorrono lunghi tratti prima di giungere nel cilindro centrale, mentre la nuova teoria dei francesi ritiene che i fasci vascolari si formano esclusivamente nel meristema vascolare? Bisogna convenire che qui c’è un grave osta- colo contro la nuova teoria, ammeno che non si ammetta che non sono più quelli comunemente indicati i confini fra corteccia e ci- lindro centrale. Ma v'è un’altra osservazione da fare: oramai è fuor di dubbio che il meristema generatore delle formazioni secondarie delle Monocotiledoni sia da principio privo di iniziali proprie, per cui esso invade gradatamente i tessuti parenchimatici situati sul suo lato esterno ed ascritti alla corteccia. In seno a questo meri- stema, rinnovatosi in tal modo a spese della corteccia, si generano dei nuovi fasci. Ora è questa, evidentemente la prova migliore, se- condo me, per stabilire che la limitazione della produzione dei fasci al solo meristema vascolare non vale per il caule di Yueca. È possiamo quindi concludere che neanche la teoria dei francesi trova la sua affermazione nella pianta da noi esaminata. Ci rimane ora da trattare un’ultima questione di notevole in- teresse per la struttura del caule della pianta di cui ci occupiamo ed anche di piante affini, quella cioè che riguarda l’esistenza o meno; di una regione che possa meritare il nome di periciclo e possa. quindi essere assimilata alla regione che ha preso tal nome nel caule delle Dicotiledoni. Su tale questione il maggior numero degli autori sì sono pro- nunziati affermativamente benchè però molti di essi abbiano accet- tata la cosa senza discussione; altri invece hanno dato parere con- trario e fra questi recentemente anche il Baccarini (1). Stabilire (1) BaccarINI, P. — Attorno all’ accrescimento in spessore dei fusti delle Palme. — Nuovo Giornale bot. italiano (Nuova Serie), vol. XIV, N. 1, 1907. dosi dagli uni e dagli altri delle buone argomentazioni; non per- tanto io mi son convinto che le maggiori ragioni stieno dalla parte dei secondi. Intanto il Van Tieghem (1), introducendo per la prima volta il concetto di periciclo in anatomia vegetale sì riferiva soltanto alle Dicotiledoni. Col nome di periciclo egli indicava brevemente quello strato di tessuto fondamentale alla periferia del cilindro centrale compreso fra il limite esterno della porzione cribrosa dei fasci va- scolari ed il fleoterma. Passando dalle Dicotiledoni alle Monocoti- ledoni con percorso di fasci sul tipo delle Palme dove cade nel caule il periciclo? Se si indica con tal nome lo strato immediatamente a ridosso dei piccoli fasci periferici, a me sembra che esso, rappresentando soltanto il luogo in cui terminano le estremità inferiori dei fascì vascolari, non corrisponda al pericielo delle Dicotiledoni, il quale invece scorre lungo il dorso di ciascun fascio attraverso l’intero suo percorso. Per stabilire dunque nell’uno e nell’altro gruppo di piante dve regioni corrispondenti bisogna prendere in considerazione le tracce fogliari. Nelle Dicotiledoni è oramai convinzione generale, e del resto esatta, soltanto però nel caso che sì ammetta corrispon- denza perfetta fra i tessuti della foglia e quelli del caule che il pe- riciclo esista pure nella foglia (2). Dimodochè la traccia fogliare co- stituita generalmente di pochi fasci, discende dalla foglia nel caule, scorrendo parallelamente all'asse di quest’ultimo, accompagnata sempre sul dorso dal suo periciclo. Nelle Monocotiledoni la traccia fogliare è molto più complicata che nelle Dicotiledoni per il gran numero di fasci di cui risulta; quindi riesce molto più difficile poterla seguire nel suo percorso. Quando i fasci che la costituiscono sono disposti alla base della fo- glia in una sola serie la cosa è ancora relativamente facile: pos- siamo immaginare che il periciclo (3) a ridosso dei fasci li segua nel loro ulteriore cammino dalla foglia nel caule. Giunti però nel caule i fasci non scorrono alla periferia del cilindro centrale parallela- mente all’asse di esso come nelle Dicotiledoni, ma vi penetrano più (1) Van TreGHEM, PH. — Sur quelques points de l’anatomie des Cucurbdi- tacées. — Bull. Soc. Bot. France, Vol. XXIX, 1882. (2) Per i seguaci della teoria di Hanstein il periciclo della foglia non può essere omologo a quello del caule, essendo il primo un derivato del periblema, il secondo del pleroma. (3) Dico immaginare perchè realmente come strato istologicamente o isto- genicamente distinto dai tessuti: attigui noi non lo vediamo. ANNALI DI BoranIca — Voc. VIII. 3 en AS 3; SR o meno profondamente a seconda delle loro dimensioni, menando sem- pre seco il periciclo, il quale quindi, giunto nel caule, scompare come tale e si confonde invece col parenchima fondamentale, interfasciale. Quando invece i fasci sono disposti alla base della foglia in più serie, come di frequente accade e la Yucca ne offre un esem- pio, le cose si complicano notevolmente. Dov'è anzitutto ‘loca- lizzato in questo caso nella foglia il periciclo? La risposta è anche ora facile per quegli autori che lo considerano limitato attorno a ciascun fascio a formare una sorta di guaina. Il Cordemoy, ad es., descrivendo la struttura delle foglie di Colnia Nabelliformis, di di- verse specie di Dracaena, di Agave, ecc., ascrive al periciclo la guaina fibrosa dei fasci vascolari (1). Lo Strasburger propone per- fino un nome per tale guaina periciclica, quello di stelolemma, rive- stimento cioè appartenente al cilindro centrale o stele (2). Gli stessi autori quindi considerano il parenchima fondamentale della foglia o mesofillo, in cui sono immersi i fasci avvolti dal periciclo, di natura corticale. Un tal modo d’interpretazione non è gran che soddisfacente. Infatti si può subito notare una contradizione: se tutto il meso- fillo della foglia, come essi ammettono, è di origine corticale, tali devono essere i fasci immersi in esso e perciò anche il periciclo che li avvolge, salvo che non si sostenga che il cilindro centrale del caule, anzi meglio in origine il pleroma, emetta tante estroflessioni nel parenchima corticale della foglia, quanti sono i fasci di essa: alla quale idea però si oppone il fatto che secondo gli stessi autori il pleroma è assolutamente escluso dalla formazione della foglia. Contrariamente dunque a ciò che essi pensano, non vi potrà essere omologia fra periciclo fogliare d’origine periblematica e periciclo caulinare di origine pleromatica, ciò che del resto abbiamo osservato in nota a pag. 33. Ma è poi esatto che il parenchima fondamen- tale della foglia provenga dalla corteccia e che quindi non abbia nulla a che fare col parenchima fondamentale del cilindro centrale del caule? A me non sembra, perchè ho sostenuto precedentemente che fra i tessuti della foglia e quelli del caule vi è perfetta omo- logia; quindi se sono omologhi 1 tratti caulinari e fogliari dei fasci comuni, omologhi saranno anche i parenchimi interfasciali. Nè do- vrebbe sembrare esatto, secondo me, agli stessi sostenitori di simile ipotesi, riflettendo soltanto su ciò che oggi viene in generale am- messo, e che essi medesimi approvano, intorno al modo di edificarsi (1) Corpemoy, H. .J. — Recherches sur les Monocotyléedones à accroissement .secondaiîre. —- Lille, 1894, pag. 89-95. (2) SrRASsBURGER, E. — Veber den Bau und die Verrichtungen der Leitungs- bahnen in den Pflanzen. — Histol. Beitriige, Heft III, 1891, pag. 343. VERI LEALI GUEST ARIAS ME È st > Lt “ Pay ‘ 2. edi * è; o val Gus al SD f. parenchima frapposto nel caule delle Monocotiledoni.Si «ammette cioè che nelle Monocotiledoni, come nelle Dicotiledoni, il fa- «scio vascolare al momento della sua formazione giaccia per tutta la sua lunghezza in un anello di meristema. Nelle Dicotiledoni quest’anello | «si limita generalmente alla produzione di un’unica cerchia di fasci. Nelle Monocotiledoni invece insieme coi fasci esso produce grande -quantità di parenchima interfasciale mentre si sposta continuamente verso l’esterno. È appunto all'attività di questo meristema che de- vesi il considerevole accrescimento della regione apicale nelle Mono- cotiledoni, come pure è alla sua speciale azione che il Mohl (1) [al quale si sono successivamente associati lo Schoute (2), lo Strasbur- ger (3) e l’Hausmann (4)] attribuisce il caratteristico percorso dei fasci. Ora se i fasci hanno origine in tutta la loro lunghezza dal meristema in parola, anche la loro estremità superiore che giace nella foglia proviene dallo stesso meristèma, il quale perciò non si limita al caule ma è comune anche alla foglia dove produce ugual- mente nuovi fasci e parenchima interposto. Ne viene di conseguenza che ciò che indicasi come periciclo attorno ai singoli fasci vascolari nella foglia, ossia lo stelolemma di Strasburger, non si può consi- derar più come tale, essendo della medesima origine del parenchima circostante. Ma allora il periciclo dov'è, esiste esso o no? Io mi son dovuto convincere che a questa domanda non si può rispondere che nega- tivamente. Il periciclo se esistesse dovrebbe trovarsi a ridosso del- l’ultima serie di fasci verso il lato esterno della foglia, al limite cioè fra le produzioni corticali e quelle del cilindro centrale, essendovi perfetta omologia fra i tessuti della foglia e quelli del caule. Ep- però è appunto questo limite che noi abbiamo negato tanto per la foglia che pel caule. Per la foglia infatti abbiamo visto, diseutendo sulla nuova teoria «dei francesi, come le cellule sottoepidermiche (corrispondenti al me- ristema corticale del Flot) fossero capaci, dividendosi, di produrre non soltanto tessuti parenchimatici ma anche dei fasci procambiali, (1) Mont, H. v. — Ueder die Cambiumschicht des Stammes der Phaneroga- men und ihr Verhiltniss zum Dickenwachstum desselben. — Bot. Zeitung, 16 -Jahrg., 1858, pag. 188. (2) ScHouTE, J. C. — Die Stammesbdildung der Monocotylen. — Flora, Bd. 92, 1903, pag. 34. (3) STRASBURGER, E. — Ueder die Verdickungsweise der Stiimme von Palmen und Schraudendiumen. — Jahrbiicher f. wissensch. Botanik, Bd. 48, 1896, | pag. 585. (4) HausmanN, E. — Anatomische Untersuchungen an Nolina recurvata, — Beibefte zum Bot. Centralbl., Bd. XXIII, Heft 1, 1908, pagg. 48, 77. i — 36 — per cui riusciva impossibile stabilire differenza fra meristema cor- ticale e vascolare e fra i loro prodotti. Per il caule poi, studiando la struttura dell’apice, abbiamo mo- strato l’impossibilità di indicare un limite nelle lunghe serie an- ticline di cellule, che alludesse in qualche modo ad una separazione fra corteccia e cilindro centrale. Anzi, osservando lo sviluppo delle» gemme ascellari, che sì ritengono provenienti soltanto dalla corteccia del ramo produttore, abbiamo notato come alla loro costituzione con- corressero anche ì tessuti in cul generansi i fasci vascolari ed abbiamo: perciò concluso che tutto il parenchima che s’interpone successiva- mente fra i giovani inizii di gemme, che vengono respinti verso la periferia del caule, ed i fasci periferici, non differisce affatto per riguardo alla sua origine dal parenchima fondamentale in cui sono immersi i fasci e che è ascritto invece al cilindro centrale. L’omo- logia fra questi due tessuti è avvalorata anche da ciò che l’anello di meristema, dalla cui attività provengono dapprima i fasci vasco- lari comuni e il parenchima interposto, poscia i fasci proprii, sì sposta continuamente verso la periferia, utilizzando il parenchima suddetto, erroneamente ascritto, secondo me, alla corteccia. Se per- tanto, dopo tale constatazione, noi volessimo persistere ad ammet- tere una distinzione fra cilindro centrale e corteccia, non potremmo. fare ammeno di notare una doppia incoerenza; lo spostamento con- tinuo cioè del limite del cilindro centrale e la conseguente parte- cipazione della corteccia nella costituzione di esso. Anche il Baccarini (1), come ho detto più sopra, esclude per le- Palme da lui studiate una netta distinzione in cilindro centrale e corteccia e respinge l’idea che lo « stratò limite » all'attività seg- mentatrice delle cui cellule devonsi le scarse formazioni secondarie in alcune palme, possa meritare il nome di periciclo attribuitogli dallo Strasburger. Le mie conclusioni dunque concordano con quelle del Baccarini. To però vado un po’ più oltre e nego perfino che vi possano essere — almeno nella Yucca — quelle falde di tessuto omologabile al periciclo (inteso quest’ultimo, è superfluo il dirlo, sempre nel senso delle Di- cotiledoni) che il Baccarini affaccia l’ ipotesi possano esistere lungo gl’ internodii tra l’un piano e l’altro d’inserzione fogliare. Ammet- tendo infatti l’esistenza di queste tracce per quanto rudimentali di periciclo, si dovrebbe ammettere un’affinità di struttura fra in- ternodio di Dicotiledone ed internodio di Monocotiledone del tipo delle palme, affinità che non può esistere per il diverso modo d’acere- (1) Baccarini, P. — L. c., pag. 10-12. ere «scersi della regione apicale e per la conseguente differenza di per- corso dei fasci nei due gruppi di piante. E non solo gl’internodii ma anche i nodi non mostrano alcuna affinità. Mentre nelle Dicoti- ledoni la struttura del nodo è affatto diversa da quella dell’inter- nodio, perchè ir corrispondenza di esso si effettuano i racccordi delle tracce fogliari, nelle Monocotiledoni del tipo delle palme la struttura del nodo in nulla differisce da quella dell’internodio, perchè i raccordi fra i fasci non sì effettuano in sua corrispondenza e quindi l'andamento generale del tipico percorso dei fasci medesimi non subisce per la penetrazione dei nuovi fasci nessuna modificazione. Non esistendo dunque pericielo, nè limite alcuno fra cilindro cen- trale e corteccia, dove si forma nel caule di Yucca il meristema pro- duttore delle formazioni secondarie? In secondo luogo «è esso un meristema primario o secondario ? Ecco le due domande che ci siamo poste fin da principio ed alle quali ora siamo in grado di rispondere. Il meristema compare prestissimo, sin nella regione apicale me- desima, perchè esso non è altro se non lo stesso meristema primario ridotto ad un anello alla periferia delle estremità inferiori dei fasci comuni e che in luogo di perdere la sua attività dopo la produzione di questi fasci e del parenchima frapposto, come succede nel mag- gior numero delle Monocotiledoni, è capace di continuare a produrre nuovi fasci proprii al caule e nuovo parenchima. Ciò è in accordo con quanto hanuo sostenuto parecchi autori antichi e recentemente hanno riaffermato l’Hausmann (1) ed il Lin- dinger (2) in opposizione a coloro che sostengono trattarsi di un vero e proprio meristema secondario distinto nettamente dal primario. Nell’attività del meristema non vi è nessuna interruzione e quindi nessuna interruzione fra formazioni primarie e secondarie. Non so spiegarmi perchè invece l’Hausmann (3) ed il Lindinger (4) discutano sulla presenza di uno strato che essi non sanno se ascrivere piuttosto all’una che all’altra delle due sorta di formazioni. È lo stesso allora, per riferirci alle Dicotiledoni, che trovarsi in dubbio nell’osservazione ad es. di un ramo di Tiglio dell’anno, deve cessa (1) HAUSMANN, E. — L. c. (2) LinpinGeER, L. — Die Structur von ALo picHoroma L. mit anschlies senden alliemeinen Betrachtungen. — Beihefte zum Bot. Centralbl., Bd. XXIV. 1908, I Abt., Heft 2, pag. 241, 249. (3) HAUSMANN, E. L. c., pag. 62. (4) LINDINGER, L. — L. c., pag. 218-221. de gg i la porzione vascolare primaria dei fasci e cominciano i prodotti del cambio. Non essendovi nessuna sospensione nell’attività del meri- stema, fra formazioni primarie e secondarie il passaggio è solo» graduale. La forma e la costituzione dei fasci, l’ordinamento del parenchima variano gradualmente col variare dell’intensità fun- zionale del meristema. Da principio il meristema funziona più energicamente per la formazione del tratto superiore dei fascî comuni, tratto il quale appunto perchè si forma nella regione di massimo accrescimento longitudinale del caule presenta gli elementi vascolari caratteristici di questa regione, cioè le primane vascolari anulari e spirali. L’attività del meristema scema mano mano che esso si allontana dall’apice e si sposta verso la periferia; e scemando anche in questi punti nel caule la capacità d’accrescimento, si ren- dono inutili nel fascio gli elementi vascolari anulari e spirali che non vengono perciò più prodotti ed invece si formano dei tracheidi più corti ed a pareti molto più robuste. La porzione vascolare tende ad assumere una nuova posizione rispetto alla cribrosa che si riduce considerevolmente, tende cioè ad avvolgerla; di modo che il fascio comune nella sua estremità inferiore assume un aspetto tutt’affatto differente da quello della sua estremità superiore. Anche il paren- chima frapposto ai tratti inferiori dei fasci muta d’aspetto: le sue cellule manifestano un ordinamento più o meno marcato in serie radiali, che ricorda più da vicino il modo di loro origine. Intanto fra le estremità inferiori dei fasci ridotte oramai alla pe- riferia cominciano a stabilirsi dei rapporti frequenti per saldatura di- retta fra loro 0 per mezzo di anastomosi prodotte in gran numero dal meristema medesimo. Ed ecco così che tali estremità cadono nel dominio delle formazioni cosidette secondarie, senza nessun rapido, improvviso cambiamento. Il modo di funzionare del meri- stema ora sì mantiene costante, e così anche il parenchima ed i nuovi fasci che ne risultano conservano una struttura uniforme. La figura 18 tolta da una sezione trasversale di un ramo a struttura secondaria non molto avanzata, illustra in modo abbastanza chiaro quanto abbiamo detto sopra: Le estremità inferiori dei fasci comuni ff a poca distanza dalla periferia non presentano più ele- menti anulari e spirali, ma soltanto tracheidi a parete molto spessa; laloro porzione cribrosa è molto ridotta ed il loro aspetto in generale poco differisce dai fasci #/’ situati più esternamente e in dominio delle formazioni secondarie, benchè questi ultimi alla loro volta non rap- presentino altro che estremità inferiori di fasci comuni più recenti, modificate più o meno profondamente per i rapporti che si stabi. liscono fra loro per mezzo di saldature e di anastomosi. ee Deve AR MAT DA alate di A o RT SR N Ge E ROTA Bel freni st » | Se infatti seguiamo il percorso del fascio t’ dal basso in alto in una serie di sezioni trasversali, vediamo che esso a poco a poco si libera dalle anastomosi, si individualizza ed acquista l’aspetto dei fasci tf, muovendo nello stesso tempo dalla periferia verso l’interno. ‘Con ciò però non si deve intendere che ciascun fascio della struttura secondaria corrisponda direttamente all’estremità inferiore di un fascio comune: è questo un errore da evitarsi. Tutti i fasci comuni, alla stessa guisa che il fascio #/’, terminano bensì con la loro estre- mità inferiore nel limite interno delle formazioni secondarie, ma per- dono ben presto la loro individualità e l’enorme numero di fasci proprii che seguono verso l'esterno (nella fig. 18 i fasci t/°) rap- presentano solo indirettamente la continuazione di fasci comuni appartenenti a foglie superiori. Man mano che il meristema si differenzia internamente in nuovi fasci proprii e nuovo parenchima, sì sposta invadendo nuove cellule verso l’esterno, come vedesi nella figura. Ciò però fino ad un certo momento, in cui alcune delle nuove cellule, che si succedono nella costituzione di esso, acquistano la capacità di dividersi indefinita- mente ed allora il meristema dapprima a gradini diventa ad iniziali e smette la marcia d’ invasione nei tessuti esterni. Con questa modi- ficazione, il meristema da principio ad attività unilaterale diventa. capace di produrre anche sul suo lato esterno nuovi tessuti, però sol- tanto parenchimatici. Solo in questo stadio e non prima si può stabilire nel caule una reale distinzione in due regioni, una all’esterno del meristema, l’altra all’interno, la prima caratterizzata da uno sviluppo centripeto, la seconda da uno sviluppo centrifugo. Il meristema di Yucca ed i prodotti da esso forniti verso l'interno offrono, a mio parere, uno dei migliori esempi per stabilire che fra meristema primario e secondario e fra tessuti primarii e secondari non vi è differenza netta ma solo graduale. Abbiamo infatti visto come questo meristema abbia origine nell’apice e quindi sia da prin- cipio primario. Abbiamo visto ancora come esso, producendo verso. l’interno fasci e parenchima interposto, muova verso l’esterno inva- dendo nuovi tessuti meristematici. Senonchè sopraggiunge lo stadio in cui anche questi tessuti esterni conseguono la loro differenziazione primaria ed allora il meristema che continua ad utilizzarne le cellule diventa di necessità secondario. Anche i prodotti di questo meristema trapassano gradatamente da primarii a secondarii: un fascio ad esem- pio che nella sua estremità superiore è primario, è secondario nella sua estremità inferiore. BIPR IRA DI, LT ARL IMRE AT OE e PAESI r 4 quae par > CONCLUSIONI. Nell’apice caulinare di Yucca aloifolia esiste un numero variabile di serie confocali più o meno regolari di cellule, nelle quali, fatta ec- cezione della più esterna che produce costantemente ed esclusiva- mente l’epidermide e che perciò merita il nomé di dermatogeno, non è possibile far distinzione alcuna d’istogeni. Tale distinzione è egualmente impossibile nelle giovanissime fo- glie, per cui la teoria del Flot e degli altri francesi non sembra abbia valore generale per tutte le Angiosperme. Le mie osservazioni però confermano l’omologia fra i tessuti della foglia e quelli del caule am- messa da questa teoria, contrariamente a quella di Hanstein. Tenendo conto dello sviluppo dei tessuti definitivi primarii dal meristema apicale, è assolutamente infondata l’esistenza di due re- gioni distinte, cilindro centrale e corteccia primaria. Il periciclo come regione omologa a quella delle Dicotiledoni neanche esiste. È inesatto sostenere che il meristema produttore delle formazioni secondarie provenga dal cilindro centrale e precisamente dal periciclo e non dalla corteccia, oppure il contrario; e ciò per doppia ragione: prima perchè non vi è limite fra queste due regioni e poi perchè si viene implicitamente ad ammettere che il meristema, provenendo da tessuti definitivi primari, sia d’origine secondaria. Il meristema esiste già nell’apice quindi è d’origine primaria. Quivi esso produce i primi fasci vascolari che si formano in rapporto con le più giovani bozze fogliari. Differenziandosi internamente in fasci vascolari e parenchima interfasciale, esso si allontana dall’apice muovendosi verso la periferia del caule ed invadendo nuove cellule meristematiche situate sul suo lato esterno. Questo spostamento con- tinua anche quando i tessuti esterni hanno raggiunto la loro differen- ziazione definitiva primaria. Utilizzando allora cellule adulte che ri- acquistano la capacità di dividersi, ilmeristema diventa secondario e così anche i suoi prodotti. La marcia del meristema verso l’esterno con- tinua finchè una serie delle nuove cellule invase acquista la capacità di dividersi indefinitamente; allora il meristema diventa ad iniziali. Alle sottrazioni che subisce per opera del meristema finchè que- sto è a gradini, il parenchima esterno, impropriamente ascritto alla corteccia, ripara in parte mediante la divisione delle'cellule sotto epi- dermiche, nelle quali persiste più a lungo l’attività segmentatrice. Ciò è in opposizione con quanto sostiene il Mangin il quale ammette uno sviluppo centripeto per la corteccia primaria del caule delle Mo- nocotiledoni. fapatte si sposta più verso l’esterno, il che si effettua ad una distanza abba- stanza considerevole dall’apice, è possibile nel caule di Yueca aloifolia ‘e di altre Monocotiledoni affini fare una distinzione di due regioni, una all’esterno, l’altra all’interno del meristema medesimo. La prima risulta dal parenchima primario sfuggito all'invasione del meristema e di parenchima secondario prodotto centripetamente dal meristema, .che con l’assumere le iniziali diventa ad attività bilaterale. La se- .conda a sviluppo centrifugo risulta dei fasci comuni e dei fasci pro- prii con relativo parenchima interposto. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Tav.I—- IV. Figura 1. — Sezione trasversale in un caule di Yucca aloifolia a poca distanza dalla regione apicale — m) meristema — f,f') cordeni procambiali — p') parenchima interfasciale — 7) parenchima all’esterno del meristema — c) cellule parenchimatiche che entrano a far parte del meristema. — Obb. 2, Oc. 4 Koristka. Figura 2. — Sezione longitudinale dell’apice. Da a a d la sezione misura una grandezza reale di 19 mm. — d) punto in cui è stata tolta la fig. 3 ad un maggiore ingrandimento — e, ga) punti in cui sono state tolte rispetti- vamente le figg. 4 e 7 ad un maggiore ingrandimento — c) limite dei fasci periferici. — Microscopio da preparazione Koristka. Figura 3. — Sezione longitudinale corrispondente al punto d della fig. 2 — fv) fascio periferico — fv) fascio un po’ più interno — m) meristema. — Obb. 2, Oc. 4 Koristka. Figura 4. — Sezione longitudinale corrispondente al punto e della fig. 2 — sp) cellule sottoepidermiche che’ si dividono ripetutamente — fv, fv') fasci procambiali periferici. — Obb. 3, Oc. 4 Koristka. Figura 5. — Sezione longitudinale in un apice vegetativo del caule — dr) der- matogeno — df) bozza fogliare — d/'’) fogliolina — ga) gemma ascellare — cp cp") giovani cordoni procambiali in sezione traversale — cp’) gio- vane cordone procambiale in sezione longitudinale — cp‘') cordone pro- cambiale un po’ più adulto che i precedenti. — Obb. 5. Oc. 4 Koristka. Figura 6. — Sezione longitudinale in un apice vegetativo del caule — bf, bf') foglioline in via di sviluppo — ga) gemma ascellare — fc) file radiali di cellule appartenenti al pleroma, le quali fanno parte anche della gemma ga. — pr) cellule appartenenti alle due prime serie al disotto del derma- togeno, che si dividono per dar origine all’inizio della fogliolina dDf. — cp) cordone procambiale. — Obb. 5, Oc. 4 Koristka. Figura 7. — Sezione longitudinale corrispondente al punto ga della fig. 2 — ga) gemma ascellare — sc) serie di cellule la quale ha comunità d’origine internamente con le cellule del cordone procambiale pc ed esternamente con le cellule interne della gemma ga. — Obb. 5, Oc. 4 Korista, Figura 8. — Sezione trasversale del margine della seconda fogliolina al disotto dell’apice in una piantina di 1 a 2 mesi d’età — ep) epidermide — cs, cs!) cellule sottoepidermiche già divise una volta parallelamente alla superficie Ò "7, ir pote î _ Solo quando il meristema acquista le proprie iniziali e quindi non e e na Dini ‘ della foglia — 2) cellula sottoepidermica in via di divisione — de. È ga pae 5° ) cellule sottoepidermiche della pagina inferiore divise parallelamente alla superficie della foglia — 3° 4’) cellule sottoepidermiche della pagina su- periore divise anch’esse parallelamente alle superficie — pc) cordone pro- " cambiale. — Obb. SI Figura 9. — Sezione trasversale del margine della seconda fogliolina al di- sotto dell’apice vegetativo in una piantina ancora più giovane di quella a cui apparteneva la fogliolina riprodotta nella fig. 8 — pc) inizio di cor- done procambiale — pce') cordone procambiale — 6 , 7° ) cellule sottoepi- dermiche divise parallelamente alla superficie della fogliolina — 3%, 4°, 5°, 6" ) cellule sottoepidermiche divise parallelamente alla superficie — 4' 1,5%, 6” ‘) cellule che dividendosi formeranno un’anastomosi fra i cor- — immers. omog., Oc. compens. 6 Koristka. doni procambiali pe pe'. — Obb. immers. omog., Oc. 4 compens. Ko- ristka. i 15. Figura 10. — Sezione trasversale nella quarta fogliolina al disotto dell’apice. in una piantina di pochi mesi d’età — pc, pe’, pe’) fasci appartenenti ri- spettivamente alla prima, alla seconda ed alla terza serie. — Obb. 1, Oc. 4 Koristka. Figura 11. — Sezione trasversale corrispondente al tratto limitato dalla trat- teggiata nella fig. 10 — pe' pe") cordoni procambiali. — Obb. 6, Oc. 4 Koristka. i Figura 12. — Sezione trasversale al limite interno della quinta fogliolina al disotto dell’apice della medesima piantina da cui sono state tolte le fi- gure 10 e 11 — ft) fascio vascolare — an) anastomosi — ep) epidermide superiore o interna. — Obb. 6., Oc. 3 Koristka. Figura 18. — Sezione trasversale della parte mediana di una giovanissima foglia al disotto di un apice appartenente ad una pianta adulta di parec- chi anni, Obb. 1, Oc. 4 Koristka. Figura 14. — Sezione trasversale corrispondente al tratto limitato dalla pun- teggiata nella fig. 13 — ep) epidermide — pe", pe" pe',) cordoni procambiali in stadii differenti di sviluppo. — Obb. 5, Oc. 4 Koristka. Figura 15. — Sezione longitudinale nel margine esterno di una giovanissima foglia appartenente alla regione apicale di una pianta adulta — ep) epi- dermide — cs) cellule sottoepidermiche in divisione — ep) cordone pro- cambiale. — Obb. 5, Oc. 4 Koristka. Figura 16. — Sezione trasversale nella parte mediana di una foglia adulta — ep) epidermide superiore — ep’) epidermide inferiore — cf’) cordoni fi- brosi con un piccolo gruppo di tubi cribrosi nel centro — cf") cordoni fi- brosi sparsi in mezzo ai fasci fibrovascolari — cf) cordoni fibrosi al disotto dell'epidermide nella pagina superiore — af) guaina meccanica del fascio — pf) porzione cribrosa — pv) porzione vascolare. — Obb. 0, Oc. 2 Ko- ristka. , Figura 17. -— Sezione trasversale di un cordone fibroso mostrante una porzione cribrosa fe ridottissima. — Obb. 3, Oc. 4 Koristka. Figura 18. — Sezione trasversale in un caule di una pianta adulta a poca di- stanza dalla regione apicale — #7) estremità inferiore di fasci comuni — tf') estremità inferiori di fasci comuni più o meno modificate e con l’a- spetto dei fasci proprii del caule — #7") fascio proprio del caule. — Obb. 3» Oc. 2 Koristka. i { if tici SÌ SS (209 = Te TZ= Ces za 1101) IAZAST 7 si a = e I29 O) ERNST) sue VS Ie UT IOTELO/ II CSIGI0a Do Jos 3o/al® x Ò | (035 = DEI ” \@ TSE Fig. 12 Fig. 15 CS asia kg Ch di ii (0 9 4 À OR ISEE TOSI ISS? (SI L si SAD: | di O ve Ù (OD) E of Sulla formazione della parete e sull’ accrescimento in masse di plasma prive di nucleo per C. ACQUA. cn In un mio lavoro pubblicato 18 anni or sono e avente per titolo < Contribuzione alla conoscenza della cellula vegetale » (1) io pren- deva in esame, oltre ad altre questioni, l’influenza diretta del nucleo nella formazione delia parete cellulare e nell’accrescimento. Cioè @ dire io studiava sperimentalmente se masse di plasma rimaste prive — in seguito a trattamenti diversi —- del nucleo fossero in grado di cingersi di una nuova parete od anche eventualmente di accre- scersi. Quel mio lavoro fu citato da parecchi autori, anche in questi ultimi anni, perchè — non ostante il tempo notevole trascorso — la quistione è rimasta tuttora aperta. Però in tali citazioni i fatti da me osservati sono spesso. descritti in modo erroneo, od anche in parte dimenticati, cosicchè posteriormente furono date da altri come nuove delle osservazioni che erano state invece da me compiute. Credo quindi opportuno nella presente nota ritornare su di un ar- gomento che è tuttora di attualità. E° poichè il Palla — che è il principale sostenitore dell’opinione secondo cui porzioni di proto- plasma prive di nucleo possono cingersi di una nuova parete — torna nuovamente in campo portando a sostegno della sua tesi ulte- riori osservazioni sperimentali, io ho cercato anche di controllare una parte di dette osservazioni, ed anche di ciò riferirò nella nota presente. Il metodo generale di studio impiegato dai vari autori consiste nell’ottenere una divisione del protoplasto vivente in una porzione contenente nucleo e in una porzione che ne sia priva, e nell’os- servare se, in seguito ad un determinato tempo, le due parti siano in grado di presentare una nuova parete. Come mezzo per il rag- giungimento dello scopo si usa talvolta la plasmolisi con la quale il corpo protoplasmatico, contraendosi, si divide spesso in due o più parti, mentre il nucleo il più delle volte non subisce alcuna divi- sione ma resta confinato in una delle parti. Però, in simili casi, del (1) Malpighia, anno V, fase. I-II. filamenti di congiunzione plasmica restano sempre tra le varie parti, onde è opportuno ricorrere ad altri mezzi, tra i quali il più sicuro è certamente quello di operare un taglio fra le varie masse, dato che ciò riesca, poichè evidentemente l’operazione non è sempre possibile. Come materiale di studio debbono essere adoperate cellule al- lungate, quali ad esempio cellule di alghe filamentose, di peli ra- dicali, o fogliari, etc. Un ottimo materiale di studio è costituito dal polline germogliante; i tubi pollinici che ne derivano presen- tano fatti di molto interessanti ed è in questo campo che sono state compiute numerose osservazioni. ]l Palla (1) trova che le singole masse del plasma di un tubo pollinico, le quali furono separate per plasmolisi, sono in grado di rivestirsi di una nuova parete, contengano esse o no un nucleo. Però l’A. non pone abbastanza attenzione al fatto che dei filamenti di congiunzione esistono sempre generalmente, per quanto a prima vista non discernibili. Ma altri fatti egli mette in evidenza. Du- rante l'accrescimento del tubo pollinico in un mezzo adatto di cul- tura (per i particolari su questa parte vedere il lavoro originale) accade spesso che ad un dato momento, per la forte pressione osmo- tica del protoplasto, questo rompe all’apice la parete; in altri ter- mini il tubo scoppia; una buona parte del plasma con tutti od una parte dei nuclei propri del tubo pollinico è spinta fuori e presto si disorganizza. La parte plasmatica rimasta nell’interno si cinge generalmente» di una nuova parete ancorchè non contenga più alcun nucleo. Inoltre spesso in vicinanza di tubi pollinici già bene sviluppati sì scorgono delle bolle, apparentemente separate dal tubo, costituite da porzioni di plasma circondate da una membrana. Anche queste bolle sono prive di nucleo ed il Palla ammette che ciò accada per incapsulamento di una parte del plasma uscito dal budello polli- nico in seguito a rottura della parete. L'A. trova anche che queste masse sono capaci di accrescersi, formando delle protuberanze, che rammentano i fermenti della birra, e talvolta perfino un nuovo budello. Nel primo caso può anche ammettersi che la protuberanza si sia formata prima che avvenisse il rivestimento con una nuova parete, ma quando da una bolla si forma un nuovo tubo il dubbio non può essere più possibile. L’acerescimento anche sarebbe quindi possibile senza la presenza del nucleo. (1) Beobachtuugen iiber Zellhautbildung an des Zellkernes beraubten Proto- plasten. — Flora, N. R. 48 Jahr, IV Heft. tata Nel mio lavoro sopra citato io mi sono occupato lungamente dell’argomento. Io potei constatare che realmente in tubi pollinici, fatti germogliare in colture, spesso per rottura dell’apice è espulsa una parte del plasma con alcuni o con tutti i nuclei, contenuti nella cellula pollinica, i quali durante il germogliamento si por- tano verso l’apice medesimo. Ed osservai più volte l’incapsulamento della parte di plasma anucleata rimasta entro il tubo, mentre la parte di plasma uscita fuori si era disorganizzata. L'osservazione si compie trattando la soltura con mezzi coloranti, atti a mettere in evidenza non soltanto i nuclei generativi, ma anche il nucleo vegetativo. Il dubbio adunque su questo lato parmi non debba esistere. Ma io riuscii anche a compiere una speciale osservazione. In una coltura di polline di Hyacinthus orientalis io osserval che per rottura di un tubo pollinico era uscito il nucleo vegetativo ed uno dei generativi. Essendo però la rottura alquanto stretta, una parte di quest’ultimo era rimasto aderente alla parete. L’altro nucleo generativo era rimasto nell’interno del tubo. Ora anche in questo caso avvenne l’incapsulamento del plasma, ma in un modo singolare. Cioè a dire s'incapsulò una porzione del plasma priva di nucleo, e questo rimase completamente fuori, Il preparato trattato con il verde di metile all’acido formico mostrò chiaramente che la parte incapsulata era priva di nucleo. Per maggiore intelligenza di questo fatto rimando il lettore alla fig. 11 della tavola II del mio succitato lavoro. In questo caso adunque l’incapsulamento avvenne in presenza del nucleo, ma in maniera che questo ne fu escluso; in altri termini nell’interno del tubo pollinico avvenne una individualizzazione di una parte del vecchio protoplasta senza che il nucleo vi fosse compreso; anzi la parte nucleata non si incapsulò affatto. Questa osservazione ha senza dubbio un notevole valore contro l’ipotesi della partecipa- zione diretta del nucleo al processo formativo della parete, quan- tunque possa ammettersi che siano sempre rimasti dei filamenti di comunicazione. Inoltre io mi occupai anche della formazione speciale di bolle, già scoperte dal Palla durante il germogliamento dei tubi polli- nici; ma le mie osservazioni non confermarono che parzialmente quanto il Palla descrisse. Cioè a dire io constatai che tali bolle non si formano mai in seno al plasma già uscito dal tubo in seguito a scoppiamento di questo, ma invece perchè all’apice del tubo stesso si forma talvolta una rottura piccolissima per cui il plasma esce a poco a poco lentamente, conservando la relazione con il plasma rimasto entro il tubo. Queste bolle si cingono poi di mem- i LA a ad LU die i gl tl por Ber) E n, GRIS SE fa) 123 : Se ila i ). Moe i MR TAO Pg e TL i PL DI ri bag LEE E 4 O TIE LIMES SAGRA I brana, ma sì mantengono sempre in relazione con il plasma del tubo pollinico mediante filamenti. Io misì in evidenza l’esistenza di tali filamenti in due modi diversi. Trattando il preparato con il clorojoduro di zinco i filamenti si scorgono direttamente al microscopio; ed in ‘colture vecchie invece del cordone plasmatico si trova un filamento di cellulosi; Ciò è messo in evidenza dalla diversa colorazione assunta dal plasma e dalla cellulosi. Traspor- tando poi una coltura a goecia pendente direttamente sul vetro porta-oggetti con un eccesso di liquido, e muovendo leggermente con un ago il coprioggetti sotto il microscopio, sì vede che i tubi spostandosi trascinano sempre le bolle, le quali si rivelano quindi ad essi congiunte. Le osservazioni quindi del Palla per questo lato non hanno alcun valore poichè la formazione di pareti ed anche l'accrescimento ha sempre luogo in masse plasmatiche anucleate ma che si mantengono costantemente in relazione con masse nu- cleate. Si deve poi anche notare che spesso i filamenti si allungano notevolmente, tantochè le bolle appaiono a prima vista completa- mente indipendenti. To però potei compiere in questo genere di osservazioni un pro- gresso e riuscire ad ottenere delle bolle realmente libere dai loro filamenti di congiunzione. In colture a goccia pendente, rovesciato il vetrino, o con un ago a lancetta o con una punta di un bistori, sì colpisce ripetuta- mente la coltura medesima. L'operazione vuol essere prolungata parecchio e riesce meglio quando il liquido della coltura è scarso. In seguito sì aggiunge una piccola quantità di liquido e si riporta il tutto in condizioni normali. Si scorge al microscopio che una parte considerevole di tubi pollinici fu tagliata ed il contenuto ne uscì in parte, disorganizzandosi. La maggior parte delle bolle — per le minori dimensioni — ri- mase intatta. Allora inclinando leggermente il microscopio a destra o a sinistra, il contenuto nella coltura si sposta; i tubi che sono lunghi si muovono più lentamente; le bolle, se sono libere, più rapidamente. Ed in queste condizioni si riesce a vedere che alcune bolle sono effettivamente libere, poichè esse trascorrono da un lato all’altro, senza più presentare alcun legamento, il campo del mi- croscopio. Si fissa allora attentamente una di queste bolle e si segue per più ore. In due casi riuscii a scorgere chiaramente che per gemmazione sì produsse una nuova bolla; in un caso anzi seguii l’intero processo. In seguito le bolle scoppiano. Che il pro- cesso sia in questo caso avvenuto senza la presenza del nucleo Lo ; ; i, Fe 1a, sd Vi i 2 SA ge Pe : o —- dE pi iso) 4 h; . Nei V o) 9” ‘ . A . . . ‘non parmi dubbio; è invece incerto se si possa parlare di un pro- cesso reale di accrescimento, o non piuttosto di un rigonfiamento della massa plasmica. Il fatto che si formò — analogamente a quanto avviene in molti altri casi nei quali la bolla è ancora con- giunta al tubo pollinico — una seconda bolla per gemmazione, e che assunse proporzioni quasi uguali all'altra da cui derivò starebbe a parlare in favore dell’ipotesi che siasi trattato di un reale accre- scimento. Tuttavia l’esperienza non può ritenersi decisiva, anche perchè i fatti osservati si riducono a due, ed è per ciò ch'io scrissi nelle conclusioni del mio lavoro che le osservazioni compiute ren- dono tutt'al più probabile l’opinione che l'accrescimento possa aver luogo. Ma lasciando da parte tale quistione, resta fuori dubbio, sia per le osservazioni del Palla che per le mie, come la formazione di parete possa aver luogo in masse plasmatiche prive di nucleo e che non conservano più con questo relazione alcuna. Se non che ad alcuni anni di distanza il Townsend pubblica un lavoro in cui vuol dimostrare l’ipotesi opposta (1); ed è questo lavoro il cui valore critico e sperimentale come vedremo ora sì riduce a non molta cosa, che esercita un’influenza assai grande sulla letteratura botanica concernente il nostro argomento, tanto che si ritiene e si scrive comunemente essere indispensabile la presenza del nucleo nella formazione della parete. Nella parte critica il Townsend osserva che, allorquando in cel- lule plasmolizzate, od anche in condizioni normali, le varie parti del protoplasto sembrano distaccarsi, effettivamente possono rima- nere congiunte per filamenti, e questa osservazione è giusta come il Palla stesso riconosce in altra sua nota, ma cade in errore discu- tendo il caso in cui per rottura di un tubo pollinico buona parte del plasma e tuttii nuclei sono espulsi e la parte plasmatica rimasta nell’interno del tubo si riveste di una nuova parete. Egli crede che la parte del plasma spinta fuori con i nuclei possa mantenere per un certo tempo rapporti con la massa rimasta nell’interno, fino a provocare la formazione di una parete. Ma io ho potuto ripetuta- mente constatare che in questi casi, in cui una buona parte del plasma con i nuclei è spinta fuori, ha luogo sempre una larga rot- tura nella parete del tubo, per cui l’espulsione sotto la forte pres- sione osmotica ha luogo con violenza, e la parte fuoruscita di plasma sì disorganizza rapidamente. I nuclei presentano invece una note- vole resistenza vitale, ma essi non mantengono più alcun rapporto (1) TowNsEND. — Der Einfluss des Zellkerns auf die Bildung der Zellhaut. — Jakhrb. f. Wiss. Bot. Bd. XXX, S. 484. — 48 l nè col plasma fuoruscito che si disorganizza, nè con quello rimasto» nell’interno: essi anzi, spinti spesso dalle correnti che si originano nelle colture per l’accrescimento o per la rottura di altri tubi, si allontanano dal tubo da cui sono usciti, con cui non possono avere più alcun rapporto, ed in queste condizioni non solo si forma una nuova parete, ma questa si accresce anche in spessore come accade continuando ad osservare colture vecchie di due o tre giorni. Tl fatto adunque ha un valore assai grande per non dire decisivo nella quistione che c’interessa, e non può essere distrutto dalle osser- vazioni del Townsend. Quando poi la rottura è assai piccola, il plasma esce lentamente e sì riveste di una parete formando una bolla, in questo caso egi- stono veramente dei filamenti di congiunzione, come il Townsend dimostra, senza però rotare che prima di lui io già ne avevo data la dimostrazione non solo ma avevo anche trovato il modo di li- berare le bolle dai filamenti di congiunzione. Citando invece il mio lavoro, il Townsend si limita a notare: che Acqua non era în alcun modo sicuro se le porzioni prive di nucleo non rimanessero in congiunzione con le porzioni nucleate mediante fila- menti plasmici (!). Nelle altre osservazioni, compiute su materiale diverso, egli non potè constatare la formazione di pareti in masse non nucleate e non più aventi comuricazioni con le nucleate. Ma quando ancora tali comunicazioni esistevano egli trovò che la formazione di pa- rete ha luogo generalmente prima nella massa nucleata, ma talvolta accade invece il contrario. Quest'ultimo fatto che corrisponde con l’altro analogo già dw me constatato in un tubo pollinico, in cui — come già fu detto — l’incapsulamento di una parte del plasma accadde in modo da lasciar fuori il nucleo, parla già contro l'ipotesi sostenuta dal Townsend stesso. Quanto poi alla difficoltà di osservare l’incapsulamento in masse. di plasma completamente separate da altre masse nucleate, noi pos- siamo trovare una plausibile spiegazione in quanto trovasi esposto nello stesso lavoro che stiamo esaminando. Non dobbiamo infatti dimenticare che in tutte queste esperienze ci troviamo di fronte a. protoplasti che sono stati violentemente divisi in più parti, che sono quindi condannati a morire e che non presentano se non residui di vitalità. Ora lo stesso Townsend, passando a esaminare la resi- stenza vitale di tali frammenti di protoplasto, constata che questa — a parità di altre condizioni — è sempre maggiore nelle masse nucleate, e ciò è ben naturale, poichè tali masse si allontanano meno | come in ‘rapporto della maggiore vitalità esse siano in grado di formare una nuova parete molto ‘più spesso delle masse non nu- cleate... Ma basta accertare anche pochissimi casì, in cui la formazione di una nuova parete sia possibile senza la presenza del nucleo, per distruggere il pregiudizio che la partecipazione diretta di questo sia necessaria al processo. Recentemente poi il Palla è tornato ancora sull’argomento (1). Egli impiega come nuovo materiale di studio i rizoidi di Marchantia polymorpha. In taluni di questi il plasma all’apice muore unita- mente al nucleo che esso contiene; l’altra parte vivente di plasma si circonda di una membrana. A réndere più concludente l'osservazione VA. taglia anche il rizoide in più parti, in modo da averne alcune completamente separate dal nucleo. Anche in questo caso può veri - ficarsi la formazione di nuova parete. Altro materiale di esame è costituito dai peli urticanti dell’ Ur- tica dioica. Si distaccano con una pinza di questi peli, procurando di asportarli alla loro base e si portano in una soluzione zueche- rina sotto il microscopio, per verificare se il nucleo trovisi — come nel maggior numero dei casì — nella regione basale rigonfia. Quando ciò siasl accertato, si taglia il pelo in due porzioni una delle quali è senza nucleo. In peli di foglie giovanissime il Palla riesce a con- statare la formazione di una parete. Io ho ripetuto queste ultime osservazioni del Palla in 34 casi. Le soluzioni impiegate avevano la concentrazione dal sei al dodici per cento di zucchero di canna. Dopo aver constatata la posizione del nucleo, si operava il taglio con un ago a lancetta, sotto il microscopio a debolissimo ingran- dimento, in modo da dividere il pelo in due parti, delle quali una era anucleata. Per impedire qualsiasi azione indiretta della parte nucleata, in una prima serie di esperienze, si toglieva direttamente questa parte dal preparato; in una seconda serie si lasciavano le due metà, per osservare se la formazione della parete avveniva di preferenza in una delle due metà. La coltura era fatta direttamente nel vetro del microscopio, che, ricoperto del vetrino copri-oggetti, era a sua volta ricoperto da una piccola campana perchè fosse impe- dita l’evaporazione. Dopo circa due giorni si compiva l’esame facendo passare sotto il vetrino, mediante l’uso di carta bibula, una goc- ciola di clorojoduro di zinco. Le porzioni dei peli assumono una | (1) Parra. — Ueber Zellhautbildung Kernloser Plasmateile. Ber. D. Deut. Bot. Gesell Bd. XXIV. H. 8. ANNALI DI Boranica — Vor. VIII. 4 gd : d y <= db RIE Ip NESI E ME BITCAZTIOE PO E SITI RAI DITO BOI N I colorazione intensissima bleu, che maschera completamente la co- lorazione gialla del Leo a Bisogna quindi decolorare. A questo scopo si lascia passare una corrente d’acqua. La decolorazione avviene gradatamente in modo da aversi vari passaggi nell’inten- sità della tinta bleu della parete interna di cellulosi, mentre la colorazione del protoplasma rimane quasi inalterata. A questo modo si riesce a vedere nettamente distinta la parete cellulosica dalle porzioni del citoplasma. Ora in un caso appartenente alla prima serie d’esperienze, comprendente n. 18 osservazioni, io sono riuscito a scorgere nettissimamente una porzione di plasma di forma sfe- roidale circondata tutt’all’intorno da un incapsulamento di cellu- losi. Nella seconda serie d’esperienze, comprendente n. 16 osser- vazioni notai egualmente la formazione di una nuova parete, come un setto abbastanza spesso, a traverso la porzione di un pelo rima- sta priva di nucleo, nella regione vicina a quella del taglio; ed oltre questo setto una porzione di plasma soprastante presentava parimenti un incapsulamento. Le parti basali di peli, contenenti il nucleo, non presentarono nessuna nuova formazione di parete. Anche in questi casi adunque si tratta di fatti che si verificano assai raramente e ciò in rapporto alla scarsa vitalità residuale delle parti di cellule tagliate; ma ba- stano in ogni modo anche pochissimi fatti, purchè bene accertati, a risolvere il problema. Notevole poi la particolarità che le porzioni contenenti il nucleo non mostrarono, come è stato detto, attività maggiore delle altre porzioni anucleate. Concludendo adunque, dal complesso dei fatti constatati, sì ri- leva essere possibile la formazione di una nuava parete in masse di plasma non nucleate, quantunque ciò sia un caso piuttosto raro, per le ragioni suesposte. È necessario adunque correggere l’errore oggi comunemente scritto e ripetuto, per il quale è asserito il contrario. Quanto poi alla possibilità che masse di protoplasma non nu- cleate si accrescano, non abbiamo altri argomenti all’infuori delle due mie osservazioni descritte già 18 anni or sono; presentemente quindi, come allora, debbo concludere che queste osservazioni non ri- solvono in modo decisivo la quistione; esse rendono tutt'al più proba- bile l’opinione che l'accrescimento possa aver luogo. Nuove ricerche sulla funzione fisiologica dell’ acido cianidrico nel ‘ Sorghum vulgare ,, di Ciro RAVENNA e MARIO ZAMORANI In una Nota precedente (1) sono state descritte da uno di noi «alcune esperienze eseguite sul Sorghum vulgare allo scopo di stu- diare il significato dell’acido cianidrico in tale pianta. La ricerca fu condotta allora, esclusivamente, sulle foglie staccate dalle piante e sì può così brevemente riassumere: Le foglie raccolte nel pomeriggio, sono più ricche in acido cia- nidrico di quelle raccolte il mattino; quando esse vengono immerse colle guaine in una soluzione nutritiva contenente un idrato di car- bonio (glucosio o saccarosio), e poste per un certo tempo al buio, il loro contenuto in acido cianidrico è superiore a quello delle foglie tenute pure al buio, ma in soluzione priva di idrati di carbonio. Al- trettanto avviene per foglie immerse in soluzione contenente i ni- trati in confronto di quelle in soluzione priva di queste sostanze. Invece tenendo le foglie in condizioni di esclusione di qualsiasi ‘alimento idrocarbonato facendole vivere per qualche tempo in solu- zione salina sia al buio, sia in ambiente privo di anidride carbonica, si notano forti diminuzioni e così pure succede per le foglie a cui ‘viene sottratto l’alimento azotato (nitrati). Questi risultati ci portarono alla conclusione che l’acido ciani- drico nel Sorghum vulgare prendesse origine direttamente dagli idrati di carbonio e dai nitrati. Ciò faceva quindi ritenere che anche per il sorgo fosse applicabile l’ipotesi emessa da M. Treub in base ai risultati dei suoi studi sul Pangium edule (2), sul Phaseolus lunatus (3) « su altre piante (4) e cioè che l’acido cianidrico rappresenti il primo prodotto organico che si origina nella sintesi delle sostanze pro- telche. Allo scopo di portare qualche altro fatto in appoggio a quanto avevamo concluso per il sorgo, abbiamo ripreso fin dall’anno scorso (1) C. RAVENNA e A. PeLI. — Gazzetta chimica italiana, 37, 2, 586 (1907), (2) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg, vol. 13, pag. 1 (1896). (3) Ibid. (vol. 19), 2? serie, vol 4°, pag, 86 (1904). (4) Ibid. 2° serie, vol. 6°, pag. 79 (1907), picabie< MO: ALI art Rs RAI i | Rit * ar, lo studio di questa pianta, il cui risultato è una ulteriore conferma. delle deduzioni allora fatte. ì Abbiamo cominciate le prove col ripetere alcune delle vecchie esperienze, ma anzichè sulle sole foglie, sulle piante intere. Tale me- todo, da un lato, è meno rigoroso del primo perchè, mentre in questo i testimoni erano dati da foglie della stessa pianta sperimen- ‘ tata, nell’altro era necessario servirsi di piante, sia pure della stessa età e grandezza, ma che possono presentare nei riguardi del con- tenuto in acido cianidrico, differenze individuali notevoli. D'altra. parte, però, operando con piante intere, ci si avvicina assai più alle condizioni di vita naturali, di quello che non avvenga colle foglie recise. In alcune giovani piantine di sorgo, appena tolte dal terreno, veniva determinato l’acido cianidrico, mentre in altre, scelte nello stesso terreno, il più possibilmente simili alle precedenti per svi- luppo e per peso, sì recidevano le radici e sì immergevano col col- letto in acqua distillata. Dopo otto giorni analizzammo queste piante che si erano man- tenute abbastanza rigogliose ed avevano cacciate numerose radici, Il metodo usato per l’analisi è quello altre volte descritto. Le piante venivano fortemente contuse o triturate e poste a macerare per 24 ore a temperatura ambiente; il tutto distillato quindi in corrente di vapore su latte di magnesia fino a raccogliere 250 c.c. di liquido che veniva titolato con nitrato d’argento decinormale: in presenza di alcune goccie di cromato di potassio. Riportiamo i risultati di queste prime analisi eseguite : Testimoni Dopo otto giorni in acqua distillata dr | AgNO, aj C; 4 HCN p. cento Ag AgNO; Ra c.c. HC N p. cento I al. 16 1,6 0,0270 16 2,8 0,0472 27 2,4 00240 30 : 3,4 0,006 47 2,7 0,0155 40 3,6 0,0248 È evidente un aumento notevolissimo della percentuale di acido prussico nelle piante vissute in acqua distillata, rispetto ai te- stimoni. Ripetemmo l’esperienza lasciando, questa volta, invece di otto, dieci giorni le piante in acqua e scegliendo sempre per testimoni, piante simili. | | pag 3 E L'esperienza non potè essere prolungata ulteriormente perchè i soggetti nell'acqua cominciavano a mostrare segni di sofferenza. Ottenemmo questi risultati : Testimoni Dopo dieci giorni in acqua distillata E N Ia N da AgNO, 10 © HCN p. cento 5 AgNOg 10 © H CN p. cento 20 9,1 0,0283 Thi 2,5 0,0450 DA 2,83 i 0,0258 45 4,5 0,0270 12 1,5 . 0,0337 13,5 2,0 0.0400 Questa seconda serie di analisi, conferma pienamente quanto ‘apparve dalla precedente. Anche la piccola differenza che si osserva nella seconda prova non può considerarsi come tale essendo il peso della pianta assai superiore a quello del corrispondente testimone. Ed è noto che le | piante più sviluppate, contengono il principio in quantità relativa minore (1). I risultati di queste prove, ci sembrarono da principio inespli- cabili perchè in piena contraddizione con ciò che era stato osservato nelle esperienze analoghe fatte colle sole foglie. È vero che queste ultime venivano immerse in una soluzione nutritiva contenente tutti i sali necessari alla vita delle piante, astrazione fatta di ni- trati, mentre nelle condizioni attuali, le piante venivano immerse in acqua distillata, ma non ci sembrò che tal fatto potesse spie- gare un comportamento diametralmente opposto. Neppure credemmo di poter attribuire tali disparità alle differenze individuali, in causa «della costanza negli aumenti in misura così elevata. Abbiamo perciò pensato che alla grande quantità di nitrati im- magazzinati nelle radici e nel fusto potessero essere dovuti gli inattesi risultati ottenuti. Nella nota precedentemente citata, infatti, si esponeva che nelle guaine del sorgo, sono bensì immagazzinati quantità relativamente forti di nitrati, ma che dopo due giorni «di immersione di esse nella soluzione nutritiva priva di questi ma- teriali, essi scomparivano quasi totalmente, contemporaneamente alla diminuzione dell’acido cianidrico. Invece, nelle prove ora descritte, si osservò, che nelle piante immerse in acqua distillata, si svela, anche dopo dieci giorni per mezzo di una goccia di soluzione sol- (1) BRUNNICH. — Journ. Chem. Soc. 83, 788. Lt a ee dir pit a dp b Ta s d vs È; ‘ Ad Lib, » gr } d = y fl 4 La db forica di difenilamina sopra una sezione delle iudina o da Fusto, sla >. persistenza di nitrati. Oi Allo scopo di metterci, nei riguardi del contenuto in ion in condizioni poco dissimili de quelle delle esperienze eseguite A foglie, abbiamo ripetuta l’esperienza sopra piantine giovanissime del peso di quattro a otto grammi, colla speranza che, data la quan- tità di nitrati relativamente piccola in esse contenuta, si potesse giungere, coll’immersione prolungata nell'acqua, alla scomparsa to- tale di essi. Fu perciò determinato l’acido cianidrico in sei pian- tine cresciute in terra, formando due gruppi, ciascuno di tre indi- vidui; un ugual numero di esse veniva immerso, dopo aver reciso. le radici, col colletto in acqua distillata ed altrettante in una so- luzione nutritiva sprovvista di nitrati. L'esperienza durò 9 giorni, alla fine dei quali, i saggi eseguiti su sezioni di alcune piante colla difenilamina, dimostrarono l’assenza completa, o quasi, di acido nitrico. Le analisi diedero i seguenti risultati: Piante testimoni Peso complessivo | x Numero delle piante | | AgNO; ; > C.C. HCN per cento | gr. | | 3 15 1,5 0,0270 3 13,5 1,9 0,0380 Piante in acqua distillata per nove giorni. Peso complessivo Numero delle piante AgNO,; pd c. 0; HC N per cento gr. 3 12 0,9 0,0202 3 28 dd 0,0199 Piante in soluzione natritiva priva di nitrati per nove giorni Peso complessivo | N Nnmero delle piante ! AENO; 10 °° HCN per cento NUR i I 8 18 12 0,0180 3 19 1,5 __ 0,0215 RESTA A ee FERIRE ER TI IRA CENTRA 3 7 SERIE LATERANO ac J do È OSARE — Come si vede adunque, in queste prove, il contegno delle piante immerse tanto nell’acqua distillata, come in soluzione salina senza nitrati, è uguale a quello delle foglie isolate poste in condizioni simili; si ha cioè una percentuale in acido cianidrico notevolmente inferiore a quella dei rispettivi testimoni. Ciò conferma la suppo- sizione che il principio cianogenetico venga utilizzato dalle piante, sia nell’accrescimento, come nella formazione di organi nuovi. Rimaneva però da ricercare la ragione per la quale, nelle prime esperienze eseguite, l’acido cianidrico si trovasse tanto in ecce- denza in piante che, oltre allo sviluppo, per quanto limitato, della parte aerea, avevano organizzato un nuovo sistema radicale. Noi credemmo di poter mettere in relazione tal fatto, coi risul- tati di alcune altre nostre esperienze pubblicate poco tempo fa (1) e delle quali non si diede allora alcuna spiegazione. Con esse ave- vamo stabilito che, quando si determinano delle lesioni nel Sor- ghum vulgare, tagliando le foglie o le radici, schiacciando le guaine ‘o facendo delle strette legature nel fusto, avviene un aumento nella quantità di acido cianidrico. È certo che tali lesioni, distruggendo l’equilibrio degli organi, portano un ritardo, sia pure temporaneo, nelle normali vicende fisio- logiche. Probabilmente allora avviene che i nitratiassorbiti, possano, cogli idrati di carbonio, generare ugualmente acido cianidrico il quale, per le disagiate condizioni di vita in cui sì trovano le piante non può, che assai lentamente, essere trasformato nelle sostanze azotate più complesse. Un fatto analogo si nota quando, al sorgo, vengono somministrate quantità eccessive di nitrati. Non vi sa- rebbe neppure in questo caso properzionalità tra la formazione di acido prussico e la potenzialità elaboratrice delle piante; quindi un accumulo di quel principio che, secondo ogni apparenza, non rappresenta che un primo gradino nella formazione della complessa molecola albuminica. È perciò logico supporre che nelle nostre attuali esperienze, l'aumento di acido cianidrico nelle piante che contengono molti nitrati, sia dovuto al disagio da esse sofferto poichè, come già sl disse, venivano loro recise le radici prima dell’immersione nell’acqua. L’accumulo ha un limite massimo e, avvenuto l'esaurimento dei nitrati, l'acido cianidrico, per quanto lentamente, deve venir trasfor- mato e per conseguenza diminuire. (1) Sulle variazioni nel contenuto in acido cianidrico causate da lesioni traumatiche nel Sorghum vulgare: Le stazioni sperimentali agrarie italiane 42,397 (1909). i i DN RI Ciò si osservò infatti nelle piante giovanissime dove, trovan- dosi in piccola quantità i nitrati, riesce facile giungere in breve An Fr. | tempo alla scomparsa di essi, senza che i soggetti abbiano troppo a soffrire. : AA * * Poichè, secondo le attuali vedute, i corpi amidati sono i termini di passaggio nella formazione delle sostanze proteiche, noi pen- sammo che l’elaborazione dell’azoto, nella pianta studiata, potesse avvenire secondo il seguente schema: Nitrati Lt | » f Acido cianidrico . w | v Corpi amidati î Y Sostanze proteiche. Se così fosse realmente, fornendo come alimento azotato, esclu- sivamente un’amide o un acido amidato ai vegetali in cui l’acido cianidrico rappresenta un materiale di sintesi, questi dovrebbero co- stituire le sostanze proteiche senza il passaggio attraverso i ter- mini precedenti; si giungerebhe perciò ad ottenere piante natural- mente cianogenetiche, sprovviste del principio in questione. Di questa supposizione, abbiamo cercato di dare la dimostra- zione sperimentale outrendo alcune piante di sorgo coll’asparagina. Fu prescelta tale sostanza, perchè è grandemente diffusa nelle piante e perchè si attribuisce ad essa un ufficio preponderante nel meta- bolismo delle sostanze proteiche. Una delle difficoltà per fare assorbire alle piante l’asparagina, è data dalla grande rapidità colla quale essa subisce la fermenta- zione ammoniacale. Era quindi necessario che il mezzo di coltura fosse sterilizzato. A tale scopo, facemmo un primo tentativo servendoci di una disposizione di apparecchio che aveva già dato buoni risultati ad uno di noi (1). (1) G. CrAMICIAN e C. RaveENNA. — Sul contegno di alcune sostanze orga- niche nei vegetali: 1 Memoria; Memorie della R. Accademia delle scienze del- l’Istituto di Bologna, serie 6%, tomo 5°, pag. 51 e 41 (1907-08). RT STIRIA ESRI IPO DALIA x , 4 "du bi I recipienti adoperati sono palloni di vetro della capacità di un litro muniti di una tubulatura laterale come nei palloni Pa- steur-Hansen. Il collo, lungo 13 centimetri e largo 3, porta a tre centimetri dalla base una strozzatura sulla quale viene posto un tampone di cotone; un altro tampone chiude l'estremità superiore del collo. Il pallone, per mezzo della tubulatura laterale congiunta ad un tubo di gomma che può chiudersi con tappo, viene riempito per metà con una soluzione nutritiva e si sterilizza il tutto in auto- clave, quindi per mezzo di un altro pallone, preparato nello stesso modo e congiunto al primo per le tubulature laterali, sì riempie con la stessa soluzione fino a bagnare il tampone inferiore. I semi si sterilizzavano immergendoli per un quarto d’ora in so- luzione di sublimato all’1 per cento contenente ugual quantità di acido cloridrico e si lavavano poi ripetutamente con acqua distil- lata sterilizzata. Essi venivano posti con ogni precauzione asettica sul tampone inferiore del pallone; un seme per ogni pallone. Ini- ziata la germinazione, la radichetta perforava il tampone inferiore ed andava a pescare nel liquido sterilizzato, mentre la piumetta si apriva generalmente la via tra il cotone superiore e la parete in- terna del collo. La soluzione nutritiva adoperata per queste esperienze conteneva per litro: Asparagina . . . . gr. 1,00 Solfato di sodio . . » 0,30 Fosfato acido di potassio » 1,00 Solfato di magnesio. » 0,20 Solfato ferroso. .<.-.,. >». 0,10 Cloraro di manganese » 0,10 Carbonato di calcio. >» 2,00 Cloruro di zinco ) : PE ; ._ ? traccie Silicato di potassio. | L'esperienza sì fece da principio con due soli palloni. Essa però diede risultati negativi perchè, pur non essendovi nel liquido traccia di fermentazione ammoniacale, dopo la germinazione, che avveniva in modo regolare, le giovani piantine morivano. Si ripetè la prova con altri otto palloni, ma l’esito non fu dissimile dal precedente. ‘ Sembrava quindi che l’asparagina, pur non danneggiando in al- cun modo la germinazione dei semi di sorgo, non potesse servire «come alimento azotato 0, per ‘lo meno, che non venisse assorbita per la via delle radici. À Esa x 3 RTRT SE TOR RI ei SONE ST PSR Tuttavia pensammo di ripetere l’esperienza partendo, invece che dai semi, da piantine più sviluppate, coltivate in piena terra. Quelle adoperate a tal fine, raggiungevano l’altezza di dieci centimetri. Esse venivano, appena tolte dal terreno, dopo aver loro recise le radici, poste in vasi contenenti acqua affinchè organizzassero il nuovo sistema radicale in relazione coll’ambiente diverso, passati alcuni giorni, le piantine venivano collocate in appositi recipienti per culture in soluzione acquosa contenente il liquido nutritivo, della composizione data precedentemente. Per impedire la fermen- tazione dell’asparagina, siamo ricorsi, questa volta, agli antisettici. Diremo solo che dopo una lunga serie di prove, usando acido sali- cilico, toluolo, solfato di rame, cloruro mercurico a diverse concen- trazioni, abbiamo ottenuto i migliori risultati adoperando quest’ul- timo antisettico alla dose dell’1 per cinquemila. La fermentazione ammoniacale, in tal modo, non si iniziava che dopo due giorni. Le piante di sorgo, dunque, venivano poste nel liquido conte- nente la dose accennata di cloruro mercurico. Le soluzioni si rin- novavano ogni due giorni, non senza esserci assicurati, col reattivo di Nessler, dell’assenza di ogni traccia di ammoniaca. Contemporaneamente, altre piante che avevano l’ufficio di te- stimoni, erano state poste in una soluzione contenente per litro: NANO ae 0 EH: POT (NESSO RO 1130028 MED RR 020 Falso lira ee, SO Masci. atene ta Oto Cash osare en» 2500 SUSA traccie Ko S10/4 i Pure a questa fu aggiunto 1 per cinquemila di sublimato, allo scopo di mettere i testimoni, all'infuori della forma dell'alimento azotato, in condizioni uguali a quelle delle piante in esame. Ma neppure con questo secondo metodo, si potè raggiungere l’intento desiderato. Dopo breve periodo, infatti (circa dieci giorni) le piante alle quali era somministrata l’asparagina, cominciarono ad ingiallire; sì comportavano così come nelle esperienze descritte . nella prima parte di questa Nota, in cui le piante erano poste in soluzione priva dell’alimento azotato. Poichè i testimoni continua- vano a vivere senza dar segno alcuno di sofferenza, ci sembrò che» fosse avvalorata la supposizione fatta dianzi, che il sorgo non po- tesse assorbire l’asparagina per le radici. i PA a Falliti i tentativi descritti, siamo ricorsi ad un altro metodo che fu largamente usato e con successo in altre ricerche (1); quello della inoculazione diretta della sostanza nel fusto. Le piante venivano, a tal fine, tolte dal terreno e, tagliate le radici, messe in condizioni, mediante l'immersione del colletto nel- l’acqua, di organizzare rapidamente il nuovo sistema radicale e di esaurire, nello stesso tempo, buona parte dei nitrati immagazzinati; quindi si ponevano in vasi ripieni di una soluzione nutritiva priva di qualsiasi sostanza azotata, contenente per litro: NARO gt 0,30 IEP eva > (1,00 Mrs Ot Ret 10:20 Recon ii cer 0 £0 Mae ei et 10 CICCO e peo 2:00 ZnC], Î i KSi 0, | traccie. Ad alcune piante immerse in detta soluzione, veniva inoculata l’asparagina. A tal uopo, si praticava nel fusto una ferita lon- gitudinale, senza asportazione di tessuti, immediatamente sopra il colletto; in essa veniva introdotta la sostanza da esperimentare fine- mente polverizzata, quindi si legava la ferita e si chiudeva con paraffina. Si fecero due inoculazioni per ogni pianta, la seconda & distanza di quindici giorni dalla prima dopo cioè che tutta la so- stanza introdotta era stata assorbita. Gli individui inoculati, con- tinuarono a svilupparsi normalmente, non accennando alla minima sofferenza. La quantità di asparagina introdotta fu di circa mezzo grammo per volta e per ogni pianta. Le analisi si fecero alla distanza di trenta, trentacinque o quaranta giorni dopo che erano state tolte dal terreno, mentre lo sviluppo rigoglioso ci lasciava supporre che le piante avrebbero compiuto regolarmente il ciclo vegetativo. Era nostro desiderio, perchè i risultati fossero il più possibilmente confrontabili, di fornire anche ai testimoni l’azoto per inoculazione, ma sotto forma di nitrato sodico. I.tentativi fatti a tal fine, però non ebbero, come era da prevedersi, buon esito perchè i-soggetti inoculati col nitrato, mostrarono subito di soffrire e si seccarono in pochi giorni. Abbiamo perciò dovuto scegliere, per il confronto, piante della stessa età e grandezza di quelle sperimentate per l’asparagina, (1) G. CrAMICIAN e C. RAVENNA, ]. c.; ibid. (Memoria II.), serie 62, tomo 69, pag. 109 (1908-09). Ae e RO To nnri RI FIT, EC 9A si vl i I Rit ee SSL ho è, v& Z% ° QU D, . É J ò da L'A “Pa + ” _-. 60 —- i Pi Li hi n° "ag n. ca A i x X È i - i KE prc da stri alcune delle quali si ponevano, come quelle, in soluzione nutritiva completa; altre venivano tolte direttamente dal terreno. I risultati ottenuti dall’analisi furono i seguenti: PIANTH CON ASPARAGINA PIANTE TESTIMONI SALI Dara 27 dell'espe- SL o dr Ò 2 SASA Da da o "N % » HC N p. cento Z2 giorni 10 TO 1 30 194 6,5 0, 0141 90 7,6 0, 0228 9 30 180 9,4 0, 0141 148 9,1 0, 0172 3 35 199 5,5 0, 0115 139 15,1 0, 0293 4 35 220 7,3 0, 0089 202 14,5 0, 0194 5 35 138 4,7 0, 0092 159 16,1 0, 0273 6 35 184 6,8 0, 0190 181 19,2 0, 0182 7 40 72 9,0 0, 0075 La pianta della prova 7, per causa traumatica, si seccò nella parte superiore e cacciò due nuovi getti. Non fu quindi possibile avere il testimone. Dalle analisi esposte appare dunque che nelle piante di sorgo a cui fu fornita l’asparagina come alimento azotato, l’acido cianidrico ha subìto una notevole diminuzione. Riteniamo che la sostanza ino- culata sia stata utilizzata dalle piante perchè non ci sembra verosi- mile che sì siano mantenute così rigogliose vivendo per tanto tempo a sole spese delle proprie riserve in nitrati. Sembrerebbe perciò non priva di fondamento la supposizione che dai nitrati si giunga alle sostanze proteiche per gli stadi intermedi prima dell’acido cianidrico, poi delle sostanze amidate; si avrebbe quindi una nuova prova che l’acido cianidrico sia il primo composto organico che si origina nella sintesi delle sostanze azotate. A conferma dei risultati ottenuti, insisteremo però su tali ricerche mediante esperienze su più larga scala e non ci pare impossibile in tal guisa, ottenere del tutto prive, o quasi, di acido cianidrico, piante normalmente cianogenetiche. * * s* Esponiamo qui un’osservazione da noi fatta durante il precedente studio, riguardante il preteso effetto protettore esercitato dall’acido cianidrico sulle piante che lo contengono. E M. Treub chiudeva una sua Nota (1), che con grande cortesia ci ha inviato, affermando che « quelque singulier que cela paraisse, ces composés cyanhydriques des plantes, semblent quelque fois attirer des animaux. » I fatti esposti da questo autore, stanno a dimostrare come debba scartarsi la vecchia ipotesi che l’acido cianidrico abbia la funzione di proteggere le piante dalle invasioni degli animali. Noi abbiamo osservato che il Sorghum vulgare può essere seria- mente danneggiato da colonie di afidi (2) assai numerose, che da questa pianta traggono nutrimento infiggendo il rostro specialmente nella pagina inferiore delle foglie ed in genere in prossimità della nervatura principale. Si tratta quì di una pianta fortemente velenosa per gli organismi superiori, ma non per questi insetti che sembra la preferiscano al mais. Infatti in uno stesso campo in cui si trovava mais e sorgo, assai maggior numero di queste ultime piante, furono invase dagli afidi. Neppure quelle più giovani sono risparmiate e se si pensa che sono queste che, per gli animali superiori, riescono più velenose, bisogna necessariamente ammettere che alcuni esseri non risentano danni di sorta traendo nutrimento da piante eminentemente ricche di una so- stanza tanto tossica, quale l’acido prussico. I danni che questi gorgoglioni arrecano, non sono certo indiffe- renti : le foglie, specialmente se giovani, presentano, in seguito all’at- tacco dei parassiti, sull’inizio delle piccole macchie giallastre ed in seguito, parte del lembo si dissecca; nelle piante più adulte le foglie sì ricoprono di punteggiature rosse, che manifestano, dalla pagina an- teriore, il luogo ove, in quella inferiore, sono infisse le colonie di afidi. Le guaine assumono poi, in breve, una colorazione intensa- mente rossa dovuta ad un pigmento che, normalmente diffuso nel sorgo, appare in quantità anormali qualora le piante abbiano subito l'attacco nelle guaine stesse o nel parenchima fogliare. Di un fatto identico facemmo osservazione compiendo un altro studio (3); notavamo cioè la comparsa abbondante del pigmento rosso in piante che avevano subìto lesioni di varia natura. Appare quindi che neppure per il Sorghum vulgare, l’acido ciani- drico costituisce un mezzo di difesa contro certi parassiti. (1) Annales du Jardin botanique de Buitenzorg, 2° serie, vol. 6, pag. 107-114 (2) Si tratta con ogni probabilità della SipRonophora granaria. (3) Loc. cit. Laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bologna. Note di Tecnica Liquido conservatore per frammenti di organi e per piccoli organismi interi del dott. GrovannI FAURE Da molto tempo si sentiva il bisogno nella Microscopia di un liquido che permettesse di conservare gli oggetti con la struttura intatta ed i colori inalterati: molte sono le miscele che vengono registrate nei trattati di Tecnica Microscopica, ma poco rispondono alle esigenze giuste del micrografo, sia perchè alterano il materiale di osservazione, sia perchè richiedono un tempo lunghissimo per le diverse operazioni. Anch'io ho tentato la prova. Essendomi, molti mesi di esperienze, assicurato della vera utilità della miscela da me usata, ho deciso di pubblicarne la formola con le relative istru- zioni. sec istalla Neo. 08 100 Uloralio 1drabd ae a -gr0-100 Cloridrato di cocaina . . . . >» 1 SORTA eran n de de 01 40 Giormnma. arabica. y; ><“. 0,0 i pr. 60 Si fa sciogliere dapprima in un matraccio il Cloralio idrato nel- l’acqua distillata, quindi si aggiungono il Cloridrato di Cocaina e la Glicerina. Si agita ben bene il miscuglio fino ad avere un liquido omogeneo, da ultimo si unisce la Gomma arabica la quale deve essere purissima e possibilmente polverizzata per accelerare la sua soluzione. Si lascia il tutto in riposo per un paio di giorni fino a che siano spariti i grumi di gomma eventualmente formatisi, quindi si filtra la soluzione per mezzo di carta. bibula a grana finissima. Siccome la filtrazione avviene assai lentamente, allorchè si volesse adope- rare subito il liquido per osservazioni grossolane, si può filtrarlo attra- verso un pannolino ben pulito o con lana di vetro. Si raccomanda di eseguire tutte queste operazioni a freddo, poichè usando il riscaldamento (per economia di tempo) nelio scio- gliere le LEA post la talnela na ‘do ft è bene tenere l'ordine de ho descritto per evitare inconvenienti. | si Per fare un preparato di un oggetto che sì vuol osservare al mi-. croscopio, sì pone sia esso animale o vegetale sul porta oggetti; sî versa sopra qualche goccia della miscela conservatrice e si sovrap- pone il coprioggetti. Il preparato è bello e fatto: di più è permanente, poichè io stesso e molti egregi professori di Zoologia e Botanica (special- mente di Entomologia) che l’hanno esperimentato conserviamo pre- parati da oltre due anni. Non occorrono affatto preparazioni preliminari nè alcuna fissa- zione speciale prima di montare i singoli pezzi; anzi gli oggetti fissati in alcool 0 conservati in liquidi alcoolici debbono essere abbon- dantemente lavati in acqua distillata prima di essere trattati con la miscela, altrimenti un precipitato bianco-lattiginoso che si for- merebbe impedirebbe qualunque osservazione. I pezzi allo stato fresco, appena tolti dagli organismi, come pure gli organismi interi vivi di ‘piccolissime dimensioni (artropodi, vermi, embrioni vegetali, alghe, funghi, ecc.) si montano diretta mente dopo aver fatto un semplice passaggio in acqua distillata. Il liquido fissa mirabilmente gli oggetti in modo permanente senza coartarli, nè alterando in veruna maniera i colori; inoltre li rende perfettamente trasparenti tanto che al microscopio si possono distinguere i più minuti particolari di struttura esterna ed interna. Dopo qualche tempo, più o meno lungo a seconda della sta- gione, il liquido si asciuga e funziona da perfetto mastice, sicchè permette qualsiasi pulizia del coprioggetti allorquando questo s’in- sudicia di olio di cedro, osservando i preparati con obbiettivi ad immersione omogenea ; è perciò inutile lutare il coprioggetti al por- taoggetti con i diversi mezzi di chiusura, come Bitume di Giudea, Gold-Size, ecc. Come ben si vede, questo liquido permette, come mi ero pre- fisso, di ottenere in brevissimo tempo una preparazione mierosco- pica permanente evitando i noiosi passaggi in diversi liquidi (ne- cessari usando altri metodi di tecnica) che spesso rovinano il mate- riale di osservazione. R. Istituto Botanico di Roma, dicembre 1909, INALI DI BOTA) PUBBLICATI ICA Pror ROMWALDO PIROTTA 1 AURA CE Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE. . Lonco B. — Ricerche su le Impatiens (Tav. VIII-X\), pag. 65. Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma — XXV: MigLIoRATO E. — La fogliazione delle Acacie a fillodii verticillati, subverticillati, confertiî e sparsi (Tav. V-VII), pag. 79. . PANTANELLI E. — Meccanismo di secrezione degli enzimi, pag. 133. . PaGLIA E. — L'eterocarpia nel regno vegetale (Tav. XI), pag. 175. CortEsI F. — Studii critici sulle Orchidacee romane, pag. 190. Acqua C.— Sull’azione dei raggi del radio mei vegetali, pag. 223. { . .. Cortesi F.'— Nuova contribuzione alla Flora delle isole Tremiti, pag. 239. fo MieLIoraTo E. — Sull’impollinazione di Rohdea japonica Roth per mezzo delle «formiche, pag. 241. "NERO BeRGAMASCO G. — Alcune osservazioni sulla durata dei macromiceti, pag. 243. dI MigLIoRaTO E. — Alcune notizie sull’Orto Botanico di Lecce, pag. 245. È PasquaLe F. — Quarta aggiunta alla bibliografia della Flora vascolare delle provincie meridionali d’ Italia, pag. 247. | SEvERINI G. — Sulle formazioni tubercolari nello Juniperus communis (Tav.XII). Riviste, pag. 263. \Notizie ed appunti, pag. 268. ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1910 Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in tempi non determinati e con numero di fogli e ta- vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne un numero maggiore, pagando le semplici spese di carta, tiratura, legatura, ecc. Gli autori sono responsabili della forma e del conte- nuto dei loro lavori. N.B. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al prof. R. PrroTTA, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. " { , % a Ù x PM * L, #. ar "o ip N 4 ha Ù 4 Re; Das d #}) nio, ii ner TE! #3 RN iti e Ricerche su le Impatiens di B. Lonco LIBRARY NEW YORK BOTANICAL 3 GARDEN. (Tav. VIII-X). Studiando lo sviluppo dell'embrione di alcune famiglie di Dia- lipetale venni alla conoscenza, in diverse specie d’/mpatiens, di uno sviluppatissimo austorio micropilare di origine endospermica. È, mentre mi proponevo di continuare le mie ricerche anche in altre specie d’Impatiens, resi intanto di pubblica ragione questo fatto in- teressante oltre che dal punto di vista morfologico anche e soprat- tutto da quello fisiologico per la sua importanza nella nutrizione dell'embrione in via di sviluppo ed accompagnai la pubblicazione con due figure rappresentanti l’una l’austorio micropilare della /m- patiens amphorata Edgew., l’ altra quello della Impatiens Balsa- mina L. (1). In questo frattempo sono andato studiando altre specie d’[mpa- tiens — tutte quelle che ho potuto avere a mia disposizione — e già da qualche tempo avrei potuto rendere di pubblica ragione i risultati delle mie ricerche se non fossi stato trattenuto dal fatto che della Impatiens Noli-tangere L. — che pur molto mi premeva di studiare essendo essa l’unica specie nostrale spontanea — non avevo potuto avere il materiale occorrente, e invano avevo cercato per due anni consecutivi, come sarà detto più avanti, di farne ger- minare ì semi. Gli ovuli delle /mpatiens sono anatropi, pendenti col micropilo | rivolto in alto, e forniti di due tegumenti che sono veramente di- (1) Longo B. — Nuove ricerche sulla nutrizione dell'embrione vegetale. — Rend. d. R. Accademia dei Lincei. CI. d. Sc. fis., mat. e nat. Vol. XVI, 2° sem. ser. 5°, fasc. 8° (1907), p. 591. ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 5 pate) stinti soltanto nella regione micropilare essendo invece concresciuti in quasi tutto il resto della loro lunghezza (1). La conoscenza di due tegumenti nell’ovulo delle [mpatiens non si deve, come ritiene il Brunotte (2), al Guignard. Infatti prima di lui il Lohde (3) e poi il Jonsson (4) avevano già descritto e raffigurato l’ovulo delle Im- patiens come provveduto di due tegumenti. Se non che, dopo questi autori, il Brandza (5) lo descrisse e raffigurò con un solo tegumento. Il Guignard (6), studiando la struttura dell’ovulo della Impatiens parviflora DC., venne a confermare quanto aveva già detto il Lohde, correggendo nel tempo stesso giustamente alcune inesattezze in cui il Lohde era caduto. Per quanto riguarda i rapporti fra i due tegumenti, io non ho trovato costante in tutte le specie d’/mpatiens da me studiate il ca- rattere dato, come tale, dal Van Tieghem: che il tegumento interno oltrepassa l'esterno (7). In alcune specie, infatti, come ad es. nella Impatiens Roylei Walp., è invece il tegumento esterno che oltrepassa l'interno di modo che il canale micropilare risulta formato dalla sovrapposizione dell’esostoma e dell’endostoma (fig. 8). — Del resto credo bene far rilevare fin da ora che non solo questo, ma anche altri caratteri strutturali ben più importanti non si presentano co- stanti, come vedremo in seguito, nelle diverse specie d’/mpatiens, di modo che troveremo in esse una notevole variabilità nella struttura dell’ovulo. (1) Il Van Tieghem (Van TieGHEM PH., Structure de quelques ovules e parti qu’on en peut tirer pour ametiorer la classification. Journ. de Bot. T. XII, 1898, p. 211) scrive in proposito: « Cette concrescence des deux téguments per- met de comprendre comment un observateur aussi sagace que M. Warming a pu citer ces plantes, avec doute il est vrai, parmi celles où l’ovule est uni- tegminé (WarmINnG E., De l’ovule. Ann. d. Sc. nat., VI sér., Bot., tom. V, 1878 p. 245) >». (2) BrunorTE C. — Recherches embryogéniques et anatomiques sur quel- ques espèces des genres Impatiens et Tropaeolum. — Paris e Nancy, 1900, p 50. (3) Lonpe G. — Ueber die Entwicklungsgeschichte und den Bau einiger Samenschalen. Inaug -Diss., Leipzig, 1874. (4) Jonsson B. — On embryostickens utveckling hos Angiospermerna. Lunds Univ. Arsskrift. Tom. XVI (1879-1880). (5) Branpza M. — Développement des téguments de la graine. Rev. Gén. de Botanique. T. III, 1891, p. 158, tav. 10. (6) GuranarD L, — Recherches sur le développement de la graine et en par- ticulier du tégument seminal. Journ. de Bot. 7° année (1898, p. 97-100. (7) VAN TirGneMm Pu. — Structure de quelques ovules et parti qu'on en peut tirer pour améliorer la classification. Journ. de Botaniq. T. XII (1898), p. 210. È I due tegumenti si conservano anche nel seme e non è esatto quanto dice il Guignard che nel seme il tegumento interno è to- ‘talmente « écrasé >» (1) ridotto ad una « couche membraniforme » (2). Il tegumento interno infatti, e precisamente quella parte libera di ‘esso che si trova al disopra del sacco embrionale e che forma l’en- «dostoma, si conserva intatto anche nel seme sotto forma di un mammelloncino, e si presenta inoltre con le pareti lignificate. La nucella è molto piccola e nel giovane ovulo non contiene al disotto dell’ epidermide nella parte assile che un’unica cellula. È ben vero che ho osservato, in qualche caso, due cellule sottoepi- dermiche ed in un caso solo, nella [mpatiens Balsamina L., tre cel- lule sottoepidermiche, ma si tratta. di casi isolati, che sono stati ‘anche segnalati in parecchie altre piante, per modo che la pluralità delle cellule madri del sacco embrionale, che è un fatto costante e caratteristico per alcune famiglie come le Rosaceae e le Calycan- thaceae (3), non è per le [mpatiens come anche per altre piante che un’eccezione. Per quanto riguarda l'origine del sacco embrionale io ho seguito «con molta cura le divisioni della cellula nucellare sottoepidermica nella Impatiens Balsamina L. Detta cellula sottoepidermica non co- mincia a dividersi che quando il tegumento esterno comincia a ben differenziarsi e diventa direttamente la cellula madre del sacco em- brionale senza che si abbia perciò formazione di calotta. Le due divisioni della cellula madre del sacco embrionale sono interessanti anche perchè non si compiono sempre nello stesso modo. Dapprima la cellula nucellare sottoepidermica si divide mediante una parete trasversale in due cellule figlie, nelle quali poi, mediante due ca- riocinesi simultanee (fig. 1), si formano 4 nuclei; però mentre dalla cellula figlia inferiore, mediante una parete trasversale, si otten- gono due cellule nipoti, la cellula figlia superiore resta indivisa e quindi binucleata (fig. 2). I due nuclei di questa cellula sono più piccoli di quelli delle due altre cellule sottostanti, inoltre si tro- vano ora sovrapposti, ora giustaposti, ora l’uno un po’ più sotto al- l’altro ma disposto lateramente. In qualche caso però ho osservato un accenno alla formazione di una parete divisoria ed in qualche (1) GuienaRD L. — Op. cit, pag. 98. (2) GuianaRD L. — Op. cit., pag. 99. (3) Longo B. — Un nuovo carattere di affinità tra te Calycanthaceae e le Rosaceae desunto dall'embriologia. Rend. d. R. Accademia dei Lincei. Cl. d. Sc. fis., mat, e nat. Vol. VII, 1° sem., ser. 5°, fasc. 2°, 1398. Lonco B. — Osservazioni sulle Calycanthaceae. Annuario d. R. Istit. Bot. di Roma. Vol. IX, fasc. 1°, 1898. Di Milne gi ii Mae dit altro ho trovato che anche la cellula figlia superiore si divide in due mediante una parete trasversale di modo che si può anche avere. talora produzione di quattro cellule mononucleate. Il Jonsson a proposito delle divisioni della cellula madre del sacco embrionale delle [mpatiens inesattamente descrive e raffigura tre cellule figlie provviste ciascuna di un solo nucleo (1). Molto pro- babilmente il Jinsson non dovette avere sott’occhio il caso in cui si producono quattro cellule ed a lui dovette sfuggire la presenza di due nuclei nella cellula figlia superiore. è Durante le divisioni sun descritte della cellula madre del sacco embrionale ho osservato nella cellula inferiore (fig. 2) una forma- zione plasmatica (trofoplasmatica?) non omogenea, nè limitata net- tamente dal plasma circostante, dal quale però si differenzia per colorirsi più intensamente. Essa richiama alla mente le formazioni ergastoplasmatiche già scoperte nei vegetali, e indipendentemente gli uni dagli altri, dai fratelli Bouin, dal Guignard e da me (2), dalle quali però diversifica anche perchè, mentre le formazioni er- gastoplasmatiche si dissolvono prima che i nuclei si mettano in ca- riocinesi, questa formazione invece si osserva anche durante la ca- riocinesi (fig. 1). Si tratta probabilmente di una formazione analoga a quei due corpi rotondeggianti trovati dal Juel (3) nelle cellule madri del sacco embrionale delle Casuarina. A completo sviluppo dell’ovulo la piccola nucella è già comple- tamente riassorbita ed il sacco embrionale viene quindi a trovarsi in contatto col tegumento interno. La serie di cellule interna di questo tegumento fin da quando comincia a costituirsi il sacco em- brionale va man mano differenziandosi dalle rimanenti, di modo che a completo sviluppo il sacco embrionale si presenta interamente circondato da una fila ininterrotta di cellule allungate radialmente, ricche di contenuto plasmatico — il tappeto. Io ho trovato un tap- peto bene differenziato in tutte le specie d’/mpatiens da me esami- nate, tanto che la presenza di un tappeto può considerarsi come un carattere costante di queste specie; fa però eccezione la /mpatiens Balsamina TL. in cui intorno al sacco embrionale non esiste tap- peto. Il sacco embrionale dell’ovulo delle /mpatiens è allungato e si presenta molto assottigliato in corrispondenza all'estremità micro- af IL (1) Jinsson B. — Op. cit., p. 57 e 81, tav IV fig. 30-32. (2) Bovin M. et P. — Sur le développement de la cellule-mère du sac em- bryonnaire des Liliacées et en particulier sur l’évolution des formations erga- stoplasmiques. Arch. d’Anat. microscopique, t. II, fase. IV, 1899, p. 422. (3) JueL H. 0. — Ein Beitrag zur Entwicklungsgeschichte der Samenanlage' von Casuarina. Flora oder Allg. bot. Zeitung, 1903, II Hett, 92 Bd. Mr a o “% AME Si i — 69 — ; 7, | pilare e Mull'sposi della fecondazione esso non contiene che gli ele- ‘menti essenziali: l’oosfera, cioè, ed il nucleo secondario od i nuclei | polari non ancora fusi, l’una falla parte apicale ed assottigliata del sacco, l’altro, o gli altri, immediatamente sotto all’oosfera, in contatto o quasi con essa. Dopo avere descritta la struttura dell’ovulo delle /mpatiens non credo superfluo accennare qui brevemente ad alcune anomalie da me trovate nelle mie ricerche. Una di esse riguarda la posizione degli ovuli. Mentre questi, come ‘abbiamo veduto, son9 nelle 7mpatiens pendenti e col micropilo ri- volto in alto, io ho trovato diverse volte, nella Impatiens sca- brida DC. e in uno stesso ovario, accanto ad ovuli pendenti, degli ovuli ascendenti e col micropilo quindi rivolto in basso. Questi ovuli però, all'infuori di essere rivolti in senso inverso degli altri, non presentavano alcuna differenza di struttura. Altre anomalie riguardano invece la struttura degli ovuli. Così nella /mpatiens Balsamina L. ho trovato un giovane ovulo con due nucelle circondate ciascuna da un tegumento interno ed entrambe da un unico tegumento esterno. Nella Impatiens scabrida DC. e nella Impatiens amphorata Edgew. ho trovato alcune volte qualche ovulo completamente mancante di sacco embrionale. Esso era però bene sviluppato in tutte le altre parti come gli ovuli provveduti di sacco ‘embrionale che si trovavano nell’istesso ovario; in esso era anche presente attorno alla lunga e stretta nocella un tappeto altrettanto bene sviluppato quanto quello che circondava negli ovuli normali il sacco embrionale. Dopo la fecondazione, mentre l’oospora si mantiene ancora indi- visa, comincia la divisione del nucleo secondario del sacco embrio- nale, e ben presto una delle cellule endospermiche che così si formano, situata in alto, vicino all’oospora, comincia a differenziarsi netta- mente dalle rimanenti, si allunga verso l’alto fino a raggiungere il micropilo, penetra in esso occupandolo completamente e percor- ‘rendolo in tutta la sua lunghezza (fig. 6), indi, fuoruscita dal micro- pilo, aumenta considerevolmente di diametro e manda dei rami che penetrano nel funicolo ed anche nel tegumento esterno (fig. 7-11). ‘Questa cellula endospermica così straordinariamente accresciuta è provveduta alla sua superficie, in corrispondenza della parte più ingrossata che si trova alla superficie dell’ovulo, immediatamente fuori del micropilo, di una membrana ben distinta che si colora con l’Ematossilina Delafield. Essa contiene inoltre abbondante contenuto ER STENO SO RETI SAPORE RO INS FRI CRE STATION SSA RTS agree plasmatico, numerosi granuli d’amido ed un nucleo, talora bla più di uno. Il nucleo è sempre ipertrofico e contiene ordinariamente parecchi nucleoli di diversa grandezza che con la doppia colorazione: spiccano per una marcata eritrofilia sulla cromatina nettamente. cianofila. Finchè la cellula endospermica non è fuoruscita dal ca- nale micropilare il nucleo è allungato e si estende per tutta la. lunghezza del canale stesso (fig. 6); dopo che la cellula endosper- mica è fuoruscita esso si presenta amebiforme e si trova nella parte. più dilatata della cellula stessa. La cellula endospermica, che, differenziandosi ed accrescendosi nel modo descritto, viene a mettere in rapporto il sacco embrionale. con i tessuti del funicolo e del tegumento esterno, costituisce un caratteristico e sviluppatissimo austorio micropilare perfettamente analogo a quelli segnalati in diverse famiglie di Simpetale e come quelli destinato ad andare a cercare le sostanze nutritizie per tra- sportarle all'’embrione in via di sviluppo. In tutte le specie d’Impatiens da me esaminate ho trovato un austorio micropilare ad eccezione soltanto della Impatiens Noli-tan- gere L. dove esso manca completamente sia nei fiori casmogami che. in quelli cleistogami, sian essi appartenenti ad individui spontanei o ad individui coltivati. Ma all'infuori di questa eccezione l’austo-. rio micropilare è in tutte le specie d’/mpatiens evidentissimo e si presenta nelle varie specie più o meno sviluppato, con un compor- tamento che è in generale quello su descritto pur variando nei parti- colari da specie a specie. È un fatto che sorprende che la presenza di questo austorio non sia stata prima notata da nessuno degli autori che si sono oc- cupati dell’embriologia delle Impatiens, neppure dal Guignard (1) che pur si occupò con cura dello sviluppo dell’ovulo e del seme della [mpatiens parviflora DC. Per quanto io sappia soltanto lo. Schacht (2) deve aver veduto l’austorio micropilare nella Impatiens Roylei Walp. (I. glandulifera Royle). Il tubetto pollinico infatti che lo Schacht descrisse e raffigurò per l’[mpatiens Roylei Walp. sì deve identificare con l’austorio micropilare, come avevo supposto già prima di esaminare questa specie (3) e come ho potuto ora con- (1) GurenarD L. — Op. cit. (2) Scnacurt H. — Entwickelungs-Geschichte des Pflanzen-Embryon. Verh. d. Eerste Klasse Kon. Ned. Inst. 3 Reeks. Tveede Deel. Amsterdam, 1850,. p. 144-149, tav. XXII. (3) Longo B. — Nuove ricerche sulla nutrizione dell'embrione vegetale. Rend. d. R. Accademia dei Lincei. C1. d. Sc, fis., mat. e nat. Vol. XVI, 2° sem.,. ser. 5* (1907), p. 594. 4 nt 10 ANITA Te I e AA 0A TILT INERENTE] RATSISTO TI PALE TIR A IMI, AD E POI TIT slavi È n vo È VI Cate: . U " 3 SALINE È : ti # È - der un e incendi: T6pa ASSAI Liudiata Lo Schacht inoltre non vi attribuì alcuna importanza dal punto di vista della nutrizione dell'embrione nè fece cenno alcuno delle ramificazioni. DO Fino a che l’austorio micropilare non è fuoruscito dal micropilo l’oospora si mantiene indivisa (fig. 6), dopo di che comincia a seg- mentarsi per svilupparsi man mano in embrione. Intanto un’altra cellula endospermica, nella regione calaziale del sacco embrionale, sì ‘ differenzia in un piccolo austorio calaziale. Mentre così procede lo sviluppo dell’endosperma e dell’embrione si cutinizzano le pareti interne delle cellule del tappeto di modo che tutto il sacco embrio- nale si trova ad essere circondato da membrane cutinizzate tranne per due piccoli tratti nella regione micropilare e calaziale in corri- spondenza ai due austori — tratti che rappresentano Je uniche vie pervie alle sostanze nutritizie che debbono giungere al sacco em- ‘brionale per essere utilizzate dall’embrione in via di sviluppo. È da notarsi inoltre che gli elementi vascolari del fascio, che dalla placenta penetra nell’ovulo, si arrestano alla base del funicolo e per tutta la lunghezza del funicolo e del rafe mancano completamente. Solo nella Impatiens Balsamina L. si trovano nel rafe uno o due tracheidi con ispessimenti spirali ed anulari; essi però sono iso- lati, in nessun rapporto cioè con gli altri tracheidi della base del funicolo e ad una notevole distanza da essi. A proposito del tappeto occorre ancora far rilevare che, mentre le sue cellule si presentano nell’ovulo allungate perpendicolarmente all'asse maggiore del sacco embrionale, nel seme esse si presentano schiacciate ed allungate tangenzialmente, addossate ai resti dell’en- dosperma che nel seme maturo è ridotto ad un’unica serie di cellule, « l’assise protéique » del Guignard (1). Dopo quanto ho su esposto credo non privo d’interesse dire ancora di alcune osservazioni da me fatte sulla orientazione dell'embrione nella Impatiens Balsamina L., sul potere germinativo dei semi della Impatiens Noli-tangere L. e sui fiori cleistogami dell’istessa pianta. L’orientazione dell'embrione nella /mpatiens Balsamina L. è assai diversa da quella delle altre specie d’Impatiens. Come è noto, l’em- i brione in generale si trova nel seme orientato in modo che l’estre- | mità della sua radichetta corrisponde al micropilo dell’ovulo e l’e- stremità dei cotiledoni alla calaza. E questo si osserva anche in tutte le specie d’Impatiens (fig. 11) da me studiate ad eccezione della /[m- patiens Balsamina L. (fig. 10). In questa specie, infatti, durante la (1) GuienARD L. — Op. cit. rt a A ANA et np av uil; per La d i f Eee, “. È x AdtZrarg pt CITE “ORTONA 1 n trasformazione dell’ovulo in seme, per un accrescimento non uni- i: forme delle varie parti dell’ovulo, l'embrione subisce uno sposta- mento in seguito al quale la estremità della sua*grossa e corta radi- chetta viene a trovarsi alquanto lontana dal micropilo e l’estremità dei cotiledoni assai lontana dalla calaza. Basta dare una semplice oc- chiata alla fig. 10 per vedere che il rafe si è accresciuto pochissimo in paragone del tegumento esterno e dell'embrione di maniera che la calaza, a differenza di quel che avviene nei semi delle altre Impa- tiens, viene a trovarsi situata di lato all’embrione. I semi della [mpatiens Noli-tangere L. perdono 1l loro potere ger- minativo se maturi non vengono subito interrati. Infatti mentre questa pianta, che è annua, si propaga abbondantemente quando si dissemina naturalmente, è assolutamente impossibile ottenere la ger- minazione dei semi quando essi vengono raccolti per essere poi se- minati. Il Brunotte (1) infatti cercò invano di far germinare a Nancy dei semi raccolti nei Vosgi e nelle Alpi, quantunque essi fossero ben maturi e quantunque avesse cercato di metterli in condizioni il più possibilmente simili a quelle naturali. Anch'io dovetti constatare lo stesso fenomeno. Per due anni consecutivi ho tentato inutilmente di far germinare i semi della /mpatiens Noli-tangere L. provenienti da diversi Orti Botanici (avendoli richiesti a tutti quegli Orti Botanici nel cui Catalogo dei semi liavevo trovati compresi). Infatti di un gran numero di semi posti in terra soltanto pochissimi germinarono, e pre- cisamente dei semi che mi erano stati erroneamente inviati per semi d’Impatiens Noli-tangere L. e che appartenevano invece ad altre specie d’Impatiens come potei ben presto constatare dalle piante che si svilupparono. Eppure a me premeva di poter avere degli esemplari di questa specie, per potere, come le altre, averla sott'occhio e stu- diarla nei diversi stadi, tanto più che lo studio della /mpatiens Noli- tangere L. m’interessava particolarmente essendo essa l’unica specie nostrale spontanea. Il Brunotte (2) per potere avere delle piante d’/m- patiens Noli-tangere L. a Nancy raccolse a primavera nella loro sta- zione naturale delle piantine col loro pane e le trapiantò a Nancy, ove esse crebbero benissimo, fiorirono e fruttificarono. Però i semi, raccolti e conservati in pacchetti durante l’inverno e poi seminati a primavera nello stesso terreno, non germinarono, mentre vi germina- rono benissimo quei semi che vi erano caduti direttamente dalla pianta. Per potere avere anch’io delle piante d’Impatiens Noli-tan- gere L. nell’Orto Botanico di Siena feci un altro tentativo non es- (1) BrunoTTE C. — Op. cit., p. 83-84. (2) BrunoTrTE C. — Op. cit., p. 36-37. Ai L 299 BEE Se O AI VIE NE a I E IRIS I E BE TER PA na a o ua È Iisg peer n Ran: N + ue, TSE, DEA u vu : J È ; y fi Ù 3 3 — sendo molto agevole di primavera raccogliere Je piantine sull’A p- pennino. In montagna, verso la fine dell’estate dell’anno scorso, Ve- niva fissato sul posto il materiale che mi doveva servire da studio e nel tempo stesso dai frutti maturi si facevano schizzare i semi in una manciata di terra umida raccolta all’istante sul posto e posta in un cartoccio fatto con delle foglie. Di ritorno a Siena la terra contenente i semi si sparse subito in un aiuola che si mantenne costantemente umida. Alla primavera di quest'anno i semi hanno germinato produ- cendo delle piante che hanno fiorito e fruttificato abbondantemente. I primi fiori che comparvero sulle piante, verso la fine di maggio, erano notevolmente piccoli e cleistogami; quasi contemporaneamente comparvero le forme di passaggio da questi fiori a quelli casmogami, poi le piante non produssero che esclusivamente fiori casmogami, finchè nella prima metà di agosto vidi comparire nuovamente dei fiori cleistogami, di modo che sulle piante in quell’epoca si trovavano contemporaneamente frutti di fiori casmogami, qualchs fiore casmo- gamo, fiori cleistogami e forme di passaggio. E da allora fino a che vissero le piante, cioè fino a tutto settembre, non si produssero che fiori cleistogami. La presenza di fiori cleistogami e di fiori casmogami contem- poraneamente nella Impatiens Noli-tangere L. era già stata notata dal Jussieu (1). Il Mohl però, basandosi sul fatto che generalmente soltanto i primi fiori della Impatiens Noli-tangere L. sono clei- ‘stogami, ritenne che l’asserzione del Jussieu fosse il risultato di un lapsus calami (2). Ma dopo quanto ho osservato sulle piante da me coltivate a Siena io non posso condividere l'opinione del Mohl ritenendo invece che l’asserzione del Jussieu fosse veramente fondata sull’osservazione. Dello studio dei fiori cleistogami della Impatiens Noli-tangere L. si oceupò il Mohl (3). I granelli pollinici di questi fiori germinano nell’interno delle antere senza che essi fuorescano e la Ritzerow (4) fa notare che il Mohl non dice se i tubetti pollinici seguano la via dell’apertura dell’antera. To ho esaminato la germinazione dei gra- nelli di polline, la fuoruscita dei tubetti pollinici e la loro penetra- (1) JussiEU (DE) ADR. — Monogr. des Malpighiacées, p.85 in Monr (vox) H., Quelques observations sur les fleurs dimorphes. Ann. d. Sc. Nat., V sér., Bot., tom. I, 1864, p. 209. (2) MoHL (von) H. — Quelques observations sur les fleurs dimorphes. Ann. d. ‘Sc. Nat., V sér., Bot. tom. I, 1864, p. 209 in nota. (3) MoxL (vox) H. — Op. cit. (4) Rirzerow H. — Veber Bau und Befruchtung Kleistogamer Bliiten. Flora ‘oder Allg. bot. Zèitung, 1907, II Heft, 98 Bd., p. 211. zione nello stimma. A questo scopo, e per potere osservare con sicu- rezza i rapporti fra le antere, i tubetti pollinici e lo stimma, fissavo e imparaffinavo i fiori cleistogami interi e li sezionavo in serie, sia longitudinalmente che trasversalmente. Inoltre osservavo lo stimma anche sul fresco in acqua e in glicerina dopo aver tolto il perianzio. e gli stami. A tutta prima sembra difficile cogliere lo stadio in cui i tubetti pollinici, usciti dalle antere, penetrano nel pistillo; ma dopo aver sezionato un gran numero di fiori cleistogami nei diversi stadi di sviluppo, ho potuto stabilire che questo stadio si presenta nei fiori quando il perianzio si fende circolarmente alla base ed insieme con gli stami comincia ad essere portato in alto dal pistillo a guisa di cappuccio. Ho potuto così osservare che le antere mature sono prov- vedute dello strato fibroso con le caratteristiche sculture lignificate e deiscono, che i tubetti pollinici, prodotti dai granelli di polline che germinano nell’interno stesso delle antere, seguono uscendo la via dell’apertura delle antere (fig. 4) e si dirigono fra i lobi dello stimma situati molto vicino alle aperture delle antere (fig. 4), percorrono (fi- gura 5) il breve stilo e penetrano nelle loggie dell’ovario per rag- giungere il micropilo degli ovuli. È notevole il gran numero di tubetti pollinici che penetrano nell’ovario mentre debbono fecondare pochissimi ovuli. Inoltre, contrariamente a quanto dice il Mohl (1), levando le antere, non tutti i tubetti pollinicìi si spezzano senza tra- scinare fuori i granelli pollinici; infatti, dopo tolte le antere, oltre ad un gran numero di tubetti pollinici spezzati che si trovano fra i lobi stimmatici, ho quasi sempre osservato qualche tubetto pollinico intatto col granello di polline da cui ha avuto origine (fig. 8). Que- sti granelli di polline sono quelli che si trovano in corrispondenza all'apertura delle antere e sono quindi facilmente asportati dai rela- tivi tubetti pollinici. | Fra i diversi modi di nutrizione dell'embrione, che si discostano. dal modo normale e che sono stati messi in luce da diversi anni dai botanici che si sono occupati di ricerche embriogeniche, è certo il caso più frequente rappresentato dagli austori di origine endosper- mica (2). Mentre però quésti austori endospermici erano stati trovati frequenti nelle Simpetale, essi non erano ancora stati segnalati nelle Dialipetale. Il caso delle /mpatiens viene dunque a provare che anche (1) Mont (von) H. — Op. cit., p 216. (2) Longo B. — Osservazioni e ricerche sulla nutrizione dell'embrione ve- getale. Annali di Bot. Vol. II, fasc. 8° (1905), p. 392. e nelle Dialipetale vi sono piante in cui la nutrizione dell'embrione si effettua mediante austori di origine endospermica e che questi au- stori sono altrettanto sviluppati quanto 1 più caratteristici delle Sim- petale. È il caso qui di richiamare l’attenzione sopra un fatto, che fin da principio credetti bene far rilevare: la grande variabilità, cioè, che si presenta nella struttura dell’ovulo e del seme nelle varie specie di Impatiens, variabilità che, come si è veduto, troviamo persino in ca- ° ratteri che erano ritenuti costanti non solo pel genere, ma anche per l’intera famiglia delle Balsaminaceae. Intendo qui riferirmi all’au- storio ed al tappeto. Il Billings, infatti, passando in rassegna i carat- teri di alcune famiglie appartenenti all’ordine delle Gruinales, dà come caratteri delle Balsaminacee la mancanza di austori e la pre- senza di tappeto (1), mentre, come si è veduto, nè l’uno nè l’altro dei due caratteri è costante nelle diverse specie del genere [mpatiens, es- sendo in tutte presente un austorio endospermico ad eccezione della. Impatiens Noli-tangere L. e mancando il tappeto nella [mpatiens Bal- samina L. Questa variabilità che sì presenta anche nelle specie di uno stesso genere ci ammonisce come sia necessaria una ricerca ac- curata prima di poter tirare delle conclusioni sulla presenza o no di austori in una famiglia, e ci fa pensare che forse il caso delle /mpatiens non è un caso isolato nelle Dialipetale, ma che unarevisione accurata dello sviluppo dei semi nelle varie famiglie di questo gruppo potrà forse portare alla conoscenza di fatti analoghi. Del resto da quanto è finora noto al riguardo dei modi di nutrizione dell’embrione si rileva che gli austori si presentano in piante diverse, sia in specie dello stesso genere o della stessa famiglia come in specie lontanissime ap- partenenti a gruppi diversi di piante, sia in piante parassite che in piante non parassite (2). La presenza di austori non può dunque es- sere considerata come un carattere di parentela, ma soltanto come un semplice adattamento the la medesima funzione, quella importantis- sima cioè della nutrizione dell'embrione, determina in piante diverse, indipendentemente dalla loro posizione nel sistema. (1) BiLLines F. H. — Beitràge zur Kenntniss der Samenentwickelung Flora oder Allgem Bot. Zeitung, 1901, 88. Bd., Heft III, pag. 67 dell’Estratto.. (2) Incidentalmente fo qui notare che il comportamento delle [mpatiens è un’altra prova che, contrariamente a quanto si era pur supposto, non esiste alcun rapporto fra la presenza di austori e il parassitismo della pianta. Noi troviamo infatti austori tanto in piante parassite quanto in piante non paras- site, e in due specie dello stesso genere, entrambe non parassite, come è ap- | punto il caso nelle /mpatiens, noi troviamo nell’una presente nell’altro no un. austorio endospermico. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Ue (Tav. VIII-X). Fig. 1. — Apice nucellare di un giovane ovulo d’Impatiens Balsamina L. du- rante la seconda divisione della cellula madre del sacco embrionale. Obb. apocr. 2 mm. ed Oc. comp. 4(Koristka). Fig. 2. — Id. dopo avvenuta la seconda divisione: la cellula figlia inferiore si è divisa in due cellule nipoti, mentre nella superiore non si è diviso che il nucleo solamente. Obb. apocr. 2 mm. ed Oc. comp. 4 (Koristka). Fig. 8. — Sommità del pistillo di un fiore cleistogamo d’Impatiens Noli-tan- gere L. dopo tolti gli stami nell’interno delle cui antere erano germinati i granelli pollinici. Obb. 5 ed Oc. 1 (Koristka). Fig. 4. — Sezione trasversale di un fiore cleistogamo d’Impatiens Noli-tangere L. praticata all’altezza dei lobi stimmatici dopo la germinazione dei granelli di polline nell'interno delle antere. Per brevità, oltre la sezione dei lobi stimmatici, è stata disegnata soltanto la sezione di una sola antera. Obb. 5 ed Oc. 1 (Koristka). Fig. 5. — Sezione trasversale dello stilo di un fiore cleistogamo d’Impatiens Noli-tangere L. con le fessure piene di tubetti pollinici. Obb. 5 ed Oc. 1 (Koristka). Fig. è. — Fuoruscita dell’austorio micropilare nella /Impatiens amphorata Edgew. Obb. 7* ed Oc. 1 (Koristka). Fig. 7. — Austorio micropilare della Impatiens amphorata Edgew. Obb. 5 ed Oc. 1 (Koristka). Fig. 8. — Austorio micropilare della Impatiens Roylei Walp. Obb. 5 ed Oc. 1 (Koristka). Fig. 9. — Austorio micropilare della Impatiens Balsamina L. Obb. 1 ed Oc. 3 (Koristka). Fig. 10. — Sezione longitudinale di un giovane seme d’Impatiens Balsamina L. praticata parallelamente alle facce dei cotiledoni. Obb. 1 ed Oc. 83 [tubo chiuso] (Koristka). Fig. 11. — Sezione longitudinale di un giovane seme d’Impatiens parviflora DC. praticata parallelamente alle facce dei cotiledoni. Obb. 1 ed Oc. 3 [tubo chiuso] (Koristka). SIGNIFICATO DELLE LETTERE. c. — calaza. e. = embrione. end. = endosperma. f. = funicolo. Fig. 2 Fig.1 + È NN i ALA i de Il Li ‘% VE x bi WE. , è oi “A (D} y 7 Di DO (a (Ul LU Î LR ipa» ti pi Li » SONMTe) SR DD ®; (17 pe nd ri ua! 1 SERRA lo. 46 00 fi "= Si aa aaa III sg regio, rono o eseguiti con la camera. lucida di Abbe allo stesso livello. del microscopio e, eccetto per le fig. 10 ed 11, a 160 mm. di lun- Ricerche di morfologia e fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma "XXV. — La fogliazione delle Acacie a fillodii verticillati, subverticillati, conferti e sparsi. Di ERMINIO MIGLIORATO (Tav. V-VII). a Acacia verticillata Willd. (1) « La fogliazione dell’Acacia verticillata è un fenomeno interessante che merita uno studio particolareggiato ». DeLpino — Teoria generale della Fillo- tassi. (1883), p. 189 (2). ARGOMENTO. L’Acacia verticillata (Willd. Sp. pl. IV, 1049) presenta allo stato fillodico, tanto della piantina che della pianta adulta, verticilli e pseudoverticilli di fillodii, nei quali un solo di questi è provvisto di 2 nettario, è l’inizio di °/, e porta all’ascella la gemma foglifera o LI quella fiorifera, inoltre è provvisto di stipole, mentre gli altri fil- lodii non ànno mai nettario, non portano mai gemma all’ascella, non ‘anno mat stipole, sono sulle decorrenze fogliari e non obbediscono a leggi fillotassiche. (1) Annunciai questo lavoro con una nota preventiva, col medesimo titolo, inserita in questi stessi Annali di Botanica (vol. VII, p.171-172. Roma 1908) e riportai le conclusioni delle mie ricerche sull’Acacia verticilltata Willd.iniziate altrove e continuate nell’Istituto botanico di Roma dal 1904 sui materiali procuratimi dal Ch.mo prof. Romualdo Pirotta, direttore di questo .istituto. Renderò poi note le osservazioni sulle seguenti specie, come dichiarai nella sudetta nota: Acacia axillaris Benth.; Baueri Benth.; bruniades A. Cunn.; cedroides Benth.; conferta A. Cunn.: conjunctifolia Muell. ; ericaefolia Benth.; galio- ides fon: hyppurioides Heward.; juniperina Willd.; lycopodifolia A. Cunn; ‘minutifolia Igea: oxycedrus Sieb.; Riceana Henslow.; spondylophyUa Muell; subternata Maat: etc. ete. (2) V. Bibliografia a pag. 85 i rn LI AR e e o Fisici dario D0A 3 SIRO REA | | Anche giovine differenze nel numero dei fasci nuto, Sio distinguono i fillodii col nettario da quelli senza nettario. î Fu creduto pure che i fillodii senza nettario avessero acciden- talmente stipole. La natura dei fillodii senza nettario fu creduta stipolare da al- cuni ed emergenziale da altri. Ultimamente i medesimi furono creduti rachidi (fillodinizzate) se- condarie della foglia pennata, la cui rachide principale sarebbe concre- sciuta col fusto (1), perciò essi, secondo gli autori che emisero tali ipo- tesi, sono provvisti di stipole. Codesti fillodii senza nettario furono chiamati « pseudofillodii » dal Delpino; nome che adotto nel corso di questo lavoro per comodità. di nomenclatura. z Prima di esporre le mie osservazioni riporto, in ordine cronologico, quanto è stato scritto relativamente alla fogliazione di questa specie. Non è difficile che mi sia sfuggita qualche pubblicazione, quan- tunque io abbia con molta cura riscontrato la bibliografia. * * Il Bentham (Revision of the Suborder Mimoseae. Trans. Linn. Soc. vol. XXX, 1874) sotto al nome dell’Ac. vert. Willd. riporta: Acacia verticiLLatA Willd. Spec. pl. IV, 1049. Phyllodia verti- cillata v. rarius sparsa, in forma typica lineari subulata, subsemi- pollicaria v. breviora, rarius longiora, costa utrinque prominula ad- ditis rarius nervis 1-2 lateralibus. Spicae densae, cylindraceae etc. Syn. Mimosa verticillata L'Herit. Sert. Angl, 20; Vent. Jard. Malmaison t.63; Bot. Mag. l. 110. Acacia semiverticillata Knwl. et Weste. F2. Cab. II, 27 VAR. LATIFOLIA Phyllodia lanceolata v. oblonga. Syn. Acacia ruscifolia A. Cunngh.! in G. Don, Gen. System. II, 407; Bot. Mag. tab. 3195. Acacia moesta Lindl! Bot. Reg. 1846 t. 67. var, ovorea. Phyllodia formae typicae. Spicae abbreviatao saepius ovoideae, pauciflorae. (1) Questa memoria fu chiusa il 28 agosto 1908, poi nel 26 marzo 1909 v'inserii quanto riguarda un lavoro dei proff. Luigi Buscalioni e G. Muscatello (V. pagg. 80,81,89-91). In appendice (pp. 122,123-130) riporto le mie osservazio- ni in risposta ad una critica dei sudetti proff. fatta alla mia nota preventiva. Fat IATA pren DEI DR (a) :Syn. Acacia ovoidea Benth.! in Hook. Lond. Journ. I,339; Hook. Fl. Tasman. +. 20; Dietr. FI. univ. +. 8. * * * I materiali delle mie ricerche appartengono alla forma tipica. La varietà /atifolia molto probabilmente è da escludersi dalla Ac. verticillata, perchè è provvista di stipole in tutti i membri del verticillo, a giudicare in parte dalla descrizione riportata dal Wal- pers (v. p. 183) e da quella di Buscalioni e Muscatello (v.p. 128). La var. ovoidea forse è pure da escludersi dalla specie, perchè à i fillodii tetragoni (v. p. 84). Di queste varietà mi occuperò nella continuazione di questo lavoro e così pure della var. y riportata dal Mueller, (v. pag. 84). BIBLIOGRAFIA (1). 1788. L’H&erriER. Sertum anglicum. Parisiis 1788, p. 30. Mimosa verticillata Tab, 41. <..... foliis verticillatis..... In planta nascente folia duo vel tria primordialia bipinnata ». Non ho potuto riscontrar la tavola, perchè nella copia di quest’o- pera da me consultata (posseduta dall’Istituto botanico di Firenze) le tavole sono 34 come riporta Pritzel nel Thesaurus (ediz. 1872). 1739 Arron W. Hortus kewensis, or a Cataloque of the plants culti- vated in the Royal Botanic Garden at Kew. 1789. Vol. III, p. 488. Mimosa verticillata. « Foliis verticillatis ». 1791. Curtis W. Botanical Magazine vol. IV, tab. 110. London E(9L >». < Mimosa verticillata......... foliis verticillatis ». Figura in un modo pessimo un ramo e una piantina venuta da seme. I membri dei verticilli del ramo non ànno alcun particolare. La piantina à due foglie bipennate senz’alcun particolare; così pure i membri del verticillo che seguono a queste. 1795-1850. KERNER. — Hortus sempervirens. 1795-1830. Acacia verticillata W. tab. 268. Non mi è riuscito consultare questa opera rarissima. Siccome la specie è sotto il nome di Acacia, la tav. relativa de- V'essere posteriore al 1805 (V. Wildenow). (1) Non mi è riuscito poter consultare: Mueller F. von. PI, victor. II, 10. ANNALI DI BoTANICA — Vot. VIII. 6 1804. — Vapetii E. P. — Jardin de la Madia nosso I, ot: tab. 63. Paris 1804. Mimosa verticillata. L’Héritier mss. « Foliis verticillatis... » Feuilles disposées en anneau ou verticilles au nombre de six, opposées alternativement de trois en trois sur les còtés et sur les faces de leur support... munies de stipules... Stipules droites en alène, mem- braneuses, très courtes, tombant promptement ». Dice che le prime LEE secondo Curtis (Bot. Mag.) sono paripen- nate con foglioline disposte in tre o quattro coppie, opposte, sessili, ovali e acute. Dà una buona figura d’insieme, in grandezza naturale, ma senza alcun particolare dei fillodii e dei pseudofillodii. Figura un fillodio senza particolari oltre il nervo mediano. 1805. WiLLDENOW. — Species plantarum. 1805. vol. IV, p. 1049 Acacia verticillata Willdn. « Folils... verticillatis. Ramis sulcati... folia verticillata terna, quaterna, quina... » Wildenow è il primo che la mette nel genere Acacia, 1807. PeRsooN. — Synopsis Sai vol. II p. 261. Mimosa ver- ticillata. « Foliis verticillatis... 1820. WexpLAND H. C. — SM de Acaciis aph oe Han- noverae 1820. I fillodii (fill. e pseud.) sono subverticillati. 1821. Loppiges. — The Botanical Cabinet. 1821, vol. III, n. 535. Riporta una pessima figura di un ramo con verticilli senza par- ticolari, e quà e là paia di fillodii pure senza particolari. 1825. De CanpoLLE A. P. — Prodromus etc. II, p. 453. 1825. Acacia verticillata Willd. « Phyllodiis subverticillatis... Phyllodia forsan terna nempe unico centrale et 2 lateralibus pro stipulis dilatatis habendis? ca iglabia Adi phyllodiis lineari-subulatis . . . . . » « Db angusta. . .... phyllodiis lineari . .... simillima A. Jjuniperinae ». 1826. SprenceL K. — Systema vegetabilium. 1826, vol. III, p. 186. A. verticillata. « Petiolis verticillatis ». 1831. Braun Al. — Vergleichende Untersuchungen iber die Ord- nung der Schuppen in der Tannenzapfen als Einleitung zu Untersu- chungen der Blattstellung. Nova Acta Acad, Caes. Leopol. Nat. Curios. Tom. XV. 1881, p. 252-358. Consta che il verticillo dell’Ac. verticillata è fra i 5 e 19 fillodii, dei quali un solo è il nettario e la gemma all’ascella. Considera per- ciò i pseudofillodii come produzioni stipolari incapaci a produrre gemme all’ascella, si a iaia CA te ‘ + af REA he Dice Gedttarsi d’un caso analogo a quello delle stipole di Galium e che i i fillodii col nettario sono disposti secondo 2/5. Lo spostamento ‘è frequente tra i pseudofillodii ed è dovuto a tensione ineguale del fusto, la quale per nulla pregiudica la disposizione fillotassica dei fil- lodii col nettario, poi soggiunge « Dies ist der einzige mir bekannte Fall, dem man Dit Grund als einem dispersus foliorum congentto- rum bezeichnen diirfte, wobei man jedoch unter den foliis congenttis ‘sich nichts anderes als die getrennt erscheinenden Theile eines ‘einzigen Blatts zu denken hiitte ». (Un'importante rivista bibliografica di questo lavoro fondamen- tale si trova in Guillemin. Archives de Botanique. 1833, vol. II, p.- p. 315-337). 1832. Don G. A general History of the Dichlamideous plants. 1832, vol. II, p. 407. Traduce la frase del Prodromus del De Candolle. 1832. Curtis W. — Botanical Magazine, vol. 59°, tab. 3195. Lon- -don 1832 (1 Nov.) A ruscifolia A. Cunningham! (Questa specie dal Bentham nelle « Mimoseae » (1) è riportata quale varietà latifolia dell'A. verticillata). Il Curtis osserva quanto segue: « phyllodiis verticillatis sparsi- ‘sve... 2-3 nerviis ». Nella descrizione dice: « Leaves (phyllodia) rarely nea or in ‘pairs, almost constantly verticillate, five or six in a whorl... Riporta una figura e un fillodio ingrandito senza li i 1838. KnowLEs AND WestooTT. — Floral Cabinet. II, p. 27, 1838. Acacia semiverticillata K. and W. Non mi è riuscito consultare quest'opera però dalla descrizione ri- portata da Walpers (Rep. I, 1842, p. 922) apprendo che gli autori non fecero distinzione tra fillodii e pseudofillodii. 1842. WaLpERS. — Repertorium etc. 1842, vol. I, p. 891, n. 58 Ac. verticillata Willd. « Ramulis angulato-striatis; phyllodiis... subverticillatis... uni- nervis v. rarius subtrinerviis. Id. 8 latifolia DC. — A. ruscifolia All. Cunn. mss. et Hook. Bot. Mag. t. 3195, Stipulis spinosis deciduis; phyllodiis verticillatis sparsisve, ova- tis ovato-lanceolatisve acutis mucronatis... 2-3 nervis, mucrone recto pungente. 1842. WaLpPERs. — Lepert I, p. 999 (1) V. pag. 80. ande ela, 272 ORA PIRA GAI — 84 — < Ac. semiverticillata Knowl. et Weste. Phyllodiis semiverticilla- È tis subulato linearibus... uninerviis ». 1842. BentHAM G. — Notes on Mimoseae, with a Synopsis of Spe- cies. In Hooker. London Journal of Botany 1842, vol. I, p. 339 n. 57 « Acacia ovoidea Benth. Ramulis angulato-striatis, phyllodiis hine inde verticillatis... nervo prominente subtetragonis ». Idem, p. 340: A verticillata Willd. Ramulis angulato-striatis,, phyllodiis subverticillatis... uninerviis v. rarius subtrinerviis. 1843. ParLatoRE F. — Lezioni di Botanica comparata. Firenze 1843, p. 157. Citando l’A. vert. parla di fillodii senz’altra notizia. 1846. LinpLev. — Bot. Reg. 1846, t. 67. (A. moesta Lindl! — Ac. vert. var. latifolia Benth). Non mi è riuscito poter consultare: quest’opera. 1858-59. MueLLER F. — Contributiones ad Acaciarum Australiae cognitionem. With notes on the new species. — Journal of the proceed. of the Linnean Society. — Botany vol. III. London 1859, p. 114- 148. (Read May 6", 1858) pag. 121 « n° 19. Acacia verticillata W. Sp. PI. IV. 1049 y cephalantha. .... phyllodiis tenuissimis. setaceo-subulatis. » 1860. Hooxer J. D. — Flora Tasmaniae, vol. I, p. 106. Dicotyle- dones. London 1860. Quest'opera importantissima è la III parte della « Botany of the, Antartic voyage of H. M. Discovery Ships Erebus and Terror in the years 1839-43 >. A. vert. I rami sono striati. I fillodii sono generalmente verti- cillati ed in numero di 6, uninervii e raramente trinervii ». A. vert. var. f latifolia DC. Prod. II, 454. . . phyllodiis latio- ribus submembranaceis. — (A. ruscifolia A. Cunn. etc. A. moesta Lindl. etc). A ovoidea Bentham Lond. Journ. of Bot. I, 339. A. vert. var. ovoidea Benth. Fl. austral. vol. IT.). Cito questa specie, perchè il Bentham ne fa una varietà della ver-- ticillata, però essa, a giudicare dalla figura e dalla descrizione ripor- tate dall’Hooker (tab. XX), non sembrerebbe doversi riferire a que- sta specie, perchè à i fillodii subtetragoni. La figura dell’Hooker non riporta particolari. In un verticillo ingrandito poco più di tre volte un solo membro senza particolari è una stipola. 1861. DierRICH. — Flora universale. N. ser. t. 8 (A. ovoidea Benth. A. vert. W. var. ovoidea Benth). Non mi è riuscito poter consultare quest'opera. AT o e CANA eee ti calle Ele e 3 Pr» Ò ba - d A "di i ai 7. > * a se e dd Tek — 855 — | 1864..BentHAx G. — Flora australiensis, vol. II, (1864) p. 334 A. vert. Willd. i Non parla di differenze tra fillodio e pseudofillodio. Dice i fillodi ‘sparsi o più o meno verticillati. Stipole minute. 1867. HormeisteR W. — Handbuch der Physiologischen Botanik. II Allgemeine Morphologie der Gewiichse, 186%, p. 525 e fig. Le stipole, cioè i pseudofillodii, si svillupano in una maniera così ‘simile alla parte mediana della foglia (fillodio) da dare a queste l’or- dinamento verticillare. Osservazioni organogeniche dimostrano che le stipole (cioè è pseudofillodii) compaiono più tardi del fillodio col nettario. 1868. Fermonp CH. — Phytomorphie ou étude des causes qui dé- terminent les principales formes végétales. Paris 1868, vol. II, p. 114. Non parla di differenze tra fillodio e pseudofillodio e dice che il ver- ‘ticillo è dovuto a plesiasmia, cioè a difetto di sviluppo dei meritalli. 1874. BenTHAM G. — Revision of the suborder Mimoseae. Transact. Linn. Society, vol. XXX, 1874. Non fa menzione di differenza tra i fillodii e i pseudofillodi. I fil- lodii sono verticillati e raramente sparsi. V. pag. 80 circa le forme dell’Ac. vert. secondo l’a. 1880. LinpLey J. AND PaxToNn J. Flower Garden. London I ed. 1851-3; II ed. 1880. Non mi è riuscito poter consultare quest'opera. 1885. DeLPINo F. — Teoria generale della Fillotassi. Atti della R. Università di Genova. 1883, vol. IV, p.'€ II, pp. 124, 169-170; 184- 189; 331-332. Pag. 124: I fillodii senza nettario sono emergenze del tessuto « epidermico e .subepidermico >», cioè organi appendicolari. Pagg. 169-170: Dice conveniente considerare in generale come formazioni indi- pendenti dalle foglie le decorrenze fogliari, le quali sono prodotto | postumo della regione fillopodiale e posteriori alle lamine fogliari. Ammette che le emergenze ànno talora torma adeguata alla fun- zione, echetalvolta esse ànno fasci fibro-vascolari e simulano organi fogliari. Fra queste formazioni sono i pseudofillodii dell’ Acacia verticillata — « delle forme affini. Pag. 184: Dice i fillodii uninervii (1). (1) Quest’osservazione non corrisponde ai fatti di; Pag. 185: ; Sa che i fillodii e i pseudofillodii ànno comuni SE esterni e interni e spiega il fatto « fino ad un certo punto si spiega dalla parità. di funzione da essi assunta ed esercitata. » (1). I pseudofillodii sono produzioni appendicolari delle decorrenze. Non à alcuna significazione genetica il loro ordine verticillare: la comparsa d’un pseudofillodio àè determinata quella degli altri; la ver- ticillazione è falsa per ragioni fillotassiche trovandosi un sol fillodio nel verticillo. Pag. 188: Se i pseudofillodii fossero fillomi la fillotassi della specie in questione sarebbe anomalissima: « Varrebbe solo quest’'esempio @ distruggere la nostra teoria meccanica e a dimostrare che le foglie stano realmente organi appendicolari ». Dice, inoltre, che i fitografi sono caduti in errore credendo fillòmi tutti i fillodii e dando alla specie il nome di verticillata. Pag. 185-186 : I fillodii ànno nettario, i pseudofillodii non nè ànno. Rileva l'errore di Braun e di Hofmeister che credettero i pseu- dofillodii di natura come le stipole delle stellate. Le vere stipole esistono e sono ridotte a due squamette: una per lato e alla base del fillodio col nettario (2). I fillodii senza nettario perciò vengono da lui chiamati « psew- dofillodii ». I pseudofillodii non sono nè fillomi, nè caulomi « densì vere emer- genze, assimilabili ai pungiglioni di Rubus e di Smilax; da cui per al- tro differiscono e per la diversa funzione, e perchè posseggono un fascio. fibro-vascolare » (3). Pag. 331-332 (conclusione dell’opera) : Dice di aver chiarito la natura dei fillodii di detta acacia. 1888. KaurHoLz. —— Beitrige zur Morphologie der Keimpflanzen. Rostock 1888. Pagg. 30-31). Le acacie vert. e Riceana ànno le prime foglie pennate, poi ven- gono due o tre foglie bipennate, Il picciuolo si appiattisce in senso. verticale. Vengono poi verticilli fillodici aventi da 7 a 12 membri. In alcuni verticilli v'è una gemma ascellare e mai più d’una; in (1) Il Delpino, fautore accanito delle cause finali, si mostra in questa in- terpetrazione un pochino non finalista. (2) Le stipole furono descitte la prima volta da vasienai nel 1804, v. p. 82° (E. M.). (3) Quest’osservazione non corrisponde al vero, poichè i pseudofillodii ànno- più fasci. ut non v'è gemma. Il numero dei verticilli senza gemma sorpassa quelli con: gemma. I verticilli senza gemma ascellare sì compongono di membri tutti eguali, gli altri no, cioè il membro che porta la gemma all’a- scella possiede due stipole membranacee. Non parla del nettario. Nota maggior numero di fasci fibro-vascolari nel fillodio con le stipole. Non à materiali per ‘studiare lo sviluppo dei verticilli, perciò | non può decidere la questione, ad ogni modo i pseudofillodii (che egli chiama fillodii senza gemma) non ànno lo stesso valore dei fil- lodii. (1) Non cita le ricerche di Hofmeister, di Braun e di Delpino. Pax F. — Allgemeine Morphologie der Pfanzen. Stuttgart 1890. Pag. 109. Parlando delle Acaciae vert. e juniperina dice che i fil- lodii sono aghiformi e null’altro. 1891. LuBBocx. J. — On Stipules, their Form and Function. Journ. of the Linnean Society (Botany) vol. XXVIIT. No 193. London 1891, 26 May, pagg. 229-230. Non distingue i fillodii dai pseudofillodii e dice che le stipole generalmente non ci sono, e si trovano sol quando c’è una gemma all’ascella dei fillodii. Figura un rametto ingrandito TE. !/) con un fillodio provvisto di stipole e con un rametto ascellare. Il tutto senza particolari. 1892. LusBock J. A. — A Contribution to our Knowledge of seed- lings. 1892. vol. I, p. 473-74. Dà semplici notizie descrittive della fase fogliata della giovane piantina e non parla di differenze tra fillodio e pseudofillodio. Si limita a citare le stipole dei « fillodii verticillati». Figura una giovane piantina, un fillodio e un verticillo di fillo- dii senza alcun particolare e con pessimi disegni. 1894. TauBERT in EncLER unD PRANTL. — P/lanzen-familien (Le- guminosae) 1894, III_ 3, p. 108, fig. 63 C. (Juli 1891). Figura, con un disegno schematizzato, l’Ac. vert. senz’alcun particolare, facendola completamente verticillata. 1894. Manx A. — Was bedeutet « Metamorphose » in der Botanik? Inaug. dissert. Miinchen 1894. Raramente la foglia pennata termina con una fogliolina. Riporta le figure di Hofmeister sullo sviluppo dei pseudofillodii. (1) Ciò era già conosciuto. est da; Pe CASS pe ae tt Pas NU dl 20 (DRS ) i. t Signa Consta che solamente i fillodii cheànno gemma all’ascella ànno stipole. I pseudofillodii (fillodii per l’autore) o sono o a coppia isolati o in verticilli da 3 a 5. I fillodii con gemma ascellare sono disposti generalmente se- condo °/,. 1896. GoeBEL K. — Ueber Jugenformen von Phanzen und deren Kiin- stliche Wiederhervorrlesung. Sitz. - ber. k. k. bayer. Akad. Wissen- schaft. Math. - phys. Classe Bd. XXVI, 1896, Heft 3, p. 447-497. Muenchen 1897. Pochi fillodii ànno gemma all’ascella e le stipole. Gli altri fil- lodii, più numerosi, non ànno gemma ascellare, perciò l’autore li chiama sterili, però essi qualche volta ànno stipole (1). Codesti fillodii sterili, giusta l’osservazione di Hofmeister, sì svi- luppano nella gemma dopo quelle fertili. Le foglie esistono solamente nelle piantine germoglianti. La re- gione inferiore di dette piante conserva la facoltà di produrre foglie, infatti le gemme nate all’ascella di dette foglie portano una o due foglie. Piantine allevata in ambiente umido produssero dopo la fase fillodiata nuovamente quella fogliata. L’A. trovò in una pianta, che dopo la fase fillodiata aveva pro- dotto quella fogliata, tre foglie in un verticillo, ciò che dimostre- rebbe, secondo l’A., che l’osservazione di Hofmeister è insoste- nibile. (2). 1897. ReinkEe J. — Untersuchungen iber die Assimiliationsorgane der Leguminosen. Pringsheim. Jahrbiicher fiir Wissenschaftliche Bo- tanik, XXX Band, Berlin 1897. I fillodii formano quasi sempre verticilli regolari di 6-12 mem- bri; alle volte essi sono disposti in mezzo verticillo e irregolar- mente. Alcuni fillodii ànno stipole e la gemma all’ascella, altri non ànno nè le prime, nè la seconda. La maggior parte dei verticilli non ànno gemme. Tra i fillodii con gemma e quelli senza gemma c’è differenza: i primi ànno alcune particolarità anatomiche come notò Kaufholz. È convinto che i fillodii senza gemma all’ascella sono da consi- (1) Dimostrerò che queste stipole sono pseudofillodii ridottissimi (v. p.108,119). (E. M.). (2) È un fatto, invece, da attribuirsi a spostamento fillotassico o a poli- meria. (E. M.). i IFAC Lo Lila te den 1 RT A ; e I È — 89 — derarsi come fillodii. In appoggio a codesta opinione riporta una figura, nella quale alcuni fillodii ànno due foglioline all'apice e sono disposti quasi in verticillo. Tra una foglia è un fillodio, che è rudimenti di foglioline al- l’apice, è notato un fillodio di quelli senza gemma. La cuticola dei fillodii è spessa e gli stomi sono molti, malgrado ciò: essa specie non è‘ xerofila, perchè nasce neî posti umidi e palu- dosi (Bentham Fl. austral., II, 334). I fillodii che ànno la gemma all’ascella ànno pure il nettario. Parla della struttura delle laminette delle pinnule del fillodio e poi del nettario. 1898-901. GoeBEL K. — Organographie der Pflanzen. Jena, 1898- 1901, p. 149-50; 500; 562-63. Pag.-149-50: La specie presentò in alcune piante poste in luogo arido, dopo che avevano formati i fillodii ed i pseudofillodii, rami fogliati. Questo fenomeno è anche rappresentato da una figura (n. 105). Pag. 500: Dice che i fillodii senza gemma accidentalmente ànno stipole. I fillodii precedono anche nello sviluppo i pseudofillodii, feno- meno che fece credere a Braun e ad Hofmeister trattarsi d’un caso simile alle stipole delle stellate. Pag. 562-563: Ripete le cose già dette. Riporta una figura di Mann, cioè un ra- metto senza particolari dei fillodii e dei pseudofillodii, oltre la gemma all’ascella dei primi. 1901. Lkpoux P. — Sur Za régenération expérimentale des organes foliaires chez les acacias phyllodiques. C. R. Assoc. franc. avancement des Sciences. 30"* sess. 1901. 1'° Partie, p. 124. 2° Partie, p. 431-438. Cita e figura una pianticina di Acacia verticillata che non è (!) di questa specie. 1907. VeLknowsky J. — Vergleichende Morphologie der Pflanzen. II Theil. Prag. 1907. Phyllodien p. 476. Dice solamente che i fillodii terminano con apice spinoso. Non accenna a distinzione tra fillodio e pseudofillodio nel parlare delle acacie in generale. 1908. BuscaLioni L. e MuscatELLO G. — Fillodii e Fillodopodi. Studio sulle Leguminose australiane. Atti Accad. Gioenia di Scienze naturali in Catania. Serie 5°. vol. I, 30 genn. 1908 (data della pre- sentazione). PA RE I LU) ca e AME TT ‘da RFI da ie PO ‘ata e VT 4 t Pag. 4 (dell’estratto): i Gli autori sì riservano di studiare la verticillazione dell’ Acacia verticillata. Notano anch’essì che nel verticillo c’è un sol fillodio con gemma. all’ascella e con nettario, e che i fillodii senza nettario sono più numerosi. Pag. 14: I verticilli sono di 2-3-4 membri. « ... 1 fillodii giovani sono fiancheggiati da due stipole rudimen- tali (fig. 55 St.) (1) le quali scompaiono, fatta però eccezione per quelle grandi che fiancheggiano i fillodi più rigogliosi forniti di ghian- dola e di un ramo vegetativo, oppure di un peduncolo fiorifero ascel- lare (fig. 52 e 55 StG) (1). Come conseguenza d’un tale stato di cose sì verifica anche la mancanza dei fasci destinati alle stipole alla. base dei fillodii che le hanno rudimentali ». Pag. 24: La fillotassi della specie non à trovato una plausibile soluzione. * Le citate figure sono fotozincotipate, ma riprodotte in modo tale da rappresentare delle macchie nere, per modo che il lettore non riscontra in esse quanto asseriscono gli autori nel testo. In eguale stato si trova il rametto di A. vert. data dalla figura. i Pag. 24 (conclusioni): < ... ci limitiamo a far osservare che il frequente aggruppamento di tre fillodii per ogni nodo può indurre nell’osservatore il sospetto che sì tratti di rachidi secondarie fillodiniche non più sorrette da un pic- ciuolo principale che si sarebbe invece fuso colramo (fillodio latente) » 1908. MigLIorATO E. — La fogliazione delle Acacie a fillodii verticil- lati, subverticillati, conferti e sparsi. Nota preventiva. Annali di Bota- nica. Roma, 1908, vol. VIII, pp. 171-172 (pubblicata 31 agosto 1908). Riportai le conclusioni delle mie ricerche fatte sull’Acacia ver- ticiltata Willd., iniziate altrove e continuate nell’Istituto botanico di Roma, cioè: 1. « I pseudofillodii non sono emergenze, perchè tra essi e i fillodii non v'è differenza di struttura fibro-vascolare, ecc. ». 2. « I pseudofillodii sono parti individualizzate della regione fillopodiale. Essi non obbediscono a leggi fillotassiche ». (1) Nelle tavv. degli autori. RE A N LOTTI MR % _ Falli xa 3. E pedvA lodi; non ànno, nè possono aver stipole, nè net- - tario. Le supposte stipole dei pseudofillodii sono pseudofillodii ridotti a piccolissime dimensioni, tali da simulare (quando osservati ad occhio nudo) nella forma e non nella struttura le stipole dei fillodii ». 4. < I pseudofillodii verosimilmente apparvero allorquando si erano concretate le funzioni del fillodio. In appoggio a codesta ipo- tesi c'è il fatto dell'apparizione dei pseudofillodii nella piantina quando il carattere archetipo del nomofillo (foglia pennata) è com- pletamente scomparso; sembrerebbe quindi che la funzione clorofil- liana e le altre assunte dai picciuoli divenuti fillodii reclamassero un aiuto: la formazione di organi compensatori ». Feci poi rilevare (p. 172): — che mentre i proff. Buscalioni e Muscatello asserivano essere tutti fillodii i membri del verticillo (p. 14 della loro memoria), esiste, invece un sol fillodio (nomofillo) nel verticillo ; — che la costituzione fillotassica, ritenuta un enigma senza una plausibile soluzione dai suddetti proff. (p. 24 id.), era già stata constatata (°/,) successivamente da Braun, Hofmeister, Delpino, e che il secondo di quest'ultimi aveva dimostrato (1867) che i pseudo- fillodii sono di formazione postuma ai fillodii. Riproduco quanto sopra per il confronto delle osservazioni mie in risposta (v. p. 123 Appendice) alla seguente memoria: 1909. BuscaLioniI L. e MuscatELLO G. — Fillodii e fillodopodii. Stu- dio sulle Leguminose australiane. II Nota. Atti Accad. Gioenia di scienze naturali in Catania. Serie 5°, vol. IT. (8 novembre 1908. Data di ricevuta. Pubblicata nel marzo 1909). RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEI LAVORI CITATI SULL’ « ACACIA VERTICILLATA >», Ritennero per foglie i fillodii e i pseudofillodii: L’Héritier 1788. Ventenat 1804. Curtis 1791. Wildenow 1805. Aiton 1789. Persoon 1807. Non distinsero i fillodii dai pseudofillodii: Wendland 1820. Sprengel 1826. Loddiges 1821. Knowles and Westcott 1833. Bentham 1842. . Lubbock 1890. Parlatore 1843. Pax 1890. n° MITA MZ Posa E, ipa Hooker 1860. Lubbock 1892. Bentham 1864. Taubert 1894. Fermond 1868. Vélenowsky 1907. Bentham 1874. Secondo De Candolle A. P. 1825 i pseudofillodii (1) sono stipole ? - Secondo Braun 1831 i pseudofillodii possono considerarsi stipole. Secondo Hufmeister 1867 i pseudofillodii sono stipole ! Secondo Delpino 1883 i pseudofilloidi sono vere emergenze. Secondo Kaufholz 1888 i pseudofillodii sono fillodii senza gem- ma e non anno lo stesso valore dei fillodii. Secondo Mann 1894 i pseudofillodii sono /illodiî senza gemma all’ascella e senza nettario. Secondo Goebel 1896, 1898-901 i BERO sono fillodii senza gemma all’ascella e senza nettario. Secondo Reinke 1897 i pseudofillodii sono /i/lodi? senza gemma all’ascella e senza nettario. Secondo Buscalioni e Muscatello 1908 i pseudofillodii sono ra- chidi secondarie (fillodiniche) della foglia pennata. Secondo Migliorato 1908 (2) i pseudofillodii sono parti indivi- dualizzate della regione filltopodiale: organi compensatori. * * * MIE OSSERVAZIONI. Ho diviso le mie osservazioni come segue: FASE NOMOFILLICA. Descrizione di piantine nate da seme. Forma e struttura del picciuolo del nettario e delle stipole del nomofillo. FASE FILLODIALE. Forma e struttura dei fillodii e dei pseudofillodii. Stipole e net- tario dei fillodii. Fillotassi, verticillo e. decorrenze. Le supposte stipole dei pseudofillodii. FASE NOMOFILLICA. Descrizione di piantine osservate da me e nate da semi nei maggio 1905-6-7. (Le piantine ànno 75 giorni. I semi provengono da una pianta di 30 anni circa). (1) Non cito il Don, perchè questi riporta la frase del Candolle traducen- dola in inglese. (2) Riporto qui le mie conclusioni, perchè esse furono già pubblicate nella amia nota preventiva. Foglia . —_ | —_— 2 | Foglia- fil- lodio. 98 Idi © 4 | Id. id badia ne FORMA ea: p | pen FILLOMA CARATTERI Pennata - pari. 3 coppie di foglio- line per pinnula. Stipole. Non c’è net- tario. Picciuolo alato nel- la costola supe- riore. Bipennata - pari. 2 e 3 coppie id. Stipole. Non c’è net- tario. Id. id. id. Id. id. id. 4 coppie. Id. id. id. Id. id. id. Nettario all’ apice del picciuolo co- me al solito. PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI All’ascella di que- sta foglia c'è un rametto con la prima foglia bi- pennata con pin- nule di 3 coppie. All’ascella di que- sta foglia c'è un rametto di fillo- dii; il primo fil- lodio à rudimen- ti di pinnule al- l’apice. I picciuoli delle fo- glie 1% a 5* as- sumono gradua- mente la forma. fillodica. Seguono verticilli di pseudofillodii con un fillodio ognuno. PRIVARE VINTO IRE O SO PIET DOSE RI ADE RODA O he $ Pi pi i SL See CoA DI i AM ig PIANTINA B. FORMA sv fa CARATTERI PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI DEL FILLOMA ° 3 1 | Foglia. . | Pennata-pari con 4 coppie di lami- nette per pin- nula. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. 2 | Id. . . .| Bipennata-pari con 4 coppie di lami- nette per pinnu- a. Stipole id. Non c’è nettario. i ST Td teon BD coppiericy All’ascella c’è un di laminette per rametto con fil- pinnula. lodii e pseudofil- Non c’è nettario. lodii disposti in verticilli : il pri- mo fillodio à le stipole come quel- le delle foglie. 4|Id. . . .|Id. con6coppieid. Rametto come nel id. Nettario. caso precedente. 5 | Fillodio . | Con stipole come ‘| Questo fillodio è in nelle foglie. verticillo con tre Nettario. pseudofillodii. Seguono quà e là pseudofillodii. 6 | Id. Id Seguono due verti- cilli di pseudofil- lodii. —_ 7 | Fillodio , | Id. 1. i e /eee©]e]Zz]”— AAVV eee l'i ,—,._:0-: ÌINH!8t@L I / Seguono due verti- cilli di pseudofil- lodii. Seguono verticilli di pseudofillodii con un fillodio ognuno. Va 1 SERA CARATTERI PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI "ai «_°—‘’1| mE FILLoma 4 a I Bio 1 | Foglia . .| Pennata - pari. 8 | 0 A | coppie id. ‘ Stipole fogliacee. Non c’è nettario. 2| Id. . . .| Bipennata- pari 8 : coppie id. | Stipole id. Non c’è nettario. e è _ ee eee —_ 7 | —_ ____—————————————_—————m 3 | Foglia-fil- | Id. id. Nettario alla ladioccet. base del mucrone apicale nella co- stola super. del fillodio e fra i . punti d’ inserzio- ne delle pinnule. Un pseudofillodio. Due pseudofillodii inseriti vicinì. pice nella costola superiore. All’ apice del fillo- dio ci sono due pinnule rudimen- tali. 4 | Fillodio Con nettario all’a- | © | I | Seguono verticilli di pseudofillodii con un fillodio ognuno. eee en PIANTINA D. FORMA CARATTERI PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI DEL FILLOMA 1 | Foglia. . | Pennata - pari. 83 coppie id. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. 2 Id. . . . | Bipennata- pari. 2 coppie id. Stipole fogliacee. 3 | Id. . . .|Bipennata- pari. 5 coppie id. Nettario all’ apice tra i punti d’in- serzionedelle pin- nule. Stipole fogliacee. Due pseudofillodii avvicinati. Due pseudofillodii distanti un mm. tra loro. Un pseudofillodio. Un pseudofillodio con un pseudofil- lodio piccolissi- mo alla base. 4 | Foglia-fil- | Bipennata - pari. 5 | Due pseudofillodii lodio. coppie id. formanti verti- Nettario alla base cillo con la fo- del mucrone. glia-fillodio. Stipole fogliacee. | Due pseudofillodii | Tutti questi pseu- vicini. dofillodii sono di- Due id. id. in oppo- sposti in senso sizione ai primi. radiale intorno al Quattro pseudofil- ramo. lodii vicini. Tre pseudofillodii vicini e in oppo- sizione alla dire- zione dei prece- denti. Cinque pseudofillo- dii vicini. | Fillodio . | Con nettario e sti- | Tre pseudofillodii pole fogliacee. da un lato del | fillodio. Seguono verticilli di pseudofillodii con un fillodio ognuno. è: FICA PIAGA WERE A sica i] v 1 CARATTERI PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI DEL FILLOMA 1 | Foglia. Pennata - pari. 8 coppie id. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. 2 | Id. Bipennata - pari. 3 coppie id. Stipole id. Non c’è nettario. 3 | Id. Bipennata - pari. 4 Colo [ica rneÎ hire ripicca ito nùòonnat | _________T——_——————— coppie id. Stipole id. Non c’è nettario. Due pseudofillodii avvicinati. ii eee |. -—________ 1 pseudofillodio più in su e opposto ai precedenti. e 6 eee è | e — «_ _—_—_|j;|;1 rr... -- 4 Foglia-fil- Bipennata - pari. 4 lodio e | __________|.-_—_________—_ |. -— 5 | Fillodio coppie. Stipole fogliacee. Il nettario occupa il solito posto. e. .<1__ | - Verticillo di pseu- dofillodii di cui uno ridotto. Con nettario in mez- zo alla costola su- periore. Stipole come sopra. Seguono verticilli di pseudofillodii con un fillodio ognuno. ANNALI DI BoranIca — Vot. VIII. 7 CARATTERI PSEUDOFILLODII Pennata - pari. 3 coppie id. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. OSSERVAZIONI —l—— —— ——_ 1PÈF.___———_———_—_—=26 __-aola@ÉlkhZ«l@l@)Zl2ReR“z?lZ]l]lael] ”"[“#]“ “2l\i-—P— 8 TttTR_R2:_:-.3 Bipennata - pari. 3 coppie. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. 6 e € e €è è _1[1—eì’ ']|'Oe' 'qo@]- Bipennata - pari. 4 coppie. Stipole fogliacee. Non c’è nettario. All’ascella di que- sta foglia c'è un rametto con fil- lodii e pseudofil- lodii. I fillodii ànno piccolissi .£ me pinne all’a- pice. e e. __________-| _rrrrrrrrrrtmtm,-_—_—__—_— ec DEL FILLOMA 1 | Foglia 2| Id. 3 | Id. 4 | Id. 5 | Fillodio 6 | Foglia. LalFillodii in IS1 corticilli con pseu- dofillodii. Stipole id. Nettario. Bipennata - pari. 5 coppie. ]d. id. id. compagna il fil- lodio. Bipennata - pari. 3 coppie id. e 4 cop- pie l’altra. Stipole fogliacee. Nettario all’api- ce ecc. diverse altezze. 1 pseudofillodio ac- Tre pseudofillodii a Rametto ascellare come il prece- dente. i All’ascella della fo- glia c'è un ra- metto con fillodii e pseudofillodii in verticilli. N° ; CARATTERI | PSEUDOFILLODII OSSERVAZIONI 1 | Foglia. . | Pennata - pari. 4 coppie id. Stipole fogliacee. Non c’è rettario. 2 | Id. . . .| Bipennata- pari. 8 coppie id. Stipole id. Non c’è nettario. 3|Iad. . . .|Bipennata- pari. 8 coppie. Id. id. ei zi e Ay/———_—r==—_ |. e“r"r””e“ao”“=vU@ire deaee=ette 4| Id. . . .|Id. id. 4 coppie id. Id. id. 5 | Foglia-fil- | Bipennata - pari. 2 lodio. coppie. Stipole id. Nettario alla base del mu- crone. +6 | Id. id. . .|Id. id. 2 coppie. Stipole e nettario id. Seguono verticilli di pseudofiliodii con un fillodio ognuno. gi aan Forma e struttura del picciuolo e delie stipole del nomofillo. L’ Héritier, Curtis e Ventenat dicono le prime foglie paripen- nate. Lubbock figura e descrive una piantina con le prime foglie paripennate e le susseguenti bipennate. Mann riporta che le foglie sono pennate, così pure Goebel, Reinke e Kaufholz. La fase fogliata da me descritta nei precedenti quadri mostra la prima foglia paripennata con tre o quattro coppie di foglioline (Tav. V fig. A), le quali sono articolate su d’una rachide che termina con una appendice fogliacea. Le foglie che seguono la prima sono bipennate (Tav. V fig. B) con due pinnule all’apice della rachide, la quale termina anche esso con una piccola punta di consistenza fogliacea. Anche la rachide delle pinnule termina con una piccola punta di consistenza fogliacea. Struttura del picciuolo, dei fillodii e dei pseudofillodii delle piantine nate da semi. Per costola superiore del picciuolo, del fillodio e del pseudofillodio, s'intende quella rivolta verso il fusto. Nei picciuoli essa piglia anche il nome di ala quand’è dilatata. Nei suddetti l'epidermide è d’una sola fila di cellule subpolie- driche, le quali in sezione appaiono ovaloidi, ovali o tonde. Nei picciuoli per fascio fibro-vascolare centrale s’ intende un com- plesso di fasci. I fasci sono provvisti d’ una guaina meccanica, qualche volta però. essi non ànno tale parte, e ciò si à quando sono secondari. Tra le due parti del palizzata v'è un tessuto parenchimatoso di cellule poliedriche. PIANTINA A. 1* Foglia. Picciuolo alato nella costola superiore. Il taglio tra- sversale (fig. 1) della base mostra: un fascio centrale e uno più pic- colo nell’ala, la quale forma la costola superiore; il palizzata P che non gira tutt'intorno al fascio. In una successiva sezione il fascio dell’ala si sdoppia e il palizzata è continuo. 2% Foglia. Picciuolo fillodico. Non sezionata perchè deteriorata. 3° Foglia. Pieciuolo fillodico. Il taglio della base mostra (fig. 2) cinque fasci, di cui due con guaina comune e uno senza nel paren- chima centrale, Il palizzata è interrotto dal parenchima centrale pa in due punti. Nel taglio fatto alla metà del picciuolo i fasci sono cinque così disposti (fig. 11): due con guaina comune, uno a breve Lia ATA ha Lari nie Dre Segr | distanza da questi, uno in mezzo alla sezione e addossato al paliz- zata ed uno all’apice della costola superiore. 4 Foglia. Picciuolo fillodico (fig. 3). Due fasci centrali con guaina unica e due fasci isolati nella costola superiore. Il palizzata è interrot- ito dal parenchima suddetto, mentre in un taglio successivo è continuo. 5° Foglia. Picciuolo fillodico. Non l’ò sezionato. PIANTINA B. 1° Foglia (fig. 4). Tre*fasci centrali nella stessa guaina. Due fasci nel mezzo del taglio e due nella costola superiore. Il palizzata è con- tinuo. Il taglio è fatto nel mezzo del picciuolo. 2° Foglià. Cinque fasci centrali nell’istessa guaina e due nella «costola. Il palizzata è continuo. In un taglio fatto all’apice del picciuolo ci sono tre fasci centrali nell’istessa guaina, due in mezzo alla sezione ed uno nella costola ‘superiore. 3° Foglia. Sezione alla base del picciuolo: il palizzata è diviso in due parti, metà nella costola superiore e metà nell’inferiore; fra mezzo a queste c’è il parenchima centrale. Due fasci sono nell’istessa guaina; di rimpetto a questo gruppo c’è un fascio; nella costola in- feriore c’è un altro fascio. In un taglio successivo al posto dei due fasci ce ne sono tre nella ‘stessa guaina e al posto dell’altro fascio ce ne sono due nella stessa guaina. ll palizzata è interrotto in un punto solo come nel prece- dente taglio. Esiste un fascio in alto. Nella metà del picciuolo i fasci sono sei, tutti liberi, e il paliz- zata è continuo. 4° Foglia. Non sezionata perchè deteriorata. 5° Fillodio. Palizzata interrotto in un punto solo (fig. 5). Quattro fasci centrali liberi tra loro: due in una faccia e due nell’altra; due fasci nella costola inferiore ed uno nella superiore. In una sezione fatta in mezzo al fillodio c'è un aumento di due fasci verso la costola inferiore. Il palizzata è appena interrotto. Pseudofillodio (fig. 6). Taglio verso la base: 4 fasci, cioè uno per ‘costola e due in mezzo, cioè uno per faccia. Il palizzata è continuo. Tl taglio nel mezzo del pseudofillodio mostra due fasci più pic- «coli, uno per faccia nella costola inferiore. 6° e segg. fillodii. PIANTINA C. 1° Foglia. Picciuolo sezionato alla base: palizzata diviso in due parti e più abbondante nella costola superiore; fascio centrale unico nel parenchima centrale che divide il palizzata. A NNT ARI EA CE TIENE RAIN e Tan — 102 — Il taglio nel mezzo del picciuolo mostra il palizzata Conta Ue Ta due fasci nella costola superiore. Un taglio successivo mostra un sol fascio in detta costola. 2° Foglia. Taglio alla base del picciuolo: palizzata diviso in due parti dal parenchima; fascio centrale con guaina aperta verso la costola superiore. Taglio ad ‘/, dalla base: palizzata continuo; fascio centrale con guaina aperta; 2 fasci mediani con guaine chiuse; 1 fascio nella costola superiore con guaina chiusa. Uno dei fasci mediani è spostato verso la costola superiore. Taglio a metà del picciuolo: palizzata interrotto all’apice della costola inferiore; fascio centrale con guaina chiusa; fasci mediani con guaina chiusa e uno per faccia del picciuolo; fascio con guaina chiusa nella costola superiore. 3% Foglia. — Picciuolo fillodico. Taglio alla base (fig. 7): paliz- zata interrotto nella costola inferiore; fascio centrale con guaina aperta. Taglio ad ‘/, dalla base: palizzata interrotto all’apice delle due costole; fascio centrale con la guaina aperta, nella faccia destra un fascio mediano confonde la propria guaina con quella del fascio centrale. Nella costola superiore v'è un fascio nel parenchima. Taglio a metà del picciuolo: palizzata interrotto all’apice (nel taglio) della costola inferiore e in più punti (fig. 8), così pure nella costola superiore ; fascio centrale con guaina chiusa nella quale ci sono i due fasci laterali con le loro guaine pure chiuse. Nella costola superiore ci sono due fasci con guaina unica chiusa.. PIANTINA D. 1* Foglia. Deteriorata. 2° Foglia. Taglio alla base del picciuolo: palizzata interrotto nella costola inferiore; fascio centrale con guaina divisa in due parti corrispondenti alle facce. Taglio alla metà del picciuolo: palizzata continuo: fascio cen- trale con guaina aperta; fascio della costola superiore con guaina chiusa. 3% Foglia Taglio alla base del picciuolo (fig. 9): palizzata diviso in due parti destra e sinistra; due fasci centrali nell’istessa guaina. Taglio ad '/, dalla base: palizzata continuo meno nella costola dorsale ; 3 fasci nella stessa guaina che è aperta, cioè i due maggiori per ogni faccia e il minore nella costola centrale. ì Taglio nel mezzo del picciuolo (fig. 10): palizzata interrotto come nella precedente sezione; un fascio per ogni costola e due fasci ME 0 108 — hi Y Ni EA TESTA) È | per faccia; la faccia di sinistra non à i fasci addossati al pa- lizzata. i I fasci delle facce ànno le guaine fuse: Tra la foglia 3° e 4* c'è un pseudofillodio. La sezione fatta a metà mostra (fig. 13) palizzata parzialmente interrotto all’apice della costola inferiore e nella metà della faccia di sinistra; quattro fasci con guaina chiusa: due nelle facce e due nelle costole. In un taglio successivo il palizzata è interrotto appena sotto all’epidermide. 4% Foglia-fillodio. Taglio a metà (fig. 12): palizzata parzialmente interrotto nelle costole e nelle facce; quattro fasci nelle facce, come nei fillodii della pianta adulta; un fascio per costola. PIANTINA £. Pseudofillodio dopo la quarta foglia. Taglio alla base: palizzata continuo, quattro fasci nella istessa guaina. Taglio ad '/, della base: palizzata interrotto nella costola infe- riore; un fascio per ogni faccia ed uno per costola. NETTARIO. È piccolissimo e circolare; manca nella prima foglia e qualche volta anche nella seconda; esiste nelle successive all’apice del ra- chide comune alla base del mucrone, nella costola superiore, fra i punti d’inserzione delle pinnule. Esso conserva tale posizione pure quando il picciuolo diventa fillodio e conserva le pinnule, però in questo caso il mucrone si trasforma nell’apice duro del fillodio. Il nettario nei successivi fillodii si trova o nella metà superiore di essi o nel mezzo di questa nella costola superiore, o poco sotto a questo punto. STIPOLE. Si trovano alla base della foglia; esse sono fogliacee, acuminate e di forma svariatissima (fig. 45). La sezione trasversale presenta un’epidermide di cellule ora ovoidi ora sferiche, un parenchima di cellule quasi sferiche e quattro fasci (fig. 50). Le stipole dei fillodii presentano generalmente 1, 2 fasci, rara- mente 3, 4. FASE FILLODIALE. Forma e struttura dei fillodii e dei pseudofillodii. Stipole. Net- tario. Fillotassi e verticillaziane. Decorrenze dei rami. ATTI SI SER BEST car i Non sempre il picciuolo nel divenire fillodio offre i caratteri in- | termedi di picciuolo-fillodio, cioò l’appiattimento nel senso verticale e le pinnule con laminetta di grandezza normale o più di queste, o ridotte fino a diventare piccolissime. Nelle piantine descritte nei quadri a pag. 93-99 ve nesono alcune che immediatamente dopo l’ultima foglia presentano la fase fillodiale, nella quale, però, le stipole sono ancora fogliacee, carattere che va mu- tandosi man mano nei successivi fillodii, poichè dette stipole diven- gono dure ed acuminate, fino a terminare con un mucrone durissimo nella pianta annosa. FILLODII E PSEUDOFILLODII. (Fillodii e pseudofillodii di tre anni appartenenti ad una pianta di 30 anni circa (1). (Figg. 14 a 18). Il fillodio è due costole, quella superiore, rivolta al fusto, e quella inferiore, rivolta in senso contrario della precedente; ognuna di esse è provvista d’un nervo. Nella costola superiore c’è pure il nettario » (nella figura). Le due facce sono destra e sinistra. La base del fillodio è a sezione circolare. Il fillodio è inserito in un alveo circolare circondato da peli brevissimi; ed à l’apice acuminato e pungente; alla base è prov- visto d’un cuscinetto rudimentale. Per ogni faccia c’è un nervo mediano ed uno secondario visi- bili esternamente nella metà longitudinale (della faccia) verso la costola superiore. I due nervi convergono all’apice delle facce. Raramente dal nervo mediano va una diramazione nella metà superiore longitudinale della faccia dorsale (fig. 40); codesta dira- mazione va anch'essa a convergere col nervo mediano nell’apice. All’apice del fillodio convergono anche i nervi delle costole. Un sol fillodio ò osservato con un sol nervo per faccia (fig. 16). I fillodii nelle piantine germinate da poco e delle piante gio- vani differiscono dai precedenti solamente nella forma, presentan- dosi meno larghi e raramente angolosi nel punto ov'è il nettario. Le piantine giovani di 1 anno ànno i fillodii come le piantine germinanti che ànno raggiunta la fase fillodiale, salvo la lunghezza che è maggiore, essi sono stretti*a confronto di quelli delle piante di 2, 3 anni e di quelli delle piante di molti anni la cui forma è differente, come si vede nelle citate figure. (1) Questa pianta vegetava nell’Orto botanico di Roma a Panisperna. E morta nell’aprile 1909. SSR EE E PN e O — 105 — PSEUDOFILLODII. (Figg. 19 a 21). I pseudofillodii formano verticilli o col fillodio o da soli. Lia forma, i nervi, l'inserzione nel ramo e l’orientamento come nei fillodii. La totalità è un solo nervo per ogni faccia, però alcuni pseu- dofillodii presentano un nervo secondario nella metà longitudinale superiore. IL pseudofillodio mai à nettario e mai à stipole. Qualche rara volta alla base del pseudofillodio c’è un pseudofil- lodio ridottissimo, a tal punto da simulare una stipola quando osser- vato ad occhio nudo o con un debole ingrandimento d’una lente (v. pag. 108, 119). I pseudofillodii delle piantine germinate da poco e delle pian- tine giovani differiscono dai precedenti solamente nella forma. I pseudofillodii delle piantine sono meno larghi e meno lunghi di quelli delle piante giovani e delle annose. NERVATURA DEI FILLODII E DEI PSEUDOFILLODII. Ventenat dice che i fillodii (fillodii e pseudofillodii) ànno un nervo mediano, così pure asseriscono Bentham, Hooker e Walpers aggiun- gendo che raramente essi sono subtrinervati. Delpino li dice uninervii, così pure Knowles e Westcott. da Dalle mie osservazioni risulta che tanto i fillodii che i pseudofil- lodii ànno da 4 a 6 nervi. Gli autori suddetti sono caduti in errore considerando che i {i{- lodii (fillodi ‘e pseudofillodi) ànno un sol nervo o sono subtrinervi, perchè i nervi che si vedono in una faccia sono indipendenti da quelli della faccia opposta. L'errore è derivato dall'aver considerato le due facce come quelle d’una lamina, infatti nelle lamine il nervo mediano è comune alle, due facce o pagine, ma nei fillodii le facce non corrispondono a queste, invece sono le costole che corrispondono simmetricamente ad esse: la costola superiore corrisponde alla pagina superiore e quella inferiore alla. pagina inferiore; per conseguenza i nervi dei fillodii ‘e dei pseudofillodii sono tanti quanti sono i fasci, che con le loro guaine meccaniche fanno marcata sporgenza nel palizzata, perciò si veggono nelle facce e nelle costole. Dalla descrizione della struttura dei fillodii e dei pseudofillodi sì vedrà quanto ò asserito. VER nd DERE n PR IRNONTE 9 TETTO o O VIII ALTE] MS CSA b] ; » 4 : to gi i Un O Bre FILLODII. In una sezione fatta a metà del fillodio si osserva: (fig. 23). Epi- dermide di cellule ovoidi allungate. Palizzata di due serie di cel- lule, raramente tre presso le guaine da fasci. Parenchima di cellule. poliedriche nel mezzo del taglio. Un fascio fibro-vascolare con guaina chiusa per ogni costola e interrompente il palizzata. Nella faccia destra ci sono due nervi: il mediano e uno secon- dario. Ad ogni nervo corrisponde un sol fascio fibro-vascolare. Il fascio del nervo mediano è più grande. Codesti fasci inter- rompono il palizzata. Nella medesima faccia verso la costola superiore c’è un fascio: fibro-vascolare con guaina chiusa, che non interrompe il palizzata. e non forma nervo. Nella faccia sinistra egualmente come nella destra. Fig. 24. Come nel caso precedente, solamente nella metà longitudinale su- periore della faccia sinistra c’è un fascio fibro-vascolare, con guaina. chiusa, il quale non interrompe il palizzata. Fg. 26. Nella metà longitudinale superiore ci sono 5 fasci con guaina chiusa che interrompono il palizzata: due nella faccia destra e. tre nella sinistra. Fig. 30. Un fascio che non interrompe il palizzata nella faccia sinistra. Nella metà inferiore destra due fasci secondarii che non formano nervi. Fig. 28. Nella faccia sinistra: nervo mediano con accanto (nella metà in- feriore) un fascio con guaina chiusa, la quale si fonde con quella del mediano. Nella faccia destra: fascio mediano e nervo relativo. Nella metà. inferiore di questa faccia due fasci e in quella superiore uno. Fig. 27. Due nervi per faccia e rispettivi fasci. Un fascio per costola e nervi relativi. Fig. 29. Fillodio di dimensioni più piccole dei precedenti. Nella costola superiore solamente il nervo col rispettivo fascio PROTO A SERIE IO DI SIIT ATI PI RAI LAU pd i Ari Feet pe a Ae A i “SR della Costola: Nella faccia di destra c’è 1 nervo secondario e nella. d destra ci sono due fasci che non formano nervi. * * * In tutti i fillodii appariscono piccoli fasci d’ordine secondario con accenno diguaina o senza, sparsi quà e là. Nelle figure non li ò segnati. PSEUDOFILLODII. Epidermide, palizzata, parenchima centrale, fasci mediani, nervi delle costole e secondarii, come nei fillodii. : Fig. 3D. Nella sola faccia di sinistra nella metà inferiore c'è un nervo. secondario. Il fascio di rimpetto non forma nervo pur interrompendo: il palizzata. Nella parte superiore due fasci, uno per faccia, senza formare nervi. | Nervo secondario solamente nella faccia destra inferiore. Il fascio mediano di questa faccia à accanto, verso la metà superiore, un fa- scio più piccolo con guaina chiusa. Nella metà superiore verso la faccia di sinistra c'è un fascio non formante nervo e completamente fuori il palizzata e nel pa- renchima. Esistono due fasci nella metà inferiore sinistra senza formare nervi. Nella metà inferiore c’è un fascio per faccia. Un fascio per costola. Fig. 32. Nella faccia destra, nella metà superiore, c’è un fascio non for- mante nervo. Nella metà inferiore della medesima faccia c’è un fascio formante il nervo secondario. Fig. 33. Nella faccia destra accanto al fascio mediano; nella metà della costola superiore, c'è un fascio con guaina propria, oltre un fascio ‘non formante il nervo secondario. La faccia di sinistra à nella metà inferiore un nervo secondario col relativo fascio.. Nella medesima faccia nella parte superiore c’è un fascio secondario non formante nervo. Fig. 31. Nervi secondarii con relativi fasci solamente nella metà inferiore «destra e sinistra. DURATA DEI FILLODII E DEI PSEUDOFILLODII. I fillodii ànno durata maggiore dei pseudofillodii. In un ramo di tre anni d’una pianta di tre anni esistono ancora (agosto 1908) tutti i membri dei verticilli del 1905. In una pianta di 30 anni circa, in rami di circa 6 anni ò trovato i fillodii, ma non tutti i pseudofillodii; s'intende nel tratto basale del ramo, che è la parte più vecchia. Codesto fenomeno subisce dei gradi man mano che sì proceda verso l'apice del ramo. PSEUDOFILLODII RIDOTTI Non poche volte il pseudofillodio si presenta molto ridotto, fino al punto da somigliare alie stipole osservate ad occhio nudo o con debole ingrandimento d’una lente. Codesto fenomeno è più raro nelle piantine giovani da me os- servate e che avevano da uno a tre anni. Ecco 1 casì osservati. Della struttura di essi dirò nel parlare delle supposte stipole dei pseudofillodii (pag. 119) per evitare ripetizioni. * * * Su rametti di 3 anni appartenenti ad una pianta di 30 anni ò notato : IR Verticillo di 6 membri, cioè 1 fillodio, 5 pseudofillodii, uno dei quali lungo 5 mm. e largo nel mezzo '/, mm. ] PI I pseudofillodii normali sono lunghi 14 mm. e larghi mm. 1 '/, La figura 36 mostra la disposizione di questo verticillo. Li Verticillo di 7 membri tutti psendofillodii, fra i quali uno lungo poco meno di 5 mm. e largo ‘/, mm. nel mezzo. I pseudofillodii normali sono lunghi 12 o 13 mm. e larghi mm- 1'/,. (V. la fig. 37 per la disposizione suddetta). III. Verticillo di 5 membri: 4 pseudofillodii e 1 fillodio. Il pseudofillodio ridotto è lungo 8 mm. e largo */, di mm. nel mezzo, ed è accanto al fillodio. *, — 109 — Il fillodio ed i Sseudofiliodi normali sono più o meno lunghi 13 mm. e larghi mm. 1 !/,. Per la disposizione ecc., v. fig. 38, te Ho pure trovato due pseudofillodii normali, lunghi più o meno 12 mm. e larghi 1 mm. e mezzo, isolati ed aventi ognuno accanto un pseudofillodio ridotto, cioè uno era lungo 6 mm. e largo ‘/, mm. e l’altro dell’istessa lunghezza era largo ‘/, di mm. TV Verticillo di 5 membri: 1 fillodio, 4 pseudofillodii. Il fillodio e i pseudofillodii normali sono lunghi più o meno 12 mm. e larghi 2 mm. circa. , Il pseudofillodio ridotto è alla base d’un pseudofillodio normale ed è lungo 4 mm. e largo '‘/, di mm. fig. 40. (La struttura è rap- presentata dalle figg. 46 e 52). Vi Un pseudofillodio isolato lungo 14 mm. à alla base un pseudo- fillodio lungo 2 mm. e largo nel mezzo poco meno di ‘/, di mm. La struttura del pseudofillodio ridotto è rappresentata dalla fig. 49 e l’insieme dalla fig. 39 ed è descritta a pag. 120. VE: Un pseudofillodio ridotto lungo 2 mm. e largo ‘'/, di mm. alla base, si. trova fra due pseudofillodii normali. La struttura è rappresentata dalla fig. 51 ed è descritta a pag.12 0 VII e VIII. Due pseudofillodii rappresentati dalle figg. 42 e 43 (È) sl tro- ZÀ vano rispettivamente fra due pseudofillodii normali su rami dif- ferenti. Non li ò sezionati, ma preparati per intiero. * * * Su due rami del 1908 di piantine di tre anni ò notato : TL, Un verticillo di 6 pseudofillodii è un pseudofillodio lungo 2 mm.. accanto ad 1 pseudofillodio normale. Non l’ò sezionato e lo conservo in alcool. Un pseudofillodio isolato lungo 6 mm. e largo 1 mm. à accanto 1 °3I pseudofillodio capilliforme e lungo 1 mm. e poco più (fig. 44) (È , di VERTICILLAZIONE E FILLOTASSI. L’Héritier, che descrive pel primo questa specie, gli dà il nome di Mimosa verticillata. La dicono pure verticillata Aiton, Ventenat, Wildenow, Persoon, Wendland, Sprengel, Braun, Fermond. De Candolle A. P. la dice subverticillata. Knowles e Westcott la dicono semiverticillata. In quanto al numero dei membri del verticillo Wildenow nota che essi sono terni, quaterni e quini; De Candolle A. P. li dice forsan terna; Braun asserisce che il verticillo è fra î cinque e i nove membri. 7 Ventenat riporta che una pianta in tutti i verticilli aveva 8 membri, detti da lui foglie. Questi verticilli distavano egualmente fra di loro ed erano regolarissimi. Delpino in un quadro cita verticilli, verticilli dimidiati, subdi- midiati, regolari, irregolari, subregolari e quasi regolari (1). Kaufholz conta 7-12 membri per verticillo e dice che il numero dei verticilli senza fillodio sorpassa quello col fillodio. Taubert figura un ramo facendolo completamente verticillato. Mann trova i pseudofillodii o isolati, o fino a 5, o in coppie. Reinke consta che i verticilli ànno 6-12 membri, i quali sono talvolta disposti in mezzi verticilli o irregolarmente. Dai | * Io ò osservato perfino verticilli con 11 membri. In tre piantine di 5-6 ‘mesi ò notato verticilli regolarissimi o varianti di qualche membro. 3 Ho osservato pure varie volte due pseudofillodii inseriti sul fusto l’uno sull’altro, ma liberi fra loro. Le cause della verticillazione sono investigate da Fermond e dà Delpino. Il primo dice che essa è dovuta a difetto di sviluppo dei meri- talli. Quest’asserzione si spiega perchè egli non fece distinzione tra fillodio col nettario e fillodio senza nettario. Delpino dice che la verticillazione non à alcun significato gene- (1) 1. c. p. 187. a LS Re. tico, Pesole la comparsa d’un pseudofillodio determina l’apparizione degli altri, quindi la verticillazione è è falsa; però egli non dimostra quanto asserisce. Hofmeister dimostra che lo sviluppo dei pseudofillodii è poste- riore a quello dei fillodii. Nessun elemento abbiamo per investigare le cause della verticil- lazione. * * E La formula fillotassica tanto delle piantine che delle piante a- dulte è °/,; essa fu osservata per la prima volta da Al. Braun nel distinguere i fillodii dai pseudofillodii. Delpino e poi Mann constatarono detta formula essere esatta. Qualche volta tale ordinamento è alterato; alle volte pure perchè si trovano due fillodii nel verticillo (v. pag. 115-117), come notò lo ‘stesso Delpino e osservai anch’io; anzi osservai fino a cinque fillodii nel verticillo (v. pag. 115-117). * * £ Da tabelle (v. pure fig,Ie II a pag. 112) si vedrà che ò notato ver- ticilli, pseudoverticilli e poi pseudofillodii isolati; intine raramente :ò trovato nella fase adulta il fillodio isolato (1). * * * Nelle seguenti tabelle sono descritti: (2) I. — un segmento d’un ramo del 1908 appartenente ad una piantina nata nel maggio 1905; II. — un segmento di un ramo di 2 anni appartente ad una pianta di 30 anni circa; III. — anomalie fillotassiche trovate su quest’ultima pianta. (1) Apparteneva ad un rametto nato alla base d’un tronco d’una pianta di 30 anni circa, ed era il primo fillodio. (2) Da mie osservazioni. Rametto di Acacia verticillata. | TANA | î \ARATSATE E IC î AIUINADI È 0 | 3 3 A ) } 1 e dell'Acacia verticillata. db = 4 È: z Fillodio = È PARTICOLARI E 3 {Ss . È , —- ——— RE 1 Guia 2 0 6 | ‘6I pseudofillodii sono disposti nei 5/6 della circonfe- renza. 3 0 7 | "|Id. id. 6/7. Il vuoto corrispondente ad un pseudofillo- dio del precedente verticillo. 4| ir | 1| 6| 7|Su per giù come il verticillo 2°. peli £ 639 6 0 6 | 6) Disposizione come nel 2° verticillo. Il vuoto corri- sponde sul fillodio del verticillo precedente. ti 0 8| 8 BE EVA 1 (5 I SOA 9 0 {; Ti 10| V 1 7| 8 DE CANIeISÌ 6 | 7|Con questo fillodio si chiude la spirale. 19) VIBJ1 #|-8 13 0|3+3 | 6|I pseudofillodii stanno in senso opposto; tra i due gruppi c'è uno spazio di un mm. sulla lunghezza . del fusto. VII | 1 TARS Deck 6 |. XK 1|3+3| 7|I pseudofillodii sono disposti come nel vertice 13° Il fillodio è con i tre pseudofillodii inferiori. pifi PANE ERP à SU IERI Mi da i Doo 5 2 x (ssinuita A) 18 D: pas ; Pi » sE a pd È Seria hi CIA Gre; (4 % SOI i “ hg; da vo ue i v = i x E, 2A "i ” Ù 3 di E I al © | Fillodio S DA PARTICOLARI 4 > 200 Ì [i si 6: 4| 4 2 | 2\I pseudofillodii formano una coppia. 343 | 7| Come 13°. Con questo fillodio si chiude la spirale. 4 b| 6 bd 244 | 6| Con un mm. di dislivello. I due pseudofillodii (infe- riori) sono opposti ai due di mezzo dei 4 pseudofil. lodii. i 5-1 | 7|Il sesto pseudofillodio è un mm. più in su. 6| Con questo pseudofillodio si chiude la spirale GCT 8| 8 ; 8| 4 ii BUNT | REA ‘2 È Ramo 2° 2 |S8| 10 |I due fillodii sono opposti per modo che i membri sono. disposti così: 1 f. 4 ps. 1 f. 4 ps. > A Ramo 39. S9] (0 ») 10 |Così disposti 1 fillodio, 3 pseudofillodii, 1 fillodio, 5 pseudofillodii. : Ramo 40; I fillodii sono avvicinati. Ramo bo: 2 verticilli. 2 6 2 2 |I pseudofillodii sono avvicinati. l 4 I fillodii si seguono. 0 2] 4 |1, 5 [I fillodii si seguono. | N.B. Qualche fillodio sopranumerario non presenta sti- i | pole perchè se ne son cadute. i Ramo 6°; 4 verticilli. 0 | 2 2 |I pseudofillodii sono opposti. ui d 0) 1 1 \ 1 0 |3 3 |Id. si seguono fin verticilli. 0 |1 1 1 |1} 2 |Si seguono. i i E Lori 2 |Id. i me . | N, : L40401 Mu: Pafi a a p/ i ps x Bi PARTICOLARI di er: Segue Ramo 6° (4 verticilli): "RITI, 2 |Si seguono ‘2 2 |1| 3 |I fillodii si seguono. Mele F Ps i i x F 2° i: AI PICO) 7 {Sono così disposti . . . ARA Ps i ES F 0 ci SALO ig | LI Pal îi -4| 2 |A4| 6 |Cioè: 1 fillodio, 1 pseudofillodio, 1 fillodio, 3 pseudo- fillodii. ì Ramo 7°; 4 varvieilià) E: aC 8 | 10 |I fillodii sono opposti. 2 6 SINO DUI ag N ANTI È Ramo 8°. So 5 2 7 |I fillodii si seguono. 8 fillodii portano le stipole. al Ramo 9°, 6 |2]| 8 |I fillodiisi seguono. 4 fillodii portano le stipole. SIMBSTI DECORRENZE. Wildenow dice € ramis sulcatis », Bentham descrive i rami « an- gulato-striatis », Hooker li dà per striati. Delpino parla di decorrenze limitandosi semplicemente a notare che su di esse ci sono 2mpiantati 1 pseudofillodii. Gli autori morfologi non parlano di decorrenze. Pat Codeste decorrenze sono appena emergenti dal ramo: nei rami giovani sono longitudinali all’asse di questi, e di natura erbacea e verde, poi quando la corteccia invecchia esse restano per un certo. tempo verdi (nelle piante di tre anni e nei rami dî tre anni di quelle annose), indi diventano brune, si disseccano, subiscono degli spostamenti in seguito all’accrescimento del ramo; di conseguenza questo assume un aspetto reticolato. Nei rami vecchissimi questo reticolo scompare, ma restano le larghissime cicatrici dei pseudofillodii. Nella figura II a pag. 112 sono rappresentate schematicamente dette decorrenze con le distanze come al naturale; esse apparten- gono ad un rametto di sette anni più o meno. Anche la fig. Ia pag. 112 dà dette decorrenze d’altro ramo. * * * Mentre anche per effetto della verticillazione; completa o quasi, le decorrenze nelle giovani piantine sono parallele fra di loro (spe- cialmente negl’individui perfettamente verticillati), nelle piante adulte di 2-3 anni ci sono degli spostamenti dovuti all’accrescimento del caule. Nei rami delle piante annose, come in quello sopra citato e sche- matizzato, gli spostamenti ci sono in tutti i sensi, tanto che si osser- vano pure nei verticilli. Sulle decorrenze sono impiantati i pseudofillodii in un alveo cir- colare. * *# * La struttura delle decorrenze è la seguente (fig. 48): (La figura rappresenta il taglio trasversale d’una decorrenza al- quanto sporgente dal ramo; in essa le dimensioni dei tessuti sono. ingrandite 150 volte.) SR A e TI SLI GILERA 0% get ‘22 ea ii dee 5 IS . L’epidermide è di cellule subsferiche e ovoidi (v. verso la base della figura), viene poi la corteccia formata da cellule sinuose, indi una guaina chiusa come quella dei fasci principali dei fillodii, la. quale si prolunga intorno al cilindro centrale. In detta guaina c’è un tessuto di cellule poliedriche nel quale ci sono dei vasi. NETTARIO. V. pure i quadri a pagg. 93-99. Il nettario nei fillodii successivi ai primi fillodii dopo le foglie si trova o nella metà superiore di essi o nel mezzo della costola supe- riore (figg. 14 n. e 18 n.), o nella metà inferiore della medesima (figure 15 n. e 17 n.) Nei fillodii d’una pianta trentenne il nettario conserva general- mente le due ultime posizioni indicate. STIPOLE. Le stipole dei fillodii (fig. 45) sono acuminate, di forme poco differenti da quelle della foglia (fig. 41) e provviste generalmente da uno, due fasci (in fila lungo il diametro maggiore); raramente essi sono tre o quattro anche messi in fila (fig. 47 stp.). Ho figurato solamente una delle forme della stipola. LE SUPPOSTE STIPOLE DEI PSEUDOFILLODII. Goebel dice che accidentalmente i pseudofillodii ànno stipole. To non ò mai trovato stipole alla base dei pseudofillodii, ma sola- mente gli anzidetti pseudofillodii ridottissimi a tal punto da simulare quelle, anche se osservati con un debolissimo ingrandimento di una lente. Però se questi pseudofillodii ridottissimi vengono sezionati trasversalmente ogni dubbio scompare, poichè non presentano nulla di analogo con le stipole, ma struttura fibra-vascolare topografica- mente identica a quella dei pseudofillodii normali. Infatti le stipole delle foglie presentano 3 o 4 fasci e quelle dei fillodii 1, 2, 3, 4 isolati e indipendenti tra loro in un parenchima di cellule quasi sfe- riche, nel quale sono sull’ istessa linea; codesto parenchina è cir- condato da un’epidermide d’un solo strato di cellule ovoidi. I pseudofillodii ridotti, invece, non ànno mai i fasci disposti come nelle stipole e sono provvisti di palizzata, che queste non anno. i X * * * . Ultimamente i proff. Buscalioni e Muscatello ànno detto che i pseudofillodii (o fillodii sterili come essi li chiamano) ànno le stipole Zio. formate da due strati di cellule senza alcuna traccia di fasci vasco lari (v. bibl. a pag. 91 e pag. 124), però ciò nor à nulla da ve- dere con le credute stipole di Goebel e d’altri, poichè questi non ritennero i pseudofillodii rachidi fillodiniche formate dai picciuoli delle foglioline della foglia pennata, come ammisero i suddetti professori. A questo proposito v. pure a pag. 88-89 e l’appendice a pa- gine 123-130 della presente memoria. * * * I seguenti casi di pseudofillodii ridotti dimostrano quanto as- serisco. Nel verticillo non manca mai il fillodio tra il quale e il pseudo- fillodio ridotto c’è un pseudofillodio normale. I caso. (Fig. 39). Il pseudofillodio è lungo 2 mm. e largo ‘/, di mm. ed è prov- visto d’un nervo mediano per ogni faccia. Nella sezione trasversale, fatta a metà d’altezza (fig. 49) si mo- stra con 4 fasci isolati con guaina chiusa. L’epidermide è come nel caso normale. Il palizzata sì trova nelle facce destra e sinistra; nella costola ventrale esso è interrotto da una parenchima di cellule subsferiche, e nella costola inferiore e in parte delle due facce è sostituito da un parenchima di cellule sub- sferiche ricche di clorofilla. Il parenchima centrale è di cellule subpoliedriche. | II caso. Un pseudofillodio lungo 6 mm., provvisto d’ un fascio per costola e d’un sol fascio per faccia, è accanto alla base un pseudofillodio setoliforme lungo poco più d’un millimetro. III caso. Un pseudofillodio lungo 2 mm. è tra due pseudofillodii normali. Il taglio fatto a metà (fig. 51) mostra il palizzata interrotto nella costola inferiore da un parenchima di cellule subsferiche. Il fascio presenta due gruppi di fasci cribrosi nella stessa guaina. IV caso. Pseudofillodio lungo 2 mm, accanto ad un pseudofillodio ‘normale. Non l’ò sezionato e lo conservo in alcool. peli V caso. Pseudofillodio lungo 4 mm. e largo ‘/, di mm. (fig. 46) Taglio fatto alla base. La struttura è la seguente: Epidermide come nel caso normale. Parenchima di cellule sferiche ricche di clorofilla. Fascio centrale con guaina chiusa nel quale ci sono 5 gruppi di fasci, tre dei quali cribrosi. Taglio a metà d’altezza : (fig. 52) I due fasci delle due costole ànno le guaine aperte verso l’interno della sezione. Nel parenchima centrale ci sono tre gruppi di fasci cribrosi. Quest'ultimo segna il passaggio fra i pseudofillodii ridotti e quelli lunghi 5 mm. e di struttura normale. * * * In contrario a questi fatti non si può opporre la mancanza di stipole nei fillodii soprannumerarii (1) e provvisti di nettario da me trovati in molti verticilli (pag. 115-117), più il fatto che alle volte il pseudofillodio normale à struttura fibro-vascolare topograficamente identica al fillodio, perchè tanto le stipole che il nettario ànno va- lore genetico e sono soggetti a costanti leggi di simmetria, carat- teri che i pseudofillodii non possono avere, non possedendo natura indi- vidualmente fogliare. Anche la forma e la struttura delle stipole comparate a quella dei pseudofillodii ridottissimi, come ò detto, vengono in appoggio a quanto dico. CONCLUSIONI. L’appiattimento graduale dei picciuoli, la loro fillotassi */,, la quale si conserva così anche nella fase fillodiale, la presenza del nettario nelle foglie e, infine, la presenza delle stipole alla base delle rachidi principali delle foglie e nei fillodii, i verticilli non composti di fillomi d’origine metamorfica nomofillare, fanno com- pletamente escludere l’idea di Braun (1831) e di Hofmeister (1867), che ritennero, il primo con dubbio e il secondo con dimostrazione, la natura stipolare dei pseudofillodii ; del resto già il De Candolle | (1825) in quanto alla natura di questi s’era espresso con dubbio. Quanto sopra è perchè i suddetti autori non s’erano accorti che il Ventenat, fin dal 1804, aveva scoperte le vere stipole. Quindi (1) Quando mancano se ne sono cadute. La PR e RO IRE at tai veg af. do È si ty 7, aa EC i pseudofillodii non possono essere ritenuti per fillodii come pen- sarono i seguenti: Wendland, Loddiges, Sprengel, Knowles e We- stcott, Bentham, Parlatore, Hooker, Fermond, Lubbock, Pax, Tau- bert, Vélénowsky. Così pure non sì può accettare l’opinione di Kaufholz, Mann, Goe- bel, Reinke per le suindicate ragioni basate sulle mie osservazioni.. Non sono « vere emergenze » i pseudofillodii come asserì il Del- pino, poichè questi ànno l’evoluta struttura fibro-vascolare ecc. e la. forma dei fillodii, le quali dimostrano che i due organi ànno funzioni comuni. Tra i pseudofillodii e gli aculei di Rubus e di Smilax, ai quali 1l Delpino dice assimilabili i pseudofillodii, ci sono positive differenze: come lo stesso notò, perchè secondo le accurate ricerche di Delbrouck, pubblicate fin dal 1875 (1), gli aculei di Smilax sono periblemici (periblem-stacheln) e quelli di Rubus sono tricomi (trichom-stacheln). I pseudofillodii non sono rachidi secondarie fillodiniche come im- maginarono Buscalioni e Muscatello, perchè il fillodio è l’intiera ra- chide principale (della foglia metamorfosata), cioè non rappresenta. l’apice emergente di tale rachide, appunto come evidentemente di- mostrano le forme di passaggio dalla prima foglia pari-pennata alle seguenti bipennate-pari e la conseguente graduale sparizione delle laminette fogliari (2). * * * Dalle mie osservazioni risulta che i pseudofillodii sono parti individualizzate dei fillopodii. Essi sono di formazione posteriore a quella dei fillodii, come dimostrò l’Hofmeister, citarono il Del- pino e il Mann e confermò il Goebel. I pseudofillodii verosimilmente apparvero allorquando s’erano con- cretate le funzioni del fillodio. In appoggio a codesta ipotesi c’è il fatto dell'apparizione dei pseudofillodii nella piantina quando il ca- rattere archetipo del nomofillo (fogiia pennata) è completamente scomparso (3); pare che la funzione clorofilliana e le altre assunte dai fillodii reclamino un aiuto: la formazione di organi compensatori. Anche la mancanza del nettario e delle stipole, esclusive della foglia e del fillodio, depongono a favore di tale ipotesi. Dati i caratteri sui generis del pseudofillodio lo chiamerei « neo- fillodio », nome che dà l’intiera idea della natura di esso e del re- lativo compenso funzionale. (1) DeLBrovoK. — Die Pflanzen- Stacheln. Hanstein's Botan. Abhandlungen Bd. II. Bonn 1875. (2) V. Appendice a pag. 123-130. (3) Vedi oss. a pag. 126. — 183 — |! \ Analoghe al neofillodio sono le decorrenze fogliari continue delle altre acacie. fra le quali quelle dell'A. diptera Lindl., specie note- vole poichè le decorrenze sono assai maggiori in superficie dei fillodii. La conferma del compenso funzionale dei neofillodii si è da un esperimento elementare, cioè asportando tutte le foglie e i fillodii della piantina giovanissima, o i fillodii se si tratti d’una pianta gio- vane di tre anni, la pianta continua a vivere ed a svilupparsi normalmente. Però se alle volte le piante muoiono è perchè vengono attac- cate da un micromicete fin dalla nascita, il quale fa ingiallire le foglioline e i verticilli. Anche le piante non sottoposte all’espe- rimento sono egualmente attaccate e muoiono. Dal R. Istituto botanico di Roma, 28 agosto 1908. APPENDICE. OSSERVAZIONI ALLA CRITICA CIRCA LA MIA NOTA PREVENTIVA FATTA DAI DOTT. PRoFF. Lurcr BuscaLionIi E G. MuscaTtELLO (1). Pag. 1-2. Gli aa. riassumono le mie conclusioni, poi dicono « I pseudofillodii infine apparvero, secondo il Migliorato, probabilmente allorquando si erano concretate le funzioni del fillodio..... » Invece io dissi (1. c. p. 172) « verosimilmente », ciò che è ben diverso. Pag. 2 « Egli (Migliorato) non c’informa sulla vera natura di siffatti organi compensatori (i pseudofillodii). » . La mia nota perchè preventiva riportò le sole conclusioni e per giunta in succinto, cioè senza particolari. In quanto poi alla vera natura dei pseudofillodii, sembra, come in appresso si vedrà, debba essere esclusivamente quella ideata dagli aa. suddetti. Pao Dieu il Migliorato, come ben si comprende, rifiuta di accettare la nostra ipotesi secondo la quale i pseudofillodii sareb- bero pure dei fillodii genuini, per quanto si mostrino sprovvisti di stipole alla base, di gemma all’ascella e di ghiandole al dorso ». Nella mia suddetta nota non citaì quest’ipotesi, perciò tanto meno la discussi e la rifiutai; non la citai perchè gli aa. l’emisera senza (!) dimostrarla. (1) V. Bibliografia a pag. 89-91. | 194 -. Passano poi a disontere le mie conclusioni e Gicomal < La presenza di organi stipularoidi (stipole, stipelle) alla Vene da fillodii fertili e sterili dell’Ac. verticillata e di molte altre acacie pure. a tipo verticillato, fra cui tutte quelle indicate dallo stesso Migliorato, è un fatto per noi oramai accertato ed in questo siamo in perfetto accordo col Goebel che segnalò la presenza di siffatti organi, sia pure in via accidentale, col Reinke ed altri autori. Nei fillodii fer- tili le stipole (v. fig. 5) sono relativamente grandi e fornite d’un fascio vascolare ridotto, che, per quanto abbiamo potuto giudicare, deriva dallo stesso cordone destinato al.fillodio ». < Le stipole dei pseudofillodii sono atrofiche, ridotte a pochi piani di cellule fra cui non abbiamo potuto riscontrare traccia di elementi vascolari. Esse sono reperibili in mezzo alle bozze dei fillodii, al- l'apice cioè dei rami in via d’accrescimento, dove, occorre notarlo, esistono pure dei peli piuttosto tozzi che potrebbero essere scam- biati per stipole, o, all'opposto, impedire il rintracciamento di queste. A causa della loro costituzione siffatte stipole hanno poca vitalità e sono perciò caduche ». Queste stipole (dei pseudofillodii) sono descritte nel lavoro, ma nella tavola non sì vedono, perchè la fig. 1 (fotozincotipata), che dà la sezione trasversale d’un apice vegetativo è riprodotta così male da rappresentare un insieme di macchie nere, specialmente nel . punto ove dovrebbe mostrare il taglio di dette stipole. Quest'in- conveniente, che non rende riscontrabile l’asserto degli aa., si ve- rifica pure nella medesima figura riportata nella prima memo- ria (n. 55). Le dette stipole, conseguentemente all’ipotesi circa la natura dei pseudofillodii, sono stipelle, perciò non ànno lo stesso valore delle stipole e non ànno nulla da vedere con le credute stipole del Goebel e del Reinke, poichè, come ò detto a pag. 88-89, questi non ritennero i pseudofillodii rachidi fillodiniche secondarie formate dai picciuoli delle foglioline pennate della foglia, ma fillodii non del valore di quelli con glandula. La mancanza di struttura vascolare fa escludere che si tratti di stipelle, poichè queste non esistono nella foglia; in ogni modo esse dovrebbero quasi certamente (nel caso in questione) essere fornite di elementi vascolari. Il taglio trasversale d’un apice di ramo mi è fatto osservare quanto segue: Le stipole (del fillodio) stanno ai lati del medesimo (fig. 47 stp.). Intorno all’asse ci sono pseudofillodii e fillodii; siccome per ogni verticillo v'è un fillodio, un solo di essi è provvisto di stipole (stp.), men gg — 125 — | mentre per gli altri non si veggono, perchè esse non appariscono nel à piano del taglio. Quà e là le figure press’a poco circolari rappre- i - sentano tagli d’apici dei due membri (pseudofillodii e fillodii). Accanto ad un pseudofillodio v'è un pelo fatto da quattro file longitudinali di cellule; esso visto in taglio trasversale mostra essere composto dalle due file indicate, perciò nella sezione si veggono quattro cellule.. La posizione di tali peli tozzi inganna, come osservano i pre- detti proff. Buscalioni e Muscatello, ma non fa confondere per la. ricerca delle supposte stipole. Questi peli, ed altri ad una sola fila di cellule, stanno dovunque soli ed anche a gruppi; pure lungo i brevi internodii delle gemme vegetative giovanissime. Si noti che le stipelle non esistono nè alla base delle pinnule della foglia, nè a quella delle laminette, perciò manca quest'altra necessaria testimonianza per l’asserto degli aa. suddetti. I proff. Buscalioni e Muscatello ànno creduto poter vedere le stipelle, perchè sono partiti dal preconcetto che il fillodio è l’apice emergente della foglia pennata del picciuolo e che i pseudofillodii sono rachidi fil- lodiniche secondarie, mentre, come ò dimostrato con le forme transi- torie del picciuolo principale, ciò non è vero (1). Pag. 3 «..... non vi ha quell’identità strutturale proclamata dal Migliorato, poichè mentre i fillodii fertili hanno 5 nervature (v. fig. 2) quelli sterili ne presentano solo 4 (v. fig. 3) e ciò proba- bilmente pel fatto che difettano di ghiandola, o non hanno la stessa dignità, per ragioni che discuteremo in seguito, dei fillodii fertili >». Nelle conclusioni (n. 2, v. pag. 90) della mia nota preliminare non dissi che c’è identità di struttura fibro-vascolare tra i fillodii e i pseudofillodii in quanto al numero dei fasci, perchè avrei detto il falso, cioè quanto non risulta neanche dalle mie stesse osservazioni; asserli invece che < non v’è differenza di struttura fibro-vascolare », ciò che è ben diverso, poichè i due organi non sono identici nel numero dei fasci, ma non ànno differente struttura fibro-vascolare. Pag. 4. « Neppure possiamo ammettere l’ipotesi del Migliorato che i pseudofillodii siano apparsi dopochè sì erano concretate le fun- zioni dei fillodii, quasi che si trattasse di organi di terzo o quarto ordine susseguiti ai nomofilli ed ai fillodii genuini, e destinati ad assumere le funzioni di organi compensatori. Con questo criterio i fillodii sterili diventano quasi degli organi nuovi per la pianta, ‘non reperibili in altra specie all'infuori di poche altre Acacie a tipo verticillato ». (1) V. pagg. 93-99, 100-104. e SEN RT È PROTO E Sl) CARPOTI LTS i > t " Maiiit È ba »". 7) dA hi Pad est d'URET, ” » x VRUO a e UZ ue * n N67. o ART A < Ora tale concezione mal si accorda, a nostro parere, colle mo- «derne vedute sulla morfologia del caule e tanto meno poi col fatto che moltissime Acacie vegetano benissimo senza il sussidio di siffatti organi nuovi o di compensazione, pur mancando di fillodii genuini (forme a tipo di Retama), o avendo i fillomi ridotti allo stato di squamette. Quasi tutte queste forme di Acacie australiane suppli- scono ottimamente, coi loro fusti verdi, alle esigenze della assimila- zione, come è il caso appunto per l'A. vertici:lata. Ci pare adunque piuttosto strano che proprio questa abbia bisogno di produrre organi nuovi di compensazione da sostituire ai fillodii perduti, mentre poi ha un fusto verde e dei fillodii genuini (fillodii fertili) abbastanza sviluppati. Tanto valeva che avesse dato maggior sviluppo a questi ultimi, poichè così avrebbe raggiunto lo scopo (maggiore energia di assimilazione) in modo più semplice ». Non comprendo perchè gli autori si meraviglino di poter am- mettere l'ipotesi mia, cioè che i pseudofillodii rappresentino organi compensatori, quando questi con la loro struttura (constatata anche da essi aa.) dimostrano che ànno, meno la funzione del nettario, le funzioni del fillodio. Gli autori suddetti sono in contraddizione con la loro tesi, perchè se i pseudofillodii sono rachidi fillodiniche se- condarie, come essi immaginano, sono diventati tali per compensare la mancanza delle lamine come fa il fillodio. Si noti in proposito che se l’Acacia verticillata avesse le foglie (pennate o bipennate) come la piantina, la superficie verde sarebbe considerevole; ora si metta ciò in rapporto col numero enorme dei pseudofillodii compensatori. In quanto alla frase ultima « Tanto valeva ecc. ecc. » osservo solamente perchè gli autori la pensano in quel modo, la pianta avrebbe dovuto fare obbligatoriamente così! Pag. 4. « La formazione dei fillodii sterili non è poi un fenomeno postumo o tardivo ». « Tali organi nascono, come tutti i fillodii genuini delle altre Aca- cie, non sì tosto sono comparse le prime foglioline normali, e quasi sempre, ciò che è .per la nostra tesi importante, compazono prima ancora dei genuini fillodir ghiandoliferi portanti il ramo all’ascella ». Ciò non è esatto poichè in migliaia di piantine allevate da me a Napoli (1898-904) e nell'Istituto botanico di Roma (1904-9) l’appa- rizione dei pseudofillodii si è avuta generalmente quando i picciuoli sono fillodinizzati, cioè quando la pianta perde le foglioline. Però ci son piantine che ànno uno, due, tre pseudofillodii tra una foglia- fillodio e un fillodio provvisto di foglioline, ma ciò, ripeto, non è la regola. (In appresso si vedrà che questo fatto, portato contro di . e — 1297 — Scano Ci proff. dti e Muscatello, depone a sfavore dell’ipo- tesi del fillodopodio dell’Ac. verticillata avanzata da essi stessi, val quanto dire il pseudofillodio sito tra la foglia e il fillodio provvisto di foglioline non è una rachide secondaria fillodinizzata, perchè si trova in un posto ov'esistono le rachidi secondarie. È quindi un ‘organo compensatore, che la pianta produce ove manca o principia a mancare la lamina fogliare). I professori Buscalioni e Muscatello passano a spiegare con la se- guente ipotesi la natura dei pseudofillodii, ma non l’accompagnano coi fatti. Essa fu emessa nella prima nota, a vag. 24, anche senza dimo- ‘strazione. Pag. 5. « Questo era (il filloma dell’Ac. vert.), in origine, formato, com’è il caso ver la maggior parte delle foglie delle legu- minose, di foglioline secondarie laterali, e di una fogliolina termi- nale, ognuna delle quali era picciolata. In virtù della fillodinizzazione tutti quanti i picciuoli si sono ridotti, secondo la nostra ipotesi, a fillodii che poi perdettero i rispettivi lembi ». < Oltre a ciò tutta quanta la rachide primaria, ad eccezione della porzione terminale, pure fillodinizzata, si sarebbe fusa col ramo per formare il fillodopodio, come si verifica in molte Acacie, Daviesie ecc. A questa fusione, che in fondo è in armonia con la teoria del fillo- podio di Delpino, sono però sfuggite le rachidi secondarie, a loro volta fillodinizzate, di guisa che queste riuscirono a formare, coll’e- stremità della rachide principale, quelle emergenze sulla cui natura i botanici da tempo discutono, ma che per noi sono fillodii genuini. » < Ammessa una tale ipotesi noi possiamo spiegare ora tutte le particolarità che presentano i fillodii dell’ Acacia verticillata ». « I fillodii fertili sono gli apici emergenti delle rachidi princi- pali, 0 per essere più esatti i picciuoli delle foglioline terminali ». < Come tale è ovvio che portino all’ascella una o più gemme, che abbiano il nettario e che siano fornite di stipole ben conformate. Naturalmente si deve ammettere che questi organi, di appannaggio esclusivo del fillodio fertile, siansi spostati a poco a poco dalla loro sele primitiva che era la base del fillopodio delpiniano a misura che il filloma veniva fondendosi col fusto per formare il fillodo- podio. Tale spostamento non è però una particolarità dell’ Acacza verticillata poichè l’ abbiamo riscontrato anche in tutte le Acacze fillodopodiche le quali portano stipole, le ghiandole e le gemme nel punto dove gli organi appendicolari si staccano dal ramo, il quale. punto è solo la base apparente del fillodopodio ». < I fillodii corrispondenti alle rachidi o picciuoli secondari, pel fatto stesso che essi sono di ordine secondario o più elevato, man- cano di ghiandole, e, come è il caso per tutte le rachidi secon- darie, siano io o no, difettano anche di ramo all’ascella ». Vr liggieo « Essi però portano le loro stipelle ippressnicta ‘de Qaeni degni si per lo più caduchi e costituiti quasi da puro tessuto parenchima- toso, che noi abbiamo segnalato alla loro base, nelle sezioni fatte all’apice dei rami giovani ». Come si rileva a pag. 104, 121 il fillodio non è l'apice emer- gente della rachide principale della foglia, e ciò lo dimostrano le forme intermedie della prima foglia (della piantina) paripennata. alle seguenti bipennate-pari e poi al fillodio, passando, per ar- rivare a questo, per varii gradi di appiattimento della rachide pri- maria e della sparizione delle laminette fogliari. Pag. 6. Per sostenere detta ipotesi ‘gli autori trovano rapporti numerici tra i pseudofillodii e le foglioline. Pag. 7. Dicono che una varietà di Acacia verticillata a fillodii enormemente sviluppati porta stipole anche nei fillodii sterili (pseu- dofillodii). Questo fatto fa escludere agli autori che i pseudo- fillodii sieno organi compensatori, mentre essi stessi li chiamano implicitamente tali dicendoli rachidi fillodiniche secondarie con forma e struttura come nei fillodii, s'intende meno il nettario e l’istesso numero dei fasci. Io non ò avuto occasione di osservare tale varietà, la quale dai caratteri descritti sudetti sembra non doversi riferire alla ver- ticillata. Pag. 8. « Concordiamo tuttavia con questi (Migliorato) quando egli afferma che siffatti organi sono parti individualizzate della regione fillopodiale, pur facendo rilevare che essendo tali dovreb- bero almeno da un punto di vista teorico aver indotto l’ autore a ritenerli soggetti alla legge che domina la fillotassi, perchè i fillo- podii la seguono. All’opposto non possiamo accettare le vedute di questo autore allorchè afferma che i fillodii sterili sono organi compensatori che nulla hanno a vedere coi fillodii ». Invece gli autori non possono concordare con me in quanto sopra dicono, poichè io ritengo i pseudofillodii formazioni postume del fillopodio, mentre per essi sono rachidi fillodiniche secon- darie ecc. Essendo i pseudofillodii non individualmente nomofilli metamor- fosati, o perchè parti del /i2lopodio (del fillodio), quindi di forma- zione postuma a questo, o perchè rachidi secondarie, quindi parti del fillodopodio, non possono essere soggetti alla fillotassi, che è delle foglie e dei fillodii, che sono insieme e non parti. Tengo poi a far rilevare che nelle conclusioni della mia nota preventiva (si confrontino! v. pag. 171-2) non ò affermato, e neanche implicitamente supposto, che i pseudofillodii « sono organi compen- i N MERE O CRA IE IS ren ù y « _ 199- gi4430 che nulla hanno da vedere coi fillodii >, perchè li ò detti or- gani compensatori che ànno struttura fibro-vascolare non differente da quella dei fillodii, e che sono parti individualizzate della regione fillopodiale di quest’ultimi. Come mai i proff. Buscalioni e Muscatello mi fanno dire quel che non ò detto?? Portano come testimonianza della loro ipotesi circa la fusione della foglia col ramo, la costituzione fogliare della Platytheca ga- lioides, studiata recentemente dal Van Tieghem (1) e dell’ Acacia galioides, la quale ultima non à nulla da vedere con l’ Acacia ver- ticillata come gli stessi aa. affermano nel seguente brano: Pag. 10. <« Ed ora un’ultima parola sull’ Acacia galioides. Questa specie (v. fig. 11) porta delle foglioline di tipo ericoideo disposte in ver- ticilli più o meno genuini, ad ognuna delle quali corrispondono due stipole (v. fig.) conformate esattamente sullo stampo di quelle dei fillodii fertili dell’Acacia verticillata ». < Stando all’apparenza esterna si direbbe che l'A. galioides sia una forma fillodinica: invece se noi sezioniamo i fillodii troviamo una struttura che differisce notevolmente da quella indicata da noi come tipica dei fillodii. In questi com’è noto, si incontrano sempre due fasci, più grandi degli altri, addossati alle faccie laterali dell’organo, mentre lungo i margini, rivolti in alto e in basso, decorrono dei pic- coli fasci vascolari. Orbene, tutto l'opposto si verifica nell’ Acacia galioides. La foglia ha innanzi tutto una struttura dorsoventrale con una faccia dorsale (rivolta probabilmente sempre in basso) diversa- mente conformata dalla ventrale; questa è concava quella convessa. Lungo la prima, e più precisamente sulla linea mediana, decorre poi il maggior fascio vascolare della foglia (v. fig. 4), mentre ai lati di questo s'incontrano dei piccoli fascetti formanti nell’insieme una specie di ferro di cavallo. È quindi più consono al vero ripor- tare il filloma dell’Acacia galioides al tipo delle foglie ericoidee, conscii tuttavia che l’ultima parola sull’intima costituzione delle foglie e del fusto sarà detta quando si sarà potuto seguire la pianta in tutto il suo ciclo evolutivo ». Pag. 11. « Noi concludiamo soltanto affermando che la presenza di vere stipole, nell’A. galioîdes, simili a quelle dell'A. verticillata, è un argomento in più che ci obbliga ad allontanarci dalle vedute del Migliorato ». Comesi rileva dalla stessa nota dei predetti professorila Platytheca (1) VAN TIEGHEM Pu. — Que/ques remarques sur les Trémandracees. An- nales des Sciences Naturelles. Botanique, 9 Série, T. IV, 1907, p. 373. ANNALI DI BoraNICA — Vor. VIII. 9 sv * o CIgOSE galiovides non à nulla da vedere con l’Acacià verticillata, Sea 3 nella prima ci sono verticilli di nomofilli, cioè dei verticilli veri, mentre nell’Acacia verticillata i medesimi sono falsi, perchè l’unico . nomofillo è rappresentato dal fillodio (col nettario). Ciò si à sia ammettendo che i pseudofillodii sono parti del fillopodio, sia rite- nendoli rachidi secondarie fillodinizzate della foglia pennata. A testimonianza di quanto sopra dico, riporto i seguenti brani degli stessi aa. Pag. S. « Nelle Platytheta, e specialmente nella P. radica le foglie, apparentemente tutte semplici sono in numero di 7 a 11 per verticillo. Nei nodi a 7 foglie la stela emette 3 meristele di cui 2 più grandi. Una diqueste da un rametto alla gemma ascellare della foglia cui è destinata. Poi le 2 meristele grandi sì triforcano nella cortec- cia per dare origine alle 7 meristele fogliari. Il verticillo, ettamero in apparenza, è in realtà trimero ed eterogeneo perchè composto di foglie semplici e di foglie palmate a 8 foglioline sessili, una delle quali porta la gemma all’ascella. Può però anche accadere che la stela separi 5 meristele, una delle quali, la più grande, si triforca ». < In tal caso sihanno 4 foglie semplici e una trifogliata gemmipara ». « Quando si hanno 8 foglie..... Il verticillo è quindi tetramero ed eterogeneo, risultando costituito da 2 foglie semplici e da 2 com- poste palmate a tre foglioline sessili ». In un nodo a 9 foglie il verticillo è pentamero cioè « costituito da 3 foglie semplici sterili e da due foglie trifogliolate, opposte, gemmifere ». In un nodo a 11 foglie il verticillo è tetramero, « ma le foglie sono in origine tutte e tre trifogliolate e solo per aborto di uno dei rami una di essa diventa bifogliolata ». # La presenza di due o più fillodii (col nettario) nel verticillo dell’Acacia verticillata non è argomento a favore del predetto para- gone, poichè quando ciò avviene è o per spostamento o per polimeria fillotassici, mentre la suddetta costituzione nella Platytheca galicides è normale. Dal R. Istituto botanico di Roma, 25 aprile 1909. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE V, VI e VII. Gl’ingrandimenti sono indicati accanto ad ogni figura, la quale conserva *un numero successivo in tutte le tavole. I disegni di struttura meno quelli n. 23, 46 a 52 sono semi-schematizzati. f = fillodio. i I fgl = foglia. n = nettario. P = palizzata. pa = parenchima. ps = pseudofillodio. psr = pseudofillodio ridotto. s —= costola superiore. st fgl = stipola di foglia. st f — stipola di fillodio. i Nei fasci la parte punteggiata rappresenta la guaina, quella nera la parte Mlegnosa, e quella bianca, tra la guaina e questa, indica la parte cribrosa. Tav. V. (figg. 4, B; 1-22). .A Prima foglia pari-pennata d’una piantina Gr. nat. .B Seconda pari-bipennata id. id. 9 1-4 Sezioni trasversali dei picciuoli delle piantine. T 2 ‘5. Sezione trasversale d’un fillodio d’una piantina. * 3 ; LADA ‘6. Sezione trasversale d’un pseudofillodio d’una piantina — 1 2 ‘7,8, 9,10, 11 (1). Sezioni trasversali dei picciuoli delle foglie, = , fatte a diverse ‘altezze come è descritto nel testo. 12. Sezione trasversale d’un picciuolo-fillodio avente all’apice due foglie pen- nate. 2° + 13. Sezione trasversale fatta alla base d’un pseudofillodio d'una piantina. 22. Sezione trasversale d’un pseudofillodio d’una piantina. 114. a 18 Fillodii d’una pianta di 30 anni circa. Sono rappresentati al naturale e ingranditi. La lettera n indica il nettario che è nella costola superiore s. 19-21. Pseudofillodii di una pianta id. ‘22. v. dopo il n. 13. (1) In questa figura il litografo non à segnato la linea limite tra il paren- ‘chima centrale e il palizzata nella costola inferiore. Esso limite va dalla metà quasi del fascio all’estremità del maggiore sottostante. L 90 Di: circa ka i I A Spi 24 a 30, Tagli trasversali di fillodii a metà altezza. - SIA a. : 31 a 35. Tagli trasversali fatti a metà d’altezza di pseudofillodii. 28 RR 36 a 40. Diagrammi di verticilli col pseudofillodio ridotto psr ra p preso pa 1° da un cerchio nero. si y 39. Pseudofillodio ridotto accanto ad un pseudofillodio normale. se I A 40. v. dopo n. 86. | 3 41. Stipola di foglia A 68 52 42-44. Pseudofillodii ridotti. i 2 2 45. Stipola di fillodio. di gie Tav. VII. si (Figg. 46-52) 46. Taglio fatto alla base d’un pseudofillodio ridotto. = 47. Taglio trasversale di un apice vegetativo con fillodii e pseudofillodii. ni Un fillodio è rappresentato con le stipole (stp) e sei fasci. Un fillodio è rappresentato con 6 fasci. 2 48. Taglio trasversale d’una decorrenza del ramo. > 49. Taglio fatto alla metà d’altezza del pseudofillodio ridotto della fig. 39. ca 50. Taglio trasversale d’una stipola di foglia. ni bI. Taglio fatto a metà d’altezza d’un pseudofillodio ridotto. - | 150 *:( 52. Taglio fatto a metà d’altezza d’un pseudofillodio ridotto. ma 1 . s Fig.16. n Cp DA n n Fig.17 ua 7 n % CS > I EEN DI, E, A © © ROLE 7 DOO Lù "O a o) Meccanismo di secrezione degli enzimi di ENRICO, PANTANELLI IV. Ricerche preliminari su la secrezione dell’amilasi (Secondo esperienze del Dott. DIANA BRUSCHI). In continuazione delle ricerche su la secrezione dell’invertasi da parte dei micelii fungini (1), abbiamo tentato di sottoporre ad espe- rimento il problema della secrezione dell’amilasi. Fedeli al concetto d’intendere per secrezione (2) « una funzione vitale, e precisamente l'emissione di sostanze dal protoplasto vivo, resa possibile da un cam- biamento autoregolato delle condizioni di permeabilità della mem- brana plasmica, tale che l’ organismo possa a piacere revertirlo », ‘abbiamo cercato di stabilire se realmente esce amilasi attiva dal micelio di alcuni funghi, di cui è noto il potere dissolyente o sacca- rificante su l’amido. Infatti, diversi Autori parlano di secrezione di amilasi da miero- organismi appartenenti ai generi Mucor, Penicillium, Aspergillus, Botrytis, Monilia ecc., ma non si sono curati di stabilire se l'enzima dissolvente o saccarificante l’amido proveniva da cellule vive, igno- rando che nelle culture di questi funghi entro pochi giorni la parte «sommersa del micelio muore (8), specialmente dopo che è cominciata - (1) Annali di Botanica, vol. III (1905), pp. 113-142; vol. V (1906), p.#229-272; vol. V (1907), pp. 355.416. — Rendiconti Accademia Lincei, serie 5°, anno XV, I sem., pp. 380 e 587 (1906); anno XVI (1907), II sem., pp. 419-428. — Berichte «d. botan. Gesellschaft, Bd. XXVII (1908), pp. 494-504. (2) Meccanismo di secr. degli enzimi. Questi Annali, vol. III (1905), p. 118. (3) RicaTER A., Centr. f. Bakter, Bd. VII (1901), p. 417; PANTANELLI, Jahrd. .f. wiss. Bot., Bd. XL (1904), pp. 308, 319; Nuovo Giorn. Bot. (2), XI (1904), _ p. 341; Nigorsky, Centr. f. Bakt., Bd. XII (1904), p. 554; STEFANOWSKA, Comptes una CXXXIX (1904), pp. 879-881; Router DE Flora, Bd. XCVII (1907), “pp. 216-262. ae LTD LITRO SEI «SOTTO RATA la produzione delle spore ed a temperatura elevata. Con la morte odì > Sa anche già con l’indebolimento si alterano le condizioni d’ impermea- "I bilità della cellula, così che possono diffondere liberamente nel sub- strato, non più esosmire attraverso una membrana regolante il pas- saggio, enzimi che non potrebbero uscire da cellule sane. Ciò hanno. già previsto od osservato Fernbach, O’ Sullivan, Beijerinck, Hé- rissey, Malfitano, Buchner (1), etc. per diversi enzimi, ed io potei studiarne le modalità a proposito dell’invertasi. È chiaro che in tutti questi casi non si può parlare di secrezione. Per i lieviti, mi riescì di dimostrare, che la produzione dell’alcool durante la fermentazione fa aumentare la permeabilità della mem- brana plasmica, e che parallelamente s’ inizia la secrezione dell’in- vertasi; per 1 micelii dei funghi non sono possibili le misure della permeabilità senza ledere ìl fungo, e quindi bisogna contentarsi di controllare con l’esame microscopico lo stato delle cellule. I miei studii su l’invertasi hanno poi mostrato, che insieme al- l'enzima attivo viene emesso anche il suo zimogeno, che poi si tra- sforma per suo conto in enzima attivo nel substrato. Quindi l’au- mento di un enzima nel substrato non basta per provare che è stato. secreto come tale da la cellula viva; bisogna farsi un’idea anche della quantità di zimogeno presente per mezzo di prove di attiva- zione del liquido enzimatico in autolisi asettica, come appunto ab- biamo fatto in questo e nei precedenti lavori. In terzo luogo abbiamo cercato di eccitare il fungo a secernere l’amilasi dopo cambiamento artificiale del substrato o di obbligarlo- a frenare od arrestare la secrezione stessa con lo stesso artificio sperimentale. Alcuni Autori sono riusciti ad arrestare la produzione di ami- lasi, così Brown e Morris (2) fornendo all’embrione isolato di Gra- minacee soluzioni di saccarosio, zucchero invertito, glucosio, frut- tosio, maltosio, raffinosio; a quanto io sappia, è questa, insieme ad alcune osservazioni analoghe di Linz e Puriewitsch, l’ unica espe- rienza in cui il substrato fu artificialmente cambiato; è notevole. però che Linz (3) sostiene che lo scutello sano delle Graminacee non (1) FERNBACH, Ann. Inst. Pasteur, IV (1890), pp. 11-16; O’ SULLIVAN, Journ. Chem. Soc., LXI (1892), pp. 598 e 926; BELJERINCK, Centr. f. Bakter., II, Bd. III (1897), pp. 450, 524; IV (1898). p. 723; MaLritANnO, Ann. Inst. Pasteur, XIV (1900), pp. 60-81; 420-448; HérIssEy, Recherches sur l’éimulsine, Thèse de Paris,. 1899, p. 38; BucanER, Die Zymasegirung, 1908, p. 257; PANTANELLI, Questi. Annatli, vol. II, p. 117 (1905); vol. III, p. 142 (1905). (2) Journ. Chem. Society, LVII (1890), p. 458. (3) Jarb. f. wiss. Botanik, Bd. XXIX (1896), pp. 295-299-801. se tn diari Non voglio entrare in tale questione delicata, che ‘ da Diana Bruschi è stata risolta (1) mostrando che Poldosiera in riposo delle Graminacee contiene una proamilasi, che durante la germinazione sì trasforma in amilasi attiva e basta per disciogliere l’amido nell’endosperma, purchè i prodotti di idrolisi siano continua- mente allontanati. Questi prodotti ostacolano l’azione dell’amilasi e già per tale ragione si arresta lo scioglimento dell’amido nell’en- dosperma in presenza di soluzioni zuccherine, fenomeno che Pfef- fer (2), Hansteen (3) e Purjewitsch (4) hanno considerato quale estrin- secazione di un potere regolatore dell’endosperma, delle Graminacee, da essi ritenuto vivo, mentre non lo è affatto, come non vi è secre- zione di amilasi, e tanto meno quindi sì potrebbe parlare di arresto della secrezione. In altre ricerche, diversi Autori si sono limitati a constatare, che la produzione di amilasi non ha luogo su determinati substrati di cultura. Pfeffer (5) aveva aperto la strada con i suoi studii eleganti su l’elezione degli alimenti e la così detta protezione di un alimento per opera di un altro che vien consumato a preferenza. Quando però sì spinga la ricerca più addentro e si voglia sapere se questa prote- zione sia dovuta a la mancata secrezione di un enzima adatto a decomporre la sostanza protetta, i fatti si complicano. Pfeffer (6) e Katz (7) hanno bensì trovato che basta il 2 % di saccarosio o di glu- cosio perchè manchi la secrezione ed anche la produzione di ami- lasi nell'interno del Penicillium glaucum, ma gli stessi Autori do- vettero constatare che |’ Aspergillus niger emette amilasi anche in presenza del 15 % di saccarosio o del 30 % di glucosio, e perfino in assenza di amido. Biisgen (8) aveva mostrato che l’ Aspergillus oryzae emette un’a- milasi non solo in presenza di amido, ma anche in una soluzione al 5 % di glucosio con aggiunta di estratto di carne, ciò che del resto succede anche nel Penicillium secondo Katz. (1) Rendiconti Accademia Lincei, (5), vol. XV, II sem., pp. 383-390 (1906); Annali di Botanica, vol. V, pp. 569- sii (1907); Annals of Botany, vol. XXII, pp. 449-463 (1908). (2) Ber. Scichs. Ges. d. Wiss., p. 422 (1893); PAanzenphysiologie, II ediz (1897), p. 518. (3) Flora, Supplem., 1894, p, 419. (4) Jahrb. f. wiss. Bot., XXXI (1898), p. 1. (5) Jahrb. f. wiss. Bot., XXVIII (1895), p. 215. (6) Ber. Scchs. Ges. d. Wiss., 1896, p. 513. (71) Jahrb. f. wiss. Bot., Bd. XXXI (1897), p. 599. (8) Ber. d. bot. Ges., Bd. III (1885), p. LXXX. x, n-4 ca ho, < x ll ; ” P° n % 3 fe Pal I li RS ne Li at E AI a A ica di uf T, À ce SENI A), pi SPUTO a — 136+. : agito. Duclaux (1) trova per un Aspergillus glaucus secrezione di ami- Ni lasi in presenza di lattato di calcio, non in presenza di saccarosio; per il Penicillium glaucum non ne trova in ambo i casi, ma bensì in presenza di glicerina, che secondo Katz basterebbe per sopprimere la produzione di amilasi presso questo fungo. Went (2) ha trovato che la Monilia sitophila emette amilasi anche in presenza di glucosio, glicerina, maltosio, lattato di calcio, acetato di potassio, oltre che di amido. Numerosi dati in accordo o in contrasto con i precedenti si tro- verebbero nei lavori di Calmette, Sanguinetti, Gosio, Tiraboschi ecc. e sarebbe facile allungare la lista, coltivando quanti funghi capitano tra le mani sopra le più svariate soluzioni, senza mai arrivare ad un resultato concorde. È poi evidente che tutti questi resultati, come fu già discusso nel primo di questi studii, non dicono nulla su la regolazione della secrezione, e non ho bisogno di ripetere i ragiona- menti fatti allora. Metodi. Nel presente lavoro la Dott. Diana Bruschi non ha fatto che ap- plicare a le ricerche su la secrezione dell’amilasi 1 metodi di cui io già mi ero servito per le ricerche su la secrezione dell’invertasi ed ha fatto uso, come esperienze orientanti, di culture in capaci ca- mere Koch, poi di culture in boccie del tipo da me proposto per po- tere operare con precisione i cambiamenti del substrato senza di- sturbare il micelio vegetante alla superficie del medesimo. Notevoli difficoltà offre la determinazione quantitativa dell’ a- milasi. Anzitutto è ancora ignoto (3) se l’amilasi, intendendo con questo termine un enzima che accelera la trasformazione dell’amido crudo o insaldato o reso solubile secondo il metodo di Lintner, rappresenti un’azione enzimatica unica o una catena di enzimi. Nel secondo caso, che è il più verosimile, la distinzione delle singole fasi del- l’azione amilasica totale sarà possibile quando sarà meglio conosciuto il decorso dell’idrolisi non enzimatica dell’amido e le recenti sco- (1) Traité de microbiologie, vol. II, 1899, I, p. 84. (2) Jarb. f. wiss. Bot., Bd. XXXVI (1901), p. 611. (3) Cfr. le trattazioni generali dell'argomento in OPPENHEIMER, Die Fermente, II ediz. 1904, p. 210; CZAPEK, Biochemie d. Pflanzen, Bd., I, pp. 287, 319, 341, 848 (1904); LAFAR, Handbuch d. techn. Mykol., Bd. IV, 1906, pp. 240, 426, 519. In realtà manca anche una buona trattazione generale. In breve: EULER, Pflanzenchemie, vol., 1908, p. Db. AA 4 > SOIN Ri 4 prese. essa ancora riserbi, dopo un secolo d’indefesse ricerche. At- tenendoci a questi ultimi resultati, dovremmo distinguere, partendo da la salda o da l’amido solubile, un enzima che fluidifica l’amilo- cellulosa al punto di renderla non retrogradabile (amilasi in senso stretto), un altro enzima che scinde l’amilopectina od anche l’amilo- cellulosa fluidificata in destrina (amilodestrinasi) o in maltosio (ami- lomaltasi), un terzo che idrolizza la destrina in maltosio (destrino- maltasi) — l’esistenza ne è dubbia — e finalmente la maltasi o meglio maltoglucasi, accanto ad una destrinoglucasi, che da maltosio o da destrina forniscono glucosio. Siamo obbligati ad inglobare nella catena amilolitica anche l’idro- lisi della maltasi, che si suole già ascrivere per lo più ad un en- zima a sè, la maltasi, perchè le amilasi degli organismi da noi ado- perati dànno contemporaneamente maltosio e glucosio, e spesso più di questo che di quello; riserbiamo tale questione per un prossimo studio. In questo lavoro ci contentammo, al pari di tutti i nostri prede- cessori, di misurare l’azione amilasica totale, cioè la quantità di zucchero riduttore che 10 cc. di liquido enzimatico formano, se posto a contatto per un’ora a 60° C. con 10 ce. di salda di fecola al 2 %, preparata di fresco, e per non pregiudicare la questione della molte- plicità dell'enzima, che riserbiamo a studii ulteriori, abbiamo indi- cato come amiloglucasi lorda il numero di mg. di Cu, O ottenuti determinando alla fine della preva lo zucchero riduttore secondo il metodo di Allihn, in tutti i 20 cc. o in parti aliquote del liquido in prova (2). Togliendo a questa cifra il numero di mg. di Cu, O forniti eventualmente da 10 cc. dello stesso liquido enzimatico prima del saggio si ha l’amiloglucasi netta. In altro luogo (3) ho esposto perchè in ricerche di questo genere non convenga fare uso dell'enzima precipitato e purificato, ma di- rettamente del substrato o della poltiglia del micelio. (1) Roux, Comptes rendus, 1905-1909; MAQUENNE, Ibidem; FERNBACH e WoLFer, Ibidem. Di questi ultimi vi sono alcune note anche negli anni 1903 ‘e 1904, ibidem. Le ricerche su l’amilocoagulasi e l’amilasi sono merito indistinto di questi quattro autori, quelle su l’idrolisi e la retrogradazione dell’amilocel- lulosa si debbono anzitutto a MAQUENNE e Roux. Riassunto: Ann. Chim. et Phys., (8), vol. IX, pp. 179-220 (1906); Bu42. Soc. Chim., (3), pp. XXXV-XXXVI e II-XV. @) È il metodo di cui la Dott. Bruschi ha già fatto uso nei suoi lavori su l’amilasi dei semi, I. c. Prima di determinare lo zucchero occorre per lo più defecare il liquido, precipitandolo con acetato basico di piombo, e poi con soda, in pallone da 700 cc. (3) Ueber Pilzrevertase, Ber. bot. Ges., Bd. XXVI (1908). Abbiamo determinato sempre i carbidrati facilmente saccarifica- bili (maltosio, saccarosio, glicogeno ecc.), idrolizzando il liquido con HCl ‘/,, normale su bagnomaria per mezz'ora, e talvolta le destrine nel liquido da saggiarsi; queste ultime mediante ebullizione a vo- lume costante per 3 ore con HCl normale, ma sempre con incerto re- sultato, per colpa della reversione, che comincia anche quando il te- nore in zucchero è molto basso (1). Il Cu, 0, precipitato e raccolto nel modo prescritto, lavato con acqua bollente, poi con alcool, fu subito rapidamente seccato a 140° C. e pesato come Cu, O, perchè con misure di controllo ci siamo convinti che operando in questo modo è inutile la riduzione a rame, che del resto oramai è antiquata (2). Volendo risalire dai nostri dati in Cu, 0 al rame corrispondente, per calcolarne secondo le solite tabelle (3) il maltosio o il glucosio corrispondente, basta moltiplicarli per 0.88. Non abbiamo fatto questa riduzione, perchè non sempre si sapeva quanto maltosio e quanto glucosio vi fosse, e perchè per il nostro scopo fisiologico importa confrontare i dati numerici in Cu, O fra loro, più che calcolare lo zucchero. Le prove di attivazione, cioè di trasformazione del proenzima o zimogeno dell’amilasi, la proamilasi, in enzima attivo od amilasi (amiloglucasi) furono fatte tenendo per 8 giorni precisi in termo- stato a 25° C. una certa quantità del liquido enzimatico, addizionato di toluolo. Passati li 8 giorni, si determinava il potere riduttore in 10 ce. e con altri 10 ce. si misurava l’attività amiloglucasica come sopra si è detto. La differenza in più rispetto a quella riscontrata 8 giorni prima indica la quantità di zimogeno che si è trasformata in enzima attivo. L’esperimentare con l’amilasi non è così agevole come con l’in- vertasi, per la lentezza di produzione, secrezione ed azione del primo enzima, così che in sei mesi di lavoro abbiamo raccolto a fatica dati orientanti sul complesso fenomeno. Altre esperienze che abbiamo intanto cominciato con funghi potentemente saccarificanti, quali Aspergillus Oryzae ed il Mucor Rourii ci hanno persuaso, che i funghi da noi adoperati per primi hanno un potere saccarificante così debole rispetto a questi, che mettono la pazienza dello sperimen- tatore a prova troppo dura, e siccome intendiamo per ora abbando- (1) Staz. sperim. agrarie, vol. XLII (1909), p. 330. (2) KoNIG. — Untersuchung landw. wicht. Stoffe, III ediz., 1906, p. 290; EuLEeR, Pfanzenchemie, I vol. (1908), p. D4. (3) KoNIG, 1. c.; GLIKIN. Biochem. Taschenbuch, 1909. Si ate SIT RALE ARSA SIE IA SO I PRIN narli, così ci siamo decisi a pubblicare intanto i resultati di quelle: prime esperienze. I funghi adoperati erano: Mucor Mucedo, Penicillium glaucum, Aspergillus niger, Botrytis cinerea. Il loro modo di comportarsi di fronte a l’amido, è così diverso, che siamo costretti a riportare sepa- ratamente i resultati delle esperienze. Esperienze con culture in camera di Koch. 1. Mucor Mucedo. Per questo fungo la produzione di amilasi non è indicata ancora da alcun Autore, ma è noto che esso cresce bene su farina; di al- cuni suoi parenti, M. Rowxii, Rhizapus tonkinensis, Eh. japonicus ecc., è nota la potente azione fluidificante su la pasta d’amido (1). I Esp. — Il fungo fu seminato su una pasta compatta, formata di 100 cc. di acqua e 15 g. di farina di frumento; lo sviluppo (a 25° C.) fu rapido e dopo 4 giorni già cominciò la formazione degli spo- rangii che presto ricoprirono tutto il micelio poderosamente svilup- pato. Però dopo 33 giorni di cultura solamente uno strato di 2 mm. di spessore sotto la pasta era fluidificato, mentre il micelio era dive- nuto molto spesso, compatto, e le ife erano quasi tutte morte, spe- cialmente quelle sommerse, così che si dovette troncare l’esperienza. 10 cc. del liquido denso, torbido, che sottostava al micelio, ave- vano un’acidità debole (rispetto alla fenolftaleina) pari a 6,2 cc. di Na0H ‘/, norm. e non contenevano amido nè zucchero riduttore. Il saggio dell’amiloglucasi dette 114. La presenza di questo enzima era indubbia, e non di sola maltasi o di sola destrinasi, perchè mentre il liquido conteneva destrina, non era capace di idrolizzarla. Infatti 10 cc. di questo liquido, addizionati di 10 cc. d’acqua e toluolo fu- rono lasciati in autolisi asettica a 25° C. per 8 giorni, dopo di che non contenevano ancora zucchero riduttore; 10 cc. ne furono pre- levati e posti a contatto con salda dettero 140 di amiloglucasi, ciò che corrisponde a 280 per 10 cc. del liquido primitivo. In altre parole durante l’autolisi si era più che raddoppiato il potere amilolitico, cioè enzima attivo doveva essersi formato a spese di uno zimogeno. Il micelio fu lavato su NaCl al 3 % (2), indi asciugato, fra carta bibula, ed aveva un peso fresco di 27.4 g. Fu triturato portando la (1) LAFAR, — Handb. d. techn. Mykol, vol. 1V (1906), p. 519. (2) Questo lavaggio permette di allontanare la maggior parte del liquido culturale, senza fare scoppiare una forte quantità di ife, ciò che accade inevi- tabilmente se si lava il micelio con acqua. Cfr. i miei precedenti lavori in questi Annali, vol. II (1905), p. 324, III (1905), p. 123. AO — his "4 Di - va o Di hi; SI di + de A Ta Li 40 i Tot9 è ® 4 "3 x poltiglia a 100 ce. con acqua. La poltiglia così ottenuta aveva in 10 ce.: i D » s . Acidità Zucchero Amiloglucasi î aria sa LAI) PORGE totale glucosio lorda netta 0.6 | 22 0 22 176 176 L’amiloglucasi sarebbe stata 1760 per tutto il micelio, ossia poco elevata, per quanto superiore a quella esteriore. La cultura era già vecchia, come resulta da una prova di attivazione dell’amilasi in- terna: dopo 8 giorni nelle solite condizioni l’enzima era sceso a 140. Il micelio aveva dunque esaurito la provvista di proamilasi, o proba- bilmente si era attivata una reamilasi, come succede normalmente quando il fungo sta lungo tempo a contatto con i prodotti destrinoidi dell’amilolisi. Da questa esperienza si deduce che il Mucor Mucedo fabbrica ami- lasi nel suo interno, ma poca e ancor meno ne lascia sfuggire nel substrato. La pasta di farina viene fluidificata con estrema lentezza e non si può parlare di saccarificazione, perchè evidentemente quel po’ di zucchero che sì forma se lo assorbe il fungo. II Esp. — Si fece uso di una pasta di farina al 10 % (80 g. di fa- rina in 300 ce. d’acqua), che era un po’ meno compatta della prece- . dente. Lo sviluppo (a 25° C.) fu in questa cultura anche più rapido e vigoroso. Dopo 16 giorni il micelio era ancora tutto vivo, meno qualche estremità di filamento, anche nella parte sommersa e la sporificazione già molto avanzata. La pasta appariva discretamente fluidificata, però ancora distinta in due strati, uno superficiale, liquido, denso, torbido, di circa 3 mm. di spessore, ed uno sottostante più pastoso, scorrevole a fatica. L’amido era fortemente corroso e raro nel primo strato, però si colorava ancora in rosa violaceo, mentre nello strato pastoso la corrosione era appena cominciata. Dopo 27 giorni il micelio sommerso era costituito per circa metà di cellule morte, la pasta era tutta fluidificata, però ancora molto densa, l’amido ridotto al solo scheletro, che si colorava in viola pal- lido con iodio. Dopo 38 giorni il micelio era costituito quasi totalmente di cel- lule morte con una grande quantità di spore, l’amido ridotto a rari brandelli irregolari non si colorava più affatto con iodio. Ibi. Le aa 7 5 | Le analisi dettero i seguenti resultati: Acidità Zucchero Carbidrato Amiloglucasi ETA’ n STO ce. '/n norm. riduttore facil. saccarif. ioeda TAL 16 giorni. . 6,6 550 SERI. 560 | 10 CRE 11.0 298 = Eamtgio, a 84 | | | | BIS MO 11.8 0 137 | 160 | 160 | È chiaro che l’attività amiloglucasica per l’amido di patata era al 16° giorno ancora assai debole, mentre essa andò aumentando in seguito. Ma pare invece che fin da principio fosse fabbricata ed emessa un’amilasi molto potente per l’amido di frumento, a giudicare da l’intensa saccarificazione del substrato. Vi erano anche cellule morte, così che la poca amilasi poteva ben provenire da queste. In seguito l’attività amiloglucasica rispetto all’amido di patata au- mentò, ma aumentò rapidamente anche l’acidità e il numero delle cellule morte, nonchè si dovette avere anche una notevole attiva- zione di zimogeno già emesso dal micelio, come mostrano le seguenti misure di attivazione: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità Dal giorno prima dopo varia- (CSR varia- — zione im OR prima dopo netta | lorda | netta netta 10| 802| 1926 | 116 | 16° e ao + 126 | | 270 11.0 | 228 | 485 | +207| 84| 605.) 170) +4 86 | | | 380 11.8 | O | 137 |+137]| 160) 222) 85 (ar 75 L'attivazione della proamilasi aumentò anche più dell’amilasi attiva fino al 27° giorno, poi diminui. Il micelio, alla fine dell'esperienza, lavato su NaCl al 3 %, pe- sava fresco 28.4 g. e maciullato nel modo solito con acqua fu portato a 150 cc. Di questa poltiglia, 10 cc. avevano: Acidità : 0.4 cc. !/,, norm. Zucchero riduttore: 5 (?). » » dopo idrolisi con ‘/,,, norm. H CI. 10. Amiloglucasi lorda: 199. » netta: 194. pi prova di attivazione di queste paltiglia dette Hg seguente. risultato: Zucchero riduttore prima: 6. » » dopo: 2 (?) Amiloglucasi lorda: 212. » netta: 210. Î Il micelio, già vecchio, conteneva dunque più amilasi del sub- strato, ma una quantità minore di RETONE AIAR III Esp. — La pasta era al 7.5 % (22.5 g. di farina e 300 cc. di acqua), così che dopo la sterilizzazione formava una colla densa, ma fluida. Dopo 8 giorni, il micelio era perfettamente sano e vivo, l’amido corroso e si colorava in viola, tendente al rosa, la colla resa più fluida; dopo 29 giorni il micelio era quasi tutto morto, riccamente sporificato, l’amido fortemente corroso e lo scheletro non si colorava più; dopo 39 giorni solo qualche raro brandello ricordava la presenza dell’amido. La colla era fluida e scorrevole. Nel micelio, che il 39° giorno pesava fresco 25.2 g., portato a 150 ce. durante la triturazione, si trovò, per 10 cc. i valori segnati in calce a la seguente tabella : Amiloglucasi Acidità Zucchero Carbidrato ETA' ce. ‘/s, norm. riduttore facil. saccarif. 1okda pa 8 giorni. . 7,6 366 — 32 6 2-3 A SERI 112 39 d 1928 89 3) ECO 11.3 0 —_ 171 171 Micelio . . 0.3 tracce 6 237 237 Si ebbe dunque lo stesso resultato della precedente esperienza. L'attivazione non fu debole: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità Dal giorno * prima | dopo varia- cc. ‘/ie 9 varia- _ zione norm. PISA dopo zione | L = netta | lorda I netta netta | 8° 76 | 866| 480t| 115 6 | 617 | 186-| -+180 290 11.2 39 127 88 89 324 197 + 105 390 11.3 | 0 118: |. LIS 171 146 28 | — 148 Micelio . . .| 03 |tracce|tracce| — | 237 | 263 | 263 | + 26 I resultati collimano con quelli della precedente esperienza. id CERI TIA 3 SI nti pei: £ x n ng CECA h | LÀ E s È v VU L, E x ; 7 Pa | —‘’‘’‘’IVESe.— Si usò una colla assai fluida (6 g. di farina in 300 ce. (di acqua). © | : Acidità Amiloglucasi ETÀ Zucchero riduttore ec. ‘/,, norm. loca WES 8 giorni. . 4.2 23 . 28 5 y SIDE MESIA 6.8 118° . 252 134 7. OIL (APNROGGNA Fai 3 233 230 L’attività amiloglucasica aumentò qui di più che nelle esperienze precedenti. L'emissione di zimogeno diminuì regolarmente, come mostrarono le prove di attivazione: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità Dal giorno mn x prima dopo varia- 00% | ‘prima | dopo | varia | — |__| zione netta | lorda | netta nebta 8° 4,2 23 137 | +14 5 | 342 | 205 | +-200 23° 6.8 118 140 | + 22| 134 | 367 | 227 | + 93 300 Kk 3 12 {| + 9| 230 | 300 | 288 | -++ 58 È da notarsi che l’8° giorno l’amido era già corroso in gran parte; al 23° giorno non ne restava che lo scheletro, debolmente colorabile in viola; al 37° giorno non se ne trovò più traccia. Il micelio fresco pesava alla fine 21.2 g.; portato per la tritura- zione a 150 cc. con acqua, vi si trovò, per 10 cec.: Acidità: 0.4 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: 0. Carbidrato facilmente idrolizzabile : tracce. Amiloglucasi netta: 278. La prova di attivazione dette 312 di amilaglucasi netta. È interessante nelle esperienze con Mucor il fatto, che l’amilo- glucasi nei primi tempi è strettamente adattata alla qualità del- l’amido che offre il substrato, mentre in seguito, quando l’amido nel substrato scompare, acquista a poco a poco la proprietà di attaccare anche qualità diverse di amido. Le nostre misure di amilasi mediante saggio su amido di patata hanno quindi un valore assai limitato — al pari di quelle di tutti VI LI aa iS gli Autori precedenti, che studiarono le amilasi di orzo, frumento ecc. facendo uso del metodo solito di determinazione — per giudicare l’attività amiloglucasica, e siamo costretti a riconoscere la secrezione di questa da la rapidità con cui compaiono e si accumulano nel sub- strato 1 prodotti di decomposizione dell’amido. Con questo criterio pare accertata una vera secrezione di amilasi nell'esperienza II (10 % di farina) e III (7.5 % di farina), nella IV è meno visibile. 2. Penicillium glaucum. La produzione di amilasi in questo fungo è ben nota e parecchi Autori se ne sono occupati, però nessuno dal nostro punto di vista. Per la letteratura rimando ai trattati di Duclaux, Czapek, Lafar (1), nonchè ai lavori di Gosio, Tiraboschi ecc. (2). Si sa che l’amilasi at- tacca anche l’amido crudo e in ogni caso forma direttamente glucosio, digerendo rapidamente anche la destrina. I Esp. — Farina al 25 % (75 g. farina in 300 ce. di acqua). Dopo 35 giorni di sviluppo a 25° C. la parte superiore della pasta era sciolta e quivi i grani d’amido erano fortemente corrosi e colorabili a fatica con iodio, mentre la parte inferiore della pasta era ancora compatta e qui i grani d’amido erano meno corrosi e ben colorabili in rosso violaceo con iodio. Le due regioni del substrato furono esaminate separatamente. Amiloglucasi ETA’ Acidità Zucchero Carbidrato 35 giorni ce. '/,, norm, | riduttore | facil. saccarif. lorda netta I Liquido sopra . | 1.0 104 | _ 195 91 | 30 308 183 | Pasta sotto . . 1.0 175 Il micelio lavato su Na Cl al 3 % e pestato con 150 ce. di acqua. La poltiglia conteneva in 10 ce. Acidità: 0.2 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: tracce, Carbidrato facilmente idrolizzabile: 0. Amiloglucasi netta: 0. (1) DucLaux, Microbiologie, Tomo II, p. 86, 392, 477; CzAPEK, Biochemie, Bd. I, p. 287; LAFAR, Techn. Mykologie, Bd. IV, p. 240. (2) TrraposcHI, Questi Annali, vol, II, p. 197. o il itchio conteneva più fate lel li-o , se si tien pete della minore acidità. Interessante è l’ads Milunohto dell’amilasi nella pasta compatta. La secrezione di | proamilasi fu nulla nel substrato. Attivazione dal 35° giorno: Zucchero riduttore : Amiloglucasi Acidità Na Dal 35° giorno G cai prima | dopo varia- Stufe | primo | doo | mi = netta | lorda | netta | netta Liquido sopra . 1.0 104 | 180 + 76 91 | 248 68 | —23 Pasta sotto . . 1.0 175 | 1832 | +82 | 133 | 280 96.8| -— 36.2 Maicalio. . . 0.2 0 0 -- 124 | 140 | 140 + 16 Anche nel micelio è dubbia la presenza di proamilasi. II Esp. — Si adoperò una pasta di farina al 2% (8 g. in 400 ce. di acqua). L’amido il 19° giorno era fortemente corroso e ridotto in piccoli frammenti che si coloravano in viola pallido con iodio; il 65° giorno la colla era completamente fluidificata e l’amido scom- parso. Acidità Zucchero Carbidrato Amiloglncazi ETA’ ce. '/ norm. riduttore facil. saccarif. ara natia 19 giorni. , 0.6 SA 181 105 1 eine IT 0.8 | 10 28 148 "| 138 ì Il 19° giorno, in cui del resto una gran parte di cellule erano già morte, sarebbe bastata l’idrolisi di quel « carbidrato facilmente idro- lizzabile » per produrre i 71 mg. di Cu,0 — hexosio nel saggio del- l’amiloglucasi, ossia la presenza di amiloglucasi attiva su amido di patata, nel substrato è incerta. Non così il 65° giorno, quando ormai le sole spore erano vive! : Il micelio, lavato su Na Cl al 3 %, pesava 17.3 g. fresco e addi- zionato di 50 cc. di acqua fu triturato in modo che la poltiglia occu- pava 68 cc. Di questi, 10 cc. contenevano: Acidità: 0.2 cc. ‘'/,, norm. Zucchero: 0. Amiloglucasi: 42: ANNALI DI BorANICA — Vot. VIII. 10 Il Unoalo era già morto, come si dins non fa quindi meraviglia — v ‘che vi fosse rimasta così poca amilasi. "0 L'attivazione fu la seguente: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità ETA' _ "u e prima dopo varia- dal giorno ae prima dopo ra al re netta | lorda | netta Î netta 190 0.6 d4 144 | +110| 71 | 240 96 | + 15 65° 0.8 10 10 0| 138 22 12 | —128 Micélio. uc. 0.2 0 6|]4+ 6| 41 40 da | — 7 | I Si aveva presenza di proamilasi solo il 19° giorno; il 65° giorno mancava tanto nel substrato come nel micelio. L’amilasi attiva, che il substrato conteneva il 65° giorno, poteva essersi formata da la proa- milasi secreta fin dai primi giorni; in questa esperienza si avrebbe dunque secrezione di zimogeno e non di amilasi, rispetto alla fecola; in realtà la presenza di circa 1 % di destrine al 19° giorno, mostra che c’era stata secrezione di amilasi, per lo meno di amilodestrinasi. Non abbiamo però continuato a sperimentare col Penicillium, perchè le sue cellule muoiono troppo presto e le spore facilmente si sollevano come fino pulviscolo. Del resto vediamo che per attività amilolitica, almeno su amido di frumento e di patata, questo funga non eccelle sul Mucor Mucedo. 3. Aspergillus niger. L’amilasi di questo fungo è una delle meglio studiate (1) quanto all’azione, agli optima di temperatura, acidità ecc., ma non mi consta che alcuno sì sia mai occupato del problema della secrezione, almeno partendo da quelle considerazioni che io ritengo indispensabili. I Esp. — La pasta era formata da 50 g. di farina e 200 ce. di acqua comune; non si ebbe mai fluidificazione, così che dopo 42 giorni si chiuse l’esperienza. Sotto al micelio si raccolsero 4 ce. di (1) Per la produzione vedi il lavoro già citato di Kaz. Inoltre LAFAR, Lc. p. 240. Acidità: > da 0 ce. '/,, norm. Zucchero riduttore: 7. Carbidrato facilm. saccarif.: 21. Amiloglucasi netta: 48. Riportando questi dati a 10 cc. del substrato fluidificato, si ha: Acidità: 7.5 cc. !/,, norm. Zucchero riduttore: 17.5. Carbidrato facilm. saccarif.: 52 5. Amiloglucasi netta: 120. Tutta la pasta sottostante era appena rammollita, ma non fluidi- ficata. Agitandola con 100 cc. di acqua si portò a 265 cc. ciò che de- ‘nota che il suo volume era di 165 cc. In 10 ce. di pasta così diluita si aveva: Acidità: 2.4 cc. ‘/,, norm. Zucchero riduttore: 176. Carbidrato facilm. saccarif.: 64. Amiloglucasi netta: 159. . Si tentò anche di determinare la destrina, precipitando 25 cc. di liquido decantato dal deposito indisciolto con alcool al 95 % in ec- cesso. Il precipitato raccolto su filtro alla pompa e lavato con alcool fu poi ridisciolto con acqua bollente e portato a 100 cc. Indi idroliz- ‘zato con HCl normale per tre ore a volume costante (1), e riportato poi :a 100 ce., dette 27 mg. di Cu,0 per 35 ce., cioè 77.14 mg. di Cu,O in tutto. Il deposito indisciolto di 25 cc. del liquido primitivo, costituito di amido pochissimo corroso, fu idrolizzato prima con acido tartarico mormale, filtrato e questo di nuovo idrolizzato con HCl (1) e ripor- tato a 60 cc. 10 di questi dettero 490 mg. di Cu, O cioè 2940 in toto per 1 25 cc. iniziali. Riportando questi dati a 10 cc. di substrato non diluito, si ha: Acidità : 3.985 ce. !/,, norm. Zucchero riduttore: 284.3 mg. Cu,0 = 250.1 mg. Cu —=1292 mg. glu- cosio = 1.292 % (come gluc.). Maltosio : 100.9 mg. Cu, O = 88.7 mg. Cu = 45.2 mg. glucosio = 0.452 % (come gluc.). Destrina: 49.55 mg. Cu, 0 = 43.6 mg. Cu = 22.7 mg (come gluc.). Amido:; 1888 mg. Cu,0 = 1662 mg. Cu = 849 mg. glucosio = 3.49 % (come gluc.). Amiloglucasi: 255.4 mg. Cu, 0 = 224.7 mg. Cu = 115.8 mg. glucosio. . glucosio = 0.227 % (1) Stazioni sperim. agrarie, vol. XLII (1909), p. 330. La Vediamo che anche qui Ja pasta aveva adsorbito una discreta. ;5R quantità di amilasi, ma neppur sufficiente a idrolizzare in un’ora a.. 60° C. l’ottava parte dell’amido che ancora conteneva il substrato. Però è un fatto che molto amido era scomparso e ben poca destrina e poco zucchero erano presenti, così che il fungo doveva essersi ap- propriato una buona quantità di amido per mezzo di amilasi (circa 20 g.). Il micelio lavato su Na C1 83%, pesava fresco 44.7 g. e pestato con 150 ce. di acqua, occupava un volume di 195 ce. Di questi 10 ce.. contenevano: . Acidità : 1.0 cc. ‘/,, norm. Zucchero riduttore : 0. Carbidrato facilmente idrolizzabile: tracce. Amiloglucasi: 116. In toto conteneva dunque 2262 di amiloglucasi, cioè un po’ meno- della quantità totale di amiloglucasi che si trovava nel substrato. Si aveva una rilevante quantità di proamilasi nel substrato, mentre mancava nel micelio : Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità | ti : prima dopo varia- ce. '/t0 A varia- — zione | norm. DEUDE dopo zione _ | netta | lorda | netta netta I | | | | Substrato. . . 2A4 176.1 :600 + 824 | 159 900 400 + 241 | | MEralio;- CO LIO 22 | + 22| 116 | 184 | 112| — 4 Si comprende già da questa esperienza che l’ Aspergillus niger supera i due funghi precedenti per attività amilolitica, però anche esso non è stato capace di fluidificare la pasta di farina al 25 % in 42 giorni a 25° C. La ragione di ciò è evidente: il micelio era già tutto morto e non poteva fabbricare più nuova amilasi, tanto è vero che non conteneva più proamilasi; l’amilasi che già sl trovava nel substrato era paralizzata da la presenza dei prodotti d’ idrolisi, o. probabilmente già era cominciata la reversione. © an CIRO doi | II Esp. — Farina al 2 % (6 g. in 300 cc. di acqua). Amiloglucasi Acidità Zucchero Carbidrato ETA’ i 4 2 i, 1 ce. '/n norm. riduttore facil. saccarif. lorda | So | 8 giorni. p 2.0 54 992 290 236 MESSINA 84 96 510 226 45 » È 2 14 26 154 140 L’ottavo giorno la sporificazione del fungo era appena comin- ciata e le ife del micelio erano ancora vive e povere di glicogeno. I grani d’amido erano attaccati, ma si coloravano ancora con jodio. Il 16° giorno la sporificazione era avanzata, le ife sommerse morte in buona parte, le altre zeppe di glicogeno, l’amido fortemente corroso, ma ancora colorabile in rosa violaceo con jodio. Il 45° giorno la co- perta era completamente sporificata, le ife quasi tutte morte, l’amido scomparso tranne alcuni frammenti di scheletro di amilocellulosa, che non si colorava più con jodio. Il micelio, lavato su Na C1 al 3 % pesava fresco 18.6 g. Triturato «con 150 cc. di acqua occupava un volume di 166.3 cc. Di questa poltiglia, 10 cc. contenevano: Acidità: 0.1 cc. ‘/,, norm. Zucchero riduttore : 0. Carbidrato facilmente idrolizzabile: tracce. Amiloglucasi:; 28. Questo micelio non conteneva dunque quasi più amilasi, ciò che ‘forse era in relazione con la scomparsa totale dell’amido. Infatti non conteneva neppure zimogeno: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità Dal giorno n | prima dopo varia- gini o netta | lorda | netta netta 8° 2 54 108 | +54 | 236 | 335. | 227 ©. 9 16° | 2 84 132 | +42 | 226 | 370 238 | + 12 45° | 28 14 25 | +11 140 2 47 | —93 | | Micelio. . . . 0.1 O | tracce o 28 24 2A | 4 pia FREE n dea ia ea e Loe e Loadei: } r È x LZ TENPRLO tera, e LI 5 a] tg, spe — 150 — Non pare dunque che si sia mai avuta proamilasi nel liquido» esterno, anzi, dopo il 16° giorno sì aveva una diminuzione dell’at- tività dell’amilasi nei saggi in autolisi, specialmente il 45° giorno ;: probabilmente vi era già reamilasi oppure gli enzimi proteolitici di- gerivano rapidamente l’amilasi. Invece nell'esperienza precedente abbiamo veduto che il sub- strato il 42° giorno conteneva ancor molto zimogeno; siccome là vi era ancor molto amido, non abbiamo una protezione del proenzima da parte dell’idrolito, come io ho riscontrato a suo tempo (1) per la. proinvertasi? Anche in una colla di farina molto fluida (al 2%) occorrono all’ A. niger più di 16 giorni per digerire tutto l’amido, a 25° C. 4. Botrytis cinerea. Le proprietà amilolitiche di questo fungo sono ben note, special. mente in riguardo alle devastazioni che esso compie nei tessuti ve- getali morti, morenti o vivi, a seconda che esso sì comporta più 0 meno da saprofita o da parassita. Basta la penetrazione di un suo fi- lamento in un tessuto amilifero per vedere scomparire rapidamente l’amido tutto attorno, anche ad una certa distanza; nei tessuti vivi ciò accade però in gran parte per opera di amilasi prodotta da le cellule dell'ospite in seguito allo stimolo esercitato dal fungo. I Esp. — Il fungo fu seminato su pasta di farina al 25 % (50 g. in 200 di acqua). Dopo 27 giorni il substrato si mostrava costituito. di una parte superiore semifluida, non più di 14 cc., e di una massa principale sottostante, ancora compatta. Nella porzione semifluida si aveva, riportando ai 14 cc.: Acidità: 6.4 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: 281.6. Carbidrato facilmente idrolizzabile : 300.8. Amiloglucasi netta: 460.8. La pasta compatta addizionata di 150 ce. d’acqua dette 287 ce. di poltiglia, cioè il suo volume era 187 cc. Riportando i dati delle ana- lisi a 10 cc. di pasta non diluita, sì ebbe: Acidità: 2.98 cc. ‘/,, norm. Zucchero riduttore: 272.4. Carbidrato facilmente idrolizzabile : 1772.6. Amiloglucasi netta: 423,5. (1) Rendie. Accad., Lincei, 1906, I sem., p. 383. atta EM Ae rsa dl aL) gite Ra AA n i Ta ad sMdetgi er. # si i s 7 5 pia i Ei PI ; * i 151 a La Botrytis secerne dunque molta più amilasi dell’ Aspergillus niger, ma qui si aveva meno amiloglucasi nella pasta ancora com- patta che nella porzione già fluidificata. Inoltre mentre in questa si avevano 300.8 di carbidrato facilmente idrolizzabile (microdestrine ?) e 460.8 di amiloglucasi per 14 cc., in quella si avevano 1772 di carbidrato facilmente attaccabile e 423.8 di enzima; può quindi darsi che l’azione su questo carbidrato abbia mascherato o impedito totalmente quella su l’amido; mentre nella porzione fluidificata. doveva aversi almeno 160 di amiloglucasi. Il micelio, costituito ormai di spore, di cellule morte e di sclerozii pieni di glicogeno, lavato su Na Cl al 3 %, pesava fresco 31.6 g. e triturato con 100 cc. d’acqua dette una poltiglia di 142.83 cc. Di essa, 10 ce. contenevano: Acidità : 1.1 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: tracce. Glicogeno : 75. Amiloglucasi netta: 82. Come si vede, questa poltiglia non aveva attività amilolitica. L’amido nella porzione fluidificata del substrato era del tutto scomparso, meno alcuui frammenti di scheletro non più colorabile con jJodio: nella massa compatta era bensì attaccato, ma ancora colorabile in blu nero, con jodio. Le prove di attivazione dettero i seguenti risultati. Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità È : prima dopo varia- doo e netta | netta | netta netta Substrato : | | Porzione flui- | | | (CET POLE 6.4 281.6 | 307.2 |+ 25.6 460.8) 601.6 294.4 — 166.4 Massa com- | | | patta. . . 2.93 | 2724 | 8798 + 607.4) 423,3 | 1550 | 670.2 + 246.9 Riicolio: ic; | kl 0 44 :|+.44 |: 7 | 144 | 100 |-+ 98 Nella posizione fluidificata del substrato non si aveva proamilasi, anzi l’amilasi diminuì durante l’autolisi; invece nella massa com- patta era penetrata una forte quantità di proenzima ed anche il fungo ne conteneva una certa quantità. ‘TED GIS È notevole la presenza di carbidrati facilmente saccarificabili nel i micelio, costituiti evidentemente dal glicogeno degli sclerozii, nel substrato da sostanze destriniche speciali, che non abbiamo riscon- trato in alcuno dei funghi precedenti. Per questo modo di azione l’amilasi violenta della Botrytis cinerea si differenzia nettamente da quella degli altri funghi. II Esp. — Salda di farina al 2 % (6 g. in 300 di acqua). Amiloglucasi Acidità Zucchero Carbidrato ETA' ce. '/» norm. riduttore facil, saccarif. 1oda | Meta 9 giorni. . 0.6 27 43 84 5° in Il 0.6 84 46 152 55 2 EN CONC: 20 5 60 40 | La secrezione di amilasi fu molto limitata, ma del resto suffi- ciente per digerire tutto l’amido presente in pochi giorni. Il micelio era fortemente sviluppato e ricco di spore, l’amido to- talmente scomparso. Il micelio lavato su Na CI al 3%, pesava fresco 7.9 g. e triturato con 50 cc. d’acqua occupava un volume di 58.4 ce. Di questi, 10 cc. contenevano : Acidità: 0.4 cc. '/, norm. Zucchero riduttore: 10 Carbidrato facilmente saccarificabile (glitogeng) di Amiloglucasi netta: 14. ossia una quantità esigua di amilasi. Le prove di attivazione mostrano come stava realmente la cosa: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidita Dal giorno A prima dopo varia- pa dla prima dopo ESTE — | Zoo netta | lorda | netta netta a tr 4 Ii = Pair 9° | 06 | 27 260 | +243| 57 | 888| 128| +71 160 0.6 84 200 | + 116| 68 | 170 | —30 — 24° 0.6 20 24 | + 4 40 98 74) +-B4 Micello/inU, 0.4 10 90 | + -80 14 40 | — 50 — Parto ese Stia S ‘Il 9° giorno si aveva proamilasi sul substrato, quando le cel- lule erano ancor tutte vive; il 16° giorno durante l’autolisi com- parve l’enzima reversivo, perchè il liquido conteneva ancora una quantità abbastanza rilevante di prodotti di decomposizione del- l’amido; invece il 24° giorno ritornò fuori l’attivazione della pro- amilasi, non contenendo più carbidrati il liquido in autolisi. Nella poltiglia del micelio, che aveva appena cominciato a fab- bricare sclerozii, l’attività reversiva soffocò la debole attività idro- litica. Come nelle esperienze con Aspergillus, si vede qui la grande dif- ferenza di portamento del fungo sopra una pasta molto compatta e sopra una colla fluida; l’amilasi scompare qui dopo il consumo del- l’amido, e così la proamilasi, lasciando il posto a deboli azioni re- versive. i Esperienze con culture in boccia Pantanelli. Nei lavori su la secrezione dell’invertasi per ottenere a piacere l’arresto o l'avviamento del processo di secrezione, o almeno per porre in rilievo un atto di regolazione del processo da parte dell’orga- nismo, si prestarono egregiamente boccie di cultura di un litro di SEIT di una forma speciale, che sono figurate in questi Annali, vol. V, p. 358. Ne abbiamo fatto uso anche per la secrezione dell'ami: lasi con i seguenti resultati. 1, Esperienze con Mucor Mucedo. I Esp. Colla di farina al 2% (6g. in 300 di acqua). Siccome la boccia doveva soggiornare a temperatura della stanza, che oscil. lava fra 11° e 18° C, in quella stagione lo sviluppo fu lento. I micelio mostrò poca tendenza a fare spore, era niveo e poco som- merso. Il substrato fu esaminato dopo 7 e 19 giorni, prelevando all'uopo 30 cc. in tutto: Acidità Zucchero Carbidrato Amiloglucasi ETA’ uri da RO ce. '/n norm. riduttore facil. saccarif, iene netta UE n [|+E+E[E‘..È.-È.È..__1--—-—-—+—+-+1—m--___+.—_+_—11_1-__.+_1141121=m—11|}|1————-- - ->o@oeo@méIMI(Ì Mplorni:... 3.0 192 — 2 204 12 4,8 150 — 33 172 22 I valori negativi della IV colonna mostrano, che bollendo per mezz'ora il liquido con H CI ‘/,, norm. si ebbe reversione anzi che — idrolisi. L’amiloglucasi attiva su amido di patata era ben poca, la sua pre- senza è quasi incerta. Però l’amido nel liquido di cultura era quasi totalmente scomparso. | Furono tolti allora 150 ce. di liquido dal substrato e sostituiti con 200 cc. della seguente soluzione nutritizia sterile: Nitrato d’ammonio: 1.0 g. Fosfato acido di potassio : 0.5 g. Solfato di magnesio crist.: 0.5 g- Amido di patata : 2 g. Acqua di conduttura : 100 g. Siccome erano stati tolti 150 cc. da 270 cc., ne rimanevano 120, che con i 200 aggiunti salirono a 320 cc., per cui le concentrazioni su dette, moltiplicate per il coefficiente di diluizione (1) 0.3751, sì ridussero per 10 cc. a: Acidità : 1.8 cc. ‘'/,, norm. Zucchero riduttore : 56.8 Amiloglucasi netta: 8.25. Passati altri 36 giorni, nei quali il micelio aveva preso un di- screto sviluppo, si chiuse l’esperienza esaminando il substrato ed il micelio con la solita metodica. In 10 ce. di substrato si aveva: Acidità: 4.0 ce. '/,, norm. Zucchero riduttore: 108. Carbidrato facilmente saccarificabile: 12 Amiloglucasi netta :192. ossia una notevole quantità di enzima era ormai uscito nel liquido. Però bisogna tener presente, che le misure sono sempre fatte con salda di amido di patata ed è probabile che l’aggiunta di questo amido nel substrato abbia determinato la produzione di enzima più attivo su questo amido di quello che sì aveva prima, il quale do- veva essere invece più attivo su l’amido di frumento, e che real- mente così fosse lo prova la presenza di 86.4 mg. di glucosio in 10 ce. dopo 7 giorni (v. tabella), cioè 0.864 % ; siccome la farina era al 2 %, vediamo che circa il 40 %, del suo amido era saccarificato e presente nel liquido, Il fungo aveva dunque probabilmente emesso più amilasi in presenza di farina che in presenza di fecola; per questa sì (1) Ofr. Jahrb. f. wiss. Bot., XL (1904), p. 310. Ste te ic aveva dopo 36 giorni 484 mg. di zucchero in 10 cc., ma già al momento della variazione del substrato ve n’erano 25.7 mg. Inoltre in questi 36 giorni i grani d’amido di frumento scom- parvero totalmente, e i grani della fecola aggiunta erano forte- mente corrosi, ma si coloravano ancora in blu con jodio. L’esperienza prova dunque che in presenza di farina di frumento il Mucor Mucedo ha fabbricato ed emesso un amilasi molto attiva su amido di frumento e pochissimo su amido di patata, mentre l’ag- giunta di amido di patata ha fatto uscire un enzima attivo anche su questo. Il micelio era costituito esclusivamente di spore e cellule morte alla fine dell’esperienza. Lavato su NaCl al 3%, pesava 7.8 g., fu triturato con acqua e portato a 50 cc. In 10 ce. di poltiglia: Acidità : 0.4 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore : 0. Amiloglucasi : .180. A questo punto vi era assai meno amilasi nel micelio (650) che nel substrato (6144). Furono fatte allora anche prove di attivazione: Zucchero riduttore Amiloglucasi Acidità prima dopo varia- (TOMSAT - varia- i zione norm. REA dopo zione = netta | lorda | netta netta Substrato. . .| 40 108 267 -+ 159] 192 | 375-| 108 | —84 | | | | . . ae ” | Oak 9 | = Micelio Sen. 0.4 0 65 | RESI 130 | 265 200 | + 70 | | Mentre il substrato non conteneva affatto proamilasi, il micelio ne aveva ancora, ciò che collima con 1 resultati delle culture in camera di Koch. II Esp. — Il fungo fu allevato con un liquido nutritizio con- tenente fecola di patate, che fu poi parzialmente sostituita con farina. Il primo liquido era quello ricordato nella precedente espe- rienza. Acidità Zucchero Carbidrato Amiloglucasi ETA’ ce. '/, norm, riduttore facil. saccarif. lorda nata 6 giorni. . 3.8 10 265 12 2 Sd. 5.6 0 22 260 260 L’amido il 6° giorno ma si colorava ancora in blu con jodio, — solo alcuni granuli in rosa violaceo. Il 22° giorno pochi frammenti di granuli erano ancora visibili, che però si coloravano in blu con jodio. Furono tolti allora 150 ce. di liquido e sostituiti con 150 ce. di farina al 2°,, sterilizzati, così il volume aumentò da 120 a 270 cc. Le concentrazioni divennero: Acidità: 2.46 cc. '/,, norm. Zuechero riduttore : 0. Carbidrato facilmente saccarificabile : 9.68. Amiloglucasi netta : 114.4. Dopo altri 20 giorni, sì aveva: Acidità: 5.0 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: 44. Carbidrato facilmente saccarificabile: 55. Amiloglucasi netta: 286. L’amido non si colorava più con jodio; si vedevano però ancora gli scheletri di amilocellulosa. Il micelio, lavato su Na C1 al 3%, pesava fresco 20.2 g.; triturato can 50 cc. di acqua, occupava un volume di 65 cc. In 10 ce. di polti- glia si aveva: Acidità: 0.2 cc. '/, norm. Zucchero riduttore: 0. Amiloglucasi : 70. Anche in questa esperienza il micelio era già vecchio e conte- neva essal meno amiloglucasi del liquido esterno (455 contro 9204). Appare manifesto che nel primo periodo non fu emessa amiloglucasi o per lo meno nessun enzima saccarificante; però dovette essere se- creta un’amilodestrinasi o qualcosa di simile, perchè troviamo 114.2 mg. di destrine facilmente idrolizzabili, ma non riducenti, per 10 cc., e se sì considera che al principio dell’esperienza essi contenevano 200 mg. di amido, vediamo che una notevole decom- posizione di questo aveva avuto luogo. Queste sostanze poi furono digerite dal fungo, senza che mai sl accumulasse zucchero nel li- quido. Intanto l’enzima da amilodestrinasi divenne amiloglucasi. L'aggiunta di amido di frumento non portò che un leggero aumento nell'attività amiloglucasica, mentre vedesi che tanto lo zucchero come il maltosio o la destrina andavano ormai accumu- landosi. Non sì può dire se vi fu nuova emissione di enzima dopo il cam- biamento, perchè anche l’attivazione del proenzima già uscito REX AZ INA RIE LP METE SII RO CANNE irdebbo portato lo stesso aumento di amilasi. Però alla fine dell’espe-. rienza non vi era proamilasi. Zucchero riduttore Amiloglucasi ‘AGIOzi zzare ee a e ee = Il 42° giorno s; i prima dopo varia- ce. ; varla- pace IA ZIONE norm. FIONDA Mono zione | LE netta Î lorda | netta netta Substrato. 5.0 44 56 | -+-12 | 2386 | 200 | 144 | — 99 Ì Micelio 0.2 ame laregni |Petagai one 8 BA bre Ì Quest’esperienza è l’imagine speculare della precedente: là si ebbe subito emissione di un’amilasi che saccarificava abbondante- mente l’amido di frumento, ma era quasi inattiva, almeno come ami- loglucasi, su l’amido di patata; sostituito questo al primo, uscì (o si formò da la proamilasi già secreta?) una diastasi che saccarificava la fecola, mentre non si ebbe aumento nella produziòne. In questa esperienza invece l’amilasi che fu emessa quasi subito decompose vivacemente l’amido di patata e fu poi poco attiva su l’amido di frumento. In altre parole il fenomeno saliente in queste esperienze è l'adattamento specifico, ottenuto sperimentalmente, del- l’enzima a le diverse sorta d’amido. Rimane a vedersi, se questo adattamento si compie perchè l’or- ganismo fabbrica una nuova qualità di enzima (e relativo zimogeno) oppure se esso si svolge nel substrato, per trasformazione chimica di un’enzima nell’altro, o per diverso modo di attivazione di uno zimo- geno unico. Sembra più probabile che questo adattamento si compia anche fuori dell’organismo, ma per asserire un fatto così grave oc- correranno apposite esperienze. III Esp. -- Si tentò di favorire lo sviluppo del fungo e rendere poco importante la produzione di amilasi aggiungendo alla salda d’amido una certa quantità di saccarosio. 300 cc. della consueta so- luzione nutritizia contenevano 6 g. di amido di patata e 15 g. di sac- carosio cristallizzato * Amiloglucasi Acidità Zucchero Carbidrato ETA’ cc. o norm. riduttore facil. saccarif, lorda Matta | 11 giorni. . 3.6 286 . 1327 470 184 aa | i 4.6 | 275 383.5 295 20 ‘appena cominciato a fare spore. Il 31° giorno l’amido non era an- cora attaccato; il fungo era molto bene sviluppato e totalmente sporificato. Amilasi evidentemente non era ancora stata prodotta, perchè la formazione di zuccbero riduttore nella prova di determinazione del- l'enzima si può con tutta sicurezza ascrivere all’azione dell’ invertasi sul saccarosio, che il liquido conteneva in abbondanza l’ 11° giorno; il 31° giorno v'era molto meno saccarosio e difatti anche l’attività idrolitica fu molto limitata nel saggio. Furono tolti allora 150 cc. di soluzione nutritizia e sostituiti con 200 cc. di salda d’amido di patate al 2%, di modo che il volume del liquido da 70 ce. risalì a 270 cc., e le concentrazioni per 10 ce. divennero: Acidità: 1.2 cc. ‘'/,, norm. Zucchero riduttore: 71.42. Carbidrato facilmente saccarificabile : 100.7. Amiloglucasi netta 5.2. Passati altri 26 giorni, si trovò: Acidità : 5,4 cc. ‘/,, norm. Zucchero riduttore: 86. Carbidrato facilmente saccarificabile : 32.3. Amiloglucasi netta: 44. Questa esperienza mostra chiaramente, ‘che una secrezione di enzima attivo su l’amido di patata cominciò solamente dopo che fu portato via quasi tutto il saccarosio ed il fungo fu costretto a nu- trirsi solamente della salda d’amido. Infatti i grani d’amido al 57? giorno erano ancora presenti in forte quantità, ma profonda- mente attaccati; alcuni si coloravano in blu con jodio; la maggior parte in roseo violaceo. Notevole è la perfetta regolazione della acidità. Il micelio, lavato su Na C1 al 3%, pesava fresco 37.5 g.; pestato e addizionato di 100 ce. di acqua occupava un volume di 125 ce. 10 cc. di poltiglia avevano: Acidità: 1.0 ce. ‘/,, norm. Zucchero riduttore: tracce. Carbitrato facilmente saccarificabile : 0 Amiloglucasi netta: 124. Il micelio conteneva dunque più amilasi (1550) del liquido esterno (1188). Esso in realtà dopo l'aggiunta della salda era molto cresciuto, e le sue cellule erano in gran parte ancora vive. , K È ti di Sri x L: 11° giorno i grani d’amido non erano ancora i affatto attaccati ‘e si coloravano normalmente in blu con jodio. Il micelio aveva. ero il seguente risultato: Zucchero riduttore ; Amiloglucasi Acidità Dal giorno ; > ; prima dopo | varia- i E rita Mi dano Avere: i Ji] Hose netta | lorda netta netta Rida | 19 3.6 286 520 +- 234 | 184 (?)| 780 260 (2)| _ 31° 4.6 9275 340 + 65 20 6) 46 | —294 (2) —_ 570 5.4 86 100 + 14 AA 174 TA + 30 MOTO traeco. = 66-| + 66|124,|180|- 114 |: 10 Le due prime misure non hanno significato per noi, per la pre- senza del saccarosio e relativa invertasi. Dopo l’aggiunta della salda si ebbe una leggera secrezione di zimogeno, ma il micelio pare che non ne contenga. In questa esperienza pare dimostrata la secrezione di amilasi dopo l'aggiunta della salda d’amido, mentre nel primo periodo l’amido fu protetto dal saccarosio. IV Esp. — Il fungo fu prima allevato senz’amido, poi gli fu fornito amido di patata. La soluzione nutritizia solita conteneva dapprima 80 g. di saccarosio, in 300 cc. Acidità "Zucchero Amiloglneast ETA’ Saccarosio ‘ ce. '/i, norm. riduttore lorda EN 20 giorni. . 3.6 720 1000 920 200 DAR A, 3.8 1590 126 1590 «0 È chiaro che il 20° giorno l'aumento di zucchero riduttore nel saggio fu dovuto all’ inversione del saccarosio per opera dell’inver- tasi, e difatti il 54° giorno non si riesce a dimostrare alcuna attività amiloglucasica. [n assenza di amido il fungo non aveva secreto amilasi» Furono tolti allora 150 cc. di liquido nutritizio ed ai 70 ce. ri- masti furono aggiunti 200 cc. di salda al 2%, così che il volume sali da 70 a 270 cc. Le concentrazioni scesero quindi a: Acidità : 0.99 cc. '/,, norm. Zucchero riduttore: 413. Saccarosio : 34.7. Amilasi: 0. Sia ne vgph Rae PARITA SOCIO —160- i r Pa € Dopo 26 giorni sì aveva: Acidità : 6.0 ce. !/,, norm. Zucchero riduttore: 325. Carbidrato facilmente saccarificabile: 183.3. Amiloglucasi netta: — 153. L'aggiunta di salda d’amido non ha provocato, in un micelio che contava già 54 giorni di età, alcuna secrezione di amilasi. Però la formazione di proenzima era già cominciata, come mostrano le mi- sure di attivazione; infatti in 8 giorni di autolisi lo zucchero ridut- tore salì a 430, l’invertasi netta da 0 a 55, l’amiloglucasi netta da — 153 a + 320. Il micelio era nel primo periodo sviluppato solo nell’interno del liquido, in forma di fiocchi grossi, nivei; dopo l’aggiunta del- l’amido sì formò una coperta anche a la superficie, che arrivò a spo- rificare. Alla fine dell’esperienza i due micelii furono esaminati se- paratamente. Il micelio sommerso aveva ife molto trasparenti e rifrangenti, alcune fortemente rigonfiate a l'estremità, e con jodio si coloravano in giallo bruno. Tra un’ifa e l’altra si osservavano qua e là tracce di sostanza amiloide (?) che si colorava in bluastro con jodio. Questo micelio raccolto su filtro asciutto e pestato con 25 cc. d’acqua dette 39 ce. di poltiglia, di cui 10 cc. contenevano: Acidità: 2.2 cc. '/,, norm. NaOH Zucchero cui: 154 (2). Carbidrato facilmente idrolizzabile : 200 (2). Invertasi: 98. Amiloglucasi: 50. Gli zuccheri provenivano evidentemente dal liquido esterno an- cora aderenti perchè non si era potuto lavare il micelio. La presenza di amiloglucasi è assai dubbia, perchè la presenza dell’invertasi e del saccarosio sarebbe bastata per portare lo zucchero riduttore nel saggio da 154 a 204 mg. Cu, 0. Non si potè fare il saggio di attivazione per mancanza di liquido. Il micelio galleggiante pesava già 24.5 g. e lavato con NaCl al 3%, pestato con 50 ce. d’acqua, dette 70 cc. di poltiglia, di cuì 10 ce. contenevano: Acidità: 0.8 ce, ‘/,, norm, NaO H. Zucchero Bidottore: tracce. Carbidrato facilmente idrolizzabile : 40 Invertasi netta: 66. Amiloglucasi: 40 Nile Anche qui la presenza di amilasi è incerta, data la presenza del- l’invertasi e di carbidrati facilmente saccarificabili nel micelio (gli- cogeno). Però la prova di attivazione dette un leggero aumento, per lo zucchero riduttore da 0 a 16, per l’invertasi da 66 a 70, per l’ami- loglucasi da 40 a 74. Pare dunque che cominciasse a formarsi una piccola quantità di proamilasi in questo micelio galleggiante. Si noti che i grani di amido nel liquido esterno si coloravano in blu con jodio, solo alcuni in rosa. Queste quattro esperienze mostrano che il fenomeno plù saliente è l'adattamento dell'enzima a la qualità del carbidrato. Nel micelio giovane l’adattamento è così rapido, che viene senz’altro secreto l'enzima specifico per quel dato carbidrato. In un micelio già vecchio la sostituzione di questo con un altro carbitrato risveglia bensì la produzione del nuovo enzima adatto, ma così lenta, che la produ- zione si arresta a lo stadio di proenzima, ed è probabile che.questo si depositi solamente nelle spore. Ciò è dimostrato specialmente da la IV Esperienza, in cui il micelio sommerso, che non portava spore, non riescì a formare neppure amilasi, mentre il micelio galleggiante riccamente sporificato e sviluppatosi dopo l'aggiunta dell’amido, ar- rivò a fabbricare una piccola quantità di proamilasi. 2. Esperienze con Aspergillus niger. I Esp. — Il fungo fu seminato in farina al 2% (6 g. di farina in 300 ce. d’acqua). Acidità | Zucchero Carbidrato Amiloglucasi ETA’ TE CGI ce. '/n norm, riduttore facil. saccarif. lords Motta è 8 giorni. . 2.0 tracce. 74 tracce 0 I, FS SNO 2.6 40 118 45 8 SARTRE 3.8 76 39 128 52 Si attese a cambiare il liquido fino al 26° giorno, perchè il sub- strato conteneva ancora troppo poca amilasi. Il micelio però sì era . sviluppato fortemente e la sporificazione era completa. Nel substrato i grani d’amido erano ridotti in frammenti informi, però ancora co- lorabili in viola pallido con jodio. Allora furono tolti 150 ce. di liquido, e siccome 50 ce. erano stati tolti per le precedenti analisi, si aveva nella boccia un residuo di ANNALI DI BoranIica — Von. VII. 11 ‘ lizzata, annientata. 0, DE essere RARE più cu pro Mii Pare dunque che la teoria delle reazioni reversibili, come ha naufragato per la revertasi, ancora più inapplicabile sia per la rea- milasi, a meno che non si ammetta, che in substrato colloidale suf- ficientemente viscoso le azioni enzimatiche siano ocali, cioè va- riino da un punto all’altro, per l’ostacolata diffusione dei prodotti, in un senso come nell’opposto. Anche a questo riguardo, come sono ancora lontane da la ve- rità le nostre cognizioni su l’amilasi! Nel 1910, l’unico fatto sicuro è quello che Kirchhoff aveva stabilito nel 1812. Roma, agosto 1909. an. Bot. VIII. Tav XI Chardinia xeranthemoides Nissolia fruticosa & NIE SE LR ANTE E TROIE POE DEPRRPARZ AE O RR INIT RE EVA e } “igta SUSE b SRO " È L’eterocarpia nel regno vegetale del dottor EMILIO PAGLIA (Tav. XI). Ben osservando i diversi adattamenti biologici delle piante, si trova che generalmente presentano due sorta di propagazione: l’uno nello stesso luogo ove è vissuta la pianta madre od a brevissima distanza da quello, l’altro in luoghi assai lontani: si ha cioè una riproduzione 7 Zoco ed una riproduzione /onginqua. La razionalità di questi due diversi modi di propagazione in una stessa specie è evidente se consideriamo che con la ripro- duzione în loco la specie stessa provvede alla sua conservazione, senza punto variare nei suoi caratteri, e così persiste in un am- biente favorevole al suo sviluppo: con la riproduzione /onginqua invece provvede allo sfollamento di una prole troppo numerosa e procede alla conquista di nuovi territori, ove questa prole potrà, variando sovente nei suoi caratteri, a seconda delle diverse condi- zioni d’ ambiente che va trovando, crescere e svilupparsi. Ma nei nuovi ambienti potrà trovare anche condizioni assolutamente con- trarie al suo sviluppo, quindi affidata solo alla riproduzione lon- ginqua, una data specie si troverebbe anche esposta ad una proba- bile estinzione, se non ‘provvedesse alla sua conservazione con la riproduzione în loco. Generalmente la riproduzione ?n /oco è affidata a corpi ripro- duttori originati agamicamente, come i tubercoli, i bulbilli, e via dicendo, mentre la riproduzione longinqua è affidata a corpi ripro- duttori originati sessualmente, come i semi. Anche questo è razio- nale. La persistenza in loco esige la conservazione dei caratteri preesistenti, quindi questa è assicurata dai corpi ottenuti agami- camente che sono poco atti a variare: la riproduzione /onginqua esige invece una certa variabilità di caratteri per ottenersi un mi- gliore adattamento di diversi ambienti incontrati, quindi i semi vano in molti casi da Sp Apa simalogamiohe. Anzi sì os- serva che per solito le specie largamente provviste di mezzi atti alla propagazione agamica, ossia alla persistenza in Zoco, presentano disposizioni o strutture florali atte ad ostacolare in modo assoluto. le impollinazioni omocline, e sovente ancora presentano un osta- colo alla omogamia per il fisiologico modo di agire del loro pol-. line: sono cioè ercogame o adinamandre. Ma non sempre la riproduzione in loco e la riproduzione Zon» ginqua è affidata a corpi gli uni di origine agamica e gli altri di origine sessuale. Qualche volta le due diffusioni sono affidate a corpi tutti di origine sessuale, come frutti o semi. Questo è il caso. delle piante eterocarpe, producenti cioè due sorta di frutti, alcuni provvisti di apparecchi disseminatori, altri per portarli a distanza, ed altri mancanti affatto di qualsiasi sorta di tali apparecchi. È ve- rosimile il supporre che nella generalità dei casi î primi provengono da impollinazioni staurogamiche ed i secondi da impollinazioni omo- gamiche: questa supposizione è confermata dal fatto che in alcune specie i frutti restanti in Zoco derivano da fiori cleistogami, mentre quelli a disseminazione /orgingua, derivano da fiori casmogami. Parecchi esempi di eterocarpia si trovano incidentalmente de- scritti da autori più o meno recenti, ma solo in questi ultimi tempi tali fenomeni furono studiati a parte, sotto l’aspetto biologico, ed il merito di averne posto in evidenza la loro razionalità spetta al chiarissimo professore Delpino. In questo mio studio intendo di riassumere quanto fin qui è stato detto intorno alla eterocarpia dai vari autori che se ne oc- cuparono, aggiungendo un certo numero di osservazioni originali. Anzitutto occorre distinguere varie sorta di eterocarpia, secondo la natura degli organi che sì differenziano e la loro diversa posi- zione. Credo quindi opportuno di distinguere cinque diverse cate- gorie, caratterizzate come segue: I Pseudo-eterocarpia. — Piante presentanti diverse sorta di frutti tutti aerei, portati da individui distinti. II. Eterocarpia genuina. -- Piante presentanti diverse sorta di frutti, tutti aerei, portati dallo stesso individuo, consistenti ognuno di veri frutti e non di mericarpi, per solito appartenenti a fiori separati. III. Eteromericarpia. — Piante presentanti diverse sorta di frutti, tutti aerei, portati dallo stesso individuo, anzi appartenenti allo stesso fior; e consistenti di mericarpi disgiungentisi fra loro o sped? zantisi a maturità. po Learn LYN 6 sei e COLE SFr cv CI Pr AR At rà ®» ev s MRI A a ge TRACE : pe Boi RISE ay o da dc. e Ro tor SE Ki, E fr Re ela 3 è 3 mast ZI - <€W” £ 18 __ SV. Eterospermia. — Piante presentanti diverse sorta di semi, appartenenti a frutti aerei, contenuti nello stesso frutto od in. frutti separati. VE, Ipogeocarpia. — Piante seni diverse sorta di frutti, alcuni aerei, sovente provvisti di apparecchi disseminativi ed altri sotterranei mancanti di tali apparecchi. ‘Verrò trattando separatamente di ognuna di queste categorie di piante eterocarpiche. E Pseudo-eterocarpia. Con questo nome intendo indicare il caso, poco frequente, di variazioni in piante della stessa specie, ma in individui separati, producenti alcuni frutti provvisti di apparecchi disseminativi, cioè atti alla disseminazione longinqua, ed altri mancanti dei medesimi apparecchi, cioè atti alla persistenza zn loco. Però non è confermato. che i semi di una di queste forme possano riprodurre anche l’altra; anzi in alcnni casi vien dimostrato il contrario dal fatto che in certe località persiste e si riproduce per seme una sola delle due forme. Per questo credo si tratti di una falsa eterocarpia, potendosi queste forme ridurre piuttosto a semplici varietà. Come esempi si possono citare le seguenti specie: Ranunculus.— Parecchie specie come fanunculus arvensis, It. Phi- lonotis, etc. presentano due forme, una ad achenii E acu- leati, e l’altra ad acheni inermi. Entrambe si riproducono costan- temente per seme. Il Nicotra pure cita altre specie di Ranuncoli con achenii ora provvisti di tubercoletti, ed ora mancanti, con achenii ora setolosi ed ora glabri, ed infine con achenii muniti di rostro ora diritto ed ora uncinato. Macleya cordata. — Il prof. Delpino osserva che questa pianta produce due sorta d’ individui, alcuni con frutti deiscenti e semi numerosi, sprovvisti di ogni mezzo disseminativo, ed altri con frutti indeiscenti, oligospermi, alati, samaroidei, cioè costituenti un perfetto apparecchio anemofilo. Come bene osserva, però, il pro- fessor Delpino, resta il dubbio che non si tratti piuttosto di specie diverse, confuse fra loro stante la somiglianza dei caratteri vege- tativi e floreali. Sarebbero necessarie seminagioni accurate per con- statare se i semi di una sola forma possono riprodurre l’altra. ANNALI DI BoTANICA — Vor. VIII. 19 varianti, o se in sona si tratta di vera eterocarpia. Medicago. — Molte specie presentano due forme, una a legumi inermi, ed una a legumi aculeati od uncinati: i primi persistono în loco, è secondi costituiscono buoni apparecchi di disseminazione eriofila. A quanto pare ognuna di queste forme si riproduce costan- temente da seme come lo dimostra il fatto che si trovano sovente isolate in località diverse. * Daucus muricatus, D. Aureus. — Queste specie sono citate dal Nicotra come presentanti qualche volta su individui distinti frutti aculeati o frutti inermi. Hypochaeris glabra, H. radicata e specie affini. — Presentano, in individui distinti, acheni a rostro allungato ed achenii a rostro accorciato, sempre però terminanti in pappo. Considerato anche che queste forme sono localizzate in località diverse, credo più oppor- .‘tuno, come già aveva stabilito il Moris, ritenerle per varietà distinte e non per casi di efterocarpia, come vorrebbe il Nicotra. Però in altre varietà di Mypochaeris queste due forme di achenii si trovano riu- nite nella stessa calatide, essendo provvisti di rostro i frutti del disco, e privi di rostro i frutti della periferia. In tale caso non sì può negare la esistenza di una vera eterocarpia. Sarebbero molto inte- ressanti particolari studi su tutte le forme di Hypochaeris per meglio accertare quali si debbono considerare come eterocarpiche, e quali come vere varietà: occorrerebbero tentativi di cultura per risolvere questa importante questione. Spinacia oleracea. — Presenta individui con frutti aculeati, ed individui con frutti inermi. A quanto mi viene assicurato da colti- vatori, i semi di una sola forma riproducono individui dell’una e dell’ altra, quindi in questo caso si avrebbe una vera eterocarpia, con le due forme portate da individui distinti. LI Eterocarpia genuina. Questa eterocarpia si ha quando date specie di piante producono, sul medesimo individuo, due sorta di frutti, gli uni atti alla dis- seminazione Zonginqua e gli altri alla riproduzione #n loco. Se ne possano citare molti esempi: un grande contigente è dato dalla fa- miglia delle composte. Citerò prima le specie appartenenti ad altre dividui a frutti inermi, ma resta dubbio se sono dovuti a SSA ari TESI MRTETRAN gie nE RI RR PRAIA O EI SASA ROSTA AMATI ER CTR UE TRULA PAIR % riti ’ ' IT PUN y d4 PALATI Mag e fi II uan poi ‘tutte le composte che, per quanto è a mia SERINnO, presentano un simile adattamento. Ceratocapnos palaestina. — Questa specie detta Palestina, è ci- tata dal prof. Delpino, in base alle figure e descrizioni date dagli autori. Produce due sorta di frutti nello stesso racemo: gl’inferiori, ‘cilindrici, polispermi, da ultimo deiscenti, per un opercolo, staccan- tesi circolarmente, come nei frutti a pisside; i superiori invece, grossi allungati, monospermi ed indeiscenti. A quanto è verosimile i primi rispondono alla disseminazione /onginqua, mettendo tosto in libertà i semi che contengono ed i secondi alla persistenza in loco, restando a lungo aderenti alla pianta madre. Ceratocapnos umbrosa (fig. 1). — Questa specie, a giudicarne dalle figure, si diporta diversamente della precedente. Produce pure due sorta di frutti sullo steso racemo: gli inferiori accorciati, grossi, monospermi, indeiscenti, con breve rostro diritto; ì superiori invece più allungati, cilindrici, pure monospermi ed indeiscenti, ma con lungo rostro, fortemente uncinato. I primi sembrano più atti alla. persistenza én loco, ed i secondi, invece, stante il loro forte uncino, alla disseminazione /onginqua, eriofila. Aethionema sp: — De Coincy, citato da Nicotra, ha segnalato alcune specie di questo genere come allo stesso grado eterocarpiche ed eterosperme, ma non ho potuto consultare la memoria originale. Desmodium heterocarpum, ed altre specie. — Come nota il prof. Delpino queste specie presentano due sorta di frutti, gli uni lomen- tacei ad articoli disarticolantisi, e quindi appropriati alla dissemi- nazione longinqua, e gli altri nuculiformi, monospermei, persistenti, evidentemente atti alla riproduzione ?n loco. Geum heterocarpum. Huth. Valerianella echinata, e specie affini. — Ho rilevato in questa specie un bell'esempio di eterocarpia. I frutti terminali presentano tre forti rostri curvati ad uncino, per cui si dimostrano atti alla disseminazione eriofila: quelli invece situati nel mezzo di ciascuna dicotomia dell’infiorescenza sono affatto sprovvisti di qualsiasi rostro uncinato. Questi ultimi si disarticolano prontamente e restano én loco, mentre i primi restano a lungo aderenti alla pianta, di modo che gli animali lanuti urtando nei predetti frutti uncinati, strap- pano l’intera pianta e così la portano lontano. Fedia Croton heterocarpus. Huth. Atriplex hortensis. — Come ha rilevato il prof. Delpino, questa specie ed altre affini, porta tre sorta di frutti, alcuni adatti alla disseminazione /onginqua, ed altri alla persistenza in loco. Il modo però di loro funzionamento resta alquanto incerto essendo piante Pa | sottoposte da lungo tempo alla coltura e forse alquanto modi da quella. | © > 023.09 CO Suaeda heterocarpa. — Specie citata dal Nicotra: presenta il pe- rigonio fruttifero ora gonfiato, vescicoloso, ed ora no. o } Salsola gogdiana. — Pure citata dal Nicotra: presenta il peri-- | gonio fruttifero ora alato ed ora aptero. Alisma, sp. — Secondo Drummond, citato da Lubbok, una Ali- sma, di cui vien taciuto il nome specifico, presenta due sorta di frutti,. gli uni provenienti da fiori aerei, casmogami, e gli altri da fiori. sommersi, verosimilmente cleistogami. (Composte eterocarpiche. Brachyris dracunculoides. — Citata come eterocarpica dall’Huth.. Heterotheca. — Genere pure citato dall’Huth come eterocarpico. Minuria. — Altro genere pure indicato dall’Huth come ete- rocarpico. Heteropappus. — Questo genere è parimenti dichiarato dall’Huth come eterocarpico, e lo dimostra anche il nome generico con cui è stato distinto. Erigeron Karwinschianum. — Come ha bene dimostrato l’Ascher- son, con questo nome sì deve distinguere una Composta, comunemente. coltivata nei giardini col falso nome Sanvitalia procumbens. Il prof. Delpino ne ha bene studiata la eterocarpia, riconoscendo come pro- duce tre sorta d: achenii, alcuni atti alla disseminazione /onginqua. ed altri alla persistenza în loco. Stenactis annua. — Specie dichiarata eterocarpica dall’Huth. Filago gallica. — La eterocarpia di questa specie è stata recen- temente riconosciuta dal prof. Delpino: presenta achemî periferici. persistenti, senza pappo, ed achenii centrali liberi, provisti di pappo. Relhania hedypnois. — Specie descr. come eterocarpica dal Patané. Buphtalmum spinosum. — Come rileva il prof. Delpino, presenta due sorta di achenii, i periferici atti alla disseminazione /ongingua, i centrali alla persistenza #n loco. Zinnia elegans. — Pure riconosciuta dal prof. Delpino come ete- rocarpica: presenta tre sorta di achenii. Encelia calva. — Descritta dal Patané: achenii della periferia atteri: achenii del centro alato. | Ximenesia encelivides. — Secondo Huth presenta caratteri analo- - ghi a quelli della precedente specie. Heterospermum pinnatum. — Specie già indicata dal Prof. Delpino» come eterocarpica e recentemente bene descritta dal Patané. ea IS è i VU I TR PINO = + — 181 — Tav | Coreopsis coronata. — Pure riconosciuta come eterocarpica dal Patané. Cosmos bipinnatus. — Pure indicata dal Patané, Anacyclus. — Genere indicato dal Nicotra come eterocarpico. Anthemis. — Pure indicato dal Nicotra. Chrysanthemum coronarium. — Eterocapia descritta dal Nicotra -e dal Patané. Centrachena vinida. — Descritta dal Patané. Coleostephus. — Genere indicato dal Nicotra come eterocarpico. Prolongoa. — Come il precedente. Matricaria heterocarpa. — Specie indicata parimenti dal Nicotra. Tussilago. — Indicata dal Nicotra. Doronicum. — Come sopra Senecio. — Come sopra. Dimorphotheca pluvialis. — Specie descritta come eterocarpica dal Lundstòm e da me pure riconosciuta per tale: presenta due sorta -di achenii, gli uni largamente alati ed atti alla dispersione /onginqua, e gli altri atteri, appropriati a persistere 4n loco. Calendula arvensis, C. officinalis, e specie affini. — L'’eterocarpia di queste specie è stata riconosciuta e descritta da parecchi autori: ne parlano a lungo Lundstòm, Battandier, Delpino, Colonna, Patané. Queste specie presentano ora tre ed ora quattro sorta di acheni, i cen- trali atti alla persistenza 2n Zoco, ed i periferici atti ad una dissemina- zione /onginqua, secondo i casi eriofila, anemofila, od idrofila, presen- tando sovente forme intermedie atte a due sorta di disseminazione. Xeranthemum. — Genere indicato dal Nicotra come eterocarpico. Chardinia xerantemoides (fig. 2). — Ho potuto rilevare che anche questa specie è eterocarpica in grado insigne: presenta due sorta di achenii diversissimi fra loro, gli uni grossi, senza pappo, ma cinti da quattro strette ali longitudinali: gli altri allungati, sottili, sormontati da un largo pappo, formato da dieci squame largamente membranacee. Amphoricarpus. — Stando alle descrizioni che ne danno gli au- tori, anche questo genere dovrebbe essere eterocarpico. Crupina. — Genere dichiarato eterocarpico dal Nicotra. Centaurea heterocarpa. — Specie pure indicata dal Nicotra e dal- l’Huth. Kentrophylum. — Il Nicotra lo studia come eterocarpico. Carduncellus. — Come il precedente. Catananche lutea. — Il Battandier descrive la eterocarpia di que- sta specie. Hyoseris radiata. — L’eterocarpia di questa specie è stata bene «descritta dal prof. Delpino e dal Patané: presenta due sorta di ache- I Te a DA AR) a pai. e 4° Y nii, quelli del centro liberi e provvisti di pappo, quin alle corrispondenti brattee involucranti, e quindi restanti in Zoco. Tolpis barbata. — Eterocarpica, come la precedente specie, e pa- rimenti descritta dal prof. Delpino. Hedypnois polymorpha. — Pure descritta dal prof. Delpino : pre- senta due sorta di achenii, i periferici aderenti alle bratte involu- cranti e restanti in loco, i centrali liberi ed atti alla disseminazione longinqua. Sì hanno anche achenii intermedii fra queste due forme. Heteracia Szovitsii. — Specie supposta eterocarpica dal Nicotra. Zacyntha verrucosa. — Descritta parimenti dal prof. Delpino; achenii di due forme, i periferici aderenti alle bratte e restanti în loco, i centrali liberi, muniti di pappo, ed atti alla dissemina- zione longinqua. Rodigia commutata. — Descritta dal Patané: eterocarpia analoga a quella della precedente specie. Helminthia echioides. — Descritta dal prof. Delpino: eterocarpica in maniera analoga a quella delle precedenti specie. Crepis Dioscoridis. — Descritta dal prof. Delpino. Parimenti ete- rocarpica. Barkhansia foetida. — Parimenti decritta dal prof. Delpino. Barkhansia alpina. — Pure descritta dal prof. Delpino. Cymboseris palaestina. — Specie supposta eterocarpica dal Ni- cotra. Achyrophorus pinnatifidum. — Descritta dal Patané. Seriola aetnensis. — Questa specie pure è esaurientemente de- scritta dal prof. Delpino. Thrincia hirta. — Il medesimo si dica per questa specie. Kalbfussia Mulleri. — Indicata per eterocarpica dal Nicotra. Heterachaena. — Anche questo genere, stando alle descrizioni degli autori, sembra eterocarpico. Picridium tingitanum. — Riconoscinto dal prof. Delpino legger- mente eterocarpico. Geropogon glabrum. — Pure indicato dal prof. Delpino come pre- sentante una lieve eterocarpia. Urospermum picroides. — Descritto dal Patané ed analogo al precedente. Queste sono le Composte fin qui indicate dagli autori come ete- rocarpiche. Molte altre certamente degli stessi generi, o di generi affini, si potranno rivelare a chi ne farà un più minuzioso studio. + Infatti il Nicotra, nel suo studio sulla eterocarpia nelle Sinan- teree indica numerosi altri generi, verosimilmente eterocarpici. Il g33 di sica] | È z ” ; . . Sommier poi ha segnalato la eterocarpia nel curioso genere Meli- tella, endemico di Malta. Credo inutile aggiungere altri dettagli sul significato di tale ete- rocarpia e sulla sua evoluzione, avendone esaurientemente trattato il Delpino, il Nicotra, ed il Patané. BR: Eteromericarpia. | Nei casi fin qui contemplati le diverse sorta di frutti si trovano sempre su frutti separati provenienti da fiori distinti. Si ha invece eteromericarpia, quando uno stesso frutto proveniente da un unico fiore, si divide o si disarticola o si spezza in due o più parti, ossia mericarpi, alcuni restando aderenti alla pianta madre, e quindi re- stando în loco, od almeno sprovvisti di qualsiasi apparecchio disse- seminativo, altri invece mobili e per solito provvisti di particolari apparecchi di disseminazione, atti quindi alla propagazione lon- ginqua. Non frequenti sono i casì di eteromericarpia : un buon nu- mero è dato dalla famiglia delle crocifere che citerò qui in ultimo. Portulaca oleracea. — Specie ritrovata assai recentemente etero- mericarpica dal prof. Delpino. Presenta frutti a pisside, il cui oper- colo, staccantesi circolarmente, lascia in libertà un buon numero di semi: ma l’opercolo stesso contiene imprigionati uno o due semi, contornati da una forte massa di tessuto spugnoso. I semi resi liberi non presentano alcun mezzo di disseminazione e verosimilmente re- stano én loco, ment”e l’opercolo, coi semi che racchiude, può funzio- nare stante la sua forma e la sua leggerezza, come un buon appa- recchio anemofilo od idrofilo, a seconda dei casi, e così essere por- tato a distanza. 1 Nissolia fruticosa (fig. 3). — L’eteromericarpia di questa specie fu notata dal Mattei. Porta un legume lomentaceo, di tre articoli, disarticolantisi. L’inferiore resta aderente alla pianta madre, e serve alla riproduzione n loco : il seguente, ossia il mediano, si disarticola, ma può essere portato poco lungi, perchè mancante di ogni appa- recchio disseminativo. L’estremo infine porta una larga espansione membranacea asimmetrica, costituendo così un perfetto apparecchio anemofilo samaroideo, che benissimo serve alla disseminazione /on- ginqua. Thapsia garganica. — Il Tropea descrive la eteromericarpia di questa specie e di altre congeneri, come pure di alcune specie di Elaeoteliuum e di Laterpitium. 5 Da È n SLE de TE Fat la ] 94 _ e PSPSO, “ ka Porilis neterophylla. - —_ ‘Ta questa specie. ‘tag ‘inpoli di ciascun frutto si ha una singolare eteromericarpia, come ha de- scritto il prof. Delpino. Tutti i mericarpi volti verso l’esterno del- luni = l'ombrello sono ricoperti di glochidii che li trasformano in buoni | apparecchi eriofili: quelli invece volti verso il centro mancano di tali glochidii e servono solo alla riproduzione èn /oco. Torilis nodosa. — Di questa specie, come ben nota il prof. Del- pino, non solo abbiamo esempio di eteromericarpia in quanto che i frutti esterni dell’infiorescenza si comportano come quelli della precedente specie, cioè con mericarpi gli uni eriofili, e gli altri non eriofili, ma abbiamo anche un esempio di vera eterocarpia, stante che i frutti più interni dell’infiorescenza, ossia dell’ombrello frut- tifero, hanno i mericarpi tutti conformi, non eriofili. Si aggiunge che questi ultimi mericarpi non si disarticolano, ma restano aderenti alla pianta che li ha prodotti. Turgenia heterocarpa. — Secondo le descrizioni degli' autori, anche questa specie dev'essere eteromericarpica come le precedenti. Dimetopia pusilla. — Secondo Heldebrand questa specie è pure eteromericarpica. Heterocaryum. — Questo genere di Borraginee, stando alle de- scrizioni degli autori, è pure eteromericarpico, imperocchè presenta le nucoli difformi, verosimilmente due atte alla disseminazione Zon- ginqua e due alla riproduzione én loco. Eritrichum. — Alcune specie di questo genere, secondo le de- scrizioni degli autori, presentano una eteromericarpia, analoga a quella del precedente genere. Commelina. — Secondo quanto hanno osservato dapprima Hil- debrand, poi il prof. Delpino, parecchie specie di questo genere pre- sentano una singolare eteromericarpia : il frutto è triloculare: due loggie deiscono e mettono in libertà i loro semi, invece la terza loggia che contiene un solo seme più grosso, non si apre, ma si stacca con una porzione delle pareti delle loggie vicine, a guisa di duplice ala. In tal modo quest’ultimo rappresenta un apparecchio anemofilo assai perfetto, mentre i semi delle prime loggie possono persistere in Loco. Crocifere eteromericarpiche. Cakile maritima. — È citato dal prof. Delpino come uno dei più belli ed istruttivi esempi di eteromericarpia: presenta frutti di due articoli, nuculari, monospermi, indeiscenti. Il terminale è più grosso e di figura piramidale: l’inferiore più piccolo e di figura obconica. I primi sì staccano sd menomo urto, sono dal vento arrotolati sulle ‘arene, e, se giungono in mare, galleggiano mercè l'abbondante tes- suto spugnoso di cui sono provvisti: i secondi restano sempre ade- renti alla pianta madre, quindi servono solo alla riproduzione ix loco. Recentemente anche il Begninot ha trattato della eteromericarpia di questa specie, rilevando che in alcuni casì il secondo articolo presenta un principio di deiscenza. . Rapistrum rugosum (fig. 4). — Coine nota il prof. Delpino anche questa specie si diporta in modo analogo alla precedente. Il frutto è pure composto di due articoli, di cui l’inferiore resta aderente alla pianta madre, mentre il superiore se ne disarticola e può essere portato lungi. L’ inferiore è piccolo, cilindrico, il superiore invece è assai grosso, sferico, munito di larghe protuberanze di tessuto spugnoso. Rapistrum bipinnatum (fig.5).— Rassomiglia alla precedente spe- cie, ma i due articoli sono quasi uguali fra loro, e poco ventricosi. Rapistrum Aegyptium (fig. 6). — Rassomiglia pure alle prece- denti specie, ma i due articoli, conformi fra loro, sono assai grossi e ventricosi: forse anche il basale finisce per disarticolarsi dal pe- duncolo che lo porta. Hemicrambe fruticosa. — Siliqua biarticolata con l’articolo infe- riore 1-2 spermo, verosimilmente restante in loco, ed il superiore 3-4 spermo, rostrato verosimilmente atto alla disseminazione /onginqua. Didesmus. — Frutti biarticolati come nel genere Rapistrum. Otocarpus virgatus. — Siliqua pure di due articoli, di cui 1’ in- feriore atto alla propagazione ?n loco, e restante aderente alla pianta madre, ed il superiore atto alla disseminazione longingqua, munito di due larghe espansioni auriculiformi, forse funzionanti da apparecchio idroanemofilo. Guiraoa arvensis. — Eteromericarpia affatto analoga a quella ot- ferta dalle specie precedenti. Cordylocarpus muricatus. — Pure eteromericarpico, a frutto biar- ticolato, corrispondente alle due predette dispersioni. Ceratocnemum rapistroides (fig. 7). — Specie curiosissima a frutto biarticolato: 1’ articolo inferiore è bicorne, il superiore lungamente rostrato. Enarthrocarpus lyratus. — Specie bene studiata dal prof. Delpino. La siliqua si divide in due articoli polispermi, di cui uno resta ade- rente alla pianta madre, e l’altro diviene libero. Enarthrocarpus clavatus. — In questa specie la siliqua, portante circa cinque semi, è decisamente lomentacea: l'articolo inferiore resta aderente alla pianta madre e serve per la persistenza 7n loco- gli articoli superiori invece, in numero di quattro sì staccano gli uni L, % 24% x ad hi; dagli altri, e asd È; ano spugnoso & cui sono. provato CI Ira stituiscono buoni apparecchi di disseminazione Zonginqua. te, Rebondia erucarioides. — Specie pure descritta dal prof. Delpino. La siliqua si compone di due articoli, di cui il terminale è mono- spermo, indeiscente e samaroideo, stante una larga ala membracea che viene a terminarlo. Il basale invece è polispermo ed indeiscente. Così il primo può servire alla disseminazione a distanza, mentre gli altri semi resi liberi, ma mancanti di ogni apparecchio disseminativo possono riprodurre e perpetuare la specie 7n Zoco od a breve distanza. Erucaria aleppica. — Riproduce i caratteri della precedente specie: l'articolo terminale è monospermo, indeiscente, e contornato da tessuto spugnoso, mentre il basale è polispermo ed indeiscente. Erucaria aegiceras. — Specie affatto distinta, forse meritevole di costituire un genere a parte. Porta un frutto di due articoli, entrambi indeiscenti. L’inferiore è costantemente monospermo e resta aderente alla pianta madre, servendo così alla propagazione in loco; il su- periore invece è bi-trispermo e termina in lungo rostro, ricurvo ad uncino; facilmente quest’ultimo è atto alla disseminazione ertofila,. e di conseguenza /onginqua. Sinapis alba. — L’eteromericarpia di questa specie è stata posta. in evidenza dal prof. Delpino. La siliqua è polisperma e deiscente, ma porta allo stesso tempo un rostro terminale, racchiude un solo seme, e verosimilmente atto alla disseminazione erzofila stante le ri- gide setole divergenti di cui è ricoperto. Sinapis arvensis. — Come la precedente specie, ma il rostro, mo- nospermo, si disarticola più facilmente, portando seco anche le valve della porzione inferiore della siliqua, e così costituendo un buon apparecchio di dispersione. Sinapis setigera. — Come la precedente specie. Sinapis Cheiranthus. — Come le specie precedenti. Hirshfeldia adpressa. — Specie bene studiata dal prof. Delpino. Porta una siliqua disarticolantesi, con l'articolo inferiore polispermo e deiscente, ed il superiore monospermo, ed indeiscente: quest’ul- timo è sormontato da una grossa appendice globosa, che trasforma l’intero articolo in un buon galleggiante. Così i semi dell’ articolo inferiore prontamente messi in libertà e privi di ogni mezzo disse- minativo, restano ?n /oco, mentre l’urticolo superiore può essere por- tato a distanza, ossia può adempiere alla disseminazione /onginqua.. Come per le composte eterocarpiche credo superfluo anche per le crocifere eteromericarpiche aggiungere speciali considerazioni sulla loro evoluzione, essendo questo argomento più magistralmente trat- tato dal prof. Delpino. IV. Eterospermia. NCR, Come gli apparecchi disseminativi nelle piante si possono in- differentemente essere evoluti in frutti indeiscenti, semiformi, od in veri semi, è presumibile ammettere che anche la eterocarpia si possa essere in date contingenze, sviluppata anche nei semi: cioè sì può ammettere che, accanto alla eterocarpia vera, si possa anche avere una vera eferospermia. Il prof. Nicotra ha riconosciuto la possibilità di questo fatto, e ne ha preso argomento per una breve nota. Però fin qui se ne conoscono pochi esempi e ben pochi significanti: forse accurate ricerche ne faranno trovare di più evidenti. Aethionema. — Come ho detto in precedenza, alcune specie di questo genere, secondo De Coincy, citato da Nicotra, sarebbero allo stesso tempo eterocarpiche ed eterosperme, ma non conosco in che differiscono le due forme. Spergularia heterosperma. — Pure citata dal Nicotra. Presenta semi ora provvisti di margine largo, scarioso, ed ora mancanti. Sa- rebbero però interessanti esperimenti di coltura per riconoscere se queste varianti si conservano costanti nella prole o no, essendovi appunto altre forme congeneri, affinissime fra loro, ritenute distinte dagli autori, precisamente per la presenza o la mancanza di un tale carattere. Mi Ipogeocarpia. Un buon numero di piante presentano l'importante fenomeno della ipogeocarpia, cioè dello sviluppo di frutti sotterranei. Sovente a questo fenomeno va unito quello della eterocarpia; imperocchè oltre al frutti ipogei portano anche frutti aerei, muniti più o meno di apparecchi disseminativi. Parecchi autori hanno trattato di questo argomento, ed anche il professor Delpino ne discute piuttosto a lungo. Il Lindman poi ha dato un buon lavoro sulle piante ipogeo- carpiche del Brasile. Citerò solo le specie principali che sono allo stesso tempo eterocarpiche ed ipogeocarpiche. Cardamine chenopodiifolia. — Porta frutti aerei, consistenti in silique normali, deiscenti, polisperme, e frutti ipogei, consistenti in nucule indeiscenti monosperme. Queste ultime derivano da fiori cleistogami, pure sviluppati sotto terra. x E ONE NETTO EA Ti Pirggs® Yi ae, Cardamine Fernandeziana. — Specie affine alla precedente propria ° dell’isola Inan Fernandes, presentante una analaga eterocarpia. Polygala polygama ed altre specie. — Secondo Huth, citato da Delpino, anche queste sono eterocarpiche ed ipogeocarpiche. Oxralis Acetosella. — Secondo Michelet, pure citato da Delpino, questa specie sarebbe parimenti eterocarpica ed ipogeocarpica; i frutti aerei avrebbero origine da fiori casmogami, e necessariamente da impollinazioni stamogamiche, trattandosi di specie trimorfe, mentre invece i frutti ipogei avrebbero origine da fiori cleistogami. Trifolium polymorphum. — Specie eterocarpica ed ipogeocarpica come le precedenti. I frutti ipogei derivano anche in questa da fiori cleistogami. Lathyrus amphicarpus. — Si può considerare come una semplice ‘forma del Lathyrus sativus, cui non differisce che per il carattere di portare frutti ipogei, mentre la forma tipica non ne porta. Così in questa specie si ha un curioso dimorfismo, cioè una forma che porta frutti aerei, ed una forma che porta frutti aerei e frutti ipogei. Per questa pure sarebbero interessanti tentativi di colture per riconoscere fino a qual punto una delle forme può riprodurre l’altra. Vicia amphicarpa. — Ripete esattamente il fenomeno della specie precedente. Si può considerare come una semplice forma della Vzcia angustifolia: così anche questa specie presenta due forme, una con soli frutti aerei, ed una con frutti aerei e frutti ipogei. Galactia canescens. — Secondo Torrey e Gray, citati da Delpino, anche questa leguminosa presenta frutti aerei, polispermi e dei- scenti, e frutti ipogei, monospermi, indeiscenti. Callitriche deflera. — Secondo Lindman questa specie pure pre- senta frutti aerei e frutti ipogei, questi ultimi originati da fiori cleistogami. Dichondra repens. — Sempre secondo Lindman anche questa specie presenta pure frutti aerei e frutti ipogei, questi ultimi analo- gamente originati da fiori cleistogami. Linaria spuria. — Secondo Michelet, citato da Delpino, questa specie parimenti è eterocarpica ed ipogeocarpica. Emex spinosa. — Secondo Battandier, anche questa specie è ete- rocarpica ed ipogeocarpica. Produce oltre alle infiorescenze normali, con fiori casmogami e frutti aerei, uno o più assi florali sotterranei, con fiori cleistogami, e frutti ipogei assai più grossi e più carnosi di quelli aerei. Altre specie ipogeocarpiche sono state indicate dagli autori, ma siccome non presentano frutti aerei, non possono essere contemplate in questo studio. i e md E de i to Igo CONCLUSIONI. Dopo avere enumerato tutti i casì di eferocarpia a me noti, credo opportuno riassumere a modo di conclusione, alcune leggi ge- nerali che se ne possono dedurre e che chiariscono lo scopo vere della eferocarpia. Sono riducibili alle seguenti: I. Generalmente esistono nelle piante due sorta di propagazione, una in loco ed una longinqua. II. La propagazione in loco tende alla conservazione della specie, con caratteri invariati, mentre quella longinqua tende alla sua disper- sione nello spazio ed alla variabilità dei suoi caratteri. III. La propagazione in loco, nel maggior numero dei casi, avviene per corpi di origine agamica, mentre quella longinqua avviene per corpi di origine sessuale. IV. Incerte piante entrambe queste propagazioni avvengono per corpi di origine sessuale: allora si ha la eterocarpia. V. Quando entrambe avvengono per corpi di origine sessuale è re- gola che quelli atti alla propagazione longinqua derivano da im polli- nazioni staurogamiche, e quelli atti alla propagazione in loco da impol- linazioni omogamiche. _ VI. Stante la regola suddetta î corpi atti alla propagazione lon- ginqua hanno tendenza a variare, mentre quelli atti alla propagazione in loco, mancano di tale tendenza. VII. Tale regola è maggiormente contemplata dalle piante ipogeo- carpiche, presso le quali i frutti ipogei traggono origine da fiori clei- stogami . PRINCIPALI AUTORI. CONSULTATI. à BATTANDIER A. — Sur quelques cas d’heteromorphisme. Bulletin de la Société botanique de France, Tom. 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III, pag. 529. — Tepali eretti, i due interni un po’ più corti degli esterni, lineari ottusi: labello convesso con bordi laterali ripiegati, talora munito di gibbosità coniche alla sua base, lobo mediano più grande dei laterali (quando il labello è trilobo) mutico o munito di un’appendice. OPHRYS ARANIFERA Huds. >» ATRATA Lindl. GrampInII F. Cortesi (0. aranifera X tenthredinifera). Camus F. Cortesi (0. aranifera X eraltata). Is OPHRYS EXALTATA Ten. — Già in un mio precedente lavoro (2) ho parlato di questa interessante specie di Ophrys, che molti autori ‘confondono con specie affini e specialmente con l’O. fuciflora, da cui | è ben differente e per la forma del labello e della sua appendice (1) Per la prima parte v. Ann. Botan., vol. V, pag. 547 e seguenti. (2) Cfr. Orchidacee nuove o critiche in Ann. Botanica, V, fasc. 3°, pag. 539. 2 TETRA RI PINE ARA RISE ASI. a RSS TAP. NS TRI TA fe» i st; n a” i e per ;r: grandezza dei Bon e per la Fagnani dei tepali inte 1 es Per tutti questi caratteri credo di aver dimostrato che trattasi di una buona specie autonoma, come prova la costanza della sua forma nelle mie esperienze culturali durate per parecchi anni, ed il fatto che | dà anche forme ibride con altre specie (cfr. OpaRYs CamusIi Cort. (1). In questa specie variano la grandezza dei fiori, la presenza o la. mancanza delle gobbe alla base del labello, ed a questo proposito è bene notare che mentre Tenore nella tav. XCVI della sua Flora Napoletana dà una splendida figura di questa specie con gobbe ma- nifestamente sviluppate, io ho trovato molto frequente nella nostra. regione una forma agibba, che per gli altri suoi caratteri deve senza dubbio riferirsi a questa specie; varia anche il disegno delle mac- chie lucide del labello. Il Gussone (2) dice di questa pianta : « Affinis quidem praece- denti (0. aranifera) cum qua a Todaro l. cit. associata, sed peta- lorum colore, labelli forma ac gynostemio aliena; nec non cum « 0. fuciflora confundenda (Reichb. cent. 9 p. 25 s. 1160 et 1161, » e dice che sì trova « in pratis montanis non procul a Roma loco vulgo dieto Malagrotta ». Viceversa nel suo er- bario esiste un foglio contenente due pezzi di infiorescenza e mu- nito di due cartellini: il primo porta scritto: Ophrys Tenoreana Lindl. Malagrotta Sang. °/, e nell’altro dice: « Ophrys oryrrhinchus < di Malagrotta. Bracteis lanceolatis perigonium superantibus, labellum < rotundatum integrum basi appendiculatum, lateribus bigibbosum, < galea erecta lineari obtusa, petala deflexa..... opercula brevia revoluta, « fructu linearis longiori quam in Orchide grandiflora. — Herb. P. (3) F7. it. III, pag. 549 (2) FI. rom. prodr. alt., p. (35. hifera Willd., sacta l’altro è un meschino are PRETTNI tario di Opàh. apifera Huds., cui deve attribuirsi la descrizione che il Sanguinetti fa nel cartellino dell'O. oxyrrhinchus di Mala- grotta. Barla (1) riferisce all’O. tenthredinifera Wild. i sinonimi già ripetutamente citati di Tenore e di Lindley e così pure fanno il Reichenbach fil. nella sua opera sulle Orchidee della Germania (2) ed il Kraenzlin (3). Per l’O. neglecta questo osserva: « Ich kann < Oph. neglecta Parl. nur als eine grosse Form der typischen Opàh. « tenthredinifera ansehen »; considera poi come specie distinta 1°0. oxyrhynchos di Todaro che alcuni autori, come abbiamo visto pre- cedentemente volevano fondere e confondere con la pianta di cui ora ci occupiamo. Arcangeli (4) tiene distinta 1°0. neglecta Parl. dall’O. tentàre- dinifera Willd., ma le sue succinte descrizioni sono poco chiare, come poco chiara è la ragione per cui nella seriazione delle specie mette l’0. neglecta, fra lO. bombyliftora e VO. Arachnites. Fiori e Paoletti (5) la ammettono invece come una sottospecie (d. ne- glecta Parl.) dell'O. tenthredinifera Willd. Così pure fa Camus (6)il quale riferisce all’O. neglecta Parl. i sinonimi di Tenore: 0. grandi» flora Fl. Nap. tav. 94 p. p. e di O. tenthredinifera FI. nap. II p. 308, distinguendola per la gracilità di tutte le sue parti e per la spiga fiorale corta munita di pochi fiori. Avendo avuto occàsione di osservare numeroso materiale fresco e vivo mi sono persuaso che una distinzione fra l’O. tentAredinifera Willd. e 1°0. neglecta Parl. non può ragionevolmente farsi, perchè esistono tutti i gradi di passaggio fra forme umili ed uniflore con tepali bianchi o bianco verdicci e forme robuste con spighe ricche di fiori, con tepali rosèi o rosso-violacei. Il ginostemio nelle forme da me osservate è sempre ottusissimo e non capisco come "Tenore nella sua 0. grandiflora abbia disegnato i fiori con ginostemio mu- nito di un breve becco acuto e quindi tale distinzione — almeno per ciò che io ho osservato — è destinata a cadere. Varia la gran- dezza dei fiori e la forma delle macchie del labello, specialmente delle linee violacee che si trovano al disotto della macchia bruna (1) Icon., p. 72. (2) Orch. Deusch. Flora, p. 105. (3) Op. cit., I, p. 98 e 99. (4) FU. it., 2» ed., p. 172. (5) FL anal. it., I, p. 236. (6) Mon. Orch. Eur. p. 260. Fig. 1 — Variazioni nella macchia lucida violacea dellabello di Ophrys tenthredinifera W illd. 55. Ophrys tenthredinifera Willd. Sp. IV, p. 67 (1805); Seb. et Mauri. 2. rom. prod. p. 309; Bertoloni FI. it. IX, p.589; Guss. Syn. FI. sic. II, p. 8346; Parl. FI. it. III, p. 550; Barla Icon, p. 72; Sang. Fl. rom. prod. alt. p. 735; Reichembach f. Orch., p. 105; Ces. Pass. e Gib. Comp., p. 193; Arcangeli 77. it.-2* ed., p. 172; Kraenz. Orch. gen. et sp. I, p.98; Camus Mon. Orch. Fr., p.89; Fiori e Pao- letti 7. anal. it. I, p. 256; Camus Mon. Orch. Eur., p. 260. O. Tenoreana Lindl. Bot. reg. t. 1093 (1827); Bert. 7. it. IX, p. 592; Sang. FI. rom. prod. alt., p. (35. O. grandiflora Ten. Fl. nap. II, p. 309 (1820). O. neglecta Parl. FI. it. III, p. 548; Cess. Pass. Gib. Comp., p. 192 Arcang. FI. it. 2° ed., p. 172; Camus Mon. Orch. Fr., p. 89. Mon. Orch. Eur. p. 262; Fiori e Paoletti F? anal. it. I, p. 286. O. tenthredinifera Ten. FI. nap. IT, p. 308. Arachnites tenthredifera Tod. Orch. sic., p. 85. Icones: Tenore FI. nap. tav. 93 e 94; Reichb. Orch. tav. 111 (CCCCLXTIII) bona !; Barla Icon. p2., 60, fig. 12-13 ; Tod. OrcA. sic., tav. I, fig. 9-10; Fiori e Paoletti Icon. FI. it. I, fig. 805 (mala!). Tuberi ovoidi o subglobosi. Fusto da 5-40 cm., raramente più alto. Foglie larghe, ovali od ovali oblunghe, acute o subacute. Brattee ottuse più lunghe dell’ovario. Fiori mediocri o grandi in spiga l — pauciflora; tepali esterni ovali od ovali oblunghi, bianchi, bianco- verdastri, rosei, o rosso violacei, con tre manifeste nervature verdi; gli interni ovali ottusi assai brevi a bordi ciliati e pubescenti, rosei o rosso porporini. Labello subquadrangolare, convesso, slargato an- teriormente, trilobo con i lobi poco manifesti, più lungo dei tepali superiori esterni, di color verde giallastro sui margini con una grande macchia bruna oscura nel centro munita alla sua volta di una mac- chia lucida, regolare, bruna-violacea, glabra, marginata di giallo, di ANNALI DI BoranIcA — Von. VIII. 14 d pas ta È I re IO VISA A 2 forma varia: lobo mediano più o meno smarginato o bilobo con ab-. bondanti peli verdastri verso il suo margine inferiore, munito al-. l'angolo di bifidità o di smarginatura di una appendice verdastra | ottusa rivolta in alto. Ginostemio ottusissimo senza becco. Vive nei prati marittimi, submarittimi, nei colli, e nei luoghi aprici. Herb. romano: Esemplari senza località dell’Erbario Mauri. Ro- mae in M. Testaccio, Aprili frequens (Herb. Seb. sud 0. grandiflora Ten.) Testaccio */,, (Mauri) id. (Sang. ‘/,,) Villa Borghese ‘/,, (Sang.); Malagrotta (Sang. "/., sud O. tenoreana Lindl.); Tivoli (a Clm. Woods ex herb. Sang. sub O. arachnithes); Colosseo; Villa Pamphili (ex herb. Fiorini Mazzanti sub 0. arachnites Host); Maccarese 5 A pr. 1863 (Rolli, sub O. neglecta, si confronti con lO. tenthredinifera). Sopra il Testaccio, in copia Marzo A pr. 1854 (id., sud O. neglecta); Tra S. Ono- frio ed Acquatraversa 18. 4. 82 (Canneva); Testaccio 1. IV 1884 (Canneva); Colli fuori porta S. Pancrazio 1. V. 1875; Macchia di Bravetta 15. IV. 1878 (Cuboni); Monte Mario 4. 1881; Testaccio 2. IV. 1881 e 1891 (Torr. e Canneva); Tenuta S. Spirito sulla Via Trionfale 10. IV. 1889 (Terr. sud O. arachnites); Testaccio 29. 1V. 1891. (Terr. e Cann. sud 0. arachnites) ; Ladispoli 2. V. 1891 (Terr.); Alla sinistra della foce dell’Arrone a Maccarese, 16. IV. 1895 (T. A. Baldini); Castel Giuliano, sui colli di Lupara 3. V. 1900; Macchia della Manziana 4. V. 1900; Lago di Mezzano 31. V. 1900; Lungo il Turano tra Rieti e Magnalardo 9. VI. 1901. (leg: A. Pappi det.: F. Cortesi). Nel mio privato erbario e nell’erbario Grampini si trovano esemplari raccolti nei di Roma ad Acquatraversa, sulla via Appia, a Maccarese ecc... OpgRrys FucirLoRA Hall. — La nomenclatura di questa specie è piuttosto complicata per i differenti nomi con cui è stata desi- gnata da diversi autori. Però siccome tale questione è stata am- piamente trattata da molti botanici, per quanto da differenti punti di vista, e troppo complesso è il riassumere, chiaramente ed in breve tutte le opinioni, rimando alle loro opere chi. volesse es- serne dettagliatamente informato (1). Per parte mia ho accet- tato 1) nome di Haller di OpArys fuciflora come il più antico (1769), citato dal Reichembach nella sua Zora germanica erur- (1) Cfr. in proposito Reichb. f, Orch., p. 112. — KRAENZ, op. cit. I, p. 101. — ScHuLZzE, Orch., p. 61 e 52. -- Ascn. e GRAEBNER, op. cit., III, p. 630, — BrirtTEN and ReNDLE Notes on the Liste of British Seed Plants, in Journ. of Botany, vol. XLV (1907), p. 104. 7 ” ig A ITA a ee "ha 2_P. "È 1 dii. Ma ile LAI VIA VOSTRA, PL . rat: GL ES i. og ra te. SITA % IATA * soria (1) (1830), mentre il nome di Ophrys arachnites di La- marckè del 1778 (2) ed anche quello di Willdenow è alquanto ‘posteriore. Tenore (3) dell'O. arachnites Willd., che è poi la specie di cui ci occupiamo, descrive due varietà: una con i petali uguali alla metà dei sepali e l’altra con i petali uguali ad 1/3 della lunghezza dei se- pali, però noi sappiamo, anche per altre specie, che questi rapporti di lunghezza fra tepali interni ed esterni non sono costanti, quindi non ci sembra tale differente sviluppo dei petali carattere sufficiente, sia pure per distinguere delle semplici varietà. Todaro (4) chiama questa specie col nome di Arachnites ice e la tiene ben distinta dalla sua Arachn. oxyrAynchos ed osserva « Ab A. tenthredinifera gynostemio acute rostrato facillime dignoscitur ». Gussone (5) fa della A. Biancae una varietà dell'O. oxyrAynchos e dice « Ideoque speciem suam ab O. oxyrAynchos non separat et quan- «tum ex ipsius specimine sicco incompleto conjicere licet ejusdem < plantae lusus mihi quoque visae sunt ». Parlatore (6) all’O. ara- chnites Host. fa seguire queste osservazioni: « L’OpArys discors di « Bianca deve certamente considerarsi come sinonimo della OpArys « Arachnites. L’ Ophrys 0xyrhynchos di Todaro è una semplice va- «< rietà della aracAnites con la gibbosità della base dei lobi laterali « del labello poco o punti manifesti, cosa variabilissima helle specie < del gen. Ophrys e segnatamente nella 0. aranifera, e con le foglio- « line esterne del perigonio di colore talvolta verdognolo. L’appen- < dice del labello varia molto in questa specie, ora più piccola ora < più grande, ovata, quasi quadrata a guisa di lancia, ora più ora < meno dentata all’apice. Il prof. Bertoloni ha creduto di scorgere < nella Ophrys oxyrAynchos di Todaro, VO. tenthredinifera Ten. fl. < nap.2 p. 308 non la figura sotto questo nome e l’0. grandiflora Ten. « figurata nella Tav. 94 e non quella descritta da lui con questo W00172 AVIO USl senato e 197 UNPRALANEBGRAS EN...) ©» — 113. O..longicruris: Link'.. 0.» 114 C#ensifolasRicheesoose neo LIO maculata clone e» @SpallensfRich, i. (00,00 IA — — var,cinedia ...... - » ,-198 Carubragbuiechi o. LI — — var. palustris. ....: >» 198 CoeLoGLossum, II. . . . >» 138 — — var. trilobata . . . >» 198 CoviderHartm. 00» 134. 0° mascula-Le . .<..0:. >» 184 EpPIPACTIS, II . Ai 005 mitarisile OE PA 3168 E. atrorubens Schult. ri 1090 > — var: spathulata rsa gii IG Prilabrrola Alli,» 108) — —. var typica. .... 0... » 168 Earncraphylle:Swastce toi LELA 0% Morio Ba. 0, 7» 150 Depalastriss CrAnbzoi ce no pe die ti varnvalbar; 0 Hei car 152 Gn ADENTA; FE pd 126», == vari picta. 0... ‘» 152 Griconppsea BR Bri iN e» IO i _i'varilrosea ci 0000...) > 152 BMOD 1200 OS palubtris'Jacg.®- i» >_16t L. abortivum Swartz. . . >» 125 O. papilionacea L. . . . » 145 WS ie ee de IZ RO. provincialisBalb. ..°... » 176 Eovarteb: Br cen ai e 280000 purpurea Huds. . . . » 155 NEOTINEA, Il . e» 21. £.tamediastina ... >». 156 N. intacta Rcehb. £. edo) e previloba ss... edi 159 RPREEA Rie I I pe OR SE OXpansa, e.» 159 io e Jailoa a 159 OpHRYs, V-VIII. — f. longidentata . . >» 159 O. apifera Huds., VIII . . >» 197 — — f. longimediastina . » 159 Wifaranifora.Huds.; Vic.» BbL &—.— fi minima: . i. » 159 O. atrata Lindl., V . poesia iparallela: = .000-- cpu. 5 159 O. Bertoloni Moretti, VII » 201 — — f. rotundiloba . . . >». 159 O. bombyliflora Link, VIII » 194 —— f.spathulatta. . . » 159 O. Camusi Cort. = 0. arani- O. romana Sebastiani . . >» 186 fera XK exaltata. Otsambacinant9: = AI 1.166 O. exaltata Ten., V, pag.565; VIII » 191 O. Simia Lamk. . . ... >» 166 O. fuciflora Hall, e i oo E otandiloha CA 166 O. fusca Link, VIa I SRO Bypieaie ata. colle vp 166 O. fusca var. funerea Viv., VIII» 220 O. tridentata Scop. . Sn 70 O. Grampini Cort. = O. ara- O. Weddeli Camus = O. Si- nifera X tenthredinifera, V » 565 mio XK purpurea . . . » 162 Oktlutea Cav. VIE e 116. | PrarAnTHERA, IL) ss... >» 478 Oi pseudofusca Alb. et Camus PabifohaRebb" 50.» |» 4 “Wiaraniforax.-2145° S. cordigera L. .- |. .... >» 219 O. tenthredinifera” Willd, VIII» 203 S. Lingua L. p. 7. RFI DI. ORcHIS I... » 143 S. longipetala Poll. . . . >» 217 Orchis hybr. in di » allobagtiSSoccultata Gay... 0.0.» 1222 O. alata Fleury — O. Morio SPIRANPHES, II... .. 3 SUS rlaxiflora:; «0 ». 182 . S: aestivalis Rich. . . . >» 113 Siivomephora: Li... -.. ©. » db Scantumnalis Rich. . ,...° » 119 (*) Il numero romano indica il volume degli Annali di Botanica, il numero arabo la pagina di detto volume. Ho tralasciato i sinonimi sembrandomi inutile la loro presenza nell’ ‘indice di un lavoro speciale e locale. Sull’ azione. dei raggi del radio nei vegetali per CAMILLO ACQUA Fin dai primi tempi nei quali fu scoperto il radio si cercò di studiare la sua azione sui vegetali: Fu accertato da vari autori che l'esposizione più o meno prolungata di vegetali a preparati fortemente radioattivi provocava un arresto nella vegetazione; ciò almeno nella maggior parte dei casi, mentre poi non mancavano esempi di resi- stenze assai grandi, per non dire assolute, alle radiazioni in parola. Lavori abbastanza estesi in proposito sono quelli del Koerniche (1), il quale, dopo avere compiuto delle ricerche sull’azione dei raggi Ront- gen, intraprese lo studio dell’influenza delle radiazioni emesse da pre- parati del radio. Egli si giovò di quantità notevoli di bromuro di radio e di bario; studiò principamente l’azione sulla germinazion di alcuni semi, sul geotropismo ed eliotropismo, e sulle modificazioni che la radiazione induce nelle parti radiate. Tuttavia, certamente per il tempo necessario per compiere un certo numero d’esperienze per ogni singolo quesito, il numero delle piante studiate fu ab- bastanza ristretto. Recentemente il Gager (2) ha pubblicato un assai esteso lavoro sull’argomento. Questa pubblicazione comparve quando le presenti ricerche erano quasi esaurite e m’accingevo alla redazione del testo. Di essa quindi mi occuperò in seguito, quando avrò anche occasione di descrivere esperienze fatte sulle stesse piante e con preparati radioattivi della stessa energia. Per ora invece è opportuno spiegare il disegno delle ricerche che saranno descritte in questa memoria. (1) KoeRrNICKE MAx. — Ueber die Wirkung von Ruintgenstrahlen auf die Keimung und das Wachsthum. Ber. der. Deut. Bot. Gesell. Bd. XXII, 1904, S. 148. Le — Weitere Untersuchungen ‘iiber die Wirkung von Rintgen und Radium- strahlen auf die Pfianzen. Ber. der Deut Bot. Gesell: Bd. XXIII, 1905. S. 324. — Ueber die wirkung von Rintgen und Radiumstrahlen auf pflanziche Ge- webe und Zellen. Ber. der Deut. Bot. Gesell. Bd. XXIII, 1905. S. 404. (2) GaceR CHARLES STUART. — Effects of the Rays of Radium on Plan- tes. Memoirs of the New York Botanical Garden, vol. IV, 1908. — 24 — Aeoldo a mia disposizione un preparato di un sale di radio, di cui parlerò appresso, volli eseguire il maggior numero di esperienze che mì fu possibile nella durata di quasi due anni per rispondere principalmente ai seguenti quesiti. V'ha tra le diverse piante una certa analogia nel comportamento di fronte alle radiazioni del radio, ovvero queste agiscono assai diversamente a seconda delle diverse specie? E secondariamente tra le diverse parti di una stessa pianta v’ ha del pari una certa analogia di comportamento o anch’esse reagiscono in modo assai diverso ? Studiando questi due quesiti ho avuto occasione di imbattermi in altre quistioni, sulle quali non ho mancato di rivolgere l’atten- zione. Così, a proposito della grande resistenza che presentano le parti verdi dei vegetali, ho voluto ricercare se le radiazioni avessero influenza sul processo dell’assimilazione del carbonio. E a questo proposito fu anche toccato il quesito dell’influenza delle radiazioni medesime sul processo di inverdimento di piante etiolate. Altre esperienze furono compiute sul germogliamento dei granuli di pol- line ed altre ancora sui fenomeni di rotazione e circolazione del plasma. Queste ultime ci offrirono un bell'esempio della resistenza che possono presentare talune piante, o parti di esse, all’azione del radio. Ho detto che procurai compiere il maggiore numero d’esperienze. Tuttavia questo numero non fu così grande come avrei desiderato, e la ragione è la seguente. Ogni esperienza, condotta a condizioni favorevoli di temperatura, richiede in media qualche giorno di tempo. Quando si avevano i risultati di almeno tre esperienze di seguito in un dato senso sì riteneva in genere esauriente la prova e si passava allo studio di un altro argomento. Ma quando il risultato era anche parzialmente discorde bisognava proseguire in un numero spesso rilevante di nuove esperienze, cosicchè non di rado occor- revano alcune settimane prima di esaurire una singola quistione. Il preparato di radio da me usato proveniva dalla casa Armet de Liesle ed era del tipo a sali incollati. In questi preparati la sostanza radioattiva, finamente divisa, è trattenuta da un mastice che ricopre un dischetto metallico. Essendo la radiazione proporzionale alla superficie della materia attiva, si ottengono forti radiazioni con quantità relativamente piccole di radio; di più non essendoci la parete del recipiente, che assorbe sempre una parte notevole della radiazione, questa giungeva integralmente sull’oggetto da speri- mentare. Il preparato era di 100.000 unità ed il disco aveva la su- perficie di 1 emq. Tale radioattività — quantunque non delle mag- giori — rientra sempre nel numero delle forti attività. Basterà ri- | cordare che si ottiene a notevole distanza la scarica rapidissima di . un elettroscopio, che s’illumina lo schermo di platinocianuro di bario a traverso anche lastre metalliche di notevole spessore, come ad esempio una lastra di ottone di circa mezzo centimentro, e che sì ottiene vivacissimo lo scintillamento del solfuro di zinco fosfo- rescente, il che dimostra l’emissione diretta dei raggi x, i quali si potevano a priori ritenere intercettati dallo straterello di vernice che eventualmente avrebbe potuto ricoprire il sale di radio. Stante la piccola quantità del sale contenuta nel preparato non si tenne conto dell'emanazione, tuttavia le osservazioni fatte in proposito dimostrarono ch’essa non è nulla, poichè recipienti in cui si trattenne per un certo tempo il preparato acquistarono radioattività indotta, quantunque assai debole. Le esperienze furono poi condotte alla temperatura naturale o in termostato secondo le esigenze della stagione. Ciò premesso, passo alla descrizione delle singole esperienze. Germinazione di semi. Queste esperienze furono compiute in due periodi distinti, l’uno nell’estate 1908, l’altro nell'inverno 1909. Nel primo caso la germi- nazione avveniva a temperatura normale, nel secondo si utilizzava la temperatura del termostato. Inoltre nella prima serie io feci agire direttamente il radio a distanza brevissima di due o tre millimetri sui semi. Usavo una piccola capsula Petri sul cui fondo erano stati posti due o tre fogli di curta bibula bagnata con acqua distillata. Col- locativi i semi che dovevano germinare si poneva sopra di essi alla di- stanza suddetta il dischetto di radio, il quale era mantenuto sospeso mediante un filo di seta passante tra due lastre di vetro contigue ri- coprenti la capsula. La seconda capsula di controllo si trovava suffi- ‘cientemente distante per non risentire l’effetto della radiazione. Nella seconda serie, condotta durante l'inverno, fui costretto modi- ficare il metodo per timore che il preparato di radio, che restava entro la capsula, non s’avesse a danneggiare perchè spesso i giovani germogli crescevano con tale rapidità da andare a toccare diretta- mente il preparato prima che si avesse l’opportunità di sollevare il .disco. E perciò in seguito decisi di ricoprire dei piccoli reci- ‘pienti con una lamina sottilissima di mica sopra la quale si collo- cava il disco contenente il radio. Siccome poi i recipienti erano alquanto profondi, per tenere sollevati i semi fino alla distanza di due o tre millimetri dalla la- mina, collocavo nel fondo del cotone idrofilo. Il recipiente di con- ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 15 ‘trollo era collocato nel termostato, alquanto dis agiva il radio, ed era per di più separato da un blocco di piombo di. circa due cm. di spessore. Usando questa nuova disposizione, incor- revo nell’inconveniente di non più mantenere l’uniformità nelle due serie di esperienze, ma ciò m’era imposto dalle ragioni suesposte.. Non ostante la sottigliezza della lamina di mica (di circa mm. 0,03) i raggi x erano intercettati, come si rivelava dal fatto che a traverso di essa non aveva più luogo lo scintillamento del solfuro di zinco. Tuttavia questi raggi possono considerarsi probabilmente come non penetranti anche nei casi di esposizione diretta dei semi, stante. la presenza in questi dei tegumenti, e la protezione esercitata anche dalle pareti normali delle cellule Inoltre nel primo caso agiva anche l'emanazione, che restava esclusa nel secondo, però ho avvertito che in un preparato del tipo di quell’usato la produzione dell'emanazione è sempre assai piccola e perciò quasi trascurabile. Conseguentemente la differenza tra le due serie d’esperienze si riduceva a piccola cosa. Tutte le esperienze furono poi condotte con l’esclusione della luce, PRIMA SERIE DI ESPERIENZE IN CUI I SEMI ERANO SOTTOPOSTI ALL'AZIONE DIRETTA DEL RADIO. . Aster chinensis, Linn. — In due esperienze consecutive il lotto ra- diato mostra uno sviluppo assai minore del controllo. In altre due sì lasciano prima germinare liberamente dei semi; a sviluppo inì- ziato sì raccolgono. in una capsula alcuni dei semi che presentano una germinazione più avanzata e su di essi di colloca il dischetto di radio. La germinazione sì rallenta tanto che gli altri semi rimasti per testimoni, quantunque all’inizio meno sviluppati, sorpassano quelli radiati. L’atrofia è limitata particolarmente alle radici. Le parti aeree non sembrano risentire l’influenza, anzi spesso vanno fino a toccare il preparato di radio. Temperatura 30° C. circa. Clarkia elegans, Dougl. — I semi di questa pianta — per essere assai piccoli — sono contenuti in numero considerevole nell’area imme- diatamente sottoposta all’azione del radio. In tre esperienze conse- cutive il lotto radiato o non germinò affatto o iniziò appena il processo. Il lotto testimone presentò germinazione rigogliosa. Anche i giovani germogli subiruno un ritardo, forse dovuto all’atrofia molto accentuata dalle radici. Temperatura come sopra. Alyssum Benthami. --- La germinazione in questa specie fu al- quanto ritardata. In tre esperienze consecutive si ebbe un arresto nella germinazione del lotto radiato, ma meno accentuato di quello verificatosi nelle specie precedenti. l'emperatura come sopra. | Ageratum mexicanum, Sims. — Lo sviluppo in questa specie fu al- quanto più lento, cosicchè, alla temperatura già detta, non cominciò che tra il 4° e 5° giorno. I lotti radiati presentarono un arresto notevole. i | Hedysarum coronarium, Linn. — In tre esperienze consecutive non si ebbe differenza apprezzabile tra il lotto radiato e il testimone. Anzi in una si ebbe uno sviluppo un po’ maggiore nel lotto ra- diato. Su questa specie si descriveranno altre esperienze nella seconda serie. Temperatura come sopra. Triticum vulgare, Will. — Già inaltra mia nota (1) si descrissero le esperienze fatte sulle cariossidi di questa specie, da cui risulta che la presenza del radio esercita un’azione ritardatrice. SECONDA SERIE DI ESPERIENZE IN CUI IL PREPARATO DI RADIO AGIVA A TRAVERSO UNA LAMINETTA DI MICA. . Hedysarum coronarium, Linn. — Furono compiute tre nuove espe- rienze da cuirisultò che soltanto in una si ebbe un lieve ritardo. Dall’in- sieme di tutte le esperienze condotte su questa specie si deve con- cludere che il radio (nei limiti dell’attività posseduta dal nostro preparato) non ha azione apprezzabile. Temperatura 30° C. circa. Papaver somniferum, Linn. — In tre esperienze consecutive sì ebbe unarresto notevolissimo nel lotto radiato, Temperatura come sopra. Amarantus paniculatus, Linn. var. sanguineus. — Le prime tre esperienze dettero questo singolare risultato, che il lotto radiato pre- sentò uno sviluppo alquanto maggiore. Che l’azione del radio possa essere esercitata in senso stimolante, specialmente per le attività non molto forti è stato ammesso da taluni autori, tra cui da ultimo il Gager (2). Tuttavia, non essendo a me mai occorso di constatare un simile fenomeno, non credetti opportuno limitarmi a questo ristretto numero di esperienze, ma credetti necessario continuare le inda- gini. Una quarta esperienza dette nei due lotti uguale risultato, una quinta uno sviluppo un po’ minore nel lotto radiato, una sesta sviluppo del pari un po’ minore. Altre due esperienze si fecero abbassando notevolmente la temperatura, che si portò da 30° a circa 15° C, per modo che, rallentandosi il processo, il radio agisse per maggior tempo. (1) Sull’azione dei sali di uranio e di torio nella vegetazione. — Annali di Botanica, vol. VI, fasc. 3. (2) Op. cit. MITRA, TR, I ZO, MRI n e” I A PITT L'ATTO De di. - “A ; sn 1095 DE 1 ea ui (ae STATA Infatti, mentre nei primi casi uno sviluppo abbastanza conside- | revole si osserva dopo sole 48 ore, in queste ultime esperienze sì dovè attendere circa il doppio di tempo. Il risultato fu che i lotti | radiati sì comportarono egualmente ai testimoni. Concludendo, i primi risultati, secondo i quali il radio avrebbe esercitata un’azione stimolante, non erano che fortuiti. I semi di questa specie si de- vono ritenere invece indifferenti all’azione del preparato, nel modo bene inteso in cui fu condotta l’esperienza. Iberis amara Linn, — Le esperienze su questa specie portarono un arresto quasi completo nei lotti radiati, ma si deve notare che la germinazione avvenne assai lentamente, per cui l'esposizione dei semi al preparato durò per circa sette giorni per ciascuna espe- rienza. Per ragioni di tempo le esperienze in questa specie furono in via eccezionale limitate a due. Temperatura come sopra. Trifolium pratense, Linn. — In tre esperiense consecutive, di cui. l’ultima a temperatura minore in modo da rallentare il processo di germinazione che s’iniziò al 3° giorno, non si ebbero differenze no- tevoli. Si deve concludere che anche questa specie resiste nella germinazione dei semi all’azione del nostro preparato di radio. Tem- peratura come sopra. Ipomaea superba, Schrank. — La germinazione avvenne rapida- mente; in24ore alla temperatura di circa 25°C.lo sviluppo fu già no- tevole. In tre esperienze nonsi ebbe risultato apprezzabile, il lotto ra- diato essendosi sviluppato pari a quello testimonio. Una quarta espe- rienza fu fatta a temperatura di 12° C. per prolungare l’azione del radio, ma anche in questa si ebbero risultati negativi. Le conclusioni di questa prima parte sono assai evidenti. Delle undici specie studiate sette mostrarono di risentire più o meno for- temente l’azione del radio nel processo della germinazione e queste specie sono le seguenti: Aster sinensis, Clarkia elegans, Alyssum Ben- thami, Ageratum mericanum, Triticum vulgare, Papaver somni- ferum, Iberis amara. Quattro specie invece si mostrarono resi- stenti all’azione del radio e queste specie sono: /MHedysarum coro- narium, Amarantus paniculatus sanquineus, Trifolium pratense, Ipomaea superba. Se ne deduce quindi che in genere l’azione del radio sì mostrò ritardatrice sul processo della germinazione, ma che però le eccezioni non mancarono e in proporzione rilevante. Sviluppo dei germogli. Già da quanto è stato precedentemente esposto si rileva la dif- ferenza che esiste tra l’azione del radio sullo sviluppo del sistema radicale e quella esercitata sullo sviluppo delle parti aeree. Ram- | _- 29 arl erminazione dei semi di Clarkia elegans, nei quali mentre lo sviluppo del sistema radicale era quasi completamente arrestato, i giovani germogli si accrescevano invece rigogliosi fino ad andare a toccare direttamente il preparato di radio. E ciò che è stato descritto per la Clarkia vale in genere per tutte le altre specie. Queste esperienze furono inoltre fatte all’oscurità completa, il che ha valore, come vedremo, riguardo ad una ipotesi formulata per spiegare la resistenza dei tessuti verdi. Volendo tut- tavia compiere altre ricerche speciali in proposito, si portò nuova- mente l’attenzione sul Papaver somniferum, una pianta sui cui semi in germinazione il preparato di radio esercita un'azione nettamente ritardatrice. Fatte sviluppare delle piantine in un piccolo vaso fino | all'altezza di circa 3 centimetri, si applicò contro un gruppo di esse il disco di radio lasciandovelo per tre giorni consecutivi. L’e- sperienza ebbe luogo alla temperatura di 25° C,e poichè l’accresci- mento dei germogli avveniva attivamente si ebbe cura di spostare il preparato inemodo che la radiazione andasse sempre a colpire di preferenza la regione apicale. Ora nessuna differenza si mani- festò in confronto del lotto testimonio e delle piantine dello stesso vaso, le quali si trovavano ad una .certa distanza e ricevevano quindi una radiazione minore. Anche questa esperienza fu fatta al- l'oscuro. Esperienze analoghe furono anche compiute su giovani piantine di Cece, di Grano comune e Fagiuolo con risultati sempre negativi. In tutti questi casi non si ebbero mai ad osservare tropismi pro- dotti dal radio, il che conferma quanto in genere è ammesso dagli altri autori. Si volle inoltre ricercare se la radiazione, pur non provocando di per sè stessa dei tropismi, fosse pure in grado di modificare quelli che si originano per altre cause, ad esempio gli eliotropismi. Si operò parimenti sulle tre piante suddette, i cui ger- mogli si esposero ad illuminazione unilaterale sotto l’azione del radio, ma il curvamento avvenne in modo del tutto simile a quello verificatosi nei lotti di controllo. La conclusione di questa serie di esperienze è adunque la con- statazione della resistenza assoluta dei giovani germogli all’azione del preparato adoperato. hi Assimilazione del carbonio. Era interessante ricercare se la radiazione, pur non avendo una azione sull’accrescimento delle parti verdi, influisse tuttavia sull’assi- milazione fotosintetica. Le esperienze in proposito furono fatte con piante giovani di faginolo, fatte normalmente sviluppare in vasi. Je A p- Ai . vpas £ è ; È l'And -i, 9 Prima dell'esperienza dette piante erano portate per 24 ore all’oscu- rità. Le foglie alla reazione macroscopica dello iodio in ioduro po» "o FO tassico, non davano colorazione apprezzabile, il che dimostrava che. quasi tutto l’amido era emigrato. Allora si faceva agire il dischetto contenente radio su una delle due foglie sviluppatesi dopo il pajo cotiledonare. L'esperienza era disposta così. Il radio si disponeva al disotto della pagina inferiore della foglia; questa era obbligata a restare vicinissima al preparato da una lista di stagnola la quale ri- copriva il tergo superiore della foglia stessa, nel mentre il disco si teneva applicato circa il mezzo. La lista di stagnola, che leggermente premeva sulla foglia, ol- trechè un ufficio meccanico, aveva anche quello di proteggere una parte della foglia dall’azione della luce, e questa parte, nel mentre doveva dare dopo la reazione la prova diretta che la foglia era prece-. dentemente priva di.amido, doveva anche rendere più visibile, per ra- gione di contrasto, la reazione stessa nelle altre regioni in cui aveva agito la luce. Affinchè poi dopo l’esperienza sì potesse riconoscere con precisione l’area su cui aveva agito il radio si tracciavano dei lievi segni con inchiostro di China. Furono ripetute più esperienze alla luce diffusa e diretta in giornate autunnali, e nelle quali si aveva quindi una temperatura mite di circa 15 gradi. Ogni espe- rienza durò dalle quattro alle sei ore. La reazione dell’amido apparve sempre nettamente nella parte della foglia illuminata, ma nessuna ditferenza si dimostrò nella regione sovrapposta al dischetto di radio. Altre esperienze furono pure eseguite sul secondo paio di foglie dopo le cotiledonari ma con identico risultato. Anche il Pelargonium zonale, l’Hérit., in giovani foglie si presta be- ne all'esperienza, la quale fu in questo caso parimenti negativa. Tali risultati sono in contrasto con quelli descritti dal Gager (1), il quale adoperando preparati di attività anche minore (25.000 unità) e fa- cendole agire sul fagiuolo e su altre piante, però per un tempo più lungo, trovava un'azione ritardatrice. La pubblicazione del Gager comparve quando il presente lavoro era terminato nella sua parte sperimentale; per ragione di tempo non fu potuto pertanto ripetere il controllo nelle stesse condizioni. Recentissimamente poi i signori Hébert e Kling (2), studiando l’azione di un preparato di radio di 500,000 concludono sembrare che l’azione prolungata del radio mo- . o “ (1) Op cit., p. 188 e seg. (2) HeseRrT, A. KLING, A. 1909, De l’influence des radiations du radium sur les fonctions chlorophyllienne et respiratoire chez les véegétaua. O. R. Ac. Se. Paris. CIL.3. p. 280-232. SEP) Rit ifichi leggermente i tessuti verdi per modo che questi presentereb- | bero poi una lieve differenza nell’assimilazione. Giacchè poi sono nell’argomento descriverò anche altre espe- rienze, le quali, sebbene, non riguardino direttamente l'assimilazione fotosintetica, vi hanno pure una certa attinenza. Intendo parlare dell'eventuale azione che può essere esercitata dal radio sulla forma- zione del pigmento clorofilliano. Delle piante completamente etiolato di fagiuolo, di grano comune, di cece, furono portate dall’oscurità alla luce, applicando contro le foglie, nella parte opposta a quella su cui cadeva la luce, il disco di radio. In tutte queste esperienze l’inverdimento avvenne in modo del tutto normale, non ostante che il radio avesse agito per circa due giorni. Quindi la sua azione (sem- pre nei limiti del potere radioattivo adoperato) deve ritenersi nulla. Inoltre piante etiolate tenute all’oscurità per più giorni sotto l’a- zione diretta dal radio non mostrarono maì nessuna traccia di inverdimento. Nelle conclusioni finali avrò occasione di tornare sull'argomento, ma fin da ora è opportuno fare una considerazione. Nelle precedenti esperienze sì potevano considerare come effettivamente agenti le sole radiazioni { e {, mentre la radiazione x doveva restare assorbita probabilmente anche in giovani organi in via di sviluppo dalla parete esterna delle cellule epidermoidali e, nel caso dei semi non ancora germinati, dai loro tegumenti. Ma in queste nuove esperienze, in cui il preparato era posto contro la pagina in- feriore delle foglie, la cosa doveva andare diversamente. La pa- gina inferiore, come è noto, è cosparsa di stomi, e per quanto essi siano delle aperture microscopiche, pure rappresentano delle enormi vie d’entrata in ordine alla grandezza che si suole attribuire agli elementi costituenti i raggi «. Questi adunque devono avere avuto libero accesso nell’interno della foglia e precisamente nelle lacune del tessuto spugnoso. Ma ai raggi % si attribuisce anche in alto grado il potere ionizzante dei gas. Se ne conclude che i gas esistenti nei meati del tessuto spugnoso dovevano necessariamente subire una forte ionizzazione. È singolare come, ciò non ostante, il risultato delle esperienze sia stato del tutto negativo. Sviluppo dei tubi pollinici. Questa serie di esperienze era stata intrapresa con il metodo delle colture a goccia pendente, usando invece del vetrino copri-oggetti una lastrina sottilissima di mica, dello spessore sopra detto. Dopo le prime due esperienze, considerando che quivi il tempo dell’esposizione al preparato radioattivo era molto minore delle altre ] esperienze atta germinazione dei semi, e Mudar io che il pericolo di danneggiare il preparato medesimo, modificai il metodo, nt includendo direttamente il preparato in una piccola camera umida, | nella quale erano posti a sviluppare dei granuli di polline, per modo che il dischetto di radio agiva direttamente sopra di essi alla distanza di 1 mm. circa. L'esperienza era così condotta: . Su di un vetrino porta-oggetti di larghezza maggiore della con- sueta si lasciava cadere una gocciolina della soluzione nutritizia sulla quale si portava il polline. Sostenuto da due listerelle di cartone, il disco radioattivo era posto sopra la coltura alla distanza già detta. Il tutto era poi ricoperto da una piccola campanella di vetro, sul cui fondo era posta della carta bibula bagnata per man- tenere umido l’ambiente ed impedire l’evaporazione. Il liquido nutritizio era costituito da una soluzione acquosa a diversa concentrazione di zucchero di canna. Lo sviluppo aveva luogo in termostato o senza, secondo la stagione. Premesse queste brevi spiegazioni, passo ad enumerare le singole esperienze. 1. Narcissus sp. Come fu detto, la coltura venne fatta in camera umida a goccia pendente, in cui al posto del copri-oggetti v'era una laminetta di mica. Sopra questa era posto il preparato di radio. Temperatura 25° C. Concentrazione della soluzione 20 %. Furono eseguite tre esperienze della durata di circa 12 ore l’una senza che vi fosse differenza di sviluppo con il lotto di controllo. Diplotaris erucoides, DC. Esperienza condotta come sopra con identici risultati. Conc en- trazione della soluzione 25 %. 3. Hyacinthus orientalis, Linn. Il radio era incluso in questa esperienza direttamente nella ca- mera umida, come sopra si è detto. Concentrazione della soluzione 20 /,. Temperatura 20-25° C. Furono eseguite in queste condizioni cinque esperienze, in cui fu costante l'arresto quasi completo di sviluppo di tubi pollinici nel preparato radiato. Tolto il radio, l’ac- crescimento non riprende, o in proporzioni assai minori in confronto della coltura di controllo. 4. Cheiranthus Cheiri, Linn. Condizioni dell’esperienze uguali alle precedenti. Numero delle esperienze: sette. Lo sviluppo ora fu magggiore nel lotto radiato, ora nella coltura testimone, ora uguale. Se ne conclude che il radio non ebbe in questo caso influenza alcuna. b. Petunia nyctaginiflora, Iuss. Condizioni delle esperienze c. s. Numero ‘delle esperienze : La FINA DARA Questo avvenne invece nelle colture testimoni, ma non si formarono mai tubi molti lunghi, poichè in genere so- pravveniva quasi sempre lo scoppio negli apici con relativa uscita di protoplasma. Tolto il radio, l’accrescimento in genere non ri- prendeva. 6. Pelargonium Ra L’Hérit. Nei granuli pollinici di questa specie, coltivati in soluzione 5 °/_di zucchero di'canna si verifica ben presto la rottura degli apici dei tubi pollinici. Per ovviare a questo inconveniente si elevò la concentrazione della soluzione successivamente al 30, 35, 40 °/, i risultati non furono molto dissimili, poichè i tubi pollinici a Rusa lunghezza scoppiavano. Tuttavia si potè constatare che prima che ciò avvenisse — durante il primo periodo di sviluppo — non v'era differenza con ilotti testimoni. Temp. c. s. T. Clivia miniata, Regel. Coltura nelle condizioni come sopra, concentrazione della solu- luzione del 25 °/,. Numero delle esperienze : tre. Dopo 24 ore nella coltura radiata non s’ebbe mai alcuno svi- luppo, mentre questa era abbondante nelle colture testimoni. Tolto il radio e lasciate a loro stesse le colture per altre 24 ore, l’accresci- mento ebbe luogo, ma parziale e scarso. 8. Philadelphus coronarius, Linn. Colture nelle condizioni come sopra. Numero delle esperienze: tre. In due esperienze si ebbe uno sviluppo presso che nullo nei lotti radiati, mentre questo fu abbondante nei testimoni. Nella terza esperienza anche il lotto radiato dette uno sviluppo notevole ma assai minore del testimone. 9. Robinia Pseudoacacia, Linn. Colture nelle condizioni come sopra. Numero delle esperienze: quattro, di circa 24 ore l’una. Sviluppo sempre abbondante. Nessuna differenza apprezzabile tra i lotti radiati e i testimoni. Da queste esperienze risulta innanzi tutto una grande diversità di comportamento, poichè si parte da specie nelle quali lo sviluppo dei tubi pollinici non risente alcuna influenza e si arriva ad altre nelle quali l’azione è notevolissima fino a produrre un arresto più 0 meno completo. Ma mentre nella germinazione dei semi si aveva che nel maggior numero dei casi il radio esercitava la sua azione ritarda- trice, pure esistendo parecchie eccezioni, nel caso dello sviluppo dei tubi pollinici i risultati positivi e negativi quasi si bilanciano, tanto che su nove specie studiate cinque dettero risultati negativi e quattro positivi. Ma si deve notare che in due specie il preparato di radio mt RISTRETTO PROPONI LE NCAA PR IETT fa fatto agire a traverso la lastrina di mica, la quale interoettava | St completamente la radiazione x. | In complesso si può concludere che i granuli di polline delle specie esaminate mostrano una grande varietà di comportamento di fronte all’azione del radio nel processo del loro sviluppo coi mezzi artificiali. Correnti protoplasmatiche. Le esperienze furono compiute sui peli di giovani foglie di Zucca, sulle cellule centrali di internòdi di CQRara sp. e su cellule fogliari di Elodea canadensis, Michx. Fatti germinare dei semi di Zucca, si attende che sì formino dei giovani germogli con peli bene sviluppati. Indi sì applica il dischetto di radio contro un gruppo di tali peli alla distanza circa di mezzo centimetro. Dopo tre giorni di esposizione consecutiva, distaccati con la pinza alcuni peli, si osservarono al microscopio. La circolazione del protoplasma è attivissima e non rallentata in confronto di quella presentata da altri peli non sottoposti alla radiazione. Questa espe- rienza fu ripetuta due volte e con uguali risultati. I peli di Zucca sono scolorati, visti ad occhio nudo; tuttavia esaminati al microscopio mostrano, sebbene scarsamente, dei cloroplasti. Per ricercare se l’as- similazione clorofilliana influisse in qualche modo sull'andamento dell'esperienza (e ciò in rapporto ad una ipotesi che avremo testè occasione di esaminare) sì ripetè la prova con piante completamente all'oscuro, ma il risultato fu eguale. Temperatura durante le espe- rienze 20° C. Le esperienze sulla Chara sp. ebbero luogo dopo avere messo a nudo la cellula allungata centrale, il che si ottiene con il metodo ben noto a quanti sì sono occupati di questi studì. Stante la lunghezza di detta cellula non è possibile fare agire il radio se nonin una parte di essa. Si preferì la parte centrale sulla quale si abbassò il dischetto di radio fino alla distanza di mezzo centimetro. Il filamento di Chara era mantenuto in una capsula Petri con poca acqua ed il preparato agiva direttamente sopra di esso. Le esperienze ebbero luogo nella prima quindicina del decembre 1908; la temperatura si mantenne sui 12° C. In alcuni filamenti, per la stagione poco propizia, i movimenti plasmatici eranoarrestati, ma inaltri che furono utilizzati per le espe- rienze, erano assai attivi. Già fin dalle prime prove risultò l'assoluta indifferenza per l’azione delle radiazioni; ma la dimostrazione più elo- quente si ebbe in un’ultima prova in cui l'esposizione al preparato ra- dioattivo si prolungò per sette giorni, senza che si avverasse alcun rallentamento nei movimenti protoplasmatici. Si compirono anche osservazioni nr di giorno e do notte, senza potere | riscon- - trare alcuna differenza. Nell’Elodea canadensis si distaccava una giovane fogliolina dalla pianta e si portava in una goccia di acqua su di una laminetta sot- tilissima di mica, come già sopra si disse, con la quale si for- mava una camera umida a goccia pendente mediante un rettangolo di cartone bagnato e forato nel mezzo, posto su di un portaoggetti. Sulla laminetta di mica si collocava il dischetto radioattivo, e si rac- chiudeva il tutto in una camera umida maggiore, per impedire il prosciugamento del cartone. Anche in questo caso, dopo alcune espe- rienze continuate per due o tre giorni, ne fu compiuta un’ultima in cui l'esposizione durò per giorni 8, senza che i movimenti del pro- toplasma avessero a risentirne influenza. Delle osservazioni furono compiute tanto dopochè il radio aveva agito alla luce diffusa del giorno, quanto dopochè erano precedute al. cune ore di completa oscurità, ma il risultato fu sempre lo stesso. Concludendo adunque, la radiazione, nei limiti di potenza di quella usata, st mostra del tutto inefficace a modificare menomamente le cor- renti protoplasmatiche. Conclusioni generali e brevi considerazioni sui risultati ottenuti. Riassumendo i risultati che sono stati ottenuti con le esperienze descritte, sì può concludere: 1. Una grande differenza di comportamento v'è tra specie e specie ed anche tra le diverse parti di una stessa specie. 2. Il sistema radicale è in genere sensibile all’azione del radio, il quale provoca su di esso l’arresto più o meno completo di sviluppo. Esistono però frequenti eccezioni. 3. Le parti aeree sono assai resistenti all’azione del radio. Non è mai riuscito nelle nostre esperienze di provocare un rallentamento nello sviluppo dei fusti o delle foglie, sia che essi fossero etiolati o no, e, in quest’ultimo caso, che l’esperienza avesse luogo con la pre- senza o con l’esclusione della luce. 4. Anche l’assimilazione fotosintetica non rimase influenzata dall'azione del preparato adoperato. 5.I granuli pollinici, posti a sviluppare i in soluzione zuccherina sotto l’azione del radio, alcune volte risentirono l’influenza fino a | non presentare alcuno sviluppo, ma altre volte si mostrarono com- pletamente indifferenti alle radiazioni. Dal complesso delle esperienze eseguite si hanno risultati opposti in numero presso che uguale, tal- chè non si può trarre altra conclusione all’infuori di quella che i d' (A granuli pollinici uleschiano secondo le varie specie un comportamento. Di E “a del tutto speciale. 6. Le correnti protoplasmatiche, studiate nei peli aerei di Zan nelle cellule internodiali di Chara, nelle cellule fogliari di Zlodea canadensis, mostrarono un’assoluta indifferenza — non ostante la du- rata di alcune esperienze per 7 ed 8 giorni — all’azione del radio. Tali le conclusioni di queste ricerche. La prima osservazione a fare è l'assoluta indipendenza delle parti aeree verdi, del processo di assimilazione del carbonio, delle correnti protoplasmatiche (pur così facili ad arrestarsi sovente quando non esista più l’optimum per i processi vitali), per l’azione del nostro preparato di radio. Il primo fatto fu anche notato dallo Zuelzer nelle sue ricerche sui protozoi (1), nei quali l’azione del radio si esercitava particolarmente sugli orga- nismi privi di clorofilla. L’A. ricercò in che cosa comnsistesse la resi- stenza della clorofilla all’azione del radio, e inelinò ad ammettere con l’Hertel che la radiazione del radio, analogamente a quanto si verifi- cherebbe coi raggi ultravioletti, eserciti sui tessuti un’azione ridu- cente; in questo caso sì spiegherebbe come l'ossigeno prodotto nel processo di fotosintesi possa neutralizzare tale azione riducente. Una supposizione, come sì vede, non troppo fondata; in ogni modo io volli tenerne sempre conto nelle mie esperienze sullo sviluppo dei tessuti verdi, che furono spesso cimentati alla completa oscurità, nella quale non poteva aver luogo produzione di ossigeno. Ma i risultati furono sempre gli stessi, onde l’ipotesi dello Zuelzer dev'essere senz'altro ab- bandonata. Volendo tuttavia spiegare la differenza di comportamento dei tes- suti verdi, di fronte allo sviluppo del sistema radicale, sembra plausibile ricorrere ad una ipotesi molto più semplice e che parmi presenti un maggior grado di probabilità. Itessuti verdi per loro na- tura hanno già subìto l'adattamento all’azione della luce, anzi que- sta azione rappresenta — salvo qualche rarissima trascurabile ec- cezione -- una condizione per la loro esistenza. Ora tra la radia- zione luminosa e la complessa azione del radio esistono certamente differenze notevoli, ma esistono pure delle analogie. Così i raggi y sì ritengono della stessa natura delle radiazioni luminose. I raggi z e { sono certamente di diversa natura, tuttavia posseggono delle proprietà comuni quali ad esempio il potere ionizzante che pos- siedono anche le radiazioni luminose e più specialmente le radia- zioni ultraviolette. Non sembrerà adunque cosa inverosimile il sup- (1) M. ZueLzer. — Ueber die Einwirkung von Radiumstrahlen auf Protozoen. Arch. fiir Protistenk., Bd. V. 1905. re SEA Ela io na tanto anzi da avere bisogno di questa: forma di energia, possano per questo fatto presentare anche una notevole resistenza all’azione del radio, la cui radiazione, se non uguale, presenta però delle analogie con la luminosa. Tuttavia taluni fenomeni restano talvolta poco esplicabili, come ad esempio quello dell’indifferenza che le correnti protoplasmatiche mostrarono all’azione del radio, nei limiti di attività adoperata in queste esperienze. Come già dissi, spesso tale processo è assai sen- sibile alle condizioni dall'ambiente esterno. Per esempio il feno- meno di rotazione nell’E/odea dipende spesso in modo evidente da condizioni esterne, come ad esempio dall’intensità dell’illuminazione. Ora è cosa che produce una certa meraviglia il constatare come nelle nostre esperienze il radio agì per otto giorni consecutivi senza provoc&re nessun cangiamento. Parlando dei risultati ottenuti dal Gager sull’azione del radio nel processo dell’assimilazione del carbonio, ho già notato come i risultati delle mie esperienze non portino ad una conferma. Ora devo aggiungere che anche l’accelerazione nell’accrescimento che sarebbe talvolta, secondo detto autore, provocata dal radio non fu mai da me osservata in nessun caso, non ostante che mi sia tro- vato talvolta a sperimentare sulle stesse piante. Così, tra gli altri casi, il Gager cita anche il grano comune, nel quale ebbi agio di sperimentare anch’io. Però si deve notare che le mie esperienze non ebbero luogo nelle stesse condizioni. Il Gager adoperava del bromuro di radio racchiuso in tubo e la cui potenza era dalle 1500 alle 1800 unità. Detto tubo veniva confitto nel terriccio di un vaso e tutt’all’intorno — fino alla periferia del vaso come si rileva anche dalle figure — si verificava l’accelerazione. Si deve ora notare che, non ostante la forte attività del preparato, essa doveva però giun- gere grandemente affievolita nelle regioni lontane del vaso stesso. Io adoperai il mio preparato, la cui potenza era dalle 15 alle 18 volte minore, ma esso in compenso agiva direttamente sulle carios- sidi del grano a brevissima distanza. Non ostante questa conside- razione, stante la diversità di condizioni delle esperienze, non si può con sicurezza negare 1 risultati ottenuti dal Gager. Ma questi descrive — fra le altre — una singolare esperienza eseguita sullo svi- luppo delPAleum pratense, Linn. Sopra vasi in cui nasceva questa pianta egli collocò delle reticelle da gas, le quali, come è noto, contengono un composto di torio, e trovò che la radioattività del torio è bastante a produrre un ritardo notevolissimo nell’accrescimento! Ora questa conclusione non può non destare meraviglia. Il torio, i cuì com- » posti si trovano nelle reticelle incandescenti dei comuni becchi sembrava dunque semplicemente sorprendente come la reticella, po- sta perfino alla distanza di parecchi centimetri, potesse esercitare una influenza cotanto spiccata. Deliberai pertanto di ripetere l’espe- rienza, il che avvenne nelle condizioni seguenti. Due assicelle di legno vennero ricoperte con carta bianca, e su una di esse si attaccò mediante gomma dell’ossido di torio polve- rizzato; l’altra assicella restava per controllo. Due vasi, nei quali erano stati seminati dei chicchi di P%/exm, eran collocati sotto le due assicelle in eguali condizioni di illuminazione etc. Per evitare il pericolo che l’inaffiamento durante lo sviluppo non avvenisse in guisa perfettamente uguale, si collocò i vasi in due cristallizzatori, contenenti una certa quantità di acqua. Così per imbibizione il terriccio si manteneva sempre bagnato e si escludevano gli innaf- fiamenti. Dapprima le assicelle erano poste a brevissima distanza dalla superficie della terra nella quale avveniva la germinazione, ma mano mano che le piantine crescevano si aumentava la distanza. Si aveva però cura di non spostare mai le assicelle, per timore che qualche frammento di ossido di torio cadesse sul terreno, ma bensì di abbassare i vasi. L'esperienza, ripetuta più volte, continuava finchè le piantine avessero raggiunta l’altezza di 7 ad 8 centimetri. Ora mai si potè constatare un rallentamento di sviluppo in confronto del lotto testimonio. Per spiegare gli opposti risultati ottenuti dal (fager conviene ammettere che durante le sue esperienze qualche particella dei composti di torio siasi distaccata dalla reticella, ca- dendo sul terreno. Ora io ho già dimostrato che in questi casi ba- stano quantità piccolissime per provocare un rallentamento di svi- luppo. (1) | i Questo fatto consiglia ad accogliere con una certa riserva anche gli altri risultati, tra i quali ve ne sarebbero dei veramente inte- ressanti, descritti dal Gager nel suo citato volume. (1) Op. cit. a gas, possiede una minima attività, in confronto di quella del radio; Nuova contribuzione alla Flora delle Isole Tremiti per il dott. F. Cortesi In una mia precedenta contribuzione alla flora di queste isole (1) promisi che sarei ritornato sull'argomento appena avessi ricevuto il materiale che un gentile corrispondente aveva promesso di inviarmi. Infatti il dott. Carlo Mucciarelli, che da alcuni anni soggiorna in quelle isole come medico di quella colonia di coatti, molto gentil- mente — e di tale sua cortesia lo ringrazio qui vivamente — ha voluto inviare al R. Istituto Botanico di Roma delle interessanti raccolte fanerogamiche e crittogamiche fatte nelle isole, ed altro materiale ha promesso d’inviare appena lo consentiranno le sue oc- cupazioni. Nello studiare queste collezioni — per ora non mi occupo che delle fanerogame, rimandando le crittogame ad una prossima nota — ho trovato un piccolo numero di forme che non sono segnalate sulle precedenti pubblicazioni su queste isole, cui bisogna aggiun- gere la recente nota del prof. Béguinot (2), il quale promette un vasto e completo studio su questa flora. Nell’attesa di questa pub- blicazione ho stimato non inutile di render note queste poche spe- cie, ancora non segnalate da altri studiosi. (3). Così la flora delle Tremiti che con la mia pubblicazione anno- verava 321 specie di fanerogame, e che è stata arricchita dal Bé- guinot di oltre 110 entità floristiche, con la presente breve nota (1) Cfr. CortEsI. — Contribuzione alla flora delle isole Tremiti — Ann. di Botanica vol. VII. pag. 489-502. (2) BeGUINOT. — Materiali per una flora delle isole Tremiti. — Bull. Soc. + Botanica Italiana 1909, pagg. 200-212. (3) Durante la composizione di questa breve nota è stato pubblicato il lavoro del prof. BéÉGuINOT. Esso porta il titolo: Biuinor — La Flora delle îsole Tremiti e dell’isola di Pelagosa, Roma, Tip. Salviucci 1910. (Estr. Me- morie Soc. Ital. delle Scienze detta dei XL, Ser. 3° tomo XVI) un vol. in 4° gr. (1 pag., con una carta a colori; ivi nell’elenco delle specie, fino ad ora cono- sciute per queste isole, si registrano 444 entità floristiche. ìndagini senza dubbio Eoralttbano: (e Le specie sono ordinate secondo la flora di ioni e Paoletti; Guanali i vi È » mancano speciali indicazioni, sì intende che le piante furono rae- colte tanto a S. Nicola, quanto a S. Domino, nell’anno 1909. * * * 1. Tragus racemosus (L) Hall — Ottobre. 2. Eragrostis poaecides P. B. — id. 3. Beta maritima L. — foliîs tantum -— id. 4. Theligonum Cynocrambe L. — id. 5. Diplotaxis tenuifolia (L) D.C. — id. 6. Melilotus sulcata Desf. b. longifolia Ten. — Agosto 7. Dorycnium hirsutum Ser. b. incanum Lois. — Ottobre 8. Myrtus communis.L. c. italica (L.) Mill. — Agosto 9. Euphorbia Chamaesyce L. var. pilosa Guss. — id. 10. Olea oleaster Hoffm. et link. b. buxifolia Ait. — id. 11. Teucrium Polium L. var. virescens Guss. — Capperaia — Ottobre 12. Satureja greca L. var. cosentina Ten. — S. Nicola — Agosto 13. Satureja greca L. var. fasciculata Raf. — id. — Ottobre 14. Plantago.Serraria L. b. hybrida Ten. — id. — id. 15. Erigeron canadensis L. — id. 16. Carduus nutans L. — torma assai simile alla var. macrocephala Desf. — S. Domino — id. 17. Carlina lanata L. b. Pola Hacq. — S. Nicola — Agosto 18. Santolina Chamaecy parissus L. — Ottobre. Sull’impollinazione di Rohdea japonica Roth | per mezzo delle formiche Brevi osservazioni di ERMINIO MIGLIORATO Le seguenti osservazioni furono da me eseguite a Napoli nel giar- dino del Palazzo Bivona nel 1898, ove il Dott. Filippo Rodriguez mise a mia disposizione le piante ivi coltivate e non ancora fiorite. Rifeci a Roma, nel 1905 nell’Orto Botanico della Lungara, parte delle osservazioni e per caso avendo trovato due o tre esemplari della specie. i L’impollinazione di £ohdea japonica è detta esclusivamente ese- guita dai gasteropodi, cioè malacofila, così il Delpino e il Ludwig. Il Dott. E. Baroni, nel ’92, constatò che oltre ai gasteropodi (Melix adspersa e Cyclostoma elegans) la Rohdea era visitata pure da Myrmica rufa e da un coleottero. Queste osservazioni furono comunicate al Congresso internazionale di Botanica del 1892 (1), ma il Prof. Delpino seduta stante (2) obbiettò che l’impollinazione era dovuta esclusiva- mente ai gasteropodi, perchè egli sempre riscontrò nell’infiorescenze traccie del passaggio di questi e l'impronta dei loro dentini, e perchè la superficie liscia risultante dalla disposizione dei fiori, ecc., dimo- stra che l’infiorescenza è fatta per far strisciare i gasteropodi pro- nubi, perciò non si deve tener conto del passaggio degli insetti. * Le mie osservazioni furono eseguite su 20 infiorescenze: 10 la- sciate in piena terra in sito erboso e umido e le altre messe in vasi isolati dal terreno. (1) BaronI E. —Del posto che occupa la Rohdea japonica Roth. tra le fa- miglie vegetali e sul suo processo di impollinazione. Atti del Congresso Bota- | nico internazionale di Genova, 1892. Genova, 1893, p. 585. A questa nota fecero seguito dello stesso A.: Ricerche sulla struttura istolo-. gica della Rohdea japonica e sul suo processo d’impollinazione. Nuovo Giorn. bot. ital. XXV, 1893, p. 152-175. î (2) Atti, id., p. 539. ANNALI DI BoranICA — Vor. VIII. 16 piante lasciate in piena terra vennero VIA dalle a e dalle. E lumache. Le altre piante furono tenute in vasi e sopra un tavolo di legno nel giardino stesso, ma lontane una cinquantina di metri dalle altre piante in esperimento. Per evitare che le lumache e le formiche sa- lissero da ogni parte, tre piedi del tavolo furono immersi in vasi da fiori pieni d’acqua; il quarto piede fu lasciato libero: un giorno le formiche numerose erano giunte sulle infiorescenze passando pel piede libero. | Di notte e nelle ore in cui non potevo stare presso le piante per evitare l’accesso al gasteropodi, un quarto vaso pieno d’acqua iso- lava completamente il tavolo, e così maî fu possibile l’accesso a questi. I frutti maturarono. Siccome si tratta d’una specie non nostrale ma del Giappone, ove le formiche non mancano, non è da escludersi che anche queste sieno tra gli agenti pronubi; nada non è riservata ai molluschi l’ impol- linazione. Pigi È quasi senza fondamento il credere che la superficie liscia del- l’infiorescenza di Rokdea sia fatta per far strisciare i gasteropodi: io ò osservato sulla via Appia Antica non lungi da Roma, nume- rose piante di Echium italicum L. (specie irta di peli rigidi e pungenti) tutte ricoperte di gasteropodi fin nelle altre regioni dell’infiorescenza, fenomeno del resto osservabile da tutti poichè la pianta è comune anche altrove. se * s* Nell’Orto botanico di Roma le piante erano in piena terra e ve- nivano visitate dalle formiche. Anche queste piante fruttificarono. Dal R. Istituto botanico di Roma. 1° giugno 1909. Aleune osservazioni sulla durata dei macromiceti per il dott. G. BERGAMASCO Ordinariamente i manuali di micologia raccomandano le ore mat- tutine per la raccolta dei funghi. Cadono in errore. I funghi, mettendo da parte le poche specie effimere, come, ad esempio, i Coprini, ed i legnosi della famiglia delle Po/yporaceae che vivono più anni, hanno una durata di 5, 10, 15 persino 30 giorni, e non spuntano dal snolo da un momento all’altro, come per incanto, ma impiegano più giorni per raggiungere il loro maggiore sviluppo. Ogni ora, dunque, del giorno è buona per la ricerca dei funghi. Si potrebbe obiettare che la mattina i funghi presentano un aspetto più fresco, più turgido, ma anche tale osservazione non è che di un valore relativo e spesso fallace; in realtà, l’umido della notte, tante volte necessario per la vita e l'evoluzione fungina, spesso riesce nocivo, poichè determina in essi, con lo sviluppo di microrganismi, fenomeni di putrefazione e decomposizione, e satura i loro tessuti di tropp’acqua. Nè miglior fortuna incontra l’argomento che la mattina, per ragioni ottiche, si possano più: facilmente scorgere i funghi; giac- chè la sera presenta identiche condizioni di luce ed assai simile ne derivano da tempo nuvoloso. E per rimaner nel campo dei fatti, constato che io, nelle sta- gioni propizie, trovavo, funghi in tutte le ore della giornata, in quantità più o meno eguali, Dopo una forte pioggia i funghi non spuntano in un baleno dal terreno; solo col trascorrere di un paio di settimane dall’acquaz- zone, rimanendo favorevoli le altre circostanze, giunge il mo- mento della fungata. Riferisco ora alcune osservazioni mie circa la durata dei macro- miceti, eseguite in natura nella selva dei Camaldoli. Tali ricerche non sono sempre troppo agevoli, poichè accade che il fungo, lasciato o ia Pte FA AAT eg LASER n tte abbr toa ieate Le, ie T - : pina SE .. £ ii . ui t aa * ; as N de sul posto per iscopo di studio, vien colto o schiacciato da altri, 0 a guasto da larve d’insetti, da lumache ecc. Ed ecco ìi fatti. «a Il 17 ottobre 1908 rinvenni più esemplari di Amanita pantherina DO., ne segnai il più piccolo, conficcandogli vicino un pezzo di le- gno. Il 27 dello stesso mese, cioè dopo dieci giorni, lo ritrovai: aveva raggiunto 12 cm. di diametro nel pileo, 14 cm. di lunghezza nel gambo, Il 28 andò in frantumi. Il 14 novembre 1908 notai su un tronco di castagno, in un incavo, un piccolo Lattario, somigliantissimo alla specie subdulcis B., ma con latice acrissimo. Ebbi torto di non averlo determinato subito, poi- chè ora, non avendolo nemmeno conservato, non posso con certezza precisare la sua specie. Potrebb’essere un Lactarius decipiens Q. Il 12 decembre, circa un mese dopo, lo rividi: aveva perso il latice, ma era Vivo. Le osservazioni seguenti le feci tutte nel 1909, meno l’ultima. Il 4 novembre trovai più individui di Tricholoma nudum B., di cui lasciai sul posto uno, piccolo; il 18, dopo 14 giorni, lo rinvenni: il suo pileo era di 11 cm. di diametro, il gambo di 7 cm. di lunghezza e di 1 cm. di grossezza. Il 9 giugno segnalo un piccolo esemplare di Cantharellus cibarius Fr.; il 17 lo ritrovo poco cresciuto. Il 10 luglio trovo un piccolo esemplare di Boletus Satanas Lenz.; il 13 lo riscontro alquanto cresciuto; poi venne svelto da qualcuno. Il 28 luglio rinvengo un individuo della stessa specie, di 6 cm. di diametro nel pileo; il 2 agosto il diametro del suo cappello misu- rava 17 cm. Il 15 settembre noto un piccolo Boletus edulis B.; 11 16 constato che è cresciuto poco; ancora un tantino lo vedo aumentato in volume il 17; poi venne colto. Il 1° ottobre segnalo tre piccolissimi esemplari di Boletus edulis B; ne ritrovo uno solo il 3 ottobre, poco cresciuto; in seguito sparì. Un esemplare piccolo di /ydnum repandum L., scorto il 19 no- vembre, lo rinvenni il 25, sempre picccolo; il 6 decembre, cresciuto; l'11 decembre, in istato di deperimento. Quest'anno, infine, ho trovato il 7 corrente una piccola MNawucoria conspersa Pers.; il 18 ed oggi stesso l’ho riveduta: si mantiene fresca ancora. ‘Napoli, 19 febbraio 1910. teri DR) 4 fi e, IPA PEARSON TIA CIG St RIA SIOE IONI ON AI LOT SII x ° i ae PEA . Ct TAMA n la v* Pau Ag 2 x è pid < î 14 10 IAT von - de Re SPRII I dari de CAS AIANESMNILNINANA NI NSA NASRSNSTVI NTXS INA NAINFXLRZSIREIE i wi Alcune notizie sull’Orto botanico di Lecce. per ERMINIO MIGLIORATO Quest’orto non figura nel repertorio del prof. P. A. Saccardo : «La Botanicain Italia: materiali per la storia di questa scienza. 1895-901 » (1), perciò riunisco le seguenti notizie che mi è riuscito trovare in un’opera floristica (2) e in bibliografie locali. L'orto fu fondato dal Dott. Gaetano Stella, che per oltre qua- rant’anni ne fu direttore, Lo Stella (1787-1862) studiò medicina e scienze naturali in Na- poli. Fu pure segretario perpetuo della Società economica di Terra d'Otranto. Il prof. Giuseppe Eugenio Balsamo ne fece nel 1862 l’elo- gio funebre. Le pubblicazioni a mia conoscenza riguardanti l’orto sono: Costa Oronzio GaBrIELE (che fu professore di Zoologia nel- l’Università di Napoli). « Catalogo dell’Orto botanico della Società economica di Terra d’Otranto ». Lecce, 1822 (in 4°). IpeM. — « Rapporto sullo stato dell'Orto botanico-agrario della Società economica di Terra d'Otranto ». Lecce, 1824 (in-4°). SteLLA GAETANO (predetto). —« Catalogo delle piante coltivate nel: l'Orto botanico di Lecce nel 1856-57 ». Dell’orto ne parla pure Marinosci in una sua opera(2): « Molte belle piante esotiche di questa classe coltivansi nell’Orto botanico della nostra provincia, tra le quali sono notevoli l’Amorpha fruticosa della,Carolina; l’Arachis Aypogea delle Indie, che dà olio assai lim- pido da’ semi; la Caragana frutescens della Siberia; il Cytisus Wel- (1) Parte I e II nelle Memorie dell'Istituto veneto delle scienze, lettere ed arti, vol. XXV, n. 4, anno 1895 e vol. XXVI, n. 6, anno 1901. (2) MarIxosci M. — Flora salentina. Lecce, 1870. Tip. Salentina, 2 vol., in 8°, (vol. II, p. 120). de Tiara, ch Robinia ani iena ch mitie; crispa, le mostru la spectabilis e la pendula, introdotte dal Direttore e Segretario] pro Xi fessore D. Giuseppe Eugenio Balsamo ». . 0008 di. Il Balsamo nel 1885 era deputato al Parlamento. 5 a. Ritornerò sull’argomento non essendo difficile trovare altre no- tizie di quest’ importante orto, e perchè fin'ora non mi è riuscito sa- pere in quali pubbliche Hiinicohe ci sono i citati cataloghi, che non ò ancora potuto consultare. ‘ Ringrazio il mio amico Dott. Bar. Federico Personè, di Nardò, | che mi favorì alcune notizie bibliografiche. Roma, R. Istituto botanico universitario, 1° agosto 1909. Quarta aggiunta alla bibliografia della Flora vascolare delle provincie meridionali d’Italia per il prof. Forr. PASQUALE Nella presente aggiunta riporto pure quelle citazioni contenute nelle parti precedenti di questa bibliografia, le quali per ragioni di ricerche vennero trascritte incomplete, perciò vanno corrette. Queste modificazioni le indico con un asterisco * accanto al nome del- l’autore. Le altre parti della bibliografia sono: Bibliografia ecc. Nuovo Giorn. bot. ital. (Nuova serie) vol. I, n. 4, ottobre 1894, p. 259. Prima aggiunta. Bull. Soc. bot. ital., 1897, p. 19. Seconda aggiunta. Id. id. Id E90E1p4 298. Terza aggiunta. Annali di Botanica, vol. IV, 1906, p. 133. Questa quarta aggiunta va fino a tutto maggio 1909. Una quinta aggiunta sarà pubblicata quanto prima in questi stessi annali. ABBATE E. — Guida dell'Abruzzo. — Roma 1903, pp. 62-115. BEGUINOT A. — Revisione del genere Romulea.— Malpighia 1907, pp. 49, 364, 385. — L'area di distribuzione della Plantago crassifolia Forsk. e le sue affinità sistematiche — Bull. Soc. bot. ital., 1906, p. 81. — La vegetazione delle isole ponziane e napoletane. Studio biogeografico e flo- ristico. — Annali di Bot. vol. III, pp.‘181-453, anno 1905. — Revisione delle Glyceria della sezione Atropis appartenente alla flora ita- liana. — Bull. Soc. bot. ital., 1908, pp. 29 e 50. BeGUINOT A. e TRAVERSO G.B. — Ricerche intorno alle « arboricole » della flora italiana. — Nuovo Giorn. bot. ital. XII (Nuova serie), 1905, pp. 495- 589. Vedi FIORI. BeRGEN J. 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Fino dal 1898 veniva segnalato dal Cavara (1) sui rami dello Ju- niperus phoenicea e sul Cupressus sempervirens var. horizontalis la pre- senza di tumori che, in seguito ad esame microscopico e ad oppor- tune prove d’isolamento, fu indotto a ritenere di natura microbica, analogamente a quelli dell’olivo e del pino d’Aleppo. Infatti da quei tubercoli isolò due microrganismi, un bacillo ed un micrococco, am- mettendo l’ipotesi di un’azione specifica antagonistica sull’ospite, cioè ‘ irritante per l’uno, corrodente per l’altro. Con questi due mierorga- nismi fece prove d’infezione sullo Juniperus communis, i cui risultati non sono noti. L'A. osservava poi che la superficie di parte dsi tuber- coli in diversi stadii di sviluppo era cosparsa di peritecii di un fungo che venne riconosciuto essere il Ceratostoma juniperinum che Ellis ed Everhart avevano descritto nell'America del Nord « in ligno emortuo » dello Juniperus virginiana, senza accennare alla produ- zione di quelle speciali tuberosità. Secondo il citato A., il Cerato- stoma sarebbe completamente estraneo alla formazione dei tubercoli. Più tardi, cioè nel 1904, il Baccarini (2) comunicava di aver osser- vato in gran copia tumori, del tutto simili per l’aspetto a quelli dello Jun. phoenicea, sullo Juniperus communîs nei colli di Fiesole, nel Casentino ed anche nello stesso Istituto botanico di Firenze. Ma il fatto di non aver mai riscontrato nell’interno di giovani tubercoli spe- ciali colonie di Schizomiceti e quello invece della costante presenza (1) Cavara. — Tumori di natura microbica nello Juniperus phoenicea. — Bull. Soc. bot. it., 1598, pag. 241-50. (2) P. BaccarINI. — Sul Ceratostoma juniperinum EU. et Ever. — Nuovo Giornale Bot. it , 1904, pag. 49-52. sf it a bp nei soli tubercoli, anche se giovanissimi, del micelio del Ceratostom senza che nessun altra lesione vi sia riconoscibile, indussero l’A. a ritenere come probabile produttore dei tumori il Ceratostoma stesso. Le conclusioni diverse alle quali sono giunti i citati A. sull'origine dalla malattia, quantunque le loro osservazioni si riferiscano a Cu- pressee diverse, lasciano la questione tuttora aperta ad ulteriori ri- cerche (1). In una mia escursione fatta nel febbraio decorso al Colle Um- berto I (Perugia), visitando il bosco che sì estende per circa 4 Ea. a nord della villa dell’on. Cesaroni, mi fu dato di osservare sullo .Jumnz- perus communis, ivi abbondantissimo, una grande quantità di produ- zioni tubercolari distribuite su tutti i rami e così largamente dif- fuse che soltanto pochi individui ne erano privi. La presenza di tali alterazioni .in quella località era a noi già nota fino dal 1905, e col materiale che in quel epoca venne raccolto e conservato in laboratorio e con quello che personalmente mi procurai, volli innanzi tutto os- servare se si trattava di formazioni simili a quelle descritte dai su ricordati Autori. Un fatto che ha richiamato subito la mia attenzione è la carat- teristica localizzazione dei tumori sul sistema rameale della pianta: osservando cioè un numero grandissimo di esemplari, ho potuto con- ‘ statare che i tubercoli si stabiliscono per lo più in rapporto colla inserzione dei rami e delle foglie, raramente si trovano negli in- ternodi: è così frequentissimo il caso di escrescenze sviluppate al- l'ascella dei rami, o lateralmente o inferiormente alla loro inser- zione. Le piante attaccate dalla malattia sono prevalentemente le più vecchie con sistema vegetativo deperente, a ramificazioni in parte secche, in parte assai ridotte e povere di fogliame; in gene- rale il deperimento è più marcato quanto maggiormente una pianta o una porzione di essa è invasa da tumori. Non mi è stato possi» bile trovare stadii iniziali delle alterazioni, e la ricerca riuscì vena anche in successive escursioni. I rami più giovani non presentano alcun accenno di tuberosità: soltanto in rami di qualche anno ho trovato talune formazioni poco sviluppate, sotto forma di leggere protuberanze emisferiche od elissoidali, erompenti dal periderma, a superficie un po’ sinuosa ma liscia, di colore grigio o rossiccio, per lo più con una solcatura o depressione mediana diversamente manifesta. Altri tubercoli, che forse rappresentano uno stadio più avanzato del precedente, si presentano g/obosi, di colore bruno rossa» stro, a superficie scabra per desquamazione del perìderma e per- (1) P. SoraueR. — Handb. der Pflanzenkrank. — Zweit f. lief. 16, s. 582. | corsa in vario senso da solcature più o meno marcate. Vi sono in- 0 fine tubercoli vecchi, bruni, irregolarmente globosi, mammellonati, con profonde fenditure e di dimensioni variabili fino a raggiungere 3-4 cm. di diametro. In questi due ultimi stadii la superficie delle nodosità si presenta più o meno abbondantemente ricoperta da pe- riteci i quali, in febbraio, accennavano alla formazione di aschi: dopo un soggiorno di circa un mese in camera umida alla tem- peratura del laboratorio ottenni il completo sviluppo dei periteci stessi (1) ed allora potei con sicurezza identificarli come appartenenti al Ceratostoma juniperinum di Ellis ed Ev. (2). In complesso i tuber- coli da me osservati sull’/Juniperus communis per il loro aspetto esteriore corrisponderebbero a quelli descritti dal Cavara e dal Bac- carini. Ma per quanto riguarda la struttura anatomo- -patologica delle tuberosità, il reperto anatomico dell’abbondante materiale di cui ho potuto disporre, dà risultati sostanzialmente diversi da quelli de- scritti dal Cavara per lo Jun. phoenicea, risultati i quali non mi sem- brano privi d’interesse per le conclusioni che, almeno per il caso da me osservato, si possono trarre intorno al modo di formazione ed alla probabile origine delletuberosità stesse. Il Cavara infatti, per i tuber- coli da lui osservati sullo Jun phoenicea, è indotto ad ammettere che < la sede delle alterazioni sia stato il cambio che non si riscon- tra più colla sua normale disposizione e coi strati di cellule regolari a ridosso di una zona definita di legno, ma i suoi elementi, prolife- rando in ogni senso, hanno determinata una copiosa formazione di gruppi di xilema fuori posto, variamente intrecciati a raggi midol- lari e ad altri tessuti il cui insieme è rivestito superficialmente da successive formazioni corticali con produzione di fellogeno che ac- compagna e ricopre tutte le sinuosità ». L'A. quindi ritiene quelle manifestazioni come vere e proprie iperplasie dovute al cambio e di più è dell'opinione, come già fu detto, che esse si producano in se- guito ad una probabile azione irritativa di un bacterio. Dall’esame di sezioni trasversali in serie praticate in numerosi tu- bercoli a diversi stadi di sviluppo, ho potuto innanzi tutto constatare che, nella maggior parte dei casi, la formazione dei tubercoli si ve- rifica sui nodi, come sopra ho già accennato, ordinariamente in corri- spondenza all’inserzione dei rami: aggiungerò inoltre che è molto frequente il caso di trovare dei tubercoli formatisi nella regione (1) Nel materiale che raccolsi alla fine di luglio, trovai i periteci a com- pleta maturazione. (2) ELLIS ET EVvERHART. — Proced. Acad. Nat. Sc. Philadelphia, 1890, p 226. delle tracce fog here l cui (oegati propri sì RE. più O) meno fore temente alterati e distrutti per un processo di necrosi che molto spesso va ad estendersi fino entro il legno (1). Molto più raro è il caso di trovare tubercoli sugli internodi, ma quando vi sono sviluppati hanno rapporto anche qui con profonde lesioni che interessano non solo i tessuti corticali, ma il cambio ed il legno. Non mi è stato ancora pos- sibile stabilire con certezza quali siano le cause che vengono a de- terminare queste profonde alterazioni localizzate nei tessuti delle tracce fogliari: mi sembra intanto da doversi escludere l’ipotesi che esse siano manifestazioni patologiche successive alla formazione dei tubercoli, giacchè sezionando giovani rametti ai nodi ho potuto ri- scontrare, in numerosi casi, tracce fogliari già alterate e distrutte senza che in loro prossimità vi fosse il minimo accenno alla produ- zione di escrescenze (2). Studiando i tubercoli più giovani, sviluppatisi sui nodi o su in- ternodi, quando ancora si presentano poco rilevati, con superticie li- scia sulla quale appaiono i primi periteci, ho potuto stabilire che la formazione è dovuta in gran parte all’attività del fellogeno e, se già non esistese entro i tussuti neo-formati il micelio del Ceratostoma ed alla superficie i suoi periteci, potrebbero in principio essere caratte- rizzati come semplici processi di cicatrizzazione. Infatti, sia nel caso di necrosi delle tracce fogliari, sia in quello di lesioni su punti qual- siasi degl’internodì, si tratta di vere e proprie soluzioni di continuità che si aprono attraverso il periderma, i tessuti corticali ed il legno fino quasi a raggiungere talora il midollo. Ora, osservando il compor- ° tamento del fellogeno rispetto a queste ferite, sì vede che esso, secondo il consueto meccanismo di reazione, dopo di essersi uniformemente invaginato per entro ai bordi della cavità, distende con attiva segm- (1) Saccarnpo P. A. — $SyY2., IX, p. 481. (2) Ricorderò a questo proposito che in rametti giovani delle piante am» malate, vegetanti ed apparentemente sani, ho riscontrata la presenza di peri- teci che ritengo riferibili alla Diplodia Juniperi West., il cui micelio pare si sviluppi quasi sempre in corrispondenza alle tracce fogliari, i tessuti delle quali si presentano alterati o parzialmente distrutti, spesso con formazione di vere soluzioni di continuità. Sempre sui nodi di rametti giovani, ho sovente rilevata la presenza di numerose formazioni pienidiche, isolate o raggruppate, che forse possono sospettarsi come forme micro-picnidiche della Diplodia stessa; e di più sul periderma l’esistenza dei periteci di un fungo appartenente al gen, Mela- nomma Nits. et Fuek., molto affine alM. juniperinum Karst. (Sace.). Riferisco queste osservazioni per dimostrare che non è improbabile il caso che altri organismi, approfittando dello stato di debolezza e di depressione ve- getativa della pianta, invadano specialmente i tessuti giovani, preparando la via ed il terreno al Ceratostoma. UE Eee SITI V| Lay ci DI > A Se (9° — 2570 — | entazione una zona continua di tessuto peridermico produttivo su tutti i tessuti lesionati. E più precisamente si tratta di una prolife- razione fellogenica con produzione simultanea di felloderma e di tes- suto sugheroso: il felloderma viene a trovarsi disposto lateralmente lungo le pareti della ferita in diretto contatto con i tessuti della cor- teccia e del legno, il tessuto sugheroso invece è rivolto in parte verso l'esterno ed in parte verso il lume della cavità. Ma prima ancora che il fellogeno abbia raggiunto il fondo della ferita, condizione che si ri- scontra appunto negli stadii più giovanili da me osservati, si trova che nei tessuti da esso prodotti si e già stabilito il micelio caratteri- stico del Ceratostoma, i cui filamenti non solo decorrono fra gli ele- menti del felloderma e del sughero strettamente aderendo alle pa- reti cellulari, ma formano verso gli strati corticali sugherosi un in- treccio più o meno fitto dal quale poi si sviluppano 1 periteci. I tagli trasversali dai tubercoli în stadi ulteriori di sviluppo dimostrano che quando l’invaginazione della zona fellogenica è com- pleta, tutto il lume della ferita viene ad essere occupato da tessuto fellodermico, tranne naturalmente la porzione mediana che è per- corsa dagli strati di fellogeno invaginati insieme a poche e strette cellule sugherose che arrivano fino al fondo della ferita situata co- munemente, come ho già detto, entro il legno. Inoltre risulta chia- ramente che, pur essendo la ferita completamente cicatrizzata e chiusa, il fellogeno ha continuato a mantenersi molto attivo de- ponendo fra sè ed i tessuti lesionati, nuovi e numerosi strati di- fellodermide, e all’esterno di tessuto sugheroso: per questa abbon- dante proliferazione, sopratutto di elementi fellodermici piuttosto grandi, a parete spessa e resistente, a stretto contatto fra di loro + sì determina verso l’esterno lo sviluppo di una tuberosità. . Il micelio del Ceratostoma, la cui presenza è costante in tutti i tu- bercoli osservatiin questi stadii intermedi di sviluppo si dimostra enor- memente sviluppato in tutte le porzioni di tessuti di origine felloge- nica. Grossi filamenti a parete molto robusta, passano attraverso al fellogeno, dal sughero al felloderma diffondendo copiose ramifica- zioni negl’intercellulari. Per la forte aderenza del micelio alle mem- | brane cellulari, specie nel felloderma, non è facile seguire il per- corso dei filamenti più sottili; sono riuscito a metterli abbastanza bene in evidenza allontanando prima le sostanze oleose con alcool e cloroformio, poi passando rapidamente le sezioni in fucsina car- bolica che colora intensamente il plasma delle ife miceliche. Por- zioni di micelio arrivano anche a contatto coi tessuti normali del ramo: sottili filamenti si spingono talvolta fra gli elementi più prossimi del fioema, i quali si presentano allora alquanto ipertro- ANNALI DI Botanica — Vor. VIII. 17 PRATI TIRI ROIO, IST RNA SO SCIOZEO MARIA — 958 - Separare a fici, oppure, più frequentemente, entro ì raggi midollari: in gene- rale sembra che il fungo non stabilisca veri rapporti, 0 almeno molto deboli, coi tessuti wilematici e floematici, e che la sua vera sede sia rappresentata dai tessuti peridermici. L’esame infine dei tubercoli più sviluppati e vecchì dimostra che al Zoro sviluppo ha contribuito sempre prevalentemente il fellogeno con abbondante proliferazione fellodermica all’indentro e di strati successivi di sughero all’esterno; ma che inoltre ai tessuti prove- nienti dall’attività del fellogeno, se ne sono aggiunti altri dovuti all'intervento del cambio. La zona cambiale in corrispondenza al margine della lesione, perde il suo orientamento normale ed i suoi elementi, proliferando in senso centrifugo, sì spingono all’infuori in- sinuandosi, in modo irregolare e disordinato, fra le cellule del fello- derma generando gruppi floematici e xilematici più o meno grandi: i gruppi di cellule cambiali però tendono a disporsi all’intorno del felloderma, il quale infatti si osserva molto spesso circondato da por- zioni legnose più o meno estese, com’è facile rilevare in sezioni tan- genziali di vecchi tubercoli. Porzioni di fellogeno e di sughero ri- mangono qua e là strettamente invaginati tra le zone legnose del tubercolo, formando le caratteristiche solcature che danno ai tuber- coli vecchi un aspetto mammellonato. Ho portato in particolar modo la mia attenzione a ricercare l’e- sistenza di Schizomiceti entro i tessuti delle tuberosità: ma le inda- gini condotte in un numero assai rilevante di tubercoli a diverse età ebbero sempre risultato completameute negativo. Non solo non mi è stato possibile riscontrare nei tessuti interni delle tuberosità speciali colonie di bacteri, ma neanche l’esistenza di lacune paragonabili a quelle dei tubercoli dell’olivo e del pino d’A- leppo. Solo nei tubercoli vecchi ho trovato con molta frequenza delle cavità che in parte ritengo molto probabilmente dovute al disfaci- mento di elementi cellulari uccisi dai filamenti micelici con cui erano a contatto, in parte sicuramente alla corrosione operata da un insetto che molto spesso invade i tubercoli vecchi, scavandovi delle gallerie. Quanto ai bacteri aggiungerò che di forme isolate mi è occorso di trovarne, e molto spesso, fra gli strati corticali del tessuto sugheroso, e saranno probabilmente quelli che, in prove di isola- mento da me fatte, hanno dato sviluppo di colonie; ma la loro co- stante localizzazione e lo scarso numero li fanno ritenere come for- me volgari, estranee alla produzione dei tumori. Servendomi di tubercoli possibilmente giovani, volli tentare delle prove di isolamento procedendo nel seguente modo. Dopo avere asportati i tumori dal ramo insieme ad una porzione di legno, ve- | nivano leggermente decorticati per togliere lo strato superficiale di sughero portante i periteci, procurando di pulire bene le sinuosità. Si lavava la superficie con ovatta imbevuta di sublimato 1 ig (081 indi ciascun tubercolo si portava in una provetta contenente acqua sterilizzata ed ivi mantenuti per due o tre ore, squassando ripetuta- mente e cambiando più volte l’acqua. Dopo ciò si facevano cadere i tubercoli in una capsula di vetro sterilizzata e contenente poca acqua parimenti sterile, ed ivi sezionati e tagliuzzati con bisturi previa- mente arroventato. Col liquido nel quale erano stati tagliati i tubercoli, feci semi- nagioni in piastre, servendomi come substrato di gelatina o agar con decotto di rami e foglie di gi nepro con aggiunta di 1 % di glucosio, mantenendo le piastre stesse alla temperatura del laboratorio (11°-183°). Dalle prove di isolamento, eseguite parecchie volte dal febbraio al luglio, ottenni sempre, dopo 5-7 giorni, lo sviluppo di un micelio for- mante dapprima ciuffi isolati di filamenti sterili, di aspetto cotonoso, di color bianco tendente al grigiastro, poi distendentisi sul substrato a guisa di ragnatela, assumendo una tinta giallognola. I filamenti immersi nel substrato sono di grossezza variabile da p 1,1ap 4,8, spesso riunentisi in fasci rizomorfici. Lo sviluppo di questo fungo si è ottenuto costantemente in ciascuna prova d'isolamento e in tutte le piastre infettate (1). Un fatto degno di nota, e che ho osservato con una certa frequenza sulle colture vecchie del fungo (dopo circa due mesì dalla seminagione), è la formazione di corpi fruttiferi, neri, su- perficiali, immersi nel substrato per circa ‘/, dell’altezza (alt. mm, 0,5-0,8, diam. mm. 0,15-0,16), conici, a parete leggermente rugosa, chiusi, da potersi probabilmente paragonare a formazioni picnidiche, contenenti sporule sessili, ialine, ovoidali (p 2,5-4 a 2-2,8), immerse in massa debolmente mucillagginosa. Necessitano evidentemente su questo punto ulteriori ricerche che mi propongo di continuare con la maggior cura possibile. Per la costanza con la quale si ottiene lo sviluppo di questo fungo nelle colture di isolamento, per l’as- senza di altre forme fungine nei tessuti tubercolari, per i carat- teri morfologici del micelio corrispondenti a quello che si trova nell'interno delle tuberosità, non mi sembra intanto infondata (1) Insieme al fungo si ebbe in qualche piastra lo sviluppo di scarse co- lonie di bacteri, e cioè di un micrococco a cellule molto grandi (u. 2,5-4) e di due bacteri, fluidificanti la gelatina, uno dei quali sporigeno. Evidentemente trattasi, in base anche a considerazioni già esposte, di inquinamenti acciden- tali con forme volgari, con probabilità le stesse che trovansi fra gli strati sugherosi dei tubercoli inevitabilmente portate sul substrato colle inocula- zioni. ANNALI DI Boranica — Vor. VIII. IV) ME - VIESEO l’ipotesi di un iSobabiIo Feto del fungo delle d- artificiali al Ceratostoma dei tubercoli, i cui frammenti di ife mi- celiche portati colla inoculazione in substrato artificiale, pos- sono ivi continuare a segmentarsi e a vegetare. ln appoggio. a ciò, aggiungerò anche il fatto che, seminando dei periteci di Cera- tostoma presi da tubercoli, su piastre di agar ottenni lo sviluppo della stessa forma fungina, non da germinazione di ascospore, ma da proliferazione dei filamenti micelici della parete. Prima di esperimentare se il fungo ottenuto in coltura pura sia in grado di riprodurre la malattia, volli tentare delle infezioni su di una pianta di Juniperus communis, coltivata nel giardino botanico e perfettamente immune dal Ceratostoma, sia con periteci presi da tubercoli e contenenti spore mature, sia mediante l’innesto sull’ospite di un frammento di tubercolo; dalle quali ho già risultati sicura- mente positivi. E precisamente nel primo caso operai nel seguente modo: dopo di aver distaccati da un tumore dei periteci bene svi- luppati, li sottoposi per qualche ora a lavaggio in acqua sterile, por- tandoli poi in una capsula di vetro contenente poche gocce di acqua sterilizzata e schiacciandoli con una bacchetta di vetro. Con questo liquido nel quale si trovavano diffuse migliaia di spore, infettai, mediante ansa di platino, una piccola ferita che avevo aperta in un internodio di un rametto di un anno, interessante la corteccia ed in parte anche il legno, fasciando poi accuratamente la ferita stessa. Nel secondo caso scelsi un tubercolo giovane, lo decorticai forte- mente in modo da allontanare possibilmente tatto il tessuto sughe- roso, e lo disinfettai nella maniera descritta per le prove d’isola- mento. Portatolo in una capsula previamente sterilizzata, lo divisi a metà procurando di ottenere col bisturi, accuratamente disinfet- tato, delle sezioni possibilmente sottili della porzione centrale, alcune delle quali esaminai al microscopio, riscontrando la presenza del solito micelio fortemente sviluppato. Aperte due ferite, su un nodo e su di un internodio di due rametti di due anni, introdussi entro ciascuna con una pinzetta sterile una piccola porzione centrale del tubercolo esaminato, chiudendo la ferita con paraffina e proteggendo poi con fasciatura. Le infezioni furono eseguite il 19 aprile di que- st'anno, ed attualmente per tutti e tre è casi si può constatare in modo evidente la riproduziune delle caratteristiche tuberosità. Una di quelle prodotte da innesto di tessuto tubercolare misura già 1 cm. di diametro, e fino dall’ottobre si vengono producendo sulla sua su- perficie dei periteci. Meno sviluppata è ancora quella originatasi per inoculazione di spore, ma anche qui vi sono già dei periteci in for- mazione. Si può però in questo caso giustamente obiettare che il Maedldorz) * do) Og + | processo tubercolare, data la difficoltà che anch’io come il Bacca- rini (1) ho incontrato di ottenere la germinazione delle spore, sia stato prodotto non già in seguito alla germinazione delle spore stesse, ma da frammenti di micelio che eventualmente siano stati portati nella ferita col liquido d’inoculazione. Necessitano quindi anche su questo punto esaurienti ricerche; ma il risultato di tali esperienze è già un indice ed una prova non trascurabile per rite- nere che il Ceratostoma sia veramente l’agente patogeno della ma- lattia. | Intanto ho già in corso delle esperienze d’infezione con le colture pure del fungo ed anche con gli altri organismi isolati, sul cui esito non posso ancora pronunciarmi, e che ripeterò più estesamente nella primavera ventura. Da quanto ho esposto, si possono principalmente trarre le seguenti conclusioni : 1° le tuberosità da me riscontrate sullo Juniperus communis si trovano sempre in rapporto con lesioni preesistenti nei tessuti della pianta, specie in corrispondenza alle tracce fogliari; 2° la produzione dei tessuti formanti le tuberosità è data prin- cipalmente dall’attività del fellogeno, secondariamente dall’attività del cambio; 3° concordemente con quanto era stato osservato dal Baccarini per lo stesso Jun. communis, la presenza del micelio del Ceratostoma è costante entro i tessuti di tutte le tuberosità, anche negli stadii giovanili; 4° il micelio del fungo stabilisce la sua sede esclusivamente nei tessuti peridermici, sviluppando in special modo la parte vegetativa nel felloderma; 5° è esclusa anche in questi tubercoli, come in quelli osservati dal Baccarini, la presenza di speciali colonie di Schizomiceti o di lacune che servano a far sospettare la loro esistenza; 6° è possibile riprodurre la malattia col micelio vegetante nei tessuti tubercolari. Si può inoltre pensare che il fungo, forse perchè dotato di debole azione parassitaria, non sia capace di determinare una infezione di- retta, ma che si stabilisca sull’ospite soltanto quando esso trovi una via aperta attraverso ai tessuti da qualsiasi agente capace di deter- minare una soluzione di continuità in comunicazione coll’esterno. L'azione del fungo come produttore delle tuberosità verrebbe quindi ad essere subordinata a cause predisponenti che potrebbero (1) BaccarINI P. — Lav. cit., pag. b2. UR DIRE Pala: oltre not : Nena da animali, anche da ‘organismi vegetali, non pa i ; im luto i 1 bacteri. ; sar Dal Ta\csiatio di botanica e di patologia vegetale del R. Istituto Supe: i i riore Agrario di Perugia, dicembre 1909. sa SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. (Tav. XII). Fig. 1. sa Giovani rametti di Juniperus communis, con tuberosità: a) in un internedio. d-c) nei nodi. Circa ‘/, gr. nat. Fig. 2. — Grosso ramo fortemerte colpito dalla malattia. Circa ‘/,, gr. nat. Fig. 8. — Vecchio tubercolo situato in un nodo. Circa '/, gr. nat. Fig. 4. — Microfotografia della sezione di una piccola tuberosità nell'interno. dio di un giovane ramo: a strati di tessuto sugheroso invaginati, insieme al fellogeno entro la lesione. b-b’ — tessuto fellodermico in formazione (negl’intercellulari esiste già il micelio del Ceratostoma). {ngr = 20 diam. Fig. 5. — Tuberosità riprodotta artificialmente con il agito del tessuto tu- bercolare, 8 mesi dopo l’infezione. Circa */, gr. nat. A ZA Ta Zilli RIVISTE The species of Calamus by D". 0. Beccari. — Calcutta. Printed at the Bengal Secretariat Press 1908. — Price: India Rs. 100. En- glish L. st. 7. Questa opera costituisce la parte prima del vol. XI delle « Asiatic Palms» pubblicate negli « Annals of the Royal Botanical Garden » di Calcutta, volume dedicato alle Palmae Lepidocaryeae. In questa prima parte il D'. Odoardo Beccari descrive la specie del genere Calamus. Il testo in folio comprende 518 pagine e le illustrazioni, bellis- sime, eseguite in Firenze dallo Stabilimento meccanico e fotochimico, sono contenute in 231 tavole in folio massimo, tolte per la maggior parte da fotografie del Dott. Beccari ed alcune da disegni del signor Anichini. Segnaliamo con vero compiacimento quest'opera che torna di grande onore per la scienza e per l’arte italiana. R. PIROTTA. * * * WaLter H. — Phytolaccaceae. — Engler’ s Pflanzenreichs Heft. 39 (IV. 83), 1 Band in 16, s. 154, mit 286 Finzelbildern in 42 Fi- guren. La piccola famiglia delle Phytolaccaceae, comprende oltre ad un certo numero di forme che perfettamente rispondono ai suoi carat- teri generali, alcune forme anomale (23 specie riunite in quattro generi) che se per alcune loro caratteristiche rientrano nella fami- glia, per altre loro particolarità se ne differenziano notevolmente, rivelando molte affinità specialmente con le Chenopodiacee. L’A. in questo suo lavoro, dopo aver dato i caratteri fondamen- tali del gruppo, esamina gli organi vegetativi, la loro costituzione anatomica, studia dettagliatamente quanto riguarda le infiorescenze, pere i fiori, la impollinazione, 1] frutto ed i semi. Per la distribuzione geografica sì può osservare che le Phyto- laccaceae appartengono alla regione tropicale dei due emisferi, po- chissime specie abitano le regioni vicine extratropicali: particolar- mente sono da ascriversìi al regno floristico dell'America centrale e meridionale. Alcune delle loro specie trovano pratiche applicazioni, sia in medicina, come per alimento (PAytolacca esculenta nel Giappone e della Cina, PA. octandra nel Messico, PA. americana negli Stati Uniti d'America), inoltre le bacche specialmente della P%. americana con- tengono una sostanza colorante che viene — 0 per dir meglio veniva — impiegata per tingere i vini ed i liquori. A_questo uso dobbiamo l'introduzione della P%. dioica e della Ph. americana nei paesi euro- pei ed in Italia. Resti fossili sono stati trovati nelle formazioni paleozoiche sotto forma di frutti di Didymotheca cordata. Per la loro placentazione centrale, le Phytolaccaceae debbono es- sere riunite nel gruppo delle Centrospermae con le Chenopodiacee, le Amarantacee, le Nictaginacee, le Aizoacee, le Portulacacee, le Cariofillacee, ecc...., anzi è accaduto che i suoi generi anomali sono stati variamente trasportati, dai diversi autori, in talune di queste famiglie. La suddivisione delle Phytolaccaceae in sottofamiglie ed in tribù sì fa in base ai caratteri del gineceo ed alla struttura dell’ovulo. I generi sì distinguono fra di loro per i caratteri del perianzio, per il numero degli stami e dei carpelli e talora anche per la forma dei granuli pollinici. Subfam. I. — PayroLAccoIDEAE H. Walt. Tribus 1. Phytolacceae. Subtr. A. — Phytolaccinae H. Walt. Gen. 1. — Anisomeria Don. - sp. 4, Chili. » 2.— Ercilla A. Juss. - sp. 2 Chilì, Perù. » 3.— /Aytolacca L. - sp. 26 nei paesi tropicali e subtro- picali per lo più in America, poche in Africa, Asia orient., monti dell'Himalaya, Asia minore. Delle specie di questo genere a noi, per la flora italiana, interes- sano solamente le due seguenti: Phytolacca divica L. - introdotta nel nostro paese dall’ Ame- rica di cui è originaria. Phytolacca americana L. = P. decandra L. — Anch’essa intro- dotta nella regione mediterranea dell’Am. sett. atlantica. Za Subtr. B. — Barbeuinae H. Walt. Gen. 4 — Barbevia Thon. - sp. 1. Madagascar. "dog 4 N DVI Tribus 2. Gyrostemoneae Endl. Gen. 5. — Didymotheca Hook. f. - sp. 5. Australia. . — Tersonia Mog. - sp. 5. Australia. — Gyrostemon Desf. - sp. 5. Australia. » 8. — Codonocarpus Cunn. - sp. 3. Australia. » ND » Tribus 3. — Rivineae Agardh. Gen. 9. — Hilleria Vell. - sp. 3. America, una introdotta nel Madagascar. > 10. — Gallesia Casar. - sp. 1. Brasile, Perù. » 11. — Seguieria Lòfling. - sp. 23. America mer. >» 12. — Rivina L. - sp. 3, assai affini fra di loro, indi- gene nell’Amer. trop. e subtrop., introdotte in Asia e nell’Australia trop. e nelle isole africane. >» 13. — Trichostigma A. Rich. - sp. 3. Amer. trop. » 14 — Ledenbergia Klotzsch. - sp. 1. Venezuela ed is. della Martinica. » 15. — Schindleria H. Walt. - sp. 5, una del Perù, le le altre della Bolivia. » 16. — Petiveria L.- sp. 2. America sett. centr. merid. » 17. — Monococcus F. Muell. - sp. 1. Australia orient. e Nuova Caledonia. Subfam. II. — StEGNOsPERMOIDEAE H. Walt. Gen. 18. — Stegnosperma Benth. - sp. 1. Amer. trop. centr. Genere anomala. Gen. 19. — Agdestis Moc. et Sess. - sp. 1. America centr. e Brasile. » 20. — Microtea Swartz. - sp. 9. America trop. » 21. — Achatocarpus Triana. - sp. 12 fra di loro assai affini. Amer. cent. ed austr. trop. ed extratrop. » 22. — Paulothamnus A. Gray. - sp. 1. Messico. In totale sono 114 specie distribuite in 22 generi: queste specie per la maggior parte (oltre 100) sono indigene dell’America, le ri- manenti sono d’Australia, d'Africa, poche asiatiche: C(o- VW ia e at ded Chiude l’opera l’elenco dei numeri d'ebalccota contenenti specie di Phytolaccaceae, ed un copioso indice alfabetico. FaBRrIZIO CORTESI. * * * Annales du Musée colonial de Marseille. Dixseptième année. — 2° serie, 7° volume, 1909. — Vol. di 564 pag. con molte tavole e figure. Marseille, 1909. Il Museo coloniale di Marsiglia, egregiamente diretto dal prof. dott. Eduard Heckel, in breve volger di anni ha acquistato un posto importantissimo fra gli istituti di scienza applicata e per la copia delle sue collezioni e per i lavori che sì compiono nei suoi labvratorî. Così gli annali di questo Museo pubblicati fin dal 1898 a cura del prof. Heckel costituiscono una pregevole contribuzione agli studi di botanica applicata specialmente nei rapporti con i probizmta agri- coli coloniali. Il 17° volume testè pubblicato (7° volume della 2* serie) contiene i seguenti lavori di cuì diamo un breve cenno bibliografico : 1° Contribution à l’etude anatomique et histologique des plante tertiles erotiques (Passiflorées, Musacées, Palmiers, Aroidées, Cypé- racées), par M. PascaL CLAVERIE, pag. 7-207 con 23 figure. Studio anatomico ed istologico condotto con molta accuratezza sulle specie principali, particolarmente africane, delle famiglie sopra citate che forniscono o possono fornire fibre tessili, fra cui parecchie sono nuove 0 poco conosciute. 2° Notes sur des plantes largement cultivées par les indigènes en Afrique tropicale, par M. E. pe WILDEMAN, conservateur au Jardin botanique de l’État è Bruxelles ecc., pag. 229-324. Note ed osservazioni sui banani, elaeis, manioca, sorgo e sue va- rietà, riso, Panicum, Pennisetum, Eleusine, Mais, canna da zucchero, igname, patate dolci, arachidi, ananas, caffè, cucurbitacee ecc., col- tivati dagli indigeni dell’Africa tropicale e specialmente del Congo. 3° Sur l'action torique de la Saponine des graines du Sapindus senegalensis Juss. (Savonnier du Senegal, Cerisier du Cayor), par M. le D. J. CHEVALIER, avec une introduction du prof. HECKEL., pag. 209- 228, con 4 figure. È uno studio fatto dal punto di vista fisiologico e tossicologico, con l’esame dell’azione di questo veleno sulle varie parti dell’or- ganismo. RIT — 267 — 4° Sur quelques fécules des Colonies et en particulier de l’ Indo -Chine, par M. E. Durock, pag. 325-359 con 21 figure. Studio micrografico delle fecole più importanti fornite dalle Mo- nocotiledoni e dalle Dicotiledoni specialmente dell’Indochina, illu- ‘strato dai disegni di queste fecole. 5° Notes sur la flore et les plantes économiques du Bas-Congo, par M. A. Baupon, administrateur colonial, pag. 360-410 con una carta e 5 figure. i Elenco ragionato delle piante spontanee di questa regione con particolare riguardo a quelle che possono essere economicamente utilizzate e con osservazioni riguardo alla loro cultura, alla loro uti- lizzazione, ai prodotti commerciali che forniscono ecc. 6° Etude de quelques fécules coloniales, par. M. M. Lovrs PLax- cHoN, prof. de matière médicale, et A. JuiLLiET de l’Ecole supé- rieure de Pharmacie de Montpellier, pag. 411-562, con 60 figure. La prima parte di questo lavoro tratta dello studio critico sui caratteri dell’amido (forma, dimensioni, individualità, trasparenza, ilo, strie, comportamento alla luce polarizzata ed ai relativi chi- mici ecc...) la seconda parte si occupa dello studio delle principali fecole, riunite nei gruppi seguenti: 1° Taro; 2° Riso; 3° Manioca; 4° Leguminose; 5° Arrowroot; 6° Ignami; 7° Palme, illustrandole «con ottimi disegni. FABRIZIO CORTESI. NOTIZIE ED APPUNTI È stata costituita una società per lo scambio delle pubblicazioni. Dirigersi al sig. Carl Beck, Leipzig, Inselstrasse 18. Premio di 500 lire istituito da A. P. Candolle per la migliore monografia inedita d’un genere o d’una famiglia di piante. I manoscritti devono essere in una delle seguenti lingue: fran- cese, latino, inglese, tedesco, italiano. Per informazioni dirigersi al signor Président de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de Genève, à l'Athénée, Genève (Suisse). Il termine di presentazione dei manoscritti scade il 15 gen- naio 1911. Il dott. Schwertschlager ha pubblicato: Die Rosen des siidlichen und mittleren Frankenjura. — Prezzo: 10 marchi. (Isaria Verlag, Miincher). Il dott. prof. Giovanni Negri, dell’Istituto botanico di Torino, è ritornato dall’Abissinia, ove s'era recato per un’esplorazione bo- tanica. I materiali raccolti saranno conservati nell’ Istituto botanico di Roma. Il dott. prof. Emilio Chiovenda, dell’Istituto botanico di Roma. (Erbario e Museo coloniale), è ritornato dalla Colonia Eritrea e dal- l’Abissinia con una ricchissima collezione; essa sarà studiata e con- servata nell’Istituto botanico suddetto. RBB: (8) 19) unt PUBBLICATI DAL PROF. ROMUALDO PBEROT:IA Di peltore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE. 00 03 ROMA | TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA Ir | Gli Annali di Botanica sì pubblicano a fascicoli, in tempi non determinati e con numero di fogli e ta- vole non determinati. 1] prezzo sarà indicato numero per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne un numero maggiore, pagando le semplici spese di p n carta, tiratura, legatura, ecc. Gli autori sono responsabili della forma e del conte- nuto dei loro lavori. NB. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al. prof. R. PirortA, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 B. — ROMA. A | SR Il < Colus hirudinosus > Caval. et Sich nella Flora di Sardegna. LIBRARY Nota di O. MATTIROLO NEW YO BOTANICAL GARDEN La noterella presente è diretta a segnalare una elegante e rara specie di Clathracea, il Colus hirudinosus. Caval. et Sich, nella Flora di Sardegna, dove era presumibile si dovesse incontrare, giudicando dalle interessanti osservazioni che si vanno mano mano accumulando collo studio dei caratteri speciali di questa Flora, in quanto essa ha relazioni con quella della Corsica, della Francia meridionale, delle Isole spagnole, della Spagna, del Portogallo e in parte anche della parte settentrionale d'Africa, dove la specie in discorso era già stata notata sino dal 1846. La segnalazione di questo fungo in Sardegna (1) è interessante per ciò che essa potrebbe contare fra le prove delle parentele che univano tra loro .le Flore di queste regioni in epoche geologiche anteriori a quella attuale (Miocene-Pliocene). Coll’osservazione di questo unico umile fattore, non penso certamente tentare di assurgere a conside- razioni di indole generale, (le quali in questo caso non sarebbero che un inutile sfoggio di troppo facile erudizione); ma non per questo il presente granellino di sabbia mi pare debba essere trascurato nella costruzione del futuro edificio scientifico che accerterà le relazioni intime della Flora di Sardegna colle vicine. Perocchè, pure ammet- tendo la possibilità di un trasporto a distanza delle spore del Colus hirudinosus, per mezzo di agenti diversi, dobbiamo in esso ricono- scere una delle più caratteristiche entità della Flora micologica co- stiera mediterraneo-tirreniana, come lo dimostra la sua distribu- zione geografica. (1) Devo ricordare che il Colus, da me determinato nel 1902 sopra materiali avuti dalla gentilezza dell'amico prof. Belli, comparve già come semplice nome di specie sarda nell’anno 1907 nella Addenda ad Floram Sardoam, del prot. Belli | stesso, v. Annali di Botanica, vol. VI, 1907. ANNALI DI Boranica — Vor. VIII to 18 di un Genere nuovo da A. CAVALIER e P. SÉcmER nel 1835 (2). Successivamente fu ricordato nelle regioni e nelle località seguenti Corsica. 1844. — 14 ottobre — Bastia — RomagnoLI (Hariot) (3). 1855. — 15 gennaio — Ajaccio — Id. id. (4). 1901. — Ajaccio — Fort d’Aspreto — Bounto (5). 1901. — 1° giugno — Ajaccio — Giardini verso il Casone — HAarroT (6). 1902. — Dicembre — Bonifacio — Fra i Cisti — MAaIRE - DUMÉE et Lutz (7). Francia. 1835. — CavaLiER et Sfionrer — Tolone (8). 1846-49. — Sud della Francia — TULASNE (9). Portogallo. 1846-49. — Portugal — TuLasne (10). 1907-... — TorrenD — In località differenti (11). (1) SoLerroL raccolse il Colus a Calvi sur le Couses: 1820-23, come è indi- cato da P. HarIOT: Enumeration des Champignons recoltés en Corse jusqu'à lannée 1901. Paris, 1901. Assoc. francaise pour l’Avane. des Sciences. Congrès d'Ajaccio, 1901, pag. 448-457. — Del Colus è cenno a pag. 455. Secondo indica- zioni gentilmente favoritemi dal ParoUILLARD il sig. HaRIOT ha studiato gli esemplari conservati nell’Erbario di Montagne. (N. 5180). 72) A. CAVALIER et P. SECHIER. — Description d’une nouvelle espèce de Cham- pignon, Annales des Sciences naturelles, 2° serie. Tom. III, pag. 251. Tav. 8, fig. 1 a 5.— Questi autori raccolsero la specie a Tolone, in editioribus incultis muscis li- chenibusque marime dotatis, haud frequens. — Novembri. — Copiosus post imbres. (8) (4) (5) (6) Har;0T. — Loc. cit. (7) MArRE, Dumég et Lurz. — Prodrome d'une Flore mycologique de la Corse. Bulletin de la Soc. botanique de Franc. Tom. XLVIII. Paris, 1901, pag. CLXXIX a COXLVII. (8) V. loc. cit. — Confr. anche F. L. v. SCHLECHTENDAL. Linnaea, vol. 81. Halle, 1862, p. 159. (9) TuLASNE. — Explor. scientif. d'Algerie, p. 435. Tav. 28, fig. 9 a 22. (10) TULASNE, — Loc. cit. (11) Il reverendo ToRREND, a partire dal 1907, raccolse molte volte e in località differenti che corrispondono a quelle nelle quali compare la Delastria rosea, il Colus hirudinosus (in litt.) — V. E. TorrenD: Notes de mycologie Portugaise. Bulletin de la Société Portugaise de Sciences naturelles. Vol.I, fase. 4, 10 déc. 1907, pag. 180-181. V.C.G. LLoyp. — Synopsis of the Phalloids. Cincinnati, 1909, pag. 67. — Fa- ther Torrend of Portugal, has recently discovered it abundant in the Sand. mn Colus hirudinosus AS circa il 1820 dal Sci dn “coro sica (1), fu la prima volta descritto e figurato quale rappresentante : BERN ARC STE sue di: IR ae Le) pina , peer ESSE So SO È 1902. — Sardegna — Isolotto di S. Simone — BELLI (1). . Africa. Algeria — TULASNE (2). America. Cajenna — KALCHBRENNER (3). Asia. Sochia nella Valle Meander (Asia Minore) — FiscHER (4). Collect. Mus. Brit. Australia. Australia dell'Ovest — Coore (5). Nuova Caledonia — PATOUILLARD (6). Dalla considerazione delle località ora indicate (escludendo secondo le riferite conclusioni del FIscHER, le stazioni americane e austra- (1) S BeLLI.— Addenda ad Floram Sardoam. Annali di botanica, vol. VI, fasc. IV, 1907, pag. 525. Febbraio 1902, leg. Bonomi. Marzo 1902, leg. Belli, e in altri anni e mesi. — Splendidi esemplari ebbi pure dal rev. TORREND, che li rac- colse, da ottobre a dicembre, nei terreni sabbiosi (sablonneux et gazonneur). (Vedi loc. cit.). (2) V. TULASNE. — Exploration scientifique d’ Algerie. Botanique. Acotyledonés, 1846-49, pag. 485. Tav. 23, fig 9a 22. L’esemplare di Tulasne non porta indicazioni precise di località. Sul car- tellino non si legge altro che le parole seguenti: Ad ferram — Algeria — jove pluvioso lect. januar 1836. (Patouillard in litt.). Nell’Erbario Durieu l’esemplare che vi si conserva porta scritto : AZger, sous un buisson de Cistus Monspelliensis. Coteau de Bab-Azoun, 9 avril 1844. » (3) V. KALCHBRENNER. — Phalloidei novi vel minus cogniti. Ertekezésch a Természettu domanyok Kòveébéòl — Kjadia a Magyar Tudomanyos Akadémia. — X Kotet. XVI. Szam, 1880. — Questa indicazione, secondo una avvertenza del distintissimo monografo E. FiscHER, avrebbe aucora bisogno di essere verit- cata — (diirfte diese Angabe noch der verification bediirftig sein). — V. E. FI- ScHER: Unter. zur vergleich. Entwick. und System. der Phalloideen. Ziirich, 1890, in Denkschrff. der Schwer. Naturf. Gesell. Vol. 32, 1890, pag. 63. (4) V. E. FiscHER. — Neue Untersuchungen zur vergleichenden Entwick. und System der Phalloideen Venkschrift der Schweizeris. Naturfor. Gesell. Volume XXXIIII, 1893, pag. 26. (5) Secondo E. FIscHER (loc. cit.) la indicazione di CookE: Fungi Austra- liani. Grevillea. Vol. XI, 1882-83, pag. 58, si riferisce a Colus Miilleri Fisch. e non a Colus hirudinosus. Cav. et Sich. (6) Il Colus indicato per la Nuova Caledonia (v. ParovILLARD. Bulletin Soc. Mycol. de France 1887, pag. 178), secondo E. FIscHER (loc. cit., 1890, pag. 68), deve riferirsi al Clathrus pusillus Berk e non al Colus hirudinosus. Cav. et Sich. SERE } ì = pi SR ; casa i sad Vito) DR, essere IONE Cav. et "ir una spe A tamente mediterranea, legata alle condizioni edafiche di quelle zone costiere sabbiose (1), le quali nelle torride giornate estive richia- mano alla mente il desolato paesaggio del deserto africano. Ivi a lato di una stentata flora fanerogamica caratteristica, for- mata da tipi xerofili-alofili, glauchi, pelosi, carnosi, spinosi, sì nota. tutta una flora micologica corrispondente, nella quale non rare si in- contrano le specie (quasi appena ipogee) legate in genere alla vege- ‘ tazione degli Helianthemum, dei Cistus, delle Pistacie, dei Myrtus, delle Ephedrae, dei Juniperus, ecc., dei Pinus, che cercano di inva- dere il torrido dominio sabbioso, iniziandovi la formazione di quelle boscaglie basse, rade, che sono come le sentinelle avanzate della fu- tura tipica macchia mediterranea (maquis). Ivi ai Pinus si associano i Rhizopogon Tul. e alcune specie di Tuber (fra le quali noteremo T. Borchii Vitt. e Tuber lacunosum Matt.). Alle varie specie di Melianthemum, cui gli orientali dànno perciò il nome di Domalan Ebesi (nutrici o levatrici delle Terfaz) o di Ar- tong-Terfaz (radici delle Terfaz) — le Terfeziae Tul. — le Delastriae Tul. — le Delastriopsis Matt. Ai Cistus, corrispondono le Hydnocystis Tul. Alle Genistae, ai Cistus, si associano i Polysaccum Desf., e in relazioni saprofitiche o simbiotiche ancora ignote, ivi compaiono le Montagnites Fries, gli Scleroderma, i Gyrophragmium Mont... le dtt i (1) È strano come molti botanici abbiano per un certo lasso di tempo con- siderata come strettamente coprofila questa specie, la quale invece è netta- mente arenofila. Questo giudizio venne tuori dalle prime osservazioni registrate nell’Erbario Montagne che ritenne la specie differente dal Clathrus cancellatus, ma che non la descrisse, vale a dire dalle parole seguenti: N. 5180. — Clathrus. | A Calvi sur de bouses de Vaches, 1820. N. 5130. Clathrus. A Calvi en septembre 1823. i Sur les fientes d’animaur. i Le C. cancellatus se trouvait toujours sur la terre humide et ordinairement dans l’herbe ce qui me fait regarder celui-ci comme différent. Devo alla gentilezza del chiarissimo PatOUILLARD la copia dei cartellini ori- ginali del Montagne, i quali rischiarano questa questione dî matrice, della quale parla anche il rev. Torrend (v. loc, cit.) che ripetutamente osservò la specie in terreno sabbioso, come occorse in Sardegna e in tutti i luoghi di comparsa di questa specie, che si svilappa copiosa massime dopo pioggie torrenziali, come è notato da tutti i raccoglitori. bu ccole e a iciafisie le poliedriche Ret del ta PR ettacolo | superiormente purpureo dei Co/us, tramandanti il nausea- pe bondo odore caratteristico delle Clathraceae. î I | _‘—’—»—Lostudio accurato e comparato, nelle varie regioni, di questi strani $ tipi di associazioni, legate necessariamente ad un substratum fisso È; n .» ‘e determinato, a condizioni edafiche speciali, non sarà certo l’ultimo : . degli argomenti dei quali si potranno valere i naturalisti per giu- dicare sulla attendibilità delle conclusioni geologiche intorno alle P antiche relazioni che avevano unite le nostre isole coi continenti vicini, alle quali fa pensare il Colus hirudinosus. R. Orto botanico Torino, aprile 1910. > Saggio di una teoria osmotica dell’edafismo per il dott. G. GOLA. (Tav. XIII - XIV). INTRODUZIONE. In una memoria pubblicata qualche anno fa, io esposi una serie di considerazioni, le quali mi portavano ad affermare che la princi- pale influenza esercitata dal terreno nella distribuzione delle piante, è da attribuirsi alle proprietà osmotiche delle soluzioni in esso esi- stenti (1). Oltre alle considerazioni determinate dall’esame critico degli estesissimi studi eseguiti sull'argomento da parecchie diecine di anni, e dalle osservazioni personali, 10 rendevo conto di alcune ri- cerche sperimentali, sia sopra terreni di differenti proprietà, sia sopra piante edaficamente caratteristiche. Quantunque il metodo da me ideato ed ivi esposto, risolva me- glio di ogni altro le gravissime difficoltà di tecnica che sì incontrano in uno studio diretto delle proprietà delle soluzioni esistenti nel suolo, tuttavia esso non mi aveva permesso che una dimostrazione puramente qualitativa della esattezza delle mie premesse teoriche. Ulteriori ricerche mi hanno reso possibile lo studio più minuto di tale argomento, e la determinazione non solo qualitativa, ma anche quantitativa delle proprietà delle soluzioni dei diversi terreni. È evidente quanta utilità porti in un determinato campo di studî il poter fare uso di dati numerici, in luogo di quelli semplice- mente qualitativi, e quanto grande riesca così il numero delle que- stioni che possono venire risolte, e di quelle nuove che possono venir poste allo studio. Anche in questo caso la possibilità di lavorare con minore incer- tezza intorno ad una sostanza così variabile e indefinita quale è il (1) GoLa G. — Studi sui rapporti tra la distribuzione delle piante e la co- stituzione fisico-chimica del suolo. — Ann. di Bot. III 1905 p. 455. — Vedi an- che un riassunto di Fiori A. Flora analitica d’Italia, vol. I, pag. XVII- XXV. O e a tesi vico enunciata, di RI part, di fatti | che avevo dapprima trascurati, e altresì di tentare una classificazione È dei terreni in rapporto alla flora che essi ospitano, e di rilevare » analogie tra terreni apparentemente diversi. Di tutti questi argomenti, e di nuove questioni sollevate in re- centi pubblicazioni, tratterò nel presente Saggio. Dividerò la trattazione dei problemi che mi sono proposto in tre parti distinte: nella prima prenderò in esame le cause che deter- minano la formazione e la misura della concentrazione delle solu- zioni del terreno, siano esse chimiche, fisiche o climatiche; nella seconda studierò i caratteri floristici delle diverse stazioni vegetali determinate dalle diverse proprietà osmotiche delle soluzioni del suolo, e ciò costituirà così un esame della distribuzione edafica dei vegetali; e nella terza prenderò argomento dai fatti che ritengo aver precedentemente dimostrato, per studiare alcuni fenomeni fisio- logici, che sono in relazione con le proprietà delle soluzioni del suolo (1) (1) Prima di entrare in argomento intendo fare una rivendicazione riguar- dante i concetti esposti nel lavoro sopra citato. Che le soluzioni del terreno abbiano importanza per le piante più che la parte solida del terreno stesso, è cosa nota, e il valore di questa nozione va di giorno in giorno dimostrandosi più grande, specialmente nel campo dell’a- graria. Che le soluzioni del terreno agiscano sulle piante come adduttrici ad esse di sali destinati alla loro nutrizione, è pure cosa indiscussa; ma che esse abbiano importanza come determinanti una pressione osmotica sull’apparato assorbente, e come tali possano influenzare il processo di nutrizione e lo svi- luppo più o meno florido di essi, ciò non era, per quanto mi consta, conosciuto da tempo nel campo dell’agraria, come affermano in due lavori recenti il dot- tore Beguinot e successivamente la dott. Panebianco. Se i due botanici padovani vogliono trovare nelle mie affermazioni una applicazione al campo fitogeografico di conoscenze già note, le dovrebbero cercare non nel campo dell’agraria, ma in quello della stessa fitogeografia, o della fisiologia vegetale, nei quali gli studi ecologici sulle alofite hanno messo in evidenza, oltre ad una così detta tossicità del cloruro sodico, anche una spe- ciale influenza per le elevate pressioni osmotiche determinate dalle sue soluzioni. Solo recentemente si è applicato in agraria lo studio delle pressioni osmo- tiche delle soluzioni provenienti dal terreno (cf. KòxnrG I, HASENBAUMER I, Grossman H. Das Verhalten der organischen substanz des Bodens und des osmo- tische Druck desselben. Landwirtsch. Versuchstat 1908 p 50); la pubblicazione di BeGuINnoT è anteriore a questa: Le attuali conoscenze sulla Flora lagunare ed î problemi che ad essa si collegano. R. Ist. Ven. Sc, Lett. Art. Ricerche lagu- nari Pubbl. N. O serie bot. p. 86, nota ; e quella di PANEBIANCO è contemporanea: Osservazioni sulla flora marnicola delle colline di Teolo negli Euganei. — Estr. Att. Acc. sc, Veneto — Trentino — Istriana. — Classe I, vol. V: 1908, p. 18. RAEE Ra i . Co pio il ago sia di porgere i miei più vivi ringrazia- 1 enti al prof. O. Mattirolo, direttore dell’Istituto, per gli incoraggia- menti e gli aiuti validissimi, che ebbi da lui nel corso delle lunghe ricerche. PARTE PRIMA. I. — La tecnica dello studio dei liquidi del terreno. Il metodo già da me seguito per lo studio delle soluzioni del terreno, e consistente nell’uso di piccoli osmometri muniti di una carta di alizarina come indicatore, richiede delle quantità minime di liquido per dare ottimi risultati, e può essere adattato, come dissi, alla massima parte dei terreni presentanti un certo grado di umidità. Ma questa minima quantità di liquido che è necessaria, è assai spesso anche la massima che noi possiamo ottenere da un gran nu- mero di terreni, onde l’impossibilità di attenerci a tale sistema per uno studio quantitativo, il quale richiede del liquido in misura al- quanto maggiore. Rimaneva perciò a risolvere dapprima il problema di procurarsi quantità assai maggiori di liquido del suolo, problema pressochè in- solubile per moltissimi casì, e che da parecchi autori è stato oggetto di studî ingegnosi. Ricorderò anzitutto il gruppo dei metodi lisimetrici, il più sem- plice dei quali consiste nel fare attraversare una colonna di terra da una corrente d’acqua, che avrebbe dovuto uscirne, secondo gli idea- tori, come avente le proprietà delle soluzioni del suolo (1). Metodo questo che fu perfezionato facendo uso dei lisimetri, specie di casse di vegetazione opportunamente tubulate nella parte inferiore, e dalle quali sgocciola il liquido in eccesso, proveniente dalle acque meteo- riche cadute sulla superficie della cassa stessa.Il liquido che se ne ottiene rappresenta perciò, non quello che è contenuto nella massa terrosa, ma quello che non è da essa trattenuto. Questo processo subiva ulteriore perfezionamento per opera di Schloesing (2), e consiste nel far cadere molto lentamente dell’acqua sulla terra umida, e nel raccogliere solo le prime porzioni del liquido di scolo, provenienti, secondo l’autore, dallo spostamento, per parte dell’acqua sopravveniente, delle soluzioni realmente esistenti nel | suolo. (1) SestINnI F. — Il terreno agrario. Nuova enciclopedia agraria, III, p. 86, (2) ScaLoEsING T. — Comp..Rend. T. LXIII 1866; T. LXX, 1870. he > ca I er re e e Lr Lote ro - "A n \ A re Sele ne pe * pd rs ST BIRIIO E e esatta o se essa debba essere modificata. Ad un gruppo affatto differente si debbono ascrivere quei pro- cessì fondati sopra spappolamento della terra in una quantità più o meno grande di acqua pura o addizionata di altri solventi (1). Dopo che si fu persuasi che, colla semplice aggiunta di acqua alla terra, non sì otteneva un liquido corrispondente alle soluzioni del terreno, si pensò di fare uso di acqua carbonicata, avente così un potere sol- vente maggiore di quello dall'acqua pura, e capace perciò di dare origine a un liquido, nel quale le sostanze contenute nel suolo fossero disciolte in quantità maggiore, e verosimilmente più approssima- tiva a quella che si riteneva esistere nei liquidi del suolo. Poichè non sempre sì verifica che l’acqua del suolo sia così ricca di CO,, quale è quella che s’impiega in questi studî, e poichè l’acqua satura di CO, perde rapidamente una parte del gas, che ne eleva il potere solvente, un tale metodo si presta a molti errori. Recentemente, per opera in special modo degli sperimentatori americani (2), sì tornò all’uso dell’acqua pura, nella quale si spappola una quantità fissa di terra (1 di terra p. 5 di acqua), sì agita per un tempo determinato, si filtra e sì ottiene un liquido che viene poi sottoposto ad analisi con metodi colorimetrici, e turbometrici assai ingegnosi ; anche la modificazione proposta dal Vinassa (8) sì fonda anch’essa sopra tale spappolamento. Nessuno mette in dubbio che tale metodo puramente convenzio- nale, come indicano gli autori stessi, non dia soluzioni corrispondenti esattamente, per la grande diluizione che sì ha, alle soluzioni circo- lanti realmente nel suolo ; tuttavia occorre anche osservare che le soluzioni che se ne ottengono, non hanno per nulla una concentra- zione proporzionale a quella reale, anche se eseguito con assoluta uniformità di criteriî. Noi sappiamo anzitutto quanto frequenti siano i casì di forma- zione di sali basici in causa dell'aggiunta di una quantità eccessiva di acqua al sali alcalino terrosi, o di allumina, di composti cioè sil aventi una solubilità spesso assai minore di quella dei corpi dai quali i (1) SEsTINI F. — L.c. p. 86. 5 (2) Wriraney M anp Camerox I. K. — The nature and function of soil so- * lutions. U. S. Dep. of. Agric. Bureau of. soils. Bull. n, 17, 1901; /d id. The Chemistry of the soils as related to Crop production id. id. n. 22 1903; CAmE-- ron F. and BeLL I The mineral constituent of the Soil solutions. id. id. n. 30, 1905. (3) Vinassa DE ReGNY P. — Sul comportamento dei minerali nel terreno. Staz. Sp. Agr. Ital. Vol. XLI p. 51, 1908. i Vale et a i T È . ORIO i to du È h, kx è desti pa up, € SÈ rivano. Sappiamo pure quanto frequenti siano, in alcuni terreni, i | corpi dotati di proprietà colloidali; quelli di essi che sono allo stato di idrosoli, permangono tanto più stabilmente nell'acqua quanto più grande è la diluizione; e in quelli che sono allo stato di idrogeli, la quantità di sali assorbita è in rapporto colla concentrazione della soluzione; di modo che colla diluizione eccessiva che si verifica coi metodi sopra ricordati, avrà luogo un passaggio di sostanze dal- l’idrogele all'acqua; la diluizione delle soluzioni saline contenute nell’idrogele avrà luogo secondo una proporzionalità diversa da quella della diluizione di semplici soluzioni saline non assorbite. Il liquido che deriva dallo spappolamento, non sarà perciò il liquido naturalmente circolante nel suolo, ma il risultato di questi quattro processi: sospensione degli idrosoli; dialisi delle sostanze assorbite dagli idrogeli; soluzione, idrolisi e anche precipitazione allo stato di sali basici di molti silicati complessi esistenti nel suolo; e infine semplice diluizione di soluzioni stabili di nitrati, cloruri, ecc. dei metalli alcalini. Nella tabella I ho riunito i risultati di alcuni saggi fatti con campioni di terra differenti per composizione chimica e per la na- tura della vegetazione che ospitano, coni metodi di spappolamento sopra ricordati. Per molti campioni ho voluto variare il rapportotra terra e acqua, onde avere una idea della influenza che la diluizione esercita sopra i diversi tipi di terreno. Per le ragioni che esporrò più oltre, io non ho eseguito analisi delle soluzioni o meglio dei liquidi così otte- nuti, ma mi sono limitato a determinare il residuo solido contenuto nell’acqua dopo accurate e talvolta assai ripetute filtrazioni. Un esame generale delle citre indica anzitutto che i terreni cal- carei, silicei, argillosi, sabbiosi, umiferi, ecc., danno, se trattati con una eguale quantità di acqua, liquidi aventi presso a poco una me- desima concentrazione o almeno con variazioni tali da non poter essere attribuita ad una speciale proprietà di solubilità del suolo : le variazioni estreme sono per lo più dovute a terreni a tipo forte- mente colloidale, nei quali le ripetute filtrazioni non hanno potuto tuttavia allontanare tutte le particelle sospese. Alquanto maggiori sono le concentrazioni, qualunque ne sia la composizione dello scheletro, in quei terreni che ospitano una flora ruderale (campioni 28-31), nei quali cioè assai abbondanti sono i sali direttamente solubili. i Ma se si adoperano delle quantità variabili di acqua, si vede che, mentre i terreni poveri di sali e a tipo colloidale, diminuiscono assai lentamente la percentuale di residuo solido col crescere della. «diluizione, (c. 7, 9, 15, 26) e taluni la mantengono quasi costante, in quelli ricchi di sali invece, la diluizione provoca un rapido abbas- samento della percentuale, appunto come si verifica colle soluzioni saline, (c. 31); in altri si verifica, per una piccola aggiunta di acqua, la presenza di un liquido relativamente concentrato; aumentando la dose di acqua, la concentrazione si abbassa fortemente per rima- nere poi costante colle diluizioni ulteriori, anche più forti (c. 11 13, 14, 17, 19, 24, 28, 30). In questi si verifica cioè in un primo tempo la soluzione di ciò che vi è diversamente solubile, poi, o -il potere assorbente trattiene ancora una certa quantità di sali e li cede lenta- mente, e secondo leggi diverse da quelle della semplice diluizione, 0, ciò che è più frequente, una parte delle materie argillose passano allo stato di idrosoli, che non è possibile allontanare completamente dal liquido. Però si deve osservare che la soglia, al di là della quale, dal feno- meno di semplice diluizione, sì passa a altri più oscuri e più com- plessi, non è fissa per tutti i terreni, ma mentre per alcuni (camp. 13, 19), essa è compresa tra i rapporti 1:10-1:50, per altri (camp. 11, 14, 17, 24, 28, 30), essa è tra i rapporti 1:50-1:100, per altri infine (c. 5, 9) il limite si verifica ad una diluizione maggiore, che per alcuni poi (camp. 7, 15,26), non si è neppure verificata nei limiti dell’esperienze citate. Lo spappolamento di terre diverse in una costante quantità di acqua, rappresenta perciò un metodo che non può dare risultati sicuri, quando debba variare il tipo di terreno; e specialmente non può in alcun modo dare una idea delle concentrazioni dei liquidi del suolo. Tale processo può però riuscire di molta utilità nel campo agrario, perchè, come hanno mostrato i lavori degli autori americani sopra ricordati e del Vinassa, ci permette di valutare ciò che vi è di real- mente mobile mediante l’acqua nel suolo, e quindi capace di fornire entro breve tempo il nutrimento minerale delle piante. Constata- zione molto più utile di quella che è possibile fare con una analisi chimica totale del suolo, la quale ci mostra le sostanze contenute in esso, ma che non possono essere utilizzate dall’organismo vege- tale se non che dopo parecchi anni di una lenta degradazione. Più recenti sono i metodi con i quali sì raccoglie direttamente il li- quido contenuto nei meati delsuolo; a questo gruppo dobbiamo ascrivere quello proposto da Briggs e M. Lane (1) che consiste nel centrifugare (1) ScarEINER O. and FarLyer G. H. — Colorimetrie, Turbidity, and Ti- treation Methods used in soil investigations U. S. Dep. of Agricolture Bureau ‘of Soil Bull. 31 1906, p 16. destano RTS TOA | i "umic Prugna n sa che ne sia Gosì pure. È E ind di Briggs e M. Call (1), secondo il quale si immerge terreno un filtro di Chamberland, collegato mediante un tubo a. Bi un recipiente nel quale si sia fatto il vuoto ; aperto il rubinetto in- terposto tra il filtro e la boccia priva d’aria, il liquido del suolo filtra attraverso la porcellana e si raccoglie, così, lentamente nella boccia. A questo secondo processo si può imputare la difficoltà di fare aderire in molti terreni assai porosi la massa di terra colla super. ficie del filtro, in modo che in esso entri acqua e non aria; e in ogni caso la completa estrazione della C O* contenuta eventualmente nel liquido, estrazione dovuta al forte squilibrio di pressione, alla quale il liquido è sottoposto, diminuisce senza dubbio, massime nei terreni calcarei, la ricchezza della soluzione estratta. Si deve pure accogliere in questo gruppo il metodo da me ideato degli osmometri ad alizarina (2), col quale, senza azioni meccaniche speciali, ma persemplice diffusione e capillarità,si prendono in esame 1 liquidi realmente esistenti nel suolo; è però un metodo che per la minima quantità del liquido che se ne ottiene, permette di studiare il liquido non tanto per sè stesso, quanto per gli effetti che esso eser- cità sopra la carta di alizarina. Io ho adoperato in queste ricerche un metodo corrispondente nei suoi effetti a quello della centrifugazione, e cioè la torchiatura della terra. Se si prende della terra vagliata allo staccio di 2 mm., si ot- tiene una massa a meati relativamente assai piccoli (3), la quale, se opportunamente stipata, dà, quando venga sottoposta a torchiatura abbastanza energica, una quantità di liquido sufficiente. Se si tratta di materiali argillosi o umici, la quantità di liquido che se ne ottiene è notevole, anche senza alcune operazioni preliminari alla torchia- tura. Per terre ad elementi un po’ grossolani conviene, prima di tor- chiarle, sottoporre ad un intenso tremolio la massa da spremere, onde stipare, quarto è più possibile, le particelle terrose. Tale tre- molio si può ottenere con tutta facilità, facendo uso di adatte di- sposizioni meccaniche. La pressione del torchio dà lentamente, ma sicuramente, delle quantità sensibili di liquido da quasi tutti i campioni di terra, salvo ° quelli sabbiosi; tale operazione può quindi venire utilizzata per (1) BrIiGGs AND Mac CALL. — Science, N. S., XX, 566 1904. (2) GoLa G. — Mem. cit. p. 498. (3) Veramente per ottenere un campione con meati assai fini occorrerebbe uno staccio a fori più piccoli, ma se la terra è un po’ umida la vagliatura. ‘sarebbe impossibile. studiare la massima su dei terroni che conviene do sotto a riguardi biologici. In molti casì, quando il terreno è di per sè assai umido, il metodo della pressione può venire senz'altro applicato all'esame del cam- pione; così il limo delle paludi, la terradelle praterie fresche, l’humus dei boschi, il terriccio delle piante arboricole, danno senz’altro, ad una Pest energica, delle quantità oto di succo, e ciò du- rante quasi tutto l’anno. Ma per gli altri terreni, vale a dire nella maggior parte dei casi, l’acqua non si può spremere col torchio se non che durante i pe- riodi piovosi, o pochissimi giorni dopo che è caduta la pioggia; oc- corre perciò, per potere avere dei dati paragonabili fra loro, ricon- durre tutti i campioni di terreno, alle condizioni nelle quali essi vengono a trovarsi durante i periodi di pioggia. Ciò è possibile fare sottoponendo il terreno da studiare ad una lenta caduta di acqua, nelle condizioni il più possibile analoghe a quelle della pioggia. Quando cade la pioggia, se essa è lieve, l’acqua, come è noto, viene totalmente, o quasi, assorbita dal terreno, salvo quella che ri- mane sopra le foglie, pietre, ecc., e che si perde poi per evaporazione: se la precipitazione è abbondante, ma di breve durata, una parte dell’acqua scorre, l’altra rimane alla superficie ed evapora, e nel suolo non penetra che una parte relativamente piccola del liquido, onde le condizioni di imbibizione del terreno risultano presso a poco uguali, sia che la pioggia sia lieve, o intensa purchè di breve durata. Col prolungarsi della caduta della pioggia, aumenta sempre più la profondità alla quale arriva l’afflusso dell’acqua. Comunque sia, noi osserviamo, subito dopo la pioggia, una sa- turazione di acqua degli strati superficiali del suolo per uno spes- sore iniziale relativamente piccolo (20-25 em.); la saturazione degli strati più profondi ha luogo, se il periodo piovoso non è molto prolun- gato, solo dopo che quelli superiori si sono in parte scaricati del- l’acqua in eccesso; vi è dunque un momento nel quale, qualunque sia il tipo di terreno, esso per un periodo più o meno lungo, a seconda della porosità, è saturo d’acqua; momento nel quale si può ritenere che tutti i terreni si trovino nelle medesime condizioni rispetto al contenuto liquido, ed alla loro capacità idrica. Solo in tali condizioni essi sono perfettamente paragonabili, comparazione tanto più fon- data, in ciò che la quantità di acqua in essi presente, è esattamente proporzionale alla porosità e igroscopicità di ciascun terreno. Sottoponendo a pressione i terreni in tali condizioni, si potranno avere dei dati i quali ci indicheranno le condizioni nelle quali le CA MAINE Vi, o MAR SP RR II LANE TTIRONO., ves “E d ” Pl i A i A pie, MOL Ri i ù radici, abitanti un determinato suolo, si trovano, dopo una precipi- tazione atmosferica sufficiente a saturare il terreno. Per constatare con sicurezza il raggiungimento di una tale sa- turazione, occorre che la caduta di acqua sia tale da provocare uno sgocciolio, anche iniziale, di acqua in eccesso. È quanto si verifica appunto in natura ove gli strati superficiali di terra, saturati dal- l'eccesso di acqua piovente, la vanno cedendo a poco a poco agli strati più profondi. Tale acqua che discende però, non è pura, ma, risultando da un dilavamento degli strati superficiali, trasporta pro- fondamente dei sali solubili che prima si trovavano intorno alle radici superiori delle piante, onde questi vengono allontanati, sia pure temporaneamente, dagli organi assorbenti. Si ha in questo fatto un processo eguale a quello che noi espe- rlmentiamo nei lisimetri, sia se si raccoglie in toto il liquido sgoc- ciolato, sia se si raccolgono solo le prime porzioni come operava Schloesing (1). Tale dilavamento può esercitarsi in misura variabile; per le pioggie lievi, i sali solubili sono trasportati in basso solo per pochi centimetri, e quivi trattenuti, o a causa della scarsità dell’acqua, o dalla formazione di composti fisici o chimici di assorbimento. Per le pioggie di maggior durata, tale trasporto può pervenire ad una profondità maggiore. Oppure, in caso di periodi piovosi prolunga- tissimi, come quello autunnale, o addirittura costanti, sì può veri- ficare un continuo allontanamento dal suolo delle parti solubili a mano a mano che esse sì formano. Tutti questi diversi casì che noi osserviamo in natura, si pos- sono verificare sperimentalmente, seguendo pur nei minimi dettagli l'andamento dei fenomeni naturali, e ci è possibile così di studiare quanto un suolo perda sotto l’influenza della pioggia, quanto rimane in esso nelle condizioni più varie di clima, e quale ambiente ri- sulta dopo ciò alle radici ospitate nel suolo. Il metodo da me seguito può essere descritto con poche parole. Dei tubi da lampada a gas perfettamente cilindrici, del diam. di mm. 45 e di cm. 25 d’altezza, ed appoggiati sopra una coppa di vetro tubolata inferiormente, venivano riempiti della terra da esa- minare, preventivamente passata allo staccio di 2 mm., quando ciò era possibile, ed in ogni caso a quello di 5 mm. quando la terra aveva una consistenza troppo pastosa. Un recipiente di vetro col- locato sopra al cilindro, lasciava cadere lentamente dell’acqua di (1) ScHLoEsina T. — Op. cit. pioggia sulla terra, e dalla tubulatura inferiore il li cadeva in un matraccino disposto a riceverla. La velocità di caduta dell’acqua era regolata in modo che essa corrispondesse ad una precipitazione di 25-30 mm. per cmq. nelle ventiquattro ore, precipitazione che si verifica normalmente nei nostri climi durante le pioggie primaverili e autunnali. Data la su- perficie destinata a ricevere l’acqua di pioggia, il volume d’acqua . caduta nelle 24 ore era di cc. 31 circa. Poichè molto spesso era difficile regolare esattamente un deflusso | così piccolo di acqua in un tempo così lungo, io trovai utile so- è) stituire ai rubinetti, la cul apertura, necessariamente così ristretta, si otturava con facilità, un filo di cotone, il quale per capillarità permetteva un deflusso assai regolare, facilmente determinabile pre- ventivamente con qualche prova preliminare. Così dopo 24, 48 o anche 90 ore secondo la porosità e lo stato di umidità del suolo, si otteneva un lento sgocciolio di liquido dalla tubulatura inferiore dell'apparecchio. La pioggia veniva interrotta dopo un certo tempo di sgocciolio, in modo da ottenere una quantità di liquido di circa 25-50. cc.; ed il campione di terra veniva lasciato a sè per 36 ore, in modo da permettere un sufficiente sgocciolio di acqua in eccesso, e di averlo così alle condizioni nelle quali si trovano gli strati superficiali del suolo, quando sono sovrapposti ad uno strato di terra permeabile e relativamente asciutta. Dopo questo tempo la terra veniva sottoposta all’azione del tor- chio, previa l’operazione di tremolio, come ho accennato più sopra. Mi era così possibile ottenere due campioni di liquido, uno con- tenente i materiali che il terreno non è capace di trattenere du- rante la pioggia, l’altro quello che risulta dall’azione di tale pe- riodo piovoso. Eventualmente potevo avere un terzo campione di liquido, quello proveniente dalla torchiatura diretta del terreno fresco, e rappresentante perciò più direttamente il liquido del ter- reno stesso. Ho chiamato liquido pedolitico quello risultante dal dilava- mento del terreno sotto l’azione della pioggia, (da pedon == suolo e lysis= dilavamento), e liquido pedopiezico quello della torchia- tura (da pedon = suolo e piezo = spremo, torchio). , Per quanto ho potuto, io ho dato sempre maggiore importanza al liquido pedolitico ed al successivo liquido pedopiezico, piuttosto che a quello di torchiatura preventiva; questo non mi diceva nulla del meccanismo di origine del liquido che ottenevo; le altre due operazioni distinte, rappresentavano, sia prese singolarmente, sia e aL | 1 x RACE, li; totalità, i risultati di un processo che è normale nell’ordine dei fatti naturali. E se fosse possibile paragonare il terreno, sede di fenomeni fi- sici, chimici e biologici complicatissimi, con un organismo vivente, si potrebbe ricordare che nello studio della funzionalità degli orga- nismi e delle loro parti, l’esame dei soli prodotti di eliminazione, ha permesso di stabilire e valutare con una certa precisione lo svolgersi di fenomeni che per lungo tempo, ed anche ora del resto, non ci è stato possibile studiare coll’esame diretto. Ottenuti col processo sopra descritto i liquidi da esaminare, cor- rispondenti, per quanto meglio è possibile, a quelli reali del suolo, occorre stabilire il metodo di studio. Oltre alla funzione nutritizia dei corpi contenuti nelle soluzioni del terreno, io, come è già noto, attribuisco a tali soluzioni delle proprietà importanti in causa delle pressioni osmotiche che esse possono esercitare sulle cellule assorbenti, facilitandone od ostaco- landone la funzione, dimodochè, il processo di assunzione degli alimenti minerali è subordinato ai rapporti tra l’ambiente terreno e la capacità di funzionare dell’organo assorbente. Scopo delle mie ricerche doveva perciò essere quello di studiare tali liquidi, rispetto alle loro proprietà osmotiche. L'analisi chimica qualitativa non mi poteva dare risultati, e quella quantitativa, anche con i metodi delicatissimi proposti da Schreiner e Failyer (1), non era possibile per le piccole quantità di liquido disponibile; del resto se anche avessi potuto eseguire una tale analisi, tenendo conto poi del coefficiente isotonico dei singoli com- posti trovati, avrei difficilmente potuto dedurre la pressione osmotica esercitata dal liquido in esame. Ma se i liquidi pedolitici possono rappresentare in molti casi delle vere e proprie soluzioni di corpi cristalloidi, e capaci quindi di agire osmoticamente, i liquidi pedo- piezici non si possono affatto considerare di tale natura, ed in essi sono spesso assai abbondanti corpi colloidali, ai quali possono essere senza dubbio attribuiti (p. e. per i fosfati alcaline terrosi) valore nutritizio, ma non, o quasi, proprietà osmotiche; anzi spesso questi corpi possono diminuire la pressione osmotica di soluzioni cri- stalloidali, per le combinazioni di assorbimento a cui essi possono dar luogo. Il criterio chimico analitico sarebbe stato dunque assolutamente fallace. Rimanevano i metodi fisico-chimici. Escluso senz’altro quello (1) ScHREINER and FAYLER, Op. cit. ANNALI DI BoranIcA — Voc. VIII. 19 ni Lie iene rice ee VRSUE A a ee der #% 1) e A della determinazione della timone di vapore, I DErohe ‘il riscald: mento avrebbe prodotto la sfuggita dell’anidride carbonica, la pre- cipitazione dei carbonati alcalino-terrosi, la idrolisi di sica sali di alluminio, e di magnesio, ecc., pensai di valermi di quello erio- scopico, come quello che più d’ogni altro lascia IAMGnO il liquido da esaminare. Ma il metodo crioscopico per dare buoni risultati deve essere applicato a soluzioni relativamente concentrate, o a variazioni di concentrazione relativamente forti. Quando si pensi che una solu- zione di idrato ammonico al. 0,7 °/, dà un abbassamento termo- metrico di 0°,085, corrispondente alla pressione di una atmosfera, e che nei termometri ordinari da crioscopia le sole differenze di 0°,01 possono essere distinte dalla graduazione, è facile il dedurre che per rendere meno sensibili gli errori di osservazione, occorre operare sopra soluzioni più concentrate (1). Ora nel massimo numero dei casi la concentrazione delle solu- zioni del suolo sì mantiene molto al disotto del 0,7 °/,,, e quindi, non solo prossima, ma spesso assai inferiore al limite d’errore. Delle interessanti relazioni tra pressione osmotica e conducibi- lità elettrica delle soluzioni degli elettroliti, e tra pressione osmo- tica e tensione superficiale delle soluzioni stesse, sono state messe in chiaro in questi ultimi anni; ma ancora non sono così ben studiate da poterne fare delle applicazioni dirette e sicure nel campo della biologia. Inoltre tali relazioni non sono identiche per tutti gli elet- troliti, ma in relazione colla valenza dei diversi ioni che li com- pongono, e con altre proprietà che non è possibile valutare senza una previa analisi qualitativa e quantitativa di un liquido così complesso come è quello del suolo. Rimaneva la misura diretta della pressione osmotica mediante cellule artificiali del tipo di quella di Pfeffer. L'uso di tale metodo è stato fatto assai recentemente, appunto a proposito del terreno, da Kònig, Hasenbiumer e Grossmann (2) per determinare la pressione osmotica delle sostanze solubili; però in queste esperienze la preparazione delle soluzioni di questi corpi (1) Anche la CO, contenuta in misura varia, ma pur sempre presente nei li- quidi del suolo, dà, a diluizioni forti, pochissime differenze all’abbassamento del punto di congelamento, rendendo perciò difficile l'apprezzamento dei risultati. Of. GARELLI F. e FaLCcIOLA P. Ricerche crioscopiche sopra soluzioni di gas in liquidi. Rend. Acc. Lincei Vol. XIII, tomo 1°, serie 5°, 1904, p. 115. (2) KòNIG I., HASENBAUMER I., Grossmann H. — Das Verhalten des 0rga- nischen Substanz dos Bodens und der osmotische Druck desselben. Landwirtsch, Versuch-stat. 1908 Sonderabdruck, p. 50. MES ER OT NITRATI RIOREAONI Po — 287 — r Ro aci i cpv sd ‘gr. 15 di terra p. 40 di acqua); le variazioni di pressione dei liquidi provenienti dai terreni concimati o no, erano molto sensibili. To avrei potuto fare uso di tali osmometri ponendo invece che il campione di terra con acqua, secondo il metodo Kònig, i liquidi pedolitico e pedopiezico ottenuti come già dissi; ma oltre alla dif- ficoltà piuttosto grande di avere osmometri di costruzione perfetta, urtavo contro quella non minore della diversa permeabilità della membrana per i diversi sali, permeabilità capace di alterare di molto 1 risultati (1). Ciò senza tener conto della lunghezza notevole del periodo di esperimento (7-9 giorni), durante i quali era pressochè impossibile mantenere una costanza tale della temperatura, che per- mettesse di eliminare le oscillazioni di pressione dovuta a queste cause, e non all’azione degli elettroliti; di questi la presenza è, in certi campioni, in limiti tanto ristretti, che queste cause di errore possono mascherare completamente le oscillazioni di pressione do- vute a fenomeni osmotici. Così per via di esclusioni 10 mi sono dovuto attenere ad un me- todo assai semplice, direi quasi primitivo, del quale la facilità del- l’esecuzione e la conoscenza dei possibili errori, mi rendevano pos- sibile l’estendere le ricerche ad un numero grandissimo di saggi, e di compensare colla abbondanza di dati sperimentali, la eccessiva semplicità del metodo. To adunque mi limitai a sottoporre semplicemente i liquidi ad evaporazione in capsula tarata, e, conoscendo il volume del liquido ed il peso del residuo, determinavo la concentrazione dei liquidi stessi. Ma se questo semplice processo, mi dava la misura della concen- trazione dei liquidi che avevo da esaminare, non mi poteva però dare una idea diretta, anche approssimativa, della quantità dei cri. stalloidi esistenti in essi. Infatti nei liquidi pedolitici e più ancora in quelli pedopiezici, era assai frequente il caso di osservare una opalescenza, quale sì riscontra negli idrosoli, sostanze quindi avvertibili colla bilancia, ma di azione pressochè nulla nei riguardi della pressione osmotica. (1) Del resto la permeabilità della membrana, oltre che variare per i diversi elettroliti, esono parecchi, che si possono trovare contemporaneamente nei liquidi del terreno, varia altresì per uno stesso elettrolito col variare della cellula se- mipermeabile che si adopra, anche se ne siano state costruite parecchie con metodi identici. — Cfr. NACCARI A. Misure dirette di pressione osmotica. — Rend. Acc. Lincei Ser. V, Vol. VI l° tomo p. 32. i Re line lana ‘Riusciva perciò assai i utile separare into era capace di nr Mii osmoticamente, dai corpi colloidali; a questo scopo molti campioni dei liquidi, ottenuti coi processi sopra ricordati, furono da me divisi in due porzioni eguali, e di queste l’una fu evaporata e il residuo pesato senz’altro, l’altra fu sottoposta a dialisi per due giorni. Fa- cevo uso a tale scopo di cilindri di vetro del diametro di 45 mm. otturati al fondo con carta pergamena, i quali offrivano una super- ficie di diffusione piuttosto grande (mm.° 490,00) rispetto alla quan- tità di liquido posto a dializzare (20-40 cm.*). La differenza di con- centrazione tra la porzione sottoposta e quella non sottoposta a dialisi, mi indicava la quantità del cristalloide diffuso e capace quindi di agire osmoticamente. (Tab. II). Nel caso di liquidi opalescenti dovevo tener conto di una avver- tenza particolare; durante la prolungata tranquillità del liquido e la fuoruscita dei sali, poteva determinarsi la coagulazione e la de- posizione dei materiali sospesi, che non potevano essere raccolti tutti di nuovo quando si versava il liquido dializzato nelle capsule per l’evaporazione. Per avere risultati più sicuri esaminavo non il li- quido dializzato, ma l’acqua distillata nella quale si erano diffusi i sali; conosciuta così la quantità dei cristalloidi diffusi, deducevo . con facilità quella delle sostanze non dializzabili rimaste sospese o no nel liquido preso in esame. L’uso della dialisi nell’esaminare i liquidi del suolo, mi ha dato dei risultati assai interessanti, e, senza volere per ora riferire le cifre ottenute, posso affermare che tal metodo permette di confer- mare le diverse proprietà dei liquidi dei terreni dei tipi più diversi, la ricchezza assai maggiore di corpi colloidali dei liquidi pedopie- zici rispetto a quelli pedolitici, e di trarre così molte deduzioni di notevole valore, sulle quali tratterò più oltre. Inoltre io volli verificare quanta parte aveva la CO, nel de- terminare il potere solvente dell’acqua nel terreno; molto spesso i terreni sono, come studierò meglio più oltre, soggetti ad essica- mento, in conseguenza del quale la CO, scompare in gran parte, determinando così una alterazione profonda delle proprietà solventi del liquido. Di alcuni campioni di liquido, ottenuti in circostanze diverse e con terreni differenti, ho determinato il residuo secco evaporandoli tali e quali, e di una porzione corrispondente ho fatto la determi- nazione, dopo ebollizione per scacciare la CO,, e successiva filtra» zione, per togliere il residuo insolubile, (Tab. III). PRI e EAST ALI CINE PEA NI FREE - peo pp) ae ia e RIZSA 2 st 4 : LIRL , ve» ra » II. — La concentrazione dei liquidi dei terreni di differente composizione chimica. Poichè, come già ebbi ad affermare per via deduttiva, io ritengo ‘che la differente natura chimica del suolo esercita la sua influenza, non solo come sorgente di materiali nutritizii, ma anche come de- terminante principale della esistenza di soluzioni saline a concen- trazione più o meno elevata, la prima questione che mi si è affac- ciata, è stata quella di controllare quantitativamente tale asserzione, Col processo descritto, ho sottoposto ad esame terreni salati, cal- «cari, marnosi, sabbioso-silicei, argillosi, umici, insomma i terreni caratteristici di determinate stazioni vegetali. Nel corso del lavoro si vedrà come sulla concentrazione delle soluzioni esistenti in tali terreni, possano influire molteplici cause, quali il calore, l'umidità, 11 coperto erboso, la profondità e l’incli- nazione del suolo, cause sulle quali mi tratterrò a lungo; mi limi- terò per ora a scegliere i terreni assolutamente tipici, i cui cam- pioni furono raccolti durante il periodo vegetativo delle piante eda- ficamente caratteristiche che vi crescevano, ed in condizioni per quanto è possibile normali, rispetto alle cause perturbatrici accen- nate. (Tab. IV). I dati numerici che ho riportato qui, e gli altri assai più nu- merosi che verrò man mano citando nel corso del lavoro, e che converrà discutere più oltre, non lasciano dubbio alcuno che i dif- ferenti tipi di terreni si distinguono nettamente per le concentra- zioni sia dei liquidi che contengono, sia di quelli che ne sgoccio- lano sotto la pioggia. Sl può ritenere che la concentrazione delle soluzioni derivanti dai terreni silicei oscilli tra 0,20 e 0,50%, mentre quelle dei ter- reni calcari stia sopra 0,40 °/., e raggiunga anche 1,70-2°/,,. Con- viene dare piuttosto importanza ai risultati che si ottengono dai liquidi pedolitici che da quelli pedopiezici, perchè i primi hanno, come dissi precedentemente, una percentuale assai più elevata di materiali dializzabili e capaci di agire osmoticamente. Gli altri in- vece, danno un residuo solido formato in parte assai maggiore da corpi non diffusibili, come dimostrano i dati sperimentali, e talora la stessa opalescenza dei liquidi. Anzi il divario tra i liquidi provenienti dai terreni silicei e quelli dei terreni calcari, è spesso in realtà assai maggiore di quanto risulti dalle cifre, perchè, per la necessità imprescindibile di una buona analisi, i liquidi esaminati venivano sottoposti ad una accu- RSI STE AE Ba Pai PR e TT rata filtrazione, talora assai ha talora Aperti più volte, durante RI la quale per l'inevitabile sfuggita di una parte delle CO, disciolta, la ) È ui quantità dei sali calcari diminuisce, come è possibile rilevare dalle esperienze. Un'altra causa di divario profondo tra la concentrazione dei liquidi dei terreni calcari e dei silicei, sta in ciò, che durante la. raccolta e il trasporto del campione, una parte dei gas del terreno viene inevitabilmente sostituita da aria, e ciò è senza dubbio a di- scapito del tenore in CO, dell’acqua solvente. Tutto ciò contribuisce a porre fuori di dubbio l'affermazione che in terreni coperti da rive- stimento vegetale e in condizioni climatiche tali da lasciare la terra fresca, ma non inzuppata d’acqua, la concentrazione delle soluzioni differisce notevolmente nei terreni silicei e nei calcari, restando essa in media inferiore al 0,5 °/., nei primi, e superiore a tale cifra e fino al 2 °/., negli altri. I tetreni ‘silico-magnesiaci danno nelle condizioni sopra esposte, dei liquidi molto affini a quelli dei terreni silicei, fatto questo corri- spondente alla massima parte delle osservazioni degli autori, ed i terreni umici, siano essi quelli acidi della brughiera, o quelli non tali delle foreste, si avvicinano notevolmente, per i liquidi che danno, al terreni silicei, anzi in generale danno soluzioni assai più diluite, corrispondentemente alla assai minore mineralizzazione ed al note- vole potere assorbente. Nuova conferma, questa, della esattezza delle vedute già svolte nell’altro mio lavoro. Una concentrazione media tra quella dei terreni calcari e dei silicei, sì osserva in generale nelle marne, e questa proprietà è assai interessante, perchè ci spiega come sopra questi terreni, quando in- tervengano condizioni esterne determinate, possa svolgersi sia la flora caratteristica dei calcari, sia quella delle terre silicee, Non occorre spendere molte parole per rilevare la forte concen- trazione dei terreni a flora peralicola, abitati cioè da una flora ru- derale 0 alofita, nei quali il limite superiore giunge ai massimi tol- lerati dagli organismi vegetali, e quello inferiore si confonde, come vedremo, con quello dei terreni calcari o silicei, formanti lo scheletro, intorno al quale si sono radunati in abbondanza i ma- teriali solubili. Interessante assai è il comportamento alla dialisi dei liquidi pro- venienti da questi diversi terreni. (Tab. III). Già nei liquidi a concentrazione maggiore, si nota una maggiore percentuale di sostanze dializzabili, e quindi di sostanze osmoti- camente attive; ma questa quantità è proporzionalmente maggiore che în sta abitati da piante Hohdoie. In essi noi vediamo che una parte più o meno notevole del liquido che proviene da questi, è dato da sostanze non dializzabili, prevalentemente idrosoli, come lo mostrava del resto assai frequentemente la notevole opalescenza del liquido stesso. Questa opalescenza è più frequente nel liquido di torchiatura, e le cifre riportate nella tabella ce ne danno la conferma; tanto il liquido pedopiezico preventivo, che quello di torchiatura dopo la pedolisi, hanno costantemente una quantità di sostanze dializzabili proporzionatamente minore, e spesso assai minore di quella che si osserva nei liquidi pedolitici. Tra i due liquidi di pressione, quello che sì ha prima della pe- dolisi, e quello che si ha dopo la pedolisi, la percentuale maggiore di sostanze dializzabili, la si ritrova nel primo; e nel secondo anzi è assai piccola, se la pedolisi fu notevolmente prolungata. Tali constatazioni ci permettono di stabilire che nei liquidi che imbevono il terreno esisté una certa quantità di idrosoli, i quali rimangono in essì per la maggior parte immobili quando la pioggia ; dilava il terreno; il dilavamento rappresenta quindi non solo la asportazione di ciò che vi è di solubile, ma anche la dialisi di ciò che è legato agli idrosoli. Nelle mie ricerche sperimentali, il terreno stipato durante la pedolisi, tratteneva già in parte notevole gli idrosoli, ma durante la torchiatura, le singole particelle dello scheletro, continuamente rimosse, lasciavano, sfuggire coll’acqua espressa anche sostanze non solubili, che era difficile e talora impossibile chiarificare senza l’ag- giunta di un po’ di alcool. In natura, nel terreno stipato, il processo si svolge in modo poco diverso; gli idrogeli aderenti allo scheletro minerale, occupano una parte notevole degli interstizi, e trattengono le piccole particelle solubili che potrebbero essere trascinate; per la porosità proporzio- natamente minore, la corrente è più lenta, e l’asportazione degli idrosoli è pure alquanto minore. Questo potere di arresto è tanto più attivo quanto più il terreno è da lungo tempo restato immoto; e cioè quanto esso è più stipato, e i prodotti colloidali di degradazione, fattisi in maggior quantità, hanno occupato in misura maggiore i pori del suolo. Quindi l’ambiente edafico di una pianta è determinato dai se- guenti fattori: 1° dallo scheletro del suolo, il quale, oltre che per le proprietà fisiche, agisce come generatore degli altri fattori; 2° dai materiali colloidali allo stato di idrogeli, agenti pel loro potere as- rate” sha lt MI 2 LI da pi Te ee + ne, "] AO «ne VITE Del Peg ER. la À Liga CN è? Ma Tnt 20 ve; 292 - "a AS ZON "I Gr 9° Retieito fisico e cutanei 3° dagli idisoeDi circolanti, o meglio so- — spesi nel liquido che occupa gli interstizi, almeno durante il periodo di pioggia; 4° da soluzioni saline originatesi lontano ed ivi pervenute. Il rapporto fra questi quattro fattori è vario; prevale il primo p. e. nei terreni sabbiosi emersi, aridi; sono importanti il 2° e il 3° nelle terre più o meno degradate; importantissimo è il 4° nelle stazioni idro-e eloofite. Questi risultati ci permettono inoltre di accertare che tutti i dati di concentrazione dei liquidi del terreno, che verrò più in- nanzi riferendo, vanno interpretati nel senso che non tutto il re- siduo solido, specialmente dei liquidi pedopiezici, è da attribuirsi a sostanze disciolte, ma solo una parte; la misura di questa parte va determinata caso per caso, ed io non trascurerò di riferire degli esempi, i quali valgano a darne una idea esatta. Da ultimo questo metodo di dialisi 2n grande, per dir così, co- stituisce la miglior conferma della attendibilità del metodo delle car- tine di alizarina racchiuse nei piccoli dializzatori di carta perga-. menata, da me indicate nell’altra memoria su questo argomento. Allorchè la concentrazione è elevata e le sostanze dializzabili sono abbondanti, la reazione nelle cartine ha luogo in modo intenso, come si verifica per i terreni abitati da flora alicola o peralicola. Quando invece la concentrazione è debole, e pochissime sono le so- stanze dializzabili, la reazione è assai scarsa o addirittura nulla, perchè una piccola parte dei materiali salini può venir trattenuta nello spessore della pergamena vegetale : e ciò tanto più che il pro- cesso di fabbricazione della pergamena stessa, e la purificazione con HCI, alla quale io la sottoponevo, la demineralizzavano fortemente. Il metodo delle cartine d’alizarina, può quindi venire impiegato colla massima attendibilità nelle ricerche edafologiche, tanto più che una -certa pratica proveniente dall'uso, permette, entro certi limiti, di fare anche una valutazione quantitativa. III. — Influenza dell’essicamento sopra i liquidi del terreno. Se i campioni di terra già sottoposti al processo pedolitico ven- gono essicati, oppure se campioni identici a quelli esaminati, ven- gono posti all’aria a essicare, le proprietà di essi variano notevol- mente. Basta, perchè ciò si verifichi, che l’essicamento sia fatto al- l’aria alla temperatura ordinaria; ciò che avviene nel termine di uno o due giorni. Avvenuto l’essicamento, basta trattare nel solito modo i campioni di terra, per accertarsi delle modificazioni avvenute; le quali hanno iquidi del dii importanza che è legata strettamente alla compo- sizione chimica di esso e alle condizioni climatiche. Riferisco alcuni dei risultati ottenuti nella tabella n. V. Ne risulta che quasi tutti i terreni sottoposti a essicamento au- mentano di molto la percentuale delle materie asportabili dall’acqua, e tale constatazione era del resto già stata fatta da Schloesing (1), per rapporto al terreno agrario, col metodo dei lisimetri. L’asportazione di sostanze per opera dell’acqua, ha luogo però in grado diverso peri diversi terreni; aumenta relativamente di molto, ma assai di poco in senso assoluto, nei terreni umici (n. 23); pure scarso è l’aumento nei terreni argillosi (n. 18) e in quelli marnosi fortemente degradati; più forte è nei terreni derivanti dalla disgre- gazione non molto avanzata di roccie silicee o magnesiache (nn. 12, 13, 14), tanto che talora la concentrazione dei liquidi pedolitici può raggiungere e superare anche di molto i limiti inferiori della con- centrazione solita dei liquidi dei terreni calcari. In questi ultimi poi l'aumento della quantità delle sostanze asportabili dall'acqua è for- tissima (nn. 7, 8,9). All’incontro nei terreni nei quali le sostanze solubili non sì sono . originate dalla degradazione in situ, ma vi sono pervenute per ap- porto da località più o meno lontane, l’influenza dell’essicamento è assai piccola (nn. 1, 2, 3, 22). È questo un fatto del più alto interesse, perchè dimostra che questo aumento di sostanze solubili è dovuto a una vera e propria alterazione delle molecole dei costituenti del suolo. Molto forte è infine l'aumento nei terreni, nei quali l’apera del- l’uomo esalta fortemente i processi di degradazione, in seguito ai quali si mettono in libertà composti alcalini o alcalino-terrosi in no- tevole misura. i Una differenza notevole si osserva !Inel comportamento del li- quido pedolitico, rispetto a quello pedopiezico estratti da terreni fre- schi o essicati. Mentre il liquido pedolitico risente quasi costante- mente dell’effetto della perdita di acqua, la concentrazione di quello pedopiezico rimane pressochè inalterata prima e dopo l’essicamento; se in qualche caso si verifica un certo aumento nel liquido prove- niente dal campione essicato, ciò si spiega facilmente per una in- sufficiente durata del processo pedolitico, durata che non è possibile determinare a priori, perchè sarebbe necessario, per far ciò, conoscere la quantità delle sostanze saline asportabili. E che ciò sia lo si può (1) ScHLOESING T. — Comptes rendus, 1870, T. LXX. ag PA TR ea ente Poi gt» RENO TEN OTO GE DPL RE EURI SEI RE DI Mi . pi TRIO Diet i 3 ' 2 PRATI i dedurre dall’esame della tabella della pedolisi progressiva, della q discorrerò più oltre; durante tale pedolisi progressiva, per l’intenso dilavamento dei materiali solubili, la concentrazione dei liquidi di dilavamento si accosta sempre più a quella tipica, corrispondente a una determinata composizione chimica del suolo. (Tab. IX). La dialisi dimostra ancor meglio questo aumento di materiali osmoticamente attivi nelle soluzioni provenienti dal terreno essi- cato, e alcuni dati che riporto nella tabella VI ne fanno prova. Specialmente nel liquido pedolitico, si nota un aumento di so-, stanze dializzabili, a lato dell'aumento di quelle non tali; e la per- centuale di sostanze dializzabili, come, del resto, in generale quella delle sostanze asportabili dall’acqua, aumenta piuttosto nei terreni ricchi di composti alcalini o alcalino-terrosi che non in quelli forte- mente degradati, quali i terreni di brughiera. Ciò porta a pensare ad una alterazione delle condizioni in cui sì trovano le molecole costituenti la parte attiva del suolo, e che ten- gono legati, finchè sono umidi, molti dei sali solubili del suolo. E già Schloesing (1) aveva osservato che, a parità di altre condizioni, un terreno secco cede più sali all’acqua che non uno fresco. Che si tratti appunto di una rottura di molecole aventi la pro- prietà di trattenere i sali, lo provano i risultati delle esperienze 1, 2,3, 12 (Tab. III), sopra terreni ricchi di materiali salini portati ad essi sotto la forma di combinazione nella quale li troviamo (Na C1, Mg SO,), e che non si sono originati dalle scomposizioni chi- miche proprie del suolo. In questi non si osservano differenze no- tevoli tra 1 campioni freschi e quelli essicati, oppure, se il dila- vamento. ha asportato ì sali in una certa misura, non si verifica nuovamente la presenza di altri sali nel liquido della seconda pe- dolisi. Quale è la causa della formazione di questi sali solubili dopo l’essicamento? Le ipotesi possibili sono tre; a) la nitrificazione durante l’essi- camento: 4) la scomposizione dei corpi colloidali; c) l'alterazione dei composti zeolitoidi: a) La mitrificazione. — Nel sottoporre a essicamento rapido la terra per le ricerche delle quali ho riferito, questa viene esposta con una superficie grandissima all’azione diretta dell’aria atmosfe- rica, e quindi sia alla eventuale combinazione dell’azoto libero, sia alla ossidazione dei composti ammoniacali eventualmente trattenuti dal potere assorbente del suolo; da ciò la formazione di acido ni- (1) ScnLoesinG T. — Comptes rendus, 1870, T. LXX (a GA uale ilicieti nti PASSO SOR i l'agire sopra alcali insolubili, i deforma iohia in ni- trati, i quali sono, come è noto, tra i corpi più facilmente asportabili da un primo dilavamento. Tale ipotesi è senz’altro da escludersi, perchè minima è la quan- tità di composti azotati che potevano trovarsi in molti fra i terreni boschivi o di pascoli sottoposti ad esperienza; d’altira parte l’essica- mento procedeva così rapidamente, (due giorni) da potersi escludere ogni efficace azione bacterica, anche per rapporto alla fissazione del- l'azoto atmosferico. In molte esperienze, delle quali riferirò più oltre, ho avuto oc- casione di osservare gli effetti di una intensa nitrificazione dei cam- pioni di terra; ma tale processo sì è svolto sempre meglio se favorito da una abbondante umidità e assai prolungata nitrificazione, per effetto della quale il liquido pedolitico si presentava spesso forte- mente igroscopico. Del resto io ho avuto cura di sottoporre alcuniì campioni ad es- sicamento rapidissimo al sole durante l’estate, o in stufa a 40° du- rante la stagione autunnale, in modo da ottenere in tre ore un com- pleto essicamento; i risultati non furono diversi. b) La scomposizione dei composti colloidali. — I corpi colloidali, dotati, come è noto, di forte potere assorbente, si trasformano col- l’essicamento in masse amorfe, prive di tale proprietà, e incapaci, almeno per buona parte, di riprendere lo stato colloidale col ritorno dell'umidità; inoltre i sali assorbiti, per la trasformazione avvenuta nelle molecole dell’idrogel non possono più essere tutti trattenuti da questi e vengono così, resi asportabili dall'acqua. Nel nostro caso gli effetti di tale trasformazione non possono es- sere così sensibili, da portare persino al triplo la percentuale delle materie solubili dopo l’essicamento. Inoltre l'aumento nella quan- tità assoluta dei corpi solubili è massimo nei terreni calcari, nei quali l’ione Ca determina più che ogni altro la coagulazione degli idro- soli, e nei quali in generale i composti colloidali e il potere assor- bente esistono in minor grado. L’inverso ha luogo nei campioni di terreni argillosi, nei quali il carattere colloidale è massimo, e ogni alterazione, sia pur lieve, di questa proprietà, dovrebbe avere note- vole effetto sulla percentuale delle sostanze solubili. Del resto, nei campioni di terreni umici e ricchi di composti colloidali e di ca- pacità di assorbimento fisico, è minimo il divario di comportamento prima e dopo l’essicazione. Io ho preparato dei corpi colloidali analoghi a quelli che esistono nel terreno, e cioè dell’idrato di ferro, silicato di ferro, acido sili- cico, silicato di calcio, silicato di magnesio idrato, tutti allo stato posi poi in lunghe canne di vetro terminate inferiormente da una piccola apertura, dalla quale gocciolava lentamente tutta la parte li- quida non trattenuta dall’idrogel. Determinai la concentrazione del liquido di scolo, e poi feci es- sicare a temperatura ordinaria, sull’acido solforico, il gel dal quale avevo ottenuto il liquido; ripresi il residuo solido con acqua in quan- tità eguale a quella che era evaporata, e, raccolta per filtrazione la soluzione che ne risultava, ne determinai la concentrazione; i ri- sultati furono ì seguenti: conc, °/so del liq. di scolo conc. °/oo della macerazione del residuo solido Idrato di ferro 0,68 i . 0,37 Silicato di ferro 4,56 Silicato di magnesia 6,55 2,56 Silicato di calce 0,52 0,45 Acido silicico 15,50 Si osserva così una diminuzione più o meno notevole ma co- stante nella quantità di sostanze solubili in seguito all’essicamento. Senza perciò volere escludere tale causa come una delle determi- nanti il processo che ora ci interessa, credo che essa debba ricer- carsìi altrove; c) Le alterazioni dei zeolitoidi. — Il fatto che i terreni prevalen- temente di natura organica si manifestano relativamente indiffe- renti agli effetti della essicazione, fa pensare piuttosto che la causa della sensibilità debba ricercarsi piuttosto nei composti minerali, e specialmente nei silicati zeolitoidi. 1 Questi sono, come è noto, dei composti assai labili, facili a per- dere coll’essicamento una quantità notevole d’acqua, e a perdere così molti dei loro caratteri fisici. Anche la molecola così complessa su- bisce delle trasformazioni profonde coll’essicamento, tanto che dopo ciò, l'aggiunta di nuova acqua non vale a ripristinarla nelle condi- zioni primitive. Di questi composti zeolitoidi se ne formano abbondanti nel suolo, specialmente se questo contiene dei sali alcalini o alcalino-terrosi. Lemberg ha ottenuto artificialmente dei silicati zeolitoidi mesco- lando dei sali d’alluminio con silicati alcalini, o facendo reagire caolino con silicato alcalino. Io ho preparato con i metodi di Lemberg dei silicati ziiootilde gelatinosi; l'uno era preparato facendo bollire caolino con silicato Po x x » i , a gelatinoso; li leva più volte con acqua dintillata, 1 per esportare la i massima parte delle sostanze solubili risultanti dalla reazione, e li e E n n mi) — 997 — A \ * Pata a a RITO SEE SR to ASTA 1g sodicc > l’altro mescolando silicato fan clo- | ruro di è Micia cloruro Mo, carbonato potassico (II); il terzo mescolando silicato sodico con solfato di magnesia, cloruro d’allumi- nio e carbonato potassico (III); i residui furono molte volte lavati con acqua fino a asportazione della massima parte dei prodotti solu- bili della reazione. Posti a sgocciolare e ripresi poi con acqua, secondo le stesse norme che per i colloidi sopra ricordati, ottenni i seguenti risultati: conc. °/on del liquido di scolo conc. °/vo della macerazione del residuo Zeolitoide I 0,21 0,40 0,34 0,40 0,39 0,42 0,40 0,41 Zeolitoide II 0,25 0,88 0,36 0,50 0,50 0,61 1,99 0,90 Zeolitoide III 1,60 0,66 0,54 0,38. Le cifre che risultano da queste esperienze, mostrano che real- mente si ha spesso un aumento nelle sostanze solubili dopo l’essi- camento dei zeolitoidi; tale aumento è maggiore quanto più grande è la diluizione del liquido circostante, condizione del resto che è cor- rispondente a quella che sì verifica in natura. Come rilevai più sopra, i terreni salati, e quelli dei ruderati sono tra i meno sensibili all’azione dell’essicamento. Ciò autorizza a ritenere che siano proprio i silicati zeolitoidi esi- stenti nel suolo, quelli ai quali si deve l'aumento notevole delle sostanze solubili dopo l’essicamento, e quindi il depauperamento del suolo colle pioggie, successive ai periodi di secco prolungato, come ha rilevato Schloesing. Da questa alterazione entrano in giuoco dei fattori molto com- plessi, e non solo cioè la disidratazione del zeolitoide, ma altresì la reazione tra le soluzioni ambienti e il zeolitoide; è noto infatti che la composizione di esso rappresenta un equilibrio tra le reazioni | che hanno luogo nel silicato e le soluzioni ambienti; la rottura dell'equilibrio dà luogo alla sostituzione di un ione per parte di un altro, nell’ordine seguente: calcio, sodio, magnesio, potassio; il primo è il meno stabile, l’ultimo il meno facile ad essere spostato. La sostituzione avviene in proporzione corrispondente alla compo- pa: i; Fa agri 20 :998" DESTRA sizione della sostanza epbifie della concentrazione della RT del rapporto tra il peso del zeolitoide e il volume della soluzione salina, nonchè della temperatura. I composti alcalino-terrosi sono indispensabili alla formazione dei zeolitoidi, e ciò è in stretta relazione col fatto che sono appunto i terreni contenenti elementi alcalino terrosi, che più di ogni altro risentono l’azione dell’essicamento. IV. — I movimenti per capillarità dei liquidi del terreno e la concentrazione salina. . L'’essicamento, che nelle esperienze riferite nel paragrafo prece- dente, veniva provocato con molta rapidità, esponendo il campione in ampia superficie all’aria, sì compie in natura in modo assai gra- duale. In tali condizioni la diminuzione di acqua è sempre più forte ne- gli strati superficiali, rispetto a quelli profondi; e di mano in mano che gli strati superiori si vanno esaurendo di acqua, altra ne afflui- sce da quelli sottostanti, in piccola parte allo stato di vapore, in quantità assai maggiore allo stato liquido, per capillarità, finchè per la diminuzione delle riserve acquee sottostanti, il liquido non giunge esattamente fino alla superficie, ma si arresta un po’ al disotto. Col progredire di questo essicamento superficiale, si formano due strati di terra, l’uno secco, talvolta di aspetto crostoso e screpolato, ta- l’altra sciolto e pulverulento; l’altro, inferiore, contiene sempre in quantità più o meno grande dell’acqua, che lo mantiene fresco e com- patto. Lo spessore dello strato secco varia fortemente a seconda. del clima, delle proprietà fisiche del suolo, delle sue riserve acquee. Tralasciando di occuparci del movimento del vapore acqueo, di assai minore importanza, conviene esaminare minutamente quello che ha luogo per capillarità attraverso gli interstizii delle particelle terrose. È noto come la resistenza all’essicamento sia varia per i diversi tipi fisici di terreni: le sabbie, formate da elementi grossi e lascianti degli spazi relativamente ampii, permettono in modo assai limitato il movimento di ascesa per capillarità, onde gli strati superficiali si essicano rapidamente. Forte è invece la capillarità nei terreni a ele- menti, e quindi a meati, assai tenui, ed in questi infatti agli strati superficiali arriva più a lungo l’acqua contenuta nelle parti profonde; ma la tenuità stessa dei meati e più ancora la capacità a rigonfiarsi delle particelle terrose, e aventi perciò il potere di occludere i meati ga Ae dal dl ele ent riti se Cl ee ni i tai REI a n nei io fa MR 0 voga | 1305, \ ; 3 gt =, a . . sq C . . { >, - stessi, fanno sì che il movimento dei liquidi si verifichi con una ÙA) grande lentezza. Onde nei terreni argillosi il grande potere di rite- nuta dell’acqua e la scarsa porosità, fanno sì che l’essicamento si compia con una grande difficoltà. Nei terreni a elementi di media grandezza invece, nei quali, e le dimensioni dei meati tra le parti- celle terrose, e la scarsa capacità di rigonfiamento di queste, permet- tono una porosità sufficiente del suolo, l’essicamento si compie con una certa rapidità, ma non tanto grande che una notevole parte dei liquidi situati profondamente non siano portati verso la superficie. Ora se in questi diversi tipi di terreni noi studiamo i due strati, il superiore crostoso, secco, l’inferiore ancora fresco e sciolto, il pro- cesso di pedolisi ci mostra dei fatti di notevole interesse. Per spiegare la tecnica che ho seguito, occorre esaminare le con- dizioni naturali nelle quali si verifica meglio tale essicamento. Le formazioni crostose, delle quali ho fatto cenno, si verificano nella valle del Po in due periodi, e cioè al termine del periodo invernale, allorchè la terra inzuppata d’acqua delle brine e delle nevi, inco- mincia a essicarsi al sole primaverile; oppure dopo le pioggie pri- maverili di aprile-maggio, alle quali, più o meno interrotte da brevi acquazzoni, segue il lungo periodo secco dell’estate. Così è al termine dell’inverno che sulle terre marnose dei colli dell’Albese si formano abbondanti efflorescenze di solfato di ma- gnesio, che le pioggie primaverili dilavano rapidamente (1); è du- rante il periodo secco della primavera-estate che si formano in pros- simità delle nostre sorgenti salate, o sulle spiaggie delle saline, le note efflorescenze di cloruro di sodio, e pure in questo tempo sulle marne grigie e nere delle Alpi marittime francesi si formano le ef- fiorescenze di solfato di magnesio (2). Io adunque riempivo delle campane di vetro, di circa due litri di capacità, del campione di terra, e lo annaffiavo di acqua piovana, in modo da ridurlo press’ a poco nelle condizioni quali si verificano dopo il disgelo; lasciavo quindi il campione all’aria per circa venti giorni, tenendolo, naturalmente, riparato dalle pioggie. Dopo tale periodo si potevano distinguere nella terra due strati sovrapposti, l’uno, il superiore, secco, crostoso, compatto, o, nei campioni mar- nosi e argillosi, screpolato, l’altro ancora fresco. Sottoponevo allora (1) Fino V. — Sui sali solubili contenuti nel terreno pliocenico dei din- torni dì Canale. Ann. R. Accad. Agric. Torino, LII, 1909, pag. 107. (2) Henry C. — Les sols forestiers. Paris, Nancy, 1908, pag. 416. — DI TeLLa G. — La sistemazione dei bacini montani nelle Alpi marittime francesi. « L’Alpe », 1909, n. 5. at ia CIBRZE SR RETTE ARIASA ISTE, RABAT sta. : pa, 300 —° ty i una porzione di ciascuno di questi due strati al solito pIGdsssO di 2 pedolisi (Tabella VII). iù Il massimo numero dei campioni sperimentati mostra con tutta evidenza, la notevolissima ascesa che, durante l’essicamento, ha avuto luogo dalle soluzioni del suolo; in un caso è stato persino possi- È bile vedere delle efflorescenze cristalline alla superficie, e noto qui che si trattava di un campione alquanto più voluminoso: circa 5 chi- logrammi di terra. Tutti questi dati mostrano quanto abbondanti siano. in special modo le materie facilissimamente solubili nell’acqua ad una pioggia anche lieve. Ma oltre a tutti i campioni, di ter- reni silicei, calcari, di campi ecc., nei quali l’essicamento ha pro- vocato un intenso movimento di ascesa dei sali, ve ne hanno altri, nei quali non si nota differenza notevole tra i due strati, o la dif- ferenza è a vantaggio dell’inferiore. Così nei campioni 12 e 17, pochissimo porosi, non ha potuto verificarsi un movimento note- vole di ascesa; così nei campioni 16 e 19, la minima quantità di materiali solubili in essì esistente, non ha potuto dar luogo ad uno squilibrio notevole tra strato superiore e inferiore, favorito in ciò anche dal notevole potere assorbente che i materiali umici nell’uno, argilloidi nell’altro, esercitano sopra i sali. Nell’altro campione, ric- camente organico, nel quale i fenomeni di degradazione non sono impediti dalla acidità dell’humus di brughiera, le sostanze traspor- tate dall’acqua nel movimento in ascesa, sono in quantità molto notevole. È una constatazione questa di notevole interesse, perchè ci spiega la vegetazione ruderale che si osserva talvolta su certi substrati umici, e che, se non è molto frequente, lo è perchè piut- tosto raro è l’essicamento di un tale terreno per la notevolissima capacità idrica dell’humus stesso. Il campione 14 ha la massima quantità di sali nella parte pro- fonda; si tratta di una sabbia avente dei meati grossi, attraverso i quali l’acqua non ha potuto che difficilmente salire per capilla- rità, ein gran parte invece sotto forma di vapore; ed i sali tra- sportati all’ingiù dall’innaffiamento preliminare, non hanno potuto ‘ più ascendere. È un fatto questo che ci spiega il carattere perge- licolo di alcune associazioni vegetali stabilite sopra un suolo for- temente permeabile, e incapace di permettere qualsiasi movimento dell’acqua in direzione ascendente. Si osserverà che è appunto sulle sabbie in prossimità dei luoghi salsi, che sì verificano le più evidenti efflorescenze, ma in tal caso o agli elementi grossolani della sabbia sono frammisti altri più tenui che ne occupano i meati, o più spesso, l’agente che fornisce i fini meati capillari per i quali le acque salate salgono alla su- A Tm uni vaso È pile ptc Te 1 primi cristallini formatisi, tracciano la via alla formazione di imponenti incrostazioni di Esiti Dei due gruppi di sostanze contenute nei liquidi del suolo, idrosoli e elettroliti, quale parte risente in maggior grado gli ef- fetti della evaporazione superficiale? L’esame della tabella VIII risponde a questa domanda. Le sostanze dializzabili sono in misura alquanto maggiore nei liquidi pedolitici dello strato superiore, che non in quelli dello strato inferiore, mentre alquanto minore è il divario che si osserva tra i liquidi provenienti dalla torchiatura dei campioni dei due strati. È una prova questa che s’accorda col molto minore attrito in- terno delle soluzioni rispetto agli idrosoli, e che spiega come siano assai più forti gli squilibri che l’essiccamento superficiale può pro- vocare in un terreno già originariamente provvisto di sali. Nei terreni poco porosi (n. 7-10), questa ascesa sl compie in grado minore, ed in quelli poveri originariamente di sali, e dotati di potere assorbente idrico, e fisico-chimico (8-10), le differenze sono sempre in favore dello strato superficiale, ma piuttosto piccole. Asportata colla pedolisi la sostanza prevalentemente salina che è stata innalzata coll’essicamento, la concentrazione degli elettroliti nei liquidi di torchiatura è pressochè eguale, sia nello strato super- ficiale, che in quello profondo. Perchè una certa quantità di sali possa venire concentrata alla superficie, occorre che la riserva d’acqua profonda sia relativamente grande, che cioè la massa di terra abbia un notevols spessore. Quindi sarà a priori scarsa tale concentrazione nei terreni a substrato roc- cioso prossimo alla superficie, sopra il quale l’acqua in eccesso scorre via dopo le pioggie, e non può venire altrimenti riassorbita, oppure in quelli a substrato con ciottoli o sabbia a grossi elementi, attraverso alla congerie dei quali, l’acqua non trova i canali capil- lari necessari per l’ascesa. Il fitto mantello vegetale arboreo o erboso, diminuendo, come è noto, la temperatura degli strati superficiali del suolo, e difenden- dolo dai movimenti atmosferici, è uno dei fattori che ostacolano il formarsi di notevoli concentrazioni saline alla superficie; si aggiunga poi che ‘ina parte dei sali, eventualmente trasportati in ascesa, viene, insieme coll’acqua, assorbita dalle radici, e sottratta così alla accumulazione superficiale. Un caso particolare di apporto di soluzioni saline e spesso di efflorescenza, analogo nei suoi risultati a quelli ora ricordati, quan- tungue diverso nei suoi meccanismi, è l'accumulo di sali che si ANNALI DI BoranIcA — Vor. VIII. 20 costruzione di strade, canali ecc., degli strati di terra, nudi o pro- tetti da muri a secco, o delle roccie più o meno fessurate o stratifi- cate, sulla superficie dei quali si osserva una costante umidità, senza che vi si verifichi un vero e proprio stillicidio. La vegetazione che vi si è stabilita, presenta dei caratteri affatto speciali, diversi da quelli delle roccie o pendii circostanti, ma non provvisti di tale umidità, e durante la stagione secca si possono scor- gere sulla superficie del suolo delle eftlorescenze o delle incrostazioni più o meno abbondanti. È ovvio pensare che l'afflusso di soluzioni saline che dà luogo, nella stagione assolutamente secca, alla efflorescenza, si verifica anche nel rimanente periodo dell’anno; e specialmente durante la stagione primaverile ed estiva, tutta l’acqua che vi arriva, ma non sgocciola, vi evapora e apporta continuamente dei sali che determinano delle soluzioni sempre più concentrate. Si tratta spesso di carbonato di calcio e di magnesio, i quali ven- gono ivi precipitati in forma insolubile, di carbonato di potassio, sol- fati alcalini o alcalino-terrosi, o di allumina, ai quali si deve così la relativa salinità della stazione. Si ha cioè un tipo di terreno, la cui costituzione chimica, e in parte quella fisica, è data in minimo grado dal substrato scheletrico; ma piuttosto dalla composizione e dalle reazioni chimiche di terreni e roccie retrostanti e soprastanti. L'acqua di drenaggio, che così appare alla superficie, può avere delle concentrazioni iniziali svariatissime, forti p. e. in corrispon- denza delle aperture di scolo dei grandi muri di sostegno dei l. col- tivati, deboli dalle fessure delle roccie silicee e prive di minerali solforati; e questa concentrazione può innalzarsi più o meno a se- conda della esposizione della località, e più ancora se l’acqua è eva- porata totalmente, o una parte di essa defluisce, asportando in note- vole misura le sostanze che la mineralizzano. E numerosissimi sono i casi particolari di condizioni edafiche determinate dall’agire in grado ‘diverso della salinità iniziale dell’acqua, dal grado di evaporazione, dalla quantità di acqua liquida che defluisce (1). (1) Sopra alcuni estesi detriti lavici a S. Mateo (Gr. Canaria), in un incavo ombreggiato da una grossa pietra, dove la superficie era un po’ umida per del- l'acqua che trasudava attraverso questi detriti, il collega Negri osservò la ve- getazione di Munaria hygrometrica, specie eminentemente alicola, la quale trovava in quella stazione, i materiali salini provenienti dalla degradazione delle lave. trovare nei tagli naturali per erosione dei torrenti, o NERI per — PET. "0° | seentiva evaporazione delle soluzioni del suolo, gli effetti di questa si manifestano di rado colla formazione di e, più di frequente con una cementazione in crosta delle particelle terrose; talora questa cementazione in crosta è dovuta a trasformazioni chi- miche ulteriori subite dai sali deposti allo stato solido. A tale ordine di trasformazioni si debbono ascrivere specialmente alcuni fenomeni studiati da Sestini (1), di formazione di efflorescenze di sali complessi, carbonato ammonico-magnesico, o con carbonato e fosfati di calcio, nelle terre dei campi abbondantemente concimati. V. — L’azione della pioggia sulla concentrazione dei liquidi del suolo. I sali solubili esistenti nel suolo, specialmente negli strati su- perficiali, comunque siano in essi pervenuti, o formati, vi rimangono allo stato di soluzione in concentrazioni più o meno forti, come si è visto più sopra, oppure vi si Je posrazio 3 in forma solida, cristallina 0 non, solubile o non. i AI sopravvenire della pioggia ha luogo una diluizione delle so- luzioni esistenti, o, per quei sali che ne sono suscettibili, tornano a ripristinarsi delle soluzioni aventi concentrazioni più o meno grandi le quali sono determinate da tre fattori: a) 1 caratteri chimici del suolo; 5) la struttura fisica di essi; c) l’intensità della precipitazione atmosferica. a) I sali di sodio e di potassio, cloruri e carbonati, il solfato di magnesio, quello d’allumina, il nitrato di calcio, vengono senz’altro disciolti nell’acqua, e, per la loro solubilità grande, si può pratica- mente ritenere che la soluzione sia completa, salvo forse per i due ultimi composti, nei quali si può verificare la precipitazione dei sali basici. Si formano così delle soluzioni a concentrazione decrescente in modo progressivo coll’aumentare dell’acqua caduta, e cioè ha luogo un fenomeno inverso a quello che si verifica durante l’essicamento; sull’intensità di tale diluizione hanno importanza le condizioni del terreno tra l'uno e l’altro periodo piovoso. Nel caso dei terreni con efflorescenze di carbonato di calcio, il fe- nomeno è differente; mentre che allo stato di composti doppi ammo- niacali la concentrazione può raggiungere dei limiti assai alti, avve- (1) SestINnI F. — Le efflorescenze caratteristiche delle terre coltivate. Atti | —R. Accad. Georgofili, Firenze, 1898. I IA st, vii ocean. y ENIETIT e PRE RI e la decomposizione di tali corpi, la concentrazione non può es «E sere naturalmente che assai bassa (circa 1,10 °/,). Questa differenza di comportamento del carbonato di calcio dagli altri sali solubili, è per noi della massima importanza, perchè ci per- mette di stabilire un carattere differenziale di più tra i terreni a solo carbonato calcare, e gli altri aventi altri sali solubili; infatti in questi ultimi una scarsa precipitazione atmosferica può determinare la for- mazione di soluzioni relativamente concentrate, mentre in quelli aventi solo carbonato di oR1010); il limite massimo di concentrazione è relativamente basso. Nei terreni essicati l’esperienza dimostra il formarsi, non per tra- sporto, ma probabilmente per disidratazione di colloidi dotati di pro- prietà assorbenti, o di silicati zeolitoidi, di notevoli quantità di sali solubili, i quali, al sopravvenire delle pioggie, determinano anch'essi la formazione di soluzioni a concentrazioni progressivamente de- crescenti. Per le ragioni che dissi più sopra, la quantità di sali resi solubili pel semplice effetto dell’essicamento è assai maggiore nei terreni a scarsi colloidi o abbondanti zeolitoidi, come quelli calcari, o potas- sici, o comunque ricchi di basi, assal minore in quelli argillosi, sia per la mancanza di basi atte a formare zeoliti, sia per l’abbondanza di composti suscettibili di riassumere rapidissimamente lo stato col- loidale. Le soluzioni concentrate che si formano al sopravvenire delle prime goccie di pioggia, vanno, col persistere di questa, rapidamente diluendosi, come è ovvio; ma le basse concentrazioni che sì osservano dopo parecchie ore di pioggia, non sono dovute al semplice effetto della diluizione delle soluzioni, quale si potrebbe preventivamente stabilire con un calcolo aritmetico, ma piuttosto alla asportazione progressiva di una gran parte delle sostanze disciolte; queste si vanno a poco a poco approfondendo negli strati del suolo, mentre superior- mente vi perviene della nuova acqua pura; si verifica cioè un vero dilavamento, che lo scheletro del suolo subisce sia delle soluzioni preesistenti nel suolo non essicato, sia di quelle formatesi al soprav- venire delle, pioggie. 5) Su questo movimento di discesa e quindi sulla possibilità che si verifichi piuttosto un dilavamento o una diluizione influiscono le proprietà fisiche del suolo. La grande porosità e la conseguente permeabilità permettono una rapida asportazione delle soluzioni prima formatesi, così che il so- pravvenire di nuova pioggia non diluisce tutto il liquido preesistente, ma solo quella parte di esso che è rimasta aderente alle particelle del PT e de cialmente nei terreni sabbiosi, nei iguati SER ore di pioggia bastano ‘a depauperare completamente la superficie di abbondanti materiali salini. L'intensità colla quale ha luogo questo dilavamento è molto si- mile a quella del lavaggio di un precipitato o di un residuo qualsiasi, al quale si aggiunga e successivamente sì allontanino, nuove porzioni di acqua pura. È . n E 3 SALVE - Questo dilavamento si può esprimere colla formola — in cui n x è la quantità di sostanza solubile contenuta nel corpo da lavare, m è la quantità di liquido che si aggiunge ad ogni lavatura, n è il numero delle porzioni m di acqua che si aggiungono. Nel caso del dilavamento del terreno, poichè la corrente d’acqua discendente è continua, si può considerare come m la quantità d’ac- qua contenuta in ciascuna porzione di terra, procedendo dall’alto al basso. Nella tavola XIV fig. 1 T. è indicato graficamente il compor- tamento teorico della diluizione delle soluzioni provenienti da un terreno assolutamente privo di potere assorbente e di capacità acquifera, e che sia originariamente inquinato di una sostanza so- ‘lubile. Nei terreni argillosi invece, poco permeabili, solo una parte del- l’acqua di pioggia può penetrare nel suolo; così mentre gli strati affatto superficiali sono dilavati dell’acqua di scorrimento, in quelli ‘sottostanti la diluizione procede con estrema lentezza. Vi hanno altresì substrati permeabili, nei quali pure la diluizione delle soluzioni procede assai lentamente, e ciò per la notevole capa- cità acquifera di essi. Questo si verifica specialmente nei terreni ricchi di materiali organici più o meno profondamente umificati. In essi l’acqua di pioggia sopravveniente è trattenuta in gran parte, onde, almeno nei primi tempi, non si verifica un dilavamento, ma piuttosto una diluizione progressiva delle soluzioni esistenti. Ne viene che in terreni del secondo tipo, salvo in caso di pioggia ‘assai prolungate, la concentrazione delle soluzioni si abbassa assal lentamente. In questi terreni, massime se fortemente umificati, ed in quelli argillosi, entrano in giuoco anche le proprietà assorbenti dei corpi colloidali, le quali oppongono una certa resistenza alla asportazione dei sali per opera dell’acqua; si manifesta cioè, come è noto, la ten- denza a stabilire degli stati di equilibrio tra soluzioni e idrogeli, ‘equilibrio che viene continuamente rotto, o dalla aggiunta, o dalla aa fit e DA at N str ro fc, dA Vita” CREATE RENE "° A sw < i è id» ) Ed, SL DISSI £ evaporazione dell’acqua solvente. Occorre in tal caso una durata no tevole della pioggia, perchè si verifichi un forte abbassamento della. concentrazione. Tale processo corrisponde teoricamente a quello della diluizione che subisce una soluzione, alla quale si aggiungano continuamente delle successive eguali dosi di acqua; la diminuzione di concen- trazione dipende unicamente dalla diluizione della soluzione preesi- stente, e non dall’allontanamento di una piccola particella di sostanze solubili. L'andamento di questo fenomeno si può esprimere colla for- Ue _ x < mola -——; in cuì x, 72, n hanno lo stesso valore che nella formola. mn precedentemente riferita. Anche di questo processo ho riferito l’espressione grafica nella tavola XIV fig. 1 T, nella quale un terreno a capacità acquifera teo- ricamente indefinita, ha le soluzioni che lo contengono indefinita- mente in via di diluizione. È evidente la assai differente velocità, colla quale si compie il di- lavamento nei due tipi di terreno, e quanta importanza abbia per ciò la natura fisica del suolo, nel determinare la costanza delle concentra- zioni dei liquidi del suolo. c) La durata e la intensità della pioggia è ii terzo coefficiente da prendere in esame. i Se esse sor tali da non superare la capacità idrica del suolo, o al- meno di quegli strati che più interessano la vegetazione, ne viene che le soluzioni che sì formano saranno relativamente concentrate, e permarranno tutte intorno alle radici a stabilire l’ambiente osmo- tico e nutritizio, nel quale debbono funzionare gli elementi assor- benti. Ma se la capacità idrica del suolo è superata, le soluzioni scenderanno verso gli strati profondi, provocando così un muta- mento nelle condizioni dell'ambiente osmotico degli strati superiori. A stabilire la misura dell’afflusso di acqua di pioggia nel suolo, contribuiscono, oltre alla quantità assoluta di acqua caduta, la quan- tità della precipitazione in un determinato periodo di tempo, la permeabilità degli strati superficiali e l’inclinazione del suolo, che permettono ad una certa quantità di acqua di allontanarsi per scor- rimento, e l’esistenza del mantello vegetale, capace di trattenere per un tempo più o meno lungo, una notevole quantità di acqua caduta. Del resto è noto che il fitto rivestimento di muschi del suolo superficiale delle foreste, può trattenere l’acqua in così grande mi- sura, da rendere, si può dire, indipendente il substrato minerale dalle variazioni minori di pluviosità, perchè l’acqua che li imbeve viene in minima parte Seduta agli strati profondi, e invece in massima parte è perduta mediante l’evaporazione (1). Onde avere un'idea della misura, colla quale procede il dilava- mento del terreno nei diversi strati, co progredire delle pioggie, io ho eseguito la seguente esperienza. Ho preso tre dei soliti tubi, nei quali facevo avvenire la pedolisi, e li ho collocati uno sull’altro in modo da ottenere un tubo di 75 centimetri, che riempii di terra raccolta nell’Orto, e sottoposi il.campione alla pedolisi. Allorchè co- minciarono a sgocciolare le prime goccie dal tubetto di scarico, ar- restai l’arrivo di nuova acqua, e divisi le tre porzioni corrispon- denti ai tre tubi sovrapposti; sottoposi ciascuna di queste alla solita torchiatura e determinai la concentrazione del liquido che ne ri- sultava : ‘Prima porzione 1-25 cm. conc. 4,16 °/,; seconda porz. 25-50 cm. conc. 13,45 ‘/,; terza porz. 50-75 cm. cone. 31,33 °/,; il liquido che sgocciolava aveva la conc. 36,28 °/. Si verifica così sperimental- mente che la pioggia abbassa continuamente lo strato di massima concentrazione; naturalmente nel caso da me sperimentato, tutta la lunghezza del tubo era occupata da terra omogenea; in natura i caratteri della terra variano col progredire della profondità, e en- trano in ginoco i processi determinati dal potere assorbente, per i quali la concentrazione va diminuendo ad una certa profondità non per diluizione della soluzione, ma per sottrazione di sali alla solu- zione stessa, per parte dello scheletro del suolo. (V. P. II, cap. VI). VI. — Le pioggie prolungate e il dilavamento del suolo. Se la precipitazione atmosferica si mantiene in alcuni luoghi e in determinati periodi di tempo (stagione estiva nei nostri climi), entro limiti tali da non superare la capacità idrica di quello spes- sore del suolo, entro il quale si sviluppa la massima parte del ca- pillizio radicale, assai spesso invece, o sotto l'influenza di determinati fattori stagionali (pioggie primaverili o autunnali, fusione delle nevi), o per condizioni climatiche particolari, (clima alpino), la quantità di pioggia cadente, determina un vero e proprio dilavamento, nel quale entrano in giuoco dei fattori assai complessi, da cui Leo che, per uguale intensità di pioggia, un tipo di terreno viene ad avere soluzioni assai più povere di altro, che pure inizialmente ne era egualmente o anche meno ricco. Per valutare l'andamento di questo processo, ho sottoposto pa- (1) Henry E. — Op. cit. SRI EROI IGIA DETTO RESET MAI NIONTA IS VIRA QIACO DIET SSVELO ci SCONO ada a Ri e ni pt I la arnie gi € Lac; a (9 Ù + is Ò Petar» ti recchi campioni di terra raccolti e vagliati nel solito una caduta d’acqua piovana, colla stessa intensità che melle altre espe- ||| rienze di pedolisi, ma prolungando il processo per molti giorni, e raccogliendo a porzioni frazionate il liquido di sgocciolamento. I Avevo così modo di valutare ciò che perde il terreno durante un periodo piovoso prolungato, e quali siano le condizioni nelle quali st trovano le radici. E poichè si può ritenere che il movimento vegetativo di tutte le piante, si inizia dopo un periodo di dilavamento notevole, come dopo il periodo delle pioggie o dopo il disgelo delle nevi, la deter- minazione degli effetti di tale dilavamento è del massimo interesse per stabilire le vere condizioni edafiche delle piante all’inizio del loro ciclo vegetativo annuale. La quantità di acqua lasciata cadere sopra i campioni di terra, durante un periodo di 12-15 giorni, era di 200-400 mm. per cmq.; cifra per nulla esagerata, corrispondente appunto a quella che sì os- serva assal spesso durante il periodo autunnale o primaverile di pioggie prolungate. I dati metereologici che allego lo dimostrano. Per dare una idea della intensità della caduta delle pioggie in certe stagioni e in determinati ambienti climatici, ho riprodotto graficamente le cifre della precipitazione giornaliera di pioggia in tre stazioni, l’una della regione mediterranea (Cagliari), l’altra della pianura padana, (Novara) la terza della regione insubrica (Domodos- sola). Non ho potuto avere i dati giornalieri di una stazione alpina, i quali avrebbero del resto dimostrato una precipitazione più ab- bondante e più frequente. (Vedi tavola XIII). La sola differenza tra le condizioni naturali e quella delle mie esperienze, è data talora dalla persistenza della caduta d’acqua ; la quale in queste, era incessante per tutta la durata dell'esperimento, in quelle è soggetta a remissioni più o meno prolungate (Vedi ta- bella IX). i In alcune esperienze (n. 59-70) ho cercato di rendermi conto della influenza di tali interruzioni, ed ho potuto constatare che esse sono pressochè nulle per sè stesse, e che gli effetti che le sospen- sioni del periodo piovoso esercitano sul terreno, non possono essere altri che quelli dipendenti da un essicamento più o meno forte della superficie; fenomeno del quale ho già discusso a lungo l’im- portanza. A chiarimento di quanto è indicato nella tabella testè riportata, occorre rilevare alcune condizioni delle quali si deve tener conto, sia allo scopo di poter ripetere esperienze di controllo, sia per ben valu- tare 1 risultati che ho riferito. 45 mm. di odo e inn parte ani della vo superiore | di essi cadeva in fini goccie e ad intervalli regolari l’acqua piovana; si formava così una corrente discendente avente per punto di par- tenza detto centro, ed espandentesi a cono inferiormente. Nella mas- sima parte dei casi per la tenuità delle particelle terrose e per le forti azioni capillari, che avevano luogo nei fini meati, la corrente si espandeva così rapidamente, da potersi praticamente considerare come occupante tutto il cilindro. Ma nei terreni assai porosi, come quelli sabbiosi, per l’assai minore attrito incontrato dall’acqua di- scendente, quella si espandeva assai più tardi verso le pareti del cilindro, e perciò gli strati superficiali nella loro parte periferica, non potevano considerarsi come ben dilavati dalla pioggia cadente ‘ nel centro dell’area del cilindro. In tal caso uno spostamento anche piccolo in direzione radiale, determinava perciò un dilavamento di strati ancora ricchi, per dir così, e quindi un innalzamento della ‘concentrazione. Mm bobab DI Ta ————______P_ ———_———————————mm I DI ‘Fig. 4. — Schema della distribuzione dell’acqua che cade sopra un punto della superficie superiore di un cilindro di terra a meati assai ampii (I) o fini (II). 0 sì può Sedan dalle figure schematiche, in un terreno molto poroso, la corrente d’acqua caduta in A oa intatte, o quasi, le parti A B De ACE, parti che saranno tanto maggiori quanto più poroso è il terreno, e tanto minori inversamente nei terreni a scarsa porosità, per l'attrito assai maggiore che incontra la corrente. Quindi uno spostamento del punto di caduta dell’acqua in A' determinerà l'asportazione dallo spazio morto dei sali contenuti in A4' B' €, sE RIA OR ICE 7 a ii; mi Taio A APE à Rit FR la det) v ida REA, \ NE, re asportazione la quale può produrre delle variazioni brusche nella pi. percentuale delle diverse frazioni del liquido pedolitico. Di molto minore importanza saranno gli spostamenti nei casi di terreni a porosità assai scarsa. Un saggio sperimentale facendo uso, p. e., di sabbie di diversi gradi di finezza, dimostrerà la verità dell’asserto. Io, nella massima parte delle esperienze, ho sovrapposto alla superficie del cilindro di terra un grosso batuffolo di cotone idrofilo, onde allargare per quanto era possibile, l’area sulla quale arrivava l’acqua. Ho pure fatto uso in alcuni casi di lunghe canne di vetro di 80 em. x 25 mm., nelle quali, essendo così assai ridotta l’area della sezione, l’errore dovuto allo spazio morto era assai ridotto. Le espe- rienze n. 1 e quelle n. 59-70, sono state appunto fatte con tale me- todo; ma non ho voluto eseguirle tutte così, perchè, dovendo ridurre notevolmente la velocità di afflusso di acqua in conseguenza della riduzione dell’area di terra ricevente, occorreva un tempo estrema- mente lungo, per operare il dilavamento in una colonna di terra di circa 70 cm. di altezza. Mi sarei così nelle modalità della tecnica allontanato di troppo dalle condizioni in cui eseguivo le altre espe- rienze di pedolisi, le quali venivano fatte in tubi di 25 cm. di altezza, perchè tale era approssimativamente l’altezza dello strato, nel quale raccoglievo il campione di terra da esaminare. Del resto all’infuori dei terreni sabbiosi, i risultati sono perfet- tamente esatti, anche nelle esperienze eseguite con i tubi da 45 mm. di diametro. Le cifre della penultima colonna dimostrano la quantità di li- quido che si potè estrarre per pressione .al termine dell’esperienza, e possono servire, con una certa approssimazione, a indicare la capa- cità idrica del campione studiato. Più sopra si è visto quanto interesse abbia la capacità idrica nel trattenere o nel lasciare le soluzioni, che sì formano special- mente nei terreni secchi al sopravvenire delle pioggie. Le indica- zioni date dalla quantità del liquido pedopiezico, sono solo appros- simative, perchè alla quantità di liquido da me indicata, bisogne- rebbe aggiungere quella della quantità di acqua che permane nel suolo anche dopo pressione; ed inoltre per una determinazione esatta della capacità idrica del terreno, sarebbe stato necessario raccogliere il campione in modo da non disturbare per nulla la compattezza della massa di terra, e i rapporti mutui delle particelle, cosa pratica- mente impossibile nel mio caso, nel quale i numerosi saggi raccolti provenivano talora da detriti ghiaiosi, fessure di rupi ecc. Tuttavia poichè la quantità di liquido ottenuta colla torchiatura. ar ia e ‘rappresenta per lo meno il minimo di acqua necessaria per satu- rare il suolo, e quindi per permettere l’asportazione delle soluzioni formatesi, la misura di essa può dare un’idea esatta delle condizioni, nelle quali vengono a trovarsi le radici rispetto ai sali del terreno, dopo una pioggia di breve durata, che non superi la capacità idrica del suolo. Premesse queste osservazioni, si può iniziare l’esame dei risul- tati della tabella. Dopo una pioggia di 20-25 mm., il liquido di scolo ha una con- centrazione relativamente alta, che per lo più corrisponde al mas- simo delle concentrazioni che si osservano per tutta la durata della pioggia. Tale massimo, che è relativamente assai basso nei terreni silicei freschi dei luoghi montuosi, e in generale nei terreni di brughiera, e non supera, come già dissi il 0,50 %,; va elevandosi in quelli si- licei essicati (n. 31-38); è più alto in quelli calcari, e tra questi si osservano;delle concentrazioni minori in quelli calcari dei luoghi montuosi, che in quelli dei luoghi più bassi e più riscaldati. Pure alta è la concentrazione dei liquidi scolanti dai terreni coltivati, e di questi i più secchi danno liquidi che superano di molto quelli dei terreni calcari; elevatissima è poi la concentrazione dei liquidi che scolano dai substrati abitati dalle flore ruderale o alofita. Ma questo non ha nulla di nuovo, e corrisponde perfettamente a quanto già risulta dalla tabella III Coll’asportazione delle sostanze disciolte, in conseguenza della persistenza della caduta delle pioggie, si manifesta in grado note- vole la differenza tra i diversi tipi di terreni. In quelli abitati dalle flore ruderale o arvense, l'abbassamento della concentrazione è rapidissimo già dopo altri 10 mm. di pioggia, molto minore è invece l’abbassamento che si verifica nei terreni abitati da associazioni diverse da quelle testè accennate, e special- mente in quelli permanentemente freschi o per ragioni climatiche o perchè ricoperti da un fitto rivestimento erboso. Così procedendo il dilavamento prodotto dalla pioggia, si con- stata, che mentre nei terreni a flora peralicola ogni porzione di liquido ha una concentrazione notevolmente inferiore a quella della por- zione precedente, in quelli calcari, o silicei, non impregnati di clo- ruri o di nitrati, la concentrazione rimane pressochè costante; le oscillazioni in più o in meno che si vedono indicate nella tabella, sono .solo di qualche centesimo per ogni 1000 gr. d’acqua e sono perciò trascurabili, quando si pensi che tutti i calcoli di queste ri- cerche sono fondati sopra pesate, nelle quali occorre tener conto ‘anche dei decimi di iaiiizino: SELE che; pur essendo. esegui colla massima cura, possono sempre subire qualche inesattezza ope-o rativa. S: osserverà che alcuni terreni calcari e silicei presentano degli ab- bassamenti notevoli all’inizio della pedolisi: ma si tratta di terreni scoperti, aridi e secchi sopra pendii di rupi (n. 47), o abitati da una flora con carattere sub-ruderale o rupestre (n. 25); comunque, queste concentrazioni di sali che si manifestano solo negli strati superfi- cialissimi, cessano affatto ad una piccola profondità, dove si osserva la concentrazione relativamente costante col progredire della pedolisi. Ma se i terreni calcari e silicei conservano costantemente nei liquidi pedolitici una certa concentrazione, anche col persistere a lungo della pioggia, la concentrazione è sempre alquanto più ele- vata nei primi che nei secondi; e ancor più la si deve ritenere, di quanto risulti dai semplici dati numerici qui addotti, quando si pensi che nell'acqua cadente durante l’esperienze, assai più scarsa è la quantità di C O,. Di questa l’azione solvente è assai più intensa sui calcari che sulle roccie silicee, e si deve considerare inoltre che i liquidi pedolitici dei calcari sono per la massima parte vere e proprie soluzioni, mentre ciò non sì può dire dei terreni si- licei, secondo quanto dimostrano le esperienze di dialisi più volte ricordate (1). Questa avvertenza vale a spiegare la concentrazione relativamente forte dei liquidi pedolitici del campione 31, i quali furono quasi sempre opalini anche dopo prolungate filtrazioni e decantazioni. I terreni marnosi, così differenti fisicamente dai calcari, coin- cidono pure con essi per il loro comportamento alla pedolisi; quelli magnesiaci manifestano il comportamento intermedio, appunto per la scarsa solubilità dei suoi costituenti. Una notevole costanza di concentrazione si osserva pure nei li- quidi sgocciolanti dai terreni umiferi (esperienze 44, 45, 46, 56, 57), ell in questi è notevolmente bassa anche in senso assoluto, fatto questo che concorda del resto colla osservazione comune delle ana- logie della flora dell’ humus con quella della silice. (1) Riguardo alla solubilità delle roccie calcari trascrivo dall’opera di Vi- NASSA (Geologia agraria, p.127) alcuni dati di Houdaille (Mineralogie agricole Paris, 1900) sulla attaccabilità specifica dagli acidi di alcune diverse roccie cal- caree: Marna pliocenica a rognoni 1,350; Tufo quaternario poroso 0,882; Mol- lassa 0,745; Calcare neocomiano terroso 0,525; Dolomia cavernosa 0,439; Cal. care dolomitico cristallino, 0,487; Calcare conchigliare terziario 0,407; Calcite spatica 0,262; Dolomia porosa (Cargneule) 0,168; Aragonite prismatica 0,168; Calcare nerastro dolomitico 0,00508; Dolomia ferruginosa 0,00202. — Un poco maggiore è la concentrazione del liquido scolante dei campioni n. 17 e n. 58, pure riccamente organici; e maggiore an- cora è quella che si verifica nei campioni 14, 15, 16 pure ricca- mente organici. Senza entrare per ora nell’esame delle cause e del significato che ha una tale elevata concentrazione, mi limito a ri- levare quanto lentamente si verifichi la discesa nella ricchezza di residuo secco; lentezza perfettamente comprensibile, data la notevo- lissima capacità acquifera di tali terreni. E del resto la ricchezza di materiali organici nel suolo, è un coefficiente importantissimo nel regolare l’abbassamento della concentrazione col persistere delle pioggie, e basta comparare le esperienze 10 e 13 sopra terreni a flora alicola, con quelli 1-7 e 11 su terreni a flora pure alicola, ma con scarso detrito organico e scarsa capacità idrica. I terreni argillosi, pure a grande capacità idrica, cedono lenta- mente anch’essi le loro soluzioni (esp. n. 7,8, 18, 19), anche dopo caduta prolungata d’acqua; e si noti che nelle esperienze da me fatte, tutta l’acqua caduta era obbligata ad attraversare la terra, mentre nelle condizioni ordinarie la poca permeabilità di un tale substrato, facilita lo scorrimento di una parte dell’acqua caduta o la permanenza di molta parte di essa negli strati superficiali. Il comportamento di una parte dei campioni esaminati rispetto alla caduta prolungata dell’acqua, dimostra una notevole costanza nelle condizioni dei liquidi, che in essa vengono a trovarsi. Quanto in questa stabilità nella concentrazione delle soluzioni si debba alla notevole capacità idrica di alcuni terreni, quanto alla lenta solubi- lità dei componenti minerali del suolo (1), e quanto al contrasto tra potere assorbente e potere dializzante o idrolizzante dell’acqua, non è facile determinarlo. Per il primo fattore ho già indicato più sopra il modo di agire, e testè ho pure esaminato gli effetti della diversa capacità idrica sulla resistenza al dilavamento; pel secondo i dati riportati dal Vinassa e del resto anche quelli delle macerazioni da me riferiti in principio del lavoro, danno un’idea dell’importanza che esso può esercitare. Per la determinazione del terzo fattore, l'incertezza è ancora più grande; alcune delle esperienze riportate nelle tabelle possono valere a contribuire a chiarire l’interessante argomento. (1) Cfr. un riassunto della questione in VinAssAa DE REGNY. Sul comporta- mento dei minerali nel terreno, Staz. sper. agr. ital. 1908, XLI, p. 51, e anche CAMERON F. K. a. BeLL M. J. The mineral constituents of the soil solution, U. S. Dep. of. Agric. Bureau of. Soil. Bull. 30. AA SE A Ao + D per tutto il peri pa ma nei campioni 25 e 26° "x in quelli 59-70, sospesi per un certo periodo di tempo la caduta del- l’acqua, in modo da osservare se alla ripresa della pedolisi sì veri- ficasse una variazione notevole della concentrazione. Anzi nelle esperienze n. 59-70, di ogni campione riempivo tre lunghi tubi di diametro assai ristretto (mm. 25), ma di capacità eguale a quella de’ soliti tubi larghi; dei tre tubi così riempiti di identica terra, l’uno veniva sottoposto a pedolisi ininterrotta: l’altro dopo 5 giorni di pedolisi, veniva lasciato a sè per 10 giorni; ed il terzo veniva trattato nello stesso modo, ma con una interruzione di un mese. Per evitare che eventuali fermentazioni microbiche potessero dare luogo alla formazione di acido nitrico, e quindi ad un aumento di sali solubili di origine diversa da quella che volevo valutare, aggiun- gevo ogni tanto alla terra qualche goccia di etere, i cui vapori, se non avevano azione disinfettante, potevano sospendere ogni attività bacterica. D'altra parte la presenza di etere non poteva nè rendere di per sè solubili alcuni sali del terreno, nè lasciare residui dopo l’evaporazione dei liquidi pedolitici. I risultati non sono stati molto netti, e la concentrazione dei liquidi di sgocciolamento alla ripresa della pioggia non ha variato gran che: tuttavia si nota nella massima parte dei saggi una lieve diminuzione nella concentrazione, la quale farebbe pensare ad un riassorbimento delle sostanze disciolte, che avrebbe luogo per parte della porzione solida del suolo: e ciò sia pel potere fisico assorbente dei colloidi (esp. 65-70), sia per eventuali nuove reazioni tra i diversi zeolitoidi, in causa della concentrazione così profondamente alterata del liquido ambiente (esp. 59-64). Che la ipotesi alla quale accenno non sia fuori di luogo, stareb- bero ad indicarlo i saggi n. 48 e 51; nel primo di questi, si ha uno scheletro costituito in massima, parte da ossidi di ferro; nel quale per origine stessa (scarica di miniera di calcopirite), non mancano silicati d’allumina, provenienti dalla reazione dell’ H, SO, sulla ganga pietrosa, e una certa quantità di solfati; tuttavia, grazie al- l’intenso potere assorbente dell’idrato di ferro, la concentrazione dei liquidi di scolo sì mantiene sempre assai bassa, come lo dimostra del resto il carattere della vegetazione che vi cresce sopra, e sulla quale mi soffermerò a suo tempo. Nell’altro campione, intorno allo scheletro sabbioso del detrito morenico, si sono andati accumulando i prodotti di reazione dell’humus acido superficiale della brughiera, colla parte minerale del suolo ; prodotti che, come è ovvio imma- LI PICASSO EMO cina dimostrano LE TRI): le aisi 1) sono Noci di a di o: e più ancora di sali d’alluminio. In entrambi questi campioni la concentrazione del liquido di pedolisi si è andata progressivamente abbassando fino a un minimo, corrispondente a quello solito dei terreni a flora gelicola, e succes- sivamente si è venuta di nuovo gradatamente elevando nelle ul. time porzioni. L'aumento costante e graduale al quale accenno, im- pedisce di pensare che si tratti di un semplice errore, tanto più che anche il carattere del residuo è andato pure cambiandosi; mentre dapprima si aveva un residuo amorfo per le mescolanze della parte cristallina con un abbondante residuo ocraceo, coll’aumentare della concentrazione il residuo è venuto assumendo un aspetto nettamente cristallino, e con reazioni dei sali d’alluminio. Si trattava di quantità minime che non permettevano un esame più accurato. Ognuno sa quanto intensa sia l’azione idrolizzante dell’acqua sopra i sali d’alluminio, onde risulta ovvia la spiegazione che, nel caso di questi due campioni, il persistere del dilavamento per la pioggia e la conseguente bassissima concentrazione da essa pro- vocata, ha determinato l’idrolisi dei materiali alluminiferi conte- nuti nelle terre. Fino a che limite la spiegazione, che è ovvia in questi casi, sì possa estendere ad altri tipi di terra, è questione assai ardua che non tenterò nemmeno di risolvere. Si può ritenere adunque che, rispetto all’azione prolungata della pioggia, esistano due grandi gruppi di terreni; quelli dell’uno su- biscono rapidamente dei notevoli abbassamenti di concentrazione fino a raggiungere un limite che è determinato dalla composizione chimica fondamentale dello scheletro del suolo, siliceo o calcare. Raggiunto questo limite essi si comportano come quelli del secondo gruppo, nel quale, a parte un lieve abbassamento iniziale, la con- centrazione sì mantiene press’a poco costante e relativamente bassa per tutto il periodo della caduta della pioggia. Il ristabilirsi di concentrazioni più elevate durante le sospen- sioni più o meno prolungate del periodo piovoso, è un fatto che non si verifica per la sospensione in sè stessa, ma solo per l’en- trare in giuoco dei fattori esaminati nei precedenti paragrafi, ele- .vazione per capillarità delle soluzioni profonde, essicamento, fat- tori biologici ecc. (1) Cf. GRAEBNER P. Die Heide Norddeutschlands, Leipzig, 1901; GRAEBNER u. v. BENTHEIM. Handbuch d. Heidekultur, Leipzig, 1904; RAMANN E. Boden- kunde 1I. Auflt., Berlin 1905; HENRY E. Les sols forestiers, Paris 1908. Corri vito. Lea i LI VU Neto #0} di »A, " VII. — | fattori biologici della concentrazione dei liquidi del terreno. È sufficiente una breve enumerazione per rendersi ragione della. loro importanza. Il mantello vegetale che ripara il suolo da un eccessivo riscal- damento superficiale e da una eccessiva ventilazione, esercita una azione ritardatrice sull’essicamento, sottrae col capillizio radicale una certa quantità di sali alle soluzioni che vi ascendono, ed agisce in tal modo come moderatore dell'aumento della mineralizzazione delle soluzioni. D'altra parte, trattenendo una quantità notevole di acqua di pioggia, che poi se ne allontana coll’evaporazione, ne modera l’azione dilavante, e, nel trattenere le acque di condensazione della rugiada che cade in piccola parte sul suolo, difende dall’evaporazione un poco dell’acqua in esso contenuta. È vero che una influenza notevole sulla perdita di acqua per parte del suolo, la esercita appunto la vegetazione coll’intenso as- sorbimento radicale; ma tale funzione ha luogo solo quando il ter- reno è ancora relativamente umido, e le piante non hanno ancora messo in giuoco tutte le disposizioni atte a moderare la traspi- razione. La funzione protettiva del mantello vegetale si esercita invece ancora più a lungo, ed anzi allora è più efficace, perchè è in questo periodo che hanno luogo la disidratazione dei colloidi, il formarsi delle efflorescenze saline, ecc. Morto tutto o una parte del rivestimento vegetale, i suoi detriti aumentano la capacità idrica del suolo, correttivo egualmente etfi- cace contro l’essicamento ed il dilavamento troppo rapidi, permet- tendo così al terreno di trascorrere senza alterazioni eccessive 1 pe- riodi intercedenti tra l’una e l’altra pioggia (1). Quanto alla microflora del terreno, la sua influenza è pure note- vole; i processi di nitrificazione valgono efficacemente a mettere in circolazione materiali dapprima insolubili o poco solubili, e, poichè i microrganismi non possono funzionare se i prodotti di ossidazione dell'azoto non vengono fissati da una base, assai più attivo sarà (1) I forestali hanno da tempo riconosciuto quanta influenza abbiano i ri- vestimenti di muschi sulla superficie del bosco nell’alterarne le proprietà edafiche, nel senso che è impedita in parte la discesa delle acque dei minori periodi di pioggia, e il rimescolamento del suolo per parte dei piccoli animali, con danno notevole della aereazione e consecutiva degradazione del suolo. DE can nie. in si troppo. acidi, o in cuì le Di sono troppo puote mente fissate, silice, silicati, terreni umiferi acidi. Ne Sura così che il processo di nitrificazione effettua una esa- gerazione di solubilità nei terreni più ricchi di basi e quindi di sostanze solubili, rispetto a quelli poveri di basi. Questo aumento stabilisce così una nuova distinzione tra i terreni calcarei o calcareo dolomitici e quelli silicei in quanto alla capacità di dare soluzioni più o meno concentrate. Gli altri organismi inferiori e le radici delle piante superiori, la cui attività da luogo alla formazione di C O,, costituiscono pure un gruppo di agenti capaci di aumentare la pressione osmotica delle soluzioni, sia per la CO, come tale, disciolta nell’acqua, sia per la formazione dei bicarbonati alcalino terrosi solubili. Azione importante esercitano pure i micelii fungini e i mieror- ganismi, ai quali si deve l’umificazione delle sostanze organiche; processo altamente, utile che favorisce la costanza della concentra- zione delle soluzioni del suolo. Ma anche il valore positivo dei fattori biologici non si verifica sempre in modo costante; la secchezza del suolo, o le basse tem- perature, provocano il rallentamento e l’arresto della funzionalità dei microrganismi, donde la imperfetta ossidazione delle sostanze organiche sui terreni aridi e montani, e il conseguente accumulo di humus sulle brughiere aride e montane. Anche la sospensione della vegetazione per la secchezza estiva, provocando la distruzione della parte aerea di molte piante, lascia allo scoperto il suolo, e ne riduce in tal modo la difesa contro l’es- sicamento. È così che riappare sotto un nuovo aspetto il valore grandissimo che il clima esercita sopra le soluzioni del suolo. Un interesse notevolissimo non più sulle proprietà del terreno nel breve periodo di una stagione, ma piuttosto nel lungo volgere dei decenni, ha il rivestimento vegetale sulle modificazioni delle pro- prietà osmotiche del suolo. Già la permanenza prolungata di specie perenni sopra un sub- stratum, provoca, colla protezione dall’urto delle pioggie, dall’espan- dersi di correnti fangose o sabbiose, col trattenere il suolo mediante il fitto feltro delle radici, una stabilità notevole ed un equilibrio | meccanico delle particelle del suolo; equilibrio che dà luogo a sua volta al permanere di tutti i prodotti tenuissimi e insolubili di de- gradazione, diminuendone così la porosità, aumentandone la capa- cità idrica e il potere assorbente. ANNALI DI BorAnICA — Von. VIII. i 21 Y D'altra parte l’azione della C 0, emessa dalle radici, e degli acidi. | organici provenienti dalle parti morte, facilita la degradazione della. parte scheletrica, e l'asportazione in misura più 0 meno grande delle sostanze solubili che ne risultano; altre di queste sono por- tate all’esterno dal sisteraa radicale, e non sempre restituite allo stato di copertura morta. L'ascesa dei liquidi per capillarità, è resa sempre meno impor- tante pel diminuito potere evaporante della superficie, riparata dal coperto vegetale vivente o morto, e ne risulta così che i sali even- tualmente esistenti in profondità vengono riportati in alto in mi- sura sempre minore. Si ha così un depauperamento progressivo del terreno superfì- ciale, una diminuzione delle sostanze solubili, onde a poco a poco la stessa vegetazione se ne risente in grado notevole; così che l’opera continua del coperto vegetale agisce nel senso di diminuire sempre più la concentrazione delle soluzioni, e renderne meno ampie le oscillazioni dovute al clima. È a queste cause che si deve la successione delle vegetazioni sopra un medesimo suolo. VIII. — L'azione del clima sulle concentrazioni dei liquidi del suolo. Dei due elementi fondamentali, i sali e l’acqua, il mutuo rap- porto dei quali, sotto la influenza dei fattori che sono venuto enu- merando, determina la concentrazione delle soluzioni del suolo, i primi sono, come è ovvio, in dipendenza diretta della natura chi- mica e fisica delloscheletro del terreno, ma l’acqua lo è invece degli agenti climatici. È strano che mentre il fattore climatico è stato tenuto in gran- dissimo conto dai fitogeografi per il suo valore, del resto indiscutibile, sulle piante in sè, e sulla distribuzione degli organismi vegetali, l’in- fiuenza del clima sul terreno, come tale, sia stata così trascurata. Così anche l'osservazione che i fenomeni così spiccati di calcifilia e di calcifugismo nell'Europa centrale, vanno diminuendo di rilievo nelle regioni più calde, è stata spiegata piuttosto come una prova che l'organismo vegetale in se stesso può compensare le diverse con- dizioni dell'ambiente terreno, e non come un argomento per ritenere che il differente clima agendo sul terreno, possa modificare, fino a un certo punto, le proprietà dipendenti dalla sua composizione chimica. La prima spiegazione non è affatto da escludersi, come sì vedrà più avanti, ma, nel maggior numero dei casi, anche il terreno su- bisce delle modificazioni notevoli sotto l'influenza del clima. \ nti 1009: sono venuto fin qui enumerando. Temperatura. — La pressione osmotica delle soluzioni segue, per ciò che riguarda la temperatura, la legge di Gay Lussac, e tanto più esattamente quanto più esse siano paragonabili ai gas perfetti; la fortissima diluizione delle soluzioni del terreno permette appunto di considerarle sotto questo aspetto. Le oscillazioni della temperatura del suolo, hanno dunque per ef- fetto, oltre che di aumentare la solubilità di alcuni corpi, o di dimi- nuirla per altri (p. e. CO, in acqua), anche quello di rendere variabili le condizioni osmotiche nelle quali si trovano le radici. : Gliabbassamenti forti di temperatura provocano, mediante il gelo, uno spostamento notevole delle particelle terrose, lo rendono assai più soffice, aumentandone così la capacità idrica. È nota a tutti l’in- fluenza notevole e benefica che il gelo ha nei migliorare le proprietà del terreno agrario. L'azione poi che la temperatura ha sull’attività dei microrga- nismi del suolo, determina indirettamente la nitrificazione, e quindi l'aumento di salinità di alcuni terreni; in altri casi facilita la di- struzione graduale delle sostanze organiche, (humus delle piante, terriccio che ospita le arboricole); in altri ancora, colla diminuita attività microbica nei luoghi a climi freddi, (media annuale 6°-8°), favorisce l'accumulo di sostanze organiche dapprima, poi lo sviluppo rigoglioso degli sfagni, e la formazione dei substrati torbosì delle tor- biere di foresta (Hochmoore). Oltre a ciò l’innalzamento della temperatura provoca una mag- giore evaporazione di acqua, e la conseguente concentrazione dei liquidi del suolo; ma in questa evaporazione hanno azione anche altri agenti climatici. Atmosfera. — La fisica insegna che l’evaporazione di una massa liquida a superficie libera, aumenta quanto più alta è la tempera- tura dell’aria, quanto più basso è il suo grado igrometrico, e quanto più l’aria è mossa. Diminuisce quando umidità e pressione vanno aumentando. Mentre le variazioni della pressione atmosferica non sono di tale importanza da avere effetti notevoli nel campo di questi studi, le variazioni dell'umidità relativa possono influire notevolmente sulla evaporazione dell’acqua dal suolo, e la conseguente concentrazione delle soluzioni. Così non è necessario insistere sull'importanza del movimento del- | E perciò che io mi intratterrò alquanto ad esaminare l’importanza «dell’azione del clima sul suolo, esame del resto assai facile, quando si tenga conto dei risultati delle osservazioni e delle esperienze che Re eo Ero AIR eh a ano: PARO ua si 35 Or a 4 x — 890 = È F l’aria sulla velocità daieerazione e quindi Salle. variazioni elia pes: concentrazione delle soluzioni del suolo; basta pensare che l’aria. che sì trova in contatto colla superficie del suolo umido, è sempre satura di acqua, e che il rinnovamento continuo di questo strato ha la parte principale nel processo di essicamento. Passando ora ai fenomeni di condensazione dell'umidità atmo- sferica, occorre prendere in considerazione anzitutto la pioggia. Mi sono già diffuso più addietro sugli effetti della caduta della pioggia sul suolo, e non rimane ora da esaminare che i differenti regimi pluviali che possono avere interesse per l'argomento del quale mi occupo (1). La caduta della pioggia può aver luogo con notevole frequenza, e in modo, per dir così, regolare per tutta o buona parte delle stagioni dell’anno, come sì verifica specialmente nell'Europa centrale o nord- occidentale, o nelle regioni montuose elevate, oppure subisce delle variazioni stagionali assai notevoli. Sono le pioggie frequenti del- l'Europa settentrionale che permettono le caratteristiche associa- zioni dei prati naturali e dei pascoli. Tale regime di pioggia ha per effetto di annullare e di mitigare notevolmente tutti gli effetti della evaporazione eccessiva. Si può dire che in queste regioni l’acqua ha costantemente nel suolo un decorso discendente, onde le solu- zioni saline che per diverse cause si vanno in esso formando, e non possono venir trattenute, vanno inevitabilmerte allontanate senza più risalirvi. Il regime invece di frequenza di pioggie variabile colle sta- gioni, dà luogo ad un movimento di discesa delle soluzioni solo in periodo di pioggie prolungate, movimento di discesa che, come ho detto più sopra, è in relazione con molte altre proprietà fisiche e chimiche del suolo. . In conseguenza di questa discesa e del consecutivo allontana- mento dei sali, i terreni che per composizione chimica non hanno delle riserve solubili da sostituire a quelle che l’acqua asporta, ven- gono rapidamente depauperati. Ecco la notevole proprietà che hanno i terreni calcarei, anzi quelli a calcare fortemente solubile (2), nei quali sono pressochè inesauribili fe riserve che mantengono relativamente elevata la concentrazione; sono questi i soli tipi di terreno nei quali la con- centrazione dei liquidi sì mantiene massima durante i periodi di (1) Per la nomenclatura adottata qui e in seguito, riguardante i tipi cli. matici, ho seguito la recentissima opera: De MARTONNE, 7raité de Géographie physique. — Paris, 1909. (2) Vedi nota a p. 312. Pt Rd i LR i st oe i x oggia. I terreni silicei risentono pure di poco gli effetti della | pioggia prolungata, ma hanno assai bassa la concentrazione; i sa- lati, nitrati, ecc. risentono al massimo grado gli effetti di un tale regime. In regioni soggette a questo tipo climatico, la pioggia subisce delle sospensioni di durata più o meno lunga, in modo che, se i ma- teriali di dilavamento sono immobilizzati ad una certa profondità, col ristabilirsi del tempo secco una parte almeno di essi, può risa- lire alla superficie colle acque che si vanno poi sperdendo nell’at- mosfera coll’evaporazione. Così le variazioni stagionali della frequenza delle pioggie determi. nano una doppia corrente di discesa e di ascesa di materiali solu- bili, in rapporto colla caduta e coll’assenza della pioggia; tale flusso e riflusso avrà oseillazioni tanto più ampie quanto maggiore sarà lo spessore di terra dilavato dalle pioggie, o viceversa interessato dal- l’essicamento, quanto più cioè i giorni piovosi e quelli di secco sa- ranno raggruppati in pochi periodi ben distinti dell’annata. Si potranno così avere delle alternative di secchezza e di umi- dità, entro lo spessore di pochi centimetri dalla superficie del suolo di un campo, nell'intervallo di forte insolazione tra due giornate estive temporalesche, e quelle amplissime che, quando le condizioni fisiche lo permettano, si osservano nelle regioni a regime pluviome- trico subequatoriale, tropicale o anche mediterraneo. Sono queste oscillazioni che spiegano come la cosidetta appe- tenza delle piante pel calcare si manifesti piuttosto nelle regioni a regime pluviometrico delle alte latitudini, che in quelle a re- gime mediterraneo o tropicale; nelle prime la relativa frequenza delle pioggie mantiene una bassa concentrazione molecolare delle soluzioni in tutti i terreni, salvo che nei calcari, nei quali cioè le riserve solubili sono ‘praticamente inesauribili; nella seconda in- vece le occasioni di elevazione di salinità sono assai frequenti in molti tipi di terreni, per poco che le condizioni orografiche e fi- siche lo permettano. Queste oscillazioni stagionali nella frequenza « e nell’ intensità della caduta delle pioggie hanno un interesse grande pel nostro studio; si può dire che in tutta la superficie della terra il termine del periodo di quiescenza dei vegetali coincide con un prolungato "dilavamento del suolo. È soltanto quando il suolo è bene inzuppato d’acqua, e quindi dilavato, che l’altro coefficiente indispensabile per la vita, il calore, può contribuire a risvegliare l’attività dei proto- plasmi quiescenti, e, finchè le riserve acquee (climi a regime pluvio- metrico subequatoriale, tropicale, desertico, mediterraneo), o l’al- ea et Ae e DA REV ne E Lp da Où " cd Va LN 4 di F i DPar è c vi Ù Eu: È 4 ea ui . d h rl 4 2.04 aa n : ” $ } = vr . Pi ‘ (0) x Per — 822 — RE ni 4 tezza della temperatura lo permettano, (clima mediterraneo p. p., climi. temperati freddi) il movimento vegetativo procede ininterrotto. Si deve perciò considerare il terreno dilavato come l’ambiente eda- fico, nel quale i fenomeni periodici annuali della vita vegetale hanno il loro inizio. Così, senza soffermarci a esaminare le condizioni della vegeta- zione nei paesi a regime pluviometrico della zona tropicale o dei monsoni, per le quali io non ho competenza a giudicare, noi vediamo che nei paesi dell'emisfero nord a regime pluviometro mediterraneo, l’intensità e la frequenza delle pioggie vanno diminuendo al termine dell'inverno, per raggiungere il minimo nella stagione estiva, e ri- prendere poi in quella autunnale. E appunto al termine del massimo: dilavamento prodotto dalle pioggie autunno-invernali, che, col con- corso della temperatura ascendente sì inizia il grande periodo vege- tativo, il quale sì sospende col sopravvenire del regime desertico, che in detta zona sì osserva durante i mesi estivi, e si riprende poi con intensità minore, quando le ripetute pioggie autunnali hanno abbas- sato la concentrazione dei liquidi del suolo, e la temperatura, che non ha ancora raggiunto il suo minimo, permette una certa attività dei protoplasmi. Insisto però qui nell’affermare che il dilavamento del suolo e la ri- presa della vegetazione hanno fra loro una relazione solo di coinci- denza, e solo in parte, come si vedrà più oltre, di causa e di effetto. Nei paesi a regime pluviometrico delle latitudini elevate, dove l'orografia esercita una influenza notevole sulla frequenza delle pioggie, non sì ha, quasi, una vera stagione secca, ma solo una o più stagioni di meno intensa precipitazione atmosferica. Questi periodi in una gran parte della valle padana sono due, quello estivo e quello invernale; di quest’ultimo tuttavia non si può tener conto nel massimo numero dei casi, perchè in questo tempo il suolo non sì può rasciugare completamente delle pioggie cadute in autunno, e gli apparati radicali non sarebbero del resto in grado di approfit- tarne per le basse temperature. Nelle latitudini più elevate, dove il periodo di massima della pioggia ha luogo nella stagione estiva, noi vediamo esplicarsi l’azione prevalente del calore nella distribuzione delle piante preferenti un substrato a concentrazione relativamete alta. È del resto in questi climi freddi che l’insufficiente distruzione dei detriti organici può, Mr, Mali, per l'aumento di humus, permettere l'indipendenza della vegeta- zione dalla composizione mineralogica del substrato minerale. (Quanto ai brevi periodi piovosi che intervengono in piccola mi- sura nel corso dell’annata nei paesì a clima mediterraneo, in misura assorbite dal suolo possano raggiungere una grande profondità. Quindi i sali da esse trascinati rimangono sempre nello spessore di terreno occupato dalle radici, in uno stato di concentrazione varia- bile coll’intensità della pioggia e colle condizioni fisiche del suolo. Le precipitazioni atmosferiche sotto forma di neve, hanno valore nel campo dell’edafismo, in quanto la lentezza, colla quale l’acqua viene fusa e allontanata, permette un molto maggiore assorbimento per parte del suolo, cogli effetti più volte accennati. Da ciò risulta che il periodo di dilavamento autunnale viene in certo modo con- tinuato e collegato con quello primaverile (almeno per i climi della regione silvatica). Quantungue di importanza assai secondaria, non sono trascurabili le precipitazioni atmosferiche minori, la rugiada e la brina, spe- cialmente quest’ultima, in quanto nella stagione autunnale e inver- nale, contribuiscono in talune località, colla loro abbondanza o pe- nuria, a mantenere o a ridurre l’umidità del suolo, provocando così lo stabilirsi o l’annullarsi delle condizioni edatiche favorevoli alle piccole isole di vegetazione in attività anche durante l'inverno. Quest’ultimi fatti a cui ho accennato, sono piuttosto d’indole locale, e portano così all’esame non più dei fattori climatici generali, come si è visto più sopra, ma di quelli di aree assai ristrette, la cui importanza è grandissima nel determinare il carattere delle stazioni. È noto come i fattori climatici locali agiscano meglio dove meno uniforme è la orografia della regione, e perciò lo studio di essì porta a esaminare il clima delle regioni montuose nei riguardi dell’edafismo. L’azione dell’insolazione diventa sempre più intensa quanto più aumenta l’elevazione, poichè la rarefazione dell’aria ne diminuisce la capacità calorifica, e permette ai raggi termici di giungere in maggior quantità al suolo. Ne risulta che i luoghi soleggiati, per il notevolissimo innalzamento di temperatura, perdono molto più ra- pidamente l’acqua che contengono; e quelli non soleggiati e esposti solo alla irradiazione notturna, mantengono una temperatura assai più bassa. E non è ignota ad alcuno la notevole differenza di tem- peratura e di vegetazione che si osserva sopra i due versanti di una valle, specialmente se sia orientata nel senso dei paralleli. La differenza di esposizione porta così in un caso ad una fre- schezza continua del suolo, e ad una relativa costanza di condizioni edafiche, che contrasta colle oscillazioni frequenti che si osservano nei luoghi soleggiati. I movimenti dell’aria sono molto più frequenti nei luoghi mon- tuosi, che in quelli pianeggianti e lontani dal mare, e favoriscono »* | così Rain Pi a Se se pifi sia ostacola Ù rivestimento erboso. lay Il regime pluviometrico della catena alpina e della Valle ‘padania consiste in un autunno piovoso e nevoso, in un inverno piuttosto secco, e di nuovo in una primavera piovosa, alla quale succede un'estate altrettanto frequente di pioggia e di secco. Ora per la permanenza della neve durante l'inverno, e per la bassa temperatura che tiene in quiescenza le piante, il periodo di dilavamento risulta lunghissimo, dall'autunno alla primavera avan- zata: è solo nei pochi mesi della primavera-estate delle Alpi, che il terreno può considerarsi non sempre saturo di acqua; ed è in questo periodo che la ventilazione e l’insolazione esercitano la loro massima influenza, non sufficiente però a far sì che durante i brevi in- tervalli che intercedono tra l’una e l’altra precipitazione atmosferica, 1 liquidi del suolo abbiano a subire modificazioni troppo profonde. Ciò principalmente per la grande capacità idrica del suolo, do- vuta alla grande massa di humus, che in molte stazioni delle re- gioni montuose si va accumulando a causa della bassa temperatura. Del resto se si toglie qualche specie rupestre, la quale però af- tonda le sue radici notevolmente nelle profondità delle fessure (e vgnuno sa quauto sia sviluppato nelle piante alpine e artiche l’ap- parato caulinare e radicale sotterraneo), la massima parte delle piante subalpine e alpine vivono in un regime edafico di concentrazione costante. La flora più spiccatamente alicola, mentre nella zona montana e submontana si osserva talora alle falle delle rupi e dei grossi massi, è limitata nella zona alpina alla immediata vicinanza del- l’uomo, e sopratutto presso i detriti accumulati dal bestiame pasco- lante, ove il grande e continuo apporto di materiali solubili, per- mette (come dimostra il saggio riportato al n. 20 della tab. XVI), la permanenza. prolungata di concentrazioni relativamente alte. Del resto l’abito delle specie che ivi sono raccolte mostra già, nella no- tevolissima diminuzione dei caratteri di xerofilia, una diminuzione notevole di quella secchezza fisiologica che è normalmente data dai liquidi del suolo ad alta concentrazione molecolare. IX. — Orografia e Tectonica. Non si tratta, sotto questo titolo, di studiare la configurazione in grande della superficie del suolo, o la disposizione e la direzione degli strati che compongono ì massicci rocciosi, ma solo le piccole ondula- zioni, gli orientamenti diversi degli strati in un’area anche ristretta, fig È “ i «Lralerto ira TESNRA ETA a SAS o ti x ) pe 9950 e : : | it È ro al r y | possono ADRIA un allicuto per le radici delle piante rupestri, e quelle piccole variazioni che possono permettere alle associazioni ve- getali di distribuirsi, anche a piccola distanza, in varie stazioni di- stinte. Tutto ciò ha importanza in quanto per azione della capillarità, o più spesso della gravità, è possibile un afflusso o un etfflusso dell’acqua in grado diverso, avendosi così per effetto un più o meno rapido essicamento, e il conseguente innalzamento o abbassamento della concentrazione salina dei terreni, indipendentemente dalle altre con- dizioni, di composizione chimica, clima, ecc. Nel terreno pianeggiante o a superficie mollemente ondulata, i fe- nomeni di afflusso o deflusso delle acque si succedono nel modo come ho più sopra esaminato; anzi tutta la lunga analisi che ho fatto nel corso del lavoro, riguarda essenzialmente il terreno pianeggiante o quasi, come quello nel quale assai minori sono le cause perturbatrici delle diverse reazioni che si svolgono nel suolo. Resta ora da considerare il modo col quale le condizioni normali sono perturbate, sopra i terreni a pendio più o meno accentuato. Poichè, come si è visto, il dilavamento è tanto più intenso quanto più rapida è l’asportazione delle soluzioni formatesi al cadere della pioggia, ne viene che una località situata nella parte più alta di un pendio viene proporzionalmente assai più depauperata di sali, che una pianeggiante, e può dare ricetto a una flora meno alicola (1). Ma assai spesso l’acqua assorbita nello spessore del suolo, torna & riapparire alla superficie nella parte inferiore del pendio, aumentan- done così la salinità, di tanto, quanto è diminuita quella della zona superiore; così si osserva alla base dei tagli naturali, delle scarpate, dei muri a secco la permanenza di una leggera umidità e l’apparire su di esse di una flora a caratteri diversi da quella della parte so- vrastante. Talora il fenomeno descritto è assai più ampio e collegato colla tectonica delle roccie, la cui elevazione determina il pendio; si tratta allora di vere e proprie falde prodotte p. e. dal contratto dei de- triti superficiali colla roccia in posto, o dalla presenza di fessure, (1) Sui colli di Torino presso il Bric del Duca (Superga), osservai un pic- . colo cocuzzolo su terreno sabbioso o conglomeratico (E/veziano), per la sua po- sizione e porosità piuttosto dilavato, sul quale si era stabilita una colonia di Rhacomitrium canescens Brid, specie eminentemente xerofilo-gelicola, mentre alle falde del cocuzzolo stesso, dove l’umidità proveniva da pendii incombenti, si trovava abbondante Hy/ocomium splendens Br. Eur. RE aa ate dali ri i SENO le quali apportano l’acqua proveniente dal dilavamento di roccie lontane (1). 2, Talvolta invece la disposizione degli strati o delle fessure porta ad un assorbimento dell’acqua di pioggia, e quindi ad un allontana- mento continuo a grandi profondità dei prodotti di dilavamento su- perficiale, preparando l’ambiente ad una vegetazione gelicola (2). In altri casì il succedersi di stratificazioni marnose e arenacee così frequenti, p. e. nelle formazioni terziarie dell'Appennino, determi- nano sulle pareti dei grandi tagli, le stratificazioni per dir così, di associazioni meno alicole, e dipendenti dai caratteri del suolo im- mediatamente vicino (sulle marne), e altre più alicole in rapporto con i dilavamenti talora assai lontani negli strati sabbiosi. Così spesso sulle rupi di gneiss sì vedono delle stratificazioni, delle quali le testate sono volte verso l’alto e ospitano una flora gelicola, salvo che in corrispondenza delle fessure provenienti dai corruga- menti, e intersecanti gli strati più o meno obliquamente. Tali fessure sono caratterizzate da una vegetazione leggermente alicola, e tal- volta addirittura alicola. Queste sono in rapporto colle acque di dila- vamento lontano, quelle con la roccia immediatamente vicina. Ne risulta così che la flora delle rupi è strettamente legata alla compattezza delle roccie, alla abbondanza delle sfaldature e delle fes- sure, alla inclinazione degli strati, ecc. Pure in relazione colla orografia e la tectonica del terreno, stanno la presenza e la profondità delle falde acquee, dalle quali il suolo può per capillarità sollevare, e per evaporazione concentrare, notevoli quantità di sali, onde sulle ripe dei corsì d’acqua, dei fossi, degli stagni sì possono osservare delle fascie di associazioni vegetali caratteri- stiche, e più alicole di quelle situate più lungi, o in immediato con- tatto colle acque. Tutte queste disposizioni che si possono osservare uniformi per grandi distese di pianure o di pendii di monti, o diversissime e in contrasto fra loro sulla superficie di una rupe in via di degradazione, ci permettono di distinguere sotto questo rispetto la superficie del suolo in tre categorie, che potremo chiamare di scorrimento, quando l’inclinazione e la poca permeabilità del suolo provocano lo scorri- mento della massima parte dell’acqua che vi cade, e quindi un dila- (1) Un tipico esempio di questo comportamento fu osservato e riferito da CaLestANI V. La vegetazione nei dintorni di Orvieto. N. G. Bot. It. N. Ser. XIV 1907 (2) In valle di Susa presso Meana dove le testate degli strati di calce- schisti sono inclinate all'insù, è sufficiente una degradazione affatto superti- ciale della roccia per rendere possibile l’atteechimento del castagno. lA e ei ale) ‘3 , e È” d- amento degli strati affatto superficiale, mentre, quelli situati a mi- nima profondità non se ne risentono quasi; di filtrazione quando la scarsa o nulla inclinazione fa sì che l’acqua di pioggia venga in gran parte o totalmente assorbita dal suolo, onde si verifica un dila- vamento delle particelle terrose; ed infine una di raccoglimento, nella quale oltre all'acqua di pioggia si raccolgono le acque più o meno mineralizzate risultanti dallo scorrimento sulle superfici più elevate o dalla filtrazione attraverso strati pure più elevati. Queste superfici di raccoglimento sono talora molto ricche di acqua, ma spesso semplicemente umide, o talora l’acqua vi perviene in misura insufficiente rispetto alla evaporazione; si hanno così ta- lora perfino delle ettlorescenze. I tagli naturali o artificiali nei terreni sciolti o nelle rupi, rappre- sentano assai spesso le località tipiche, nelle quali si osservano tali superfici aride di raccoglimento. X. — 1 substrati delle stazioni delle idrofite e delle elofite. Nella mia memoria sopra i rapporti tra le piante ed il suolo più volte ricordata, io ho fatto rilevare che alle quattro categorie di piante meso- o xerofite distribuite secondo la concentrazione delle soluzioni saline del suolo, colle quali sono in rapporto, corrispondono quattro categorie di piante idrofite. Tutte le osservazioni che ho fatto in seguito mi hanno piena- mente confermato in tale opinione; debbo però aggiungere altre con- siderazioni per mettere meglio in evidenza i rapporti tra queste e le stazioni dei terreni emersi più o meno secchi. To avevo già indicato come mezzi per l'indagine quantitativa la determinazione della durezza delle acque, e avevo allegato le ragioni che mi facevano ritenere esatto questo metodo. In questo lavoro avendo esteso l'indagine quantitativa ai liquidi del terreno, ho sottoposto questi, per le ragioni prima esposte, alla determinazione della percentuale del residuo solido; ed anche per le acque ho voluto fare la determinazione del residuo solido, onde avere dei dati comparabili. Per maggiore esattezza ho però controllato in quanto corrispon- dessero le determinazioni idrotimetriche con quelle del residuo secco, e nella tabella X son raccolti dei dati illustrativi di queste relazioni. Nella prima colonna ho posto le cifre riguardanti il residuo secco %., nella seconda quelle sul contenuto in ossido di calcio ed eventualmente di magnesio (tra parentesi), nella terza, i gradi di du- rezza tedeschi. | ica, da aualiarie Kato TR e e ho raccolto niolla” letterati a ._ idrologica. SE | Risulta evidente da ciò lo stretto rapporto tra painicrali siii , Son delle acque, e presenza in esse di ossidi alcalino-terrosi, onde, se si ec: cettuano le acque clorurate, il metodo della determinazione della du- rezza può servire con molta approssimazione per lo studio edafolo- AG | gico delle acque, in sostituzione di quello più lungo e difficile dello 1 studio del residuo solido. Io utilizzerò quindi indifferentemente tanto i dati idrotimetrici, che quelli del residuo secco, a seconda che nel corso delle mie osser- vazioni in sito, ho avuto la convenienza di ricorrere all’uno o all’altro metodo di indagine quantitativa. Relativamente rari sono îi casi nei quali le grandi masse acquee possono subire delle variazioni di concentrazione sensibili per la vita vegetale; ciò si verifica invece per le raccolte minori, paludi, stagni, lagune, ecc. durante la stagione secca. Noi sappiamo però che, almeno nella regione temperata fredda, l’attività della vegetazione idrofita si manifesta con un, notevole ritardo sopra quella meso- e xerofita, e ne viene che nella stagione piovosa, che è anche la più fredda, le piante acquatiche rimangono in quiescenza. Anche in questo caso si verifica il fatto della coinci- denza dell’inizio del movimento vegetativo, coll’inizio dell'aumento della concentrazione delle acque. Non è da tener conto qui della flora dei fontanili, essendo le acque sorgive tra le più costanti, anche rispetto alla loro compo- sizione chimica. L'abbassamento della concentrazione coincide colla stagione delle grandi pioggie, e, nei nostri climi, col periodo di pausa iemale della vegetazione; esso viene quindi ad avere poca importanza per la vegetazione. Inoltre non si tratta mai di bruschi abbassamenti, perchè l’acqua sopravveniente non si sostituisce completamente a quella preesistente, ma ha luogo piuttosto una diluizione di questa, onde la diminuzione del contenuto in sali ha luogo piuttosto se- è È condo il tipo L ” : ” nie (Vedi cap. V). ‘ Se il metodo idrotimetrico può dare ottimi risultati per lo studio della distribuzione degli organismi sommersi o immersì per la mas- sima parte, esso non serve affatto per lo studio della flora igrofita, nella quale cioè solo l'apparato radicale è in diretto rapporto col- l’acqua e col limo palustre. Dove il sistema assorbente si svolge nel terreno estremamente lel in ore, e la obra Iifogna rendano sica dente la vegetazione dalla struttura mineralogica del fondo della DI raccolta acquea. Ma questo caso è assai raro; avviene invece assai più frequentemente che i prodotti dell’attività microbica degli or- ganismi del limo palustre, e in particolare la C O,, provochino la solubilizzazione in grado maggiore dei composti minerali, onde aumenta la quantità di sostanze disciolte. D'altra parte la scarsa mobilità dell’acqua nel limo palustre mantiene intorno alle radici una concentrazione, che è sempre più elevata che non quella dell’acqua libera. Occorre perciò nello studio delle condizioni edafiche delle piante palustri non sommerse tener conto della mineralizzazione dell’acqua del limo e non di quella soprastante. (V. tab. XII). Mentre poi nel caso della flora natante o sommersa la mine- ralizzazione a base di elementi alcalino-terrosi ha una importanza distributiva notevole, essa è assai minore per le piante immerse solo per l’apparato assorbente. Se negli ambienti delle idrofite le oscillazioni delle concentra- zioni mancano, o sono così lente da non avere effetti notevoli, assai diversi sono i fatti che si osservano nel suolo abitato dalle piante elofite. Per la assai minore massa acquea, le evaporazioni, anche di mi- nore importanza, esercitano la loro influenza in un maggior nu- mero di casi, moderata solo dalla grandissima capacità acquifera dei materiali organici e argillosi accumulati nel fondo dei bacini di acque ferme, o lentamente scorrenti, dove appunto più sensibili sono gli effetti dell’evaporazione. Anche in questi terreni si ha un aumento di concentrazione salina paragonabile a quello che si osserva nei terreni asciutti, e pure in questi casi la pioggia, direttamente, o il sopraelevarsi delle acque nei bacini limitrofi, operano il dilavamento dei liquidi più concentrati. Tuttavia questi innalzamenti non sono molto intensi nelle sta- zioni bagnate da acque dolci, e ciò per la piccola quantità di ma- teriali solubili ivi esistenti all’infuori dei sali di calcio, i quali sono poco solubili. È perciò solo in presenza di acque salate che le variazioni as- sumono una forte intensità, e proporzionatamente sono assai più sensibili gli abbassamenti. Una particolare e grandissima oscillazione di concentrazione nelle stazioni uliginose, è quella che si verifica quando l’essica- $ » AR CEN MEA GI CI A A ; mento del limo del fondo sia completo, in modo da dar luo una massa crostosa o addirittura ad un materiale polverulento. È allora che, probabilmente, per le profonde alterazioni dei composti colloidali e zeolitoidi del limo, divengono libere quantità notevoli di sali solubili, alla presenza dei quali è dovuta, colle più lievi pioggie, la formazione di liquidi a concentrazioni forti, e la comparsa di una flora affatto caratteristica (Tab. XVI, n. 27). È nota del resto a tutti la grande fertilità dei luoghi palustri bonificati, dei polders, ecc. Le cause che danno luogo alla formazione dei sali solubili sì possono riunire in due gruppi, le une agenti rapidissimamente, le altre assai più lente. Al primo gruppo si debbono ascrivere la perdita delle facoltà assorbenti dei colloidi essicati, la rottara dell’equilibrio tra i gels del terreno e l’acqua che va progressivamente evaporandosi. Al se- condo gruppo l’ossidazione degli ossidi di ferro al minimo, dei pro- dotti acidi di torbificazione, la nitrificazione dei composti azotati. Ma queste ultime cause se esercitano dopo un certo tempo una notevole azione, e forse la principale, sono pressochè nulle nei primi tempi che seguono all’essicamento, allorchè il limo è ancora cemen- tato in una massa crostosa poco permeabile all’aria. In alcune mie esperienze ho provocato l’essicamento rapido del limo palustre, con un abbondante sgocciolamento dapprima, e poi coll’esposizione su ampia superficie all’aria. Sottoposti i campioni a pedolisi, ho ottenuto degli aumenti fortissimi nella concentrazione dell’acqua di sgocciolamento, non certo causato dai deboli fenomeni ossidativi che si possono verificare in così breve lasso di tempo; -le cifre che riporto ne sono un esempio. $ ©. SPA d (°° ate ln an A e da SO Pda PC RI F c £ perl et LR A VE Di è I PMRTE Lui Va Palude a Troffarello (Torino) conc. °/.. (1) 2,10 4,27 1,02 Altra palude id. id. 0,90 3,10 1,54 Vasca di coltivazione dei Nelumbium nell’Orto Botanico 1,28 5,93 2,48 Questo terreno che ne risulta, se coincide, per la località nella quale si manifesta, con quello delle stazioni elofite, va considerato però come legato non a questo tipo di stazione, ma piuttosto a quello delle meso e xerofite. Su tale argomento tornerò in altra parte del lavoro. (1) I tre numeri riportati per ogni campione si riferiscono: il primo al li- quido di sgocciolamento del limo prima dell’essicamento, il secondo al liquido pedolitico, dopo l’essicamento, ed il terzo a quello pedopiezico. go adi bi; L} or ; edafici, corrispondenti a quelli della flora meso e xerofita già da me IRE, Asbhono adunque =, Rielio stazioni idrofite dei tipi idicali e determinati dalle concentrazioni delle soluzioni che vi si trovano. Nell’acqua che forma l’ambiente alla vegetazione idrotita la concentrazione si mantiene praticamente costante; invece nelle stazioni delle elofite si potranno avere concentrazioni variabili o costanti, a seconda della composizione chimica dell’acqua, del clima e della topografia della stazione. XI. — Classificazione dei terreni in relazione colle soluzioni che li imbevono. L'esame del terreno che io ho eseguito. mediante il metodo di ricerca indicato nell’inizio del presente lavoro, porta a conchiudere che esistono nel suolo dei rapporti diversissimi tra la quantità di sostanze saline disciolte o immediatamente solubili, e l’acqua che vi circola; rapporti 1 quali, secondo quanto ho dimostrato in altro la- voro, debbono avere una influenza notevole nella distribuzione delle piante nelle differenti stazioni. Questa influenza essenzialmente osmotica provocata dalle solu- zioni saline sull’apparato assorbente delle piante, spiega, con molta maggiore approssimazione di quanto non sì sia fatto finora, le mo- dalità ancora oscure, secondo le quali le piante avrebbero appetenza per la calce, la silice, ecc. Se questa approssimazione maggiore si è potuta raggiungere, ciò non si deve tanto all'osservazione di fatti nuovi isolati, quanto all’aver tenuto conto non di un solo fattore, o di pochi, come hanno fatto la maggior parte dei fitostatici, ma di tutto un complesso di elementi d’osservazione. Non basta in un terreno esaminare la composizione chimica 0 la capacità idrica, o quella termica, ma occorre esaminare tutti e tre i fattori, e oltre a questi molti altri, studiarne uno per uno l’importanza in sè e in rapporto cogli altri, e, dopo un’accurata di- samina, trarne, come sintesi, gli elementi per determinare la con- centrazione delle soluzioni che vi si trovano. Ma la vita delle piante non si esplica solo in quel determinato momento nel quale si fanno le osservazioni; essa dura per un pe- riodo più o meno lungo, durante il quale possono mutare le esi- genze delle piante stesse, onde ne deriva l’importanza di valutare 1 caratteri delle soluzioni del suolo non solo in un momento, ma in modo da potere conoscere come esse si sono formate, e come audranno modificandosi per l’avvenire. Così p. e. le cia Sdafiche di u uns Draba verna o de: Arabis Thaliana, che cempiono il loro ciclo vegetativo tra l'autunno e la primavera, non sono le medesime di quelle richieste da un Erigeron canadense o da un Chenopodium album che pure cresce su un medesimo luogo incolto. Per queste piante è sufficiente che le condizioni loro favorevoli durino per un’annata, perchè possa com- piersi il completo loro ciclo vitale; mentre p. e. per la Plantago lan- ceolata, pure caratteristica dei luoghi incolti, ma perenne, occorre che le condizioni edafiche ad essa favorevoli vi rimangano tali per un periodo maggiore di tempo. Maggiore ancora deve essere questo periodo, per le specie arboree. Quindi, occorre anzitutto vedere se, data una composizione mi- neralogica del suolo, sì possano in esso trovare più o meno dei ma- teriali solubili, se le condizioni di permeabilità del suolo stesso ne permettono l’asportazione per mezzo dell’acqua. Allora bisogna sta- . bilire se le condizioni climatiche apporteranno sulla superficie del suolo l’acqua necessaria e in quale misura; dalla determinazione di questa misura dipende se il terreno sarà dilavato totalmente o no, se i sali arriveranno a una grande profondità, o resteranno @ poca distanza dalla superficie. Per conoscere ciò occorre determi- nare se il suolo è fortemente poroso, ghiaioso, o ha uno strato roc- cioso inclinato, che allontana per scorrimento l'acqua che vi per- viene. Supposto che ciò non sia e che le soluzioni saline restino trattenute in uno spesso strato di terreno sciolto, occorre conoscere se è possibile che si verifichi un periodo di secco, capace di permet- tere l’ascesa delle soluzioni formatesi in profondità. Data questa possibilità, occorre che l’influenza di questo periodo meteorologica- mente secco, sia accompagnata da una esposizione favorevole della località, e che sopra questa non sì trovi, p. es., uno spesso strato di musco, che formi quasi una barriera tra l'atmosfera e l’acqua profonda (1). Ammessa anche questa condizione favorevole, dalla probabile durata del periodo di secco si potrà arguire quanta parte delle ri- serve acquee profonde, e quindi delle soluzioni saline, potrà ve- nire concentrata alla superficie, e per quale spessore, giacchè non tutte le associazioni vegetali interessano un uguale spessore di terreno. Si deve infine tener conto del periodo di tempo pel quale tali oscillazioni della concentrazione dei liquidi del suolo, coincideranno col periodo di attività assorbente delle piante ivi crescenti. (1) Henry E. — Les sols forestiers. Paris, Nancy 1908. A Son ea i Si tratta cioè di una serie di fatti numerosissimi e concatenati fra loro, dei quali occorre tener conto, cosa per nulla difficile, es- sendo accessibile all'osservazione accurata di qualunque naturalista. Poichè l’indirizzo attuale della fitogeografia mira a tener conto non solo delle forme degli organi dei diversi vegetali, ma anche del loro significato biologico e della loro funzione fisiologica, in relazione coll’ambiente luce, coll’ambiente calore, coll’umidità, ecc., occorre anche tener conto della funzione delle radici nel terreno. E come per questo indirizzo moderno della fitogeografia, sì sono approfonditi di molto gli studi sulla influenza delle variazioni mi- nime di calore, di luce, ecc. sui vegetali, così occorre approfondire di molto l’esame del terreno, nel quale la semplice influenza come agente nutritizio, è favorita o ostacolata da molte altre reazioni se- condarie. In tale esame del terreno noi non possiamo procedere con un semplice metodo fisico, o chimico, come si trattasse di una cosa bruta da analizzare; è appunto seguendo tali metodi che gli agrarii hanno avuto tanti risultati contradditorit; perchè hanno studiato la terra dopo averla essicata, trattata con reagenti chimici varil, dopo averla cioè sottratta alle condizioni naturali nelle quali real- mente si trova. | Nello stesso modo che la chimica vegetale ci ha insegnato ben poco per la fisiologia, fino a che ha studiato le piante indipenden- temente dallo stadio di sviluppo, o dalle funzioni o dalle condi- zioni di ambiente degli organi che si analizzavano, così il terreno va studiato come cosa viva, perchè non solo in esso per opera di organismi inferiori, sempre presenti, e quasi sempre attivi, sì vanno svolgendo importanti reazioni vitali, ma perchè anche quella parte non organizzata che sta intorno allo scheletro del suolo, presenta, per la sua stessa labilità ai più delicati agenti fisici e chimici, quelle caratteristiche particolari che, se formano le massime dif- ficoltà per la tecnica dello studio, permettono lo svolgersi lento e continuo delle più complicate reazioni chimiche. Prescindendo dalla classificazione del terreno secondo le sue pro- prietà meccaniche, la cui influenza non è trascurabile, come quella che permette p. e. in un terreno sciolto meglio che in uno compatto lo sviluppo a lunghi rizomi, o a grosse radici o a cauli tuberizzati, 1 terreni sì possono classificare secondo le proprietà delle soluzioni, quali essi possono contenere. Attenendomi alla nomenclatura già da me adottata per le piante secondo le loro preferenze per determinate concentrazioni, propongo di dividere i terreni in peraloidi, aloidi, geloidi e perzeloidi, te- ANNALI DI Boranica — Von. VIII. — 22 PIL, - % Hi i A | nendo di mira cioè sil fatto della pci in essi di sua Y stanze capaci di moderarne l’azione osmotica. Tenendo conto del- 9 À l’importanza notevole che la stabilità o l’incostanza delle soluzioni del suolo esercitano sulle piante, 10 propongo di suddividere cia-. scun tipo di terreno, in terreni eustaticìi, a concentrazione cioè co- stante, e anastatici (1) cioè a concentrazione variabile. SCHEMA DELLA CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI secondo la concentrazione delle soluzioni in essi contenute. Î Peraldidi \ anastatici | Î \ anastatiche (conc. sup.a2 °/w) (2) | eustatici ‘ peralicole) | statiche Aloidi \ anastatici È \ anastatiche z | (cone. sup.a 0,50°/,) | eustatici As drei Di ig eustatiche a Var quali cre- # statici pi \ sceranno # s Geloidi | anastatici | rispettiva- 7 | anastatiche (2) , Hi . Efi 0.50 - 0.20 °/..) | N: mente: G. | gelicole « i conc. U, - 0,20 °/o0) | eustatici . | eustatiche Pergeloidi | aAnastatici | anastatiche DA E Gi per- gi (cone inf. a 0,20 °/x) Ì RES i gg geticole | eustatiche PARTE SECONDA. Considerazioni generali. Se sì procede ad una graduatoria dei fattori, la cui influenza pre- siede alla distribuzione delle forme vegetali sulla superficie del globo, sì può constatare che, mentre i fattori climatici occupano i primi ter- mini della serie, a quelli topografici si debbono piuttosto le cause che determinano gli aggruppamenti minori delle piante. Così è nelle formazioni, e più ancora nelle associazioni, che noi osserviamo l’azione preponderante del terreno; nelle prime, piuttosto a causa della sua conformazione fisica e della sua orografia, nelle seconde, per effetto delle proprietà delle soluzioni saline che le im- bevono, (1) Da eVordoeta, stabilità e da avxor4o:5 spostamento (dei materiali solubili). (2) Nella misura della concentrazione si deve tener conto delle sostanze disciolte e non dei colloidi, che possono dare un residuo solido, ma non sono osmoticamente attivi. RR lano nel terreno sul sistema assorbente delle piante, e quelli che ‘operano sulla parte assimilatrice e traspirante, cioè chiamata a ela- borare le sostanze assorbite dall’apparato radicale. È perciò che noi dobbiamo considerare la stazione, come l’ambiente nel quale si equi- librano, per una determinata specie vegetale, quelle condizioni di assorbimento e di elaborazione che sono necessarie allo sviluppo della pianta. Ognuno sa quanto complesse siano le condizioni che si osser- vano nell’ambiente epigeo di una pianta, e, riguardo a quello edafico. ciò che ho scritto più sopra, vale a dare una idea della complica- zione non meno grande che vi si osserva. Ed io non posso che ripetere quanto già scriveva De Candolle: (1) < La classification des stations des plantes, qui, a la maniere dont elle est exposée dans la pluspart des livres, semble fort simple, est en rgalité fort compliquée et peu susceptible d’une exactitude rigoureuse... Il existe cependant des données générales dans les stations, de sorte qu'il est utile de les distinguer lors méme qu'on ne peut faire avec rigueur ». In questa seconda parte del mio lavoro io cercherò appunto di caratterizzare, e poi di classificare, le diverse stazioni vegetali, te- nendo conto della natura dei liquidi che imbevono il terreno. Tale classificazione è già stata tentata più volte da molti fitostatici, ma, a mio parere, tenendo conto di un numero troppo limitato di elementi, per poter giungere a deduzioni conformi al vero. Ed agli elementi di indagine, ricordati nella prima parte del mio lavoro, e riguardanti il suolo per sè stesso, occorre aggiun- gere quelli dipendenti dalla morfologia e dalla fisiologia dei vege- tali che vi crescono. Essi riguardano specialmente la difesa esercitata dalle piante contro l’eccesso di concentrazione delle soluzioni del suolo, oppure la coincidenza tra le condizioni edafiche favorevoli e le esigenze delle piante pel loro normate sviluppo. Per ciascun tipo di terreno, quale ho classificato secondo le so- luzioni che essi possono contenere, passerò in rivista le principali stazioni che vi appartengono e le associazioni che vi sono caratte- ‘ristiche. Quantunque io abbia cercato di utilizzare il più possibile le (1) DE CANDOLLE A. P. — Essai élémentaire de geographie botanique. (Dict. Sc. Nat. Vol. XVIII) Extr. p. 29. Paris, 1820. È 1 pi; bito de n sui TOR ‘osservazioni degli da non ho potuto RSA trattazione mol ‘ completa delle stazioni proprie di climi differenti dal nostro. 0 È già noto che le piante delle saline possono ottimamente svi- lupparsi in contatto con liquidi di minor concentrazione, così pure quelle del calcare possono svilupparsi su terreni silicei, vale a dire, anche in questo caso, una pianta alicola può molto spesso svilup- parsi in terreno geloide. Inoltre, poichè la variabilità di concentrazione dei liquidi del suolo costituisce una condizione sfavorevole all’adattamento di una pianta ad un dato ambiente edafico, non tutte le piante capaci di cre- scere in un terreno eustatico possono trovarsi anche in uno anastatico. All’incontro la stabilità delle concentrazioni permette una molto più ampia adattabilità delle piante; così che una medesima specie può incontrarsi in stazioni differenti a far parte di associazioni eda- ficamente distinte. Sarebbe stato mio desiderio il far coincidere, almeno con’ una certa approssimazione, i gruppi di associazioni, quali furono classi- ficate dagli ecologi, con i gruppi di stazioni, quali si possono di- stinguere mediante uno studio accurato delle proprietà delle solu- zioni del terreno; ma dovetti persuadermi della impossibilità di tale tentativo. Come in una qualsiasi classificazione naturale, 6 classificazioni delle associazioni sono state fatte tenendo conto di numerosi carat- teri, dei quali quello edafico non ha sempre un valore principale. Anzi perchè solo nelle stazioni salate l’importanza del fattore edafico si manifesta in tutto il suo valore, si tiene conto di esso solo a pro- posito delle alofite, mentre negli altri gruppi di associazioni l’im- portanza di questo fattore, ancora incerta e discussa, viene assai poco utilizzata. Di più, se si debbono giudicare i concetti che hanno guidato gli autori delle moderne classificazioni ecologiche, si deve rilevare che nei diversi gruppi da essi stabiliti, i caratteri utilizzati non sono per nulla comparabili. Così nella II" ed. tedesca dell’opera di Warming (1), tre dei gruppi di associazioni (igrofite, xerofite, mesofite) sono fondati sulla pre- senza in grado maggiore o minore di acqua nel terreno, senza te- nere conto della misura della sua mineralizzazione; mentre il quarto gruppo (alofite) è fondato unicamente sulla mineralizzazione delle soluzioni del substrato, senza tener conto della quantità di acqua che è a disposizione delle radici. (1) WarminG E. — Okologische Pflanzengeographie. JI Aufl. — Ber]. 1902. | scun a gruppo sonar associazioni affatto omogenee, ma i fi gruppi non sono fra loro distinti da caratteri omogenei; così per . alcuni si tiene conto del fattore fisico quale è quello della presenza di acqua in forte eccesso (idro- e elofite), per altri delle proprietà chi- . miche del substrato (oxilofite e alofite) oppure di quelle termiche (psicrofite), o infine di quelle meccaniche (lito- psammo- e chersofite), per altre delle condizioni climatiche (eremo- e psilofite), per altre infine dei caratteri morfologici e floristici delle specie costituenti le associazioni (sclerofille e conifere). Sotto i rispetti edafici queste classificazioni non possono essere adottate, perchè, p. e. le associazioni caratterizzate dalla Calluna, ver- rebbero comprese in due gruppi, della Psammofite e della Oxilofite. Così è per le associazioni proprie deiluoghi salati, delle quali Warming (1) pone una parte nel gruppo delle idrofite, e l’altra in quello delle alofite, che però è costretto a suddividere in sotto- gruppi, che sono una ripetizione di quelle delle associazioni non alofite; così ritroviamo a proposito delle alofite le associazioni delle elofite (Mangrove), delle psammofite, delle litofite. Data l'indole del mio lavoro, io terrò conto precipuo dei carat- teri edafico- osmotici per distinguere i grandi gruppi di stazioni, in ciascuno dei quali, sono ospitate diverse associazioni caratterizzate sia da fattori climatici, che morfologici. Dal complesso di quanto verrò esponendo, si vedrà che anche il dare una così grande importanza all’edafismo, rispetto agli altri fat- tori ecologici, è giustificato dal fatto che spiega la stretta affinità che unisce floristicamente delle stazioni che hanno carattere clima- tico affatto differente. In altra parte del presente lavoro verrò analizzando le cause che possono agire come compensatrici di condizioni edafiche non del tutto appropriate allo sviluppo di date specie vegetali; ma si deve fin d’ora tener conto che una delle cause principali che determi- nano la sensibilità dei vegetali alle condizioni del terreno, sta nello squilibrio tra funzionalità del sistema assorbente e quella del si- stema traspirante. Ad un primo gruppo sono perciò da ascrivere le associazioni costituite da piante galleggianti o sommerse, nelle quali cioè lo squilibrio è ridotto al minimo; sono queste le idrofite di Warming. In un secondo gruppo vanno poi radunate le associazioni di piante aventi il sistema assorbente affondato in un suolo, il quale (1) WarminG E. — 0ecology of Plants. Oxford, 1909. RR — (ste “SE s Rn o almeno inzuppeto Ariementa” d’ on di pg” ‘ponte 20 stantemente privi di aria; sono le associazioni palustri che Warming _ chiamò elofite. - | Vengono poi le associazioni proprie .di stazioni emerse, che sì possono suddividere in due gruppi; quelle che si svilupparo su ter- reno con un certo grado di umidità costante, e nel quale una grande parte degli interstizi tra le particelle terrose è occupato da aria; e quelle che si trovano su terreni che per periodi più o meno lunghi sono fisicamente secchi. Fino a un certo punto questi due gruppi potrebbero paragonarsìi a quelli delle meso- e delle xerofite, ma sotto queste denominazioni sì intendono associazioni vegetali, nelle quali le condizioni di forte o dì media secchezza sono determinate, non solo dalle proprietà fisiche del terreno, ma altresì da proprietà chi- miche di esso o dall'ambiente climatico. Così il termine di xerofita è già utilizzato per indicare piante adattate a condizioni, sia di secchezza fisica del suolo, sia di sec- chezza chimica, o a basse temperature, o a illuminazione eccessiva ; il termine mesofita ha un significato piuttosto negativo rispetto alle condizioni estreme che caratterizzano l’ambiente delle xerofite. Poichè il dare nuovi significati a termini di nomenclatura già adottati, ha per risultato di creare delle confusioni, io seguirò per una classificazione edafologica delle associazioni, una terminologia nuova, la quale pur riferendosi unicamente alle condizioni del suolo, abbia una certa affinità colle classificazioni ecologiche già adottata dai fitogeografi. I. Pedo idrofite; stazioni di piante sommerse o galleggianti (com- parabili alle idrofite di Warming Ecology). II. Pedo elofite; stazioni di piante aventi l'apparato assorbente in terreno sommerso, 0 fortemente inzuppato d’acqua e poverissimo d’aria (comparabili alla elofite di Warming Ecology, più le stazioni palustri di alcune associazioni delle alofite di Warming Ec., come quelle delle Mangrove, ecc. III. Pedo mesofite; associazioni di piante crescenti su terreno emerso, avente molta parte dei suoi pori occupati da aria, e prov- visto costantemente di un certo grado di umidità. Corrispondente alla mesofite di Warming, più oxilofite, psicrofite, parte delle alofite (praterie marittime, ecc.). VI. Pedo werofite; associazioni di piante crescenti su terreno emerso avente i pori occupati da aria, rapidamente asciugabile, e che permane lungo tempo asciutto; comparabili alle litofite, chersofite, psammofite, eremofite, psilofite, e parte delle alofite di. Warming. i fa ARE, "ITA PPT OC RETTEA VERRI ui "2 Ga CTR SVEN ta 1 % RL Ie 0: En __—»peralicole, alicole, ASA pergelicole, e queste rispettivamente i in anastatiche e eustatiche. Nella denominazione di anastatiche o di eustatiche si deve tenere stretto conto del periodo, nel quale si svolge l’attività assorbente della pianta in quella determinata stazione; poichè durante il periodo di quiescenza poca influenza possono avere le condizioni edafiche. ÎI: Stazioni delle Pedoidrofite. Nelle piante sommerse o galleggianti, la grandissima superficie del sistema assorbente provoca una mineralizzazione assai rapida degli elementi cellulari, favorita in:ciò anche dal fatto della scarsa quantità di sostanze utili per la pianta, e dalla mobilità estrema dal mezzo ambiente. Ne viene che in queste stazioni, oltre che l’azione semplicemente osmotica, è da tenersi in conto l’azione mineraliz- zante sulle membrane e sul plasma, per parte specialmente della funzione di veicolo della C O, esercitata dal bicarbonato di calcio delle acque, e dell’ossigeno, esercitata dagli ossidi di ferro e di man- ganese (1). (V. Tab. XI). Data la speciale tendenza dei bicarbonati alcalino- terrosi a de- porsi allo stato di carbonati in prossimità degli elementi assimila- tori, e degli ossidi metallici in genere, a precipitare colle sostanze pectiche (e ognuno sa quanto abbondanti siano queste sostanze nelle piante), si deve ammettere una certa influenza della composizione chimica delle acque sulla distribuzione delle idrofite. Ma tale in- »fluenza va limitata nel senso che ho testè indicato, cioè per i composti che possono entrare in combinazione chimica con i tessuti (ossidi metallici, carbonati di calcio e di magnesio); perchè come si vedrà, il cloruro di sodio può essere rimpiazzato in parte da cloruro di ma- gnesio, o da carbonato di sodio, o può anche mancare, senza che, per alcune specie, si osservino profonde differenze rispetto alla distri. buzione. a) peralordt. Si osservano essenzialmente nelle acque ricche di cloruro so- dico, più di rado in quelle contenenti cloruro di magnesio (2) o (1) GoLa G. — Studi sulla funzione respiratoria nelle piante palustri. An- nali di Bot. V. 1906, p. 441. (2) LoprIorE G. — Studi comparativi sulla Flora lacustre della Sicilia. — Catania, 1901. Il L. di Pergusa, del quale è ivi studiata la flora, è molto ricco di cloruro di magnesio. Per acque aventi altre mineralizzazioni ricorderò i Soda Laken è 4 ct carbonato di sodio, solfato di sodio, sube ecc., che Hanno una con- centrazione superiore al2%o;1 limifi superiori della mineralizzazione sono dati per lo più dalla saturazione delle soluzioni. Le stazioni anastatiche hanno una minore estensione sulla super- ficie del globo, ma una non minore frequenza di quelle eustatiche, e presentano però maggiore interesse per il biologo. Da quelle prevalentemente composte di schizoficee e di altre alghe inferiori che si osservano nelle acque a mineralizzazione massima (Microcholeus chtonoplastes Thur: Dunaliella salina (Dun) Teodo- resco, ecc.), delle saline, alle molte altre nostachianee, oscillariee, ul- vacee, cloroficee, sifonee che si trovano nei bacini dove le acque sa- late vanno concentrandosi, noi annoveriamo una serie di organismi adattati ad una vita latente sotto pressioni osmotiche che sono eleva- tissime. Assai meno forti sono le concentrazioni che possono sopportare i vegetali fanerogamici: nella letteratura botanica ho trovato pochis- simi dati riguardanti con precisione la flora delle lagune e dei bacini di acqua salmastra soggetti a variazioni ampie di concentrazione : fino a che non si siano fatte altre ricerche, debbo ritenere detta flora fanerogamica limitata a poche specie di Potamogeton (P. pec- tinatus e'altre), ed a queste si debbono aggiungere le crittogame rap- presentate da molte famiglie di alghe sopra ricordate, e dalle specie del genere CRara. Le oscillazioni di concentrazione sono, nelle acque abitate da queste specie, piuttosto ampie, sia che si considerino dei bacini in condizioni perfettamente naturali, sia bacini il cui regime idrografico è più o meno modificato dalla mano dell’uomo. Le condizioni climatiche determinano una differenza tra i ba-. cini delle regioni dell’ Europa settentrionale e centrale e quelli della regione mediterranea: nei primi la concentrazione non può e i Bagtown Pouds della regione occidentale degli Stati Uniti, che sono dei fondi di crateri contenenti soluzioni di carbonato di sodio, nei quali vivono larve di mosca, e larve di Artemia; non ho trovato indicazioni floristiche in proposito (RecLUS, Geoyr. Univ. XVI Etats Units, p. 686): i laghi contenenti borato di sodio pure della medesima regione (Reclus, p. 591); i laghi Natron dell'Egitto, nei quali l’acqua contenente Na C1, reagendo con carbonato di calcio, si arricchisce di carbonato sodico; l’analisi ripertata da Reclus (Atrique sept. I) dà le seguenti cifre: Na C1 52 % del residuo solido, Na CO, 23 9/,, Nay SO, 11 9/0); non conosco indicazioni mala flora acquatica di questi laghi; sulle loro rive cresce una flora alofita analoga a quella delle sponde dei marie laghi salati (cfr. MARCHESETTI. Appunti sulla Flora egiziana. Trieste, Atti Mus. Civ. Storia Nat. Vol. IV. Ser. nuove, 1903). Nelle raccolte d’acqua dalle Pustze ungheresi, MARINELLI (La Terra, II p. 482), ricorda la presenza di soda e salnitro e, e rimane Tende a quella dell’ acqua marina. Nei secondi invece ha luogo un aumento graduale della concentrazione durante la stagione estiva; aumento che è piuttosto sensibile per l’elevata salinità iniziale del liquido, e ciò specialmente nei bacini artificiali, nei quali la massa acquea da evaporarsi è relativamente piccola ri- ‘spetto alla superficie. L’abbassamento di concentrazione, sia in seguito alla immissione di acqua di lavaggio nelle saline, sia per l'afflusso dell’acqua durante le pioggie autunno-invernali, è assai rapido, e può dar luogo a delle lesioni notevoli in molti organismi quando la struttura anatomica, 0 particolari condizioni di resistenza del plasma non permettano di sopportare tale squilibrio. (Microcoleus in qualche caso). Io non ho potuto eseguire speciali osservazioni sopra questo am- biente, e nella bibliografia non ho trovato dati sufficienti; ma ri- tengo che uno studio accurato dimostrerà che anche nelle stazioni peraloidi anastatiche, come in quelle peraloidi anastatiche delle pe- doelofite e delle pedomesofite, le piante ivi adattate sopportano tutte la massima concentrazione in uno stato, se non di tane al- meno di diminuita attività funzionale. Ciò è dimostrato dagli studi di F. Cavara sul Microcoleus e sulla Dunatliella (1). b) peraloidi eustatiche. Assai più estese sono le stazioni delle idrofite dei substrati pe- raloidi eustatici. Sono esse le stazioni caratteristiche dei grandi ba- cini, mari e laghi salati, e specialmente di quelle parti della loro sponda, nelle quali l’acqua continuamente mossa non può mai mo- dificare la sua mineralizzazione sotto l’influenza del clima. Sono ospitate in tali stazioni le numerose associazioni marine: quelle delle alghe planctoniche, delle Nereidi, delle Enalidi e in parte anche quelle delle Limnee, rappresentate da alcune Charae. La debole o nulla variazione di salsedine dell’acqua ambiente non provoca nelle piante di queste associazioni lo stabilirsi di al- cuna disposizione particolare di difesa, rispetto alla salinità, e, dove le condizioni termiche lo permettono, non si nota nessun periodo di quiescenza o, comunque, di arresto della vegetazione. c (1) Cavara. F. — Resistenza fisiologica del Microcolevs chtonoplastes Thun a soluzioni anisotoniche. N. Gior. Bot. ital. N. ser. 1X 1902; id. id. — Alcune os- servazioni sulla Dunaliella salina (Dun) Teodoresco delle Saline di Cagliari. Rend. R. Acc. Sc. Fis. Mat. Napoli, 1906. Nelle acque prive dei sali fortemente solubili che rendono così mineralizzate le stazioni acquatiche peraloidi, la concentrazione è assai debole, e si mantiene quasi sempre inferiore all’1 %,. In esse la scarsa solubilità del Ca SO, e del Ca CO,, non permettendo un au- mento nella percentuale dei materiali solubili, offre alle piante som- merse un ambiente che sì può considerare come eustatico. Tali condizioni di stabilità sì fanno ancor più manifeste nelle acque a concentrazione minore (substrati gelodi e pergeloidi), di modo che non esistono, sì può dire, stazioni di idrofite che siano anastatiche, all'infuori di quelle peraloidi. Inoltre la scarsa differenza di concentrazione che sì osserva tra gli ambienti idrofitici, aloidi, geloidi e pergeloidi, permette ad un gran numero di specie di svilupparsi nell’uno o nell’altro ambiente; è noto come l’azione nociva delle alte pressioni osmotiche possa molto spesso esser vinta mediante particolari disposizioni di difesa e più ancora possa essere sopportata mediante lenti, graduali adattamenti, se l'elevazione della pressione ha luogo con una certa lentezza (1). L'ambiente della flora sommersa è quello che più si presta per sali adattamenti, e ciò a causa delle lente oscillazioni di concentra- zione dell’acqua, della soppressione della funzione traspiratoria nelle piante, funzione strettamente legata alle condizioni osmotiche del si- stema assorbente. Pinttosto l'influenza della pressione osmotica nella distribuzione delle piante sommerse alicole, gelicole e pergelicole, è spesso sosti- tuita dall'azione, non dei sali di calcio, ma del bicarbonato di calcio che dà luogo alla mineralizzazione dei tessuti. Annoveriamo tra le alicole qualche specie già nota come perali- cola, (Zanichellia, l’otamogeton pectinatus, aleune Characee) ed inoltre Marsilia, Pilularia, Elodea, Vallisneria, Najas, Rranunculus aquatilis, Myriophyllum, Trapa, ecc., ed in generale tutte quelle Limnee che sono state comprese da Warming (2) nel gruppo di quelle viventi in acque ricche di sostanze nutritizie. Le variazioni di concentrazione dell’acqua sono per queste piante assai poco sensibili, sia per i limiti ristretti nei quali esse hanno luogo, sia perchè la massima parte di esse subiscono dei periodi di quie- scenza durante la stagione autunno-invernale, quando cioè gli ab- (1) Prerrer. W. — P/lanzenphysiologie BA 1. (2) Warming E. — Pflanzengeographie II Ed, p. 158. ì i i cani da ana solo gli aumenti di en e non ri- sentono gran che degli abbassamenti. d) geloidi. Assai meno numerose sono le idrofite caratteristiche dai substrati geloidi. Ciò dipende, sia dal fatto più sopra ricordato della grande adat- tabilità di queste piante ai varì ambienti, sia dal fatto che le acque a bassa concentrazione non potendo mai essere date dai piccoli stagni o paludi, nei quali la mineralizzazione è sempre piuttosto elevata, si osservano solo nelle sorgenti da roccie silicee. In queste la mineraliz- zazione proviene solo dalla soluzione delle roccie, e non dal dilava- mento di prodotti in via di intensa degradazione, come ha luogo dalla terra circostante ai grandi bacini. Le acque di sorgente presentano di solito una flora assai scarsa, anche per la bassa temperatura che è loro caratteristica; in esse lo aumento di temperatura ha luogo dopo un lungo contatto coll’aria atmosferica, vale a dire dopo un lungo scorrimento superficiale, du- rante il quale, non solo la temperatura, ma anche la mineralizza. zione, si sono accresciute. Vanno così perduti i caratteri proprii delle acque sorgive. Nella nostra flora le specie caratteristiche sono assai poco nu- merose, ed io non saprei ricordarne altre che la Montia rivularis, Helosciadium inundatum, \’ Isoetes echinosporum, I. lacustris, I. Ma- linvernianum, e alcune Nitella. Quanto alle altre Limnee ricordate da Warming (1), non ho dati che riguardino la relazione tra la presenza di queste specie e la con- centrazione salina delle acque. Tuttavia dal fatto di crescere esse . nelle acque delle Brughiere, credo di potere attribuire alle associa- zioni gelicole lo Sparganium affine, S. minimum, S. diversifolium, S. Friesii, Potamogeton polygonifolium, itanunculus hololeucus, ecc. Nelle acque corrispondenti ai terreni geloidi e pergeloidi sono pure probabilmente ospitate alcune delle specie ricordate da Warming e testè indicate; l'insufficienza di dati esatti mi impedisce ogni affer- mazione sicura. Senza dubbio in acque a mineralizzazione minima, stanno delle forme crittogamiche, e tra queste principalissime gli sfagni,i quali per la massima parte appartengono però alle pedo- elofite, ma hanno assai spesso una parte del loro tallo affatto som. merso. Tra le forme rupicole ed epifite si annoverano molte schizoticee. (1) Warming E. — Pflanzengeographie II Ed. p. 159. III. — Stazioni delle Pedoelofite. (Tab. xIII-XV). a) peraloidi anastatiche. Sono occupate dalle piante che vivono costantemente in rapporto colla falda acquea fortemente mineralizzata; i liquidi che vanno a imbeverne il terreno sono press’a poco identici a quelli delle sta- zioni delle corrispondenti idrofite, ma, perla quantità minore di acqua che vi si trova, la concentrazione può oscillare grandemente e giun- gere molto spesso alla saturazione. Anche in questo caso è per lo più | il cloruro sodico l’agente mineralizzante principale. Jo non ho eseguito ricerche dirette sopra queste stazioni e mi riferi- sco quindi ai lavori dei numerosi botanici che hanno studiato la flora delle alofite litoranee, Schimper, Flahault, Casu, (1) ecc,. ed ai la- vori sulla flora dei bacini interni della Germania settentrionale (2). Appartengono a queste stazioni moltissime Chenopodiacee, Sali- cornia, Helopeplis, Artrochnemum, Graminacee, Hordeum maritimum, Polypogon monspeliensis, ecc. Il limite massimo al quale nelle diverse stazioni possono giun- gere le concentrazioni saline nei periodi di secco, stabilisce anche il limite di diffusione di alcune specie. (1)ScHIMPERA., F. W.— Die indomalaysche Strand- Flora. Jena Fischer 1890; FLAHAULT CH. ET CoMBRES P. Sur la Flore de la Camarque et des alluvions du Rhone Bull. Soc. Bot. d. Fr. XLI 1894; GENEAU DE LAMARLIERE. Note sur la Flore maritime des environs de Quineville (Manche) Bull. Soc. Bot. Fr. LXI p. 155 1894. ;4. II Not. id. id. 1894. id. III Note XLII, p. 39, 1895 id id. Etude sur le Flore maritime du Golfe de Gascogne. — Rev. Gen. Bot. VII 1895, p. 4538. SANNA A. — /[nfluenza del sale marino sulle piante. Staz. Sper. Agr. 1903, Vol. XXVII. Casu A, — Contribuzioneallo studio della flora delle saline e del littorale di Cagliari. Ann. di Bot. I{ 1905, V 1906, VI 1906, BERNATSKI I, — Der die Halophytenvegetation des Sodabodens in ungari- schen Tieftande, Ann. Mus. Nat: Hung. III 1905, Ref. Botan. Iahrb. Bd. XL Literatur ber. p. 42. MassartI.— Essaidegeographiebotaniquedes districts littoraur et alluviaue de la Belgique. Rec. d. 1’ Inst. Bot L. Errera Bruxelles 1908, (2)GRAEBNERP. — Die Heide Norddeutschlands Leipzig 1901:(Veget. d. Erde V): DrupEe 0. Der Hereynische Florenbezirk Leipzig 1902 (Veget. d. Erde VI) ScuuLz A. Die Verbreitung des Halophiten Phanerogamen in Mitteleuropa nijr dlich d. Alpen. Forsch. z deut Landes und Volkskunde XIII 1901. | dine delle saline; quivi le condizioni estreme sono sopportate, tra le fanerogame, specialmente dalle Chenopodiacee, Salicornia, Suaeda, Atriplex, Halopeplis (Casu). | | Dove l’evaporazione minore, o la mobilità della falda acquea, o le pioggie non permettono una elevazione molto notevole della salse» dine, altre specie si aggiungono a queste. Nel Delta del Rodano Flahault e Combres hanno osservato Atriplex portulacoides, Statice Limonium, Artemisia gallica, Scirpus Holoschoenus ecc. Sui margini delle lagune, dove la salsedine è alquanto minore, altre specie concorrono ad arricchire la flora, e sono quelle caratteri- stiche dei Fragmiteti e degli Scirpeti (S. maritimus, S. litoralis, S. Ta- bernemontani, Phragmites communis, Iuncus, ecc.) (1). Le ultime specie ricordate sì trovano anche, e con maggior tre- quenza, in quelle stazioni palustri nelle quali l’acqua conserva una concentrazione costante, e sono da considerarsi come ì componenti principali delle associazioni proprie alle stazioni peraloidi eustati- che della nostra flora. Nelle regioni nostre, le associazioni dei terreni peraloidi eustatici sono poco frequenti, perchè le condizioni favorevoli allo stabilirsi di esse non sono facili a verificarsi; esse sono date essenzialmente dalle sorgenti salate e dalle lagune marittime; ma in queste non sempre, per la poca altezza delle maree, è possibile un rinnovamento così abbondante dell’acqua da mantenervi una salsedine costante, sia contro la diluizione per le acque fluviali, sia contro la concentrazione per evaporazione. Molto più ricche ed estese sono queste associazioni nelle regioni, nelle quali le maree assai alte vanno a rinnovare l’acqua sopra una costa pianeggiante e fangosa. Tipiche, sotto questo aspetto, sono le formazioni delle Mangrove. b) aloidi anastatiche. Le stazioni aloidi anastatiche sono poco frequenti perchè la massa di acqua che provoca la formazione di stazioni elofite aloidi è per lo più assai grande e poco mineralizzata, quindi le variazioni di con- centrazione difficilmente possono essere ampie e tali da essere sen- sibili per le piante. Perciò le condizioni favorevoli all'esistenza di stazioni con tali caratteri non si possono trovare laddove l’acqua è assai poca, e quindi dove l’evaporazione può dar luogo a variazioni notevoli; ciò si verifica. (1) GoRTANI L. e M. — Flora Friulana P. I Udine 1905. GRA DIE ara TE va ariiatttte: - r 4 La , dec a 4” x { ; : à pe SaR I sulle pareti dei muri e sulle rupi, oppure negli strati superficiali di. pochi millimetri di spessore del fango dei bordi scoperti delle paludi; in quest’ultimo caso la concentrazione salina è favorita dalla nitrifi- cazione, che si esercita per parte di microrganismi, che sì sviluppano in quantità nel limo ricco di materiali organici. In tutte queste stazioni basta la pioggia che vi cade sopra diret- tamente, o l’acqua che vi sgocciola dalle pareti vicine, per modificare e abbassare notevolmente la percentuale di sostanze minerali dei liquidi. Ospiti di tali stazioni sono essenzialmente crittogame, per- chè la loro natura transitoria non permette lo sviluppo di piante a lungo periodo vegetativo; sono Nostochinee sulle pareti delle rupi e dei muri con stillicidi, qualche Cloroficea e Protococcacea sulla terra inzuppata dopo i temporali, così pure le Nostochinee e Colle- macce frequenti sulla terra dei giardini, stazioni che non si possono certamente chiamare pedoigrofite, ma che sono tali durante il periodo di vita attiva di queste piante. Si aggiungano poi le Riccie, Riella, Sphaerocarpus, ece., Pottia lan- ceolata, Bryum argenteum, Funaria hygrometriea della terra inzup- pata delle risaie, e delle paludi appena abbandonate dalle acque e an- cora inzuppate, e infine le numerose Marchantiacee delle pareti umide presso gli stillicidii. Per queste ultime è assai più frequente una stazione, pure alicola, ma assai meno ricca di acqua, che comprenderò tra quelle delle pedo- mesofite. hifi È Sebbene le stazioni, nelle quali ho ricordato esistere queste piante, abbiano dei liquidi a concentrazione oscillante, le piante non sempre risentono tali variazioni. Alcune specie (la Riccia luitans v. lerrestris, Riella, molte Nostochinee e Oscillariee), compiono il loro ciclo di sviluppo nel periodo intercedente tra la messa allo scoperto del fango palustre e l’essicamento dello stesso. Ora, durante questo pe- riodo di tempo, la concentrazione si eleva assai di poco, mentre as- sai forte è la quantità di sali che si mettono in libertà dopo l’essica- mento completo, dopo cioè che le piante che ora ci interessano hanno già sospeso o cessata la loro attività vegetativa. Per altre specie, pure delle Epatiche, Riccia glauca, l. sorocarpa, Sphaerocarpus, Cephalozia, Cephaloziella, o dei Muschi, Pleuridium subulatum, Phascum cuspidatum e Ph. rectum, Pottia lanceolata, che vengono sulla terra dei campi inzuppata d’acqua nella stagione autunno-invernale, il termine del loro breve periodo vegetativo coincide coll’elevarsi notevole della concentrazione del liquido am- biente, in seguito alla evaporazione superficiale. Pf alato o ei nia ad Pig FR dt me ei gi CR: i iosa E) ssa di alta e pus dico corrispondenti a pe- | riodi di secco e di pioggia. I materiali gelificati dapprima, e poi l’in- .cistidamento delle cellule nelle prime, i movimenti igroscopici di di- ki fesa del tallo di alcune altre (Reboulia, Preissia), sottraendole per un certo tempo dall’attività funzionale, permettono loro di superare i pe- riodi di elevata salinità dell’acqua ambiente. c) aloidi eustatiche. Sono le più frequenti a osservarsi nelle acque dolci; i margini dei fossi, dei fiumi, e sopratutto gli stagni e le paludi, offrono un campo estesissimo allo stabilirsi delle condizioni adatte allo sviluppo di una flora palustre. Già dissi come le acque dolci, abitate dalla vegetazione palustre, difficilmente possano avere una concentrazione molto bassa, perchè le stesse condizioni termiche che vi favoriscono la vegetazione, sono il prodotto di un lungo scorrimento dell’acqua sul snolo, e quindi di un attivo dilavamento dei materiali solubili. Oltre a ciò la mineralizzazione delle acque ambienti alle radici delle piante palustri, è favorita dalla presenza di abbondante limo, sede di intensi fenomeni di riduzione, con formazione di C O, capace di agire osmoticamente per sè stessa (1), e più ancora perchè dà luogo alla solubilizzazione dei carbonati di ferro, di calcio, onde aumenta la mineralizzazione delle acque. E ciò indipendentemente dalla evaporazione, la quale, come già dissi, non ha in tal caso molta efficacia a causa della poca solubilità dei principali agenti mineralizzanti (Ca S0,, CaCO,), resa minore per questo ultimo composto a causa della facile scomparsa all’atto dell’evaporazione dell’agente solvente, la C O,. Le mie ricerche a questo proposito sono assai convincenti; le ci- fre riportate nella tabella n. XII dimostrano come sia assai notevole l'aumento di mineralizzazione dell’acqua che sta nella melma palu- stre, in confronto di quella liquida sovrastante. : Ta stabilità delle concentrazioni è in questi substrati grandissima, ma per cause differenti nelle diverse stazioni. Nelle paludi e negli stagni lo è a causa della scarsa mobilità dell’acqua sovrastante alla melma, e per l’immobilità quasi assoluta dell’acqua che la impregna. Ognuno sa quanto difficile sia l’aereazione della massa di so- stanza organica accumulata nel fondo degli stagni, effetto e causa (1) GARELLI E FALCIOLA. — Op. cit. ad un tempo dei fenomeni di riduzione sopra ricordati, e che sta: biliscono per le piante un ambiente affatto speciale (1) Questa sta- bilità, se anche fosse per un istante alterata da un’eventuale agi- tazione del limo, viene subito ristabilita per la grande massa di ma- teriali organici a forte potere assorbente e grande resistenza al di- lavamento. ‘ i Nelle raccolte acquee le cui rive sono sabbiose o ghiaiose, come le sponde dei fiumi o le rive dei laghi, la grande porosità del suolo, ìl deflusso delle correnti, il moto ondoso, facilitano un continuo rinno- vamento dell’acqua, mantenendo una concentrazione sensibilmente eguale a quella dell’acqua mobile. Ne è prova la facile aerabilità del terreno, più povero di mate- riali organici che non quello delle paludi, per cui la vegetazione è molto spesso caratterizzata dall'assenza o riduzione di quei nu- merosi mezzi di difesa contro l’asfissia che osserviamo nelle piante palustri. È possibile così di vedere dei contrasti in piccolo nello stesso bacino con acque a mineralizzazione relativamente bassa, e deter- minanti sulla spiaggia bene aerata una flora a tipo più gelicolo, e su quella bassa e melmosa un’altra a tipo più alicolo. Nel Lago Maggiore la spiaggia verso Locarno ha una vegeta- zione con Isoetes lacustris, quella melmosa di Angera ospita Nymphaea alba, Trapa, Alisma Plantago, ecc. La concentrazione dell’ acqua ha 009705 Nella tabella n. XIV riferisco i dati di alcune osservazioni fatte nel suolo costituente alcune stazioni aloidi eustatiche pedoelofite. Numerose sono le associazioni che si sviluppano sopra ter- reni di questo tipo; ricorderò, per le acque relativamente alte, quelle degli scirpeti e dei fragmiteti, per quelle basse i cariceti, qualche erioforeto (specie quello a £. latifolium), le associazioni a Thypha, ecc. Negli acquitrini ad acque molto basse, mi limito a citare come ca- ratteristiche l’//eleocharis palustris, Cladium Mariscus, Lythrum Sa- licaria, Lysimachia vulgaris, Epilobium hirsutum, Mentha aquatica, Lotus uliginosus, (ralega officinalis, Stachys palustris, Scutellaria gale- riculata, Lijcopus europacus. Vi hanno inoltre le associazioni delle stazioni fangose, in parte: sommerse e costituite da Alisma Plantago, Sagittaria sagittaefolia, luncus sp. pl., Elatine hexandra, Isnardia palustris, Peplis Portula,. Polygonum Persicaria, P. Hydropiper, Sisymbryum amphibium. (1) GoLa G. — Studi sulla funzione respiratoria nelle Piante acquatiche. Ann, di Bot. V. p. 441 1906, | Molte delle specie qui ricordate, hanno un interesse |partico- lare, perchè si trovano di frequente su terreni assai meno ricchi di acqua e che entrano perciò nel novero delle stazioni pedomesofite aloidi. Cito alcuni Epilobium, Polygonum, Rumex, Eupatorium canna- binum, ecc. La costanza di concentrazione del mezzo nel quale si trova l’ap- parato assorbente, esclude la necessità di qualsiasi disposizione di- fensiva contro le variazioni estreme di concentrazione. Si tratta del resto o di piante perenni con abbondanti organi sotterranei di riserva, i quali possono con tutta facilità sopperire alle variazioni dello stato del mezzo ambiente, oppure di piante annue a ciclo ve- getativo rapido o addirittura rapidissimo, quando, per eventuale pro- sciugamento del suolo, si renda necessario il passaggio immediato del periodo vegetativo a quello di quiescenza (1). Noi vediamo così l’E/atine, alcuni Sisymbryum, Polygonum, svol- gere il loro ciclo evolutivo completo anche in esemplari di notevole nanismo; se e in quanto su questo nanismo influisca una eventuale variazione di concentrazions durante il periodo di essicamento, è cosa che si vedrà più oltre. Gli abbassamenti di concentrazione per le pioggie autunno-in- vernali, non hanno per queste piante notevole importanza, anzitutto perchè coincidono col periodo di rallentamento e poi di arresto del- l’attività vegetativa, poi perchè hanno luogo con una grande len- tezza, data in un caso la poca porosità del suolo, e nell’altro la grande massa di acqua, alla quale si deve la formazione di una spiaggia sabbiosa. È ovvio infatti che tale tipo di sponda non si può verificare che laddove esiste un moto ondoso sensibile, il quale a sua volta è pos- sibile solo in bacini di una certa ampiezza. Il periodo di ripresa vegetativa, coincidendo poi colla primavera avanzata, e quindi colla diminuzione dell’acqua nel bacino palustre, sì inizia con una concentrazione tale che rimane pressochè costante durante tutta la stagione buona. Altre stazioni elofite aloidi eustatiche sono quelle dei pendii acquitrinosi bagnati con acque fortemente calcari, anzi incrostanti come sì osservano sui monti calcari; il campione 17 proviene ap- punto da una stazione di tal tipo. (1) È noto quanto grande sia la plasticità delle piante acquatiche, special- mente nell’adattare la forma dei loro apparati vegetativi alla quantità di acqua loro ambiente. ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 23 — tie . n ù " C710° è sr, + Analoghe a queste sono le stazioni offerte dalle rive dei rus montani, percorsi da acque calcari; in esse osserviamo Saxrifraga aizoides, Cerax Vederti, ecc. Acque ancora più attivamente rinnovate e nelle quali l'agente mineralizzante è di solito, ma non esclusivamente, il calcare, sono quelle che intrattengono la flora elofita alicola delle rupi bagnate da continui stillicidii; è una vegetazione rappresentata per lo più da Briofite, Eucladium verticillatum, Hypnum commutatum, ecc. d) geloidi. Le stesse cause che provocano una assai piccola variabilità della concentrazione delle acque che danno luogo all'ambiente pedoidro- fito aloide, escludono con maggior ragione l’esistenza di ambienti acquei geloidi anastatici. L'ambiente geloide eustatico è invece molto frequente. Tale fre- quenza non si verifica però in prossimità delle grandi masse acquee, laghi, stagni, paludi, specialmente di pianura, perchè il lungo per- corso delle acque le mineralizza eccessivamente. Inoltre la tempe- ratura elevata dell'ambiente favorisce i processi di scomposizione nella melma palustre, e la conseguente formazione di C 0,, capace di elevare il potere solvente delle acque. Troviamo perciò un ambiente geloide solo nella parte sabbioso- ghiaiosa delle spiaggie dei laghi e delle rive dei fiumi ad acque a bassa mineralizzazione, perchè quivi il rinnovamento continuo del- l’acqua conduce a diminuire l’importanza della C O, nella solubiliz- zazione dei materiali del suolo. Assai più frequente è questo tipo edafico di stazione, sopra i pendii montani, dove le acque, scorrenti da terreni non calcari, provocano la formazione di piccoli acquitrini, nei quali, per la naturale pendenza, l’acqua è di continuo rinnovata, Anche molti ambienti palustri provocati dalla presenza di acqua a media mineralizzazione (tipo aloide), possono dare ospitalità a piante gelicole, e ciò per le demineralizzazione che le parti organiche morte di alcuni vegetali alicoli possono esercitare sulle acque. Ne è esempio notissimo quello offerto dai laghi del Giura, dei quali le torbiere circostanti ospitano una flora di tipo gelicolo o per- gelicolo, mentre nell’acqua dei laghi e sulle rive di essi crescono piante notoriamente alicole (1). Anche nelle torbiere della Germania del Nord, Ramann (2) ha dimostrato la successione in zone concen- (1) MAGNIN A. — La végétation des Lacs de Jura. Paris 1904. (2) RAMANN E. — Organogene Ablagerungen der Ietzzeit (Neues Iahrb. f Min. Geo, u. Pal. X. Beil. Band. 1895-96. PROSE Ro 14 RR bad, Ma de IVA VA de è Aa daria IIATI ASI nr FE i) 3 dd ME RIDI A x 42 è da dA Er, È È » MS aaa dai a = pi è . Pi È, Noi Î DI triche di associazioni vegetali a carattere progressivamente più . gelicolo, determinato dalla demineralizzazione delle acque per parte . delle sostanze organiche morte. In complesso, mentre nelle stazioni aloidi, l’acqua imbeve un ma- teriale prevalentemente inorganico, sedimentario, in quelle geloidi la massa imbevuta d’acqua è prevalentemente organica con carat- tere torboso. __ Nella tabella XV riferisco alcuni dati riguardanti le condizioni edafiche di queste stazioni. La flora di queste stazioni è costituita in parte minore da spe- cie caratteristiche, ma molte altre, Phragmites, Thypha, Schoenus, e molte ciperoidee e giuncacee, entrano anche a formare elementi per associazioni a carattere più alicolo. Tra le specie caratteristiche di alcune stazioni gelicole, ricordo Equisetum limosum, E. palustre, Tofieldia calyculata, T. borealis, Ana- gallis tenella. Di altre stazioni sui bordi delle paludi, ricordo Nephro- dium Thelypteris, Menyanthes trifoliata, Comarum palustre, Galium palustre ; delle rive dei ruscelli, Geum rivale, Chrysosplenium oppo- sitifolium. Gli stillicidii di acque non dure sono per lo più caratterizzati da una flora crittogamica e da Pinguicula vulgaris. Meno frequenti sono, in questi substrati, le specie preferenti con- centrazioni ancora più basse, quali la Gentiana Pneumonanthe, Agro- stis canina, Potentilla Tormentilla. e) pergeloidi. Il notevole potere assorbente che caratterizza le argille ferrettiz- zate o l’humus delle torbiere, spiega pienamente l’assoluta stabi- lità di concentrazione dei liquidi imbeventi le stazioni di que- sto tipo. I La concentrazione bassissima, e quindi l’assoluta scarsità di ma- teriali nutritizii, spiega anche la notevole povertà della vegetazione, almeno per rispetto al numero delle specie. Sono frequenti laddove i terreni emersi circostanti sono pove- rissimi di sostanze minerali, brughiere su roccie ferrettizzate, la- ghetti intermorenici a materiali silicei, oppure nelle regioni mon- tane e alpine, dove la bassa temperatura favorisce la torbificazione dei corpi organici, e le frequenti precipitazioni mantengono in uno stato di continua diluizione i materiali disciolti. Vi sì trovano Lycopodium inundatum, L. annotinum, Ehinchos- pora alba e Rh. fusca, Carex Oederti, C. limosa, Agrostis canina, Me- nyanthes trifoliata, Ledum palustre, Oxyococcos palustre, Erica tetralix, — 352 — Calluna culgaris, Drosera anglica, D. rotundifolia, Potentilla Tormen- | tilla e sopratutto Sphagnum sp. pl. Nè mancano in questa stazione specie proprie di stazioni più aloidi, p. e. la Phragmites communis. È pure degna di nota la presenza di piante aventi abito xerofita, e proprie di stazioni xero o mesofite. L’Agrostis canina, la Potentilla Tormentilla, molte Ericacee, ne sono un esempio. IV. — Stazioni delle Pedomesofite. (Tab. xVI-XVII). a) peraloidi anastatiche. Le forti mineralizzazioni che sono caratteristiche d’un tale tipo edafico, sono possibili solo in presenza di cloruro, carbonato, nitrato e solfato di sodio, solfato di magnesia, nitrato di potassio e di calcio. Per le stazioni ricche di sali di sodio e di magnesio, io non ho osservazioni personali. Le stazioni salate poste lungo i mari del- l'Europa meridionale, e della regione temperata calda, lungo i laghi salati della regione temperata calda, e i terreni circostanti alle nitriere del Chili, sono tutte da classificare piuttosto tra le sta- zioni a xerofite che tra quelle a mesofite. Quelle invece delle coste marine e dei laghi interni dell’ Europa centrale e settentrionale, caratterizzate da un periodo di secco assai più breve che non le altre sopra ricordate, sono senza dubbio da ri- tenersi come peraloidi anastatiche; 10 non ho dati esatti su questo argomento, e mi astengo quindi dall’entrare in dettagli ; ricordo solo come nella florula delle sabbie del litorale friulano i signori Gortani abbiano osservato alcune specie, Arenaria serpyllifolia, Glaucium flavum, Medicago minima, Melilotus alba, Oenothera biennis, Daucus Carota, ecc., le quali possono venire citate come esempii di organismi non eccessivamente xerofili, e abitanti stazioni mesofite peralicole anastatiche. Più frequente è il caso di incontrare piante peralicole anasta- tiche in relazione con witrato di calcio e di potassio;: dove il terreno non è coperto da un mantello vegetale continuo, le intense . evaporazioni e i forti dilavamenti determinano spesso, nel suolo appena un po’ permeabile, lo stabilirsi di stazioni di questo tipo. Lungo le strade, presso le case, tra le macerie, si svolge una ab- bondante flora ruderale, la quale in alcuni casì per la secchezza. SPA vt TOCCA AAA Ù ell’ambiente, e talora anche per la salinità del terreno, assume dei | caratteri di xerofilia, ma è più spesso nettamente mésofita. Ricordo, tra le associazioni ruderali, quella a Chenopodiacee e Amarantacee, caratterizzata da molte specie di Atriplerx, Cheno- podium, Amaranthus, e da Polygonum aviculare, Coronopus didymus, Lepidium ruderale (1), L. graminifolium, Sisymbryum officinale, Me- lilotus alba, M. officinalis, Solanum nigrum, Spergularia vulgaris, ecc. Le oscillazioni di concentrazione del liquido del suolo, alle quali tali piante sono esposte in questa stazione, sono assai rapide ed in- (1) Il L. ruderale è una di quelle numerose specie peralicole le quali tro- vano le condizioni osmotico-edafiche loro favorevoli, sia nelle soluzioni di nitrati, come si incontrano prevalentemente nelle stazioni ruderali entro terra, sia nelle stazioni litoranee più o meno salate. A quest’ultima stazione appar- tengono p. e. gli esempiari distribuiti da A. Béguinot, FI. It. exicc. N. 822. Nella scheda che accompagna l’esemplare, Béguinot, dopo aver ricordato che. questa pianta è da considerarsi come alicola col significato che io attribuisco a questa parola, avverte però che L. ruderale fu'da lui raccolto nei terreni silicei dei C. Euganei, nei quali, causa il forte potere assorbente, le soluzioni saline sono depauperate e quindi il coefficiente osmotico è assai basso! Non comprendo come l’A. citato possa affermare che il coefficiente osmotico delle stazioni euganee del L. ruderale sia assai basso. La stazione ruderale, sia essa stabilita su terreno siliceo, sia su terreno calcare è sempre impregnata di quantità notevole di nitrati, e quindi è aloide o peraloide, come non cessa di essere aloide una stazione littoranea salata, sia essa formata da sabbie si- licee pure o quasi, o da sabbia riccamente calcare o da argille. Né vale l’ad- durre il forte potere assorbente dei terreni silicei, perchè questo potere ha sempre un limite nella elevata misura degli elettroliti da assorbire, come si verifica nelle stazioni salate o ruderali, dove i cloruri alcalini o i nitrati sono appunto tra i corpi meno assorbibili dal terreno. Del resto quello di ritenere che un materiale siliceo, perchè tale, abbia un forte potere assorbente, è un equivoco nel quale incorse anche la D. Panebianco, (Flora marnicola di Teolo), la quale afferma che alcune marne non comple- tamente dissodate e decalcificate debbono avere indubbiamente proprietà assor- benti perchè /a percentuale dell'argilla vi esiste in quantità non trascurabile. To non ho mai identificato un substrato siliceo o siliceo argilloso perchè tale con substrato geloide; a priori si deve solo ritenere che la roccia silicea può dare, assai più facilmente che una roccia calcare, origine a un substrato geloide, perchè più abbondanti vi si possono formare i corpi colloidali e i corpi zeo- litoidi, ai quali si deve il potere assorbente, e perchè più scarsi vi possono permanere quegli elettroliti, ai quali si deve la saturazione di detto potere. Ma bisogna inoltre distinguere tra roccie silicee e roccie silicate; queste possono , per degradazione dare composti colloidali assorbenti e zeolitoidi, la silice pura o quasi è affatto inerte quanto a potere assorbente, e determina substrati ge- loidi solo quando non vi pervengano per cause esterne dei nitrati, dei cloruri o altri sali solubili. Le sabbie marine anche se costituite di silice pura o quasi, come quella di Trapani, non cesseranno per questo di ospitare una flora pera- licola alofita. RESI secco la concentrazione può elevarsi di tanto da essere paragonabile a quelle di molte alofite. Sono del resto le piante che crescono in queste stazioni che, più di ogni altra, si avvicinano per la posizione sistematica, per l’abito esterno, a quelle caratteristiche della flora alofita. Una stazione peraloide abbastanza poco comune, .è quella of- ferta dalle anfrattuosità situate sotto le roccie strapiombanti, dove l’acqua giunge assai di rado, e dove quindi è possibile l’accumulo di materiali solubili in abbondanza, ai quali si deve una elevata pressione osmotica del liquido ambiente ai peli radicali. In stazioni simili noi troviamo una flora povera, data la sec- chezza e la scarsa illuminazione, ma le specie che vi sì osservano hanno carattere nettamente alicolo; Stellaria media, Capsella Bursa Pastoris, Parietaria officinalis, ecc. Interessante assai è sotto questo punto di vista una stazione osservata presso Dronero con Hutchinsia procumbens Desv. v. speluncarum, Koch (1). Quivi la concentrazione dei liquidi del suolo è elevatissima per sali solubili di calcio e di po- tasso; è degno di nota che le altre varietà della polimorfa H. pro- cumbens, sono pure alicole, ma di stazioni a cloruro di sodio del lito- rale; l’alicolismo permane come carattere costante in tutte le varietà delle specie; ma tanto i sali di calcio, che quelli di sodio, hanno press’a poco la stessa influenza nel determinare l’appetenza edafica delle piante, e le differenze tra le piante delle due diverse stazioni sono di così poco conto, da entrare ancora nell’ambito delle varia- zioni del tipo. Ancor più rapide e intense sono le oscillazioni, alle quali sono esposte alcune specie vegetali caratteristiche delle stazioni arvensi. Mentre quelle ruderali sopra ricordate affondano spesso le loro radici per parecchi centimetri nel suolo, molte di quelle delle sta- zioni arvensi hanno le loro radici quasi superficiali. Sotto l’aspetto biologico in generale, e anche in particolare sotto quello edafico, noi dobbiamo distinguere tre tipi di associazioni ar- vensi. L’una è quella formata da piante invernali-primaverili, Stella- ria media, Cerastium campanulatum, Draba verna, Arabis Thaliana, Cardamine hirsuta, C. impatiens, Capsella Bursa Pastoris, Veronica arvensis, V. didyma, V. hederaefolia, e Lamium amplericaule. (1) Schedae ad Floram Italicam eriecatam, n. 578. N. Giorn. Bot. Ital. N. Ser. XIV 1907. PAMPANINI R. La Hutchinsia procumbens Desv. e le sue varietà rupestri. N. Giorn. Bot. Ital. N. Ser. XVI 1900. Sono piante annue, che iniziano il loro periodo vegetativo sotto la bassa concentrazione che segue alle pioggie autunnali, e si svi- luppano sotto concentrazioni variabili durante i periodi alterni di giornate secche e di giornate piovose, finchè, col prosciugarsi prima- verile del terreno, sopportano una concentrazione crescente, e sotto questa alta concentrazione terminano press’a poco il loro ciclo ve- getativo. La rapidità, la frequenza e l'ampiezza delle oscillazioni sono dovute al fatto che queste piante affondano le loro radici assai poco nel suolo, ed è appunto in questo strato superficiale, che più in- tensi si fanno sentire gli effetti delle variazioni climatiche dell’am- biente. T'ralascio per ora l’esame della flora delle messi, di cui mi oc- cuperò più oltre. La terza flora arvense, quella che sì sviluppa dopo la mietitura, ha un carattere assai più aloide; vi si trovano Erigeron canadense, Sonchus oleraceus, Linaria vulgaris, Myosotis stricta, Capsella Bursa Pastoris, parecchi Chenopodium, qualche Amaranthus, Polygonum aviculare, Digitaria sanguinalis, Cynodon Dactylon. La concentrazione delle soluzioni del suolo, che già al termine della mietitura sono piuttosto elevate, si vanno facendo maggiori fino al termine della stagione estiva; non però senza subire abbas- samenti bruschi pel sopravvenire dei periodi temporaleschi, e rapide riprese al sopravvenire del periodo di bel tempo. La misura dell’ampiezza delle oscillazioni è poi data, oltre che dalle qualità fisiche del suolo (è più grande nei terreni permea- bili, minore in quelli poco permeabili), anche dalla composizione chimica di esso, cioè è maggiore nei terreni ricchi di cristalloidi, mi- nore in quelli ricchi di colloidi. Anche con spiccato carattere anastatico sono le stazioni pe- ralicole dei margini di strade soleggiate, dove crescono specie a radici poco approfondite, Draba, Capsella Bursa Pastoris, Carda- mine hirsuta, Spergularia rubra, Arenaria serpyllifolia, Polygonum aviculare, Myosotis stricta, Linaria minor, Plantago major e P. media, Senecio vulgaris, Poa annua, Setaria viridis, S. glauca, Eragrostis poaeotdes. Sotto molti aspetti questo tipo di stazione si ravvicina a quella delle piante arvensi, ma, specialmente in prossimità dei margini e | delle scarpate delle strade, la maggiore stabilità del suolo, non ri- mosso così di frequente come nei campi, permette un maggiore dissalamento del terreno, ed una relativa stabilità di concentrazione, che rende fUeste stazioni peralicole eustatiche. #4] i RC CATO Peer SETA Ta I I RE 1 PARE 956 Un tipo speciale di stazioni fortemente peraloidi è dato dai ter- reni nuovi messi allo scoperto dalle acque delle pozzanghere e delle paludi. Mentre il limo palustre fresco (non il detrito torboso), è relativa- mente povero di sostanze solubili, esso, allorchè ha subito un' forte essicamento, cambia totalmente le sue proprietà, e mette per così dire in libertà una quantità assai grande di sali solubili. Le prime pioggie determinano allora la formazione di soluzioni ad alta concentrazione, in rapporto delle quali, vediamo svilupparsi una abbondante flora ruderale con Polygonum Persicaria, Rumex sp. pl., Xanthium macrocarpum, Panicum Cr. Galli, ecc. Quantunque la stabilità delle soluzioni non sia per nulla assi- curata in queste stazioni, tuttavia per la natura argilloide del limo palustre e per la sua notevole capacità acquifera, un dilavamento assai notevole non è frequente ad osservarsi, e le piante perman- gono quindi esposte per lungo tempo ad una salinità relativamente forte. Non si può parlare ancora di stazioni eustatiche, ma la mi- nore frequenza di Chenopodiacee e Amarantacee le contraddistingue dalle stazioni tipicamente anastatiche. Altre stazioni aventi meno spiccato il carattere di variabilità della concentrazione sono quelle offerte dai campi a mèssi alte. Si ha in questo caso, sulla superficie del suolo, un rivestimento er- boso che lo protegge dagli eccessivi effetti della pioggia, dell’ insola- zione, del vento. È in questo ambiente che noi vediamo svilupparsi Bromus squar- rosus, Lolium temulentum, Aegylops ovata, Holosteum umbellatum, Ce- rastium sp. pl., Agrostemma Githago, Viola arvensis, Adonis sp. pl. Ranunculus arvensis, Lathyrus sp. pl., Vicia sp. pl., Scandix Pecten V., Caucalis daucoides, Anagallis arvensis, A. caerulea, Lithospermum arvense, Valerianella sp. pl., Specularia Speculum, specie che tro- viamo in parte anche nelle siepi; un ambiente assai aftine, oltre che edaficamente, anche pel sostegno offerto alle specie a caule de- bole, e pel riparo alle specie eliofobe. Si passa così per lieve transizione alla stazione sepiaria, avente, per le stesse ragioni che quelle delle mèssi, un carattere di relativa stabilità, e che permette così lo sviluppo di molte specie identiche o affini a quelle testè enumerate per le messi, alle quali si aggiun- gono Urtico, Parietaria, Chelidonium majus, Torilis, Tordylium, Aethusa, Lamium sp. pl., Stachys, Glechoma, Lapsana communis, Bra- chypodium distachyum, ecc. Un gruppo di specie bulbose o tuberose, Muscari, Ornithogalum, Gagea, Allium, Gladiolus, è pure frequente nelle associazioni arvensi RA fanti an - ed in quelle sepiarie, e manifestano pur esse la loro preferenza emi- nentemente alicola. Le specie ricordate testè per le stazioni sepiarie, Urtica,... Bra- chypodium, vanno pure assai spesso conosciute come nitrofile; quan- tunque la nitrofilia non abbia probabilmente per esse alcun signi- ficato come appetenza speciale per una sostanza nutritizia destinata a formare materiali albuminoidi, tuttavia questa presenza di nitrati in tali stazioni è interessante, perchè effetto della attività microbica intrattenuta dalla relativa stabilità delle condizioni climatiche di am- biente, e perchè causa a sua volta di una notevole salinità del suolo. Un’altra stazione assai affine e occupata da piante nitrofile, è quella pure di carattere ruderale che si osserva sui letamai; lungo le vie, e a piè dei muri non troppo soleggiati, lungo i fossetti di scolo, sui margini delle strade dei luoghi abitati, ecc.; quivi l’ac- cumulo di sostanze organiche, una certa freschezza del suolo e la relativa stabilità della concentrazione, favoriscono lo stabilirsi di associazioni caratteristiche a Urtica, Parietaria erecta, qualche Ama- ranthus, Polygonum Persicaria, Rumex sp. pl., Chelidonium majus, qualche Euphorbia Peplus, Geum urbanum, Malva rotundifolia, To- rilis Anthriscus, Potentilla reptans, Fragaria indica, Solanum nigrum, Dipsacus laciniatus, Lappa, Galinsoga parviflora. Il carattere comune di queste piante è quello di una assal mi- nore xerofilia, rispetto alle ruderali dei luoghi scoperti sopra ricor- dati; lo sviluppo molto maggiore che queste assumono, protegge efti - cacemente il suolo, determina una maggiore stabilità delle soluzioni del suolo stesso, conducendo ad un vero e proprio substrato eustatico. b) peraloidi eustatiche. Le spiaggie basse del mare, i margini delle paludi salate, sono caratterizzati da una serie di zone concentriche di vegetazione, delle quali le più lontane dall’acqua mostrano una progressiva di- minuzione dell’abito alofito, finchè esse degradano nelle associazioni perfettamente indipendenti dalla salsedine del suolo. È in queste zone successive di vegetazione che si trovano le as- sociazioni caratteristiche delle stazioni peraloidi eustatiche. Ri- porto da Warming le indicazioni di alcune specie di queste pra- terie salate: Glyceria maritima, Triglochin maritimus, Spergularia marina, Suaeda maritima, Plantago maritima, Aster Tripolium, Glaux maritima, Statice Limonium, Agrostis alba v. stolonifera. Più caratteristiche sono le specie abitanti stazioni un po’ più elevate, quindi più dissalate dalle acque meteoriche, e cioè Juncus Gerardi, Plantago maritima, Glaux maritima, Trifolium fragiferum, Artemisia maritima, Hordeum secalinum, Festuca rubra, Poa costata, | i Lepturus filiformis, Erythraea sp. Spesso queste piante vivono anche in terreni assai più ricchi d’acqua, e vanno allora annoverate tra le specie peralicole pedoe- lofite (1). ln questa categoria entrano pure le associazioni osservate da Drude nei terreni a scarsa salinità, situati intorno alle paludi sal- mastre della Germania settentrionale; l’A. citato vi trovò Trifo- lium parer, Tetragonolobus siliquosus, Glyceria maritima, Lotus corniculatus v. tenuifolius, Melilotus dentatus, Aster Tripolium, Glaux maritima, Plantago maritima. Dove la salsedine è minore, egli trovò Hordeum secalinum, Tri- folium fragiferum, Tetragonolobus siligquosus, e nei luoghi più secchi Blysmus compressus, e Erythrea pulchella. La specie più frequente è : quivi l’Hordeum secalinum, che forma un fitto rivestimento del suolo analogo a quello di una prateria, e lo protegge dalle oscillazioni estreme di secchezza e di temperatura, in modo da determinare una relativa stabilità delle condizioni edafiche. Se la umidità del suolo è alquanto minore, si sviluppano, in- vece delle specie sopra ricordate, altre di carattere piuttosto rude- rale, Amarantacee, Poligonacee, Crucifere e tra queste in modo particolare, Lepidium ruderale, Senebiera Coronopus, Chrysanthemum inodorum v. maritimum, Althea officinalis. Nella regione piemontese io ho osservato presso Castagnole Lanze (Alba), sui bordi di una sorgente salata su fondo marnoso rimaneg- giato dalle correnti, lo sviluppo di una vera e propria. associazione pratense. La permanente freschezza del suolo, la relativamente bassa con- centrazione della soluzione imbevente, il coperto erboso continuo, mantenevano perfettamente costanti le condizioni edafiche. Le specie che vi crescevano sono: Tararacum officinale, Achillea Mulefolium, Centaurea Iacea, Plantago lanceolata, Salvia pratensis, baucus Carota, Lotus corniculatus, Trifolium pratense, Ranun- culus acer. (1) Alle peraloidi anastatiche appartengono anche alcune stazioni costituite da piccole raccolte acquee, le quali durante la stagione estiva si essicano; quivi per la concentrazione che così ha luogo, e più ancora per l’alterazione dei composti di assorbimento, e per l'intensa nitrificazione che vi si verifica, le soluzioni saline diventano fortemente concentrate, per abbassarsi di nuovo. col riempirsi del bacino acqueo. Sia l’acqua salmastra o no, vi prosperano alcune specie alicole, p. e. alcune imalvacee e molti rappresentanti del gen. Venanthe. | —‘’Sitratta cioè di una vera e propria associazione pratense. . Mentre così le diverse stazioni peralicole eustatiche mostrano la loro stretta affinità, mediante il graduale passaggio da quelle nettamente alofite a quelle pratensi, le prime a maggiore, le altre a concentrazione un po’ minore, ma sempre piuttosto costanti, al- meno durante il periodo vegetativo, anche il succedersi nel tempo di diverse associazioni vegetali sulle stesse località, ci mostra gli stessi passaggi osservati nella successione nello spazio. Ho già ricordato nel paragrafo precedente le associazioni pera- licole anastatiche di Urtica, Perietaria, ecc. Un’altra associazione pure nettamente anastatica è quella ruderale dei margini di strade soleggiate a base di oa annua, Eragrostis poeoides, Setaria viridis, S. glauca, Polygonum aviculare, Arenaria serpyllifolia, Linaria minor, Senecio vulgaris, Plantago major, Geranium pusillum, Tararacum officinale. — Il carattere anastatico della ‘stazione occupata da questa asso- ciazione non è dubbio, ma se si osserva il succedersi di questa flo- rula dalla parte più calpestata, verso quella laterale delle strade e sopratutto sulle ripe e sulle scarpate, vediamo farsi più rare alcune di queste, prevalerne altre o addirittura sostituirsi diverse altre; così appaiono Hordeum murinum, Bromus sterilis, Lolium perenne, L. italicum, Plantago lanceolata, Medicago lupulina, Trifolium pra- tense, Bellis perennis, Cychorium Intybus, Leontodon hastile. Prevalgono in questa nuova associazione le piante perenni, come prevalgono in quelle delle praterie salate osservate da Drude, ed il fitto feltro di radici da esse sviluppato, arricchisce di materiali umici il suolo. Questo è inoltre efficacemente protetto dal mantello vegetale più fitto, onde, senza che la concentrazione media dei liquidi del suolo sia di molto diminuita, restano assai meno accentuate le oscillazioni estreme di salinità durante il periodo vegetativo. Si ha così a lato di una stazione anastatica, quale è quella della parte calpestata della strada, una stazione, pure peraloide, ma net- tamente eustatica. Quest'ultima non è poi altro che la stazione detta dei luoghi erbosi, rifugio di numerosissime specie arvensi, sepiarie, ruderali, pra- tensi, ecc., ivi riunite per molte cause diverse dagli agenti disse- minatori, e tra le quali si impegna una concorrenza continua per la utilizzazione dello spazio, della luce, ecc. È forse azzardato l’affermare che nel successo in tale concor- renza abbia importanza questa o quella maggiore capacità di adat- tamento; certo è che si può constatare che l’effetto di questa lotta. sta nella successione di specie più gelicole, a quelle specie perali- PRI N A DERE la CE GT Re | LS BBD tr RO cole che si sono sviluppate per le prime sul terreno nuovo offerto alla vita vegetale. Entrambe le stazioni eustatiche peralicole, quelle dei margini dei luoghi salati, e quelle dei luoghi erbosi, conducono diretta- mente, per un passaggio graduale, ma assai lieve, a quelle della flora pratense che studierò a proposito delle stazioni aloidi. Nell’Orto Botanico di Torino ho pure osservato una tipica suc- cessione nello spazio di queste associazioni in relazione colla diversa mineralizzazione delle soluzioni del terreno. Contro al muro a nord dell’edificio dell’ Istituto, si trovava un piccolo tratto privo di vegetazione, riparato da un balcone e con terreno estre- mamente peraloide; subito dopo seguiva un tratto, pure pera- loide, ma a minor concentrazione, con Parzetaria officinalis che oc- cupava esclusivamente la stazione, costituendo una fascia continua innanzi all’edificio, larga 80 cm.; a questa seguiva una fascia di Viola cucullata assai ben sviluppata, e occupante un terreno di mi- nore ricchezza salina; dopo questa si estendeva una comune asso- ciazione di prato, con Bellis perennis, Ranunculus acer, Galium Mol- luga, Viola cucullata, (meno sviluppata però), Arrhenaterum elatius, ecc. Il decrescere della concentrazione dei liquidi di tali terreni è in- dicato nella tab. XVI n. 1-4. Ho ricordato più sopra le stazioni peralicole a cloruro di sodio con A/thea rosea, e quella a nitrati a base di Urtica e di Parietaria. Alcune malvacee e urticacee si trovano spesso associate in una stazione avente carattere affine a quella sepiaria, che è quella dei bordi dei fiumi e dei canali non troppo elevati sul pelo dell’acqua; è una flora non molto ricca di specie, ma molto rigogliosa per svi- luppo di individui. Quivi sì incontrano Brackypodium pinnatum, B. sylvaticum, Hu- mulus Lupulus, Urtica divica, Clematis Vitalba, Althea rosea, Malva Alcea, M. sylvestris, M. rotundifolia, (raleopsis Tetrahi, Torilis, (ircea lutetiana, LRubus sp. pl., Stachys palustris, Eupatorium can- nabinum. L'alta concentrazione delle soluzioni è mantenuta, sia dai mate- riali di espurgo spesso gettati sulle ripe, sia dall’ascesa per capilla- rità delle acque del corso d’acqua, ascesa che porta ad un accumulo di materiali ivi abbandonati per l’evaporazione, e successivamente nitrificati, in un ambiente nel quale è costante un certo grado di umidità. La stabilità poi delle soluzioni è mantenuta sia dall'arrivo dal basso in alto di acqua, sia dalla protezione che il fitto rivestimento vegetale esercita sul suolo. n De - n fr Da bar. nei an Ia der o Se i met te Me 361 _ E interessante la presenza in queste stazioni dell’ Althea officinalis, pure frequente nelle stazioni salate eustatiche. È questa una prova di più della possibilità per alcune piante di sopportare la sostituzione di un sale con un altro, anche di differentissima natura chimica, come nel caso attuale tra cloruro di sodio e nitrato di calcio o di potassio; dei sali cioè i quali non hanno di comune altra proprietà che quella di dare a determinate concentrazioni una eguale pressione osmotica, e tuttavia capaci di determinare in due stazioni diverse una perfetta analogia di ambiente edafico. L’ Althea officinalis e altre malvacee ricordate, sono pure un esem- pio istruttivo per dimostrare la stretta affinità che lega, anche ri- spetto alla così detta appetenza edafica, le diverse specie di un me. desimo gruppo naturale. In tutta la nostra flora la massima parte delle malvacee (salvo qualche Malva moschata), si mostrano netta- mente alicole, e anche Negri nei bacini prosciugati dopo le pioggie, nell’Etiopia meridionale, osservò una ricca vegetazione di malvacee associate a altre specie evidentemente alicole. Nelle stazioni che ho finora passate in rassegna, siano pedoelo che pedomesofite, la qualità e la misura delle soluzioni saline che vi sì incontrano, ben di rado sono il risultato diretto della so- luzione dei soli corpi più o meno degradati che formano lo sche- letro del suolo, ma più spesso provengono dall’apporto da vicino o da lontano dei prodotti di degradazione di altri terreni. L'agente di tale trasporto è l’acqua, sia sotto forma di corrente più o meno rapida, sia assai lenta per capillarità, ed il terreno immediatamente costituente le stazioni non entra che in modo affatto secondario per la struttura fisica o per la composizione chimica a elevare 0 mode- rare la concentrazione. Le stazioni delle quali inizierò ora l'esame, sono invece caratte- rizzate, per la massima parte, dalle proprietà del suolo medesimo. che le costituisce. c) aloidi anastatiche. La presenza di sali del terreno, e le variazioni di condizioni climatiche, quelle appunto che valgono a rendere anastatico un terreno, possono ben di rado essere così equilibrate da non dar luogo a delle elevazioni così notevoli della concentrazione, quale noi in- contriamo nelle stazioni peraloidi anastatiche. Sono perciò poco frequenti le stazioni aloidi anastatiche pro- priamente dette, nelle quali cioè si osserva una concentrazione mi- nima non molto bassa, ed una massima che non raggiunge mai quella delle peraloidi. Tra le aloidi anastatiche noi annoveriamo stazioni, nelle quali ha luogo un afflusso di acqua più o meno continuo. In conseguenza delle variazioni della quantità di acqua può variare la misura della concentrazione; naturalmente perchè i massimi non possano rag- giungere l’altezza che sì osserva nelle stazioni peraloidi, occorre che le condizioni climatiche non permettano un essicamento intenso, e quindi un richiamo notevole per capillarità di altre soluzioni saline. Si osservano queste condizioni sui margini di strade e di sentieri nella regione alpina; io ho osservato p. es., con particolare frequenza nei sentieri a m. 2100 nelle A. Marittime, Alopecurus Gerardi, Phleum alpinum, Hutchinsia alpina, Trifolium alpinum, Ranunculus Sequieri; in altre stazioni simili nelle A. Cozie, trovai pure le medesime specie, più /lantago maritima, PI. fuscescens, specie tutte assai più rare ap- pena pochi metri più a lato sulle costiere del pascolo, di carattere, eminentemente eustatico. Pure nella regione alpina sono caratteristiche le stazioni anasta- tiche situate intorno alle pietre e ai massi isolati, dove per capil- larità arriva e poi evapora, non solo l’acqua che imbeve il suolo verticalmente sottostante, ma anche quella proveniente dalla parte situata sotto ai massi, dove la degradazione ha pur luogo, ma la pioggia non ne asporta ì materiali solubili; quivi pure sgocciolano le acque di pioggia dilavanti superficialmente i massi, e quivi spesso una sporgenza di pietra protegge dal dilavamento una piccola an- frattuosità interposta tra Ja terra e il masso. In tali luoghi, nelle zone montane e subalpine, la vegetazione è contrassegnata da un rigoglio maggiore, effetto dell'accumulo di ma- teriali nutritivi; in quelle più elevate vi sono caratteristiche le pre- ferenze per parte di alcune Poligonee, /. viviparum, Oxryria digyna, Crocifere, Arabis alpina, Hutchinsia alpina, T'hlaspi rotundifolium, e per Viola bifora, alcune Valeriana, Linaria alpina, Cerastium latifo- lium, uniflorum, alpinum, arvense, ecc., tutte specie nettamente alicole. In zone altitudinari più basse, è sui muri a secco di sostegno, e specialmente ai piedi di essi, che noi troviamo frequente una flora alicola, e così pure ai piedi delle pareti rocciose, ove i piccoli accu- muli di materiale detritico in via di rapida degradazione danno luogo a abbondanti materiali solubili. La concentrazione del liquido di imbibizione non può quivi ele- varsi di molto, perchè i larghissimi meati di un tale substrato non permettono l’ascesa di una grande quantità di liquido. Un terzo tipo di stazione è quello che si osserva specialmente nei burroncelli d’erosione, in formazioni gneissiche o schistose, le quali siano acquifere e ricche di materiale detritico. E n pei kg oto ge quelle delle piccole frane ghiaiose, ed infine in quelle delle roccie si- licee acquifere, noi abbiamo tre ambienti a differente grado di umi- dità, eppure, ove appena il contenuto acqueo del suolo sia sufficiente per la funzionalità delle piante, noi troviamo delle specie comuni: Eupatorium cannabinum, Tussilago Farfara, Petasites sp. pl., Ga- leopsis Tetrahit, Stachys recta, Cystopteris fragilis, Asplenium Filix foemina, Polypodium Phegopoteris, e sopratutto Rumex scutatus. Sono tutte piante a stazione aloide e facilmente variabile ad ogni ripresa delle pioggie, e si trovano per lo più nella regione mon- tana, dove le pioggie estive sono piuttosto frequenti, e impediscono una grande elevazione della salinità. Affini a queste sono le stazioni offerte dalle pareti dei tagli naturali su roccie leggermente argillose o sabbioso argillose, poco calcificate, dalle quali trasuda dell’acqua di drenaggio delle parti profonde, che evaporando dà luogo a soluzioni più concentrate. Vi si trovano specialmente Epatiche, Marchantia, Fegatella, Re- boulia, Anthoceras, Blasia e Muschi. Assai più rare vi si incontrano piante vascolari, Asplenium Tri- chomanes, Epilobium, qualche Arabis, Cardamine, ecc. È specialmente nei terreni silicei che si osservano tali stazioni anastatiche, perchè in quelli calcari è più facile una elevazione ec- cessiva di salinità, da permettervi la vegetazione peralicola, e perchè spesso la scarsa capacità acquifera delle roccie calcari favoriscono lo stabilirsi su queste di vegetazione a carattere piuttosto xerofita che mesofita. d) aloidi eustatiche. a) Le stazioni pratensi sono, come si è visto più sopra, quelle che più si ravvicinano a quelle peraloidi; accenno qui specialmente al prati artificiali di pianura. Molte di tali stazioni presentano una concentrazione assai ele- vata dei liquidi di pedolisi, quantunque non tuttii materiali solu- bili siano osmoticamente attivi; in parte questa elevata concentra- zione è dovuta alla concimazione. Le numerose specie comuni ai prati e ai luoghi erbosi, più sopra indicati come peraloidi, forniscono del resto una prova di più della aloidità della stazione; è certo poi che il fitto rivestimento erboso ‘mantiene nel suolo le condizioni ‘sufficienti per una notevole stabi- lità della concentrazione. b) Un'altra stazione che è pure opera dell’uomo, entra nel no- vero di quelle fortemente aloidi, e cioè quella dei campi. DIA, RR Ho già ricordato tre tipi differenti di associazioni arvensi; Sì ricordare il terreno vero e proprio che è utilizzato dalle piante ivi coltivate, e che, per i lavori di aratura essendo molto soffice, permette un approfondimento molto al disotto di quello che è normale per la flora arvale; è nota difatti la grande profondità alla quale sì spingono in parte le radici dei cereali, delle leguminose coltivate. Esse sono così, sottratte alle rapide e intense oscillazioni di concentrazione che sì osservano negli strati superficiali; la salinità media del terreno non è minore nella parte profonda, ma assai più piccole vi sono le variazioni, condizione questa di diverso funzionamento del sistema assorbente. È questo un esempio di più della cura colla quale è necessario sìa esaminata una stazione, onde ci si possa fare un concetto esatto dei caratteri di essa; in questo caso si osserva la sovrapposizione di due stazioni anastatica l’una, eustatica l’altra. Tanto la stazione pratense che la campestre non presentano fra loro differenze gran che notevoli, qualunque sia l’origine mineralo- gica del terreno. È soltanto nel caso che il campo sia eccessivamente argilloso per argille di ferrettizzazione, o eccessivamente sabbioso per sabbia si- licea, come nei campi magri di montagna, che del resto sono appena degni di essere chiamati con questo nome, che si può osservare una concentrazione minore. In generale si può ritenere che in tutta la parte profonda della terra arata, o in quella più prossima alla cotica esiste una salinità press’'a poco eguale e costante e piuttosto alta. c) I pendii montani ospitano delle associazioni, nelle quali sì osservano molte specie pratensi; ed a queste si aggiungono altre specie numerose, in modo da formare dei fitti rivestimenti sul suolo analoghi a quelli delle zone pianeggianti. Quivi l’influenza della origine mineralogica del suolo si fa sen- tire assal più spiccatamente. Il rivestimento vegetale, diminuendo notevolmente l’intensa eva- porazione superficiale (l'emissione di acqua dovuta alla traspira- zione opera contemporaneamente una sottrazione di sali al terreno), evita l’ascesa rapida e l’accumulo superficiale dei sali; ne viene che la precipitazione atmosferica, già frequente nelle regioni montane, determina una corrente discendente di acqua assai più intensa che quella ascendente, onde deriva un abbassamento continuo e lento dei sali solubili, e, data la nessuna lavorazione del terreno che riporti alla superficie dei materiali profondi, si verifica un depauperamento continuo e progressivo delle parti superficiali. quella |. precoce, quella delle mèssi e quella estivo-autunnale; occorre ora P ,»9 q Rea: D'altra parte la decomposizione dei materiali organici e l’atti- | vità del feltro radicale, provocano, per gli acidi umici e per la C 0, «a cui danno origine, una più intensa decomposizione, e un conse- guente depauperamento maggiore del suolo più in contatto colla co- tica erbosa. In queste condizioni si manifesta la differenza tra i terreni sili- cei e quelli calcari; i primi sono assai poveri in sostanze solubili, e quindi presto esauriti, mentre quelli calcari hanno delle riserve assai lentamente esauribili; nei primi la concentrazione diviene ben presto assai bassa, in questi ultimi essa è invece maggiore; in entrambi, per le ragioni già viste, si mantiene costante durante ogni periodo vegetativo. Non è neppure il caso di ricordare i caratteri floristici dell'una o dell’altra associazione, tanto più che tra le due si osservano nu- merosissimi facies intermedii secondo la più o meno accentuata decal- cificazione superficiale del terreno; si passa così dalle associazioni dei pascoli alicoli eustatici sul calcare, a quelle gelicole eustatiche sulle formazioni silicee. . Ancor meno spiccate sono le differenze che esistono nei pascoli delle regioni alpine, dove il minore riscaldamento, la maggiore pre- cipitazione atmosferica, l’accumulo di materiali umici a causa della bassa temperatura, portano ad una decalcificazione maggiore degli strati superficiali, e alla formazione di una cotica superiore piut- tosto spessa, in parte vivente, in parte morta, e fortemente umifera, nella quale si espandono sia l'apparato assorbente, sia i sistemi cau- linari, i quali, come è caratteristico di questa flora, si difendono in tal modo dagli eccessivi abbassamenti termici. Si tratta perciò in questo caso di stazioni geloidi, qualunque sia la composizione mi- neralogica della roccia sottostante. d) Il terreno calcare al quale ho accennato a proposito dei pa- scoli montani, è, per la sua composizione chimica, il substrato fonda- mentale delle stazioni alicole eustatiche. Come si è visto nella prima parte del lavoro, la sua solubilità mantiene una concentrazione piut- tosto alta nei liquidi di imbibizione, e, quando nel suolo non so- pravvenga una diminuzione notevole nell’umidità, che ne alteri la struttura fisica, o non vi si aggiunga un apporto da lontano di so- stanze facilmente solubili, o una attività di microorganismi tale da dare origine alla formazione di abbondanti nitrati, la misura della ‘quantità di sali disciolti sarà sempre piuttosto costante. Tale mi- sura corrisponderà alla quantità di C O, esistente nel suolo; il limite teorico di saturazione delle soluzioni di Ca C O, in acqua satura di CO, è di 1 °/,, circa, ma tale limite può essere difficilmente rag- (0/0) ANNALI DI BoranIica — Vor. VIII. 24 te ra ® saturare l’acqua. Qualunque sia la quantità di acqua che lo imbeve, sì trova sempre, nel suolo calcare, il Ca CO, a sufficienza per dare delle soluzioni riccamente mineralizzate, e le radici sl trovano perciò in un am- biente osmotico quasi stabile, stabilità che persiste o si abbassa di poco, anche durante il periodo di prolengato dilavamento del suolo. (V. Tab. IX). La costanza della concentrazione è più spiccata dove il suolo superficiale non è essicato, e quindi la sua compagine fisico-chi- mica non è alterata; nei nostri climi lo strato superficiale a concen- trazione variabile è poco alto in pianura, minimo in montagna, ed è nello spessore di questo che si sviluppano specialmente le piante a tipo ruderale, arvense, che sono influenzate, oltre che dal Ca CO, anche dagli altri materiali salini che fanno efflorescenza alla su- perficie. Lo strato aloide eustatico è invece quello sottostante, nel quale affondano le radici. le specie conosciute come calcicole: del resto molte piante della flora del calcare hanno abito rupestre; ed in questa stazione sappiamo come profondamente sì spingano le radici nelle fessure delle rupi, onde assicurarsi, per quanto è possibile, una riserva di umidità; tutti conoscono pure quanto sia facile tro- vare terra fresca nel fondo di tali fessure, anche quando all’intorno tutto è riscaldato e arido. Caratteri dei terreni calcari sono del resto la porosità, la riscal- dabilità e l’aridità notevoli, onde su di essi la yegetazione assume assai spesso un abito xerofilo, che è dubbio se si debba attribuire totalmente a tali condizioni fisiche d’ambiente, o anche all’azione delle soluzioni sul sistema assorbente. Dovrò ritornare sull’argomento a proposito delle stazioni di pedoxerofite. Nella regione alpina l’influenza della stabilità di soluzioni a elevata concentrazione, caratteristica delle roccie calcari, sì fa assai più manifesta dove esiste un rivestimento discontinuo della vege- tazione. Mentre ‘nei pendii erbosi dei pascoli l'accumulo di humus ha per effetto di allontanare le sostanze solubili, e tende, col suo continuo incremento, a isolare l’ambiente, nel quale si sviluppano le piante, «lal substrato minerale che le sostiene, nelle stazioni a mantello ve- getale discontinuo, come sulle morene fresche, o, dove l’intenso la- vorio degli agenti meteorici lascia allo scoperto i detriti delle roccie, o sulle roccie in posto finamente fessurate e disgregate, noi vediamo ( MA A, a sb) Ls "Gi SAI ni fis giunto, perchè di rado la CO, si trova in quantità così grande da < za de —sr_ I | apparire netta la differenza tra la flora delle roccie calcari e di quelle silicee. Per citare esempi a tale riguardo io mi riferisco ai lavori del Vaccari (1), nei quali troviamo precise indicazioni di località per la flora delle regioni elevate delle Alpi; se in alcuni lavori tali accenni sono utili per la netta indicazione della località che permette, col- l’aiuto di una carta geologica, di valutare esattamente i caratteri del substrato di ogni specie, particolarmente preziosi sono i dati sopra la distribuzione edafica di molte piante alpine della Valle d’Aosta, sul calcare, sul serpentino, sul gneiss, anche perchè sono i soli che ho potuto trovare riguardo alla regione elevata delle nostre Alpi. Una particolare stazione aloide alpina è quella che si osserva nelle Alpi in prossimità di cumuli di neve di valanga, dove la pro- lungata macerazione del suolo, e gli abbondanti materiali organici lasciati dalle nevi, e pure in via di intensa degradazione, provocano la formazione di materiali solubili in misura non molto notevole, in relazione coi quali si stabilisce una vegetazione caratteristica a Ra- nunculus glacialis, Soldanella alpina, Viola e altre specie alicole (2). A. un tipo analogo di stazione si debbono ascrivere quelle oc- cupate da molte specie caratteristiche della flora artica, Crucifere, Papaveracee, Silenee; mentre, dove particolari condizioni locali e cli- matiche permettono l'accumulo di materiali umici, sì stabiliscono una fitta vegetazione di carattere pergelicolo con predominio di Eri- cacee, o le associazioni di Licheni e di Muschi. . e) Un terreno pure molto ricco di calcare, ma a condizioni fisiche assai differenti da quelle delle roccie calcari, è quello mar- noso. La ricchezza del contenuto in carbonato di calcio, è, nelle marne, assai variabile, ma nella roccia non degradata il contenuto è sempre così elevato, da determinare, nell’acqua che vi si trova, la concentrazione solita delle roccie calcari; così sopra le pareti mar- nose non appena degradate, la vegetazione che vi sì incontra, as- sunie un facies rupestre colle specie caratteristiche della flora alicola xerofita delle rupi calcari; sopra queste ritornerò a proposito delle stazioni pedoxerofite. (1) VaccaRI L. — Flora cacuminale delle Valla d’ Aosta. N. G. B. It., Nuov. ‘ ser. VIII, 1908. — Ip. Ip. La flore de la Serpentine, du Calcaire et du Gneiss dans les Alpes Grajes Orientales Aoste, 1903. — Ip. Ip. Un coin ignoré dans des Alpes Grajes. Bull. de la FI. Vatd.T, I. (2) Cf. anche Schedae ad Floram Italicam exiccatam. N. 45. N. G. Bot. IV, 1905 XII. Ma non i appena abbia Take la degradazione, e ognuno sa a qu Nanto sia facile l’inizio di questo processo, i caratteri fisici della roccia. cambiano notevolmente; non muta per nulla la impermeabilità, ma aumenta moltissimo la capacità acquifera, e, quando alla superficie sia essicata, mantiene nella parte profonda una umidità prolungata per un tempo notevole. Inoltre la plasticità di questo materiale favorisce la possibilità, per parte delle radici, di affondarsi notevolmente, e quindi di "0 portare un periodo relativamzni lungo di secco. È per queste condizioni di relativa stabilità, che le stazioni mar- nose assumono il carattere eustatico, e per lo più alicolo, per la forte dose di calcare in esse contenuto, che è quasi sempre sufficiente a saturare le acque di imbibizione. Anche lo strato immediatamente superficiale assume nella marna un carattere affatto eustatico, e ciò perchè la minima porosità del suolo non permette, come in altri terreni, l’ascesa delle sostanze disciolte situate in profondita, le quali del resto essendo costituite in gran parte da Ca (C O,), verrebbero senz'altro precipitate e rese osmoticamente inattive coll’evaporazione del solvente. Accenno qui naturalmente ai terreni marnosi puri, e non a quei substrati marnosi che in seguito a concimazioni, emendamenti e la- vorazioni agrarie, hanno acquistato in misura più o meno grande i caratteri proprii del terreno agrario, sui quali mi sono più sopra trattenuto. D'altra parte la notevolissima superficie delle minute particelle di Ca CO, esposte all’azione degli agenti solventi, ne favorisce fin a un certo punto la degradazione, la quale si manifesta coll’aspor- tazione di Ca CO, e col rigonfiamento dei materiali argillosi. La degradazione della marna ha luogo però in un modo diffe- rente che non nei terreni porosi, perchè in questi l’acqua che asporta i materiali disciolti si affonda verticalmente, in .quelli invece la massima parte dell’acqua scorre via, e quindi assai meno alto può essere lo strato che risente l’azione solvente della pioggia. Ma più importante ancora è il fatto che l’azione dell’acqua di scorrimento si esercita non solo sopra i materiali solubili, ma altresì sopra il residuo insolubile che, per la sua tenuità, può venire facilmente asportato. È perciò ovvio che gli effetti sulla vegetazione di questa azione decalcificante si possono far palesi solo dove la marna è ricoperta di un mantello vegetale continuo, e ciò: 1° perchè è solo per l’attiva funzionalità respiratoria dei vegetali e per la decomposizione dei detriti organici, che può formarsi la C O, in quantità sufficiente a STALBARE CERA i sol bilizzare rapidamente la Ca CO,, e poi perchè, data la facile | asportabilità dei materiali argillosi, questi verrebbero ad essere facil- mente allontanati, lasciando allo scoperto nuovi materiali calciferi. È appunto quello che il collega Negri (1) dapprima e poi io stesso abbiamo osservato nella collina di Torino, e io poi anche frequente- mente nell'Appennino settentrionale tra Novi e Ovada (2). In questi sistemi collinosi, dove le marne sono riccamente cal- cifere, è frequentemente dato osservare, nei luoghi esposti a nord e freschi, uno sviluppo di numerose specie gelicole, mentre in quelli ‘esposti a sud, la flora alicola, caratteristica della marna, è invece ‘assai diffusa. Un esame dei terreni della parte soleggiata, fa vedere l’abbon- dante quantità di materiali calciferi in esso contenuti, e concomi- tante ad un rivestimento discontinuo, il quale spiega l'avvenuta asportazione dei materiali solubili per via chimica e di quelli argil- losi per via meccanica. Quale influenza abbia il diboscamento sulla continuità del ri- vestimento vegetale, è cosa che nel nostro caso non ha interesse, e pel quale rimando alla memoria del Negri già citata. A nord, ove per cause diverse il coperto vegetale è più continuo, la decalcificazione chimica delle marne ha avuto luogo senza la con- temporanea asportazione dell’argilla, e quivi si ha uno strato su- perficiale di materiale geloide, il quale spiega l’esistenza del Ca- stagno, della Calluna, della Pteris aquilina, Genista tinetoria, Poten- tilla Tormentilla, Solidago Virga aurea, Vaccinium Myrtillus. Frammiste a queste crescono Carpinus Betulus, Quercus sessili- flora, Viburuum Lantana, Cytisus triflorus. Ora è noto che le radici delle Castanea, della Calluna, della Potentilla, del Vaccinium, ecc., de- corrono assai superficialmente; in modo particolare io ho potuto con- statare che la C'alluna poteva essere divelta colla massima parte del si- stema radicale, facendo uso della semplice trazione; le specie alicole citate, Carpinus, Quercus, ecc., hanno invece un fittone sviluppato (3), ‘e radici alquanto più profonde che non le gelicole di cui sopra. (1) NEGRI G. — La vegetazione della collina di Torino. Mem. Acc. R. Sc. “Torino, S. II, T. LV, 1905. i (2) Anche UGoLINI U. (Esplorazioni botaniche in Val Sabbia, Comm. Ateneo Brescia, 1901), ha osservato il castagno sulle marne raibliane, umide e di tinta ‘oscure e quindi probabilmente assai degradate. (3) PiccioLI L. — Le piante legnose italiane. Firenze, 1890. Inoltre, data la pochissima permeabilità della marna, specie se assai de- -gradata, le radici di una pianta possono essere avvolte da uno strato, p. e. ge- loide, perfettamente indipendente da una porzione poco distante di terreno di ca- rattere più aloide. è Evidentemente la marna ha ivi subito una decalcificazione affatto — superficiale, come del resto dimostrano i risultati della pedolisi sui. saggi che ho raccolto. Anche nell’Appennino ligure-piemontese, mentre sulla cresta di contrafforti esposti a sud, ho trovato Helianthemum Fumana, Spartium junceum, Urospermum Doleschampsii, Linum gallicum, Bartsia Trixago, Globularia vulgaris, Plantago Psyllium, Coronilla minima, Ononis Natrix, su quelli esposti a nord a pochi metri di distanza dalla cresta crescevano, Castagno in alberi assai ben svi- luppati, Genista tinctoria, Betonica officinalis, Lotus corniculatus, Solidago Virga aurea, Pteris aquilina, Calluna vulgaris, Trifolium rubens. Credo che in questa azione decalcificante, più che la pioggia di- retta, abbia influenza la più intensa rugiada, la minore evaporazione di essa, la freschezza prolungata del suolo, la permanenza notevole della neve e la lenta fusione di essa (1). Una prova della avvenuta decalcificazione superficiale, la si ha nel fatto che il liquido pedolitico e quello pedopiezico ottenuti dai cam- pioni più degradati, rimanevano assai a lungo opalini per la pre- senza di argilla colloidale, mentre d’aspetto limpido erano, dopo una sola filtrazione, quelli provenienti dai campioni raccolti sulle marne più profonde, o da quelli dei luoghi aridi soleggiati. È questo un ca- rattere differenziale che ho osservato costantemente, e che è di un certo interesse, perchè ognuno sa quanto facile sia la coagulabilità dell'argilla sotto l'influenza di elettroliti, e specialmente dell’ione Ca, e quanto perciò sla sensibile l'indice dell’opalescenza dei liquidi di scolo da un terreno marnoso, per dimostrare la decalcificazione in esso avvenuta (2). È appunto l’argilla colloidale che ha spiccata in massimo grado la proprietà di dare dei composti di assorbimento (V. Bemmelen), pro- prietà alla quale io ho attribuito tanta importanza nel regolare la distribuzione delle specie gelicole. A tutte queste considerazioni non ha posto mente la Dott. Pane- (1) Altri esempi di questa demineralizzazione superficiale di terreni, origina- riamente assai più ricchi di materiali solubili, o capaci di divenir tali, li tro- viamo nella genesi di molte terre rosse sulle roccie calcari, del ferretto da noi e delle lateriti nelle regioni tropicali. (2) Sull'’importanza dei diversi elettroliti nella coagulazione dell’argilla agraria cfr., oltre al lavoro di Schloesing più volte ricordato, quelli del me- desimo autore in OC. R. 1874, T. LKXVIII. Vedi pure un lavoro recente di Soave M.: /ntorno al meccanismo di azione del gesso impiegato in agricoltura. Ann. R. Acc. Agrie., Torino, 1908. Vol. LI, p. 68. vi ot Rie SA Se CSS = |—’bianco(1), la quale, proponendosi di controllare l'applicabilità della mia teoria fisico-osmotica nella distribuzione delle piante costituenti la flora marnicola delle Colline di Teolo, ha conchiuso che « se essa contribuisce a chiarire una parte più 0 meno notevole del complica- tissimo problema dell’appetenza delle piante pel terreno....., tuttavia si appalesa insufficiente ». È nozione comunein fitostatica che sono sufficienti quantità assai di piccole Ca C O,, per determinare la scomparsa delle specie calcifughe, anche senza che le qualità fisiche e termiche del terreno o della roc- cia siano sensibilmente diverse da quelle dei terreni silicei; Chatin fissa questo limite a 3 °/o di Ca O pel Castagno, Contejan (2) dal 2 °/, al 6°/, secondo la specie; Beille ha trovato che le terre provenienti dalla decomposizione dei basalti possono già fissare le piante calcicole quando il contenuto in Ca C O, sia solo dell'8 — 10 °/, (4-5 0/ di Ca 0) (3). Dall’analisi riferita dall'A. citata, su terreni marnosi raccolti dove le specie calcicole erano più scarse, risulta che vi era il 81,7 “4 di sostanze solubili in H Cl; non è indicata quanta parte di questo appartenesse a Ca, e quanto a Fe, Al, Mg, S, K, Na, P, Si; solo si sa che conteneva ancora discrete quantità di carbonati, specialmente di calcare, e che con HCl si aveva effervescenza molto più scarsa che nell’altro campione che conteneva 61,2 °/ di Ca CO.. (0) È lecito perciò dedurre che la quantità di calcare ivi esistente fosse superiore alla dose minima di 6 °/,, quale è necessaria per im- pedire lo sviluppo della flora gelicola, tanto più che le proprietà as- sorbenti dell’argilla sono, come quelle di qualunque idrogele, facil- mente saturate da un eccesso di elettroliti, i quali non mancano certo in un terreno così ricco di composti di Ca, Mg, K, Na, S, P; e tanto più che elettroliti contenenti gli ioni Ca, Na sono tra quelli che meno, anzi quasi per nulla possono essere trattenuti allo stato di composti fisici di assorbimento, e quindi sempre allo stato solubile e osmotica- mente attivi. Non è perciò fondata l’asserzione dell'A. che, essendo in questi campioni il residuo insolubile e quindi argilloso sempre presente ed in percentuale non trascurabile, indubbiamente, anche in questo terreno (1) PanEBIANCO H. — Osservazioni sulla Flora marnicola delle Colline di Teolo negli Euganei. Estr. Atti Acc. Sc. Veneto-Trentina-Istriana. Classe I, vol. V, 1908, p. 15-16. È (2) Cfr. CONTEJEAN CH. — Geographie botanique. Paris, 1881. (3) Cfr. Roux CL. — Rapports des plantes avec le sol. Montpellier-Pa- ris, 1900. hi a bono esercitarsi proprietà assorbenti e dvenss Ilona i0ci | pressione osmotica. STE SEE Affatto indubbia sarebbe stata l’asserzione, se essa Pets SS dedotta, non dalla constatazione di un residuo argilloso, ma dal saggio coi cartimi di alizarina da me proposti, i quali avrebbero senz’altro risolto il problema dell’esistenza di soluzioni a mediocre o, alta con- centrazione, e l’esistenza di Ca CO, solubile in acqua più o meno carbonicata (1). Stabilito adunque che anche i caratteri delle stazioni che sì os- servano nei terreni marnosi, trovano una completa spiegazione nella teoria fisico-osmotica, noi possiamo ritenere le stazioni su marne a facies rupestre, come perfettamente paragonabili a quelle delle rupi calcari, e quindi alicole e per lo più xerofile. Dove la struttura rocciosa della marna comincia a alterarsi per la formazione di materiali plastici, si ha una stazione nettamente aloide eustatica, come è frequente sui calcari puri ricoperti di vegetazione continua, e ciò perchè il Ca C O, è sempre presente in quantità più che sufficiente per mineralizzare le soluzioni del terreno. Solo in quei Inoghi nei quali particolari condizioni di degradazione (umi- dità permanente, esposizione a nord, mantello vegetale continuo), permettono l’asportazione del calcare senza l’allontanamento con- temporaneo dell’argilla, sì possono avere associazioni a carattere gelicolo (terre rosse). f) Gli alvei dei corsi d’acqua ospitano, oltre ad una flora af- fatto superficiale di carattere xerofilo, dovuto alla speciale struttura del suolo, anche una serie di specie a apparato radicale più pro- fondo, che raggiunge lo strato di sabbia che risente l’influenza della falda acquea; abbiamo cioè l’associazione di due florule, xerofila l'una, mesofita l’altra. Tralasciando per ora di studiare la vegetazione xerofita, ricorderò numerose specie di Populus, Salir, Alnus. per la massima parte alì- cole, che utilizzano le particolari condizioni d'ambiente sensibil- mente eustatiche. Ho toccato più sopra, nel caso della flora delle marne, il Castagno e la Quercia, e testè 1 ’opulus, Alnus, Salir; sono questi i primi ac- cenni che faccio a piante arboree, aventi perciò l'apparato assorbente (1) Del resto, dal punto di vista biologico, il metodo della determinazione del Ca solubile in H Cl non è affatto ritenuto il migliore, e nelle ricerche ed esperienze chimico-agrarie si ricorre da tempo alla determinazione del Ca so- lubile nell’acido citrico, come quello che più direttamente ha importanza nu- tritiva o repulsiva per le piante. sehr din profondità samia bile, ma superiore a quella occupata dalla. massima parte dei vegetali nbacei e arbustacei. Lo studio delle relazioni tra le piante arboree e il suolo, richiede l'esame preventivo di alcune condizioni speciali all'ambiente nel quale si svolge l'apparato radicale di esse, e ne farò oggetto di trat- tazione in un paragrafo speciale. g) Un tipo ben distinto di stazione aloide eustatica, è quello delle rupi bagnate da stillicidi di acque assai mineralizzate, talora addirittura calcarizzanti; le specie che vi crescono sono specialmente tallofite, più di rado di pteridofite, particolarmente Adianthum Ca- pillus Veneris. To ho trovato in Piemonte questa specie costantemente sopra gli stillicidi più o meno calcarizzanti, ma non si può nemmeno in tal caso addurre l’appetenza chimica, poichè, purchè le acque siano mineralizzate, la composizione del sale può variare: così sui pendii soleggiati del M. Musinè, dove non vi sono altre roccie che serpentinose, i colaticci superficiali bagnano delle rupi, nelle fessure delle quali stanno impiantati bellissimi esemplari di Adianthum (1). i Pure belli esemplari e numerosi di questa specie ho osservato più volte sui tagli fatti per aprire la strada provinciale Orta-Omegna, nella località Sassina, presso Pettenasco. La roccia è quivi costituita da micaschisti nei quali stanno spesso inclusi materiali piritosi. Di questi, i prodotti di alterazione reagiscono sui micaschisti, dando luogo alla formazione di solfato di allumina, il quale, disciolto nel- l’acqua di infiltrazione, viene portato alla superficie, dove si rende ‘assai spesso evidente, durante la stagione secca, con abbondanti eftlo- rescenze, in immediata prossimità della zona CEE umida, nella quale vegetano gli Adianthum. Così sì può osservare crescere questa specie frequentissimamente in rapporto colla mineralizzazione calcare, la più frequente forma di mineralizzazione, più di rado in rapporto con mineralizzazione a base di carbonato di. magnesia, e infine con acque aventi solfato di allumina. Questi differenti agenti mineralizzanti non possono avere altra proprietà comune che quella di essere corpi osmoticamente attivi, ed è questo il solo modo di spiegare la cosidetta funzione vica- riante che, sulla distribuzione delle piante, possono esercitare alcuni ‘composti chimici; ed altri ne potrò citare nel corso del lavoro. (1) Il D.r Negri trovò la medesima specie nell’Etiopia meridionale nella Valle dell’Auasch, nelle fessure di roccie basaltiche alcaline. Cfr. NEGRI G.: Appunti ad una escursione botanica nell’Etiopia meridionale. 1910. I A O ET ELI RI eee $ SIAE eta ; x A pg Una stazione analoga a questa, ma meno umida, è occupata dallo Scolopendrium officinarum, che in Piemonte ho osservato essere prefe- rente dei substrati a alta e costante mineralizzazione, come le rupi calcari, le pareti dei pozzi, dalle quali trapela acqua a concentrazione notevole, e in generale le vecchie mura umide con acqua di tipo aloide per la dissoluzione del cemento calcare. Anche in questo caso non sì tratta però di calcicolismo: sul M. Musinè, come ho sopra indicato, completamente serpentinoso, Re ha trovato questa specie sulle rupi umide, e nell’altro lato della Valle di Susa, sulle pareti umide del Salto della Bella Alda alla Sacra di S. Michele, il sig. E. Ferrari la raccolse in abbondanza; la composi- zione della roccia di tutta la parete è completamente serpentinosa; anche in questi due casi le acque di scorrimento, riccamente magne- siache, determinano le condizioni osmotiche speciali che favoriscono lo sviluppo dello Scolopendrium. Ho ricordato questi soli esempi riguardanti la flora piemontese, non conoscendone altri con dati precisi; quindi non so se l’influenza delle pressioni osmotiche elevate, sulla distribuzione di due specie me- ridionali in Piemonte, si esplichi nel permettere una migliore fun- zionalità dell’apparato assorbente durante il periodo vegetativo estivo, o una difesa contro il periodo invernale. E un problema che riprenderò in esame più tardi. g) Un altro caso di azione vicariante, non della composizione chimica, ma delle proprietà fisiche nel determinare le condizioni osmotiche del liquido del suolo, e quindi la distribuzione delle piante, viene offerto dall’ Eupatorium cannabinum; ho già ricordato la stazione preferita di questa specie sui bordi dei canali, alla base dei muri, dove per i meccanismi che ho già indicati, sì stabilisce un substrato di tipo aloide anastatico: io raccolsi 1’ £. in Valle Scrivia, sopra dei tagli di rupi di argilloschisti, affatto asciutti. Quivi non sì aveva di comune colle stazioni uliginose solite dell’E., altro che la concentra- zione notevole della scarsa soluzione interposta nelle fessure nume- rosissime degli schisti, leggermente calcariferi, fessure contenenti quella poca umidità che è comune a qualsiasi fessura di roccia, e) geloidi anastatiche. La bassa concentrazione che è caratteristica dei substrati geloidi non può subire delle variazioni notevoli che a costo di una forte per- dita di acqua; e tanto più forte è necessario sia questa diminuzione di acqua, in quanto i corpi colloidali, caratteristici appunto dei substrati geloidi delle associazioni mesofite (assai meno delle xerofite), esercitano una notevole azione regolatrice. È perciò che è assai im- si pi FIR pose Sc; goa probabile che si possano osservare stazioni geloidi anastatiche con vegetazione di mesofite; sono soltanto le xerofite che possono in tal caso trovare le condizioni favorevoli al loro sviluppo. g) geloidi eustatiche. I fattori di substrati geloidi sono o la grande povertà di materiali solubili, come sì osserva laddove questi sono asportati man mano che si formano (terreni silicei sabbiosi o ciottolosi), o l’esistenza di corpi colloidali (argillosi, umiferi o ferruginosi). Mentre per l’e- splicazione del primo fattore occorre una grande permeabilità del suolo, che è causa a sua volta di una notevole secchezza di questo, e quindi di una vegetazione xerofila, il secondo fattore manifesta la sua azione specialmente nei terreni freschi, talora anche poco per- meabili. Appunto l’argilla e l’humus sono da prendersi in conside- razione principalissima nello studio delle stazioni delle piante me- sofite. È dato con una certa frequenza d’incontrare stazioni stabilite su argilla pura e humus puro, ma assai più frequente è l’azione che esercitano, insieme associati, 1 prodotti dell’umificazione delle vege- tazioni precedenti, e i materiali argilloidi provenienti dall’alterazione delle roccie ivi preesistenti. Sono perciò da prendersi in considerazione dapprima i substrati puri, poi quelli misti. Argilla. — Se, sotto il punto di vista della poca permeabilità, al- l’aria e all'acqua, della capacità acquifera, ecc., noi possiamo riunire in un sol gruppo tutte le argille e anche le marne disgregate, sotto quello delle soluzioni saline che esse possono diffondere nell’acqua del suolo, 1 terreni argillosi presentano dei caratteri molteplici che ne permettono la suddivisione in tipi differenti. Abbiamo anzitutto le argille originatesi in situ, per azione di H, 0 e CO, sui minerali preesistenti, quali sono quelli che si ori- ginano dalla caolinizzazione delle roccie in posto, dei graniti, dei gneiss, dei porfidi, e da quelle alterazioni dei materiali di trasporto fluviali o glaciali, che, appunto peri caratteri più salienti che vanno determinandosi in essi, prendono il nome di decalcificazione e fer- retizzazione. In questo caso, a parte il materiale inalterato e quasi inalterabile, per lo più quarzoso, tutto il prodotto di questa alterazione è formato di silicato di allumina, di ferro, ossido di ferro, e silice, in modo da aversi un corpo riccamente provvisto di idrogeli, e molto spesso anche di corpi, capaci di passare allo stato di idrosoli con grandissima facilità. «dopo lungo riposo del liquido, si veda permanere al disopra del sedi-o : mento un liquido fortemente opalino, spesso addirittura torbido, dal quale i materiali sospesi non precipitano se non che coll’aggiunta di elettroliti. ‘ Ed appunto elettroliti mancano quasi completamente in questi materiali, e mancano pure quasi gli elementi chimici che potrebbero, in determinate condizioni, dar luogo agli elettroliti capaci di coagu- lare l’argilla. Le analisi delle argille di questo tipo dimostrano appunto una notevolissima povertà in Ca, Mg, Na, K (1). È perciò evidente che terreni costituiti da tal tipo di argilla po- tranno assai difficilmente, anche se rimossi e portati allo scoperto, dare, per ulteriore alterazione, dei materiali capaci di alterare le pro- prietà fisico-chimiche dei corpi colloidali che contengono. Ma queste argille, sono assai spesso, per l’azione delle acque me- teoriche, asportate dal luogo nel quale si sono formate, e, per la loro tenuità o addirittura per le loro proprietà fisico-chimiche, non sono ulteriormente deposte che in acque assai tranquille. Inoltre, in tutto il lavoro meccanico di franiumazione delle roccie per correnti flu- viali e glaciali, il limo finissimo che si forma, viene spostato insieme ai prodotti di argillificazione, e poi deposto in acque più tranquille. Ora in questa specie di levigazione, dapprima, e di decantazione poi, di tutti 1 materiali minuti di alterazione meccanica e chimica delle roccie, hanno origine dai sedimenti, a molti dei quali, più che quello di argilla, si conviene il nome di limo, perchè se hanno dell’argilla la poca permeabilità, e fino a un certo grado la pastosità e la viscosità, non ne hanno per nulla le proprietà chimiche e quella di dare idrosoli. Così è per la massima parte delle fanghiglie glaciali e fluviali antiche e recenti, le quali, allorchè sono esposte all’azione degli (1) Riferisco da A. STELLA: I Montello (Mem. descr. della Carta Geologica d’Italia. Vol. XI, p. 28, i seguenti dati sopra l’analisi di un ferretto. in posto del Bosco del Montello, originatosi da roccie calcari : ' > 0118 Ca 00,05 — 0,125 0/0, K,0 0,17 — 0‘32 0 Fe, O, + Al, O; 16,87 — 32,960. Le concrezioni pisolitiche argillo-ferruginose in esso contenute dànno le seguenti cifre (p. 27) %: Si 0, 59,60, Fe, O, 18,50, Mn, O; 1,96, AI, O; 12,60, Ca O 0,76, Mg O 0,94. Per- dita 5,64. Affatto analoga è la composizione delle Lateriti della regione tropicale; riporto da A. Roccari: Il Ruwenzori, di 8. A. R. il Duca degli Abruzzi. Rel. scientifiche, vol. II, p. 41, le cifre seguenti riguardanti una Laterite dell'Uganda : ° o Si 0, 56,42; Al, O; 6,71; Fe, O, 22,80; Ca 0 — Mg00,0;]Na;0 — K,0 tracc.: H, 0 12,28; P,0,—SO; trace. | più facilmente in quanto assai maggiore è la superficie offerta si- multaneamente all'attività degli agenti stessi. La composizione chimica di questi sedimenti è poi aftatto di- versa; riporto, per la parte che interessa questo argomento, i risul- tati di alcune analisi eseguite dal dott. E. Bonardi (1), sopra alcune: argille glaciali e plioceniche dell'Alta Italia. | Ca 0 | Mg 0 Alcali LOCALITÀ DELLA RACCOLTA ch | Le o | i Argilla di Grignasco pliocenica . . . . . . 2,00 1,46 6,30 Id. di Gozzano id. RSA DTT 0,20 3,40 6,46 Id. di Angera id. FRTIMONIL RE Ne 3,30 1,80 3,20 Id. di Folla diInduno id. FAL E a 4,716 | 2,84 3,00 Id. di Balerna uit rate, see too 2,00 idspgdreAnactarplaciale "0: o. So 4,50 92,20 8,80 IRR GOZZI no: CIG ST x 1,80 1,26 5,40 Id. di Leffe IC A NERONE Tr 1,70 0,84 1,56 Quanto all’argilla vera e propria; trasportata in sospensione nelle acque correnti, una parte di essa sì trova allo stato di idrosolo, e la sua coagulazione ha luogo solo in presenza di elettroliti, i quali vi si debbono trovare in una certa quantità. È solo perciò alle con- fluenze con corsi d’acqua a alto grado idrotimetrico, o più ancora | nell’acqua marina, che possono verificarsi le coagulazioni dapprima, e poi le sedimentazioni degli idrosoli. Ma per quanto piccola sia la quantità di ioni di Ca, Mg, necessarii per tale coagulazione, tuttavia 1 materiali argillosi di sedimento non possono mai mancare di con- tenere una certa quantità di elettroliti (2). Questi due grandi tipi di argilla con e senza elettroliti si com- portano, rispetto alla vegetazione, in due modi differentissimi. (1) BowarDI E. — Analisi chimica di alcune argille glaciali e plioceniche dell’Alta Italia. Boll. Soc. Geol. Ital., IT., 1883. (2) Questa condizione non è sempre molto facile a verificarsi nelle acque correnti; cfr. a tal proposito LANGERON M: Note sur le rile phytostatique et la floculation naturelle des eaux limoneuses. Bull. Soc. Bot. Fr., T. XLIX, ‘ Sess. Extr. p. XXVII. DIA TIP RARI 7 Ta! i A olio ra e i ene lit at L'argilla di ferrettizzazione scoperta, e costituente così un sub — stratum nuovo per la vegetazione, si comporta come un substratum | colloidale; quindi la flora che lo riveste è sempre di tipo gelicolo. E | sopra questi terreni nuovi che occorrono intensi emendamenti, e l’ag- giunta di calce e di potassa per renderli coltivabili; è su questi che noi troviamo frequenti la Montia terrestris, Spergula pentandra, Fi- lago minima, Cicendia filiformis, Veronica acinifolia, Iuncus Tenageja. Le argille di sedimento scoperte costituiscono invece un substra- tum facilmente attaccabile dagli agenti atmosferici, e con conse- guente formazione di sali solubili, i quali vi permangono a lungo in causa della poca permeabilità dell’argilla stessa, qualora l’aspor- tazione non abbia luogo per scorrimento superficiale: i terreni nuovi su queste argille offrono quindi una stazione di tipo aloide, almeno per ì primi periodi di tempo (1). Ove non intervenga l’opera dell’uomo a stabilire delle stazioni artificiali, arvensi o pratensi, le condizioni edafiche delle due sorta di argille si vanno facendo assai simili, allorchè l’alterazione degli strati superficiali delle argille di sedimento sia piuttosto avanzata (1). h) L’humus puro, it quale da solo può costituire un substra- tum alla vegetazione, si presenta assai spesso con caratteri diffe- renti, e di essi si sono serviti gli edafologi per distinguere numerose sorta di humus; ma tutte si possono raggruppare in due tipi fonda- mentali; al primo appartengono gli humus formati da incompleta ossidazione delle sostanze organiche per insufficiente temperatura, scarsa 0 eccessiva umidità, oppure, neì terreni sommersi, per insuffi- ciente arrivo d’ossigeno. Si tratta di materiali piuttosto compatti, a reazione acida, e nei quali le sostanze solubili, e capaci di agire osmoticamente, sono assai poche, onde i liquidi di imbibizione sono dotati di una assai bassa pressione osmotica. Costituiscono perciò un substrato eminentemente geloide, anzi pergeloide, e converrà farne lo studio più oltre. Quello del secondo tipo, l’ humus delle foreste, formato dall’ac- cumulo di strati numerosi di piccoli rami e più che altro di fo- gliame caduto, rimosso frequentemente dagli animali viventi nel sottosuolo, è assai più soffice e poroso; i sali in esso contenuti sono assai più abbondanti, sia perchè le foglie cadenti dagli alberi sono (1) In relazione colla notevole dealcalinizzazione delle argille di ferrettizza- zione, sta il fatto che sopra i tagli naturali in tali formazioni, sono assai rare le vegetazioni di briofite, mentre affatto frequenti sono esse sulle pareti dei tagli naturali nelle argille sedimentarie. iaia — 379 — fortemente mineralizzate (1), sia, più ancora, perchè l’attiva ossida- zione, distruggendo in maggior copia le sostanze organiche, eleva la percentuale di elementi minerali. Ne risultano così una reazione neutra o leggermente alcalina del materiale stesso; ed inoltre un aumento nella quantità di sostanze solubili e osmoticamente attive. L'humus di questo tipo, ospita numerose forme fungine superiori, di carattere nettamente saprofita, e ad alcune di queste forme si deve la simbiosi micotrofica, che permette lo stabilirsi di Pyrola, Bunium fleruosum, Monotropa, Neottia, Corallorhiza, che sono le specie fane- rogamiche più frequenti su tale substratum. Talora a queste specie si associano Majanthemum bifolium, Polygo- natum officinale, Vaccinium Myrtillus, Lathraea Squamaria e L. clan- destina, Oralis Acetosella, ecc.: ma tali forme sono assai scarse e povere nell’humus puro, e sì incontrano invece assai più frequenti laddove i materiali organici sono frammisti a quantità prevalenti di composti minerali. c) Siamo così condotti gradualmente a prendere in esame i ter- reni formati dall’azione concomitante dell’humus e dei corpi minerali. Anche in questo caso conviene tralasciare, per ora, lo studio delle specie arboree, perchè, sviluppando esse il sistema radicale ad una profondità molto notevole, rispetto a quella occupate dalla massima parte delle altre specie, si trovano in condizioni edafiche differenti. Nel sottobosco la mescolanza di parti minerali e di humus de- termina un forte potere assorbente nel suolo, ed una conseguente re- golarità nella misura della concentrazione, mantenuta tale anche dalle scarse variazioni della quantità di acqua, per la maggiore sta- bilità delle condizioni climatiche. Col volgere degli anni, la con- centrazione va poi progressivamente abbassandosi, pel fatto che gli acidi dell’ humus, combinandosi coi materiali salini del terreno, li solubilizzano in misura maggiore, ed insieme vengono portati al- l’ingiù, attraverso il sottosuolo, dalle acque di drenaggio. A questa demineralizzazione superficiale ed alla poca variabilità delle condizioni climatiche, si deve la relativa uniformità delle sta- zioni del sottobosco e delle associazioni che vi prosperano, e ciò spe- cialmente dove l'età della vegetazione e la fitta chioma che om- breggia il suolo, abbiano permesso un accumulo notevole di materiali organici. Così tanto sui terreni silicei che sui calcari è dato incontrare nel sottobosco molte specie comuni, e mentre le specie a sistema radi- (1) Cfr. RAMANN E. — Bodenkunde, II ed., Berlin 1905; Henry E. — Les Sols Forestiers. P°P.-, vi i tr eo (Go CE n SRO tre SEZ fe a cale e, accusano, p. e. la presenza at calcare in a notevole, quellé a sistema radicale superficiale appaiono pera: gelicole. Ricordo a questo proposito il fatto sopra accennato della. concomitanza, osservata da Negri (1), di specie gelicole ed alicole sulle marne della Collina di Torino; la attinità rilevata da Bégui- not (2) della vegetazione del sottobosco nelle zone silicee e calcari dei Colli Eugenei, mentre la vegetazione arborea accusa un carattere edafico ben distinto (Castanea, Fagus, Betula, Acer Opalus sui terreni silicei, Quercus sessiliflora e pedunculata, Carpinus Betulus, Ostrya carpinifolia, Frarinus Ornus su quelli calcarei). Coll’ invecchiare del bosco sì forma alla superficie del suolo, lad- dove la luce insufficiente non permette lo sviluppo di una cotica erbosa, uno strato di humus colla vegetazione di specie umicole, e, dove l'illuminazione favorisce la formazione di una cotica erbosa, sì sviluppano Brunella vulgaris, Agrostis canina, Potentitla Tormen- tilla, Polytrichum formosum, ecc., specie che noi troviamo frequenti sui substrati pergelicoli. Dove il diradamento del coperto arboreo permette alla luce d’agire intensamente, alle specie testè ricordate si aggiungono Solidago Virga-aurea, Molinia, Calluna, Dicranum scopa- rium, Leucobryum glaucum, specie caratteristiche delle brughiere (3); e, se le condizioni di umidità e di temperatura lo permettono, vi sì stabiliscono addirittura delle pricole colonie di sfagni, che vanno gradualmente estendendosi. La stabilità della concentrazione delle soluzioni nelle stazioni boschive, che è mantenuta dalle condizioni climatiche relativamente costanti, subisce delle variazioni, allorchè l’assenza o la presenza del (1) NeGRI G. — La vegetazione della Collina di Torino. (2) BeguIinoT A. — Saggio sulla Flora e sulla Fitogeografia dei Colli Eu- ganei. Mem. Soc. Geog. Ital., vol. XI, 1904. (8) È naturale che, se il diradamento del bosco è avvenuto da molto tempo, e le condizioni climatiche hanno potuto così contribuire alla distruzione dell’humus eccessivo, la flora delle radure perde in parte il carattere di flora del sottobosco, per assumere quello dei luoghi scoperti; ed allora la presenza di sali solubili nel suolo, calcari o non, determinano l'apparire di una vege- tazione di tipo più aloide che non sopra i terreni poveri di sali, come i silicei. Del resto questo fatto si osserva anche dopo il taglio delle foreste, dove appare, prima della nuova cresciuta degli alberi, una vegetazione con carattere nettamente più alicolo. Per esempio mentre sul terreno di un bosco ceduo si trovavano Anemone Hepatica, Senecio sarracenicus, Daphne Mezereum, Bunium fleruosum ece.; in quello prossimo sul quale gli alberi erano stati tagliati, si trovavano in più Muosotis stricta, Epilobium montanum, Rumex Acetosa, Geranium nodosum ecc. (Colle dei Gioyetti, App. sett., Bagnasco). PETE LVII LIA) RT fogliame o la disposizione delle ramificazioni dell'albero provocano ‘ delle variazioni nell’afflusso o nella evaporazione dell’acqua. Si hanno così alcuni casì particolari da prendere in considera- zione pur rispetto alle stazioni del sottobosco. a) Le specie arboree sviluppano di solito il loro apparato ra- dicale ad una profondità assai maggiore di quella delle piante er- bacee del sottobosco, e ne risulta così che la sottrazione di acqua dal suolo, oltre che per l’azione della gravità, si esercita in tre strati; l’ uno alla profondità di 40-45 cm. per la funzione assorbente delle radici degli alberi, l’altro un po’ sotto la superficie per l’azione delle radici delle piante erbacee, il terzo infine alla superficie per evaporazione diretta. Questi tre strati, funzionanti come emuntorii delle acque, non sono attivi conteniporaneamente: nella stagione estiva è piuttosto lo strato profondo che assorbe molta acqua; quelli superficiali invece sono in questo periodo assai meno attivi, l’uno perchè il rivestimento erboso traspira poco per la scarsa insolazione, l’altro perchè lo stato igrometrico nell’atmosfera del sottobosco è prossimo alla saturazione. Nella stagione primaverile, quando gli alberi non hanno svilup- pato la chioma, ed il sole riscalda direttamente il suolo, sono special- mente attivi gli strati superficiali, onde il suolo si comporta come un terreno scoperto, il quale senza assumere un carattere aloide, pure può avere, negli strati superficiali, delle solazioni di una concentra- zione un po’ maggiore che non nel rimanente periodo dell’anno (1). È in queste condizioni che nel fondo dei boschi si sviluppano, nell’inizio della stagione primaverile, Anemone Hepatica, A. nemorosa, A. ranunculoides, Asarum europaeum, Primula vulgaris, P. officinalis, Symphytum, Pulmonaria, ecc., specie che noi troviamo anche nelle siepi, sui margini dei canali, nelle boscaglie alluvionali, dove, come sì è visto, la concentrazione delle soluzioni è sempre un po’ elevata. a) Nelle associazioni boschive a sempreverdì, specialmente in quelle di conifere della regione montana e submontana, l’area occu- pata dalla proiezione verticale della chioma arborea è notevolmente più asciutta di quella esposta direttamente a cielo aperto; la neve vi cade in minor copia, perchè, scivolando di ramo in ramo, viene portata nella parte più periferica; l’acqua di pioggia subisce pur essa questo allontanamento alla periferia, la rugiada vi si depone in minor copia, e ne risulta così una. stazione più secca che la su- | perficie circostante. Inoltre per la assai più debole corrente discen- ‘ dente di acque meteoriche, i sali che si accumulano alla superficie (1) Henry E. — Op. cit. ANNALI DI BorANICA — Vor. VIII. 25 raf FR PR La LI | sa +0 eta ba) I° ee ale” | peo AO be a n Lone gl per evaporazione dell'acqua, vi permangono più a linibos ne risulta così una stazione assai meno geloide, ed in alcuni casi nettamente aloide, al riparo della chioma dell’albero. Questa proprietà particolare alle piante sempreverdì si esplica specialmente durante il periodo delle pioggie autunno-primaverili, perchè l’acqua cadente non può esercitare sul terreno quell’azione dilavante così intensa quale si verifica in questo periodo sotto gli alberi e foglie cadute. Molto evidente ho osservato questo fatto nell’Orto Botanico di Torino, dove, in mezzo a una superficie tenuta a prato, si elevano numerosi esemplari isolati di gimnosperme sempreverdì, Pinus, Abies, Taxus, Cupressus, ecc. (1). Mentre la terra del prato dà alla pedolisi un liquido di concentrazione 0,46 %.,, quella raccolta sotto le coni- fere dà invece 11 0,97 %,; la prima stazione ospita le solite specie pra- tensi Dactylis glomerata, Poa trivialis, Lolium perenne, Ranunculus acer, Bellis perennis, ecc. ; nella seconda si trovano invece princi- palmente Parietaria officinalis, Urtica dioica, Chelidonium majus, Stel- laria media, Hedera Helix, Bromus sterilis, ecc. Nella regione montana e subalpina la pioggia più frequente; la temperatura minore, non permettono mai la permanenza di concen- trazioni così forti come quelle testè ricordate per la pianura tori- nese, ma la vegetazione dei luoghi situati all'ombra delle conifere in mezzo ai pascoli, accusa colla frequenza maggiore di Veronica officinalis, Hieracium murorum, H. iuranum, ecc., e numerose Alsine, Arenaria, Cerastium, Silene, ecc., un substratum più ricco di sali che non quello del pascolo circostante. Parecchie di queste piante testè- ricordate si ritrovano poi nelle zone più elevate, al disopra del limite della vegetazione arborea, ad occupare, come ho ricordato più sopra, 1 luoghi ghiaiosi e a man- tello vegetale discontinuo, quelli cioè nei quali è possibile trovare, in tali condizioni climatiche, una concentrazione dei liquidi del suolo relativamente elevata. È questo un argomento per escludere che, nella preferenza di tali piante per il suolo situato sotto l’albero sempreverde, possa avere valore il riparo dall’irradiazione notturna, offerto dalla chioma del- l'albero. (1) In questa stazione ho misurato che il rapporto tra la quantità di ‘pioggia «he cade sotto la chioma delle conifere, e quella che cade sul terreno scoperto è di circa 6 a 10; mentre quello della neve è di 1 a 8. Ciò vale per forti nevicate e pioggie prolungate; le pioggie lievi debbono ancora abbassare questo rapporto, perchè l’acqua permane in parte notevole sulle toglie e si perde poi per evaporazione. oi > i ‘temperatura, provoca una a distruzione più rapida dell’humus, onde questo, a parità di altre condizioni, specialmente di umidità, si trova solo laddove l'abbondante A degli alberi riversa ogni anno sul suolo delle quantità assai forti di sostanze organiche, nelle regioni elevate, la bassa temperatura più prolungata permette l'accumulo in forte misura anche dell’ humus prodotto dalla alterazione dei vege- tali erbacei. Nei pascoli subalpini e alpini per tali ragioni si osserva costante il carattere geloide del terreno; nella regione montana sono soltanto i terreni poco calcariferi o a carbonato di calcio poco alterabile, che possono permettere il formarsi di un substratum nettamente geloide; ma in zone più elevate l'accumulo di humus è più rapido, il dila- vamento è più intenso, ed anche sopra i suoli calcarei si può formare un terriccio vegetale con liquidi a bassa concentrazione. A tale causa si deve la relativa uniformità che caratterizza i pascoli alpini stabiliti sia sul calcare, che sulla roccia silicea. Naturalmente perchè il terreno vegetale possa mantenere così spiccata la sua indipendenza dal sottosuolo, occorre che l’acqua che lo bagna non abbia altra origine che quella di pioggia o di neve cadente sulla sua superficie, e non vi pervenga per scorrimento o per risorgenza da roccie calcarizzate vicine. Il carattere eustatico delle stazioni dei pascoli alpini è evidente, poichè la frequente caduta di acque meteoriche esercita un dilava- mento progressivo, che porta sempre più in basso tutto ciò che è solubile, e che, non essendo trattenuto allo stato di composti di as- sorbimento, potrebbe agire osmoticamente sui peli radicali. Il carattere geloide del terreno, si osserva spesso anche nella re- gione submontana, specialmente nei prati umidi assai vecchi, e nei quali la cotica ha assunto uno sviluppo notevolissimo, in modo da costituire per se stessa un substrato torboso. Vi si trovano Equisetum palustre, Agrostis canina, Antoranthum odoratum, Carex sp. pl., Scirpus sylvaticus, Iuncus. articulatus, Silene inflata, Lotus cornicu- latus, Arabis arenosa, Brunella vulgaris, Euphrasia officinalis, Sca- biosa Succisa. Sono frequenti questi tipi di praterie, nei Thalweg delle vallate montane silicee, nelle depressioni intermoreniche (L. d'Orta, V. Sesia, V. d’Ossola). g) pergeloidi. La possibilità dell’esistenza di stazioni pergeloidi, può essere data solo, o dalla asportazione completa, o quasi, dei materiali salini ME e SNO, A IR nn CA tt ai) e ML n i corpi colloidali aventi intenso potere assorbente. Tali condizioni sì verificano spesso anche sopra terreni aridi, ma. di questi non mì occupo per ora. Ricorderò invece le stazioni pergeloidi che si osservano sulle argille di ferrettizzazione. Quivi la scarsa permeabilità del suolo. favorendo nei luoghi bassi la permanenza di scarsa acqua piovana, vi determina la formazione di piccole sfagnete, spesso associate a Calluna, Drosera, Tormentilla, Danthonia decumbens, Fhinchospora alba R. fusca, Gentiana Pneumonanthe, e BEL di rado a Agrostis ca- nina e Molinia caerulea. Così sui declivi dei monti silicei, dove le condizioni di esposi- zione, di umidità e di clima vi sono favorevoli, al diradarsi di una vecchia foresta la cui lunga permanenza abbia depauperato eccessi- vamente il suolo superficiale, fa seguito la formazione di piccole sfa- gnete, accompagnate da alcune specie testè ricordate, Calluna, Tor- mentilla, Drosera, Agrostis, Molinia, e in più Vaccinium Myrtillus, Arctostaphylos Uva Ursi. Analoghe a queste sono le stazioni torbose delle regioni elevate delle Alpi, e molte di quelle dell’ Europa settentrionale, dove l’insuf- ficiente distruzione di sostanze organiche per mancanza della tempe- ratura sufficiente, provoca la formazione del cosidetto humus acido, il quale al carattere di una notevole acidità, unisce quello della estrema povertà in sali solubili, onde l’acqua che lo imbeve non può avere che una mineralizzazione minima. Anche in questa stazione si ripetono alcune delle specie della zona più bassa, Tormentilla, Calluna, Agrostis canina, e di Ericacee vi sì aggiungono Empetrum, Andromeda, Vaeycoccos, Vaccinium Vitis Idaea e V. uliginosum; qua e là si incontrano colonie più o meno estese di sfagni, le quali si vanno a poco a poco estendendo, per dar luogo alla formazione dei cosidetti Mockmoore. La minima concentrazione delle soluzioni che imbevono questi terreni mì è risultata evidente dai saggi colle cartine di aliza- rina, che ho eseguito sopra substrati di questo tipo, sia nella regione montana della V. d’Ossola sul versante destro di V. Anzasca e di V. Antrona, sia in quella alpina presso il Colle del Sempione; quivi ho potuto osservare frequenti nelle radure dei boschi, o negli alti pascoli, il formarsi di piccole chiazze, aventi i caratteri descritti dagli autori per i cosidetti /ockmoore. Così pure sopra una tipica vegetazione di torbiera alpina al L. d’Antillone in V. d’Ossola, si osservano qua e Jà le elevazioni anche di m. 1'/, di diametro, a cupola, formate per la massima parte di sfagni, ; alla sommità delle quali si osserva un po’ di Calluna, di Drosera ro- _ tundifolia, e uno stentato larice. La piccolezza di tali formazioni, quali i0 ho potuto osservare, non mi ha permesso di prelevare dei campioni convenienti per uno studio ulteriore; riferisco perciò i dati riportati da Ramann (1) sulla mi- neralizzazione di terreni di questo tipo. N K Ca | Mg ra Palo Ya °/o | Ploc dl: | | | | ‘Torba di stagni e Eriophorum . . . . . 1,38 | 0,02 | 0,12 | 0,02 0,09 Id. di brughiera .-. . . ....,|188| 0,04| 0,08] 0,02| 0,15 Id. a vegetazione mista arborea, di bru- piera, di erbe; i... 0: |2,200/ 0,03. |. 2,93]. 0,01 0,18 Id. di prateria torbosa senza brughiera 2,69 | 0,04 | 2,33 | 0,06 0,14 È evidente che con una mineralizzazione così bassa del suolo, col forte potere assorbente di esso, colle frequenti precipitazioni at- i- mosferiche, le concentrazioni dei liquidi di imbibizione siano pres- sochè costanti. Tutte le stazioni pergelicole pedomesofite debbano ‘considerarsi come nettamente eustatiche. V.— Stazioni delle Pedoxerofite. (Tab. xIX-xXI). a) peraloidi anastatiche. L’acqua, che è un fattore così importante nel regolare e nel de- terminare la concentrazione delle soluzioni che bagnano le radici delle piante, subisce, nelle stazioni aride, delle variazioni quantita- tive spesso notevoli e rapide, onde piuttosto frequente è l’osservare nelle stazioni aride dei substrati anastatici. Dove poi la mineraliz- zazione originale del liquido del suolo è un po’ forte, assai intensi sono gli effetti osmotici per la variazione di piccole quantità di acqua. Le stazioni aride peraloidi sono perciò per la massima parte ana- statiche; la forte mineralizzazione dei liquidi è quivi data per lo più da sali sodici, cloruro e più di rado carbonati e nitrati. (1) Ramanx E. — Bodenkunde, II Auf. FRE IPA N SIE TAR SRI SRO pl VOR NO CITI ° » » }. n Pa < È Cad w " Mat e Dove la falda acquea non è >» molto CERCA lavagna può, per ca- pillarità, risalire tra i meatì delle particelle di sabbia, o, come già si disse, tra gli aggregati cristallini che si formano per asne piccole evaporazioni iniziali, e pervenire alla superficie del suolo o poco sotto, provocando la ifgrione di croste di sali, o in ogni modo di soluzioni assai prossime alla saturazione. Le sabbie marine nella parte situata tra la zona inondabile, e quella troppo elevata sul livello dell’acqua, perchè vi possa giungere per capillarità l’acqua profonda, sono le stazioni caratteristiche sotto questo rispetto; così pure lo sono i bordi delle sorgenti salate, i mar- gini dei canali delle lagune salate o salmastre, dove si raccolgono per eftlorescenza delle croste di sali. Ed una accentuazione di queste condizioni sì osserva sui bordi delle steppe e dei deserti salati e delle saline artificiali, dove, assai più spesso che non altrove, la concen- trazione raggiunge i limiti massimi. È appunto in tali stazioni che il peralicolismo raggiunge i limiti estremi consentiti allo sviluppo della vita vegetale.\ D'altra parte la natura sabbiosa delle spiaggie marittime, dei de- serti, delle steppe salate, favorendo, colla estrema porosità del suolo, un rapido deflusso delle acque di pioggia o di alta marea, ecc., fanno sì che in poche ore la concentrazione del liquido circostante alle ra- dici sì abbassi notevolissimamente. In queste stazioni si verificano anche i casì estremi di instabilità delle concentrazioni saline. In tutte le specie ospitate in substrati di tale natura, il carattere xerofilo così evidente, dipende, in parte dalle condizioni proprie di secchezza fisica del suolo, main parte assai maggiore dalla secchezza fisiologica, per il notevole turbamento che sul funzionamento dei peli radicali esercitano condizioni osmotiche così fuori di norma. Affatto analoghi per l’aspetto floristico, per l’elevatezza e la va- riabilità delle concentrazioni, sono i substrati imbevuti di carbonato o di nitrato di sodio. Il nitrato di calcio e quello di potassio, ai quali specialmente si debbono le stazioni alicole pedomesofitè sopra esaminate, eser- citano assai più di rado la loro influenza nelle stazioni peraloidi aride, e ciò perchè la secchezza estrema del suolo ostacola le funziona- lità dei microrganismi nitrificanti, ai quali sì debbono e la forma- zione di HNO,, e la conseguente maggiore solubilizzazione dei sali di calcio e di potassio. Sui margini delle vie, presso le case, nei campi abbandonati, sì possono talvolta osservare delle stazioni aride a tipo peraloide con vegetazione di 0a annua, Capsella Bursa- Pastoris, Portulaca ole- E TA racea, Euphorbia Chamaesyce, ecc., in cui la concentrazione dei li- ‘quidi può raggiungere i limiti elevati delle stazioni salse, nè gli abbassamenti, in caso di pioggia, possono essere così bruschi; e ciò a causa della minore permeabilità del suolo e della presenza di materiali detritici organici, ai quali è appunto legata l’esistenza di un substrato a base di nitrati. b) peraloidi eustatiche. Per le ragioni esposte nel paragrafo precedente le stazioni pe- raloidi eustatiche aride sono difficilissime a verificarsi, ed io non saprei citarne altra che quella curiosa e affatto eccezionale ricordata dal Casu, delle poche alofite crescenti presso ai mucchi di sale accu- mulato all'aperto nelle saline. È evidente che in questo caso le soluzioni ambienti alle radici sono sempre assai prossime alla saturazione; e di conseguenza lo sviluppo della pianta è quivi assai precario ed eccezionale. c) alotdi anastatiche. Uno strato di sabbia sovrastante ad una falda di acqua debol- mente mineralizzata, può, per ascensione capillare, condurre alla superficie una certa misura di acqua, la cui concentrazione va pro- gressivamente aumentando tra l’uno e l’altro periodo piovoso. Lo ho osservato sopra dei ripiani poco elevati sulla falda acquea sottostante a dune continentali presso Torino e sui margini sabbiosi di alcune alluvioni di torrenti; si ha quivi una vegetazione di Po- lygonum Convolvulus, Pol. Persicaria, Plantago arenaria, PI. masor., Chenopodium album, ecc.; bastano poche pioggie per abbassare no- tevolmente la concentrazione precedentemente elevata. In questa stazione l’agente mineralizzante non è per la mas- sima parte originato dallo scheletro del suolo, nel quale decorrono le radici, ma è di origine lontana; all’incontro in quelle che verrò ora ricordando. è lo scheletro stesso del suolo che entra fondamen- talmente a provocare la concentrazione dei liquidi che lo bagnano. Nei grandi cumuli detritici prodotti per frane o per opera del- l’uomo a formare terrapieni, scariche per scavi, ecc., una notevole quantità di materiale roccioso è esposto d’un tratto ad una forte degradazione per parte degli agenti meteorici. A. tale degradazione si deve la formazione di abbondanti sali solubili, che le forti pioggie equinoziali dilavano totalmente, e che quelle brevi o poco intense approfondiscono di poco, ma non tanto, che col tornare del secco, non possano risalire per capillarità presso la superficie. . Pal VE Tn © a 04 e. . di RANA TIE n Te. MR e" set: perle #.; - ° é è,” . G- RT Va = LI È È o i Lia 388 > » ose : > 9 5 | d, bk a, E Mi re - Sopra queste formazioni, specialmente quelle artificiali, anche di materiali silicei, sì stabilisce per prima una vegetazione a facies alicolo-ruderale con Chenopodium album, Phytolacca decandra, Ama- ranthus retroflerus, Polygonum Persicaria, Rumex, Luctuca saligna, Erigeron canadense, Chondrilla juncea, Setaria glauca, S. italica. Tale vegetazione dopo pochi annì viene sostituita da altre a tipo progressivamente meno alicolo, mano mano che l’intensità della degradazione dei materiali messi allo scoperto va diminuendo, e che va invece aumentando il detrito organico, che contribuisce a man- tenere la stabilità delle concentrazioni saline. Assai meno spiccato è il fenomeno, dove gli accumuli di mate- riali detritici si sono formati per fluitazione, perchè l’azione del- l’acqua, limando e asportando ciò che di più degradato o degrada- bile si trova nel materiale stesso, lascia il terreno di alluvione più dilavato e meno rapidamente degradabile. d) aloidi eustatiche. A questo gruppo sì debbono ascrivere molte delle più caratte- ristiche stazioni delle piante conosciute col nome di calcicole. La grande facilità al dilavamento che è caratteristica di molti sub- strati aridi, favorisce l’allontanamento di qualsiasi sostanza facil- mente solubile, come i sali di potassio e di sodio; quelli calcari invece, più abbondanti, e più lentamente solubili, rimangono, per tutto il periodo vegetativo di una pianta, in misura tale da man- tenere una certa concentrazione, la quale del resto non può diven- tare eccessiva pel basso limite di solubilità del Ca CO,. Quindi le alluvioni calcari, le dune più o meno provviste di calcare di origine biogenica o geofisica, le frane ed in genere i cu- muli di detriti di roccie calcifere, sono tra le stazioni eustatiche più caratteristiche. Così sulle sabbie marine dissalate totalmente o quasi, le specie che affondano notevolmente le loro radici, sono assai spesso tra quelle conosciute come calcicole ; lo stesso fatto si verifica per le al- luvioni.calcari dei fiumi e dei torrenti. Altrettanto si può dire per le rupi calcari, l’aridità delle quali è così nota, e nelle quali il dilavamento asportando frequentemente ciò che vi è di facilmente solubile (potassa, ecc.), mantiene un am- biente osmoticamente eustatico. A proposito di rupi calcifere ed in genere dei terreni calciferi aridi, ricorderò come appunto in questa stazione si verifichi l’azione intensa anche di piccole dosi di Ca CO,. — 359 — Ns È noto come in molte roccie a feldspati calcari, graniti o ba- ‘salti, si trovino frammiste a brevissima distanza specie conosciute come calcicole e specie calcifughe; anzi è su questo apparente con- trasto che sì fondarono molte delle argomentazioni di Thurmann e di Contejean nella discussione delle due principali teorie edafiche, che da essi prendono il nome. Così le rupi aride del Kaiserstuhl ospitano una flora alicola per- chè i prodotti di decomposizione delle roccie danno luogo a delle notevoli concentrazioni di carattere eustatico, così per ricordare un ‘esempio tratto dalla flora italiana, le rupi basaltiche dei Colli Be- rici (1), ospitano, dove sono scoperte, una flora alicola, mentre ove l'esposizione e la permanenza dei prodotti insolubili di degrada- zione diminuiscono la percentuale dei prodotti osmoticamente attivi, sì stabilisce la vegetazione gelicola. Quanto alla osservazione inversa di Contejean che le rupi alte- rate ospitano flora alicola e quelle inalterate hanno invece quella gelicola, ciò dipende unicamente dal fatto della scarsa alterabilità della roccia e dalla ricchezza di materiali solubili nel suolo pro- veniente da questa disgregazione. Così è per la flora della roccia serpentinosa: mentre sulle rupi poco o punto disgregate e specialmente nelle fessure di esse, è dato osservare Asplenium septentrionale, Rhododendron ferrugineum, ecc., quando la disgregazione meccanica è più avanzata e ha dato luogo ad una congerie di detriti minuti, aridi, sui quali, per la grande superficie attaccabile, è assai più intensa la degradazione chimica, questa roccia offre un substratum aloide allo sviluppo di Lynosyris vulgaris, Eryngium campestre, Ononis spinosa, Coronilla Emerus, Hippocrepis comosa, Prunus Mahaleb, Helianthemum Fu- mana, Asperula cynanchica, Dianthus virgineus, Melica ciliata. Più tardi quando la degradazione è più avanzata, e residuano solo i materiali argillosi ocracei, la flora, pur conservando il suo carattere xerofilo, diventa nettamente gelicola, e ne sono esponenti le abbondanti associazioni di Calluna, Tormentilla, Genista tinctoria, Solidago Virga aurea. Questi tre facies di una vegetazione spiccatamente xerofila e pur nettamente diversi, sopra le roccie serpentinose, trovano una perfetta spiegazione nella asssenza e poi nella presenza, e quindi di nuovo nella assenza di sali solubili nei substrati che ospitano le piante: ed io li ho osservati sopra il M. Musinè presso To- (1) BiGuinor A. — Risultati principali di una campagna botanica sui Colli Berici. — Boll. Soc. Bot. It., 1904. dati un Do ammasso setpentinoso plicato in a Eafotide e Lh zolite (1). Si tratta in questo caso non più di sali calcari, ma ma guonai come è confermato dalle importanti concrezioni di carbonato di ma- gnesio, che è dato rilevare in alcuni punti del monte, e dall’esame delle acque di scorrimento e dilavamento superficiale, relativamente mineralizzate, tanto da fornire Je condizioni edafiche caratteristiche per lo sviluppo di Adianthum Capillus Veneris e Scolopendrium offi- cinarum. Anche Pavarino L. (2) ha trovato nei monti serpentinosi dell’ A p- pennino Bobbiese parecchie specie ritenute calcicole; anche queste sono proprie di stazioni aride e bene esposte. Pure altre roccie magnesiache in grado minore, come quelle am- fiboliche, manifestano le stesse proprietà edafiche; solo assai più spiccati e precoci sono 1 caratteri geloidi per la prevalenza di com- posti silicei, ma è solo al piede delle rupi amfiboliche e sui loro detriti, che io ho avuto occasione di osservare in Piemonte, fuori di roccie calcari, il Teucrium montanum e la Coronilla Emerus (Val Strona, V. d’Ossola). Le reazioni colle cartine di alizarina, mi hanno dato la conferma sperimentale delle condizioni edafiche della stazione. Le marne, che hanno delie proprietà fisiche così diverse da quelle delle rupi e delle sabbie aride, delle quali si è discusso sin qui, of- frono pure l’occasione ad alcuni rilievi interessanti; è anzitutto cosa nota che sulla marna arida. e soleggiata si stabilisce una ve- getazione prevalentemente riconosciuta come calcicola; e si è detto più sopra quali sono Je cause per le quali è solo sulla marna sco- perta che sì possono verificare condizioni di aloidismo eustatico. Ma è sopra alcune specie comuni a substrati differentissimi, che conviene soffermarsi alquanto. L'Hippophae rhamnoides è specie frequente nelle alluvioni dei fiumi poco elevate sulla falda, quando l’acqua o la sabbia siano cal- carifere, in modo da dare un substrato aloide; noi troviamo ancora questa specie nei luoghi bassi presso le dune (3), dove è leggiera la salsedine, negli alvei argilloso-calcarei dei torrenti che scendono dai colli marnosi, sui pendî fortemente declivi, soleggiatì e ‘aridi (1) Mussa E. — Note floristiche delle Prealpi Piemontesi fra ta Dora Ri- paria e le Stura di Lanzo. — (Atti Soc. It. Se. Nat. XLVII, 1908). (2) Pavarino L. G. — Intorno alla Flora del Calcare e del Serpentino nel- l'Appennino Bobbiese. — Atti Ist. Bot. Pavia Ser. II, Vol. XII. (3) Massart G,— Geographie Botanique des districts littoraur et alluviava de la Belgique. — Rec. Inst. Bot. L. Errera, VII, 1908 E Rea Pr RE e ea o ia na a Rn AS SRL : VOLARE RE sopra i colli aridi marnosi a far siepi, e infine sopra i tnt Sono queste una serie di stazioni differentissime per compattezza, porosità, umidità, declività di suolo; il solo carattere comune sta, per queste piante, nella concentrazione del liquido che ne bagna le radici, relativamente elevata e costante. L’Ononis Natrix è una: delle più frequenti piante sulle roccie di calcare, sui calceschisti in decomposizione, e sulle marne in diverso stato di disgregazione aride e soleggiate; sono questi tre tipi di substrati a caratteri fisici differenti che offrono, a quanto si vede, condizioni comuni sia osmotiche sia chimiche, per la presenza di Ca CO, Ma neanche nel caso dell'O. Natrix si deve attribuire a ra- gioni chimiche la sua distribuzione; io infatti la ho osservata ab- bondante in Val Macra sopra una ristretta area di detriti di mi- cascisti, i quali erano situati ali piedi di una rupe, pure di micascisti fessurati, e sulla quale si notavano abbondanti etflorescenze di sali di alluminio, prevalentemente solfato; tali efflorescenze, dilavate dalle pioggie, davano soluzioni che cadevano sulla parte detritica sottostante, impregnandola di una certa quantità di sali. È sopra questo terreno così impregnato, che si sviluppavano ab- bondanti, in pieno vigore e in fioritura, gli individui di Ononis. | Solo la teoria fisico-osmotica può spiegare questa stazione chi- micamente eterotopica, come fisicamente assai diverse sono le sta- zioni delle marne e delle rupi calcari. Sulle spiaggie marine è frequente l’Inula viscosa, specie pure frequente negli alvei dei fiumi ad acque di tipo aloide, e pure fre- quenti sui pendî aridi dei colli marnosi; è questa Inula una specie xerofila che trova nelle concentrazioni determinate da Ca (CO,), o da NaCl le condizioni osmotiche favorevoli al suo sviluppo. Altrettanto si dica per l’Helianthemum Fumana, specie frequente sulle sabbie calcarifere delle spiaggie marine, e sulle marne, nonchè sui detriti serpentinosi e sulle sabbie non facenti quasi efferve- scenza con acido acetico, e abbondante ihvece con H Cl, aventi cioè del carbonato di magnesia. È anche nell’ambiente arido della regione mediterranea, che molte specie, che nell’ Europa continentale sono edafisticamente esclusive, ‘perdono o attenuano le loro esigenze questo riguardo (2). Naturalmente anche molte specie facenti parte della flora medi- (1) Di TELLA G. — La sistemazione dei bacini montani nelle Alpi marit- time francesi. — Estr. dall’ A/pe, organo uff. della Pro Montibus, 1909, N. 5. (2) MAGNIN A. — L’Edaphisme chimique. — Roux, Rapports ecc. Sr MLT i- Gi e Pr a - terranea RATIO) secondo le ricerche di molti naturalisti, delle a spiccate appetenze eRafiche: Ma si deve tener conto che molte di esse sono state studiate per un numero troppo ristretto di sta- zioni, perchè si possa sostenere una vera esclusività per rispetto al terreno (1): E noto infatti che è solo dopo gli studî di una serie numerosissima di osservatori, che si è potuto pervenire a consta- tare tutti quei contrasti in piccolo, tutte quelle eccezioni, che hanno reso possibile lo stabilire i fattori della cosidetta supplenza d'azione, e di rilevare le insufficienze della teoria fisica e di quella chimica. Sì potrà osservare che sono appunto i climi secchi e caldi, come quelli mediterranei, che permettono alle calcicole di estendersi anche ai terreni silicei, o in altri termini che permettono lo sta- bilirsi anche su molti terreni silicei, di stazioni aloidi (2). Si deve qui tener conto strettamente del periodo nel quale si svolge l’attività vegetativa della pianta che si studia. Nelle regioni mediterranee il marimum dell’attività vegetativa, è legata al pe- riodo delle pioggie, durante il quale si verifica un dilavamento no- tevole del terreno, e riappare la nota differenza di comportamento della massima parte dei terreni silicei, rispetto a quelli calcari. (Cfr. anche Parte III, Cap. IV). La stazione aloide si stabilisce bensì anche sui terreni silicei della regione mediterranea, ma in periodi diversi da quelli nei quali ha luogo il maximum di attività vege- tativa, almeno pel massimo numero delle specie. Si può constatare adunque sempre questo fatto che: a parità di condizioni climatiche, orografiche, ecc., le proprietà osmotiche delle soluzioni del terreno variano col variare della composizione mine- ralogica del suolo, e sì può quindi osservare una appetenza edafica in relazione colla composizione mineralogica, considerata nei suoi aspetti fisici, e chimici; e che col variare p. e. delle condizioni climatiche, tale appetenza può subire delle variazioni profonde. Ma sla sotto l’una che sotto l’altra condizione climatica, si può con- statare che non varia l’appetenza delle piante per quelle da deter- minate concentrazioni molecolari dei liquidi ambienti, che sono loro caratteristiche. (1) Cfr. pe. BéGuinoT A. — L'Arcipelago Ponziano e la sua flora. — Boll. Soc. Bot. Ital. 1902. — Ip. Ricordi di una Escursione botanica nel versante orientale del Gargano. N. G. Bot. It. N. Ser. XVI, 1909. — Ip. in. Contributo alla Florula dell’Isola di Nisida. — Boll. Soc. Bot. It., 1901. — Ip. ip. La ve- getazione delle isole ponziane e napoletane. — Ann. di Bot. III, 1505. 2) VaccaRI A. — Osservazioni ecologiche sulla Flora dell'Arcipelago della Maddalena (Sardegna). — Malpighia, XXII, 1908. 5; | proprietà fitostatiche, è altrettanto interessante dimostrare il loro . comportamento in quel determinato distretto floristico, che il rile- vare quante specie siano da togliersi dal novero delle esclusive sotto il punto di vista chimico, e quante siano invece indifferenti. e) geloidi anastatiche. Anche nelle stazioni geloidi pedoxerofite la relativa instabilità nella concentrazione delle soluzioni, non può dipendere che dalla porosità estrema del sottosuolo, la quale permette il rapido allon- tanamento delle sostanze solubili determinanti la mineralizzazione del liquido che imbeve il suolo. I cumuli di sabbia offrono delle caratteristiche stazioni di questo tipo, siano le sabbie delle dune, che quelle alluvionali; sopra di essi, quando siano stati eliminati i materiali più degradabili, sì sta- bilisce una vegetazione di specie gelicole; ciò si verifica dopo qual- ‘che tempo da che si sono accumulate sabbie alluvionali silicee, o un po’ più tardi, quando tali sabbie, come avviene di frequente per le dune, siano calcarifere. Sulle dune marittime appena formate, anche allorchè sono co- stituite per la massima parte di materiali silicei, il carbonato di calcio, almeno di origine biogenica, difficilmente manca; è perciò che vi esiste spesso una flora alicola. Ma sulla superficie delle dune vecchie e un po’ degradate, in specie se originariamente povere di calcio, si stabiliscono ottimamente le specie gelicole. È questa una stazione caratteristica del Corynephorus canescens lungo il litorale del- l'Europa nord occidentale; nella regione costiera del Belgio, Massart ha rilevato sulle dune /asione montana, Calluna vulgaris, Sharo- thamnus scoparius, Scleranthus annuus, Teesdalia nudicaulis, Aira ca- ryophyllea, Nardus stricta, un gruppo cioè di specie eminentemente gelicole. Nei depositi arenacei del litorale veneto, Béguinot ha osservato la Calluna vulgaris; nella nota preliminare dell’A., non è ancora indicata con precisione la stazione, ma ritengo sia quella di una duna dilavata, analoga a quella osservata da Massart, e me lo confermano osservazioni fatte dal collega Negri nel litorale ve- neto. Nè per lo stabilirsi della CaZluna, occorre che la decalcifica- zione sia molto profonda, poichè questa specie interessa colle sue radici gli Strati affatto superficiali del substratum, e ne ho già ri- cordato più sopra un esempio a proposito delle marne decalcificate. Nei depositi arenacei situati lontano dal mare, come nei sab- bioni debolissimamente calcari di Troffarello presso Torino, si pos- pad aes ai pp > — 994 — ZANE E CORRENTI sono trovare AdESoO specie gelicole, come il COREANO cane scens e la /Jasione montana, specie alicole l’Melianthemum Fumana e il Polygonum Convoleulus, e ciò in relazione colle modalità i svil- luppo del capillizio radicale. Assai più spiccatamente gelicola è la vegetazione dei depositi sabbiosi più poveri di sostanze solubili, come quelli originariamente acalcici, 0, per condizioni climatiche più frequentemente dilavati. Così sopra i sabbioni di Mortara si osservano Corynephorus -ca- nescens, Teesdalia nudicaulis, Spartium junceum, Ornithopus perpu- sillus, Anarrhinum bellidifolium. Così pure nelle pianure sabbiose della Germania settentrionale è estesissima la associazione del Corynephorus canescens, associato a Trifolium arvense, Teesdalia nudicaulis, Filago sp. pl., Scleranthus annuus, Deschampsia flexruosa, Hieracium Pilosella, e, più rara, la Calluna vulgaris. I depositi alluvionali recenti situati lungo i corsi d’acqua, sono spesso costituiti in modo più grossolano che non i sabbioni fin qui considerati, ed, anche in questo caso, una prima degradazione su- perficiale mette in libertà alcune sostanze facilmente solubili, in relazione colle quali si stabilisce una vegetazione di Polygonum Persicaria, Phytolacca decandra, Setaria italica, Calamagrostis Epi- gejos. A questa succede una vegetazione di /asione montana, Spartium scoparium, Trifolium arvense, Silene rupestris, lrumex Acetosella, Mo- linia caerulea, e, più tardi, di Betula alba e Calluna vulgaris. Le oscillazioni di concentrazione, sebbene di piccola entità, dati 1 limiti ristretti nei quali possono aver luogo, sono favorite, come sl disse, dalla permeabilità del terreno; naturalmente, per le ragioni più sopra ripetute, è assai difficile, e in molti casi impossibile, il ri- torno alla superficie delle sostanze di dilavamento, specialmente quando la falda acquea sia assai profonda. Così il dilavamento è progressivo e provoca lo stabilirsi di una vegetazione sempre più gelicola. Pure a questo gruppo di stazioni si debbono riferire quelle delle rupi silicee; anche in tal caso la dilavabilità del suolo favorisce l'allontanamento dei materiali, prevalentemente potassici e sodici, che sono resì solubili dalla degradazione della roccia, e la secchezza estrema, non permettendo che in modo assai limitato l'azione del potere seno Vebit lascia adito ad una certa variabilità di Concentra- zione, in conseguenza delle precipitazioni atmosferiche. È in queste condizioni che vegetano Festuca rubra, Helianthemum guttatum, Cistus salviaefolius, Silene rupestris, Sarothamnus scopa- MII vendi aridi formati dalle disgregazioni di roccie silicee, ospi- tano pure una florula assai analoga alla precedente, con Sarotha- mnus, Iasione, Teucrium Scorodonia, Solidago, Betula alba, Calluna. A questo gruppo di stazioni geloidi anastatiche, si debbono ascri- vere quelle proprie di regioni pianeggianti elevate sul livello del mare e sottoposte ad alternanze di lunghe stagioni secche o piovose, dove il suolo è dilavato periodicamente e mai riceve afflusso di acque per le quali si possa verificare un arricchimento in sali solubili. : Queste condizioni si verificano in assai larga scala nelle regioni tropicali su terreno non calcare. Il collega Negri ne descrisse re- centemente all’estremità meridionale della Dankalia, sia su suolo argilloso, nell’altipiano etiopico, sia su suolo tufaceo-sabbioso, al- l'estremità meridionale della Dankalia; e vi osservò facies diffe- renti (1). Naturalmente queste condizioni generali subiscono ecce- zioni locali, dove l’afflusso di acque sorgive mineralizzate, o di acque di dilavamento ‘di roccie e di terreni sopra elevati, provocano per se stesse, o dopo il disseccamento estivo, la formazione di limi- tati distretti a facies aloide o addirittura peraloide. Tale aloidismo può essere provocato o da cloruri o da sali cal- cari di roccie sovrastanti, o dai composti potassici di degradazione, specialmente di materiali vulcanici, i quali subiscono quivi spesso un intenso processo di nitrificazione, favorito in ciò dall’accumulo di materiali organici ivi rimasti dopo il disseccamento di stagni temporanei. Affatto in grande si verifica questo accumulo di sostanze solu- bili nelle grandi depressioni a facies nettamente desertici, dove sono particolarmente frequenti le raccolte di materiali salini, e dove la vegetazione talora non può neppure attecchire, o assume un carat- tere nettamente peralicolo-alofita. f) Geloidi eustatiche. Allorchè i terreni del tipo di quelli considerati nel paragrafo precedente, possono per accumulo di detriti vegetali alla loro su- perficie, o per lo stabilirsi di un clima non così eccezionalmente secco, rivestirsi di un mantello vegetale continuo, una delle più im- portanti cause di instabilità della concentrazione viene a mancare, e ne derivano così delle stazioni di tipo eustatico. (1) NeGrI G. — Appunti di una Escursione botanica nell’Etiopia meridio- nale. — Roma, 1910. II RR LR TTI E EINE SEMI e Pri ” Jada a, vi Pa at FaN ada Si può così osservare lo sviluppo di alcune associazioni del tipo. gelicolo eustatico, in successione di quelle anastatiche precedenti; tale è il caso di molte associazioni di brughiera che si succedono sullo stesso suolo. Sopra la vegetazione della brughiera abbiamo lo studio esau- riente del Graebner (1) per la Germania settentrionale, ma le os- servazioni diligentissime di questo autore, non sono state eseguite secondo il criterio fisico-osmotico da me indicato e non possono quindi venire convenientemente utilizzate pel mio scopo. Io perciò in questo, come negli altri casi precedenti, mì riferirò, per quanto è possibile, a osservazioni personali, anche perchè molti dei caratteri delle nostre brughiere sono differenti da quelli delle brughiere germaniche. Nella regione piemontese e lombarda (2) so- no assai frequenti le associazioni di brughiera, ed io le ho esami- nate accuratamente in compagnia del collega Negri, il quale ha ini- ziato da qualche anno delle ricerche sulla vegetazione delle nostre brughiere. Le nostre brughiere sì sviluppano sopra diversi tipi geologici di substrati, roccie in posto silicee o serpentinose, morene calcari decal- cificate superficialmente, o morene a elementi silicei, terreni dilu- viali ferrettizzati, e alluvioni terrazzate recenti. Tralascio di esaminare le associazioni di brughiera che si osser- vano nella regione alpina, che, per elementi floristici e per caratteri slimatici, sono alquanto differenti da questa. (V. cap. IV). Sopra questi terreni le brughiere assumono dei facies differenti, e differenti ne sono pure le condizioni edafiche. Nei pendii submontani aridi e molto soleggiati, la C'alluna, pur es- sendo specie dominante, è frammista a moltissimi individui di Saro- thamnus scoparius, Molinia caerulea, Genista tinctoria, Potentilla Tor- mentilla, nonchè a specie arboree o arbustacee. Le radici si svolgono più o meno superficialmente nel materiale sabbioso argilloso, deri- vante dalla degradazione della roccia in posto. La scarsa permeabilità del suolo, quando questa argillificazione è molto accentuata, la presenza di roccie in posto meno alterate a piccola profondità, sulle quali l’acqua scorre via, fanno sì che le acque meteoriche allontanino definitivamente i sali solubili. (1) GraEBNER P. — Studien iiber die norddeutsche Heide. Bot. Jahrb. t. Syst. Pflanzengesch, u. Pflanzengeogr. Bd. XX, 1895, p. 500. — In. — Die Heide Norddeutschlands, Leipzig, 1901 (in « Engler's Die Vegetation d. Erde » V). — Ip. — Handbuch. der Heidelkultur, Leipzig, 1904. (2) Nè mancano nell’Italia orientale formazioni analoghe: cfr. LORENZI A. Flora dell'anfiteatro morenico del Tagliamento. Malpighia, XV, 1901, p. 37. sd ; OE Sopra tale terreno l’humus si accumula in minima dose, ed è | sempre dato osservare la terra minerale alla superficie immediata del suolo. i Le radici si trovano quindi in un ambiente prettamente mine- rale; è ciò che si osserva nei monti gneissici del Pinerolese, di Cu- miana, sulle roccie serpentinose dalla Valle di Susa alla Valle di Lanzo, sui prodotti di degradazione dei greiss e dei graniti del basso Canavese da Levone a Castellamonte. (Quanto alle marne degradate delle colline di Torino cfr. cap. IV). La concentrazione dei liquidi di scolo è assai bassa, ma non rag- giunge i limiti così bassi, quali si osservano nei substrati di altre bru- ghiere; la dialisi dimostra, del resto, che buona parte del residuo so- lido non è dializzabile, e quindi è osmoticamente inattiva. Una vegetazione analoga a questa si osserva sopra le estese pia- nure di terrazzamento dei depositi diluviali del Piemonte; quivi la degradazione avanzata ha dato luogo alla formazione di strati alti parecchi metri, di una argilla fortemente ocracea, plastica e imper- meabile. Non sempre la specie dominante su tale terreno è la Calluna vul- garis, ma si possono osservare diversi facies di brughiera a C'aZluna, a Molinia, a Danthonia, a specie arboree specialmente di Quercus, tenuta a ceduo, a Betula alba, a Pinus sylvestris. Quantunque la degradazione sia in questi terreni così avanzata che il calcare si trovi solo in traccie, il potassio in quantità minime, tuttavia la concentrazione dei liquidi di scolo sì mantiene assai pros- sima a quella che si osserva nei liquidi scolanti delle brughiere del tipo precedente; l’humus è pure assai scarso, e il terreno inorganico sì vede immediatamente o quasi alla superficie del suolo. Sulle morene, nelle alluvioni recenti, e in qualche caso sulle roc- cie in posto assai degradate, nei climi più freschi, si osserva un terzo tipo di brughiera. Le specie che vi si incontrano non sono per la massima parte molto differenti da quelle delle altre brughiere, ma le condizioni eda- fiche sono un po’ differenti; quivi o per la secchezza del suolo, o più ancora per l’estrema povertà dei materiali minerali solubili, continua mente asportati dalle acque meteoriche, si vennero accumulando vari strati di humus, e le concentrazioni delle soluzioni che vi sì trovano, sono assai più basse, che non sopra iterreni minerali dei . due altri tipi di brughiera che ho descritto. Tale tipo di brughiera è perciò da considerarsi a proposito delle stazioni pergeloidi. ANNALI DI Boranica — Vor. VIII. panza RE SITL RE A IRA CRISIO VT SIIT DIET TALI x FEAR SR LIIRI I ME TOCE NARO g) Pergeloidi. Soltanto l’humus acido, del quale per circostanze diverse è im- pedito o fortemente rallentato il processo di alterazione, può, per la povertà estrema di sostanze solubili, e pel suo potere assorbente, mantenere nell'acqua che lo imbeve una concentrazione estrema- mente bassa e costante; e certamente nel caso di substrati pergeloidi non è possibile distinguere un terreno anastatico e uno eustatico, perchè i limiti, entro i quali potrebbero aver luogo le variazioni, sono assal ristretti. Nella nostra flora, stazioni aride di questo tipo le troviamo p. e., nelle brughiere che si estendono sopra un sottosuolo affatto permea- bile, poverissimo di materie solubili, e nel quale, come dissi, l’humus si accumula in quantità notevole (p. e. Brughiere dell’ anfiteatro morenico del L. d’Orta e del L. Maggiore). Quivi troviamo uno strato superficiale di humus poco decom- posto, poi uno più profondo e più alterato quasi nero, quindi della sabbia debolmente umifera, poi per 30-40 cm. uno strato di sabbia gialla ocracea, e infine la sabbia inalterata. Si tratta, come è noto, di una serie di strati, nei quali si va successivamente accumulando il materiale di dilavamento proveniente dalla degradazione degli strati superiori; sulla sabbia gli acidi dell’humus agiscono intensa- mente, e vi determinano una profonda alterazione. Spesso a profondità notevole ho osservato il formarsi È un rivestimento ocraceo-ferruginoso, o grigio-ardesiaco, sulla superficie dei piccoli ciottoli o delle particelle di sabbia; non oso affermare che queste concrezioni siano da riferire a quelle ferruginose o carbo- niose, che sì osservano così frequenti nella profondità dei terreni sili- cei dell'Europa settentrionale (Alios, Ortstein). La formazione dell’Alios è stata messa da molti autori in rela- zione colla falda acquea sottostante al terreno di brughiera; nei casì da meosservati tale falda era assai profonda, e forse a ciò si deve ri- ferire l’imperfetto sviluppo di tali concrezioni. In tutti gli strati successivi del terreno di brughiera va progres- sivamente crescendo, colla profondità, la ricchezza in sostanze solu- bili coll’acqua, o che facilmente possono divenire tali; è la grande povertà di sostanze saline degli strati più esterni, che spiega l’inal- terabilità dell’humus che si forma, ed il progressivo aumentare della formazione di esso (1). (1) RAManN E. — Bodenkunde, II. Aufl. p. 159, Men a RAT I pae VIT AO PE SE e e 0 RT 0 Pe Pe O LAU RAI e e e io 10, x s LU ; x (A ga beh laure I" | temente una Santità di composti solubili, e le soluzioni che lo i im- bevono ne risultano così estremamente lui: Assai ristretto è il numero di specie che allignano sopra un tale substratum; si tratta essenzialmente di Calluna, Potentilla Tor- mentilla, Solidago Virga aurea, e, nei punti un po’ ombreggiati o esposti a nord, Vaccinium Myrtillus; frammisti vi si trovano abbondanti in- dividui di Polytrichum formosum ; qualche specie, il Sarothamnus scoparius, Iuniperus communis, Betula alba, attraversa colle radici lo strato di humus e si stabilisce nel sottosuolo minerale. " Dove lo strato di humus è alquanto più spesso, o dove, per cause diverse, il moltiplicarsi della Calluna è ostacolato, si verifica lo svi- luppo, come di specie dominante, del Polytrichum formosum; ciò specialmente nei luoghi ombreggiati dal Pinus sylvestris, dove l’elio- ‘ fila Calluna non trova condizioni favorevoli al suo sviluppo; allora il tappeto di Polytrichum costituisce la vegetazione esclusiva del suolo; ritengo essere questo il caso dello sviluppo di una vegetazione continua nell’ambiente osmotico avente la più bassa concentrazione. Nelle radure di brughiera, dove la Calluna manca o quasi, ai Polytrichum si associano alcune Cladoniacee, ma con particolare fre- quenza il Baeomyces roseus e Cornicularia; queste crittogame hanno l'apparato assorbente affatto superficiale, e sono, si può dire, indipen- denti dalla concentrazione delle soluzioni che si trovano nel suolo. Per esse è, si può dire, solo l’acqua piovana, che, colla sua estrema dilui- zione salina, può determinare l’ambiente osmotico. Questo fatto del resto non è raro per molti licheni; e ricorderò la Cetraria islandica, la quale è pressochè indipendente dalle condizioni del suolo. Anche il substratum umifero della brughiera, così diverso per proprietà fisiche e chimiche dagli altri substrati, allorchè per opera dell’uomo è privato del rivestimento di CaZluna, o di Polytrichum, e un pochino rimaneggiato, senza per altro ledere profondamente la cotica umifera, si essica rapidamente e perde una parte delle sue proprietà assorbenti. Allora divengono liberi déi materiali solubili, in contatto dei quali si stabiliscono Potentilla verna, Hieracium Pilosella, non così spiccatamente gelicoli, Sui monti di graniti e micaschisti intorno al L. d’ Orta e al L. Maggiore (1), quantunque il clima non sia così secco come sulla (1) DE NoTARIS e FRANZONI. — Flora del Mottarone in De Vitt, Storia del L. Maggiore; NoBILI G. — Nota sulla flora del Mottarone. Nuovo Giorn. Bot. N. Ser. vol. II, 1895. 3) È Val di : ‘A 4 n #. - X ea tiniàta - hr) A h % Beto e - STRANI E, Dirt Noi brughiera considerata poco fa, si osserva un tipo di brughiera sopra roccie in posto, assai profondamente alterate. Quivi il rivestimento. di humus è assai spesso, e per ciò, e per l’ambiente meno secco, la vegetazione assume un carattere più rigoglioso che non sulle bru- ghiere moreniche. Vi si trovano in abbondanza, oltre a Calluna, Vac- cinium Myrtillus, Tormentilla, Sarothamnus, Genista tinetoria, Soli- dago Virga aurea, Molinia, Luzula nivea, Majanthemum, Convallaria, Polygonatum, Pteris aquilina e boscaglie di .Sorbus Aucuparia, Ca- stanea e Betula. Non è raro trovare qua e là, nei punti meno esposti, qualche piccola sfagneta, mentre, dove il terreno è più asciutto, il Polytrichum formosum riveste tutto lo spazio lasciato libero delle specie fanerogamiche. Nella Valle del Toce dall’altitudine di 200 e fino oltre i 1000 m. come al L. d’Antilone, è frequentemente dato osservare le caratteri- stiche specie di brughiera sopra il terreno riccamente umifero, che forma un rivestimento sottile alle roccie gneissiche levigate dai ghiacciai; in tutta la vallata, dove gli effetti della levigazione appa- iono ovunque grandiosi, le roccie moutonnées sono rivestite, almeno nella parte meno declive, dalla cotica umifera, tenuta assieme es- senzialmente dal fitto feltro delle radici di Ca/2una, la quale si avanza prima a rivestire le nude roccie. Nel feltro tenace, dove si ac- cumula l’humus, prosperano la Molinia, la Tormentilla, la Solidago Virga-aurea, Serratula tinctoria, e, dove il feltro è un poco più sviluppato, vi sì aggiungono Vaccinium Myrtillus e Betula alba, che estendono le loro radici in uno spessore di humus relativamente assai piccolo, sopra la roccia nuda levigata, poco o punto disgregata. Il ma- teriale inorganico vi è perciò scarsissimo, e tuttociò che vi è di solu- bile viene progressivamente allontanato durante pioggie prolungate. Caratteristica quasi generale della vegetazione pergelicola, è la piccola profondità alla quale le piante affondano le loro radici, onde esse, più che qualsiasi vegetale di altra stazione, sono in rap- porto coll’acqua di pioggia. Se questo piccolo affondamento dipenda dalla tossicità dell’humus acido, o dalla tendenza per parte di queste piante a tenersi in rapporto colla parte più superficiale e necessa- riamente a acque più pure, è una questione che non saprei risol- vere. Io mi limito a osservare che anche nei terreni ghiaiosi, o mar- nosi, demineralizzati, dove l’humus acido manca, e manca ogni aci- dità notevole del suolo, le radici di questa specie sono sempre af- fatto superficiali, mentre più profondamente si spingono quelle delle altre, semplicemente gelicole o alicole. Inoltre è da tener conto del fatto che molte specie pergelicole presentano una notevole adattabilità alle condizioni di umidità del Nara = suolo, ed è dato incontrare p. e., la C'alluna e l’Agrostis canina tanto sulle ghiaie aride che sugli sfagni degli Hockmoore; e così tanto il Polytrichum formosum, la Potentilla Tormentilla, la Molinia. Dove l’acqua è molto abbondante, è certo che 1 materiali acidi dell’humus potrebbero venire allontanati o diluiti in modo da non essere tossici, come si verifica p. e. pel carbonato di calcio, che, così tossico per le piante pergelicole, non lo è più ad un grado di notevole diluizione. Questa considerazione porterebbe a confermare che. il carattere speciale della vegetazione di brughiera, non è determinato dell’aci- dità del substrato, come vogliono alcuni autori. Caratteristica della massima parte dei substrati pergeloidi, è che l’acqua che in essi circola non ha mai o quasi una direzione ascen- dente, poichè o la declività, o l’estrema porosità del suolo, o l'enorme capacità acquifera della cotica di humus lo impediscono; vi ha quindi solo un dilavamento progressivo, e mai arrivo di soluzioni profonde e concentrazione di esse alla superficie. VI. — Stazioni delle piante arboree. (Tab. xxII). Nel corso di tutte queste considerazioni sulla distribuzione delle specie vegetali in rapporto colla pressione osmotica dei liquidi del terreno, io ho trascurato (per quanto riguarda la nostra flora), l’ac- cenno ad ogni specie arborea e a molte arbustacee. L'’omissione non è stata involontaria, in quanto le stazioni occu- pate da queste specie sono edaficamente distinte da quelle delle piante di piccola mole finora esaminate. La massima parte delle specie erbacee o suffruticose, sviluppano il capillizio radicale in uno spessore relativamente piccolo del suolo, per circa 20-25 cm.; al disotto di questo livello è pure dato trovare il sistema radicale; ma con uno sviluppo assai minore. È solo nei ter- reni sabbiosi o ghiaiosi, oppure in quelli profondamente mossi dal lavoro dell’uomo, che si verifica un affondamento maggiore, e tutti sappiamo a quale profondità possano giungere la radici del frumento e dell’erba medica. Nelle specie arboree invece, la massima parte dell’apparato radi- cale si sviluppa ad una profondità assai maggiore, e, mentre alcune radici possono raggiungere i due metri di profondità, il massimo svi- luppo del sistema assorbente ha luogo tra i 40 e i 60 cm. (1); i fore- stali hanno appunto riconosciuto che alla profondità di 40 cm. le dif- (1) Anche a cm. 0.80 secondo Vinassa P., Geologia agraria. ferenze tra un suolo simdlò e uno Coperto di bosco sì fanno più spicca | per quanto riguarda l’umidità. Questa forte differenza si verifica però specialmente durante la stagione estiva, quando l’attività traspiratoria delle piante è assai intensa. Non mancano del resto anche in queste piante le radici af- fatto superficiali, specialmente quelle che sono in relazione coll’ap- parato fruttifero dei funghi ipogei. I terreni nei quali sì sviluppano le radici delle piante arboree, e quello più superficiale occupato dalle piante erbacee, possono avere dei caratteri assai diversi. Soffice e poroso può essere il terreno nel quale si affondano le radici del frumento e della segale; mentre il gelso dei filari che cingono il campo, affonda le radici in un terreno mai squar- ciato dall’aratro, nè più rimosso da quando fu fatta la fossa per il piantamento; quivi le particelle di terreno e i loro prodotti di alte- razione sono in uno stato quasi di riposo, anche rispetto all’azione dilavante dell’acqua. Noi, che abbiamo visto nelle pagine precedenti quanto variino le proprietà di un terreno, allorchè venga rimosso, e costituisca un sub- stratum nuovo alla vegetazione, quanta influenza abbiano la porosità e la vicinanza alla superficie nel permettere la circolazione dell’acqua nel suolo, e conseguentemente l'allontanamento o l’afflusso dei sali solubili, comprendiamo facilmente quanta importanza abbia per le piante arboree, questo trovarsi delle radici ad una profondità notevole. Nerisultano infatti le seguenti condizioni :4) permeabilità del suolo relativamente minore(a parità di struttura meccanica), a causa del- l’intasamento di esso; quindi difesa dal rapido afflusso dell’acqua superficiale carica di sali o troppo dilavante. è) Perdita più lenta di acqua sia per evaporazione che per drenaggio; e quindi restano esclusi o ammorzati i bruschi cambiamenti di concentrazione dovuti ai fattori climatici ; c) minori cause di alterazione delle sostanze orga- niche e minerali costituenti il suolo, e quindi formazione in minore misura di prodotti solubili e osmoticamente attivi. D’altra parte nei terreni fortemente degradati, gli strati, alla . profondità nella quale si trovano le radici delle piante arboree, sono assai meno "depauperati di sostanze solubili. Così è possibile sulle roccie silicee trovare lo strato superficialissimo di terreno addirittura per geloide (vegetazione di Calluna 0 di Polytrichum), mentre quello più profondo, più prossimo alla roccia in posto, è ancora alquanto più ricco di sostanze solubili. Alla costanza di concentrazione sì deve aggiungere ancora la re- lativa costanza di temperatura, la quale sopprime le variazioni di pressione osmotica dovute a cause termiche, URLA profondità alla quale spingono le loro radici costimigdo Gusti d per le specie arboree, come un ambiente tranquillo che le sottrae a | molte delle iubazioni alle quali sono sottoposte le piante a si- stema assorbente superficiale. Le specie arboree sono quindi edafica- mente eustatiche. Quanto alla concentrazione delle soluzioni ambienti, esse in ge- nerale si discostano poco dai limiti che determinano la costituzione del substrato aloide. Infatti il terreno profondo è costituito per la massima parte di elementi minerali, sui quali la CO, e l’numus della parte superficiale, esercitano una moderata, ma continua azione de- gradante, alla quale si deve la formazione dei corpi solubili. La con- centrazione dovuta a tale degradazione non è molto elevata, e i pro- dotti di dilavamento degli strati superiori non vi arrivano ad una concentrazione forte, perchè le prolungate pioggie che sono necessarie per farvi pervenire l’acqua esercitano un’azione diluente assai spic- cata. Vedansi a tale proposito le formole indicate nella parte prima, cap. V. Nei terreni fortemente degradati o in quelli nei quali la degra- dazioni può dare origine a una minima quantità di sali, la concen- trazione è piuttosto bassa, e corrispondente a quella dei terreni ge- loidi; in compenso tanto in questo che negli altri terreni profondi a tipo aloide; il dilavamento essendo così scarso, vi rimane sempre una certa percentuale di sali solubili. L'esame diretto dei terreni a questa profondità non è sempre molto facile, perchè non sempre è possibile eseguire degli scavi di tal genere, e scarse sono le occasioni di osservare dei tagli eseguiti da poco per aperture di strade, fosse per piantagioni, ecc.; allorchè i tagli sono stati eseguiti da un po’ di tempo, allora le pareti laterali, delle quali si potrebbero raccogliere facilmente i campioni, sono più 0 meno essicate, hanno servito per lo scolo delle acque, ed hanno per- duto insomma alcune delle loro proprietà primitive. Io ho ricorso ad una trivella da sondaggi costrutta apposita- mente di un modello assai grande, in modo da fornire, con una sola operazione, un campione sufficiente per l'esame; la profondità alla. quale potevo giungere per i prelievi era di un metro. I saggi che riuscii a raccogliere non furono molto numerosi, ma furono fatti ri- petutamente nella medesima località e in stagioni differenti, in modo da avere una idea esatta della variabilità e della costanza delle so- luzioni ivi esistenti. Anzitutto si può constatare quanto differente sia la concentra- zione delle soluzioni del suolo superficiale rispetto a quello profondo ; ma le differenze sono di ordine vario a seconda delle condizioni cli- IP 74 as più An IM. Tea ai pei ho pi det aid da - bed. die «ff « N A ) i FIRE SIRISSE gin L j EE matiche. Nella stagione secca si ha una progressiva diminuzione dalla parte superiore all’inferiore; ma basta che un acquazzone venga a bagnare lo strato superiore, perchè lo strato di massima concentra- zione si abbassi; l'estensione e l’intensità di tale abbassamento è in rapporto anche colla porosità del suolo. i Le forti precipitazioni meteoriche autunnali abbassano di molto la profondità dello strato a concentrazione minima, e io nella sta- gione autunnale, non sono riuscito a trovare in alcuni terreni lo strato a concentrazione minima fino alla profondità di un metro. Tanto più difficile è il trovare questo strato nei terreni ghiaiosi, in quanto i grossi elementi che lo costituiscono sono assai spesso un ostacolo insormontabile all’approfondirsi della trivella, oppure l’avan- zare di questa li frantuma e li macina finamente, provocando così nel campione un aumento delle sostanze asportabili dall'acqua. In alcuni casi ho dovuto arrestare la trivellazione ad una piccola profondità, in causa di questa difficoltà. Il metodo della trivella non può servire dunque che nelle terre prive di ciottoli e quindi in casi relativamente limitati, ma i risultati che da esso ho ottenuto sono perfettamente estensibili anche ad ogni tipo di terreno. Del resto anche altri fatti tratti dall’osservazione naturale per- mettono di giungere alle medesime conclusioni. Se sì esamina un taglio naturale o artificiale di un terrreno qual- siasi, specialmente se di trasporto, è facile il rilevare che i materiali che lo costituiscono sono, a partire dalla superficie, progressivamente meno influenzati dalla vegetazione superficiale, e ad una profondità poco notevole (1 m.-1 '/, al più), la degradazione della roccia (dovuta a cause biologiche) è affatto iniziale. Ciò si verifica anche in terreni, i quali sono in tali condizioni da un tempo lunghissi mo almeno nei nostri climi. Questa è una prova che gli agenti degradanti, i quali dovrebbero discendere e asportare in parte le sostanze minerali, sono a tale pro- fondità in misura assai piccola; le oscillazioni della temperatura e della quantità di acqua vi sono pure assai lente; i sali minerali di origine superficiale, che dovrebbero, provocando le reazioni di doppia scomposizione, agire come intermediarii nei processi di degradazione, vi sì trovano in minor quantità. È degna di interesse infatti la notevole demineralizzazione dei liquidi del suolo man mano che si discende in profondità, almeno fino a che la pressione e la temperatura elevata non esercitino una azione solvente particolare, quale non si verifica mai nell’ambient e possibile per la vita delle radici. È filone delle sabbie profonde con acido umico, o con ossido di ferro e composti fosforati nell’alios delle brughiere dell’NUropa settentrio- nale; le cementazioni calcari che si osservano nella parte profonda dei terreni superficialmente decalcificati. Così molte concrezioni che si osservano nella parte profonda dei terreni, dove non giunga l’influenza della vita vegetale, mostrano l’accumulo che si va ivi facendo di materiali solubili sottratti alle soluzioni circolanti nel terreno. Sono questi i noduli di limonite che si incontrano così frequenti nei ferretti a notevole profondità sotto il terreno vegetale (1); gli ammassi, pure di limonite, che si osservano nella parte profonda della laterite dell'Uganda (2) e del- l’Etiopia; le concrezioni calcari che si osservano ad una certa pro- fondità nei terreni marnosi e sabbiosi in via di decalcificazione nella Collina di Torino (3). Risultato di tutto questo è l'accumulo delle sostanze disciolte ad una certa profondità; accumulo che sottrae molto spesso delle sostanze utili alla vegetazione (decalcificazione superficiale), o per altre cause la danneggia (impaludamento della superficie del suolo per gli strati di Alios profondi), oppure può rifornire più tardi alla vegetazione, per cause diverse, il materiale sottratto da tempo (4). Di tale arresto in profondità delle sostanze solubili noi abbiamo una prova nella stabilità di composizione che presentano le acque di sorgive; stabilità che se è grandissima nelle acque di origine assai profonda, non lo è molto minore in quelle di origine poco profonda (per es. fontanili), ed, in ogni caso in questi ultimi, la minima mineralizzazione di esse, mostra quanto attivi siano i processi di assorbimento (sensu lato), a profondità anche non molto grandi del suolo. Il piccolissimo spessore nel quale si verifica l’arresto e la fissa- zione delle sostanze disciolte, ci autorizza ad affermare che le varia- (1) Vedi l’analisi che ho riportato più sopra di una di queste concrezioni; tali noduli sono del resto frequentissimi in tutti gli ammassi argillosi di ori- gine di ferrettizzazione; io li ho osservati spesso in più strati sovrapposti, al- ternati ad altri argillosi poveri o privi di tali concentrazioni; essi talora ven- gono messi allo scoperto dalla degradazione meteorica, e, per la loro relativa compattezza, offrono un substrato quasi ghiaioso alla vegetazione di brughiera, e che ivi assume un facies un po’ diverso. (2) RoccatI A. — Op. cit. (3) VienoLo LuratI F. — Studio chimico analitico di alcune formazioni calcari dei colli di Torino. (L’Industria Chimica VI, 1904. Maggio e novembre). (4) RAMANN E. — Bodenkunde II Aufl, 1905; Henry E. Sols Forestiers, p. 158. zioni delle Pena 3) Asino e da pie asini Rella P che si esercitano nella degradazione del terreno, non si spingono ad una profondità molto grande. Così, analogamente ad un livello di costante geotermica del suolo, si verifica nel suolo la presenza di uu livello, nel quale le azioni degradatrici sono costanti, qualunque siano le variazioni superficiali dipendenti dal clima, e che si può chiamare costante geolitica. È in prossimità di questa zona di costante geolitica che si sviluppano molte delle radici delle piante arboree: queste ven- gono così a trovarsi in tre ambienti edafici distinti; l’uno superfi- ciale più o meno anastatico secondo le condizioni esaminate in altra parte del lavoro; l’altro relativamente eustatico, salvo che nel periodo delle grandi variazioni climatiche stagionali, e nel quale si svilup- pano per la massima parte le radici; un terzo ambiente assoluta- mente, o quasi, eustatico, nella parte profonda. Tenendo conto adunque che la massima parte delle radici arboree sono sviluppate nello strato eustatico, che la funzionalità più attiva di esse ha luogo specialmente fuori del periodo delle grandi va- riazioni climatiche stagionali, e che le concentrazioni non sono, nel diversi terreni, molto diverse, si comprende come le piante arboree siano per la massima parte considerate come indifferenti. Una delle cause principali che favoriscono questa indifferenza, risiede anche nella mole notevole delle piante, e quindi nell’abbon- danza delle sostanze di riserva, che permette la resistenza e l’adatta- mento della funzionalità dell’apparato assorbente alle condizioni osmotiche di ambiente, nello stesso modo che una infezione paras- sitaria, o una lesione da cause climatiche uccide in breve tempo una pianta annua, e non ha il sopravvento, in una pianta arborea, se non dopo parecchi anni di lotta (1). La vite per es. soffre per molto tempo di clorosi accentuata prima di soccombere alla ipertonia delle soluzioni dei terreni for- temente calcari; ma non è solo il carbonato di calcio che è dannoso per questa specie. Il collega Negri osservò in vicinanza delle paludi salate del Vogherese il salice e la vite clorotici per la notevole ric- chezza di cloruri nel suolo; anche in tal caso gli individui erano. sofferenti, ma resistevano ancora alle condizioni osmotiche sfavo- revoli. (1) Nei terreni stati inondati dal maremoto di Messina del 28 dicembre 1908, Zodda osservò che gli individui giovani di Pinus Pinaster soffrirono assai per la salsedine dell’acqua, e in gran parte anche morirono, mentre in quelli adulti, la sofferenza si limitò ad una perdita delle foglie. (Boll. R. Orto Bot. Pa- lermo VIII 1909). TR RIE 4 PI TURE pe EI 47 CI : RR ae i e agi ne CIA) tel Lo pa a ® ef 4° af@ ‘A IAT <- sd bali n, A Frida ° * ; 4 x ns; ; x i f A È ta Db, sN e’ ? adi 407 patta È i, ti "4 VE » È o a a) Peraloidi. dii — Ma non tutte le specie sono così indifferenti; ricorderò alcune piante peralicole, altre gelicole. Le specie della formazione della Mangrove che ho già ricordato a proposito delle piante pedoelofite sono peralicole eustatiche; quelle numerose del genere Tamarix sono pure tipicamente peralicole; esse sono .caratteristiche delle spiaggie marine di molta parte del globo, ed anche entro terra; presso le paludi salate, nelle steppe e nei deserti salati, svelano la presenza di acque salse esistenti a pro- fondità rilevante, prova che esse spingono le loro radici molto in basso, in un ambiente cioè quasi eustatico. Così pure l’unica Chenopodiacea arborea, l' Haloxylon Ammodendron, manifesta essa pure il carattere peralicolo della famiglia, col formare la base delle formazioni boschive dei luoghi salsi dell'Asia centrale. b) A/oîdi. Nettamente alicole e indicate come calcicole esclusive o quasi, sono l’Acer opulifolium, A. monspessulanum, Prunus Mahaleb (1); quanto alla preferenza chimica di queste piante pel carbonato di calcio, faccio qui, come altrove, le mie riserve; io non ho dati a pro- posito dell'A. monspessulanum, ma tanto lA. opulifolium che il Prunus Mahaleb crescono ottimamente nei terreni serpentinosi e privi di calcare dei monti allo sbocco della Valle di Susa, dove, come ho già rilevato più sopra, si osservano molte specie così dette calcicole che trovano nelle soluzioni di carbonato di magnesia il coefficiente osmotico favorevole allo sviluppo di queste piante. c) Geloidi. Si hanno pure delle specie gelicole esclusive, per es. Betula alba, Castanea vesca, Pinus sylvestris, Vitis vinifera. Questa spiccata tendenza al gelicolismo si riscontra senza ecce- zione per queste specie, qualunque sia la natura chimica del terreno. sul quale esse si trovino. Così il Castagno, la Betulla, e il Pino si osservano frequenti su tutte le roccie silicee non calcifere, siano esse in posto, che di trasporto. Nè mancano sulle roccie cal- cifere, silicati calciferi, basalti, marne, quando l’approfondirsi dello strato degradato, permetta la formazione superficiale di uno strato depauperato di materiali solubili; così pure le roccie dolomitiche, le roccie stesse calcari, i calcari maiolica, quelli saccaroidi, i cal- (1) CONTEJEAN op. cit.; BiGuINOT A. — Saggio sulla flora e sulla fitogeografia: dei Colli Euganei. i DAD AIA n baie ù — 408 — se “| ‘ceschisti, sono spesso il sostegno di estese Formazioni boschive a base murs, di pino e di castagno. ESTA Queste però non vi si stabiliscono che allorquando si è formato ‘sopra alle roccie calcari uno strato più o meno spesso a tipo ge- loide: tanto più rapidamente si forma lo strato adatto alla vege- tazione del castagno e del pino, quanto meno solubili sono î ma- teriali calcari che vi si trovano; così sui calcari saccaroidi e sui calcari majolica basta un lieve strato di terra rossa superficiale; ‘così è per le dolomiti, sulle quali pure è sufficiente una lieve degra- dazione superficiale; alquanto maggiore deve essere la degradazione dei calceschisti e delle marne. A facilitare la vegetazione gelicola sui terreni calcari occorre pure che le acque di pioggia, che infiltrandosi vanno a determinare l’ambiente osmotico per le radici, abbiano un facile deflusso, in modo che venga abbassata, per quanto è possibile, la concentrazione del liquido; e infatti tanto la Betulla, quanto il Castagno ed il Pino sono caratteristici dei terreni secchi, nei quali le acque hanno un rapido deflusso. Io ho osservato dei castagneti e delle vigne situati sopra un luogo declive su calceschisto; in questi gli individui situati più in alto erano sanissimi, mentre quelli della base del pendio, dove giun- gevano le acque di scolo della parte sovrastante, presentavano non dubbii segni di clorosi per sofferenza a causa del calcare. Pure sui terreni marnosi esposti a nord, dove il castagno, come già dissi, sì sviluppa assai spesso, ho osservato talora degli esemplari clo- rotici, i quali testimoniavano la sofferenza provocata dal pervenire delle loro radici ad uno strato non sufficientemente decalcificato. Alquanto limitate di numero sono, come sì vede le specie che sì possono considerare come edaficamente esclusive, o anche prefe- renti, mentre assai maggiore è la esclusività o la preferenza nelle specie erbacee, Tralasciando di considerare per ora le specie peralicole legate ad una pressione osmotica edafica così elevata, quale non può essere raggiunta che mediante l'apporto di acque salate, e quindi fisicamente igrofite quantunque fisiologicamente xerofite, noi ve- diamo che, mentre le specie edaficamente indifferenti hanno spesso un sistema radicale a fittone assai sviluppato, e radici assai pro- fonde, quelle esclusive hanno un sistema radicale fatto specialmente di radici secondarie assai allungate in senso orizzontale (1); e non è (1) PiccioLI L. — Le piante legnose italiane. Firenze 1890 Esiste anche in queste specie talora un fittone profondamente sviluppato, ma, dato il grande sviluppo delle radici laterali, la sua funzione è prevalente» mente meccanica. forse avventato il pensare che tale morfologia dell’apparato assor- . bente sottrae queste piante arboree esclusive, assai più che le arboree: indifferenti, all'ambiente eustatico profondo, il quale permette una. tolleranza maggiore delle proprietà osmotiche delle soluzioni am- bienti. Queste specie esclusive si troverebbero quindi edaficamente rav-. vicinate alle specie erbacee. VII. — Stazioni delle piante epifite. (Tab. xx1v). Intendo sotto la denominazione di epifite, tutte le specie le quali sì incontrano esclusivamente o eventualmente impiantate sopra parti viventi di piante, talli, cauli, foglie, radici aeree, senza contrarre con queste alcun rapporto endofitico. Vi sono quindi comprese tutte quelle piante che recentemente si è convenuto di chiamare arbor:- cole (1). Per comodita di trattazione, escludo però dalle considerazioni che andrò facendo, tutte le piante che vivono nell’acqua, diatomee, confervacee, ecc., le quali contraggono colla pianta ospite un solo rapporto meccanico di aderenza, mentre le sostanze nutritizie sono. loro fornite unicamente dall’acqua ambiente, e non si trovano rac- colte nelle parti solide circostanti alla pianta ospite. Questo tipo di stazione così particolare, nel quale molte specie di piante mostrano dei sorprendenti adattamenti per la fissazione al substrato, per l'accumulo di materiali capaci di essere assorbiti dalle radici (radici a nido), e per la difesa contro la secchezza, non si sottrae, per i suoi caratteri edafici, a quelle condizioni generali, quali io sono venuto finora esponendo per tutte le altre stazioni acquatiche e terrestri. Non è quivi dato riscontrare tutta quella numerosa varietà di condizioni che determinano nel terreno asciutto e umido il diffe- renziarsi di molteplici stazioni; tuttavia la stazione epifita pre- senta numerosi facies differenti, che permettono di suddividerla in parecchie stazioni secondarie, caratterizzate dalle diverse condi- zioni osmotiche offerte alle radici delle piante ivi ospitate. I modi di esplicazione dell’epifitismo sono varii; gli organismi più piccoli e più semplici sono i primi, come sempre, a impadro- nirsi delle nuove superfici offerte all’esplicarsi della vita vegetale, (1) BEGUINOT e TRAVERSO. — Boll. Soc. Bot. Ital. XII 1904; N. G. B. I. XII 1905. e quindi la superficie delle foglie, e più ancora dei peridermi, sono, non appena le condizioni siano favorevoli, rapidamente invasi dalla vegetazione specialmente di Alghe: come sulla superficie delle roccie o nella terra nuda, anche sui substrati vegetali non occorre, o quasi, una sedlibzione preventiva perchè essi SER essere atti ad accogliere tali piante. Una degradazione iniziale, ma pur minima, è n che acco- glie le Epatiche e i Muschi e qualche Lichene e Fungo epifillo della regione tropicale a pioggie frequenti e sopratutto a nebbie costanti (Monti di Ceylan, di Borneo e di Giava ecc.); nei nostri climi sono necessarie delle lievi alterazioni della superficie del periderma (non si hanno specie epifille), per potere accogliere licheni, muschi, epa- tiche epifite. Un accumulo maggiore di prodotti di degradazione, e in parti- colare una superficie topograficamente, per dir così, adatta al so- stegno meccanico delle piante, sono necessarii per accogliere muschi ed epatiche di maggior dimensione, grossi licheni e qualche pianta vascolare. Tali condizioni si verificano dove la corteccia, sostituitasi al periderma, si è fortemente screpolata, in modo da determinare una serie di anfrattuosità meno facili a lasciar disperdere l’acqua, e più adatte a fare aderire gli organi di attacco. Si verificano pure dove la biforcazione dei rami determina una minore inclinazione della superficie della pianta ospite, e permette l'arresto di un po’ di ter- riccio cadutovi dall’alto o portatovi dalle correnti atmosferiche. In tutti questi casi però, l’acqua meteorica che giunge alle piante epifite che vi si stabiliscono, va in massima parte perduta ‘per loro, qualora esse stesse non abbiano disposizioni adatte per trat- tenerla. Ma dove i detriti delle vegetazioni epifite precedenti si vanno accumulando, e specialmente dove le disposizioni della impalcatura dei rami provocano la formazione di superficie pianeggianti relativa- mente ampie, e sulle quali sì raccoglie una riserva di humus, allora l’acqua, sia per la minore declività, sia per l’imbibizione del terriccio ivi accumulato, vi permane più a lungo, e il carattere xerofitico della vegetazione va diminuendo o scomparendo. Ma noi sappiamo quanta influenza eserciti l’acqua nell’attiva- zione dei fenomeni di decomposizione delle sostanze organiche, sia direttamente sui corpi morti, sia sui microrganismi saprofiti che accelerano i processi di decomposizione. Così sugli alberi, allo stesso modo che per l’humus sulla superficie del terreno, ha luogo nei paesi caldi e umidi la formazione di humus soffice, neutro e atto alla vegetazione; in quelli freddi o aridi la decomposizione si fa in Lor "ere n « foto potere uarbanio. ea a spiccato carattere cotone! Una esagerazione di queste condizioni la troviamo quando non più i soli materiali accumulati nell’impalcatura dei rami subiscono il processo di decomposizione, ma quando l’attività, specialmente fungina, attacca la corteccia e il legno degli alberi che li ospita. Si formano così delle cavità, nelle quali sì verifica distruzione di una parte notevole di sostanza orgarica, e vi si accompagna la messa in libertà di una quantità notevole di sali (1), che, per la quantità di acidi organici che vi si formano durante la decomposizione del legno, e per la abbondante formazione di C' 0, si trovano permanentemente disciolti in forte misura. Inoltre la cavità, che questo processo di carie è venuta formando, rimane per molto tempo chiusa al fondo, senza che vi abbia sfogo l'acqua che vi si raccoglie; è solo allorchè la carie è molto svilup- pata, che, o per spaccature prodotte dal gelo, o per azione degli ani- (1) Riporto alcune analisi di ceneri di legno di Salix alba e di Castanea vesca; questi dati analitici sono assai difficili a trovarsi nella letteratura, e quelli che ho potuto raccogliere non sono neppure affatto soddisfacenti. Pel Salice ho trovato infatti soltanto dati riguardanti il legno avvolto da corteccia; ora nella genesi del substratum per le arboricole della parte interna degli alberi, la corteccia ha una importanza assai minore del legno, e talora rimane intat- ta; riporto perciò anche alcuni dati riguardanti la corteccia pura, onde sia pos- sibile farsi una idea dell’influenza che la corteccia stessa può esercitare nell’ele- vare la percentuale totale delle ceneri. .I dati riguardanti il Salix sono stati tolti da Wo/ff, Aschen-analysen I, 123. Quelli del Castagno da Gibellî G. La malattia del Castagno. Modena 1879. E KO VR MgO]|Fr.0,|P0,|S0;|Si0, CI 00 | | Î | Salix alba legno e 2,88 132,00] 41,13| 5,96 | 0,53 | 12,99| 2,65| 0,12 0,27 corteccia. | : Salix olba altro cam- | 7,27 |32,39|20,67| 3,61 | 277 [23,86 | 14,56 | 0,28 0,66 po. | Salix alba corteccia | 4,09 |13,32(68,17| 3,80 | 3,67 5,56 | 2,72 | 1,50 0,20 vecchia. I | Castanea vesca legno | 0,17 |12,46|51,77 | 2,39 | 3.06 | 1,301 481, (20, ,87 (Na C1) 0,27 (Na 0) 1,75 Castanea vesca cor- | 6,69 |11,05|75,64| 4,09| 2,23 | 2,23! 0,95 | 1,69 | (Na C1) 0,15(Na O) 2,02 teccia. | | | | | | È evidente da questi dati l'enorme prevalenza nella quantità di ceneri nel legno di Salice, rispetto a quello di Castagno; i prodotti di decomposizione del legno di Salice debbono perciò contenere una più forte quantità di sostanze solubili. mali o per altre cause, si formano delle aperture nella parte infe della lunga cavità cilindrica scavata nel tronco; di qui può sgoccio- |. lare l’acqua in eccesso, che è caduta sulla parte superiore della cavità. Ma tale eccesso d’acqua ben di rado è raggiunto; anzitutto, quando l’albero ha la chioma ben sviluppata, relativamente piccola. è la quantità di acqua che può cadere nella cavità del tronco, e quando, per la caduta delle foglie, la pioggia vi può pervenire di- rettamente, la superficie ricevente non è tale da poter raccogliere tanta acqua da soprasaturare un materiale così poroso, e di così grande capacità acquifera, quale è il fine detrito che si trova in queste cavità. Ne deriva che il dilavamento dei materiali solubili in essa con- tenuti non è quasi mai possibile; possono dilavarsi bensì i primi strati, ma, se pure la concentrazione dei liquidi di imbibizione su- perficiali sì abbassa per qualche tempo, essa torna a elevarsi durante il periodo secco, perchè è solo dalla superficie che può eliminarsi per evaporazione la massima parte dell’acqua. In questo substratum speciale noi osserviamo così, che il rischio, per parte della pianta ivi ospitata, di soffrire il secco, è assai minore che nel caso della vegetazione epicorticale; talora anzi è da esclu- dersì totalmente. All’incontro, mentre nella stazione epicorticale il dilavamento dell’acqua comporta un allontanamento continuo, ad ogni pioggia, di materiali solubili, e quindi il permanere di liquidi di imbibizione scarsi, ma a bassissima concentrazione, in quella situata entro il cavo degli alberi la mancanza del dilavamento favorisce un accumulo sempre maggiore di materiali salini, e quindi un ambiente a concen- trazione elevata. Queste differenti condizioni osmotiche fatte alle piante epifite risultano assai evidenti di per sè ad un esame generale della ve- getazione epifita, ed io, nell’ambito della flora piemontese, ho potuto constatarne l'esattezza. I soliti saggi di pedolisi eseguiti sopra terreni abitati da arbo- ricole e epifite nostrali, mi hanno fornito dei risultati affatto convin- centi, che riassumo nella tabella n. XXIV. Anche a proposito della vegetazione epifita, per avere un con- cetto esatto della natura della stazione, occorre fare l’esame della località con estrema cura, onde trovare la spiegazione a quei così detti contrasti in piccolo o a quegli eterotopismi, che sembrano a tutta prima delle eccezioni inesplicabili alle leggi già note, e non sono altro che il risultato di imperfetta osservazione. sd DI Retiora ci viene facile la spiegazione del carattere gelicolo o per- gelicolo della vegetazione epifilla o epicorticale, quello alicolo o peralicolo delle cavità degli alberi; il carattere xerofilo della prima, quello igrofita o mesofita dell’altra. Collo stesso criterio adoperato nei paragrafi precedenti, passerò in esame le diverse stazioni di epifite, secondo il loro carattere fisico- osmotico. a) Peraloidi e aloidi. — Senza escludere la presenza di piante preferenti tale tipo di stazione nella regione tropicale, la quale è anzi assai probabile (1), io mi limito ad accennare a quelle della nostra flora, sulle quali si hanno ormai numerose osservazioni. Sono da ascrivere a questo gruppo la maggior parte di quelle specie conosciute sotto il nome di arboricole; come è noto le stazioni adatte a queste piante tro- vano il massimo delle condizioni favorevoli sugli alberi tenuti a ca- pitozza; così si incontrano più frequentemente sui salici, sulle quercie. Ora la prima di queste specie è, nel legno, notevolmente ricca dielementi minerali solubili dopo la marcescenza della sostanza organica, e anche la sostanza organica stessa dà origine a materiali solubili, come lo prova la colorazione che assumono i liquidi pe- dolitico e pedopiezico, e anche la soluzione proveniente dalla dialisi dei due liquidi testè ricordati. Si ha quindi un liquido di imbibizione a concentrazione forte, quale appunto si incontra nelle stazioni sepiarie, ruderali, ecc. (2). . Quantunque il carattere della vegetazione arboricola dipenda molto da quello della flora terrestre circostante, dalla quale gli agenti disseminatori vanno portando ogni anno nuovi elementi floristici alle stazioni delle arboricole, tuttavia una certa selezione nello svi- luppo di queste o quelle specie è data dalla concentrazione del liquido del substrato. Quali siano le specie caratteristiche di queste stazioni a tipo aloide e peraloide, non credo conveniente l’elencarle, perchè dovrei riferire quasi per intero i censimenti delle piante arboricole europee, (1) Probabilmente si debbono riferire a questo gruppo le solanacee ricor- date da ScHIMPER : Die Epiphytische Vegetation Amerikas, Iena 1888, p. 18. (2) Nella regione mediterranea sono specialmente le ascelle fogliari di Phoenix che formano il substratum preferito alle arboricole; qui il carattere della florula è talora alicolo; talora gelicolo; io non ho dati quantitativi sulla natura dei liquidi imbeventi, ma il pulviscolo abbondante trattenuto dal fitto aggro- viglio de’ resdui fibrosi, e la notevolissima porosità del substrato spiega abba- stanza le variabili proprietà delle soluzioni che vi si possono incontrare. ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 27 Traverso (1). Debbo fare alenne eccezioni alle specie ivi pre e o minerò più oltre le specie da escludersi dalle alicole, quando tratterò di quelle gelicole. Del resto la massima parte delle specie arboricole sono o rude- rali, o sepiarie, o pratensi, o arvensi, specie tutte delle quali ho dimo- strato più sopra il carattere alicolo o peralicolo. Quali siano le specie che in questa stazione si debbono ascrivere alle alicole, e quali alle peralicole, è cosa difficile il dirlo; a queste sono forse da riferire le specie ruderali e sepiarie, alle altre quelle pratensi. A questo proposito si deve anche tener conto che la grande capacità acquifera del substrato, il suo potere assorbente, la poca su- perficie evaporante acqua, determinano una notevole costanza nella concentrazione dei liquidi ivi contenuti, onde le stazioni sono spesso eminentemente eustatiche. Inoltre la protezione della chioma arborea è così efficace centro gli sbalzi di temperatura, di illuminazione, di ventilazione, che procura alle piante arboricole delle condizioni di assoluta regolarità di funzionamento, la quale, come vedremo, è uno dei migliori coefficienti per rendere possibile alle piante di sop- portare condizioni edafiche non perfettamente loro confacienti. b) Stazioni geloidi. La massima parte delle piante vascolari epifite tropicali sono da comprendersi tra quelle preferenti le stazioni geloidi. L'impianto delle loro radici sopra le parti più declivi degli alberi, le curiose disposizioni alle quali esse ricorrono per trattenere l’humus (radici a nido, e rosette di foglie), sono in relazione colla scarsità grandis- sima di materiali umici capaci di trattenere l’acqua, e, con questa, i materiali osmoticamente attivi. L'abito xerofitico di queste specie ne è del resto una prova evidente; lo stesso metodo di coltivazione, al quale noi ricorriamo nelle nostre serre per coltivare le epifite eso- tiche su corteccie, su sfagni, su musco, mostrano il carattere geli- colo di queste piante. Nella nostra flora non si può citare che il /olypodium vulgare, (1) Cf. Oltre ai due lavori di Béguinot e Traverso sopra ricordati, vedansi la nota di A. BfGurnor Boll. Soc. Bot. Ital. II.Novembre 1906, e i lavori di Cozzi C. Sulla flora arboricola del gelso. Atti Soc. Ital. Sc. Nat. XL IV 1906: in. in. Le Arboricole del Salcio nell’Agro Abbiatense id. XLVII 1908; UcoLixi U. Contributo alla Florula arboricota della Lombardia e del Veneto. Comm. Ateneo di Brescia 1905; in. Secondo contributo. Comm. 1907. TRINCHIE- MT, ecc. Re E ge quale è conosciuta la natura epifita (1), e che ha un habitus così li tinto da quello delle altre arboricole nostrane. È infatti solo il Po/ypodium vulgare che nella nostra flora si svi- .luppa regolarmente sulle parti più declivi degli alberi, tra le scre- «’polature delle corteccie, in condizioni cioè, nelle quali l’acqua ha un facile deflusso, e con essa è facile l’allontanamento dei materiali ‘ solubili. Anche dove il Polypodium cresce sopra una quantità un po’ più abbondante di materiale detritico organico, le sostanze solubili sono in minima quantità rispetto a quello che si trova nelle spac- cature degli alberi. Io ho raccolto con melta difficoltà delle pic- cole quantità di terriccio situato in prossimità delle radici di P0/y- podium; la concentrazione del liquido pedolitico che ne ottenni è stata assai bassa, rispetto a quelle dei liquidi provenienti dalle ca- vità del tronco di castagno e di altre specie arboree. | Colgo l'occasione per aggiungere in nota (2) un lieve contri- buto alla conoscenza delle arboricole piemontesi che ho avuto oc- casione di osservare durante le mie ricerche edafologiche. Tale contributo non estende di melto le nostre conoscenze sul numero delle specie arboricole italiane; è però degno di interesse il Nephrodium Filix Mas che io raccolsi sopra un’ampia capitozza di castagno presso il L. d’Orta, sulla quale vegetavano molte specie di piante alicole; il NepArodium cresceva sopra la parte più elevata e declive della capitozza, meno ricca d’humus, mentre su quella più bassa e pianeggiante, con uno spesso strato di terriccio, sì trovavano: Phytolacca decandra, Stellaria media, Viola canina. Béguinot e Traverso, e del resto anche molti altri autori, hanno ‘escluso dal novero delle arboricole tutte le specie crescenti sulle (1) GorseL K. — Pfanzenbiologische Schilderungen I, 1889, p. 151 FLICHE P Note sur l’epiphytisme du Polypodium vulgare Bull. Soc. Bot. Fr. 1902, p 55 BarsaLIi E. Nota sul Polypodium vulgare Boll. Soc. Bot. Ital, 1903, pag. 119. (2) Presso Acceglio V. Macra m. 1200. Arboricole del Salice: Ho/cus mo/llis, Poa trivialis, Viola canina, Ribes Grossularia, Geum urbanum, Geranium Ro- bertianum, Epilobium collinum, Berberis vulgaris, Galeopsis Tetrahit, Solanum Dulcamara, Plantago media, Sambucus nigra, Lonicera Xylosteum, Leontodon hastile, Taraxacum officinale, Lactuca muralis. Presso Omegna (L. D’Orta m. 300) sul Castagno a capitozza: Nephrodium Filix Mas, Poa sp., Corylus Avellana, Phytholacca decandra, Stellaria media, Viola canina, Rubus caesius, Solanum Dulcamara, Frarinus Exce?sior: Sulla parte esterna del tronco, Po/ypodium vulgare. Presso Piedimulera (Ossola) sul Salice a capitozza: Equisetum palustre, Lolium perenne, Morus nigra, Che- nopodium album, Rumer sp., Polygonum aviculare, Cerastium arvense, Si- lene italica, Trifolium pratense, Solanum Dulcamara, Leucanthemum vulgare, Leontodon hastile, Hieracium Auricula. ceppaie, e infatti dal punto di vista specialmente della dissemina- zione, della protezione della chioma dell’albero, ecc., le piante delle. ceppaie ,sono da ritenersi un po’ distinte da quelle delle capitozze; ma dal punto di vista edafico, la superficie esterna, convessa delle ceppaie, e in particolar e dei castagni, dove, in conseguenza dell’in- nesto, la base del tronco assume una marcata conformazione a cu- pola, si può perfettamente paragonare a quella della parte rima- nente del tronco; non così le cavità delle ceppaie quando queste sieno situate al livello del suolo, e nelle quali la vegetazione as- sume un carattere analogo a quello del suolo circostante. La parte esterna delle ceppaie, all'altezza di circa un metro dalla superficiedel suolo non risente pernulla delle condizioni adafiche del terreno minerale ; non vi si trova invece altro terriccio che quel poco humus che si raccoglie nelle screpolature della corteccia. Feci le mie osservazioni in Val d’Ossola presso Piedimulera, sopra Fomarco, pure in V. d’Ossola, e presso il L. Maggiore tra Mergozzo e Trobaso. Osservai sopra una ceppaia di faggio Nephro- dium Filix Mas, e, sopra numerose altre di castagni, Polypodium' vulgare, Aspleniumtrichomanes, Hieracium murorum, Oxalis Acetosella, e, meno frequenti, Luzula nivea, Moheringia muscosa, Solidago Virga aurea. È noto che l’epifitismo in generale è legato al regime pluviale della regione, e così esso si sviluppa nella sua massima intensità solo laddove l’umidità del substratum o quella atmosferica sì ve- rificano in un grado elevato; è pure noto che la difficoltà dell’as- senza 0 della scarsità di umidità può essere superata dall’adat- tamento xerofilo delle piante epifite. Mentre nelle regioni tropicali sì incontrano numerose le specie che presentano tale adattamento, nelle nostre regioni non sì ha che il Polypodium, tra le piante va- scolari, che vi si accosti; il Mieracium e l’Oxralis trovano le loro condizioni favorevoli per l’epifitismo solo dove la foltezza del bosco e il regime pluviometrico, vi determinano delle condizioni pres- sochè eccezionali. Nella nostra regione sono le tallofite che più si prestano a tali adattamenti, e lunghissima è la serie delle specie di muschi, epa- tiche, licheni, che trovano sulla corteccia degli alberi le stazioni loro preferite; ed anche per queste piante inferiori, le diverse con- dizioni di clima provocano una differenza nella frequenza e nella ricchezza delle stazioni corticicole. Dalle poche specie di licheni, di epatiche e muschi xerofili corticicoli della regione mediterranea, ai fitti rivestimenti di muschi e di epatiche sulle corteccie, e ai ciuffi di licheni pendenti dai rami 4 d'ogni genere sui tronchi delle piante della regione tropicale umida, noi vediamo un accentuarsi della vegetazione epifita col crescere dell’ umidità ambiente, accentuazione che giunge anche all’epi- fillismo. Tutti i substrati delle piante crittogame ora nominate e del Polypodium e di molte vascolari epifite tropicali sono, come già dissi, poveri di materiali osmoticamente attivi, e sono così tutti da ascrivere fra i geloidi. Ora è noto come molte delle specie rupestri gelicole trovano ottime condizioni di sviluppo sulla corteccia degli alberi, e ho già avuto occasione di accennare in altro lavoro al fatto noto della preferenza delle specie crittogame <« silicicole » per un substratum organico, quale la corteccia, piuttosto che per uno calcare; è questo un ottimo argomento per affermare che non sono certamente cause chimiche, quelle che possono determinare l’ap- petenza edafica di queste specie. Così, mentre nella nostra flora le stazioni epifite geloidi tro- vano la stazione terrestre corrispondente sulle rupi silicee, e il /o- lypodium (1) e le crittogame sopra ricordate ne sono un esempio (2), nella flora tropicale non solo le crittogame, ma anche le fanero- game xerofile, epifite, possono, per i loro speciali adattamenti, rivestire le pareti verticali di roccia di folta vegetazione, analoga- mente ai nostri muschi e licheni (3). Anche da noi non mancano specie rupestri arboricole; Béguinot e Traverso ne riportano 8 specie; pel Polypodium ho potuto fare 10 stesso osservazioni personali, e ho già fatto rilevare la sua sta- ‘zione epicorticale differente da quella delle altre arboricole; per le altre, Ceterach, Cotyledon, Linaria Cymbalaria, Sedum Cepaea, S. dasyphyllum, S. hispanicum, S. nicaeense, S. rupestre, non ho trovato (1) Recentemente ho osservato una ricca vegetazione di Pol. vulgare sui muri a secco nella regione tra Levanto e Spezia; quivi tale specie cresceva frammista a ahbondantissima Parietaria iudaica; la consociazione di due specie peralicola l’una, gelicola l’altra era solo apparente; la Parietaria affondava le radici profondamente negli interstizii tra le pietre, il Polypodium estendeva i suoi rizomi sopra la superficie esterna delle pietre, dove quasi non vi era ter- riccio. Ricordo tale esempio perchè mostra quanta cura bisogna avere nel di- stinguere le specie che formano una associazione, tenendo conto anche dell’am- biente nel quale si trova, non solo il sistema assimilatore, ma anche quello as- | sorbente. (2) Amman I. — Etude de la flore bryologique du Valais. Bull. Soc. Mauri- thienne, Lion, 1898-99. Fasc. xxvIr-xxvur; Brizi U. Flora Briol. d. Lazio. Malp. xI, 1897. — ScHimper W. Synopsis Muscorum. (3) ScHimPER. — Epiphytische Veg. Amerikas. SA SANTOS | » e, a) i BEST + ‘ . indicazioni da per Ha: un Lira conti della posizione to- pografica di queste piante sull’ospite. Ritengo però, per ragioni che “i esporrò più. oltre a proposito delle piante grasse, che esse non oc- cupino sulla pianta ospite una posizione tale da renderle così in- dipendenti dal terriccio umifero come il Polypodium. c) pergeloidi. Quanto alle epifite pergelicole esse non mancano sopra gli ospiti più disparati: le crittogame epifille crescenti sulle foglie a. cuticola liscia e spessa nella regione tropicale, ritengo siano da ascriversi a questo gruppo; le numerose cianoficee e schizoficee unicellulari abitanti sulle corteccie degli alberi, ritengo con War- ming sieno da noi i soli rappresentanti delle pergelicole epifille. Noi vediamo così che anche in questa peculiare stazione, ap- parentemente così omogenea quale è quella offerta all’epifitismo, si presentano dei facies diversi, a determinare i quali concorrono anche le proprietà osmotiche delle soluzioni del substratum, ana- logamente a quanto si è visto per le altre stazioni terrestri e acqua- tiche; solo - la teoria osmotica vale a caratterizzare esattamente i molteplici aspetti che assumono queste associazioni vegetali così curiose e caratteristische. VIII. — Le stazioni dei funghi ipogei. (Tab. xXV). Organismi, come i funghi ipogei, nei quali le condizioni pel loro sviluppo non sono, come nellè altre piante, legate agli ordi- nari fattori di ambiente, ma assai più complessa per le relazioni simbiotiche, che molte specie contraggono colle piante superiori, presentano, nella loro distribuzione in relazione col terreno, dei fatti particolarmente interessanti. L'influenza del terreno si può esercitare per queste specie in due modi distinti: anzitutto nella distribuzione delle piante su- periori, alle quali gli ipogei sono. simbioticamente legati, e in se- condo luogo in quella degli organismi fungini propriamente detti. Essendo lo sviluppo degli ipogei dipendente da una considere- vole disponibilità di acqua, le condizioni orografiche del suolo in- fluiscono in quanto assicurano un più o meno rapido scolo delle ‘ acque meteoriche ; tali condizioni possono assai spesso essere com- pensate dalla struttura meccanica del terreno stesso, in quanto un substrato fortemente ciottoloso e ricco di meati, favorisce l’alter- narsi, a troppo frequenti intervalli, di ambienti, ora insufficiente- “Sono perciò e ito adatti allo sviluppo degli i ipogei 1 substrati formati da fini detriti, siano essi di origine vegetale, o siano formati dalla degradazione delle roccie, e nei quali, o la finezza del materiale, o l'abbondanza delle materie umiche, favoriscano la permanenza piuttosto prolungata di un certo grado di umidità. Ove ciò non si verifichi, lo sviluppo degli ipogei ha luogo so- lamente in quel periodo di tempo, nel quale le condizioni di clima permettono il permanere abbastanza a lungo, di un certo grado di umidità nel suolo. In relazione a queste necessità, il periodo di massima attività del micelio degli ipogei, e che darà poi inizio allo sviluppo di corpi fruttiferi, accompagna o segue quello delle grandi pioggie; i grandi freddi invernali e la siccità estiva determinano un rallen- tamento se non un arresto nell’attività di sviluppo di questi or- ganismi. Così, mentre nella regione mediterranea il periodo più favore- vole è determinato dalla stagione delle pioggie invernali, in quella bassa della valle padana (Vogherese, Subapennino), sono special- mente quelle estivo-autunnali che favoriscono la fruttificazione; nella zona montana e submontana tutti i periodi dell’anno, salvo naturalmente quello dei grandi freddi, permettono lo sviluppo quasi continuo della flora ipogea; all’incontro nella zona alpina, il breve periodo del disgelo segna, come per tutti gli altri organismi, i li- miti di tempo nei quali ha luogo la fruttificazione della flora ipogea. Occorre notare inoltre come il fitto rivestimento vegetale che ricopre il terreno dei boschi, funzioni, anche nel caso speciale del quale ci andiamo occupando, come da moderatore delle oscillazioni climatiche contribuendo specialmente ad assicurare agli strati su- perficiali del suolo, quelli abitati dai funghi, una umidità prolun- gata e sufficiente all’attività dei micelii. Di ciò è pure prova il fatto che la flora’ più ricca di ipogei si incontra particolarmente, a parità di condizioni, nel terreno ricco di detriti vegetali e di humus, del fondo delle foreste, o nel ter- riccio delle cavità di vecchie ceppaie, il quale è capace di trat- tenere, come è noto, delle grandi quantità di acqua meteoriche, senza con ciò perdere quella porosità, che è condizione sine qua non per la funzione respiratoria delle ife miceliari. Un'altra proprietà fisica è legata alla maggiore o minore capa- cità del suolo a trattenere l’acqua, ed è la capacità termica; basta accennarvi per comprenderne l’importanza, e non occorre insistere lativa costanza di temperatura, dovuta alla capacità calorifica del- © l’acqua contenuta nell’humus, e alla scarsa conduttività dell’humus stesso, che si osserva in un terreno fresco e ricco di materiali organici. Tutte queste condizioni edafiche finora ricordate, se hanno una importanza fondamentale per lo svolgersi di una più o meno rigo- gliosa flora ‘ipogea, influiscono relativamente poco sulla distribu- zione delle specie, fatto questo, che è più direttamente in rapporto colla solubilità delle sostanze che costituiscono il terreno, e col po- tere osmotico delle soluzioni che ne derivano. Come dissi più sopra, nelle relazioni tra ipogei e terreno, occorre tener conto anche delle esigenze edafiche delle piante superiori; e di queste mi sono già ampiamente occupato nelle pagine precedenti. Più spiccata è l’influenza esercitata dalla concentrazione delle soluzioni saline del suolo sui micelii degli ipogei, e ciò sì spiega facilmente, quando si pensi che sono i micelii, quelli che sì trovano strettamente in contatto colle soluzioni saline, e che, secondo le ipotesi finora più accettate, costituiscono il sistema assorbente delle piante fanerogame a micorrize e tuberrize. Occorre però tenere presente che mentre sulla distribuzione dei simbionti-alberi influiscono le soluzioni esistenti in uno spessore assai notevole di terreno, su quelle dei simbionti-tuberrize e mi- corrize, almeno di quelle che danno i corpi fruttiferi, che solo è possibile a noi di determinare, lo strato di terreno che interessa, è di uno spessore relativamente piccolo. Perciò può verificarsi il caso di ipogei eminentemente gelicoli, frammisti a piante superiori emi- nentemente alicole, 0 crescenti in terreni di tipo aloide. Ciò specialmente perchè molte tuberrize si sviluppano in suolo ricco di humus, il quale può spesso formarsi al di sopra di un ter- reno calcare; ciò sì verifica p. e. nelle ceppaie di castagni nei colli torinesi; nell’humus che si forma in queste, le specie del genere Elaphomyces sono frequenti, (1) mentre intorno si sviluppano specie fanerogamiche gelicole sui primi strati di marne decalcificate, e spe- cie alicole aventi le radici negli strati più profondi. Nella flora ipogea, meglio studiata sotto l’aspetto della distri. zione edafica, e meglio caratteristiche, sono le specie appartenenti agli ascomiceti. (1) Debbo la massima parte delle indicazioni sull’habitat degli ipogei qui ricordati, alla cortesia del Chiar. Prof. O. MarTIROLO. ren Tei annoveriamo specie aventi differente sensibilità alle soluzioni saline, dalle specie alicole a quelle più spiccatamente pergelicole. To non ho dati sufficienti riguardanti le specie dei gen. Ter- fezia, e Hydnocystis; dalle indicazioni che danno Tulasnee Chatin e dalle osservazioni di Baccarini, ritengo debba trattarsi di un gruppo di specie debolmente alicole; la presenza di Quercus Suber, Cistus monspeliensis, C. salvifolius, Heliantemum guttatum, Rosmarinus, Phyl- lirea nei boschi che circondano le radure tartufifere, fanno pensare ad un terreno piuttosto geloide, ma la vegetazione a radici super- ficiali con Trifolium agrarium, T. stellatum, T. vesciculosum, An- themis, Geranium, Linaria, Coronilla scorpioides, fa pensare che il terreno superficiale sia di natura aloide, tanto più che le condizioni climatiche dell’area di distribuzione delle Terfezie sono tali, da pro- vocare una notevole salinità del terreno ; salinità che è poi dimi- nuita dal lungo periodo piovoso invernale, durante il quale si svi- luppa il micelio del fungo, e al termine del quale ha luogo la pro- duzione del corpo fruttifero (1). In questa regione il 7uber lacunosum occupa stazioni assai af- fini a quella delle Terfezia e manifesta così il carattere alicolo della massima parte delle specie del genere. È già nota da tempo la esclusività delle specie del gen. 7'uber per i terreni calcari; la scarsità di esse sui terreni silicei e la fre- quenza in questi ui degli elafomiceti, a loro volta assai rari nei terreni calcari. Per le specie di questi due generi io m’atterrò specialmente alla regione piemontese, nella quale le ricerche del prof. Mattirolo hanno fatto conoscere una ricca flora ipogea, e più che altro una serie notevole di stazioni, le quali portano un contributo notevole alla conoscenza della distribuzione edafica di esse. Tra le diverse specie del genere Tuder si osservano differenti gradi di alfcolismo. Le specie più spiccatamente alicole tra cui sono il 7. magna- tum, T. excavatum, T. rufum, e la Balsamia vulgaris, sono frequenti sopra i terreni calcareo marnosi, specialmente alle falde dell'A ppen- nino; assai più frequenti sono, come è noto, nei colli transpadani del Monferrato e delle Langhe, dove la natura calcareo marnosa del suolo e le condizioni climatiche, favoriscono lo stabilirsi di un substrato a soluzioni saline concentrate. (1) CHATIN. — La Truffe; — BaccarINI P. in MAarTIROLO O. — Gli ipogei ‘di Sardegna e di Sicilia. Malpighia, 1900; — PiroTTA e ALBINI. Osservazioni sulla biologia del Tartufo giallo. Roma, Rend, Acc. Lincei 1900. ha Lt TE LIU br. patata po i A nia i dire aa Lar E "dl 9 D° | Î _ \ v î A i n è n è, P 4 i v © dà » x ss ; Po L x e» Ù Ù " 419 LOT ol. entemen Le È ver , SVUUD, si | voltaa notevoli profit dove la N pietazione superficia) tuto esercitare assai poco la sua influenza d’arricchimento in pei Box, "1 mus; e inoltre si sviluppano frequentemente sulle ripe, o lungo i tagli naturali, nei quali il rapido deflusso delle acque di pioggia, e il lento afflusso delle acque di drenaggio dai terreni circostanti, e cariche di materiali disciolti, determinano le condizioni più favo- revoli per lo sviluppo d'una flora alicola. Un po’ meno esigenti sotto questo riguardo sembrano essere ì T. brumale, T. mesentericum, T. melanosporum, frequenti nelle stesse regioni nelle quali si trovano i precedenti, ma pure non rari nella zona cispadana al piede delle Alpi, dove le condizioni orografiche, quelle mineralogiche del suolo e quelle climatiche, per- mettono lo stabilirsi di una vegetazione più o meno alicola, come allo sbocco della Valle di Susa e di V. Sesia, o nella stessa pia- nura torinese. Un termine di passaggio tra le specie alicole e quelle gelicole di cui parlerò più oltre, è offerto in modo particolare da 7. Borchit e 7. rapaeodorum, il primo abitante in terreni eminentemente si- licei (V. d’Ossola, litorale toscano, ecc.), ma per condizioni clima- tiche e orografiche soggetti ad alternative di umidità e di secchezza e perciò debolmente aloidi. L'altro offre un esempio della pos- sibilità della sostituzione di sali di calcio con altri sali solubili, purchè essi forniscano alle soluzioni del terreno una conveniente concentrazione. Così in V. d’ Ossola ebbi occasione di trovarlo in terreni alluvionali fortissimamente permeabili, ghiaiosi inferior- mente, sabbiosi alla superficie e talora inondati dalle piene di tor- renti scendenti da monti costituiti di roccie amfiboliche, a pendio ripidissimo, quasi privi di bacino di raccolta, le cui acque scorrono solo per pochi giorni nei periodi piovosi, e non possono perciò eser- citare a lungo una azione solvente sulle roccie. L'umidità costante del suolo in questi terreni così permeabili è intrattenuta in gran parte dal mantello boscoso e dalla falda acquea sottostante nel piano alluvionale, Così siamo giunti gradatamente alle forme nettamente gelicole, rappresentate principalmente, nella famiglia delle Tuberacee, dalle specie del gen. Elaphomyces. Il meno sensibile alle soluzioni saline del suolo, relativamente concentrate, sembra essere l’Elap/. decipiens, che ebbi occasione di trovare più volte in V. d’Ossola nella identica stazione nella quale venne raccolto ìl 7°. BoreRii. Cresce anch'esso nel suolo sabbioso, rela- . tivamente poco firovvisto di sostanze umiche, almeno alla protoni NET: TOLLE sia FA RR Aree Tute pas cd fi Nip, ( \ 13 (i tà di 8 10 cm. della superficie, Polia Soa quale » si rinreio le radici tuberifere. 2 Pure in terreni fortemente mineralizzati © piuttosto poveri di sostanze umiche, si trovano frequentemente gli Elaph. hirtus, va- riegatus, granulatus, asperulus. Nei boschi di faggi, e più ancora ; nei castagneti, anche nel raggio di parecchi metri dai grandi al- beri, queste specie formano veramente il nucleo principale della flora ipogea gelicola. Spesso essi si incontrano a distanza così rile- vante dai tronchi degli alberi, coi quali stanno in relazione sim- biotica, che il cercatore non sospetterebbe nemmeno l’esistenza di tali funghi, se lo spuntare dei corpi fruttiferi dei Cordyceps ophyo- glossoiodes non rivelasse l’esistenza del fungo ipogeo del quale vi- vono parassiti. La natura prevalentemente silicea del suolo, il rivestimento di Calluna, di Molinia o di Polythricum, l'ombra proiettata dagli al- beri, assicurano al micelio di questi ipogei la minima concentra- zione salina possibile in soluzioni circolanti in terreni di origine eminentemente minerale. A tali elafomiceti sì debbono pure aggiungere l’Hydnotria Tu- lasnei e il Pachyphloeus conglomeratus, che furono raccolti in Pie- monte su terreni ghiaiosi serpentinosi, anfibolici, fortemente permea- bili, e rivestiti da una flora nettamente gelicola. In simbiosi cogli stessi alberi, intorno ai quali irradiano i mi- celii degli elafomiceti sopra ricordati, stanno inoltre molte altre specie del medesimo genere, assai più sensibili alle soluzioni sa- line e che si possono considerare come tipicamente pergelicole, data la povertà delle soluzioni esistenti nell’humus pressochè puro nel quale vivono siffatti ipogei. Mentre gli E. hirtus, variegatus, ecc., si trovano spesso, oltre che nel terreno minerale (1) anche nell’humus puro, il fatto inverso non sl verifica mai per lE. cyanosporus, mutabilis, anthracinus e var. pyri- formis, abitatori di preferenza delle ceppaie dei vecchi faggi e dei castagni o degli alti strati di humus che si incontrano nel folto dei boschi specialmente di faggi. È in questo terriccio nero, quasi carbonioso, che, seguendo le ul- time ramificazioni delle radici fortemente metamorfosate dalla sim- biosi colle tuberrize, s'incontrano abbondanti gli ipogei a peridio carbonioso, il cui colore si avvicina tanto a quello del terreno ambiente. (1) L'E. Personii fu raccolto dal prof. Mattirolo ad una profondità superiore a 50 cm. d’ambiente, dovuta alla grande capacità idrica dei materiali afentà "i alla loro scarsa conduttività termica, alla capacità calorifica del- l’acqua che li imbeve, hanno si può dire un periodo riproduttivo quasi continuo. Pure in ogni stagione, e con habitat eminentemente pergelicolo sì incontrano negli ammassi neri di humus quei curiosi ipogei che sono i Coenococcum. Sono essi, come è noto, abitatori costanti del- l'humus che sì trova entro e intorno alle vecchie ceppaie di faggi e di castagni. Quanto agli ipogei appartenenti alla classe dei basidiomiceti, le nozioni sulla loro biologia sono troppo incerte perchè si possano trarre delle indicazioni sopra i loro rapporti col terreno. Chiunque sì sia occupato di ricerca e di raccolta di ipogei, sa come questi imenogastrei appaiano molto spesso in condizioni tali da far pensare piuttosto ad un fatto di saprofitismo che di vera simbiosi. Certo non per tutte le specie si può dubitare di saprofi- tismo, ma ad.ogni modo nello studio edafistico di queste piante è ancora da mettere in chiaro se le sostanze organiche del terreno abbiano importanza solo come regolatrici della concentrazione delle soluzioni saline, o piuttosto come vera e propria materia prima per la nutrizione idrocarbonata. Alcune volte è dato al raccoglitore di ritrovare per anni consecu- tivi sotto al medesimo albero la stessa forma fungina, (p. es. Gautiera morchellaeformis), ma resta a stabilire se quel micelio ivi localiz- zato sia o no in rapporto colle radici dell’albero, presso al quale pro- duce i corpi fruttiferi. È molto probabile che questi ipogei si comportino come le specie aftini appartenenti ai Gasteromiceti epigei, dei quali è evidente il carattere alicolo, non però peralicolo. Hollòs (1) enumera una serie di gasteromiceti che si trovano particolarmente nei bassopiani dell’Ungheria, località come è noto, ricche di sali; ed anche da noi, sulla sabbia dei fiumi, nelle sca- riche sabbiose, sul litorale marino, crescono parecchi gasteromiceti ; ricorderò Phallus impudicus, Colus, Gyrophragmium, Pisolithus, Tu- lostoma. Il Clathrus cancellatus è caratteristico di stazioni alicolo-ruderali, e numerose sono le specie di Licoperdinee che si incontrano nei pa- scoli secchi leggermente aloidi, almeno durante il periodo di sviluppo del micelio di tali funghi. (1) HoLLos L. — Die Gasteromyceten Ungarns, Leipzig, 1904. ti Mi: di — 495 — ‘Del resto la presenza di numerose specie di RAizopogon e di altri Imenogastrei nei boschi di conifere sempreverdi, sotto la chioma delle quali ho dimostrato esistere una aloidità maggiore del suolo, lascia pensare appunto ad un hRabitus alicolo delle specie di questa. classe. IX. — Considerazioni riassuntive. L’enumerazione che io ho fatto delle stazioni vegetali, è ben lungi dall’essere completa: essa non è che un saggio di quelle che, assai più numerose, si incontrano sotto altri climi e in altre regioni floristiche; ma vale tuttavia a dimostrare che anche il terreno, per le soluzioni che può contenere, è un fattore tutt’altro che secondario di differenziazione delle stazioni. Quantunque il tener conto di questo solo carattere, sembri possa dar luogo a delle distinzioni puramente artificiali, ciò non è in realtà; poichè la concentrazione delle soluzioni del terreno è ap- punto la risultante di numerosissimi fattori climatici, chimici, fi- sici, ecc., nello stesso modo che tuttii caratteri che determinano la stazione per rispetto alla parte epigea di una pianta (illuminazione, temperatura, stato igrometrico, ventilazione, ecc.) non sono che fat- tori tendenti a regolare o modificare le due funzioni fondamentali della assimilazione e della traspirazione. Noi non siamo ancora in grado di valutare esattamente l’inten- sità di queste due funzioni, e dobbiamo in certo modo fare una pe- rifrasi nel caratterizzare le stazioni, descrivendone appunto le condi- zioni fotometriche, igrometriche, termiche, ecc. Nel caso dello studio del terreno il metodo da me indicato pre- senta una maggiore approssimazione, nel senso che evitando di dover valutare la struttura mineralogica, la capacità acquifera, la per- meabilità, ecc., del suolo, ci dà la sintesi di tutte queste proprietà, nella misura della concentrazione delle soluzioni determinate da tali fattori. Questa valutazione ci dà l'indice delle condizioni nelle quali si trova il sistema assorbente. Se poi questo potrà assumere sostanze capaci di venire utilizzate dalle piante (gli elementi così detti acces- sorî, nelle loro giuste proporzioni) o sostanze inutili (Ca CO, in eccesso, Na Cl, Na, SO,, ecc.) o sostanze tossiche (sali di bario, cia- nuri, ecc.), questa è una condizione d’ordine affatto speciale, come se in un campo ottimamente esposto, il frumento ivi seminato, pur trovandosi in ottime condizioni per ciò che riguarda l’assimilazione e la traspirazione, mancasse della dose sufficiente di uno degli ele- 4 3 RSI PISA RE ROTOLI DIETRO RAS CIRO ON TI CREARTI i - ria ea. . ia : 5 A METIS x de: Ma Re ian . menti minerali in modo da inutilizzare le altre condizioni favo- Te revoli. L'enumerazione delle stazioni da me fatta nelle pagine prece- denti, dovrebbe invogliare a studiare assai più da vicino di quanto si sia fatto finora, le differenti condizioni offerte al sistema assorbente, in modo analogo a quanto si è fatto per l’apparato aereo (1). Nello stesso modo che è ovvio considerare differenti le condizioni fatte alla assimilazione e traspirazione della chioma arborea, rispetto a quelle degli arbusti del sottobosco e dell’erba che ricopre il ter- reno, noi dobbiamo distinguere diversi piani edafici, nei quali ha luogo lo sviluppo dell’apparato radicale di diverse associazioni vege- tali. Tale è quella che si osserva p. e. nei campi di cereali; quivi le piante della flora precoce hanno radici superficiali; maggiore è la profondità alla quale si spingono le specie frammiste alle messi alte, maggiore ancora quella delle radici dei cereali ivi coltivati, ed assai più grande quella della massima parte delle radici delle piante arboree che sì incontrano nel campo o intorno ad esso. Lo stesso sì può dire per le associazioni boschive; in queste lo apparato assorbente si sviluppa in piani sempre più profondi, corri- spondentemente ai diversi piani, sempre più elevati, che s' incon- trano nella parte epigea. Questa distinzione della varia profondità alla quale giunge l’ap: parato assorbente, è particolarmente importante per poter valutare esattamente le condizioni edafiche, nelle quali si trova ogni singola pianta, e per spiegare numerosi casi di contrasti in piccolo. Nello studio della parte epigea della pianta sì tiene conto del pe- riodo di tempo nel quale si svolge unicamente o più attivamente la sua funzionalità; anche il sistema assorbente presenta delle diffe- renze importanti a tale riguardo, delle quali si deve tener conto nello studio dell’appetenza edafica. Le osservazioni di Rannkiaer hanno portato a coordinare in tipi ben distinti le disposizioni difensive che permettono alle piante di sopportare il periodo di tempo nel quale le condizioni climatiche sono meno favorevoli al loro sviluppo; ma le conclusioni alle quali egli è giunto riguardano unicamente il comportamento dell’appa- rato aereo rispetto al clima (2). (1) Ne sono esempio gli studi di Wiesner sulla fotometria in rapporto alla vegetazione, di HansGIRG sulla morfologia fogliare in relazione coll’ambiente, di RAUNKIAER sulle disposizioni difensive delle piante contro i rigori del clima, ecc. (2) RaUNKIARR O, — Types biologiques pour la Geographie Botanique. Over- sigl over d. Kgl. Danske Videnskabernes, selskabs Forhandlinger, 1905. FE ITali adattamenti si osservano pure per rispetto alle CORATRIOR SATA già noi vediamo in molte piante una coincidenza di com- portamento sia rispetto alla secchezza fisica, che rispetto a quella fisiologica; il termine della vita per molte piante annue o biennî coincide col sopravvenire della stagione secca, e pure con questo periodo coincide per molte specie perenni la sospensione dell’atti- vità vegetativa. La caduta delle foglie, sia invernale che estiva, è la disposizione di xerofilia più efficace per resistere sia alla secchezza fisica, che a quella fisiologica proveniente dalla ipertonia delle soluzioni am- bienti all’apparato assorbente. Così pure le condizioni di ipertonia delle soluzioni, che possono essere dannose per piante in attiva vegetazione, possono essere sop- portate senza danni dagli individui con traspirazione, e Guai con assorbimento rallentato. Zodda (1) ha osservato che nei terreni stati inondati dal maremoto di Messina del 28 dicembre 1908, la salsedine dell’acqua non arrecò alcun danno a Tamarix gallica, T. africana, come è del resto naturale; ne arrecò in grado maggiore o minore, a seconda dell’età, ai Pinus Pinaster provvisti di foglie e in attiva funzionalità, e non ne pro- dusse alcuno alle Robinie che non avevano ancora le foglie. ‘Onde le Terofite e le Criptofite di Raunkiaer, abolendo per un certo periodo di tempo la funzione traspiratoria, ed in gran parte quella assorbente, si vengono a trovare in ottime condizioni contro le in- fluenze esterne sfavorevoli sia climatiche che edafiche:; per rispetto a queste ultime specialmente nella stagione calda, quando è a te- mersi una ipertonia dell'ambiente radicale. Anche le Emicriptofite e le Camefite si possono edafologicamente ravvicinare in una sola categoria, nella quale la difesa contro l’iper- tonia è data dalla riduzione della funzione traspiratoria, e conse- guentemente di quella dell’assorbimento. Le condizioni sfavorevoli del clima possono essere date da ec- cessiva umidità e bassa temperatura, o da eccessiva secchezza e alta temperatura;in coincidenza delle prime condizioni sta di solito un ab- bassamento di concentrazione; il quale o è poco dannoso per le piante, o scarsamente utilizzabile per le sfavorevoli condizioni termiche. Quanto alle Fanerofite, esse, come sono state caratterizzate da Raunkiaer, non corrispondono alle condizioni edafiche. Già anche per gli altri tipi biologici sopra ricordati, occorre fare la riserva che (1) Zoppa G. — Effetti del Terremoto del 28 dicembre 1908 sulla vegeta- zione dei dintorni di Messina. Boll. R. Orto Bot. Palermo, VIII, 1909. zione dei liquidi del terreno. Inoltre Raunkiaer tiene conto in modo speciale delle disposi- zioni protettive per le gemme, che, sotto l’aspetto edafico non hanno importanza alcuna. Le Fanerofite dei sotto-tipi 12-15 a foglie ca- duche, sì accostano perla riduzione del sistema traspirante alle piante dei quattro tipi sopra ricordati, sempre tenendo conto della riserva che, sotto l’aspetto edafico, hanno valore specialmente i periodi in cui ha luogo aumento della concentrazione. Delle altre fanerofite, dobbiamo escludere quelle vegetanti in re- gioni, nelle quali la durata della stagione secca è prolungata; sono piante provviste in generale d’organidi difesa perle gemme, e, ciò che più importa pel nostro argomento, hanno un facies xerofilo, al quale sì debbono le disposizioni protettive contro la secchezza fisica, non solo, ma altresì contro quella che può essere generata da una iper- , tonia delle soluzioni del terreno (sottotipi 7-11). Le altre piante quelle senzaapparati protettori dell’apice caulinare, sono proprie delle regioni a clima costante, e quindi a condizioni edafiche costanti, come si verifica specialmente nelle regioni tropicali e sub-tropicali, dove la durata della stagione secca non è troppo prolungata. All'incontro il solo gruppo di piante che nella nostra flora manifesti un fane- rofitismo senza disposizione di difesa speciali, è dato dalle specie viventi nei fontanili; quivi è pressochè assoluta la costanza delle condizioni termiche e edafiche, e la vegetazione è per tutto l’anno In piena attività. Ora che abbiamo considerato di per sè le stazioni isolate, come le troviamo sparse sulla superficie della terra in un determinato mo- mento, conviene dare un rapido sguardo ai rapporti tra le diverse stazioni non più nello spazio, ma anche nel tempo, e specialmente alla successione delle stazioni. Tale argomento è già stato qua e là toccato nel corso della Parte II. Le stazioni nuove, nuovissime anzi, sono per lo più occupate pri- mieramente da cianoficee, allorchè vi sia una certa quantità d’acqua, la quale permetta ad esse di compiere il loro sviluppo; furono os- servate nel ristabilirsi della nuova vegetazione dal Krakatoa, (1) nelle paludi, nelle torbiere, nelle pozzanghere dopo la pioggia, ecc. (1). Penzio 0. — Die Fortschritte der Flora des Krakatau Ann. Jard. Bot. Buitenzorg, 1902, II ser., vol. III; Ernst A. — Die neue Flora der Vulkaninsel Krakatau, Ziirich, 1907. ; sa minimo spessore - di terreno occupato da queste piante, spiega le condizioni di anastatismo nelle quali queste piante vengono a trovarsi, anastatismo contro al quale probabilmente serve di difesa l’invoglio gelatinoso che le ricopre. La vegetazione crittogamica che vi si stabilisce in seguito, ove le condizioni di umidità lo permettano, (Barbula, Funaria, ecc.), ha da principio un carattere peralicolo, e tale è pure il carattere della prima vegetazione fanerogamica; sono Chenopodiacee, Amarantacee, Poli- gonacee, Solanum nigrum, ecc., che occupano prima il terreno ricco di soluzioni saline; seguono poi alcune graminacee, le quali, colle numerose radici feltrano il suolo di un ricco materiale organico, il quale mantiene sempre più costanti le condizioni delle parti di terreno sotto alla superficie, mentre il mantello vegetale che si svi- luppa al di fuori, lo protegge efficacemente dall’eccessivo essicca- mento. Così, ancora prima che la degradazione intensa che succede alla formazione del terreno nuovo, sia di molto rallentata, sì è for- mato un complesso di condizioni (presenza di materiali‘argillificati, intasamento e minor porosità, accumulo di humus, mantello vege- tale), che impartiscono alla stazione un carattere sempre più eustatico. Intanto va progressivamente diminuendo la concentrazione dei liquidi del terreno, alla stazione ruderale succede la stazione così detta dei luoghi erbosi, a questa la pratense, oppure, ove le condi- zioni lo permettano, lo sviluppo di piccoli arbusti determina lo sta- bilirsi della stazione di tipo sepiario; vi si forma in seguito la bo- scaglia, e la foresta o la prateria costituiscono la formazione a rive- stimento continuo che risulta dalla concorrenza delle diverse specie sul medesimo terreno. Mentre nei primi anni il succedersi e il sostituirsi delle diverse specie vegetali ha luogo, si può dire, ad ogni periodo vegetativo, così come rapidamente si vanno modificando le condizioni edafiche, più tardi gli elementi floristici, costituenti l’associazione che vi si è sta- bilita, si vanno modificando sempre più lentamente, e di pari passo assai più lente procedono le variazioni nelle condizioni edafiche. In tal modo l’equilibrio che si mantiene per lungo tempo tra gli elementi floristici, si va accentuando sempre più anche tra le parti- celle del suolo, e si va abbassando sempre più la concentrazione delle soluzioni ivi esistenti. In tal modo o per la semplice asportazione dei materiali solubili, (formazione della terra rossa come sui calcari, del ferretto, della la- terite), o per l'accumulo di sostanze otganiche (humus), la concor- renza tra le diverse specie vegetali, e le reazioni tra le particelle del suolo si vanno risolvendo in una progressiva uniformità; povertà di ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 28 SE e ati ai Sia Sri SE N TTI AATTOA STE SLI elementi nell’associazione floristica, dustatiemo Teio,e tendenza al geloidismo nel terreno, qualunque sia la sua origine mineralogica. Risultato di tutto ciò è p. e. la sostituzione di una associazione boschiva ad un’altra, le quale si verifica per lo più nel senso di sostituire una associazione più alicola con una più gelicola; così pure nelle radure dei vecchi boschi di castagno, alle specie arboree noi vediamo sostituirsi la Pteris o la CaZluna o il Polytrichum for- mosum 0 gli sfagni. Anche nello studio della distribuzione edafica delle piante si deve tener conto della concorrenza vitale, e della legge della persistenza del più adatto, fatti ai quali ha dato grande importanza Bonnier (1), venendo alla conclusione che, se si sopprime la concorrenza vitale, quasi tutte le piante possono nascere sul medesimo terreno. Ma nel giuoco dei fattori d'ambiente che determinano la concor- renza, il terreno ha non una parte fondamentale, ma certo una parte affatto singolare. Mentre tutti i fattori climatici di ogni periodo ve- getativo sì possono considerare costanti per un lungo periodo di anni, quelli edafici non sono tali, ma variano continuamente verso un limite che si è visto essere quello di concentrazioni basse e per- manenti. Questo diminuire della concentrazione, non determina solo una diminuzione dei materiali nutritivi, bensì una modifica- zione delle condizioni fatte al funzionamento del sistema assor- bente, quindi una selezione continua di organismi i quali siano ca- paci di adattarsi alle nuove condizioni edafiche. Ne risulta che una specie p. e. che trova in una stazione l’op- timum di condizioni per la vittoria nelle concorrenze vitale, può trovarsi l’anno seguente in istato di inferiorità, solo perchè le con- dizioni edafiche sono andate modificandosi verso una minore con- centrazione dei liquidi del suolo, pur essendo rimasti inalterati tutti gli altri fattori di ambiente. Così se il terreno nuovo è inbevuto di un liquido a concentra- zione elevata (macerie, paludi d'isseccate), non vi sì stabiliscono per le prime che specie di tipo peralicolo, mentre se il terreno nuovo è dato da una superficie scoperta calcare o marnosa, la prima vegeta- zione sarà di tipo meno spiccatamente, o per un periodo più breve, alicola, e ancora più breve sarà il periodo che deve trascorrere perchè un terreno nuovo, p. e. una alluvione nettamente silicea, assuma il carattere di substrato pergeloide. (1) BoxniER G. — Quelques observations sur la flore alpine d’ Europe. Ann. Sc. Nat. Bot. 1880; 1D. 1D. — Etudes sur la VEOSIGR de le vallée d'Aure. Rev. Gen. Bot., 1890. Me per: F È, pci ar el) a, er MR — dB — Ad esempio alluvioni recentissime nella Valle d’Ossola appaiono coperte di un fitto mantello di RAacomitrium, mentre più profonda- mente si spingono le radici di specie meno gelicole, Rumex scutatus, Artemisia campestris, Epilobium, Thymus Serpyllum; e dove questo substrato si è stabilito da un tempo un po’ maggiore, si inizia già la caratteristica associazione di brughiera a Calluna, Sarothamnus, Iuniperus, ecc. Così, sulle rupi silicee fresche, la prima vegetazione di carattere un po’ alicolo, viene presto sostituita dalle associazioni della specie di brughiera (Cfr. cap. V). Cioè mentre il terreno nuovo offerto alla vegetazione sì presenta esposto a ricevere dagli agenti disseminatori specie di appetenza eda- fica diversissima, la prima selezione è fatta appunto secondo il fat- tore edafico, e si determina così il punto di partenza dal quale le associazioni floristiche e il terreno convergeranno verso uno stato di equilibrio che si esplica nell’uniformità della vegetazione, e nel- l’eustatismo di un terreno pergeloide. Naturalmente questo passaggio dal peralicolismo al pergelicolismo non si verifica colla stessa rapidità in tutti i terreni; la struttura mineralogica originaria del suolo ha una influenza preponderante nel determinare la misura degli elementi solubilizzabili rispetto a quelli non tali, e può prolungarsi di molto il periodo di esaurimento; così l'apporto periodico di materiali minerali colla caduta delle fo- glie, può, ove le condizioni climatiche favoriscano la distruzione della parte organica che le accompagna, costituire un rifornimento continuo e per lungo tempo sufficiente di sostanze solubili nel suolo. Le condizioni climatiche, specialmente quelle che conducono allo psicrofitismo, determinano invece una accelerazione del pro- cesso di geloidizzazione. La tendenza alla geloidizzazione del substrato è pressochè ine- vitabile ove non sopraggiungano delle cause perturbatrici ; l'apporto di nuovi materiali in caso di inondazione, gli scoscendimenti pro- vocati talora dall’alterazione determinata nel substrato dal mantello vegetale, od anche il movimento del suolo per parte degli animali terricoli delle foreste (1), possono dar luogo a rinnovamenti del ter- reno, o ritardare il processo di invecchiamento, per dir così, del suolo. Anche le lente e secolari oscillazioni climatiche che i geologi vanno dimostrando essere così importanti e frequenti, possono mo- dificare profondamente le proprietà del terreno, e di conseguenza il facies della vegetazione. A tale causa si ritiene attualmente si (1) Henry E. — Op. cit. ciazioni a da che si sono verificate nell'Europa e e che vengono a noi rivelate dall'esame delle torbiere (1). Oscilla- zioni climatiche meno estese e più rapide, e conseguenti modifica- zioni nel carattere edafico della vegetazione, sono provocate dalla scomparsa di un bosco per vetustà degli individui che lo compone- vano. Sul terreno così divenuto scoperto, l’ossidazione più intensa dei materiali umici, permette di rendere solubile una maggior quantità di sostanze ivi accumulate, e di rendere più alicolo il carattere delle associazioni che vi si stabiliscono. Nel caso delle torbiere sopra ricordate, il prosciugamento di esse può rendere solubile una quantità di elementi minerali prima trat- tenuti dagli acidi umici. In grado ancor maggiore sì verifica un aumento della concentrazione salina nei terreni palustri prosciugati, dove, come si è visto, la nuova vegetazione assume un carattere peralicolo. PARTE TERZA. La discussione delle osservazioni e delle opinioni dei diversi autori, che sì sono occupati delle questioni di edafismo, le ricerche sperimentali mie, le osservazioni mie e di altri autori riportate in questo e in un precedente lavoro, credo abbiano valso a dimostrare l'insufficienza, che, tanto le spiegazioni puramente fisiche, che quelle chimiche, possono dare del complicato fenomeno della distribuzione delle piante in relazione al terreno. E credo pure di essere riuscito nella dimostrazione dell’importanza che su questo fenomeno hanno le proprietà osmotiche dei liquidi del suolo. La classificazione che io ho fatto dei terreni in peraloidi, aloidi, geloidi e pergeloidi, e rispettivamente delle specie che li abitano in peralicole, alicole, gelicole, e pergelicole, mi sembra giustificata da tutto il complesso di argomentazioni riportate. Da tutto ciò molte deduzioni si possono far derivare, non solo di ordine ecologico, ma anche fisiologico, ed è possibile intravedere la soluzione di molti problemi riguardanti l'assorbimento e l’utilizza- zione delle sostanze minerali del terreno, nonchè molti processi for- mativi e adattamenti a condizioni speciali d’ambiente. (1) BLyrr. — Die Theorie der wechselnden kontinentalen und insularen Klimate. Bot. Iahrb. Bd II, 1882; ip. In. — Zur Geschichte der Nordeuro- piischen, besonders der Norvegischen Flora. Bot. Iahrb. XVII Beiblat. 4, pe1, 1893. — Henky E. — Op. cit. SIE raggi ‘Mi varrò per questo studio di osservazioni e di ricerche personali, parte delle quali avranno più tardi un ulteriore svolgimento, e più ancora di osservazioni di altri. Si vedrà che molte esperienze e molte osservazioni fatte creando artificialmente ambienti speciali agli or- ganismi vegetali, trovano la loro conferma nei dati dell’osservazione in natura; e nuova conferma ricevono le conclusioni alle quali io son giunto rispetto alla distribuzione edafica delle piante, dall’intimo nesso che farò man mano rilevare, con i risultati più vari della fisiologia e della morfologia sperimentale. I. — Gli elementi nutritivi e le sostanze disciolte nel terreno. È canone fondamentale della fisiologia della nutrizione, che le sostanze nutritive, che dal terreno sono poste a disposizione delle piante, non sono tutte utilizzate da esse in misura arbitraria, ma solo in quanto esse possono, reagendo fra loro e con i prodotti della fotosintesi clorofillina, venire assimilate dalle parti viventi dell’or- ganismo vegetale. Ne viene così che se si ha p. e., un eccesso di sostanze azotate e fosforate, e una scarsezza di sali di potassio o di solfati, l’utilizzazione dell’azoto e del fosforo ha luogo se- condo la media del minimo, cioè in modo proporzionale alla quan- tità minima disponibile degli altri elementi indispensabili alla nu- trizione delle piante. Ora nel terreno vegetale i materiali assorbibili dalle piante non si trovano certo fra loro, in proporzione perfettamente corrispondente, a quella necessaria per la esplicazione della funzione nutritizia dei vegetali che vi crescono. Senza tener conto per ora delie piccole sproporzioni che si possono trovare in un terreno tra la quantità di azoto o di potassa o di fosforo, sproporzione certo inevitabile per tutte le piante, perchè non tutte le specie vegetali crescenti in una medesima stazione hanno le identiche esigenze, conviene limitarsi a considerare alcune sostanze, la cui presenza nel suolo è molto spesso affatto sproporzionata ai bisogni delle piante. Sono queste il bicarbonato di calcio, il solfato di calcio, il cloruro e il carbonato di sodio, i nitrati di calcio e di potassio dei terreni ruderati, i sali d’alluminio, ecc. Tutti questi sono corpi dei quali soltanto una parte minima può esercitare una funzione nutritiva, la massima invece non esercita alcuna azione diretta nei fenomeni metabolici dei vegetali; eppure ognuno sa quanto importante sia la presenza in varia misura di questi corpi nel terreno per permettere o impedire lo sviluppo di un numero grandissimo di specie di vegetali. conto molto ge: già sti ao Nate ca, hO A l’azione così detta repulsiva o attrattiva di uno di essi, può spesso venire esercitata anche da altri composti chimicamente ben distinti. Del resto molte ricerche d’autori recenti hanno dimostrato l’azione antagonistica dell'uno e dell’altro elemento nel protoplasma vege- tale (1), così che non si può dare un valore notevole alla semplice tossicità degli elementi o dei loro composti, per spiegare la loro azione sulla distribuzione delle specie. Non rimane perciò che a tener conto della funzione osmotica di essi, almeno di quella parte di essi che non può venire assimilata dalle piante. Warming (2), che, come dissi più sopra, considera per il primo la diffusione delle specie vegetali in rapporto alla concentrazione maggiore o minore dei liquidi ambienti, suddivide questi in due gruppi: aventi cioè molte o poche sostanze nutritizie. La divisione in due gruppi, è, secondo me, assai appropriata, ma non convengo coll’autore germanico nella loro denominazione, perchè in acque non salse la differenza tra l’uno e l’altro gruppo non può essere data che da una quantità maggiore di sali di calce, e non certo da una mag- giore quantità complessiva di sostanze nutritizie. Estendendo il concetto di Warming, non solo all'acqua della flora idrofita, ma a tutti i liquidi ambienti in misura più o meno varia alle radici delle piante terrestri, sì viene appunto a conside- rare parecchi di quegli ambienti, nei quali si osserva la prevalenza enorme, non di sostanze nutritizie vere e proprie, ma di cloruro di sodio, carbonato di calcio, nitrato di potassio, ecc., senza che con questi sì trovi una quantità notevole di tutti quegli elementi, la cui giusta proporzione fra loro può dar luogo ad una più intensa. attività formativa. Perciò rispetto alla nutrizione delle piante noi dobbiamo anzi- tutto fare una distinzione fondamentale sul valore delle sostanze contenute nelle soluzioni del terreno; vi si trovano cioè dei mate- riali plastici, vale a dire quelli che assorbiti dalle piante vengono da esse utilizzati in massima parte per î processi del ricambio organico, e i materiali osmotici, i quali o col permanere nel terreno, o col- (1) Controntisi su questo argomento il bellissimo riassunto di R. PirorTA. — La chimica fisica e la biologia. Atti della Società italiana per il progresso delle scienze. Il, Firenze, 1908. (2) WarmING E. — Oekologische Pflanzengeographie. II Aufl. 1902, p. 158 Questo concetto non è però più accennato nella Edizione inglese, 1910. DI, al ua E e in parte anche ai tessuti proprî delle piante. II. — La pressione osmotica dei liquidi ambienti ei processi formativi negli organismi vegetali. Numerosi dati sperimentali hanno posto in evidenza l’influenza che molte soluzioni esercitano sulle piante per la sola causa della loro concentfazione; questa influenza che si esplica specialmente nei processi formativi, si manifesta, sia nella modalità colla quale essi hanno luogo, sia colla struttura che in conseguenza di ciò assumono i tessuti e le piante. Noi sappiamo così che le pressioni osmotiche endocellulari ten- dono a crescere coll’elevarsi della pressione osmotica del liquido ambiente (1), e che nei casi in cui questa si abbassi, può aumentare la turgescenza delle cellule, la quale si manifesta anche nella con- formazione degli elementi, e dei tessuti e degli organismi che ne derivano. È nota del resto la struttura degli elementi dei tessuti delle alofite, dovuta appunto alla elevata pressione osmotica alla quale sono sottoposte le radici. Ora se la succolenza dei tessuti di molte, Saxifragacee, Crassulacee, Mesembriantemacee, Opuntiacee, ecc., è dovuta ad altre cause che non le qualità osmotiche dei liquidi del ‘ suolo, la carnosità meno spiccata, ma pure constatabile, di alcune ‘ Portulacacee, Chenopodiacee terrestri, e di molte altre specie della flora peralicola ruderale e arvense, trova assai probabilmente la causa non tanto nella xerofilia fisica, quanto nella xerofilia fisiolo- gica, dovuta all’elevata pressione osmotica, che ho dimostrato essere propria dei liquidi dei verreni peraloidi. A questo, che ritengo sia il più semplice effetto esercitato sui ve- getali dalle pressioni osmotiche dei liquidi ambienti, si accompa- gnano altre manifestazioni più complesse. È già stata constatata la coincidenza tra l'aumento di pressione osmotica endo cellulare in conseguenza di ferite, e la segmentazione delle cellule cicatriziali (2); Klebs (3) ha rilevato la più intensa (1) STANGE B. — bezézehungen zwischen Substrat concentration, Turgor und Wacrstum bei eniger phanerogamen Pflanzen. Bot. Zet., Bd. I, 1892. Van Rys- SELBERGHE. Réaction osmotique des cellules vegetales à la concentration du mi- lieu. Bruxelles, 1899 (2) LAURENT I — Substances ternaires et tubérisation. C. R_ Soc. Biol., 1905. (3) KLEBS G. — Die Bedingungen der Fortpftanzuny bei einiger Algen und Pilzen. Jena, 1896. l i LEA art Mea ittagi i! i EIN "vin tesisn delle ife di AE racemosus, provel sa dalla. 1cen-o trazione elevata dei liquidi ambienti; così la formazione di tessuti meristematici anormali delle MAiopodizhee alofite è stata messa in relazione colle elevate pressioni osmotiche che si esercitano neì sub- | strati salini (1). È vero che sulla topografia delle nuove formazioni GR‘ cambiali di queste piante influiscono cause meccaniche dipendenti | dalla posizione dell'embrione nel seme (2), ma lo stimolo che deter- mina la formazione dei nuovi elementi cellulari è dovuto, con tutta . probabilità (Laurent), alla elevata concentrazione provocata dai li- quidi esterni alle radici, sia che questa sia data dal cloruro di sodio nelle alofite, sia che provenga dai nitrati che sono abbondanti nelle stazioni terrestri abitate dalle Chenopodiacee. Da tali soluzioni vengono esercitate sulle piante delle azioni morfogene, delle quali Klebs (3) ha messo in rilievo l’importanza nelle alghe e nei funghi; così, la formazione delle zoospore nelle alghe, può essere provocata da una diminuzione di concentrazione dei sali nel mezzo esterno, ed anche, in alcune specie, dall'aumento della concentrazione. È degno di nota il fatto che sono i cambiamenti bruschi di con- centrazione nell’uno e nell’altro senso che provocano queste azioni morfogene, e le Chenopodiacee e Amarantacee peralicole sono ap- punto edaficamente anastatiche. A queste cause esterne si debbono pure probabilmente riferire i meristemi anomali delle radici Oenanthe (4), specie che appunto . «crescono nei luoghi palustri, spesso salati, e soggetti a essiccamento estivo, e quindi da considerarsi come peralicole anastatiche. Sono pure delle elevate concentrazioni dei liquidi nutritizii, e quindi delle forti pressioni osmotiche, che determinano la forma- zione di meristemi anomali nel pisello (Laurent), (5) lo sviluppo esagerato di meristemi normali nel fagiuolo (6); sperimental- mente si sono anche osservate, a causa di forti concentrazioni nei (1) LavrENT I. — Facteurs de structure chez les végitaua. Rev. Gen. Bot., 1907, XIX, p. 150 \ (2) Fron G, — Recherches anatomiques sur la racine et la tige des Chénopo- diacées. Ann. Sc. Nat. Bot.. Sez. 8, T. IX, 1899, p. 157. (3) KLEBS G. — Op. cit. (4) GENEAU DE LAMARLIERE. — Recherches morphologiques sur la famille des Ombellifères ; Thèse de Paris, 1898, citata da LaurENT I. Facteurs de structure. (6) LaurENT I. — /techerches sur la nutrition carbonée des plantes vertes à l'aide de matières organiques. Rev. Gen. Bot., 1904, XVI, p. 14. (6) WigLer A. — Uber Anlage und Ausbildung von Libriformfasern in Abhangigkeit von ausseren Verhiltnissen. Bot. Zeit., T. XLVII, 1889, \te dra # È ambienti, la tuberizzazione nelle patate (1), nel Rapahnus se sativus (2). È anzi da ritenere che, più che le elevate pressioni osmotiche di per sè, stimolino i processi di segmentazione le variazioni brusche delle pressioni stesse. Anzitutto sono le peralicole anastatiche quelle che, più delle altre, hanno formazioni meristematiche anomale, e le Chenopodiacee, che sono tra queste, risentono assai, come ha dimostrato Casu, degli abbassamenti (3) bruschi di pressioni osmotiche dei liquidi del suolo. Inoltre molte esperienze provano che l'elevazione di pressione osmo- tica endocellulare, determina un rallentamento nei fenomeni meri- stematici, e, allorchè nelle colture sperimentali si oltrepassa un certo limite, si osserva addirittura un arresto di sviluppo (4). Tale aumento di pressione endocellulare può essere raggiunto coll’aumento di ioni o colla diminuzione del solvente nel succo cel- lulare; a provocare questa diminuzione possono concorrere o la disi- dratazione conseguente al congelamento (5), o l'elevazione di tem- peratura, o il semplice disseccamento, ed è in seguito a queste ele- vazioni di pressione, che si osservano rispettivamente fenomeni di mitosi (uova di Bombyx mori fecondati o no), segmentazioni di uova di Asteria (6), fioriture anomale (7). Così pure l'elevazione di pressione osmotica per aumento di ioni nei succhi cellulari, si osserva quando si sottraggono ‘dall’azione della CO, dei granuli di polline preventivamente esposti a questo agente (8); sotto la medesima influenza delle C O,, si osserva la par-* tenogenesi delle uova di Asteria. Aumenti di pressione osmotica nelle cellule per aumento di ioni, si osservano nelle piante col per- (1) BERNARD N. — Les conditions physiques de la tubérisation. C. R. 1902. (2) MoLLiarD M. — Sur la production expérimentale de Radis è réserves amylacées. C. R., 1904; Ip. Action morphogenique de quelques substances orga- niques sur les vegétaua supérieurs. Rev. Gen. Bot., XIX, 190%, p. 241. (8) Casu A. — Contribuzione allo studio della flora delle saline di Cagliari. Ann. di Bot. II, p. 403. (4) LAURENT I. — Recherches sur la nutrition carbonée, ete.; In. Facteurs de structure, etc.; STANGE B. Beziehungen zwischen Substratconcentration, Turgor und Wachstum bei eingen Phanerogamen Pfanzen. Bot. Zet. Bd. 50, 1892. (5) GrarD A. — Tonogamie; La chose et le mot. C.R. Soc. Biol., 1904, LVI, p. 479. (6) Cfr. CrhopaT B. — Principes de Botanique. Genève, 1907, p. 600. (©) JoLLy I. — Action de la chaleur sur le développement. Floraison d'au- fomne determinée etc. C.R. Soc. Biol., 1903, p. 1192. (8) LoPRIoRE G. — Uber die Einwirkung der Kohlensiure auf das Proto- plasma der. lebenden Pflanzenzelle. Iahvb. f. wiss., Bot. XXVIII, 1895, p. 531. ti SLA ad altri organi, RR hi atta per una iper nutrizione dall’esternò, ece. (2). Che, piuttosto che le elevazioni di pressione, agiscano le variazioni di pressione, è cosa probabile, se sì tiene conto delle esperienze di Garbowski, che ottenne la segmentazione delle uova di Asteria (8), portandole in acqua di mare diluita, (pressione osmotica minore del 12 %), e quelle riportate da Chodat (4), nelle quali si osserva che delle cellule dì Pediastrum si accrescono e si fanno giganti, senza che il contenuto si segmenti, se sì portano in soluzioni concentrate; mentre se esse vengono portate in soluzioni più diluite, la segmen- tazione sì fa immediatamente. A conferma di ciò sono probabilmente riferibili alcune osserva- zioni di Van Tieghem, sulla tardiva apparizione di formazioni se- condarie nelle radici di alcune Clusiacee e Piperacee (5), e nelle radici avventizie di Stachys sylvatica (6) Mentha aquatica, Myriophyt- lum, Hippuris, Lysimachia nummularia, quando si sviluppano nel- l’acqua. Laurent interpreta questo fatto colla bassa concentrazione delle soluzioni ambienti, e col loro scarso potere nutritivo; sarebbe op- portuno fare delle ricerche nel senso di verificare se piuttosto che alla bassa concentrazione e alla scarsa nutrizione, non si debba ciò alla costanza grandissima di concentrazione che si osserva nelle acque dolci, come già ebbi a dire; lo stesso fatto si può dire delle radici aeree, sviluppantisi, come, è noto, in un’atmosfera costantemente satura di vapor d’acqua. Se le ricerche sperimentali hanno fatto conoscere l’importanza che le cause fisiche (temperatura), o chimiche (acidità o alcalinità del mezzo, variazioni nella natura degliioni), o fisico-chimiche (so- luzioni ipo-o ipertoniche), hanno sopra i fenomeni di segmentazione degli organismi inferiori, esse non hanno ancora chiarito il mecca- nismo col quale sono provocate le segmentazioni che hanno luogo (1) Vedansi i lavori di DELAGE e di GARBOWSKI ricordati in GIARD, l. cit. e CHODAT, l. cit. (2) LaurENT I. — Kecherches sur la mutrition, ete.; MOLLIARD, op. cit. (3) GarpowskKt T. — Uber parthenogenetische Entwikelung des Asteriden. Bull. Ae. Sc., Krakovie, 1908, p. 818. (4) Cnopar B. — Op. cit. Occorre naturalmente che l'abbassamento di pressione osmotica non sia troppo forte, altrimenti si produrrebbero dei di- sturbi funzionali troppo gravi per la vita cellulare (Cfr. CAvaRA F., op. cit.). (5) VAN TIEGHEM. — Recherches sur la symétrie des plantes vasculaires. Ann. Sc. Nat. Sez. 5, T, XIII, 1870-71. (6) Riferiti in LAURENT I. — acteurs de structure. p. 149. i bicog della nucella nella Funkia, Alchimilla, Coelebogyne), ma è da. ritenere che anche il complesso di quelle sf degli ele- menti vegetativi che danno luogo alla fioritura o alla sporificazione nelle crittogame superiori sia in rapporto colle variazioni di pres- sione osmotica, tanto dell'ambiente esterno, che degli elementi cel- lulari stessi. Infatti nelle piante acquatiche sommerse o galleggianti (Azolla, Lemna, Aldrovandia), in quelle cioè che, più di ogni altra, sono sot- tratte a turbamenti di pressione osmotica per eccesso di temperatura o di traspirazione, o per concentrazione eccessiva dell’acqua ambiente, noi troviamo assai più frequente l’apogamia; ricorderò le moltiplica- zioni per gemme dell’Azo/la, delle Lemnae, dell’ Aldrovandia, quelle della Eleocharis acicularis f. fluitans (2) dello Sparganium fluitans, l’abbondantissima moltiplicazione per via agamica che dà luogo alle colonie di Elodea, di Cymodocea, Zostera, Potamogeton, Ceratophyllum. In molti casi si verifica la differenziazione degli organi ripro- duttori allorchè si mutano le condizioni di ambiente: io ho visto l Azolla sporificare abbondantemente nell’ Orto di Torino in un grande vaso, al quale, per dimenticanza, non si era aggiunta da più tempo l’acqua, onde il livello di questa si era notevolmente abbas- sato per evaporazione, e si era verificato di conseguenza un aumento nella concentrazione. Le frondi più ricche di sporangi erano quelle che aderivano alle pareti del vaso, ed avevano le radici in parte emergenti dall'acqua, onde attorno ad esse l’acqua evaporando, de- terminava la formazione di un liquido più concentrato. Gli egregi colleghi dott. Vallino, prof. Camus, signor E. Ferrari, mi riferirono di aver osservato una abbondante fioritura di Lemna minor e di Aldro- vandia vesciculosa, rispettivamente nei fossi intorno a Leyni (Torino), nelle fosse delle fortificazioni di Parigi, nel Lago di Viverone, dove nella stagione estiva l’acqua si era evaporata in gran parte e ne era aumentata la mineralizzazione. Pure frequente è l’osservare forme sommerse sterili o apogame di Alisma Plantago, Sparganium ramosum, Iuncus Lamprocarpus, (1) CHopaTt B. — Op. cit. di (2) Riguardo a questa forma io l'ho osservata per 9 anni consecutivi in alcuri canali intorno a Novara, costantemente sommersa e sterile, ed anche sulle rive dei corsi d’acqua, mancavano completamente individui emersi colla parte assimilante; coltivata in suolo umido all’Orto di Torino, produsse imme- diatamente individui fertili. (Cfr. GoLa G. Piante rare o critiche per la Flora del Piemonte. Mem.. R. Acc. Sc. Torino. Ser. II, LX, p. 197. Phragmites communis, FIESTA canina, Rolo Gn ER: men so) sui margini della stessa raccolta d’acqua, dove gli individui a volta | emersi, a volta sommersi, sono esposti a una traspirazione talora eccessiva, 0 le radici possono trovare un substrato a concentrazione variabile, la riproduzione sessuale si compie normalmente. Questo delle piante acquatiche è forse l'esempio più convincente della coincidenza fra costanza di concentrazione, e quindi di pres- sioni osmotiche extra radicali, e inibizione di alcuni processi di differenziazioni. Ma forse anche molte altre inibizioni di processi formativi sì possono far coincidere con variazioni di pressione osmo- tica endocellulare. L'accenno che ho fatto testè, di piante che fruttificano quando vengono sottratte dall'ambiente acqueo, che impedisce loro la tra- spirazione, trova un riscontro nelle osservazioui di Klebs (1), il quale ottenne l'abolizione della fioritura delle piante fanerogame, coltivandole in ambiente saturo di umidità; e questo riferimento a condizioni diverse da quelle edafiche non è fuor di luogo, come si vedrà più oltre, a causa delle azioni vicarianti che la traspirazione può esercitare sulle condizioni edafiche. i La stagione calda e secca, che in molte regioni caratterizza l’ar- resto periodico della vegetazione, provoca, coll’adattamento xerofilo delle piante, un aumento di pressione osmotica endocellulare. Il pe- riodo freddo invernale dei nostri climi, determina in molte specie una serie di disposizioni difensive che si risolvono, o in una espul- sione di acqua liquida dagli elementi cellulari, o di acqua allo stato di vapore, e non sostituita da altra affluente dalle radici, o una con- centrazione notevole di succhi endocellulari mediante formazione di carboidrati solubili (saccarofillia). L'importanza di questo ultimo mezzo di difesa contro il freddo invernale, è stato messa in chiaro da Lidforss (2), e ricerche di 1m- minente pubblicazione eseguite sotto la mia direzione dalla Dr. Ba- dalla (8) in questo Istituto, hanno mostrato che anche in regioni alquanto più meridionali di quelle studiate da Lidforss la saccaro- fillia ha una importanza notevolissima nella difesa delle piante contro la bassa temperatura. Tutte queste disposizioni difensive contro il freddo, come del resto quelle contro l’aridità della stagione secca dei tropici, hanno (1) KLEBS G. — WilMieiirliche Entwikelungstinderungen bei Pflanzen. Jena, 1903. (2) Linrorss B. — Die Wintergrune Flora, Lunds. Univ. Arsskrift. N. F. Bd. II, 1907. (8) BapaLLa L. — Lo svernamento di alcune piante sempre verdi nel clima del Piemonte. Ann. di Bot. VIII 1910. WRITE GRA n, RE CA Sas a ee 44] (el ll * uu (AL PZ tab; (ih, ai in | per effetto di aumentare le concentrazioni e quindi le pressioni osmotiche dei liquidi endocellulari. Ora al sopravvenire della stagione delle pioggie nelle regioni a. regime pluviale tropicale e sub-tropicale (1), o al termine del periodo. invernale, il sistema assorbente viene per cause diverse, che ho più sopra descritte (Par. I), a trovarsi in un ambiente a pressione osmo- tica bassissima, la più bassa o quasi di quella che si può osservare durante tutto il periodo vegetativo annuale. Così, per equilibrarsi colla bassa pressione esterna, ha luogo un abbassamento della con- centrazione dei succhi cellulari, come lo dimostrano la rigenerazione dell’amido a spese del glucosio invernale, l'aumento di acqua nelle foglie sempre verdi, il forte assorbimento d’acqua dalle radici, che caratterizza la spinta della linfa dalle radici (2). È appunto durante questo periodo di bassa pressione, che gli organi. meristematici delle piante producono con maggiore rapidità i nuovi elementi (3). Per molte specie poi, il periodo di differenziazione degli organi riproduttori coincide col periodo, nel quale, o l’eccesso di traspira- zione, 0 il progredire della concentrazione dei liquidi del suolo, pro- voca un aumento della concentrazione dei liquidi dei tessuti. Ed è noto quale importanza abbiano nelle pratiche agricole una certa sec- chezza d’ambiente, per dare un maggior sviluppo dell’apparato fio- rale; p. e. ricordo le influenze che provocano le colature della vite, il maggior sviluppo erbaceo dei cereali, ecc. Mi sono alquanto diffuso sulla importanza che i fenomeni osmo- tici cellulari hanno nei processi formativi, non perchè tutti abbiano relazione diretta colla concentrazione dei liquidi del terreno, ma Deteno se per una parte è fuor di dubbio sieno legati a tali cause, non è da escludere che ulteriori ricerche abbiano a mettere in chto nuove relazioni tra condizioni edafiche e morfogenia. I risultati delle osservazioni di Molliard sulla formazione delle spine, ne sono un esempio (4). i Le influenze morfogeniche che può esercitare il terreno, sono però dovute in generale alla prevalenza in esso di uno o pochi com- posti solubili, i quali, o per le proprietà chimiche, o per la loro so (1) DE MarvonnE E. — Traité de Géographie physique. Paris, 1909. (2) LECLERC DE SABLON. — Sur le mécanisme de la circulation de l'eau dans les plantes. Rev. Gen. Bot., 1910, XXII, p. 125. (3) Al termine del freddo invernale è stata osservata anche la fioritura della Lemna minor. (4) MoLLiAaRD M. — Influence de la concentration sucrée sur le développe- ment des piquants chez lVUlex europaeus. Comp. Rend., 18 nov. 1907. stessa prevalenza sopra atri aceriali indio pelati alla Misa a non possono funzionare che come corpi osmotici, come li ho sara più sopra. Anche i carboidrati, che in alcune ricerche sperimentali dànno luogo alla tuberizzazione (1), hanno solo in parte una funzione nu- tritizia, giacchè essi si accumulano nelle cellule dei parenchini tu- berosi, perchè l’assimilazione rallentata o impedita (per assenza di CO,), non permettono nelle piante la formazione in altro modo delle sostanze osmotiche necessarie: sì tratta ad ogni modo di sostanze in parte superflue, perchè la loro presenza, in misura assai minore, sì può verificare senza danno notevole per le piante. Chiunque avrà notato come solo nei substrati aloìdi anastatici, quali i terreni salati, 1 ruderati, i campi, sia dato trovare specie con una straordinaria ricchezza di forme; nane o opime, erette o pro- strate, semplici o ramose, pauciflore o pluriflore, a foglie intere o di- vise più o meno, ecc., cioè con caratteri di mutazione anche di pic- colo conto, a volte poco stabili perchè non fissati dall’eredità, ma che sono testimonii del profondo turbamento che ha luogo nei processi formativi di tali organismi (2). E del resto molti generi polimorfi, Wieracium, Rubus, Potentilla, Steliaria, Capsella, Rosa, ecc., sono caratteristici di substrati nei quali sl osserva in generale un anastatismo pronunciato. (1) BerNARD N. — Les conditions physiques de la tubérisation. Compt. Rend. ott. 1902 — MoLLiarp M. — Action morphogenique de quelques substances organiques sur les végétaue supérieurs. Rev. Gen. Bot. XIX, 1907. i (2) In relazione colle condizioni edafiche, sta pure spesso anche la durata di vita delle piante; questa si può considerare come indefinita, per rispetto alle con- dizioni interne dell’organismo (KLEBS: Willkurliche Entwickelungsdnderungen bei Pfianzen, Jena, 19083); sono i fattori esterni, il freddo specialmente, che provocano l'arresto di questa vitalità indefinita; talora anche l'accumulo di sostanze morte; quando le piante possono liberarsi di queste, esse vivono per un tempo lunghissimo, altrimenti si verifica la morte dei tessuti. Questo accumulo di sostanze morte è particolarmente evidente per gli elementi minerali, la quantità dei quali cresce indefinitamente coll’invecchiare dei tessuti, ed è massima p. es nelle foglie al momento della loro caduta. — HeixrIcHER (Bot Iahrb II, p. 105) osserva che le piante dei terreni sabbiosi hanno periodo vegetativo e vitalità assai più breve di quelle dei terreni umidi, sui quali crescono preferibilmente piante perenni. (Cfr. anche WarmINa, Vekology). Ma l’autore nota pure la poca durata di vitalità delle piante ruderali. Tenendo conto delle condizioni osmotiche del terreno, noi possiamo ripetere l’affermazione di Heinricher, usando la seguente espressione; « Le piante delle stazioni ana- statiche hanno periodo vegetativo e vitalità assai più brevi che non quelle delle stazioni eustatiche ». Noi vedremo nelle pagine seguenti che le condizioni di ana» statismo delle soluzioni del terreno provocano un più intenso assorbimento di sostanze minerali dai suolo, x SA REA De big o Anche il gen. A/chimi/la non fa che una eccezione apparente, es- sendo esso esposto non tanto a condizioni di squilibrio edafico, ma piuttosto ad un vero e proprio anastatismo climatico. De Vries(1) ha studiato la mutazione del 7rifolium pratense nella var. quinquefolia, ed ha notato che una delle cause che favori- scono la mutazione in questa specie, è data dal terreno. Se si col- tiva tale pianta nella sabbia, la mutazione ha luogo con maggiore frequenza che nel terreno da giardino. To non ho ripetuto le esperienze di De Vries, ho però osservato essere le forme quinquefolie o quadrifolie tanto nel 7. repens, che nel 7. pratense, assai più frequenti nell’estate avanzata che nella primavera, sui margini delle strade e nei campi abbandonati, più che nei prati o nei luoghi fittamente erbosi. Le prime stazioni che ho ri- cordato sono più alcidi che non le seconde, e assai più anastatiche, come più anastatiche sono le concentrazioni del terreno sabbioso, rispetto a quello di giardino (V. Tab. XVII, n. 23-24). I dati d’osservazione, dei quali disponiamo, sono ancora troppo insufficienti per poter pensare a spiegare dei fenomeni naturali assai complessi, ma credo interessante far rilevare l’importanza che avrebbe il collegare le proprietà osmotiche delsuolo delle diverse stazioni, con alcune conclusioni, alle quali si è arrivati di recente. « Se noi cer- chiamo di sviluppare dall'insieme dei fatti precedentemente esposti, scrive Laurent (Facteurs de structure, ecc.),i fattori interni che in- tervengono nella variazione nei vegetali, ci sarà facile di stabilire che essi si possono ridurre a due: 1° i cambiamenti di pressione osmotica che provocano dei cambiamenti di turgescenza; 2° la na- tura specifica delle sostanze capaci di agire osmoticamente ». E più oltre, ricordando alcune esperienze di Vilmorin sulle va- riazioni brusche e irregolari di specie coltivate (affolement), dice: < In tesi generale, io non sarei affatto lontano dal pensare che la pro- duzione di nuove varietà, risulta meno da un cambiamento nel chi- mismo delle piante che da un adattamento a una nuova pressione di turgescenza. Le nostre piante di cultura sarebbero così derivate dalle piante selvaggie, grazie ad un accrescimento osmotico, che sarebbe stato ottenuto, sia per la cultura in terreno ricco, e per le selezioni dei semi, sia pel cambiamento di clima, e anche per i processi di po- tatura. Allorchè si trascura l’uno o l’altro di questi metodi, la va- rietà degenera, secondo l’espressione degli orticoltori, vale a dire su- bisce nella sua morfologia esterna, come nella sua struttura ana- tomica, delle modificazioni in relazione coll’abbassamento osmotico ». (1) De VrIES H. — Die Mutations Theorie. I miei saggi hanno appunto dimostrato che in generale i terreni da lungo tempo abbandonati dal lavoro dell’uomo hanno soluzioni e concentrazione assal bassa. Se si collegano queste considerazioni con le osservazioni fatte poco sopra sulla poca fecondità delle piante delle stazioni affatto eu- statiche (Lemna, Azolla, ecc.), e colle osservazioni di Klebs sull’im- pedimento di fioritura arrecato alle fanerogane tenute in atmosfera satura di umidità (Digitalis purpurea, Cochlearia, Beta colgaris), sulla perdita della capacità di fiorire nelle piante nostrali portate in clima uniforme (Carum Carri, Cavolo, Prezzemolo, Cereali, Symphytum offi- cinale importati al Brasile), si vedrà quanto le condizioni di eusta- tismo possano avere importanza nella riproduzione delle specie. Ora poichè le esperienze quotidiane dei floricultori, e dei bota- nici, ci mostrano che tanto più frequente è l’osservare casì di mu- tazione, trasmissibili per eredità quanto più numerosi sono i semi che si mettono a germogliare, e gli individui che se ne ottengono, è evidente che l'aumento della probabilità di fiorire è in relazicne con una maggiore probabilità, a che si avverino dei fatti di mu- tazione. Molte regioni a suolo siliceo nelle quali si trovano più frequenti le condizioni di eustatismo perfetto, sono caratterizzate da una flora straordinariamente uniforme, mentre quelle calcari, aventi gene- ralmente un terreno con liquidi a concentrazioni un po’ più elevate, hanno come, è noto, una flora assai più ricca. ILL. — I processi della nutrizione in rapporto colla concentrazione dei liquidi ambienti. Alcune non più recenti ricerche di Wolff, hanno dimostrato che le piante possono svilupparsi in soluzioni nutritizie assai povere, as- sorbendo una quantità relativamente piccola di sostanze minerali, mentre altre, cresciute in condizioni normali, hanno pure, a parità di sviluppo, un contenuto più elevato in ceneri. Abbiamo cioè un consumo di lusso (1); d’altra parte numerosi dati analitici hanno dimostrato che, oltre ad una media composi- zione, che è costante per le piante di una medesima specie, esi- stono nelle piante degli elementi in'una misura che appare super- flua ai bisogni di esse, tenuto conto che altri individui, pure ottimamente sviluppati, ne sono privi o ne hanno in misura assai minore. (1) Perrer W. — Pflanzenphysiologie. Bd. I 1897. i Eelitopio più RETRO di questa differenza di comportamento; #alablismno nelle piante cresciute nei luoghi salati, nelle quali l’ac- 4 cumulo di cloruro di sodio raggiunge alle volte delle proporzioni «| —notevolissime, ma variabili assai, e senza che lo sviluppo e il ri- I goglio della pianta siano in relazione diretta con questo accumulo. Così le patate e le barbabietole coltivate in prossimità dei luoghi salati, contengono del cloro e del sodio, in misura assai superiore a quella che si osserva nelle stesse piante delle stazioni non salate (1). Ora, se si può ammettere che il cloruro sodico abbia nelle piante alofile una funzione speciale e sia indispensabile allo svolgersi dei processi vitali delle piante stesse, ciò non si può affermare per la patata e per la barbabietola, che compiono ottimamente il loro ciclo con quantità assai minori e talvolta minime di sodio e specialmente di cloro. Questo fatto della presenza in eccesso nelle piante di un sale come il cloruro sodico, la cui importanza è così grande dal punto di vista edafico, non è isolato, ma si constata in un gran numero di altre specie. Le Chenopodiacee terrestri manifestano nuovamente la loro atffi- nità con quelle alofite, per l’abbondante quantità di nitrati che de- termina il substratum peraloide loro caratteristico, e che ritroviamo poi nei succhi cellulari (2); così le Amarantacee, molte Crocifere e (1) WoLer. — Aschen Analysen I p. 72 II p. 42. Ne riferisco alcuni dati per la patata. dgr K,0 | Na. O|.cCa 0 | MgO| P.0;| SO, | Sio el 0 | Presso al mare . . 3,57 | 4667 17,46 0,42 10,55 8,23 3,27 2,20 | 12,62 Lungi dalla -spiag- 3,37 | 5653| 6,46 1,35 |- 1051| 12,11 @,326101:3,35 96 gia. Ì Presso Monaco (Bav.)| 5,74 | 65,57 4,35 2,69 5,61 10,58 8,75 | 1,08 0,73 (2) StIFT A, — (In KòxIG Chemie d. Mensch. Néihr. u. Genuss Mittel. IV Aufl, I 790), trovò che delle sostanze azotate dello Spinacio, contenute nella mi- sura del 4,28%, della sostanza secca, il 2,20°/, apparteneva a composti non al- buminoidei e verosimilmente in gran parte a nitrati. Del resto le analisi di BERTHELOT e ANDRE danno le seguenti percentuali di nitrati per alcune piante alicole o peralicole, Triticum sativum: prima della fioritura 27/0; otto giorni dopo 11,20. Avena sativa, prima della fioritura 9,5; 8 giorni dopo 17,6; Papaver Ehosa 31,6; Chelidonium majus 2,2; Solanum tu- berosum 15,4; cia dioica 3,83; Urtica dioica 12,6 Reseda lutea, 5,9 ; Atriplex nummaularia (foglie) 9,4; Enchylaena tomentosa 62,5; Cacurbita Pepo (cauli) 6,6; Portulaca oleracea rd. 19,4, c. 124,0, fg. 6,8; Salvia hispanica caule 18,6. (Chimie végétale et agricole III p.-90. ANNALI DI BoTaNICA — Vor. VIII. 29 r AIA TIT TRTO DINI DIE AOC RDS CNORCO TR, SO Solanacee manifestano la loro affinità colle alofite, non solo col paral- lelismo delle condizioni edafiche loro proprie, ma anche coll’ab- bondante contenuto di sostanze saline assorbite in eccesso. Schimper enumera una ricca serie di specie, nelle quali, come egli dice, si accumulano i nitrati, e di specie le quali hanno pure as- sal spesso una notevole ricchezza in cloruri (Atriplex hastata, Im- patiens parviflora, Fumaria officinalis, Euphorbia Peplus, Senecio vul- garis, Lamium purpureum, ecc.). È degno di nota il fatto che, siano esse ric;hissime di nitrati o di cloruri, si tratta sempre di specie che 10 ho chiamato peralicole ; la distinzione della natura chimica del sale che determina l’ambiente osmotico, è qui di importanza secon- daria rispetto alla concentrazione, e alla variabilità di questa. Altre specie, pure secondo le osservazioni di Schimper, sono ricche, nelle medesime circostanze edafiche, anche di fosfati solubili. Non tuttele piante però nelle medesime condizioni d’ambiente as- sorbono o almeno mantengono inalterati, 1 nitrati, i cloruri, i fosfati, che in così larga misura sì trovano nelle specie già indicate: ricorda Schimper (1) a questo proposito parecchie Rosacee. I cloruri, i nitrati, i fosfati; che sono assorbiti dalle peralicole ‘ testè ricordate, non subiscono nell’interno dei tessuti, alcuna ulte- riore evoluzione, almeno per la massima parte di essi, e non si possono quindi considerare come materiali plastici. Ora, se per questi sali non’ è difficile ammettere che l’assorbi- mento non abbia per effetto di servire alla funzione di nutrizione, ma solo quello di permanere nei succhi cellulari dei tonoplasti, per altri composti solubili la cosa è un po’ meno evidente; ma è tut- tavia sempre dimostrabile che una parte almeno di essi, si comporta nello stesso modo. Alcune esperienze di Berthelot e André (2) hanno provato che il solfato di potassio assorbito da Amaranthus caudatus, A. pyramidatis, Portulaca oleracea si accumula nelle foglie in parte inalterato, anche dopo la maturazione dei semi; così è per alcuni fosfati solubili, come ha constatato Schimper (3). Le piante che crescono sui terreni calcari, sì dimostrano pure alquanto rieche in calcio, elemento del quale possono per una certa misura fare a meno, quando crescono sopra terreni poveri di cal- care, dove tuttavia si sviluppano ottimamente. (1) Scmmrer E. — Zur Frage der Assimilation des Mineralsalze durch die griine Pflanze. Flora; Iahrg. 753, 1890 p. 207. à (2) BERTHELOT et ANDRÉ. Chimie végitale et. agricole. Vol. III p. 186, (3) Scuimrer E. — Op. cit. n° RR. Sua VIRRERNAIO co PILA RATIO dl A Meo E CENE is " de —. MAT - DSS A DEN: MELE Foftre di Fliche e Grandeau (3), portano a questa conclusione gene- rale, che cioè una parte dei sali solubili del terreno, specialmente quelli che in esso determinano un’alta pressione osmotica, vengono assorbiti e immagazzinati nella pianta, senza tuttavia entrare nel circolo del ricambio organico, che dà luogo alla formazione di so- stanze plastiche. La mancanza di questa dose in eccesso, non al. tera le condizioni essenziali del metabolismo vegetale, ma solo delle condizioni secondarie, le quali valgono a far prosperare la pianta in condizioni d'ambiente eccezionali. Del resto accurate analisi eseguite da molti sperimentatori so- pra la composizione di semi di piante agrarie coltivate in differenti condizioni di concimazione del suolo, hanno dato per risultato che la composizione chimica dei semi non subisce variazioni sensibili col variare della concimazione (4), o quanto meno le variazioni non (1) MaLaGUTI et DurocHER. — Recherches sur la répartition des éléments inorganiques dans les principales familles du règne végetale. Ann. d. Ch. et de Physique III Ser. T. LIN 1858. p. 257; id. Ann. di Sc. Nat. Bot. IV Ser T. IX p. 222. (2) Riporto da WoLFF (Aschen Analysen) i dati seguenti: Ceneri | | | | 0 | | | della K, 0 |Na:0| Ca 0 Mg O \Fe0;|P0,|S0;|Si0,| CI sostanz. | | secca | | | | Ì 3 | Erica carnea sul cal- 2,19 \ 21,95 | 3,35|32,07 | 14,28 3,44 | 5,43 | 5,44 12,38 | 2,17 care. | I î | Erica carnea su scisti 1,30 | 14,13 | 11,60] 22,8| 15,50 1,91 | 2,44 | 2,31 8,04) 2,43 micacei. | î Erica carnea in terreno | 0,84 |34,04| 1,59|2714| 11,41] 421|11,52| 2,13) 6,99 | 1,26 misto, i | | Calluna vulgaris sulla 2,88 | 6,42| 5,4l | 33,48 8.03 2,02 4,01| 1,44 | 32,72 | 1,83 dolomite. | | Calluna vulgaris su are- 3,32 29,58 | 15,56 | 6,67 1;54 | 5,30 | 1,03| 30,94 | 4,10 naria del Lias. Raina vulgaris su ar- — |10,65 | 0,86 | 12,02 6,70 4,95 | 10,89 1,73.) 48,08 —_ gilla. | | (3) FLICHE P. et GranpEAU L. — De l’influence de la composition chi- mique du sol sur la vegetation du pin maritime (Pinus Pinaster Soland) Ann. d, Ch. et d. Phys. IV Ser. T. XXIX 1873 p. 383; Ip. Ip. De l’înfluence de la composition chimique du sol sur la végétation du Chataigner. Ip. Ip. V Ser. T. II 1874 p. 354. (4) Soave M. e MiGLIARDI C. — La influenza della concimazione sulla composizione immediata dei semi di Mais. — Ann. R. Ace. Agric. Torino Vol. L 1907. Ivi sono anche riportati i risultati analoghi di ricerche di altri autori a Qualisi di Malaguti e Durocher (1), quelle riportate da Wolff 0) i TIRI w rie sono proporzionali alla composizione chimica dei concimi ‘adoperatisi i È questa una prova di più chedegli elementi assorbiti dalle piante, anche i più preziosi, come l’azoto e il fosforc, non tutta la qua- lità assorbita ha lo stesso valore nel compimento di tutti quei pro- cessi, che hanno per effetto la riproduzione della specie. Sotto quali influenze vengono assorbite queste sostanze osmo- tiche? La questione della elettività del sistema assorbente per i di- versi sali del terreno è ancora tutt’altro che risolta; si suole da alcuni negare questa, a priori, da altri la si ammette, tenendo spe- cialmente conto del fatto che le piante sono, per dir così, capaci di assorbire quantità relativamente alte di elementi che l’analisi chi- mica del terreno appena riesce a rivelare, È certo tuttavia che una parte almeno delle sostanze saline at- traversa le radici per semplice endosmosi, e noi sappiamo che tanto più notevole (1) è la quantità di sostanze saline penetrate, quanto più forte è la concentrazione del liquido ambiente. I terreni pe- raloidi anastatici sono quelli che appunto presentano delle soluzioni talora a concentrazioni elevate, a causa delle quali, possono pene- trare nelle piante notevoli quantità di sali. È probabilmente in queste condizioni di anastatismo poco tenute in conto, specialmente per la flora ruderale, che si deve trovare la spiegazione del fatto osservato da Berthelot e André (2), che cioè le piante contengono talvolta i nitrati ad una concentrazione superiore a quella che si trova nel terreno; osservazione che è vera in determinati momenti, ma non sempre, quando cioè l’evaporazione dell’acqua degli strati superfi- ciali, può provocare una concentrazione assai elevata intorno ad una parte almeno del capillizio radicale. Così, per spiegare il forte accumulo di nitrati, cloruri, fosfati, di carbonato di calcio, è sufficiente spiegazione quella offerta dal sem- plice fenomeno di endosmosi. Ma anche per gli accumuli di sostanze esistenti in minima dose nel terreno, la stessa spiegazione ha pure notevole valore. I nitrati, i cloruri, i sali di calcio, e di sodio, sono tra quelli che meno di qualunque altro possono essere trattenuti dal potere assor- bente del terreno, sia come tali, sia in combinazione con altri corpi. L'aumento di salsedine dei bacini chiusi, si deve appunto alla so- All’incontro nell'apparato vegetativo le variazioni sono grandissime, in con- seguenza di variazioni nella concimazione. Ricordo ad es. le variazioni notevolis- sime nella composizione delle foglie e dell'apparato sotterraneo delle Barbabie- tole, diversamenteconcimate e riportate p. e. in WoLFF, Aschen Analysen, II, p. 43. (1) PrEFFER W. — Pflanzenphysiologie. I, 1897, (2) BeRTHELOT et ANDRÉ. — Op. cit. T. III alti REN TE MAGIZON . luzione dei materiali di degradazione per parte delle acque di scor- ‘rimento, e sappiamo che vi si accumulano in modo speciale, cloruri, ‘sali di sodio e sali di calcio. La perdita dei nitrati nei campi du- rante le forti pioggie, è troppo nota agli agricoltori perchè se ne debba far cenno, e, nella serie degli elementi, i quali sono l’uno dopo l’altro spostabili in un composto di assorbimento, noi sappiamo es- sere in primo luogo spostati il sodio, poi il SE quindi il ma- gnesio, l’ammonio, il potassio (1). Ora, poichè i alionto per endosmosi non può aver luogo che per quelle sostanze che si trovano allo stato di soluzione, è evidente che anche alcune sostanze esistenti in quantità minima, ma allo stato disciolto, possono entrare attraverso i peli radicali a preferenza di altre più abbondanti, ma legate allo stato di composti di assor- bimento. Così assai più rapido e intenso è l'assorbimento dei fosfati solubili, che degli insolubili, dell’azoto dei nitrati che di quello ammoniacale; «così è della comparsa del cloro nelle piante cresciute su terreni con- cimati con cloruro potassico, quantunque parte di questo si trasformi in carbonato. Gli agrarii sanno per es. quanto sia difficile alla pianta l’assorbimento del potassio combinato coi materiali argillosi, e molte forme di emendamenti non hanno altro scopo che questo, di rendere cioè solubile una parte degli elementi insolubili; la se- crezione acida dei peli radicali, che consiste essenzialmente nella pro- duzione di C 0, (2), ha una efficacia assai limitata. Gli agrarii hanno da tempo compreso quanta importanza abbia la distinzione delle sostanze nutritive delle piante facilmente solu- bili, da quelle insolubili o poco solubili; e su questa via si sono ri- prese in questi ultimi tempi importanti ricerche (3). Così i dosaggi di ceneri di piante cresciute in terreni differenti, silicei o calcari, mostrano di solito un aumento notevole di potassa nei terreni calcari, piuttosto che nei silicei, e la spiegazione di ciò è ovvia, quando si pensi che la presenza di notevoli quantità di cal- care annullando o abbassando il potere assorbente del terreno, per- mette più facilmente alla potassa di rimanere in forma solubile, e osmoticamente attiva e facilmente assorbibile dalle radici. (1) SesTINI F. — I? terreno agrario. (N. Encicl. Agr. Ital., parte III, To- rino 1899). (2) CzAPEK F. — Zur Lehre von Wurzelausscheidungen Iahrb. f. Wiss. Bot. XXIX, p. 321; Kunze G. — Uber Sdureausscheidung bei Wurzeln und Pilzhyphen, Id. XLII, p. 357. (3) Oltre ai lavori pubblicati dalle Soil Survey degli Stati Uniti, e ricor- dati nelle prime parti del presente lavoro, cf. Scholoesing C. R. 1903. È T 9 î RETTORE RI SN Lc, II x. Val Ca PAN Mi. i — 450 - Così si spiega come le piante coltivate abbiano uno opupni assai più rigoglioso degli individui spontanei; le condizioni speciali di aloidismo del terreno pongono a disposizione dei peli radicali una quantità assai maggiore di elettroliti che ne attraverso le mem- brane e penetrano nei tessuti viventi. Le piante dei terreni silicei contengono talora delle quantità no- tevoli di calcio, che sembrano straordinarie, quando si pensi alla mi- nima quantità di questo elemento che si trova talora nelle roccie. Ma durante la degradazione della roccia i corpi che ne risultano subi- scono, come dissi, un processo di selezione per parte dell’acqua meteo- rica, e gli ioni Ca sono tra quelli che più di ogni altro rimangono li- beri e adatti all’assorbimento per parte dei peli radicali. Quindi più che una serie di fenomeni di elezione per parte dell’apparato assor- bente delle piante, si deve forse tener conto di processi di selezione operati dalle acque meteoriche sul terreno, in contrasto con i pro- cessì fisici e chimici dell’assorbimento. Quali sono le modalità colle quali le soluzioni saline entrano. nelle piante? Esse sono diverse nei diversi tipi di terreni, e si pos- sono dedurre agevolmente tenendo conto dei risultati delle importan- tissime esperienze di Vesque (1): 1° Quando la pianta è sottoposta durante un tempo più o meno lungo al regime dell’acqua distillata, essa assorbe meglio le soluzioni saline e i liquidi nutritizii che l’acqua pura. 2° Nelle condizioni ordinarie, quando la pianta non ha penuria di alimenti minerali, l’acqua distillata è meglio assorbita che le so- luzioni saline e che i liquidi nutritizii. 3° Un contatto anche di breve durata delle radici coll’acqua distillata agisce favorevolmente sull’assorbimento dei sali, e recipro- camente un contatto passeggiero delle radici colle colui saline su quello dell’acqua distillata. 4° Queste influenze sono tanto più forti quanto più le soluzioni saline e i liquidi nutritizii sono concentrati. Questi risultati spiegano perfettamente le condizioni nelle quali sì trovano le piante rispetto all’eustatismo o all’anastatismo delle so- luzioni del terreno. Nei terreni eustatici l'assorbimento delle sostanze saline è relativamente scarso, ma costante: in quelli anastatici tale assunzione ha luogo in modo affatto diverso a seconda della con- centrazione dei liquidi del suolo. Allorchè il suolo è secco, la concentrazione delle soluzioni è ele- (1) Vesque I. — De l’influence des matières salines sur l’absorption de l'eau par les racines. Ann. Sc. Nat. Bot., 6 Ser., T. IX, p. 6. MR i $ | vata, poca acqua può entrare perchè non ve ne è, ma, per le leggi di endosmosi, abbondanti sono le sostanze saline che possono penetrare proporzionatamente alle quantità di solvente. Quando invece la di- luizione si abbassa di molto, più forte è la quantità di acqua che passa attraverso le radici, e perciò assai forti sono gli sbalzi nel pro- cesso di nutrizione che si verificano nelle stazioni a soluzioni saline ampiamente variabili di concentrazione. Naturalmente in quelle piante nelle quali il cloruro di sodio, o 1 nitrati, permangono in gran parte inalterati, si avrà, dopo l’arrivo dell’acqua pura o poco mineralizzata, una diluizione notevole dei succhi, in conseguenza della quale tanto maggiore sarà l’afflusso di sali, allorchè la concentrazione dei liquidi del terreno provocherà uno squilibrio colla diluizione endocellulare. È facile il constatare che è nei terreni di tipo anastatico che più rapidamente ha luogo lo sviluppo delle piante, perchè più intenso vi è l’afflusso di sostanze nutritizie; ma quivi entrano pure in copia quelle sostanze che io ho chiamato osmotiche. Si spiega così l’accumulo di nitrati in concentrazione superiore @ quella che si ha nel terreno, come è stato osservato da Berthelot e André. Così, a seconda delle condizioni di ambiente, possono essere assor- biti cloruri, nitrati, carbonati di calcio e di potassio, e troviamo tanto più abbondanti questi corpi, quanto più anastatiche sono le condizioni nelle quali vivono le piante. Durante questo assorbimento così irregolare di sali, entrano spe- cialmente qui composti che esistono in maggior quantità allo stato di soluzione, non quelli che vi si trovano pure in notevole prevalenza, ma allo stato insolubile. Così è dei sali di calcio; essi possono pene- trare, quando siano allo stato di bicarbonato, solo in proporzione della loro solubilità, che è poco elevata, mentre i sali, p. e., di potassio, che vi si possono trovare frammisti in un terreno calcare, vi esistono spesso, in periodi di secco, ad una concentrazione assai superiore (1). Ne viene così che questi sali penetrano nelle radici delle piante a preferenza del carbonato di calcio. Noi troviamo in questo comportamento delle sadici delle piante rispetto alle variazioni delle soluzioni del terreno, una spiegazione chiara dell’azione più intensa che esercita un terreno anastatico (1) Le esperienze di confronto tra liquidi bolliti e non, derivati dalle pedolisi di campioni di terra, dimostrano che anche su terreni calcari una parte notevole di residuo secco non è dato da carbonato di calcio, ma proba- bilmente da sali potassici. agere a uno eustatico nel E tha così "Teva Ss: edafica per le singole specie. Anzitutto per le variazioni di pressione osmotica sull'apparato assorbente, sì possono determinare nei tessuti dei turbamenti nei pro- cessi morfogenici, e nure non lievi turbamenti si verificano nei pro- cessi di assorbimento dei composti minerali. Se questo assorbimento si esplica in giuste proporzioni tra corpi plastici e corpi osmotici, ne potranno essere avvantaggiate le condi- zioni di nutrizione, come ha luogo nei campi, altrimenti si avranno delle perturbazioni osmotiche nell'interno dei tessuti (turgescenza delle alofite), o disturbi di nutrizione che si esplicano nella clorosi. Forse l’uso agricolo di alcuni sali facilmente solubili, ma non direttamente nutritizii, come il cloruro di sodio, può trovare la sua spiegazione nella capacità di provocare o di accentuare lo stabilirsi di un ambiente osmoticamente anastatico intorno all’apparato as- sorbente delle piante coltivate. (1) D'altra parte l’assuefazione per molte piante a compiere la fun- zione di assorbimento delle sostanze minerali, sotto lo stimolo di va- riazioni di pressioni osmotiche endo ed entrecellulari, fa sì che al- cune specie alicole, particolarmente se anastatiche, non possano ve- nire bene nei substrati geloidi, tanto più se eustatici. Le esperienze che provano che le piante del calcare crescono ottimamente in terreni silicei, sono stati fatte in giardini, campi sperimentali ecc., dove le specie in esame vi furono trapiantate, o seminate, e dove perciò il terreno smosso offre un substrato più o meno aloide e certamente più anastatico, che non il terreno ver- gine non lavorato dall’uomo; esse valgono quindi per dimostrare che non vi è una fobia per la silice, ma che le condizioni di nutri- zione sono alquanto più favorevoli nei terreni coltivati che non nei terreni intatti dove le condizioni d’eustatismo sono sempre più accentuate. La notevole mineralizzazione degli organismi vegetali, alla quale dà luogo l’anastatismo del terreno (2), ha importanza pure nel provo- (1) SeraueR P. — Zeitsch. f. Phanzenkrankeiten, 1910, XX, p. 188. Altri autori osservano che il cloruro di sodio aiuta la circolazione degli idrati di carbonio (VAGELER in MoNnTEMARTINI: Sulla nutrizione e riproduzione nelle piante. Atti Ist. Bot., Pavia, ser. II, vol. XIV, 1910); questa proprietà è anche attribuita ai sali di calcio; è dunque questa azione favorevole da attribuirsi alla proprietà dei ioni Ca, Na, Cl, o piuttosto alla necessità che alcuni car- boidrati rimangano allo stato solubile e vengano spostati qua e là per contro- 1 agri gli squilibri osmotici del terreno ? ) Non si deve confondere la forte mineralizzazione delle piante alicole Deina con quella delle piante acquatiche, le quali si trovano invece in | e P ai quali sì è fatto cenno nel capitolo precedente. Quale è l’ulteriore utilizzazione delle sostanze minerali assorbite? a) Una parte di esse viene senz’altro elaborata dalle piante, serve per le funzioni di nutrizione, e viene trasportata poi in parte negli organi riproduttori a compiere le più elevate funzioni del me- tabolismo; i diversi elementi vi si trovano combinati in rapporti pressochè costanti negli individui cresciuti in condizioni differenti, qualunque sia la vigoria colla quale ha luogo la formazione degli or- gani riproduttori (1). All'incontro nell’apparato vegetativo la percen- tualein ceneri viene fortemente alterata dalle condizioni di ambiente; tuttavia le nostre conoscenze sulla fisiologia delle sostanze minerali nelle piante sono troppu imperfette, per dirci quanta parte di sali venga utilizzata come sostanza plastica e quanta venga accumulata semplicemente nei tessuti vegetali, sia senza previa elaborazione, sia dopo aver servito pel trasporto di alcuni composti ed essere resa poi inattiva, come cristalli inerti o come incrostazioni, o.addirittura eliminata. Le percentuali di ceneri, che ci danno in generale le analisi fatte finora, riguardano tutta la pianta intera o grosse parti di piante, nelle quali per ragioni varie possono aumentare i materiali organici della membrana cellulare, senza che siano per questo più intensi i processi di nutrizione (p. e. la sclerosi dei fasci fibro- vascolari nelle piante dei terreni fisicamente o fisiologicamente secchi) Sarebbe desiderabile perciò avere dei dati analitici che ci indi- cassero la forma immediata, nella quale si trovano gli elementi mi- nerali; quanto di essi è allo stato organizzato, quanto in quello or- ganico (3), e di questo la misura della parte che si trova allo stato solido, e di quella esistente in soluzione; infine occorre determi- ambiente eustatico. In queste la mineralizzazione è specialmente nella membrana per opera dell’affinità stretta delle sostanze pectiche coi sali di calcio; nelle altre è piuttosto mineralizzato il contenuto degli idroleuciti, sia questo solido {cristalli di ossalati), o liquido per soluzioni saline. (1) Soave M. e MILIARDI C. — Op. cit. (2) LesaGE P. — Recherches erpérimentales sur les modifications des feuilles chez les plantes maritimes. Rev. Gen. Bot., T. II, 1890. LHOTELIER A. — he- cherches sur les plantes à piquants. Rev. Gen. Bot., T. V, 1893. (3) Per dare un esempio di questa importanza, basti ricordare quanto dif- ferente sia il comportamento dei composti di ferro, a seconda che sono allo stato organico o allo stato anorganico (non «inorganico »). Cfr. p. e. GoLA G. Studi sulla funzione respiratoria delle piante acquatiche. Ann. di Bot., V, 1902, p. 441. nare la quantità di elementi allo stato inorganico; come i slot i nitrati ecc. Allora per la parte organica e organizzata, la percentuale do- vrebbe riguardare non il rapporto colla sostanza secca, ma piut- tosto con qualche altra sostanza che fosse indice più sicuro dell’at- tività cellulare che ha avuto luogo in seguito all’assunzione di quegli elementi minerali. Per es. l’azoto, che non si trova allo stato di nitrato, ha certo subito una serie di combinazioni più o meno complesse, e le più semplici di queste, anche l’N H, sono pure de- rivazione dei più elevati aggregati atomici del plasma vivente; un rapporto tra cenerì (provenienti da composti organici e organiz- zati) e azoto non nitrico, sarebbe perciò assai più istruttivo che non l’attuale solito rapporto, ceneri: sostanza secca. Non altrimenti poco illustrativo sarebbe lo studio del metabo- lismo degli elementi minerali d’ un vertebrato, noi se facessimo un rapporto tra ceneri e sostanza secca; tutti sappiamo che i com- posti di fosforo, che pure sono così abbondanti, hanno un signifi- cato fisiologico assai diverso se si trovano combinati col calcio nel- l'apparato scheletrico, le cui dimensioni possono variare indipenden- temente dal grado di floridezza dell’individuo, 0 con i gruppi organici delle lecitine e delle nucleine. Berthelot (1) ha dato delle analisi interessantissime sui rapporti che sì osservano tra le diverse forme sotto le quali si trova com- binato il potassio nei vegetali, ed ha constatato che una parte di questo elemento esiste nelle Spa assolutamente immobilizzata, e quindi sottratta, probabilmente per sempre, alle ulteriori utiliz- zazioni nel ricambio organico. b) Un'altra parte dei sali viene eliminata; non si può dire se questa eliminazione abbia luogo esattamente senza elaborazione, ma il fatto che l’organo eliminatore si trova in comunicazione molto stretta col sitema vasale, e la identità di composizione chimica del corpo eliminato, con quello assorbito, lo fanno supporre. Nestler (2) ricorda l’eliminazione di carbonato potassico dagli idatodi delle foglie di PAaseolus vulgaris, e quella più abbondante dello stesso corpo da quelli delle foglie di alcune malvacee; è assai interessante quest’ultima osservazione, perchè le malvacee sono piante fortemente alicole, alle quali il processo di endosmosi può, (1) BerrHELOT M. — Comp. Itend, 1905, 4 sett. p. 4835, 20 nov., p. 798, 26 die. p. 1182; 1906, pp. 249, 815. (2) NESTLER A. — Die Sekrettropfen an der Laubblittern von Phaseolus multiflorus Willa. und der Malvaceen. Ber. d. deutsch. bot. Gesell. XVII, 1899. 100) "> y 2 | durante i periodi di alta concentrazione dei liquidi del suolo, ap- | portare dosi notevoli di sali potassici. | Lo stesso si dica per le secrezioni di cloruri di calcio, sodio, magnesio, osservate da Volkens (1) in parecchie alofite, e spiegate appunto colla assunzione in eccesso di questi composti per parte del sistema assorbente. Che poi in queste ultime piante tali secrezioni possano avere un effetto utile fuori della pianta, ciò è un fatto secondario, da considerarsi come le secrezioni di carbonato di calcio, che si os- servano sulle foglie di molte Saxifragae, Statice, ecc. Assai scarse sono pure le eliminazioni di sostanze minerali per le radici; è noto che i corpi disciolti penetrati in esse ven- gono rapidamente allontanati, senza di che sarebbe ben presto ri- dotto lo squilibrio tra soluzioni interne ed esterne e quindi ral- lentato il processo endosmotico. È per questo che i fenomeni di esosmosi dai peli radicali Si verificano in misura minore; e, come le forti assunzioni di sali possono essere provocate dalla elevata concentrazione delle soluzioni esterne, le secrezioni, oltre che dalla attività propria delle cellule, possono essere provocate dalla ipotonicità del liquido ambiente rispetto al pelo radicale, fatto questo che è già stato verificato sperimen- talmente (2). c) Dei sali che non sono eliminati, e che non entrano in com- binazione col plasma, l’evoluzione è assai varia. Il cloruro di sodio rimane in gran parte inalterato nelle piante; le ricerche di molti autori hanno portato alla constatazione della esistenza di grandi quantità di cloruri, e di sali sodici liberi nelle alofite, e non vi può essere dubbio sulla presenza in esse di cloruro sodico disciolto nei succhi cellulari (3). Altrettanto si può dire per una parte del nitrato di potassio che entra in alcune piante. Le determinazioni quantitative di Ber- thelot e Andrè (4), ci danno la misura della notevole abbondanza di questo sale in alcune piante; esso è contenuto in proporzioni del 15 °/, nella patata, 28 °/, nel frumento, 31 °/» nel Papaver to) Rhoeas e 150 °/,, in alcuni Amarantus; questa elevata quantità di (1) VoLKENS G..— Die Flora der cgyptisch-arabischen Wiiste, 1887. (2) PrEFFER W. — Pflanzenphysiologie. Bd I. (3) Casu A. — Op. cit. Una parte del sodio assorbito viene combinato col- l’acido malico. DreLs L. Stoffwechsel und structur der Halophyten. Jahrb. f. Wiss. Bot. XXXII, 1898. (4) BERTHELOT et ANDRE. — Chimie vegetale et agricole, Tom. III [a A ge > Coli ua # x è n i bw po 14 ie de va sale fa ritenere ai due autori francesi che esso in parte si formi a spese di altri composti azotati, nei tessuti stessi delle piante. Le osservazioni di Schimper (1), che ho più sopra ricordate, ci fanno vedere che si tratta di un accumulo di materiali assorbiti dalle radici come tali. Del resto l’obbiezione dei due autori francesi (2) che le soluzioni del terreno sono troppo diluite rispetto ai nitrati in confronto con quelle dei succhi cellulari, cade, quando si consi- deri che nei terreni coltivati le concentrazioni saline raggiungono alle volte dei limiti elevatissimi (v. Par. I); infatti tutte le piante più ricche di questi sali sono arvensi o ruderali, mentre quelle più povere dove è abbondante il salnitro, Pinus, Pyrus, Galium A parine, Pteris aquilina, Scirpus, Tanacetum, ecc., sì trovano in sta- zioni meno provviste di questi sali, e edaficamente meno anastatiche. La localizzazione poi della massima parte di questo sale nel caule, ci dà ragione, almeno in parte, della sua funzione; esso de- termina una turgescenza notevole, e quindi una certa rigidità nei tessuti caulinari, 1 quali si accrescono rapidamente, e sono, da gio- vani, piuttosto poveri di elementi meccanici: Non è per questo esclusa la ulteriore evoluzione di questo composto, così prezioso per le piante, in seguito all’assimilazione clorofilliana, non altrimenti ‘ di quanto si verifica pel Phaseolus lunatus, nel quale i nitrati sono localizzati nei pulvini della base dei peduncoli delle foglie, sede come è noto di importanti fenomeni statici e dinamici di mecca- nica, e ulteriormente utilizzati per combinazione con i carboidrati di origine fotosintetica, onde formare i composti cianidrici (3). È noto del resto come la massima parte delle piante utilizzi altre soluzioni meno preziose di quelle dei nitrati, per determinare nel tessuti dei fenomeni di turgescenza. (1) ScHimpeR E. — Zur Frage der Assimilation, ecc. Flora, Iahrg 73, p. 207. (2) BermiELOT et ANDRÈ. — Op. cit. (3) TreuB M. — Nouvelles recherches sur les role de l’acide cyanhydrique dans les plantes vertes. Ann. Jard. Bot. Buitenzorg.1905. II Ser., T. IV, p. 86. In parecchie specie i nitrati hanno prevalentemente una funzione osmo- tico-meccanica, come nei cauli e peduncoli fogliari di /Zelianthus annuus, Cu- curbita Pepo, Phaseolus muttiflorus, Zea Mays; scarsa è la resistenza che le soluzioni di nitrati esistenti in tali piante, oppongono alla traspirazione; infatti è dato assai spesso vedere nelle ore meridiane i lembi fogliari di queste specie, e di quelle di Parietaria, Urtica, Chenopodium album, ecc. leggermente avvizziti; si deve ammettere almeno che l’aumento di concentrazione provocato dalla insolazione (e che potrà a sua volta determinare un rallentamento della traspirazione ulteriore), è a scapito della normale turgescenza degli elementi del parenchima fogliare, Cfr. NepokuTscHAEFF N. — Uber die Speicherung der Nitrats in der Pflanzen. Ber. d. Deut. Bot. Gesell. XXI 1908, BRR AT AD | Berthelot e Andrè hanno pure constatato l'assorbimento e l’ac- ‘cumulo, in parte allo stato inalterato, di solfato di potassa, nelle » foglie di piante di Amarantus e di Portulaca oleracea, coltivate in terreni arricchiti ad arte di questo sale. Ma nel terreno esistono più spesso dei sali, come i carbonati, i quali, non essendo neutri, come quelli testè considerati, possono avere delle azioni sfavorevoli sul plasma; e questi vengono spesso neutralizzati mediante uno dei più semplici e frequenti acidi ve-. getali, l’acido ossalico, così nelle Chenopodiacee, Amarantacee, Me- sembriantemacee, troviamo abbondanti ossalati a lato dei cloruri e nitrati. Prevalenti sono poi gli ossalati nelle Phytolaccacee, Oxa- lidacee, Polygonacee (1). Questa combinazione ha pure per effetto di elevare il coefficiente isotonico delle soluzioni, e, se da una parte i sali di calcio vengono resi osmoticamente inattivi per la loro precipitazione coll’acido ossalico, viene resa possibile l’utilizzazione a scopo osmotico del carbonato potassico, così diffuso in tutti i ter- reni, e quella dell’azoto dei nitrati (2), come sostanza plastica. Casu (3) determinò nella Salsola Tragus cresciuta in riva al mare, una quantità notevole di cloruro sodico; in individui delle stessa specie, cresciuti sopra ruderati lontani dal mare, una metà del cloruro di sodio era stata sostituita da una quantità equivalente di sali di calcio, eppure le ricerche crioscopiche hanno dimostrato press’a poco una eguale pressione osmotica dei succhi. Poichè la quantità di acqua era di poco inferiore negli individui cresciuti sulle scariche, rispetto a quelli litoranei, si deve ammettere che i sali di calcio siano stati, almeno in parte, tenuti disciolti combinati con acidi organici (acido malico), o che i sali sodici siano stati legati con qualche acido organico, capace di determinare un più elevato coefficiente isotonico. Già in qualche Chenopodiacea (Beta) (4), vediamo che una parte degli alcali si trova combinata con qualche acido organico più com- plesso, p. e., malato, e pure nelle Centrosperme il Mesembryanthe- mum cristallinum ha dimostrato all’analisi la presenza di abbondante acido citrico, malico, ossalico, oltre a acido fosforico. In altre piante, nelle quali, più che dall’alicolismo, l’alta con- centrazione molecolare dei succhi cellulari è provocata da altre cause, p. e. climatiche, prevalgono questi acidi più complessi sull’acido (1) COzAPEK F. — Biokemie d. Pflanzen TI, p. 420. (2) SerexGELC. — Die Lehre von Dungern, 1839, p. G2. Citato da PFEFFER W. — Pflanzenphysiologie, I, 1897. (3) Ricerche biochimiche sulla Salsola Tragus, Biologica, II, N. 6. (4) LIPPMANN v. — Bericht d. deut. chem. Gesellsch. XXIV, 1891, p. 3299. MI ST gr LI pu ed n A Ato 490 nic i i Adria Si ie e e da ZOLA e 1/09 ia | VAR E ARTO e Ran È ATTI o PZ ces cer VEE PRE na ° n ì (E - Mata ossalico, onde anche una parte dei sali di calcio può rimanere solubile, Ri venire utilizzata, e dar luogo a delle elevate pressioni osmotiche. Anche nelle piante peralicole e alicole, qualunque siano le con- dizioni climatiche, sì osserva una certa succolenza dell’apparato ve- getativo; per esempio in alcune ruderali: Portulaca oleracea, Spergula, Spergularia, Rumer, molte crocifere, ecc., fino alle alpine Oxyria di- gyna, Alsine, Arenaria, ecc. Tale succolenza è in rapporto con una mineralizzazione relativamente elevata dei succhi cellulari, come lo mostrano le analisi delle ceneri (1). Così oltre a quella parte di composti di potassio, di calcio, fo- sforo, azoto, ecc., che nella cellula subiscono delle evoluzioni assai complesse, per dar luogo al plasma vivente, noi troviamo dei com- posti, nei quali entrano i medesimi elementi, e dei quali la fun- zione fisiologica è assai meno importante, così che un elemento può essere sostituito da un altro, o venire addirittura a mancare, senza grave danno per la vitalità della pianta, quando le: condi- zioni d’ambiente le siano propizie. Occorre ora vedere quale sia questo ufficio fisiologico. È noto, per numerose ricerche, che l’elevata pressione osmotica dei liquidi situati intorno alle radici determina un rallentamento della traspirazione. Stahl (2) ha osservato la chiusura degli stomi, quando alcune piante vengano a trovarsi colle radici in una solu- zione più concentrata di quella che avevano precedentemente, e questa reazione degli elementi stomatici è piuttosto sensibile, onde tale fatto basta già a spiegarci quella costante graduazione che sì osserva nella distribuzione delle specie in una medesima stazione, dovuta a cause spesso inapprezzabili per noi. Altre ricerche, spe- cialmente di Burgerstein (3), ci mostrano pure che soluzioni troppo x (1) Tolgoda WoLrr alcuni dati in proposito, pur facendo delle riserve sul valore di questi dati nei rapporti colla funzionalità delle piante: Equisetum arvense, 18,8 % della sostanza secca; Beta vulgaris fg., 32,37; Chenopodium album, 13,9; Agrostemma Githago, 13,20; Arenaria rubra, 9,75; Spergula ar- vensis, 8,98; Capsella Bursa Pastoris; 15,70; Medicago lupulina, 8,95; Plantago lanceolata, 8,68. i (2) Sranr. E. — Pinige Versuche uber Transpiration und Assimilation Bot. Zeit. LII 1894, p. 117. (3) BURGERSTEIN A. — Untersuchungen uber die Beziehungen der Nahrstoffe zur T'ranspiration der Pflanzen. I Reihe. (Sitzb. d. kais. akad. Wiss. Wien. Bd. LXXIII, 1876, p. 191. Ip. ip. — Die Transpiration der Pflanzen. Tena Fischer, 1904, p. 142. Studi ulteriori di Dis 1. (op. cit.),, non confermano le osservazioni di , Stahl riguardo alla chiusura degli elementi stomatici nelle alofite; essi anzi sarebbero costantemente aperti; è certo però che in queste la traspirazione è ridotta notevolmente, anche a stomi aperti, da altre disposizioni morfologiche di xerofilia e sopratutto dall’elevata concentrazione dei succhi cellulari. fore poco diana, esercitano la loro influenza nella traspi- . Del resto l’equilibrio osmotico che tende a stabilirsi tra i liquidi del terreno e quelli delle piante, porta necessariamente ad un au- mento di concentrazione dei succhi endocellulari, quando esterna- mente, per cause diverse venga a aumentare quella dei liquidi del suolo. Ed allora intervengono direttamente nella traspirazione gli effetti della elevata concentrazione endocellulare, effetti che, come ha dimostrato Aubert (1), si risolvono in una forte diminuzione della eliminazione di vapore acqueo. Ne viene che le piante peralicole, quando si trovano in ambiente fortemente ipertonico, riducono notevolmente la traspirazione; lo scarso sviluppo delle foglie, la carnosità, il rivestimento ceroso, la cu- tinizzazione, sono caratteri evidenti di xerofitismo che si osservano in molte alofite, e che sono pure presentati dalle peralicole terrestri, chenopodiacee, portulacacee, amarantacee, ecc., quantunque in grado assai minore, data l’assai minore concentrazione che raggiungono i liquidi di questi terreni. Le esperienze di Casu hanno messo in evidenza lo stretto legame che intercede tra presenza di sali in abbondanza nei succhi cellulari, e resistenza al secco. Tipico è l'esempio offerto dalle culture ese- guite da Casu (2), secondo le quali le piante alofite coltivate in am- biente privo di cloruro sodico avvizzivano se il terreno non veniva abbondantemente innaffiato ogni giorno, mentre assai più resistenti erano le altre, alle quali si era somministrato del cloruro sodio oltre ai materiali nutritizi. Osservazioni di molti AA. hanno dimostrato la correlazione che nelle alofite esiste tra succolenza, e resistenza alle elevate con- centrazioni, succolenza che, come ha dimostrato Casu (3), dipende dai bruschi abbassamenti di concentrazione esterna consecutiva a forti precipitazioni atmosferiche, mentre i liquidi cellulari sono a con- centrazione elevatissima. In tal caso la succolenza non può venire spiegata come un sem- (1) AusERT E. — Sur la répartition des acides organiques chez les plantes grasses. Rev. Gen. Bot. II 1890, p. 369; Ip. ip. — Recherches sur la respiration et l’assimilation des plantes grasses. Rev. Gen. Bot. IV 1892, p. 208; ID. ID. — Recherches sur la turgescence et la transpiration des plantes grasses. Ann. Sc. Nat. Bot. ser. 7, T. XVI, 1892. (2) Casu A..— Contribuzione allo setto della flora delle saline di Cagliari. Ann. di Bot. II, 1904, p. 425. (3) CASU A. — Op. cit. p. 426; Vesque I. — De l’influence des matières salines sur l’absorption de l’eau par les racines. Ann. Sc. Nat. Bot. Sér. 6 T. IX, 1378. de DIM T% ha "Egr e. RIOT raf uu. È { P be "i Di ui « vi + p Rat _ 459 ali ) è " e 1 È $ PRETE PILOTI: SERENE IR A be plice accumulo d’acqua, ma è solo l'effetto di un gno Sira accu- mulo di sali avvenuto per via endosmotica, e che ha determinato un liquido ipertonico rispetto ai liquidi del suolo, nel medesimo modo che l’acqua di pioggia, ipotonica rispetto ai succhi dei granelli di polline, ne determina lo scoppio. La succolenza dà luogo del resto ad una ricchezza in acqua, ad una riduzione degli spazii intercellulari e quindi ad un rallentamento della traspirazione, il quale ha un effetto utile sulla pianta. Questo delle alofite è il caso più semplice di succolenza, sia perchè le cause che lo determinano sono assai semplici, sia pel fatto che essa non è soggetta quasi a regolazione alcuna, pel fatto che la - quantità degli elettroliti in questi tessuti può accrescersi, ma di- minuire di poco; la succolenza infatti in queste piante raggiange dei limiti estremi, fino a provocare addirittura delle lesioni trau- matiche e delle spaccature nel caule e nelle foglie. Nelle peralicole terrestri ai nitrati si aggiungono, in quantità assai maggiore che non nelle alofite, dei sali di acidi organici, o addirittura acidi organici liberi; è così possibile il verificarsi di concentrazioni endocellulari elevate (1) e succolenza notevole (Por- tulaca, Mesembryanthemum), non mai così esagerata da provocare al- terazioni gravi nella struttura degli organi e dei tessuti. In molte di esse la concentrazione dei succhi, provocata dai materiali salini assorbiti dalle radici, ha per effetto, non solo di impedire la eccessiva traspirazione negli individui cresciuti in terreni fisiologicamente secchi, ma anche in quelli che si trovano su terreni fisicamente secchi. La succolenza, o la carnosità serve quindi in queste piante come disposizione di xerofilia per due tipi di secchezza, la fisica e la fisio- logica; il potere di regolazione è in esse tanto più spiccato quanto più esistono composti labili, quali gli acidi organici, e capaci, quando le condizioni lo richiedano, di venire di nuovo elaborati, come si è verificato sperimentalmente nelle Crassulacee, e come è probabile si verifichi in molti altri gruppi di piante. Le Ortiche, le Parietarie, che sono, come è noto, assai ricche di nitrati, ma povere di succhi, manifestano ad evidenza la mancanza di un potere di regolazione coll’appassire frequente durante le gior- nate calde e secche; e col riprendere la freschezza normale solo. nella notte, a traspirazione ridotta (2). (1) CAvARA F. — Risultati di una serie di ricerche crioscopiche sui vegetali. Estr. Contrib Biologia Vegetale del prof. A. Borzi, 1905. (2) Sopra questo fatto, del resto frequentissimo a osservarsi, cfr, CHRIST. H. La Flore de la Suisse et ses origines, Bale. 1883, p. 46, Bi SAR RIO x re siga elle altre peralicole, Rumex, Polygonum aviculare, Portulaca, ecc. a regolazione contro la secchezza fisica e fisiologica si fa assai più perfetta. i Noi vediamo così che l’assunzione dei sali neutri ha per effetto ‘in alcune piante l’apprestamento di una difesa contro quelle azioni dannose che sono provocate appunto dalla presenza in eccesso di que- sti stessi sali neutri nel suolo; che l'assunzione dei sali alcalini, eccita, come ha dimostrato Wehmer (1) la formazione degli acidi organici, la quale ne neutralizza gli effetti chimici nocivi; e che d’altra parte dà luogo agli stessi risultati della presenza dei sali neutri nei succhi cellulari; onde si ha difesa contro l'eccessivo aloidismo del suolo, e contro il secco. La funzione biologica e fisiologica della succolenza si va così evolvendo, e dalla utilizzazione di un fenomeno passivo quale è quello della penetrazione di sali estranei e inutili fino a un certo punto, si eleva ad un processo assai complesso e delicato, procedendo dalla succolenza per acido ossalico a quella per acidi più complessi, citrico, malico, isomalico, ecc., e, rendendosi sempre più indipen- dente dalle condizioni edafiche, non solo per i suoi effetti, ma anche pel suo meccanismo (per il maggiore coefficiente isotonico degli acidi più elevati e dei loro sali), rende sempre minore la dose neces- saria di elementi minerali del terreno. Infatti nelle succolente, a lato degli acidi organici e dei loro sali (2), esercitano una influenza notevole sulla traspirazione le so- stanze gommose e i carboidrati, specialmente il glucosio. Tralasciando di studiare la funzione delle somme, che è d’indole diversa da quella del nostro argomento, ricordo altre utilizzazioni dei succhi cellulari concentrati. Già nelle barbabietole oltre alla quantità notevole di nitrati, e agli acidi organici, che pure vi esistono, sebbene in scarsa mi- sura, noi osserviamo la presenza di una notevole quantità di sac- carosio, che dà luogo a soluzioni aventi una pressione osmotica non trascurabile, tanto che in esse più della metà della pressione osmotica è dovuta a questo composto. È vero che il coefficiente isotonico del saccarosio è assai basso, ma è questa una sostanza che può venire assai più facilmente ela- borata dalla pianta, e, oltre che servire come sostanza plastica di (1) WEHMER C. — Entstehung und physiologische Bedeutung der Oxalsiure im Stoffwechsel einiger Pilze. Bot. Zeit., 1891 XLIX. (2) AnpRE. — Sur le développement des plantes grasses annuelles, ete. C. R., 1903, T. CKXXVII, p. 1272. ANNALI DI BoraNnICA — Voc. VIII. 30 | riserva, può, per SR Euità Ole SA Nazario o. cellulari. 4 In tal modo dai sali minerali poco adatti ad una elaborazione ulteriore, come i cloruri, sì procede a quelli più utilizzabili (i nitrati), poi a quelli ancor più variamente utilizzabili e più frequenti nel suolo, quali i carbonati; essi vengono adoperati previa combinazione con acidi organici, ed i sali di questi, o gli acidi liberi, si trovano tra i cristalloidi più frequenti nei liquidi cellulari. I carboidrati solubili permettono una regolazione ancora più. delicata dei fenomeni di concentrazione molecolare, e quindi di equilibrio osmotico, turgescenza, ecc., senza rendere necessaria alla pianta l’assunzione di quantità notevoli di sali. Così più della metà della pressione osmotica che si osserva negli elementi delle scaglie dei bulbi di cipolla, si deve a glucosio, avente un coefticente osmotico assai superiore a quello del sacca- rosio, e pure a glucosio si deve l’80 % della pressione che produce la turgescenza dei petali di rosa (1). Questa produzione' di carboidrati solubili ela rigenerazione di essi in carboidrati aventi coefficiente osmotico minore o nullo (monosaccaridi — disaccaridi — polisaccaridi — amido), è uno dei meccanismi di regolazione della pressione osmotica più delicati che abbiano le piante, e, per quanto si sa ora, viene utilizzato special- mente contro il freddo invernale (formazione di zucchero nelle patate (2), e nelle foglie delle piante sempreverdi (3). In questo caso, appena le condizioni termiche lo permettano, sì ha la rigene- razione completa dell’amido dai carboidrati disciolti. Tale disposizione regolatrice della pressione osmotica senza im- piego di materiali minerali, è molto utile alla pianta, perchè evita la presenza nei tessuti di sostanze le quali sarebbero inutili al ter- mine del periodo invernale, e che emigrano assai difficilmente dal luogo nel quale si sono accumulate (4). l A proposito di questa concomitanza tra povertà di sali e sac- carofillia sono da ricordare le esperienze di Stahl, il quale osservò una minore percentuale di ceneri nelle foglie delle piante a mi- (1) Prerrer W. — P/lanzenphysiologie. (2) MîLLER Tuurgau -—— Uber Zuckeranhiufung in Pflanzentheilen in Folge niederer Temperatur (Landw. Jahrb. XI 1882 p. 819). (3) Liprorss B. Op, cit. BADALLA L, op cit. (4) Briosi G. — Intorno alle sostanze minerali nelle foglie delle piante sem- preverdi. Atti Ist, Bot. Pavia 1888, I. 5368. nuire o elevare di molto la concentrazione molecolare dei liqui dia ‘corrize, rispetto a quelle senza funghi simbionti; ora le piante mi- | cotrofiche sono, secondo gli studi di Stahl, in massima parte saccaro- fille (1). Non mi sarei dilungato su questo fatto della saccarofillia, che sembra avere poca relazione colle condizioni edafiche, se = esperienze preliminari, alle quali mi occorre ancora a seguire molte altre, non mi avessero mostrato la frequenza e l'abbondanza notevole di carboidrati solubili nelle foglie di alcune alofite e di parccchie piante alpine. Questa analogia nel contenuto in dose notevole di una sostanza così osmoticamente attiva, così facilmente variabile quantitativa- mente, nelle piante alpine e nelle alofite è non privo di interesse. Nelle alofite si ha turgescenza notevole per sali e in minor dose per composti organici, ai quali si deve il potere regolatore della pressione osmotica; nelle piante alpine sì hanno pure dei succhi cellu- lari notevolmente concentrati (2). Nelle prime l’elevata concentra- zione molecolare è provocata dalle condizioni del suolo, nelle se- conde dalle condizioni climatiche: illuminazione intensissima, che provoca una assimilazione assai più attiva, come ha mostrato Bon- nier (3), e, aggiungo io, irradiazione assai forte nella notte, onde la necessità di disposizioni difensive, che, analogamente a quelle contro il freddo invernale, possono essere date dai carboidrati solubili, ché si rigenerano coll’elevarsi della temperatura. Noi sappiamo che le elevate concentrazioni molecolari dei li- quidi cellulari portano alla formazione dell’abito xerofilo, quindi carnosità, o succolenza, inspessimento della cuticola, riduzione della traspirazione, raddoppiamento degli strati a palizzata, ecc., tutte di- sposizioni che, come è noto, sono comuni alle piante alpine e alle alofite. IL Schraeter (4) osserva che i caratteri di xerofilia delle piante alpine sì osservano più spiccatiin quegli individui che cre- scono, non nelle località volte a nord, dove gli sbalzi di condizioni tra il giorno e Ja notte sono meno vivi, ma sulle rupi e sui pendii bene esposti, dove le influenze del clima alpino si fanno sentire (1) SraHL E. — Der Sinn der Mycorryhizenbildung. Jahrb. f. Wiss. Bot. XXXIV 1900. L’A. accenna inoltre al parallelismo tra saccarofilla ed haditat della pianta in stazioni secche; quanto al parallelismo tra micotrofia e sacca- rofillia la sola eccezione è data dalle sassifraghe. (2) StEBLER F. G., ScaRòTER C., WaLrER H. Les plantes fourragères al- pestres, Berne 1896. (3) BonnIiER G. — Recherches experimentales sur l’adaptation des plantes au climat alpin Ann, Sc. nat. Bot. Sér. VII. T. XX. p. 217. (4) ScaR6TER C. — Das Pflanzenleben der Alpen, Zurich 1908. Cee o ricordare ch Bonnier (1). ha constatato che le piante artiche hanno i caratteri di xerofilia meno. Ipidad di quanto non li abbiano le stesse specie cresciute nelle Alpi; e 19 differenze di condizioni, nelle quali si trovano le due stazioni, con-. sistono in una umidità maggiore, e nella lunga permanenza del sole sull’orizzonte delle regioni artiche. Esaminate così le condizioni nelle quali sì trova l’apparato as- sorbente rispetto al terreno; studiato il meccanismo di funziona- mento di questo apparato in tali ambienti, esaminata l’utilizza- zione delle sostanze apportate dall’apparato assorbente ai tessuti de- stinati a elaborarle, sì dovrebbe ricercare come hanno luogo le altre funzioni degli organismi vegetali sotto queste diverse influenze. La funzione di traspirazione è stata già studiata più sopra, e se ne è visto lo stretto nesso con quella di assorbimento delle piante; quella di respirazione, è noto, per le ricerche di Palladine (2), che viene ridotta allorchè la pianta sì trova in relazione con concen- trazioni elevate; quella della fotosintesi clorofillina è pure noto, per molteplici studî (83), che viene ridotta dalla ipertonia delle solu- zioni del suolo, almeno per quella che dipende dal cloruro di sodio. Si ha cioè nei casi di ipertonia del suolo, una riduzione di parec- chie funzioni del metabolismo, alla quale si debbono probabilmente collegare i caratteri di nanismo che assumono molti vegetali pera- licoli. Quanto a quella di riproduzione essa è sotto un certo aspetto indipendente, e sotto un: altro strettamente legata alle condizioni edafiche. Intimamente legata lo è nel senso che, a quanto si sa, sì deve solo a stimoli osmotici, di origine trofica o di origine clima- tica, il punto di partenza, lo scatto, per dir così, dal quale hanno origine i processi di divisione. Ma allorchè questi hanno avuto luogo, la segmentazione procede piuttosto in relazione con le proprietà ereditarie indipendentemente dal terreno. Qualunque siano la natura del terreno, o le condizioni termiche o quelle di nutrizione di una pianta, noi vediamo che una medesima specie dà origine a organi di riproduzione sensibilmente eguali. Saranno più o meno nume- rosi i punti nei quali ha luogo la formazione degli organi ripro- duttori, più o meno numerosi gli elementi che ivi si formano, ma (1) BonnieR G. — Las plantes arctiques comparces aum mémes érpèces des Alpes et des Pyrénées. Rev. Gen. Bot. VI 1894. (2) PALLADINE W. et KowLerFr A. — L’influence de la concentration des solutions sur l'energie respiratoire, ete. — Rev. Gen. Bot. XIV, 1902, p. 516. (3) Grirpon. En. — L’assimitation chlorophyllienne et la coloration des plantes. — Ann. Sc. Nat. Bot., Sér. 8, T. 10, p. 1, 1899. È "0 ti È Li RT ME des — noi troviamo che, p. e. i semi prodotti da una stessa specie hanno ‘sensibilmente la stessa forma, le stesse proporzioni tra le diverse parti che li costituiscono, la stessa composizione chimica, qualunque siano le condizioni nelle quali si è sviluppata la pianta madre. Riassumendo quanto si è visto in questo capitolo sì può rite- nere che delle sostanze che si trovano nel terreno agiscono solo ‘quelle disciolte, e di queste i corpi osmotici servono principalmente per la vita vegetativa della pianta, provocando in esse delle con- dizioni tali che permettono loro di sopportare determinate condi- zioni di ambiente. Gli squilibri nella concentraziane, che possono essere dati da un terreno anastatico, provocano una più attiva funzionalità dell’ap- parato assorbente con tutti i vantaggi e i danni che possono de- rivare da una intensa o rispettivamente eccessiva funzionalità sotto questo rispetto. I materiali osmotici assorbiti sono essenzialmente cloruro di sodio, nitrati di calcio e di potassio, carbonato di calcio, e carbonato di potassio. Molto spesso questi composti possono sostituirsi l’uno coll’altro nel determinare quelle proprietà osmotiche dei succhi cellulari che possono essere utili alla pianta; per questa sostituzione bastano molto spesso assai lievi modificazioni nella funzionalità dei tessuti come si possono verificare nelle varietà e specie affini (Vedi spec. Parte III, Cap. VI). Talora questa sostituzione non è facilmente possibile, onde si può verificare l’esistenza di specie alofile (dei clo- ruri), nitrofile (dei nitrati di calcio e di potassio), calcarifile (del car- bonato di calcio), e kalicole (del carbonato di potassio). Sul valore però di questa appetenza speciale delle piante, e sull'importanza dell’edafismo chimico, mi estenderò più inuanzi. L'esame delle condizioni d’ambiente fatte al funzionamento del sistema assorbente delle piante, porta a dare un rapido sguardo anche alle proprietà del sistema assorbente stesso. Noi sappiamo che molte piante hanno un sistema radicale svi- luppato a profondità differenti nel suolo. Da quanto si è visto sopra, a diverse profondità esistono concentrazioni diverse dei liquidi che vi sì trovano, e diverse sono pure le condizioni di stabilità di queste concentrazioni. Il sistema assorbente deve quindi funzio- nare in modo differente o almeno deve equilibrarsi in modo diffe- rente alle diverse concentrazioni che si trovano nel terreno, per poter funzionare regolarmente. È questa una eterorizzia funzionale che non è ancora stata con- statata, e che probabilmente sarà possibile constatare con accurate PERINI PIE O LAST TR E TOP TIENI RIEN RITO ROM LALA Reno SEA re ur . DR SEP CIANAA iti Pato cia! RI t ‘ RAP TiLO 4 4 Ade 5 d (NERI te Ad RZ NT SO IA RO OUONT . n° LA = Pi \ FOA “n PI e ricerche. Già è noto che le piante che hanno radici sviluppate in un forte spessore di terreno, resistono meglio al secco che non quelle che le hanno solo superficiali, evidentemente perchè quelle profonde possono ancora compiere la loro funzione assorbente, quando le altre non hanno più acqua da sottrarre al terreno. La differenza di comportamento tra le radici superiori e le in- feriori essendo soltanto occasionale e non permanente, oppure eser- citandosi solo verso soluzioni di concentrazioni differenti, non può por- tare ad una differenziazione profonda degli organi. Quindi sarà dif- ficile il poter rilevare molto evidente questa eterorizzia funzionale, rispetto alla eterorizzia morfologica, che è stata osservata e studiata recentemente in tante piante (1). La eterorizzia morfologica è spesso in rapporto con un cam- biamento di funzione, ma la nuova funzione è molto distinta da. quella nuova, o gli ambienti nei quali si svolgono i due tipi di ra- dici sono fondamentalmente diversi. Radici aeree, radici acquatiche, organi respiratori, organi di riserva, ecc.). IV. — Spostamenti dei limiti altitudinari della vegetazione. Tab. xXvI. Lo stretto legame che intercede tra la traspirazione e la con- centrazione dei liquidi che stanno intorno all’apparato assorbente, determina fino a un certo punto la misura delle sostanze minerali assorbite dalle piante; ma oltre alle condizioni interne di funzionalità e di struttura delle piante, e a quelle edafiche, influiscono, come è noto, sulla traspirazione altri coefficienti, quali la temperatura, la ventilazione, l’illuminazione. Ora è degno di nota il fatto che (escluse le sommerse), le piante edaficamente caratteristiche sono tra quelle che più sono esposte ad una attiva traspirazione; e sì trovano cioè prevalentemente sui mar- gini delle raccolte acquee, (spiaggie) sulle rupi, ghiaie, sabbie, luoghi soleggiati in generale, nei quali cioè le condizioni che favoriscono la traspirazione delle piante non sono temperate da influenze mo- deratrici. (1) RimecH A. — Beitrige zus Physiologie d. Wurzeln. Ber. d. Deut. Bot. Ges. 1899. Bd. XVII, p. 18. — Tscnirsca A. — Uber die Heterorhizie bei Dy- cotylen. Flora. Bd. 94, 1905, p. 69. — PeTRI L. — Ricerche istologiche su di- versi vitigni in rapporto al grado di resistenza alla fillossera. — Rend. R. Ace. Lincei, Vol. XIX, 1° Sem., Fasc. 10, p. 505, Quivi sono citati altri lavori che non ho avuto opportunità di vedere. Î i Ne risulta cioè che. quelle condizioni che agiscono come ‘modera- trici della traspirazione, agiscono anche nel senso di dare una certa elasticità a quelle leggi che determinano la distribuzione edatica delle piante. Tali disposizioni moderatrici sono del resto quelle stesse che operano sulle variazioni di salinità del terreno, e, nello stesso modo che le variazioni brusche della concentrazione delle soluzioni saline hanno una importanza notevole nel permettere lo sviluppo o meno di talune piante, quelle brusche di insolazione o di irradiazione hanno pure un effetto analogo, in quanto favoriscono lo squilibrio tra la fun- zionalità dell'apparato sotterraneo e di quello aereo. Gli effetti di eccessiva turgescenza che si osservano nell’apparato aereo delle piante alofite, quando si abbassino rapidamente e brusca- mente le concentrazioni delle soluzioni ambienti, non possono man- care di manifestarsi anche nei peli radicali, assai più delicati di struttura e a vitalità più breve, quantunque le analisi dimostrino nelle radici un contenuto salino minore di quello delle foglie. Inoltre è noto che l'assorbimento delle soluzioni ha luogo in parte per endosmosi, e che l’entrata delle sostanze minerali è tanto più forte, quanto più grande è lo squilibrio tra concentrazione all’esterno e all’interno della membrana; i terreni a tipo anastatico offrono per- ciò alle piante che vi crescono delle condizioni che non tutte sono capaci di sopportare. È perciò che noi vediamo piante p. e. alicole resistere a concen- trazioni più elevate, solo quando queste siano proprie di terreno eu- statico; così le specie pratensi sopportano concentrazioni assai ele- vate senza avere alcun abito xerofilo, ma vivono in ambiente eusta- tico; così molte piante palustri come PAragmites, Iuncus, Scirpus, ecc., sopportano ottimamente gradi diversi di concentrazione nelle diverse stazioni, ma poco variabili in ciascuna di esse durante il corso del l’anno. Le specie sepiarie, quelle forestali, ecc., si trovano in condizioni meno variabili, sia per ciò che riguarda l’apparato assorbente, sia quello traspirante, e quindi meno spiccati sono gli effetti della diffe- renza di concentrazione che possono esistere nell’ una o nell’altra stazione. Ne risulta così che l’intensità della traspirazione è un coefficiente grandissimo nel determinare l'adattabilità di una pianta all’uno o all’altro ambiente edafico, specialmente allorchè tali ambienti di- pendono anche da condizioni climatiche differenti. GR Sana Do condizioni dataptiche del terreno hanno notevole impor- tanza non solo nel determinare i caratteri delle stazioni in un me- desimo ambiente climatico, ma altresì nello spiegare l'analogia di stazioni situate in differenti ambienti climatici; tale è p. e. lo spo- stamento dei limiti delle vegetazioni, sia secondo le altitudini che secondo le latitudini. ri Naturalmente non è il caso di accennare qui alle piante che ven- gono disseminate attualmente dalle correnti acquee, e che si stabili- scono nelle nuove stazioni in modo precario, ma di quelle che vi si tro- vano da tempo lunghissimo, e che si possono considerare come relitti. Per quanto ho potuto osservare nell’ambito della flora piemontese, le specie le quali discendono più in basso dalle regioni elevate, si trovano specialmente localizzate sopra substrati a concentrazioni assai bassa, e più bassa e più costante di quella delle stazioni nor- mali più elevate. Si può dire che ad ogni sbocco di valli alpine tutti noi abbiamo osservato delle piante proprie di regioni più elevate, ma, per quanto io ho constatato, in Piemonte queste si osservano preferibilmente nei terreni silicei o decalcificati, e per lo più esposti a nord. In queste esposizioni, oltre a condizioni termiche meno sfavorevoli, si ha una moderazione della funzione traspiratoria e quindi un minore accumulo di elementi minerali nei tessuti. Anche lestazioni boschive si comportano nello stesso modo, come rifugio di specie di regioni più elevate. Così troviamo Phyteuma Halleri, Veronica urticaefolia, Melampyrum pratense, Astrantia major, Anemone Pulsatilla, Asarum europaeum, Polygonum Bistorta, Impatiens Segrandoa Paris qua- drifolia, Nephrodium Filix-Mas ecc. Molto spesso si tratta però di piante esposte alle condizioni più sfavorevoli per quanto riguarda la temperatura. e l’insolazione, in aperta pianura, o al piede di rupi riscaldate; in tutti questi casì è degno di nota l’assoluto carattere geloide eustatico, anzi pergeloide del substrato. Ricordo a mo’ di esempio gli sfagni osservati da Christ (1) su pendii soleggiati a 300 m. sul livello del mare, e le numerose specie microterme della pianura torinese ricordate dal Negri (2).La pianura torbosa di Parpaglia presso Stupinigi (Torino), che si estende su an- .’ - % e pErERITE r . Mi a, o Pd 3 (1) CarIist H. — Op. cit., p. 46. (2) NeGrI G. — Le stazioni di piante microterme della pianura torinese. Atti. Congresso dei naturalisti italiani. Milano, 1906. : le "SU formazioni diluviali frctizoato della Mandria e della Vauda di Leynè (Torino), a ter- reno fortemente geloide, ospitano la massima parte delle specie xe- .rofile gelicole indicate dal Negri, e anche molte igrofite, nei pic- coli, ma frequenti acquitrini che vi sì trovano ; tipici fra queste sono alcuni sfagni a soli m.160 sul mare. Così pure nelle formazioni di- luviali ferrettizzate a 160 m. sul mare presso Fara (Novara), ho rac- colto abbondanti sfagni, Gentiana Pneumonanthe ; quivi e anche più in basso a Codemonte (Novara) a m. 190, crescono Castanea vesca, Molinia, Calluna, ecc., specie che si trovano solo sul terreno ferrettiz- zato pergeloide, mentre un po’ meno esigenti sono le stesse piante nelle zone un po’ più elevate. Sulle colline dell’anfiteatro morenico del Ticino presso Borgo Ticino, sono frequenti Drosera, Arnica, Rhinchospora alba e fusca; e troppo lungo riuscirebbe l’ elenco se volessi ricordare tutte le osservazioni fatte di specie fuori dei limiti naturali di vegetazione; parecchie sono quelle fatte lungo il corso inferiore del Ticino, dove le condizioni edafiche del suolo favoriscono ottimamente la perma- nenza di queste colonie eterotopiche (1). Nel basso Friuli sono frequenti delle specie proprie di regioni più elevate, la cui presenza colà viene spiegata dando loro il signi- ficato di relitti glaciali. Dal diligentissimo elenco di Gortani (2), non si possono dedurre con esattezza le condizioni edafico-osmo- tiche nelle quali si sviluppano tutte le specie ivi ricordate, ma la differenza di stazione che, per alcune di esse (p. 164) si osserva nella regione superiore in confronto di quella inferiore, è sempre nel senso del passaggio ad un ambiente edaficamente e climaticamente meno aloide e più eustatico. In modo cioè da ridurre l’afflusso di materiali salini, che il più lungo periodo vegetativo e la maggiore temperatura, potrebbero provocare mediante un’attiva traspirazione. Numerose sono pure le specie microterme indicate delle torbiere presso i laghi di Bientina e di Massaciuccoli (3), le acque delle quali (1) BrroLI G. — Flora aconiensis; — Cozzi C. — Numerose note negli atti della Soc. Ital. Sc. Nat., T. XLI, 1902, XLIII 1904, XLIV 1905, XLVITI 1909; FARNETI R. — Aggiunte alla Flora pavese. Atti Ist. Bot. Pavia — Così pure lungo il corso inferiore del Mincio. Cfr. BEGUINOT A. — Intorno a due colonie eterotopiche della flora mantovana. Atti Acc. scient. ven. tr. istr. Classe I, Anno II, 1905. (2) GortaNnI L. M. — Op. cit. (3) Oltre alla numerosa letteratura recente, cfr. anche PARLATORE F. — Etudes sur la Géographie botanique de l’Italie, Paris 1873. i te i Asilo Habigs "una minima donogntrazione: come lo indica la Pa de) sfagno. È degno di nota il fatto che più frequentemente tra le specie che discendono molto in basso, sì annoverano piante di torbiera; oltre all’ analogia di stazione, favoriscono questa prevalenza le condizioni speciali presentate dalle torbiere, che sole o quasi (al- l’infuori dei terreni ferrettizzati) possono nella pianura offrire alle piante concentrazioni così basse, quali sono necessarie per compen- sare la più lunga durata e la maggiore intensità del periodo di tra- spirazione. b) Elevazioni. — Vegetazione invernale. Anche l’elevazione dei limiti superiori segue in modo inverso le condizioni edafiche sopra indicate per gli abbassamenti di quelli inferiori. Mentre lo stabilirsi di questi è regolato dal fatto che durante la stagione di attività vegetativa; le condizioni edafiche possono pro- vocare una soverchia pressione osmotica intorno alle radici, o un accumulo eccessivo di sostanze minerali nelle piante, la determina- zione dei limiti superiori dipende invece per, le specie perenni, dalla resistenza di queste al freddo invernale, e, per quelle annue, dalla possibilità che si verifichi nel corso dell’anno un periodo vegeta- tivo sufficiente per l'evoluzione completa della pianta. È nozione generale che la resistenza al freddo di una pianta, almeno di quelle che trovano nel congelamento la causa della morte o di gravi sofferenze, dipende essenzialmente dalla secchezza dei tessuti. Molte specie perdendo le foglie nella stagione autunnale, e diminuendo col freddo l’attività assorbente delle radici, sì pre- parano con un semplice essiccamento a resistere al freddo dell’in- verno. Altre specie, mediante l’evaporazione dell’acqua, o l'espulsione di questa nei meati intercellulari allo stato liquido, provvedono al- l’essicamento del plasma e a una concentrazione dei succhi cellu- lari; così è frequente osservare nelle Igiornate rigide dell’inverno delle foglie di SteZlaria, o di l’arietaria appassite, e che, nelle prime giornate calde, riprendono la loro freschezza; così si verifica in molte sempreverdi la diminuzione della percentuale dell’acqua (1). Molte specie elevano la concentrazione dei succhi, non solo colla (1) MontremartINI L. — Contributo alta biologia fogliare del Buxus sem - pervirens L. Atti Ist. Bot., Pavia, Ser. II, vol. X, 1905. — BapaLLa L. — Op. cit. — Prerfrer W. — Pfanzenphysiologie. intenti 1 > ; n, È 1 Ma i e li | acqua, ma altresì i tana 1 sotuatgni: PERO N a LI delle dosi più o meno forti di carboidrati solubili (preva- | lentemente glucosii), come si verifica nei tuberi, corteccie, foglie A saccarofille. In sostanza si sa che è l'elevazione della concentra- e zione dei succhi cellulari, quella che permette al plasma di resi- . —stere al congelamento, la causa più esiziale non solo per la vitalità della cellula, ma altresì per la sua integrità materiale. Ma l’elevata concentrazione, che in modi diversi si stabilisce nelle piante nel periodo dello svernamento, occorre che non sia in squilibrio troppo forte colle condizioni osmotiche dei liquidi del suolo; è infatti durante il periodo invernale, che generalmente si ve. rifica il massimo squilibrio osmotico tra succhi cellulari e liquidi del terreno; questo è dilavato dalle pioggie autunnali e dalla scarsa eva- - porazione invernale, quelli sono concentrati per le cause sopra dette. Il verificarsi di tale dannosa eventualità può solo essere evitato laddove il terreno è piuttosto asciutto, e noi vediamo stabilirsi la flora termofila mediterranea fuori della sua sede normale, nelle stazioni sabbiose, ghiaiose, dove lo scolo delle acque si fa più ra- ‘ pido; così la pratica della floricoltura insegna che le piante colti- vate nelle serre, sono tanto più esposte ai pericoli derivanti dalla bassa temperatura, quanto più umido è .il terreno. È cosa assai nota-che le colonie eterotopiche di piante termo- file mediterranee si trovano preferibilmente sopra i terreni cal- cari (1); a spiegare questa, si allegano specialmente le proprietà termiche delle roccie calcari (2). Ma tali proprietà non possono da ‘sole essere addotte, quando si pensi che le proprietà termiche variano molto secondo la struttura meccanica delle roccie. Noi troviamo invece stazioni di questo tipo sia sopra calcari compatti, che sopra calceschisti finamente fessurati e frammentati, sopra marne neces- sariamente un po’ degradate e quindi a forte capacità acquifera, nonchè sopra roccie vulcaniche, p. e. basaltiche; tutte roccie, nelle quali la differente mole e compattezza dei prodotti di disgregazione può dar luogo a proprietà termiche differenti fra loro, e analoghe in alcuni casi con quelle delle roccie silicee. D'altronde se le grandi colonie termofile trovano nell’ Europa continentale le condizioni più favorevoli sul calcare, tuttavia esse (1) Tali sono prevalentemente quelle notissime di V.di Susa, di V. d’Aosta, quelle del Vallese descritte da CHRIST (op. cit.) e quelle pure delle Alpi occi- dentali studiate da I. BrIQUET(Le Mont Vuache, Genève, 1894; Flore du Massif de Platé, Genève 1895), ecc. (2) Nicorra L. — Influenza del calcare sulla vegetazione. Malpighia, IX 1895. — BeGUINOT A. — Saggio ecc. | vegetazione xerofilotermofila si trova i in PA abe 10 | > Sa del Po aio 7 piedi delle Alpi in modo quasi continuo, indipendentemente dalle: condizioni petrografiche. X Per osservazioni mie e di moltissimi floristi piemontesi posso ricordare come località aventi stazioni di specie termofile, Revello, (Allioni), Envie, Cavour (1), Pinerolo, tutte su roccie silicee; Avi- gliana, Caselette (Re), Lanzo, Castellamonte, Ivrea (2), su roccie serpentinose; quelle dei colli del basso Biellese di Romagnano e di Borgomanero e Arona (Biroli), su terreni silicei di trasporto ; e pure su roccie silicee le località di Omegna, Piedimulera, Crevola, Montecrestese nell’Ossola, e, sulla sponda destra del L. Maggiore, tra Pallanza e Ascona: e tra Ponte Brolla e Locarno allo sbocco della Valle Maggia (Christ). Per l’Italia orientale riporto alcune osservazioni di Béguinot (8) : < Una caratteristica perciò della flora xerotermica è la spiccata appetenza per la roccia calcarea; tale substrato è quindi un coeffi- ciente per la sua costituzione. < Vedemmo del pari che per cause non facili a precisare, al- cuni elementi di clima caldo attuano una sorprendente eccezione a questa legge. < Le specie più note a questo riguardo nel distretto sono, dei componenti la macchia: Cistus salviaefolius, Arbutus Unedo, Erica arborea, e, delle colonie xerotermiche Potentilla rupestris. <« L’accantonamento di tutte queste specie su terreni silicei de- pone contro la teorica che tutta la flora mediterranea sia impron- - tata a tipi calcicoli! ». Tutto questo porta a ritenere che le condizioni che permettono lo svernamento di specie termofile in tali stazioni, non siano solo quelle dipendenti dalle proprietà termiche, ma anche altre. To credo che in questa distribuzione abbiano importanza asso- lutamente prevalente le condizioni climatiche, che sì esplicano non solo direttamente sulla pianta, come è ovvio, ma altresì sul terreno. In tutta la regione situata ai piedi delle Alpi l’ inverno è ca- ratterizzato da una relativa scarsezza della caduta di acqua, sia di pioggia che di neve, onde, il forte dilavamento che il terreno subisce durante la stagione autunnale-primaverile, ha una certa (1) CrosertI E. e FoNnTANA .P. — La vegetazione della Rocca di Cavour (Pinerolo), di prossima pubblicazione. (2) VAccarI L. e WiILCKZEK E. — La vegetazione del versante meridionale delle Alpi Graie. N. Gior. Bot. It., XVI. N. Ser. 1909. (3) BeGuinor A. — Saggio ecc. Ma mentre nella immediata prossimità delle Alpi, le nebbie sono abbastanza rare, e limitate o alla parte più bassa o alle creste delle montagne, nella pianura padana esse sono alquanto più fre- quenti, vi permangono assai più a lungo, e diminuiscono così di molto la misura dell’insolazione sulla superficie del suolo. Del resto nelle vallate montuose le nebbie si accumulano sul thalweg per una altezza di poche diecine di metri, mentre alquanto più elevate sul piano della vallata sono le stazioni di piante termofile ; quelle di Locarno, indicate da Christ, sono a 100-150 m. s. 1. d. Lago Mag- giore; e poco inferiore è l’altezza che io ho potuto constatare per quelle della Valle d’Ossola. Per questa diminuzione dell’insolazione, pel permanere del va- pore saturo di umidità, il suolo poco o nulla sì asciuga dall’acqua delle pioggie autunnali, anzi l’acqua che si condensa in rugiada o in brina accresce la misura di quella che già si trova nel suolo, per di più spesso congelato. In prossimità delle stazioni xerofile nulla di tutto ciò; l’insolazione asciuga rapidamente il suolo, per lo più poroso e scoperto, e gli effetti delle pioggie autunnali sono ben presto annullati; l’acqua che si condensa come rugiada (mai come brina, data la località riparata e l’irradiazione delle roccie), si evapora durante la giornata, e le piante sono perciò durante l’inverno in un terreno a concentrazione salina relativamente elevata. Uno sguardo alle tabelle riferite da Vaccari e Wilczek, o meglio a quelle di Roster (1), mostrano appunto il comportamento della pioggia in molte stazioni prealpine e padane durante la stagione invernale. Osservazioni quantitative sulla frequenza della nebbia e delle brine nelle stazioni meteorologiche prossime a quelle delle piante termofile, non ne ho potuto invece trovare; ma non credo indispensabili tali dati, poichè ognuno che ha percorso le prealpi durante la stagione invernale avrà potuto constatare la profonda differenza che corre tra il suolo congelato o fangoso della pianura e dei pendii meno esposti, e quello So parti più riparate e so- leggiate dei fondi di valle. Così, mentre per le stazioni situate su roccie calcaree, le con- dizioni climatiche, anche le più sfavorevoli, non possono abbassarne «la concentrazione dei liquidi del suolo al disotto del 0,5 %, circa, (1) Vaccari L. e WILCZEK E. — La vegetazione del versante meridionale delle Alpi Graie orientali. N. Giorn. Bot. Ital., N. Ser., XVI, 1909, p. 179. — RosTER G. — Climatologia dell’Italia, Torino 1909. 4% Aa ci VIVI di coat i, SUONO CERA ORO Na ita 4 ; i AES DURE e LAN * SER: e 05 SRO EE ng favorevoli tar il terreno possa tra ele- | vata la concentrazione delle soluzioni che vi sì trovano. Naturalmente le condizioni favorevoli di esposizione e di illu- minazione sono indispensabili, perchè la parte aerea dell’ apparato vegetativo possa superare le avversità della stagione fredda. Inoltre se alcune specie di tipo alicolo possono trovare tanto sui terreni calcarei che sopra i silicei la possibilità di superare il pe- riodo sfavorevole invernale, molte di queste non sopportano indiffe- rentemente i due tipi edafici di stazione, nei quali, durante il pe- riodo di attività vegetativa, Je concentrazioni delle soluzioni ivi esistenti si fanno così profondamente distinte (Cistus salviaefolius, Arbutus Unedo, ecc.). Per alcune stazioni prossime a Torino, ho eseguito durante la stagione invernale delle ricerche pedolitiche su alcuni campioni di terra, ed i risultati, che riferisco nella tabella N. XXVI, confermano pienamente quanto bo premesso circa le concentrazioni che vi sono caratteristiche. Durante le escursioni invernali per queste ricerche, ho potuto constatare anche la frequenza di fioriture, e lo stato di ottima vege- tazione di molte peralicole o alicole ruderali o arvensi; osservazione del resto tutt’altro che nuova, a proposito della quale si trovano già molte indicazioni nella letteratura botanica (1). Uno spoglio del materiale di osservazioni raccolto da me e dagli AA. sopra citati, e fatto sotto il punto di vista dei caratteri os- motici delle soluzioni dei terreni, mostra che lo sviluppo invernale delle piante, così accentuato da portare anche alla fioritura, è pro- prio di quelle specie che abitano stazioni, nelle quali la concentra- zione dei liquidi del suolo è relativamente elevata. Così manca la fioritura invernale nelle specie igrofite, in quelle gelicole e perge-. licole; la si osserva invece frequente nelle stazioni, come le pra- tensi, le sepiarie, le ruderali, le arvensi, e le rupestri, nelle quali la concentrazione dei liquidi del suolo non raggiunge dei limiti mi- nimi, in conseguenza delle precipitazioni atmosferiche. Anzi, dei numerosi individui di una stessa specie crescenti in di- verse stazioni, il Pampanini ha notato che non tutti si sviluppano egualmente, ma solo quelli delle stazioni più aloidi; così delle specie pratensi non si sviluppano gli individui dei prati, ma solo quelli. (1) Vaccari L. Erborazioni invernali. Boll. Soc. Ven. Trent. Sc. nat. VI, 1890. — PaAmpanINI R. Fioriture invernali. N. G. Bot. LV. N. ser. XIII, 1906. — NeoriI G. La veget. d. collina di Torino. da cate Ar EMO ) / 5 ; sepincoli, ruderali, petrofili; degli individui silvatici e sepincoli, si ‘sviluppano solamente i sepincoli, ecc. Ù Si può pensare che in molti casi siano piuttosto le influenze termiche che agiscono unicamente sullo sviluppo della vegetazione invernale, e ciò specialmente quando si considerano le stazioni si- tuate ai piedi dei muri, delle rupi, ecc., ma è pure da tenere in . conto che, nelle specie arvensi, la influenza dell’esposizione è assai diminuita, quantunque lo sviluppo migliore si osservi sui fianchi dei solchi esposti al sole. Sopra questi fianchi sì osserva però sempre il terreno più asciutto che non sopra quelli volti a tramontana, la terra è quivi spesso screpolata, anche d’inverno, per uno spessore di pochissimi centi- metri, in seguito all’essicamento; ed è appunto in questi primis- imi strati superficiali che stanno le radici della CapseZla, Draba, Veronica, Stellaria, ecc. Nei saggi pedolitici che ho eseguito, ho appunto potuto constatare le concentrazioni relativamente elevate dei terreni che ospitano questa vegetazione. Una condizione d’ambiente particolarmente favorevole è data dal trovarsi le radici di tali piante affatto superficiali, onde, oltre che degli effetti una di salinità maggiore del suolo, esse possono usu- fruire di una temperatura favorevole nelle ore diurne. Nella esp. n. 4 tab. XXVI le piante erano esposte all’irradiazione diretta notturna, e sì presentavano tuttavia rigogliose, mentre nelle aiuole (esp. n. 2), la vegetazione era nulla, pure essendo eguali le condizioni termiche di esposizione; così pure nella esp. n. 1 è degna di nota l’elevata concentrazione del terreno in rapporto con una-ve- getazione veramente florida. Se le condizioni favorevoli alla permanenza delle specie medi- terraneo-termofile nella regione continentale, o quelle dello sviluppo della florula invernale sono in dipendenza stretta colle condizioni edafiche e climatiche che si verificano durante la stagione fredda, i ca- ratteri edafici possono compensare pure alcune condizioni climatiche poco propizie all’elevazione dei limiti altitudinari di alcune specie. Già i Gortani (1) rilevano che l'elevazione di molte specie di pianura è legata ad un cambiamento di stazione; l’Odontites sero- tina, Scutellaria galericulata, Stachys palustris, Bidens tenuis, Gna- phalium uliginosum, che nella pianura friulana sono spiccatamente igrofiti, diventano arvensi nella regione montana; Nicotra (2) cita (1) GorTANI L. e M. — Op. cit... (2) NicorRA L. — Op. cit. API in basso, « engiti » in alto. Ricordo inoltre che nelle regioni elevate si spingono molte. spe- cie, Geranium, Erodium, Urtica, Stellaria, ecc., proprie delle regioni basse, e che più in su si trovano strettamente legate alle stazioni più fortemente aloidi; è vero che questa distribuzione si deve all’opera dell’uomo, ma è interessante il fatto che delle numerosissime specie disseminate dall’uomo, solo per le più alicole, e solo nelle stazioni più aloidi, sì verifichi l’attecchimento di esse nelle regioni elevate. Probabilmente nella più breve stagione propizia allo sviluppo delle piante si deve ricercare la causa di questa tendenza all’alicolismo, coll’elevarsi della stazione; l’assunzione dei sali si può fare con maggiore intensità a concentrazione moderatamente elevata, la tra- spirazione ha pure un optimum dipendente dalla concentrazione del liquido del snolo (1), e, allorchè la temperatura non concorra a fare assorbire alla pianta quella dose necessaria di sostanze mine- rali pel suo completo sviluppo (2), le condizioni del suolo possono sopperire a questa insufficienza. Se e in quanto questa penuria di assunzione di materiali nu- tritivi nelle piante coll’elevarsi della stazione provochi il microfi- tismo, e se questa causa coincida con quelle che provocano il na- nismo nelle specie peralicole, e in quelle dei terreni poverissimi, è una questione che merita uno studio accurato. Nel lavoro di Nicotra più volte citato, si indica anche che il terreno calcare favorisce la discesa delle piante proprie di zone più elevate; anche l’ Ugolini (3) conferma questo fatto, e adduce in più alcune osservazioni che porterebbero a ritenere che i terreni silicei favoriscano l’ascesa di piante basse nelle regioni elevate. Quantunque come si è visto, le condizioni osmotiche dei terreni ‘ aloidi non sì possano identificare con quelle dei terreni calcari, e quelle dei geloidi con quelle silicee; tuttavia data la maggiore fre- (1) BurcersTEIN. — Op cit. p. 224. (2) Questo fatto è dimostrato da numerosi dati analitici; oltre a quelli che si possono trovare in WoLrr. Aschenanalysen, II, p. 75, riporto alcune cifre che trovo nell’opera di Henry più volte citata, p. 41. Faggio alt, 600 m. ceneri 7,95 %, m. 1100, cen. 4,05 %. Abete m. 600, cen. 3,66 %, m. 1100, cen. 2,b1 % ; così pure per le ceneri dei pini di zone basse si ha in media 6 %, di ceneri e per quelle dei pascoli elevati si ha non più di 8%. (8) UGoLINI U. — Esplorazioni botaniche in Val Sabbia. Commentarii dell’Ateneo di Brescia, 1901. ut ae dl aan ch le affermazioni n ui due AA. fossero | in i nt con quanto sono venuto esponendo. Le relazioni tra edafismo e spostamento dei limiti vegetativi sono ancora troppo poco studiate, e troppo scarsi sono i dati di osser- vazione perchè si possano stabilire delle leggi generali. Rispetto alle argomentazioni di Nicotra, osservo che esse si fon- dano essenzialmente sopra dati statistici, nel senso che parago- nando montagne silicee e calcari, si trova che la flora è più ricca di specie alpine su queste che non su quelle (a parità di altitudine); ma ognuno sa che un terreno calcare è in senso assoluto più ricco di specie che non uno siliceo; ed in parte ciò va messo in relazione col numero maggiore di stazioni differenti, dalle peraloidi alle ge- loidi, offerto da un terreno calcare piuttosto che da uno siliceo. Quanto alle osservazioni dell’ Ugolini, non risulta ben netto se le stazioni nelle’ quali si verificano gli abbassamenti siano su roccie calcari o dolomitiche; per le roccie dolomitiche il comportamento edafico è, per dir così, amfotero, bastando spesso lievi differenze to- pografiche o Suatiohe per permettere lo stabilirsi nel suolo di con- centrazioni, di ordine affatto diverso. e ha però anche osservato il fatto inverso, che cioè la ascesa delle piante inferiori è più copiosa e a un livello più alto nelle montagne silicee che in quelle calcaree. Ora nello stesso modo che io credo di aver dimostrato, che la natura .silicea o calcare di un terreno non valgono a spiegare la differenza di distribuzione dei vegetali che su essi si osservano, e che su questo fatto hanno influenza molti altri fattori, che ho a lungo enumerato, io ritengo che le deduzioni che si possono trarre dall’essere una montagna silicea o calcarea, non possano essere suf- ficienti per stabilire una legge. Noi sappiamo quanto varie possano essere le stazioni che si osservano sopra un substratum mineralo- gicamente uniforme, a seconda delle condizioni climatiche, orogra- fiche, meccaniche, così variabili appunto in un sistema montuoso. Cita l’ Ugolini a proposito dell’ascesa di piante inferiori Car- duus nutans, Tararacum officinale, Galeopsis Tetrahit, Trifolium re- pens; specie proprie di stazioni certo differenti da quelle occupate da Calluna vulgaris, Genista tinctoria, Potentilla Tormentilla e pure riportate dall'A. promiscuamente alle precedenti; e noi sappiamo quanto differenti siano i caratteri edafici delle stazioni occupate da questi due gruppi di piante. Inoltre gli abbassamenti degìi elementi alpini hanno luogo pre- valentemente sui pendii non rivolti a sud; e assai noto è il fatto ANNALI DI BoranIica — Vot. VIII. 31 au sui quali lo stesso Ugolini ha osservato la vegetazione del castagno. Da ultimo se lo studio dei contrasti tra la flora dei terreni cal- carei e silicei ha richiesto le osservazioni di moltissimi naturalisti, per fornire una serie di dati sufficienti per orientarsi in mezzo a una congerie di apparenti eccezioni, non è da meravigliarsi se le osservazioni edafologiche riguardo alla distribuzione verticale delle piante richiedano di essere eseguite in misura ben maggiore prima di poter portare a conclusioni sicure. P. e., l’ Ugolini non fa sempre distinzione ben netta fra roccia calcarea e roccia dolomi- tica; ora molto spesso questa distinzione è indispensabile perchè data la minima solubilità della dolomite, rispetto al calcare, le pro- prietà osmotiche delie soluzioni che ne derivano possono essere ben diverse, quantunque assai affini siano le proprietà fisiche delle due roccie. I Gortani hanno p. es., constatato che nel Friuli la flora della dolomia è alquanto diversa da quella puramente calcicola, e che le roccie magnesiache cooperano alla discesa degli elementi termofughi. E probabilmente tutto l'abbondante materiale delle diligentis- sime osservazioni dell’ Ugolini potrà venire utilmente coordinato, quando si possano apprezzare le condizioni edafiche, così diverse da un punto all’altro, offerte dalle roccie dolomitiche. In pochi casi gli abbassamenti dei limiti di vegetazione pos- sono essere in relazione con un substratum più aloide, e special- mente per quelle specie alpine il cui abito xerofilo non può essere mantenuto in zone inferiori, se non è favorito da particolari con- dizioni di ipertonia del terreno. Per ora tali condizioni sono state segnalate specialmente nelle spiaggie marittime. (Schimper).: V. I composti di ferro e la resistenza dei vegetali alle concentrazioni elevate. Nello studio dei liquidi pedolitici e pedopiezici, riferito nelle prime due parti del presente lavoro, ho di frequente osservato, che, allorchè i liquidi s1 presentavano fortemente opalini, essi nel mas- simo numero dei casi erano colorati in ocraceo per ossido di ferro; evidentemente questa persistente opalescenza faceva pensare alla pre- senza di ossidi di ferro idrati, puri o combinati con materiali argillosi. Un’osservazione più accurata del fatto, mi ha portato a consta- tare che realmente dove è più ricco il terreno di composti di ferro idrati, tanto più basse sono le concentrazioni dei liquidi che vi si incontrano. Che ciò avvenga, è facile il pensarlo, quando sì consi- possono spesso provocare l'accumulo di dub di Ala bi hi a che Tio! di terra è, insieme colle SHIT tra i or che; più frequentemente rimangono in situ dopo la degradazione chi- mica delle sostanze minerali; e sono appunto i terreni più degra- dati che più d’ogni altro hanno liquidi a concentrazione bassa. È del resto noto che il silicato di allumina puro ha un potere assorbente assai scarso, e che questo diviene all’incontro assai forte quando sia mescolato con degli idrati, come quello di alluminio, di potassio o di calcio, magnesio, o di ferro. Gli ossidi di ferro poi di per sè stessi, hanno carattere nettamente colloidale. Questa influenza degli ossidi di ferro sul potere assorbente, si ‘ manifesta assai più notevole in prossimità delle miniere dove si accumulano i materiali di carico. Allo sbocco delle miniere di pir- rotina e calcopirite a Miggiandone, e Cuzzago (Ossola), di quelle di pirite arsenicale dell’alta Valle Anzasca (Ossola), di quelle di blenda e galena a Gignese (L. Maggiore), io ho osservato che le scariche antiche erano fortemente arrossate per ossido di ferro. Quivi le acque di scolo delle gallerie e che, almeno parzialmente, bagnavano tali terreni, erano più o meno fortemente mineralizzate, mentre i ciottoli un po’ grossi, fortemente rubefatti all’esterno, erano inter- namente poco alterati e contenevano solfuri. Gran parte di queste superfici erano spoglie di vegetazione, ma le prime specie che si avanzavano a conquistare il nuovo terreno, erano nettamente gelicole. Vi osservai più spesso Calluna, Silene ru- pestris, Molinia coerulea, più di rado Agrostis canina e nei luoghi più freschi e umidi Cephalozia connivens e C. bicuspidata. Qualche individuo di Calluna e di Molinia che si avanzava più presso all’acqua di scolo, mostrava, colla clorosi delle foglie, una spiccata sofferenza alle mutate condizioni d’ambiente. Quindi poichè non esistono per questi individui, delle speciali condizioni di adattamento, si puo constatare che in terreni, in via ancora di attiva alterazione, nei quali l'equilibrio tra gli agenti ester- ni e il detrito minerale è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, il potere assorbente esercita una azione così energica, che la quantità di sali presenti è sempre assai poca. I saggi pedolitici di pochissimi campioni tolti da una scarica di tale natura, hanno mostrato appunto la bassa concentrazione salina propria dei terreni geloidi, e l'assenza di qualsiasi reazione acida. I saggi sono troppo scarsi per poterne trarre delle deduzioni si- cure; credo però non inutile attrarre l’attenzione degli osservatori sopra questo tipo di terreno nuovo, il quale a differenza degli altri terreni offerti per la prima volta alla vegetazione, ospita senz'altro una flora gelicola, invece che peralicola. ile A a temente colloidali deglì idrati di ferro, non possono essere messe in relazione col meccanismo di azione dal ferro nella clorosi per cause edafiche. È noto infatti che nelle terre calcari l'appitnti di solfato di ferro può diminuire la gravità della malattia per alcune piante, spe- cialmente la vite (1). Il forte aumento di ossido di ferro nel terreno, potrebbe, per le sue proprietà colloidali, abbassare di molto la concentrazione dei . liquidi del suolo, e migliorare così le condizioni di funzionalità dei peli radicali e la nutrizione minerale delle piante. È certo che alla povertà di ferro non può essere di per sè attri- buita la causa della clorosi che si osserva nei vigneti piantati su terreni calcari, poichè vi hanno terreni calcari ricchi di ferro, nei quali la ciba sì manifesta con intensità maggiore che in quali poveri. D'altra parte nei terreni calcari umidi l'aggiunta di solfato dì ferro non ha dato risultati soddisfacenti come in quelli secchi, e la spiegazione di ciò sta probabilmente nel fatto che l’umidità favorisce una permanenza maggiore di CO,, e una più facile circolazione di Ca (CO,),, onde l’aumentata salinità del terreno non può essere com- pensata dalle proprietà colloidali del ferro. Questo elemento del resto non manca nelle foglie clorotiche, anzi in qualche caso si è dimostrato esistervi in quantità maggiore che in quelle normali; e del resto l’applicazione per irrorazione di questo elemento alle foglie, non dà alcun risultato nel caso speciale della clorosì d’origine edafica. Che la clorosi possa essere prodotta anche non da una intossi- cazione diretta delle piante, ma da un turbamento dei processi di nutrizione, è dimostrato dalle esperienze di Mazè e Perrier, secondo le quali il Mais può soffrire la clorosi allorchè lo si coltiva in so- luzione nutritizia con una quantità eccessiva di glucosio (1). VI. — Le affinità sistematiche e l’appetenza edafica. Il tenerconto della misura della concentrazione dei liquidi del ter- reno e dell’influenza che questa esercita sullé distribuzione delle piante, porta ad attribuire un'importanza notevole alle proprietà fi- (1) MAzÈ et PkRrRrIRR. — Recherches sur l’assimilation de quelques substances ternaires par les végéitaur a chlorophylle. Ann. Inst. Pasteur. 1904, p. 721. | enze a que 3 sto fatto e la prclensà di una forte Foa di ossidi di ioni ci (1). da E qui per pura ipotesi, mi domando se queste proprietà eminen- TA A ojbisio: dirne al terreno, ed una importa z i minore alla natura chimica del suolo stesso. Ma, diranno i sostenitori della teoria chimica, si debbono forse tenere in nessun conto tutte le osservazioni eseguite e i fatti sicu- .»‘’ramente constatati riguardanti le relazioni tra distribuzione dei ve- si getali e composizione chimica del suolo? Io rispondo che no; che sa- rebbe anzi un errore il voler negare l'evidenza di osservazioni inoppu- gnabili; del resto nella stessa nuova teoria osmotica che io ho esposto, io non dò importanza alle argomentazioni della teoria di Thurman, se non in quanto le proprietà fisiche (sensu lato), determinano il for- marsi di soluzioni aventi proprietà osmotiche differenti (1). Ma occorre procedere ad una seriazione dell'importanza dei fat- tori edafici che determinano la distribuzione della specie. Alcune evidenti proprietà fisiche di un terreno non possono venir trascu- rate nello studio della distribuzione; così troveremo una specie ad organi sotterranei ingrossati, preferibilmente in un terreno soffice, che in uno non tale, una specie con abito palustre in un luogo umido, Ì (1) Una notevole importanza nella distribuzione delle piante in relazione coll’edafismo, è da alcuni attribuita alle variazioni di acidità e di alcalinità del terreno. Le specie del calcare troverebbero specialmente nell’alcalinità del sub- strato le condizioni loro favorevoli, e quelle della silice avrebbero piuttosto necessità di una reazione acida. Il fatto più sopra ricordato delle variazioni di natura mineralogica del sub- strato preferito, col variare delle condizioni climatiche esclude che le condi- ‘ zioni di acidità o di alcalinità del suolo possano avere una influenza notevole; poichè non è certo il clima che possa produrre variazioni nel segno elettrico dei liquidi del suolo. Di maggiore considerazione è l’acidità forte, che a i terreni aventi il caratteristico humus acido. Vi hanno relativamente poche specie che possano sopportare tale ambiente edafico. Ma i saggi di molti pedologi, e le ricerche che io ho riferito, portano a con- chiudere che mell’humus acido una quantità molto notevole di materiali nutri- , tizii, e più di tutti l’azoto e la potassa, sono strettamente legati con com- posti insolubili. Di qui che essi non possono rimanere disciolti nel terreno. Di qui ne viene la formazione di liquidi a concentrazione minima, quindi osmoticamente poco attivi, e per questa proprietà, e per la penuria stessa di sostanze utili, improprii alla nutrizione. Del resto è noto che molte di queste specie cosidette oxicole, si trovano anche nelle torbiere assai ricche d’acqua, dove le sostanze tossiche acide potreb- bero venire allontanate dalle acque. x Le stesse specie sono del resto in gran parte comuni a terreni, come quelli î . fortemente ferrettizzati, o quellî sabbiosi silicei, nei quali l'acidità è minima o addirittura nulla. In questi nulla di comune vi “na col terreno dell’humus acido, all’infuori | della minima concentrazione dei liquidi; in un tipo di terreno è provocata dalla povertà di sali solubili e dalla scarsissima mobilità di essi per l’impermeabilità - i 0 non sa una Ape ari ai quis. i spoole Ob NIRO xerof Rigan un secco e soleggiato, che non nel fondo di una foresta. // Così è per molte specie, rispetto alla composizione chimica del suolo: e nelle pagine seguenti passerò in esame queste relazioni tra. composizione chimica del suolo e distribuzione. . Queste relazioni si possono considerare sotto due aspetti, fobie cioè, e appetenze. Gli studii moderni degli edafisti hanno portato a ritenere che in qualche caso sì tratta piuttosto di fobie che di appetenze, tanto che si parla piuttosto di calcifughe che di silicicole, di piante che sfuggono il cloruro di sodio, ecc. È fuor di luogo l’insistere sopra quei fatti di fobie che hanno lvogo per sostanze evidentemente tossiche per la vita in genere, come per i sali di bario, i terreni acidi p. e. piritosi, o troppo alcalini per carbonato di sodio, ecc. Esclusi questi casi speciali, la fobia si manifesta essenzialmente verso il cloruro di sodio e il carbonato di calcio. La fobia pel cloruro di sodio ha luogo solo quando esso si trova in soluzioni relativamente concentrate, e tali da generare una solu- zione ipertonica rispetto a quella che si trova normalmente intorno alle radici di ogni determinata specie. Bastano quantità relativamente piccole di cloruro di sodio per generare un ambiente ipertonico; questo composto anzitutto è tra i corpi meno assorbibili dal terreno, e tutta la quantità di esso esistente nel suolo è perciò osmoticamente attiva; inoltre è straordinariamente diffusibile, e quindi nel terreno. tutte le parti ne sono impregnate, quando il sale si trovi anche in dose assai piccola. Dato il basso peso molecolare del cloruro di sodio, quantità in peso eguali di Na Cl e di K NO, contenute nel terreno danno luogo a soluzioni aventi pressioni osmotiche diver- sissime (sol. 1 ©, di Na Cl atm. 6,09, sol. 1% K NO, atm. 3,50). Il cloruro di sodio è perciò assai più attivo osmoticamente che non il nitrato di potassio, e quindi si spiega facilmente la sua dell'argilla; nell’altrolo è dal costante allontanamento di tutto ciò che vi è di solu- bile ad ogni sopravvenire di pioggia. Di un’ultima influenza del calcare del suolo sulla vegetazione io debbo far cenno, ed è di quella che riguarda la capacità di questo elemento a favorire l'allontanamento di alcuni materiali tossici escreti dalle radici delle piante. (Schreiner 0., Read S. H. and Skinner I. Certain organic Constituents ot soils in relation to soil Fertility, U. S. Dep. of Agr. Pur. of Soils Bull. 47, 1907). Ma è certo questa una funzione d’ordine secondario, rispetto alla distribu- zione geografica delle piante poichè, in questo ordine di fenomeni il calcare agisce come repulsivo per molte piante, mentre, secondo le ricerche degli autori americani sopra ricordati, l’azione del calcio sarebbe fortemente favorevole. | Muieftre, per la scarsa assorbibilità e la grande solubilità di Na GI, esso è tra i corpi che più di ogni altro possono determiuare un am- biente anastatico, e quindi improprio per molte piante. Del resto osservazioni antiche e esperienze recenti (1), tendono a mostrare che il cloruro di sodio in piccola dose è tutt'altro che tossico per la vegetazione; probabilmente appunto perchè le oscil- lazioni di concentfazione da esso provocate nel terreno, favoriscono i processi osmotici di assorbimento dei peli radicali. La tossicità del cloruro di sodio poi è più o meno grande, anche per le piante alofite, quando la presenza del sale nelle soluzioni am- bienti alle radici, sia disgiunta o no dalla presenza di sostanze nu- tritizie assimilabili dalle piante (2). Lo stesso fatto si verifica pel carbonato di calcio; se nella libera natura molte piante fuggono il calcare, esperienze di alcuni autori mostrano che esse possono svilupparsi bene nei terreni calcari, quando il suolo contenga in dose sufficiente i materiali nutritizi. Roux (3) ricorda delle esperienze di Viviand-Morel, secondo le quali parecchie piante evidentemente silicicole prosperano benissimo nei giardini di regioni calcari, nella terra dei quali, oltre al carbonato di calcio, esistono in copia notevole sostanze nutritizie prontamente utilizzabili, e certo in misura ben maggiore che non nei terreni vergini, dove crescono spontanee le stesse piante. È probabilmente sotto questo punto di vista (4) che va interpretata l’affermazione di Bonnier, che tutte le piante possono vivere in qualunque terreno, quando vengano sottratte alla lotta per l’esistenza. Del resto anche la fobia pel calcare si manifesta solo quando questo corpo si trova in una certa proporzione non rispetto al ter- reno, ma rispetto alla quantità di sostanze solubili o di sostanze disciolte; per esempio nelle roccie a feldspato calcifero, la quantità di CaCO, presente nei prodotti di degradazione è relativamente pic- cola, ma è assai forte, e tale da determinare una concentrazione relativamente notevole, per rispetto alla quantità di liquido e ad altre sostanze solubili esistenti nei prodotti di degradazione delle roccie (1) Cfr. p. e. StTROoEMER F., Brew H. u. FALLADA 0. — Uber Chlornatrium- Diingung zu Zuckerriiben. Osterr.-Ung. Zeitschr. f. Zucker-Industrie u. Land- wirtschaft, 1908. Ref. Zeitschr. f. Pflanzenkrankeiten, XX, 1910, p. 92. (2) Casu A. — Op. cit., p. III. (3) Roux CL — Op. cit., p. 106. (4) BonnIER G. — Op. cit. dae 3 Rskrimento di unt aan di K. S| MA i aa note le esperienze di Weber (1), secondo le Goal PaMO8 HO ai non è tossico per gli sfagni, che a concentrazione relativamente alta; — “an in soluzioni assai diluite non lo è affatto. ù Noi possiamo ritenere che la fobia pel calcio, anzi pel carbonato di calcio, è determinata anzitutto dalla elevata pressione osmotica — | che esso può determinare, e quindi dai turbamenti che esso può' pro- durre nella assunzione delle sostanze destinate a essere elaborate dalle piante. Più spiccati sono i casi di appetenza per determinati elementi: ma anche questi non vanno considerati in un senso così largo, quale intendono i sostenitori dell’edafismo chimico. Ricordo le parole di Malinvand (2) che era « convinto che molte piante reputate con ragione esclusivamente calcicole in una regione, possono dimostrarsi indifferenti o anche silicicole in un’altra ». Infatti, per le specie ad area distributiva molto estesa, noi ve- diamo una infinità di casì che permettono una funzione edaficamente vicariante di un composto chimico coll’altro. Ho ricordato gli esempi di condizioni chimico-edafiche vicarianti per l’Ononis Natrix (CaCO, e Al, (SO,),), di molte piante pel cal-. care e la serpentina (Prunus Mahaleb, Helianthemum Fumana, Isatis tinctoria, Adianthum Capillus Veneris (3), Scolopendrium officina- rum, ece.); così è per l’Inula viscosa delle spiaggie saline e dei ter- reni calcari; così per molte specie del gen. Malva, Althaea, Lava- tera, alofite e nitrofile; per la Salsola Kal alofita in Europa e ar- vense in America (4), così per una serie lunghissima di alofite che sono altresì ruderali nelle stazioni lontane dalle acque salse. (Sal- sola Tragus, Atripler Halimus, Carduus pychnocephalus, Polypogon monspeliensis, ecc.). i In generale si può dire che tutti i cataloghi floristici (5), nei quali le piante sono elencate secondo la loro appetenza edafica, pro- vano l’esistenza sempre più numerosa di specie indifferenti alla (1) WrsER. — Jahresber. d. Miinner vom Morgenst. Heimatbund an Elb und Wesermundung 1900, Hett. 8; GragbneR P. — Handbuch d. Heidekultur. — pri» (2) MaLINvaND — Bull. Soc. Bot. d. Fr., 1886, XXXIII, p. XLIV. (8) Nella località ricordata è degna di nota la notevolissima secchezza e la forte insolazione, quest’ultima anche per l’Adianthum, condizioni che favori- scono come si è visto più sopra, lo stabilirsi di una vegetazione alicola. 2A (4, ScHimPer. — Planzengeographie. i (5) IvoLas 1. — Plantes calcicoles et calcifuges de l’Aveyron. Bull. ‘Soc, Bot. Fr., 1886, XXIII. p. XXXV. L] 1A RO ubstratum, dei in finto particola pia una “estesa area di distribuzione. e All’incontro si osserva una vera esclusività Aimnico idolo De: SO | proposito delle specie a area distributiva ristretta, più ancora per le endemiche, e per molte varietà e sopratutto forme. Si deve osservare che per le specie endemiche la esclusività eda- 0. fica risulta a noi solo a causa della ristrettezza dell’area, nella quale di sh ci occorre di fare l’osservazione, onde in questa non possono verifi - carsi quelle variazioni di condizioni fisiche e climatiche, alle quali si debbono i cambiamenti nella così detta appetenza chimica. Per molte specie non endemiche, invece, a lato di una specie esclusivamente preferente, p. e. pel calcare, si trovano delle specie affini proprie di altri substrati, e più frequente è il caso di un tipo edaficamente indifferente, il quale presenta delle varietà o delle forme esclusive sotto i rispetti della composizione chimica del suolo. Ho già ricordato in altro lavoro la stretta analogia tra cheno- podiacee e amarantacee alofite e ruderali, e la stessa analogia corre tra le alofite Polygonum maritimum, Rumex maritimus, Euphorbia Peplis, E. Paralias, Daucus maritimus, Solanum sodomaeum, Erodium maritimum, e le ruderali Polygonum aviculare, Rumex sp. pl., Eu- phorbia Peplus, E. Helioscopia, Daucus Carota, Solanum nigrum, Ero- dium cicutarium, E. malacoides. Per i terreni non salati, sono degne di nota le relazioni tra specie affini Epilobium collinum (silic.) e E. montanum (calc.), Rhododendron ferrugineum (s) e Rh. hirsutum (c), Achillaea moschata (c) e A. atrata (s) (1), Androsace glacialis (s) e A. pubescens (c). Queste sono già specie molto affini, le quali da molti autori ven- gono considerate come varietà di una sola. | Passando a considerare le varietà e forme, ricordo la Silene mari- tima, (varietà alofita della S. vulgaris,) la Beta maritima (B. vulgaris), la Plantago maritima (PI. serpentina), Polygonum litorale {P. avicu- lare), Sonchus maritimus (S. arvensis); Sesleria disticha (varietà calci- cola della S. caerulea), Polypodium calcareum (P. Dryopteris), Alsine villosula Koch (A.. Villarsii), A. herniaroides Rion (A. aretivides) Hutchinsia pauciflora, varietà calcicola dell’alofila H. procumbens. Se se ne eccettua la Plantago, tutte le altre specie non perdono il carattere alicolo col mutare dell’appetenza chimica. (1) Roux CL. — Op. cit., p. 128; MAGNIN A. — L’Edaphisme chimique, Be- sancon, Mem. Soc. Hist. nat. du Doghei 1903 d . (2) Vaccari L. — Schedae ad Hidan italicam exiccatam, n. 526, 528, N. G. Bot. It., XIV serie, 1907. i Pa ant, Così” pure della asa o sile Vince fox state distinte delle varietà che sono calcicole esclusive (1), mat tutte, indifferenti o calcicole, sono alicole. do: “È Oltre ai casi più frequenti delle forme speciali al dotare sodico o al carbonato di calcio, abbiamo quelle caratteristiche delle roccie magnesiache (A. adulterinum, var. dell'A. viride, e A. serpentinum var. dell'A. adianthum nigrum (2), Woodsia glabella, var. dolomiticola della W. kyperborea), ecc. Tale è il caso della Viola calaminaria (V. lutea), Thlaspi cala- minare (Th. alpestre), forme caratteristiche dei terreni calaminiferi. Noi perciò non dobbiamo affatto escludere i fatti di appetenza chimica constatati dai fitostatici, ma dobbiamo tenerne conto solo. in via subordinata. Mentre la calcifilia, zincifilia, magnesiofilia, ecc., esclusive sono proprie di forme, di varietà o di piccole specie, sono cioè sotto un certo aspetto caratteri sistematici di piccolo conto; noi vediamo ìil carattere dell’alicolismo o del gelicolismo essere di dignità alquanto maggiore. Per esempio, molti generi sono edaficamente caratteristici, si osmoticamente che chimicamente; le Salicornie e î Tamarir perali- coli, le Droserae, i Vaccinium e gli Ornithopus che sono pergelicoli. ma altri molti lo sono osmoticamente e non chimicamente ; ricordo le Salsolae, i Chenopodium, i Polygonum, Rumex,le Althea che sono pe- ralicoli, sia verso i nitrati, che verso i cloruri e i carbonati alcalini. Molte Artemisiae sono alicole per Na Cl o per CaC 0, K No,, alcuni Linum sono alofiti, altri calcicoli, altri calcifugi, ma la stazione da essi preferita è sempre aloide, sia essa per NaCl o per CaC0, 0. per sali potassici, quali si trovano abbondanti nei campi. Altri ge- neri sono gelicoli, come le Montia, che galleggiano sull'acqua o ve- getano sulla terra argillosa; così è del /’olypodium vulgare sia che cresca sulla corteccia di un castagno, o sopra una rupe silicea arida. Tale è il caso di molti muschi e licheni corticicoli e silicicoli, e y . Di . . . . della Gentiana Pneumonanthe cha sl sviluppa tra la sabbia umida di un colaticcio di montagna o nell’humus acido di una brughiera. Ed a proposito di piante umicole sono degne di nota la CaZluna, che prospera nelle stazioni geloidi, siano esse determinate dall’humus poverissimo di sostanze solubili, o dai substrati minerali silicei: e molte arboricole, che non cessano di essere peralicole tra le sca- (1) MALINVAUD. — L. cit. (2) Queste due varietà, se coltivate fuori di terreno serpentinoso, danno già alla sesta generazione origine alla forma tipica. (SADEBECH R. — Uber die gene- razionsweise fortgesetzen Aussaaten und Kulturen der Serpentinformen der Farngattung Asplenium. Sitz.-Ber. d. Ges. t. Bot., Hamburg, III, 1889. Metti 23) dica 3 tatto si osserva in n'alcuni aggruppamenti sistematici più ‘elevati di questi. Peralicole anastatiche sono in genere le chenopodiacee e le ama- rantacee; nella prima famiglia si va dalle specie che si sviluppano in relazione colle concentrazioni massime compatibili colla vita fane- rogamica, determinata dai sali più tossici (Na, CO,) (1), o più osmoti- camente attivi (Na Cl), fino alle peralicole per nitrato di calcio o di sodio o di potassio, oppure per carbonato di calcio (Kockia), 0 infine per carbonato potassico, come sì osserva in molti campi (Che- nopodium album), è che probabilmente si trovano in relazione colle pressioni osmotiche minime che si possono osservare per le specie di questa famiglia. Le poligonacee sono pure peralicole o alicole, e in grado mas- simo lo è probabilmente il P. maritimum; un po’ meno lo sono 1 Rumex ruderali; le minori concentrazioni sono forse quelle delle sta- zioni occupate da Rumer Acetosella e Oxyria digyna; il primo vive specialmente in rapporto con terreni potassici, la seconda sì osserva nelle stazioni più aloidi che è dato osservare nella regione alpina. La preferenza per i sali potassici, che si osserva in generale nelle specie di questa famiglia, va ricercata nel fatto che gli ossalati solubili, che costituiscono in queste piante gli elettroliti principali delle soluzioni endocellulari, non possono essere dati da sali calcari. Anche le crocifere hanno un abito alicolo; per le peralicole alo- fite (Crambe, Kakile), per molte ruderali e arvensi (Lepidium rude- rale, Capsella Bursa Pastoris), per quelle frequentissime nei terreni calcari (Vesicaria utriculata, Iberis: sempervirens), non è dubbio il carattere aloide della stazione da esse preferita. Ma altresi per le cosidette silicicole, e sono poche (Nasturtium pyrenaicum, Teesdalia, Barbarea praecor), un esame anche superficiale della stazione, porta a constatare che si tratta di terreni, nei quali esiste pure una certa concentrazione delle soluzioni, la quale è determinata sia dalla strut- tura fisica del terreno, sia dalla “presenza di uno scheletro minerale capace di formare in copia sali potassici solubili. Le malvacee spiccano pel loro carattere alicolo; i limiti estremi sono rappresentati, da un lato dalle A/thea dei luoghi salsi, e dal- l’altro, per quanto io so, dalla Malva moschata dei pendii sassosi sub- alpini. (1) La forte alcalinità di questo corpo ha certo una influenza notevole sul plasma vegetale. i — dA A È 8 pi otre i acle i ‘famiglie delle alsinee, So Sata scrofulariacee, >, plar esse ha luogo una graduale progressione dalle specie ‘peralicole per. cloruro sodico (Spergularia marina, Sagina maritima, Arenaria pe- ploides, Glaucium flavum, Linaria arenaria, Plantago Psyllium), a “Ra quelle peralicole per nitrati (Saponaria officinalis, Chelidonium majus, È Verbascum Phlomoides, Plantago major), alle arvensi (Stellaria media, Papaver Rhoeas, Veronica hederaefolia, Plantago lanceolata), e giù fino | alle alicole per carbonato di calcio (Saponaria ocymoides, Hypecoum . >» pendulum, Linaria serpyllifolia, Plantago Cymops). Ne troviamo anche di quelle abitanti stazioni geloidi, ma tuttavia tra le più aloidi che sì possano osservare in un ambiente geloide; così è per la St/ene rupestris delle rupi silicee, della Plantago serpentina delle roccie ser- pentinose, dell’Anarrhinum bellidifolium delle ghiaie e delle sabbie silicee; stazioni queste di tipo geloide, ma anastatico; e già più sopra insistei sul fatto che l’anastatismo di una stazione accentua gli effetti di una pressione osmotica, anche debole. A facies gelicolo sono da ricordare le famiglie delle Ericacee e delle Droseracee (almeno per rispetto alle specie europee), delle quali anche i rappresentanti che vivono sul calcare, vi si trovano in condizioni tali, per la degradazione della roccia e per la presenza di composti umici, da sopportare sempre delle pressioni osmotiche poco elevate. i I pochi cenni che ho fatto, valgono a dimostrare che anche nel- l’appetenza edafica esistono dei caratteri comuni di faniglia; evi- dentemente non è possibile trovarli tutti egualmente spiccati, come del resto ha luogo per altri caratteri morfologici o biologici, o chi- mici, e tanto più difficile è l’osservare l'uniformità nelle famiglie estese che in quelle ristrette. Così nella famiglia pur tanto naturale delle leguminose, sì osser- vano specie con frutti a tipico legume, altri con legume monospermo indeiscente che ricorda l’achenio, altre a legume monospermo a parti carnose di tipo drupaceo (sophora). Le potamogetonacee hanno specie tutte idrofite mentre nelle ranuncolacee si trovano idro, meso e “xerofite: e nella famiglia delle crocifere, pur così naturale, accanto a specie nelle quali i glucosidi solfocianici esistono in quantità notevolissima, troviamo altre nelle quali tali corpi esistono in minima quantità, ma pur sempre tali da mostrare l'affinità chimico-biologica che lega le diverse specie della medesima famiglia. Nello stesso modo in una famiglia si osserva tipico il peralico- lismo, per lo più a causa della sostanza più solubile e che può trovarsi in maggior concentrazione nelle stazioni vegetali, (Na C1), e si vede poi . > ne LIA a proprietà, passando per «È nitrati. at Pa: -@ nato ut tanto on se si Salata fare una suddivisione, p. e., o pera licolismo anastatico 0 eustatico, sì potrebbe accennare a perali colismo sodico, nitrico, calcico e potassico. — RESSE . bo u? VI “Le feggi della distribuzione edafica delle piante. Un riassunto delle argomentazioni e delle osservazioni, che io ho addotto nel corso del lavoro, sarebbe impossibilea fare in brevi parole; mi limiterò quindi a esporre brevemente come io intendo dovrebbero essere formulate le leggi che regolano la distribuzione edafica delle piante, secondo i risultati delle ricerche dei fitostatici moderni e delle mie. | Premesso che non si deve tener conto nell’enunciare queste leggi, delle disposizioni morfologiche del sistema assorbente stesso, sia cioè esso adattato per un ambiente rupestre, o sabbioso, o fangoso, o li- . quido, e che si deve cioè tener conto solo del rapporto tra cellule assorbenti e substrato nutriente, le disposizioni regolatrici dell’eda- fismo sono le seguenti: 1. Le relazioni tra il terreno ed il sistema assorbente delle piante, sono regolate dalla pressione osmotica che le soluzioni esi- stenti nel terreno, possono esercitare sugli elementi assorbenti. 2. Le pressioni osmotiche delle soluzioni del terreno sono de- terminate dalle concentrazioni di esse, e queste a loro volta da un complesso di fattori, dei quali nè quelli chimici, nè quelli fisici del suolo, nè quelli climatici, nè quelli biologici del rivestimento vege- tale, presente o assente, vivo o morto, hanno un'azione sempre pre- ponderante. Il mutuo contrasto di questi fattori determina il for- marsi Gi diverse concentrazioni, talora stabili per tutto il periodo vegetativo annuale delle piante, talora instabile. 9. Da tutte queste combinazioni che si possono generare dalla influenza prevalente, ora dell’uno ora dell’altro fattore, hanno origine i caratteri edafici delle stazioni, onde esse possono venire individuate dalla misura e dalla stabilità delle concentrazioni dei liquidi del suolo. 4. Le concentrazioni elevate, e più ancora le variazioni brusche nella misura di esse (anastatismo), esercitano nella pianta un'azione nociva, onde non tutte le specie possono sopportare tale ambiente, osmoticamente ipertonico: all'incontro il massimo numero delle piante possono vivere ottimamente in ambiente ipotonico rispetto . alle concentrazioni per loro normali. dl a SLI Vane attraverso a questo nono puè hi penetrare in misura sufficiente l’acqua necessaria ai bisogni della vita, e sì ha allora riduzione della traspirazione, oppure, e più di frequente, non possono penetrare i sali necessari ‘alla funzione nu- tritizia. 6. Sotto l’intluenza di queste perturbazioni, entrano nelle piante non solo i sali necessarii alla funzione nutritizia, ma anche altri corpi disciolti. Della presenza di questi le piante possono fare a meno, perchè non entrano a far parte del plasma più attivamente funzio- nante, ma agiscono, in quanto creano nell'interno degli elementi cellulari (come tali, o previa una sommaria elaborazione), delle solu- zioni capaci di equilibrare le condizioni osmotiche dell'ambiente terreno; 0 capaci di venire utilizzate per compensare il diminuito afflusso d’acqua, provocato dalla ipertonia dei liquidi del suolo, o ad- dirittura per compensare le condizioni sfavorevoli provenienti da | fattori climatici diversi, secchezza, insolazione, ecc. 7. Occorre adunque distinguere i corpi solubili esistenti nel suolo in due gruppi: sostanze osmotiche, capaci di creare l’ambiente osmotico fuori della pianta, e talora anche nei tessuti della pianta, e sostanze plastiche, alle quali si deve la vera e propria funzione del ricambio nell'organismo vegetale. i 8. La presenza in misura eccessiva nel terreno di sostanze osmotiche, rispetto a quelle plastiche, determina dei disturbi di nu- trizione, che si esplicano in una differente composizione elementare delle ceneri, e questa è, per alcune piante; dimostrato essere in rapporto con fenomeni di clorosi. 9. Se sì procede ad una seriazione dei caratteri determinanti l’appetenza edafica delle piante, si debbono considerare in primo luogo quelli dipendenti dalla misura della concentrazione dei li- quidi ambienti alle piante ed in via subordinata quelli chimici. Mentre ì primi sono comuni a gruppi sistematici abbastanza estesi, e possono venire determinati da composti di differente natura chi- mica purchè solubili, i secondi sono limitati a gruppi assai piccoli, e più spesso sono esclusivi solo di forme o varietà, mentre i tipi, a cul essi appartengono, sono indifferenti palio all’appetenza chimica. Naturalmente vanno esclusi dal novero quei fatti di appetenza per alcuni composti chimici che sono indispensabili pel metabo- ismo di determinati organismi vegetali (H,S' per i tio bacterii, composti di ferro peri ferro bacterii, Ca (CO,), per le alghe incro- stanti, ecc.). È in ai: aloidi, qeloidi e pergeloidi, secondo che le concentrazioni sono più o meno elevate; e ciascuna di queste in anastatiche e eu- statiche, se la misura della concentrazione varia o rimane costante durante il periodo di attività vegetativa della pianta. Le specie ospitate in queste stazioni, possono essere quindi pe- ralicole, alicole, gelicole e pergelicole, rispettivamente anastatiche e eustatiche. Torino, R_ Istituto Botanico, 11 giugno 1910. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tav. XIII. — Espressione grafica del comportamento alla pedolisi progressiva di alcuni campioni di terra (Vedi Tab. IX). T Comportamento teorico del dilavamento (Cfr. Parte I Cap. V.) secondo la formola: ge m.,% m.W Fig. 1, N. 11. — Terra delle aiuole dell’Orto Botanico non concimata. N. 13. Margine di strada nell’abitato di Giaveno N. 25. Terra calcare a Meana, arida, con veget. di Sedum album e Artemisia Absinthium. N. 28. Terra cal- care tra le radici di Avena sempervirens a Carnino nell’alta V. Tanaro. N. 51. Detriti di roccia di gneiss a Cesara (L. d’Orta). N. 58. Humus superficiale di Brughiera a Trobaso. Fig. 2, N. 23. — Prato all’Orto Botanico. N 30. Marna degradata di Gassino. N. 46 Bosco di castagni su gneiss presso Giaveno. N. 29. Terra sotto la cotica di un pascolo al Colle dei Signori nell'alta V. Tanaro (m. 2000). Fig. 3, N. 87. — Detriti di roccie serpentinose sul M. Musinè (Torino). N. 49. Terriccio fra le radici di Festuca rubra sopra una rupe di gneiss a Piedimulera. N. 48. Humus di un bosco di faggi a Fomarco (Ossola). Ogni grado nel senso dell’asse delle ascisse corrisponde a 2 ce. di liquido proveniente dalla pedolisi; ogni grado nel senso dell’asse delle ordinate corri- sponde a 2 cgr. di residuo secco °/00 di liquido. Il tratto orizzontale col quale si inizia ogni grafico, corrisponde alla concentrazione della prima porzione sgocciolante e per una quantità di ce. eguale alla somma dei cc. delle porzioni stesse, più la quantità acqua tratte- nuta nella terra prima di lasciare cedere l’eccesso; ho desunto questa quantità dalla misura del liquido avuto dalla torchiatura finale del campione di terra. Tav. XIV. — Espressione grafica della precipitazione giornaliera della pioggia nelle stazioni di Cagliari, Novara e Domodossola durante l’anno 1907. Ogni grado nel senso dell’asse delle ascisse corrisponde ad ogni periodo di 24 ore; ogni grado nel senso dell’asse delle ordinate corrisponde a 1mm di pioggia caduta nelle 24 ore. (Dedotto del Boll. dell’ Uffic. centr. di. Meteoro- logia Roma.. 1 Ì + i Ì I VE -HTESA RDPLOR ERE EDO BON ERE SZ tt Ea IPA Ì in I I LN PO ELA SOT LT UR I 4 ni Ir | | | | | | | | | | i oe PIRENEI SI CENE TSREA PERECTELta | SUE TARILO LONMR [OStEi | | | | Î | Aprile. Maggio. Giugno. Luglio. Agosto. Settemb. Ottobre. Novemb.. n a EN ‘D]OSSOPoOnti — el virà pr = ll ia dea È 20 Lul AO A Tav. XIV ig z è e La] ERE GIRIAZONABBLLA I. Concentrazione dei liquidi risultanti dallo spappolamento in acqua di quantità varie di terra fine. ANNALI DI BoranIcA — VoL. VIII. i Concentrazione °/xo : sE I, S CARATTERI DEI. CAMPIONE DI TERRA Quantità di terra (gr.) E È rispetto all’acqua z 10: 20 10:50 |10:100[10:150 1| Humusdi brughiera di Trobaso E AN GISErAtO*SUpert. cai: 0.0 , 3 _ 0,22 | — - 2 | Humus di brughiera di Trobaso 6 n a 20 cm, di prof.. 4 34) 0;12:| è CRE 3 | Humus di brughiera sui colli di Levone (Ca- navese) — 0,24 | — _ 4 | Humus di un bosco di faggi su roccie di gneiss È a Fomarco (Ossola). —_ 0,30 | — — 5 | Sabbie silicee nell’alveo della Stura di Lanzo. | 0,11 | 0,10| — — 6 | Sabbie di trasporto eolico a Mortara . _ 0,19 | — = 7 | Terra di brughiera sopra gneiss caolinizzato a Levone 0,24 | 0,25 | 0,24 | 0,26 8 | Terra di brughiera sopra gneiss a Cumiana (essicata all’aria). _ 0.15 | — _ 9 | Argilla di ferrettizzazione del Diluvium medio a S. Maurizio Canavese, con vegetazione di brughiera —_ 0,15 | 0,10 | O,ll 10 | Terra di pascolo sopra detriti di roccie serpen- tinose argillificate a Lanzo . . . . . .| 0,10| 0,05| — _ 11 | Terra di pascolo sopra detriti di roccie serpen- tinose sul M. Musinè (Torino). . . . . .| — | 0,25| 0,14| 0,14 12 | Argilla pliocenica ricca di solfati a Levone -- 0,15 | — = 13 | Marna della Collina di Torino, assai alterata e con vegetazione di brughiera . . . . .| 0,50 | 0,16 | 0,13 | 0,14 14 | Marna della Collina di Torino, poco alterata .| — | 0,85 | 0,20 | 0,18 32 ezio ri 10 Un. Pi DS Num. d'ordine ge ù U] IIPA > Seo E U ) . so) T ABELLA Io CARATTERI DEL CAMPIONE DI TERRA 15 | Marna dei colli presso Gassino (Torino). 16 Altro campione dei colli di Gassino . 17 18 19 20 21 29 30 SI Terra di un castagneto sopra roccie di calce- scisti degradate a Meana (Susa) (essicata) . Detriti di calcecisti a Meana (Susa) con vege- tazione di Sesleria caerulea. Detriti di calcescisti a Meana (Susa) assai più fini, con vegetazione di Lavandula . Prateria subalpina a Riva Valdobbia (Val Sesia) m. 1100, gneiss . . . Prato asciutto presso Levone (Lanzo), gneiss. Prato torboso presso Cesara (L. d’Orta) gneiss. Prato torboso presso Levone Canav., gneiss . Prato su alluvione riccamente calcifera a Bus- soleno (Susa) Campo argilloso a Levone Canavese . , Campo argilloso a Troffarello (Torino) . Campo sabbioso siliceo lungo l’Anza a Piedi- mulera (Ossola)... . Terra in un vigneto sopra la rocca di Cavour, con vegetazione di Stellaria media e Urtica Pene n ey Margine di strada inghiaiata con pietrisco do- lomitico a Laveno (L. Maggiore) Limo di un pantano prosciugato con vegeta- zione di Stellaria media, Polygonum, ecc., & Troffarello (Torino). .® Quantità di terra (gr.) rispetto all'acqua 10 : 20 | 10 : 50 |10:100|10: 150 Limo di spurgo di un canale lungo la Dora R ija 0,20 | 0,19 0,21 | 0,18 0,20 | 0,17 0,17 | 0,16 0,23 | 0,18 0,22 | 0,17 0,26 | 0,26 0,67 | 0,85 BEI Ag i : TABELLA II. Comportamento alla dialisi dei liquidi ottenuti da diversi terreni. E Concentrazione °/s0 To s CARATTERI DEL CAMPIONE o 9 2 © I Provenienza del liquido OSS] ES : DI TERRENO SE son Ss 5 S5 |#85| 23 1 | Margine di strada presso La- MOMO SS Liq. pedolitico 2,00 | 0,49 | 1,51 2 | Palude salata a Campospinoso (Voghera) racc. in autunno. |Liq. pedopiezico prev. | 2,95 | 1,22 | 1,73 8 | Terriccio con vegetazione ru- derale presso una stalla nel- l’alta V. Tanaro (m. 1600). Lig. pedopiezico 1,40 | 0,41 | 0,99 4 | Terriccio su un salice con veg. di arboricola a S. Maurizio 4 (Ciriè) dr pedopiezico prev. | 6,68 | 4,05 | 2,63 Liq. pedolitico 6,27 | 3,15 | 3,12 si Liq. pedopiezico 2,19 | 1,68] 0,81 | Ari Liq. pedopiezico prev. | 0,48 | 0,80 | 0,15 5 | Terriccio su un tronco di ca- stagno a Piedimulera con < Lig. pedolitico 0,61 | 0,33 | 0,28 veg. di Luzula nivea . - ci: Liq. pedopicrico 0,50 | 0,80 | 0,20 Liq. pedolitico 0,80 | 0,24 | 0,56 6 | Terra calcare nell’alta V. Ta- naro con veg. di Avena sem- altra porz. id. (1) 0,50 | 0,06 | 0,24 GIORNO LEONI a i Î Lig. pedopiezico 0,48 | 0,17 | 081 Detriti di roccia dolomitica con veg. di Galeopsis . . Lig. pedolitico 0,25 | 0,17 | 0,08 ( Lig. pedolitico 1,13 | 0,81 | 0,82 | Liq. pedopiezico 0,64 | 0,20 | 0,44 Ì _1 8 | Marna a Gassino (Torino). 9 | Terra di un bosco di Larice su Lig. pedolitico 1,13 | 0,58 | 0,55 calcare a Salbertrand Ba) Liq. pedopiezico 0,71 | 041| 0,0 degradato con veg. di Fe- stuca Sa ‘Potentilla Tormentilla ecc. Liq. pedopiezico 0,35 | 0,29 | 0,06 11 | Pendio su serpentino assai de- gradato con veg. di Calluna, Genista tinctoria Liq. pedopiezico 0,20 | 0,17 | 0,03 12 | Brughiera su gneiss assai al. terato a Cumiana (Torino). Liq. pedolitico 0,17 | 0,10 | 0,01 Lig. pedolitico 0,69 | 0,20 | 0,01 Liq. pedopiezico 0,38 | 0,28 | 0,10 15 | Terriccio suun masso di gneiss | 10 | Pascolo su serpentino assai \ con veg. di Festuca Sa (1) Proveniente dalla pe dolisi progressiva (Cfr. Parte I Cap. VI). si È È n La ASCA de 2° Segue : + TABELLA I 2 | Concentrazione og © CASS CARATTERI DEL CAMPIONE PEta TRS el SNA A Provenienza del liquido CE E La E SI 4 Dì TERRENO BE |ERa | se eg E = |3S£| eS Z 3° |s°7| 88 Ss ce 14 | BOSCO di castagni con fitto co- perto di TOTI ichum 3-60) MOSsum +. Liq. pedolitico 0,22 | 0,05 | 0,17 Liq. pedopiezico 0,26 | 0,20 | 0,06 Ea pedopiezico prev. | 0,38 | 0,32 | 0,06 Liq. pedolitico 0,34 | 0,19 | 0,15 Liq. pedopiezico | 0,51 | 0,45 | 0,06 loso ferrettizzato di origine | 15 | Brughiera su terreno argil- diluviale a Oleggio (Novara) 16 | Humus di un pascolo alpino in V. Tanaro sul M. Mar- guareis, m. 2300 . . . . |Liq. pedopiezico prev. | 0,25 0,23 | 0,02 17 | Humus di una brughiera re- Liq. pedopiezico prev.| 0,70 | 0,32 | 0,38 ‘ cente e poco folta a Cuzzago Liq. pedolitico 0,15 | 0,05 | 0,10 (Orpola)z green Lig ‘pedopiezioo. ‘1|0,28 |. 0,0600166 18 | Sabbia gialla sotto una bru- ghiera a Borgo Ticino . . |Liq. pedopiezico prev. | 0.05 | 0,05 | 0,00 19 | Humus di brughiera folta e \ Liq. pedopiezico prev.| 0,25 | 0,15 | 0,10 vecchia a Borgo Ticino. - | ‘Lig. pedolitico | 0,05 | 0,04 | 0,01 TasELLA III. Residuo secco dei liquidi di alcuni terreni prima e dopo il riscaldamento all’ebollizione. E Liquido Liquido Liquido. È POMPPINESSD edolitico edopiezico 2 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI preventivo a PARE E normale| bollito Inormale| bollito normale boilito 1| Terriccio di fessure di rupi cal- a Salbertrand (V. di 3008) (Tab. A4V. n di) 0,64 | 0,45 | — pls ei Nd caricin Vedi Sosa; Uil... | — _ 0,89 | 0,61 | 0,78 | 0,58 2 | Terriccio di fessure di rupi cal- cari in V. di Susa essicato. .| — - 1,75 | 1,20| 0,68 | 0,37 8 | Terriccio di fessure di rupi cal- cari in V.diSusa... . . .| — — | 0,87 | 0,85| 0,40 | 0,36 4 Pendio di pascolo in V. di Susa | — = 0,78 | 0,72| 0,65 | 0,44 b | Fanghiglia palustre di vasca con veg. di Nelumbium da XIV IL) A 1,27 | 0,865| — _ _ ag 6 | Prateria con acque a si | net wr FRS or da terreni di differenti proprio chimiche, vata al l i Bigudlo Liquido Liquido } & De L ; edopiezico | pedolitico | pedopiezico 3 è 207 CARATTERI DEL CAMPIONE preventivo x DEE oe be ig i È AL S residuo °/oo | residuo °/s0 | residuo ®/oo be i 1 | Sabbia di spiaggia marina a Monterosso e: (ST Z1C) 1° RR PAPIRI e, R2 ati e: 2 | Fango di sorgenti DL a SR (Alba) 4,60 —- = 3 | Marne ricche di Mg. SO, a Canale (Alba) I 4 | Margine di strada inghiaiata con dolomite E 1,52 0,40 CIONI), Re DIRCI EP — 0,82 0,65 5 | Margine di strada (gneiss) con detriti orga- nici abbondanti (Giaveno). . . . . . 5,55 = - 6 | Sabbie alluvionali calcari sir il Tanaro ESD TO ZE SPIRI —_ 1,78 0,82 7 | Pendio erboso sopra detriti di Sa a LORA e ELI AM ATO di 2,30 0,30 0,59 8 | Pascolo subalpino sopra terreno calcare a Selbettrand® Bus): 00 ARL _ 1,78 1,10 9 | Rupi calcari con vegetazione di agi aga Aszoornas Mega) UA lla ta 0,54 0,42 0,59 (1) 10 | Pendio erboso sopra marna a Che (or rs ISO OA RI St n A gi _ 0,61 0,54 _ 11 | Terra di scarico di una cava di magnesite (Uastollamonta): taglia Ana — 0,21 0,37 12 | Detriti di serpentino con Plantago ST CITIZEN I a E e 0,50 0,48 _ 138 | Pascolo sopra terreno serpentinoso serata MO I VIA CI A LS E 0,83 0,26 0,33 (2) 14 | Pendio di roccia dolomitica a Laveno . . —_ 0,59 0,45 15 | Prato subalpino a Riva Valdobbia (V. Sesia) — 0,65 — 16 | Bosco di Castagno su rocce di gneiss a Pie- dimulera (V. Ossola) . SOR ASTE — 0,22 0,26 na) 17 | Brughiera sopra roccie di an a Cumiana (Torino). . . ate SV = 0,35 0,40 (2) 18 | Brughiera sopra ST di difovinai ferret- tizzato a S. Maurizio (Torino) . . . . _ 0,18 0,48 (2) 4 19 | Humus di brughiera sopra depositi morenici j Bellinzago (Novara): 0... è e 0,02 0,26 20 | Humus di brughiera sopra morene terraz- |. E zate a Trobaso (Intra) (Novara). . . . _ 0,14 0,32 È 21 | Humus di un bosco di larici a Riva Val- Fa dobbia:(V Sesia): to een _ 0,20 0,43 (22 |Humus di un bosco di faggi a Fomarco per: MueOssola) al Rd. -- 0,40 0,50 (1) Leggermente opalino. (1: Assai opalino. Fresco Essicato CARATTERI DEL CAMPIONE Liquido | Liquido | Liquido | Liquido pedolitico Popper pedolitico pedopiez. resid, °Too resid. oo resid. oo resid. oToo Num, d'ordine [ 1 | Prato circostante a una sorgente salata a Castagnole (Alba) . . ... . 0. . 4,60| — 3,26 | — 2 | Sabbia di spiaggia marittima salata. .| 126,00| — 130,00 | — 3 | Marna ricchissima di solfato di RELES BiCanale (Alba). ci ofat.re Swi 22/68 1,15 23,19 | 8,25 4 | Campo di frumento presso Troffarellc (ion) e Oa e 1,36] 0,52 2,95 | 1,16 5 | Margine di strada inghiaiata con dolo- mite ‘a, Linvenbint a” ie 0,82 0,68 2,00 1,85 6 | Vigna su terreno calcare a Meana (Susa) 1,69 | 0,76 3,42 sz i dor 7 | Pascolocon Carex clandestina, Lavandu- laofficinalis e Pinus sylvestris a Mea- na (Susa) sopra rocce calcari . 8 | Detriti di calcescisti con vegetazione di Polygala Chamaeburus :e Sarifraga A1200N SUSA): LISI NERI 0,42 | 0,39 1,86 | 0,80 o Sabbia alluvionale della Dora Riparia ad i Avigliana (Torino), assai calcare. . 1,38 | 0,86 2,45 | 0,60 10 | Pascolo sopra terreno marnoso a Gassino l (TONO) et i PO 0,61 | 111 0,70 | 0,54 11 | Marna poco degradata di Canale (Alba) 1,52| 0,40 1,44 | 0,57 | 12 | Scarico di cava di magnesite a Baldis- Vail, sero (Castellamonte). . . . . .. 0,21 0,37 0,56 0,36. 18 | Terriccio su rupi serpentiuose a Trana (ELE it Vl PAPERE CITI TA CINE 0,60 | 1,79 2,11) 0,98 14 | Pascolo su detriti serpentinosi sul M. Mu- ì BEAR) ea n 0,59 | 0,68 1,42 | 0,62 15 | Terra di degradazione di gneiss a Cu- iano Eno, aero. le 0,80 |(1) 0,60 0,18 0,23 16 | Bosco di castagni su gneiss, con coperto di Polytrichum formosum a Piedimu- era (Oas0la) ana i 0,22 | 0,26 0,30 | 0,45 17 | Bosco di Castagno su calcescisti degra- dati a Meana (Susa). . ..... 0,50 | 0,46 1.33 | 0,43 18 | Argilla di ferrettizzazione sul diluvium medio a S. Maurizio Canavese (Torino) 0,08 | 0,17 0,19 | 0,81 (1) Assai opalino, Fresco p : CER CARATTERI DEL CAMPIONE Liquido | Liquido | Liquido | Liquido A pedolitico pedepiez: pedolitico pedonica: ; [=i de: Ù ‘a . ; resid. “Tod resid. Oria resid. “Too resid. “Too 4 P É 19 | Detriti sotto una brughiera su gneiss a "a Cumianal(lerino):. (.. 0020. a... 0,40 0,40 0,24 0,56 Ji È 20 | Sabbia gialla sotto una brughiera su mo- rena a Borgo Ticino (Novara) . . .| 0,05 0,15 0,84 0,44 21 | Scariche di miniera di materiali piritosi a Cuzzago (Ossola), ricchissime di os- SRI FEO a IO a e AI 1,48 0,56 — 22 | Sabbia silicea dell’alveo della Stura a MAlizoCEGrmo): fata 10 GE _ 0,47 _ 23 | Humus di brughiera a Bellinzago (No- CO AVA AI e VE UA I 0,26 0,13 0,14 TABELLA VI. Variazioni nel comportamento alla dialisi dei liquidi provenienti da terreni freschi o essicati. © Fresco Essicato È 3 CARATTERI Liquido pedolit.| Liq. pedopiez, | Liquido pedolit.| Liq. pedopiez. z DEL CAMPIONE CARS Ma ai ronson NESS = ir ca [I @ d° [ek] aa Ss Sa eran n 28 3 È Sig [Sls|fls|Slg|fla|Sla|f8ls|Slag a ila ils ils 315 ja ila la 1 | Margine di strada inghiaiata con do- lomite a Laveno. | 0,82 | 0.16 | — cai 2,00 | 0,49 | — —_ 2 | Pendio di roccie do- lomitiche a La- veno .. . . .. [0,59 | 044] 0,45 |: 0,14 | 1,57 | 0,40 | 0,90! 0,31 5 | Bosco di castagni a Piedimulera fi > È Ossola)AC4) 255 0,22 | 0,05 | 0,26 | 0,20 | 0,74 | 0,25 | 0,37 | 0,17 » G 4 | Terra sotto una bru- ; ghiera a Cumiana CRA (I'orino).. 0.0.0. 0;170,16.h_ = 1,80 | 1,25| — —- Y 5 | Fanghiglia di pa- A lude nell’Orto a Torino SAI —_ =- Dea E 4,60 | 0,80 ei ad fa Mie 2 - Num. d'ordine % Ha = 9 18 19 DESCRIZIONE DEL CAMPIONE Terra delle aiuole dell’Orto botanico (non concimate), raccolte, alla fine dell’in- SE da PT Terra delle aiuole raccolta durante la stagione estiva e sterilizzata con al- deide formica ne pi Campo su alluvioni silicee a Leynì (To- IO) i e I aa 3 AN Terriccio concimato dell'Orto di Torino, con vegetazione prettamente ruderale Terra di'vasi delle piante coltivate nel- l'Orto botanico . Campo su terreno calcare a Salbertrand (Susa) Vigna su terreno calcare a Meana (Susa) Campo umido su fondo calcare a Salber- trand (Susa) . * Pendio erboso su roccia calcare a Meana (Susa) Detriti di roccia calcare con Polygata Chamaeburus, Sesleria ecc. a Susa. Loess fortemente calcifero presso Rivoli (Lorinoy 9%. ef Se a Ai, Marna dei colli di Gassino (Torino) . Terra da detriti di roccia serpentinosa a Trana (Torino) . DU DOTTI: È Sabbie di dune continentali di Troffarello (Torino). Terra da campo fortemente ocracea da degradazione di gneiss sopra Giaveno (Torino). TA Terra di degradazione di gneiss a Cu- miana (Torino) un po’ sabbiosa . ‘ Argilla di ferrettizzazione del diluviale medio a Cavagliano (Novara) Humus di bosco di faggi fora: Giaveno (Torio): a e» Mit Humus di brughiera sopra vice ter- razzata a Bellinzago (Novara) . . . d%e tg Pasi se FEES i I di sv La sai ns (vùl P < sì ui e N FA Li Effetti dell’essicamento superficiale sulla concentrazione dei Viqni idol terre n ne pt SA Strato sup. Liquido Liquido LIA i % (eg mi) Strato inf. Liquido Liquido pedolitico BEIDDIRE pedolitico pedopies. resid. “Io resid, °Ioo | resid. “Ivo resid. oo 0,98 Te > a Pa, « O * [Se 26 o alla dialisi dei liquidi derivanti da terreni | essicati superficialmente o no. i lai ee Strato superiore Strato inferiore $ a + DESCRIZIONE DEL CAMPIONE | Liquido | Liquido | Liquido Liquido : pedolitico| pedopiez. | pedolitico| pedopiez © E T = o) d E 3 Z resid. °[oo | resid. °Ioo PET] °Too | resid. “Ivo presso Almese con vege- Terra di spurgo di un fosso ) x normale| 6,87 4,10 5,24 4,05 tazione alicolo-ruderale. | Bdializzato| 2,11 181 2,80 1,29 2 | Campo incolto a Troffarello |a normale| 3,42 0,74 1,58 | 0,75 con veg. di CORO: Ve- ronica. | . ‘ VGaializzato| 056 | 029| 014 | 029 5 | Terriccio da giardino con- servato da lungo tempo all’Orto, avente subito prolungata nitrificazione. a normale| 16,60 2,92 1,55 2,24 Bdializzato| 3,31 1,56 0,81 0,99 4 | Terriccio di castagno con- } x normale| 6,20 6,41 4,64 4,07 servato da alcuni anni al- l'Orto: .. . . ... . .)Adializzato 448 | 543 | 283 | 161 5 | Terriccio di salice ospitante | a normale| 5,88 0,92 4,89 1,16 come arboricola, Stellaria i media, a Levone (Torino) Bdializzato| 0,23 0,63 L,44 {27091 6 | Terra calcare con vegeta- < DO zione di Ononis caenisia, a normale | 3,08 0,89 o SE Astragalus monspessula- \ nus, a Susa. Adializzato| 1,22 0,52 0,74 | 0,55 | Marna di Gassino (Torino) | a normale| 1,09 0,53 0,24 0,45 con vegatazione di T'ussi- | lago, Ononis Natrix . - ) Bdializzato 0,76.| 085 | O,J4 | 0,26 8 | Terra argiliosa dalla degra- ; dazione di roccie serpen- | x normale| 0,96 0,66 1,05 1,04 tinose, con vegetazione di Calluna, Genista tinctoria \ & dializzato| 0,65 0,43 0,48 0.46 a Lanzo (Torino) 9 | Terreno ferrettizzato dilu- ) a normale| 0,28 0,64 0,43 0,87 viale a Oleggio (Novara), con vegetaz. di brughiera | gdializzato] 0,06 | 0,06 | 0,36 | 0,50 MUNE 10 | "ferreno ferrettizzato dilu- ) 5 È » viale a S. Maurizio Cana- | ” normale 0,24 055 ci Die vese(Torino), con vegetaz. di brughiera Bdializzato| 0,14 0,26 0,16 0,49 Eee © ss usi L ici Dv o = © S Z tO “JI 10 11 15 14 16 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Sabbia di spiaggia di mare a Savona Sabbia di spiaggia di mare a Monterosso (Spezia) con YEESSaZIONEA di FSOAUGORAIIE maritimum . . fas Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Echinophora spinosa . Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Medicago marina Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Salsola Soda . Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Eryngium maritimum Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Euphorbia Pinea Fango di una sorgente salata presso Bo- rore (Campospinoso-Voghera) . Terra di un prato presso una sorgente salata a Castagnole Lanze (Alba) Cumuli di terra per vasi nell’Orto bota- nico. Terra delle aiuole dell’Orto botanico (non concimata) . Terra contro un muro nell’Orto botanico con vegetaz. di Parietaria Officinalis . Margine di strada nell'abitato di Giaveno (Torino) Terriccio nel tronco di salice a Piedimu- lera (Ossola) Terriccio nel tronco di salice a Moncalieri (Torino) . Altro campione di terriccio nel tronco di salice a Moncalieri . I 13 | 116,55| 34 18] 0,88] 24 17| 0,61] 35 31| 1,26] 38 52] 217| 80 24| 0,97] 28 94 ‘3,74| 32 55 5,38| 35 81 3.26] 16 20| 7,93] 12 20| 9,50) 8 13| 2,41| 16! 35| 6,10 8 30] 0,90| 530 36| 2,27) 26 62| 199| 14 I concent. Too 18,7 0,77 0,65 0,91 0,64 0,89 comportamento di Ma 50| 0,59 25| 0,52 30| 0,73 36| 0,78 44| 0,76 34| 0,84 34 | 0,89 38| 1,00 30| 2,19 14} 481 14| 8,87 58| 1,22 96| 342 40| 0,94 26 | 1,81 23| 1,60 br; 335) | [concent. concent. concent. concent. concent. concent. concent. cencent. TAR AES EEA TA e I e ea e i i 3 0,28 | 84| 0,23 | 30| 0,18 800,17 | 26:10:19 }:23./.0;18 |T50.{.0,23 | — Ze ) 0,45 50| 0,43 | 33| 0,57 | 16 0,55 | 24 | 0,60 | 20| 0,59 | 44 | 0,63 Bu! 0,52 3| 0,42|32| 0,61|22| 0,50 | 30 | 0,39 | 28| 0,63 | 40| 0,55 | 40| 046|28| 0,36 eo o Og |a fil0,31 | 22| 07925) 082.42] o64/—| — [-|{.—-{-| —|-| — )| 0.51 | 86] 0,51 | 81] 0,44|86 | 0,42 | — ale = |a — | = 3| O,€7 | 40| 0,74 | 56| 0,74 64 | 0,48 | — Ca Sta SINCE SS pu 3| 1,00 | 88| 0,90 | 86| 0,88|38| 102/42] 09|—| — |—-| — |-| -— DI A44T) IL 1,2£ | 20] 137-| 27 1,29 | 25 1,10 | 92| 0.86 | 15 | 0,60 Ti 0.60 m2:32.) 16]. 1,984 1L| ‘1,70 | 15 1,62 | 15 1,41 | 15 | 1,06 15 1,20 | 52 0,73 6| 2,29 | 18] 2,88 | 14| 1,84|16]| 159 |12]| 1,46|88| 0,97|14| 0,64|12| 0,56 di 0,57 | 27) 0,52 | 12) 0,64 | 19 0,50 | 12| 0,40 | 12] O,71 DIO: 19 0,35 Moi | 27) 1,80| 13) 138|15| 124| 8|1,12| 3] 120| 8| 1,17|13| 1,18 5| 0,58 | 24| 0,16|81| 0,49|42| 041|24| o40|86| 040|49| 0,37|26| 0,38 8| 137|28| 128|26| 0,85 |36| 0,93|48| 102|52| 083|37| 062/—| — 8| 0,62|35| 0,62 | 44| 045|48| 0,36|32| 044|60| 040|—| — |—| — Ne 34 dti d “Segue. Le: È FRAZIC [ed i 55 ” = Dal na 2 XIII XIV xXV XVI = DESCRIZIONE DEI CAMPIONI de 2 concent. concent. concent. coni = c.c. Io |C.C| Io |0.C.| "To |e.e. L Z gr. 1 | Sabbia di spiaggia di mare a Savona. .|—| — |—-| — || — |-={5S 2 | Sabbia di spiaggia di mare a Monterosso “4 (Spezia) con vegetazione di Polygonum 6 maritimum: >. 0 00 Sh RON | Ae 3 | Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Echinophora spinosa iL — | Rea 4 | Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Medicago marina . li ivano | a RE 5 | Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Salsola Soda-. cè. 0. i al aaa 6 | Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Eryngium mariîtimum. . ..0...|]={_ — [| —{[={1-= [KS € | Sabbia di spiaggia di mare con vegetaz. di Euplworbia:Pinea,= lc, AE fee ie 8 | Fango dì una sorgente salata presso Bo- rone (Campospinoso) (Voghera) . . .|[—{ — |-{ — |[|-{ — || 9 | Terra di un prato presso una sorgente salata a Castagnole Lanze (Alba) . .|—| — {[—-| — |[-| = |-= 10 | Cumuli di terra per vasi nell’Orto Bota- MO IT | 11 | Terra delle aiuole dell’Orto botanico (non Dl concimata).. ./.. . . .U..-..., | 14] 0,60] 16| 0,72) {{ 18:| 70,507 Ana - 12 | Terra contro un muro nell’Orto botanico i con veget. di Parietaria officinalis. .|16| 0,57 | 16| 0,51 | 13| 0,49| 17| @ 15 | Margine di strada nell’abitato di Giaveno i bi (Torino) LL (0/0/0880. 10]. 10 ae 14 | Terriccio nel tronno di salice a Piedimu- lera (Ossola). |<... .. .. 25] 046] |a 15 | Terriccio nel tronco di salice a Moncalieri Jo (Torino) iv. (else et | ie e 16 | Altro campione di terriccio nel tronco di Mi e salice a Moncalieri. . ......|| — [| = [| —% 35 . e * , ) j e[_i:it-_—_—_—._—_—_ |I.rr_—_—_— conc, conc. SIE Ta9 IC] Too [Coe gr. gr. 0,70|15 0,25] 42 conc. Too |C. €. gr. cone. To |C. ec. gT. cone.) Fia. |C. C. 8T. Quantità totale di liquido rac- colto e. e, Concentr. “Too media Liquido pedopiezico res. “eo 10 16 Ha [) I 330 | 1, 366 515 34 415 395 396 6,00 65 40 105 56 78 0,69 Numero d'ordine 35 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Terriccio sul tronco di un castagno a Pie- dimulera . Campo di frumento a Troffarello (Torino) Campo incolto a Troffarello Sabbia di dune continentali a Trofarello Sabbia di dune continentali a Troffarello, essipata ite ERMES Margine di un pantano a Troffarello . Prato nell’Orto botanico. Terreno siliceo con solfato d’allumina in V. Macra. Terra calcare a Meana con vegetazione di Sedum album, Artemisia Absinthium . Terra calcare con vegetazione di Sesleria caerulea a Meana . Terra calcare tra le radici di Avena sem- pervirens Vill. a Carnino (V. Tanaro) Terra sotto la cotica di un pascolo al Colle dei Signori in V. Tanaro Marna degradata di Gassino (Torino). Altro campione di marna degradata . Terra di deposito alluvionale a Lanzo (To- rino) ARA LAI Pascolo su roccie serpentinose alterate a Lanzo (Torino) Pendio su roccie serpentinose alterate a Lanzo (Torino) ‘ Ì È Detriti di roccie ser peligoose disgeegati a Lanzo . NT? y . Detriti di roccie serpentinose sul M. Mu- sinè (Torino) . . . Di i ce. ce. 28 11 11 12 concent. °Too gr. c. c. 30 ll 16 42 36 19 concent, “Too er. 38 16 4l il 50 Vo] 46 15 16 45 ÎCCESSIVE DI LIQUIDO PEDOLITICO i eee e —=————-..-—-rrr--_r—r—rr-.r-.lterwor...---....,;---..,rr-rr-rrr-rM.- rr è _____<<<=_ iI]! 15 16 56 la 16 13 5° 14 30 15 13 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Numero d'ordine concent. concent. concent. c. c.| Too |C.C.| To |C.C.| Io |C.0 i ta 17 | Terriccio sul tronco di un castagno a Pie- dimnlera i Ye Eq 18 | Campo di frumento a Troffarello (Torino) |} — |-{ — |—-| — 19 | Campo incolto a Troffarello . . . . .[—{ — |-| — |[=+| — 20 | Sabbia di dune continentali a Troffarello | —| — |—-| — |—-| — 21 | Sabbia di dune continentali a Troffarello, essicata: 10 vi Rip LYE N LR | Lari 22 | Margine di un pantano a Troffarello. .|—| — |-{ — |-| — 23 | Prato nell’Orto botanico. . . . . . .|.58| 036|—-| — |=-| — 24 | Terreno siliceo con solfato d’allumina in V. Maori, Ve ue ee 25 | Terra calcare a Meana con vegetazione di Sedum album, Artemisia Absinthium .|29| 0,52 | 14| 0,47 | 17| 0,52 26 | Terra calcare con vegetazione di Ses/eria | * caerulea a Meana . . . . . . . .|14]| 0,80 | 88] 0,26 | 10] 0,30 27 | Terra calcare tra le radici di Avena sem- pervirens Villa a Carmino (V. Tanaro) {| — |—-| — {-| — [= 28 | Terra sotto la cotica di un pascolo al Colle dei Signori in V. Tanaro . . .|{—-| — |—-{| — || — |= 29 | Marna degradata di Gassino (Torino) .|—-| — {[—-| — || =— |J=, 30 | Altro campione di marna degradata . .|22| 0,17 | 10| 0,34 | 23| 0,39 | 19 31 | Terra di deposito alluvionale a Lanzo (To- i rano) ih, sa leto tt) a + | 104 50;664 OO Re 532 | Pascolo su roccie serpentinose alterate a ETA Me sh (0) PENE, SARTRE NRE E — PE e N e 33 | Pendio su roccie serpentinose alterate a Lanzo (Torino) +... 0... 0. fee 84 | Detriti di roccie serpentinose diagregati fiiLanro:.0 dt dat ti, - . 0 +18 0122 - d° 55 | Detriti di roccie serpentinose sul M. Mu- sinè (Torino) . . . .......|94| 0,14 | 25| 0,16|44| 0,17 | 49 DI LIQUIDO PEDOLITICO i 23 Liquido XIX Do RIXE XXII | xx XXIV |£É |. Dedo picaiea EA e cone. cone. cone. cone. cone.|= 35/225 «l0°Ta0: {Ce C-| “Too |G- C.| "Too |C- C+] Too |C- C-] “Too |A] 0" Co GITE Te gr. gr. gr. gr. gr. |S378|° : S' | ee] bi8:088.|) 72 0,76 I Sa een —-*E 280] 049] 36 | 0;52 i en n e e ele 89]0,907). 40° | «1,04 MP e Det 077) — | — I E ESA RSS CAR I I A I pe I A O N ra AM) re > e ia lge logs 058 |. 80 | 1058 Me ire] :22010,66)]. 66.-|-20,50 Me Le] gela ig I*110 0,42] 16 | 0,52 16 [0,64] 44 | 0,68] 18 | 0,49| 15 | 0,45| 15|0,40{ 10|0,22| 414| 0,66 | 52 | 0,50 o,ii) 8|0,27[15/0,33| —-|—|-{[T—-|—-|—-]|-|—-|—-|— | 862] 0,23 | 42 0,30 e a nei 368) 084 | 540048 e i e enel it 0,81°| 88 | 10,86 n een la4pl'0,63" 60. | ‘0,84 0,18] 12|0,35|11|0,41[14|025|)—|-—-|—|—-|-|-|-{|—]|5839| 0,83| 68 | 0,50 mu ee i alici a74/o74.| 38 |. - 0,99 Me N e ei Leal 67:93 | 44. 20186 e e e lil] 199/046. | 18047 ONE Mi | 206|.0/9£ | 460009 Mea — | —|_-|__|_|_.|\_}=.|_{—|.806|0,20.| 40 | 3048 | ANNALI DI BOTANICA — Vot. VIII. Numero d'ordine DI DI 37 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Detriti di roccie serpentinose a Rossi- glione (Ovada). pi 1 PA Terra sopra un muro a secco a Rossiglione (Ovada) Sabbia silicea nell’alveo della Stura a Lanzo . bat, Me RA - Altro campione di sabbia silicea nell’alveo della Stura a Lanzo Sabbia alluvionale del Toce a Villa d’Os- sola (Novara) . : Campo incolto su terreno alluvionale sab- bioso a Piedimulera (Ossola) . Prato su fondo torboso presso Cesara (L. d’Orta). ds Salt reg Ri Prateria ILARIA a Riva Valdobbia Si Sesia) . : Bosco di castagni su gneiss presso Gia- veno (Torino) . Ae Humus di bosco di larici a Riva Valdob- bia (V. Sesia) . Humus di bosco di faggi a Fomarco (Os- sola) I a SI Terriccio fra le radici di Festuca sopra una rupe a Piedimulera . : Scariche di miniera di calcopirite a Cuz- zago (Ossola) . Detriti di roccie di gneiss a Cesara (L. d’Orta). ; Terra sotto l’ humus di brughiera su gneiss a Cumiana . APUANE : Sabbia gialla sotto una brughiera di mo- rena a Alzo (L. d’Orta) . Sabbia gialla sotto una DERE a A- grate Conturbia (Novara) concent. Too gr. 14| 0,65 15| 0,62 20| 0,59 30| 0,24 23| 0,44 27| 0,47 13| 0,52 19| 0,42 14| 0,45 51| 0,20 24| 0,40 50| 0,47 60| 0,27 16| 0,40 12| 0,45 82| 0,19 49| 0,05 . C. -1 concent, Too gr. » C. 34| 0,29 28| 0,43 11] 0,49 9| 0,26 20| 0,28 64| 0,19 18| 0,17 75| 0,23 20| 0,85 34| 0,10 32| 0,39 60| 0,22 60| 0,19 50| 0,30 16| 0,50 29| 0,12 27| 0,05 concent. Too nai |concent. “oa 66 17 19 40 VII DI LIQUIDO concent. “Too i) VI ho VIESS concent. “Too gr. PEDOLITICO IX concent. “Too c.c. 40 42 X concent. Too e —_—_—-!' -—-— concent. #iic.e: “Too 36 15 concent. “Too er. è Neat * 4 À e 9 e eli $i eo A de A ni hg SA" de‘ ba % Pi Li SA e © is| d 5 : È DESCRIZIONE DEI CAMPIONI È 1 cencent. concent. concent. 5 c.C.| Too _|C. °Ioo |C. Cl ‘Ivo Z : gr. gr. 36 | Detriti di roccie serpentinose a Rossi- glione (Ovada) Rf -.\-[{ —-|{-| - [|-| —- |- 37 | Terra sopra un muro a secco a Rossiglione (Ovada) cole ala || Re 38 | Sabbia silicea nell'alveo della Stura a danzo STRAIT e i i i e e 39 | Altro campione di sabbia silicea nell'alveo della Stura a Lanzo al TRS SSA 40 | Sabbia alluvionale del Toce a Villa d’Os- Sola; (Noyara)ggzzi e -\d ne ARENA 41 | Campo incolto su terreno alluvionale sab- bioso a Piedimulera (Ossola) . +. .|—! — [| — {| = Ja 42 | Prato su fondo torboso Li Cesara (L. d'Oeieeot RPS RR At co Miglia ne (e e 43 | Prateria Sa a Riva Valdobbia DA Sesia) . sa 34| 0,74] 30] 0,50|]—| — |J=- 44 | Bosco di castagni su gneiss PEoaeo Gia- i veno (Torino) . ARTI n ae] 22911 | 169 (0,11): 130 45 | Humus di bosco di larici a Riva Valdob- bia (V. Sesia) . 2 ee 46 | Humus di bosco di faggi a Fomarco pIOr BARI”. RT. È | — | — [| — |- 47 | Terriccio tra le radici di Festuca sopra una rupe a Piedimulera . °-° .|Ò-| — {Tpfae|]Te]l = 48 | Sé4riche di miniere di calcopirite a Cuz- zago (Ossola) . e .. +1 84] 092] — [= ee 49 | Detriti di roccie di gneiss a Cesara (L. d’Orta). : RE E nt 50 | Terra sotto l’humus di brughiera su gneiss SIOE TRE 12| 0,08 | 14| 0,06 | 21| 0,08 | 12, \ 51 | Sabbia gialla sotto una brughiera di mo- ì rena a Alzo (L. d’Orta) . .- ||] — fo|l.'|=-| —|=- i 52 | Sabbia gialla sotto una brughiera a A- grate Conturbia (Novara) è loto | | effe iii . I ” #3. $, +, SORIA o - |cone.| |cone. [CC] Too |E- C-| Too | gr. gr. Quantità totale | di liquido race colto ce. e, . TE _,ltcu9f19‘ 12111; ______________———————__—_T_—_—_r_rr_—_—__—__——_————_———__»—__tùt10ne 02053) o: n e" TT TT é é é TTN]7”"rz 158 241 392 281 399 456 media Too Concentr. e IT e e TTT” Cc. Cc. LO 82 51 86 80 Ut 10 23 40 57 Liquido 000° pedopiezico 0° res. "Too 0,46 0,30 0,17 ‘0,74 Numero d'ordine ot I DA 56 60 61 | 62 | [ b DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Sabbia sotto l’humus di brughiera a 35 centimetri di Pe (Varallo LOMbIE): - L SAC Re re Sabbia pito l’humus di brughiera tra 50 e 70 centimetri (Varallo Pombia) Sabbia sotto l’humus di brughiera tra 70 e 100 centimetri (Varallo Pombia) . Humus superficiale di brughiera a Tro- baso (L. Maggiore). DU ala 7 Humus a 20 centimetri di profondità a Trobaso (L. Maggiore) Terriccio di castagno a Piedimulera (0s- sola) SLI 1 SRI Terra a ridosso di un muro all’Orto bo- tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — A) . Terra a ridosso di un muro all’Orto bo- tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — B) Terra a ridosso di un muro all’Orto bo- tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — C) Terra calcarea di Bussoleno con vegeta- zione di Lavandula — A) 63 | Terra calcarea di Bussoleno con vegeta- 64 65 66 67 68 69 70 zione di Lavandula — B) Terra calcarea di Bussoleno con vegeta- zione di Lavandula — C) Terra sotto una brughiera a Cumiana A Terra sotto una brughiera a Cumiana B Terra sotto una brughiera a Cumiana C | Humus di Brughiera a Varallo Pombia A Humus di brughiera a Varallo Pombia B Humus di brughiera a Varallo Pombia C e. e. concent Too gT. 0,06 0,49 7,51 e. e. 45 45 | 59 11 D4 38 32 23 concent. geo | 0,06 | 36 0,11 | 56 0,16 20 0,09 | 36 0,05 30 0,66. 20 | 7925 36 0150 | 7,11. 51 | | 0,72 | 27 | | 0,88 | 39 0,72 | 36 0,20 ! 53 0,18 | 43 0,19 | 88 0,07 | 42 0,03 | 36 0,05 | 29 7,06 0,67 0,80 0,80. 0,17 0,17 0,18 X XI XII : concent. concent concent. concent. concent concent. concent. concent.. Rf Oioo |e-c:| "o |C-C.| o |C-C-| o |C.C.| “Io |C-0.|] To |C-C.| "ho |C.C.} “Io gr. gr. er. gr. gr. gr. gr gr. 0,02 | 40| 0,09 | 28 | 0,09 { 70] 0,09 | 62 | 0,05 | — Se ili _ 0,02 | 40| 0,06 | 836 | 0,06 | 41| 0,04 | 36 | 0,04] 80 | 0,04 | 72 0,0€ -- _ 0,10 | 40] 0,10 | 40| 0,04 | 110] 0,12 | 34 | 0,18 | — — |_ = i 0,19 | 36| 0,21 | 66 | 0,09 | 82] 0,15 | 49 | 0,08 | — =. ia en = 0,07 | 48| 0,04 | 25 0,03 32| 0,03 | 45 | 0,02 | 28 | 0,06 | 22 | 0,05 | 28 0,05 0,82 | 12| 0,63] 8} 0,80 | 18| 0,68 | 13 | 0,66 | 50 | 0,66 | 17 | 0,56] 9 0,55 5,61| 40] 4,86 | 49] 4,62 | 27| 182|43| 0,95] 22] 0,74 | 56 | 0,60 | 60 0.52 5,36 | 80| 5,09 | Interruz. di 10 giorni | 26 | 4,04 | 834 | 3,73 | 34 | 2,60 | 36 1,19 5,40 | 60{ 4,50 | Interruz. di 30 giorni | 30 4,42 34 | 2,29 | 47 | 1,23 | 40 0,88 0,45 | 40| 0,42 | 84 | 0,42 | 87] 0,41 | 37 | 0,388 | 36] 0,38 | 49] 0,33 | 49 0,39 0,41 | 26| 0,47 | Interruz. di 30 giorni | 20 | 0,46 | 36 | 0,47 | 51 | 0,43 | 36 0,42 0,36 | 34| 0,35 | Interruz. di 10 giorni| 28 | 0,21 | 50 | 0,45 | 26| 0,39|36| 0,33 O;li/ | 37| 0,19.| 50 |] 0,16] 30| 0,14 | 42 | 0,14 | 90 | 0,13 | 59 | 0,12] 30 0,11 ‘erruz. di 10 giorni | 28 | 0,22 | 82| O,11| 39 | 0,16 | 66 | 0,16 | 32 | 0,13 | 20 0,13 0,14 | 28] 0,20 | Interruz. di 30 giorni | 15 | 0,13| 30 | 0,81 | 38 | 0,16 | 26 0,13 0,05'| 80| 0,04 | 30 | 0,02 | 54| 0,09 | 27 | 0,07 | 34 | 0,09 | 46.| 0,13 | 88 0,11 0,05 | 36| 0,06 | 25 | 0,04 | 56] 0,05 | Interruz. di 10 giorni | 24 | 0,10 | 16 0,07 0,04 | 26| 0,05 | 71 | 0,09 | Interruz. di 80 giorni | 24 | 0,03 | 44 | 0,04 | 8 0,01 ot (Sb) 54 59 60 61 62 65 64 Numero o. È DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Sabbia sotto l’ humus di brughiera a 35 centimetri di Magi ve arallo PODIO = « sta Sabbia sotto l’humus di brughiera tra 50 e 70 centimetri (Varallo Pombia) Sabbia sotto l’ humus di brughiera tra 70 e 100 centimetri (Varallo Pombia) . Humus superficiale di brughiera a Tro- baso (L. Maggiore) . Humus a 20 centimetri di profondità a Trobaso (L. Maggiore). II Terriccio di castagno a Piedimulera (Os- sola) Lab Terra a ridosso di un muro all’ Orto bo- tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — A) . Terra a ridosso di un muro all’Orto bo- ‘tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — B) . Terra a ridosso di un muro all’ Orto bo- tanico con vegetazione di Parietaria officinalis — C) . Terra calcare di Bussoleno con vegeta- zione di Lavandula — A) . Terra calcare di Bussoleno con vegeta- zione di Lavandula — B) . Terra calcare di Bussoleno con vegeta- zione di Lavandula — (C) . Terra sotto una brughiera a Cumiana A Terra sotto una brughiera a Cumiana B Terra sotto una brughiera a Cumiana € Humus di brughiera a Varallo Pombia A Humus di brughiera a Varallo Pombia B Humus di brughiera a Varallo Pombia C c.c. DA 36 concent. °Ioo 2r. c.c. (SY) Ut 40 105 concent. o 1,02 52 | 0,51 | 80 0,79 | 46 0,69, È. Te) (0) _ I -J (se SOL 294 548 Concentr. media 3,10 0,41 0,14 0,16 0,17 0,09 0;06 0,29 È Too Liquido pedopiezico e. C.. | Ees. Se TA 0,76 65 0,52 32 0,80 94 0,32 60 0,28 98 | 0,87 13 | 0,53 9 1,00 16 1,25 7 0,62 18 0,67 12 1,26 31 0,90 44 | ‘024 Abi 025 met: Mec; Past _ 5 £ i i eden fa Fasi "TEA AO s gun LE PPS AA TOTI ag NPI A * ECO PRE RO SO TOTI PROSA AINITE 9 bit he a) 1A ( PR “uè, x EE , Caratteri floristici dei campioni. TE 1. Sabbia raccolta sulla spiaggia a 25 cm. sotto la superficie, a m. 80 di “Ms distanza dall’acqua, dove per lo più si sviluppa la solita vegetazione alofita; la to stagione in cui fu raccolta non ha permesso la diagnosi esatta delle specie che % vi crescevano. 4 2-7. Vi è già indicata la natura delle specie vegetali, tra le radici delle quali fu preso il campione; è degna di nota l’opalescenza quasi costante di tutti i Di liquidi pedolitici, dovuta alle particelle argillose frammiste alla sabbia. Il luogo nel quale furono presi i campioni è di poco elevato sul mare (1 m. al più); e la bassa percentuale di sali proviene da un quasi completo dissalamento pro- vocato da una serie di forti acquazzoni caduti due giorni prima della rac- colta. Anzi i saggi qualitativi fatti sopra i residui dei liquidi di pedolisi, mo- stravano una relativa abbondanza di solfati e carbonati, rispetto ai cloruri. 8. Fanghiglia formata dal terreno marnoso nel quale sgorgano dette sor- genti. Per la concentrazione dell’acqua sorgente cfr. Tab. XI n. 3. Vegetazione di Phragmites communis, Crypsis aculeata, Atriplex maritimus,racc. ottobre 1919. 9. Prato su fondo di marna degradata e fluitata dalle correnti nel piccolo thalweg nel quale sgorgano numerose le dette sorgenti; per la concentrazione dell’acqua cfr. Tab. XI n. 8. Vegetazione di Achillea Millefolium, Plantago lan- ceolata, Glyceria distans, Centaurea vochinensis, Daucus Carota, ecc., raccolta maggio 1909. 10. Raccolta nell’aprile 1909 dopo un mese circa di periodo secco. Vegeta- zione di Stellaria media. Lamium purpureum, Amaranthus retroflerus, Cheno- podium album, Poa annua. 11. Raccolta contemporaneamente al campione 10. Vegetazione di Poa annua, Stellaria media, Capsella Bursa Pastoris, Convolvulus arvensis. 12. Raccolta nel luglio 1909, dopo un forte acquazzone; corrispondente per stazione e per vegetazione ai campioni Tab. XVI n. 1-4. 15. Terriccio formato da materiali argillosi e abbondanti detriti organici con vegetazione di Amaranthus retroflerus e Polygonum Persicaria. Raccolta maggio 1909. 14. Raccolta nel luglio 1909. Veg. di Chenopodium album e Stellaria media. 15-16. Raccolta”nel gennaio 1910. Veg. di Sfellaria media e Lolium perenne. 17. Raccolta nel luglio 1909. Vegetazione di Polypodium vulgare. 18.19, Terra fortemente argillosa; raccolta nel maggio 1909 colla solita ve- getazione annuale. 20-21. Sabbia poverissima di calcare; a falda acquea poco profonda; [vege- r tazione (nel luogo di raccolta del campione), di Chenopodium album. Raccolta nel maggio 1909, dopo un acquazzone. 22, Limo ricco di detriti organici con vegetazione di Polygonum Persicaria, Sisymbryum amphibium. ai 25. Raccolto con i campioni 10, 11. Vegetazione di Dactylis glomerata. } 24. Vegetazione di Ononis Natrir; raccolta nel luglio 1909. : 25. Terreno pianeggiante con vegetazione di Sedum album, Artemisia Ab- 1 sinthiun, Medicago lupulina, Geraninum molle; Raccolto nel maggio 1909 1 dopo un periodo secco. : ‘ 4 sa JI 1. Rasoio $ signo 1909; dopo una serie di pioggie, 27. Raccolto a m. 1300 s. m. nel luglio 1909, 28. Raccolto a 2200 m. circa s. m., nel luglio 1909. Vegetazione di Viola calcarata, Plantago alpina, Alchimilla vulgaris, Helianthenum vulgare, Phleum alpinum. 29. Vegetazione di Ononis Natrix, Thymus Serpyllum, Cynodon Dactylor ; raccolto luglio 1909. 30. Vegetazione di T'ussilago Farfara, Ononis Natrix, Helianthemum Fumana. Raccolta luglio 1909. 31, Materiale fortemente argilloso originato da rocce serpentinose alterate. Vegetazione di Genista tinetoria, Linum tenuifolium, Potentilla Tormentilla. Esposizione a nord. Raccolto maggio 1909 dopo una pioggia; i liquidi di scolo sono tutti fortemente opalini, anzi torbidi per l'abbondante materiale argilloso ‘sospeso, anche dopo ripetute filtrazioni e decantazioni. 32. Origine mineralogica analoga a quella del campione precedente; racc. nella stessa epoca, Veg. di Potentilla Tormentilla, Calluna vulgaris. 33. Camp. analogo al n. 33, con veg. di Genista tinctoria, Calluna vulgaris 34. Pendio ghiaioso provenieute dal disfacimento di roccie serp. con veg. di Leucanthemum heterophyU0um, Calluna vulgaris, Plantago serpentina. 85. Pendio nella medesima formazione che i campioni 33-36, ma con espo- sizione a sud; quindi luogo arido, con vegetazione di Ononis spinosa, Eryn- gium campestre, Campanula Bertolae v. Re. Raccolto ottobre 1909. 86. Detriti sopra pendii aridi fortemente distaccati e in continuo disfaci- mento su micaschisti assai degradati. Esposizione a ovest; raccolto giugno 1909. Vegetazione di Plantago serpentina, Silene Armeria; le ultime frazioni dei liquidi pedolitici furono opaline. 37. Racc. giugno 1909. Vegetazione di Sedum album, Satureia montana. 38. Strati superficiali raccolti dopo un periodo piovoso (maggio 1909), ma gia essicati dal sole. Veg. di Salix purpurea e Calamagrastis Epigejos. 39. Sabbia in immediata -vicinanza dell’acqua, e da questa bagnata; con ve- getazione di Cerastium. Maggio 1909. i 40. Sabbia per la massima parte silicea, ma sopra le falde di acque calcari del Toce, con vegetazione di Ononis spinosa, Hippophae rhamnoides, Salix pur- purea, Cynodon Dactylon ; il campione è stato raccolto negli strati superficiali nel settembre 1909. 41. Raccolto settembre 1909, substrato nettamente siliceo, con vegetazione di Setaria glauca, Cynodon Dactylon, Erigeron canadense. 42. Raccolto agosto 1909. — 48. Ottobre 1909; raccolto a 1100 m. s. m. — 44. Gneiss molto degradato; il terreno è O di fitta vegetazione di Poly- tricchum. Maggio 1909. — 45. Humus soffice, fatto specialmente di detriti di foglie. Ottobre 1909. — 46. Id. luglio 1909, — 47. Rupe di gneiss in forte pendio, con una piccola tasca nella quale si era raccolto poco terreno. Luglio 1909. — 48. Terreno fortemente ocraceo, con scarsissima vegetazione, rappre- sentata da Calluna e Silene rupestris, luglio 1909. i 49, Vegetazione di Sarothamnus scoparius, Teucrium Scorodonia, Calluna. agosto 1910. — 50. Maggio 1910. — 51. Agosto 1909. — 52. Ottobre 1909. — 53-55. Ottobre 1909. — 56-57. Agosto 1909. — 58. Raccolto sulla superficie esterna di un grosso tronco, sotto i rizomi di Polypodium vulgare. Luglio 1910. — 59-70. Di ogni campione di terra (59, 62, 65, 68) furono prese tre porzioni, l’una fu sottoposta a pedolisi ininterrotta, l’altra a pedolisi interrotta per 10 giorni, a pci Com srigi alla CARTE k PAGES TO | Camp. N. 12. Liq. pedop. norm. 0,63, dial. 0,22; N. Sr "tia! pece "o par be: bic | norm. 3,13, dial. 0,75; N. 27. Lig. pedol. 1° porz. norm. 0,80, dial. 0,24; 3% porz. pa norm. 0,52, dial. 0,34; 6° porz. norm. 0.30, dial. 0,10; liq. pedop. norm. 0,48, Di i |’ dial. 0,17; N. 29. Lig. pedop. norm. 0,50, dial. 0,27; N. 81. Lia; perlop. oro. 0 G4 Go x dial. 0,38; N. 36. Liq. pedol. 6° porz. norm 0,34, dial. 0,26; ultima porz. norm. 0,19, i: | —‘’dial. 0,15. Lig. pedop, norm. 0,99, dial. 0,40; N. 37. Lig. pedol. 6° porz. norm. 0,51, : dial. 0,15; N. 58. Liq. pedop. prev. norm. 0,72, dial. 0,46. Liq. pedop. norm. 0,87, È dial. 0,52.

0... (eb et 0720 - i ai beeMaziore) a Iuino ni e al ie e | 10710 — | — Go Lies ANO SAGA e eo i ii SE RE ERO n RT 09 — 4 37 | Ruscello derivato dal Sangone a Giaveno . . . .| 0,09 - _ 38 | Canale derivato dall’Orco a Agliè . . . .. . .| 0,05 _ _ 39 | Lanche.lungo il F. Sesia a Varallo. . . .... .| — _ 5) 40 | Fontanile a Novara presso Vignale. . . . ...| — — D 41 | Fontanile a Novara presso Isarno . . peo e Pea E _ 4 42 | Lanca lungo il Toce a Beura (Ossola). . . . . .| — _ È Notre: La cifra del n. 1 fu dedotta dai datì riportati da LOPRIORE G., op. cit. p. 47. N.2. Determinazione cortesemente eseguita dal Chiar. Prof. V. Fixo. N. 6, 10, 12. Porro B. Sulla compos. chim. delle acque dell'Alta Valle Padana. Ann. R. Ace. Agr., Torino, XLIII, 1900. N. 13-22. GuaRESscHI L., Enciel. Chim., vol. III, pag. 960. N. 29. Porro B., op. cit. Le cifre degli altri campioni furono dedotte da ricerche personali. Caratteri floristici delle stazioni sopra indicate, N. 1. \Veg. preval. crittog. limitata, quanto alle fanerogame, a Pot. pectinatus. 2. Veg. di Characeae. 3-4. Veg. di alghe /nferiori. 5 e 8. La vegetazione natante o sommersa era nulla, e certamente la raccolta acquea doveva prosciugarsi in gran parte ai primi ca- lori estivi (race. maggio 1910); non vi si aveva perciò che una vegetazione pedo- olofita (vedi Tab. XIII) 6. Veg. di Caracee. 7. Sium angustifolium sui mar- gini del canale. 9. Alisma Plantago, Najas minor. 10. Sium angustifolium. 11. Nymphae alba, e sui margini Tamarix gallica. 13. Ranuneulus aquatilis, Riccia fluitans, Lemna! trisulca, 14-15. Veg. di Charae. 17. Lemna minor, L. gibba, Wolffia arrhiza. 18. Lemna minor. 19. Hottonia palustris, Ranuneulus aquatilis, Lemna minor. 20. Potamogeton crispus, CeratophyUum. 21. Ranun- culus aquatilis e Lemna minor. 22. Nymphaea alba, Nuphar luteum, Cerato- phylum, Myriophllum spicatum. 23. Sparganium simplex f. fluitans, Ranun- culus aquatilis. 24-25-26. Callitriche verna. Sium angustifolium, Lemna minor. 27. Chara sp. 28. Ranunculus aquatilis. 29. Riccia fluitans. 30. Ranunculus aquatilis. 32. Elodea canadensis, Trapa natans, Azolla caroliniana. 33-34. Po- tamogeton?crispus. 35. Isoetes lacustris, Polygonum amphibium. 36. Elodea cana- densis, Ranunculus aquatilis (specialmente nei canali derivati dal T.) 37-38. Fontinalis antipyretica. 39. Callitriche verna. 40-41. Riccia fluitans, Lemna minor, Isoetes malinvernianum, Heleocharis |acicularis f. ftuitans. Ranuncu- lus aquatilis, Callitriche verna. 42. Ranunculus aquatilis, Callitriche verna. Confronto tra il residuo secco del liquido imbevente alcuni sibettali della ta pedoelofite e quello dell’acqua mobile che determina tale substrato. ta ROS Rs ge pie ae: ir: DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Pantano presso una sorgente a Castagnole Lanze Pantano presso una sorgente a Meno (Vo- Thalweg umido a Canale (Alba) . Margini di una lanca lungo il Tanaro a S. Martino Margini di una palude presso Carpice (Moncalieri) . Margini di un fosso di scolo nego la strada nazio- Stagno presso Troffarello ai Sabbioni . Altro stagno presso Troffarello Pendio uliginoso calcarifero a Salbertrand (V. Dora Palude presso Carpice. Vasca alimentata con RERe potabile all’Orto Bota- Ruscello lungo una strada campestre a Giaveno (To- Pendio uliginoso sopra detriti serpentinosi a Lanzo Stillicidii su rocce serpentinose sul M. Masinè Ruscello sopra Meana (V. di Susa) . Pendio uliginoso su roccia Porpenti nese sul M, e Fosso d’irrigazione a Rivarolo . . .. .... Terra presso una sfagneta a Giaveno . . . . . . E È 2 E Da 1 (Alba) . 2 ghera) . 3 Alfieri . nale a Bussoleno . 7 8 9 Riparia) 10 11 nico . 12 rino). 18 (Torino) 14 15 16 sinè 17 18 19 Terra presso una sfagneta a Levone . . . . . . Acqua ambiente Acqua spremuta dalla terra de » perg reg e vg | : | | È i i TABELLA XIII. RR Stazioni delle pedoelofite peralicole. [>] 3 i Liq. pedop. Liq. 5 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI prev. pedolitico d É residuo °[oo | TeSIAUO “oo Ù Z 1 | Terra con efflorescenze presso una sorgente salata a Castagnole! Banze! (Alba). 0.0.0 a e P_1262,90 — 2 | Fanghiglia di palude salata a Castagnole Lanze (1 E) A RAT ATTIRARE Se SENI MR 17,56 —_ 3 | Fanghiglia presso una sorgente salata a Campospi- noso (Voghera). a Ri CAsE RR pa d'ali 7,26 _ 4 | Margine di palude presso al mare a nord di Via- EROE tI EV PA LO 5,91 - 5 | Palude presso al mare a sud di Viareggio . . . . 1,77 — 6 | Fanghiglia presso una sorgente salata a SACORORRE HOso:(Vopnera) een Lala RE E 1 3,64 2,65 7 | Palude salata presso Castagnole Lanze (Alba). . . 2,95 _ 8 | Palude in via di prosciugamento a Troffarello (To- Lig). EVA e e AI 2,41 — Condizioni floristiche delle stazioni sopra indicate: N. 1. Senza veg. superf. fanerogamica. N. 2. Veg. di Glyceria distans, Spergularia salina, Atriplex ma- ritima, Phragmites communis. 3. Crypsis aculeata, Phragmites communis, Althea officinalis. 4. Iuncus mucronatus, Lotus corniculatus (clor$tico), Polygonum maritimum (maggio 1910). 5. Juncus diffusus, Schoenus nigricans, Mentha aqua- tica. 6. Crypsîis aculeata, Althea officinalis. 7. Glyceria distans, Atriplex mari- timus, Sperguluria salina. 8. Alisma Plantago, Stellaria media. Comportamento alla dialisi : N, 6. Liq. pedol. norm. 2,65, dial. 1,22. ANNALI DI BoranICA — Vor. VIII. 34 Stazioni delle pedoelofite alicole. percss: ) Bor, hi (PA (i hi ML S Liquido | Liquido | Liquido L E DESCRIZIONE DEI CAMPIONI pie de pedolitico | pedopiezico Ù E ia a residuo °I» residuo %» 1 | 1 | Margine di uno stagno lungo il Tanaro a S. Martino Alfieri . Ta 1,40 1,09 1,24 a Sabbia lungo il Po a Moncalieri 0,82 _ _ Margine di una Dalatpa a ia (Monca- MB: TORI NA e 0,79 (1) — - 4 | Altro campione di una palude a Carpice (Moncalieri) : : 0,69 _ _ 5 | Margine di un fosso a Bussoleno (Susa) 0,90 ( _ — 6 | Vasca dell’Orto botanico con vegetazione di Nelumbium, ecc. US LIT On RIV 1,28 (3) _ —_ 7 | Margine di un fosso a Giaveno (Torino) con vegetazione di Veronica Anagallis . 1,53 _ _ 8 | Palude a Troffarello (Torino). 1,61 _ _ 9 | Altra palude a Troffarello. 1,13 _ — 10 | Altra palude a Moncalieri (Torino) 1,84 —_ _ 11 | Altra palude a Troffarello (Torino) 1,22 1,22 1,18 12 | Altro pantano a Troffarello . 0,90 — — 18 | Altro campione di pantano a Troffarello . _ 2,10 . 2,53 14 | Terra con incrostazione calcarea con Euc- | ladium verticillatum a Meana (Susa) . 0,92 — - | 15 | Acquitrino in un bosco a Rossiglione (0- MO E e 0,535 _ — 16 | Margini di un ruscello submontano a Meana (Susa). . . n 4 0,43 — _ 17 | Pendio uliginoso con acque calcarizzanti a Salbertrand (Susa) . ai f 0,64 - -_ 18 | Acqua di stillicidii con veg. di Adiantum apillus Veneris a Susa. . . .... 0,23 - _ 15 | Acqua di stillicidii con veg. di Adiantum apillus Veneris a Susa, altro campione 0,20 — a (1) Dopo calcinazione res. *» 0,28 — (2) Dopo cale, 0,62 — (3) Dopo cale. 0,82. Condizioni floristiche delle stazioni sopra indicate: N. 1. T'hypha minima, Mentha aquatica, Alisma ranunculoides, Scirpus lacustris. 2. Iuncus conglo- meratus, Polygonum Persicaria. 5. Polygonum Persicaria. 6. Nelumbium spe- ciosum, Rumex Hydrolapatum, Alisma Plantago. 8. Polygonum Persicarîa, Na- sturtium amphibium, Panicum Crus Galli. 9. Alisma Plantago, Stellaria media (!) 10. Alisma Plantago, Nasturtium amphibium. 11. Galega officinalis, Mentha aquatica. 12-13. Butomus umbellatus. 1b. Lysimachia nemorum, Brunella vulgaris. 16. Carex Oederi, C. stellulata, C. Davalliana, Blysmus compressus. Comportamento alla dialisi: camp. N. 15: res. %o norm 0,35, dial. 0,20. TABELLA XV. Stazioni delle pedoelofite gelicole. v . . £ - 4 Liquido Liquido | Liquido E pedopiezico ea] y S DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Tie pedolitico | pedopiezico E CI residuo ‘In residuo Tod Zi 1 | Torba del L. d’Antilone (Ossola) . . . . — 0,44 0,50 LO Pendio palustre-torboso sul M. Musinè a Almese (rocc. serpentinose) (Torino) . . 0,37 3 | Margine di un fosso di irrigazione a Riva- FOLGORE CANAVESE I te a TIT 0,33 4 | Pendio palustre-torboso presso Lanzo (To- rino) (roccie serpentinose) . . . . . . 0,35 if Se D | Fanghiglia di un ruscello su gneiss a Cu- TCA TLT) LAI SERE PRICE 0,50 6 | Fanghiglia di un ruscello su ferretto al Montarolo di Trino (Novara). . . . . 0,26 7 | Terra di una sfagneta Piso Giaveno (To- EMO A Bo Aabre Sar 0,27 S| Margine di un ruscello di drenaggio in un pravo.astLevone. (Torino). testi. 0,22 0,21 0,536 Condizioni floristiche dei campioni sopraindicati: N. 1. Veg. di Sfagni, Lycop. annotinum, Drosera rotundifolia, D. anglica ecc. 2 e 4. Schoenus ni- gricans, Carex vederti. 5-6. Gratiola officinalis. 8. Sphagnum sp.I liquidi ottenuti ‘da questo campione erano opalini. Stazioni delle pedomesofite peralicole. residuo °I» | residuo °%oo © 5 Liquido | riquido | Liquido E | pedopiezico © DESCRIZIONE DEI CAMPIONI ne pedolitico | pedopiezico z = zi | residuo °Ioo Il 1 | Terra contro l’edificio dell’Ist. Botanico a non Rena veg... 00. 0 dun _ 230,00 143,9 2 | Terra contro l’edificio dell’Ist. Botanico, veg. di Parietaria officinalis . . . . . _ 16,07 7,32 3 | Terra contro l’edificio dell’Ist. Botanico, h veg. di Viola-cucullata . | ti) a 3,43 1,19 4 | Terra contro l’edificio dell’Ist. Botanico, | . veg. ra prep MST i 3,77 2,12 5 | Prato presso una sorgente salata a Casta- gnole Lanze (Alba). i... en 4,60 _ a 6 | Prato presso una sorgente salata a Campo- Spinoso{VOghera).,) i. di CLAS 5,92 — 7 | Margine di strada nell’abitato di Giaveno (Torino) veg. Pol. Persicaria. . . . . 5,85 _ 8 | Margine di strada campestre presso Meana (Susa) veg. di Urtica dioica . . . : 1,23 - 9 | Terreno di scarico a Bussoleno dvi veg. di Amarantacee . . . . A+ i -_ 5,74 10 | Terreno di scarico a Bussoleno, altro cam- DIDBE: it e RS a A "niote PONT; 1... 11 | Margine di strada con veg. dì Urtica a Bus- soleno (Susa). . . . . TIA, Pa 5) - 12 | Campo incolto con Urtica urens a Cavour _ 1,13 13 | Terra del pavimento di una serra dell'Orto TR SA AO II ARENA - 4,09 14 | Terra del pavimento di una serra dell’Orto botanico, un po’ più umida. . . . . . — 0,76 15 | Terra delle aiuole dell’Orto botanico. . . —_ — 16 | Terra delle aiuole dell'Orto botanico > 009 una pioggia prolungata. , . _ 0,84 17 | Cumuli di terreau all’Otto (Ofr. Tab. IX n. 10) _ _ 18 | Cumuli di terreau all’Orto dopo un BERTO OVONO, e PARLA i, i pi 1,81 _ é wi \ 1 Eur U $< MORRIS ATIT 0 di (835 A si TameLLA XVI. + ETA CELA HRR 70 Opa 1 O Ù REI I E E p nda e | Num. d'ordine Liquido | riquido | Liquido pedopiezico Aa DESCRIZIONE DEI CAMPIONI He pedolitico | pedopiezico | 4 vo | residuo °[o residuo °Io | residuo °Iva | Terra delle aiuole dell'Orto al termine del- l’inverno, veg. di Sphaerocarpus Michelii —_ _ —_ fut [Hel 20 | Terra delle aiuole dell’Orto al termine del- l’inverno,2veg. di Poa annua e Capsella BE a n n Vel 490 —_ _ 21 | Terra in un vaso di coltura strato sup. _ 1,62 1,39 22 | Terra in un vaso di coltivazione, strato PINO A STRACCI II RA: “n 1,28 1,14 23 | Taglio naturale in una argilla pliocenica i. lungo il Rio Torto a Levone Can . , 6,69 38,22 3,70 24 | Taglio naturale in una marna piacenziana aeanalo (Alba) a E. = 22,62 1,18 25 | Margini di un canale costituiti di materiali 5 di spurgo del Canale a Almese (Torino). i 6,09 4,55 26 | Terriccio presso una capanna di pastori nel- l’alta Val Tanaro, m. 1800, al Giaz Le RE I ii Se # 2,16 (1) 1,40 27 | Terreno palustre essicato a Troffarello. . . = 3,10 1,54 28 | Terriccio al riparo d’una caverna presso Proneros* (Vi: Mac) 3 srt Le ito _ 3,13 1,9% (1) Assai igroscopico. Caratteri floristici dei campioni sopra indicati: N. 1-4. Raccoiti l’uno presso all’altro secondo quanto è indicato nel cap. IV, parte seconda. 5. Veg. di Lotus corniculatus, Trifolium pratense, Pastinaca sativa, Plantago lanceolata, Cen- taurea Iacea, Achillaea Millefolium. 6. Crypsis aculeata, Cynodon Dactylon, Lotus corniculatus, Trifolium pratense, T. repens, Geranium rotundifolium, Pastinaca sativa, Taraxacum officinale, Achillaea Millefolium. ©. Terriccio molto ricco di detriti organici. 23. La forte mineralizzazione di questa terra dipende da solfati, e tra questi da solfato di rame proveniente dalla degradazione di solfuri delle roccie sovrastanti. 24. Veg. di Glechoma, Chelidonium, Senecio vul- garis. ecc. 25. Humulus Lupulus, Polygonum Persicaria, Malva sylvestris, Caly- stegia sepium 26. Veg. Rumer alpinus. Urtica hispida, Chenopodium Bonus Henricus, Capsella Bursa Pastoris, Cirsium: spinosissimum, Poa annua, Gagea arvensis.28. Conglomerato calcare; veg.di Hufchinsia pauciflora var.speluncarum. Comportamento alla dialisi: N. 26. Liq. pedopiez. res. %o norm, 1,40, dial. 0,41. Stazioni delle pedomesofite alicole. Num, d'ordine D dt a _I 16 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Marna umida a Canale (Alba) impregn. di MgSO, con veg. di Arundo e di Sed, retum Thelmateja . : Marna degradata con veg. di T'ussilago Far- fara a Canale SI RE Marna poco degradata a Canale Sabbia gialla all’Astiano a Canale. Marna a Gassino (Torino). Bosco di quercie tartufifere su marne a Alba ra Cotica erbosa sopra terreno marnoso a Gas- sino (Torino) . pi Marna degradata con veg. di pari A a Gassino . ul RE dA i e : Ripa franosa di marna a Torino in V. Sa- lice. Na Vigna su terreno marnoso a Gassino Campo alle falde di colli marnosi a Troffa- rello (Torino) . ° Campo argilloso a Troffarello, strato sup.. Campo argilloso a Troftarello, strato inf. Campo di frumento in terreno argilloso a Troffarello . "O RAZANO Campo incolto in terreno argilloso a Trof- farello. ; ; È Campo su alluvione silicea a Levone Ca- MANO VETTA + e Campo sabbioso presso Novara, strato sup. À È x | À : “ TABELLA XVII. Ss dd |A I Liquido | pedopiezico prev. residuo °Ioo | I Me I | ce ET Liquido Liquido DIRE pedolitico I: xs dI f | residuo “Io residuo “Too 32 DAT85 36 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI | residuo %» Liquido pedopiezico prev. Liquido Liquido pedolitico pedopiezico \ residuo "Th residuo %y Campo sabbioso presso Novara, strato inf. Terra di orto nella città di Torino Terra di orto nella città di Torino, essicata Campo di frumento su suolo assai calcare a Bussoleno Margine di strada presso Ronco Canavese (terr. siliceo) . Margine di strada presso Laveno (terr. do- lomitico). SORTA - Margine di strada LEO Giaveno (terr. si- liceo) PEZ 8A. Ripa erbosa lungo la ferrovia Bussoleno- Meana (Susa) . Ripa erbosa lungo la ferrovia Bussoleno- Meana, essicata . Prato a Trino Vercellese (terr. siliceo) . Prato a Rivarolo Canavese (terr. siliceo) . Prato a Arnodera di Meana di Susa (terr. calcare) . Toga 7 Aa Prato all’Orto botanico PEODA di un periodo piovoso (primav.) 2 Prato all’Orto botanico dopo un OTO Dio; voso (primav.). cà È Prato all’Orto botanico dopo un periodo pio- voso (in autunno avanzato) Pascolo su fondo calcare a Salbertrand (Valle di Susa) . Ripa su fondo oe: a aaa O rino) Bosco di larici a Salbertrand, terr. superf. Superficie umida per acqua di drenaggio in un bosco su roccia silicea a Giaveno . 0,88 a VE Latti ] < © . STI z | Liquido | riquido — Liquido | pedopiezico % DESCRIZIONE DEI CAMPIONI LI pedolitico pedopiezico g | residuo °l (Peslinio °Ioo | residuo %Yoo Z | 37 | Superficie umida per acqua di drenaggio in | un bosco su fondo calcareo a Salbertrand 0,67 _ _ 38 | Terriccio di una fessura di rupe silicea con Primula pedemontana in Valle Soana . 0,82 | 1,54 0,79 39 | Pascolo su fondo calcare con Carex clan- destina, Lavandula off. a Meana , , . _ _ i 40 | Margine di un fosso di scolo lungo una in*etrada ‘4 Troffarello Mithra Vena 0,60 0,65 0,50 41 | Muro umido a Rossiglione (Ovada) con Fu- | narîa hygrometrica VA O —_ 0,80 1,42 42 | Prato con veg. di Viola cucullata all’Orto , |. bot: di Torino... ..lat. + ea | _ 0,82 0,81 Caratteri floristici dei campioni sopra indicati: N. 4 Veg. di 7'ussilago Far- fara, Capselta, Veronica hederaefolia. 5. Racc. nell’inizio della primavera. Veg. di Tussilago, Ononis Natrir. 7. Race. in marzo. Veg. di Orchis militaris. 9. Trifolium pratense. 10. Racc. in marzo. Veronica hederaefolia, Poa annua, Capsella B. P. 11-13. Race. in marzo, solita veg. arvale. 14-15. Trifolium pra- tense, Vicia Cracca, Cerastium arvense. 16. Trifolium repens, Caerastium cam- panulatum. 17-18. Coltivato a Trifolium pratense. Race. di marzo. 21. Race. in novembre. 22. Veg. di Plantago major e Poa annua. 23-24, Trifolium repens f. quadrifolia 25-26. Veg. di Salvia pratensis. 27. Lolium perenne, Poa pra- tensis, Bromus mollis, Holcus mollis, Trifolium pratense, Plantago lanceolata. 28. Lolium perenne, Anthorantum odoratum, Holceus mollis, Plantago tanceolata, Ranunculus acer, Lychnis Flos Cuculi. 29. Tr. pratense, T. repens, Salvia pra- tensis, Leucanthemum vulgare, Rumex Acetosa, ecc. 33. Gentiana lutea, Leu- canthemum vulgare. Silene inflata, Onobrychis sativa. 36. Veg. di Oralis Ace- tosella e Polypodium Phegopteris, 87. Mulgedium alpinum, Sedum Anacampseros, Arabis alpina. 42. Race, dopo un periodo piovoso. Comportamento alla dialisi: Residuo %o +. Camp. N. 5. Lig. pedol. norm. 0,61, dial. 0,25. Liq. pedop. norm. 0,45, dia- litico 0,22. N. 23. Liq. pedol. norm. 0,82, dial. 0,16. N. 85. Liq. pedop. prev. norm. 1,17, dial. 0,83. Liq. pedol. norm. 0,85, dial. 0,48. Liq. pedop: norm. 0,88, dial, 0,22. N. 41. Liq. pedol. norm. 0,80, dial. 0,32. N. 42. La pedol. norm. 0,82, dial. 0,21. Liq. pedop. norm. 0,81, dial. 0,86. a iu: Liquido 0,49 oo — (3) Res. “Io dopo cale. 0,3 j | Liquido Liquido pedopiezico | } DESCRIZIONE DEI CAMPIONI AE | pedolitico |pedopiezico Vela: IdUO °%Io | \ residuo °Ip» | residuo ‘o 1| Prato torboso a Legpue Canavese su fondo a BIMEGD.- pa ae Ce re 0,66 0,82 0,62 2 Prato asciutto a Levone Canavese su fondo ERO RA IR tte 0,68 0,70 0,48 3 | Prato subalpino a Riva Valdobbia Da Se- sia) su fondo siliceo 0,65 0,42 IS 4 | Prato torboso lungo un fosso con sfagni a Levone Canavese . . z 0,22 0,21 0,36 5 | Prato torboso a Laveno (L. Maggiore) . 0,55 (1)) 0,48 0,2 6 | Prato vecchio naturale torboso a SERE CAO ra to e LA _ 0,52 0,59 7 | Pascolo in forte pendio su roccie serpenti- lose, a Lanzo (Forino)... Vr. eva. 1,04 0,62 0,59 8 | Pascolo in forte pendio su roccie serpenti- ; | nose a Lanzo (Torino) altro campione 0,92 0,34 0,28 -9 | Piano alluvionale su roccie serpentinose a : MZ I VI n UE SE 0,85 (2) 0,50 0,70 10 | Detriti ghiaiosi di rocce sepentinose a Lanzo 0,983 0,26 0,33 11 | Pascolo alpino su roccia calcare assai ero- dibile al Colle delle Munie (V. Macra) — 0,48 0,35 12 | Pascolo alpino su roccia calcare al Colle dei Stipe Na tbanaro);s i aio; 0,48 — 0,36 13 | Boscaglia su marna deceradata esposta a nord presso Superga (Torino) str. sup. _ 0,25 0,50 14 | Boscaglia su marna degradata esposta a nord presso Superga, str. int. . . _ 0,55 0,45 15.| Ceduo di castagno su marna degradata a nord presso Superga . . — 0,23 0,534 16 | Ceduo di castagno su roccie dolomitiche presso Laveno, str. sup.. . . . 0,52 (3) 0,23 0,8 17 | Ceduo di castagno . su roccia dolomitica presso Laveno, str. inf. _ 0,17 0,27 ch) Residuo I» dopo calcinazione 0, e _ pù Il Prasivo fu ripreso con acqua, la parte solubile .- 99 (1) Res. “oo dopo cale. ta > | TMP ST I Liquido | | pedopiezico | prev. residuo ‘I DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Bosco di Castagni a Meana (Susa) su cal- ceschisti assai degradati, str. sup.. . . Bosco di castagni a Bussoleno (Susa) su cal- ceschisti assai degradati, str. sup. . Bosco di castagni a Meana su calceschisti assai degradati, str. sup. . . . . . Bosco di larici a Ronco Canavese, roccia erlioce:(Humub).:.1. pae Bosco di larici e faggi a Riva AL (V. Sesia). (Hpmus); Grant : Bosco di faggi a Fomarco (Ossola) Pendio roccioso in V. Soana con veg. di Rhododendrum ferrugineum . . . col Pendio serpentinoso assai degradato con veg. di brughiera a Lanzo. : Marna assai degradata dei colli di Torino | a nord, con veg. di Calluna . . | Conglomerato terziario (‘Tongriano) assai | alterato con veg. di Casfanea e Calluna. | Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di Brughiera a Oleggio (Novara). Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di | br RE NIOTo aa Callunaa Cavagliano i) ovara) BULABUD, n VETTE uo | Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di brughiera a Calluna; Cavagliano KSPrEcA str. prof.. SERE RASTA e meta Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di | brughiera a Molinia (Novara). Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di | brughiera presso S. Maurizio Canavese . Terreno diluviale ferrettizzato con veg. di brughiera presso S. Maurizio Canavese, altro campione . . . +. sed si (4) Residuo "|, dopo cale. 0,20 0,42 dit gri PS 0360] — 0,59 0,24 0,45 (3)] 0,21 0,64 (4)] 0,85 (2) Residuo "1, dopo cale, 0,21 — (3) Residuo *]» dopo cale. 0,40 — Tiquido” Liquido | RI | pedolitico |pedopiezico. ret dA residuo “In | residuo %oe “cr i 0,31 0,48 ce SE DIS, COSCA i EA 0 AS NI A EI te pi li E | residuo %oo residuo °Iyo | residuo o Da # Can i i = EI | Lindo 5 dana | Liquido | Liquido AI I pi pedopiezico ” pe DESCRIZIONE DEI CAMPIONI i | di | pedolitico | pedopiezico ; prev. | hi D z| 34 | Terreno di ferrettizzazione di gneiss in posto a Giaveno (Torino) veg. brughiera. . . — 0,46 0/9 35 | Terrenodi ferrettizzazione di gneiss in posto a Cumiana, veg. brughiera. ... . . . — 0,35 0,40 36 | Terreno di ferrettizzazione di gneiss in posto a Cumiana, veg brughiera, altro camp. _ 0,40 0,40 37 | Humus di vecchio castagneto a Piedimulera (Ossola), con veg. di Polytrichum for- MoOSsum _ 0,29 0,26 38 | Terra alle falde di un muro a secco a nord in reg. silicea a Piedimulera . . . . . 0,48 0,36 0,21 39 | Sabbia umida nell’alveo della Stura a Lanzo (Torino) con Cerestium glutinosum. . . 0,24 — _ Caratteri floristici deì campioni sopra indicati; N. 1. Antoxanthum odo- ratum, Lychnnis Flos Cuculi 2. Lolium perenne, Holcus mollis, Antoranthum odoratum, Trifolium repens. 3. Campanula rhomboidalis, Lotus corniculatus, Holcus mollis. 5. Equisetum arvense, Carex muricata, Lychmis Flos Cuculi, e qua e là qualche Phragmites communis. 6. Agrostis canina, Cyperus flave- scens, Brunella vulgaris. 7-8. Potentilla Tormentilla, Calluna vulgaris, Festuca spadicea, Agrostis canina, Veronica austriaca. 9. Calluna vulgaris, Genista tinc- ‘ toria, Linum tenuifolium. 10. Leucanthemum heterophyllum, Campanula tenui- fotia Hoff. e var. Re (Colla). 11. Bupleurum caricinum, Oxytrops cyanea, Gentiana campestris, G. nivalis, Saxifraga aizoides, Carex ampullacea. 12. Viola calcarata, Helianthemum vulgare, Alchimalla vulgaris, Plantago alpina, Phieum alpinum. 13-14-15. Calluna, Potentilla Tormentilla, Pteris aquilina, Solidago Virga aurea, Castanea vesca, Quercus pedunculata, Carpinus Betulus. 16-17. Po- lytrichum formosum, Pteris aquilina, Agrostis canina, Potentilla Tormentilla, Brunella vulgaris. 38. Veronica officinalis, Viola canina, Cardamine impatiens. Comportamento alla dialisi. Res. %o: Camp. N. 5. Liq. pedop. prev. norm. 0,55, dial. 0,84. N. 10. Liq. pedop prev. norm. 0,83, dial. 0,45. N. 12. Liq. pedol. norm. 0,48, dial. 0,24. Liq. pedop. norm 0,35, dial. 0,21. N. 13. Liq. pedop. norm. 0,80, dial. 0,25. N. 17. Liq. pedol. norm. 0,17, dial. 0,04, Liq. pedop. norm. 0,27, dial. 0,20, id. essicato. Lig. pedol norm. 0,41, dial. 0,12 Liq. pedop. norm. 0,40, dial. 0,24. N 25. Liq. pedop. norm 0,20, dial. 0,17. N. 37. Liq. pedol. norm. 0,22, dial. 0,05. Liq. pedop. norm. 0,26, dial. 0,20; id. essicato. Liq. pedol. norm. 0,74, dial. 0,25. Liq. pedop. norm. 0,37 dial. 0,17. . Campione analogo al N. 16. Liq. pedol. norm. 0,63, dial. 0,23; id, al N. 8. Liq. pedop. norm. 0,85, dial. 0,29; id. al N. 9. Lig. pedol. norm. 0,68, dial. 0,38. Lig. pedop. norm. 0,52, dial. 0,33. (dal o DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Sabbia umida della spiaggia marina a Via- reggio (senza veg.). Ce) RITO Sabbia di spiaggia a V agili con sia di Convolvolus Soldanella . . Sabbia di spiaggia a MIRINBIO? con O NRE, di Euphorbia Pinea. : Sabbia di spiaggia a Monterosso Met Medicago marina, str. sup. LMR Sabbia di Spiaggia a Monterosso (Spezia) Medicago marina, str. prof. . . . . +. Sabbia di spiaggia a Monterosso a Cakile maritima . . . 4007, Sabbia di spiaggia a 1 m. sul mare, Mon- terosso (Spezia). veg. di Cynodon Dactylon Ruderati presso la spiaggia a Monterosso, veg. di Plantago Coronopus AA, Sabbia di spiaggia a Viareggio con La di Polygonum maritimum ; sa Rete Sabbia di spiaggia a Viareggio con LreEe di Chrithmum maritimum À ; Sabbia di spiaggia a VIRFPEBIOA con ai di Echinophora spinosa . : € Sabbia di spiaggia a Monterosso con veg. di Euphorbia Pinea A VEE Sabbia di spiaggia a Monterosso con veg. di Salsola Soda . sù Sabbia di spiaggia a Monterosso con veg. di Polygonum maritimum Terra ai piedi di una rupe con incrostazioni di solfato d’allumina (vedi Tab. IX n. ) Campo incolto su calcare a Bussoleno . — Liquido SSR | | normale 126,08 3,44 2,81 0,96 1,50 0,83 75,49 7,85 1,37 Osservazioni, — I campioni 1-11 turono raccolti nel maggio 1910 dopo una primavera assai piovosa; quelli 12-14 in settembre, pochi giorni dopo un pe- riodo temporalesco; un liquido rortemente torbido. il N. 17 in Aisonbte I campioni di spiaggia marina, mas- sime se raccolti in uno strato un po’ umido, danno assai spesso alla Li MAr "plate Polare XX. Stazioni delle prnnarolito alicole. | | | È A s Past Ss Liquido | Liquido | Liquido 3 | pedopiezico | Le) DESCRIZIONE DEI CAMPIONI n | pedolitico |Padeniezzt i ev. | = | residuo “oo | residuo °I | residuo ‘Iv Zi | i | 1 | Sabbie alluvionali calcari del Tanaro a i SAM AnbEtO CA Her SE rt = 1,78 0,82 2 | Scariche di cava calcare a Levone Canavese _ 1,77 0,68 3 | Fessure di rupi di calcescisti a Meana (Susa) con Artemisia, Vesicaria utriculata . . _ 1,08 0,66 4 | Fessure di rupi di calcescisti a Meana Gia PILLONCATAPIONO MN att a o Cn Sa — 2,06 0,50 5 | Fessuredi rupi calcari con Sesleria caerulea e Polyg. Chamaebuxus a Meana (Susa) . — _ 1,15 6 | Fessure di rupi calcari con Sesleria caerulea e Polyg. Chamaebuxrus a Meana (Susa) es- SEE Pte PNE a E dr agi PS —. 3,94 1,08 7 | Fessure di rupi calcari con Polygala Cha- maeb. e Sax. Aizoon a Meana . . . . _ 1,00 —_ 8 | Fessure di rupi caleari con Saxifraga Aizoon ss 0,64 0,39 9 | Detrito calcare a Meana con Seslerza cae- ruléa, dopo un temporale . . . . . . 0,39 0,27 0,30 10 | Marna di Gassino (Torino) con Ononis Na- SIEEISTTA Apro nine ter paga 0,78 0,30 0,54 Jl | Marna di Gassino (Torino) con Ononis Na- DREI CINOADOSTO: e ROSE —_ 0,78 0,52 12 | Terriccio tra le radici di Avena sempervirens MVP anaro, na, L00062 ia ae -. 0,30 0,48 18 | Detriti di cava di magnesite e giobertite a . 4 Baldissero (Ivrea) con Globularia vulg. . — 0,59 0,536 14 | Detriti di cava di magnesite e giobertite a 'Baldisseroy'essicato! iti _ 0,81 0,81 15 | Terriccio di um muro a secco siliceo con Grimaldia dichotoma, a Piedimulera (Os- sola rs, a An n ne e ione — 0,92 0,53 - 16 | Sabbia di dune continentali a Troffarello (Torino) veg. di Chenopodium album. . _ 1,55 —_ Caratteri floristici dei campioni sopra indicati: N. 1. Veg. Ononis Natrix Amorpha fruticosa, Hippocrepis comosa, Tetragonolobussiliquosus, Salix trian- dra, Plantago Cynops. Comportamento alla dialisi: Res. %o- Camp. N. 3. na pedop. norm. 0,50, dial. 0,81. N. 9. Lig. pedop. prev. norm. 0,60, dial. 0,28. N. 12 (V. Tab. II N. 6). Marna di Gassino con veg. di Thymus ansa racc. in agosto. Liq. pedol. norm. 1,18, dial. 0,31. Liq. pedop. norm. 0,64, dial. 0,20. t ipo XXI Stazioni delle pedoxerofite gelicole. © S Liquido Liquido s DESCRIZIONE DEI CAMPIONI | pedolitico | pedopiezico E residuo “x | residuo *[» I Z| 1 | Pendio di roccie di gneiss a Cumiana (Torino) con wep. di Deschampsta i i i a 0,87 (1) 0,60 2 | Pendio di roccia di gneiss a Piedimulera (Ossola) con veg. di Festuca rubia UIL 0,50 0,58 3 | Terriccio sotto una Festuca ovina a Ronco (V. SOR) roccie di gneiss 3 #46 i 0,45 0,74 4 | Terriccio sotto una Festuca ovina a Ronco (V. 2 our) BISICato Oi ee È : 0,54 (1) 0,27 5 | Detriti di roccia di Ea a Lanzo (Torino) con Plantago serpentina . . . . ‘ sure 0,37 0,60 6 | Detriti di roccie scistose a 7 CRRIELIORO dadi con i Plantago serpentina . . . ADRIE Se 0,65 0,99 7 | Detriti di una cava di magnesite e giobertite a Bal- dissera (Ivrea) con Plantago serpentina . . 0,50 0,48 8 | Detriti di una cava di magnesite e giobertite a Bal- sero, con Euphorbia verrucosa . . . . 0,21 0,537 9 | Detriti di una cava di magnesite e giobertite a Bal- dissero, con Euphorbia verrucosa, essicata . . 0,56 0,536 10 | Detriti di roccie di gneiss a Cesara (L. d’Orta) con Sarothamnus, Teucrium scorodonia, ecc. . 7 0,40 0,46 11 | Sabbioni di dune continentali a Mortara (SERA) Tee- sdalia, Corynephorus, ece.. o bis ra 0,35 —_ 12 | Sabbioni di dune continentali a Troffarello (Torino) 0,42 —_ 13 | Sabbioni di dune continentali a Troffarello, veg. di IJasione montana 0,59 — 14 | Sabbioni di dune continentali a TREO veg. di | Jasione montana LEA : 0,38 ori 15 | Sabbioni di dune continentali a ‘Troffarello veg: cry | simum canescens . . 0,42 <> 16 | Sabbioni di dune continentali a T Proffarello, veg. di Plantago arenaria MS 0,42 = | 17 | Sabbioni di dune continentali a Troffarello, veg. di i licheni . 3 = GINE À 0,19 0,16 18 | Detriti di cava di gneiss a Cumiana Seng De- di schampsia, Silene rupestris . RR te e ì 0,21 0,62 i 19 | Terra sotto una brughiera a Cumiana, (Caltuna, Ge- 1 mista tincetoria, Betula alba . . . - LI 0,55 0,40 (1) Abbondante residuo organico. _anS DI | Segue : TagpLLa XXI MM NL pog Comportamento alla dialisi: Res. %o- ® £ Liquido Liquido = = S DESCRIZIONE DEI CAMPIONI pedolitico | pedopiezico : E residuo ‘I | residuo °[o Zi 20 | Terra sotto una brughiera a Cumiana, altro cam- N RE I e pe 0;90 0,60 21 | Brughiera su roccia di gneiss a Levone Canavese . 0,43 0,43 22 | Castagneto su roccia di gneiss a Levone Canavese. 0,22 0,51 23 | Parte superficiale di humus di brughiera essicato per asportazione della copertura di Ca/luna, Hiera- cium Pilosella, Potentilla verna . . . . 0,50 0,20 24 | Accumuli di bumus su roccie dolomitiche a Laveno, con veg. di Chrysopogon Gryllus . 0,59 0,45 25 | Accumuli di humus su roccie dolomitiche a Laveno, con veg. di Crysopogon Gryllus essicati . 1,57 .90 Comportamento alla dialisi: Res. %o Camp. N. 2. Liq. pedol. norm. 0,50, dial. 0,20. Liq. pedop. norm. 0,38 dial. 0,28 N. 6. Liq. pedop. norm. 0,99, dial. 0,40. TABELLA XXII. Stazioni delle pedoxerofite pergelicole. = | Liquido Liquido Liquido 5 ; | pedopiezico | | - DESCRIZIONE DEI CAMPIONI | pedolitico | pedopiezico : | prev. | E FEO “Too | residuo ‘Ivo | residuo ‘o Z | | 1 | Humus di brughiera a Bellinzago (Novara), con Calluna, Iasione, Polytrichum. . . 0,46 0,01 0,33 2 | Humus di brughiera, altro campione. . . _- 0,02 0,26 3 | Humus di brughiera a Trobaso (L. Mag- GHOEP)LSLEALORSUPas si ten 4° 1 0,28 = — 4 | Humus di brughiera a Trobaso (L. Mag- SIOLC) BURLO IE MO 0,63 —_ — 5 | Humus di brughiera su alluvione recente a Cuzzago (Ossola), Calluna, Iasione, ecc. 0,70 0,15 0,23 Camp. N. 5. Liq. pedopiez. prev. norm. 0,70, dial. 0,32. Liq. pedol. norm. 0,15, dial. 0,05. ‘Liq pedopiez. norm. 0,23, dial. 0,06. uns Te | ge | 960 | — az0 |** © © ‘sa:97 un 07905 ‘commmog 0910.1101 oNaTosog 7 PI = I 280 uo P= 09-98 |: © + ‘osory8 opens pi "PI "PI "Fr rel 180 GIT Ss dARO Me * (@001TIS “ANITW) OSOAVUBO CIZIIMEN ‘S è odme9 _| 880 Las 92° OTT - 08-09 | © * OSOISIQS 09813g ‘PI PI DI PI ; #80 _ ECT 4% - 20 |< > > out1og è c0rT8JOg 0H0,JPP ATOnTF 880 3 2740 86°0 — | .06-04 |} * * *OSOrerg3 038198 PI “SIR "PI sedi x T9‘0 60 = 0209 EP pI PI ‘pi "PI "PI ” » 09'0 TOT = 3 ha NOR PI "PI "PI ‘PI — _ PERI 81° — c3-0 | * eqeperdop suorani[y ‘83399010 è[[e cuLIoI, è oduizo al SEMRRLO 92'6 Si 08-09] PI pi PI "PI _ —_ c6‘0 eee - OP-0 * * @IBO]Bo OUALIA], "#8SNg Ip ‘A UI cue[ossug ® odure) %, ‘891 °°, ‘891 %, ‘591 %, ‘891 ©, ‘891 e a a È ‘AQId 7 ‘ pe ‘AQId 2 opa 0oIgIopa 00Izordopac 00m ]opa Mi 1168) a , pi ; ia opzordopad | °C "IIPPSC loorzaidopad INOIANVO ITA INOIZIUOSHA OpmbrT Opinbrt È Opmbr] opmbr] È , c [ II 7, dti: OpinbrT OpmbrT WIPUOJOIT UMUATNUAON OTTDAT *UHpuojoad 1}uo10,J{p 8 0U91I9Z OWUISOpowr un Jp iprubj] Jp 2012817 u99010;) 'TITXX. 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OIZIINERN OIZIINE TN ‘S OIZIINE TN OIZIIMR N OIZIINV ASS Api ‘PI PES" + - * ‘PI ‘PI ST PI ‘PI ‘ QUOIFo1 essaIs e[[au @eLras IITW i ‘asd ABU) QUOI1ZeZz139aLIO] Ip eIpiSae ns vI1orqSnag . . . . . . LL La . . . ‘'OoSsOABUB() QUOIZEZZI3ZITI9] IP el[iBae ns eiorqSnag . . . . . . . . . . . ‘'0oS9ABUBA) QUOIZEZzIyzaLIO] Tp ef[idie ns e10rqSnag QUOIZBZZI]Z9LI9] ‘as0ABUB() Ip e[[iSae ns viorgSnig QUOIZBZZIZ)ILI9] ‘as0A BUR) Ip e[pidie ns erorgSnag INOIAWYO INA ANOIZIUOSHA 96 SE TÉ AU[pIio,p c19uImMN *IIIXX VTISaY] :sanbag ‘8710d008 èIerqSnag ‘0g ‘0UNZVI) TP BHISOA SERA "66 N 1200120419880 (1) ‘20°0 “Tetp ‘co'o ‘tto *‘poped “BIT “SF N ‘Gp “erp ‘97/0 "uiou ‘doped *brT ‘910 *T81p 2100 *taTOU ‘popad *brI ‘poN *91°0 "Teip ‘og’ ‘wiou ‘dopad «brT ‘88'0 “‘Tep ‘ze') rursou ‘Jopod “BIT ‘Gp N “FO "erp ‘Teo "wiou doped "BET *61°0 “2TP Peio rutou ‘popad “BIT ‘GP ‘N ‘090 "Trip ‘89% “untou ‘dopad ‘DET GTO "TRIP ‘610 ‘uom ‘Joped ‘BUT TE N ‘°% "s9Y ‘ISIUIP el[e 07 uawreg.oduog c0°0 he; = n = 00508 ee a rt E SMTP OUI 0310g è #99I]IS BUOI tun gIdos osorqqes opuoz ns tIeryBnIg | 8K C0°0 TR Ty _S = e 08-09" ie (040109 NEON oStog © g90I[IS euoto gun eIdos osorqqes opuoz ns Vaenionaa LE 60°0 ro st a ca OdG | n e e (GIO 10OU] CUOIO è B90I]IS BuU2I0WI eun eIdos osorqqes opuo; ns eierqesnag | 9% 0‘0 PIO r- Ta xi 6-0 Me TEA (010 ae BN OUT OA; è teoi]Is euosdowi gun gIdos Oosorqqes opuoz ns vI0IQSNIT | Gp 810 pre, SB i SIE 08-G% Ò BERT IMAI MOUT AORI te a ORE * (IA STO o1998]O è @uorzezzIipgatIe;: Tp e[[iSae ns eaorgSnag | Ee‘0 Pr Ss Va ue C)-0G Ò DIE ROSTA aria . dRO . a ao (VIRA -ON) O19S9]0 è QUOrZEZZIqzOLIO] IP vada ns og] So ; ES ; Feo ea Ar si mali ; 0G -GE ° 3 e (Fa pesa . Ù, ° é a . = Ò Ù ° Ò . (vIRA Rei i i i -ON) 01358[0 è euorzezzIygatIe] Ip e[[idae ns eiorgSnag | DE " 1 6T°0 tra pesa pes pie: GE-0 ri i Se ZIO ha DIO RS e (IA ; ice — _ | -ON) 0188910 ® euorzezziggo1toz Ip eqpiSae ns soia La IR zl n ada : : i alata tei: pani Num. d'ordine [9] 1 10 TABELLA XXIV : I liquidi dei substrati delle Epifite. DESCRIZIONE DEI CAMPIONI Terra sopra un salice a Carpice | 7 norm. (Torino) con veg. di Galeopis Tetrahit, Stellaria media. . .|® dializz. Terra sopra un salice a DIECI 2 norm. (Torino) con veg. di TOUR Convolvulus. . . . : 8 dializz. Terra sopra un salice a Carpice | 7 norm. (Torino) altra porzione essicata All'aria: 0, ile na Re daizz Terra sopra un salice a S. Mau- | x norm. rizio Canavese con veg. di ,Stel- larsa media: lo 0 ep dlalizz Terra sopra un salice a S. Mau- ( x norm. rizio Canavese con veg. di Ga. . leopsis Tetrahit. Terra sopra un salice a S. Mau- ( x norm. rizio Canavese con veg. di Lo- . lium perenne, Quercus sp. Terra sopra un salice a S. Mau- ( 2 norm. rizio Canavese, con veg. di ,Stel- laria media, Galeopsis Tetrahit |p dializz. Terra sopra un salice a S. Mau- rizio Canavese con veg. di T'a- raracum PIRLA e pappe Tetrahit . s \ % norm. Terra sopra un salice a S. Mau- rizio Canavese, altra porzione seccata all'aria . . 0. _. . . —_ Terra sopra un salice a S. Mau- rizio Canavese con veg. di Po- gonum Convolvulus, Solanum pa aa bal ENTI n È dializz | u norm. Mal 8 dializz. x a dializz. "{B dializz. Liquido pedopiezico prev. F08. “Io Liquido pedolitico | pedopiezico. È - res. “To 7,02 9,78 Liquido res. *Io 3,76 1,53 TOTI e Leti ut A | t È; i Liquido | ‘Tiquido | Liamido DESCRIZIONE DEI CAMPIONI È pedolitico | pedopiezico E rev. Testa res. “To D g "E ° pedopiezico [ie] E 0 5 Fess Tio zi 11 | Terra sopra un salice a S. Mau- rizio Canavese, lo stesso cam- PROC TESSIGRton. iL _ _ 3,61 2,59 12 | Terra sopra un salice a Bussoleno (x norm. — 4,60 3,02 (Susa) con veg. di Sfellaria ‘ MO A I n (odia liaz, Dl 1,62 1,67 13 | Terra sopra un salice a Acceglio (Cuneo, m. 1200) con veg. di corri Ao Sn, Lee Solanum Dulcamara e Gera- sn È » nium Robertionum. . . . . 18 dalia "o. Do ui 14 | Terra sopra un castagno a Ome- gna con veg. di Rudus discolor, Phytolacca decandra, Viola i COTE A —_ - _ _ 15 | Terra sopra un castagno a Piedi- \ ga norm. _ 2,04 0,76 mulera (Ossola) con veg. di Po- < lypodium vulgare . . .. . lg dializz. —_ 1,58 0,57 16 | Terra sopra un castagno a Piedi- | % DOT. ®. Di Boa mulera (Ossola), altro campione (digli 0,52 0.77 i x oi so ’ 17 | Terra sopra un castagno a Piedi- \ rifetda 45; 1,43 112 mulera (Ossola), altro campione | az È 0.46 0.32 a norm. 0,48 — —_ 8 calcin. 0,12 = = 18 | Terra sopra un castagno a Piedi- mulera (Ossola) con veg. di Lu- (Y evapor. zula nivea .:-. . . .% . .(eripreso con acquaj 0,87 — =“d è dializz. 0,30 — = I campioni 15-18 furono raccolti nella parte esterna del tronco; il n. 18 presso la base. Tbink Do Stazioni dei funghi “AL ( © 5 Liquido Liquido Liquido E pedopiezico 2 DESCRIZIONE DEI CAMPIONI fare pedolitico |pedopiezico E tasca res. " res. “oo tai I Boscaglia di iper sulla | ADIARE di Via- reggio. % — 0,51 — 2 | Pineta della Macchia Lucchese a Vinueggto, strato sup.. Rae) —_ 0,39 — 3 | Pineta della Macchia Lucchese a Viar eggio; strato prof. 25-40 cm. boe —_ 0,83 — 4 | Terra marnosa sotto a quercia tartufifera a BI DR I AO OLO IE _ 0,72 0,46 5 | Terra marnosa sotto a quercia tartufifera a Castiglione Falletto (Alba). : - 0,46 0,59 6 | Terra marnosa in una ripa tartufifera a Castiglione Falletto (Alba). —_ 0,81 0,69 7 | Terra marnosa sotto a un Populus alba a Castiglione Falletto (Alba). È — 0,35 0,45 8 | Marna inalterata presso una ripa tartufifera a Castiglione Falletto (Alba). . _ 9,01 1,94 “9 | Marna degradata presso una ripa tartufifera a Castiglione Falletto (Alba) . — 1,29 0,60 10 | Terra di castagno a Piedimulera (Novara) 0,72 0,49 0,87 11 | Humus sotto i faggi a Fomarco (Ossola) . _ 1.10 0,80 12 | Terriccio nero di castagno a. REoraEo (No- vara) . Ra AND > 0,57 0,70 Caratteri floristici dei campioni indicati. N. 1. Terreno superficiale sabbioso con Silene maritima e Iuniperus macrocarpa. N. 2-3. Terra sabbiosa. Veg. di Pinus halepensis, P. Pinea, Iuniperus macrocarpa ece. In questa stazione è frequente trovare la Delastria rosea. N. 4-9. Terreni che favoriscono lo sviluppo del 7’uber magnatum. Il camp. 8 è ancora inalterato, grigio, e l'alta percentuale di sostanze solubili è data da solfati e specialmente da solfati di potassio. In questa formazione (sono marne piacenziane) è frequente l’osservare (p. e. a Canale) efflorescenze di solfato di magnesio. Tale campione dà per degradazione la terra del camp. 9, costantemente tartufifero, 10. Elaphomyces hirtus, E. cyanosporus, 11. Elaphomyces hirtus. 12. Cenococcum geophilum. Comportamento alla dialisi. Res. oi N. 9, Liq. pedop. prev. norm. 0,72, dial. 0,46, Liq. pedop. norm. 0,87, dial. 0,52 | TABELLA XXVI Concentrazioni dei liquidi del terreno durante la stagione IO CI (>) E Data Liquido Liquido i s DESCRIZIONE DEI CAMPIONI di pedolitico | pedopiezico El raccolta res. “Too res. ‘Io i . LO ET a SIC. RES ORI I MI E 1 | Terra all’Orto Botanico contro un muro, al riparo di un balcone con veg. florida di Stellaria media. . .... .. .-. ...|26.110| 9,98 _ 2 | Terra di aiuole all’Orto Botanico con scarsa Capsella e Poa annua, strato sup.. ...| 26. 1.10 0,45 0,92 3 | Terra di aiuole all’Orto Botanico con scarsa Capsella e Poa annua, strato inf. . . .|26. 1.10 0,78 1,08 4 | Terreno all’Orto di Torino con Lamium pur- pureum e Stellaria in fiore (1) . . . .| 29. 1.10 0,78 1,90 5 | Terreno all’Orto di Torino con Lamium pur- I pureum e Stellaria in fiore, a 20 cm. prof. | 29. 1.10 0,39 0,18 6 | Terra al riparo di un abete all’Orto, veg. di Chelidonium majus. . . . .. . .|241109| 0,97 1,17 | Terra al riparo di un abete all’Orto, veg. di Chelidonium majus . . . . . . .|26.110| 0,90 0,66 8 | Prato a cielo scoperto Latta alla località E de a sea ion 2110941046 0,42 9 | Prato a cielo scoperto RGS alla località ne e IC TO RIO 0,52 0,65 10 | Crosta dì terra delle aiuole dell’Orto Bota- 3 nico con veg. dî Sphaerocarpus Michelii | 15. 2.10 | 1,87 0,66 * 11 | Campo a Cavour (Pinerolo) in pianura. .| 15. 2.10 0,38 0,64 12 | Prato nella pianura a Moncalieri (Torino). | 18. 1.10 0,35 0,49 15 | Pendio esp. a Sud presso la vetta della Rocca di Cavour (Pinerolo) rocca silicea . . .| 13. 2.10 0,73 0,46 14 | Fessura di roccia esposta a Sud della Rocca di Cavour con veg. di Ceferach off. . .| 18. 2.10 0,89 0,51 ‘15 | Pendio erboso esposto a Sud a Cavour con veg. di Calamintha Clinopodium . . .| 13. 2.10 0,48 0,40 16 | Piano incolto sulla vetta della Rocca di Ca- vour assai soleggiato (Erodium Ciconium) | 13. 2.10 0,48 1,17 (1) Lo strato superficiale per 8 cm. di spessore era gelato. Pendio con veg. di Brughiera a Cavour, OSDIAMEPAG RA i Campo incolto sul fianco meridionale della Rocca di Cavour. : Fessura di rupe presso la vetta della Rocca di Cavour esposta a Nord . Brughiera con castagneto sul vers. Nord della Rocca di Cavour Pendio erboso presso il Castello di Avigliana (Torino) veg. di Eryngium campestre . Altro campione presso al n. 21. Detriti di roccie verdi con veg. di Teucrium Chamaedrys EE A Terriccio su una roccia presso al Castello di Avigliana (Torino) veg. Sedum album Bosco ceduo di Querce a Mompantero di Susa (calcare) . "RIE COVE rta, et Fessura di rupi calcari con veg. di Hetero- pogon Allionii (V. di Susa). rt Fessure di rupi calcari con veg. di Scabiosa pyrenaica (V. di Susa). sca Fessure di rupi calcari con veg. di Globu- laria vulgaris (V. di Susa). DE Pendio ghiaioso con veg. di Boat ada a Foresto di Susa . è o Pascolo a Foresto di Susa. Altro pendio erboso a Mompantero di Susa Bosco di Pinus sylvestris e castagno con veg. di Lavandula a dr pago a it: (calcare) . . . nda 30.1.:10 TOR tw Liquido res. “lo 0,85 Liquido pedolitico | pedopiezico POS. o 0,82 0,76 0,64 0,41 0,533 0,54 0,70 0,50 0,66 0,78 SELSTON ata MI SENZIERE CORTI) SHE SCRITTORI E viari ite ASL IS ife tà Lo svernamento di alcune piante sempreverdi nel clima del Piemonte per la Dott. LIinA BADALLA. E Nei nostri climi le piante presentano un’alternanza annuale di una fase vegetativa con una fase di riposo, la quale ultima coin- cide colla mancanza delle condizioni favorevoli allo sviluppo delle piante, come ha luogo appunto nella stagione invernale. Il rallentamento dei fenomeni funzionali di tutta la pianta ca- ratterizza il letargo invernale. Ma il fenomeno che in modo più spiccato attesta tale letargo è il cadere della verde chioma delle nostre piante, venendo così.a mancare gli apparati di traspirazione e di assimilazione indispensabili pel compiersi della maggior parte dei fenomeni di ricambio. Un certo numero di piante non mostrano questi fatti così evi- denti di riposo e sono essenzialmente le piante sempreverdi. La caduta delle foglie in esse non coincide cioè coi rigori invernali 0 coll’approssimarsi della siccità estiva, ma la rinnovazione ha luogo lentamente e a lunghi intervalli, in epoche varie dell’anno. Quindi le foglie possono raggiungere una età relativamente grande (da 2-10 anni). Mentre nelle regioni tropicali la vegetazione sempreverde as- sume talvolta un carattere anche igrofita, nelle regioni temmperate- fredde essa presenta sempre ben manifesto un abito xerofitico, abito il quale, come è noto, permette agli organismi vegetali di soppor- tare le variazioni estreme delle condizioni di ambiente, siano va- riazioni termiche (resistenza all’eccessivo caldo e all’eccessivo freddo) che dell’umidità, dell’illuminazione ecc. Lo studio delle condizioni di vita di questi vegetali ha offerto ‘agli studiosi un campo di numerose ricerche; così sono stati messi in chiaro i modi vari di adattamento al loro ambiente, quali l’esi- stenza di disposizioni speciali per assicurare una maggiore resi- stenza meccanica delle foglie (sclereidi), o contro l’eccesso di ra- h 54 diazioni luminose e Mesionho (luccatarai e è peli) o o coni "l'acodì ri traspirazione, dovendo esse limitare al minimo il loro consumo di : acqua (riduzione della superficie fogliare, epidermide fortemente ispessita e cuticolarizzata, peli, riduzione del numero degli stomi ecc.) nelle xerofite povere di acqua; enorme sviluppo della cuticola e abbondanza di sostanze sciolte nei succhi cellulari per le xerofite succolente (Cactee, Crassulacee). Riguardo all’attività funzionale sono interessanti le ricerche sull’attività traspiratoria, e ricorderò tra queste quelle del Puglisi (1) rivolte allo studio del fenomeno traspiratorio durante l’inverno in una serie di piante sempreverdi. Cita lA. alcuni risultati di osservazioni di fisiologi che avreb- bero assodato il fatto, che le piante sempreverdi, specialmente nei paesi temperati, continuano a traspirare anche in pieno inverno, questa loro funzione potendo essere in misura' diversa soltanto li- mitata da fattori di stagione e mai assolutamente abolita. E VA. riporta 1 risultati delle osservazioni di Hales (2), il quale più di un secolo e mezzo addietro affermava che le piante sem- preverdi, anche nel cuore dell’inverno, sono capaci di assorbire acqua continuamente dalle loro radici e di emetterne di continuo dai loro organi aerei. Quelle di Burgenstein (83), il quale dimostra che i rami di Tarus baccata continuano a traspirare anche a tempe- rature inferiori a 0° C., e fino a —20° C., secondo Van Tieghem (4). L’insieme dei fatti tuttavia, dice ancora il Puglisi, induce a considerare il riposo invernale in un senso molto relativo, e cioè come limitazione più o meno forte dell’attività traspiratoria, giam- mai come cessazione assoluta di essa. Resta sempre nondimeno un estremo interiore di temperatura che talora può trovarsi persino al di sotto del punto di congela- mento dell’organismo vegetale, come Kosaroff (5) h# trovato espe- (1) Pu@L:si. — Sulla traspirazione di alcune piante a foglie sempreverdi. Ann. di Botanica. Vol. II, 1904. Recentemente è uscito un altro lavoro dello stesso Autore (Ann. di Bot. Vol. VII, 1908) nel quale è considerato il processo di traspirazione durante tutto il periodo annuale e limitatamente alla famiglia delle Lauracee, campo perciò alquanto differente da quello delle mie ricerche. (2) HaLEs. — Statik der Gewdichse, 1748. (3) BURGENSTEIN, — Veber die Transpiration von Tarusweigen bei niederen Temperaturen. — Oesterr. Bot. Zeitschr., Bd. XXV. 1875 (4) VAN Tipcnem. — Traité de Botanique. 1854. (5) Kosarorr, — Fin/luss verschiedener diusseren Factoren auf die Wasse. raufnahme der Pflanzen. — Inaug. Diss. — Leipzig, 1897 (Bot. Centbl. Bd, LXXIV, 1898, pp. 352-358). EA REI Sea CE lA ARA e REI bra È (A CO nl: sr La Led ” b 3% ep DI tota ._°__ — 551 — Ai DES . $ VIGO rimentando su rami isolati e su piante radicate diverse. E sotto. + | questo limite, dice il Puglisi, che la traspirazione si arresta affatto, perchè coll’attività generale, cessa la funzione del sistema assor- bente e perchè pare che anche gli stomi in quelle condizioni fini- scono per chiudersi interamente. Secondo Stahl (1) anzi, la chiusura degli stomi su arbusti ed alberi sempreverdi generalmente avverrebbe già in autunno, senza: di che, secondo lui, l’esistenza di quei vegetali, specie nei paesi nordici, sarebbe seriamente minacciata. Lidforss (2) sostiene di aver trovato sulle foglie di alcune sem- preverdi gli elementi di chiusura degli stomi privi affatto di amido, cioè di un sussidio prezioso per il loro speciale funzionamento. Il Puglisi invece nelle osservazioni da lui fatte (3) avrebbe con- statato la presenza costante, e anche in abbondanza, dei granuli di amido nel contenuto delle cellule stomatiche, e neppure gli ac- cadde, per la durata delle osservazioni, di constatare per tutti gli stomi di una pianta la loro chiusura ermetica e stabile. Si deve notare però che le sue ricerche furono eseguite a Roma, e infatti l'A. stesso conclude che il comportamento delle piante sempreverdi che formano l’oggetto delle sue ricerche può sufficien- temente spiegarsi per le seguenti circostanze: che in realtà i nostri climi invernali (di Roma) non sono tali da costituire un serio peri- colo per una pianta in attività di funzione, e tanto meno lo sono stati nell’inverno dell’annata in cui lA. compi le sue ricerche (1904) per la loro straordinaria mitezza. Credo opportuno accennare al fatto che il Puglisi, essendo ve- nuto, in corso di studio, a conoscenza di una pubblicazione del Kusano (4) sulla traspirazione invernale di molte piante indigene del Giappone, tra le quali alcune di quelle già da lui assunte in esame, fu consigliato da questo fatto a condurre sul materiale pre- scelto una serie di ricerche, parallele quasi a quelle del botanico giapponese, col fine di potere utilmente istituire qualche confronto tra i dati sperimentali di quest’ultimo, ottenuti a Tokio, e.i suoi ricavati a Roma. (1) StAHL. — Einige Versuche iiber Transpiration und Assimilation. — Bot. Ztg., Bd. LXX, 1894. È (2) Liprorss. — Zur Physiologie und Biologie der. Wintergriinen Flora. — Bot. Centbl, Bd. LXVIII, 1896. : (3) PUGLISI. — Op. già citata. | (4) Kusano. — Transpiration of Evergreen Trees in Winter. — 1911, Tokiò, Japan. e CVA RN: LE: d i ; RE IRE N PN RESI RIO SIRIO PALIO ” — —_— Ù ‘ AAA \ v I risultati delle sue ricerche sarebbero che le piante ‘seri verdi studiate a Roma traspirano, durante l’inverno, per valori re- lativamente forti, con intensità superiore a quella che attesta lo studio di Kusano per le piante indigene del Giappone, esaminate a Tokio. Cosicchè i risultati delle osservazioni. dei due ultimi autori ci- tati, credo. si debbano ritenere gli studi più recenti sulla funzione traspiratoria delle piante sempreverdi nella stagione invernale. | Pure interessanti sono altre ricerche riguardanti altre funzioni durante lo svernamento. È noto come in generale sia la secchezza dei tessuti quella che permette loro di sopportare estreme variazioni termiche di ambiente; così i semi secchi resistono a temperature bassissime ed elevatis- sime, così le spore, così alcuni frammenti di origine agamica pos- sono sopportare allo stato di quiescenza e quindi di secchezza delle condizioni termiche che non sarebbero adatte alle piante durante il periodo vegetativo. Nelle piante sempreverdì la relativa ricchezza in acqua dei loro tessuti costituirebbe una condizione di cose sfavorevole, e a questo problema si sono rivolte le ricerche di alcuni fisiologi. Fra queste il Ludwig (1) ha osservato nelle foglie dell’ ellebo- rus foetidus la formazione di ghiaccio durante le giornate molto rigide d’inverno. Pure delle finissime granulazioni di ghiaccio ho potuto osser- vare io nell’HelZleborus niger. Formazioni simili, ma molto più grosse, furono studiate dal Montemartini in un suo lavoro (2), in cui rife- risce particolari interessanti riguardanti lo svernamento delle foglie del Burus sempervirens. Tale studio presenta per noi maggiore importanza, perchè rife- risce i risultati di osservazioni compiute in località della vallata Padana, e su una specie la quale fa parte della serie di sempre- verdi che formano oggetto del presente lavoro. L'A. ha osservato che nelle giornate rigide d’ inverno, quando la temperatura si abbassa sotto lo zero, le foglie del Bwuxus mo- strano nella loro pagina inferiore una grossa vescica che ne occupa quasi l’intiero lembo, costituitasi per il sollevamento dell’epider- (1) Lupwio. — Weifere Beobachtungen iiber die Biologie von « Helleborus foetidus » in Bot. Centbl. 1899. Bd. LXXX. (2) MonrEMmarTINI. — Conributo alla biologia fogliare del « Buxus sem- pervirens » Lin. — (Atti del R. Ist. Bot. dell’ Università di Pavia, Ser. II, Vol. X, 1905). Rete os L2558, sd È sE | mido e degli strati più esterni del mesofillo che le sono rimasti aderenti. L’interno è occupato da una relativamente grossa lente di ghiac- cio (che può avere uno spessore massimo di 2 millimetri e un vo- lume, dedotto dal peso, di 25-40 millimetri cubi). Fenomeno che io stessa ho avuto occasione di verificare più volte nelle foglie di molti esemplari di Buxus coltivati nel giardino del Regio Istituto Botanico di Torino, durante le rigide giornate invernali. Quando la temperatura si fa più mite, il ghiaccio si fonde e la vescica scompare per tornare a formarsi quando la temperatura am- biente si abbassa sotto lo zero. Ora da alcune esperienze compiute dall'A. stesso, intese a spie- gare quali effetti possa avere per la pianta la formazione di queste masse di ghiaccio, egli ritiene di poter concludere che le foglie del Buxus sono, con speciali disposizioni anatomiche, adattate a favo- rire nel loro interno, durante l'inverno, la formazione di innume- revoli masse di ghiaccio, le quali, oltre a difendere il mesofillo da una soverchia dispersione di calore, servono a trattenere nelle foglie stesse una certa quantità di acqua che, ceduta poi ai rami quando le gemme cominciano ad aprirsi, ha quindi una funzione non indif- ferente nella germogliazione primaverile; perchè infatti la ripresa della vegetazione ha luogo, in parte, a spese dell’acqua contenuta e trattenuta nelle foglie, come l’A. stesso ha potuto dimostrare con una esperienza. i Importanti ricerche del Lidforss (1) sulla biologia della vegeta- zione invernale, sono quelle riflettenti le relazioni tra la sensibilità geotropica e la presenza dei granuli di amido funzionanti come statoliti. Altre osservazioni molto più ampie, e che sono pel nostro studio del massimo interesse, sono quelle compiute dal Lidforss stesso sulla fisiologia e biologia della flora sempreverde nella stagione in- vernale. Alcune sue ricerche preliminari furono eseguite nel 1896 (2), ma in corso di studio venni a conoscenza di una sua pubblicazione più (1) Liprorss. — Ueber den Geotropismus einiger Friihjahrspflanzen, Jahrb. f. wiss. Botanik. Bd. XXXVIII Heft. 3. Ip, Weitere Beitrige zur Kenntnis des Psychroklinie. Lands. Univ. Arsskrift. N. F. Afd. 2 Bd. 4 Nr. 3. (2) Linrorss. — Zur Physiologie und Biologie der Wintergriinen Flora. — Bot. Centbl. Bd. LXVIII, 1895. i recente (1), nella quale, coll’aggiunta di una più estesa serie 5 dî espe- È A rienze su numerosissime piante e di differenti località, sono pure riferiti alcuni risultati di capitale importanza che confermano le ‘osservazioni già pubblicate nel 1896. Le ricerche sue si riferiscono in prima linea alla resistenza al freddo delle piante sempreverdi. L’A. cerca principalmente di ri- spondere alle seguenti domande: Da che cosa dipende che certe ‘piante possono gelare completamente senza perdere la loro vitalità, mentre altre per una più lieve formazione di ghiaccio soffrono gran- demente? E come va che una stessa pianta in inverno sopporta senza danno il gelo, in primavera all’ incontro con una relativa- mente bassa temperatura muore? Il materiale venne esaminato nella Svezia Meridionale e nel Nord della Germania, specialmente; alcune poche osservazioni fu- rono eseguite anche nell’Alta Italia a Padova (inverno 1897-98) e nel Nord del Giappone, e in tutte queste differenti località l'A. fu condotto alle stesse conclusioni. Nelle sue ricerche Lidforss ebbe di mira specialmente lo studio degli scambi di Idrati di Carbonio, in rapporto colle variazioni di temperatura, della quantità e della forma dei carboidrati, dello stato degli stomi e quindi dell’attività traspiratoria. Estese le sue espe- rienze non solo alla flora invernale terrestre, ma anche allo sver- namento delle piante acquatiche; trattò inoltre dei vari modi coi quali si realizza la struttura xerofila delle foglie svernanti, della importanza fisiologica deila xerofilia, e accennò brevemente alle par- ticolarità di struttura anatomiche presentate dalle sempreverdì, e di alcune proprietà che esse hanno in comune. Tutte queste ricerche, se si eccettuano quelle del Montemartini compiute a Pavia, sono state eseguite in climi affatto differenti dai nostri. Soltanto alcune poche ricerche del Lidforss, eseguite sul materiale raccolto a Padova, possono dare una idea vaga delle con- dizioni di funzionalità delle sempreverdi della nostra regione. Quel fatto faceva quindi ritenere non privo di importanza il poter stabilire un parallelo fra i risultati ottenuti dalle osserva- zioni su sempreverdi, crescenti nelle fredde regioni nordiche, che furono appunto campo delle ricerche del Lidforss, e quelli ottenuti nelle nostre condizioni climatiche relativamente meno sfavorevoli ulla vegetazione invernale, e, per dir così, intermedie tra quelle dell'Europa Settentrionale e della Regione mediteminali (1) Limrorss — Die Wintergriine Flora. Eine biologische Untersuchung. (Lunds Universitets Arsskrift. N. F. II. Afd. 2, Nr. 18, 76 pp. Mit. 4 Tafeln. 1907. Ref. Bot Centbl. Bd. CX., 1909, p. 29. # n sa si sempreverdì indigene della nostra regione lisa venire | riunite in tre gruppi: L’uno delle piante crescenti nella regione montana e subal- | pina (Abies pectinata, excelsa ecc.; Pinus montana, P. Mughus, Juni- perus communis, I. Sabina, FRhododendron ecc. Un altro gruppo è dato da quelle sempreverdi che crescono nelle località scoperte e secche, specialmente delle formazioni di brughiera, tanto nella pianura che nei pendii montuosi. Ne è espo- nente principale la Calluna vulgaris, alla quale si associano spesso Sarothamnus scopartius, Genista tinctoria, Helianthemum vulgare, Pi- nus sylvestris ecc. Le specie di questi due gruppi.sono esposte, du- rante la stagione estiva, ad una insolazione fortissima, onde l’in- tensita della loro attività vegetativa è moderata unicamente dal grado di secchezza notevole, che è caratteristico delle stazioni da loro abitate. Nell’ inverno o il mantello di neve o 1’ intensissima irradiazione notturna, costituiscono per queste piante delle condi- zioni particolarmente sfavorevoli al compiersi della loro attività funzionale; e specialmente per quelle piante che non sono riparate dalla neve, lo squilibrio tra l’insolazione diurna e l’irradiazione not- turna sono quanto mai sfavorevoli alle piante che vi sono esposte. In un terzo gruppo noi annoveriamo delle piante le quali hanno meno spiccato l’abito xerofilo che è caratteristico delle specie sopra accennate, senza però perderlo tuttavia, come lo mostrano la scle- rosi delle foglie dell’/Zex, Buxus, la conformazione a cladodi del Ruscus, dell’ Asparagus acutifolius, i cauli più 0 meno afilli del Sa- rothamnus, della Genista; le foglie coriacee dell’ Hedera Helix, del- l’Helleborus niger, e, quantunque in grado minore, dell’. foetidus e dell’/. viridis. A queste si devono aggiungere il Polypodium vulgare, lo Scolo- pendrium officinale, e, assai più di rado, il Taxus baccata ecc. Ora tutte queste piante si trovano, durante la stagione estiva, in condizioni particolari di ambiente, in quanto trovano la loro sta- zione più frequente nel fondo dei boschi, all'ombra dell’ampia chioma degli alberi a foglia caduca. Nella stagione invernale queste piante sono esposte assai più direttamente all’insolazione, in ciò analogamente agli altri gruppi di sempreverdi. Ma una differenza notevole è loro offerta dalle condizioni to- pografiche speciali nelle quali si trovano le loro stazioni preferite. Esse infatti occupano una fascia situata alle falde della regione al- pina e appennina, dove le condizioni climatiche invernali sono rela- tivamente assai più dolci che non nella zona soprastante e sottostante. È di questo gruppo di ONE che io intendo particolati occuparmi, date le particolari condizioni di clima ad esse offerte. nel corso dell’annata, e dato il particolare significato fitogeografico che queste piante hanno nella nostra flora (1). i Naturalmente non ho mancato di eseguire ricerche anche sugli altri gruppi delle piante sempreverdì, sia allo scopo di poter fare dei confronti, sia per portare un contributo ad illustrare la fun- zionalità durante l’inverno di piante biologicamente così singolari. Inoltre per me di grande interesse è il fatto che mentre Lidforss ed altri autori, in seguito a osservazioni fatte su piante sempre- verdi viventi nei paesi nordici, sostengono che coll’inverno cessa ogni attività traspiratoria, il Puglisi, dal suo studio su sempreverdì viventi nel mite clima mediterraneo di Roma, è condotto a con- clusioni affatto disparate, unicamente dovute a differenze di con- dizioni climatiche. Per quanto si riferisce all’attività ‘assimilatoria, questa subisce durante la stagione invernale un rallentamento notevole e si ar- resta in alcune specie a dei limiti molto bassi per es. Juniperus, Abies, Lecanora (a — 35° e anche a — 40°) (2) Anche nelle piante sempreverdì era da verificare se questo pro- cesso di assimilazione potesse aver luogo o no, fatto questo del quale pochi autori si sono occupati. Ma per ciò bisogna tener conto anche del fatto che l’amiloge- nesi, che è uno degli indici più preziosi del processo assimilatore, subisce durante la stagione invernale delle modificazioni profon- dissime, le quali si risolvono nella cosidetta saccarofillia, fenomeno che, per il nostro argomento, è stato profondamente studiato da Lidforss. Per le stesse ragioni per le quali il problema della traspirazione, per le piante nostrane, si rendeva interessante, io ho creduto dovermi occupare anche del processo di assimilazione, tenendo conto appunto delle particolari condizioni di luce, nelle quali vengono a trovarsi, come già dissi, le nostre sempreverdi durante la stagione invernale. Lo studio del fenomeno dell’assimilazione clorofillina, in special modo, durante l’inverno, in una serie di sempreverdi perfettamente acclimatate alle nostre regioni in confronto con’ altre della Regione mediterranea e molte esotiche, inoltre lo studio di alcune altre inte- ressanti particolarità funzionali verificatesi durante il loro sverna- (1) Molte di queste piante sono tra i rappresentanti più spiccati della irra- diazione della flora pontica nella nostra regione. (Ilex, Burus, Ruscus, Saro- thamnus, Genista, Taxus, Asparagus). (2) BeLzuNG. — Anatomie et Physiologie végétales. — Pag. 579. MA 4 Ù ha mento in detta serie di piante, costituiscono l'argomento del presente lavoro che mi fu dal Chiarissimo Prof. O. Mattirolo proposto. Le mie ricerche sono state eseguite, durante il periodo invernale, nella città di Torino, negli anni 1908-1909 (dicembre-aprile inclnsi- vamente) e 1909-1910 (ottobre-aprile). Il materiale principale che fu oggetto delle mie osservazioni è stato fornito dalle piante viventi in piena terra nel giardino del Re- gio Istituto Botanico di Torino. Ed al Direttore di questo KR. Istituto, Chiarissimo Professor O. Mattirolo, sento qui il gradito dovere di rivolgere i miei più vivi ringraziamenti per i suoi gentili incoraggiamenti, e per aver messo largamente a mia disposizione i mezzi sperimentali del laboratorio a me necessari, e tutto il materiale occorrente alle mie ricerche. Questo agevolò assai il mio compito e mi mise in grado di poter sempre disporre, nel corso delle mie lunghe esperienze, di una serie numerosa di esemplari che, vivendo tutti nelle medesime condizioni di ambiente, costituivano per me soggetti assai validi di confronto per rapporto alla loro attività funzionale. Oltre alle piante coltivate nell’Orto Botanico, studiai molto mate- riale raccolto nei dîntorni di Torino, in diverse riprese e in diverse località, per poter controllare il comportamento delle piante svernanti in ambienti differenti e quindi diversamente influenzati dagli agenti esterni, Le raccolte degli esemplari da me esaminati furono fatte in pe- riodi abbastanza numerosi, ad intervalli piuttosto frequenti, ed ho avuto cura di ripetere i saggi in tutti quei momenti nei quali si ve- rificavano delle variazioni nelle condizioni climatiche, e particolar- mente favorevoli furono queste pel mio siudio giacchè i mutamenti furono non rari nella scorsa invernata 1908-1909 e in senso ora sfa- vorevole ora favorevole alle funzionalità delle piante svernanti, e in- vece lievi in quella seguente. Procurai inoltre di variare l’ora della raccolta onde studiare le re- lazioni tra i mutamenti giornalieri della illuminazione e della tempe- ratura e la funzionalità delle piante; tali relazioni, che sono così nette nella stagione calda, sono assai meno spiccate durante quella in- vernale. Eb Premesse queste considerazioni generali darò qui l’elenco delle lante sempreverdi esaminate, viventi, come già dissi, nell’ Orto t) ’ 7! Botanico di Torino, e quivi da molti anni abbastanza bene acclima- ANNALI DI BoranIcA — Voc. VIII. 36 NSA POETA En I MT PIRRO PR PSR TE SSN olo Di , F Fa, va MIRO 4 i g3 mentre la maggior parte sono esotiche. Avverto che tenendo calcolo del luogo dove crescono spontanee, della loro patria originaria le ho distribuite in tre gruppi: Specie spontanee del Piemonte, Specie della Regione Mediterranea, Specie ertra-europee. I. — SPECIE SPONTANEE DEL PIEMONTE. Ruscus aculeatus Lin., Sternbergia lutea Gawl., Burus semper- virens Lim., Helleborus foetidus Lin., Helleborus viridis Lin., Hellebo- rus niger Lin., Vinca major Lin., Ilex Aquifolium Lin., Spartium junceum (1) Lin., Sempervivum tectorum Lin., Sedum acre. Lin., Hedera Helix. Lin., Pinus Laricio Lin., Abies exrcelsa Lin., Junipe- rus communis Lin., Taxus baccata Lin., Scolopendrium officinarum. II. — Specie DELLA REGIONE MEDITERRANEA. Ruscus Hypoglossum Lin., Quercus Suber Lin., Laurus nobilis Lin., Phyllirea augustifolia Lin., Jasminum fruticans Lin., Prunus Laurocerasus Lin., Viburnum Tinus Lin. III. — SPECIE EXTRA-EUROPEE. Bambusa Metake Siebold. - Giappone; Berderis japonica Spr. - Giappone; Berberis Aquifolium Pursh. - Am. settentr.; Citrus tri- ptera (1) Desf. - Giappone; Eriobotrya japonica Lind. - Giappone, Cina; /hotinia serrulata Lind. - Giappone, Cina; Evonymus japo- nicus Lin. - Giappone; Aucuba japonica Lin. - Giappone; Weigelia japonica Thumb.; Magnolia grandiflora Lin. - Messico; Elaeagnus ferruginea Rich. - Giava; Smilar mauritanica Poir. - Mauritania: Thuja orientalis Lin. - Am. settentr. e Siberia. III. Indice principale dei fenomeni dell’assimilazione è la presenza di amido nelle cellule del mesofillo; la quantità di questo corpo è la risultante della relazione tra l’intensità luminosa, le condizioni termiche, la quantità e l’attività del plastidio verde. (1) Di queste due specie studiai il tessuto assimilatore dei cauli. RARE SS BIRA ER tate, delle quali alcune poche sono indigene della nostra regione, “ che riferirò più innanzi, le prime due condizioni, mediante la sem- plice ricerca dei granuli di amido è possibile riconoscere la funziona- lità del plastidio. A questo scopo mi sono servito del metodo di Zimmermann (1) che consiste nel trattare le foglie con una soluzione di jodio nell’i- drato di cloralio. K cosi, con un trattamento conveniente, potevo mettere in evi- denza dei piccolissimi granuli quali si formano generalmente nei corpi clorofillini, perchè l’idrato di cloralio, gonfiando î granuli, li rende più accessibili al reattivo jodato. Nei casi dubbi nei quali, o per la lunga permanenza della foglia nell’alcool, o per la presenza di sostanze coloranti, le cellule clorofil- line venivano ad essere così pigmentate da non presentare ben netta la reazione, io mi valevo dell'Acqua di Iavelle come decolorante, ed eseguivo poi il trattamento nel modo suddetto. Per comodità di studio in tutte le mie numerose raccolte fissavo subito in alcool le foglie da esaminare, onde evitare ogni possibile variazione delle sostanze in esse contenute. Le foglie, fissate in al- cool, venivano poi sottoposte all’ulteriore esame microscopico sezio- nate in senso trasversale e sottoposte al trattamento solito; ed avevo sempre cura, in ogni osservazione, di ripetere le ricerche su più fo- glie per ogni singolo individuo. Per mettere meglio in evidenza le cellule stomatiche, eseguivo delle sezioni parallelamente allo strato epidermico della pagina fo- gliare inferiore. Ho esaminato con questo sistema sia gli elementi del parenchima clorofilliano, sia gli.elementi stomatici. Le ricerche microchimiche sono state fatte non solo tenendo di mira la presenza o mancanza dell’amido negli elementi del paren- chima, ma anche in quelli stomatici; l'assenza assoluta di amido in questi è indice di una completa assenza di mobilità e quindi di un arresto della funzione traspiratoria; ho dovuto ricorrere a questo me- todo indiretto perchè, data la notevole umidità dell’atmosfera inver- nale nell’Orto Botanico di Torino, il metodo delle cartine ai sali di cobalto non avrebbe portato ad alcun risultato conveniente; e quello assai più preciso di Buscalioni (2) mi presentò forti difficoltà. Infatti la quantità enorme di pulviscolo che si raccoglie su entrambe le pa- (1) ZINMERMANN. — Bot. Mikrotechnik, 1892. (2) BuscaLIoONI. — L'applicazione delle pellicole di collodio allo studio di al- cuni processi fisiologici nelle piante e in particolar modo alla traspirazione. — Ann. R. Ist. Bot. di Pavia, 1901. ife di pleospora che su questa superficie sì I AR te: dn), formazione diimpronte assai poco nette. E ciò tanto più che in molte specie spiccatamente xerofile, quali sono quelle da me prese in esame, le rime stomatiche si trovano non affatto superficiali rispetto all’epi- dermide, ma alquanto affondate, onde assai incerto era spesso il deci- dere sulla funzionalità o meno di sitfatti organi. Quindi, oltre ai risultati delle osservazioni fatte sui parenchimi fogliari, riferisco qui, a proposito di ogni singola specie, quanto ho «potuto stabilire riguardo alla presenza di amido negli stomi. Prima di riferire i risultati delle mie osservazioni, credo oppor- tuno dare un rapido sguardo alle condizioni meteorologiche di To- rino verificatesi nel periodo, durante il quale compii il mio studio sulla flora svernante. I dati meteorologici li ho attinti da quelli ufficiali dell’Osserva- torio Astronomico di Torino gentilmente concessimi dalla Direzione alla quale rivolgo i miei ringraziamenti. Devo avvertire però che le condizioni climatiche dell'Orto Bota- nico sono un po’ differenti da quelle dell’Osservatorio sia per quanto riguarda la temperatura, la cui media si calcola di circa 2 gradi co- stantemente inferiore a quella dell’Osservatorio, sia per le nebbie persistenti, in una località così prossima al Po. Nell’annata 1908-1909 iniziai le mie osservazioni al 1° dicembre (ma. 59,2: mi. — 19,5; me. 1°4) in una giornata serena. Riguardo allo stato atmosferico vi furono delle alternative di giorni sereni e nuvo- losìi, con frequenti brine, specialmente nella prima metà di detto mese, e nebbie dense e persistenti. La temperatura andò decrescendo solo nella prima metà, raggiungendo un minimo al 10 (giorno în cui eseguli una nuova osservazione) (ma. + 00°,4; mi. — 3°,6; me. — 19,6). Verso il 12 la temperatura andò relativamente elevandosi, raggiun- gendo al 18 il maximum (mi. 49,6; me, 69,4; ma. 8°,2). La massima temperatura fu raggiunta il 12 dicembre con 8°,6). Perdurarono le condizioni relativamente miti tin verso gli ultimi giorni di dicembre, nei quali si verificarono nuovi abbassamerti di temperatura che si accentuarono in gennaio. Infatti si verificò in tale mese una média oscillante intorno allo 0), con un lieve relativo innalzamento dal 16 al 21 (me. 2°,8). Dopo il 21 si ebbero le giornate più rigide del mese di gennaio tanto che la media discese a — 29,5 il 26 e la massima sì abbassò sino a 0, al 30 La minima si mantenne sempre inferiore allo 0 raggiungendo il minimum al 26 (— 5°) e solo mantenendosi a 0 all’8 e 9 gennaio. In i Sho. —_ STI vero i invernale Mi nel mese di SENO andò accentuandosi e raggiunse il maximum in febbraio, durante il quale vi furono, a intervalli, abbondanti nevicate e corrispondentemente si ebbero 1 più accentuati abbassamenti di temperatura dell'annata. La giornata più rigida fu il 24 (ma. — 8°; me. — 4°; mi. — 5°). Date queste condizioni sfavorevoli verificai due sole volte il comporta- mente della flora svernante. Perdurarono queste condizioni sfavorevoli, se non così accentuate ‘come in febbraio, anche nella prima metà del mese di marzo, essen- dosi ripetute abbondanti le nevicate. La temperatura quindi non subì che un lieve innalzamento, mantenendosi ancora bassa, per tutta la prima quindicina di marzo, (ma. 2°, mi. — 3°, me. 0,9°). Dopo i 20 marzo invece le condizioni meteorologiche andarono improvvisamente modificandosi, la temperatura rapidamente elevan- dosi, tanto che si ebbero dei massimi di 15°, la minima non inferiore a 2°, anzi fino a 6°. Finalmente nel mese di aprile l'innalzamento di temperatura andò evidentemente accentuandosi e si stabilirono definitivamente le condizioni favorevoli al completo risveglio della vegetazione. * Riguardo all’annata 1909-1910, l'inverno fu relativamente più mite che quello della precedente, come risulta dal confronto dei dati meteorologici, specialmente corrispondenti ai mesi di gennaio e feb- braio e si notò un notevole anticipo nel migliorarsi delle condizioni climatiche favorevoli alla vegetazione. Iniziai le mie ricerche fin dal mese di ottobre per studiare il com- portamento della flora sempreverde nel tardo autunno. In ottobre la temperatura si mantenne assai elevata; andò decrescendo gradata- mente, con oscillazioni, verso la fine di detto mese e in tutto novem- bre, mantenendosi la minima sempre di alcuni gradi superiore allo 0 e la massima non abbassandosi al disotto dei 7°. L'abbassamento di temperatura si accentuò negli ultimi giorni di novembre (mi. — 2°, me. 0°) e perdurò nel dicembre, periodo in cui sl verificarono un massimo numero di giorni nuvolosi, nebbie e piog- gie frequenti, con un minimo mantenentesi al di sotto dello 0, salvo rare oscillazioni, e una media di pochi gradi superiore allo 0. Tali con- dizioni rimasero quasi stazionarie nel mese di gennaio (fuorchè nei giorni 19, 20, 21 nei quali si notò un improvviso notevole innalza- mento di temperatura (ma. 17°, mi. 6°, me, 12°) però con maggior numero di giorni sereni, nebbie e pioggie rarissime, e nella prima metà di febbraio, dopo di che la temperatura si andò progressiva: mente e notevolmente elevando. 4 ta Era; PUT RANE Mete ni began nt 1: VARIE RCN Una brusca variazione nelle condizioni climatiche (ma. 4 0%,2; PTAM DISTA Bega mi. — 0°,6; me. 0°,2) si verificò al 31 marzo e 1° aprile, accompagnata — da abbondanti nevicate, seguite da un breve periodo di pioggie, con temperature relativamente basse, all’inizio dell’aprile. Oltrepassato questo periodo sì ristabilirono, accentuandosi evidentemente, le con- dizioni favorevoli. Credo opportuno aggiungere una piccola tabella nella quale ri- ferisco, per ogni mese, i giorni e le ore in cui eseguii le mie ri- cerche; oltre a ciò le condizioni climatiche del giorno di raccolta, sia termiche che atmosferiche; inoltre ho creduto opportuno accen- nare alle condizioni climatiche dei 5 giorni precedenti ogni singola raccolta, come quelle che si riferivano a quel periodo di tempo che più direttamente poteva influenzare l’attività del plastidio assi- milatore. Giacchè poi le raccolte furono fatte ad intervalli irrego- lari, ho creduto opportuno, a legittimare le ragioni di questo fatto, di riassumere le condizioni meteorologiche del periodo intermedio tra l’una e l’altra raccolta. Per l'annata 1909-1910, non essendo numerose le ricerche ese- guite, non ho creduto necessario di riferire questi ultimi dati. (Vedi tabelle). Esaminate così attentamente le condizioni di ambiente, riassu- merò i risultati delle mie osservazioni, per le piante dell’Orto Bota- nico, sul comportamento del plastidio verde, il cui rapporto colle ‘prime si può facilmente rilevare dalla tabella sopra riferita. (Vedi prospetto). —_ _—— TIT ER, PROSPETTI indicanti le condizioni climatiche dualità i periodi dicembre- DEA qua 1908- 1909, ottobre-aprile 1909-1910. SRI AE cal ho tango: NPI 3 ? — Condizioni climatiche Condizioni atmosferiche Condizioni atmos Mesi i . Giorni degli intervalli Giornì dei 5 giorni tra una raccolta e l’altra precedenti quello di rac Ma Mi eee) so l'i E e 1898 4 4-30 88° QLo98 195 25/12-8/1] +04 | +54| —20| 48 | 404 Gennaio e iéy eeeeeeeeèiéiZEe]—___- ._______—————__|]|______ _—— cc l'in | it | | pop Marzo . EREDI Febbraio . ... . Tre] ce| | — (al °D A rr E° Ze E AZ ————- | ——_—— €69 ||. —_—_—_l.]©ao@oe«_- | _____ (1) le foglie raccolte il 25-2 furono sottoposte anche al saggio del liquido di Fehling per la ricerca di (2) Le foglie raccolte il 5-3 furono sottoposte anche in parte al saggio del liquido fi ehling. Ma Mi 5,2 — 1,5 | sereno-ser. _- 54 — 0,0 | ser.-nuvolo 14 sereno + 0,4 | — 3,6 |coperto-cop.| 9,50 8,6 — 2,5 | sereno-ser. 14 4,8 5,4 |coperto-cop. = pioggia 1,9 0,0 cop.-cop. 15 49 —15 | Q. ser.-ser. | 13,30 OL — 5,6 ser.-ser. 11,30 + 3,0 | —2,2 | ser.-nuvolo | 11,30 sereno +13 | —44 ser.-ser. 10 — 0,4 | — 4,2 | coperto-cop. 15 nevischio + 2,6 0,0 . Ser.-ser. 14,30 +46 | — 12 sereno- 9 Q. ser. + 5,6) — 0,5 f cop.-neve 10,80 +5,6 | — 05 sereno 15 13,4 + 9,1 | Q. sereno- nf5, nuvolo ser. 29,0 9,9 > 15 20,1 13,5 _ 6 ri direttamente riduttori. t ” on dizioni atmosferiche del giorno di raccolta Ore della - raccolta ore 9-ore 15 Osservazioni Brina nella notte. 5-12 e 6-12 brina nella notte, neb- bia densa al mattino. 10-12 brina la notte, nebbia densa al mattino persistente anche alle 11-12 neve. 15-12 alle ore 21 tempo pioyiggi- noso. 3-1 e 4-1 brina nella notte. 11-1 brina densa al mattino — 15-1 brina al mattino, pioggerella alle 15 — 17-1 bellissima gior- nata limpida e calda. 27-1 durante la notte pochi cm. di neve persistente. 10-2 comincia nevischio ore 14 — 11-2 e 12-2 neve. 23-2 verso le 20 comincia quantità trascurabile di neve — 25-2 ore 15 nevischio. 26-3 neve tutta la notte — 1-3 neve. 5-3 alle 9 incomincia a nevicare. 7-3 alle 9 la neve aveva raggiunto cm. 8 — Fino alle 21 continua neve, meno abbondante. 8-8 Neve dalle 12 alle 15 con inter- valli di pioggia. 19-83 incomincia rara neve con ac- qua alle ore ‘. 29-3 Incomincia pioggia leggiera verso le 20. I a equewez}aJrp 11oT]ponz 1]Fap eoreoli e] sod Fuiyog tp opinbil [9p 0183es qe otppue ‘opaed ur *agsodomos ouoIn] <-83 N 209neI aHFoJ eT (T) | ortady 0121q4IH OZIBN ) ouguta JT Iqua DIQUIBAON 189JN 2 1073 0p]I call ‘13801 5-8 | 060] | 0QI0do0 | a+ | GL | 89990 SS di Ca a = Ni e18S01d ‘ pai da { 4 4 FI È e:3301d 3-8 0 #7 — sA0U F-I |OGLI 0919409 0°0 34 a 90 09T | 9 8/93 È 0319d09 ; | DID AUNESToS iRDumu0o \e;320]d'ozieurigre TIFO | I. l’ras:o00d | AF-4-| 05611). 98781 |T6+ [PTC] OSO i O[OAMU Sist] I \ it ‘EIUUIOIS CLISSI[[O Z-8Z — pin RIU Z-7 08'6 ouares |g'Et| ‘6 64 |(ez|oT+| TOT 9‘) Lesa i *W@UINYeUI V[jeu OwISsIpuun euorqou g-6Z — % d Sy ou \W][eu euriq z-SI — 0UMIeI ]au Buti z-G — em0u elpou euri 2-2 | Qec os 10 ‘|a ‘a STA (ona \ II 08 {nu srog|0E7|68+| 0° | 9 |80—/T9+| 6T Jamie ‘9700 e][eu a rm|{_ lite sp |ioe_ suep CULI 1-08 — 9990U e[[eu RUI T-8Z — 27)00 e[[ou eqeotvom | ss.109Ze[| 1-9 — 99)0U e|[ou esuep guriq I-8T — 2S01Qqau eqRu *‘19s 000d 5) I-II — 9900 e]jeu vsuop o}jour ei[qeu ‘0300 e[eu eutIq zI-0I GT ojoAnT \ *2esolgou Insse ejeu1013 ZI-2Z — OSSR( QUOIgQ(eu g 910 al]t ZI-9% SI OU919S ‘0 + L'% 67 TE s'o— | 99 96 0E-9Z | ì orta ae te ‘dord ‘doo ‘ ner ‘ Or 6 pie, aqieavuid isenb o eqru oqjow eqeuaord zI-TZ QT È 2‘ 99 9 ez oTt—-| 2° 94 ZZ-9I ‘qqau doo ; Los AL ‘@jj00 [jeu LINE LI — enuuoo t]j[o1o$F01q] ——_-[r—-|[-——-|--|--| ZI-8I— SI 910 e] osIaA omMposiaou 0191399] ZI-TT — Owrssiprun Quo 200U GI-p — 01900 ][ou Culiq zI-2 — 6 040 of osseq euorggou ZI-Z | TT OIOI og= lee 0° 0g= | ec |FE+| 91-21 È ‘egg siou Usuop vuliq TT-67 — OUMqBwI e : | — vsuep VUIIY Ir La — esourgipeo 090d a vpirfli ‘cunssi[poq eqedos ‘0qz0u x r | pia - sg£ BUCK RUIIQ TI-#Z — 97100 e[[eu elqqou TI-61 — 09700 e][eu euri TI-ET PI "AnNU “H9S|OGT| EE reti 0) +t 66 g'a:-|e'9 + 90 a QETE | LA c be > italici ia pa : MERI o710do9 | _; ‘ ‘ ie ‘ ‘ n ‘qu ATE c - G 5 } c z : e -} Sx vqrunigeni efpou ousssipiun auorggau TT-9 | ST lrodouosas| GT | 88 | 9°T 4 a | GOT .| 29° IEEL \s LA so ‘vWssipium e esuop viqqou 01-62 | ST _ SE LIT TL LE se lost | zor | 8-8 I AL ‘0133110u10d RIO RSA] RA I NERE PRO TT e en * S eu v1019T0] u19S01d OT-8T — e19Ford 0T-ST ‘0T-FI ‘OT-81 — eSuqui ‘ Di RE RIAdSn 01-8 — #19901d 01-G — r108 eoeu o valu [au eicqou 0T-8 8 Li g'9 0°8T c'zI ZE FL 9'81 REI IE \ groso 6 sol mo | em | en m_len | on Ì #]]000RI1 ][009gI Ip 0uI1013 [ap e]j0o0ogI] w)[ovovi Ip ox[enb 1UOLZVAM?880 ©]|9p el[®p | mueparvesd 101013 e Jap | 1u1019) IO QYO]IA}SOUI}E ]UOIZIPuo;) OUIOLE) | eYoniajSOu E IUOJZIPuof) ci, ‘0161-6061 OUWE,TIOP o[11dw-01407}0 oporiod JI 0}uvInp 0UYII}BUT]O TUOIZIPUO,) Prospetto dei risultati delle ricerche dell’amido nei parenchimi verdi e nelle cellule stomatiche durante la stagione invernale. A) — PIANTE COLTIVATE NELL’OrTO BoTaANICcO. a) — Piante spontanee del Piemonte. Ruscus aculeatus. — Invernata 1908-1909: Mesofillo costantemente privo di Amido da dicembre a marzo. Compare in scarsa quantità nella seconda metà di aprile. Stomi contenenti costantemente molto A. Annata 1909-1910: Mesofillo costantemente privo di Amido. Nelle cellule stomatiche variazioni frequenti nella preseuza e nella quan- tità di A. È noto che questa specie è normalmente saccarofilla. Sternbergia lutea. — Nelle due annate 1908-1909, 1909-1910 co- stante assenza di A. anche in aprile. Specie normalmente sacca- rofilla. Buxus sempervirens (1). — Esaminai tale specie in due località differenti A e B: i A) Dicembre 1908-1909. Mesofillo privo di A. con una sola comparsa (2 dicembre) relativamente abbondante nel tessuto a pa- lizzata. Gennaio e febbraio persiste assenza di A. ghe ricompare in marzo (2 marzo).in scarsa quantità e costantemente localizzato negli strati esterni del tessuto lacunoso. 9 Nuovamente scompare al 3 marzo. Aprile: l'A. ricompare ab- bondantissimo in tutto il palizzata e lacunoso. Stomi costantemente privi di A. 1909-1910. Ottobre: Mesofillo conserva ancora A. specialmente nel palizzata, più scarso nel lacunoso. Novembre: VA. scompare e le foglie ne restano prive anche nel dicembre, gennaio e nella prima metà di febbraio. Ricompare verso la fine di febbrato; 23 febbraio: A. abbondante nel palizzata e lacunoso, e permane sempre abbondante in marzo e aprile. Stomi costantemente privi di A. (1) Di alcune specie furono studiati due esemplari; uno cresciuto nella parte del.giardino situata a Sud dell’Istituto dell’Orto Botanico, tenuto ad aiuole, l’altro cresciuto nella parte del giardino a Nord tenuta a boschetto. De- signo con A. gli individui cresciuti nella prima località, gli individui della se- conda con B. pes VASINZA sani — Aucuba japonica. -- 1908-1909. Foglie prive sa x na ‘dicerie ;re st Mg marzo. In aprile ricompare, abbondante e prevalentemente localiz- zato nel lacunoso, meno abbondante negli strati interni del palizzata | mentre manca o è rarissimo nello strato esterno del palizzata. Cellule stom. costantemente prive di A. da dicembre a marzo e nei primi giorni di aprile. 15 aprile compaiono rari granuli in alcuni stomi. 1909-1910. Esaminai foglie raccolte in due località differenti (A e B) nelle quali rilevai talvolta un differente comportamento, però identica localizzazione, cioè prevalentemente nella parte me- diana del mesofillo. A) Costante assenza di A. da ottobre a febbraio. Compare in marzo abbondante e localizzato negli strati mediani del mesofillo. 2 aprile. In seguito a grandi nevicate e abbassamento di tem- peratura rilevai A. solo in alcuni rari tratti della parte centrale del mesofillo. 6 aprile. Abbondante e sempre localizzato nel lacu- i noso. Stomi costantemente privi di A. anche in aprile. 4 B) Ottobre. Persiste A. abbondante e localizzato nella parte mediana del mesofillo, prevalentemente nel lacunoso. Novembre, non abbondante in alcuni tratti del Jacunoso. Dicembre, scompare; riappare in gennaio nel lacunoso, manca nel palizzata. Febbraio, scompare nuovamente (5 febbraio). | Marzo, ricompare abbondante e sempre localizzato nel lacunoso. Stomi costantemente privi di A. ma rarissimo, in alcune cellule del lacunoso. Scompare verso la fine . di gennaio. 29 gennaio, assenza. Durante i freddi invernali le foglie in massima parte gelarono. Nelle nuove foglie sviluppatesi in marzo, appare lA. abbondante in alcuni tratti del palizzata prevalente- mente e nel lacunoso (2 marzo); 5 marzo, alcune foglie prive di A., altre ne sono provvedute, ma solo in alcuni tratti del palizzata.. 15 aprile, A. in alcuni tratti abbondante, in altri meno frequente nel palizzata e lacunoso. Cell. stom.: gennaio, prive di A. In aprile appaiono granuli in alcuni stomi. 1909-1910. Ottobre, Assenza di A. (27 ottobre). Novembre, A. in alcuni tratti del palizzata e lacunoso. Dicembre. Relativamente abbondante nel palizzata e lacunoso al 23 dicembre. Meno abbon- dante verso la fine di dicembre (31 dicembre), e solo in qualche tratto del palizzata, più raro nel lacunoso. Scarso in gennaio, e solo in alcuni tratti del palizzata e in alcune cellule del lacunoso; molti tratti del lacunoso sono completamente privi di A. Appare abbondan- tissimo in marzo nel palizzata e lacunoso. Cell. stom. prive di amido. » è | O Weigelia japonica. — 1908-1909. Gennaio (9 gennaio). Persiste A., | x GTA ‘Aquifoliuae — 1908-1909. Bilevai in ipo specie nei quenti oscillazioni specialmente in dicembre. Foglie prive di A., ‘ (1 dicembre). 2 dicembre, A. relativamente abbondante nel Dana zata; 10 e 12 dicembre, assenza; 24 dicembre, rarissimo e solo in alcuni. tratti. Da gennaio ai primi giorni di marzo scompare; 5 marzo, nella massima parte delle foglie manca, solo in alcune è abbastanza abbondante nel palizzata e lacunoso. Aprile. Abbondan- tissimo A. con varia localizzazione. 2 aprile, abbondantissimo pre- valentemente nel palizzata, meno abbondante nel lacanoso. 15 aprile prevalentemente nello strato interno a palizzata e nel lacunoso; manca completamente od è raro nello strato esterno. 20 aprile, - strato interno a palizzata e negli strati più interni del lacunoso, manca nello strato esterno a palizzata. Stomi costantemente privi di A. 1909-1910. Rilevai pure oscillazioni frequenti. Novembre, per- siste A. non abbondante e prevalentemente nel palizzata, meno ab- bondante nel lacunoso. Dicembre, manca completamente (17 di- cembre) o è raro e solo in alcuni tratti del palizzata, rarissimo in alcune cellule del lacunoso (23 e 31 dicembre); gennaio, assenza; febbraio, appare raro e solo in alcuni tratti del palizzata e del la- cunoso (5 febbraio) o nianca completamente (28 febbraio). Marzo, rarissimo e solo qua e là in qualche cellula (18 marzo). Stomi: no- vembre, contengono alcuni graruli di A., che scompaiono verso la fine di novembre (29 novembre) e nei mesi successivi. Magnolia grandiflora. — 1908:1909. L’A. manca costantemente da dicembre a marzo e nei primi giorni di aprile. Ricompare verso la metà di aprile abbondante e in tutto il mesofillo (15 aprile); 20 aprile, ore 6, rarissimo e solo in qualche cellula del palizzata e la- cunoso. Stomi costantemente privi di A. (dicembre e gennaio). 1909-1910. Le foglie si mostrano già prive di A. in ottobre, così pure da novembre a febbraio. Ricompare in marzo in tutto il meso- fillo. Stomi costantemente privi di A. da ottobre a febbraio. In marzo appariscono abbondanti granuli. ‘Thuja orientalis. — 1908-1909. Febbraio, A. scarsissimo e solo in alcune cellule del mesofillo. 2 marzo, A. relativamente abbondante solo in alcuni tratti, raro in altri; 5 marzo, manca. Abbondantis- simo in tutto il mesofillo in aprile, 1909-1910. 12 novembre. Persiste A. solo in alcune cellule. Da dicembre a febbraio manca; ricompare abbondantissimo in marzo. Elaeagnus ferruginea. — 1908-1909. Da dicembre a febbraio co- stante assenza di A., così pure nei primi giorni di marzo (5 marzo). * 2 î ° SL ts RA; Da, : |Persiste assenza in molte Voglio? in bars compare 1 raro e prevalen- temente localizzato nel lacunoso; manca o è raro in alcune cellule dello strato interno a palizzata, manca completamente nell’esterno. Più abbondante in aprile, sempre prevalentemente nel lacunoso, meno abbondante nello strato interno del palizzata, raro o manca completamente nell’esterno. Stomi privi di A. (dicembre e gennaio). 1909-1910. Oscillazione e localizzazione variabile. 22 ottobre. Persiste nel palizzata e lacunoso; 27 ottobre, manca; 12 novembre, abbondante nel palizzata, manca completamente o è scarso in qualche cellula del lacunoso. Verso la fine di novembre scompare; manca în dicembre; riappare verso la fine di dicembre, non abbondante e solo in certi tratti del palizzata e lacunoso (31 dicembre). Non au- menta la quantità di A. in gennaio e febbraio (5 febbraio). Ai 28 feb- braio appare in tutto il lacunoso, mentre è scarso e solo in qualche cellula del palizzata. Marzo abbondante in tutto il mesofillo. Smilax mauritanica, — Quando esiste amido è sempre relativa- mente scarso, salvo alcune osservazioni; secondo Stahl questa specie è una saccarofilla normale. 1908-1909. Da dicembre a febbraio costante assenza di A. nelle foglie, che, in seguito al freddo, gelarono quasi completamente. Gra- nuli di A. in alcuni stomi. In gennaio ne erano privi (9 gennaio). Le foglie esaminate erano gelate. 1909-1910. 22 ottobre. Persiste A. relativamente abbondante in tutto il palizzata e lacunoso. Diminuisce verso la fine di ottobre (raro e prevalentemente nella parte centrale del mesofillo al 27 ot- tobre). Da novembre a dicembre scompare. Ricompare, ma raro, verso la fine di dicembre (31 dicembre). Raro anche in gennaio e solo in alcuni tratti del lacunoso esterno, manca costantemente nel palizzata (20 gennaio). Aumenta, ma non di molto, la quantità di A. in marzo, localizzato nel lacunoso. Stomi, in ottobre, contengono numerosi granuli di A., che mancano da novembre a gennaio. Ri- compaiono in marzo in alcuni stomi. Dalle osservazioni testè riferite risulta come la quantità di amido sla piuttosto scarsa già nel mese di dicembre (1908), nel quale sopra 94 osservazioni, soltanto 20 hanno dato risultato positivo (22 %) e di queste 5 sole (Burus, Medera, Viburnum, Eriobotrya, Berberis Aquifolium) hanno rivelato l’esistenza di amido in quantità abba- stanza notevole, quantità però non paragonabile a quella riscontrata nelle giornate estive di intensa assimilazione. | x la) w Kouosta percentuale si abbassa nel mese ni gennaio, nel quale. sopra 111 osservazioni solo 15 diedero risultati positivi (13%), e di queste in due sole (Hedera, Laurus) l’amido era in una certa abbon- danza, sempre relativa però. Comincia a verificarsi poco a poco, per la maggior parte delle piante studiate, il riposo invernale che raggiungerà il maximum nel mese di febbraio, nel quale nelle mie 53 osservazioni ho notato, per la massima parte dei casi, assenza completa di amido, solo 3 (6 %) mi fornirono risultati positivi, ma appena apprezzabili (Taxus, Pho- tinia, Thuja). Questo comportamento è in rapporto colle basse temperature e «colle nevicate verificatesi in detto mese. Si eleva, ma non ancora di molto, la percentuale di amido anche nel mese di marzo, nel quale, su 172 osservazioni, 46 diedero risul- tati positivi (27 %) e solo in 8 ho constatato amido abbondantis- simo. (Ilex di due esposizioni differenti, T'uxus, Laurus, Photinia, Berberis Aquifolium). Questo fatto è dovuto al perdurare delle con- dizioni sfavorevoli alla vegetazione fin oltre la prima quindicina di marzo e alle frequenti nevicate, condizioni che vanno invece rapida- mente mutandosi assai favorevolmente verso la fine di marzo. Infatti, nel mese di aprile, coll’elevarsi della temperatura, la fun- zione assimilatoria si riattiva intensamente, come si rileva dalla quantità abbondantissima di amido riscontrata nella massima parte «delle specie studiate. Fanno eccezione il Quercus Suber, Phyllirea augustifolia, nei quali l’amido si trovava in scarsa quantità. Lo Spartium junceum nel quale si è verificata una oscillazione (1° osservazione amido, 2° osservazione assenza). Sempervivum e Sedum nei quali è naturale l’assenza di amido. Quanto al Sempervivum, però, esso nella sta- gione estiva assimila abbondantemente, nelle ore di massima in- solazione. Riguardo al comportamento dei /wscus (delle tre specie esami- nate specialmente il Ruscus aculeatus nel quale alcuni granuli di amido sono comparsi solo nella seconda metà di aprile, mentre meno scarsa era la quantità di amido nel Ruscus racemosus, e relativa- mente più abbondante nel Ruscus Hypoglossum) e degli Helleborus (assente nell’H. niger, rarissimo nell’ H. foetidus); devo notare che ‘essi fanno parte, come è noto, delle piante con più o meno costante saccarofillia. Non mi soffermo quindi sul compcrtamento delle cel- lule clorofilline di tale specie, notando solo che la quantità di amido che compare nelle giornate nelle quali per le altre sempreverdì l’as- similazione è intensissima, è relativamente trascurabile. (Amary]llidacee). Ma sia per Lush specie nella mt non Fisob ngi ie mai amido, sia per la Smélax (Asparagacee) nella quale, quando esiste A., è sempre relativamente scarso, salvo alcune osservazioni, devo notare che, secondo Stahl, esse sono normalmente saccarofille, cioè il comportamento loro non è dissimile da quello dell’AZlixm, Musa ecc. e in generale delle Liliiflore, alle quali appunto entrambe appar- tengono. Nell’annata 1909-1910, nel mese di ottobre (22 e 27 ottobre) ri- levai la persistenza dell’amido nelle foglie nella massima parte delle specie esaminate, ad eccezione delle Conifere (Pinus, Abies, Taxus) Magnolia e Aucuba (A, mentre le foglie raccolte nella località B con- tenevano ancora amido) però non abbondante e costante in tutto il mesofillo (più abbondante nell’//ex specialmente e Photinia) come si verifica nei periodi di intensa assimilazione. In novembre (12 e 29 novembre) in molte specie l’amido scom- pare, già fin dai primi giorni di detto mese o verso la fine; per- mane, ma in scarsa quantità, nelle seguenti: Vinca, Ilex Aquifolium var. heterophyllus, Hedera, Laurus, Evonymus, Eriobotrya, Weigelia, Berberis Aquifolium, Aucuba (B), e in quantità appena percettibile Taxus, Thuja, Juniperus (12 novembre). In dicembre (17, 25 e 51 dicembre), in rapporto colle condi- zioni climatiche sfavorevoli aumenta il numero delle specie prive di amido, scomparendo anche nella Vinca, Ilex} Hedera (verso fine dicembre), Evonymus, Aucuba (B), Taxus, Thuja. Persiste l’amido, sempre raro, oltre alle specie studiate, nel Quercus, Spartium, Pinus, Scolopendrium, Citrus, Photinia. Debbo ancora notare che verso la fine di dicémbre ricompare l’a- mido nell’Elaeagnus e Smilax. Non differente è il comportamento delle specie studiate in gen- naio (20 gennaio). Verificandosi la persistenza dell’amido nelle so- lite specie, ad eccezione del Pinus, Scolopendrium, Berberis japonica, Berberis Aquifolium (assenza di amido); e di una ricomparsa, ma sempre in scarsa quantità, nelle foglie di edera (loc. A. mentre quelle in & ne sono ancora prive) e nell’ Ancuda (8). Nella prima quindicina di febbraio (5 febbraio) non riscontrai modificazioni rilevanti, salvo una ricomparsa di amido in quantità appena apprezzabile nel Burus (B), Juniperus, Evonymus, Berberis Aquifolium e una ruova scomparsa nell’Aucudba (B). È da rilevarsi pure l'assenza di amido riscontrata un’unica volta nel Laurus. Alla fine di febbraio (28 febbraio), coll’elevarsi della temperatura, la mas- sima parte delle specie osservate contenevano amido, e in alcune è SE a ha la so assenza. di milo (Phyllirea, Jasminum, Vidurnum. Bam- busa, Aucuba (A), Magnolia, Thuja). Anche in queste specie riappare definitivamente l’amido in marzo, nel qual mese, le condizioni atmosferiche favorevoli determinarono un definitivo risveglio dell’attività clorofillina nella flora svernante. Per la Sternbergia riscontrai comportamento analogo a quello del- l'annata precedente (assenza di amido) e medesimamente nei Pu- scus ed Helleborus. Devo ancora notare che l’abbassamento rapido di temperatura verificatosi all’inizio di aprile, non esercitò alcuna dannosa influenza quanto alle presenze di amido sulla flora sempreverde, almeno in quelle poche specie che mi fu possibile osservare, le quali si dimo- stravano ricchissime di amido. Per quanto riguarda la localizzazione, come si rileva dai risul- tati riferiti, noto che, nell'annata 1908-1909, nel mese di dicembre l’amido si trova nei tessuti a palizzata e lacunoso, però in quest’ul- timo è quasi sempre in scarsa quantità, mentre in alcuni casi, benchè rari, appare relativamente abbondante in tutto il palizzata (Buxus, Berberis Aquifolium, Laurus). In alcune osservazioni appare prevalentemente negli elementi del secondo strato a palizzata e negli strati più interni del tessuto lacunoso (Eriobotrya, Viburnum, Prunus Laurus). Nella sola Vinea sl trova costantemente nel lacunoso. Nel mese di gennaio invece ho rilevato una prevalenza dell’a- mido nel tessuto lacunoso. Nel mese di febbraio manca completamente nella massima parte degli individui, fuorchè per il Taxus e la Thuja, dove è rarissimo però; e nella Photinia (strato interno a palizzata e lacunoso). Nel mese di marzo, ad eccezione di alcune poche osservazioni (Berberis Aquifolium, Taxus) dalle quali risulta amido abbondante nel tessuto a palizzata e lacunoso, e di altre pure rarissime, dalle quali se ne rileva la prevalenza nel tessuto lacunoso, (Evonymus, Eriobotrya, Elaeagnus) si verifica generalmente la comparsa dell’a- mido con maggior frequenza nel tessuto a palizzata,. più raro nel lacunoso, nel quale è frequentementa localizzato negli strati più interni. Nel Buxus solo è costantemente localizzato negli strati più esterni del lacunoso. Finalmente nel mese di aprile, col migliorare definitivamente delle condizioni di vitalità. si osserva la prevalenza dell’amido nel massimo numero delle osservazioni, e la localizzazione di esso è O RAI La o 21 05° MEAN E ndizioni optimum di quella che s1 verifica normalmente nelle similazione. i È da rilevarsi inoltre il fatto della localizzazione abbondante in alcuni casi particolari (Ilex var. heterophyUus, Laurus, Prunus, Berberis Aquifolium), nel tessuto lacunoso e contemporaneamente nel secondo strato a palizzata, mentre manca completamente o è raris- simo nel primo strato di quest’ultimo. In alcuni rarissimi soggetti (Vidurnum, Jasminum, Phyllirea) permane la formazione dell’amido solo nel tessuto lacunose, negli strati più esterni, specialmente; o per lo meno si verifica una pre- valenza in detto tessuto (Aucuba, Elaeagnus), mentre è rarissimo nel palizzata e in questo sempre nello strato interno. Riguardo all’annata 1909-1910, in ottobre, l’amido si trova in entrambi ì tessuti a palizzata e lacunoso. Nella sola Vinca persiste la localizzazione nel tessuto lacunoso, e nell’Aucuba (B) sì trova costantemente negli strati mediani del mesofillo; nell’Hedera pre- valenza negli strati esterni del lacunoso e nello strato interno del palizzata. Per il Laurus e Prunus si verifica la particolare localiz- zazione già riscontrata nell’annata precedente (prevalenza nel lacu- noso e contemporaneamente nelle cellule dello strato interno del palizzata, manca completamente o è raro nello strato esterno). Nel mese di novembre, in cui si inizia per la maggior parte delle specie il riposo invernale, e in dicembre e gennaio, nei quali questo riposo si accentua, nelle. poche specie nelle quali l’amido persiste, assume localizzazione variabile: in alcune si trova contem- poraneamente (salvo oscillazioni), sebbene in scarsa quantità, nel palizzata e lacunoso, ad eccezione della Vinca e Aucuba (B) (pre- valenza nel lacunoso), Laurus (localizzazione solita), Berderis japo- nica (esclusivamente palizzata). Verso la fine di febbraio si verifica la ricomparsa, nella massima parte delle specie studiate, in tutto il mesofillo, salvo qualche eccezione fra le quali più importante è la Elacagnus (prevalenza nel lacunoso). | Anche in marzo tutte le foglie si mostrano ricchissime di amido ad eccezione della Smilar e Aucuba (prevalenza negli strati me- diani del mesofillo), Viburnum (prevalenza nel lacunoso). Posso notare che in seguito alle momentanee sfavorevoli condi- zioni verificatesi all’inizio di aprile, riscontrai una scomparsa to- tale o rarissima formazione di amido nello strato esterno del paliz- zata, e una maggiore quantità nel tessuto lacunoso e nello strato interno del palizzata, salvo nelle foglie dell’ Eriobotrya (amido abbondantissimo in tutto il mesofillo). Dalle mie osservazioni risulta adunque che la scomparsa di amido nelle foglie delle piante sempreverdi, durante la stagione in- vernale, non è così assoluta come quella osservata da Lidforss. Evidentemente le condizioni climatiche nostre meno sfavorevoli alla vegetazione invernale di quelle che si verificano nella Scan- dinavia e nel Nord-Germania, determinano una scomparsa di esso in grado minore. Oltre all'essere le foglie perfettamente prive di amido durante l'inverno, Lidforss aveva anche osservato che esse, in questa stagione, contengono sempre una notevole quantità di zuccheri direttamente riducenti. Per verificare questa saccarofillia invernale io ho eseguito delle ricerche analitiche del glucosio nelle piante da me studiate. Siccome non era possibile fare delle ricerche quantitative, che avrebbero condotto a risultati poco precisi, date le diverse condi- zioni, nelle quali si trovavano le diverse piante, io ho determinato semplicemente in modo comparativo la quantità di glucosio esistente nei succhi cellulari dei parenchimi fogliari. Il processo da me seguito per tale determinazione è stato il se- guente : Le foglie, appena raccolte, venivano rapidamente tagliate in tanti dischetti dello stesso diametro, ed avevo cura, per quanto era pos- sibile, di servirmi solo di quelle parti prive della nervatura prin- cipale. I dischetti di foglie, in numero uguale. per ogni esemplare, onde avere un peso di sostanza approssimativamente uguale (il peso era circa gr. 0,3688) venivano immediatamente messi nell’acqua bollente, onde coagulare gli eventuali enzimi idrolizzanti. La quantità di acqua aggiunta era di 20 centimetri cubici. Le foglie venivano tenute a caldo per parecchie ore a bagno maria, e sopra una porzione di 10 centimetri cubici dell’estratto eseguivo la reazione col liquido di Fehling mediante una soluzione titolata. Aggiungevo un centimetro cubo della miscela all’ infuso di ogni singola foglia che scaldavo in seguito nuovamente a bagno maria. A ciascuna porzione ancora calda aggiungevo di nuovo un centi- metro cubo della miscela cupro-tartrica, per verificare nna ulteriore riduzione nei liquidi più ricchi di glucosio, e osservavo poi i ri-. sultati. € sa ZO i: : CRgne® FRITTI n orsi SAR La prima (25 febbraio) in una giornata rigida, e quella del Boe marzo in una giornata relativamente più mite, come risulta dai dati climatologici riferiti nella tabella. Ho avuto di mira di variare pure le ore delle esperienze e di eseguire sempre i saggi su più foglie per ogni singola specie, in ogni esperienza. Nell’annata 1909-1910 non credetti opportuno ripetere le ricerche relative alla saccarofillia durante i rigori invernali, essendo già questa accertata, per le sempreverdi della nostra regione, dalle mie prece- denti ricerche. Ho ripetuto invece il saggio chimico al 28 febbraio, sulle solite piante in studio, onde controllare la presenza dei carboidrati sciolti in un periodo, nel quale il migliorare delle condizioni climatiche, la- sciava presupporre il riattivarsi della funzione assimilatoria, come ho potuto verificare io stessa coll’esame dell’amido nei parenchimi delle stesse foglie, delle quali mi ero servita in parte per il saggio chimico. I risultati dei miei saggi eseguiti nell'annata 1908-1909 furono i seguenti: 25 febbraio 1909 (1). — Reazione intensissima: Ruscus aculeatus, Ilex, Laurus, Prunus, Berberis japonica, Evonymus, Thuja. Reazione intensa: Buxus, Helleborus foetidus, Hedera, Quercus, Phyllirea, Jasminum, Viburnum, Photinia, Berberis Aquifolium, Ma- gnolia. Reazione debole: Bambusa, Reazione negativa : Aucaba (2), Elaeagnus. > 5 marzo 1909. — Ottenni analoghi risultati per la massima parte delle specie. Differente comportamento rilevai nel l'uscus aculeatus, reazione debole; Evonymus intensa; Aucuba debole (precipitato abbondantis- simo, ma di color verdastro, mai rosso). Magnolia, reazione positiva; Elacagnus, reazione debolissima. Aggiunsi alle specie già sperimentate il 25 febbraio le seguenti: Helleborus niger, Sempervivim, reazione intensa; /inus,y Abies, Taxus, intensissima; Juniperus, intensa; Luscus racemosus, lt. Hy- poglossum, intensa; Eriobotrya, intensissima; Weigelia, debole. (1) Per le condizioni atmosferiche del giorno dell’esperienza vedi tabella pag 14. (2) Il risultato negativo ottenuto dal saggio chimico sull’Aucuba nelle os- servazioni del 25 febbraio potè essere causato dalla presenza di pigmenti ma- scheranti la reazione. .. ome risulta dalle esperienze Tage puerta sbbondintar è la quan dita di zuccheri direttamente riducenti contenuta nel succhi cellulari L: della massima parte delle specie esaminate (anno 1908-1909), ad ec- cezione cioè dell’E/acagnus e Aucuba, per le quali ottenni risultati negativi nella prima serie di osservazioni (25 febbraio), e della Bam- busa che ad un primo saggio mi diede reazione negativa, poi debole, ad un secondo la reazione fu ancora debole, nella prima serie di esperienze. Nelle ricerche del 5 marzo invece le reazioni furono positive in tutte le specie, anche nell’Elaeagnus e Aucuba, però in queste sempre alquanto deboli. Pure reazione debole continuai ad avere per la Bambusa. Il saggio del liquido di Fehling eseguito il 28 febbraio 1910, mi rivelò un comportamento analogo delle specie esaminate, cioè una abbondante e persistente saccarofillia. benchè fosse oltrepassato il periodo rigido dell’invernata, fuorchè per l’ Ilex e l’Helleborus foetidus dai quali ottenni una reazione positiva, ma debole, mentre nell’annata precedente avevo constatato una abbondante quantità di carboidrati sciolti nei loro parenchimi fogliari. Analoghi risultati ottenni dal saggio dell’ Aucubda (reazione posi- tiva, debole); e dal saggio sulle foglie dell’ Elaeagnus ottenni reazione negativa. i Se per la massima parte delle specie la quantità di glucosio si mantiene più o meno costante durante tutto il periodo invernale, se ne hanno alcune poche, nelle qaali questi risultati sono meno netti. Naturalmente non è possibile trovare una spiegazione esatta per queste apparenti contraddizioni. Per l’Aucuba una difficoltà grande alla ricerca era data dall’ in- tensa pigmentazione bruna che avevano gli estratti, e che quindi probabilmente mascherava la raazione. Per accertarmi della reale presenza del glucosio, ho preparato, per tale soggetto, un estratto di una quantità maggiore di foglie (di un peso di 40 grammi). Ho filtrato il succo, ed il liquido filtrato, così ottenuto, l’ho trat- tato con acetato di piombo per eliminare le sostanze estranee che poteva contenere. | Poi, nuovamente filtrato, liberato Bcc di piombo mediante solfato di soda, filtrato, evaporato a secco, e così, dopo averlo puri- ficato con ripetute filtrazioni ed evaporazioni l’ho sottoposto final- mente al saggio del liquido di Fehling. Ottenni con questo procedimento una reazione positiva, quan- tunque, data la quantità della sostanza messa a reagire, essa non ri- sultasse molto intensa. quindi incapaci di essere riconosciuti ‘col metodo di ricerca a da ci adoperati. ; A provare questa supposizione ho eseguito una esperienza parti- colare sulle foglie di Bambusa. Ho preparato per ciò un estratto di foglie di Bambusa (un peso di 30 grammi), che ho in seguito torchiato. Il succo torchiato così otte- nuto, l’ho sottoposto al trattamento con acido cloridrico diluito, e all’ulteriore ebollizione, onde provocare una decomposizione idro- litica degli eventuali carboidrati non direttamente riduttori. Il liquido idrolizzato l'ho filtrato e sottoposto all’ulteriore saggio col liquido di Fehling. Ottenni in tal modo una reazione alquanto incerta in causa delle abbondanti sostanze coloranti. Ripetei allora l’esperienza, previo trattamento del liquido idro- lizzato con acetato di piombo, collo stesso procedimento seguito per l’Aucuba, e ottenni finalmente una evidente reazione, come era pre- vedibile. In tutte le mie esperienze eseguite per la ricerca del glucosio, avevo cura di fissare subito in alcool le stesse foglie, delle quali mî ero in parte servita per il saggio chimico, onde verificare in seguito, all'esame microscopico, l'eventuale formazione di amido. Dal confronto fra i risultati delle ricerche sulla presenza di amido e di glucosio, riferiti, risulta che: nelle osservazioni eseguite nel mese di febbraio (1909) mentre vi è completa assenza di amido nelle foglie, abbondante è invece la quantità di glucosio in esse contenuto. Nelle esperienze eseguite nel mese di marzo (1909) invece, ho notato in alcune osservazioni contemporaneamente allà presenza del glucosio l’apparire dell’amido: però, dai risultati ottenuti, mi pare di poter asserire che la quantità di glucosio è ancora sempre ab- bondante nelle foglie prive affatto di amido, salvo rarissime ecce- zioni (Aucuba (1), Weigelia), per le quali ottenni reazioni deboli; mentre l’esame microscopico mi rivelava pure la mancanza di amido. Debbo notare però che nei casì nei quali si nota la formazione di amido, questo è scarso. In rarissime osservazioni ho riscontrato la contemporanea rie- chezza di glucosio e di amido nelle foglie (Ilex, Taxus, Photinia). Nel saggio analitico compiuto il 28 febbraio 1910 constatai in- (1) In questa specie i carboidrati non riduttori sono affatto prevalenti. ps APRE EREVA Ro 1A O A AEREA “ i ir ses 2% Wi PENETR vece per la massima parte delle specie una abbondante saccarofillia Tarta e una contemporanea notevole’ quantità di amido nelle foglie, e nep- pure ottenni reazioni relativamente più intense nelle poche specie nelle quali si verificava un’assenza completa di amido. NE . Ho pure voluto ricercare se fosse possibile localizzare più mi- nutamente il glucosio e verificare se esistessero delle relazioni tra la presenza di questo e quella dell’amido, avendo specialmente di mira i rapporti tra amido e glucosio nelle cellule stomatiche. Mi son servita per questo scopo del metodo di Fischer modi- ficato da Senft (1) per renderlo utile all'analisi microchimica, fon- dato sulla reazione caratteristica degli zuccheri trattati colla feni- lidrazina in presenza di acido acetico, per la quale si formano i così detti osazoni (glucosazone, ecc.); questi precipitano sotto forma di sferiti o di fascetti di cristalli gialli per lo più aghiformi. Però, con tal metodo, non son riuscita ad ottenere risultati po- sitivi, nè lasciando avvenire lentamente la reazione alla tempera- tura dell'ambiente, nè in seguito ad un lungo riscaldamento, per le piante in studio, ma solo sperimentando cogli elementi del meso- carpo dell’uva e con soluzioni concentrate di glucosio ; dal che ho potuto concludere che nelle foglie delle sempreverdi, sottoposte all'esperienza, la quantità di glucosio doveva essere così piccola da non poter dare un risultato sicuro e percettibile. VI. Il comportamento dell’amido negli stomi ha luogo in modo affatto variabile, come appare dai risultati delle mie osservazioni che ho più sopra riferite. In alcune specie l’amido è pressochè abbondante durante tutta l'annata, verificandosi però in alcuni casi una sensibile diminu- zione o scomparsa totale in corrispondenza delle giornate invernali più rigide (Ruscus aculeatus, R. racemosus, R. Hypoglossum) (nelle due ultime specie meno abbondante e meno costante). (1) SeneT. — Ueber den mikrochemischen Zuckernachweis durch essigsaures. PhenyIhydrazin. (Sinzungsber der Kai. Ak. d. Wiss. Wien. math. nat CL. CXIII. Abth I. 1904, Mit 2 Taf.). ANNALI DI BoTANICA — Vo. VIII. 38 anormale pel nostro clima. 7 I CERA NE ; ani” 3° SRI ndante); 7. niger Ma Maggiori oscillazioni si i varaliurono per gli Tito nel: pa: l’annata 1909-1910. In molte altre delle specie esaminate l’assenza Amsolgtà di amido sia nel periodo primaverile che invernale non permettono di trarre alcuna deduzione; così è per: Buxrus, Ilex (1), Phyllirea, ecc.. Sono pochissime le specie nelle quali si noti una relazione tra presenza di amido e variazioni di temperatura. (Hedera, Vinca, ecc.). In altre poche la scomparsa dell’amido è permanente durante la stagione invernale, ricompare solo a primavera avanzata, ma raro. (Prunus, Photinia, Aucuba, Magnolia, Viburnum, Weigelia). Quindi non si può trarre alcuna deduzione precisa sulle rela- zioni tra la presenza di amido negli stomi e la traspirazione. VIL. Ritornando allo studio del fenomeno assimilatorio, e riferendomi con un rapido esame al comportamento della flora a. al termine del periodo invernale, noto anzitutto che, in detta epoca, l’amido torna a comparire nei diversi elementi della foglia. È una comparsa in diretta dipendenza coll’aumento di temperatura, e che, come sì può rilevare dai risultati più sopra riferiti delle mie osser- vazioni mensili, sì verifica in condizioni differenti di temperatura per le diverse specie e assume anche una localizzazione variabile. Noi troviamo così che in alcune specie già ai primi tepori pri- maverili si riattiva la formazione dell’amido, altre invece tardano a presentarlo. Non è che nell’aprile avanzato (2) che si osserva una vera atti- vità assimilatoria molto intensa e costante. Si potrebbe quindi stabi- lire un piccolo calendario, secondo le ricerche dell'annata 1908-1909, che segna l’inizio del risveglio dell’attività assimilatoria, calenda- rio che, per le piante dell'Orto Botanico, riferirò ora (1) Riguardo all’Iléx e al Burus, devo notare che nel primo constatai la presenza di granuli di amido negli stomi in una unica osservazione. (Stresa, all’ombra degli alberi circostanti, 2-9-09). Nel secondo notai la comparsa di amido nelle foglie giovani di alcuni individui, mentre gli stomi delle foglie vecchie dei corrispondenti rametti ne erano privi (Val Soana, 2-5-09; Orto Botanico, 15-5-09 e 15-5-1910. (2) Questo per l'annata 1908-1909, perchè nella seguente, come già dissi, si verificò un anticipo nel riattivarsi delle funzionalità delle piante, in modo L, cia Se Mi Marzo 1909. — Photinia, Thuja, Taxus, Ilex Aquifolium. Aprile 2. — Buxus, Helleborus foetidus (raro), Spartium, He- dera, Pinus, Abies, Juniperus, Ruscus racemosus, R. Hypoylossum, Laurus, Phyllirea (raro e solo nel lacunoso) Prunus, Berberis japo- nica, Evonynmus, Eriobotrya, Aucuba, Berberis Aquifolium. Aprile 15. — Viburnum, Bambusa, Citrus triptera, Magnolia, Elaeagnus. Aprile 20. — Auscus aculeatus (raro). Questa relazione tra presenza di amido e temperatura, e tra pre- senza di amido e glucosio nelle foglie, dà ragione a ritenere che si tratti realmente di variazioni aventi scopo difensivo per queste piante contro 1rigori della stagione invernale. Ciò è perfettamente d'accordo con quanto ha dimostrato Lidforss per le foglie di piante sempreverdi, e con quanto ricorda Stabl a proposito della iberna- zione degli apparati sotterranei e Fischer sulle condizioni delle cor- teccie durante lo svernamento. La prima ricomparsa di amido è dovuta ad un processo di assi- milazione o di rigenerazione ? : Il fatto della comparsa abbastanza frequente dell’amido piut- tosto negli elementi profondi, che negli esterni del mesofillo farebbe pensare appunto ad una rigenerazione, perchè in caso contrario sa- rebbero stati piuttosto i primi strati del palizzata a risentire l’azione delle radiazioni luminose. Conviene tuttavia tener conto del fatto che l’amido contenuto nelle cellule situate al disopra dell'epidermide stomatifera può prove- nire da una vera e propria assimilazione, provocata dal fatto che per la grande obliquità, i raggi solari illuminano spesso piuttosto la pagina inferiore che la superiore delle foglie, data anche la particolare posi. zione che esse in alcune specie occupano sul ramo. (Laurus, Ilex, ecc. Quanto al glucosio, che va diminuendo rapidamente col progre- dire della temperatura e della formazione dell’amido esso deve cer- tamente venire polimerizzato. In questo periodo di tempo i saggi col liquido di Fehling, mì hanno rivelato la presenza di tale sostanza in quantità molto mi- nore nelle seguenti specie: Auscus aculeatus, Buxus sempervirens, Ilex, Helleborus nîger, H. viridis, Sempervivum, Hedera, Pinus, Abies, Taxus, Ruscus Hypoylossum, Berberis japonica, Evonymus, Photinia ‘o addirittura appena percettibile nel Sedum, Berberis Aquifolium, Thuja orientalis; Elaeagnus. In moltissime «altre specie da me studiate constatai una totale scomparsa : Vinca, Ruscus racemosus, Quercus Suber, Phyllirea, Bam- busa, Aucuba, Magnolia. borus foetidus, Viburnum. Assenza assoluta di glucosio ho pure riscontrato in foglie bene evolute di piante a foglie caduche, e in completa attività assimi- latrice: Fagus, reazione negativa, Aristolochia, reazione negativa, Ulmus, reazione negativa, Medicago, reazione negativa. Questa constatazione della mancanza assoluta di idrati di car- bonio sciolti in quelle giovani foglie, dimostra che la quantità di zuccheri, benchè debole, riscontrata nelle foglie svernanti, anche nelle caldissime giornate primaverili, non è che un residuo dell’ab- bondante saccarofillia invernale. Anche nell'annata 1910 eseguii la stessa esperienza il 14 giugno, ed ottenni press’a poco gli stessi risultati. VIE In molte di queste piante ai primi tepori primaverili sì sono sviluppate nuove foglie, alcune delle quali hanno rapidamente sosti- tuito nella loro funzionalità quelle che hanno passata l’invernata, e ricordo specialmente la Photinia, Eriobotrya, Berberis Aquifolium. Riferendomi più particolarmente alla Photinia non credo inop- portuno di fare osservare un fatto che si verifica durante il suo svernamento (anni 1909-1910). Durante il primo periodo invernale la suddetta pianta si tro- vava in ottime condizioni, moltissime foglie però offrivano la carat- teristica di essere punteggiate di macchiettature rosso-violacee. Più tardi, verso la fine di marzo, tali foglie di Photinia cominciarono a presentare traccie di deperimento all’apice, deperimento che andò sempre più accentuandosi, fino a che, verso la fine di aprile (1)la chioma di tale albero era composta per la massima parte di foglie rosso-violacee, che al minimo contatto sì staccavano. Tale colorazione preludiava così alla loro caduta, mentre nuove foglioline si sviluppavano per sostituirle. L'esame microscopico dei tre tipi di foglie costituenti allora la chioma della Photinia, mi ha rivelato che le vecchie foglie verdi pre- sentavano una quantità abbastanza abbondante di amido, mentre le foglie vecchie rossastre, morenti, ne erano completamente prive ; e le giovani foglioline verdi invece non presentavano ancora trac- cia di assimilazione. (1) Ciò nell'annata 1908-1909, mentre in quella seguente la caduta e il suc- cessivo rinnovamento delle foglie di Photinia si verificò molto prima (marzo). de: t: Su Per due sole specie ottenni ancora una reazione intensa: Helle- ca TA | —Poichè in qualche caso l’attività assimilatoria delle giovani fo- glie di molte piante in esamesi verificava abbastanza precocemente, ho voluto studiare quale fosse, nelle medesime condizioni, il compor- tamento delle giovani e vecchie foglie. L’esame microscopico mi rivelò una abbondante presenza di amido nel mesofillo della massima parte, sia delle vecchie che delle giovani foglie, ad eccezione delle solite specie tipicamente saccaro- fille, in alcune delle quali però (Auscus Hypoylossum, R. racemosus, Helleborus foetidus ed H. viridis), verificai una rara comparsa di amido nelle foglie giovani. In alcune altre specie riscontrai un ditferente comportamento, . secondo l’età delle foglie: Nel Berberis japonica e Prunus mentre l’amido era abbondantis- simo in tutto il mesofillo nelle foglie giovani, nelle vecchie era scarso e solo in alcuni tratti. Nell’ Aucuba le foglie vecchie erano completamente prive di amido, mentre le giovani ne erano ricchissime. Nelle Conifere verifica un comportamento inverso cioè: amido abbondante nelle foglie vecchie, raro nelle giovani (Abies) o assente nelle giovani (Pinus). Anche nel Taxus riscontrai una quantità di amido leggermente inferiore nelle foglie giovani, benchè ne contenessero abbastanza abbondantemente. Nell’ Ilex notai pure assenza nelle foglie giovani, mentre nelle vecchie era abbondante. Dalla stessa esperienza ripetuta nell'annata 1909-1910 constatai una abbondante quantità di amido nel mesofillo delle foglie, indi- pendentemente dall'età, fuorchè nell’Abies, nella quale specie rilevai un comportamento analogo a quello osservato nell’annata precedente, cioè amido abbondantissimo nelle foglie vecchie, raro nelle giovani. Riguardo all’esame delle cellule stomatiche debbo notare che mentre nelle foglie vecchie non riscontrai presenza di amido negli stomi, fuorchè nel Prunus, Viburnum, Hedera, (ma in queste scar- sissimo e solo in alcune cellule stomatiche), nelle foglie giovari in- vece la sua presenza è costante e quasi sempre abbondante. Anzi è interessante notare che anche gli stomi del Buxus e Ilex, che si mostrarono costantemente privi di amido, nelle foglie giovani ne erano provveduti. Nel 1909-1910 l’esame delle cellule stomatiche mi diede risul- tati uguali a quelli ottenuti nell'esperienza dell’annata precedente, t) »» “ (Magneti pagarla amido abbondante gui sn omi de le () giovani e vecchie). ie È questa una disposizione che può avere un notevole. interesse nella nutrizione della pianta, perchè nelle foglie vecchie, a stomi privi di amido e chiusi, le correnti dei succhi nutritizi sono assai rallentate, mentre nelle foglie giovani, a stomi amiliferi e capaci di intensa attività traspiratoria, la corrente acquea e quindi la -corrente dei materiali nutritizi, è molto più intensa e quindi capace di for- nire dei materiali per gli interni processi formativi. IX. Dalle considerazioni precedentemente esposte, siamo indotti ad attribuire alla saccarofillia invernale uno speciale ufficio di resi- stenza al gelo. Tale resistenza provverrebbe dall’aumentata concentrazione mo- lecolare del succo cellulare. Ma a stabilire questo aumento di concentrazione interviene sol- tanto l'aumento della sostanza sciolta od anche una diminuzione del solvente? È un quesito che ho pure cercato di risolvere. A tale scopo ho determinato la quantità di acqua contenuta nelle foglie di tutte le specie prese in esame. Ho avuto cura di eseguire questa ricerca in due differenti pe- riodi dell'annata, cioè durante i freddi invernali e nelle calde gior- nate della primavera avanzata, onde poter stabilire un utile con- fronto tra le rispettive percentuali di acqua delle singole specie. Per tale determinazione pesavo le foglie fresche, appena raccolte, dopo averle asciugate e ripulite perfettamente; le essiccavo in stufa. verso 70 gradi e le pesavo nuovamente dopo averle tenute per qual- che giorno nell’ambiente di Laboratorio. I risultati di tale determinazione sono riportati nella seguente tabella: Da questa tabella risulta chiaro come nella massima parte dei casì esista realmente un aumento della quantità di acqua, aumento che può salire fino al 15 per 100 nell’ Elaeagnus. Solo in alcuni pochi casì, che io del resto non saprei interpretare, si è osservata una lieve diminuzione invece che un. aumento. Particolarmente interessante è il caso dell’ Elaeagnus, per il fatto che durante la stagione invernale sì pre esentava privo di Bindo, e povero di glucosio. € PIFSUTCA E ovvio ii dedurre. che in JHeste cin ladino dir concen- | | trazione necessario al plasma, è è raggiunto piuttosto mediante la di- — minuzione del solvente che con un aumento di sostanza disciolta. Percentuale di H0 con- Percentuale di H; 0) con- tenuta nelle foglie tenuta nelle foglie nella stagione inv. in nella stagione inv. in confronto con quella confronto con quella della stagione estiva della stagione estiva SPECIE STUDIATE SPECIE STUDIATE Raccolta Raccolta Raccolta Raccolta del giorno | del giorno del giorno | del giorno 6-3-09 ore 15|7-6-09 ore 15 6-3-09. ore 15|7-6-09 ore 15 Ruscus aculeatus 56,54 61,98 |Laurus nobilis .| 41,86 47,04 Buxus sempervi- 53,20 61,41 | Phyllirea angusti- | 49,68 45,14 rens folia Helleborus foeti- 66,20 0,81 | Prunus Laurocera- | 59,62 60,49 dus foglie giovani| sus Ilex Aquifoliwn . 59,17 26,03 | Bambusa Metake 40,58 44,99 Sedum acîe . . 88,01 91,85 | Berberis japonica 55,23 54,81 Sempervivum te- 89,44 91,92 | Evonymus japonieus' | 60,76. 61,79 ctorum ' È t ? sea QUA Eriobotryajaponica| 48,32 43,96 Hedera Helix . . 63,71 55,01 pr d Photinia serrulata | 54,002 60,81 Abies excelsa . . 55,65 58,62 . | ti 25 Aucuba japonica . 62,56 (3,29 Taxus baccat ; 55,40 60,15 È Mo. 7° l'Berberis Aquifo- | 57,19 55,30 Ruscus racemosus 64,26 63,95 lium Ruscus Hypoglos- 66,02 72,24 | Elaeagnus ferru- 51,80 18,87 sum ginea PG Le osservazioni che ho finora riferite sono state fatte in un am- biente, come quello dell’Orto Botanico, tra i meno favorevoli allo svernamento delle piante. Come dissi, la temperatura media è delle più basse tra quelle, che si osservano nella città di Torino, la nebbia persiste più a lungo e la natura del suolo non favorisce certo la permanenza di piante ad abito così xerofilo come sono in generale le sempreverdi. Però questi risultati presentano il vantaggio di essere tutti perfettamente paragonabili fra loro, come già dissi. Altre osservazioni, ma per ovvie ragioni meno numerose, ho fatto su piante coltivate in giardini meglio esposti nella città di Torino ed ci Hiaes in i looalità varie del Pola sole” ca GURS to s er CA preverdi si trovano spontanee o in Gendizioni di florido sviluppo. Ho dovuto però limitare le ricerche unicamente all'esame del. l’amido nel mesofillo e nelle cellule stomatiche. Riferirò anzitutto i risultati delle mie osservazioni sulla prima serie di piante. (Vedi Prospetto 5.). B) SPECIE RACCOLTE NEI GIARDINI DI T'orivo. Buxus sempervirens — Valentino V. (1): 1908-1909. Dicembre : Assenza di A. (3-29 dicembre). Gennaio. A. rarissimo e in pochi tratti del palizzata (11 gennaio). Febbraio: Aumenta gradatamente la quan- tità di A. prevalentemente in certi tratti del palizzata, più raro in alcuni tratti del lacunoso, specialmente negli strati esterni (4-21 feb- braio). Marzo: Mesofillo ricco di A. Cell. stom. costantemente prive di A. 1909-1910, 27 novembre: Mesofillo privo di A., così pure le cell. stom. Appare in gennaio ma raro e solo in alcuni rarissimi tratti del mesofillo. Valentino M. 1908-1909. Dicembre (29 dicembre): Mesofillo privo di A. Febbraio: Appare, ma non in grande quantità. In certi tratti del mesofillo, raro, in altri abbastanza abbondante, relativamente, lo- calizzato nelle cellule del palizzata. Rarissimo in alcune cellule del lacunoso (4 e 21 febbraio). Marzo: Diventa abbondante in tutto il mesofillo (28 marzo). Stomi costantemente privi di A. 1909-1910. 27 novembre: Assenza di A. 2 gennaio: Persiste as- senza di A. Cell. stom. prive di A. (riardino Dominici — 1908-1909 (7 dicembre); Amido nello strato esterno del palizzata, più raro nello strato interno. Assenza negli stomi. Giardino La Marmora — 1908-1909 (28 marzo): A. abbondantis- simo nel palizzata e lacunoso; comparsa di granuli anche negli stomi. 1909-1910, (12 dicembre); Assenza di A. nel mesofillo e cell. stom. (30 dicembre): Rara comparsa in alcune cellule del palizzata. Assenza negli stomi. Ilex Aquifolium — Valentino V 1908-1909: Non rilevai mai com- pleta assenza di A. e notai una prevalente localizzazione nel paliz- zata. Dicembre: A. raro e solo in alcuni tratti del palizzata; manca (1) Indico con Valentino M. una località situata nel Parco del Valentino in vicinanza del Castello Medioevale; con Valentino V una località situata nello stesso Parco del Valentino, ma in prossimità del Castello del Valentino. N pl n ua AE ra “int Vie alla PE E ta e ei AZ e A i I à LAPALAL ; RR ; 4 x i PA: A tessuto 2) LT Febbraio (£ febbraio): Absraià abions dante prevalentemente nelle cellule a palizzata, meno abbondante negli strati più esterni del lacunoso, raro nei più interni. 21 feb- braio: Rarissimo e solo in qualche rarissima cellula del palizzata e lacunoso. Marzo: abbondante in tutto il mesofillo (29 marzo). Stomi costantemente privi di A. 1909-1910. 27 novembre: A. in tutto il palizzata, più raro nel lacunoso. Stomi privi di A. Valentino M. 1908-1909. In questa località rilevai un comporta- mento affatto differente dagli individui della località V. Infatti da dicembre a febbraio foglie costantemente prive di A. Ricompare ab- bondante in marzo. Stomi costantemente privi di A. 1909-1910. È da rilevare il fatto, già riscontrato nell’annata pre- cedente, che le foglie di Ilex raccolte in questa località, si compor- tavano in modo differente da quelle raccolte in V. Riscontrai infatti in esse costante assenza di A. (24 novembre e 2 gennaio) nel meso- fillo e stomi. Giardino Dominici — 7 dicembre: A. nello strato esterno a paliz- . zata, rarissimo nell’ interno. Giardino Cittadella — 6 dicembre: Foglie prive di A. Al 28 marzo ne erano provvedute in quantità abbastanza abbondante prevalente- mente nel palizzata; più raro nel iacunoso. 1909-1910, 12 dicembre. Persistenza di A. in rarissime cellule dello strato interno a palizzata e degli strati interni del lacunoso. Stomi privi di A. Hedera Helix — 1909-1910. Giardino La Marmora: 12 e 30 di- cembre: Assenza di A. nel mesofillo. A. in alcune cell. stom. Abies-excelsa — 1909-1910. Valentino M.:27 novembre: Mesofillo privo di A. 2 gennaio: Manca in quasi tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rarissima cellula. Giardino Cittadella — 30 dicembre: Manca A. in tutto il meso- fitlo fuorchè in qualche rarissima cellula. Taxus haccata — 1909-1910. Giardino Cittadella: 12 e 30 di- cembre: Assenza di A.nel mesofillo. Giardino La Marmora: 12 e 30 dicembre: Massima parte del mesofillo privo di A. che appare ‘solo in qualche rarissima cellula. Valentino M. — 2 gennaio: A. in qualche rarissimo tratto del la- cunoso e in qualche cellula dello strato interno del palizzata. Va- lentino: V.: Assenza in tutto il mesofillo. KALI SN E, È % E, Me 1. DI ca ce ca Prunus Laurocerasus — 190 81909. utino braio privi di A. che appare in marzo in alcuni stomi. 1909-1910: Doo Non ebbi a rilevare assenza di A. nelle mie due osservazioni, 27 no- Pena vembre e 2 gennaio. Nella prima A. abbastanza abbondante in certì tratti, meno abbondante in altri. Nella seconda (2 gennaio) abbon- | dante in tutto il palizzata, e in certi tratti: del lacunoso. Stomi privi di A. Berberis japonica — 1905-1909. Valentino M.: febbraio: Persiste A. nelle cellule del palizzata, più raro in alcune cellule del lacu- noso. Marzo: mesofillo ricchissimo di A. Rari granuli in alcuni stomi (4 febbraio). Assenza (21 febbraio). Assenza (28 marzo). Valentino M. — 1909-1910, 27 novembre: A. in scarsa quantità in qualche tratto del palizzata. 2 gennaio: Assenza. Stomi privi di A. : Giardino La Marmora — 1908-1909, 28 marzo: abbondante A.; anche le cell. stom. contenevano abbondanti granuli di A. 1909-1910, 50 novembre: A in tutto il palizzata e in qualche ra- rissima cellula del lacunoso. Comparsa di granuli anche in qualche stoma. 12 dicembre: Assenza di A, nel mesofillo e nelle cell. sto- matiche. Citrus triptera — 1908-1909. Valentino V.: 4 febbraio. Assenza di. A. nel tess. assimilatore. Abbondante nel tessuto ipodermico e raggi midollari. 21 febbraio: Abbastanza frequente nel tess. assimilatore, abbondantissimo nel tessuto ipodermico e raggi midollari. 28 marzo: A. non abbondante e localizzato costantemente nella parte profonda delle cellule assimilatrici. Abbondantissimo nel tessuto ipodermico, porzione liberiana dei fasci, raggi midollari. 1909-1910, 27 novembre: Persiste A. nella parte esterna di qual- che cellula del palizzata, assenza di A. nel tessuto ipodermico e raggi midollari, 2 gennaio: Notai completa assenza di A. Evonymus japonicus — 1908-1909. Valentino V'1): Prevalente loca- lizzazione nel lacunoso. Febbraio: Persiste A., ma rarissimo e pre- valentemente in alcune cellule del lacunoso, specialmente negli strati esterni, manca completamente o rarissimo in alcune cellule del palizzata. Cell. stom. prive di A. (4 febbraio). Contenenti alcuni granuli di A. (21 febbraio). | Valentino V. — 1908-1909. Prevalente localizzazione nel la- cunoso, (1) Indico con Valentino V. la solita località presso il Castello del Valen- _—_— tino; e con Valentino V' una località noco distante, ma più soleggiata. in ue + di; ue. $ mente o rarissimo in alcune cellule degli strati interni del palizzata. 1 AVIO ga ebbr 9A. ‘non iondinto nel Eoianst manca PET Stomi privi di A. (4 e 21 febbraio). Ricompare AbDOT dana in tutto il mesofillo in marzo; assenza nelle cell. stom. 1909-1910, 27 novembre: Assenza di A. 2 gennaio: Riappare, non abbondante, nel palizzata, più scarso nel lacunoso. Cell. stom. co- stantemente prive di A. (novembre e gennaio). Aucuba — 1909-1910. Giardino La Marmora : 12 e 30 dicembre: Mesofillo privo di A. 12 dicembre: A. in alcune rarissime cell. stom. 30 dicembre: Assenza. Berberis Aquifolium — 1908-1909. Valentino V.: 4 febbraio. As- senza di A. Rarissimi granuli in alcune cell. stom. 28 marzo: Amido abbondante in tutto il mesofillo. Assenza negli stomi. Valentino M.: 21 febbraio: A. non abbondante nelle cellule a palizzata; scarsis- simo o manca completamente nel lacunoso. Raro in alcuni stomi. 23 marzo: Abbondante in tutto il mesofillo. Manca negli stomi. Giardino Cittadella — 28 marzo: A. abbondante nel palizzata e lacunoso. Rarissimi granuli in alcuni stomi. 1909-1910. Valentino V.: 27 novembre. Persiste A. abbondante ‘ prevalentemente nel secondo strato a palizzata, meno abbondante nello strato esterno; manca nel lacunoso. 21 gennaio: assenza. Cell. stom. prive di A. (novembre e gennaio). Valentino M. — 27 novembre: A. non abbondante nel palizzata e in qualche cellula del lacunoso. Stomi privi di A. 2 gennaio: Ab- bondante nello strato esterno del palizzata, meno abbondante nell’in- terno; più raro nel lacunoso. A. in qualche stoma. Giardino Cittadella — 12 dicembre: A. in qualche rarissimo tratto del palizzata e in alcuni stomi. 30 dicembre: Assenza nel mesofillo e cell. stom. Magnolia — 1909-1910. Rilevai costante assenza di A. in tutte le foglie raccolte nelle diverse località. Giardino La Marmora: 12 e 30 dicembre: Mesofillo e cell. stom. prive di A. Giardino Cittadella : 30 dicembre: Mesofillo e cell. stom. prive di A. Valentino V.: 27 no- vembre e 2 gennaio: Mesofillo e cell. stom. prive di A. * * * Come risulta dalle osservazioni testè riferite, nei giardini di To- rino, nei quali il migliorare delle condizioni, rispetto a quelle del- l'Orto Botanico, dipende dalla minore quantità di nebbia, oppure dall’essere meno ombreggiati dai grandi alberi, si osserva un anda- mento non molto differente da quello de meno accentuato, avendo riscontrato più frequenti le oscillazioni in dipendenza di un sensibile aumento di temperatura, anche nel pieno inverno, e per alcune specie, una anticipazione nella ricomparsa in quantità dell'A. negli elementi del mesofillo. Più particolarmente per l’ Ilex Aquifolium ho potuto constatare l'assenza completa di amido nelle foglie raccolte in una località dove la folta chioma delle circostanti conifere intercettava il passsaggio dei raggi luminosi, e una ricomparsa dell’amido molto tardiva, mentre, all'incontro, nelle foglie raccolte in condizioni migliori di illuminazione ho notato l’apparire dell’amido anche nelle stesse fredde giornate invernali. Dalla ricerca dell’amido nelle cell. stom., che ho pure riferito, ho rilevato un identico comportamento a quello delle piante dell'Orto per il Burus, Ilex, Hedera, Prunus. Ma tale comportamento è differente in altre specie osservate, cioè: Berberis Aquifolium, Berberis japonica, Evonymus japonicus, nelle quali appare amido nelle cell. stom., sebbene raro e con oscillazioni, in rapporto colle differenti giornate di raccolta o colle differenti lo- calità, mentre gli elementi stomaticì dei corrispondenti campioni raccolti nell’Orto Botanico ne erano completamente privi. Passando alle piante raccolte in varie località del Piemonte, i ri- sultati ottenuti dalle mie osservazioni furono i seguenti : luncus L., Giaveno — 22 novembre 1908: Assenza di A. Ruscus aculeatus, Rosta — 29 novembre 1908: Assenza di A. nel mesofillo; A. nelle cell. stom. Buxus sempervirens, Rosta — 29 novembre 1908: A. in tutto il palizzata. Collina di Torino (Val Salice) — 7 febbraio 1909: A. abbondante in tutte le cellule del palizzata e lacunoso. Ho pure esaminato gio- vani foglioline, nelle quali ho pure notato A. abbondante, ne] tes- suto a palizzata specialmente, in minor quantità nel lacunoso, spe- cialmente negli strati più esterni. Novara — 14 marzo 1909: A. abbondantissimo in tutto il meso- fillo. Esaminai contemporaneamente alcune foglie dello stesso ra- metto, ingiallite, gelate e riscontrai in esse assenza di A. nella mas- sima parte del mesofillo, fuorchè in qualche rarisssimo tratto, nel quale però appariva in minima quantità. Gassino — 23 marzo 1909: A. abbastanza abbondante nel paliz- zata e lacunoso. Assenza negli stomi; raro anche nelle cell. epi- dermiche. - pon a. x *, DEI DINI di salda 601 } E i ER s i i Nra Ta cino — dd aprile 1909: A. abbondantissimo. Assenza Ho3hl MS stomi. Val Soana — 2 maggio 1909 : Esaminai foglie vecchie e giovani e rilevai in entrambe A. abbordantissimo. Differente comportamento notai nelle cellule stom.; quelle delle giovani foglie contenevano A. abbondante, mentre quelle delle foglie vecchie ne erano completa- mente prive. Collina di Superga (Villa Negri) — 21 novembre 1909: Assenza di A. nel mesofillo e cellule stom. Avigliana — 16 gennaio 1910: Assenza di A. nel mesofillo e stomi. Lago d’Orta e Lago Maggiore — 23 marzo 1910: A. abbondantis- simo in tutto il mesofillo. Manca negli stomi. Daphne Cneorum L, Musiné — 12 aprile 1909: In molti tratti as- senza di A. In altri A. qua e là in alcune cellule, abbondante. Stomi privi di A. Viscum album (1), Nord — 10 dicembre 1908 : A. abbondante nelle cellule clorofilline; abbondantissimo in corrispondenza dei fasci fibro-vascolari. Nord, 12 dicembre 1908: A. abbondante. 24 dicem- bre 1908: A. qua e là prevalentemente in alcune cellule degli strati mediani del mesofillo e in corrispondenza dei fasci fibro-vascolari. Sud: A. in alcuni tratti abbondante, specialmente negli strati me- diani del mesofillo. 18 gennaio 1909, Nord den. 7 negli strati mediani del mesofillo, prevalentemente in corrispondenza dei fasci. A. anche nelle cellule epidermiche. Sud — A. raro in alcune cellule. Abbondante in corrispondenza dei fasci e dello cellule epidermiche. 19 febbraio 1909, Nord e Sud — Assenza di A. Polygala Chamaebuxus L, Salbertrand — 15 novembre 1909: As- senza di A. Meana — 18 aprile 1909: Assenza nel mesofillo e stomi. Meana, 20 maggio 1909: Assenza nel mesofillo e stomi sia nelle foglie vecchie, che nelle giovani foglie. Calluna vulgaris Sal., Giaveno — 22 novembre 1908: A. abbondan- tissimo, (1) Viscum album. — Furono raccolti grossi rami di Melo ospitanti piante di Viscum; alcuni di questi rami furono collocati all'aperto, in località esposte a Nord; altre in località soleggiate. ll b*. Piton - 12 diccinbre 1909: A; non cbboxaRtiei Oleggio, cembre 1909: A. non abbondante in alcuni tratti del mesofillo. Ca- vour, 10 gennaio 1910: A. abbondante. Cavour (versante Nord), 10 gennaio 1910: A. raro qua e là in qualche cellula. Lago d’Orta e. Lago Maggiore, 23 marzo 1910: A. abbondantissimo nel mesofillo. Rhododendron ferrugineum L., la Soana, 2 maggio 1909: A ab- bondantissimo, tale da dare una intensissima colorazione violagea a tutte le sezioni. Stomi privi di A. Ligustrum vulgare L., Bussoleno — 18 novembre 1909 : A, in tutto il palizzata e lacunoso, manca negli stomi. Ligustrum japonica, (assino — 28 marzo 1909: Assenza di A. nel masofillo e stomi. Vinca major, Meana — 20 maggio 1909: Esaminai foglie giovani e vecchie e notai: Assenza di A. delle foglie vecchie scure, coriacee dell'annata precedente, nel mesofillo e stomi. Nelle foglie dell’an- nata, ma già evolute, trovai A. prevalentemente nello strato interno a palizzata e negli strati più interni del lacunoso, mancanza nello strato esterno a palizzata. Negli stomi delle foglie giovani l'A. era abbastanza abbondante. Castelletto Ticino, 29 dicembre 1909: Assenza nel mesofillo e stomi. Colline di Superga (Val Salice), 7 febbraio 1909: A. abbondantissimo palizzata e lacunoso. Nelle foglie dello stesso rametto, gelate, ho notato l’assenza completa di A. Thymus Serpyllum L., Cumiana — 12 dicembre 1909: Assenza nel mesofillo e stomi. iva 10 gennaio 1910: A. abbondante in tutto il palizzata e lacunoso. A. negli stomi. RIDI 16 gennaio 1910): Assenza di A. Teucrium Chamaedrys L., Carour — 7 novembre 1909 : A. abbon- dantissimo in tutto il rmesofillo, tale da dare una intensa colorazione violacea-nerastra alle sezioni. Assenza nelle cell. stom. Globularia vulgaris L., Meana — 18 aprile 1909 : A. abbondante in tutto il mesofillo. Alcuni rarissimi granuli si trovano nelle cell. stom. Globularia cordifolia L., Meana — 20 maggio 1909: A. abbondan- tissimo nel mesofillo ; manca nelle cell. stom. Ilex Aquifolium, Luino — 25 marzo 1910: A. abbondantissimo la- cunoso e palizzata interno, meno abbondante o scarso nello strato esterno del palizzata. Stomi privi di A. Lago d'Orta e Lago Maggiore, 23 marzo 1910: A. abbondantissimo in tutto il mesofillo. Manca nelle cell. stomatiche. ; 4 1 Ale din alcune cellule. iaia, 16 gennaio 1910: PASSA di A. ta quasi tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rarissima cellula. Sedum hirsutum A]l., Cavour — 7 novembre 1909: A. solo in qual- che cellula, ma ronda Cavour (versante Nord), 11 gennaio 1910: Assenza di A. Saxifraga Aizoon Jacq., Bussoleno — 18 novembre 1909: As- senza di A. Hedera Helix, Salbertrand — 15 novembre 1909: Assenza di A. Giaveno, 22 novembre 1908: A. abbondantissimo in tutto 1l tessuto a palizzata e lacunoso. Novara, 14 marzo 1909: Abbondante in certi tratti, raro in altri, prevalentemente nel tessuto lacunoso e nello strato interno del pa- lizzata, manca nello strato esterno. Gassino, 23 marzo 1909: in tutto il mesofillo e.nelle cellule epidermiche; manca negli stomi. Musiné, 12 aprile 1909: Abbondante in tutto il lacunoso, meno abbondante o scarso nel palizzata. Assenza negli stomi. Val Soana, 2 maggio 1909 : A. abbondantissimo. Stomi privi. Bussoleno — 13 novembre 1909: Assenza di A. nel mesotillo e stomi. Collina di Superga (Villa Negri) — 21 novembre 1909: Assenza ‘ in tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rarissima cellula dello strato esterno del lacunoso. A. in alcuni stomi. Cumiana — 12 dicembre 1909: Assenza in tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rarissima cellula dello strato esterno del lacu- noso. A. negli stomi. i Castelletto Ticino — 29 dicembre 1909: A. abbastanza abbondante in tutto il mesofillo, manca in'quasi tutti gli stomi. Cavour, 10 gen- naio 1910: A. non molto abbondante nel lacunoso, specialmente negli strati esterni del lacunoso e nel palizzata interno, manca o rarissimo nelle cellule dello strato esterno a palizzata. Cavour (versante Nord) — 11 gennaio 1910: ‘A. abbastanza ab- bondante in tutto il palizzata, scarso in alcuni tratti del lacunoso. Assenza negli stomi. Orto sper. della It. Accademia di Agricoltura (Torino) — 28 gen- «naio 1910: A. in alcune rarissime cellule stomatiche, assenza nel mesofillo. Lago d'Orta e Lago Maggiore, 23 marzo 1910: A. abbon- dante in tntto il lacunoso e specialmente nelle cellule dello strato esterno; abbondante e solo in alcuni tratti del palizzata interno ; manca completamente o è raro nel palizzata esterno. Manca negli stomi. STENO ION LAINO NE FIATO at? L È P > Pinus silvestris, Dal — 18 Co sembre 1909: Assenza di A Pinus Strobus, Collina di Superga (Villa Negri — 21 movem d 1909: Assenza di A. Abies, Colline di Superga (Villa Negri) — 21 novembre 1909: La massima parte delle cellule sono prive di A., solo alcune rarissime cellule qua e là ne sono piene zeppe. Juniperus communis, Gassino — 28 marzo 1909: A. abbondante in tutto il mesofillo. Giaveno, 24 aprile 1909: Nelle foglie vecchie l’A. era abbondantissimo nel mesofillo, abbondante anche nelle cellule stom. Nelle foglie giovani l'A. era meno abbondante. Abbondante anche negli stomi. Bussoleno, 18 novembre 1909: Assenza. Lago d'Orta e Lago Maggiore, 23 marzo 1910: A. abbondantissimo, tale da dare una intensissima colorazione violacea a tutte le sezioni. Larix, Val Soana — 2 maggio 1909: A. abbondantissimo in tutto il mesofillo. Ceterach officinarum, Meana — 18 aprile 1909: A. abbondantis- simo nel mesofillo e cellule stomatiche. Cavour, 7 novembre 1909: A. abbondante in tutto il lacunoso e in alcune cellule dello strato in- terno del palizzata, manca completamente nello strato esterno. Ab- bondantissimo in tutti gli stomi. Collina di Superga, 21 novembre 1909: Manca in molti tratti del mesofillo, in altri esiste in tutte le cellule del lacunoso e palizzata, localizzato costantemente nella parte periferica di tutte le cellule. Abbondante in quasi tutti gli stomi. Varour, 10 gennaio 1910: A. in molti tratti, abbondante nel lacunoso, prevalentemente, e nella parte interna del palizzata; manca o è raro nella parte esterna. In alcuni tratti rilevai assenza in tutto il mesofillo. Abbondantissimo in tutte le cellule stomatiche (piene zeppe). Polypodium vulgare L., Va? Soana — 2 maggio 1909: A. abbon- dantissimo in tutto il mesofillo e negli stomi. Cavour (Versante Nord), 11 gennaio 1910: Assenza in quasi tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rara cellula. Amido negli stomi. Lago d'Orta e Lago Mag- giore, 23 marzo 1910: A. abbondante in molti tratti del mesofillo, in altri manca. Stomi pieni zeppi di A.; in alcuni manca. Asplenium Trichomanes L., Giaveno — 22 novembre 1908: Assenza di A. nel mesofillo; A. nelle cellule stom. Meana, 18 aprile 1909 : Abbondantissimo nel mesofillo cell. epidermiche e stomi. Bussoleno, 18 novembre 1909: A. in alcuni tratti del mesofillo, qua e là. Abbon- dantissimo negli stomi. (cell. stom. completamente nere dopo trat- bre 1 1909: Tee; dor 1 mesofilo. Stomi pieni. SR jeppi di Ara p8) ci SET | CO uo Selaginella helvetica Spr., Cavour — 7 novembre 1909: e: di A. nel mesofillo. Abbondante in alcune cell, stomat., in altre manca. Collina di Torino (Val Salice), 7 febbraio 1909: A. abbondantissimo prevalentemente nel palizzata, abbondante pure nel lacunoso ma in quantità minore che nel palizzata. Laurus nobilis, Lago d'Orta e Lago Maggiore — 25 marzo 1910: A. abbondantissimo in tutto il mesofillo, in alcuni tratti però è meno abbondante nello strato esterno del palizzata. Granuli di A. in al- cuni stomi. Val di Susa, 30 gennaio 1910: Amido nel lacunoso e pa- lizzata interno, manca completamente o rarissimo nello strato esterno a palizzata. Prunus Laurocerasus, Colline di “Superga (Villa Negri) — 21 no- vembre 1909: A. in tutto il lacunoso, non abbondante; manca quasi sempre nel palizzata o si trova in alcune rarissime cellule e special mente dello strato interno del palizzata. Luino, 28 marzo 1910: A. abbondantissimo nel lacanoso, e palizzata interno, manca o raro nel palizzata esterno. A. nelle cellule stomatiche. Prunus Mahaleb L., Sa/bertrand -- 15 novembre 1908: Assenza di A. Berberis Aquifolium, Colline di Superga (Villa Negri) — 21 novem- bre 1909: A. abbondante in tutto il palizzata, prevalentemente, e in alcuni tratti anche nel lacunoso, ma meno abbondante; in alcuni altri rarissimi tratti è raro o manca O Pi paliente: A. in molte cel- lule stomatiche. XI. Le tre categorie di osservazioni, quelle cioè su piante dell’ Orto Botanico di Torino, su piante coltivate nei giardini di Torino, e su piante spontanee 0 subspontanee în località differenti del Piemonte, pos- . sono essere confrontate fra loro e danno così modo di fare delle con- statazioni interessanti. | Esse ci mostrano che le piante sempreverdi che ho preso a stu- diare sono assai sensibili alle condizioni climatiche, anche a quelle relativamente non molto diverse, quali si possono osservare nel Pie- monte, cosicchè se si calcola in generale la frequenza di ricerche po- sitive dell’amido, in una medesima specie, si vede che essa è minore nelle piante dell’Orto Botanico che in quelle di altre località della ANNALI DI BoranIca — Vor. VIII. 39 DI città di RA ein TONE minore ancora TONDI diete jante spont raccolte qua e là nel Piemonte. , STRONA Inoltre per alcune specie bastano poi dei periodi con PERBTA, grado di temperatura relativamente elevata, perchè si osservi la pre- senza di amido nelle foglie. Ma questo comportamento non è di tutte le specie; alcune, come l’Hedera, sono sensibilissime alle minime variazioni di temperatura, onde basta una giornata di sole, in località appena soleggiate, per far comparire l’amido, e ciò si osserva pure talora per il Buxus, per il Laurus, ma in grado assai minore, e occorrono proprio delle buone esposizioni perchè si verifichi questo fatto (1). Per altre specie (Ilex, Prunus, ecc.) ciò si verifica ancor meno. Debbo però rilevare che per queste ultime specie non ho avuto occasione di osservare località assai bene esposte. Il comportamento del Laurus e dell’Eriobotrya, durante il mite inverno (1909-1910), nel quale osservai quasi costante presenza di amido, e del Prunus Laurocerasus che ne presentò fin verso la fine di novembre, sebbene non abbondante, e quello, già accennato, delle piante raccolte nelle colline di Torino, lascia pensare che, nelle con- dizioni favorevoli, queste piante contengono frequentemente amido durante le belle giornate primaverili. Altre specie, quali la PAy/lirea, Bambusa, Magnolia, ecc., perman- gono durante tutto il periodo dell’inverno, prive assolutamente di amido. Noi vediamo così un differente comportamento tra le sempreverdi che nella nostra flora sono spontanee o subspontanee, e quelle che in- vece vi crescono solo mediante le cure della coltivazione. Ciò limita- tamente però alle latifoglie (2). All’incontro il gruppo delle Ginnosperme sempreverdì si presenta nettamente saccarofillo durante la stagione invernale, e, per quanto ho potuto constatare, relativamente poco di spesso è dato osservare amido. (1) Infatti il 7 febbraio 1909, nelle Colline di Torino, io stessa ebbi oc- casione di osservare che le foglie del Burus, Laurus, e di alcune piante er- bacee (Parietaria officinalis, Oralis stricta, Vinca major, Veronica hederaefolia, Trifolium pratense) raccolte in condizioni di ambiente e di illuminazione fa- vorevolissima (al riparo cioè dai muri e ben soleggiate) e in una giornata re- lativamente calda (Me. 5,8; Ma. 7,4; Mi. -4 1,3) e serena, erano ricchissime di amido, benchè nel pieno inverno. (2) Anche qualche pianta extra-europea presenta un comportamento ana- logo alle sempreverdi spontanee del Piemonte, ma non conosco sufficientemente le condizioni climatiche e biologiche, nelle quali si sviluppano queste specie, perchè io possa emettere sopra queste delle conclusioni fondate. ” AVE, hi) ir pa RAI SICA 7 " SI N — 4} ni ade x ; IAGTE fumo 33" Mu Pato 3 SION TUIA ; Pi * Le E ni gi Sa deri « i | 607 e; ai Pe ETRO e, Ne Pal TIT i i DI EMI gt BIAGIO RE } È È a l | All’inizio della primavera invece,.queste piante riprendono, presso | a poco contemporaneamente alle altre specie, ad arricchire di amido i loro tessuti. Noi vediamo così nelle piante della nostra flora due gruppi di specie saccarofilliche invernali: l’uno di specie relativamente meno sensibili alle minime variazioni di temperatura, e nelle quali la sac- carofillia rappresenta, si può dire, un comportamento estremo, rispetto alle condizioni estreme, nelle quali queste piante sì possono trovare; nelle altre invece la saccarofillia è assai più spiccata, e rappresenta un adattamento normale della pianta al rigore invernale. Questa differenza è anche avvalorata dal fatto che la ricomparsa dell’amido nelle Ginnosperme, ha piuttosto il carattere di un feno- meno periodico, e non è così strettamente legato alle lievi variazioni di condizioni termiche. Infatti si può osservare che in alcune specie i freddi tardivi danno luogo a lesioni relativamente più gravi, che non quelle inver- nali, e in questo caso le specie che più ne risentono, sono quelle nelle quali la ricostituzione dello stato saccarofillico non si manifesta colla dovuta prontezza. Questo comportamento fisiologico della flora sempreverde è in stretto rapporto colle condizioni di ambiente nelle quali si sviluppa da noi tale flora. Tralasciando di considerare quelle stazioni più o meno artificiali o per lo meno eccezionali dei ridossi dei muri, ecc., nelle quali si possono trovare, per lo più coltivate, alcune di queste specie, noi ve- diamo che la vegetazione sempreverde nella Valle Padana è partico- larmente localizzata in una stretta fascia alle falde dell'Appennino e delle Alpi, ad una elevazione di poche centinaia di metri sopra la zona pianeggiante sottostante, dove il pendio naturale del suolo, e la porosità di esso, mantengono intorno alle radici un ambiente asciutto, dove la mobilità dell'atmosfera e la secchezza del suolo (1) non permettono il formarsi e il permanere di nebbie, e dove perciò il sole, quando non sia velato dalle nubi, può esercitare, anche du- rante l’inverno, tutta la sua influenza. Numerosi dati meteorologici riguardanti il Piemonte, dimostrano che la stagione meno piovosa è quella invernale, e la nostra è la re- gione che presenta il numero massimo di giorni sereni durante tale stagione (2). (1) GoLa. — Saggio di una teoria osmotica dell’edafismo. — Parte III, Cap. IV, Ann. di Bot., VIII, 1910. (2) RostER. — Climatolgyia dell’Italia. — Torino, 1909. + aa - BUS — det da ds paia CD, sea. ° Dl, o si jul e yi dude o î FICA 14 a n a te È i ri tt gua VIRCO Mo ei À PETE, > i ERANO veto 'b bens dini: - 0ce a volte pi Pa ? pesa Ù mane % ugnai di strati dell’at 7 gps la if \ fa, © : — Do ap: g +1 [ROLO à te. questo strato nebbioso non si sleva che di poche diecine d li ‘metri, Snoo i ed appunto in corrispondenza della zona in cui crescono le sempre- ss io verdi sopra ricordate, noi troviamo che il sole risplende per lunghi SA n . Mt © periodi. Su : ALE : : , Kia Sono appunto questi periodi quelli che favoriscono la formazione ——_—_—— dell’amido nelle foglie del Burus, Laurus, ecc. come si è visto più 90 sopra. 1 i Queste condizioni invernali sono tanto più favorevoli allo svi- di luppo della nostra flora sempreverde, in quanto alcune di queste specie fanno parte in modo speciale della vegetazione del sotto- bosco. i Così mentre il Laurus ed il Prunus, da noi semplicemente av- ventizi, sono localizzati nelle stazioni rupestri, il Buxus, l’Hedera sì iinpuaio tanto nelle stazioni rupestri quanto nelle boschive. Così si osserva in Piemonte il Burus nei boschi dell’Appennino in Val Curone, nelle boscaglie della Val Macra e della Val Grana, in quelle della Val Soana, della Va? Sesia, della:sponda destra del Lago Maggiore. L'Ilex Aquifolium si mostra nei boschi dell'Appennino, e più tre- quente in quelli situati allo sbocco della Va? Sesia, intorno al Lago d'Orta, al Lago Maggiore e nella Val d’Ussola. La Vinca e l Hedera sono pure frequentissime nel fondo dei boschi. Così è del Polypodium vulgare, Scolopendrium officinarum, Lu scus aculeatus, Helleborus foetidus. Quanto all’/eZleborus niger esso, pure essendo stato indicato del Piemonte, è pressochè mancante attualmente. E la Polygala Chamaebuxus sì trova nei nostri colli di brughiere ricoperte dai bassi arbusti di Calluna e dalle alte erbe. Tutte queste specie del sottobosco che pure trovano, durante la stagione invernale, condizioni di illuminazione, e in parte anche ter- miche, assai più favorevoli che non le piante delle altre stazioni, subiscono, coll’iniziarsi della primavera, una inversione marcatis- sima di queste condizioni. Lo sviluppo della chioma degli alberi modera di molto l’inten- sità della luce che può loro pervenire, aumenta lo stato igrometrico dell’atmostera, riducendo così l’attività traspiratoria. ù Di queste condizioni di inferiorità nelle piante del sottobosco 3 è prova, del resto notissima, la sterilità degli individui ombreggiati | dall’/Medera. di fap Le piante sempreverdi nostrane subiscono adunque un rallenta- mento nella loro attività vegetativa, appunto in quel periodo nel quale tutto il resto della vegetazione ha il massimo di attività. È bensi vero che Wiesner (1) ha riconosciuto per il Buxus la capacità di assimilare, anche a illuminazione molto ridotta; può utilizzare cioè persino ‘/,,, dell’intensità luminosa normale. Per le altre specie che ci interessano non ho dati esatti. Debbo tuttavia osservare che le esperienze mie dimostrano una riduzione notevole nell’attività assimilatrice. A prova di tale asserzione rife- rirò qui i risultati di alcune osservazioni compiute in alcune località del Piemonte su specie crescenti spontanee nell’interno del bosco dove la vegetazione circostante intercettava il passaggio dei raggi solari e su specie corrispondenti viventi nella stessa località ma ben soleggiate : Dronero (Cuneo), Bosco di castagni, relativamente all'ombra — 15 agosto 1909. Buxus: Amido abbondantissimo, specialmente in alcuni tratti, nel lacunoso e prevalentemente negli strati interni: meno abbondante e non costante nel palizzata interno; manca com- pletamente o si trova in alcune rarissime cellule dello strato esterno del palizzata. Assenza di amido nelle cellule stomatiche. Gozzi (V. Ossola), Località illuminata dal sole — 28 agosto 1909. Ilex: A. abbastanza abbondante in tutto il palizzata, scarso e non costante nel lacunoso. Assenza di A. nelle cellule stomatiche. Ruscus aculeatus. — Assenza di A. nel mesofillo; abbondante in molti stomi. Gozzi (Valle Anzasca-Ossola), Bosco di castagni — 28 agosto 1909, ore 10. Specie all'ombra degli alberi circostanti: Hedera. Manca A. in tutto il mesofillo; salvo in qualche rarissimo tratto, dove è scarso in alcune cellule del palizzata e lacunoso. Assenza di A. negli stomi. Ilex. — Assenza di A. in tutto il mesofillo, fuorchè in qualche rarissima cellula del palizzata. Assenza negli stomi. Ruscus aculeatus (foglie vecchie). — Assenza nel mesofillo, ab- bondante negli stomi. Id. (foglie giovani). — Comportamento analogo. Gozzi -- Località esposte al sole: 27 settembre 1909. Ore 17. Sereno. (1) WiesnErR. — Lichtgenuss der Pflanzen. Leipzig, 1907. — dl0 — Ilex — A. scarso in tutte le cellule del palizzata e lacunoso (pochi granuli per cellula); manca in alcuni tratti. Assenza negli stomi. Gozzi — Località all’ ombra degli alberi. 27 settembre 1909. Ore 17. Sereno. Ilex — A. scarsissimo in alcuni tratti, prevalentemente nelle cel- lule degli strati a palizzata; e in alcune rarissime cellule qua e là del lacunoso (2 o 3 granuli per cellula). Manca negli stomi. Hedera — In molti tratti del mesofillo si trova A. scarsissimo, ma in quasi tutte le cellule (2 o 5 granuli per cellula) del palizzata e la- cunoso, in altri tratti del mesofillo manca. Amido in tutti gli stomi. (Nell'Medera la quantità di A. benchè scarsa è relativamente più abbondante che nell’//ex). Pettenasco (Lago d’Orta), Posti all’ombra — 27 agosto 1909, ore 10. Buxus. — In molti tratti A. abbastanza abbondante nel paliz- zata, più scarso nel lacunoso. Stresa (Lago Maggiore), Bosco di castagni. Piante all’ombra degli alberi — 2 settembre 1909. Ruscus aculeatus (foglie vecchie e giovani). — Assente nel me- sofillo, abbond. stomi. Ilex. — Assenza in tutto il mesofillo, fuorchè in qualche raris- sima cellula qua e là, isolata, nella quale si trovano moltissimi gra- nuli. Amido nelle cell. stomatiche. Hedera (medesima località) — A. abbondante in tutto il palizzata e lacunoso. A. nelle cellule stomatiche. Stresa — Piante sull’orlo del bosco, quindi illuminate dal sole, 2 ottobre 1909. Ilex — A. abbastanza abbondante in tutto il palizzata, manca negli stomi. Prunus Laurocerasus —.A. abbondante in tutto il palizzata e la- eunoso. Amido negli stomi. Crevola d’ Ossola — 6 ottobre 1909: Giornata serena. — Hedera: A. abbondante in tutto il palizzata e lacunoso. Abbondante anche negli stomi. Laurus — A. abbastanza abbondante specialmente in certi tratti del lacunoso e palizzata. Amido negli stomi. Crevola d'Ossola — 7 ottobre 1909: Nuvolo — Laurus: A. non abbondante nei due strati a palizzata e nel lacunoso; manca in certi tratti. A. in qualche stoma. Su Crodo (Ossola) — 6 ottobre 1909: Giornata serena. Lodalità illumi- nata dal sole. Viscum — A. abbondantissimo in tutto il mesofillo. Polygala Chamaebuxus — Assenza nel mesofillo e stomi. Arctostaphylos Uva Ursi — A. abbondante in tutto il mesofillo. Assenza negli stomi. Vaccinium Myrtillus. — A. abbondante in tutto il mesofillo. Come risulta dalle osservazioni riferite, in alcune località del Pie- monte (Dronero, Val d’ Ossola, Lago Maggiore), nelle quali la vegeta- zione di queste sempreverdì è perfettamente spontanea e con carat- tere di evidente floridezza, le piante si prestano assai bene ad uno studio dell’attività assimilatrice. Delle foglie raccolte all'ombra di vecchi castagni durante la sta- gione estiva, si sono dimostrate poverissime o addirittura prive di amido, mentre quelle degli arbusti crescenti nel limitare del bosco, e quindi soleggiati, avevano una quantità assai maggiore di granuli. Risulta evidente la differenza di condizioni offerte a queste piante dal variare di stagione. Se si considera, durante il corso dell’anno, quale sia il periodo per esse favorevole, noi vediamo che esso corre dal novembre fino all’a- prile avanzato, con un lieve rallentamento o addirittura arresto nei mesi più freddi dalla metà di dicembre alla metà di febbraio. È solo nel maggio che i castagni hanno un fogliame così denso da ostacolare vivamente l’attività assimilatrice delle sempreverdi loro sottostanti. Queste hanno così a disposizione un lungo periodo di attività as- similatrice, che si può considerare di quattro mesi e mezzo, cioè dalla metà di ottobre alla fine di aprile, tenendo conto di un arresto tra la metà di dicembre e la metà di febbraio. Dai primi di maggio fino alla metà di ottobre il Castagno esercita la sua attività assimilatrice (1). Noi vediamo così la presenza concomitante nel bosco di due asso- ciazioni distinte, l’una a foglie caduche, l’altra a sempreverdi; ma la concomitanza è soltanto dal punto di vista statico e non da quello funzionale, chè anzi, sotto questo riguardo, si osserva una vera alter- (1) Posso però notare che il 20 maggio 1909, nei pressi di Meana (m. 700) ebbi occasione di osservare che le piante a foglia caduca (Castanea, Fagus, KRobur ecc.). non facevano ancora ombra; le loro foglie, quantunque già in via d’intensa assimilazione, erano ancora pochissimo sviluppate, e quindi permet- tevano al Buzus, Ilex ecc. un’attiva assimilazione. nanza di funzionalità, poichè le condizioni favorevoli per ta svi. luppo dell’una, sono invece contrarie a quelle dell’altra. È questo un esempio curioso di funzionalità vicariante di due as- sociazioni insieme frammiste; e l’aver constatato questo, credo possa portare un contributo alla conoscenza della ecologia della flora pie- montese. Si avrebbe qui un comportamento analogo a quello osservato da. Bonnier (1) a proposito del Viscum album rispetto alla pianta di Melo che lo ospita. Durante la stagione estiva l’assimilazione è molto più intensa nelle foglie del melo che in quelle del parassita, anzi, poichè le espe- rienze del Bonnier riguardano foglie esposte al sole, si deve ritenere che in generale l'assimilazione sia ancor meno intensa, a causa del- l’ombra del fogliame. Durante la stagione invernale l’assimilazione del Melo è, come è ovvio, annullata o quasi, mentre quella del Viscum procede nor- malmente nelle giornate serene, tanto più che le foglie sono prive del riparo della chioma dell’albero (2). P XII. Il fatto della presenza di amido in alcune piante durante la sta- gione invernale, anche nel periodo freddo dal dicembre al febbraio, nelle località ue io esposte del Piemonte, induce a domandarsi se l’amido, che vediamo a comparire in questa stagione nei parenchimi verdi, sia da attribuirsi tutto a un processo di rigenerazione o in parte anche di assimilazione. Lidforss, nelle sue ricerche, attribuisce unicamente a un processo di rigenerazione quell’amido che compare per primo nelle foglie, pre- cedentemente saccarofille. (1) M. G. Bonnier. — L’assimilation du Gui comparée a celle du Pommier. Bull. Soc. bot. de France, 1889. Tome 86. Pag COLXXIII. (2) È interessante la funzionalità vicariante che si osserva non solo in specie differenti crescenti nella medesima località, quali quelle ricordate testè fra le sempreverdi e le caduche, ma anche in individui della medesima specie cre- scenti in località differenti. Così nella scorsa invernata nella Val di Susa si potevano osservare indi- vidui di Medera sterili nei quali le foglie avevano conservata la loro colora- zione verde, o tutt'al più assunta la colorazione rossa per antociano (vedi Bu- SCALIONI e PoLLAcci. Le antocianine. — (Atti Ist. Bot. Pavia. Ser, II. Vol. VIII 1908), caratteristica di molte foglie, mentre quelle dei rami fertili, e, come è noto, fortemente soleggiate, erano ingiallite. Cfr. anche Liprorss B. Ueder den biologischen Effekt der Anthocyans. — Malmò, 1909. DRS TIRATO ARRE SETTE us do Sa |’ Eio sono della medesima opinione per molti casi e SRrOcdrE mente per quelli delle specie non bene acclimatate della nostra re-. «gione, e nelle quali per un lungo periodo invernale, si verifica l’as-. ‘senza completa o quasi di amido. Ma per alcune è già degno di nota il fatto che l’amido appare per la prima volta negli elementi più superficiali del mesofillo, mentre in altre appare piuttosto in quelli profondi. Mentre per questa ultima localizzazione è ovvio l’ammettere una ‘origine rigenerativa, per la prima non è:fuor di luogo il pensare ad un processo di assimilazione. E questa ipotesi regge anche quando si tratta della pagina inferiore della foglia, perchè in molti casi io ‘ho potuto osservare che nell’inverno l’obbliquità dei raggi solari illu- mina talora, in alcune foglie, assai meglio la pagina inferiore che la superiore. Ma nell’Hedera, la sempreverde più adattata ai nostri climi, nel Buxus, e in grado assai minore nel Laurus, la quantità di amido che compare nelle belle giornate invernali è spesso assai maggiore. To non ho eseguito ricerche di glucosio sopra foglie raccolte in queste stazioni; ma sopra quelle deil’Orto Botanico, anche nel pe- riodo nel quale la comparsa di amido appariva con una certa evi- denza, si potevà osservare una certa concomitanza nella presenza di amido e di glucosio. E del resto sempre assai forte è stata la quantità di glucosio contenuta in queste foglie. È da ritenersi perciò che la quantità di carboidrati esistente nelle foglie dell’ edera sia, anche durante la stagione invernale, supe- riore alla quantità necessaria per produrre quella ipertonia cellu- lare che permette la resistenza ai rigori invernali, fatto questo che non si verifica in molte specie sempreverdi, nelle quali la presenza di carboidrati unicamente sotto forma solubile, dimostra che esso è appena sufficiente a produrre quella concentrazione che occorre per lo scopo sopra indicato. Io ho eseguito delle esperienze ricoprendo delle porzioni di foglie con dischetti di stagnola e ho ottenuto dei risultati alquanto varia- bili, nel senso che le condizioni termiche e di illuminazione influi- vano bensì sulla presenza o meno di amido, ma non era possibile di- stinguere nettamente quanto si dovesse attribuire ad assimilazione e a rigenerazione. Ed è molto probabile che appunto in questo periodo si abbiano a confondere insieme i due tipi di attività dei plastidi. CONCLUSIONI. Giunta così al termine del mio studio credo utile riassumere in poche parole i risultati principali a cui sono pervenuta: I. Nei nostri climi le foglie delle piante sempreverdi si com- portano in modo affatto differente durante la stagione invernale: quelle non bene acclimatate da noi subiscono, durante questo periodo uca perdita di amido pressochè completa nei parenchimi assimila- tori e negli elementi stomatici, e l’amido non vi appare di nuovo che all’inizio della stagione primaverile. In altre l’amido scompare bensi, ma non totalmente, e può, in determinate circostanze termiche favorevoli, apparire in quantità più o meno grande negli elementi assimilatori e negli stomi, per scomparire di nuovo quando le con- dizioni climatiche sì vadano peggiorando. Sono queste specialmente le sempreverdi indigene. IT. Questa scomparsa di amido coincide colla formazione di una forte quantità di carboidrati solubili e specialmente di glucosio, la cui presenza, determinando la formazione di liquidi endocellulari ad elevata concentrazione molecolare, costituisce una difesa contro gli eccessivi abbassamenti di temperatura. Si verifica cioè, per queste specie, quel fenomeno di saccarofillia invernale che è stato studiato per i climi nordici dal Lidforss. III. L’elevazione della concentrazione molecolare in queste piante sempreverdi, è data non solo dalla formazione di carboidrati solubili, ma anche dalla diminuzione del contenuto in acqua, anzi per qualche specie (Elacagnus ferruginea) più che la saccarofillia è rimarchevole la flaccidezza e quasi l’avvizzimento delle foglie. IV. Tra le nostre sempreverdi indigene un gruppo di specie lo- calizzate in stazioni speciali del sottobosco, lungo la fascia xerofila che si osserva alle falde della catena montuosa che cinge la pia- nura piemontese, presenta in massimo grado la proprietà di con- tenere, nelle giornate migliori, oltre a glucosio, dei granuli di amido. nel parenchima assimilatore e negli stomi. i V. La comparsa dell’amido nel mesofillo, durante l’inverno, non può sempre venire attribuita ad un processo di rigenerazione, ma per le sempreverdì della fascia xerofila è molto probabile abbia luogo anche un vero e proprio processo di assimilazione. VI. Tali piante possono così, durante la stagione autunno-inver- nale, svolgere una intensa attività vegetativa, in causa della quale, esse possono sopportare, senza danno notevole, il periodo estivo nel Y 271] Pia > Mr eee OT uo SIR 9507 (IRA A dae TAR RETI urta VIRA, ‘ e SEI Sei et A VA fe TRAtIA SA Vierucito vi A - LS vii i, ; eat La vi LU pr A fe Pi } 3 : . Sto; | —-615- e quale la fitta ombra degli alberi soprastanti ne impedisce o rallenta di molto la funzione clorofillina. Questo comportamento durante la stagione invernale permette di spiegare la particolare stazione pre- ferita, nella nostra regione, da queste specie così caratteristiche per la loro distribuzione geografica. VII. Mentre nei distretti floristici dell'Europa settentrionale le ricerche di Lidforss hanno dimostrato un arresto assoluto dell’at- tività funzionale nelle piante sempreverdi, manifestantesi nell’assi- milazione e nella traspirazione, e mentre nelle Regione Mediter- ranea le ricerche di Puglisi hanno mostrato il permanere, anche durante l’inverno, dell’attività traspiratoria, le mie ricerche portano a ritenere che nel clima della Valle Padana, intermedio tra quello mediterraneo e quello nordico, l’attività vegetativa delle sempre- verdi spontanee si comporta in modo intermedio a quello delle due regioni sopra ricordate; ciò è accertato per quanto riguarda l’as- similazione, ed è molto probabile per rispetto alla traspirazione. Torino, Regio Istituto Botanico. Giugno 1910. Luigi Anguillara e Pietro Antonio Michiel per il dott. Errore DE TONI Il secolo decimosesto è notevole pel risveglio degli studi scienti- fici cui contribuirono le scoperte di nuove terre e l’invenzione della stampa. E tuttora noi studiamo con amore e con ammirazione quei libri ben forniti di incisioni, nei quali alla rappresentazione del nuovo si unisce la ricerca dell’antico, anzi talvolta l’una e l’altra per amore o per forza si completano, perchè pareva che gli autori, memori del biblico: Nihi/ sub sole novum (Ecel., I, 10), non ammet- tessero delle vere novità, ma solo delle ripetizioni di scoperte. Così i prodotti naturali che venivano dall’A merica, allora ritenuta l'India, dovevano esser stati conosciuti da Galeno, da Teofrasto, da Diosco- ride, da Plinio e dagli altri classici ed a ciò dobbiamo i nomi Ly- copersicum dato al pomodoro, Othonna dato alla specie Tagetes erecta L. ecc. (1). Quando gli autori davano lunghe descrizioni degli oggetti o meglio li accompagnavano con buone figure, come fece il Mattioli, ci riesce facile l’ identificazione, nè è difficile accorgersi quando par- lano di cose reali e quando lavorano di fantasia o riportano ciò che hanno avuto da fonti non sempre sincere. Ma, quando il linguaggio è laconico e le figure mancano o scarseggiano, noi dobbiamo avere qualche affidamento sul carattere morale dell'autore per sapere se possiamo prestargli fede ed in caso positivo ci troviamo imbarazzati davanti al problema dell’identificazione. Tale è il caso di Luigi Anguillara (morto nel 1570) (2) che ci lasciò come unica prova del suo studio e della sua attività un pic- (1) Talora avveniva il contrario, cioè si credevano americane delle piante dell'Oriente. Così avvenne che il Clusio, avendo ricevuto dalla Spagna cam- pioni di Hibiscus Sabdarifa L. col nome di « Malva indica », chiamò la specie « Alcea americana ». (2) Così lo chiamo, come egli si firmava, senza entrar nelle questioni del suo vero cognome e del suo luogo natale, per le quali rimando il lettore alla Bibliografia e Storia della Flora romana dei professori Pirotta e Chiovenda, pag. 61 (Ann. R. Istit. Bot. di Roma, fasc. 1, Roma 1900) ed alla Botanica în Italia del prof. P. A. Saccardo (Mem. E. Istituto veneto, vol. XXV, n. 4, Venezia, 1895). tolo Semplici, diviso in parti Viuioate Pareri, dedicate c ciascuna ad I un personaggio amico O protettore. Benchè non sia un incunabolo dell’arte tipografica, questo libro è oggidì piuttosto raro. Il Pritzel lo chiama perrarus e cita fra i possessori di copie l’Orto botanico di Padova, la Biblioteca palatina di Vienna, la Biblioteca civica di Amburgo, la Biblioteca regia di Berlino e la Biblioteca Marciana di Venezia, però altre copie esi- stono presso privati. Il Pritzel parla di una traduzione latina con note di Gasparo Bauhin pubblicata a Basilea nel 1593, ma non dice presso chi se ne trovino copie; fatto è che finora, malgrado ricerche fatte da botanici, questa traduzione, che avrebbe CE importanza, non fu rinvenuta. La copia custodita alla Biblioteca Marciana (1) è un volumetto in-32 legato in pergamena contenente: 1° Defensio XX Problematum M. Guilandini adversus quae P. A. Matthaeolus scripsit, auctore Paulo Hesso. — 2° P. A. Matthaeoli adv. XX problemata M. Guilandini di- sputatio, Padova 1562. — 3° Semplici dell’eccellente M. Luigi Anguil- lara, Venezia 1561 (per giustificare questo eccellente chegcontraddi- rebbe a quanto diremo più sotto sulla modestia dell’autore, notiamo che l’operetta fu pubblicata da altri, quasi suo malgrado). Questa copia si distingue dalle altre per annotazioni manoscritte, in generale poco benevole per l’autore. È già abbastanza noto che la modestia dell’Anguillara, la sua riservatezza nel proferire i giu- dizi, il modo riverente che usava verso i botanici contemporanei cui non risparmiava 1 titoli di eccellentissimo e dignissimo (2) non valsero a salvarlo da una guerra spietata che gli fu mossa da ogni parte. E siccome i suoi nemici erano uomini celebri che rispondevano al nomi di Falloppia, Mattioli, Aldrovandi, Guilandino, non è a meravigliare che il povero Anguillara sla rimasto disprezzato dai contemporanei e quasi dimenticato dai posteri. Il Fantuzzi nelle Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi (Bo- logna, 1774) dice che il Falloppia « male se la intendeva coll’ An- guillara, uomo quasi senza lettere e da lui riguardato per poco più di un semplice giardiniere ». Il Mattioli, che nell’edizione del 1550 dei suoi Discorsi su Dio- scoride, parlando dell’Orto botanico di Padova, diceva: « in cui per opera ed ultima diligenza di M. Aluigi Romano [l'Anguillara] her- (1) Secondo la numerazione del vecchio catalogo: nn. 25505, 25506, secondo la nuova: Rari, Veneto, nn. 631, 682. 2) Vedi Pareri sul Sesamo sull’Elichriso, sulla Radice rodia. LAO, ATE PR TORA i Pa N a ECZO E MR TE MAZT dg I PPORE ALE ZZE MSLE ERE a LN GR LI AOI DO, vi Alti TL ee 13 1 Ste SASA n ia peo e AA ‘ari et semplicista eccellentissimo... », ben presto cambia registro | e nelle lettere all’Aldrovandi lo chiama « vigliacco mariuolo, invi- diosissimo, malignissimo, ignorante » ed anche, scherzando sul co- gnome : < scortica anguille » e dice che non si può tanto svilirlo e vituperarlo che non meriti peggio. Quanto al Guilandino che fu il suo successore nella carica di cu- stode dell'Orto botanico di Padova (1), abbiamo tutte le ragioni per ritenere (ragioni che più sotto esporremo) che le note spesso mor- daci ai margini della copia custodita alla Marciana siano proprio sue (2). Esse ci danno un’idea ben misera del modo di polemizzare, modo che troviamo in altri scritti del Guilandino (p. e. il Theon di- retto contro Mattioli) ed anche in quelli di altri scienzati che pur onoriamo oggidiì per la loro dottrina. Ma a ragione uno storico disse che anche gl’ illustri personaggi in certi momenti ci dimostrano di essere anzitutto uomini con tutte le umane debolezze. Uno che, in mezzo a tante burrasche, sempre amò e protesse l’Anguillara fu il patrizio veneto Pietro Antonio Michiel (1510-1576) cui l’Anguillara dedicò il secondo dei suoi Pareri in data 28 giugno 1559. Di questo Parere abbiamo già dato in altro lavoro (3) un estratto nel quale spicca la modestia dell'autore che chiama sè stesso ‘ < povero Rizotomo minimo fra gli altri » e la sua gratitudine al pa- trizio che egli chiama « scudo et lancia costì contro i malevoli ». Nel detto lavoro diamo notizie sopra il Codice-erbario composto dal Michiel 11 quale può servirci opportunamente a risolvere.in parte il problema della determinazione delle specie nominate nei Semplici dell’Anguillara. Diciamo în parte per le seguenti ragioni: 1° Non tutte le specie di Anguillara vennero figurate dal Michiel nel suo Codice-erbario. — 2° Alcune delle figure del Codice sono evidentemente fittizie perchè eseguite sulla falsariga della dia- gnosi dell’Anguillara, come quella dell’Eringio di Archigene (Gi. 114) (4), della Chameleuce (Ro. I. 34), del Cimino salvatico (Ro. II 39) (1) L’Anguillara era stato eletto custode nel 1546 e ci rimase con un’in- terruzione di quattr’anni (1551-1555) fino al 1561, nel qual anno, amareggiato dalla continua guerra fattagli, rinunciò alla carica e si ritirò a Ferrara. In quei quattr’anni d’interruzione l'Orto fu diretto da P. A. Michiel. (2) V. note ai capitoli Chameleuce, Citiso, Polirizo. (3) Notizie su P. A. Michiel e sul suo Codice-erbario (Ateneo veneto, luglio- agosto 1908), Giudizio n. 14. (4) Anche in questo lavoro, come in quello citato nella precedente nota ed . in un altro (I Codice-erbario di P. A. Michiel in Mem. della Pontif. Accad, Nuovi Lincei, vol. 26°, Roma 1908), segneremo per brevità i cinque libri del Codice Michiel (azzurro, giallo, rosso primo, rosso secondo, verde) con Az., Gt., Fo. I, Ro. II, Ve.,ed il numero che segue il segno abbreviativo indicherà la pagina. 120), Nel Hodiks ‘Michisi vino ‘altri Parere Ni int bar dell'Aogailiarei | A verbalmente (1) e quindi non contenuti nel libretto e talvolta anche * dei pentimenti (v. Britanica, Citiso, Epimedio) ; in conclusione il confronto fra le due opere porta un non ispregevole contributo alla storia della scienza botanica. Per maggior comodità del lettore, metteremo in ordine alfabetico i nomi delle specie di Anguillara delle quali si occuparono od il Michiel nel suo Codice o l'anonimo annotatore nella copia dei Sem- plici custodita alla Marciana. Il numero che segue il nome in or- dine alfabetico è quello della pagina del libro di Anguillara, mentre al nome scientifico segue l'indicazione del libro del Codice Michiel. (2) Abete 42. Pinus Picea L. — Az. 56. Absinthio seriffio o marino 165. Artemisia coerulescens L. — Ro. I. 119. Notiamo che anche l’assenzio marino di Mattioli e di Aldrovandi (3) (Eb. vol. II, n. 247) è A. coerulescens. Acarna di Teofrasto 146. Carbenia benedicta B. et H. Vedi più sotto quanto è detto sull’Atrattile. Aconito Pardalianche del Ghini 271. Ranunculus Thora L. — Ve. 25. Il Michiel scrive: « L’Anguillara eccel. n. 271 non si risolve apieno che questa sia. Ma bene dice che fra gli effetti del pardalianche et che ha ve- duto delle piante che producono più’ foglie ». Più sotto osserva che i fiori. sono « simili al ranoncolo ». Due sono le figure del codice fatte, a quanto sembra, in tempi diversi su due campioni, il primo dei quali aveva la foglia maggiore perfoliata, come appare dal disegno e dal testo in cui è detto dei fiori : « Nasse da sotil et lunghi piccioli usciti d’il ventre di esso fusto et passati per il mezzo di essa fronda ». (1) Reseda, Amomo, Ostria, Pericardio e Scytice di Plinio, Cece salvatica. (2) Ci fu di soccorso un manoscritto del Pontedera: Historia horti patavini esistente alla Biblioteca dell’Orto botanico di Padova. Esso contiene cataloghi di piante che vi si coltivavano: fra gli altri quello del Cortuso corredato di sinonimi ha servito utilmente di guida per le specie dell’Anguillara. Dobbiamo. ringraziamenti all’illustre Prefetto dell'Orto Comm. P. A. Saccardo per aver permesso la consultazione del manoscritto. (8) Il primo volume dell’Erbario Aldrovandi fu illustrato dal prof. O. Mat- tirolo (Genova, 1899), il secondo ed il terzo dal prof. G. B. de Toni (Atti. Istit. Ven. 1907-08, Malpighia, Anno 22°). TS VE Val UL rana oo È Alaterna, v. Alterna 85. | "= Alcea 223. Hibiscus Trionum L. — Ve. 257 Alcea falsa 241, Althaea cannabina L. — Ro. I. 168. 1. 1 primi a conoscere questa specie furono l’Aldrovandi col nome « Urtica mortua (Erb., II, 244), Anguillara col nome sopra notato (1), il Cesalpino ed il Michiel col nome « Canapa selvatica ». Il Clusio le diede il nome che tuttora conserva. Alchemilla 235. Alchemilla vulgaris L. — Ro. I. 96. Alcionio 199. Aconitum Napellus L. — Ve. 29. Nella figura del Michiel è riconoscibile la specie, benchè i fiori e la ra- dice non abbiano forma giusta, il che sorprende, trattandosi della specie più comune di aconito, Alfalfasat di Avicenna 118. Medicago sativa — L. Ro. I. 311. Questa pianta, ora sì estesamente coltivata in Italia come foraggio, era, ai tempi dell’Anguillara, quasi scomparsa dal nostro paese, come lo ricono- scono gli autori di quel secolo. Il Mattioli dice : « E come ella fusse già volgare e si seminasse per tutta Italia per li bestiami nondimeno a’ tempi nostri par che si sia ella del tutto fuggita da noi quantunque sieno alcuni moderni semplicisti che pensano d’haverla rintracciata ». E difatti si spac- ciavano per erba medica altre specie di leguminose dei generi Cytisus, Hip- pocrepis, Melilotus, Trifolium ece. IL Mattioli soggiunge di non averla po- tuta ottenere per semi, tanto che non può darne la figura. Anche il Ruellio | dice che la medica nasce in Francia, ma non in Italia. Il Michiel potè dare una figura di pianta fiorita e fruttifera e riconobbe pure il carattere gene- rico, come lo testificano le parole: « Varie sono le sp. di Mediche et al- l’invoglio di il seme si conosce » (la parola invoglio nel linguaggio del Michiel indica organo a forma di spirale) (2). Il Michiel pone come abita- zioni della pianta la Media, la Spagna ed il Levante e soggiunge: « Sole- vasi seminare per li bestiami et diconsi che in Spagnia ancora lo fanno, ma se ne mangiano assai li nuocono generandoli tristo sangue et lo mangiano fresco ». Questo fatto del meteorismo era conosciuto fin dai tempi di Ari- stotile e forse fu la causa per cui la coltura della pianta fu omessa in Italia (1) Saccarpo. — Cronologia della Flora Italiana, Padova 1909, lavoro note- vole per diligenza; guida necessaria per chiunque voglia intraprendere lavori di botanica storica. (2) Egli chiama «libro di alberi ed invogli » il libro azzurro conte- nente le piante arboree e le piante volubili. ANNALI DI BoranICA — Vor. VIII. i 40 per qualche tempo. Ma quando l’esperienza dimostrò che, ridotta sà fi non produce quel malore, la coltura fu ripresa e probabilmente il nome di. Erba Spagna che i veneti danno alla medica proviene dall’averne ricevuto semenze dalla Spagna. Tenderebbe a provarlo un passo dei Placiti di Luca Ghini ove è detto che il rev. Lodovico Beccadelli nunzio di Papa Giulio III a Venezia portò dalla Spagna a Bologna semi di erba medica i quali die- dero piante. La figura del Michiel è quasi contemporanea a quella del Turner. Un se- colo prima il Rinio (1) aveva figurato la pianta sterile (c. 396) col nome di herba medica ed altri nomi fra i quali herdba mullarum hispanica. Il Rinio chiamò medica anche la sp. Melilotus officinalis L. (c. 151). Alipo 300. Globularia Alypum L. — Ve. 165. Il Michiel chiama la pianta « Alipo da Diascoride, Turbit dal Anguil- lara », dichiara averla ricevuta dall’Abruzzo e più sotto aggiunge: « L’An- guillara N. 230 la descrive questa et tiene sia il Turbit et ne raggiona anche a N. 300. Et questa mi pare la istessa dimostra dal Mattiolo a N. 1343 ma pero non ho per sicura che alcuna sia l’Alipo di Diascoride » (alludendo ad altre piante che si spacciavano per l’ %/v70v di Dioscoride). Come si vede, la citazione di Anguillara è in parte sbagliata, perchè l’autore dei Semplici non parla del Turbit a pag. 230, ma a pag. 292, nè lo fa eguale all’alipo, ma alla ThRapsia. Però la descrizione che accompagna la figura del Michiel combacia con quella dell’Anguillara al n. 300; può dunque dedursi che l’alipo dell’Anguillara è G. Alypum. L'autore il quale ritenne essere la radice dell’alipo il 'l'urbit è l’Attuario che (Meth. med, 5-8) diede dell’#}u7zey di Dioscoride una descrizione che si accorda con quella di G. Alypum e perciò l'Anguillara annuì a tale identi- ficazione; vi annuì anche il Mattioli che ricevette la pianta dal Ghini. Er- roneamente alcuni autori (Pena, Dalechamp), ritenendo che l’alipo di Mat- tioli fosse un’euforbia, giudicarono inesatta la figura. La specie presente trovasi presso altri autori (Pena e Lobelio, Chabray) sotto i nomi: « Alypum Monspeliensium, Alypum Montis Ceti Narbonen- sium, Herba terribilis, Frutex terribilis ». Alliaria 240. Sisymbrium Alliaria L. — Ro. I. 5327. 1. L’Anguillara chiama la specie anche col nome Rima Maria ed ambi i nomi sì trovano nel Michiel. Alopicuro di Theofrasto 181. Lagurus ovatus L. — Ro. I. 298. Il Michiel nota che c’è « in quantità nel bosco di Chiozia (Chioggia) ». (1) Del Codice erbario di Benedetto Rinio fece un’illustrazione tuttora ma- noscritta l’autore della presente memoria. Il prezioso codice è nella Biblioteca Marciana di Venezia (Codici latini, Classe 6°, N. 59). V. Saccarpo P. A.: La Botanica in Italia (Mem. Istituto Ven. 1895 e 1901) e Cronologia della Flora italiana, Padova 190). È È: Î i dl Alsine del Fuchsio 199. Veronica hederaefolia L. — Ro. I. 33. 1. Il Michiel registra anche il nome di Lappagine Plinij perchè l’Anguil- lara sosteneva tale identificazione, però soggiunge: « Mal si può compren- dere che questa sia la lapagine che descrive Plinio ». Alterna 85. Phyllirea variabilis Timb. var. media (L.) — Az. 94. Il nome è scritto così nell’indice, ma nel testo dei Semplici sta scritto alaterna, perchè l’Anguillara riteneva che questa specie fosse l’alaterno di Plinio, opinione che troviamo anche nell’Aldrovandi (£rd., vol. II, n. 365'). Il Michiel pure la chiama « alaterno da Plinio » ed aggiunge altri nomi tratti da varie fonti, fra i quali « Allaterna chiamano ancora li vilani da Lanzan a Santo Vito [da Lanciano a S. Vito di Chieti], Linterna da Pu- gliesi ». Notiamo che l’alaterno o linterno (RRamuns Alaternus L.) trovasi al N. 13 dello stesso libro del codice sotto vari nomi fra i quali quello di < Phylirea » nome che, secondo il Michiel, veniva dato dai Romani (1). Anche il Cesalpino chiamò il linterno « Phillirea ». Amarantho de latini, v. Flamma. a Amarella 225. Psoralea bituminosa L. — Ve. 198. L’Anguillara nota questo nome come proprio di que’ di Lanciano nel. L’Abruzzo. Amfodilli 128. Asphodelus albus L. — Gi. 7 Ammi secondo o Ammi italiano 130 | Carum ammoides B. et H. — Ro. I. 184. Amomo di Dioscoride 34. Fibes nigrum L. — Az. 75. Questa pianta veduta dall’Anguillara nel giardino del Michiel a S. Tro- vaso in Venezia fu da lui classificata come Amomo o Pepe selvatico. Il Michiel però non si mostrava molto sicuro di tale determinazione perché nel suo codice sta scritto: «L’Ecc. Anguillara mi disse esser l’Amomo di Dia- scoride ma non fa fior di viola bianca. Et N. 34 ne suoi pareri dice esser il Pepe salvatico. Et che questo sia veramente sp. di pepe mi son confirmato da alcuni degni Turchi soriani, ma sonno piante diverse che lo producono. Et anche diverse da il longo pepe come Portogesi affirmano. Et che pro- ducono il fruto in racemi et non in baccelli come narra li antiqui, qualli di molti se iaganano ». Altrove dice: « Tutta la pianta si rasembra assa [assai] al nostro ribes commune... » « Et ne son in Toscana ancora di questa pianta per ralation del Ecc. M. Luca Ghino. L’Ethiopico son il buono, et il resto e anche questo sonno tenuti per salvatico. Et di questo ne sonno nel regnio di Beniamin in Soria ». (1) È detto «in Romagnia », ma sul significato che egli dava a questo mome v. le Notizie retrocitate (indice geografico). altre specie di piante che pur si chiamano pepe e Vè un curioso abbaglio del Michiel. L’Anguillara parlò di due regioni, cioè del regno africano di Benin in Guinea e della Soria ed il Michiel intese si trattasse del terri- torio della tribù di Beniamino nella Palestina annessa allora, come adesso, nel regnio alla Siria (1). Malgrado l’obiezione del Michiel, le smentite di Lobelio e Gesner (il qual ultimo chiamò la pianta col nome che porta attualmente, avendola veduta. presso Zurigo), gli autori credettero, sulla fede dell’Anguillara, che nel giardino del Michiel fosse stato coltivato il vero amomo (2). Amome di Plinio. . Solanum Pseudocapsicum L. — Ro. I., 63. Veramente l’Anguillara nel suo libro contempla solo .due specie di amomo, la precedente e la seguente. Di questa terza specie di amomo ab- biamo notizia dal Michiel il quale scrive: « L’Anguillara tiene et di molti altri che la sia l’Amomo di Plinio, ma perchè Plinio dice nascere di pianta alta uno palmo et questa viene come frutice et alta lasso il giudicio ad altri. Et altri che la sia specie di solano. Ne manco son questo l’amomo vel pe colombino delle pandette ». Il Michiel ricevette il campione dal Ghini e, rispetto all’abitazione, dice: « diconsi venire dall’India » (3). Chiama la specie « Solano indico da latini, Solanum arborescens da altri, Strichnodendron da Greci, Amomo di Plinio da molti » e, come si comprende, fece vedere il campione all’An- guillara che lo giudicò Amomo di Plinio, giudizio che non persuase il Michiel. Quanto poi egli dice sul « pe colombino delle pandette » si riferisce all’errore di un interprete di Serapione ripetuto da Matteo Silvatico nel suo Pandettario, che cioé l’amomo fosse il pes columbinus specie di Ge- ranio. Per ciò i medici ordinavano contro le febbri i semi delle sp. Gera- nium molle L., G. robertianum L.,G. rotundifolium L., credendoli di amomo, finché Clusio e Blackwell fecero conoscere la pianta legittima. Amomo delle speciarie 215. Sison Amomum L. — Ve. 57. Anagallide di Dioscoride 92, v. Corcoro. Androsace 256. Cassia obovata Collad. —— Ro. I. 80. (1) Ecco le parole dell’Anguillara: « Hoggi nel regno di Benin à Mani- congo si trova una sorta di Pepe, la quali Portoghesi chiamano Pimenta del Rabo et è vietato portarla à Lisbona perchè si vende per Pepe Ethiopico: l’istesso si trova anche in Soria et è chiamato Pepe salvatico ». Da quanto soggiunge il Michel, la prima conoscenza spetterebbe al Ghini. (2) De Vistani R. — Delle benemerenze dei Veneti nella Botanica. (Atti Isti- tuto ven. 1858-54, parte II). (3) Il diconsi è dubitativo; difatti la specie non è indiana, ma dell’isola. di Madera. Pi PI VE i Mpa Mia L. — Ro.I. 236. Il Michiel scrive: «L’Anguillara N. 243 vuole che questa sia l’Androscemo ‘et il climeno di Plinio et non quello di Diascoride perchè vi sono differenze. Anemone di Ateneo 179. . « Anemone alpina L. Ve. 52. Le abitazioni indicati da Michiel sono: « Monti di Italia, Schiavonia, Morea, in Puglia se ritrova quello di Galeno con il fior giallo » e son co- piate dall’Anguillara, come dall’Anguillara è copiata la diagnosi, meno però un carattere erroneo, cioè che l’Anemone di Ateneo non abbia più di quattro sepali. Questo errore fu corretto da Michiel coll’osservazione diretta; infatti la sua figura, molto bella anche pel disegno del rizoma, ha due fiori, uno di cinque, l’altro di sei sepali. Antheme di Plinio 213. . Campanula pyramidalis L. — Ve. 95. Certi autori credono che l’Antemo di Plinio dell’Anguillara sia Anthemis Chia L. 0 A. rosea, l'’Aldrovandi nel suo Erbario (Vol. II, 193) ha col nome Anthemon Plinij Anguillarae la sp. Satureia iuliana L., ma la vera identificazione ci è data dal Codice Michiel ove è detto: « (ORI N. 218 tiene sial’Anthemo di Plinio » La figura del codice fu fatta sopra un campione coltivato nel giardino del Michiel, come si apprende dall’An- guillara: « L’Anthemo trovasi in Schiayonia... puolsi vedere ancora in Vi- negia nell’horto del Magnifico messer Petr’ Antonio Michiele a S. Trovaso et in Padova nel giardino pubblico » Il Michiel mette per località Valstagna presso Bassano, la Schiavonia e la Puglia ed al nome « Anthemo Plinij » aggiunge i seguenti: « Piramidale da io, Herba Santa Maria et herba da late in Puglia, Sassifragia da molti >, dando poi le ragioni dei nomi: « Nella Istria la danno tagliata minuta alle balie per fare agumentare il latte et si dimandano sassifragia perche fa romper le pietre e nasse in sassi» Pare dunque che il nome pyramidalis che tuttora si conserva come nome specifico sia stato dato dal Michiel in sostituzione a quello di Anguillara che non gli pareva adattato, come risulta dalle parole: «Ogni pianta che fiorisce | prima nel summo potria esser l’ Anthemide di Plinio perche non li dice altro di suoa forma se non che fiorisce in prima nella sumita et poi ab- basso » Nella copia dei Semplici custodita alla Marciana vi è l'annotazione manoscritta: « Plinuus lib. 26, cap. 8 Anthemum parvis a radice folijs quinis, caulibus longis duobus, flore roseo. Theophrastus Antemum a ra- dice truncum foliatum facit. Sunt qui pro Pyramidali interpretantur ». Aphyllanthes 187. Globularia vulgaris L. — Ro. I. 104.3. Nella nomenclatura il Michiel scrive: « Aphyllantes cioe frondiflora et botonaria quella sp. dal fiore azuro da simplicisti » perchè nel foglio son figurate altre piante e questa è la terza. E più sotto: « L’Anguillara N. 186 ritira quella sp. dal botone azuro alla Aphyllantes et questo per la etimo- logia da vocabulo che vuol dire frondiflora ». dice già che AphyUanthes significhi frondiflora, anzi ne dà nel suo libro il vero etimo quando dice che la voce è comune «ad ogni sorte di fiori che non facciano foglia alcuna » e che «il suo fiore è senza foglie ». È vero che nel titolo egli la chiama « Aphyllanthes ciò è frondiflora» ma la par- ticella interposta indica una sinonimia, non una traduzione, come si deduce da altri titoli, p. e. a pag. 64: « Del Vitice ciò è Agno Casto » ed a pag. 165: « Absinthio seriffio ciò è Marino ». Sia pur ritenendola Ap/yManthes, l'Anguillara ha il primato della dia- gnosi di questa specie, il Michiel dell’iconografia. Nell’Erbario Aldrovandi (III, 67) c'è una Globularia sp. con vari nomi fra i quali « Aphyllanthes Theophrasti Pandectari ». Il campione più antico. di G. vulgaris trovasi nell’ Erbario A della Biblioteca Angelica di Roma. (1) Apio palustre, v. Eleoselino 122. Apios 295. Euphorbia Apios L. — Gi. 1. Il Michiel ricevette campioni da Corfù e dà Cipro e chiamò la pianta « Esula rotonda dal Anguillara », soggiungendo: « L’Anguillara N. 295 dice che l’Apios et l’Esula rotonda sonno tutti doi uno istesso. Et il Ruelio dice mangiarsi in Francia per bisognio da rustici dunde per fare l’Apios vo- mitare si puol credere che altra pianta sia quella ». Il Michiel allude alle pa- role di Ruellio: « Vidimus tamen per inopiam frugum ruri pauperes hac radice vesci», notando che non può essere questo apios che è velenoso, ma un altro. E, siccome nel Ruellio c'è la diagnosi dell’apios commestibile «radicis extremum in pyri vel ficus vel glandis effigiem turbinetur... illud tamen addiderim apion tenues habere capriolos, qui cespiti decumbit her- boso, flore piso similem, longe minorem », ben si comprende essere questo un’altra specie figurata dal Michielin altro numero dello stesso libro giallo, il N. 91, cioè Lathyrus tuberosus L. Il Michiel chiama anche questa specie apios, ma soggiunge: «inganassi tutti quelli che si credeno esser questo l’Apios anzi non son neanche sp. di esso... da uno poco di sembianzzia che tiene suoa radice con l’Apios adriedo [descritto più indietro] non ce cosa che si confacia nel resto » e dà l’altro nome : « Noci di la Terra da Tedeschi suoe radici », traducendo il nome Erdniisse dato in tedesco ai tubercoli. L’errore di creder che quest’ultima leguminosa fosse l’Apios fu commesso anche dal Leoniceno, dal Trago e dal Fuchs (che per primo diede la figura) e corretto, oltre che dal Michiel, dal Mattioli. Aquifolio del Gaza 69. Ilex Aquifolium L. — Az. 48. Arabis o Draba 172. Lepidium Draba L. — Ro. I. 161. Il Michiel la chiama « Arabis vel Draba da Dioscoride » e soggiunge: « L’Anguillara N. 172 dice che essendo diverse piante la Hiberide et il (1) PenzIiG 0. — Contribuzioni alla Storia della Botanica; SAaccarDO P. A.: Cronologia retrocit. Come si Sos il Michiel non O bene l'angraliute il Vodo #3, dl e. acute, mentre il Mattioli le fece ovali. Aracos 103. Vicia narbonensis L. — Ro. I. 142. Il Michiel chiama la specie « Arachos da Galeno, Araciset Mocho in Italia et Araco senza ‘h, Climenon Diascoridis dal Ghyno [Ghini] » e, dove parla dei generi, dice: Due sorte di Aracho con h di Galeno questo et Araco sanza h deto Mocho » e dove parla del luogo: «io l’hebbi dal Eccellente Ghyno da Pisa al qual gli fu mandato di Fiandra ». Citando poi le opinioni, sog- giunge: « Et dal Ghyno per il Climeno di Diascoride ma suoe foglie non sono simile al Plantagine come dice Diasc. ma pero dal essere un pocho le in poi si converebbe. Et quella dimostra il Mattiolo a N. 1023 son simil a questa se non che le silique sono maggiori e pendenti ». La pianta a pa- gina 1023 dell’edizione del Mattioli consultata dal Michiel (1) è il Cli- meno (Lathyrus silvestris L.) diverso dalla specie presente per altri carat- teri oltre quello menzionato dal Michiel. L’Araco negro di Mattioli è La thyrus Ochrus DC. L’Anguillara a pag. 103 dice dell’Aracos: Ancora si chiama Aracis. In Italia e nomato Mocho. In Grecia hoggi vien detto « 202z2 >» ed a pag. 104 dice dell’Arachos: « Scritto per h è cosa come c’insegna Galeno diversa da Araco, questa pianta nasce per li grani con foglie simil alla Vecia, ma piu anguste. Il fiore è di color rosso et il seme simile all’Ervo; ma non c'è nome volgare ». Da ciò si comprende che la specie figurata dal Michiel è la Aracos di Anguillara e che per errore il Michiel la iscrisse come « Arachos di Galeno ». Altri autori credettero che l’Araco degli antichi corrispondesse ad altre specie di leguminose, p. e. Chabray l’identificò con Lathyrus ca- nescens G. G., Sprengel con L. tuberosus L. ed allora la specie presente si chiamò per distinguerla Aracus fabaceus (Chabray). Oltre al disegno c’è, fra le pagine del codice, un campione disseccato di di una delle foglioline superiori. Arbor vitis 80. Staphylea pinnata L. — Az. 115. Nella nomenclatura il Michiel lo chiama « Staphylodendron da Plinio, Avelana indica da volg., Ornello in Romagnia, Bim per nusdelin Bimper- niisslein] da Germ. et Pinpernusz [Bimpernuss], Lagrime di Giopo in Abruzzio, Pistachier salvatico in molti luoghi, Arbor vitis dal Anguilara, Nux vesicaria dal Trago ». Colla sua nomenclatura e colla figura il Michiel ci dà buona testimo- nianza che la specie chiamata dall’Anguillara « Arbor vitis » traduzione un po’ libera del greco c72976dvèp0v (albero dei grappoli) e che egli disse aver veduto nel giardino del nob. Filippo Pasqualigo a Padova non è già il pi- stacchio selvatico, ma la stafilea. Altri credettero che le « Lagrime di Joppe » (1) Discorsi nelli sei libri di Dioscoride. — Venezia, Valgrisi, 1568. di Anguillara fossero la graminea Ooix Hilorgnia L. (che oggidi Fiiamzai Ta È grima di Giobbe), mentre l’Anguillara con quel nome intese pur designare la stafilea in causa dei suoi semi duri e lucenti che tuttora servono a far rosari (donde l’odierno nome bellunese pianta da corone). Un insigne e rim- pianto botanico, Roberto De Visiani, dietro quelle credenze, lasciò scritto (1) che « Anguillara descrisse il Pistacchio selvatico e la Coix Lacrima viste nel giardino del Pasqualigo », mentre si trattava di una sola pianta, Sta- phylea pinnata. Il Michiel figurò l’ albero intero fiorito e fruttifero, portante in cima un nido di cicogne. Diede anche a parte una buona figura di foglia accom- pagnata da infiarescenza ed un’altra bellissima di due frutti, uno dei quali lacerato per far vedere i semi e giustificare così il nome « lagrime di Giopo ». Arbuto di Theofrasto 107. Arbutus Unedo L. — Az. 107. Aria 81. Pirus Aria Ehrh. — Az. 144. Il Michiel chiama la pianta « Aria Theophrasti, Matallo quasi metallo per suoa durezza nel Apenino » ed assegna l’abitazione: « in luoghi alti et selvosi ne sonno nella Magiela nell’Abruzzo ». Questa località della Maiella fu tratta dal libretto dell’Anguillara il: quale diede una descrizione del- l’îpix di Teofrasto che corrisponde a PirusAria ed il Michiel seguì la sua opinione, che non fu invece quella dell’annotatore alla copia dei -« Sem- plici » esistente alla Marciana. Di fronte alle parole di Anguillara descri- venti il frutto « simile ad una ciriegia il qual nel principio è verdé, ma nella inmaturezza diventa rosso » sta scritto: « Aria inter glandiferas arbores est. Vide Theof. lib. 3 hist. cap. 16 ». Contuttociò anche i botanici posteriori ac- cettarono l’identificazione di Anguillara. Quanto al nome matallo con cui Anguillara e Michiel chiamano questa specie, lo troviamo applicato ad essa anche dal Cesalpino nel suo erbario. Nell’orto di Pisa ai tempi del Ghini c’era un « Lotus arbor aliorum opinione, vulgo matallus arbor vocata». Arieno di Plinio, v. Cuciophoron di Theofrasto 70. Arisaro primo 176. Biarum tenuifolium Schott. — Gi. 11. Arisaro secondo 176. Arisarum vulgare Targ. — Gi. 34. Il Michiel mette al N. 11 come abitazione: « In Egipto in quantita, in Romagnia et in Dalmatia di questo [cioè del primo]. Et il secondo [cioè di quello figurato al N. 34] ne sonno al Monte di . Giuliano in Toscana. Il Michiel seguì le identificazioni di Anguillara che dà sll’arisaro primo « foglie strette simili alla lanciuola » ed all’arisaro secondo foglie simili (1) Delle benemerenze ecc., v. note retro. ITA Moe e a due ata da Roma ove tuttora si trova, come osservò il prof. Romualdo Pirotta, insieme alla seconda specie. A questa località alluse il Michiel colla parola Romagna, che egli frequentemente usa nel significato di territorio romano. Della seconda specie il Michiel ebbe cam- pioni anche dall’Abruzzo e da Costantinopoli. Aristolochia lunga 191. Aristolochia longa L. — Ve. 122.2. Aristolochia rotunda 191. A. rotunda L.-— Gi. 72. Aristolochie Clematiti 192. A. Clematitis L. — Ve. 122.1. Il Michiel chiama tutte due le specie figurate al Ve. 122 Aristologia lungha e così dice della seconda (A. longa L.): «et ne son una altra con le foglie et il fior minor la radice grossa quanto ho la cossa [coscia] (1) et lunga fongosa la qual mantengo ancora nel mio giardinetto » e dà per abitazioni < Soria, Puglia et Grecia ». Poi soggiunge: « L'’Anguillara N. 191 ne ragiona credo che il vogli intendere per la longha quella ho io grossa nel mio giardino et anche lungha abenche lui dice non esser piui di uno o ma forse la vide spezata et son dimostra in questo foglio. Et. N. 192 si crede che questa dipinta [A. Clematitis L.] sia la clematide et ma il testo sia scoreto ». Artetica 257 Aiuga reptans L. — Ro. I. 97. Arthemisia |° 226. Artemisia vulgaris L. — Ro. I. 233. Asaro 25. Asarum europaeum L. — Ro. I. 58. Nella copia dei «Semplici » conservata alla Marciana sono sottolineate a mano le parole dell'’Anguillara: « Primieramente questa voce Bacchare si vede essere piu tosto latina che Greca. Ne si trova che alcuno scrittore Greco di quelli che furono innanzi Dioscoride over al suo tempo, over poco doppo lui, habbia mai fatto mentione di pianta alcuna di tal nome: come in Galeno e Aetio si puo vedere, i quali pur una parola non parlano di queste Bacchare » ed a maîgine è scritto: « Falsum Vide Erotianum ». Sono sottolineate anche in parte le parole della frase: « ma affermerò bene che assai tempo doppo Galeno questo nome Bacchare appresso gli scrittori Greci venne in luce. E ritrovandosi, che Paolo, che parla de i Semplici di Galeno, tratta del Bacchare, nel quale non ha fatto mentione Galeno: ne seguita necessariamente una di due cose, overo che questo Bacchare manca in Galeno overo che Paolo ve l’ha aggiunto di più, ma ne l’uno, ne l’altro (1) DE Tonr G. B.— Contributo alla conoscenza delle relazioni del patrizio veneziano P. A. Michiel con Ulisse Aldrovandi, pag. 8 (Mem. Accad. Scienze, Lett. ed Arti in Modena, Ser. III, Vol. IX, Sez. Scienze, 1908). si feel Sa » colla glosa ironica: « e Nobilis CosGspienUlI si Ed all'altra frase riguardante Dioscoride: « Soggiunse poi nel fine del capitolo queste x parole: « Crateva Herbario di questa pianta così lasciò scritto » è posta di fianco la glosa: « Dioscorides nullam habet mentionem Cratevae in Asaro». Un'altra glosa ironica: « Belle equidem » è a fianco delle parole: « Ma se ben io ho mostrato il capitolo del Bacchare essere adultarino e perciò doversi cavare fuori dal testo di Dioscoride, non crediate per questo, che vogli inferire che il Bacchare, l’ Asaro siano una cosa medesima perche quando io havessi questa opinione, sarei in troppo grande errore. Ma io dico solamente che i Greci non hanno pianta alcuna che habbia questo nome Bacchare e che il capitolo del Bacchare in Dioscoride è l’istesso ca- pitolo dell’Asaro: ma trasportato guasto e lacerato da qualche sciocco che si doveva sognare ». Asciro 245. Hypericum quadrangulum L. — Ro. I. 287. Il Michiel scrive: « L’Anguillara N. 243 vuole che questa sia l’Asciro et non l’Androscemo. Et altra differenza non è tra questa et l’Hyperico vel perforata se non che questa hanno le foglie maggiori et li fusti ri- quadrati ». Aggiunge nella diagnosi che le foglie « non son punteggiate ». Questa specie piuttosto rara fu dunque la prima volta conosciuta dal Petrollini (1), poi dall’Anguillara che la chiamò Asciro e figurata dal Mi- chiel. Quindi l’asciro di Anguillara non è M. Ascyrum L. Aspalatho 536. Genista aspalathoides Lam. — Az. 146. Il Michiel ricevette il campione da Candia dal farmacista Costantino Rodioto, (2) quello stesso che mandò la descrizione della pianta all’ An- guillara, descrizione che valse a rettificare l’opinione anteriore dell’ An- guillara, che cioè l’aspalato fosse l’incenso. Il Rodioto mandò la pianta a mezzo del nob. Gabriele Valaresso che fu consigliere a Candia dal 16 giugno ‘ 1550 al 15 febbraio 1553. Aspleno 257. Ceterach officinarum W.— Ro. I. 90 Astoni 141. Cirsium arvense Scop. — (Gi. 152. Il Michiel chiama questa specie « Ceanothos da Theophrasto, Astoni sul Padoan, Cyrsio dal Ghyno [Ghini]. — Et il Cirsio si denomina anche buglossum magnum da molti — et spinam mollem da Rom. ». I nomi ceanothos, astoni sono tolti dall’Anguillara. Fabio Colonna che figurò la specie nell’Ecphrasis (I, 46) col nome « Ceanothos Theophrasti » suppose che essa fosse identica col ceanoto di Anguillara e la figura del (1) SaccaRrDo. — Cronologia retrocit. De Toni G. B. — Sul medico Francesco Petrollini (ZX Spigolatura Aldro- vandiana in Atti Istituto Ven., Tom. 699, Parte 2%, 1909-10). (2) Lo Sprengel lo chiama erroneamente Itoberto. NI PS Li Fe CRE, peas ;} + apr RE int Pia fichiel gli da ragione. Anche nell’Erbario Aldrovandi, Vo | un campione della pianta coi nomi « Ceanothos Spina Theophr., Anguil- larae Astone Patavini vulgo ». Avvertasi che altro è questa pianta che il Mickiel chiama Cirsio del Ghini da quella che il Ghini spedi al Mattioli e che questi chiamò C'irsio e perciò quanto dice il Michiel salla confusione che si faceva colla buglossa (1) riguarda il Cirsio del Mattioli le cui foglie - somigliano a quelle di Anchusa nella forma e delle quali le inferiori for- mano rosetta. — Anteriormente all’Anguillara la sp. C. avvense fa conosciuta dal Petrollini (Erbario B della Bibl. Angelica esaminàto dal prof. 0. Penzig). Astragalo 266. Astragalus Onobrychis L. — Ro. I. 136. Il Michiel mette per località: « ne monti di memphi in Arcadia, in la Valle Anania [Anaunia o Val di Non nel Trentino] di questa ne hebbi d'il Veronese et Bologniese » e soggiunge: « L’Anguillara N. 266 sta in dubio se sia, perche la radice non e rotonda come anche altri non lo tiene ». Così è dimostrato che l’Astragalo trovato da Anguillara nei monti pa- dovani è A. Onobrychis L., non A. Monspessulanus L. come suppose Chabray. Quest’ ultimo autore osserva che Menfi è in Egitto, non in Arcadia, ma l’Anguillara crede si tratti di un nome mal trascritto, quello del Monte Feneo. Atrattile 146. Carthamus lanatus L. — Gi. 101. Il Michiel mette fra i nomi: « Atrattile da Diascoride, Nico [wyfcc] salvatico da Theofrasto, Acrono [àxopva Teofr.] vel phonos da Plinio » e, parlando dei generi, dice: « Due questo et il salvatico che son tenuto per il cardo santo chiamato Cnico salvatico secondo Theofrasto. Et di questo il Cyprio fa il fiore purpureo et l’Italico giallezzio [Carthamus lanatus] > e parlando della forma: «...et nel autunno qui a noi spezando acanto il fruto si ritrova il sangue et in Romagnia in ogni parte risciuda [trasuda] » e parlando delle opinioni: « L’Anguillara N.149 dice che questo non puol esser quello di Theofrasto per non produr succhio sanguigno. Et N. 146 dice esser l’Attratile secondo il Nico salvatico secondo Theofrasto. Et è il cardo santo ma il Mattiolo son contrario. L’Alpago et altri :simplicisti tiene sia l’Acrono vel phonos Plinij lib. 21.16 questo dipinto. Et questo altro avvertimento che Theofrasto al atratile lo fa resudare di sangue et Diascoride non ne dice parola dunde o Diascoride non averti il suo sudare sanguineo overo intese lui di altro atratile ». È noto come per lungo tempo il nome di cardo benedetto, che spetterebbe alla sp. Carbenia benedicta B. et H.,fu dato anche a questa specie e tuttora l'equivoco dura in certe parti d’Europa, p. e. a Parigi (il Chardon béni des Parisiens è Carthamus lanatus). In modo simile il nome atrattile fu abusiva- (1) ...Ma questa non hara (avrà) gia mai suoe foglie similitudine con le rose ne meno l’altra che non vi son abasso, di lingua di bue. Et peggio poi quelli che tengon esser la Bugolosa volg. il Cirsio. L- Ù tile trovata da usata in Provenza fosse Carbenia sinti Mac Guest figura del Michiel, sebbene non bella, dimostra che la specie è Carthamus lanatus come lo testificano la tinta del fusto, la posizione ascendente del . lembo foliare, le lunghe spine marginali, la deficienza di picciuoli, la picco- lezza dei lembi e tutto l’insieme della fisonomia della pianta. Quella specie che il Michiel chiama « Cnico salvatico secondo di Theofrasto » o « Cardo santo » è Carbenia benedicta, ma non fu da lui figurata, forse perchè più conosciuta. Sono quindi giuste le identificazioni di Sprengel (1): àxogva (An- guill, 146) — Cardenia benedicta, àdzparnmvlio 96voc (Anguill. 149) — Car- thamus lanatus. Avvertasi che il Michiel figura sotto il nome di « Acarna di Theoprasto » al Gi. 153 un’altra specie di pianta carduacea, Cirsium pa- lustre Scop. che gli fuinviata di Francia dal corrispondente Antonio Tolomei, del quale parla anche l’Anguillara a pag. 298. Atriplice 110. Rumex crispus L. — Ro. I. 49. Balsamina |" 243. Momordica Balsamina L. — Az. 90. Balsamina II° 245. Impatiens Balsamina L. — Ro, I. 64. Il Michiel parla di tre specie di Balsamina, aggiungendo il così detto « Geranio Momordica » che è Geranium rotundifolium L. La figura di M. Balsamina è contemporanea a quella data dal Dodoneo, ritenuto il primo iconografo, col nome Charantia, ma la questione di priorità non ha luogo, perchè un secolo prima la specie venne stupendamente figurata nel Codice zinio al N. 140 col nome Caranza. Quanto all’altra specie {Impatiens Balsa- mina) è notevole la contradizione fra l’inesatta figura del frutto (aprentesi a guisa di pisside) e la giusta descrizione che dà il Michiel: « quando si piglia questo fruto si difende et con violenza schiopa et si rivolta come fa anche la Charanzia ». Barba Capri 245. Spiracea Aruncus L. — Ro.T. 146. L’Anguillara non dà alcuna diagnosi e si limita ad aggiungere che a Pa- dova la chiamano Orostofanaria Il Michiel mette i nomi « Barba Capri et noselaro salvatico da rustici, Vuald geisz bart | Waldgeissbart = barba ca- prina di bosco] da Germ., Cristofanaria sul Padovano ». La figura del Michiel viene opportuna per l’identificazione, perchè i nomi Barba di Capro, Oristo- foriana si davano e si danno a specie ban diverse (7ragopogon, Paris, Leu- » canthemum, Asteriscus). Barba Jovis 86. Anthyllis Barba-Iovis L. — AGI 101. Il Michiel dice: « l’hebbi da Abbruzzio, ne luoghi maritimi et asperi. che mangiano le capre » ed aggiunge: « Alcuni volevano la fusse l’Impia di (1) Historia rei herbariae, Lipsia 1808. s4 DI pae vis l'Auguillara N. 86 dies: esserne e s01 te la o gi IND. Dopo il Michiel parlò di questa specie Gaspare Banhin che la trovò coltivata nel giardino di Torquato Bembo in Padova, ma non ne diede figura. Più tardi lo Chabray se ne procurò un campione sterile da Montenero dietro l’indicazione di Anguillara e ne diede figura a pag. 611 delle sue Jeones in sostituzione ad altra falsa che aveva data a pag. 88, però non ne fu ancora soddisfatto (< non omni ex parte bona, siquidem desiderantur flores »). Perciò, non conoscendosi che la descrizione vaga di Bauhin (1) e le figure imperfette di Chabray, si fu dubbi sulla identificazione della specie Barba Jovis prima di Anguillara (2) che ora la figura del Michiel permette di ac- certare. Batracchio apuleo 131. Ranunculus bulbosus L. — Gi. 12. Botonaria, v. Aphyilanthes 137. Botri 227. Chenopodium Botrys L. — Ro. I. 62. Il Michiel nota come località Valstagna presso Bassano e Li Val di Non nel Trentino. Brassica Marina 115. Convolvilus Soldanella L. — Ro. I. 144. Il Michiel fa la seguente dichiarazione: « Varie sono le sp. delli Ca- voli come per el piu a ciascun sono note, et questa per haver quel nome sara nelle sp. per esso nome ma non che habbi da fare insieme », volendo con ciò dire che a torto questa specie fu messa fra le brassiche. Nella descrizione dice: < fiori in campanele azure pavonazie simil a quelli de l’herba della reg- gina ma piu) larghi ». Quest’erba della regina che il Michiel figura al Ve. 118 - è il tabacco. Britanica 249. Al Ro. I. 4 è figurata la sp. Brunella hyssopifolia Lam. coi nomi « Pru- nella del Fuchsio et Galeno de Dynamid, Britanica del Anguillara >, mentre al N. 5 dello stesso libro è figurata una pianta fittizia accompagnata dalla dia- gnosi che l’Anguillara dà della britanica coi nomi « Britanica da Diascoride, Piatamano, Vetonica da altri, Bertanih dal Anguillara » e da una dichia- razione: «io penso nasca di seme abenche non l’habbi veduto ». Quante alle opinioni vi è detto: « L’Ansuillara N. 247 tiene la sia questa. Alcuni ten- gono che la volgare Bistorta sia la Britanica ma sono troppo differenti. Et altri la prunella come gia l’Anguillara ma si rimosse et ricorse a questa >». Da quanto dice il Michiel può 3 'dedursi che l’Anguillara, prima della pub-. blicazione dei « Semplici », riteneva che la specie che Dioscoride chiama. (1) Vaga quidem significationis est Barba Jovis (Chabray, pag: 82). (2) De Visiani. — Delle Benemerenze ecc., v. retro. Eito fosse una varietà di Primula Auricula L. (var. Sn Suna di cui diede la diagnosi. Il Michiel, dietro questa diagnosi fece la figura fittizia che ricorda lontanamente la sp. Polygonum Bistorta L., forse tenendo conto dell’opinione di altri botanici (1). Il nome Bertani citato dal Michiel non trovasi nel libro di Anguillara ma è tratto da Avicenna. L’Anguillara usa il nome dritarica con un solo n come va scritto per la sua origine dal greco, riportando però in Plinio la falsa origine da Britannia, per l’uso che se ne faceva in Inghilterra contro il mal di bocca. Pure da Plinio sembra siasi originato l’errora di confondere la britanica colla betonica, cui accenna il nome wvetonica portato dal Michiel. Quanto all’altro strano termine pictamano che si trova in codici del secolo xv (2) è probabilmente una mala trascrizione di beata planta marie, nome usato per le piante che si ritenevano la britanica di Dioscoride. Bulbus, vulvus et vulvos (che si mangia) 119. Ornithogalum narbonense L. — Gi. 7 Il Michiel ricevette la pianta dall’Aldrovandi (3) col nome « Ornitogalo alpino ». Notisi che il Ghini nei suoi Placiti dice: «de esculento bulbo nihil habeo scribere quod mihi satisfacere poterit ». Bupleuro 169. Bupleurum petraeum L. — Ro. I. 124. La figura del Michiel è notevole per l’abbondanza di parti e l’identifi- cazione è interessante, trattandosi di specie sporadica. Cakile di Serapione 227. Uakile maritima Scop. — Ro. I. 171. Il Michiel figurò la varietà a foglie pennisette trovata al Lido di Ve- nezia e la chiamò « Nasturcio marino » rigettando l’identificazione di An- guillara colla Cakile e quella di altri col Suen del Pandettario di Matteo Silvatico, come risulta dalle parole: « Quelli poi che vogliono sia il cha- chylle di Serrapione lui la descrive simil a una Usnea et questa tanto di- versa che non acasca [occorre] parlarne. Li altri poi che vogliono la sia il suen delle pandette peggio percioche lui dice che la si asomiglia alla vermi- culare ». Come si vede il Michiel, nel correggere un errore, cadde nell’altro di confondere usnen sinonimo di suen con usnea, nome che si dava e tuttora si dà ad un lichene e perciò trovò differenze tanto profonde. Il vero suen delle Pandette è figurato al Ro. I. 270 ed è Salicornia fruticosa L., ma il Mi- chiel chiama pure suen la sp. Inula chritmoides L. da lui figurata al Ro. I. 269 e pare la ritenga il suen vero. (1) Anche botanici posteriori, come il Turner, chiamarono la bistorta Merda britannica. (2) Camus G. — L’opera salernitana. Circa istans ecc. (Mem. Accad. Scienze Modena, Ser II, Vol. IV, 1886). (3) ULISse ALpROVANDI e P. A. MicHieL. — (Pel III Centenario dalla morte di U. Aldrovandi, Imola, 1907). siriaca ‘af î Calamento IT, 202. Calamintha parviflora Lam. — Ro. I. 244. Calta 222. Calendula arvensis L. — Ro. I. 220. Campanula II, 242. Campanula Trachelium L. — Ve. 148. 2. Canape salvatico 241. Althaea cannabina L. — Ro. I. 168. 1. Il Michiel scrive: « Chi bene considera questa pianta sono sp. di Altea perche tutto sonno come simil eceto che le foglie di questo sonno più di- vise ». Questa specie fu conosciuta, oltre che dall’Anguillara, dall’Aldrovandi ‘che la chiamò urtica mortua (Erb., II, 244). Canaria di Plinio 190. Digitaria Sanguinalis Scop. — Io. I. 28. Il Michiel descrive minutamente la specie per distinguerla da quella che egli chiama « gramigna » che è Cynodon Dactylon Pers., portando fra gli altri caratteri l’essere la prima annua, la seconda perenne («ogni anno ci nasce et muore non vivendo sua radice come fa la gramigna »). Ma un secolo prima il Rinio aveva già figurato separatamente le due piante a cc. 76 e 77 del suo codice. Il Michiel parla di un uso della pianta: « Et alli putti porgendosi quelli asperi ramini di semi nel naso per provocare il sangue dicendo con questo suono: herba herba campagniola quello che ti catti tira fora (1) dandosi apresso delli pugni nel naso havendo l’herba dentro di esso ». Canea, v. Sio 114. Cantabrica Plinij 215. Campanula rotundifolia L. — Ve. 131. Il Michiel la ritrovò a Semonzo (sulla via da Crespano a Bassano) e ne dice: « L’Anguillara N.215 disse esser la Cantabrica di Plinio ma per non haver gambo di Giunco et alto doi piedi, anzi li distende per terra et son mole [molle] et ce da fare [c'è da fare a ritenerla tale] ». Combattendo l'opi- nione dell’Anguillara, il Michiel non dice la sua sulla cantabrica di Plinio. Clusio stette per una specie di convolvolo che Linneo chiamò Convolvulus cantabrica L. Caranzi, v. Balsamina I°, 243. Carpesio di Galeno 150. ERuscus aculeatus L. — Ro. I. 82. Cartafilago 203. Filago germanicaL. — Ro. 102. Catapucia maggiore 292. Ricinus communis L. Gi. —155. (1) Erba campagnola, quel che trovi tira fuori. Lo LA ° N 4 PRATT sg : ct Di O i ps ui. et al peas quasi d'agiucio: n0à al Ro IL 9r pi ì « Fassi del suo seme oglio buono da ogni cosa ma ppt 80 D 1 troppo | solutivo » dalla quale appare l’uso domestico dell’olio, malgrado l’odore de- Y testabile. . TSI va Caucalide 116. < sf Ve. 236. (Fittizia). BIG Cazzugelli v. Astoni 141. i VA Cece salvatica. Astragalus Cicer L.(1) — Ro. I. 80. Questo nome non v'è nei « Semplici » ma fu comunicato al Michiel ver- balmente (« L’Anguillara in parole mi disse essere »). Anche il Mattioli chiamò la specie « cece selvatica ». Cedri di Theofrasto sono i Ginepri di Dioscoride v. Ginepro 45. Cefaglioni 70. Chamaerops humilis L. — 46. Gi. Centanculo [sic] 173. Polygonum Convoleulus L. — Az. 25. La figura del Michiel è mediocre, ma è interessante per l’identificazione di una specie dell’Anguillara che dal solo nome sarebbe irreconoscibile, perchè | nessuna delle piante oggidi chiamate centuncolo o ecentonchio è Polygonum Convolvulus, anzi esse appartengono tutte ad altre famiglie (Stellaria media Vill. — cariofillee, Centunculus minimus L. — primulacee, Anagallis ar- vensis L. — idem, Myosotis arvensis L. — borraginee). Nelle « Oppinioni » il Michiel dice: « M. Alovise Anguillara tiene che questo sia il Centunculo - ma Plinio non dice che el se invilupi come fa questo ma la timologia [etimologia] di Centunculo che' vol dir scala fa che così si creda». E nella diagnosi dice che le foglie « somigliano al capir di una cappa da huomo dunde l’Eccell: Anguillara si a mosso a credere per questo che la sia il Cen-. tunculo ». L’Anguillara non porta nel suo libro questa ragione che forse fu detta a voce al Michiel. Centunculus significa schiavina, quindi si avvicine- rebbe al vero il significato « cappa da huomo » messo nella diagnosi, mentre è falso quello di «scala » messo nelle opinioni. Centaureo maggiore 194. Centaurea Centaurium L. — Ve. 184. Il Michiel; nota le seguenti abitazioni: « In Licia in quantita nel Pelopo- nense, Helide, Messina, in Puglia nel Monte Gargano, nel monte S.!° Agnelo et ne monti sopra Bassan» delle quali l’ultima fu da lui constatata, le altre sono tratte dagli altri autori con errori di trascrizione (Messina per Mes- 4 senia) e ripetizioni causate da doppia nomenclatura (il monte S. Angelo indi- x cato dall’Anguillara è lo stesso Monte Gargano prima nominato). Centromirini v. Carpesio di Galeno 150. (1) V. Notizie ecc. Ward album L. — Ro. I. 216. Il Michiel chiama la sp. « Cepea montana da Diascoride » e dice: «Io Ja ritrovai in monte monzelese di Padova » quindi l’abitazione di Monselice posta dall’Anguillara dev'essere stata suggerita dal Michiel. Cepergne, v. Amfodilli 128. Cetrach ramoso 241. Aspidium Lonchitis Sw. — Ro. I. 109. Il Michiel chiama la specie « Lonchite seconda» ed aggiunge « L’An- guillara N. 241 tiene che questa sia sp. di Cetrach ramoso ». Nella stessa pagina è figurata anche una foglia sterile della sp. Polypodium vulgare col- l'avvertenza che alcuni la ritengono lonchite, altri specie di felce. Notevoli sono fe parole del Michiel sulla generazione della lonchite: « Io penso mul- tiplica per radice. Et quelli puati sonno sotto suoe frondi potrebbesi essere aqualche tempo cadute le foglie et produre come semi et quelli nascere poi >». Benché, in questo foglio sia citato, a proposito di altre felci, il Trago, è evidente che al Michiel sfuggì il passo nel quale quest’autore dice di aver fatto le semine con buon successo, il che avrebbe mutato il suo sospetto sulla funzione dei sori, in certezza. Chalendula, v. Calta 222. Chameleon 296. Arctostaphylos Uva-ursi Spr. —— Az. 80. . Il Michiel chiama la sp. « Chamelea » e dice. nelle oppinioni: « L’Ecc. An- guillara N. 296 dice esser il Cneoro di Galeno, Alcipiade di Aetio et Cha- melea una istessa cosa. Et li Arabi hanno confusamente descrito la Cha- melea et Thymelea mescolando insieme la Laureola ». Le località sono prese parte dal Mattioli, parte dall’Anguillara. Ma la Chamelea di Mattioli è Thymelacea Sanamunda All., quindi questa specie figurata dal Michiel col nome « Chamelea » è quella di Anguillara. ì Notiamo che l’Aldrovandi nel suo erbario (II, 319) ha due piante Ohamelea una è la specie presente, l’altra è Daphne collina L. Chameleonte negro di Dioscoride 139.140. Cardopatium corymbosum Pers. — Gi. 103. La figura del Michiel è copiata da quella dell’Anguillara (ed. Padova 1562). Le abitazioni notate dal Michiel: « in Dalmatia, in Puglia, in Candia et a Pescara» sono, tranne Candia, tolte dall’Anguillara, ma in modo som- mario e con un errore, avendo il Michiel confuso la città di Pescara col fiume omonimo del quale veramente parla l’Anguillara, citando anche il suo antico nome Aterno che tuttora si conserva pel suo corso superiore. La vera località abruzzese dell’Anguillara è tra Casteì Torre e la confluenza del fiume Lavino od Orfento nel fiume Pescara; era chiamata Collelungo e situata < sopra al molino nella strada per andare all’hostaria di Torre ». La pianta fu trovata ancora prima nell’isola di Lemno dal Belonio che la chiamò Chamazeleon niger. La « cameleonta nigra » del Rinio (c. 185) è in- vece Cirsium lanceolatum Scop. ANNALI DI BoranIcA — Vor. VIII. dl Nella copia dei « Semplici » conservata alla Marciana, a fianco del capi- tolo a pag. 212 cominciante colle parole: « E ancora questa pianta chiamata Franum vel Farfugium » c'è una lunga glosa manoscritta nella quale si comincia col correggere il Franum in Forranum e poi si aggiunge: « Falsum.: Est nam Chamaeleuce (de qua Plinius, lib. 24 cap. 15) Bechion Dioscoridis (1). Vide tamen fol. 287 ubi negat se cognoscere Chamaeleucen. Nec potuit ibi intelligere istam Chamaeleucen Dioscoridis quia hane nosce se affirmat fol. 202 sub nomine Chamaepeuces. Vide in lib. H. iem [Hortus hiemalis) Chamaeleuce ». L’Anguillara in fatto a pag. 287 ha un altro capitolo intitolato: « Cha- meleuce » in cui dice: « Non so quello che sia la Chameleuce quantunque siano molte piante a cui si può attribuire la descrittione », ma dobbiamo osservare che i Pareri non furono stampati per ordine cronologico, di modo che il Parere XIV cui appartiene la pag. 287 è infatto anteriore al Parere XII cui appartiene la pag. 212; basta osservare la data delle lettere di dedica che pel XIV è il 20 maggio, pel XII il 24 settembre 1560. Possiamo con- cludere che l’Anguillara non trovò dapprima pianta alcuna che quadrasse colla yspatrcdxr e nell'estate del 1560 gli parve averla trovata nella pianta che descrive e la cui diagnosi si applica bene a Caltha palustris L. Fantastica è l’asserzione dell’anonimo glosatore che l’Anguillara a pag. 202 descriva la Chamaeleuce di Dioscoride sotto il nome di Ohamepeuce. Egli descrisse la Chamaepeuce di Plinio (che trovasi nel medesimo capitolo del- l’autore classico subito dopo la Chamaeleuce), dandone un’altra diagnosi che per le foglie si accorda colla pliniana. Ne abbiamo la riprova nel Codice Michiel ove la Chamaepeuce di An- guillara è figurata al Ro. I. 245. Invece la figura che dà il Michiel della « Chamaeleuce da l’Anguillara » al Ro. I, 34 non ci dà alcun lume, perchè fabbricata dietro la descrizione dell’Anguillara (2) con uno sbaglio di trascrizione per soprappiù. L’Anguil- lara aveva scritto che le foglie hanno figure simile al « Popolo nero » ed il Michiel trascrisse « simil al Peplo nero » ed in conformità fece dipin- gere una pianta con foglie somiglianti a quelle di Euphorbia Peplus L. e con fiori gialli di cinque petali per andar d’accordo colle parole di Anguillara da lui trascritte « fiori gialli di figura rosacea ». Il Michiel non sospettò che la Chamaeleuce di Anguillara potesse esser Caltha palustris perchè questa specie è fignrata al Ve. 40 col nome Votrachium (forma greca moderna di Batrachium — ranuncolo). (1) In una copia della /Mistoria naturalis di Plinio con note ms del Gui- landino conservata alla Marciana (Cod. lat. N. CCLIV, CI. VI) a pag. 447 è scritto a margine; « Chamaeleuce, Farranum, Farfugium. Est autem Bechion ». L'accordo delle frasi e l'eguaglianza della scrittura fanno credere che il Guilandino sia pur l’annotatore della copia dei « Semplici ». (2) Il Michiel fa ia dichiarazione: « Penso ci nasca di semi manon li ho veduti » Il Michiel copiò anche un errore di Anguillara, scrivendo < franum » per « farranum » che alla sua volta è una mala trascrizione di Plinio dal- l'originale « farfara » nome dato ad una pianta crescente lungo il fiume Far- faro. Questa mala trascrizione fu sospettata dal Dodoneo che (Pemptadi, 596) nel cap. De Bechio sive Farfara scrive: « Eadem vero et Chameleuce est quam Plinius lib. XXIV cap. XV Farfugium et Farranum (si non in exem- plari lapsus) appellari etiam refert ». Anche secondo Bauhin la Chamae- leuce di Plinio è T'ussilago Farfura L. Chamepeuce 202. Helianthemum Fumana Mill. — Ro. I. 245. Il Michiel ne prese conoscenza al Lido di Venezia, prima di lui la co- nobbe l’Anguillara che trovolla a Veglia nel Quarnero. I fiori sono abi- tualmente gialli, ma ambedue i botanici trovarono varietà a fiori d’altro colore. L’Anguillara parla di « color rosso », il Michiel di colore « che nel bianco purpureggia ». Come si disse più sopra, a torto l'anonimo annotatore accusò l’Anguil- _lara di confondere la Chamaeleuce di Dioscoride colla Chamaepeuce di Plinio. A questo errore inclinava invece il Michiel, come appare da alcune frasi del codice. . Lo Sprengel ritenne che la « Chamepeuce » di Anguillara fosse Cam- phorosma monspeliaca, ma, lasciando stare la prova della figura del Michiel, notiamo che l’Anguillara parla del « sapore astringente che trahe al salso » e non fa parola di odori. Chamepite Primo 244, Aiuga Chamaepitys L. — Ro. I. 160. Il Michiel scrive dapprima « Chamepitis >; poi vi aggiunse un «4° » mettendo nelle oppinioni e nei dispareri: « Questa son posta tra moderni per sp. di Iva moscata come ci narra il Mattiolo et L. Anguillara N. 244 ma la tiene per prima ». « Questa son quella istessa che narra per quarta il Mattiolo, le altre per esser volg. non l’ho fatte. La seconda non l’ho ancora ritrovata ». E nei generi: « Tre sp. nominate da Diascoride. La prima questa. La seconda non si conosce. Et il Terzio son l’Iva volg. delle spetiarie. Son un altra Iva moscata nel Libro verde N. 197 [Centaurea moschata L.]. Et questa anche muscata che sono cinque ». Poi il Michiel cancellò la parola questa che abbiamo trascritto in corsivo perchè la specie qui figurata che l’Anguillara chiama « Chamepite prima » fu poi dal Mi- | chiel, credendo di seguire il Mattioli, riguardata come quarta e quindi tra- sportata in fine (« et questa anche muscata »), lasciando insoluta la questione della Chamaepitys prima. Come si vede, il Michiel fece un po’ di confu- sione, perchè il Mattioli (1) tigurò solo due Ohamaepitys, la prima che è la specie presente e la terza che è Cressa cretica L., dichiarando pure di non conoscer la seconda. La « Camepite 42 » di Mattioli, di cui parla il Michiel, non esiste. | (1) Edizione retrocitata. | Euphorbia Chamaesyce L. — Ro. I. 167. Il Michiel dice nei Dispareri: « Non si puol negare che questa non cor- risponda a tutte le parti che descrive Dioscoride alla Chamesice eccetto. però che lui dice non fare fiore ma come puol stare haver lui prima deto che il suo seme lo fa sotto alle frondi di maniera che farebbe seme sanza fare prima il fiore. Cosa che non si vede nelle piante, ma per essere sì piccolo non lo discerne (1) forsi overo ha deto come nel Dittamo non fare fiore et pure lo fa ». Chelidonia minore 181. Ranunculus Ficaria L. — Gi. 75. Il Michiel dubita se questa specie sia la chelidonia minore degli an- tichi, come risulta dal testo: « Et se bene nella forma potrebbesi credere la fusse la minor chelidonia, ma stante la acutezza che li asegna Diasco- ride et Galeno non sì puol salvarsi salvo se in Gretia non l’havese dunde la videro loro ». Cherva — Catapucia maggiore 292. Cicuta 272. Conium maculatum L. — Ve. 8. i Il Michiel nel testo dice che i fiori sono bianchi e nella figura li fece far rosei. Egli trascrive quanto racconta Anguillara che i germogli della cicuta sono mangiati a Pesaro dai fanciulli col pane e che in Abruzzo gli asini mangiano la pianta senza nocumento, ma viaggiunge le parole: pur divengono stupidi. Cimino salvatico 129. (Fittizia) Ro. II. 39. Ecco quanto dice l’Anguillara: « Il cimino o vogliam dire il comino salvatico credo che hoggi da pochi sia stato veduto. Mi fu mandato un seme dal Magnifico messer Pier’ Antonio Michiele gentilhuomo Vinitiano dottissimo et spetialmente nella cognitione delle piante et nella carta ove era posto il detto seme era scritto Petroselino, Questo è longhetto, simile al Comino ma più piccolo et di odore et sapore più acuto. Et havendolo io seminato ne è nata una pianta con cinque divisure simili alla Pastinaca salvatica: ma dentate attorno, nella cima del cui fusto vi sono molti rami sottili et nella loro sommità si vede un capitello è bottone rotondo di co- lore di paglia e leggiero et qui è posto il seme sudetto. Le radici sono bianche, di grandezza minore della mano... L’altro Comin salvatico io co- nosco ciò è quel del Fuchsio et quello dell’Eccellentissimo Matthioli: niente di meno non mi so risolvere ancora, qual sia il vero: però non ne dirò altro ».. (1) Il Michiel non usava scrivere gli accenti, quindi qui va letto discernè discernette], perchè il discorso si riferisce a Dioscoride che forse non vide il fiore. Come si vede, il ragionamento del Michiel è giusto: se Dioscoride dice che la pianta fa frutti, deve fare anche fiori e, d'altra parte, Dioscoride nega che il dittamo faccia fiori mentre è noto che li fa. * Caiuioelba 995, I do I VISAE ORLAN OAIMAG bai pe Il Michel (oNrhe Ta seme che spedi SESIA n gut pianta, È | perchè la sua figura è fittizia e fatta sulla diagnosi sopra citata. La de- ‘scrizione poi che dà il Michiel è copiata da Dioscoride, tranne il carattere «della radice tolto dall’Anguillara. In tal modo la descrizione va poco.d’ac- cordo colla figura, p. e. si parla di « poche frondi picciole et sottile, den- tate e sfesse come il gingidio » e la pianta che il Michiel chiama gingidio (Daucus grandiflorus B. et H.— Ro. I. 260 e Ve. 11) ha le toglie assai laci- niate e ben diverse da quelle della presente figura. Così la figura del Michiel non può illuminarci sull’identificazione del cimino salvatico di Anguillara. Dalla diagnosi si volle ammettere che fosse Lagoecia cuminoides L., ma osserviamo che l’Anguillara dice che il suo ci- ‘mino salvatico è diverso da quello del Mattioli che è appunto L. cuminoides. . Cinosorchis 232. i Ophrys aranifera Huds. — Gi. 48. 1. Cipolla canina = Scilla volgare. Cisto femina 61. Cistus salviaefolius L. — Ro. I. 202. Cisto maschio 61. C. villosus L. — Ro. L 272. Il Michiel fa una breve descrizione: « Due sp. si tiene essere una questa la femina et il maschio con il fiore purpureo: et la foglia più largha » e poi mette le località: « Ne monti patavini di la femina in quantità d’il maschio sopra a Chioza nel bosco di Brondolo et nell’apenino et in Toscana ». Dai confronti coll’Anguillara riesce facile l’ identificazione. Citiso 833. Melilotus officinalis L. Ro. I. 116. Il capitolo del citiso nella copia dei « Semplici » conservata alla Mar- ciana è tutto traversato da linee per indicare che è errato da capo a fondo. Una nota in margine dice: « Vide in miscellaneis ». Anche il Michiel scrive: < L'’Anguillara n. 83 dice che molte piante se dimostrano per il Uytiso, ma confuse tra la descritione di Diascoride et quella di Theophrasto et quella di Galeno che son la genesta phrigia per opinion di molti. Et il Mattiolo credeva per essere questo herba et non albero ». Notiamo che Va- lerio Cordo aveva già descritto questa specie come Pseudo-cytisus. Dal confronto delle diagnosi ricavasi esser questa la pianta di cui l’An- - guillara ricevette i semi da Scio come fosse una rarità, tanto che la fece vegetare nell’Orto botanico di Padova, ritenendola il Citiso di Galeno (1). Sembra che più tardi abbia modificata la sua opinione, classificando come Citiso di Galeno un’altra leguminosa che da principio egli aveva chiamato Viburnio. Ciò risulta da quanto dice il Michiel in altro luogo (Az. 122) ove figura una specie di Citisus poco riconoscibile e soggiunge: « L’An- (1) Galeno disse che il Citiso viene da Scio o Chio nelle isole Sporadi. Altri autori Jo facevano originario di Citno (Kv0vo) nelle Cicladi, oggidi chia- mata Termia (Asppid). ke, GERI 102% | TA, i vt guillara N. 85 la tiene per il Citiso di Galeno. Et gia haveva opinione che fosse la Viburna di quantum lenta solent intra viburna Cupressi (1) ».. Questo secondo citiso fu pure coltivato nell’Orto botanico, tanto che Ga- spare- Bauhin ne mandò da Padova al fratello Giovanni. Lo si ritiene 0. sessilifolius, ma la figura del Michiel fatta sopra un campione portatogli dal Belonio, forse malandato, non è abbastanza chiara. Vedremo più avanti che un’altra pianta fu chiamata dall’Anguillara viburnio. Citrach 257. Ceterach officinarum W. — Ro. I. 90. Citrach ramoso — Cetrach ramoso 241. Clematite 301. Clematis Flammula L. — Az. T. Il Michiel la chiama « Clematite dal Ecc. M. Alovise Anguillara, Cle- matitis aspera dal Ecc. M. Luca Ghini ». Notisiche a pp. 173, 24S l’Anguil- lara parla di altre clematiti. Climeno di Plinio — Androsemo 245. Cnico di Theofrasto v. quanto è detto all’Atrattile. Cocconidio di Teofrasto 297. Daphne Mezereum L. -- Az. 32. Il Michiel dice che l’Anguillara «tiene sia il Cochonidio di Theophrasto»,, e sostiene che è il vero mezereo degli Arabi e le altre piante ritenute pure per Mezereo e da lui figurate ai N. 31 e 33 (D. Cneorum L., D. Lau- reola L.) sono specie affini e che è pure affine un’altra specie figurata al Ve. 187 col nome « Thimelea » (D. glandulosa L.). Coglie di Prete — Chelidonia minore 181. Coglioni di Canine — Cinosorchis 232. Combreto — Herba luzula. Comino — Cimino. Coniza | 230. Pulicaria vulgaris Gaertn. — Ro. I. 265. Coniza Il 250. Inula britanica L. — Ro. I. 262. Coniza Ill 250. Buphthalmum salicifolium L. — Ro. I. 264. Il Michiel, d'accordo col Dodoneo, chiamò la prima specie « Coniza mi- nore » facendola corrispondere alla îvvl2 j.ip4 dei classici, mentre il Mat- tioli la chiamò « coniza maggiore o maschio ». Nella bella figura del Michiel è bene espresso in qualche foglia ed anche esagerato il carattere del mar- gine ondulato che fu, come osserva il Lamarck, generalmente trascurato dagli iconografi. Coniza di Hippocrate 218. Ambrosia maritima L. — Ro. I. 232. (1) Viro., Egloga I*, 26. CPT Se Pre nilo: | Il Michiel, notando che l’Anguillara la ritiene la « Coniza di Hippo- crate » ed il Guilandino « Ambrosia Diascoridis », la chiama «Arthemisia minore », Consolida regale 224. Delphinium Consolida L. — Ro. I. 57. Corcoro che sia 92. Corchorus olitorius L. — Ro. I. 65. Le parole di Anguillara « Crateva, Theofrasto e Nicandro chiamano Corcoro quella herba che Dioscoride chiama Anagallide. Et questo si chia- risce con Plinio » turono forse la causa per cui alcuni credettero che il corcoro d'Anguillara fosse Anagallis phoenicea. Abbiamo già altrove notato (1) che il merito della prima conoscenza spetta al Guilandino. A torto il Clusio credette che questa pianta da lui chiamata « Alcea egizia » fosse quella conosciuta in Italia sotto il nome di Bamia del Cairo perchè questo nome fu sempre dato ad un’altra malvacea Mibiscus esculentus L. figurata anche dal Michiel con questo nome al Ro. I. 2. Costo — Menta sanicenica. Cotyledon Il — Onobleto. Crithmo 114. Crithmum maritimum L. — Ro. II. 37. Crostofanaria — Barba Capri 245. Cruciata 240. Gentiana asclepiadea L. — Ve. 99. Cesalpino chiamò invece « cruciata » la specie affine G. cruciata che pur ora così si chiama. L’individuo figurato dal Michiel fu colto in un bosco come lo dimostrano la notevole lunghezza del fusto e le posizione delle fogile tutte nel medesimo piano. Cuciophoron di Theofrasto 70. Cucifera Thebaica L. — Az. 51. Il Michiel figurò solo un frutto immaturo nella parte destra inferiore del foglio, per lasciare lo spazio per dipingere a suo tempo la pianta, ma non potè farlo perchè non giunse mai a conoscerla. Del frutto parla in questo modo: « Non ho fin hora veduto se non un fruto che lo vide anche l’Ecc. Anguillara N. 70 qual tiene sia di questo albero, qual è simile a uno melo cotognio ripieno di nervi che fa fastidio a mangiarlo che con- viensi sputario, son alquanto dolcie con nocciolo di pruno durissimo et bianco del qualle si fanno manichi di trivelli et anelli' Et li porto M. Mi- chiele Passamonte spetiale piacentino ». Anguillara dice che il frutto è chia- mato da Plinio Arieno e l’annotatore scrive in margine: « Falsum. Vide in miscellaneis de Bdellio ». Il passo di Plinio è: « Arborei nomen palae, pomo arienae ». Damasonio di Marcello 175. (Fittizia) Ro. I. 76. (1) Notizie, ecc., retrocitate. Azov Arp = Tinus 80. Dauco di Nicandro 129. Daucus Gingidium L. — Ve. 156. Digitale purpurea 222. Digitalis purpurea L. — Ro. I. 309. Digitale gialla 222. D. lutea L. — Ro. I. 308. Dineraria 223. Lysimachia nummularia L. — Ro. I. 130. Il nome dineraria (da denaro) allude alla forma delle foglie cui la pianta deve il nome specifico moderno. Dittamno 200. Origanum Dictamnus L. — Ro. I. 257. Il Michiel dice: « Nasce in Candia et in picciol luogho di essa isola. Et io di molti anni l’ho custodita ». Nella descrizione parla delle foglie « ricoperte di una certa borra et pellosa lanugine bianca », carattere che fu omesso nella figura. Dodicantheo 207. Primula officinalis Jacq. — Ro. I. 329. Che il Dodecatheon di Plinio fosse una Primula fu ammesso da altri autori, come il Lobelio (Observ. 317) che l’identificò con P. vulgaris Huds. e da autori moderni (Sprengel). Il Michiel l’identificò con P. Auricula L. (Ve. 119) quindi non va d’accordo con Anguillara che, in modo dubitativo, ammette sia la specie presente, come risulta dalle parole: « Per me non so, che cosa sia questa pianta, se non fosse quell’herba chiamata ‘dall’Ec- cellentissimo Fuchsio Verbasco odorato et da noi Italiani Lattuca salvatica montana et ancora Primula Veris; benchè la Primula Veris sia altra cosa come si dirà », L’Anguillara poi non mantenne la promessa di far la dia- gnosi della Primula Veris, ma dal testo del codice Michiel si comprende trattarsi di P. vulgaris figurata al Ro. I. 330. Sono curiose le trascrizioni errate dei nomi tedeschi da parte del Mi- chiel, che, copiando dai caratteri gotici a stampa, prese H per $S, W per M e i per 7 i e così scrisse Meisz bathonien per Weiss Bathonien (1) Simel- schlijssel per Himmelsschliissel (2). Draba — Arabis 172. Ebano secondo — Egano. Echio 255. Echium italicum L. — Gi. 150. L’Anguillara ebbe la prima cognizione di questa specie insieme al Ce- salpino che la chiamò « Anchusa prima ». Il nome Anchusa trovasi anche nel Michiel, che però ritiene che la pianta sia Echio. Notiamo che questa (1) Betonica bianca. (2) Chiave del Cielo, nome citato la prima volta da S. Ildegarde. » » ce Più sotto dice: « L’Oreoselino vel Apio montano son tenuto da molti mo- derni simplicisti esser il volgar zerfoglio. L’Anguillara N. 122 dice essere il vero apio dell’antiqui simile a questo Oreoselino. Et 123 tiene che il usual Cerfoglio sia l’Apio montano vel Eleoselino come quelli di sopra ». Possiamo dedurre che l’Eleoselino di Anguillara è la specie presente, non già l’Oreoselino (1) come ritenne lo Sprengel. Se il Michiel avesse figurato la pianta da lui chiamata volgare cerfoglio potremmo identificare anche l’Oreoselino di Anguillara, ma egli non lo fece forse perchè pianta comune. Deve trattarsi di una specie di Chaerophyllum. Elichriso 265. Achillea tomentosa L. — Ro. I. 119. L’Anguillara ne scrive: « Non dirò altro sopra lo Elichriso havendone à bastanza trattato et con sodisfattione di tutti l’Eccellentissimo Matthioli » è l’anonimo annotatore scrive: « Verum Matthiolus pessime » Il Michiel fa una giusta osservazione, che questa specie è più prossima al millefoglio che all’abrotano: « Per suoe frondi tiene piui similitudine con il mille- foglio che con l’abrotano come ci vuole Diascoride essere quello dell’He- lycriso ». i Elleboro nero 251. Helleborus niger L. — Ve. 176. Benchè il Michiel dica: « suoe silique apontite doi over tre insieme » vi è nella figura un fiore disegnato -a parte che presenta, sia pure in con- fuso, più di tre carpelli. Il Michiel cita l'opinione di Anguillara: « L’Anguillara N. 291 dice che per rispetto del fiore essere in dubio che questo sia il vero ». La riserva del l'’Anguillara nell’ammettere che questa specie fosse l’elleboro nero di Diosco- ride era giusta perchè il fiore della specie presente è bianco e quello del- Vanni Ropos piénz< dell’Elicona e di Anticira (ora Asprapitia) è descritto dal. l’autor classico come purpurescente. Ora fu riconosciuto che l’eXnéfopog puiédae di Dioscoride è //. orientalis Lam.; ma, non trovandosi quest’ultima specie in Italia, si spacciava per essa o //. niger L. o MH. viridis L. Empetro 301. Inula crithmoides L. — Ro. I. 269. Il Michiel mette altri nomi fra i quali suen e calzifagra [calcifraga] (2) e dice che, essendo opinione di molti che questa specie sia l’Empetro di Plinio « ne ho fatta la esperienza di farlo boglire [bollire] con un sasso et non lo disfece come dice Plinio ». Questa esperienza fu probabilmente ispirata dal combattere che fece il Mattioli l'opinione del Collenuccio che. l’Empetro fosse un’altra pianta marittima, Crithmum maritimum L. (1) Nell’Erbario Cesalpino 1’ « Oreoselinon » è A. Cerefolium. (2) I nomi Empetrum, Calcifraga sono dati a questa specie anche nell’Er- bario 8 della Biblioteca Angelica. : — 647 — La figura del Michiel è contemporanea o posteriore a quella che diede il Mattioli col nome Crithmo III, però ambedue son preceduti di un se- colo dal Rinio che diede una figura a c. 342 del suo codice sotto il nome cachile. Enopia v. Helenio di Crateva 177. Epimedio di Dioscoride 255. | Al Ro. I. 242 il Michiel figura col nome « Epimedio dal Anguillara » la sp. Botrychium Lunaria Sw. e soggiunge: « L’Anguillara mi scrisse es- sere l’Epimedio siche varie sono le oppinioni (1), ma nelli suoi pareri poi si mutò d’opp. come apare al N. 253 ». Al Ro. I. 337 è figurata una pianta colle parole: « L’Anguillara N. 253 tiene sia questa dipinta l’Epimedio » ma la figura è fittizia e la diagnosi e l’abitazione sono copiate da « Sem- plici ». La specie Epimedium alpinum L. è figurata dal Michiel al Ve. 189 coi nomi « Lunaria trifolia da molti, Lunaria memoraie [nemorale] sul Pa- dovano » e corrisponde perfettamente all’Epimedio di Anguillara, il che non fu avvertito dal Michiel, come lo dimostra la figura fittizia di cui parlammo. Anche dopo che l’Anguillara si ricredette dell’opinione che 8. Lunaria fosse l’Epimedio di Dioscoride, altri vi aderirono, come il Colonna nel Phy- tobasanos. Eringio di Archigene 150. (Fittizia) Gi. 114. La figura del Michiel è fittizia accompagnata dalla diagnosi copiata dall’Angsuillara e quindi lascia insoluta la questione se questo Eringio sia Carlina racemosa L. o C. coryimnbosa L. Secondo il Legré sarebbe la seconda specie, perchè la prima non trovasi in Provenza ove l’Anguillara mette il suo Eringio. Eringio di Vegetio 134. Scolymus hispanicus L. — Gi. 145. Il Michiel vide la pianta al Lido di Venezia, ma ne diede una brutta figura. Erisitale 151. Cirsium Erisithales — Gi. 151. A Oltre questa figura ce n’è un’altra sott’altro nome al Gi. 94 (2). Esula rotonda — Apios 295. Ethiopide 281. Salvia argentea L. — Ve. 212. Il Michiel andò d’accordo col Mattioli, l’Aldrovandi (Erb., III, 166!) e l’Anguillara nell’assegnare quel nome (che spetta alla sp. S. Aethiopis L. del- l’Abissinia) a S. argentea. L’Anguillara che la chiama « vera ithiopide » la trovò nel 1545 nei Marsi essendo in compagnia col prof. Cesare Odoni, poi » (1) Prima è riportata quella del Ghini che 3. Lunaria sia una specie di Epipactis. (2) Notizie, ecc. Li 1 DAI "TRO IAA REA e SARI lE RR Ot Mie E STIRO VANTI NERO. i IRENE Ce ab 9 » ZA I, y “Ea NRE Pa a e 3 SPE < se | Ù pi tivò nell’Orto botanico di Padova. La do da A pianta che si Veleni "> Mera Etiopide a Candia che è la « nostra Sclarea » e soggiunge: « ma perche non ha il seme negì .éys00c èpéfev non voglio essere a questa volta dalla loro ». Il Michiel per sua parte dice: « Sono oppinioni come commune che questa sia l’Ethiopis et secata suoa radice se indutisse et son molto consimil pianta con l’herba di Sto Giovani dunde pareno una sp. medesima ». Ora quest’Erba di S. Giovanni è appunto $. Sclarea L. Eufragia ), Eufrasina ) Euphrasia officinalis L. — Ro. I. 209. Eupatorio di Dioscoride 258. Agrimonia Eupatoria L. — Ve. 53. Eupatorio di Mesue 265. Achillea Ageratum L. — Ro. I. 222. Varie piante usate contro il mal di fegato portarono il nome hepatorium (nraz®gt0v) poi corrotto in eupatorium. Il Michiel ne figurò quattro, l’Eu- . patorio di Dioscoride (Agrimonia Eupatoria L.) al Ve. 53, l’Eupatorio adul- terino di Avicenna (Eupatorium cannabinum L.) al Ro. I. 221, l’'Eupatorio di Mesue (Achillea Ageratum L.) al Ro. I. 222 ed una «specie di Eupa- torio adulterino » (Valeriana tripteris L.) al Ro. II. 62 (1). Il Michiel combatte l’opinione di Anguillara che faceva tutt'uno del- l’eupatorio di Dioscoride e di Avicenna, come appare dalle parole al Ro. I. 221: « L’Anguillara non vuol che questa pianta [E. cannabinum] sia l’Eupatorio di Avizenna ma la Agrimonia et sia il medesimo di quello di Diascoride », combatte pure quella di Dodoneo che faceva tutt'uno dei tre eupatori. Cita pure l'opinione del Ghini sulla sp. A. Ageratum : « L’Eccell. m. Luca Ghini mi scrisse queste parole. Gia fui in oppinione che quella pianta chiamata a Padova Eupatorio di Mesue fosse l’Agerato. Et perche l’herba chiamata Santa Maria in alcuni luoghi et in altri menta Sarace- nica qual è volgarissima. et a mio giudicio specie di Eupatorio di Mesue pero la chiamava Eupatorio maggiore » (2). Il Michiel però non aderì a quella credenza perchè per lui l’Agerato era un’altra specie (/Zelichrysum orientale DC. — Ro, I. 218). Così la sp. Achillea Ageratum portava varî nomi secondo gli autori, pel Rinio, che la figurò per primo, era il « Vincetorieum verum (c. 329) >, pel Dodoneo « balsamita minor », pel Ghini « ageraton vulgo camphorata ». Malgrado il parere di varî botanici che l’Eupatorio di Dioscoride fosse Agrimonia Eupatoria, Linneo, obbedendo ad una consuetudine, ascrisse, al suo genere Zupatorium l’eupatorio di Avicenna o eupatorio adulterino. o (1) Altri autori chiamavano eupatorio le sp. Salvia officinalis L., Stachys de silvatica L., Pulicaria dysenterica Gaertn, Tanacetum Balsamita L., Potentilla 6°) recta L. Ss (2) Questa sp. è 7. Balsamita L. Ai PA, TO Falari 240. O . Phalaris canariensis L. — Ro. I. 300. 1. Il Michiel aggiunge il nome tedesco da lui mal trascritto Quecken gras das sibende (1) e figara due specie, Ph. canariensis e Heleocharis palustris, R. Br., però dal testo si comprende che la prima è la falaride di Anguil- lara. Anche Aldrovandi (Erb. II. 33°) la classificò come Phalaris o Phenix. Fava egittia 99. Colocasia antiquorum Schott — Gi. 32. Il Michiel chiama la pianta « colocassia >» e combatte quanto dice l’An- guillara per sostenere la sua identità colla fava egizia « tra le qualle [ra- gioni] son questa che li habbitanti ogni anno cavano le radici talmente che non possono pervenire al tempo di produrre il gambo et fruto cosa che non sì possono così giudicare. che in tanto tempo et in tanta quantita et nu- mero di radice non ce ne siano mai restata alcuna in terra dalla qual si harrebe [avrebbe] veduto questa verita ». Come il Mattioli, il Michiel non conobbe l’infiorescenza, onde la figura, abbastanza buona, è di pianta sterile. La prima completa è quella del Co- lonna (Eephrasis) sotto il nome « Arum aegyptium ». Fenice 259. Lolium perenne L. — Ro. I. 303. 1. Abbiamo già visto che la specie « Phenix » di Aldrovandi è un’altra graminacea. Fillitide 222. Scolopendrium officinarum Sm. — Ro. I 123. Fior d’ogni mese — Calta 222. Flamma 175. Amarantus caudatus Roxb. — Ro. I. 323. 1. Il Michiel lo chiama con varî nomi fra i quali « fior d’amore, fior ve- luto » e figura in sua compagnia col nome « fior veluto di Francia » la sp. Celosia cristata L. (v. più avanti GELOSIA). Dal testo e dalla figura si rileva che la sp. A. caudatus è quella che l’Anguillara chiamò Flamm Theophrasti, ritenendola il 9Xxî dell’autore greco, credenza combattuta da Chabray che però a torto la ritenne la Circaea di Trago, perchè la pianta così chiamata dal botanico tedesco è Gomphrena globosa L. Frassenelia 243. Polygonatum multiflorum All. — Ve. 172. Questo nome improprio (perchè la vera frassinella è Dictamnus albus L. che lo stesso Michiel al Ve. 35 chiama « dittamo frassinello ») si trova dato ai Polygonatum anche da altri autori (Rinio alla c. 148 lo dà a P. vulgare e così Durante, Mattioli alla specie presente). Nel secolo xvII il nome fras- . sinella fu dato esclusivamente a D. albus e scomparve l’uso di chiamar così (1) Quecken grass das siebende. = La settima erba sanguinale. Il Michiel "copiando dai caratteri gotici prese il Q maiuscolo per un O. 23 Se * EA 4 ° Pr È bat RA st > ne i ve ed è. RI CAI DE STA Rn SRO IO 103 RI MM IA 675 TIRA SIORVIDONI rt Paese ay ò £ — 650 —. RZ IRE E Val + a i poligonati (Chabray), ma nei secoli anteriori la promiscui quel nome (1). La stessa frase «la frassinella fa la donna bella » che ge- neralmente si applica al dittàmo (di cui si usa per cosmetico l’acqua distil- lata dei fiori) viene dal Michiel applicata al poligonato: « con suoe radice si fanno aqua per lisciare il volto et cava le macchie [dal volto] » e di- fatti il succo fresco del rizoma, se non lo è più presso di noi, è tuttora usato come buon cosmetico da certi popoli orientali (i Baschiri) (2). Frondiflora — Aphyllanthes. 187 Galiopsi 278. Lamium purpureum L. — Ro. I. 91. La figura del Michiel è difettosa pei fiori che hanno colore scarlatto, benché nella descrizione lo stesso Michiel li chiami purpurei. Il Michiel riporta anche il nome « /anovitaz nella Bosna et in lingua schiava ». L’An- guillara dichiara non aver potuto trascriverlo esattamente perchè la prima lettera precedente la consonante / non potè esprimerla coi nostri caratteri. La vera lezione è s/enovitac, solo che la lettera s non ha quel suono molle che si sente nel verbo slegare, ma un suono sibilante e duro che altri au- tori sì ingegnarono di rappresentare con e (glose al Rinio, e. 458). Il 2 finale (rappresentato nell’alfabeto slavo da c) è aspro- Gariofillata I° o montana 222. (reum montanum L. — Ro. I. 191. Gariofillata Il° o di piano 222. (7. urbanum L. — Ro. I. 190. Gelosia di Padova 175. Celosia cristata L. — Ro. I. 323. 2. All’articolo FLAMMA si citò il nome dato da Michiel. Quanto al nome gelòsia (3) corruzione di celòsia (x)/0; = bruciato) lo troviamo dato nel Medio Evo alla sp. Amarantus tricolor in causa delle macchie rosse sulle foglie. Più tardi gli Italiani, dimentichi dell’etimologia, alterarono l’accento per dare ala parola un significato e lessero gelosia ed i Francesi tradussero jalousie (Chabray). Il Michiel chiama « gelosia a Bolognia » la sp. A. tricolor L. (Ro. I. 158) e « gelosia Padoani » le sp. A. caudatus L. e Celosia cristata, quindi ai suoi tempi il nome era promiscuo, anzi qualche autore distin- gueva l’ultima specie coi nome Gelosia Gallorum. Genista di Dioscoride 82. Spartium iunceum L. — Az. 121. 1. Il Michiel chiama la specie con molti nomi fra i quali « Spartum Dio- scoride » ed ingannato dal nome sparto le attribuisce applicazioni di altre piante esotiche ben diverse, come Lygewmn Spartum L. («In Assia [Asia] di essa ne fanno lini per rette [reti] da pescare »), Lodoicea palmata (« In (1) Coll’aggravante che in qualche libro è chiamato diptamus il poligonato. (2) FéERUSSAC. — Bullett. des scient. médic., XVI, 71. (3) Gelisia nel libro De Physica di Santa Ildegarde. tà dell'uso. "SRG sì che, senza figura o descrizione, non possiamo con sicurezza interpretare na A, Eli e een ape pe ne II UTET a. rito at: n AS el OSE A PA Pa A PTC Liens Cusco [Cuzco nel Perù] coprono le case di sparto »). Dimostra per com- penso, con prove di fatto, falsa la credenza che la ginestra uccida le piante che le son vicine ». Gentiana 190. Gentiana lutea L. — Ve. 97. Gentianella — Cruciata 240. Geranio | 227. Geranium tuberosum L. Gi. 60. L’Anguillara trovò questa specie, non frequente in Italia, nel 1548 in Abruzzo e l’identificò col {e04v10v di Dioscoride. La figura del Michiel si limita a poche foglie ed un rametto fiorifero; è dunque inferiore a quella che fece il Mattioli sopra un campione avuto dalla Dalmazia a mezzo dell’Aldrovandi (1). Gilbenech, v. Papavero spumeo 180, 26%. Ginepro | di Dioscoride 45. Iuniperus macrocarpa S. et S. — Az. 9. Ginepro ll di Dioscoride 45. I. Oxycedrus L. — Az. 9. Ginocchietto — Frassenella 243. Glasto | 182. Saponaria Vaccaria L. — Ro. L 225. Il Michiel la chiama « Glastula » e parla delle varie specie di glasti. Per la località dice: « di Levante mi fu portata, ne scio in Italia haverne veduta se non ne giardini de semplici ». Glaux 290. Hedysarum coronarium L. — Ro. I. 320. Il Michiel cita anche il nome « Sulla dal vulgo nel Senese e nel Pi- sano» che è tuttora vivo anche nell’Italia meridionale e la sua figura ha importanza perchè conferma la supposizione già fatta da altri (2) che nel secolo xvI la sulla fosse stata già introdotta dall'Oriente in Italia, (benchè non ne parli il Mattioli) a scopo foraggero e non solo confinata negli Erbari (8) e ci dimostra che il Glauco di Anguillara è diverso da quello del Ghini (Medicago marina L.). Questo nome era originariamente galux (da ydXa = latte, perchè pianta da pascolo) e la negligenza degli amanuensi lo cambiò in glaux. Oggidi fu assegnato ad un genere di primulacee. La specie presente, che per l’Anguillara ed il Michiel era Glaux, era pel Dodoneo Onobrychis altera, pel Cesalpino Helenium aegyptium e si trova nel ducale erbario estense col nome adissaro corruzione di Medysarum. (1) Il MicHiIEL scrive: « et il Mattiolo dice esserne nella Valle Anania » che è la Val di Non nel Trentino. Non sappiamo se si tratti di un errore di trascrizione o di un’altra località comunicata a voce. (2) Camus e Penzia. — IMustrazione del ducale erbario estense (Atti Soc. Naturalisti, Modena, Ser. 3°, vol. 49, 1885). (3) Si trova nell’Erbario A dell’Angelica ed in gnello di Cesalpino. Glycyrrhiza echinata L. — Ve. 45. dito Il Michiel scrive: « A Costantinopoli. Verso la Trazia dunde io l’hebbi » ma deve aver ricevuta la pianta senza rizoma perchè il pittore fece una radice fascicolata che appare aggiunta dopo a capriccio, mentre l’autore nella descrizione dice: «suoa radice simile all’altra » intendendo parlare della sp. G. glabra L. figurata alla pagina seguente col suorizoma (v.SOYTICE). Gramigna Parnasia v. Ocino 256. Gramigna Il di Plinio — Paronichia 264. Grana (pianta propria) 260. Quercus coccifera L. — Gi. 144. Il Michiel figurò una pianta giovane e perciò allo stato fruticoso por- tante foglie e grani rossi (gli insetti parassiti) che il Michiel credette frutti, non avendo vedute le ghiande. Veramente egli l'aveva figurata in altro libro (Az. 160) (1) allo stato arboreo e pure coi grani rossi, ma la credette di specie diversa trascinatovi da quanto scrive l’Anguillara che distingue tre qualità di piante coccifere: l’elice, la pianta propria e la pimpinella volgare che si usa nelle insalate. Secondo il Michiel che scrive : « La Grana son produta dall’Illice et da questa ancora. Et il Chermesino che si racoglie intorno alla radice della pimpinela », la pianta presente (« questa ») è la pianta propria dell’Anguillara e quindi risultano giuste le conclusioni del Bauhin: « Planta igitur quam Anguillara proprie coe- ciferam appellitat ac describit eadem ‘nobis est cum Ilice coccifera Pro- vinciae ». Se il Michiel avesse figurato anche quella che l’Anguillara per informazioni avute da Costanzo Felici (2) chiama pimpinella da insalate si potrebbe identificarla, ma dobbiamo limitarci alla diagnosi dei «Sem- plici » da cui sembra trattisi di Seleranthus perennis ricettante nelle sue parti inferiori l’insetto Coccus polonicus il quale fornisce una tinta rosso scura (3), ma che non si usava raccogliere in Italia, preferendosi le specie Coccus Ilicis e O. cacti, quest’ultima di recente importata dall’America, come pur testifica il Mattioli. Il Michiel dice: « Da Santa Croce racogliono la grana » informazione presa dall’Anguillara che cioè gli insetti si raccoglievano il giorno in cui si solennizza l’Invenzion della Croce, il 3 maggio. Quel giorno corrispon- deva allora climaticamente all’odierno 13 maggio, non essendo ancora av- (1) I Codice erbario di P. A. Michiel retrocit. (2) Il Felici residente a Rimini, ma nativo dell'Umbria disse di aver visto la pianta in copia nei monti d’Umbria detti Montecchio presso il Piobico e fece la giusta osservazione che gli animaletti uscenti dai grani sono « come cimici » classificandoli ben più rettamente dei contemporanei che li riguarda- vano come vermi (onde la parola vermiglio) e di naturalisti posteriori che li paragonarono alle cinipi gallicole (Fagon). (8) Il Mattioli n’ebbe una vaga notizia quando fu in Boemia (« se ben nel vicino Regno di Polonia si ricoglie con ogni diligenza per quanto intendo »). Elvelrehiza: di PA 198, SEAT st PARINI sa n° ù TO deg: esi poi i — 6583 — RI Sorini la Sie gregoriana del calendario che fu pubblicata sei anni i dopo la morte del Michiel. Ro ; a Gratia Dei et Gratiola — Papavero spumeo 180, 267. R: Helenio di Theofrasto —= Tragorigano 199. È Helenio ! sp. di Dioscoride 39. Inula Helenium Ve. — 129. Helenio di Crateva 177. Teucrium creticum — Ve. 128. Della prima specie (7. Melenium) il Michiel dice: « Questo son il primo Helenio di Diascoride tenuto dal Anguilara per il panace chironio di Theo- phrasto et da altri ancora > e ne dà figura di pianta fiorita. Della seconda (7. creticum) dà figura di pianta sterile perchè non gli riuscì di vedere i fiori (, s'applicano ad una Centaurea, non già a Hieracium. L’anonimo annotatore dei « Semplici », scrive: « Verum esse Baccharis, Vide Scaligerus in Comment. sup. lib. 1. Aristotelis de pl. f. 117, 6, Dodo- neus jaceam nigram vocat». Anche lo Sprengel ritenne che la Myoseris di Plinio, secondo Anguillara, fosse C. nigra, mentre è C. Jacea. Un’altra Hyoseris di Plinio è quella dell’Aldrovandi che è Cirsium Er:- sithales (2). Lamio di Plinio 191. Lamium maculatum L. — Ro. I. 252. Lampsana di Plinio o Landri 113. Sisymbrium orientale — Ve. 80. (1) G. MarsILI. — Di Pier Ant. Michiel botanico insigne, ece. (postumo, Ve- nezia, 1845). Il vero Ladano è C. ladanifer L. (2) Notizie, ecc., già citate. a, STAR DEI Via Ri ah del Michiel in pae dipinta, in ui probilata fiori, iquali sono a grappolo anzichè a corimbo: Solo le silique lunghissime fanno sospettare trattarsi della sp. S. orientale, tanto che non ci saremmo fidati di far l’identificazione, se fra le pagine del codice non si fossero tro-. vati dei frammenti riconoscibili della pianta (1). La Lampsana di Mattioli e Cesalpino è pure una erocifera, ma di genere diverso (Raphanus Raphani- strum L.), mentre quella dei moderni è una composita. Lanovitaz — Galiopsi 278. Lapato | (con foglie lunghe) 110. Rumex conglomeratus Schreb. — Ve. 114. Lapato VI (rotondo) 111. R. alpinus L. — Ve. 114. La prima figura è di pianta fiorita, la seconda è limitata ad una foglia. Osservisi che nell’Erbario Aldrovandi (II, 60) X. alpinus è pure rappresen- tato da una foglia. Il Michiel nota che anche le specie sono «dalli zocco- lanti adoperate per Riobarbaro », ma che la migliore delle due è « quella a la foglia rotonda» cioè la seconda che trovasi «iu Friule, verso monte Ca- vallo ». Lappa minore o inversa 289. Xanthium strumarium. — Gi. 110. Il Michiel indica come abitazione la Lombardia, ma osservò la pianta anche nel Veneto, perchè dice: «suo fusto in alcune piante riquadrato, ma sul Padoan per el più rotondo ». Lappagine di Plinio — Alsine Fuchsij 199. Lappola canaria 217. Caucalis nodosa Lam. — Ve. 165. L’Anguillara conobbe per primo questa specie, perchè la Lappa agrestis Ackerkletten del Trago (N.843) è Daucus grandiflorus Scop. Laserpitio 132. Levisticum officinale. Koch. — Ve. 209. Il Michiel dà una figura di pianta fiorita e la chiama con vari nomi, fra i quali « levistico da volgari et latini, laserpitio da l’Anguillara, ligustico dal Trago » ed osserva che si trova «ne sassosi monti in Levante et in qualche uno in Italia ». Infatti la pianta era stata introdotta dall'Oriente e coltivata negli orti col nome di levistico ortolano (Rinio, ce. 243), ma fin dai tempi del Michiel si era inselvatichita in alcuni luoghi montani della nostra penisola. Lattuca montana 207. Primula vulgaris. — Ro. I. 330. V. quanto è detto all’art. Dodicantheo. (1) Notizie, ecc. lice, non corrispondendo la forma delle foglie basilari, nè la dispositaite. dei = SRERIPEE NIE O ATA MR pre Sato pe det 1 ETERO LAI Ns ee FL iti o 9 PR \ È CIFSORRZACI ARA CIR <= x par A 0) ' Lauro Alessandrino 291. Ruscus Hypoglossum L. — Ve. 50. Il Michiel diede una bella figura di pianta fiorita e fruttifera, ‘notevole per la giustezza della fillotassi, essendo opposte e verticillate le foglie d’un giovane pollone, alterne quelle dei due polloni adulti mancanti delle foglie inferiori. Lente palustre 275, Lemna minor L. — Ro. I. 186. Il Michiel figurò la pianta sterile, non avendo veduto i fiori che spun- tano di rado e son poco vistosi e difatti, parlando della generazione, dice: « Io non scio se non che multiplicano in quantità per suoe radici ». Osserva che la pianta non è un musco, come la ritennero Dioscoride ed Avicenna. Lepidio di Dioscoride 120: Lepidium latifolium L. — Ve. 102. Il Michiel lo chiama anche « Piperela, Pfeferkraut da Germani « (cfr. il nome Pfeffertruch di S. Ildegarde) ecc. Per l’Anguillara la specie pre- sente era il As7:di0y di Dioscoride, non già l’iBeprs. Leucacanta 147. Cirsium canum All. — Gi. 109. Il Michiel nota che v’erario molti dispareri sulla Acvx%x2v92 di Diosco- ride. Infatti per alcuri era Cirsium Casabonae DC., per altri Carbenia benedicta B. et. H., Tyrimnus leucographus Cass., Silybum Marianum Gaertn., Centaura solstitialis L. Il Michiel accettò l’identificazione dell’Anguillara che sembra sia stata accettata anche da altri (1). Per le località, v. le Notizie ecc. (2). La figura ci dimostra che l’Anguillara fu il primo a conoscere questa specie da lui trovata in Toscana ed in Dalmazia. Leucografi di Plinio 220. Solidago Virga-aurea L. — Ro. II. 28. Il Michiel la dichiara anche « Virga aurea da volgari, Herba scrita da Padovani », ecc. e poi dice: « L’Anguillara N. 220 la pone per lo leuco- graffi di Plinio et anche altri la tiene. Altri la pone per la similitudine per sp. di Coniza. Et mess. Marchio Giardiniero pubblico [Melchiorre Guilan- dino] si crede che il Leuchogriffa sia quella pianta ho dimostra nel libro rosso N. 60, così mi disse lui ». La mancanza di diagnosi in Plinio fu causa delle discordanze fra gli autori per la identificazione del suo /eucographis ed anche ora si è dubbiosi fra varie specie a foglie macchiate di bianco, come Galactites tomentosa Moench. e quelle citate all’articolo Leucacanta che precede. L’Anguillara ritenne che il Zeucographis fosse la specie presente, sebbene non sempre le foglie sieno macchiate di bianco, ma l’Anguillara stesso lo avverte colle parole: & hora è da avvertire che la sua natura non è di far cotali macchie per tutto, ma (1) CAMmuUS e PENZIG. — Illustrazione, ecc. retrocit. (2) Retrocit. DE % “i in "Aes loghi » e lo ripete il Michiel: ni Tivive volte ‘hioiliatati bianco a dunde ci ha preso il nome di Herba scrita ». Il Michiel cita l'opinione del Guilandino che il Lenco mp dlini; ;I d’Anguillara fosse Cerinthe minor L. figurata dal Michiel al Ro. I. 60. Licopersico di Galeno 217. Lycopersicum esculentum Mill. — Ro. I. 46. La figura del Michiel dà ragione allo Sprengel e ad altri che riconob- bero nella specie presente il licopersico di Galeno, secondo l’Anguillara, mentre per altri quel semplice era Solanum sodomaeum eildubbio era lecito perchè l’Anguillara non dette alcuna diagnosi ed il nome pomodoro poteva applicarsi anche a quella specie. L’anonimo annotatore dei « Semplici » scrisse: « Falsum nam Lycopersicum est Nux Metel ». L'origine americana, cono- sciuta anche dal Michiel che nomina il Perù (1), smentiva l’identificazione di Anguillara, però il nome fu accattato lo stesso da Linneo. Licustico 211. Peucedanum Ustruthium Koch — Ve. 159. Il \ryootiziv di Dioscoride fu dai moderni identificato con Levisticum of- ficinale Koch come lo troviamo identificato dal Rinio (c. 241), pel Mat- tioli e pel Michiel era la sp. Laserpitium peucedanoides L. (Michiel, Ve. 18), per l’Anguillara la specie presente, opinione combattuta dal Michiel. Limeo di Plinio 213. Aconitum Anthora L. — Ve. 28. Il Michiel ebbe il campione del Monte Cavallo in Friuli e dice che « nel Piemonte si chiama herba Torra ». L’Anguillara scrisse il nome piemontese « Herba terra» e l’annotatore anonimo cancellò un r di Zerra e scrisse a margine: « Est autem Tera valdensium ei Pedemontanorum quae ali) Thora vocant. Gesnerus Pardalianches Thora esse existimat ». Limonio 252. Alisma Plantago L. — Ro. II 54. . Il Michiel scrive: « Il Fuchsio ha retirata questa pianta per l’Alisma ma tra semplicisti degni non tengono questa oppinione. Et l’Anguillara la tiene per il Limonio ». Il Michiel segue l'opinione del Fuchs e così si avvi- cinò alla realtà più degli altri botanici (2), perchè se l’%:7.z di Dioscoride non è proprio la specie presente, è per lo meno una congenere. Il Ghini in- vece nei suoi Placiti si avvicinò all’Anguillara perchè scrisse : « facilius illis consentirem qui arbitrantur plantaginem vulgo aquaticam esse limonium ». Lingua cervina — Fillitide 222. Lisimachia vera 248. (1) V. Notizie, ecc. (2). Secondo il Trago l’%icua era Tanacetum Balsamita L., pel Mattioli Arnica montana L., per V. Cordo Epipactis latifolia AIl., per F. Colonna (Phy- tobasanos) Primula auricula L., pel Talio due specie Cypripedium Calceolus L. e Cephalanthera pallens Rich., per altri Senecio Doria L., Doronicum plan- tagineum L. ecc. CEGEIT ORATRTO TASRE spare a i Pisa vulgaris L. — Ve. 242. Il Michiel la chiama « Lisimachia gialla da greci », ma erra dicendo: «Il Dodonei dimostra questa pianta per la purpurea prima» perchè la specie che il Dodoneo chiamò Lisimachium purpureum primum (1) è Epi- lobium hirsutum, non la specie presente che ha fiori gialli e che Dodoneo chiamò Lysimachium legitimum, andando così d’accordo coll’Anguillara. Nel numero precedente (Ve. 241) il Michiel figura colnome « Lysimachia pur- purea da Greci » la sp. Epilobium tetragonum (2), ma soggiunge: « L’Anguil- lara N. 248 non ha oppinione che questa siano spetie di Lisimachia ma solum la seguente dal fior giallo > che è appunto la specie presente. Il Michiel poi corregge un errore: « Et altri errandosi si credeno che la cerreta sia la Lysimachia». Questa <« cerreta » è la sp. Genista tinctoria L figurata dal Michiel al Ve. 135 con vari nomi fra i quali « Lisimachia dal* Leoniceno ». Lithospermo Il 240. Lithospermum purpureo-coeruleum L. — Ro. I. 248. Lombruna — Lambruna 216. Lonchite Il — Citrach 237. » falsa di Montenero — Cetrach ramoso 241, Luminella — Eufragia 237. Lunariburissa — Scorpioide 173,303. Lupino salvatico 102. Lupinus angustifolius. L. — Ro. I. 170. Il Michiel ricevette la pianta da Cortù (8), ma tien nota anche delle lo .calità indicate dall’Anguillara fra le quali è interessante quella di Medo lino nell’Istria. Luzula — Herba luzula 179. Maceroni = Hipposelino 123. Malva hortense 2253. Althaea rosea L. — Ve. 254. Il Michiel ne diede una brutta figura, benchè nel testo dico che la pianta era comunemente coltivata nei giardini a fior doppio e che si trapiantava perchè, seminandola « altramente degenera, Et li fiori divengono ugnoli ». Malvoni — Malva hortense 223. Martagon | 155. Lilium Martagon L. — Gi. 82. Martagon li 155. L. bulbiferum L. — Gi. 83. (1) Nel Cruydtboek. Più tardi, riconosciuto non essere una vera lisimachia, lo chiamò nelle Pemptades, Pseudolysimachium purpureum primum. (2) Lysimachia tertia di Tabernemontano, v. Notizie retrocit. (3) Notizie retrocit. : P RA VENTRE Ta Ten RE tg o i si aegaX *Matrtigoni MI L5b: |: SEN LION EGNA PAN L. carniolicum Bernh. — Gi. 83. * SEVERA Jo Ecco le parole dell’Anguillara: « Ma non vi ingannate, perche sotto SR questo nome Martagon comprendonsi tre piante: delle quali una ha la sua © radice gialla et una l’ha bianca la quale produce i fiori grandi quanto... quelli del Giglio, la terza appresso fa la radice bianca; ma è minore et i suoi fiori sono come quelli del Giglio; ma molto più piccoli. Ne il primo ne il secondo non intendo che sia Hiacinto ma ben questo terzo rimetten- domi però al giudicio de più dotti ». n Anche l’Anguillara ed il Michiel, seguendo l’andazzo dei tempi, si oc- np cuparono della questione, tuttora controversa, del giacinto, riconoscendo l’uno e l’altro che più specie vegetali portavano in antico quel nome. Ab- biamo già veduto che la pianta che Anguillara chiamava « Hiacintho di Theofrasto » è Myacinthus orientalis L., qui invece si tratta del Giacinto dei poeti che l’Anguillara chiama Martagon III e che doveva essere una pianta a fiori rossi (1). Al Gi. 82 il Michiel diede una bella figura di L. Martagon L., nella quale spiccano i caratteri del bulbo scaglioso, delle foglie inferiori coriacee, imperfettamente verticillate e dei fiori pendenti ed esameri. Questo è il Martagon I di Anguillara. Alla pagina seguente coi nomi « Martago sp. da volg., Hemorocale da Diascoride dal Anguillara » è figurato L. bulbiferum L. che è il Martagon II dell’Anguillara. Vi è pure figurata la sp. L. carnio- licum col nome « Hyacinti de Greci quel dal fior ravolto » coll’avvertenza che è del Levante e che l’Anguillara al N. 155 « tiene che quello del fiore ravolto sia l’ Hyacinto di Homero. Quindi la sp. L. carniolicum, che è dubbio se sia stata nota agli antichi, era per l’Anguillara il Giacinto dei poeti o Martagon terzo. La conobbe anche il Mattioli sotto il nome ZHeme- rocallis altera e più tardi la figurò il Clusio col nome Lilium byzantinum miniatum. Il Michiel inveco da principio ritenne che il Giacinto d’Omero fosse L. Martagon, come appare da una frase al Gi. 38, ma poi cambiò opinione e rimase dubbioso fra due altre piante ricevute da Costantinopoli, Fritil- laria imperialis L. e . persica L. figurate al Gi, 82 e al Gi. 83 Matallo — Aria SI. (1) I vari autori si sbizzarrirono ad identificare questo Giacinto dei poeti con varie specie: Lilium Martagon L., Tulipa praecox Ten., Fritillaria Meleagris L. Gladiolus segetum Gawl., G. communis L.,G. byzantinus, Mill., Iris germanica L., Lilium bulbiferum L.La questione sarebbe risolta il giorno in cui si rinvenisse il libro sul giacinto di Nicandro Colofonio che finora fuinutilmente cercato e che sì ritiene distrutto. Qualche autore moderno sta per 7'ulipa praecor che sui suoi tepali rossi ha delle macchie nelle quali, con un po’ di fantasia, si può leggere AI significante il lamento di Apollo sulla morte di Giacinto 0, come ad altri garba, le iniziali del nome Aiace. Il Michiel figura questa specie al Gi. 56, pur dubitando che sia il Giacinto di Aiace, perchè non vi si leggono chiara- mente quelle lettere. MPA U vi Bo NA SAMI ET | Medica — Alfalfasat 118. Medio del Ghini 253. Campanula Medium L. — Ve. 106. 107. Melissa 221. Dracocephalum moldavica L. — Ro. II. 29. Il Michiei dice: « In Levante ne sonno ed io la hebbi da m. Cechino dal Angelo spetiale » cioè da Francesco Martinelli (1). Siccome la figura rappresenta una pianta fresca, è probabile che essa sia stata tratta da una pianta nata nel giardino del Michiel da semi spediti dal Martinelli. Mentha sanicenica 225. Tanacetum Balsamita L. — Ro. I. 152. La figura del Michiel è infelice; fra le pagine vi sono frammenti dis- seccati della pianta. ‘ . Mercorella Maschio 302. Mercurialis annua L. — Ro. I. 148. Per le maggiori dimensioni delle foglie chiamavasi maschio la pianta femmina. Il Michiel non diede la figura della « femmina » cioè dell’indi- viduo maschio e ne dà la ragione «la femina tanto volgare che non aca- scava dimostrarla (2) ». ‘ Meu del monte Generoso — Seseli di Marsiglia 211. Milum Solis Il — Lithospermo Il 240. Mirasole — Catapucia maggiore 292. Mirrhide 284. Myrrhis odorata Scop. — Ve. 86. L’Anguillara fece la descrizione sopra un campione coltivato nell’Orto botanico di Padova ed asserì non trovarsi la specie in Italia, ma solo in Grecia e Schiavonia [Dalmazia]. Il Michiel nota quelle località, ma vi ag- giunge l'Appennino ed il Monte Summano nel Vicentino. La figura del Michiel deve essere stata fatta durante la vegetazione della pianta prima della fioritura, perché, sulla fede dell’Anguillara, i fiori furono fatti gialli; poscia, vista fiorire la pianta, la tinta delle corolle fn modificata rendendola bianca. Il Michiel poi dice: « Et l’Anguillara N. 284 non scio se l’intenda di questa pianta et questo per rispetto di il seme », alludendo a quanto dice l’Anguillara che la Mirride ha il seme simile al comino. Miuro 170. (fittizia) Ro. I. 154. Dalla descrizione che dà l’Anguillara si ritiene che il suo « miuro » sia Saponaria ocimoides L, ma la figura del Michiel non ci illumina in proposito, perché fittizia. Mocho — Aracos 105. Molesso — Tinus 80. (1) Notizie retrocit. (2) Significa: Non occorreva darne la figura. n si " è CUPI Fi ie ae aes 4 : sit Ar b 9’ AR e INNI | tI di ' a x ‘ È x. sa À — 3 663 —_ + " pasa TÈ È x “Molibdena di Plinio o11 op ENIT RAS ESGIIINTRE MES COVO Plumbago europaea L. — Ve. 201. RETI RE Il Michiel dice: « L’Anguillara N. 211 tiene sia Fasi la Molibdena © Bic; di Plinio. Et il Tholomei (1) et altri degni simplicisti la ritira alla Cin- drila Plinij. Et altri a sp. di Glasto perche la tinge ». Meglio che per le — macchie da essa prodotte, la specie sì paragonava al glasto (Isatis tincetoria) ai per le foglie abbraccianti, come vedesi dalla diagnosi di Dioscoride che chiamolla » e a pag. 274: « Enne di due maniere: uno fa il fiore bianco et; l’altro rosso. Nascono spontaneamente ambedue in Candia per gli fiumi, ma sono notissimi anco in Italia et chiamansi da alcuni Nandro et ancora Oleandro ». Il Michiel ricevette il leandro a fior bianco dal Ramusio e lo diffuse pei giardini d’Italia (1) (< et di una pianta io ho impito tatti li giardini di Italia >»). Per conoscere pressapoco il tempo della diffusione notiamo che i due Pareri donde son tratti i brani dell’Anguillara sono in data 11 Marzo e 20 Maggio 1560 e che nell’ Erbario Aldrovandi (II, 37) v°è il leandro a fior rosso sotto il nome « Rhododendron flore rubro ». Notiamo pure, per i debiti riscontri, quanto dice il Pena (Stirpium adversaria) : « Flores quos interdum rubellos, interdum albos memini tum in hortis italicis, tum in maritimis >» (la dedica dell’opera è in data 24 dicembre 1570). Anche la Historia lugdunensis dice: « Nerium aliquot pinxit Lobelius flore albo quale se vidisse ait Pena tum in hortis italicis, tum in maritimis ». Per economia di spazio il Michiel fece dipingere un solo arboscello con due rami a fiori rossi ed uno a fiori bianchi, benché nel testo distingua le due sorta di leandro. La figura è migliore di quella del Mattioli (ed. 1560), ma più tardi nell’ed. 1568 il Mattioli diede una figura in cui le foglie sono ben disegnate ed i fiori ben collocati. Lo Chabray criticò la figura . di Mattioli, ma ne fece una peggiore e per giunta senza fiori, benchè di- cesse di aver veduta la pianta coltivata a Padova, Venezia e Mompellieri. Nepiteila — Calamento Il 202. Négtov (2) — Nandro 274. Nigella 216. Nigella damascena L. — Ro, I. 100. Numularia — Dineraria 223. Ocino 256. Polygonum "of L. — Ro. I. 166. L’Anguillara ritenne da principio che questa specie fosse la Gramigna Parnasia, poi cambiò idea e la identificò coll’Ocino di Marco Varrone. La figura del Michiel è bella; notevoli le incurvature delle foglie ed i segni delle rosicchiature dei bachi. Il Michiel nota chela pianta è seminata in — Lombardia, nel Vicentino e nel Friuli. Olco di Plinio — Falaride 240. (1) Notizie retrocit. | (2) La lezione giusta è Nyptov SHARE Fasonlre laseb RO Odontide 220. STOP A ON Crucianellà RIUNIONE DT ll'Ra 1.389) SRG e bee tf va Il Michiel scrive: « Sonno oppinione di molti essere sp. di odontida di © Plinio ma il seme non son grande come l’orzo et anche son nero. Et l’An- gia guillara N. 220 tiene che la.ci sia ». ; fa Che cosa fosse l’Odontide di Plinio non si sa bene, supponendosi solo ha sia una sp. di Odontites. L’Anguillara copiò quasi letteralmente la diagnosi | pliniana applicandola alla specie presente che egli trovò in Francia verso AI Carpentras, mentre il Michiel l’ebbe da Lione dal suo corrispondente An- hs tonio Tolomei (1). L'Anguillara aveva stabilito il carattere di tre foglie per nodo, mentre il Michiel ne osservò almeno quattro e nella figura il numero giunge fino a sette. Malgrado inesattezze nella posizione degli or- gani foliari, si riconosce che la figura fu fatta sull’originale; numerose le spighe (circa venticinque) ed alla troppa semplicità del disegno supplisce l'esattezza della diagnosi data dal Michiel che, fra le altre, osservò l’a- * nalogia col genere Galium, pur copiando dall’Anguillara il nome Odontida. Ongaresca — Canape salvatico 241. Onobleto 200. Sarifraga stellaris L. — Ro. I. 165. L’Anguillara identificò l’Onobleto d’Ippocrate col Cotiledone secondo, che, per lui, è la specie presente, ma distinse il Cotiledone secondo dal- l'’Ombilico secondo di Mattioli che è S. Aizoon L. Per la località donde la ricevette il Michiel, v. Notizie retrocitate. +» Onopordon di Atheneo 216. — Onopordon Acanthium L. Gi. 183. La figura del Michiel è poco buona; ha fiori gialli benchè nelle dia- gnosi sia detto che sono purpurei. Trattasi dunque di una variazione ri- - conosciuta accidentale. Ophris di Plinio 219. Listera ovata R. Br. — Ro, I. bb. La figura del Michiel è bella ed esatta, specialmente è ben riprodotta la ricca infiorescenza coi caratteri del labello verde più pallido del resto del perigonio e coi due lobi allungati e paralleli. Per tutti i riguardi è ben superiore a quella del Mattioli che pure chiamò la specie « Op&rys ». Orchis — Testiculus. Orcitunica — Saliunca di Virgilio 23 Orobanche di Dioscoride 117. Urobanche cruenta Bert. — Gi. 2. Il Michiel aggiunse altri nomi fra i quali « Herba lupa, Broeija sul Padovano, Fiamina et Torina nel contorno di Fabriano », il che vuol dire che egli confuse tra loro due piante parassite delle nostre leguminose, l’O- (1) Menzionato dall'Angui!lara nei Semplici a pag. 298. tobancho e n Cuscuta perché, se può dubitarsi che eodtusiva gno a que: Si E , tar ta dp Ped st’ultima spetti il nome di erba lupa (/ova) che tuttora porta in qualche parte del Veneto, non ispetta di sicuro all’orobanche quello di broegia che la cuscuta porta in altre parti del Veneto e che è citato dall’Anguillara come appartenente ad una pianta che si avvolge attorno ad altre piante e le strangola. Oroho 104. Lathyrus vernus Bernh. (1). —— Ro.1I. 180. La figura del Michiel è alquanto confusa nel disegno, trovandosi qua e là le infiorescenze in continuità colla rachide foliare, per la credenza che le pinnule fossero foglie intere. Ostria di Plinio. Melia Azedarach — Az. 50. Il Michiel scrive: « L’Anguillara mi disse esser l’Ostria di Plinio per- «chè il frutto vuol dire di Chacris et non di Orzo » (2). Palma humilis — Cefaglioni 70. Panporcino 175. Cyclamen europaeum L. — Gi. 29. Panace di alcuni 215. Heracleum Sphondylium L. — Ve. 56. Il Michiel lo chiama Sphondylion, riconoscendo essere questo lo 9g0v- èbX10v di Dioscoride e corregge l’errore di quelli che lo ritenevano la Branca orsina. (« Il Trago pone questa per la brancha orsina non havendo forsi ve- duto la branca orsina acantho (3) »). Questo errore si trova, ancora prima «che dal Trago, commesso da ciato Dondi (Aggregator praticus de simpli- cibus) eda altri (4). Panace di Theofrasto — Helenio I° sp. di Dioscoride 89. Pancratio — Scilla volgare 119. Papavero spumeo 130, 267. Gratiola officinalis L. — Ro. I. 207. Il Michiel figura la pianta coi fiori azzurri, benchè nel testo dica che «nel bianco purpureggiano ». Può darsi che la tinta originaria sia stata rosea e poi siasi alterata. Il Michiel poi non è persuaso che la graziola sia, come crede l’Anguillara, il papavero spumeo e soggiunge che « non si puol intendere qualle sia il papavero spumeo ». Infatti ci furono diver- genze fra gli autori ; alcuni ritennero fosse Lychnis divica L. Il nome Gelbeneck dato ai semi non è arabo, come ritennero l’Anguil- lara ed il Michiel, ma tedesco ed allude alla forma angolosa ed alla tinta gialla. (1) Notizie retrocitate. (2) Il codice Erbario di P. A. Michiel retrocitato. (3) Acanthus mollis figurato dal Micnier al Gi. 126. (4) Un codice erbario anonimo (Mem. Pont. Accad. Nuovi Lincei, vol. XXII) Paris: quadrifolia L. — Ro. I. 157. L La figura del Michiel è notevole per esattezza, spiccandovi assai bene: la disposizione delle nervature foliari. È tenuto conto, tanto nel testo, quanto nella figura, del fatto che le foglie sono talvolta cinque. Paronichia 264. [Fittizia] Ro. I. 14. Il Michiel dice: « Nasce in fra le pietre. Et ne enno in copia nel ho- norato Giardino in Padova. Del studio a tempo che io ne havevo la cura L., di esso», alludendo al tempo (1551-1555) nel quale fu incaricato dai Ri- formatori dello studio di Padova di assumersi la cura dell’Orto botanico. Si ritiene che la paronichia di Anguillara sia Polycarpon tetraphyllum ma la figura del Michiel non ci dà lumi perchè fu fatta sulla falsariga della descrizione dell’Anguillara che il Michiel riporta. Il Michiel però non crede sia la paronichia di Dioscoride e nemmeno crede tale quella chiamata con tal nome dal Mattioli ( Asplenium Ruta-muraria L.). Pecanale — Coniza I° 230. Pecten Veneris di Plinio 203. Scandix Pecten- Veneris L. — Ro. II. 72. Il Michiel dice: « Molti lo vorebbero ritirare alla scandice ma ci vuole agiuto. L’Anguilara dice fare la radice et fiori di questa pecten veneris rossi. Et Plinio dice bianchi ma altra difficolta non ce et in questo tante volte l’ho deto che il color del fiore non son causa principale (1) impero |imperocchè] dalla sera alla mattina ho veduto variare il colore dandoli pero aqua ». Il Michiel lo figurò anche al Ro. I. 384 sotto il falso nome « Geranium » in causa della lunghezza degli stili, però paragona le foglie a quelle del cerfoglio. Pedocchi di cane — Lappola canaria 217. Pentafillo argentino 206. Alchemilla alpina L. — Ro. I. 68. Il Michiel ricevette il campione dall’Aldrovandi (2). Pepe salvatico — Amomo di Dioscoride 54. Pericardio di Plinio. Muscari comosum Mill. — Gi. 42 (3). Periplocada I° 274. Marsdenia erecta R. Br. — Az. 42. Permonaria — Pulmonaria 239. Pes Milvi 240. Thalictrum aquilegifolium L. — Ro. I. 29. (1) Significa: non è carattere specifico. (2) Ulisse Aldrovandi e P. A. Michiel op. retrocitata. (8) IL Libro giallo di P. A. Michiel (Ateneo Veneto, Genn. - Febbr. 1910). = D e DI LI P LP pri . LI e d i) PI Nr Ss * pa l rl a à a RI î w xe PZA » pel ad - ToPARIE 249. i Ut CA CR A R ; i È Le AN CATE * #% N DI » ME OS È Ln 5 pet Oltre alla bella HE il Michiel ne dà una Tana e faro ai i Mette anche altri nomi fra i quali « Thalictro da Greci », avver- — tendo però che «l’Anguillara N. 240 dice essere il pes milvij et non il Talictro ». Il nome di piè di nibbio dato dall’Anguillara non è giustificato dalla forma e disposizione dei lobi foliari. Oggidi quel nome si assegna a Ranuneulus acer L. Philio 303. Sarifraga crustata West. — Ro. I. 282. L’Anguillara ritenne in modo dubitativo che questa specie fosse il c6)- Xoy di Teofrasto. La figura del Michiel è notevolmente bella ed ha i fiori con sei petali, anomalia tutt’altro che rara. — ®A65 — Flamma 175. Picnocomo 298. [Fittizia] Gi. 90. La figura del Michiel, essendo fittizia, non dà lumi sulla controversa questione del picnocomo d’Anguillara che per alcuni era Solanum tubero- sum L., per altri Reseda alba L. (1), per altri Leonurus Marrubiastrum L. Pietra fendula, v. Caucalide 116. Pirola 243. Pirola rotundifolia L. — Ro. I. 9. Pistana di Plinio 182. Sagittaria sagittaefolia L. — Ve. ST. Pitine di Theofrasto 183. une Aphaca L. — Ro. I. 147. ui del Michiel è lasciata in bianco la SR della a E parte la figura è senza radici, il che significa che il Michiel ricevette la pianta priva di radici. S'intende bene che gli organi da lui chiamati « fo- glie > sono le stipole. Egli parla anche dei viticci come segue: «et se la natura non l’havesse aiutata in farle in copia degli capreoli da potersi at- taccare alle altre piante già sarebbe spenta ». Planta leonis — Aichemilla 235. Poiicaria — Coniza I° 230. Polirizo di Plinio 213. Cynanchum Vincetoricum — Az. 41. Il Michiel mette anche i nomi « Asclepias da latini, Vincetosica da volg » ed altri e soggiunge nelle oppinioni: « M. Marchio (2) mastro d’il notabile Giardino della Illma Signoria nostra dice che il Vulgo la tiene per il Polyrizon Plinij ». Nelle note anonime al libretto dell’Anguillara, all’art. < Polirizo di Plinio » son sottosegnate le parole « di niun odore» dette (1) È l’opinione dell’Ambrosini sulla quale osserviamo che la sp. Reseda alba è quella che Anguillara chiama Reseda Plinij, come si vedrà più avanti. (2) Melchiorre Guilandino. ANNALI DI BoTANICA — Vor. VIII. 43 Re TS Pai eri tc LO IRSA SOT, E leg NEI TL e n . . Ne gif ” — 670 — dall’Anguillara sulle radici ed è scritto in margine: « Ergo non est polyr- - rhizos quia Plinius omnium Aristolochiarum odores medicatos esse affir- mat. Ego polyrrhizon interpretor pro vulgari Vincetoxico ». Tanto la figura del Michiel, quanto questa glosa ci provano che il Polirizo di Plinio se- condo Anguillara è C. Vincetoricum. L’Anguillara fu condotto a ritenere che il vincetossico fosse il polirizo di Plinio perchè l’autore classico dice (lib. 27, c. 12) che le foglie somiglianti a quelle del mirto servono contro il veleno dei serpenti (1). Vi sono altre due piante nel testo pliniano col nome « polyrrhizon », cioè l’elleboro nero e la pistolochia, ma Plinio le chiama melampodion e pistolochia, aggiun- gendo che alcuni le chiamano polyrrhizon. Ciò spiega l'equivoco dell’anno- tatore il quale credette che l’Anguillara volesse identificare il vincetossico colla pistolochia di Plinio. Il Michiel chiamò melampodion la sp. Helleborus niger L. (Ve. 176) e po- lyrizon la sp. Veratrum nigrum L. (Ve. 178) e, dimenticandosi di aver qui effigiato il polirizo di Plinio, ne diede una figura fittizia al Ro. I. 78. Altri polirizi diversi da quello di Anguillara trovansi al Gi. 32, al Ro. I. 337. Il Littré nella Mistoîre naturelle de Pline traduîte en frangais non mette alcun nome Jinneano di fronte al Polirizo di Plinio, rigettando con ragione l’identificazione con Aristolochia Pistolochia L. Il Legré (2) mette il Poli- rizo tra le specie di Anguillara che aspettano una identificazione; la quale ora si sarebbe ottenuta colla figura del Michiel. Polisporon 209. Chenopodium polyspermum L. — Ro.I. 229. Il Michiel vi aggiunse altri nomi, anche errati, come « Paronichia dal Aldrovandi » (mentre quest’autore chiama nel suo erbario la specie pre- sente col nome « Polispermo di Cassiano Basso e d’Anguillara »), « Empetro dal Trago » (mentre questa specie è ZMZerniaria glabra L. dal Michiel figu- rata sott’altro nome al Ro. I. 197). Polyanthemon 179. Ianunculus aconitifolius L. — Ro. I.195.1. Potentilla |* 226. Spiraca ulmaria L. — Ve. 115. Il Michiel al nome dato da Anguillara ne aggiunge uno di sua invenzione: « Sessa di Turcho » in causa dei carpelli avvolti a spirale. Prasoide — Empetro 501. Presule — Lappa minore 289. Primula veris 207, v. quanto è detto all’art. Dodecantheo. Prosfai — Empetro 301. I ; Prunella, v. Britanica. . (1) L’Anguillara paragonò la specie presente al Rusco, avvertendo però che non punge. Notisi che il Rusco anticamente chiamavasi 0rymyrsine (mirto pungente). (2) Botanique en Provence au XVlème siécle. IRR ee er SC E i er ot re Mn o e. | Psillio | 269. Plantago Psillium L. — Ro. I. 131.1. Psillio III 269. P. Cynops L. — Ro. I. 131.2. Il Michiel dichiara di aver ricevuto la sp. P. Cynops dal Tolomei che gliela spedi da Lione. La figura è di ramoscello alquanto intristito, mentre la figura di P. Psillium è molto bella ed il Michiel potè fare una descri- zione più minuta in cui parla degli stami (« atomini tenuti come da sotil seta »). Secondo lo Sprengel il Psillio I di Anguillara è P. afra, ma os- ‘ serviamo che l’Anguillara lo chiama Psillio di Dioscoride e lo dice notissimo anltalia: © Pulegio = Calamento Il 202. Pulmonaria 239. Lycopodium clavatum L. — Ro. I. 291. Il Michiel corregge l’errore di coloro i quali credevano che il licopodio fosse la spica celtica, benchè nè egli, nè l’Anguillara abbiano conosciuto la vera spica celtica (V. Saliunca). Radice idea 259. Streptopus amplerifolius Pers. — Ve. 143. Radice rodia 260. Rhodiola rosea L. (Sedum roseum Scop.) — Ve. 123. Interessanti le abitazioni citate dal Michiel: « In Macedonia, nel Tren- tino etin Friule, sul Lucchese, in Ongaria et nella Montagnia in Agrote di Cividal di Belun ». L’ultima località è Agordo in provincia di Belluno ed è:tratta dall’Anguillara. Il Mattioli (che ne diede una figura migliore di quella del Michiel (1) e lodata dall’Anguillara) avverte che la pianta in Italia è poco nota e difatti anche oggidì vi è poco diffusa. Egli menziona come abitazioni l'Appennino, il Monte S. Angelo (l'odierno Gargano) e dice di averla trovata nel Monte di Vippacco nella Carniola cisalpina e di averne piantato a Gorizia un individuo speditogli da Gratz. Ranuncolo Il o Sardonica 178. Ranunculus arvensis L. — Ro. I.211. Secondo alcuni autori la Sardonica di Anguillara è Teucrium Scorodonia L.,ma né la descrizione dell’Anguillara, nè la figura del Michiel dànno loro ragione. Il Michiel dà una diligente diagnosi: «... suoi fiori gialli et più piccoli di quelli delle altre sp. di ranuncoli, suoi semi poi nel summo de ramuscoli compagniati insieme intorno come ruota di forma stiaciata et con spineti sopra che rasembrano a quell’animaleti dimandati volgarmente cen- topiedi |Glomeris| et simili a quella specie di Gingidio. (1) Solo il rizoma nella figura del Michiel è ben disegnato e dipinto; pro- babilmente le foglie ed i fiori erano in cattivo stato. Più tardi il Michiel ri- cevette un altro campione coi fiori freschi, ma senza rizoma e perciò non si accorse trattarsi della medesima specie. Ne diede figura al Ve.171 con una ra- dice di fantasia e col nome Driophonon Plinij. ANNALI DI BoranIcA — Vor. VIII. 43* 4 PRFISTAE: ORARI E E IR SAI GITE a _ 672 _ * 3 La vera erba sardonica è R. sceleratus L., ma anche altri autori de- scrissero e figurarono come tali altre specie di ranuncoli, p. e. il Rinio a c. 190 chiamò così la sp. R. bulbosus L. In un codice del secolo xv (1) la specie presente è chiamata rotaria per la disposizione a ruota dei carpelli ». Reseda Plinij. Reseda alba L. var. Hookeri Guss. — Ro. I. 295. Nelle « Oppinioni » il Michiel scrive: « L’ Ecc. Ghyno [L. Ghini] me la mando per sesamoide maggiore. L’Ecc. Anguillara et altri degni simpli- cisti la pone per Reseda Plinij ». Possiamo dedurre che i primi a ieri - sg sud furono il Ghini e VA DBIAROE Il He la identificò col ono derni sas (2). Il nome Rada Plinij non si to nei « Semplici » e probabilmente fu comunicato o a voce o per lettera dall’ Anguillara al Michiel. Così viene a cadere la supposizione dell’Ambrosini che identificava la specie presente col « Pienocomo » di Anguillara alla cui diagnosi, del resto, essa non corrisponde. Fu già detto che sul Pienocomo suddetto il codice Michiel non dà alcun lume. Rhamno Il 51. Hippohaé rhamnoides L. — Az. 118. Ricino — Catapucia maggiore 292. Rima Maria — Alliaria 240. Riso 93. Oryza sativa L. (3) — Ro. II 55 Rosole di Lanzano — Cisto maschio 61. Saliunca di Plinio 25. Valeriana saratilis Ro. L. — I. 293. Saliunca di Virgilio 23. Anemone hortensis L. — Gi. 67 Il Michiel, seguendo l’Anguillara, ritenne che la seconda specie fosse l’Orcitunica del grammatico Servio, cioè la saliunca di cui parla Virgilio nel verso: Puniceis humilis quantum saliunca rosetis IJudicio nostro tibi cedit Amyntas (Egloga V,v. 17). Sono note le lunghe questioni sulla saliunca che si volle identificare con piante molto diverse, distinguendosi anche più saliunche, quella di Plinio, quella di Virgilio e quella della Volgata (« Pro saliunca ascendet abies », Isaia LV, 18). Le specie messe a contribuzione furono Valeriana celtica L. (Plateario sen., Leoniceno, Fuchs), Valeriana saliunca L. (Linneo), Sanicula europsen L. (Hoefer), Lavandula Stoechas L. (Paulet), Anastatica (1) Sopra un codice-erbario medievale (Atti Istit. ven. 1897-98, pp. 1235-1271). (2) Il sesamoide maggiore dell’erbario Cesalpini è invece R. lutea L. (3) Notizie retrocit. RARA VCI Neg PARO SIE SPAN PERSI LA TA LION I VE E, II DRAMA VIA SLI NET EST SPE CAST UR TRA — 6733 hierochuntica L. (Rinio, c. 405). Non sempre gli autori distinguono le varie saliuncle come fa l’Anguillara. La saliunca di Plinio è, secondo quest’autore, una pianta dell'Ungheria. (distinta dal nardo celtico = Valeriana celtica L.)e non le si applicherebbe male la identificazione dell’Anguillara, trattandosi appunto di due specie affini. Anche l’identificazione della saliunca di Virgilio è la più probabile, perchè la sp. A. hortensis coltivata nei giardini dà fiori doppi simili alle rose ed ha statura umile. Il Michiel la chiama anche « Anemoneagria» aggiungendovi altri nomi e nota che « si conoscono li anemoni dalli ranuncoli perche li ranuncoli fanno silique et li anemoni cappi [acheni] ». Questo carattere è falso perchè anche i ranuncoli hanno acheni per frutti. È vero che al tempo del Mi- chiel si classificavano come ranuncoli delle crocifere producenti silique (1) e delle ranuncolacee producenti follicoli (2), ma è altresì vero che il Mi- chiel vi mette pur dei veri ranuncoli (3) e perfino anemoni (4), ostinandosi però a sostenere il suo carattere differenziale ed a farne questione di nomi (5). Salvia salbega — Cisto femina 61. Sardonico = Ranuncolo Il 178. Sanicula maschio o |* 255. Sanicula europaea L. — Ro. I. 271. La figura del Michiel è bella ed esatta e dimostra l’attenzione con cui fu studiata una pianta che credevasi un tempo esclusiva dei paesi ultra- montani (Rinio, c. 58), ma che poi fu trovata anche in Italia. Lo stesso Mi- chiel mise per abitazione: « Nelle selve et umbrosi luoghi et massime in Alemagnia » e poi aggiunse: « Et in Monte Sumano a Vizenza et a Verona in Monte Baldo ». Satirion di alcuni 232. Serapias lingua L. — Gi, 48. ILL Scabiosa di Candia 250. Scabiosa atropurpurea. L. var. marittima L. — Ro. I. 175. (1) Cardamina trifolia L. (Ve. 41), Dentaria pentaphy0los L. (Ve. 42). (2) Eranthis hiemalis Salisb. (Gi. 74), Trollius europaeus L. (Ro. I. 195), Caltha palustris L. (Ve. 40). Il nome siliqua si applicava allora a tutti i frutti allun- gati e deiscenti (silique, baccelli, follicoli). (3) E. rutaefolius L. (Ro. I. 194), R. aconitifolius L. (Ro. I. 195), R. arvensis L. (Ro. I. 211). (4) A. hortensis L. var. pavonina DC. (Gi. 74), A. nemorosa L. (Ve. 41), A. ranunculoides L. (Ve. 43). (5) Al Ro. I. 194 aveva chiamato « Ranunculo acuto » la sp. R. rutaefolius e nella diagnosi aveva parlato di « cappi » ma poi cancellò quella parola e chiamò i frutti « botoncini duplicati a doi insieme ». L’Anguillara così ne parla: « Qual sia veramente la stebe di Diosco- — ride io non so, ne meno penso che sia la scabiosa, dicendo Galeno che suo. padre ne fasciava le botti dal vino' la invernata. La Stebe che hoggi chia- mano in Candia Scabiosa si trova in copia à Vinegia sul Lito». Anche il Michiel dice: « Questa per nonessere ne mai stata spinosa non puol esser la stebe », notando che fra quelli che la credevano la stebe c’era Matteo Silvatico. Per la precedenza, v. Notizie retrocitate. La figura del Michiel serve a identificare la Scabiosa o Stebe falsa di Candia dell’Anguillara che, secondo alcuni, era una specie di Centaurea. Scarzi d’Asino — Onopordo di Atheneo 216. i Scilla volgare 119. Urginea Scilla Steinh. — Gi. 30. Scolimo — Eringio di Vegetio 134. Scolopendria — Citrach 237. » di alcuni — Fillitide 222. Scopa regia 226. Barbarea vulgaris R. Br. Ve. 137. L’anonimo annotatore a’ « Semplici » aggiunse a penna due nomi : « Bal- tracan, Sparponazzi» de’ quali il primo è improprio, (1) il secondo tuttora sussiste nel dialetto veneto, ma indica un’altra specie, Nanthium macro- carpum. DC. (X. italicum Moretti). . Scordio Il 225. Cochlearia pyrenaica — Ro. I. 327. Scorpioide o Scorpiuro 173, 303, Coronilla scorpivides Koch — Ro. I. 354. L’Anguillara dice: « Trovai il Scorpioide nel 1549 sul Bolognese et in Abruzzo. Gli herbari di Bologna il chiamano Lunariborissa ». L’annotatore scrisse a margine: « Vide Gesnerum in Lunaria borissa quam scorpioides Matthioli esse ait ». La figura del Michiel è mediocre, ma ha il gran pregio di presentare dipinti 1 tubercoli radicali prodotti dall'organismo Rhkizobium leguminosa- rum. Questi tubercoli sono dipinti anche in un’altra figura di leguminosa Ononis spinosa al Gi. 127 ove l’autore dice che la radice «ha come grani di miglio atacati ». Ma nella figura presente l'Autore ne parla con maggiore ampiezza, chiamandoli: « granelli che pareno uno nascimento di vermi » so- spettando così la loro natura parassitaria, dedotta dal loro graduale accre- scimento. A quei tempi il nome « verme » si usava in senso di essere pa- rassita ed anche di infezione e così troviamo chiamati vermi gl’insetti del genere Voccus (Az. 160) ed in altro codice « vermes ad tibias » significa infezione alle gambe. (1) Il baltracan dei Tartari è un’ombrellifera (V. lettera di Giosafatte Bar- baro a Mons. Barocci vescovo di Padova, in data 23 Maggio 1491 pubblicata nel Vol. II delle Navigazioni e viaggi del Ramusio). vd aa 29,7 [ i x PRETI Secondo l’Anguillara la specie presente era ozogriosrds di Dioscoride. Tl Michiel osserva che il testo dell’àèutor greco assomiglia a code di scor= pione il seme, non il frutto. Anche il Mattioli fece riserva sull’identità. Scotano 35. Rhus Cotinus L. Az. — 63. Il Michiel diede una figura di albero fruttifero, non avendo conosciuto i fiori; solo dubitò se tali fossero i lunghi peduncoli sterili e pelosi, come si vede dalle frasi: « nel summo de rami viene diremo fiori che si restano poi una folta panocchia et chioma », « di Maggio suoi fiori over penacchi ». Scytice di Plinio. Glycyrrhiza glabra L. — Ve. 46. | Il Michiel scrive: « L’Anguillara tiene sia la Scytice di Plinio lib. 25, cap. $ ». Figurò una pianta fiorita con a parte un ramo fruttifero, correg- gendo così un errore di Mattioli il quale sosteneva che la specie presente era sterile e solo la congenere G. echinata L. era fruttifera. Anche Pena e Lobelio notarono che tutte le liquirizie sono fertili, però in vari codici (1) la sp. G. glabra L. è figurata sterile. Secacul 91. Echinophora spinosa L. — Gi. 122. L'errore dell’Anguillara di ritenere che la specie presente fosse il she- kakul di Avicenna fu riprovato dal Mattioli che però non conobbe il vero secacul, come non lo conobbe alcuno de’ contemporanei i quali portavano come tale ora la specie presente, ora l’eringio (Rauwolf), ora il poligonato (Degli Onesti (2), Manardo), ora la sp. Slybum Marianum Gaertn. (Costantino Africano sotto il nome oculcea), ora il sisaro, fino a che nel secolo xvIn il Ven- tenat, facendolo nascere nel giardino del Cels a Versaglia, potè identificare il secacul con Pastinaca dissecta. Il Michiel al nome «Seca cul da Ortolani et da l’Anguillara » ne ag- giunge altri: « Pastinacha marina, Chritmo spinoso » e diede una figura ‘non cattiva, ma con radice falsa simile a quella della pastinaca, come la fece il Mattioli (Crithmo II). Siccome il Michiel trasse la figura dal vero, perché spedi campione della pianta all’Aldrovandi con lettera 28 aprile 1554, è da sospettare che il campione sia stato arrizo e che quindi la radice sia stata dipinta di fantasia. i Securidaca 235. Bonaveria Securidaca Rchb. — Ro. I. 1. I. La figura del Michiel è completa coi legumi immaturi che fanno veder chiaramente i semi tetragoni attraverso il pericarpo traslucido. Il Michiel giustamente attribuisce il nome securidaca alla forma dei semi che infatto sono compresso-tetragoni e ristretti nel mezzo, tanto che somigliano agli an- (1) BonnET Epm. — Etude sur deux manuscripts médico-botaniques, Genova, Rini BeNEDICTI. — Liber de simplicibus. (2) V. Codice Rinio c. 148. È: — Pa bichi fe ferri delle ini (1). n Michiel Na e a Lene CPalifmona RI Iatsio perchè la specie presente chiamavasi anche pelecinus, nome di origine. | greca (reXszivow da 7iAx:S — scure) (2) corrispondente al latino securidaca. Di questo nome il Michiel dà un’etimologia cervellotica: « et nelle foglie li vengono sopra una bianchezzo come mollezzio di pelle dunde à preso il nome di pellicino ». Semprevivo maggiore 276. Sempervivum arboreum L. — Ve. 203. L’Anguillara, oltre la descrizione, ne diede una figura di pianta sterile perchè non ne conobbe i semi come si deduce dalla frase: « vive et sì aug- menta con gli rami perche il seme non nasce ». Il Michiel invece diede una bella figura di pianta fiorita con un getto sterile (singolarmente bella la parte del fusto su cui vedonsi le copiose cicatrici delle foglie cadute), però anch’egli non conobbe i semi, come lo provano le parole: « Io l’ho tenuta di molti anni ne mai mi ha multiplicato per suoe radici ne manco ho veduto. il suo seme, ma con gli rami posti in terra ne ho fatte quanto ho voluto ». Dice anche di aver avuta la pianta da Corfù ed averla diffusa pe’ giar- dini (3). Sena nostrana — Androsace 256. Serzenicha — Gentiana 190. Sesamo 104. Sesamum orientale L — Ro. I. 52. L’Anguillara scrive: « E nota questa pianta in Sicilia et in Candia. E quella figura seconda del sesamo che ha posto ne suoi dottissimi commentari l’Eccellentissimo Matthioli è la vera che si trova hoggi ne’ suddetti luoghi. Di quel seme se ne porta a Vinegia e chiamasi Susimani et in Sicilia Giu- giulena (4) ». Vari autori cercarono qual pianta fosse il cf7%,0v dei Greci e credettero ravvisarla in certe specie di crocifere de’ generi Lepidium e Chamaelina (G. Trago, V. Cordo). Il Mattioli nelle edizioni anteriori al 1558 figurò come sesamo quello che allora chiamavasi miagro (Chamaelina sativa Crantz) ma posteriormente dichiarò di non conoscere nè il sesamo, nè il miagro e figurò la specie presente copiando un’effigie mandatagli dal Ghini, facendo però ri- serve sull’identificazione col c702.0v. Questa figura ha i fiori troppo piccoli, (1) Falsamente alcuni autori anche moderni (Le Maout) supposero che il nome fosse dovuto alla forma dei legumi che sono falcati. (2) Il nome re)exivor si trova in Dioscoride ed altri autori del secolo xv (Gesner) si accordavano ad applicarlo alla specie presente. Oggidi è assegnato ad altra leguminosa, Biserrula Pelecinus L. che il Michiel figurò altrove (Ro. I. 179). sott’altro nome, v. Notizie retrocitate. (3) Anche il Cortuso ricevette da Corfù un campione di questo semprevivo che fu da lui spedito al Mattioli e da questi figurato col nome di Sempervivum alterun arboreum, credendolo specie diversa perchè sterile. Ora vive spontaneo. nella Sardegna. (4) Nome di origine araba. a È Sictire Tue che Tini lo Chabray li n troppo grandi e dato ae presa da uno schizzo fatto su piante vedute negli orti di Venezia e Basilea. Anche il Camerario (p.59, f. 44) diede una figura con fiori grandi e de- formi fatta sopra un campione secco mandatogli dal Rauwolf e l’accompagnò colle parole: « primum ut existimo delineavimus ». Il Michiel ne diede una fisura abbastanza buona, ma ancora migliore la diede un secolo prima il Rinio a. c. 103 del suo codice. Nelle « Oppinioni » il Michiel dice: « Che questo io dimostro ci sia, non l’affirmo per non rascontrarsi con il detto di Theofrasto. Et massime nella somiglia [diagnosi] che il da a suoi fruti simil a papaveri, Et il Gualtieri dipinge una istessa pianta per il sesamo et per miagro ». Questo Gualtieri è Gualtiero Ryff che in due pagine diverse il (p.235 e p. 344) fece la medesima figura per le due piante. Seseli ethiopico 212. Bupleurum fruticosum L. — Ve. 74. Il Michiel l’ebbe dalla Francia da Antonio Tolomei, l’Anguillara lo trovò pure in Francia e lo chiamò seseli etiopico, aggiungendo il nome proven-. zale « tacobugada », Mattioli lo chiamò « seseli etiopico II » perchè per lui il otosh: 2!0ro7z5v di Dioscoride era. Laserpitium latifolium L. Il Michiel chiamò quest’ultima specie « seseli ethiopico da Greci » accordandosi col Mattioli (1) e chiamò la specie presente « seseli ethiopico alpino sp.» e « tacobugada » notando anche le abitazioni di cui parla l'Anguillara. Seseli di Marsiglia 211. Ammi Visnaga Lam. — Ve. 76. Anche pel Mattioli questa specie era il cio: uxoczAcw7t43y di Dioscoride. Le abitazioni indicate dal Michiel sono: « In Marsilia di provenza narbonense dove io ne hebbi da monti vicini a Gilete (2) et ne monti di val Stagnia (Val- stagna) soto Bassan, sopra le montagnie di Como nel Generoso Monte dunde il chiamano Meu ». Questa pianta è il « Meu del Monte Generoso » dell’Anguillara. Secondo alcuni essa è il « Gengidio » dell’Anguillara, ma nessuna sicurezza può aversi in proposito. Il Michiel figura col nome di « Gingidio » al Ro. I. 260 la sp. Daucus grandiflorus B. et H. ma aggiunge le seguenti frasi: « quella che il Fuchsio ha dipinta per Dauco l’Anguillara N. 106 la tiene sia la vera »,... « Et l’Anguillara N. 106 tiene che sia il Gingidio quella ha dipinto il Fu- chsio hora per siler (3) masiliense dice lui hora per Dauco tercio, ma si falla che quello che il Fuchsio dimostra per Dauco tercio non dimostra per siler , altramente. Et poi lui dice essere amaro ne la radice ne altro ma bene acri di sapore come il cumino ». La censura che fa il Michiel all’Anguillara è giusta perchè la pianta che L. Fuchs chiamò <« seseli massiliense » è Ammi Visnaga diversa dal Dauco III del medesimo autore che è Seseli Libanotis Koch. (1) Anche il Clusio si accordò col Mattioli, mentre la maggioranza dei bo- tanici del tempo aderì all’opinione di Anguillara. (2) Giletta nel Nizzardo. (8) Trascritto male in luogo di sese/i. | n i 7 { 3 SRO i Così, sulla base dei « Semplici», non possiamo sapere quale di q due specie sia il Gingidio di Anguillara. Lo Sprengel suppose fosse Daucus Gingidium L.,.altri credettero fosse Ammi Visnaga, ma notiamo che il Michiel non dice che l’Anguillara facesse tutt'uno del Gingidio e del Seseli di Mar- siglia. Sex zz — Verbasco Salvatico 280. Siderite III. 257. Geranium Robertianum L. — Ro. I. 347. I. L’Anguillara la chiama pianta di odor grave e coi fiori simili all’Anagal- lide e, come il Michiel, dice che il gambo è rosso e le foglie simili al co- riandro (1). Il Michiel dice che l’odore non è ingrato e possiamo dire: de gustibus non est disputandum perchè il Ruellio dice: « Saporis et odoris iucundi », mentre i moderni la chiamano cimicina. Il nome di siderite fu dato dall’Anguillara (2) perchè se ne usavano le pozioni contro le ferite delle armi bianche, come attesta il Ruellio: « ea quam Gallis vulneribus et fistulis in potum commendat et Herbam Rober- tianam cognominant ». Il nome di Siderite III è ricordato anche da Chabray il quale dice della presente specie: « Geranium II Dioscoridis esse volunt aliqui, Sideritidem vero III plurimi ». Fabio Colonna nel Phytobasanos combattè quest'idea, ma cadde nell’altro errore di creder che la siderite terza fosse Sanicula curopaea L. Il Michiel credette che la Siderite III di Mattioli fosse questa specie, ma invece sì tratta di una pianta non bene identificata che, secondo alcuni è fit- tizia, secondo altri Pyrethrum corymbosum W. mal disegnato. Sinulo — Amomo delle speciarie 213. Smirnio — Hipposelino 125. Solano aquatico 269. Solanum Dulcamara L. — Az. 124. Solatro sonnifero 270. Withania somnifera Dun. (Physalis somnifera L.) — Ve. 63. - 5 bn Il Michiel ricevette la pianta da Candia e l’Anguillara ammise con riserva che fosse il solatro sonnifero, in causa del fiore che gli parve troppo pic- colo. Questa pianta era coltivata a Pisa ai tempi del Ghini e si trova nel- l’Erbario del Cesalpino. Soldanella — Brassica marina 118. Soncho Il o soncho tenero 115. Sonchus asper Bartal. — Gi. 139. Spico celtico — Saliunca di Plinio 23. Spina ceanoto — Astoni 141. (1) Sono i caratteri assegnati da Dioscoride: gu))a xoptav Spora èvepevòn dvon dì qorvida. (2) L'ALpROvaNDI nell’Erb. II, 70, la chiama sSideritis Achillea. ueste OR] * È er, È sati i leg Spondilio = Panace di alcuni 215. Stachi di Dioscoride 222. Lavandula latifolia Vill. — Ro. I. 292. Il Michiel la chiama con varî nomi, fra i quali « Spico nardo pseudo da herbarii, Stachys dal Anguillara » e dice che l’Anguillara « tiene che questa sia la Stachys per suoe ragioni come poteti li vedere ». Per l’Anguillara la specie presente era la c7%yvs di Dioscoride che oggidi si ritiene invece sia Stachys germanica L. (1) e l’annotatore ai Pareri scrisse a margine la frase poco parlamentare: < questa è una coglionaria ». Gli autori identificano la Stackys di Anguillara con L. Spica L., ma siccome la specie linneana oggidi corrisponde a due specie diverse L. officinalis Chaix e L. la- tifolia Vill., la figura del Michiel, molto bene eseguita, ci istruisce trattarsi della seconda specie, cioè L. spica var. 8 di Linneo. Il Michiel convenne con altri autori, compreso l’Anguillara, che la specie presente non è il nardo biblico, però la tradizione s’è radicata in modo che tuttora nell’Italia meridionale la lavanda chiamasi spicanarda. Staphisagria 291. Delphinium Staphysagria L. — Ro. I. 202. Stehe falsa = Scabiosa di Candia 250. Stellaria — Alchemilla 235. Stramonia del Fuchsio 234. Datura Stramonium L. — Gi. 119. L’Anguillara, parlando della Noce Metel dice: « E qui incidentemente noteremo che è da correggere il luogo che si trova nel comentatore di Theo- crito ove bisogna leggere così: inzéuaves Kpatsdas ono tov guity Eye napròv e GILUOÙ afpiov (uevaviepoy dì tò sold v marzo pelnwvoc) d1v06èn cioè Hippo- manes Cratevas plantam Tiabere fructum ut cucumeris silvestris (folia non nigriora ut papaveri) spinosum. Poi non so vedere cosa che meglio si con- faccia à questa pianta nella qualità et forma della Stramonia del Fuchsio ciò è i Porri spinosi, ma al solito mio ancora di questo mi rimetto ». L’annota- tore ai Pareri corresse due parole greche (p.evdvtspov in peXdvisoov e dsav0oìn angn06d<) e scrisse: « Falsum. Nam Hippomanes Cratevae idem est cum Cappare Dioscoridis. Vide quidem apud Theophrastum nota; virtuum lib. 9 in Hippophaés ». Il Michiel, come l’Anguillara, confuse lo stramonio colla metella di Avi- cenna (D. Metel L.) che venne figurata dal Mattioli. Scrive poi: « Venghono tenute di queste piante ne vasi per sua bellezza da gentil Madone custodita ». Da questo e da quanto dicono altri autori (2) veniamo a sapere che a quei S È i: (1) Mattioli da principio w identificò con Stachys germanica poi con Side- ritis sicula Ucr. (2) CasToRE DURANTE ( Herdario novo, Roma 1585) che pur lo chiama Nuz me- tella scrive: « Seminasi negli orti come l’altre piante peregrine ». Secondo Hehn essa fu introdotta in Europa dagli zingari che se ne servivano pei loro filtri. Può «darsi che individui in tal modo disseminati sieno poi stati riprodotti nei giardini. ) "n * a LA ul A da considerarlo specie infesta. Il dighgno delle se SU ipo Michiel | i si) 7 (55 non lascia dubitare che si tratti di stramonio e non di metella. “a Stratiote falso 280. fr Stratiotes aloides L. — Ro. I. 73. xa L’Anguillara dice: « Non conosco il vero primo Stratioto che nasce nel: l’acqua. È ben vero che vi sorge una sorte di pianta con foglie simil all’Aloe, ma molto minori et più sottili, con lunga radice, la quale alcuni hanno pen- sato che sia il Stratiote acquatico, ma è cosa chiara che non è di esso. La seconda sorte chiamata Millefoglio hoggi ritiene il nome ». Il Michiel diede una figura di pianta fiorita col nome « Stratiotes potamios dal Dodonei », paragonò le foglie a quelle di « herba stella [Plantago La- N gopus L.] » e soggiunse: « Penso che nasca di seme non ostante che sia pianta di acqua », seguendo l’idea che le piante acquatiche in via ordinaria si riproducano altrimenti. Anche il Dodoneo che la rappresentò fiorita dice: « Exeunt ab eodem et aliae obliquae fibrae quibus uti ranae morsus [H7ydro- charis] multiplicatur ». Di questa specie parla anche il Ghini nei suoi Placiti a pag. 37 (1). Suchamele — Verbasco salvatico 280. Tacobughada — Seseli Ethiopico 212 Teleffilo di Crateva — Scorpioide 175, 303. Testiculus canis — Cinosorchis 232. Testiculus vulpis 232. Serapias Lingua L. — Gi. 48. IT. Anche il Cesalpino scoperse questa specie in Toscana e riconobbe in essa la Aoyyiz:o di Dioscoride, il che non seppe fare il Michiel che per Lonchitis pose al Ve. 204 una pianta fittizia. Thia o Thuia è la nostra Sabina 47. luniperus Sabina L. — Az. 8. I. Il Michiel col nome «Savina » figura due specie, la presente e 7. proe- nicea L., però dice: « L’ Ecc. M. Alovise Anguillara ne’ suoi Pareri N. 46 dice esser di due sp. et la prima esser la Tuuia Theophrasti ». Sia dalla presente figura, sia da quanto dice espressamente l’Anguillara, risulta che la pianta da lui chiamata YWuia e da lui veduta nel giardino del Pasqualigo è la sabina, quindi a torto il De Visiani disse che l’Anguillara vide in quel giar- dino la vera Thuia. Thlapsi cretico di Galeno o | di Dioscoride 170. Aethionema saratile R. Br. — Ro. I. 368. Il Michiel ricevette la pianta da Pisa da L. Ghini. Thuia — Thia 47. Tilia femina 80. Tilia ulmifolia Scop. — Az. 76. i £ Pe #1 b Me a 4 (1) De Toni G., B. — I placiti di Luca Ghini (Mem. Istituto Ven., vol. 27, 1907). % | Tilia masch di ; io 80 Ligustrum vulgare L. — Az. 12. L’errore di Anguillara di chiamare tilia maschio il ligustro fu originato da un altro commesso da Adamo Lonicero il quale riteneva che la g1Xugî% dei Greci fosse il ligustro e questa 0:)).v9î2 poi si confondeva per la somi- glianza del nome colla g')vg2, cioè col tiglio. Lo nota il Michie], il quale all’Az. 76 dice: « La femina questa [7 «lmifolia] et il maschio la cona- strela [L. vulgare] dice l’Anguillara N. 61 ma non gia così tiene il Ma- thiolo che uno e l’altro lo dimostra a N. 190... « et inganassi quegli che si credeno che questa Tilia sia la phyllirea inganati dal vocabulo greco, imperoche che questa dimandano phyllira et non phyllirea. Et sonno dif- ferente la Tilia della Phylirea come narra il Landini (1) ne’ suoi comenti nel membro tercio ». Invece all’Az. 12 dice: « L’Ecc. Anguillara ne’ suoi Pareri N. 59 dice che il Ligustro non è il cipro avegnache il Corolario del Barbaro vuole che egli ci sia». A ragione l’Anguillara sosteneva che il ligustro non dovea confondersi col 20790 dei Greci che è Lawsonia inermis chiamata dagli arabi Henne, Al-henne, Al-hanna donde il nostro alcanna. Con tuttociò non solo Ermolao Barbaro, ma altri contemporanei come Mattioli, Durante e lo stesso P. A. Michiel confondevano le due specie che pure un secolo prima erano state ben distinte dal Rinio (c. 389. 390) e che poi furono riconosciute diverse da due esploratori, il Belonio ed il Rauwolf. Nell’Anguillara e nel Michiel troviamo il nome Zia dato al Tiglio. Il Michiel ricevette il tiglio, da lui figurato, dal Cadore ed è da notare che nel Bellunese le desinenze iglio, aglio, oglio diventano eî, ai, oi (esempi, mei — miglio, ai — aglio, strafdi = trifoglio), quindi il nome originale fu tei cui si aggiunse la desinenza «a -per assomigliarlo al latino. I nomi conastrè!, conostrèl sono tuttora usati nel Veneto per indicare il Ligustro ed un’altra specie somigliante per aspetto e stazione, Cornus sanguinea L. Tinus 30. Viburnum Tinus L. — Az. 5. L’Anguillara chiamò la specie anche A4gyvn &ygix (che il Michiel mise sotto la forma italiana « Lauro silvestre da volgari ») ed aggiunse il nome abruzzese « molesso » pur riportato dal Michiel. Notiamo che nella lista delle piante coltivate a Pisa dal Ghini c’è un « Laurus sylvestris Tinus vo-. cata; ali} sui generis arborem esse putant ». Titimalo Characia 292. Euphorbia amygdaloides L. — Ro. I. 177. Il Michiel figura due piante col nome titimalo caracia, la presente e la sp. E. Characias L. al Ro. I. 178. Però quella di Anguillara è la presente, come scorgesi dalle località e dalle virtù, copiate parola per parola dai Pareri. Notiamo anche come il Michiel al Ro. I. 177 dice: « Non si puo] se non atfir- mare che queste piante siano Characie >» e al Ro, I. 178 dice: « son simil ‘DI s r (1) Melchiorre Guilandino. | all’altro 17» » e dà È dieienzo dalle specie Aa che sell seguendo. | l’Anguillara, ritiene sia la vera Oharacias. Titimalo mirsinite 293. E. Myrsinites L. — Ve. 109. Il Michiel nota le abitazioni: « ne popoli Marsi, bre in Norsia » ricavate dall’Anguillara che rinvenne la pianta nel 1545. Il Michiel rigetta l’opinione di coloro che la ritenevano sia la noce vomica, sia la metella. Titimalo petreo 294. Euphorbia dendroides L. — Az. 126. L’Anguillara trovò la pianta in Toscana, Liguria e Provenza. Gaspare Bauhin che la chiamò Zithymalus myrtifolius arboreus mise nella smonimia: