DT) De aree, rato) EOS ——<€ SALUTE P_ SW za 7 i ona = LES e S > È LI d 3 ANNALI DI BOTANICA PUBBLICATI DAL Pror. ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma VOLUME DECIMO con VII TAVOLE E 26 INCISIONI NEL TESTO DE ROMA TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA 1912 INDICE PER AUTORI CaraLano G. — Morfologia interna delle radici di aleune Palme e Pandanacee. (Tav. II-IIT), pag. 65. CHIOVENDA E. — Della priorità di alcuni nomì specifici di piante contenuti nell’ « Auctarium ad Synopsim Methodicam Stirpium Horti Regi Tauri- nensis » dell’ Allioni pubblicato nel 1774, pag. 25. — — Intorno a due nuovi generi di piante appartenenti ‘alla famiglia delle « Malpighiaceae », (con fig.), pag. 15. — — Un piccolo pugillo di piante raccolte nell'Enclave de Ladò, pag. 101. — — Dì due piante interessanti della Flora Italiana (con fig.), pag. 123. — — Plantae novae vel minus notae e regione aethiopica, pag. 383. — — Il genere Sageretia Brongn. in Africa (Tav. V-VII), pag. 481. Cortesi F. — Alcune anomalie dell’'Anemone nemorosa L., pag. 379. De ANGELIS D’Ossar G. — Di un igrolisimetro ‘Tav. I, pag. 1). FAURE G. — Cromofotomierografia, pag. 103. GoLa G. — La vegetazione dell’ Appennino piemontese, pag. 189. Lon6o B. — Ancora sul Ficus Carica, pag. 147. Massa O. — Reliquie Cesatiane (Tav. IV), pag. 417. MartIROLO O. — Sul endemismo dellIsoetes Malinvernianum di Cesati e De Notaris, pag. 129. Ricerche di Morfologia e Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma. — XXVII. SecneTTI G. — Osservazioni morfologiche e biometriche sulla Urtica membranacea Poir, pag. 339. TropEA O. — Nettari estranuziali nelle foglie dell’ Adenia venenata Forsk, pag. B. Brevi comunicazioni, pag. 31, 159. Rivista di Morfologia, pag. 39, 181. Rivista di Fisiologia, pag. 45, 169, 447. Rivista di Botanica descrittiva e geografica, pag. 49. Rivista di Sistematica, pag. 177. Bibliografia, pag. 55, 188, 451. Notizie ed appunti, pag. 61, 453. Annuncio necrologico, pag. 187. Il fascicolo 19, pag. 1-64 fu pubblicato il 15 marzo 1912 » 29, » 65-188 » » 10 giugno » » 39, » 189-453 » » 530 ottobre » ‘ALI DI BOTANI pie bada PUBBLICATI Ri Pror.. ROMUALDO PIROTTA. ere del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma INDICE. De PARA D’OssAT G. — Di un igrotisimetro. (Tav. I), pag. 1. Pnp “Tropka C. — Nettari éstranuziali nelle ont dell’« Adenia venenata Forsk », ver, LE À ) pag. 5. Da CHIOVENDA E. — Della priorità di alcuni nomi specifici di piante contenuti A ‘. nell’« Auctarium ad Synopsim Methodicam Stirpium Horti Regi Lawn «a mensis » dell’ Allioni, pubblicato nel 1774, pag. 15. a fi Ip. — Intorno a due nuovi generi di piante appartenenti alla dani glia delle |—_‘._‘’«Malpighiaceae » (con fig.), pag: 25. “Brevi comunicazioni, pag. 31. bi È |. Rivista di Morfologia, pag. 39. d VR ‘Rivista di Fisiologia, pag. 45. Sanita Rivista di Botanica SCA e geografica, pag. 49. hi RI | Bibliografia, pag. 55. Li i Notizie ed Bepaot. pag. 6 LIM ROMA 5 mipoGRANTA ENRICO VOGHERA " Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, in | tempi non determinati e con numero di fogli e ta vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero è: di È per numero. Agli autori saranno dati. gratuitamente | IAU i 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia chiederne > ‘un numero maggiore, pagando le semplici spese di c) } UL: t ‘carta, tiratura, legatura, eCC. Gli autori sono responsabili della forma « e del conte. È nuto dei loro lavori: RARE Sa or og Ì NB. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi cal prof. R. PrroTTA od al prot F. CORRE, R. Iatibuto Hiro Panisperna, 89 B. 9 — ROMA. MN pic: : i ERRATA CORRIGE Pel Gi VOLTOEXE Pag. 479 Le tre prime fasi (concentrica, eccentrica, alterna) si riscontrano nelle radici della maggioranza delle Gimnosperme, ecc. | correggere si Le tre prime fasi del secondo ciclo (alterna, intermediaria, sovrapposta) | si riscontrano, ecc. fi il 15 Narzo 1912) NAT <<< Y-X-_ - <--- RA NI yryzo Di un Igrolisimetro del Prof. G. DE ANGELIS D’ OssaT (TAvoLA I) Non fa mestieri ripetere, neppure sommariamente, le ragioni per le quali l’umidità del terreno agrario costituisce un fattore indi- spensabile alla vita vegetale. Similmente superflue ridonderebbero le descrizioni degli appa- recchi escogitati, e presentemente in uso, per riconoscere i fenomeni complessi che intercedono fra il terreno agrario e l’acqua nelle più svariate forme, Il metodo indicatoci da Wahnschaffe è il più se- guito; come i lisimetri sono i più in uso: i risultati però che se ne ricavano non sono nè completi, nè diretti e nè corrispondenti alle condizioni naturali in cui i fenomeni si svolgono. Egli è per questo che ho immaginato un semplice apparecchio, cui imposi il nome di igrotisimetro, il quale può fornire dati più completi, diretti e, ciò che maggiormente interessa, corrispondenti alle condizioni di natura. Le figure che riporto (v. tav. I, fig. 1-8) mi dispensano sciori- nare una lunga descrizione dell’ igrolisimetro. Si tratta di quattro robuste aste, metalliche, raccomandate in basso agli angoli di un quadrato fisso e superiormente ad ur altro, mobile, con viti. Il telaio basso porta una cassetta, internamente stagnata, a corsoio, la quale raccoglie solo l’ acqua che potrebbe sgocciolare sull’area circoscritta dalle pareti interne, decimetro quadrato; mentre l’altra è allontanata da apposita gola provvista di fori. A diverse altezze delle aste per mezzo di cilindri vuoti, si possono inserire diret- tamente sovrapposti od a distanza (15,1005 cm.) cubi di rete metal- lica di un decimetro di lato. Gl’ interstizi sono eventualmente oc- cupati da semplici cilindri vuoti (lungh. 10 e 5 cm.). Una maniglia pieghevole corona l'apparecchio. Questo per corrispondere acconcia- mente allo scopo dovrebbe essere costruito di un metallo poco o punto alterabile, come rame ecc.; ma per ragione di economia, ANNALI DI BoTANICA — Vor. X. 1 LIBRARY NEW YORK BOTANICAL GARDEN. riesce pur pratico se si fa di ferro e ciò specialmente per la facile sostituzione delle reti metalliche, più suscettibili di avarie. L’esemplare figurato, servendo per lo studio del terreno sino alla profondità di m. 0,50, presenta questa distanza fra le due estre- mità libere delle aste. L’igrolisimetro però potrà avere minori o maggiori proporzioni a seconda dei casi; pur rimanendo fisso che le dimensioni accennate soddisfano alla generalità dei bisogni. Altre particolarità di costruzione emergeranno dall’indicazione dell’uso dell’apparecchio. L’igrolisimetro si propone l’indagine, entro i limiti di tal sorta di osservazioni, dei rapporti fra il terreno agrario e le acque pio- vane (A) e quelle d’irrigazione (B); può inoltre riconoscere e pon- derare i fenomeni speciali di umidità del terreno in condizioni pe- culiari meteorologiche (0). DE TERRENO AGRARIO E PIOVANE. 1. — Quantità di pioggia assorbita dal terreno; 2. — Profondità raggiunta dalla pioggia a seconda delle diver- sità meccanico-fisico-chimiche delle terre e rispetto all’esposizione ed inclinazione delle stesse ; 3. — Disseccamento delle terre, fenomeno inverso ai casì pre- cedenti ; 4. — Valori della capillarità : 5. — Distinzione della piovana nella porzione assorbita e man- tenuta, in quella rievaporata e finalmente in quella penetrata nella circolazione sotterranea ; 6. — Umidità specifica per le singole coltivazioni, corrispon- denti alle varie terre, ecc. ; 7.-— Condizioni di umidità del terreno in rapporto con i casì straordinari della vita vegetale (arrabbiaticcio, ecc.). 8. -— Estrazione dei liquidi circolanti. B. TERRENO AGRARIO ED IRRIGAZIONE. 1. — Stabilire il quantitativo indispensabile per le singole col- tivazioni nei diversi terreni, con variate circostanze; 2. — Ricercare il miglior sistema d’irrigazione per i casì sin- goli: donde economia di tempo, di acqua ed impedimento di di- spersione delle sostanze fertilizzanti ; 3. — Come per le piovane, si riconosce la quantità e qualità delle acque filtrate, (soluzione adatta, materiali sciolti, sostanze fer- tilizzanti allontanate, ecc.). C. TERRENO AGRARIO ED UMIDITÀ IN CASI SPECIALI. 1. — Quantitativo di igroscopicità delle terre; 2. — Quantitativo di condensazione idrica delle coltivazioni in condizioni svariate, ecc. Le due serie citate di osservazioni potranno specialmente ese- guirsi dove i fenomeni corrispondenti si presentano in vistose pro- porzioni. Uso DELL’IGROLISIMETRO, Lo scavo per piazzare lo strumento deve farsi più piccolo pos- sibile e nelle sue pareti devesi incidere il giusto vano. Riempiti i cubi di rete metallica con le terre delle rispettive altezze, s’intro- duce l’igrolisimetro al loculo fatto, rimettendo accuratamente tutta la terra nella primitiva posizione per quanto è possibile. I cubi si terranno in alto, verso la superficie esterna, se si vorrà riconoscere l’umidità per coltivazioni a corte radici, nel mezzo 0 nel basso se le piante avranno medie o profonde radici. Si rimetterà al posto, coprendo l’apparecchio, la cotenna erbosa se il terreno ne fu antecedentemente decorticato. Sarà necessario preventivamente lavare ed asciugare la scatola lisimetrica e chiuderne accuratamente l’orificio esterno. Tanto i cilindri cavi che portano 1 cubi di rete metallica, quanto quelli che s’intercalano, lungo le quattro aste, non debbono asso- lutamente funzionare da dreni verticali, perchè altererebbero troppo profondamente le condizioni del suolo rispetto alla circolazione del- l'umidità. Laonde i cilindri cavi dovranno scorrere giusti nell'anima sostenitrice e, per maggiore garanzia, dovranno essere internamente spalmati con grassi densi e resistenti, i quali però si rimoveranno antecedentemente ad ogni pesata. Si possono tagliare i cilindri vuoti a 5 più che a 10 cm. ; come sì possono dimezzare i cubi: ciò sarà consigliabile quando si vo- gliono indagare i fenomeni superficiali o di un sottile strato sot- "a med a Tg. ds È A A | i > É SSA , STA 5 a Sia tà ì “ È terraneo : non converrà scendere a proporzioni inferiori, senza spe- eat da ciali precauzioni, a causa del forte rapporto che potrebbero rag- giungere le cause di errore nelle pesate. L’apparecchio dovrà togliersi dal terreno il meno possibile, fa- cendo cadere le pesate nei momenti decisivi. I cubi di rete metal- lica dovranno collocarsi sopra un piatto tarato, massime se si ha sgocciolamento, dopo che siano stati ugualmente e fortemente spaz- zolati. Le variazioni in peso che si potranno riscontrare per il di- verso trattamento sono del tutto trascurabili rispetto al forte peso dell’intero cubo. i Le ricerche eseguite con questo apparecchio potranno di molto chiarire svariati fatti che interessano e l’agricoltura e l’igiene ecc., p. es. : le attività microbiche, il movimento dell’azoto ecc. Con igrolisimetri di tal sorta si raccolgono presentemente dati nella Tenuta di Casalina (R. Ist. Sup. di Perugia) e nel Benadir. Spiegazione della Tavola I. Le figure 1 8 rappresentano lo stesso apparecchio e le rispettive parti. Per apprezzare le dimensioni è sufficiente ricordare che i ci- lindri ed i cubi misurano un decimetro di lunghezza e di lato. Ann. Bot. X. DE ANGELIS D’OSSAT, G. Igrolisimetro. pet met LAR!B FERRARIO-MIL ANO LIOT CAL2C Nettari estranuziali nelle foglie dell’ “ Adenia venenata Férsk. ,, del Dott. CALCEDONIO TROPEA. Proveniente dalla Somalia Italiana, l’Istituto botanico di Pa- lermo, ricevette anni or sono un robusto esemplare di Adenza vene- nata Forsx., che tuttora vegeta rigogliosamente. Il Forskal (1775) nella sua Flora aegyptiaco-arabica (pag. 77) descrive la specie nel seguente modo: « Truncus scandens, viridis, brachii crassitie. Rami teretes, fle- xiles, alterni. Folia alterna. Petiolus teres, erectus. Lamina peltata, . palmata, 5-loba, lobus versus medium majoribus, ovalibus: folio- rum basi callus seu glandula gibbosa, nigra. Cirrhi ex ramis latera- libus. Pedunculi ramuli conferti in apice ramorum, breves ramu- losi, rudimentis folioram glandula crassa, petiolata, subtus biden- tata; ad axillam rudimenti flores 2 vel 3 sessiles, ergo spica composita vocanda, in qua flores conterti.... ». Non parla quindi di nettari, ma accenna solo alla presenza di una glandola nera alla base della foglia, senza dare alcun valore alla presenza di essa, onde ho creduto utile determinare la natura di tale corpo e la sua funzione. Lie Guardando la foglia dalla pagina superiore, alla base della la- mina appare, sporgente, un rigonfiamento di colore rosso cupo in- tenso, perfettamente opposto alla nervatura mediana, e quindi al lobo mediano. La posizione di questo corpo sporgente è tale da far pensare ad una foglia dapprima peltata e che, per sinfisi di uno o due lobi posteriori, abbia dato luogo ad una foglia palmata. Il corpo sporgente, che potrebbe rappresentare appunto i lobi scomparsi, non trovasi completamente alla base della lamina fo- gliare, giacchè il punto di attacco del picciwolo riesce spostato e non coincide col mucrone predetto. ti - v. È a ; e ; ì î x us " prec © SE tin abi Questo corpo si protende perciò indietro e si continua nella pa- gina inferiore, a mo’ di una piccola sella nerastra. Fra questa ed il punto d’attacco del picciuolo si ha una regione, istologicamente modificata, atta a secernere nettare. Questa regione costituisce appunto il nettario estranuziale, che il Forskal chiama g/andula gibbosa Inoltre, sempre sulla pagina inferiore, in corrispondenza delle insenature formate dai singoli lobi ed in prossimità di esse, sì os- servano tre, raramente quattro, piccoli nettari, uno per ciascun seno, la cui struttura e funzione è analoga, anzi identica, a quella del nettario prossimo alla base fogliare. Di tali organi il Fòrskal non parla affatto nel suo lavoro, e tanto meno accenna al valore biologico della glandula gibbosa. L’Engler stesso (Bot. Jarbich., XIV, 879), riferendosi al mu- crone su detto, si limita a dire «..... sondern an der Grenze von Stiel und Spreite befindet sich ein einziges median gelegenes, nie- renfòormiges den Blattstiel bedeekendes Zippches, welches nektarien- fuhrend ist..... ». Mi sembra utile sia perciò conosciuta dettagliatamente la strut- tura e la funzione di tale organo, tanto più che non è facile avere degli esemplari vivi di Adenza venenata. Facendo una sezione attraverso al nettario, in modo ch’ essa riesca parallela al nervo mediano ed altra ad essa perpendicolare, ripetute in vari piani paralleli, in modo da avere una esatta vi- sione della distribuzione e della forma dei singoli elementi costi- tutivi, la struttura di questo corpo sporgente presenta le seguenti caratteristiche essenziali. Nella parte superiore, corrispondente quindi alla pagina supe- riore della foglia, trovasi una epidermide doppia, a cellule quadra- tiche, con angoli smussati. Lo strato esterno, privo di clorofilla, è rivestito in gran parte da una robusta cuticola, ispessita in corrispondenza al punto d’u- nione di ciascuna coppia di cellule epidermiche. Tale ispessimento si approfonda fra le cellule stesse, incuneandosi solidamente, in modo da formare un tutto compatto e robusto. La forma della cuticola, presa isolatamente, risulta quindi quella di una sega, i cui denti sono rivolti verso l’interno ed il cui dorso costituisce la parte esterna della pagina fogliare. Mancano del tutto gli stomi. Visto in uno spellamento, tale strato epidermico si presenta ancora ad elementi quadrati, con pareti robuste, a margine alquanto cordato. Soia Lo strato epidermico sottostante trovasi costantemente in corri- spondenza alterna con l'epidermide propriamente detta, alla quale si assomiglia per la forma e la grandezza degli elementi. Notevole il fatto che questo strato si presenta abbondantemente provvisto di antociana, la quale è esclusivamente localizzata in questa re- gione. Fra l'epidermide superiore, or descritta, e quella inferiore tro- vasi un tessuto parenchimatico, dapprima compatto e che va avvi- cinandosi allo spugnoso, mano a mano che si approssima alla epi- dermide inferiore, in modo che quivi prende appunto le caratteri- stiche di un lacunoso. Assai rimarchevole il fatto che in tale parenchima, tutta la clorofilla si trova attaccata da innumerevoli baccilli e da micro- cocchi, agitantisi in continuo e vivace movimento. Essi sono in tal numero da far oscillare quei granuli di clorofilla che col taglio vengono asportati dallo interno delle cellule e vanno e spargersi sul liquido circostante alla sezione. Numerose druse di ossalato di calcio popolano questo paren- chima, uniformemente distribuite per tutto il suo spessore. La massa parenchimatica è attraversata da un robusto fascio fibro-vascolare, il quale, prendendo origine dalla inserzione del pic- ciuolo, donde si diramano le nervature che vanno ai singoli lobi fogliari, si dirige verso la parte anteriore di questo organo spor- gente, dove si biforca, mandando deboli diramazioni verso la parte mediana inferiore dell’organo stesso. La presenza dell’antociana, delle druse cristalline e dei baccilli e micrococchi sono tutti concordi indizi che ci troviamo di fronte ad un organo in via di degenerazione, ossia in via di trasforma- zione. La sua posizione, la presenza, inserzione e derivazione del fascio fibro-vascolare, la forma degli elementi parenchimatici, i quali ricorderebbero un palizzata fogliare superiore ed uno spu- gnoso inferiore, fanno buona causa ad azzardare l'ipotesi (che in appresso discuterò con altri mezzi) che detto organo sia dovuto a lobi fogliari in via di atrofizzarsi, per dar luogo alla formazione di un organo di natura prettamente biologico. Si tratterebbe quindi di un nettario in via di formazione, non ancora giunto al suo stadio definitivo di sviluppo. La regione inferiore presenta viceversa delle spiccate partico- larità: il doppio strato epidermico si riduce ad uno solo, simile per forma, ma con cuticola molto meno robusta e priva di quegli ispessimenti su menzionati. Esternamente alla cuticola si nota uno strato esilissimo, assai L'OPERA e i PES denso, molto rinfrangente, di sostanza gelatinosa, trasparente, amorfa. Questo sottilissimo strato è, come vedremo meglio, costi- . tuito da un deposito di materiale zuccherino, che trasuda lieve- È mente attraverso alla cuticola. i Min. Manca del tutto l’antocianina che abbiamo osservato nel secondo È strato dell'epidermide superiore. Immediatamente sotto all’epidermide v'è un tessuto spugnoso, ricco di clorofilla, il quale, circa nella parte mediana dell’organo, sì modifica per dar luogo ad una massa di elementi allungati, di- sa sposti in serie, perpendicolari all’epidermide. Tale tessuto costituisce la regione nettarogena per eccellenza: le cellule che lo costituiscono sono assai ricche di zucchero e si mostrano turgide e molto rifrangenti. SAR Questo turgore tende ad aumentare il volume cellulare, e quindi S si trasforma in una reciproca pressione fra le cellule. Effetto di ‘Sa tale pressione è quello di schiacciare lateralmente gli elementi co- Si stitutivi, e giacchè la minore resistenza è dalla parte del tessuto n spugnoso, appunto per l'abbondanza degli spazi intercellulari, gli a elementi, allungandosi in seguito alle pressioni laterali, esercitate È” dai tessuti limitrofi, tendono, come risultante, ad approfondirsi nel lacunoso, di modo che la forma che prende in definitiva tale tes- ne suto è quella di una scodella, con la concavità rivolta verso A l’esterno. La cuticola, di fatto, esercita, per la sua consistenza, una pres- SA sione maggiore del lacunoso preso nel suo complesso e quindi solo -D in questa direzione è possibile che il tessuto nettarogeno eserciti la sua influenza, mercè la pressione dei suoi elementi turgidi. ; A mio credere questa è la ragione che determina sia la forma i a scodella dei nettari, che è quella più comune, sia quella allun- 3 gata delle singole cellule nettarifere. SI Il fatto che nei nettari più evoluti la concavità è più accen- tuata e gli elementi sono molto più allungati che non spessi, dà i; ragione alla mia ipotesi sulla origine della forma dei nettari, giac- E; chè appunto nei più evoluti queste pressioni laterali hanno avuto maggiore agio di fissarsi e di accentuarsi attraverso alle genera- zioni successive. Nel caso dell’Adenia le cellule del nettario sono evidentemente allungate, ma non raggiungono ancora la forma caratteristica che è propria di nettari che abbiano compiuto il loro ciclo di svi- È luppo: e di fatto, anche morfologicamente, tale organo non si è È ancora differenziato al punto da perdere qualsiasi ricordo della Sd sua origine filogenetica. gi In seguito alle pressioni sul lacunoso, questo subisce delle no- tevoli modificazioni, in modo da perdere in gran parte gli spazi intercellulari, acquistando così una consistenza maggiore, tale da opporre resistenza sufficiente ad impedire che l’infossamento del nettario seguiti indefinitamente. In tal modo le cellule del net- tario, trovando resistenza da tutte le parti, emettono il nettare, il quale va naturalmente a depositarsi fra la cuticola e lo strato adiacente, Seguitando la secrezione ed aumentando il volume del nettare, la cuticola si stacca, si solleva e quindi subisce, in seguito alla distensione, un ‘notevole assottigliamento, che la rende alquanto permeabile, onde una piccola parte del nettare ne trasuda e vi si deposita sotto forma di quello straterello di sostanza gelatinosa che abbiamo visto in precedenza. In questo punto appare anche ad occhio nudo una vescichetta turgidissima, sferica, trasparente, che è costituita dalla distensione della cuticola, ripiena di liquido zuccherino fortemente concen- trato. Lo straterello esterno di cui abbiamo parlato, alletta le formiche, le quali, ghiotte di zucchero, se ne cibano. In un lungo ramo staccato dalla pianta e posto sul tavolo, ho potuto osservare l’ intiero meccanismo funzionale di questi nettari. La essudazione zuccherina esteriore richiama l’attenzione delle formiche: esse ingojano lo zucchero che trovano già depositato al- l’esterno della cuticola, poi, con le zampe anteriori battono con vio- lenza sulla vescichetta, riuscendo a forarla o magari a stabilirvi un punto di maggiore permeabilità per diminuito spessore. Da que- sto punto esce allora una gocciolina di nettare densissima, che le formiche tosto succhiano, per ricominciare a pungere. Sulla stessa vescichetta sì trovano a volte fin quattro formiche, intente all’at- tivissimo febbrile lavoro. Dopo qualche tempo la cuticola cede in seguito alle numerose intaccature e sì spezza in parte. L'emissione del nettare residuale diviene allora abbondantissima tale da rendere molto gonfio l’ad- dome delle ghiotte formiche e la vescichetta si sgonfia completa- mente. Durante questo processo la distanza fra le formiche e l’epider- mide va sempre diminuendo, fino a che, sgonfiata del tutto la ve- scichetta, e spezzata la cuticola, le formiche restano a diretto con- tatto con il primo strato di cellule nettarogene, presso le quali iniziano lo stesso lavoro compiuto sulla cuticola, perforando la pa- rete cellulare e suggendo il nettare, fino a distruggere quasi del DR PT LO | tutto questo primo strato di cellule. In definitiva perciò, al posto del nettario, resta una infossatura, che ad occhio nudo appare come un foro di circa 1 mm. di diametro, ed al microscopio (in sezione trasversa) come una spaccatura a cuneo, con evidente distruzione delle cellule circostanti, le quali si. presentano rotte e mancanti di qualche porzione, dal lato esterno. Ho potuto accertare che tale secrezione sia zuccherina tanto con reazioni macroscopiche, che microscopiche. Con un ago di fatto si può asportare tutto il liquido vischioso che si trova nella vescichetta turgida, comprimendo lateralmente a mo’ di coltello e producendo lo scoppio della vescicola. Il liquido raccolto così su vari nettari e posto in un vetrino di orologio dà un abbondante precipitato col metodo Fehling, di natura non dubbia. Le varie sezioni attraverso al nettario, fatte bollire nello stesso reattivo mostrano la esatta localizzazione del nettario e la sua estensione. Come ho detto prima, in prossimità delle insenature fra i lobi della foglia, vi sono, una per ogni insenatura, delle piccole chiazze, appena un millimetro di diametro, sempre sulla pagina inferiore. Queste chiazze sono appunto altri nettari, il cui funzionamento è del tutto identico al nettario grande descritto. Anche qui si forma la bollicina di nettare che le formiche fanno uscire con lo stesso metodo, fino a trasformare questi piccoli nettarî in piccoli forel- lini, che intaccano parzialmente il mesofillo, nei quali in definitiva sì trova null’altro che del sughero. La reazione dello zucchero è anch’essa evidentissima. Quanto alla struttura istologica di tali organi, non insisto, es- sendo essa del tutto uguale a quella del nettario esistente nella parte inferiore del mucrone, già descritto. Nel complesso è da notare che tali organi mostrano una spic- cata tendenza all’atrofia, mentre il nettàrio grande tende ad assu- mere uno sviluppo maggiore. Ci troviamo quindi di fronte ad una specializzazione della funzione nettarifera ad un solo organo, che, assorbendo da solo tutta la funzione predetta, rende trascurabile il lavoro dei nettari minori. ; A conferma di ciò sta il fatto che il numero di tali organi, che dovrebbe essere di quattro, in molte foglie è ridotto a tre, e tal- volta a due soltanto. Ho detto in precedenza che il mucrone nettarifero debba essere interpretato come la trasformazione di due lobi fogliari inferiori, i quali, saldatisi per sinfisi, abbiano dato luogo per riduzione al mu- crone descritto. Questa ipotesi è fortemente avvalorata dalla morfologia com- parata e dalla istologia. Esaminando di fatto vari generi di Passifloracee si vede subito UNA TENDENZA IN TUTTA LA FAMIGLIA ALLA RIDUZIONE NEL NUMERO DEI LOBI FOGLIARI. Così nella Passiflora coerulea le foglie hanno normal- mente sette lobi, quanti cioè presumo dovesse averne l’Adenia : i vari lobi determinano fra loro dei seni angolosi. Ma alcune foglie del ramo presentano sei ed anche cinque lobi: la disposizione delle nervature ci indica senz'altro che i due lobi più prossimi alla base si sono fusi in un solo e che questa fusione si è talvolta anche ri- petuta su lobi simmetrici: mano a mano che questi si riducono di numero, ì seni divengono meno angolosi, anzi in qualche caso sono del tutto tondeggianti. Nella Passiflora acerifolia si trovano molte foglie a quattro lobi, mentre normalmente ve ne sono cinque. Anche in questo caso il lobo che risulta dalla sinfisi di due lobi precedenti presenta due nervature distinte fin dalla base: una dirigentesi verso l’apice del lobo normale, l’altra ad angolo con esso: la forma di tale lobo è del tutto asimmetrica, rispettando un maggiore sviluppo nella di- rezione del lobo saldato. Ugualmente nella Passiflora ciliata, P. foe- tida L., P. holosericea, P. cinabarina, P. inamoena, P. incarnata, P. macrocarpa, che hanno tutte normalmente foglie a cinque lobi, ho potuto riscontrare che nello stesso ramo per ciascuna specie, e di solito verso l’apice, il numero dei lobi è ridotto a 4, più spesso ancora a tre. È da notare però che le nervature divergenti sì man- tengono costantemente in numero di cinque, in modo che si con- ferma, oltre che dalla ripetuta anomalia, che la riduzione dei lobi nel numero è, più che un caso teratologico, un punto di passaggio sul quale l’evoluzione segna una direzione di sviluppo. Anche in alcune foglie di Passiflora coerulea ho potuto esami- nare la presenza di 83 lobi, anzi che di sette; i que laterali presen- tavano tre nervature ciascuno. Un grado di evoluzione maggiore si trova in varie specie ap- partenenti ad altri generi, quali la Disemma adianthifolia, Passi- flora gracilis, P. lutea, P. punctata, P.ramosa, P. triloba, nelle quali — le foglie hanno tre soli lobi con tre nervature. Nè la riduzione si ferma a tanto: nella Passiflora rubra, P. vespertilionis, P. Lesche- naultii, P. lunata, P. suberosa, P.mnormalis, i lobi si riducono a due soltanto: in alcune, come nella P. vespertilionis del terzo lobo, quello mediano, resta una traccia, come un piccolo apice sottile ed allun- 3 gato, in altre, P. Zanata, il lobo mediato è sostituito da un seno n profondo, in modo che la foglia risulta simile a due ali attaccate a i da un cordone mediano, ch’è la nervatura mediana. ti Esaminando queste foglie a due lobi, la posizione e direzione delle nervature ci dice chiaramente come dapprima i lobi dovevano essere cinque almeno. È Seguitando la riduzione si giunge a tipi con foglie a margine intiero o quasi. Così in Passiflora Imp. Eugenie, P. minima, P. Tri- «SI goni, P. serratifolia, P. angustifolia, P. lunata, P. elata, P. lauri- n: folia (1), P. littoralis, P. sexiflora, ecc. Mano a mano che si avvera questa riduzione nel numero dei lobi, la foglia diminuisce in superficie e quindi la funzione cloro- Ginny tende a passare nel fusto, come in Modecca abyssinica, piante perfettamente afilla. Nel complesso la riduzione nel numero di lobi è un fatto asso- dato nelle Passifloracee: nulla v'è quindi in contrario all’ipotesi che anche nell’Adenia venenata siasi avverato o vadasi avverando qualcosa di simile, tanto più che le riduzîoni tendono sempre ad eliminare un numero pari di lobi e che vi sono generi in questa famiglia con foglie a 7 lobi. n: La riduzione da 7 a 5 a 1 avviene sempre coi due lobi più ul prossimi al picciuolo, riduzione che talvolta, come anche in qualche altro caso di quelli citati, è preceduta da una fusione dei due lobi, Di . Ora se con la riduzione interviene l’inizio della funzione net- tarifera dei due lobi scomparsi resterà traccia evidente, così come 320 è da interpretarsi pel mucrone dell’ Adenia venenata. . Le conclusioni alle quali si giunge con lo attento esame com- parativo delle varie forme di Passifloracee, trovano adeguata con- ferma nello studio istologico di tale organo, anzi l’ipotesi emessa di: prende forza di vera certezza dal risultato di tale studio. A Di fatto, che tale mucrone rappresenti la fusione e riduzione di un doppio lobo, ce lo conferma l’osservazione al microscopio. d (1) Le brattee florali di questa specie presentano 7 denti, alla cui ascella CAI trovansi 6 nettari. Essendo la brattea una foglia metamorfosata, la presenza Lab di tali nettari, non mai osservati nè descritti in questa specie, e la loro posi- n zione, non sono estranei alla presente nota. SIIT ar Esaminiamo una sezione perpendicolare al piano fogliare ed alla direzione della nervatura mediana del lobo maggiore (mediano), passante circa a metà della lunghezza del mucrone nettarifero. A. piccolo ingrandimento, in figura d’assieme, notiamo subito : 1° Dalla parte mediana della sezione sì staccano due fasci fibro vascolari, divergenti, che terminano alle estremità destra e sinistra del mucrone. 2° La distribuzione della clorofilla è caratterizzata da due plaghe, separate fra loro, simmetricamente disposte, della parte su- periore. Il tessuto è una palizzata tipico, simile a quello che sì trova nella pagina superiore della lamina fogliare. 3° La cuticola, in corrispondenza alle plaghe di palizzata clo- rofilliano presenta il suo caratteristico aspetto, mentre nella regione che divide le due plaghe perde la sua robustezza. 4° Nella parte inferiore la cuticola ricorda quella della pa- gina inferiore della foglia, tranne che nella parte mediana (corri- spondente al nettario) dove diviene più esile. Dalle precedenti considerazioni si deduce: 1° Che la disposizione dei tessuti è simmetrica rispetto ad un piano passante pel nettario e per la regione intermedia al palizzata. Questo piano rappresenta evidentemente una superficie di sutura e le due metà corrispondono a due lobi fogliari, dove le masse clo- rofilliane, le cuticole, i tessuti lacunosi, i fasci fibro-vascolari, sono rappresentati tutti, nella loro posizione, dai tessuti esaminati nel mucrone. Il grande nettario corrisponde quindi alla fusione dei tre nettari piccoli interlobari, appartanenti ai due lobi fogliari metamorfosati. È da concludere perciò che le foglie di Adenia venenata fossero dapprima peltate, con sette lobi, di grandezza decrescente dall’apice verso la base. Che in corrispondenza a ciascun seno interlobare si trovasse un nettario identico a quelli esistenti fra i 5 lobi esistenti oggi. Che idue lobi basali si fossero fusi e metamorfosati, dando luogo ad un mucrone, nel quale i tre nettari riuniti avessero dato il net- tario attuale. Che i nettari piccoli, in seguito alla formazione di una regione nettarifera tendano a scomparire (spesso ve ne sono tre invece che quattro). Che la funzione nettarogena vada prendendo vieppiù incremento nel nettario in esame, tendendo a trasformare»tutto il mucrone in un grande nettario. Che detto organo si trovi in via di evoluzione ascendente verso una maggiore specializzazione istologica e fisiologica. PELO 7 : a ” Ù pd le - e A E RA a sE te TSE 14 Bai Va Alle precedenti considerazioni dà ancora conforto il fatto già osservato che il punto d’inserzione del picciuolo non trovasi alla base della foglia e che questa si mantiene di tipo peltato. Inoltre i due fasci fibro-vascclari del mucrone nettarifero provengono anch'essi direttamente dal picciuolo, tal quale quelli delle nervature prima-. rie della foglia e la loro direzione è tale da confermare la ipotesi fatta. E o nn m.FFr[T1t —————1_2 1_111111111111—111— ANANAS INIS LINA ADA ANS SANANSNLESRLBLINARSNSIA PLL DEVA NAS? Della priorità di alcuni nomi specifici di piante contenuti nell’ “* Auetarium ad Synopsim Metho- dicam Stirpium Horti Regi Taurinensis ,, dell’ AI- lioni pubblicato nel 1774. Per il Prof. EMILIO CHiOVENDA. La Synopsis methodica di cui qui è parola uscì alla luce nel vol. II delle Mélanges de philosophie et de Mathématique de la So- ciété Royale de Turin pour les années 1760-1761 più comunemente nota col titolo di Miscellanea Taurinensis. L’elenco contiene numerose specie che allora non erano ancora state divulgate colla terminologia binomia ed altre erano ancora sco- nosciute ai botanici. Queste piante però l’Allioni si limitava a desi- gnarle con quattro puntini e unnumero progressivoal quale corrispon- deva una nota a piè di pagina munita di una breve diagnosi o nome prelinneano, cui spesso aggiungeva una descrizione particolareggiata, talora delle osservazioni critiche, raramente accenni alla patria. L’Auctarium fu pubblicato nelle stesse Méanges al vol. V, pour les années 1770-1773 ed è a ritenersi per certo che il volume ve- desse la luce nel principio del 1774. Il prof. Mattirolo (1) ritiene come data di questa pubblicazione il 1770-73, anzi il 1770 (2) poichè ritiene pubblicato prima l’Auctarium dell’ IMustrationes et Observa- tiones botanicae del Gouan pubblicato nel 1773: però è certo che nel volume trovansi qua e là citazioni dell’anno 1772 (3): inoltre con- tiene due articoli che portano alla fine la data in cui furono scritti: I. F. Cigna De edectricitatae, Taurini die 13 Julii 1773 (4); Maquer, Second Mémoitre, etc., a Paris ce 4 juin 1773 (5). Perciò la data di pubblicazione del V volume delle Mélanges deve essere posteriore al 1773 e deve essere senza dubbio il 1774, cioè l’anno dopo all’ul- timo anno cui si riferisce il frontespizio, analogamente a ciò che (1) MartTIROLO in Malpiglia XVIII (1904), 218. (2) MartIROLO in Malpiglia XVIII (1904), 278 sub Saxifraga purpurea. (3) Pag. 48, nota 12; pag. 50, nota 14; pag. 169 nel testo. (4) Pag. 108. (5) Pag. 190. si A i Ap ata E “i ae Minato ao ecrtiralomtie red, ma AF ven ° 3% — x , < + ra CS d, i ag ì P* vi Za buia ni RS, - =) È AI fu per il vol. II per gli anni 1760-61, la cui stampa avvenne nel 1762 (1). Quando l’Allioni abbia scritto l Auctarium non mi è stato dato di sapere con certezza; però per congetture mie personali stimo che esso fu scritto almeno in parte nel 1770. Ma questa data per le re- gole fondamentali della nomenclatura non ha importanza alcuna nello stabilire la priorità dei nomi usati. Trovando noi nell’ Auciarium parecchie specie già state pubblicate da Linné nella sua Mantissa altera stampata nel 1771, altre dal Murray nel suo Prodromus florae Gottingensis pubblicato nel 1770, ed altre specie del Gouan state fatte pubbliche nel 1773 nel lavoro: Iustrationes et Observationes botanicae senza che l’Allioni non so- spettasse menomamente della loro precedente pubblicazione, può fino ad un certo punto essere una prova che la compilazione della sua pubblicazione fu fatta prima di quegli anni, oppure che quando essa avvenne l’Allioni non aveva ancora viste quelle opere, come ad esempio egli stesso dichiara a proposito del primo volume dell’ Hor- tus Vindobonensis del Jacquin stampato nel 1770 (2). La grande importanza di questo breve lavoro è passata inosser- vata quasi a tutti. Nessun conto ne tenne il suo autore e per la sua grande modestia attestata dai biografi coevi e perchè la sua Flora Pe- demontana stampata 11 anni dopo con quel lusso e grandiosità che tutti sanno eclissò completamente il piccolo ed umile lavoro. E questa fu la vera causa per cui l’Auctarium fu lasciato da banda oltre che da quasi tutti i botanici, in gran parte anche dai due No- menclator allioniani, i quali invece avrebbero dovuto presentarci fedelmente tutto quanto l’ Allioni fece nel riguardo della nomen- clatura delle piante. Ho detto però che è stato dimenticato da quasi tutti i botanici, perchè qua e Jà qualche indicazione di questo Auctarium o meglio qualche rivendicazione di priorità dell’Allioni per la determinazione di alcune specie si trova (3). Il prof. Thellung in un lavoro pub- (1) L’Allioni nell’introduzione al suo Auctarium a pag. 53 del vol. scrive: « Exhibet hoc opusculum enumerationem plantarum, quibus Hortus Regius |Taurinensis auctus est ab anno 1762 quo prodiit Miscellaneorum Taurinesium Tomus alter ». (2) Pag. 66, nota 53. Col Jacquin l’Allioni era in rapporti epistolari e di scambi e con tutta probabilità aveva avuto la notizia della Scabdiosa divaricata della quale in questa nota è cenno solo, per lettera. (8) Non posso fare a meno di ricordare il Gras che in varie riprese trattò di rettificazioni di sinonimia basandosi appunto sull’Auctarium del quale qui parliamo. Cfr. MaTTIROLO in Malpiglia XVIII (1904), p. 225 e 226 E gn blicato in collaborazione del Prof. Schinz: Begriindung vorzuneh- mender Namenstinderung an der zwveiten Auflage der Flora der Schweiz von Schinz und Keller (1) constatò in una nota a piè di pagina che la paternità di parecchie specie deve essere rivendi- cata all’Allioni. Tuttavia (e rilevo la stranezza del fatto) nes- suno tenne completamente conto del lavoro, per cui mentre di alcune specie sì è oggi d’accordo nell’ attribuirne la priorità al l’Allioni basandosi su l’Awctarium, altre non poche si continua ad attribuire impropriamente ad altri botanici i quali essendo certa- mente in relazione di scambii con esso prima della pubblicazione dell’ Aucturium ne pubblicarono inomi in precedenza, ritenendo forse che quei nomi fossero già stati fatti di dominio pubblico. Altre piante furon dall’Allioni denominate con nomi eguali a quelli usati da botanici precedentemente: così, per esempio, alcune A/0è hanno gli stessi nomi usati già nel 1768 dal Miller perchè tanto il Miller che l’Allioni trassero i loro nomi dalle frasi antiche con cui quelle piante si designavano. Per ciò che si riferisce alla identificazione delle specie designate come nuove l’autore nell’introduzione avverte: « Quae minus notae aut novae sunt brevi descriptione ita definiuntur, ut saltem certo nunc internosci possint; alio autem loco et copiosius, et icone illu- strabuntur ». Io ritengo che anche quelle specie per le quali l’Al- lioni non ha allegato che una semplice frase sinonimica, dell’Haller, del Clusio, del Gérard, ecc., colla relativa citazione bibliografica, non sono assolutamente da considerarsi come semplici nomina nuda, ma debbono essere ritenute per specie ottimamente designate, poichè nelle citazioni indicate si trovano di solito descrizioni e talora anche figure, che con tutta facilità permettono l’identificazione della specie. Debbo i più vivi ringraziamenti al prof. Oreste Mattirolo di- rettore dell’Istituto botanico di Torino per avermi comunicato in visione parecchie delle specie dall’ Allioni qui indicate e conservate in quegli erbarii. Avverto che pongo per primo nome quello che, nella nomenela- tura attuale, le specie devono portare e distinguo in carattere gras- setto il nome dato dall’Allioni nel suo Auctarium. Naias marina Linn. (1753) excel. var. f et y. — N. major All. (1774) pag. 55, nota 1. Naias minor All. (1774) pag. 55, nota 2. Salvia nivea All. (1774) pag. 56, n.8 non Thunb., Pers. (1805) Est S. officinalis var. nivea (All.) Chiov.: Folia lanceolata, vel lanceo- (1) In Bull. Herb. Boiss. Ser. II. vol. VII (1907) 572. ANNALI Dì BorANICA — Vor. X. 2 \ sei Dt lato-linearia quam in typo angustiora et magis minusve basi et apice cuneatim angustata, in pag. inf. dense niveo-candicantia. A S. lavandulaefolia Vahl recedit foliis forma diversis, trichomate alieno et calice structura diverso. An S. cretica Linn.? (1). Salvia caesia All. (1774) pag. 56, n. 9. Quid? (2). Centranthus angustifolius (A1l.) DC. = Valeriana angustifolia All. (1774) p. 57, n. 10. Galium lucidum A11. (1774) p. 57, n. 13 = G. Gerardi Vill. (1779); = G. corrudaefolium Vill. (1779). Galium cinereum All. (1774) p. 57, n. 14. Galium tenuifolium All. (1774) p. 58, n. 15, = GG. erectum Huds. Fl. Brit. ed. II, (1778). Thymus pannonicus All. (1774) p. 58, n. 16. Betonica hirsuta Linn. (1771) — B. alpina All. (1774) 59, n. 18. Betonica danica All. (1774) 59, n. 19 = B. stricta Ait. (1789). Digitalis ambigua Murr. (1770) — D. grandiflora All. (1774 p. 61 n. 28. Digitalis lutea Linn. (1753) — D. parviflora All (1774) p. 61, MA d0. Erythrichium nanum (All) Schrad. — Myosotis nana All. (1774) preolosne SI Valle 1z79): Androsaces carnea Linn. (1753) — Aretia punctata All. (1774) pi(02/0n.033) Primula hirsuta All. (1774) p. 62, n. 34. Phyteuma Scheuchzeri All. (1774) p. 63, n. 88. Ipomoea obscura (Linn. 1762) Ker. = I. curassavica All. (1774) 63, n. 36 secondo un esemplare autentico dell’erbario di Torino (8). Campanula alpestris Al. (1774) p. 65, n. 40 = C. Allionii Vill. (1779). Atropa Zanoni All. (1774) quid? non vi sono esemplari nell’er- bario di Torino. La figura di Zanoni è citata (Historia PI. ed. Monti (1742) t. 153, pag. 206). Solanum quineense (Linn.) Mill. (1768) — S. melanocerasum All. (1774) p. 64, n. 43. (1) Il Thellung. 1. c. la riferì con dubbio alla S. lavandulaefolia Vahl. (2) È probabilmente specie americana coltivata secondo il Barrelier nel giardino di un convento di frati predicatori a Valenza in Spagna. Secondo il il prof. Mattirolo (in litt.) non esistono esemplari di questa specie nel Museo botanico di Torino. Il Thellung 1. c. la riferisce dubiosamente alla S. viridis. (3) Cfr. Mattirolo in Malpighia XVIII (1904) 280. Pes ei Solanum capsicoides Guatteri ap. All. (1774) p. 64, n. 44 — S, aculeatissimum Jacq. (1786) = S. ciliatum Lam. (1793). Secondo un esemplare autentico dell’erbario di Torino. Gasteria carinata (Mill. 1768) Haw.; — Aloe carinata All. (1774) p. 65, n. 46. Aloè humilis (Linn. 1753) Haw.. = Aloé verrucosospinosa All. (1774) 65, n. 47. Aloé succotrina All. (1774) 65 n. 48; Lam. (1784). Aloé obscura Mill. (1768) = A. maculata All. (1774) 65, n. 49; Desf. (1804). Aloè glauca Mill. (1768) —= A. glauca All. (1774) 65, n. 50. Scabiosa divaricata Jacq. Hort. Vind. I (1770); — S. sicula Linn. Mant.. Alt. (1771); — S. marylandica Marsilli ap. All. (1774) 66, n. 53. Sul cartello dell'esemplare dell’erbario di Torino è scritto: <« Scabiosa maril. ex H. R. T. 4 Julii 1786 » e aggiunto di pugno del Balbis: « var. sicula ucranicae ». Ambrosia peruviana B. Jussiea ap. ALL (1774) p. 67, n. 54; Willd. (1805). Non ho potuto vedere esemplari autentici. Nell’Er- bario di G. Balbis presso l’Istituto Botanico di Torino vi sono due esemplari dell’A. Peruviana dei quali uno colla scritta: Ambrosia peruviana ex H. matrit » e coll’aggiunta di Balbis:« Ambrosia he- terophylla Muhlenb. Belli: d. ex Paschal Spr. 111-351 Sp. Amer. or ». Gli esemplari appartengono indubbiamente all’A. artemisiaefolia Linn. L’altro esemplare dell’Erb. Balbis porta la scritta: « Ambro- sia peruviana W. » (prima era scritto H. Matr) a D. Pascal 1804. Evidentemente questi esemplari provenendo da Madrid non sono autentici. Secondo la descrizione specie per le foglie sudtus to- mentosis la vera pianta di Allioni doveva essere identica a quella descritta dal Willdenow. Carlina acanthifolia All. (1774) p. 67, n.55; — C. Utzka Hacq. (1782). Centaurea montana B. Triumphetti (All.) Briq. — C. Triumphetti All. (1774) p. 68, n. 56; — C. azzllaris Willd. (1800). Artemisia vallesiaca All. (1774) p. 68, n. 58. Artemisia Lobelii All. (1774) p. 68 n. 59; = A. camphorata Vill. (1779). Stphium terebinthinaceum Jacq. (1770) — S. alternifolium All. (1774) 69 m. 61. Del S. alternifolium All. esistono all'Istituto Bo- tanico di Torino ‘esemplari nell’ Erbario Allioni con denomina- zione sostituita con quella di S. feredinthinaceum Murr. Nell’ erba- rio Colla ne esiste pure uno con quella denominazione colla cor- rezione « S. terebinthaceum L. supp. in Spr. III. 629 » coll’aggiunta ao die TI RAGA AI i N " = pad Ido SP dA peri E) = in alto « Quid ? >» e in basso « ex Ceruti ». Indubbiamente questi esemplari sono da riferire al Silphium terebinthinaceum Jacq. Hort. Vindob. I (1770) p. 16. dell'America settentrionale. Achillea erba rotta All. (1774) p. 69, n. 62 (1). Achillea ligustica All. (1774) p. 69 n. 63. Senecio siculus All. (1774) p. 70 n. 66 — S. chrysanthemifolius Poir. (1806). Doronicum Clusii (All.) Tausch. = Arnica Clusii All. (1774) p. 70 n. 68; — Arnica Doronicum Jacq. (1773) = Doronicum hirsutum Lam. (1790). Hieracium glaucum All. (1774) p. 71, n. 70. Hieracium staticifolium All. (1774) p. 71, n. 71, Hieracium intybaceum A1l. (1774) p. 71, n. 72 (2); Jacq. FI. Austr. ida) =. (albidum VIII): Lactuca augustana All. (1774) p. 72, n. 74. Iberis garexiana All. (1774) p. 72, n. 77. Alyssum argenteum All. (1774) p. 73, n. 79; Vitman (1790). Arabis coerulea All. (1774) p. 74, n. 82. Arabis scabra All. (1774) p. 74, n. 83 (3) — A. serpyllifolia Jacq. (1775). Euphorbia pinea Linn. = E. linifolia All. (1774) p. 76, n. 85. Melilotus messanensis (Linn. 1771) All (1785); = Trifolium me- lilotus minima All. (1774) p. 76, n. 86. Trifolium spumosum Linn. (1753); = T. apulum All (1774) p. 76, n. ST. Trifolium saxatile All. (1774) p. 77, n. 88; — 7. taymiflorum Walls&(1779); Ononis cenisia Linn. (1771); — 0. alpina All. (1774) p. 77, n. 91. (1) Nella Flora Pedemontana I. p. 150, il nome è modificato in hRerdarota; ma questa forma io la ritengo meno esatta della forma primiera, poichè il nome vernacolo della pianta qui usato come specifico è erba rotta, cfr. Cor- Tuso ap. MattIOLI, Discorsi Diosc. (1568) fol. * * * 3 retto. VALERAND DOUREZ la chiamava herdba de la Rotta, ctr. J BAUA. et CHERL., Hîst. PL, III, I, p. 144. Secondo il CoLLa però (Herb. Pedem., VIII, p. 32, n. 644) il nome vernacolo sa- rebbe Erba d’ la routa. Comunque sia, credo che il nome specifico da adot- tarsi sia il primo usato. (2) Cfr. S. BeLLI in Malpiglia XVIII (194) 353 però la paternità della specie è assolutamente dell’ALLIoNI. Cfr. anche Thellung. l. c., non pag. 390, ove è riferito al Wulfen. (3) CLAIRvILLE, Man. herb. Suiss. et Val. (1819) 223 ove è tenuta separata dalla A. serpyllifolia. Thellung 1. c. riferisce l'A. scabra all’ A. stricta Huds non so però per quali ragioni. Me Ononis pusilla Linn. Syst. nat. ed. X (1759); — 0. Columnae AIA) pil ni 90 110 subocculta Villi (1779); =-0. par- viflora Lam. (1753) (1). Ononis foetens All. (1774) p. 77, n. 89 — O. procurrens Wallr. (1822). Ligusticum ferulaceum All. (1774) p. 80, n. 97. Trochiscanthes nodiflora (Al.) Koch; — Ligusticum nodiflorum All. (1774) p. 80, n. 96; Vill. (1779); = Imperatoria nodiflora Lam. (1778). Ridolfia segetum (Linn.) Moris; —Anethum segetum Linn. (1771); — Anethum pusillum All. (1774) p. 80 n. 98 (2). i Physospermum aquilegifolium (AU.) Koch; — Coriandrum aquile- gifolium All. (1774 p. 81, n. 100. Bupleurum Gerardi All. (1774) p. 81, n. 99. Daucus gummifer All. (1774) p. 82, n. 104; Lam. Dict. I (1789). Hibiscus laevis All. (1774) p. 83, n. 101; Scop. Del. Insubr. III (1788); = H. militaris Cav. Dissert. VI (1788) Mant. III. p. 352 t. LISS£ 42003): Hibiscus autumnalis All. (1774) p. 83, n. 107. Quid ? an H. mem- branaceus Cav. (1787)? Secondo comunicazione del Prof. Mattirolo non esistono esemplari nel museo botanico di Torino. Viola Ruppii All. (1774) p. 84, n. 109. Viola arvensis Murr. (1770); = V. arvensis All. (1774) p. 84, n. 108. Melia sempervirens All. (1774) p. 85, n. 113; Sw. (1788). Sarifraga cotyledon Linn. (1753) p. p. (4); = S. multiflora All. (1774) p. 86, n. 114; — $&. pyramidatis Lap. (1795). (1) Cfr. Rouy et FoucauD, FI. de France, IV (1897) p. 276. (2) Cfr. SteUD. Nomenel. Bot., ed. II, vol. I, p. 97. (3) MarTIROLO in Malpiglia, XVIII (1904), 260. (4) Linné, nella sua ,S. cotyledon confuse o come sinonimi, o come varietà parecchie specie ben distinte. La var. g è certamente la ,S, aizoon x minor Kocn; la var. y è la S. cotyledon in senso stretto quale oggi si intende ; la var. è è la S. longifolia Lap. ; nella var. e il sinonimo di Boccone va rife- rito alla ,S. cotyledon in senso stretto, e quello del SEGUIER alla S. elatior M. K. Nel suo tipo poi LinnÈ confuse evidentemente insieme come risulta dai si- nonimi citati la S. aizoon var. maior KocH e la vera S. cotyledon. Per tutto ciò il nome S. cotyledon sarebbe da abbandonare; ma essendo i botanici una- nimi dopo JAcQUIN (1775) e ALLIONI (1785) ad attribuire il nome SS. cotyledon alla specie multiflora a petali per lo più lattei, anch'io seguo l’uso, avvertendo però che se si dovesse venire ad una sostituzione di nome, quello dell’ALLIONI avrebbe la priorità su qualunque altro. Rouy, ha distinto la pianta delle Alpi da quella di Norvegia che sarebbe la forma tipica, quella si dovrebbe chiamare S. cotyledon var. multiflora (All). vt pente id iii È «È È È È Mari SES FERRER E INR RESI IR RI SRI RE NOTI Sabri III 7 OSRACORE RI SII ' < da n n° so ATENEA RIA na, EROI Saxifraga muscoides All. (1774) p. 87, n. 117 (1) (non Wulf. 1781); — S' planîfolia Lap. (1795); = S. moscata Clairv. Manuel herb. Suis. et Val. (1819) 141 non Wulf. Saxifraga biflora All. (1774) p. 86, n. 116. Saxifraga retusa Gouan IMustr. (1773) = S. purpurea All. (1774) p. 86, n. 115; — S.imbricata Lam. (1778) (2). Alsine flaccida (A1l.) Chiov. — Arenaria flaccida All. (1774) p. 87, n. 122 (8) — Arenaria Villarsii Balb. (1804); — Arenaria au- striaca All. (non Jacq.) (1785). Moehringia obtusa (All.) Chiov. = Arenaria obtusa All. (1774) p. 87, n. 121, FI. Ped., II, 114, n.1714, t. 64 fig. 4 (4); — Arenaria polygonoides Wulf. (1786); —- M. ciliata Schinz et Kell. non Dalla Torre. Spergularia maritima (Al. Chiov. — Arenaria maritima All. (1774) p. 87, n. 119; — Arenaria marginata DC. (1805). Helianthemum apenninum forma roseum (All.) Grosser. = Cistus ro- seus All. .(1774) p. 89, n. 127, 27. Pedem. II, 108, n. 2675, 1. 45, fig. 4, Jacq. HMort. Vindob. ÎIII. (1776) f. 65. Il Cistus roseus All. nell’erbario dell'Istituto bot. di Torino e stato da qualcuno dei successori dell’Allioni unito col Cistus mutabilis Jacq. Con questo nome ho visto tre fogli e cioè: 1° due esemplari con cartellino autografo di Jacquin « Hibi- scus [poi corretto in Cistus] mutabilis Jacq. Misc. V.2 >»; nel foglio (1) MATTIROLO in Malpiglia, XVIII (1904), 277. (2) HAyEK, VACCARI e MaTtTIROLO hanno dato io credo erroneamente la precedenza al nome allioniano su quello proposto dal GoUAN e pubblicato un anno prima. L’ALLIONI riporta alla sua specie questa brevissima diagnosi : Saxifraga caule repente, foliis qnadrifariam imbricatis acutis glabris, che si confà piuttosto alla S. Wu/feniana ScHoTT che non alla S. augustana Vacc. (3) CLAIRVILLE, Man. Herb. Suis. Val. (1819), p. 149 senza indicazione di autore, ma coll’indicazione del n. 864 che si riferisce alla collezione di piante elvetiche pubblicate dallo Schleicher. Nella prima edizione del Catalogum di questo botanico pubblicato nel 1800, infatti troviamo a pag. 7 l’Arenaria fla- cida Mihî, distinta col n. 864; nella edizione del 1815 « Catalogum hucusque absolutum omnium plantarum in Helvetia Cis et Transalpina sponte nascen- tium editio tertia emendata et aucta » è messa nelle Addenda a pag. 46 A. fla- cida S ; nella edizione quarta invece sta a pag. 8. A Yflaccida S Mertens e Koch (in Réhblings Deutseh2 FI. III (1831) 285 considerano l’ A flaccida di Schleicher come una forma di A. verna gracile, allungata delle località umide. L’esemplare autoptico di Schleicher dell’erbario Cesati dà per- fettamente ragione a Mertens e Koch. Nell’erbario Cesati stesso insieme con esemplari autoptici dell'A. triflora Vill. ve ne è uno di A. flaccida Nob. non firmato ma che Cesati attribuì al Bellardi: ambedue sono senza dubbio di A_Vi/- larsii. (4) CLAIRVILLE, . c., p. 150. a: Apa poi nell'angolo inferiore destro è scritto pare da Allioni « Mibiscus [corretto come sopra] mutabilis a D. Jacqu » [sic]. Essi appartengono indubbiamente all’H7. chamaecistus Mill. var. E mutabile (Jacq.) Grosser. 92° Tin frammento con la scritta nell'angolo inferiore destro del foglio: « C'istus mutabilis Murr. » cui Allioni aggiunse: An? Helianthemum folio ampliori flare roseo Sherard Hall. Gott. 115 ». Esso corrisponde all’ H. chamaecistus var. y roseum Willk. 3° Un esemplare con la scritta di pugno dell’Allioni nel- l'angolo destro inferiore del foglio « Cistus roseus » corretto poi (forse da Bellardi) in mutabilis. Questo esemplare che io considero autentico dell’ Auctarium e della Flora Pedemontana, certamente devesi riferire all’H7. apenninum var. roseum (All) Grosser. Rosa lutea Mill. (1768); All. (1774) p. 90 n. 131. Anemone Halleri. All. (1774) p. 92, n. 134. Ortegia dichotoma All. in Misc. Taurin. III (1762) p. 176, t. 4, fig. 1, V. (1774) p. 92, n. 186; Linn. Mant. alt. (1771) (1). Kochia prostrata (Linn. 1753) Schard.; — Chenopodium augusta- num All. (1774) p. 93, n. 139; 77. Pedem. II. (1785) 198, n. 2020, t. 28, fig. 4. Rumex arifolius All. (1774) p. 94, n. 140 (2) (non Linn. fil. 1781); — R. montanus Desf. Polygonum minus Huds. (1762); — P. strictum All. (1774) p. 94, n. 141. Polygonum alpinum All. (1774) p. 94, n. 142. Cyperus glaber Linn. (1771); = €. spadiceo-viridis All. (1774) p. 95, n. 143. Festuca spadicea Linn. (1767); = Poa Gerardi All. (1774) p. 91, n. 144. (1) È specie ben distinta dalla O. Rispanica Linn. colla quale è stata da alcuni erroneamente riunita (cfr. PAx ap. ENGLER u. PRANTL, Nat. Pflanzenf. III, I B., p. 87). Ammessa nel Nomencator del Buniva p. 135 n. 2061 (lapsu. typ. 261) è stata omessa in quello del MATTIROLO. (2) KocHÒ, Syn., ed. I (1837) p, 615, ed. III (1857), p. 532. Intorno a due nuovi generi di piante appartenenti alla famiglia delle « Malpighiaceae ». del Prof. E. CHIOVENDA. Studiando i materiali indeterminati delle collezioni somaliche fatte dall’ingegnere Luigi Robecchi-Bricchetti nel 1891 e dal dottor Domenico Riva aggregato alla spedizione del principe Eugenio Ru- spoli nel 1893 sono stati oggetto di particolare attenzione da parte mia due esemplari incompleti perchè solamente fruttiferi. Quello distinto col n. 1081 è specialmente notevole per la grande abbondanza delle fruttescenze isolate con frutti maturi, in parte completamente attaccati e in parte coi mericarpi staccati. Quello invece distinto col n. 865 è costituito da una unica infruttescenza attaccata ad un pezzettino di ramo o meglio ad una lacinia strap- pata ad un ramo, dal quale disgraziatamente non si può rilevare neppure come fosse la disposizione delle foglie. Ambedue gli esem- plari furono raccolti dal Riva nell’Ogaden ai pozzi di Cavernaj (Carbadan) il 7 e il 10 gennaio 1893. Le infiorescenze sono corimbose, lungamente peduncolate. I frutti sostenuti da pedicelli lunghi 2-10 mm., sono costituiti sempre da quattro carpelli samaroidei inseriti ai lati di un toro tetra- gono, angusto, assai elevato, lungo circa 10 mm., dal quale assai facilmente si separano a maturità perfetta ed allora restano attac- cati alla sommità del toro e pendenti, mercè una bandelletta, che in- curvandosi e passando sopra l’apice del carpello si inserisce ad una protuberanza subapicale stimmatica situata sulla faccia esterna di esso. Sotto il frutto si notano le relique del calice costituite da 5 sepali lunghi circa 1 mm. subrotondi senza traccia alcuna di pro- cessi ghiandolari e internamente con un disco annuliforme. Il seme è affatto privo di albume: l’embrione è grande con co- tiledoni subfogliacei ed è perfettamente ortorrizo e pendente dalla sommità del lato interiore della loggia. Tutte le parti osservate si presentano assolutamente prive di glandole oleifere. Per tutti questi caratteri questa pianta deve appartenere alla famiglia delle Malpighiaceae e precisamente alla tribù delle Pyra- midotorae, sottotribù Miraceeae di Niedenzu. In questa famiglia non mi è riuscito di trovare alcun genere che per i caratteri carpologici potesse riferirsi alla pianta in di- scorso: di questa perciò ho dovuto farne il tipo di un nuovo ge- tl - a a og i nere cui apposi il nome di TerRrasPIS per i quattro carpelli più o meno a forma di scudi, foggiandone il nome alla guisa dei due ge- neri già esistenti in questa stessa famiglia di Diaspis Niedenz. (1) Triaspis Juss. e chiamo la specie T. RusPOLIANA. Illustr. I. Fig. 1-7. — Tetraspis. Ruspoliana Chiov. 1. Frutto; 2. Un carpello maturo; 3. Sommità del frutto visto dall’ alto; 4. Sommità del carpello visto di profilo; 5. Lo stesso visto di fronte; 6. Se- zione trasversale di un carpello a metà; 7. Sezione mediana di un carpello. Le figure 1 e 2 sono in gr. nat; le altre fortem. ingrandite. a embrione, d camera d’aria, c ali, d stilo, e stimma. Il genere Tetraspis ha una struttura carpellare che si discosta assal da quella di tutti gli altri generi della famiglia e per la quale facilissimamente se ne differenzia. Frutto tetramero (fig. 1-3); stili (1) Al genere Diaspis che per ora non ha che una sola specie la D. a/- bida Niedenz. è forse da riferire anche la Triaspis Erlangeri Engler i cui frutti non sono noti, ma cui l’autore attribuisce: « ovarium plerumque dimerum ». FISONTE —S quattro saldati coll’apice dei carpelli e con gli stimmi sessili sotto l’apice dorsale (esterno) dei medesimi: carpelli facilissimamente solubili dall’asse centrale e pendoli da principio, dalla parte infe- riore dello stilo trasformato in un breve carpoforo; biloculari colle loggie sovrapposte, quella interna (assile) sterile e trasformata in camera d’aria, l’esterna fertile e recante ai lati le ale. La configurazione esterna dei carpelli invece è perfettamente quella delle Pyramidotorae Hiraecae. La presenza di camere d’aria nei carpelli delle Malpighiaceae è nota in altri generi per es. Cau- canthus, Jubelinia, ecc., ma in essi le camere d’aria sono due e col- locate ai lati della loggia fertile. Il carpoforo lo si riscontra per es. nei generi Guudichaudia, Janusia, ecc. ma esso non è distinto nettamente dell’asse centrale come nel nostro genere, ma è l’asse che si scinde fino alla base in tre rami sostenente ognuno un carpello per la base. È peraltro assai notevole nel genere Gaudichaudia, la G. Uh- deana Niedenz. della quale il Niedenzu fece il sottogenere Archi- gaudichaudia caratterizzato dal gineceo quadricarpellato. È interessantissimo nei carpelli di questo genere l’analogia con quelli dei frutti delle Umbelliferae. La protuberanza apicale dei car- pelli da me sopra accennata ha certo analogia collo stilopodio delle ombrellifere stesse: ma questa affinità è puramente apparente ; poi- chè mentre nel gen. Tetraspis la parte che ho chiamato carpoforo è certo una dipendenza dello stilo, che alla sua base resta in parte aderente all’apice dell'asse; il carpoforo delle ombrellifere è certa- mente una dipendenza dell’asse fiorale (1). Il Niedenzu separò nel genere Caucanthus Forsk. una sezione che chiamò Eriocaucanthus in contrapposto a Eucaucanthus at- tribuendo i seguenti caratteri. Liana dense pilosa non solum par- tibus novellis pedunculisque cuiusque ordinis, sed etiam ramis fo- liisque vetustis; ramulis quoque foliiferis floriferisque + elongatis, petioli lungitudine via '/,-*/, foliis aequante, stipulis brevibus subula- tis demum deciduis; corymbis in paniculam folioliferam ramos ter- minantem dispositis; bracteis bracteolisque subulatis; petalorum limbo dorso carinato, basi subhastata undulato et liguliformi inflexo, cae- terum integerrimo ; samarae ala oblomgo-ovali (2). Studiando i frutti maturi della Triaspis auriculata Radlkof., per la presenza delle due camere d’aria in essi la ritenni da prima come specie del genere Caucanthus (C. auriculatus) ma ad ur’ osserva- zione accurata ho constatato in essi alcune caratteristiche impor- tanti per cui i suoi frutti differiscono notevolmente da quelli del (1) Cfr. Gobel Organographie Pfl. p. 745 fig. 494. 7-9. (2) Niedenzu in Bull. Herb. Boiss. Ser. II. vol. IV (1904) p. 1010. Sag ELI Prà” i gu'ediole tin agili ea ei : fi SE È d te À pae FER 4 : e. n - A i RA “n a L LEI, ala Ù qoc vid % DI Ra Pet, SPO ni BIRRE dx FR nani ch Pile DE int deltti RSI IERCS®I RR 19%, 9) te: FER LE Mar dea RAT ROTTO SE > "deg Oro I 4 i in ato MIRA GOTI È È, ne c pes } pe dele, 5 a li ; i : — 23 — o Caucanthus edulis Forsk. (1): epperò aggiungendo questi caratteri ai più importanti tra quelli assegnati dal Niedenzu alla sua se- zione dedotti dalle stipole e dai petali, ho fatto della sezione il nuovo SA genere Eriocaucanthus. Il genere Caucanthus (Illustr. II, fig. 8) ha i carpelli triloculari Illustr. II. — Fig. 8 Caucanthus edulis Forsk — Fig. 9-10 Eriocaucantus .8. — Caucanthus edulis, Forsk. Sezione trasversale mediana di un carpello. Fig. 9-10. — Eriocaucantus auriculatus (Radlk.) Chiov.: 9. Sezione trasversale submediana di un car- pello; 10. Sezione longitudinale mediana di un carpello. % 3 » S > 3 3 S 3_n E (1) Per gentilissima concessione del proprietario dell’Herbier Boissier-Bar- ey ho potuto esaminare esemplari di frutti di questa specie, ma che non avevano il seme perfetto: porgo perciò i più vivi ringraziamenti. porla con una loggia fertile assile, ventrale, munita di pareti reticolato- fibrose e due loggie sterili (camere d’aria) separate tra loro dalla loggia fertile che circondano quasi completamente e anteriormente sono tra loro separate da un setto brevissimo quasi nullo: l’em- brione è notorrizo (1). Gli stili sono filiformi e saldati insieme alla base e sono poco rigidi alla maturità. La pianta ha foglie piccole tondeggianti subcoriacee alla fine glaberrime, prive di sti- pole. I petali sono lisci e rotondati nel dorso. | Il genere Eriocaucanthus (Niedenz.) (Illustr. II, fig. 9 e 10), quantunque abbia come il Caucanthus i carpelli triloculari, ha le due camere d’aria sovrapposte alla loggia fertile verso il lato esterno, e sono tra loro separate da un setto bene sviluppato: l'embrione non è notorrizo, la radichetta è sull’asse dell'embrione; i cotiledoni sono ripiegati solo nell’estremità apicale in senso con- trario e sono imbricati, l'esterno cioè abbraccia l’interno ripiegato su se stesso. Gli stili sono perfettamente liberi, rigidi, a maturità subconici e leggermente accrescenti. La loggia fertile ha le pareti non reticolato-fibrose. La pianta ha foglie membranose assai pelose specialmente di sotto ove sono sericee e sono munite di stipole. I petali sono carenati nel dorso. Il genere Eriocaucanthus ha tre specie: due dell’Africa tropico- orientale, gli E. auriculatus ed E. cinereus; una dell’Africa Australe, VE. argenteus. Riguardo poi alla collocazione dei due generi nella classifica- zione della famiglia delle Ma/pighiaceae, osservo, che mentre il se- condo, Erzocaucanthus, si deve collocare nella sottotribù designata da Niedenzu col termine Aspidopteridinae a fianco del Caucanthus Forsk.; del genere 7etraspis ne farei una sottotribù a sè da deno- minarsi TETRASPIDINAF. Riassumerei i caratteri della tre sottotribù della tribù iraceae così: A. Stili saldati coll’apice dei carpelli; stimmi sessili nel lato dorsale (esterno) poco sotto l’apice; carpelli a maturità pendenti da un carpoforo inserito al loro apice. Tetraspidinae. AA. Stili liberi dai carpelli che sono tenacemente saldati al- l’asse ovvero con carpoforo che si inserisce alla loro base. B. Stili più o meno sottili, lunghi, incurvati. Calice per lo più senza glandole. Piante di Asia, Africa e Australia. Aspidopteridinae. BB. Stili tozzi, per lo più diritti e rigidi. Calice per lo più con 8 glandole. Piante americane. Mascagniinae. (1) Questo carattere è riferito dal Niedenzu, io non.l’ho potuto riscon- trare, perchè nei frutti da me esaminati l’embrione era in cattivo stato. SOI pe TA La Dl de WE Lai PIA See sea fil È ft Da i , b (SE) MACTLTA A, rr‘ E i rr ‘lr rPooppy[(ÒÙ([(9(>AAeAoAaoyoZA(H(HINIR‘I“‘?F PFEGV';’-&-@&;-;;-<’’’’’“’’>-ee<;;;’. SECCA TLTXNIAEXSI TN TLT o y€>6--[YLS NSX N IDEENASLININISTEA: BREVI COMUNICAZIONI Nuova stazione sarda del Colus hirudinosus Caval. et Séeh. Nell'aprile dell’anno decorso 1910, segnalavo in questi Annali (vol. VIII, fasc. III), la presenza in Sardegna di una elegante e graziosa specie di Clathracea il Colus hirudinosus Caval. et Séch., da me determinata nell’anno 1902, sopra materiali avuti dalla genti- lezza dell'amico prof. Saverio Belli. \ Oggi ho nuovamente la soddisfazione di ricordare la stessa specie raccolta in altra località della Sardegna dal chiarissimo signor in- gegnere dottore M. Taricco del R. corpo delle Miniere, il quale cortesemente me l’inviava per la determinazione (26 nov. 1911). La località nuova dista dal mare dirca 14 chilometri e si trova ad un altezza di circa m. 155 s. 1. d. m. ad ovest della stazione di < Cabitza » sulla linea ferroviaria che si svolge nella Vallata Iglesias, Monteponi, Gonnesa. \ La specie, in scarsi esemplari, venne raccolta sotto le fronde di un Cistus monspeliensis Linn. in terreno scistoso, incolto e coperto di cespugli nani di Cisti, Mirti, Lentischi Carbeszoli Asfodeli... dove qualche albero di Sughero e di Pero selvatico rompe la monotonia della vegetazione nana. Secondo le indicazioni dell’ing. Taricco, comparve il Colus dopo una pioggia abbondante, circostanza questa notata già da Monta- gne 1820-23, da Cavalier et Séchier 1885 e confermata da 7ulasne 1846-49. Sulla importanza e sul significato di questa specie, che rappre- senta una delle entità più caratteristiche della Flora micologica co- stiera mediterraneo-tirrena, ho discorso nella noterella sopra citata. mentre oggi, ringraziando il gentile mio corrispondente, credo utile nia a de n ì . l'in _ ai at n è ha ù = RR LE io depp SR " ta È ie, } atei le RASO \ Re agli IRR, SL 'EIRS® SIZO Meri STA si ip, ic) ° at he SITI VERA — sv % IO, tap” A È , gl dd MA da TM Ù e iaia e Le Lg a ci Pet agg lo a » ©. hi ricordare questa nuova località che riconferma la presenza del Colus in Sardegna e ne estende l’area di distribuzione. Unitamente alla specie in discorso ebbi pure dal signor ing. M. Taricco alcuni esemplari di Pisolithus arenarius Alb. et Schwein., specie la quale finora, per quanto ho potuto sapere, non era stata riscontrata in Sardegna, mentre figurava già per la Sicilia, per l'Isola del Giglio (1), e per numerose località della penisola. In Sar- degna fu trovato il Pisolithus dal signor ing. Taricco, in vicinanza di piante di Cistus monspeliensis Linn. Così pure ebbi dalla cortesia dello stesso raccoglitore lo Scle- rangium polyrrhizon. Lév.non ancora stato ricordato per la Sardegna. Torino, R. Orto Botanico, Dicembre 1911. Prof. 0. MATTIROLO. Sopra un caso di avvelenamento cronico di piante da frutto pro- dotto da emanazioni gassose di stabilimenti industriali. Un interessante contributo alle nostre cognizioni intorno alle al- terazioni macro e microscopiche delle piante in seguito all’avve- lenamento cronico, causato dall’anidride solforosa, è stato portato recentemente da alcune ricerche sui danni subìti dai chinotti (Ci- trus sinensis Risso) coltivati presso uno stabilimento industriale nelle vicinanze di Savona (2). La vegetazione dei poderi situati in prossimità di questo sta- bilimento si presentava in condizioni di deperimento molto evi- denti, ridiventando gradatamente normale nelle aree più distanti. Le piante legnose erano le più danneggiate e cioè i chinotti, gli aranci, i limoni, e le piante da frutto comuni (peschi, peri, sorbi, susini, viti, ecc.). Molti chinotti e fruttiferi avevano perduto le (1) Vedi O. MatTIROLO. — Gli Ipogei di Sardegna e di Sicilia. Malpighia, anno XIV, vol. XIV, 1900, pag. 55, 56, 5. (2) Relazione di perizia nella causa sommaria di Zanelli Angela contro la Società anonima di lavorazione dei carboni fossili e loro sottoprodotti. Torino, Vincenzo Bona, 1911, pp. 82, in 4°, 3 tav. — Nasini R., relatore della parte chimica; Cuboni G., Mattirolo O. relatori della parte botanica. parti innestate e non vivevano che per rigetti basali del soggetto. Le viti avevano una vegetazione stentata; pochi tralci ad inter- nodi corti, per lo più infruttiferi. Tra le piante erbacee i pomo- dori eran quelli che presentavano i caratteri più accentuati di deperimento, e cioè foglie accartocciate, pallide, parzialmente dis- seccate. Le fave presentavano la maggior parte dei legumi imbru- niti ed abortiti. La vegetazione erbacea spontanea aveva solo un colore più pallido e non aveva subito che pochi danni, limitati ad alcuni individui di poche specie. i Come causa delle condizioni di deperimento suddette è risul- tato doversi escludere assolutamente l’effetto del deposito di pui- viscolo carbonioso derivato dal fumo delle fabbriche e così pure l’azione di parassiti animali o vegetali, o del gelo, dei venti o della natura del suolo. L'analisi botanica e chimica hanno dimostrato al contrario trat- tarsi di un caso di avvelenamento cronico dovuto alle emanazioni solforate prodotte dal suddetto stabilimento, in cui per la lavora- zione dei carboni fossili e loro sottoprodotti (solfato ammonico, benzolo, catrame, ecc.) si distillano giornalmente 200 tonnellate di carbone. I gas riversati nell'atmosfera dalla ciminiera contengono l’anidride solforosa nella concentrazione di 0,04-0,08 % a seconda della maggiore o minore quantità d’aria con cui si fa la combu- stione. Le alterazioni che si osservano sulle piante di chinotto in seguito a queste emanazioni tossiche sono le seguenti: Le foglie pur conservando i caratteri morfologici esterni nor- mali, presentano un indebolimento generale del tono di colora- zione, un ingiallimento al bordo del lembo in corrispondenza cioè della regione degli stomi acquiferi, una diminuzione dell’attività di traspirazione. Queste foglie facilmente di distaccano e cadono, lasciando denudati i rametti che gradatamente disseccano. Questo: disseccamento va rapidamente distendendosi ai rami sempre più grossi determinando infine la morte di tutta la pianta, la quale per un periodo più o meno lungo cerca di reagire a queste altera- zioni progressive con la produzione di nuove gemme delle quali le prime possono anche riescire a svilupparsi, ma quelle successive finiscono tutte per abortire e disseccare. In corrispondenza dei caratteri macroscopici esterni l'esame mi- croscopico rivela la scolorazione graduale dei granuli di clorofilla, l’ingiallimento del plasma, la dissoluzione finale dei granuli nella massa plasmatica che si colora sempre più intensamente in giallo- bruno. Non sono state constatate notevoli depressioni dei tessuti con ANNALI DI Boranica — Von. X. 3 3 i Ea ef fia A piegature delle pareti cellulari, quali sono prodotte dall’azione di- 3 retta dell'anidride solforosa nei casi di avvelenamento acuto. a; Il graduale scolorarsi dei granuli di clorofilla e l’alterazione del plasma nelle foglie di chinotto sono state ripetute sperimentalmente i in laboratorio. Le foglie dei meli, peri e sorbi coltivati nell’area di deperimento mostrano le macchie caratteristiche dovute all’azione diretta dell’anidride solforosa: anche simili alterazioni sono state ripetute sperimentalmente. 9 Le foglie di vite invece non presentano tali macchie tipiche, $ mostrano in generale una diminuzione nel tono di colore, un in- ; giallimento che progredisce dal bordo verso la parte centrale. 4 Il trattamento delle foglie col verde di metile, col rosso congo, 0 ; con il cloruro di bario, adoperati usualmente per stabilire la pre- senza dell’acido solforico nei tessuti ha avuto un risultato negativo, come era da prevedersi, trattandosi di un avvelenamento cronico dovuto a minime quantità di anidride solforosa. Risultati interessanti hanno dato al contrario le ricerche rela- tive alla determinazione degli effetti dell’intossicazione sulla atti- i vità del cambio, allo scopo di stabilire il momento in cui le piante Ù incominciarono a risentire le prime conseguenze dannose dell’ani- dride solforosa. L'esame di confronto fra rami di piante sane e de- perite è stato portato sull’accrescimento delle varie zone annuali be” di legno. I fatti principali, constatati tanto nei chinotti (tronchi, rami) come negli aranci, limoni, peri, peschi, sono i seguenti : 1° I diametri dei rami delle piante sane sono sempre, a pa- rità di età, notevolmente più grandi dei diametri corrispondenti dei rami delle piantè deperite. a © ai NT RP pal È 2° Gli anelli legnosi annuali, corrispondenti fra loro riguardo È all’età, sono più sottili nelle piante deperite che in quelle sane, e E; ciò sl verifica tanto nei rami che nei tronchi. È 3° L'azione del gelo (1907-1908) si rivela con l’esiguità degli Ò anelli tanto nelle piante sane che in quelle deperite. È 4° L’esame dei caratteri presentati dalle zone annuali di- a i mostra che il deperimento non si è prodotto in modo subitaneo, pe esso è il risultato di un’azione di uca causa lenta, progressiva. Lo stesso esame ha permesso di poter stabilire, con una certa appros- simazione, il periodo vegetativo nel quale ebbe principio il deperi- mento. Il metodo seguito in questi esami si basa sopra un complesso di osservazioni e di misure eseguite nel senso di varii raggi del corpo legnoso per ridurre al minimo le cause di errore possibili. pra i: AMO TRE AO ni % È Ka di aL Vert, sian I risultati raggiunti sono sintetizzati in diagrammi nei quali è rappresentata la curva di produzione del legno e i rapporti delle varie zone annuali. Questi risultati dell'analisi botanica sono avvalorati e completati da quelli dell’analisi chimica, eseguita sulle foglie, sul rami delle piante danneggiate e di quelle sane, sul contenuto in solfati nel terreno e infine sulla composizione dell’aria nelle vicinanze dello stabilimento per constatare la presenza ed eventualmente la quan- tità di anidride solforosa. La determinazione dei solfati nelle foglie e nei rami, raccolti nello stesso tempo nella zona sana e in quella danneggiata, diede i seguenti risultati per 100 parti di foglie e di rami: Quantità pesata per analisi Solfato di bario Acido solforico Nopbe:sane . 00 T0:39 0,2550 1,02 » danneggiate. . . 14,53 0,7953 2,29 EL TAR: MIE SCA TIE 12,77 0,1512 0,497 >» danneggiati, . . lele. 0,3514 1,275 per 100 parti di ceneri: Ceneri Carbone residuo Acilo solforico per 400 parti su 400 parti su 100 parti di foglie di cenere di cenere MOcllorsanen sno ita: 20,63 0,1887 3,30 » danneggiate. . . 27,50 0,1939 q—- Calcolando dai dati precedenti la quantità di acido solforico contenuto in 100 gr. di foglie (cioè 20, 63 di ceneri di foglie sane e in 27,50 di ceneri di foglie danneggiate) si trovò: Acido solforico nelle foglie sane . . . . 0,63 % /0 » » nelle foglie danneggiate . 1,925 % E per determinazione diretta, dopo ossidazione con acido ni- trico e calcinazione in presenza di nitro e di carbonato alcalino : Acido solfigrico nelle foglie sane . . . . 1,02 % » » nelle foglie danneggiate . 2,29 % Le due differenze. . . . . 1,02—0, 68—=0,34 029, —_ 920 0,865 rappresentano l’acido solforico rispondente a solfo contenuto nelle foglie sotto forma di solfo organico volatile o di solfuro, 0, più ve- rosimilmente, ridotto a solfuro dal carbone durante l’incenerimento e scacciato poi come idrogeno solforato per acidificazione con acido cloridrico. 9 hi able —_# Lev tI - MF AZIO E MAI CRITERI SET VET RITI 0O, e na pet Sus Questo solfo, nel caso del trattamento con acido nitrico e poi con nitro in presenza di alcali, veniva ossidato e passava intera- mente a solfato. Questi resultati dunque stabiliscono un eccesso di contenuto in solfati nelle piante danneggiate in confronto al contenuto delle piante sane. La determinazione della quantità di solfati nel terreno della zona danneggiata e in quella della zona sana diede i risultati se- guenti: Acido solforico, terra fina, piante sane. . . . 0,168% » » » piante danneggiate . 0,143 % I numerosi dati sperimentali che si hanno intorno alla conco- mitanza del danneggiamento prodotto da emanazioni solforate con un aumento di solfati nelle foglie e dei rami non lasciano alcun dubbio sull’interpretazione da darsi ai risultati delle analisi sud- dette. Ne! caso in esame la maggior quantità di solfati contenuti nel terreno della zona sana esclude qualsiasi obiezione che si volesse trarre da un’eventuale influenza del terreno. La presenza dell’ani- dride solforosa nell’aria venne constatata con adatte cartine imbe- vute di acido iodico e salda d’amido. La ricerca quantitativa venne eseguita mediante l'apparecchio di Gerlach. I risultati furono i seguenti: Nella zona più danneggiata in vicinanza immediata della fab- brica la concentrazione dell’anidride solforosa resultò circa 1: 27,000. In altre esperienze: 1:70,000, 1:90,000, 1 :400,000, a seconda della distanza dalla fabbrica, delle velocità e direzione del vento. Al principio della zona sana la concentrazione venne trovata di 1:6000.000. Traccie vennero constatate in un terreno che non presentava danneggiamenti alla vegetazione. Poichè è stato dimo- strato sperimentalmente (Wislicenus) che i gas solforati per essere innocui devono sorpassare la diluizione di 1:200,000, la concen- trazione trovata nelle vicinanze della fabbrica entra dunque nei li- miti di nocività. Come mezzo difensivo contro questi danni è consigliata la di- luizione dei gas della ciminiera, mediante l'innalzamento di questa o, meglio, con un impianto di apparecchi atti ad esercitare artifi- cialmente la diluizione dei gas alla loro uscita nell'atmosfera. L. PETRI. | — 37 — Lo sviluppo all’ossalato ferroso nella Fotomicrografia. Ho creduto opportuno dopo accurate esperienze di richiamare l’attenzione del fotomicrografo sopra un rivelatore fotografico ora quasi totalmente abbandonato, perchè passato di moda; intendo cioè parlare dell’ossalato ferroso. I rivelatori organici, quali ad esempio l’idrochinone, il parami- dofenolo, la glicina, il metolo ecc. servono assai bene in qualsiasi lavoro fotografico sia da soli, sia accoppiati in determinate propor- zioni a seconda della qualità del negativo che si vuole ottenere, però nessuno forse raggiunge i pregi dell’ossalato ferroso. Anzitutto esso rispetta perfettamente i punti della lastra non impressionati dalla luce, onde non sì ha mai formazione di velo anche se lo svi- luppo viene protratto a lungo; le parti scure poi del negativo sono di un bel nero caldo che è assai favorevole alla stampa delle po- sitive le quali risultano poi vigorose e nello stesso tempo ricche di minuti particolari. Altro vantaggio dell’ossalato ferroso è quello di permettere durante lo sviluppo di seguire la venuta dell’ immagine senza timore di esporre la lastra stessa continuamente alle radia- zioni della lampada rossa, poichè io stesso ho potuto esperimen- tare con diverse qualità di lastre, anche pancromatiche, che non sì ha mai formazione di velo dovuto all’ azione lunga della luce rossa sulla lastra. La ragione dipende dal colore stesso della solu- zione dell’ossalato ferroso che si presenta rossa, di modo che la luce ‘della lampada da laboratorio prima di giungere sulla lastra sensi- bile è filtrata ancora dallo strato rosso del rivelatore sovrastante. Qualcuno attribuisce all’ossalato ferroso l'inconveniente di pre- starsi male allo sviluppo di lastre ortocromatiche; niente di più falso, poichè tutte le mie esperienze le ho compiute su lastre orto- cromatiche e pancromatiche, quali le Perutz (Silbereosinplatten e Perchromo), le Schleussner (Viridin), le Agfa (Chromo-Isolar), ecc. e posso asserire che sempre ho ottenuto negative ottime. Ora darò la formula di preparazione dello sviluppo secondo le proporzioni che ho trovato migliori. Si facciano le due soluzioni seguenti adoperando acqua distillata calda per ambedue: { Ossalato neutro potassico . . . . . .. . . gr. 80 [Ae a e e 08.800 Sele sone i. i ile o Zi 4, Aielegie i og Lo Agguato ti i I, i, et da 100 De a ae VELE £* Re) PR e E PA Lf LI re e e ANT € A i v A » K PE RETTA IS STIA CILAIO A AES oRIRI VILEROENI MOR L’ossalato potassico dovrà essere perfettamente neutro, il solfato ferroso sì prenderà puro ed in bellissimi cristalli di colore verde chiaro. Le due soluzioni, dopo che si sono raffreddate, sì filtrano e sì conservano in bottiglie ben chiuse; bisogna in modo particolare preservare la soluzione N.2 dal contatto dell’ aria perchè essa si altera facilmente, però usando quest’ attenzione si mantiene per vari giorni. Al momento dell’uso si mescolano tre parti della soluzione 1 e una parte della soluzione 2, badando di versare sempre la solu- zione 2 nella 1 e non viceversa, poichè si precipiterebbe dell’ossido di ferro. Nel caso di sovraesposizione si aggiungeranno alla me- scolanza delle gocce di una soluzione di bromuro potassico al 10 % ; nel caso di sottoesposizione, (che bisogna sempre evitare del resto in fotomicrografia perchè in ultimo si otterrebbero immagini prive di minuti particolari), si aggiungeranno al rivelatore normale al- cune gocce di una soluzione di iposolfito sodico al 5 % che aumen- terà sensibilmente la forza sviluppatrice del bagno. Il bagno usato conviene gettarlo via, poichè non si conserva. Dopo aver sviluppato la lastra, consiglio (benchè non sia stret- tamente necessario), di passarla nel seguente bagno rischiarante : Aicidoaceticorglaciale: teglie Rane Acqua distillata tt eee 200 ove si laverà abbondantemente; ciò si fa per evitare eventuali pre- cipitati rossi o gialli che velerebbero la lastra specialmente quando nella preparazione dello sviluppo sì usa acqua comune e non acqua distillata. Si passa quindi la lastra in un bagno di fissaggio acido ordinario. Se il fotomicrografo si attiene alle norme dette, curando sempre la massima pulizia nelle singole operazioni, otterrà, adoperando l’os- salato ferroso come sviluppatore delle sue lastre, fotomicrogrammi di una sorprendente finezza. Dal R. Istituto Botanico di Roma, 20 febbraio 1912. Dott. GrovaNNI FAURE. MEN ANANA SLINLA INNZZINSEN RIVISTA DI MORFOLOGIA Alternanza di generazioni nelle Floridee. Con ricerche specialmente citologiche N. Svedelius (1) conferma la teoria di Yamanouchi e di Lewis circa l’alternanza di genera- zioni nel ciclo ontogenetico delle Floridee. Vi sono due individui, uno gametifero, gametofito, con numero di cromosomi aploide, e un altro sporifero (tetrasporifero), sporofito, con numero di cromo- somi diploide (p. es. 20 cromosomi nell’ individuo gametifero, 40 in quello sporifero per Delesseria sanguinea). La divisione ridu- zionale del nucleo ha luogo alla formazione delle spore, nella cel- lula madre del tetrasporangio. Il nucleo dello zigoto (oospora nel carpogonio) è il primo nucleo dello sporofito, che comprende due fasi, la fase di gonimoblasto in intima unione col gametofito e che produce i carpogonidii; la fase tetrasporifera che ha origine dalla germinazione dei carpogonidii, è indipendente e termina colla for- mazione dei tetrasporangi. Questa teoria, basata sullo studio citologico, riporta l’ontoge- nesi delle Floridee al tipo generale di alternanza. delle generazioni nelle piante; mentre la teoria sostenuta prima da Schmitz e da Oltmanns, costituiva un tipo speciale di alternanza per le Floridee, inquanto ammetteva in esse un gametofito che produce gli elementi sessuali e uno sporofito, dalla oosfera fecondata alle carpospore, che sarebbero state l’inizio del gametofito, quindi le vere spore, mentre le tetraspore sarebbero soltanto propagoli di moltiplicazione del gametofito. Rimane tuttavia sempre da chiarire il ciclo di sviluppo di quelle Floridee (Nemalion ad es.), nelle quali mancano le tetraspore. R. PIROTTA. (1) SvepeLIUS N. — Ueder den Generationswechsel bei « Delesseria sangui- nea ». Soc. Bot. Tidskr., V, 1911, pag. 260. RESA) Divisione riduzionale nello zigoto di “ Spirogyra ,,. Alla dibattuta questione, se nelle Spirogyra abbia luogo ridu- zione cromatica, porta un importante contributo A. Tròndle (1). Avvenuta l'unione tardiva dei nuclei dei due gameti, il nucleo di fusione o nucleo dello zigoto da loro formato, in seguito a due successive divisioni, delle quali una eterotipica che ha luogo in tempo e modo differente per le diverse specie, si formano quattro nuclei figli, iquali sono aploidi. Nelle Spirogyra dunque vi è alternanza di generazioni; la aploide o gametofito è rappresentata dal filamento pluricellulare; la diploide o sporofito dal solo zigoto, cioè da una cellula unica. La unicellularità dello sporofito però sarebbe non primitiva, ma derivata per riduzione, perchè dei quattro nuclei figli, prodotti nella segmentazione del nucleo dello zigoto, vanno a male tre, uno solo si svolge, come in altri casi di sporogenesi e nelle piante inferiori e nelle superiori. È soppressa la divisione cellulare susseguente alla nucleare e la cellula madre delle spore diventa essa stessa spora. R. PIROTTA. Apomissia negli Autobasidiomiceti. Nei Basidiomiceti superiori la formazione dei conidii basidiali (basidiospore) è preceduta dalla unione di due nuclei nella cellula madre del basidio ; il nuovo nucleo, in seguito a due successive segmentazioni, dà i quattro nuclei per i quattro conidii basidiali. Nella unione dei due nuclei della cellula madre del basidio si ha raddoppiamento del numero dei cromosomi, il'nucleo prodotto di- venta diploide; ma i nuclei dei conidii basidiali sono aploidi, cioè hanno un numero di cromosomi metà di quello del nucleo di- ploide; e questo risultato si ottiene, perchè, come mostrarono Maire e R. E. Fries, nel basidio, durante la segmentazione del nucleo, ha luogo divisione riduzionale. Ora lo stesso R. E. Fries (2) ha trovato che nell’ Hygrophorus (Godfrinia) conicus non ha luogo fusione dei nuclei nella cellula (1) TRONnDLE ARTHUR. — Uebder die Reduktionstheilung in der Zygoten von, Spirogyra und ‘iiber die Bedeutung der Synapsis. — Zeitschr. f. Botan., III 593, in. 5 Taf. m. 20 Taxtfiguren. ’ (2) R. E. FrIeSs. — Zur Kenntniss der Cytologie von Hygrophorus conicus. Sv. Bot. Tidsk. V, 1911, pag. 253, 1 Taf. — gl —: madre del basidio, e quindi won ha luogo divisione riduzionale del nucleo nel basidio medesimo. Mentre dunque nel ciclo di sviluppo ontogenetico dei Basidio- miceti si ha una fase diploide e una fase aploide che si succedono, nell’ Hygrophorus la fase diploide è soppressa e tutto il ciclo si compie con nuclei aploidi. È un caso analogo a certe forme di apomissia nelle piante superiori, e, se si ritiene che la mescolanza dei due nuclei nella cellula madre del basidio è un processo anfi- mittico, nell’ Hygrophorus si avrebbe una forma speciale di apo- missia. R. PIROTTA. Sacco embrionale di “ Pandanus ,,. Un nuovo esempio di deviazione dal tipo ordinario di struttura della macrospora o sacco embrionale nelle Angiosperme ci è of- ferto dalle ricerche sul genere Pandanus fatte da D. H. Campbell dal 1909 al 1911 (1). Da esse risultano, oltre a fatti di minore importanza, i seguenti principali : 1. La deviazione dal tipo ordinario riguarda soltanto il gruppo antipodo, essendo normale quello superiore o micropilare. Infatti, dopo le prime due divisioni del nucleo della macrospora, che porta alla formazione delle coppie superiore e inferiore, i nuclei antipodi sì segmentano più volte fino a darne di solito 12, i quali, durante la segmentazione normale del paio micropilare, si dividono ancora fino a 64 attorno ai quali si costituiscono altrettante cellule, rima- nendo liberi alcuni nuclei che poi si uniscono per formare il nu- cleo polare inferiore. Nei Pandanus dunque ci si presenta il maggior numero di nu- clei e di cellule antipodali finora conosciuto, prima della feconda- zione, 11 che li differenzia dal caso di certe Graminacee e di Spar- ganium, nel quale l'aumento ha luogo dopo la fecondazione per segmentazione dei tre nuclei normali antipodi. Perciò, secondo Campbell, il modo di comportarsi dei Pandanus parlerebbe in favore della teoria che considera il gruppo antipodo la parte vegetativa del protallo femmineo. 2. Campbell ritiene, in sostegno della opinione di A. Ernst, che le macrespore o sacchi embrionali con un numero di nuclei mag- giore di otto rappresentino residui di un tipo di struttura più an- (1) CAMPBELL D. H. — The embryosac of Pandanus. — Ann. of Bot., XXV, 1511, pag. 773, 2 pl. è aoci À PNT. . veni) Me » aldensis Kern. — Tirolo, Veneto. È I8. — >» persicina Kern. — Veneto, It. boreale nel Veronese. 19. — > transalpina (Christ.) Brig. — Alpi Comasche (Man- $ dello, Grigna, Valsassina, ecc...) 20. — Knautia velutina Briq. — Pascoli subalpini (Tirolo, Ve- neto, Bresciano, Riva, Monte Baldo). 21. — Knautia velebitica Szabò. — Croazia, Velebit. 22. — » albanica Briquet. — Albania, Erzegovina. 23. — Knautia purpurea (Vill.) Borb. — Alpi occid. e maritt.; È È littorali marittimi dalla Spagna alla Dalmazia, Italia, Algeria. SI var. bd. meridionalis — Alpi occid. maritt., Italia. var. c. calabrica — Italia (Abruzzo, App. pistoiese), Algeria. var. e. illyrica (Beck.) Szb. — It. bor. orient., Tirolo, Istria, Carinzia, Ungheria. f. centaureifolia, f. adenopoda, f. foliosa, f. indivisa, f. saxicola. ser. c. Lucidantes Szabò. 24. — Knautia travnicensis (Beck.) Szb.— Bosnia, Croazia, Dal- mazia. 25. — » rigidiuscula (Hladn. et Koch.) Borb.— Carniola. 26. — » lucidifolia (Sen. et Pau) Szb. — Catalogna, Spagna. 27. — Knautia Ressmanni (Pach. et Jaborn.) Briq. — Confini della Carinzia e dell’Italia, Stiria. f. veneta, f. succisiformis. Subsect. C. — Silvaticae Krasan. 28. — Knautia magnifica Boiss. et Orph. — Grecia, Macedonia, Pindo. 29. — » flaviflora Borbàs. — Alpi del Pontoin Asia min. 30. — » midzorensis Formanek. — Serbia, Bosnia, Ru- melia, Bulgaria, Albania. 81. — Knautia longifolia (W. K.) Koch. — Carpazi merid. ed orient., Alpi orientali. f. Kochii (Tirolo, Veneto, Ungheria). 82. — Knautia Godeti Reut. — Giura, Francia centr., Cantal, Pirenei orient. 38. — Knautia nevadensis (Winkl.) Szb. — Sierra Nevada. S4. — > sixtina Brig. — Alpi Leemann. franc. 85. — Knautia silvatica Duby. — Francia, Germ., Svizz., Au- stria Ungh., It. sett., Carpazi. var. a. dipsacifolia: f. vulgata. Subsect. D — Purpurascentes Krasan. 36. — Knautia subcanescens Gord. — Alpi occid., Francia mer. or., Delfinato. f. sabauda. 5‘. — Knautia drymeia Heuffell. var. c. tergestina (Beck.) Briquet. — It. boreale: Piemonte; Trieste, Boschetto Campiglio. var. d. centrifrons (Borb.) Szb. — Canton Ticino, It. sett. ecc. var. f. averniensis (Briquet) Szb. — Alpi marittime. 88. — Knautia intermedia Pernh. et Wett. — Austria inf., Stiria, Carniola, Croazia. SERE por 39. — Knautia sarajevensis (Beck.) Szb. — Bosnia, Croazia. AN » dinarica (Murb.) Borb. — Croazia, Bosnia, Er- zegovina, Albania, Dalmazia. Species ulterius investigandae. 41. — Knautia gracilis nov. sp. 42. — » Pancicii nov. sp. 43. — » Jàvorkae nov. sp. 44. — » Borderei nov. sp. Seguono poi le forme ibride, fra le quali ricordiamo solo la se- guente, che interessa la flora italiana : x Knautia decalvata Borb. = K. baldensis X Ressmanni — Monte Baldo. Questa monografia termina con l'elenco degli erbari e delle essiccate consultate e con una chiave analitica latina, per la de- terminazione delle specie, delle varietà e delle forme. Il testo dell’opera è scritto in lingua ungherese però le diagnosi, le osservazioni ele indicazioni di distribuzione geografica e di habitat sono fatte anche in latino, così che questo libro può esser consul- . lato con profitto anche da tutti coloro che ignorano l’ungherese. Ci permettiamo di far osservare che i nomi di moltissime loca- lità e di collettori italiani sono completamente errati, così da esser talora irriconoscibili, ma questa è un’osservazione che si può esten- dere a tutti o quasi tutti i libri stranieri che citino o riferiscano parole italiane. FABRIZIO CORTESI. Flora italica exsiccata, curantibus Ad. Fiori et A. BÉauInor. — Cent. XV-XVI. Crediamo opportuno far rilevare (pur ritenendo il fatto dovuto a semplice svista) che il Mimulus luteus Linn., indicato recente- mente come nuovo ospite della Flora italiana (N. 1534), non sia ancora da censire nella nostra Flora quantunque non sia difficile che, più o meno tardi, tale specie possa diffondersi anche da noi, come è avvenuto in molte località dell'Europa centrale. L’esemplare raccolto e distribuito dal Prof. L. Vaccari colle osservazioni del Prof. A. Béguinot è invece il Mimulus moschatus Dougl., la cui presenza in Italia era già stata rilevata nell’ anno 1909 dal Prof. G. Gola (V. Piante rare o critiche per la Flora del Piemonte. Mem. Ace. Se. Torino, Ser. II. vol. IX, 1909, p. 246-254) O. M. *, ta fa BIBLIOGRAFIA Champignons mortels et dangereux, par F. Guéeuen, professeur agrégé à l’Ecole supérieure de Pharmacie, ancien Président de la Société mycologique de France. Un volume in-8° (Bibliothèque Larousse), illustré de 7 planches en couleurs hors texte, relié toile souple, 1 fr. 50 (LisrarrIie Larousse, 13-17 rue Montpar- nasse, Paris). Questo opuscolo, dice 1’ autore nella prefazione, scritto per il grande pubblico, mira a rendere popolari quelle nozioni molto elementari, la conoscenza delle quali permetterà di evitare da sè l’avvelenamento per opera dei funghi e di trattare in modo razio- nale, e perciò efficace, gli avvelenamenti che avessero colpito altre persone. ‘ Lo scopo prefissosi dall'autore mi sembra completamente rag- giunto, e per la sua autorità e per la sobrietà e la precisione del testo, la chiarezza ed esattezza delle tavole. Nella prima parte sono esposte le generalità intorno all’ avve- lenamento per mezzo dei funghi, consigli pratici basati sul criterio scientifico e contro il pregiudizio, la struttura di un fungo, e la descrizione dei funghi mortiferi, che sono poco numerosi e di quelli pericolosi, più numerosi ma sempre di numero limitato. Nella seconda parte tratta dell’avvelenamento e dei mezzi per combatterlo. La Librairie Larousse ha pubblicato anche una tavola murale nella quale lo stesso F. Guéguen riproduce a colori, ingrandite le specie mortali con le più necessarie notizie e indicazioni. La ta- vola, che costa 1 fr. 50, è destinata alle scuole, e va raccoman- data agli insegnanti. R.. PiROTTA. GeRrTH van Wiyg H. L. — A Dictionary of Plant Names. Part. I, II. Haarlem 1909-10. Quest'opera, pubblicata dalla Dutch Society of Sciences, rias- sume il lavoro di 25 anni allo scopo di compilare un dizionario che permettesse, conosciuto il nome latino di una pianta, di tro- TOR A a è - =. za oa 1% A METTE dro SEGG => vare il corrispondente nome nella lingua inglese, francese, tedesca e olandese, e di trovare il nome latino conoscendo quello di una delle dette lingue. La prima parte pubblicata nel LO 10 e che comprende 1444 pagine, è l’indice latino. Di alcune specie sono indicati numerosi nomi nelle quattro lingue, e non solo della specie ma anche della varietà e forma delle parti (fiori, frutti, ecc.), dei prodotti ecc. L'Autore merita senza dubbio elogio perchè l’opera, che gli costò LI tanto lavoro, è molto utile. R. PIROTTA. Pror. D. Hogo GLiick. — Biologische und morphologische Unter- suchungen uber Wasser und Sumpfgewichse. — Dritte Teil: Die Uferflora. Con 105 figure nel testo e 8 tavole doppie litogra- fate. G. Fischer Jena 1911. Hugo Gliick ha pubblicato testè il III volume della sua grande opera sulla Biologia e sulla Morfologia delle piante acquatiche. Questo annunzio deve certo tornare gradito ai cultori della bota- nica ai quali è già così favorevolmente nota la lucidità, la pro- fondità e la ricchezza di osservazioni originali che caratterizzano le opere di questo Autore, che è il più competente conoscitore di questo tipo speciale e interessante di vegetazione. \Abbiamo creduto quindi utile indicare brevemente quali sieno gli argomenti toccati in questo nuovo volume che è riescito, come 1 precedenti, interessantissimo. L’A. continua in questa terza parte della sua voluminosa opera sulle piante acquatiche e palustri, lo studio, parzialmente anche sperimentale, delle relazioni tra la forma dell’apparato vegetativo e le condizioni d’ambiente nelle quali si sviluppano le piante ac- quatiche. Egli si rivolge ora allo studio delle specie proprie delle rive, le quali, più che ogni altra, sono esposte alle variazioni di livello delle acque e alle conseguenti azioni morfogene. Le sue ricerche sono fondate sopra un materiale abbondante di ogni provenienza, del quale egli dà un elenco dettagliato, nonchè sopra numerose ricerche sperimentali condotte col metodo da lui già adoperato per gli studii precedenti. Uniformandosi ad una divisione già fatta da A. Magnin, egli di- stingue due zone di vegetazione delle rive: la prima nella quale le piante risentono ancora assai l’influenza dell’atmosfera, la se- conda nella quale è piuttosto l’acqua ambiente che ne determina SABICRO la forma e la funzionalità. Naturalmente l'influenza dell'atmosfera e dell’acqua non sono nettamente delimitate, e ne risultano così delle forme di piante intermedie a quelle proprie delle due zone principali di vegetazione delle rive. Onde si hanno: a) forme ter- restri ; b) forme acquatiche (individui totalmenti sommersi) ; c) forme a foglie galleggianti ; d) forme di acque basse intermedie fra a, b, c. Nella flora delle rive si hanno quindi specie a foglie aeree o natanti o sommerse; talora una medesima specie può presentare individui distinti da' foglie diverse (specie eteroblastiche in opposi- zione alle specie omoblastiche aventi individui a foglie tutte uniformi). In relazione col variare delle condizioni di ambiente, una specie eteroblastica può presentare successivamente foglie di due tipi (fg. primarie e fg. secondarie). Partendo da questi principii biologico-morfologici l'A. passa in rivista le varie specie di piante proprie della flora delle rive. Nella prima zona egli considera 37 specie suddivise in cinque gruppi per lo più di specie omoblastiche. Il primo comprende le specie a foglie lineari (Thypha angusti- folia, Acorus Calamus, Iris Pseudacorus, Cirsium anglicum. ‘ Il II le piante aventi foglie sessili ovate o lanceolate (Ilecebrum verticillatum, Cicendia pusilla, Achillea Ptarmica, Galium palustre, G. elongatum, Glaux maritima, Anagallis tenella ; Elodes palustris, Lysimachia vulgaris, L. thyrsiflora, L. punctata, Gratiola officinalis, Epipactis palustris). Al III appartiene solo il Pyrethrum Clausonis che ha le foglie sessili spatolate. Nel IV l’A. annovera Glechoma hederacea, Scutellaria galericu- lata, Stachys palustris, Caltha palustris, Polygonum Bistorta, Sau- rurus cernuus, Rumex Hydrolapathum, Hydrocotyle vulgaris, H. na- tans. ni Nel V piante dalle foglie pedunculate e divise (Menyanthes trifoliata, Lotus uliginosus, ecc. Il sesto gruppo ha piante dalle foglie sessili e pennato-divise (Nasturtium sylvestre, Lycopus europaeus). Interessante assai è l’unica specie compresa nel VII gruppo; la Cuscuta alba Presì. non C. alba Auct. = C. planifolia Ten. var. Tenorii Engel. la cui forma aerea è frequente nella zona mediter- ranea, e che fu dall’ A. osservata in una forma acquatica in Algeria parassita di Isoetes velata, di Juncus sp., di una forma natante di Trifolium resupinatum, e di Ranunculus aquatilis. Le specie della II zona sono molto più numerose e suddivise în parecchi gruppi. N, da art pied CL) LO ALA E dI s° cia deu ) È pa Co {ESE I D, to id cala gh Cn i di VIAGRA a SR ne RIA nce e da AS ir mi Ra mt rea dr anti sea Il gruppo A) riunisce specie eteroblastiche con foglie aeree e ac- quatiche, caratterizzate queste da un piccolo aumento di superficie. Sono 14 specie divise in quattro sezioni nelle quali o le foglie acquatiche sono fg. primarie /ranunculus reptans, Berula angusti- folia, ecc., o sono fg. secondarie (Peplis Portula, Teucrium Scordium), o in parte fg. primarie e in parte fg. secondarie (Nasturtium offi- cinale). Vi sì annoverano parecchie forme nuove appartenenti a Cardamine pratensis, Mentha aquatica, Lythrum Salicaria, ecc. Il gruppo B) è pure suddiviso in 5 sezioni aventi specie omo- blastiche a fg acquatiche e aeree con grande aumento superficiale. Vi si annoverano piante a fg. subulate o cilindriche (Pilularia, Juncus), a fg. piane lineari o nastriformi (Scirpus, Butomus, Ci- cendia filiformis, ecc.), a fg. allungate o ovate (Polygonum, Vero- nica, Myosotis, sp pl.),, a fg. assal piccole sessili o peduncolate, (Elatine sp. pl.), e infine a fg. pennato - divise (Cardamine parvi- flora, ecc.). Nel gruppo C) sono riunite due specie omoblastiche (Agrostis pal lida. Trifolium resupinatum), aventi fg. aeree e natanti. Gruppo D). Comprende specie eteroblastiche a fg. aeree e acqua- tiche a forte ingrandimento superficiale. Le fg. acquatiche sono fg. primarie. Anche questo è suddiviso in tre sezioni caratterizzate dalle fg. subulate (Littorella lacustris, Preslia cervina, Elatine Al- sinàstrum, ecc.), ovate (fanunculus Lingua, Eryngium Barrellieri), pennato - divise Venanthe sp. pl. Helosciadium inundatum, ecc.). Le specie del gruppo E) sono eteroblastiche aventi fg. aeree e galleggianti quali la Jussiea grandiflora e alcune specie di Ranun- culus. Quelle del gruppo F) sono pure eteroblastiche con fg. aeree, na- tanti e acquatiche; vi sono compresi quattro Ranunculus, molte Marsilia, e la Limosella aquatica. Lo Sparganium simplex è specie omoblastica con fe. acquatiche sommerse e galleggianti e con fg. aeree, e, da solo, rappresenta il gruppo G. Nell'ultimo gruppo H) sono riuniti MHeleocharis sp. pl., Scirpus sp. pl, aventi le fg. ridotte a scaglie e culmi portanti infiorescenze contratte che si sviluppano nell’aria e nell’acqua. Segue (pp. 581-617), uno sguardo generale sulla morfologia delle piante acquatiche in relazione colle condizioni di ambiente. Sono così studiate le forme terrestri, quelle di acque basse, quelle a fg. galleggianti e quelle sommerse. Le specie comprese in questi diversi gruppi sono a loro volta suddivise secondo che trovano nella à 1) ti «27 Mari i) a peg cat stazione terrestre, in quella di acque basse ecc., l’optimum delle loro condizioni o vi si sviluppano imperfettamente. Sono quindi studiate le forme adattate esclusivamente o prefe- ribilmente alla vita nell'acqua corrente, e infine quegli adattamenti speciali che si osservano in molte piante in queste stazioni così diverse. Tali sono per le forme micromorfe, le trasformazioni da una determinata forma d’ambiente ad altre proprie di altro ambiente, le disposizioni anatomiche speciali permettenti la respirazione delle piante acquatiche. I fenomeni periodici della vegetazione sono esaminati dall’ A. rispetto alla durata, all’adattamento alla stagione fredda, a quella secca, Così è studiato il processo della fioritura con tutti i parti- colari adattamenti ai diversi ambienti, la cleistogamia, la varia- zione di grandezza dei fiori o dei peduncoli, ecc. La moltiplicazione agamica, la germinazione dei semi sono stu- diate negli ultimi capitoli di quest’opera poderosa, la quale costi- tuisce un complesso ricco di osservazioni nuove, frutto di diligentis- sime ricerche, e che genialmente collegate fra loro dall’A., lasciano vedere sotto una luce nuova, la vegetazione pure già tanto studiata delle stazioni palustri. Torino, novembre 1911. MaATTIROLO ORESTE. NOTIZIE ED APPUNTI Per la protezione della flora italiana. L'Italia giunse forse ultima nel movimento che da qualche tempo si va facendo in tutto il mondo civile per la protezione dei monumenti naturali, tra i quali un posto nobilissimo occupano le piante. L'iniziativa partita già da molto tempo dagli Stati Uniti per proteggere le foreste vergini e le piante che le caratterizzano e da essi continuamente e tenacemente mantenuta per salvare dalla estrema rovina piante belle, rare, utili, fu seguita man mano dal Canadà, dalla Nuova Zelanda, dal Brasile, dalla Svizzera, dalla Ger- mania anche nell'Africa orientale e nel Kamerun, dall'Inghilterra anche a Borneo, dalla Francia, dall'Austria, dall’ Ungheria, dalla Danimarca, dalla Svezia, dalla Norvegia, dall’Olanda, dal Belgio, perfino dal Perù e dal Principato di Lichtenstein. La difesa è fatta o con disposizioni legislative o coll’opera di società e di privati. In Italia soltanto, alla pari colla Spagna, col Portogallo e cogli Stati balcanici, si può dire che nulla ancora si è fatto per la pro- tezione; mentre pur troppo moltissimo si è fatto e si fa per la di- struzione! i Voci isolate sono sorte, come quella di O. Mattirolo nel 1882 per la salvezza delle piante medicinali nelle Alpi, raccolta dal Club alpino, ma pur troppo senza alcun risultato. Così pure senza ef- fetto fu il grido di E. Mattei nel 1889 per la salvezza della flora dell'Appennino; nè ebbero seguito altre iniziative simili. Abban- donata fu la Daphnea, il giardino alpino istituito sul monte Baro nel 1891 dalla sezione milanese del Club alpino per proteggere le piante più interessanti delle Alpi lombarde; sparì la riserva istituita per l’Edelweiss presso il lago di S. Croce nella provincia di Bel- luno dal benemerito Griinwald; sorte migliore toccava al giardino alpino Chanousia del Piccolo San Bernardo inaugurato nel 1877. Sigg E La Pro Montibus che era sorta collo intento principale di pro- teggere le piante dal punto di vista scientifico ed artistico, esplicò poi la sua azione con intenti d’indole economica. Dal 1906 la Società botanica italiana, la quale nel 1891 era riu- scita — caso unico — a interessare il Governo per la salvezza del Papiro nei dintorni di Siracusa, iniziava l’opera sua efficace, in mezzo a molte difficoltà e moltissima indifferenza; ma non si lasciò abbattere e la questione veniva risollevata nel 1910 dal dott. R. Pampanini, al quale la Società affidò l’incarico di preparare una relazione per la riunione di Roma del 1911 in occasione del con- gresso della Società per il progresso delle scienze. Il Pampanini pre- sentò appunto un’ampia esauriente e interessante relazione (1). In essa, esposta la storia della questione, da noi riassunta breve- mente nelle precedenti pagine, indicava particolareggiatamente quali sono le cause della distruzione della flora, quali le piante scomparse o in procinto di scomparire, quali i mezzi più opportuni per pro- teggere le piante medesime. Faceva quindi le seguenti proposte che venivano all'unanimità votate dall’assemblea dei soci della Società botanica. 1° La Società botanica italiana esprima il voto e faccia pratiche affinchè alla legge per la difesa del paesaggio, proposta dall’onore- vole Rosadi, sia dato un significato più esteso in modo che consi- deri i monumenti naturali anche sotto il loro aspetto scientifico, ccsì che anche la flora vi trovi protezione. 2° La Società botanica italiana faccia pratiche presso le altre asso- ciazioni che mirano all’incremento delle scienze naturali per una intesa riguardo alla protezione dei monumenti naturali in generale. 3° La Società botanica italiana frattanto studi la possibilità d’isti- tuire riserve botaniche per le specie più notevoli nelle riserve di caccia reali ed avvii pratiche per la loro attuazione. 4° La Società botanica italiana esprima il voto al Governo affinchè l'istituzione Parco nazionale nella valle di Livigno serva efficace- mente anche alla difesa ed allo studio della flora. LeSocietà recentemente costituitesi, come l’associazione nazionale per i paesaggi ed i monumenti d’Italia, e anche la legge proposta dall’on. Rosadi per la difesa del paesaggio, intendendo alla tutela delle bellezze naturali che si connettono alla letteratura, all’arte, alla storia ed anche dei giardini, delle foreste e dei paesaggi, non (1) PAMPANINI dott. RENATO. — Per la protezione della flora italiana, Relazione presentata alla riunione generale della Società botanica italiana in Roma, 12-16 ottobre 1911. Firenze, 1911. cap SVI cia a a 2 . (Ani ai servono e non possono valere a difendere dalla rovina completa le piante in generale, quelle rare o interessanti scientificamente in particolare. Noi facciamo ora, come abbiamo fatto sempre, i migliori augurii perchè gli sforzi della Società botanica italiana sortano esito telice, ottenendo di iniziare almeno il movimento che condurrà l'opinione pubblica a prendere in considerazione seria la questione, e a rico- noscere la necessità di provvedere non soltanto nelle Alpi ma in tutte le diverse parti d’Italia così ricche di veri tesori vegetali, ad una efficace, effettiva protezione. R. PriroTTA. Col 81 dicembre u. s. il prof. Eue. WarmInG lasciò l’insegna- mento all’Università di Kopenhagen ela direzione del giardino e del museo botanico. Gli succede col 1° gennaio il prof. C. RAUNKIAER. Rycbi Il 12 gennaio moriva a Bruxelles TE. DuRAND, direttore del giardino botanico dello Stato, segretario generale della Società bo- tanica del Belgio; e il 6 agosto 1911 il Dr. FLoRENTINO AMEGHINO, direttore del Museo nazionale di Storia naturale di Buenos-A yres. Gli succede nella direzione il Dr. AneeLo GALLARDO. REop: ere AVVISO. La figlia di G. G. Moris ha donato all’Istituto Botanico di To- rino il residuo dell’edizione della lora Sandoa. Il sottoscritto av- verte perciò ìi Direttori degli Istituti Botanici ed Accademie Scien- tifiche, che un certo numero di copie del volume terzo di detta opera (il quale non fu che parzialmente distribuito) è tuttora di- sponibile. D'accordo colla Famiglia, esso verrà inviato, per l’even- tuale completamento dell’opera contro il solo rimborso delle spese postali agli Istituti che ne faranno regolare domanda all’Istituto Botanico di Torino. Marzo 1912, Prof. Oreste MATTIROLO Direttore del R. Orto botanico all’ Università di Torino x (Valentino). ETA ZIE, A. ANNALI DI BOTANICA da ci da e PUBBLICATI Pro ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico di Roma f : INDICE. 3 “CarALanO G. — Morfologia interna delle radici di alcune Palme e Panda- “ea nacee. (Tav. II-III), pag. 65. vv Caiovenpa E. — Un piccolo pugillo di piante raccolte nell’Enclave de Ladò, bin pag. 101. _ FAURE G. — Cromofotomicrografia, pag. 103. . | CarovenDa E. — Di due piante interessanti della Flora Italiana (con fig.), pag. 123. È: MartIRoLo 0. — Sull’endemismo dell’Isoetes Malinvernianum di Cesati e o | De Notaris, pag. 129. Sa Longo B. — Ancora sul Ficus Carica, pag. 147. SI CA Brevi comunicazioni, pag. 159. visi | Rivista di Morfologia, pag. 161. HS | Rivista di Fisiologia, pag. 169. | Rivista di Sistematica, pag. 177. | Bibliografia, pag. 183. pia Renata pag. 187. Gli Annali idr Rotanica sì pubblicano al fascicoli, ‘in A tempi. non determinati e con numero ‘di fogli e ta : vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero | per | numero. Agli autori saranno. dati. cai 25 esemplari di estratti. Si potrà. tuttavia chiederne. un numero maggiore, pagando le semplici spese di ‘carta, tiratura, legatura, ecc. Gli autori sono responsabili della forma e del conte. nuto. dei loro lavori. } ; . A AA A 144 Sr) sit R. PIiroTTA od al Prof. F. CortESsI, R. Istituto Botanico, Panisperna, 89 Ba ROMA. EEN 17 Tecggtto RO NB. — Per qualunque notizia, informazione, REA rivolgersi ‘gt FAX a SUL = > Ure Von. X. [pubblicato il 10 Giugno 1912) Faso. 2° CAI SINASENAENE > DE SEAN ANANATNADAINAFNA NS NL * \dZC er - SALA N ll Morfologia interna delle radici di alcune Palme e Pandanacee. del Dott. G. CATALANO (Tav. IT-II1). I. — Introduzione. Storia dell’argomento. Le radici delle Palme sono state fin qui poco studiate, nè sempre la loro struttura ha avuto interpretazioni felici. I più antichi illustratori dell'anatomia delle Palme degni di nota, pare siano stati il Meneghini ed il Mohl; ed a proposito delle radici quest’ultimo dice (1) che la massa legnosa del cilindro assile non si divide in singoli fasci separati, come nello stipite. Invece di essere irregolarmente sparsi, i fasci giacciono disposti in serie, alla perife- ria, col vasi più grossi orientati verso l’interno, mentre il centro del cilindro centrale è formato da sole cellule. Codesta descrizione rimase dopo di lui pressochè invariata, giacchè tutti gli Autori che si occuparono delle radici delle Mono- cotiledoni in genere, alle quali le Palme appartengono, la confer- marono indirettamente, data la notevole comunanza fondamentale di struttura che vi è fra queste e quelle. Il Mohl inoltre, parlando delle radici delle Monocotiledoni in genere, dice che 'i fasci vascolari sono in esse centripeti anzichè centrifugi, come nello stipite, ed alternano con dei gruppi di « vasi proprî ». Il Mirbel (2) più tardi conferma questa interpretazione, ritenendo però i « vasi proprî » di Mohl, come vasi di legno in via di for- mazione, ed è il primo a segnalare la somiglianza tra la disposi- zione dei fasci della radice e quella dei fasci del fusto. (1) U. MonL. — Vermischte "Schriften botanischen Inhalts. — Tibingen, 18465, p. 156. (2) MIRBEL. — Nouvelles notes sur le Cambium. — Ann. des Sc. Nat. 2° Série 1849, t. II e Arch. du Mus., t. I ANNALI DI BOTANICA — Vot. X. 5 LIBRARY NEW YORK BOTANICAL GARDEN, e RETE TAM OI Te . Peio ‘le i Enza Big E e Ro a Nel 1866 Van Tieghem (1) dà la vera interpretazione dei « vasi proprî » dei precedenti autori, riconoscendoli come la porzione libe- riana dei fasci del fusto e descrivendoli definitivamente come gruppi di libro. i Egli stabilisce la struttura delle radici delle Monocotiledoni e quindi anche delle Palme, in questi termini: « Il cilindro centrale è formato di fasci vascolari lamelliformi e raggianti, alternanti con altrettanti fasci liberiani arrotonditi o allungati tangenzialmente. Queste due specie di fasci sono centripeti e separati gli uni dagli altri da tessuto connettivo. < Questa organizzazione primaria — aggiunga — si conserva indefinitamente nelle Crittogame vascolari e nelle Monocotiledoni, le cui radici non s’ispessiscono ». Ulteriori lavori sulle radici delle Monocotiledoni, tra cui note- voli quello del Lindinger (2) e quello del Buscalioni (3), pur con- tribuendo efficacemente a precisare o rettificare le conoscenze sulla loro struttura, non cambiarono l’interpretazione fondamentale del Van Tieghen. Noi vogliamo in particolar modo occuparci delle radici delle Palme, e specialmente del loro cilindro assile. Non ci dilungheremo perciò a riferire i numerosi lavori fatti sul- l'origine, sull’inserzione, sull'apparato tegumentivo, ecc. di queste radici, perchè hanno poca relazione con lo scopo delle presenti ri- cerche. Ricorderemo invece alcuni fra i recenti lavori che maggior- mente ci interessano sull’anatomia del cilindro assile delle radici delle Palme. Uno di questi è il lavoro del Gillain (4) nel quale vengono de- scritti esattamente, dal punto di vista anatomico, i singoli strati che compongono le radici di parecchie Phytelephanteae, Phoeniceae, Sa- baleae, ecc. senza che per altro l’ Autore giunga ad alcuna conclusione importante sulla morfologia generale interna di esse. Per questo riguardo ha invece maggiore importanza il lavoro del Cormak (5) il quale in base alle sue ricerche su numerose ra- (1) VAN TIEGHEM. — Recherches surla structure des Aroîdées. — Paris, Ann. des Sc. Nat., 5? Série 1866, t. VI. (2) LIinDINGER.— Anat. u. Biologie d. Monokotilenwurzeln. — Beih. z. Botan- Centralblatt, 1905. (3) BuscaLIONI. — Sull’anatomia del cilindro centrale delle radici delle Mo- nocotiledoni. — Malpighia, XV, 1901. (4) GILLAIN. — Bettrige z. Anat. der Palmen u. Pandanaceenwurzeln. — Ref. in Bot. Centr. 88, 1900. (5) Cormag.—On polystelic roots of certains Palms. — Trans. of the Linn. Soc., London, 1896. Muzzi vat ì) i ci; dici, emette una notevole ipotesi, nella quale vien messo in rilievo il rapporto che vha fra le differenti strutture della radice nelle sue varie regioni e le corrispondenti differenti funzioni. Vedremo come questa teoria, ripudiata dagli Autori successivi, perchè fondata su una cattiva interpretazione della struttura, sia invece giusta nella sua sostanza ed accettabile in massima, ove si dia una spiegazione dei fatti più soddisfacente e rispondente alla realtà. Il Drabble (1) studiando le radici di parecchie specie di Palme, viene anch’esso ad importanti conclusioni sul valore morfologico delle loro singole parti anatomiche, stabilendo con fondamento, che midollo, corteccia e stela o cilindro assile non possono essere con- siderate come entità morfologiche separate e che nell’anatomia di queste radici vi è sempre da considerare soltanto due elementi: il parenchima ed il sistema dei fasci, in esso decorrenti. Queste conclusioni hanno molti punti di contatto con quelle cui giunsero i professori Buscalioni e Lo Priore, in un grosso lavoro sulle radici della Phenix dactylifera (2), introducendo nella Scienza delle nuove interpretazioni sul valore morfologico ed anatomico delle varie parti che costituiscono la struttura normale delle radici. Così anzitutto vien messo in luce il concetto del « desma » ossia del fascio, sia vascolare, sia floematico, sia libero-legnoso, quale en- tità naturale e fondamentale, che costituisce il punto di partenza per la spiegazione di ogni struttura degli organi assili, in opposi- zione ai concetti di « stela » e suoi derivati, della scuola francese, di cui esso sarebbe l’elemento unitario. Il desma sta in rapporto col parenchima; queste due unità ana- tomiche fondamentali, associandosi secondo le esigenze fisiologiche, secondo i momenti meccanici dell'ambiente e le influenze ataviche, determinano la costituzione delle strutture. Da tale lavoro, fecondo anche di nuovi reperti sulla evoluzione del cilindro assile, che hanno rettificato molte interpretazioni, specie sull’endodermide, sul periciclo e sul midollo e di cui vedremo più tardi l’importanza massima, traggono in gran parte ispirazione le presenti ricerche. Si può dire che col lavoro dei professori Buscalioni e Lo Priore sì sia notevolmente abbattuta la barriera che sembra separare, dal (1) DRABBLE. — On the anatomy of the Roots of Palms. — Trans. Linn. Soc. London, Ser. II, vol. VI. 2) BuscaLIONI e Lo PrIORE. — 1 pleroma tubuloso, l’endodermide midol- lare, la frammentazione desmica e la schizorrizia nelle radici della Phoenix dactylifera. — Atti d. Accad, Gioenia di Scienze Nat., Catania, Serie V, vol. III. pe, . ili ee i A po Mg SII datata dea sì è .° er ita t, ds * a a > oa e sio » BIS EST punto di vista della morfologia interna, il fusto dalla radice; uno degli scopi del presente lavoro si è quello di stabilire le somiglianze fra questi due organi della pianta, su basi anatomiche, d’accordo con le moderne tendenze della Organografia, che mirano a riferire ad una natura fondamentalmente unica i vari organi delle Piante (1). * * = Il presente lavoro è stato condotto durante due anni nel labo- ratorio del R. Orto Botanico di Palermo, traendo partito del ricco materiale vivente in piena terra, da cui furon presi con larghezza ì necessarî campioni, oltre che di un intero esemplare di Wuasking- tonia filifera, alto circa 12 m., dovuto abbattersi per disseccamento sopravvenuto all’apice. Al mio illustre prof. A. Borzì, direttore dell’Istituto, da cui mi è stato consigliato il lavoro e da cui ho avuto sempre speciali in- citamenti ed aiuti, vada da questo luogo la mia viva gratitudine. II. — Studio morfologico ed anatomico. WASHINGTONIA FILIFERA H. WENDL. Descrizione morfologica sommaria delle radici. — Nella Washing- tonia filifera vi sono due sorta di radici: 1° Radici principali, quelle che s'inseriscono sullo stipite; 2° Radici secondarie, quelle che nascono lateralmente alle prime. (1) Di queste tendenze, la più antica e più bella manifestazione troviamo nel concetto delle « Metamorfosi » del Goethe, che fa derivare da un solo or- gano tutte le parti della pianta. In seguito, nel Gaudichaud, con la prima esposizione del concetto del « fitone » troviamo il precursore della teoria del « fillopodio » del nostro Delpino, mentre lo Schultz, con la teoria del « ringio- vanimento delle piante », considera l’accrescimento di esse come una continua ripetizione delle medesime parti (anafitoni), mentre che la crescita degli ani- mali si fa per estensione delle parti di già presenti. Oggidì, attraverso le innumerevoli vicende della tradizione scientifica, la teoria del fitone, dopo essere stata pressochè abbandonata completamente, è ri- messa in onore, oltre che con i lavori di Delpino, con quelli di De Wries, di Dangeard, di Belli, di Grelot, di Flot, di Bonnier, di Decrock, ecc. Particolare menzione meritano due nuove teorie, recentemente apparse: quella del Celakowscky, che ritiene il fusto sia formato da tanti articoli, com- posti ciascuno da una foglia e da un tratto di caule, e quella del Potonié, che occupa, allo stato attuale della Scienza, il primo posto; è detta del « Pericau- loma » e per essa il fusto avrebbe doppia natura, cioè assile nel suo centro e fogliare alla periferia, prodotto in questa regione dalla coalescenza delle basi fogliari. NS Le principali, di origine avventizia, sono rappresentate da un gran numero di assi eguali, paralleli, che scendono giù dalla base dello stipite verticalmente. In una pianta di 4-5 anni d’età, tali assi in numero di 8-10 raggiungono appena 10-15 cm. di lunghezza, poi si arrestano bruscamente presentando l’estremità disseccata o com- pletamente caduta coperta dagli invogli sugherosi esterni, mentre lateralmente, proprio all’estremità ed allo stesso livello partono due altre robuste radici, un po’ più sottili, che si ramificano lateralmente. Questi altri due assi tornano a loro volta ad arrestarsi bruscamente, per disseccamento dell’apice, dopo un percorso più © meno lungo e a sviluppare ai loro estremi due nuove radici, sulle quali si svilup- pano radici secondarie e che ripetono un’altra volta il processo, e così via. Radici secondarie si trovano anche sugli assi primitivi at- taccati direttamente allo stipite, ma meno frequenti; in vicinanza all’inserzione collo stipite non se ne trovano affatto. Delle due radici laterali apicali di 2°, 3°, 4°, ecc. ordine una si sviluppa più dell’altra in lunghezza, mentre questa dopo essersi bi- forcata a sua volta dando luogo parimenti ad un ramo lungo e uno corto, sì perde successivamente in tante minute barboline. ll] disseccamento dell’apice radicale che in questa palma è un fenomeno costante, conduce come si è visto, ad un tipo di ramifi- cazione degli assi principali, che può considerarsi come una di- cotomia. L’origine delle due branche ha però nulla che vedere coi fenomeni della biforcazione proprî della dicotomia vera; essa è tutt’affatto laterale, verificandosi il differenziamento degli elementi ai due lati dell’asse principale, in quella regione della corteccia che sta immediatamente in contatto col cilindro assile. Le radici secondarie, che nascono numerose in ogni punto degli assi principali, meno che nelle regioni più alte, differiscono da questi per le minori dimensioni e per la loro gracilità. Non raggiungono mai uno sviluppo considerevole nè in gros- sezza nè in lunghezza e finiscono sempre col perdersi in minute barboline, previo disseccamento dell’apice. Non dànno mai luogo inoltre a falsa dicotomia, come le principali. Queste, allo stato adulto, quali si trovano nei più grossi esem- plari della Waskingtonia, sono numerosissime, raggiungono più di 1 cm. di diametro e si presentano fittamente stipate le une con le altre, come in una densa barba, formando, con la base del fusto una superficie d’inserzione a forma di bacino o conca, rivolta verso l'alto, ai cui bordi si inseriscono le radici più recenti, mentre il centro è occupato da quelle più antiche. Di rado esse sono perfettamente cilindriche in tutto il loro de- «rn e en ur a 9% At — 70 corso; per lo più sono schiacciate, contorte, piegate dalla mutua compressione. La deformazione è invero tale che spesso vengono simulati aspetti di genicolature, di nastri, mentre la superficie esterna del periderma appare solcata, depressa, striata in mille guise. È Talune radici secondarie che vengono fuori in un tale ambiente sono notevoli per il loro decorso irregolare, spesso decisamente con- trario alla direzione normale di incremento delle radici, mostran- dosi così insensibili alla gravità. Il loro periderma, come quello delle principali, è fragile, colorato in un bruno rossiccio per impregna- zione copiosa di sostanze tanniche nelle membrane cellulari e si presenta assai di buon’ora nella radice giovane, anzi ricopre addi- rittura l’apice vegetativo. Una grande varietà regna nell’aspetto esterno di questi apici. Quasi mai hanno la forma tipica che ha valso loro il nome di < coni di vegetazione »; ma si presentano ora rigonfiati a clava, ora assai ottusi, ora irregolarmente contorti o schiacciati in ogni senso. La superficie esterna peridermica, suberificata, è quanto mai rugosa ed irregolare, talvolta anche fessa in ogni direzione. Codesta morfologia anomala degli apici è rigorosamente gene- rale e non dipende da cause patologiche accidentali; essa preludia alla sorte cui vanno incontro ben presto questi apici, cioè il dissec- camento e la totale distruzione, che, come vedremo, è carattere spe- cifico, spiegabile forse solo con considerazioni filogenetiche. Metodi seguiti per V esame anatomico. — Poco ho da dire su questo punto; poichè le radici da esaminare costituivano un ma- teriale assai duro e fragile che va facilmente in ischeggie allo stato secco, sì rese necessario il rammollirlo tenendolo per lungo tempo nella solita miscela di alcool e glicerina. Avendo dovuto poi distinguere soltanto tessuti lignificati o suberificati da tessuti cellulosici, furono anche pochi i reattivi impiegati: principalmente il solfato d’anilina e il Sudan III. Come colorante generico dei tes- suti legnosi, che sì differenzia però assai bene al trattamento pro- lungato con l’alcool, usavo la fuxina acquosa. Infine uno squisitissimo differenziamento delle parti legnose in seno al parenchima cellulosico ottenevo anche colorando le se- zioni dapprima con verde jodio (soluzione acquosa opportunamente diluita), trattandole poscia con acido solforico al 25 °/, per 5-10 minuti, secondo il grado di diluizione del colore impiegato, che scompare allora dalla sezione per ricomparire poscia esclusivamente nelle parti legnose, immergendo la sezione in acqua distillata. Con ATI tal processo i fasci legnosi e tutti gli altri aggruppamenti di tal natura, spiccavano coloratiin un bel tono di verde su di un tessuto fondamentale rimasto perfettamente incolore. Dopo la relativa disidratazione nell’alcool assoluto ed il rischia- ramento con xilolo, le sezioni venivano chiuse in balsamo del Ca- nadà e così esaminate. a) Apicî radicali. — Per studiare questi punti delle radici principali bisogna sorprendere queste in piena attività incrementale uscite cioè di fresco dal seno dei tessuti generatori della base dello stipite. I grossi esemplari di Waskingtonia filifera, mostrano in basso le radici avventizie esterne allo scoperto, per la dilacerazione e la caduta dei tessuti periferici della base dello stipite. Le radici più esterne non guadagnano il suolo, ma restano a metà strada con la punta disseccata e totalmente suberificata. Al sopraggiungere del periodo attivo di vegetazione (aprile-maggio) queste radici emettono due branche laterali dalla loro estremità che si affondano rapida- mente nel suolo mentre nuovi assi avventizî vengono fuori alla periferia, i quali in breve coprono i preesistenti, ma come questi restano in gran parte a mezza strada, per prolungarsi con le due branche apicali soltanto l’anno seguente. Per ottenere quindi il necessario materiale da studio bisogna cogliere una radice durante l’epoca opportuna o meglio ancora, an- darla a rintracciare in seno ai tessuti della base dello stipite poco prima della sua fuoriuscita. Gli apici delle radici secondarie si trovano invece con maggiore facilità, data la diffusione e la abbendanza con la quale si producono. La prima cosa che si osserva subito in questi apici allorchè si vogliono fare le sezioni si è la loro grande durezza, veramente in- solita per organi di questa natura, per cui si rende necessario, non altrimenti che per le altre parti della radice adulta, un lungo bagno in alcool e glicerina per poterli rendere tagliabili. Poichè queste punte sono assai irregolari e spesso sono brusca- mente piegate persino ad angolo retto, non è possibile fare sezioni longitudinali mediane includenti in uno stesso piano tutti i tes- suti costitutivi, se non prendendo a tagliare un brevissimo tratto dall’apice. Una sezione così fatta, messa nella soluzione di solfato d’ani- lina, ingiallisce immediatamente anche senza lo stimolo successivo di un acido. Ciò prova che abbiamo da fare con tessuti in maggior parte già fortemente lignificati, donde deriva la durezza già accen- nata degli organi al taglio. si Pi og L'esame microscopico sotto un piccolo ingrandimento ci mette sotto gli occhi un abbondante pleroma e una scorza, limitata allo esterno da un periderma. A noi interessa sopratutto studiare il pleroma. Ma è soltanto nella parte propriamente estrema dell’apice che si può parlare a rigore di pleroma perchè quivi soltanto, per un tratto di meno che un millimetro il tessuto ha caratteri nettamente meristematici. Le cellule, leggermente allungate nel senso dell’asse, hanno parete cellulosica e sì mostrano provviste di contenuto pla- smatico. Intercalati fra essi si trovano però altri elementi fortemente su- berificati, come provano le reazioni col Sudan III, e che spiccano del resto col loro colorito rosso-bruno in mezzo al campo chiaro. Simili elementi, si trovano diffusi in ogni parte dell’ apice, nella scorza come nel resto del pleroma e costituiscono quasi esclusivamente il tegumento esterno dell’apice, dove formano, come si è detto, un pe- riderma. La presenza di queste cellule suberificate nell’apice e precisa- mente nella parte meristemale di questo è indizio certo della pre- disposizione che vi è in esso all’atrofia, rimanendo l’apice attivo e capace di incremento solo fin tanto che il rapporto tra elementi cellulosici ed elementi suberificati non varia a favore di questi ul- timi. Su ciò torneremo ad occuparci a suo luogo. A prescindere del punto propriamente estremo dell’apice, dove le iniziali sono comuni al pleroma e al periblema, questi due tessuti sono già nettamente individualizzati, l’uno come «cilindro assile » l’altro come «scorza ». Il primo è infatti già tutto lignificato, l’altro è completamente suberificato. Questo, lungi dall’essere un tes- suto omogeneo e compatto, presenta qua e là grandi lacerature e lacune per la caduta di corrispondenti zone suberificate. Al con- fine poi tra i due tessuti la suberificazione arriva al punto di ne- crosizzare tutto il tessuto interposto per lunghi tratti, in modo che, venendo poscia a cadere, il cilindro assile si rende libero, re- stando come incapsulato dal periderma esterno. Talvolta anche questo cade via ed allora il cono di vegetazione sì riduce al solo pleroma lignificato, liberamente esposto all’e- sterno! L'esame microscopico di questo sotto un forte ingrandimento mostra che, pur in mezzo ad elementi a parete ancora sottile, ma già allungati nel senso dell’asse, si trovano delle fibre già comple- tamente sviluppate, colle pareti ingrossate e provviste già delle solite areolazioni e punteggiature. Questi elementi appunto si co- posate pa lorano col solfato d’anilina e con la fuxina ed essi si estendono fino a meno che mezzo millimetro dall’estremità, che è occupata, come si è detto, da un gruppo comune di iniziali meristematiche, dalle quali sono generate. In mezzo alle fibre, che costituiscono la massa principale del cilindro assile si differenziano inoltre, a spese degli elementi che rimangono più a lungo cellulosici, grosse tracheidi, vasi trachei- formi e tubi cribrosi. Notevoli sono sopratutto le prime, che trag- gono origine per fusione delle pareti longitudinali di parecchi ele- menti fibroidi contigui, che si scolturano ed ispessiscono in breve, mentre le pareti trasversali tratto tratto rimangono a costituire i setti che interrompono la continuità del lume di queste sorta di vasi, ma che non s’ispessiscono nè sì lignificano mai. Anche queste tracheidi si spingono fin sotto all’apice meristematico, apparendo però chiaramente differenziate soltanto a notevole distanza dall’e- stremità. Verso l’asse del cilindro assile si trovano elementi rotondi, cel- lulosici intercalati da abbondanti elementi consimili, ma fortemente suberificati, ed eguali a quelli che si trovano diffusi nella scorza. Uno studio attento di sottili sezioni longitudinali apicali non mediane lascia riconoscere, quantunque con difficoltà, che questo tessuto assile si introduce con delle propagini in mezzo alle file di elementi vascolari e fibroidi, determinando, se così può dirsi, un frazionamento della continuità della massa lignificata (mantello) che si trova ai due lati, senza che per altro si osservi divergenza fra i singoli gruppi. La sezione che passa per l’asse della radice poi lascia riconoscere che questo tessuto assile sì trova in diretta con- tinuità col gruppo* meristemale estremo, che, come si è detto, rap- presenta le iniziali comuni del cilindro assile e della scorza. Da ciò risulta che le due masse legnose laterali pleromiche non si riuniscono in alto, in modo che lasciano tra loro in relazione il tessuto assile e la scorza. Nel fatto si può talvolta osservare che l’a- pice è perforato nella sua parte assile longitudinale da una gal- leria che dall’estremità va fino a notevole distanza nel cilindro as- sile; tutto ciò è dovuto alla completa suberificazione e successiva caduta del tessuto che occupa l’asse. Siffatta struttura degli apici è stata già segnalata dal Busca- lioni (1) per le radici grosse delle Monocotiledoni in genere; e quindi vale anche per le radici di questa Palma la denominazione di « mantello », che sopra abbiamo messo fra parentesi, data alle (1) Op. cit. Ra PA Ce TRY Gta ! IRRITANTE MORIRE porzioni laterali del pleroma che si trasformeranno in fibre legnose e fasci conduttori. Naturalmente questa denominazione ha valore esclusivamente topografico, poichè molti altri tessuti appartenenti al parenchima assile si trasformano in elementi vascolari. In generale può dirsi che tanto il mantello, quanto questi altri tessuti rappresentino un differenziamento di un tessuto fondamen- tale unico, corticale-assile, che trae la sua origine dal gruppo estremo di iniziali comuni. Lo studio di questi interessanti apici viene assai istruttiva- mente completato dall’esame di sezioni trasversali in serie, prati- cate a partire dall’estremità. Anche per questo scopo il miglior materiale è quello che si può andare a rintracciare in seno ai tessuti della base dello stipite, per essere sicuri di aver da fare con apici giovani, ancora lontani dalla atrofia. — In tali condizioni le prime sezioni comprendono un tessuto omo- geneo di elementi isodiametrici cellulosici, costellato abbondante- mente ed equabilmente di elementi simili, ma fortemente suberificati. Verso il centro tuttavia un impicciolimento degli elementi rivela un differenziamento imminente. Infatti, dopotreo quattro sezioni compa- rebruscamente il ciimdro assile nonancora perfettamente organizzato, ma già chiaramente delimitato da una netta endodermide. Sussistono ancora, equabilmente distribuite al di fuori e al di dentro dell’en- dodermide le cellule fortemente suberificate, mentre all’interno del cilindro assile, in mezzo ai nuclei di elementi già lignificati e che assorbono fortemente la fuxina, si notano le già descritte propag- gini del parenchima assile, che può chiamarsi « midollo », per ana- logia con le radici delle Dicotiledoni. In questo stadio abbiamo già davanti la struttura tipica della. radice adulta, per quanto ancora le sue parti non siano giunte al grado definitivo dell’evoluzione. La struttura della radice è dunque formata già nel cono di ve- getazione. All’infuori dei fenomeni di dilatazione graduale del volume degli elementi, e della loro successiva lignificazione, i quali del resto non tardano ad avverarsi, nessun altro fatto interviene a mutare l’as- setto definitivo delle parti che costituiscono la radice adulta. La radice nasce già tale, se così possiamo esprimerci, pronta per la sua funzione, e con tutti i caratteri anatomici della struttura definitiva. b) Struttura trasversale delle radici principali. — A noi inte- ressa, come già si è detto, sopratutto il cilindro assile; non possiamo. tuttavia cominciare a studiar questo senza far notare la perfetta iden- tità che si ha fra la corteccia ed il parenchima assile o midollo e le sue propaggini, identità messa in rilievo sopratutto dalla presenza in egual misura e qualità, delle cellule sugherose in entrambi questi tes- suti fondamentali, anche a notevoli distanze dal cono di vegetazione. La stessa distribuzione di cellule sugherose si ha altresì in seno al mantello, anche quando questo è totalmente lignificato, e fino a notevole distanza dall’apice; ciò prova che esso deriva dal differen- ziamento del tessuto fondamentale apicale. Il cilindro assile viene di buon’ora delimitato verso la corteccia e perfettamente individualizzato da una netta endodermide. Notevoli sono negli elementi di questo strato gli ispessimenti delle membrane interne e radiali, i quali, già 1 mm. sopra il cono di vegetazione, assorbono energicamente la fuxina, rivelandosi dunque già fortemente lignificati. 11 cilindro assile propriamente detto è composto dai seguenti tessuti che si succedono dall’esterno verso l’interno : 1° un periciclo ; 2° una cerchia vascolare periferica ; 3° un sistema di fasci legnosi interni isolati da propaggini midollari ; 4° un midollo assile ; Questa è la struttura delle sezioni trasversali praticate 1 mm. ap- pena sopra l’apice attivo di una radice principale, nonchè di quelle fatte immediatamente sopra gli apici atrofizzati, dove gli effetti della generale suberificazione non rendono eccessivamente friabile il tessuto ; struttura che è perfettamente eguale a quella che si riscontra nei punti più alti della radice, anche prossimi all’inser- zione col fusto. Descriveremo adesso brevemente ognuno di questi tessuti, coi caratteri che sono loro proprî, tenendo anche conto delle variazioni cui vanno incontro in ragione della maggiore o minore distanza dall’apice, alla quale vengono esaminati. Periciclo.— Questotessuto ha una particolare importanza nelle ra- dici della Washingtonia, poichè ad esso è affidato in gran parte l’ufficio della moltiplicazione dell’apparato radicale della pianta, col produrre radici laterali, quasi a surrogarein questa funzione, gli scarsi poteri di accrescimento in lunghezza che hanno gli apici. Non credo che si possa caratterizzare meglio di così il periciclo, dal punto di vista cioè della sua funzione, poichè quanto ai carat- teri istologici, esso non può venire fondatamentfe e nettamente de- finito, a causa della loro incostanza. SIAE RARA SME: CIPRO RI LES “rs SAGIE TNA E PI ILLE NERI PU PUT Quanto al valore che ad esso verrebbe per la sua speciale po- sizione topografica rispetto agli altri tessuti, esso è ben poco se si consideri che recentemente il Buscalioni e il Lo Priore (1) con i loro reperti sulle invaginazioni dei cilindri assili, sulle endodermidi e sui pericicli di origine eterotopica nelle radici di Phoenix dac- tylifera hanno dimostrato in modo indubbio la sua completa iden- tità col tessuto fondamentale. > Poco sopra l’apice vegetativo il periciclo si rende visibile e di- venta completamente e perfettamente evoluto alcuni centimetri più sù. | Ma già nel territorio stesso dell’apice è capace di emettere le iniziali di radici secondarie, come sì verifica frequentissimamente, il che dimostra che la caratteristica essenziale di questo stato non risiede affatto nel differenziamento istologico. Quest'ultimo d’altra parte, come si è detto sopra, non è carattere costante. In vicinanza dell’apice vi è realmente una notevole dif- ferenza fra le cellule pericicliche e quelle del parenchima fonda- mentale. Quelle sono più piccole, più strette, più allungate tangen- zialmente, più ricche in contenuto plasmatico ed a parete molto delicata. Ma questo differenziamento istologico è in relazione con la facoltà di emettere radici laterali, giacchè esso persiste esclusi- vamente durante il tempo in cui la radice madre può emetterne. Infatti, nelle alte regioni delle radici principali, in vicinanza cioè dell’inserzione col fusto, dove non nascono più radici laterali, può dirsì che non esista periciclo. J quattro, cinque o più strati di cellule che si trovano al di dentro dell’ endodermide sono perfettamente eguali per forma, dimensioni e impregnazione delle pareti dei loro elementi a quelli posti immediatamente al di fuori dell’endoderma. Ciò dimostra anzitutto la natura parenchimatica fondamentale dello strato in questione, ed inoltre stabilisce in modo indubbio che il periciclo non è una unità anatomica assoluta e che un carattere fondato ad esso non può venire che dai suoi poteri fisiologici. Cerchia vascolare periferica. — È costituita da piccoli gruppi di vasetti legnosi di quattro o sei elementi tracheiformi, i quali rap- presentano il protoxilema. Con essi alternano in numero eguale dei gruppi floematici. Fra gli uni e gli altri sì interpone un denso pro- senchima che resta a lungo cellulosico, mentre i gruppetti vascolari appaiono prima di ogni altro elemento lignificati. Ma non sono questi gruppetti di protoxilema che hanno la mag- giore importanza nella costituzione del sistema vascolare della radice. (1) Op. cit. — 0 — In sezione longitudinale i loro vasi non hanno neppure la strut- tura solita delle vere trachee, che non esistono invero in queste radici; cosicchè essi rappresentano un insieme di scarsa o nulla po- tenzialità conduttrice. I gruppi di libro sono piccoli, elittici, costi. tuiti da pochi vasi cribrosi, che in sezione longitudinale mostrano presso a poco la struttura solita. Alla formazione della cerchia vascolare periferica prendono anche parte alcuni dei grossi fasci interni che si fondono col prosenchima del protoxilema a mezzo del loro copioso astuccio di fibre. Sistema dei fasci interni. — Ben maggioreimportanza invecehanno questi fasci, nelle radici della Washingtonia e delle altre Palme, costituendo verisimilmente essi da soli, a mezzo delle grosse tracheidi che contengono, le vie di conduzione della linfa ascendente. Si trovano in numero variabile secondo la grossezza delle varie radici, ma in una stessa radice il loro numero è eguale, sia in vi- cinanza dell’apice che presso l’ inserzione col fusto; ciò vuol dire che tali fasci sono tutti di origine apicale. In una sezione trasversale, praticata in un punto alquanto di- stante dall’apice si osserva che i fasci più esterni fanno parte della cerchia vascolare periferica, con la quale son venuti in contatto per la lignificazione di tutto il prosenchima interposto. Ma le sezioni praticate in vicinanza dell’apice dimostrano la perfetta indipendenza di tutte le unità del sistema dei fasci interni dai gruppetti di pro- toxilema. Mentre, come abbiamo detto, questi sono i primi a ligni- ficarsi, colorandosi intensamente con la fuxina laddove tutto il resto del tessuto rimane bianco, in seno a questo si osservano i lumi delle grosse tracheidi già formate, ma non per’anco ispessite nè lignificate. Le più esterne, quelle che più tardi entrano a far parte della cerchia vascolare periferica, corrispondono ai vasi « apicali » del Bu- scalioni (1) ed invero sembra che derivino da una differenziazione del mantello; quelle più interne, sparse in maggiore o minore numero nel tessuto midollare, corrispondono ai vasi « midollari ». Tutti quanti poi corrispondono ai vasi « metaxilematici » del Drabble e degli altri Autori. Ogni singolo fascio interno si compone di una grossa tracheide e di un fitto inviluppo di fibre che la circondano. Talvolta due di questi fasci vicini si fondono insieme per mezzo dei loro astucci di fibre. Mancano gli elementi liberiani. Delle fibre le prime a lignificarsi sono quelle che circondano le tracheidi più interne; poi mano mano si lignificano le altre, e final. (1) Op. cit. POR ARR 0° (RTS TARE A di, Pini A e > CIVICI pe TA Staz: (- ge mente quelle che stanno attornoalletracheidi più vicine alla cerchia periferica, con la quale allora formano un tutt'uno. Ultime a ligni- ficarsi (a circa 2-3 cm. dall’apice) sono le pareti delle tracheidi, le quali sono formate dalla fusione e dall’ispessimento successivo delle membrane degli elementi prosenchimatosi delimitanti il lume. Ciò serve a dar agio ai raccordi periciclici delle radici secondarie a poter innestarsi sui grossi vasi. Infatti si ha un esatto parallelismo tra la durata della facoltà generatrice nel periciclo e quella dello stato cellulosico delle pareti delle grosse tracheidi; queste appaiono com- pletamente lignificate quando il periciclo non si distingue più dalle cellule della corteccia ed è cioè incapace di emettere ulteriormente radici laterali. Inunasezione trasversale praticata vicino l’apice si hanno dunque i gruppi di protoxilema lignificati ed il sistema delle grosse tra- cheidi ancora cellulosico, ad eccezione del prosenchima che circonda le tracheidi più interne. In tal punto della radice si rende manifesto il fatto che la disposizione dei fasci metaxilematici interni, relati- vamente alla simmetria dell’asse, non segue ordine veruno, ma è di tipo sparso, simile a quella dei fasci nello stipite. Midollo e sue propaggini. — Gli elementi dì questo tessuto non sì distinguono per alcun carattere istologico da quelli della corteccia, nè in vicinanza dell’apice, nè in punti lontani da questo. Abbiamo già detto che la sua identità con la corteccia è dimostrata, oltre che dalla comune origine nell’apice, dalla presenza delle cellule sube- rose identiche ed egualmente sparse in entrambi i tessuti. Altro carattere comune è la presenza di numerose lacune, di origine lisi- gena, le quali pare non manchino mai nel parenchima fondamen- tale delle radici delle Palme. Vediamo in che rapporto stanno questo parenchima assile e i fasci legnosi. Ognuno di questi, costituito come si è detto di una sola grossa tracheide e da un astuccio di fibre che la circonda, rappresenta un'isola di elementi legnosi, in mezzo ad un fondo parenchimatico. I bordi infatti sono completamente delimitati dalle propaggini mi- dollari. Tutto ciò si vede benissimo nelle sezioni trasversali delle radici grosse, nelle quali il numero di tali isole è considerevole; ma le propaggini midollari non arrivano fino alla cerchia vascolare peri- riferica, così che le grosse tracheidi vicine alla periferia non ven- gono isolate, ma si trovano, come si è detto, saldate con la cerchia del protoxilema a mezzo dei loro astucci di fibre. Invece lo studio delle sezioni vicinissime all’apice attivo mostra che anche i fasci interni più vicini alla periferia sono isolati da strette pro- SOT paggini di parenchima assile, le quali poi seguono la sorte di tutti gli altri elementi adromatici, ispessendosi e lignificandosi; cosicchè viene dimostrata la completa indipendenza di tutti questi fasci in- terni, anche dei più periferici, dalla cerchia di protoxilema, oltre che dal fatto della loro più tardiva lignificazione. LivistoNA AUSTRALIS MART. L'apparato radicale di quest’altra Palma è simile a quello della Washingtonia; vale a dire vi è un complesso di assi morfologica- mente eguali, paralleli, verticali, che nascono dalla base dello sti- pite, restando fittamente stipati tra loro e presentando perciò ana- loghe alterazioni dell’aspetto esterno di quelli della Waskingtonia. Queste sono le radici principali; vi è poi un sistema di assi minori, sottili, nascenti lateralmente ai primi, meno che nelle regioni più alte, che sono le radici secondarie. Anche in questa Palma si ha il fenomeno della atrofia degli apici radicali nelle radici principali e quello della pseudodico- tomia. Lo studio anatomico rivela le seguenti particolarità: a) Apici vegetativi. — Questi, benchè soggetti ad una com- pleta suberificazione, si conservano integri; ma può anche avve- nire che alcuni tessuti, specialmente il parenchima assile e quello corticale in immediato contatto col cilindro assile si necrosizzino e sì dilacerino, di guisa che si ha anche in essi un apice costituito dal solo cilindro assile, libero, incapsulato dal periderma. Quando ciò avviene la radice non può più crescere ulteriormente in lun- ghezza e si ha allora la produzione delle due branche laterali pseu- dodicotomiche. Altri invece, come si è detto, rimangono integri, ad onta della loro totale suberificazione e probabilmente possono riprendere la loro attività incrementale in epoca successiva. Mettendo una sezione longitudinale di tali apici in acqua di Javelle, dopo che si è la- sciato disciogliere totalmente la suberina che ne impregna gli ele- menti, questi appaiono nettamente cellulosici, come prova un succes- sivo trattamento con clorojoduro di zinco, e con un aspetto meriste- matico. È probabile che al sopraggiungere dell’epoca di vegetazione attiva della Palma, cioè della primavera, avvenga appunto un rias- sorbimento della suberina e quindi un riacquisto dei poteri meri- stematici, per cui la radice può ancora prolungarsi. Nelle sezioni longitudinali mediane si osserva che il mantello è aperto e che il parenchima assile comunica direttamente col ti = gruppo di iniziali estremo, che anche qui è comune sia alla scorza che al cilindro assile. i Poco più sopra questo sì mostra già pienamente e definitiva- mente sviluppato e Jignificato; per questi caratteri la somiglianza di queste radici con quelle della Washingtonia è grandissima. Anche l’endodermide appare già lignificata, perfino nella re- gione estrema dell’apice, dove però manca degli ispessimenti ca- ratteristici, che si sviluppano più in alto, così che essa, in quella regione non differisce gran che da un qualunque altro strato della corteccia, ad elementi impregnati di lignina. In seno al tes- suto della corteccia, anche a grande vicinanza del gruppo di ini- ziali, si trovano infatti numerosissime cellule lignificate, sparse qua e là o raccolte a gruppi, abbondanti specialmente verso la re- gione interna; le stesse cellule, con gli stessi caratteri si trovano altresì nel parenchima centrale del cilindro assile. Periciclo. — Anche in questa Palma non esiste un periciclo come tale, cioè come un tessuto nettamente determinato da carat- teri istologici; infatti sotto all'’endodermide non vi è che uno o pochi strati di cellule impregnate di lignina, simili a quelle poste immediatamente al di là dell’endormide, le quali servono a dare le iniziali di radici laterali ed a produrre i vasi di raccordo con il sistema vascolare della radice principale. Cerchia vascolare periferica. — È costituita, come nella Washin- gtonia, dal protoxilema, raccolto in piccoli gruppi, dove le trachee non hanno la struttura solita, e che alternano con fascetti di libro allungati radialmente. Sistema dei fasci interni. — Questi fasci, costituiti, come nella Washingtonia, da una grossa tracheide e da un denso astuccio di fibre adromatiche, formano la massa principale del mantello, giacchè sono tutti ravvicinati alla periferia e fusi con la cerchia periferica e fra di loro per mezzo delle fibre adromatiche. Il loro differen- ziamento avviene assai di buon’ora, ma mentre le fibre si colorano intensamente già appena 1 mm. sopra l’apice ed appaiono dotate di tutti i caratteri definitivi, le tracheidi e gli elementi adroma- tici posti,immediamente a loro contatto, rimangono a lungo cel- lulosici. Anche qui si ha dunque una perfetta indipendenza degli elementi del sistema dei fasci interni, rispetto alla cerchia del pro- toxilema, che è sempre il primo a conseguire lo stato definitivo. ‘ Midollo. — Nelle radici piccole e in vicinanza dell’apice di quelle grosse questo tessuto è chiaramente individualizzato dal contorno interno del mantello, quasi regolarmente circolare. Mano mano che si sale nelle grosse radici questo contorno diventa invece sinuoso Pad e si vedono i gruppi più interni di fibre, che includono le grosse tracheidi, protendersi verso l’interno ed invadere a poco a poco il campo del midollo fino a staccarsi completamente dalla cerchia va- scolare esterna ed apparire completamente isolati e circondati da parenchima midollare. Ciò è dovuto ai lenti fenomeni di dilata- zione di volume dei singoli costituenti istologici della radice, per i quali la radice è sempre più grossa nei suoi punti più alti che verso l’apice. Ma nelle radici molto grosse anche in vicinanza dell’apice i fasci xilematici interni sono staccati dalla cerchia vascolare ed occupano in maggior o minor numero il campo del midollo; co- sicchè la disposizione sparsa di questi fasci in seno al parenchima esiste anche in questa Palma, come nella Waskhingtonia, e solo è mascherata dalla fusione dei loro elementi con quelli della cerchia vascolare e fra di loro. OREODOXA REGIA H. B. K. Morfologia esterna delle radici. — L'apparato radicale di questa Palma differisce notevolmente per la morfologia esterna da quello delle due altre Palme descritte, avvicinandosi invece al tipo co- mune che presentano gli alberi dicotiledoni. Non si ha, come in quelle, un sistema di assi paralleli, ver- ticali, quasi eguali fra loro e morfologicamente tutti equivalenti, ma un ciuffo di radici, tanto più grosse e lunghe quanto più sono vicine al centro dello stipite, e che divergono in tutte le direzioni laterali subito uscite dai tessuti di questo. Le più grosse rag- giungono un diametro di 5 cm.; a causa della stessa loro diver- genza esse non risentono gli effetti della mutua pressione, non tro- vandosi in contatto che per un breve tratto vicino allo stipite, e perciò si mantengono cilindriche per tutto il loro decorso. Sono coperte da un periderma bruno che sì stacca facilmente in sfoglie allo stato di completa secchezza. La ramificazione seconda- ria avviene senza regola, trovandosi radici laterali a tutte le altezze e ad ogni stadio di età; non vi è nè atrofia di apici nè pseudi- cotomia. Per la struttura invece queste radici non si allontanano dal tipo presentato dalle altre Palme. Apici vegetativi. — ‘Questi sono costituiti, come nelle altre Palme, da un gruppo comune di cellule iniziali. Non si osserva suberificazione; il cilindro assile non è così rapido a svilupparsi e lignificarsi come nelle altre specie; i grossi vasi rimangono a lungo ANNALI DI Boranica — Vor. X. 6 aibegi è fb indifferenziati ed accennati soltanto con le pareti delle fibre che ne delimitano il lume. Non vi sono strati che meritino i nomi di endodermide e peri- ciclo, poichè la corteccia tocca direttamente il cilindro assile con alcuni strati di cellule un po’ più piccole delle altre. Cerchia vascolare periferica. — Molto ben sviluppata è la cerchia vascolare periferica, alla cui formazione concorrono, oltre al pro- toxilema, anche parecchi gruppi di grosse tracheidi, circondate cia- scuna dal solito astuccio di fibre. Sistema dei fasci interni. — Nell’ampio tessuto assile delle più grosse radici, i cui elementi non differiscono punto, nè per forma nè per natura d’impregnazione, da quelli della corteccia, stanno immersi largamente numerosi fasci xilematici, costituiti da una, due, talvolta anche più, grosse tracheidi, circondate dall’astuccio di fibre. Queste ultime, per la energica infiltrazione di lignina di cui son dotate le loro membrane, spiccano nettamente a mo’ di isole in seno al parenchima, anche senza ricorrere a mezzi coloranti, talchè esse riescono nettamente visibili anche ad occhio nudo, nelle se- zioni trasversali delle più grosse radici. Le colorazioni poi degli elementi legnosi riescono nettissime, ed esattamente differenziate. I vasi, anche quelli della cerchia vascolare rimangono, come si è detto, a lungo indifferenziati; solo nelle regioni più alte della radice acquistano una parete propria che si lignifica ed ispessisce energicamente. Ciò prova sempre più la perfetta indipendenza dei grossi vasi interni dagli elementi del protoxilema, che da solo costituisce la cerchia vascolare periferica. Cocos FLExXUOSA MART. Le radici di questa e di altre specie di Cocos, notevolissime per la loro fasciazione e la frequente schizorrizia, per cui spesso si presentano nettamente dicotomiche, hanno ancora più accentuati i caratteri peculiari delle radici fin qui descritte. I gruppi metaxilematici interni sono sviluppatissimi e separati fra loro da larghe strisce di tessuto fondamentale, anche in quelle radici in cui l’appiattimento del cilindro assile preludia alla sua divisione. Vi è una netta endodermide ed un periciclo differenziato; ma con i reperti dei professori Buscalioni e Lo Priore nelle radici di Phoenix dactylifera, con le quali queste dei Cocos hanno tanti punti di contatto, potremmo ripetere le stesse conclusioni cui essi son BRRILORE 9 API AE TOTI PRECEDE TINTE, I ROIO apro giunti, sullo scarso o nullo valore di questi strati quali entità ana- tomiche e topografiche. I coni di vegetazione si presentano foggiati sullo stesso stampo di quelli delle altre Palme; l’apice meristematico è costituito da un gruppo di iniziali comuni. I gruppi di protoxilema, come al solito, pochissimo sviluppati, alternano regolarmente con i gruppi di floema; i vasi metaxile- matici si presentano invece grandemente sviluppati, circondati da robusti astucci di fibre. Allorchè il cilindro assile si appiattisce disponendosi alla bipar- tizione si notano delle grandi perturbazioni sulla orientazione e posizione dei singoli strati, come ad es. formazioni di endodermidi eterotopiche, invaginazioni e strozzature che preludiano alla schi- zorizia, ecc. I fasci isolati si distribuiscono allora in modo tutt'altro che equabile ai due nuovi cilindri assili; talvolta nel- l’uno di questi non ne viene che uno solo e tutti gli altri passano nell’altro. Tra le altre perturbazioni che intervengono vi è quella notevolissima della comparsa di gruppetti di libro in seno ai fasci interni, così che essi diventano fasci libero legnosi, di tipo concen- trico, nè più nè meno come quelli dello stipite. Ragioni di brevità non mi permettono di precisare la prove- nienza di questi elementi liberiani; forse essi derivano dai fascetti periferici situati nel punto ove avviene la strozzatura del cilindro assile, 1 quali, accollandosi dapprima ai più vicini fasci metaxile- maticl interni, ne vengono poscia totalmente inclusi per l’abbon- dante sviluppo di fibre legnose. CHAMAEDOREA ELATIOR MART. Particolare interesse hanno le radici di questa e delle altre specie dello stesso genere, per il fatto che nei loro fasci legnosi interni si trovano anche gruppetti di floema. Il fatto era già stato segnalato dal Gillain anche per le specie di altri generi di Palme. Il cilindro assile, nella radice giovane non mostra alcuna chiara disposizione alternante di fasci, ma appare costituito da un mantello in seno al quale stanno disseminate numerose grosse tracheidi, senza ordine alcuno e numerosi gruppi di floema, posti ciascuno tra due vasi consecutivi, ma senza che formino una cerchia, poichè non si trovano tutti allo stesso livello rispetto all’asse. Questo è occupato da un chiaro parenchima midollare. VT EST Po NEL AE I) n : ; +» War gb) Nella radice adulta invece si ha una disposizione raggiante dei fasci, ma essa è soltanto apparente, perchè determinata da tanti raggi di tessuto fondamentale, le cui cellule, ricche d’amido, par- tendo dalla corteccia arrivano fino al midollo ed hanno le pareti fortemente lignificate. Altre strisce di parenchima simile si trovano in senso tangenziale, ad ogni livello rispetto all’asse. In ogni set- tore, determinato da due di questi raggi i grossi vasi sono distri- buiti senza alcun ordine, tanto verso l’esterno che verso l'interno; cosicchè nel complesso si ha un cilindro assile ad elementi sparsi | su di un fondo di fibre legnose fortemente ispessite, che è poi di- viso e suddiviso in tanti scacchi dalle strisce radiali e tangenziali di tessuto fondamentale. La struttura di queste radici è somigliantissima a quella dei fusti delle Felci così dette policicliche, dalle quali si può pensare che derivi la struttura a fasci sparsi del fusto delle Monocotiledoni ed in ispecial modo quello delle Palme solo se si imaginano i fasci non riuniti fra loro dal prosenchima legnoso, ma smembrati ed iso- lati e circondati dal parenchima fondamentale cellulosico. Nelle radici di altre specie di ChRamaedorea si ripete invece la struttura descritta fin qui per le altre palme, vale a dire vi è una cerchia vascolare e un certo numero di fasci metaxilematici dis- seminati nel midollo. La differenza più notevole si è che alla for- mazione della cerchia prendono parte, oltre ai fasci più esterni, anche numerosi fascetti di libro, sparsi qua e là nel grosso del mantello, oltre a quelli che alternano regolarmente coi gruppetti di protoxilema. PANDANACEE. Le radici di queste piante, che tanta affinità hanno con le Palme, presentano con la struttura delle radici di queste le più grandi analogie. Nel Pandanus utilis gli apici delle radici principali non me- ritano il nome di coni di vegetazione, per la loro forma assai ot- tusa; la estremità, anzichè essere appuntita, è addirittura una super- ficie leggermente convessa con un diametro non inferiore a quello della i radice nei suoi punti più alti. Un foro, situato eccentricamente su questa superficie estrema, indica il punto dove affiora il pleroma. Le sezioni longitudinali mostrano all’esterno il periderma, che, a differenza di quello degli apici di talune Palme, persiste sempre. Il meristema è costituito da un gruppo comune di cellule iniziali, che genera del parenchima fondamentale, il quale ben presto si CW Gnu: È differenzia in un cilindro centrale ed in corteccia laterale. In seno al primo si differenziano i fasci, in ordine affatto sparso, vale a dire senza lasciarsi distinguere in mantello e in fasci midollari; tra di loro rimangono strette zone di parenchima fondamentale, che verso l’asse sono un po’ più vaste, simulando lontanamente un midollo frammentato. In seno alla corteccia avviene un differenziamento analogo di gruppi di sclerenchima, non molto ispessiti, ma che assorbono for- temente la fuxina nella regione stessa dell’apice. Le sezioni trasversali praticate poco al di sopra di questo sono identiche a quelle fatte nei punti più vecchi della radice. L’endodermide è netta, lignificata, ma poco ispessita; i suoi ele- merti non differiscono affatto da quelli che costituiscono i gruppi di sclerenchima della corteccia. Ad essa segue un periciclo indifferenziato di uno o due strati di parenchima. La cerchia vascolare esterna è ridotta al solo protoxilema, che in piccoli gruppi alterna con gruppi di floema; non mancano tut- tavia qua e là fusioni dei fasci interni più periferici, con essa, per mezzo delle fibre copiosamente sviluppate. Il sistema dei fasci interni costituisce la grande massa del ci- lindro assile. È formato da gruppi di fibre che racchiudono una, due, talvolta anche tre grosse tracheidi. Sono, come si è detto, se- parati fra loro da strisce di parenchima fondamentale. Ma ciò che per noi ha grandissima importanza si è il fatto che in seno a cia- scuno di questi fasci si trova costantemente un numero eguale a quello delle grosse tracheidi di gruppetti di elementi floematici, posti simmetricamente rispetto a queste. La somiglianza di questi fasci radicali con quelli del fusto è dunque perfetta; ognuno di essi è completo nelle singole parti di un fascio di tipo concentrico. Essi sì uniscono a due o a tre, for- mando dei fasci composti. III. — Interpretazione della struttura. La struttura delle radici delle Palme e delle Pandanacee fin qui esaminate si allontana talmente dal tipo comune a tutte le altre radici, comprese quelle di parecchie altre Monocotiledoni, da non potersi senz'altro ad esso riconnettere. La maggiore divergenza è data dalla presenza’ in esse del si- stema dei fasci interni (metaxilematici, fasci midollari, ecc.) che, distribuiti in ordine sparso in seno al parenchima assile (midollo) "de LIPSIA A I sà ee — 86 — costituiscono in tutte le radici esaminate la grande massa del ci- lindro assile. Un semplice esame microscopico a piccolo ingrandimento (e per le radici molto grosse, quali quelle dell’Oreodora, basta anche l’os- servazione ad occhio nudo) di una sezione trasversale di una tale radice ci fa constatare che, astrazion fatta dell’endodermide e del periciclo, quando esistono, e della cerchia vascolare periferica di protoxilema, la struttura della radice si può paragonare a quella dello stipite, il cui carattere più saliente, è, come è noto, appunto lo sparpagliamento dei fasci in seno ad un parenchima fonda- mentale. Le seguenti considerazioni tendono a dimostrare che questa so- miglianza tra la struttura della radice e quella dello stipite non è soltanto apparente, ma ha reale fondamento in tanti fatti, da poter a buon diritto parlarsi di una comunanza di composizione morfologica interna tra l’asse aereo e gli assi sotterranei nelle Palme e nelle Pandanacee. I fatti, cui alludo, non sono che i risultati del precedente stu- dio anatomico, che oramai si possono enunciare in poche parole. Anzitutto, la già accennata disposizione in ordine sparso dei fasci metaxilematici interni in seno al parenchima assile della ra- dice costituirebbe il primo carattere inconfutabile di rassomiglianza tra fusto e radice, ove, come dimostreremo, fosse lecito paragonare questi fasci a quelli dello stipite. Ed infatti questi fasci interni costituiscono un sistema vasco- lare, che, oltre a rappresentare la massa principale del cilindro as- sile, dimostra. perfettamente indipendente dai fascetti della cer- chia periferica, la quale ci condurrebbe al tipo strutturale alterno delle solite radici, ove le sì accordasse notevole importanza mor- fologica e funzionale. Ma è evidente che ciò non può assumersi, data l’esiguità del suo sviluppo, non rappresentando essa nemmeno '/,, della massa del cilindro assile, data l’assenza o quasi di vere trachee, e dato infine il fatto che i raccordi periciclici delle radici laterali non si innestano mai sui suoi fascetti, ma sempre sulle grosse tracheidi, le cui pareti all'uopo lignificano tardivamente. Che la cerchia vascolare d’altronde sia costituita dal solo pro- toxilema, alternante coi gruppi di libro, e che le grosse tracheidi ad essa aderenti per mezzo delle fibre ne siano invece perfetta- mente indipendenti e debbano ricollegarsi morfologicamente al si- stema dei fasci interni, è dimostrato dallo studio dello sviluppo del cilindro assile. Infatti, come si è detto a suo luogo, i primi a lignificarsi sono îì gruppetti di protoxilema e in seguito, a 3-4 cm. — 87- dall’apice lignificano quasi simultaneamente le pareti di tutte le grosse tracheidi. Il fatto che una parte dei grossi fasci interni nelle radici si trova aderente alla cerchia periferica vascolare ha perfetto riscontro con quanto avviene negli stipiti di tutte le Palme. In questi i fasci, pur mantenendo tipicamente l’ordine sparso, sono tuttavia più rad- densati verso la periferia e più radi verso il centro, dove abbonda invece il parenchima. Ciò talvolta avviene in modo così notevole, come negli stipiti dell’Oreodora, che venendo uno di questi a dis- seccare, tutto il tessuto centrale cade via e resta un cilindro cavo, formato da un legno periferico compatto. Cosicchè in una radice, per quel che riguarda la distribuzione dei fasci, troviamo ricostruito esattamente il tipo morfologico in- terno dello stipite. Lo studio degli apici vegetativi ci ha inoltre indicato un altro fatto, che ci autorizza a paragonare il parenchima fondamentale dello stipite all’insieme del parenchima corticale-midollare della radice. Abbiamo infatti trovato, confermando così le ricerche del Bu- scalioni, del Drabble, ecc., che il meristema apicale è costituito da un gruppo comune di iniziali, col quale trovasi in diretto contatto sia il parenchima che occupa l’asse della radice (midollo) mediante l'apertura all’apice del mantello, sia, al dì fuori di questo, ai due lati, il parenchima corticale. L'identità di queste due zone di paren- chima è dimostrata così dalla comunanza dell’origine, oltre che dai caratteri istologici, tra i quali la presenza omogenea delle cellule suberificate, e, in alcune palme, delle lacune lisigene. Non vi è dunque in queste radici distinzione tra parenchima corticale e midollare, ma vi è un unico parenchima fondamentale, perfettamente paragonabile dunque a quello dello stipite. A. bella posta dunque abbiamo chiamato « parenchima assile » quella parte del parenchima fondamentale che occupa l’asse della radice, giacchè la denominazione « midollo > deve riservarsi ai casì in cui il tes- suto in questione ha origine nettamente pleromica. Un ultimo fatto, d’ordine fisiologico, viene a stabilire un per- fetto parallelo tra le radici e gli stipiti cui appartengono, ed è la mancanza in quelle, come in questi, di accrescimento secondario dovuto a strati meristemali cambiformi. Tutte le radici da me esaminate hanno già preformata nel loro apice vegetativo la loro struttura definitiva, che durante il decorso della radice non fa che accrescersi per dilatazione del volume dei singoli costituenti istologici. Codesta dilatazione è per altro minima Noe sia + Ta So, o nulla nelle Pandanacee, le cui radici hanno lo stesso diametro all'apice e alla base; ed è sempre molto piccola nelle radici delle Palme. Tutto ciò dimostra che, a somiglianza di quanto accade nello stipite, la struttura della radice dipende esclusivamente dal cono di vegetazione, dal quale in effetti deriva tutto il tessuto paren- chimatico e vascolare, avente già l’orientazione e la posizione re- ciproca definitiva. Ma come è innegabile che vi siano tutte queste somiglianze nelle strutture della radice e dello stipite, è certo altresì che vi sono molte divergenze, che hanno bisogno di venire chiaramente spiegate. Ed anzitutto: è veramente lecito paragonare i fasci metaxile- matici interni della radice a quelli dello stipite? Quale importanza ha nella anatomia delle radici la presenza della cerchia di pro- toxilema alternante con i gruppi di libro? Qual significato dob- biamo dare all’endodermide e al periciclo, che non sempre sono chiaramente rappresentate nelle regioni corrispondenti dello stipite? A queste domande risponderemo con le opinioni degli Autori, notando fin da ora che tutte le divergenze sì possono spiegare con ragioni fisio-biologiche e filogenetiche e che pertanto esse non val- gono a demolire il concetto del tipo strutturale unico della radice e dello stipite. A proposito dell’endodermide, lo Strassburger (1) è d’opinione che lo strato più interno della corteccia è una designazione pura- mente morfologica e topografica, a cui riserva il nome di « fleo- terma »; mentre dà all’endodermide un valore puramente istologico, impiegando questa parola per designare lo strato, le cui cellule presentano gl’ispessimenti di Caspary. Il Belli (2) nota che l’esistenza dell’endodermide nel fusto è lungi dall’essere un fatto generale, come provano le sue numerose ricerche sul genere Trifolium; ed è d’opinione, d'accordo con la ‘ teoria delpiniana, che la distinzione tra scorza e cilindro assile nel fusto è impossibile in teoria ed in pratica. Anche il Fischer (3) sì esprime in questo senso, riferendo che su 100 Dicotiledoni, solo 32 possedevano una endodermide, mentre (1) Ueder den Bau und die Verrichtungen der Leitungsbahnen in den Pflanzen. — Histologische Beitrige, Heft 83, 1891. (2) Endodermide e periciclo neliven. Trifolium in rapporto colla teoria della stela di VAN TIEGHEM E DOULIOT. — Memorie della R. Acc. d. Sc. di Torino Ser. IL t. 46, 1896. 1 (3) Der Pericykel in den freien Stengelorganen. — Pringsheim’s Jahrbiich 35 Bd, 1900. su 8 conifere esaminate nessuna presentava questo strato di sepa- razione. Secondo il Bouygues (1) l’endodermide della radice sarebbe d’o- rigine corticale. i Lo Schoute (2) invece constata che l’endodermide esiste nella maggior parte dei casi dove ne era stata contestata l’esistenza. Buscalioni e Lo Priore (8) credono che l’endodermide, come il periciclo e il midollo, non possono essere considerati come unità a costituzione specifica, potendo secondo i casi, derivare l’uno dal- l’altro. Abbiamo visto che nelle radici delle Palme l’endodermide, non ostante la sua netta differenziazione, spesso non si distingue dagli altri strati della corteccia, durante la fase giovanile, ed in alcune Palme, nemmeno nello stato adulto. Vogliamo anche ricordare che nelle radici di certe Monocotile- doni (Dendrobium, ecc.) si trova uno strato simile ad un’endoderma posta a notevole distanza dal cilindro assile, in seno alla massa del parenchina corticale; questo fatto si ripete, benchè in misura molto minore nelle più grosse radici di WaskRingtonia, nelle quali cioè l’endodermide è distanziata dal cilindro assile da parecchi strati di parenchima periciclico, assolutamente identico al parenchima corticale situato immediatamente al di la dell’endodermide. Per tutte queste ragioni è da ritenere che questo strato non costituisca una barriera di separazione tra cilindro assile e cortec- cia, ma che rappresenti soltanto, quando esiste, una entità pretta- mente istologica, secondo il concetto dello Strasburger. Abbiamo già a suo tempo stabilito quale sia l’importanza del periciclo nelle radici delle Palme e delle Pandanacee; la sola prin- cipale caratteristica che lo possa definire è la funzione moltipli- catrice dell'apparato radicale, che ad esso è affidata. Qualunque altra designazione anatomica o istologica non trova appoggio nei fatti. Di tale avviso è appunto il Pitard, che ha con- sacrato un importante lavoro all’argomento, venendo alla conclu- sione che la nozione che si ha attualmente del periciclo non è ade- guata alla realtà dei fatti, nè nei fusti adulti, nè in quelli giovani (1) Sur l’interprétation anatomique de certaines régions homologues de Vin- dividu végétal. — Act. de la Societè Linn. de Bordeaux, ITI Série, t. VII, pa- gine 85, 1909. (2) Die Steldr-teorie. — Inaugural dissertation. Groningen 1902, Jéna G. Fi- scher ed. P., Noordhoff, Groningen, 1903. (3) Op. cit. cei MR TT PEA arte — ) a Tae af Pa ae E LE oe Air ei SIE, BIANONRA TS PaCDAe pag NL - » Pi o, dd. % PUS eri Leggi conducendo essa a stabilire un limite fra cilindro centrale e cor- teccia che fa difetto in molti casi (1). Secondo i proff. Costantin e Morot (1) in un lavoro sui fasci libero-legnosi delle Cicadee, le differenze di struttura dell’endoder- mide e del periciclo nelle radici e nel fusto di queste piante, ven- gono poste in rapporto con la diversità del mezzo dove si svilup- pano le due regioni della pianta (2). Questo concetto vale senza dubbio a spiegare anche le altre diver- genze di struttura che si hanno tra radici e fusto nelle nostre Palme. Ci siamo domandati più sopra se è lecito paragonare i fasci metaxilematici delle radici a quelli sparsi dello stipite. Nelle Pandanacee questi fasci sono completi in ogni loro parte, sono cioè libero-legnosi, di tipo concentrico, riuniti spesso a due o: a tre in seno alla massa del parenchima fondamentale. i In certe specie di Chamaedorea tutti gli elementi si trovano anche al completo, ma i fascetti di libro non sono chiaramente ac- coppiati ai fasci di legno, ma sparpagliati nella massa unica di questi ultimi fusi tra loro. Abbiamo anche notato una accidentale presenza di libro nei fasci metaxilematici interni delle radici dei Cocos. Non v’ha dubbio dunque circa la tendenza dei fasci radicali ad assumere la struttura e la composizione dei fasci caulinari. Ma la mancanza assoluta del libro nei fasci radicali di tutte le altre Palme non costituisce ragione per allontanarli dal tipo morfo- logico comune con quelli dello stipite. È certo che la precisa funzione affidata alle radici, di succhiare e condurre gli umori del terreno, implica un grande sviluppo di elementi legnosi, ed esclude in certo qual modo una grande importanza agli elementi liberiani, il cui sviluppo è appunto limitato allo stretto necessario. Così i grossi vasi, circondati dagli astueci di fibre, vengono a costituire nelle radici delle entità anatomiche in fondo si- mili ai fasci dello stipite. Non va dimenticato del resto che anche in quest’ultimo, specie nelle regioni più basse, come hanno trovato lo Zodda (3) ed altri autori, si trovano fasci con libro de- (1) PrrARD J. — Recherches sur Vevolution et la valeur anatomique et ta- rinomique du pericycle des Angiospermes. — Mem. Soc. des Sc. physiques et nat. de Bordeaux, VI Série, l. I, 1901 (2) Sur l’origine des faisceaux libero-ligneaux surnuméraires dans la tige des Cycadées. — Boll. Soc. Bot. de France, 32, 1885. (3) G. Zonpa. — Sull’ispessimento dello stipite di alcune Palme, — In Mal- pighia, anno XVIII, vol. XVIII. a O ae it e DTA e De ii pauperato, che, seguiti per un certo tratto verso il basso, ne diven- tano completamente sprovvisti; e si trovano anche dei cordoni di sole fibre legnose, sparsi qua e là. La stessa ragione data per i fasci delle radici vale evidentemente per questi fasci dei tratti in- feriori degli stipiti. Da ultimo rileveremo, come argomento d’indole generale, che molti autori sono stati propensi ad ammettere tina comunanza di natura fra fasci radicali e caulinari e che in certi casi, come af- ferma il Clos (1), 1 primi non sono che la continuazione inferiore dei secondi. Ben più difficile è dare una spiegazione della cerchia vascolare periferica ; essa non può desumersi se non ricorrendo a considerazioni filogenetiche. Ma dopo quanto hanno scritto il Buscalioni e il Lo Priore a proposito delle radici della Phoenix, ci sembra che migliore inter- pretazione non possa darsi se non seguendo le vedute di questi Autori. Per essi la complessità strutturale dei cilindri assili, reperibile nelle Monocotiledoni ed in particolare nelle Palme costituisce un carattere di inferiorità organica. Gli esempi più evidenti di code- sta complessità dell'apparato conduttore si trovano appunto nel gruppo delle grandi Crittogame vascolari, in cui la polistelia dei fusti, la policiclia dei cilindri assili radicali e caulinari rendono i tipi strutturali degli organi assili di queste piante incompara- bili, dal punto di vista della funzione conduttrice, a quelli delle Dicotiledoni. Le Monocotiledoni e segnatamente le Palme, riprodurrebbero, secondo 1 su citati Autori, con la loro struttura a fasci sparsi, il tipo strutturale delle Felci policicliche, mascherato soltanto dal profondo smembramento che hanno subìto 1 fasci, grazie al quale ognuno di essi sì è reso indipendente. Nulla di più probabile dunque che la cerchia vascolare perife- rica delle radici delle Palme significhi la persistenza di un carat- tere reperibile in modo assai più esaltato negli organi dei proba- bili antenati di queste Piante, quali sarebbero appunto le grandi Felci policicliche; e reciprocamente può dirsi che la cerchia vasco- lare costituisca un’altra testimonianza dei rapporti fllogenetici che intercedono fra Felci e Palme. Il fatto poi che la cerchia vascolare coi suoi gruppetti di pro- (1) CLos. — ARhizotarie anatomique. — Ann. des. Sc. Nat., 3* Série, t. XVIII, 1852. ui —_ LR sg i toxilema non contribuisce che in minima parte, se non per nulla del tutto alla funzione conduttrice, che è invece affidata ai grandi vasi interni, costituisce senza dubbio una prova della degradazione di questo carattere anatomico, che vediamo ridotto alla minima espressione nelle radici di talune Chamaedorea e delle Pandanacee. Infine un’altra prova dell’inferiorità organica delle Palme si trova nelle radici dicotomiche di Phoenix, come hanno dimo- strato Buscalioni e Lo Priore, in quelle dei Cocos, che secondo le mie ricerche presentano grandi analogie con le prime, e nell’atro- fia degli apici radicali della Washingtonia, della Livistonia e forse di parecchie altre Palme, che è carattere specifico e col quale è connesso il tipo di ramificazione radicale che ho chiamato « pseu- dodicsotomico ». IV. — Atrofia degli apici radicali. Nella Waskingtonia filifera e nella Livistonia si presenta co- stantemente il fatto che gli apici radicali, giunti ad una certa di- stanza dal punto dove furono prodotti si suberificano totalmente e poscia cadono in necrosi, lasciando dietro di sè l’asse radicale mozzo. All’estremità di questo allora si producono due radici late- rali, allo stesso livello ed orientate a 180° fra loro, con le quali l’intero organo assume un aspetto dicotomico. Il fenomeno in se- guito si ripete all’estremità di ciascuna delle due branche. La generalità di fenomeno, non solamente per la radici di uno stesso individuo, ma per quelle di parecchi individui della stessa specie, come ho potuto verificare direttamente, esclude che possa trat- tarsi di casi patologici, per quel che riguarda l’atrofia degli apici; si trattava di vedere quale dei due fenomeni — l’atrofia dell’apice o la ramificazione doppia — fosse causa dell’altro, per poter dare il giusto valore e l’esatta interpretazione morfologica degli organi che ne sono sede. Abbiamo visto a suo luogo in che modo rimarchevole e spe- cioso si sviluppino le cellule suberificate in tutti i tessuti degli apici vegetativi, compreso il mantello. Abbiamo anche detto che l’apice si mantiene attivo e capace di allungare la radice finchè l'equilibrio fra elementi meristematici ed elementi suberosi non venga turbato a favore di questi ultimi. Ora tali elementi si riscontrano assai di buon’ora negli apici ra- dicali, persino in quelli che si trovano ancora circondati dai tes- suti della base dello stipite e che in mezzo ad essi sì fanno strada per uscir fuori. Di più, essi elementi, che persistono per un certo tratto sopra l’apice, scompaiono in seguito dal cilindro assile, men- tre si mantengono per sempre nella corteccia, e nel parenchima assile, disseminate equabilmente in tutto il loro spessore. Tutto ciò dice che il parenchima apicale nasce « predisposto » all’atrofia, di cui le cellule suberificate sarebbero la manifestazione materiale, e che pertanto essa è da considerare come qualità innata della pianta. Un altro fatto che ci porta alla medesima conclusione è lo svi- luppo rapidissimo degli elementi del cilindro assile, per cui, come sì è detto, a breve distanza sopra l’apice esso si trova già bello e pronto, e con la stessa struttura delle regioni più vicine allo stipite. La ragione di questo affrettato sviluppo del cilindro assile mi sembra stia appunto nella predisposizione dell’apice al dissecca- mento. Infatti, ammesso, come è logico, che sia necessario alla pianta conservare quella stessa limitata lunghezza dei suoi assi radicali cui son capaci di giungere mediante i relativi apici, la lignificazione immediata del cilindro assile rappresenta evidentemente un mezzo a che l’atrofia non si estenda oltre i limiti del parenchima apicale propriamente detto. È certo che su tessuti già fortemente lignificati difficilmente ha luogo un successivo processo di suberificazione e conseguentemente di necrosi, onde la radice rimane presso a poco di quella stessa lun- ghezza alla quale giunse per opera del suo apice. Del resto, se gli apici hanno conseguentemente così breve du- rata e sì scarsa importanza nell’accrescimento dell'apparato radi- cale della pianta, il periciclo ne surroga in certo modo la fun- zione. Il fatto che questo strato di tessuto ha un particolare differen- ziamento e sì mostra massimamente capace di produrre le iniziali di radici laterali nei punti più vicini all'apice della radice madre, può considerarsi come una prova della già enunciata specificità del- l’atrofia. Si potrebbe dire che le qualità generative dell’apice emi- grino mano mano da questo, durante il breve periodo della sua at- tività e si distribuiscano lateralmente in uno strato di tessuto ade- rente al cilindro assile, e che quando l’apice si è totalmente esaurito, nel periciclo siano passate tutte le sue qualità generative in modo da potersi esplicare allora nella loro piena potenzialità produttiva. Alcune particolarità sul modo come si generano le radici secondarie dànno credito a tale idea. Anzitutto il fatto che le radici secon- darie nascono in maggioranza nelle regioni vicine all’apice e tal- volta così numerose e così ravvicinate da dar origine ad un vero LECCE CAGAIII organo fascicolato: costantemente poi si ha che due radici laterali, orientate di 180° fra loro e nascenti allo stesso livello, proprio al- l'estremità della radice madre, dove si arresta il processo dege- nerativo dell’apice, costituiscono il mezzo di ulteriore prolunga- mento dell’asse radicale. Questi due assi rappresentano, se così possiamo esprimerci, gli eredi principali delle facoltà generative, di cui l’apice si era mano mano impoverito trasmettendole al periciclo; e si ha per risultato definitivo la produzione di un organo apparentente dicotomico o meglio « pseudodicotomico », avuto riguardo al modo di origine delle due branche, che ha nulla di comune con la vera dicotomia. Le due branche costituiscono dunque la continuazione dell’asse principale da cui derivano. Da quanto si è detto sopra risulta che esse, ad onta della loro origine periciclica, hanno un valore più elevato che non quello di semplici radici laterali. Il loro studio anatomico conferma pienamente questo risultato in quanto che rivela in esse una struttura assai simile a quella dell’asse da cui son derivate, solamente più impoverita, ma molto più ricca ad ogni modo di quella delle radici laterali, nate nelle regioni alquanto distanti dall’apice. Come si è già detto, gli apici delle due branche pseudo-dicoto- miche si atrofizzano a loro volta e tornano a dar luogo a due nuove branche apicali, oltre a un certo numero di radici laterali disse- minate lungo i loro assi fino a limitata distanza dell’estremità. Il processo si ripete parecchie volte, ed ogni nuova branca apicale appare sempre più impoverita nella sua struttura, finchè le ultime non differiscono più affatto nella struttura da quelle laterali. V. — La struttura delle radici delle Palme dal punto di vista della teoria stelare. Secondo le definizioni di Van Tieghem e Douliot (1) chiamando < stela » l’insieme dei fasci vascolari e del connettivo che compon- gono un cilindro centrale, si avrebbe la « monostelia » quando questi fasci sono aggruppati in un cerchio o in parecchi cerchi concen- trici attorno all’asse dell’organo considerato, dove sta un midollo; la « polistelia » quando nell’organo i fasci sono aggruppati attorno a parecchi assi, in maniera da costituire altrettanti cilindri assili, aventi ciascuno il suo midollo; la « astelia » quando i fasci sono (1) Sur la polystelie. — Ann. di Sc. Nat., Série VII, t. 3, 1886. ao — isolati, non riuniti in cilindro assile, ma direttamente situati nella massa generale del corpo, dove allora non si può distinguere il mi- dollo nè il connettivo. In base a queste definizioni lo stipite delle Palme sarebbe dunque astelico; le loro radici, sarebbero in base alle conclusioni del capi- tolo III, anch’esse fondamentalmente asteliche, e solo per la com- parsa dell’endodermide, del periciclo, per 1 fenomeni di fusione di una parte del sistema dei fasci interni con la cerchia vascolare pe- riferica, fenomeni tutti a cui si è data la dovuta interpretazione, sì ha in esse la monostelia. Anche il Van Tieghem e il Douliot ammettono per altro che la monostelia possa derivare dalla astelia, benchè quella sia ordinaria- mente il tipo originario di struttura dei cilindri assili, specie nelle radici. Ma v'ha di più. Da questa secondaria monostelia nelle radici di Washingtonia e Livistonia, si passerebbe senz’altro alla polistelia, ove, seguendo ì concetti dei su citati Autori si considerano le branche pseudodicotomiche degli assi radicali principali nel loro insieme. Codesta deduzione è perfettamente lecita, perchè abbiamo dimo: strato che, ad onta della loro origine periciclica, le due branche pseudodicotomiche hanno lo stesso valore morfologico dell’asse da cui derivano. In queste radici si hanno dunque successivamente tutti e tre i tipi di composizione del cilindro assile, e, come sì è visto, i concetti di Van Tieghem e Douliot si adattano perfetta- mente ai fatti. È chiaro però che a questa conclusione non saremmo potuti ar- rivare se avessimo preso come base per la interpretazione della strut- tura il cilindro assile anzichè, come abbiamo fatto, i fasci vascolari ossia i singoli « desmi ». Le deduzioni fondate sulla considerazioni del cilindro assile ci avrebbero condotto a conclusioni perfetta- mente opposte. È certo che la struttura delle radici somiglia assai a quella dello stipite, ma noi non avremmo potuto mostrare tali somiglianze comparando i cilindri assili fra loro. Il cilindro assile, ossia la « stela » del concetto Van Tieghiano è il termine ultimo dell’evo- luzione dell’organizzazione degli organi assili, il cui punto di par- tenza è invece il « desma ». Questa evoluzione consiste nella pro- duzione di tutti quei fenomeni — in senso largo — che conducono all’assetto definitivo dei varî desmi in seno al parenchima fonda- mentale, col sorgere così dei varî caratteri che contraddistinguono i diversi tipi di struttura. La conclusione di questo capitolo non può essere dunque diversa " Pertiche hi idea ci ui? x pz oe dt L LF ; PRETE PERONI AT AIN I ARAN RETRO 70 IMAA MORSO CORE SETE SOS RIPRT SONIOTE: STATIC O da quella enunciata da Chodat (1) a proposito della teoria del « di- vergente » di Bertrand, ossia della unità libero-legnosa che costi- tuisce l’unica base per l’interpretazione della complessa struttura delle Felci. <« Abbandonando la nozione di stela — dice Chodat — che è oscura e varia da Autore ad Autore, Bertrand mostra che le strut- ture più complesse delle Felci possono tutte leggersi a partire dalle medesime notazioni. < Or è evidente che per stabilire delle omologie, quando sì tratta di strutture anatomiche bisogna in primo luogo stabilire un punto di partenza non equivoco. É qui il merito della notazione di Ber- trand e di Cornaille, di costituire cioè un progresso considerevole sulla nozione di stela che può comprendere dei valori differentissimi ». Come si è visto, il punto di partenza non equivoco, ma unico e fondamentale da noi considerato è stato il fascio vascolare — xile- matico o liberiano o libero-legnoso — che rappresenta la vera entità unitaria dell’Anatomia vegetale, accanto al parenchima fondamentale. Da queste considerazioni risulta anche come la teoria del Cor- mak sia giusta nella sua sostanza. Esse infatti, dando migliore interpretazione ai fatti, rendono l’idea del Cormak perfettamente armonizzata con questi. Se si con- sidera cioè la struttura della radice, in forza delle sue somiglianze con quella dello stipite, come originariamente « astelica » e non polistelica, come anche rifiuta di ammettere il Drabble, i succes- sivi cambiamenti strutturali che avvengono nello sviluppo della radice consisterebbero nella comparsa della « monostelia » e da ul- timo della « polistelia », considerando l’ insieme degli assi radicali pseudodicotomici. Così non hanno più luogo le obbiezioni dei pro- fessori Buscalioni e Lo Priore alla teoria del Cormak, perchè si avrebbero all’apice e alla base delle radici due diverse composi- zioni del cilindro assile, in armonia con la diversa funzione che, se- condo l’idea del Cormack, avrebbero queste due regioni della radice. VI. — Conclusioni. Dopo che il Van Tieghem (2) diede, con precisione geometrica le definizioni anatomiche dei vari organi vegetali, dichiarando che essi si ricollegano a tre tipi fondamentali — Radice, Fusto, Foglia (1) Cnopat. — Les Pteridopsides des temps paléozotques. — Arch. des Scien- ces Physig. et Nat., 4° période, t. 26, pag. 10, Genève, 1908. (2) VAN TIEGREM. — Mémoîre sur les canaux sécreteurs des plantes, Ann. des Sc. Nat., 5? Série, t. XVI, 1872. — e mostrando che esistono in ciascuno di questi tipi dei carat- teri che permettono di distinguerli, in maniera che si può ricono- scere sempre il tipo cui appartiene anche un solo frammento di pianta, la Morfologia vegetale ebbe finalmente una direttiva co- stante nei suoi studii, che da quelle divisioni presero sempre le mosse. Anche prima del Van Tieghem, il Wolff (1) aveva riguardato il fusto e le toglie come delle parti essenzialmente differenti, ed il Braun sopratutto (2) aveva insistito sulla differenza di natura che possiedono radici, fusto e foglie dicendo che la Morfologia deve avere per base la distinzione netta e precisa di queste tre parti del corpo della pianta. Così infatti avvenne, finchè, come si disse nel I capitolo, non si manifestarono col Delpino le prime tendenze all’unificazione della natura morfologica degli organi vegetali, specialmente tra fusto e foglie. Le conclusioni seguenti, che rappresentano la sintesi delle pre- cedenti considerazioni abbattono in certo senso la barriera che, dal punto di vista della Morfologia interna, sembra esistere anche fra radice e fusto, per quel che riguarda almeno le Palme e le Pan- danacee. Infatti tenendo fermo il concetto di « omologia » che si applica a quegli organi che hanno la stessa natura, ma funzione e perciò struttura differenti, si potrebbe, in base a quanto si è detto nel capitolo III, applicarlo anche alle nostre radici, ritenendo addi- rittura « omologhi » i fasci metaxilematici di queste a quelli dello stipite, da una parte, e il complesso del parenchima corticale-mi- dollare al parenchima fondamentale, dall’altra, in forza appunto delle dimostrate somiglianze. Il tipo strutturale delle radici è fondamentalmente simile a quello dello stipite, in virtù specialmente della disposizione sparsa dei fasci metaxilematici delle prime in seno al parenchima assile; tutte le divergenze di struttura tra i due organi vanno conside- rate come devolute a cause posteriori di adattamento funzionale (idea del Cormak) o biologico o rappresentano caratteri spiegabili con la filogenesi. Così l’endodermide, il periciclo, la cerchia vascolare, il cilindro assile, ecc., non possono considerarsi quali entità anatomiche as- solute, ma come modificazioni o evoluzioni delle due vere unità (1) WoLFr. — Theoria generationis, 1759. (2) BraUN ALEx. — Verjungung in der Natur, 1851; Das Individuum der Pflanze, Berlin, 1853. ANNALI DI BoTANICA — Vox. X. 7 Lao 1 gi anatomiche — il desma e il parenchima fondamentale — sotto lo impero di momenti fisio-biologici e filogenetici determinabili. Gli apici vegetativi radicali in alcune Palme (Washingtonia, Livistonia, ecc.) sono organizzati per una attività incrementale li- mitata, venendo rimpiazzati, per l’ulteriore sviluppo dell’apparato radicale, dal periciclo. Conseguenza di questa organizzazione è un tipo di ramifica- zione radicale che può assimilarsi alla dicotomia, ma che, avuto riguardo al. modo di origine delle branche, va meglio chiamato < pseudo-dicotomico ». Accanto a tali Palme altre ve ne sono che presentano vere ra- dici dicotomiche (Phoenix dactylifera, Cocos, ecc.). Benchè il concetto di «< stela » si adatti il più delle volte alle strutture definitive pure è evidente che esso non può costituire il punto di partenza per la loro interpretazione. Ad esso va sostituito quello del « desma », confermandosi così le vedute del Bertrand e Cornaille, del Buscalioni e Lo Priore e di altri. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Tavo 0 Fig. 1. — Radice pseudo-dicotomica di Washingtonia filifera. Nel mezzo delle due branche vi è l’apice di vegetazione atrofizzato dell’asse principale. Fig. 2. — Sezione longitudinale mediana dell’apice di una radice principale. Fra gli elementi del gruppo comune di iniziali sono intercalate numerose cellule suberificate. Fig. 3. — Sezione longitudinale mediana dell’apice radicale totalmente sube- rificato di una Livistonia, dopo trattamento con acqua di Javelle. In seno al gruppo meristemale apicale si differenzia precocemente l’endodermide. Fig. 4. — Sezione longitudinale dell’apice radicale di Parndanus utilis. Il ci- lindro assile, eccentrico verso destra, è nettamente formato già nell’apice stesso, come pure nelle precedenti figure. Fig. 5. — Sezione trasversale di una radice principale di Livistonia australis in prossimità dell’apice, con radice laterale. Due dei fasci interni che qui accennano a staccarsi dalla cerchia periferica, più in alto si ritrovano completamente isolati in seno al parenchima fondamentale. Fig. 6. — Sezione trasversale di una grossa radice principale di Washingtonia filifera. Le grosse tracheidi circondate da astucci di fibre costituiscono delle isole in mezzo al parenchima fondamentale. Le più esterne sono fuse in una cerchia periferica, insieme col protoxilema. Tav. III. Fig. 7. — Sezione trasversale di-una grossa radice di Oreodora regia. Come sopra. Notevole lo sviluppo del parenchima fondamentale, in seno al quale stanno disseminate numerose cellule ispessite. \NN. BOT. X TAV. Il ANN. BOT. X FIG. 10 » e A A ie dò 2 MS Fig. 8. — Sezione trasversale di una radice principale di Cocos /eruosa in via di schizostelia. Nella metà sinistra vi è un fascio interno nel quale si riconoscono, accanto alla grossa tracheide, due gruppetti di libro. Lo stesso sì ha nel fascio posto al confine tra le due future stele, in cui l’endodermide interrotta in seguito all’introflessione, lascia libero contatto tra il parenchima interno e l’esterno. Fig. 9. — Sezione trasversale di una grossa radice di Chamaedorea elatior a costituzione apparentemente raggiata, ma in realtà con disposizione sparsa dei fasci. Qua e là si notano piccoli gruppi di libro. Fig. 10. — Sezione trasversale di una radice di un’altra speciè di Chamae- dorea. I fasci metaxilematici aderenti alla cerchia vascolare sono u tti provvisti di libro (oltre a quello che alterna regolarmente coi gruppi del protoxilema). i Fig. 11. — Sezione trasversale di un grossa radice di Pandanus utilis. I fasci costituiti costantemente da una grossa tracheide, da un gruppetto di libro e da un astuccio di fibre sono spesso fusi a due a due o a tre a tre per mezzo di queste ultime. Delle zone di parenchima fondamentale, nelle quali si notano, non altrimenti che in quello esterno, dei cordoni di sclerenchima, separano fra loro questi gruppi. Cari 3 tia i SENO RRE t O: 5 (i: » PIERA TA. bi Nt,” LOL SITO Da DIP ERPt LTL satin =—_————————————e__.._ Ùeooeoo_ooeoo_ Î _k1nRn e e-...—--..__———————+—— NINA NH NANA ARUARA HA NS AS SANA ISAXSNKS ANA NA NSAISNISS {a Un piccolo pugillo di piante raccolte nell’Enelave de Ladò per il Prof. E. CHIOVENDA Il dottore veterinario Ettore Bovone raccolse l’anno passato po- che specie che mandò al prof. Gola del R. Istituto Botanico di Torino, presso il cui Museo botanico ora si trovano. Furono comu» nicate senza indicazione precisa di località. Stimo opportuno ren- dere pubblico l’elenco di quelle specie, essendovene tra esse alcune che per la loro distribuzione geografica riescono assai interessanti. Ocymum basilicum Linn. Cyperus Sieberianus (Nees) K. Schum. Scleria Schweinfurthiana Bòckl. Imperata cylindracea var. Koenigii (Retz.) Hackl. Cymbopogon filipendulus (Hochst.) Rendle. Digitaria diagonalis (Nees) Stapf. Panicum falciferum Trin. » brizanthum Hochst. forma latifolium Oliv. » marimum Jacq. Pennisetum Benthami Steud. Sporobolus elongatus R. Br. » festivus Hochst. Chloris pychnothrix Trin. Eleusine indica (Linn.) Gaertn. Eragrostis aethiopica Chiov. » ciliaris (Linn.) Link. La Scleria Schweinfurthiana Bòckl. è propria della regione del Bahr el Gazal posta un po’ più a N dell’Enclave. L'Imperata cylindracea var. Koenigii Hackl. caratteristica per le larghe lamine fogliari e pei nodi cinti di un anello di lunghi peli argentini credo nuova per la regione. Per il Bahr el Gazal è indicata la Thumbergii e per la valle Semliki ad W del Ruwenzori è indicato il tipo. — 102 — Il Cymbopogon filipendulus cresce abbondante nelle regioni sab- biose aride lungo i fiumi più bassi e caldi. Io lo vidi abbondan- tissimo lungo i confluenti del Tacazzè nello Tzellemtì ove cresce enormemente fino a raggiungere e talora sorpassare i 3 metri di altezza ed è in pieno sviluppo floreale alla fine del periodo imbri- fero. Secondo Dawe è comune nel territorio Acholi, nella parte più meridionale della valle del Nilo, poco discosto perciò da questa regione. La Digitaria diagonalis è diffusa nelle steppe di tutte le re- gioni Nilotiche tra 500 e 2500 m.. Il Panicum falciferum e il Pennisetum Benthami sono più pro- prie delle regioni più occidentali dell’Africa, dal Niger all’Angola. Lo Sporobolus festivus Hochst. è comunissimo in Abissinia in località aride e pietrose più o meno erbose, apriche: ed è in pieno sviluppo durante l’epoca delle pioggie. È anche indicato delle steppe a SW dei monti Kilimandjaro e Meru. L’Eragrostis aethiopica Chiov. è nota oltre che di Abissinia anche della Somalia e sembra diffusa in tutta l'Africa equatoriale. Differisce dalla E. pilosa P. B. per le spighette assai più sottili in pannocchie ricchissime assai sviluppate, con rametti capillari piuttosto lunghi. Cromofotomicrografia. Nota di tecnica fotomicrografica del dott. GIOVANNI FAURE I fotomicrogrammi in nero nonostante che essi siano bene ese- guiti, pure non rappresentano un preparato microscopico in tutta la sua bellezza, poichè manca la riproduzione dei colori. Tutti i micrografi oramai sanno che per mettere in evidenza certi orga- niti cellulari, per far spiccare delle minute strutture, si ricorre alla colorazione delle preparazioni microscopiche, colorazione che non solo è semplice, ma doppia, tripla e qualche volta quadrupla. Ora qualcosa di più attraente, di più dimostrativo, di più utile che presentare un fotomicrogramma non più in nero, ma avente gli stessi colori del preparato da cui fu tratto? In base a ciò voglio qui trattare della cromofotomicrografia, cioè della fotomicrografia dei colori illustrando tre processi diversi: il tricromico e quelli Lumière e Jougla. Il primo permette di ottenere cromofotomicrogrammi su carta, gli altri solo cromofotomicrogrammi diapositivi potendosi essi 0s- servare per trasparenza o per proiezione. Il micrografo poi che volesse avere una guida facile e sicura per la fotomicrografia (non parlando io in questa nota delle ope- razioni fotomicrografiche generali) può consultare il mio Manwale pratico di fotomicrografia (1) che recentemente ho pubblicato. Processo triceromico. Gl’inventori furono Cros e Ducos de Hauron i quali indipen- dentemente l’uno dall’altro enunciarono il principio della tricromia, cioè : il colore di qualsiasi oggetto è dato da miscugli in certe pro- porzioni di tre colori fondamentali, del rosso, del giallo, dell’az- zurro. Ad esempio il verde risulterà della mescolanza del giallo e (1) Dott. GrovANNI FAURE. — Manuale pratico di fotomicrografia. — Sam- paolesi, Roma, 1911. — 104 — dell’azzurro, il violetto della unione dell’azzurro e del rosso, ecc., i e le gradazioni di ciascun colore composto dipendono appunto dalle quantità dei componenti. Siccome ciascun colore assorbe tutti quanti gli altri colori eccetto quello che riflette, cioè il proprio, si potrà dedurre che la mescolanza dei nostri tre colori fondamentali li as- sorba tutti producendo così il nero. Ciò avviene quando i tre pig- menti coloranti si trovano ad un grado assoluto di saturazione, poichè se questo grado non è completo ma ciascun pigmento con- tiene la stessa quantità di bianco, si ottiene il grigio il quale sarà tanto più scuro quanto più i tre pigmenti mancheranno di bianco. Anzitutto nel processo tricromico dovremo selezionare i colori dell’oggetto ottenendo su tre negativi le parti rosse, gialle e az- zurre. Ciò si fa ricorrendo a filtri di luce speciali che abbiano il colore complementare di quello che vorremo imprimere, come risulta da questo quadro: Colori fondamentali Filtri di colore complementare Rosso Verde Giallo Violetto Azzurro Aranciato Ad esempio il filtro verde lascerà passare solo le radiazioni gialle e azzurre che nel loro insieme formano appunto il verde, ar- restando le rosse; il filtro violetto sarà permeabile ai raggi rossi e azzurri, ma non lascerà passare i gialli; il filtro aranciato non ostacolerà le radiazioni rosse e gialle, ma tratterrà quelle azzurre. Dunque l’immagine negativa delle tre lastre avrà trasparenti le parti corrispondenti rispettivamente al rosso, al giallo, all’azzurro e al bianco e mostrerà coperte le porzioni relative agli altri colori e al nero. Se ora dai negativi ottenuti che rappresentano i colori dell’og- getto selezionati nei tre fondamentali rosso, giallo e azzurro, stam- piamo i positivi nelle stesse tinte e li sovrapponiamo, è chiaro che avremo riprodotti tutti i colori del soggetto con le più svariate gradazioni. Per conseguenza il processo tricromico si può riassumere in tre operazioni principali: 1° Selezione dei colori del soggetto ottenendo tre negativi delle parti rosse, gialle e azzurre. 2% Tiraggio dei positivi monocromi (colorati rispettivamente in rosso, giallo e azzurro). 3° Sintesi dei colori con la sovrapposizione dei monocromi. — 105 — Queste operazioni, bisogna dir la verità, sono lunghe e non scevre di qualche difficoltà: però con la pazienza che deve carat- terizzare un fotomicrografo, si ottiene una certa pratica che con- duce poi ad ottimi risultati. Per la tricromofotomicrografia occorrono lastre al gelatino bro- muro d’argento che abbiano una spiccata sensibilità per tutte le radiazioni dello spettro: ormai nessuno ignora che le lastre ordi- narie non riproducono i colori di un oggetto secondo il chiaroscuro cromatico percepito dal nostro occhio, cioè secondo la gamma delle luminosità, ma bensì completamente falsati. Infatti i colori attinici (azzurro e violetto) impressionano fortemente la lastra, per cui nella stampa del positivo vengono resi con luminosità diversa da quella percepita da noi, risultando chiari; altri colori meno atti- nici (rosso, giallo, verde) hanno un’azione molto lenta e quasi nulla sulla lastra, onde nella stampa si presentano scuri. Il Vogel nel 1873 ha trovato che mescolando alla preparazione sensibile della lastra certi colori di anilina, si aumenta la sensibilità della stessa preparazione per i raggi assorbiti dalle materie coloranti. Questo è il principio dell’ortocromatismo e le lastre che presentano sensibilità per tutte le radiazioni dello spettro dicansi pancroma- tiche o panortocromatiche. I colori di anilina usati generalmente per sensibilizzare le lastre sono: l’eosina, l’eritrosina, il rosso d’etile, il violetto d’etile, come pure il pinacromo, il pinaciol, l’ortocro- mo, ecc. Lastre paucromatiche già preparate se ne trovano di buone in commercio, ad esempio le Perchromo Perutz, quelle della casa Meister Lucius e Bruning, quelle della casa Wratten e Wain- wrigt, e finalmente le nuove lastre Cappelli fotomeccaniche; però ognuno con un po’ di buona volontà può prepararsi da se mede- simo delle buone lastre pancromatiche per tricromia sensibiliz- zando quelle comuni al gelatino bromuro d’argento. Le lastre da sensibilizzare adatte per tricromofotomicrografia sono quelle del tipo lento, perchè appunto queste hanno una emul- sione a grana finissima indispensabile per ottenere una grande precisione e nettezza di particolari nell'immagine. Lastre che io consiglio sono: Luminosa — Marca verde. Cappelli — Marca verde. Lumière — Marca rossa. Schleussner — Marca gialla. i Lt otel TEA, I 1. — 106 — Riguardo al bagno di sensibilizzazione riporterò solo quello sug- gerito dal prof. Namias, che generalmente si presta assai bene, a base di violetto d’etile, di eritrosina e di eosina: (1) | 'Wioletto d'etile.s ariano rl | Acqua distillata . . . . cc. 1000 ( Lutrosma Re I Acqua. distillata . . .. + cc.-1000 Rosma.cer ae e e Nn Acqua distillata . 0. . . ce. 1000 Per l’uso si prendono: Atecqua,tdistillata i Sis ie: 1500 Soluzione 1 LA QUESTO TAI RU e » 2 SME e > 4 » 3 PERO EL a MO Le lastre s'îÎmmergono stando all'oscuro nel bagno di sensibi- lizzazione e vi si lasciano per 20 minuti; quindi si tolgono e si mettono in una bacinella contenente alcool a 96° per 5 minuti; finalmente si fanno asciugare al riparo della polvere. Preparate le lastre pancromatiche occorre allestire i tre filtri di selezione; si prendano sei lastre per diapositive, ad esempio Jougla, Guilleminot, si fissano con iposolfito sodico, si lavano ab- bondantemente, quindi dopo asciugate sì immergono a coppia nelle. soluzioni coloranti le quali dovranno essere ben filtrate per non avere l’inconveniente di una ineguale colorazione della gelatina. Per il filtro verde si userà: Blewscarminiotto ti. e negre. di MEtrazin a e e PR Acqua distillata 0.0.3. 6641000 oppure: Rapid-Filtergrin I. . . . gr 4 Acqua. distillata .. — . —. .. ce. 300 Per il filtro violetto: Cristalyiolettor ne sonoro Blousgmetilene, Poor Atqua distillata © .. . |... cc. 1000 (1) Le sostanze coloranti che ho nominato ed altre che citerò più avanti debbono essere pure. Si acquisteranno perciò dal Merk, dal Griibler, dal Mei- ster Lucius. A RENE LIZA GIAN PINI Mot Raf: i e Dl Y È 7 si v — 107 — oppure : Tnlterbla ng. » 70 Glicina (0. » 20 Soluzione di bromuro potassico al 10 % qualche goccia. Nel preparare lo sviluppo si usi acqua calda per facilitare la solu- zione della glicina: è ovvio che la soluzione sviluppatrice va lasciata raffreddare prima dell’uso. Si cerchi di sviluppare i tre negativi in (1) Dò qui un quadro degli obbiettivi apocromatici utili nella cromofoto- micrografia fabbricati dal Koristka di Milano. . . ( a secco 16 mm. — 8 mm. — 4 mm. Apocromatici ; y ) ad immersione omogenea 2 mm. Microplanar 75 mm. — 35 mm. tot — 109 — modo che abbiano all’incerca la stessa densità, affinchè poi nella stampa sintetica dei monocromi non si abbiano i colori di un pre- parato microscopico falsati per la preponderanza o per la deficienza di qualche colore fondamentale. Il bagno di fissaggio acido delle lastre avrà la formula seguente: Jposolfito sodico! ti ei 0 gr300 BisolitotNodieo 1970: lat 25 Acqua dispillatat afstieettui vece 1000 A fissaggio terminato si lavano le lastre per un’ora in acqua corrente, quindi si lasciano asciugare, previo passaggio in una ba- cinella contenente alcool a 95° in cui dovranno rimanere per 15 minuti. Ed ora passiamo alla stampa dei tre negativi. Per il tiraggio dei monocromi si ricorre alla carta al pigmento; questa è costituita da carta ricoperta da uno strato di gelatina che si può colorare con i più svariati colori rappresentati da pigmenti insolubili. Nel no- stro caso si prenderà della carta pigmentata di colore rosso, giallo e azzurro: tra le migliori carte pigmentate del commercio citerò quelle dell’Autotype Company di Londra e quelle della Rotary Comp. pure di Londra. Anzitutto occorre sensibilizzare le carte in un locale illuminato da debole luce artificiale; siccome in fotomicrografia è bene avere copie contrastate, sì userà il seguente bagno sensibilizzatore : Bicromato potassico puro. . . gr. 2 Acqua, distillata, late 00100 A'eidoeirico sa Mt atei gr. 0,5 Ammoniaca quanto basta per cambiare la colorazione aranciata della soluzione in giallo canario. S'immerge la carta in una bacinella contenente detta soluzione e vi si lascia circa 5 minuti, quindi si toglie, si fa sgocciolare e si stende con la gelatina all’ingiù sopra una lastra di vetro e per mezzo di un rullo di gomma passato sul rovescio si toglie l’eccesso della soluzione bicromatata. Si appende poi per un angolo per mezzo di una morsetta e si lascia asciugare all’oscuro spontaneamente: @ completa essiccazione può essere adoperata. È bene usare subito la carta sensibilizzata, perchè dopo qualche giorno si altera e si va incontro a delle brutte sorprese nelle manipolazioni che seguono. vale) ZIO La VITARA Ed I FOTI Le e e tei » — 110 — La stampa dei tre monocromi si fa alla luce diurna mettendo i fogli rispettivamente sotto al negativo ottenuto col filtro di colore complementare ad ognuno di essi, cioè il foglio giallo sotto al nega- tivo ottenuto attraverso il filtro violetto, il foglio rosso sotto al ne- gativo del verde e finalmente il foglio azzurro sotto al negativo dell’aranciato. È utile contornare i bordi del negativo con carta nera per ragioni che tra poco dirò. La stampa delle tre carte richiede tempi diversi che si possono determinare per mezzo della stampa sulla prova gialla nella quale tutti i dettagli si vedono chiaramente, e sempre alla stessa luce si fanno le esposizioni degli altri due monocromi dando per l'azzurro un terzo e per il rosso quasi il doppio della posa richiesta per il giallo. Si preparino intanto dei supporti provvisori di celluloide del formato un po’ più grande delle prove e wi spalmino con una so- luzione di : Spermaceti:. if xke I PRI TO Benzolo.;j cre RR CALO avendo cura di strofinare con della flanella in modo che non vi ri- manga eccesso di grasso. Su questi supporti bisogna trasportare i monocromi: l’opera- zione si fa in un luogo illuminato da ‘debole luce. Si immerge la carta stampata ed il supporto di celluloide in una bacinella con acqua fredda facendo aderire la superficie spalmata del supporto con quella gelatinata della carta; si tolgono poi dall’acqua, si sten- dono sopra una robusta lastra di vetro con la carta all’insù e si caccia via l’eccesso di acqua passandovi sopra un rullo di gomma; sì mettono quindi fra due fogli di carta bibula sotto un pressa per circa un’ora e poi si procede allo sviluppo. Questo si fa con acqua calda la quale serve ad asportare tutta la gelatina che non è stata insolubilizzata. Nelle parti che subirono più o meno l’azione della luce, il bicromato avendo reso insolubile la gelatina pigmentata, si formerà un’immagine con le relative gra- dazioni di tinta. La prova montata sul supporto di celluloide si mette ora in una bacinella con la carta all'insù e vi si versa dell’acqua tiepida che si sostituirà sempre con acqua un po’ più calda (però non oltre i 50°); lo strato gelatinato della carta si scio- glierà a poco a poco cominciando dai bordi in corrispondenza cioè dei contorni di carta nera che ho consigliato di applicare al nega- tivo. Si può allora cominciare a staccare la carta con grande pre- cauzione; l’immagine rimarrà così sul supporto di celluloide ma apparirà confusa e senza dettagli, fin tanto che seguitando lo spo- — lll — gliamento con acqua calda rinnovata continuamente, essa si mo- strerà nitida e brillante. La stessa operazione si compie per i tre monocromi. Siamo ora giunti all’ultima parte del processo tricromico, cioè alla sovrappo- sizione dei monocromi sopra un unico foglio di carta sul quale sì compirà la sintesi dei colori del preparato fotografato. Per garantire una perfetta resa dei colori si cerchi di sovrap- porre per semplice contatto i tre monocromi e sì guardino per trasparenza: si potrà allora giudicare se essi daranno una buona sintesi oppure se qualche monocromo dovrà essere indebolito o raf- forzato. L’indebolimento si fa seguitando a trattare il monocromo con acqua; il rafforzamento immergendo la prova di nuovo nel bagno colorante. Quando le immagini presentano una giusta intensità si passano in acqua fredda e sì lasciano asciugare. Intanto si prende della buona carta da doppio trasporto e sott’acqua fredda si fa coin- cidere il monocromo giallo con la parte gelatinata di essa; si estrag- gono poi dall’acqua e con un rullo di gomma si premono sopra una lastra di vetro e si lasciano poi asciugare. Quando ciò è av- venuto, distaccando il foglio di celluloide l’immagine gialla rimarrà sulla carta; si strofina allora essa con un bioccolo di cotone idro- filo imbevuto di benzolo per eliminare le eventuali tracce di grasso, ed allora immergendo il foglio di nuovo nell’acqua fredda sì pas- serà alla sovrapposizione del monocromo rosso e poi di quello azzurro ripetendo sempre lo stesso processo. In questo modo la sintesi dei colori è compiuta e, ripeto, se tutte le operazioni sono state condotte con molto cura e pazienza, il fotomicrografo vedrà le sue fatiche coronate da successo potendo contemplare l’immagine delle sue preparazioni microscopiche nella pienezza dei loro colori. Processo Lumière. I fratelli Lumière per la fotografia dei colori hanno messo in commercio da qualche anno le loro lastre « Autochromes ». Per la fabbricazione di queste lastre si procede a questo modo. Sì scelgono per mezzi di speciali apparecchi dei granuli d’amido aventi un diametro di 15-20 micron : questi granuli vengono divisi in tre categorie, gli uni verranno per mezzo di speciali soluzioni tinti in aranciato, altri in verde, altri in violetto. Dopo completa essic- cazione i granuli sono mescolati in modo che nella mescolanza non si abbia dominante alcuna delle tinte di essi: quindi vengono spol- addi Pali î O SRI pe RP ° 3 io tao ica DI " si — 112 — verati sopra una lastra di vetro ricoperta da una sostanza agglu- tinante, in modo che i granuli sì tocchino senza che avvengono tra loro delle sovrapposizioni. Le lacune fra un granulo e l’altro vengono riempite con polvere di grafite. La lastra in questa maniera porta uno strato, un milli- metro quadrato del quale è costituito da circa 5000-6000 granuli aranciati, verdi, violetti; sopra questo strato si stende una speciale vernice impermeabile con indice di rifrazione che si avvicina quanto più è possibile a quello della fecola. Finalmente sopra que- sto strato di vernice sì cola una emulsione pancromatica al gela- tino-bromuro d’argento. Lo strato dei granuli rappresenta, direi così, un’enorme quan- tità di infinitesimi filtri di luce, avendo ciascun granulo di un dato colore affinità con raggi dello stesso colore e la luce prima di giun- gere all’emulsione deve attraversare lo strato granulare, poichè la lastra, come ripeterò più innanzi, si deve porre con il vetro ri- volto verso l’obiettivo. Per comprendere bene le formazione dei co- lori sulla lastra, cercherò di rendere schematico il procedimento il- lustrando la dimostrazione con un esempio. Possiamo considerare che i granuli aranciati, verdi e violetti risultino rispettivamente : . .{di una porzione rossa, Alici ina porzione gialla. \ di una porzione gialla, I di una porzione azzurra. VAGIELti \ di una porzione azzurra, di una porzione rossa. Verdi Supponiamo ora di dover fotografare dei bacterî tinti in rosso ad esempio con la fuxina carbolica. Un raggio rosso proveniente dalla preparazione colorata attraversa il vetro della lastra e giunge sulîo stato granulare in corrispondenza poniamo il caso di tre gra- nuli giustapposti e di colore diverso. Il granulo aranciato sarà at- traversato in corrispondenza della sua porzione rossa e dietro di esso la parte sensibile dell’emulsione pancromatica sarà impres- sionata proporzionalmente. Il granulo verde non contenendo al- cuna porzione rossa, dietro ad esso l’impressione sarà nulla. Final- mente in corrispondenza della parte rossa del granulo violetto avremo parimenti impressione nello strato sensibile. Sviluppando ora la lastra, si formeranno tanti punti grigi in corrispondenza delle parti rosse dei granuli aranciati e violetti e — 113 — non si formerà nulla in corrispondenza dei granuli verdi, cioè tutte le parti non ridotte del bromuro d’argento rimarranno sensibili come in principio, vale a dire dietro la parte gialla del granulo aranciato, dietro la porzione azzurra del granulo violetto e dietro l’intero granulo verde. Se ora la lastra così sviluppata venisse fissata con iposolfito di sodio, sì avrebbe l’immagine dei bacterî rossa? No, perchè le parti rosse sono coperte da argento ridotto. Si avrebbero trasparenti i granuli verdi e la parte gialla e az- zurra dei granuli aranciati e violetti, parti che danno insieme ap- punto un colore verde; dunque si avrebbe un’immagine verde, cioè del colore complementare del rosso. Occorre perciò invertire l’immagine, cioè far diventare trasparenti i punti rossi e coprire i verdi: il che si ottiene facendo agire in un bagno dissolvente le parti annerite ed allora verranno allo scoperto le porzioni rosse, e facendo seguire un nuovo sviluppo alla luce delle porzioni non impressionate del sale d’argento, in modo che ar- gento metallico si depositi in corrispondenza dei granuli verdi e delle porzioni gialle e azzurre dei granuli aranciati e violetti. Solo così esaminando per trasparenza la lastra si vedranno i bacterî rossiz Lo stesso accade per la fotografia di preparazioni co- lorate in altro modo: dopo il primo sviluppo si avrà l’immagine con i colori complementari di quelli originali, e solo con l’inver- sione e con il secondo sviluppo si otterranno i colori reali di essa. Le diverse gradazioni di colore sì ottengono per combinazioni delle diverse porzioni corrispondenti a ciascun granulo. Quando tutti i granuli sono completamente scoperti si ottiene luce bianca mentre il nero è dato dalla completa copertura dei granuli me- desimi. Come nelle lastre ortocromatiche per avere il vero chiaroscuro cromatico occorre uno schermo compensatore delle diverse radia- zioni, qui nelle lastre per la riproduzione diretta dei colori è as- solutamente indispensabile un filtro che assorba i raggi ultra-vio- letti ed arresti un po’ i raggi attinici azzurri e violetti, poichè al- trimenti si avrebbero delle immagini false di un colore predomi- nante azzurrognolo. Il filtro compensatore messo in commercio dalla stessa casa Lu- mière è di color giallo e serve benissimo adoperando come luce quella solare o quella dell’arco voltaico. Però in quest’ultimo caso, come pure adoperando lampade Nernst, essendo allora lo schermo un po’ intenso in rapporto a tali luci, ne occorrerà uno più debole. Hibl dà delle formule per la preparazione di filtri tanto normali, ANNALI DI BoranICA — Vot, X. 8 TT le — 14 —- quanto meno intensi. Per quell normali si faranno le tre seguenti soluzioni : Partrazioa i ee, fe E MERO I i 0 OSO Acqua distillata: reo e, 0 ee600 Saffranima.:. VENERE ee 1 E Acqua distillata eee a... CCSMO si SAR ER CR po STO Acqua distillata . cc. 90 Si prendano cc. 40 di C RES ce. 10 di A Usi ce 10 di B: Si aggiungerà quindi la seguente soluzione che ha lo scopo di arrestare abbastanza bene i raggi ultra-violetti: Hsenlima te a 05400, I ER SEAN LE ri ca LO LE Aleguaridistillata»! i Ah 0% E (PUO SEO cc. 20 AA 'MOnIgoa 00) 3A I A OR doi oeotes Questa soluzione si stende sopra una lastrina di cristallo di circa 1 mm. di spessore, priva il più che è possibile di bolle o di strie, accuratamente pulita. Si preparano due di queste lastrine, si lasciano asciugare, quindi dopo di averle scaldate dolcemente, si pone sopra una di esse un poco di balsamo del Canadà puro sciolto in cloro- formio e si comprimono quindi delicatamente l’una contro l’altra mettendovi su un peso qualsiasi. Le eventuali bolle d’aria che po- trebbero formarsi tra le due lastrine scompaiono facilmente dopo breve tempo. A completa essicazione del balsamo, si circondano gli orli delle lastrine ‘con carta nera gommata ed il filtro compensa- tore è bell’e preparato. Usando luce artificiale (che è meglio sem- pre preferire in fotomicrografia per le varie ragioni che ho accen- nato nel mio manuale) con lampada elettrica ad arco, lo schermo sarà preparato con la soluzione seguente : cc. 40 di C + cc. 4 di A + ce. 1 di B. gr. 0,4 di esculina. cc. 35 di acqua distillata. 3 gocce d’ammoniaca. Per lampade Nernst occorrerà uno schermo ancora più debole che si otterrà con: cc. 40 di C + ce. 3 di A gr. 0,4 di esculina. cc. 37 di acqua distillata. Ho voluto indicare anche queste due ultime formule adatte quando si fa della fotomicrografia a luce artificiale per ottenere il più che è possibile il tono naturale dei colori di un oggetto. Però generalmente in fotomicrografia importa poco se il punto dei colori non è veramente esatto, essendo il più delle volte la colorazione dei preparati procurata artificialmente con colori di anilina; onde non è un difetto se sul cromofotomicrogramma il colore appaia più o o meno vivace ovvero più o meno oscuro del reale: per conseguenza si può anche nel caso della lampada ad arco e della Nernst utiliz- zare benissimo il filtro normale che si trova in commercio senza avere il disturbo di fabbricarlo da sè stessi. - Wychgram indica un modo abbastanza semplice per fabbricare filtri compensatori: per lampada Nernst si prendono delle lastre per diapositive, (ottime sono quelle Jougla e Guilleminot) si fissano al- l'oscuro con iposolfito sodico e dopo lavate abbondantemente sì im- mergono per circa due minuti nella soluzione: Dartrazinar ED00 #1 dh anor: ee Bleutcarmimio44:5000t0%% #37) ced dopo lavate si fanno asciugare e si uniscono due lastre insieme nella stessa maniera che ho indicato per gli altrì filtri. Nella soluzione io aggiungo gr. 0,5 d’esculina con qualche goccia d’ammoniaca per arrestare 1 raggi ultra-violetti. Il filtro compensatore va collocato dietro l’oculare nell’interno della camera oscura fotomicrografica, dove si curerà che esso sia parallelo alla lente esterna dell’oculare e che la luce proveniente dall’oggetto sia completamente filtrata. L'illuminazione del laboratorio oscuro essendo l’emulsione pan- cromatica sensibilissima alle radizioni di ogni colore, occorrre che non sia quella solita rosso-rubino. Veramente sarebbe meglio trattare le lastre autocrome stando nella perfetta oscurità, però ciò per chi non ha abbastanza pratica riesce impossibile. Serve benissimo una lampada con carta virida Lumière della quale ho già parlato trat- tando della lampada da laboratorio oscuro adatta allo sviluppo delle lastre pancromatiche per il processo tricromico. Le lastre si pongono nello chassis alla luce di detta lampada nel laboratorio oscuro: nel caricare lo chassis si mette la faccia vetro della lastra rivolta verso l’esterno, in modo che lo strato sensibile sl trovi a contatto del fondo del telaio. Per evitare sfregamenti o scalfitture, essendo l’emulsione fragilissima, si mette un cartoncino nero (che vien dato insieme alle lastre) fra l’emulsione della lastra e il fondo dello chassis. — 116 — Occorre anche pulire bene il dorso delle lastre con un pannolino secco come pure bisogna badare che non vi sia polvere nell’interno dello chassis. È chiaro che collocando la lastra nello chassis colla faccia vetro rivolta verso l'esterno, bisognerà per la messa al fuoco, rovesciare il telaio con vetro spulito della camera oscura in modo che la sme- rigliatura sia esterna. Solo così la messa a fuoco sarà esatta per la lastra. Riguardo all'esposizione, essa a. parità di condizioni è maggiore di circa 80 volte di quella che si darebbe adoperando una comune lastra rapida al gelatino-bromuro. Ciò è chiaro, poichè il filtro giallo compensatore moltiplica la posa cinque volte: di più la sensibilità dell’emulsione di una lastra autocroma è circa una metà di quella di una lastra normale: secondariamente, secondo le esperienze di Hiibl ogni granulo lascia passare in pratica un 1/8 della luce bianca che riceve. Ecco dunque le ragioni di una posa così lunga. Facendo il confronto fra l'esposizione che si dà adoperando una lastra Perutz all’eosinato d’argento e quella di una autocroma nelle identiche condizioni, e usando in ambedue 1 casi il medesimo filtro compensatore Lumière, ho calcolato che per l'autocroma bisogna posare il triplo della Perutz. Per conseguenza, per non esporsi al rischio di sciupare una lastra autocroma, si può dapprima ten- tare l’esposizione con una Perutz che viene a costare molto meno, poi conosciuta la posa giusta occorrente, si triplicherà questa so- stituendo la lastra a colori. Fatta l’esposizione, si procede nel laboratorio oscuro allo svi- luppo. Il rivelatore avrà questa formula : Acqua distillata . . . . . cc. 1000 Metochinone dt: - ce NL e, pr et Solitosodicp.erist.\ 2 i 5 Bromuro potassico, .c. <.. e» 1 Ammoniaca a 22° Be. . . . cc. 6 Il metochinone è una combinazione di metolo e idrochinone, che mette in vendita la casa Lumière, certo non a buon mercato. Il prof. Namias nel suo libro « Fotografia dei colori » propone di so- stituire ai gr. 4 di metochinone gr. 3 di idrochinone e gr. 1 di me- tolo. Seguendo il suo consiglio, ho sperimentato che i risultati ot- tenuti sono identici. Chi non volesse preparare da sè lo sviluppatore, pò approfittare — 19€ — di quello concentrato Lumière che si trova in commercio speciale per le lastre autocrome. Esso ha la formula: Acqua distillata . . . . . cc. 1000 IMietochim one iii vara Solito ‘sodicortamidro) N 0! = 100 Bromuro: potassico: i. Nu Ls 6 Ammoninenzat 20 Bosco CCI S2 Per l’uso sì prendono 25 parti di questo baguo e 100 di acqua distillata. Se il tempo di posa è stato esatto, la durata dello sviluppo è di 150 secondi alla temperatura di 15°, se questa varia, è chiaro che varierà anche il tempo dello sviluppo, così ad esempio : diet DATA dI da ea ICON 10 Sara: die ora agi e I ARTS SARA AIA e eo ge SON Durante lo sviluppo si avrà cura di coprire la bacinella in modo di evitare persino la debole luce filtrata dalla carta virida e solo dopo qualche minuto si potrà rapidamente osservare la lastra per riflessione. Sviluppata la lastra, sì ritira dal bagno, si lava sommariamente, quindi sì pone nella bacinella contenente il bagno d’inversione che è meglio preparare in due soluzioni separate per farlo conservare a lungo: Acqua distillata. . . . . ce. 500 Permanganato potassico . . gr. 2 ( Acqua distillata . . . cc. 500 } Acido solforico puro a 66° Re, carelo 10 Per l’uso si prendono parti eguali di A e B. La lastra posta nel bagno d’inversione, non temerà più la luce ed allora si potrà accendere nel laboratorio oscuro una lampada qualsiasi, alla cui luce si vedrà quando la lastra sia completamente trasparente nei punti dove vi era argento ridotto. Si lava per qualche minuto in acqua corrrente, quindi si pone nel secondo sviluppo (che può essere quello già servito la prima volta) che si compie in piena luce. (bel Zi Lei Pea) Fr. n) PUtti » — 118 — Quando le parti non ridotte nel primo sviluppo lo saranno qui, si toglie la lastra dalla bacinella, si lava per 5' in acqua corrente e sì mette su uno sgocciolatoio ad asciugare. Si badi bene di non adoperare l’alcool per avere una rapida es- siccazione come vantaggiosamente consiglio per le comuni lastre fotografiche, poichè trattandosi qui di lastre autocrome, l’alcool scio- gliendo la vernice che protegge i granuli colorati, questi verrebbero bagnati e il loro colore si spanderebbe dappertutto rovinando irre- parabilmente l’immagine. Voglio far notare come per lo sviluppo oltre il metochinone proposto dal Lumière e il metolo-idrochinone nelle proporzioni sud- dette, può servire qualunque rivelatore che tenda a dare immagini trasparenti. Così ad esempio potrebbe servire lo sviluppatore alla glicina che ho dato per il processo tricromico. Similmente un buon rivelatore è dato dal Rodinal che la casa Agfa vende già preparato in soluzioni concentrate. Per l’uso si prenderà : Rodinal, 1 parte; Acqua, 10 parti; Soluzione di bromuro potassico 10 %, alcune gocce. Processo Jougla. La casa Jougla ha messo in commercio per la fotografia dei co- lori le lastre Ommnicolores le quali differiscono dalle Autochromes per la struttura dei minuscoli filtri. Sopra una lastra di vetro gelatinata si tracciano con un inchio- stro grasso una serie di strie violette separate da spazi poco più larghi delle righe stesse, i quali vengono colorati in giallo immer- gendo la lastra in una soluzione colorante la quale non attacca la gelatina nei punti protetti dall’inchiostro grasso. Sopra questo strato di gelatina se ne pone un altro sul quale sì traccia un’altra serie di righe azzurre analoghe alle prime ma perpendicolari ad esse. Dove le righe azzurre intersecano con le righe violette, il colore rimane quasi inalterato avendosi una tinta bleu-violetta, ma si otterrà un colore verde nei punti in cui le ri- ghe bleu passano sulle gialle; finalmente colorando in rosso la ge- latina del secondo strato rimasto trasparente, sì avrà una colora- zione aranciata dove il rosso si unirà al giallo. In tal maniera an- che qui lo strato dei filtri si comporrà di elementi violetti, verdi, aranciati, cioè degli stessi colori che avevamo nei granuli d’amido — 119 — delle lastre autocrome. Come quest'ultime anche nelle lastre Omni- colores si ha un’emulsione pancromatica. Riguardo all’illuminazione del laboratorio oscuro, e al maneg- gio delle lastre, si terrà presente ciò che è stato detto circa le la- stre precedenti. Lo schermo compensatore giallo che prepara la me- desima casa Jougla è un po’ più chiaro di quello Lumière, onde nonostante che da esperienze sembri che l’emulsione delle Omni- colores sia un pò meno sensibile di quella delle AutRocromes, pure a causa della minore densità del filtro giallo, la posa si riduce a 50 volte quella di una lastra al gelatino bromuro nell’identiche condizioni. Il rapporto di esposizione tra le lastre Perutz all’eosi- nato d’argento e le Omnicolores adoperate ambedue con lo schermo giallo Jougla è come 1:2. Per lo sviluppo la casa Jougla prescrive il seguente rivelatore: Acque: distillata 98 greta n ee h00 MELOlORAE E I RATIO TE FArROchIMONer:i a e ee DIAZ SOLO! SOCICO* BOI! e a e RATIO Carbonato' potassico | ;: . ‘<<. > 830 Bromuroi\potassicor, > netti dr Ria 1 Tpospkieotsodicgi 499% Lat) Ei) gd Lo sviluppo deve durare 5 minuti. 9 Dopo sviluppata la lastra si lava per 20” in acqua e s'immerge nel bagno d’inversione che può essere quello stesso adoperato per le lastre autocrome oppure quest'altro : Acquaidistillata nt 41/00! 011.4 4 06-1 1000 Bicromato potassico. . . . . . gr. 8 Acido;polforicospuro) {if (1]1)-10100s 42 Dopo l’inversione che durerà circa due minuti si lava la lastra per 30” in acqua corrente per eliminare il bicromato: questo si può mandar via meglio e più rapidamente immergendo la lastra dopo un lavaggio sommario in una soluzione di Aequaldistillata 1.» 0 00. ‘eo: 100 Solktorsbdicoserist.i. i Vit. ar. 20 Si lava infine per poco tempo in acqua corrente e si pone ad asciugare. Il fissaggio benchè evidentemente non sia necessario come nelle lastre autocrome, pure esso sembra conferire all’imma- gine più vivacità e brillantezza. Si curi che la temperatura di tutti i bagni sia compresa fra i 15° e 1 18° CO. Rinforzo. — Può darsi che la lastra, terminate le operazioni, non presenti dei colori vivaci e vigorosi per avere errato nella posa e nella durata dello sviluppo. Se si è ecceduto nella posa o nello sviluppo, il cromofotomicrogramma si presenta debole, poichè essen- dosi ridotto nel primo sviluppo più sale d’argento di quello ne- cessario, ed asportato l'argento con l’inversione, succede che nel secondo sviluppo se ne ridurrà poco, onde essendovi scoperti dei granuli di colore estraneo, ne risulterà un'immagine a colori sbia- diti, perchè tenderà al bianco. In questo caso rinforzando l’immagine si potrà dare maggior vivacità ai colori. Per ambedue le specie di lastre per la cromofotomicrografia io consiglio un rinforzatore di questa formula: A-cqua.distillata ti. 1 Ra ee 1000 tOlorurossodico ECda I e gior 0 Cloruro mereurico Won eee 0 A-cquaidistillata i. i eee 000 Solfito ‘sodieo‘‘crist. (ne ore) L’immagine si lascia imbiancare nella soluzione 1, si lava ac- curatamente la lastra per qualche minuto e si passa nel bagno 2 ove annerisce senza alterare i colori del soggetto. Si lava quindi in acqua corrente per 5 minuti e si mette ad asciugare. Indebolimento. -- Quando la posa è stata scarsa o la durata di sviluppo insufficiente, si ha dopo il secondo sviluppo un velo ge- nerale d’argento che rende le prove opache e mancanti di vivacità. Veramente è difficilissimo togliere questo velo senza danneggiare l’immagine; perciò se qualche volta si può ricorrere con vantaggio al rinforzo, non conviene quasi mai di tentare l’indebolimento di un cromofotomicrogramma. È molto meglio non perdere inutilmente del tempo, e rifarlo dando maggiore esposizione. Tuttavia per chi volesse indebolire le lastre velate usi la seguente soluzione: Acqua distillata . . ..... ec. 1000 Tpasolitossodieo tt © a.) (2001. 1600 Ferricianuro potassico . . . >» 10 Si segue la riduzione guardando la lastra per trasparenza e sl arresta un po’ prima di giungere al punto desiderato. Si lava dopo si pi — 21 — accuratamente. Se la lastra è poco velata e deve essere perciò solo un poco schiarita, sì può usare la soluzione seguente: Soluzione di bicromato potassico acido (quella solita). . . . . ce. . 12 Acqua distillata. i. . .». 1000 Dopo un lavaggio accurato si fa seccare. Ambedue le qualità di lastre che ho nominate, cioè le Auto- chromes e le Omnicolores, occorre montarle come i comuni diapo- sitivi, cioè dalla parte emulsionata si pone un vetro trasparente dello stesso formato del cromofotomicrogramma e si uniscono le due lastre stabilmente applicando agli orlì striscie di carta nera gommata. Si consiglia prima di applicare il vetro di protezione, di verniciare la superficie gelatinata con la seguente soluzione: ResmaDammar tg io Benzolo nea aa 00 La lastra viene tenuta orizzontalmente e si fa colare la vernice per l’angolo superiore sinistro in quantità tale da coprirla tutta : s'inclina la lastra per versare il liquido in eccesso che sgocciolerà per l’angolo inferiore destro. Per mezzo di movimenti d’ inclina- zione a destra e a sinistra si cercherà di evitare una verniciatura non uniforme e la formazione di zone. Se la verniciatura di una lastra venisse male, sì può rimediare con una nuova verniciatura previa immersione e lavaggio in benzolo. La lastra verniciata presenta l’immagine più trasparente, è vero, ma la verniciatura del resto non è strettamente necessaria. Nel montare il cromofotomicrogramma si eviti di incollare di- rettamente della carta nera sulla prova non verniciata poichè in seguito si potrebbero formare delle zone iridescenti prodotte dalla umidità della gomma interposta. Re Mm’ 4 Vgr® ) AN, DA ” è a TA ta A Re _D e PARTA A 5 I A \eLi » BIBLIOGRAFIA. 1. BENDA — Das Lumièresche Verfahren der Farbenphotographie in Dienste der Medizin (Berliner Klin. Wochenschr. 1907). 2. HùBL — Das Gelbfilter der Autochromplatte (Photogr. Rundschau 1910). 3. Id. — Die photographischen Lichtfilter (Halle 1910). 4. LAW — La photographie des couleurs, 1908. 5. NAMIAS — La fotografia dei colori. Milano 1909. 6. RousLacRoIx — Mikrophotographies sur plaques autochromes (Compt. Rend. de la Soc. de Biol. t. LXIX-1910). 7.WieNneR — Uber Farbenphotographie. Leipzig 1909. 8. WycHcram — Uber Mikrophotographie in naturelischen Farben (Zeitsch. fur Wissensch. Mikrosc. Band. XXVIII, 1911). -—z—_o©—crrrtrr——z———=Àfr-=—-—r==2-=2---_ g”—-—-—.—-.- ----——_—or__—_—e=——-—- CTER ERI TRIM NI SSNSINANUMUSNANASNHNANAINAG Di due piante interessanti della Flora Italiana per il Prof. E. CHIOVENDA Il sig. Loreto Grande, raccolse nel 1906, in aprile tra i monti Marsicani e precisamente alla Malanotte a c. 1700 m. alcuni esem- plari di Bu/bocodium da lui determinati per B. alpinum e come tali furon pure pubblicati dal prof. Ad. Fiori (1) ed anch'io per tali li ritenni in principio anche in lettere che ebbi a scrivere al racco- glitore. Un ulteriore esame però mi ha convinto di trovarmi in pre- senza di un tipo distinto dal vero 5. alpinum e che è da riferire alla var. versicoLor {(Ker Gawl) Richter, alla quale gli autori rife- riscono come sinonimi il B. ruthenicum Bunge, il B. edentatum Schur, e il B. trigynum Janka. Il tipo è caratterizzato dai tepali con lamina sagittata, munita alla base di due orecchiette refratte triangolari acute, e dalla cassula lunga c. 3 cm. La var. versicolor dall’essere una pianta più gracile, più allungata, con tepali più stretti e più allungati, muniti alla base di denti ottusi, rotondati o indistinti, con cassula della metà più piccola che nel tipo (2). La variabilità dei tepali, degli stami e delle divisioni stimma- tiche nel B. a/pinum è grandissima ed è nota. Io ho potuto averne un saggio assal istruttivo esaminando gli esemplari di B. alpinum dell’erbario VaJdostano del prof. L. Vaccari di Tivoli, che con grande cortesia mise a mia disposizione. Egli distinse nei suoi esemplari due forme, macrantha e micrantha ; le quali, come egli ha annotato nei suoi esemplari crescono promiscuamente. La forma macrantha è certamente una forma lussureggiante, probabilmente di pascoli pingui: i tepali (fig. 1, 5, 6, 7), hanno lamine più lunghe e più (1) Fiori Ap. — Flora Italica, IV, p. 44, n. 622. (2) AscHERSON u. GRAEBNER — Syn. Mittelacurop. FI., III, p. 17; O. Von KiRcHNER, E. Loew u. C. ScHROTER; Lebensgeseh. Bliitenpfl. Mitteleurop. Band I. Abth. III (1911), p. 291-296. PRES para — 124 — larghe, con apice più o meno rotondato, quantunque siano sempre alquanto attenuati, la larghezza loro arriva fino a 2 cm. nei tepali esterni; alla base sono i tepali esterni per lo più appendicolati (fig. 1), le appendici sono per lo più refratte e acute lunghe 3-8 mm.; i tepali esterni invece sono alla base rotondati e bruscamente con- tratti nell’unghia. In un ca- so (fig. 7) (raccolto ad Aosta alla Croix de la Saligne, ove ne crescevano insieme le forme macrantha e micran- tha) le orecchiette basilari erano saldate tra loro, pre- sentando la base della la- mina dei tepali esterni fog- giata ad ampio imbuto con il margine verso l’interno del fiore munito di qualche dente. In un altro caso (fig. 5), della stessa località la lamina alla base era ro- . tondata, nel punto d’inser- & zione dello stame si preseri- tava saccato, e vi stava una grossa glandola, munita ai lati di due nervi dilatati in ale alte c. 1 mm. e decor- renti sulla lamina per 2-3 cm.; con tepali siffatti av- vene un bel esemplare nel nostro erbario generale pro- veniente dall’erbario H. Siegfried raccolto a Sion nel Vallese. In un altro saggio pure della Croix de la Sa- ligne (fig. 6) i tepali tanto interni che esterni erano ro- Fi tondati alla base e per la loro superficie nel punto d’inserzione dei filamenti non differivano dalla forma normale: hanno pure la stessa forma gli esemplari raccolti dal Rostan sulle alpi Valdesi e conservati nel- l’erbario Cesati. Fig. 4. Fig. 3. Fig. 1. La forma micrantha (fig. 2, 3, 4, 8) ha tepali lineari lunghi 3-4 cm., per lo più acutissimi all’apice, alla base per lo più eviden- temente sagittati nei tepali esterni (fig.1 di Kantalaizena)un po’ meno nei tepali interni. In alcuni esemplari raccolti nei prati della Kanta- laizena a 2000 m., i tepali esterni sono lanceolati acutissimi con orecchiette brevi ottusette (fig. 2), in altri, i tepali esterni sono ovati - lanceolati con orecchiette rotondate (fig. 3). In alcuni esemplari rac- colti a Croix de la Saligne (fig. 4) 1 tepali sono lineari, e gli esterni colla base ro- tondata intera. Un esem- plare raccolto a Chamoli nei prati a 2000 m. (fig. 8) è notevole per i tepali tutti oscuramente auricolati. Questi esemplari distinti dal prof. Vaccari come for- ma mzicrantha corrisponde- rebbero abbastanza bene al. N le descrizioni che i varî au- tori dànno dal 5. variega- tum. L’esemplare testè ci- NS > tato di Chamoli (fig. 8) è pur assal notevole per avere in un fiore lo stilo assai profon- damente diviso, quasi sino alla base: mentre in tutti gli altri esemplari i rami stimmatici sono lunghi 2-6 mm., in questo sono lunghi c. 4 cm. Negli esemplari della Marsica da me esaminati nessun fiore presenta tepali muniti di orecchiette alla base. Per il loro aspetto CIRIE 2 5 c c e esteriore, per le dimensioni E AE ga di forma dei tepali corri- spondono tutti alla forma micrantha e precisamente alla figura 8, eccetto un solo individuo che per il suo sviluppo più considerevole so- miglia alla forma macrantha. Le divisioni stimmatiche e gli stami pre- sentano le stesse variazioni che ho segnalato per il Bulbocodium della li Fig. 7. Fig. 6. Fig. 5. valle d'Aosta anche in alcuni fiori degli esemplari del Grande noto de- gli stili con rami stimmatici lunghi c. 3 cm. La medesima variabilità nella grandezza dei tepali si osserva nel B. versicolor dell'Europa orientale. Infatti gli esemplari determinati dal Janka per 2. eden- tatum Schur, che ho visti nell’erbario Cesati, corrispondono alla forma macrantha; mentre quelli determinati per 5. ruthenicum raccolti in Ungheria dal Freyn e in Russia dal Rogowitz come pure la figura del Reichenbach (1) corrispondono alla forma micrantha. Notai poi in alcuni esemplari freschi ricevuti dal raccoglitore che le foglie avevano un colorito verde vivace e non glauco come è detto per il B. vernum da alcuni autori e la larghezza delle foglie tanto negli esemplari della Marsica, che della valle d’Aosta, erano in propor- zione colle dimensioni fiorali, nella forma micrantha larghe 4-8 mm. nella macrantha 10-20 mm. Lo studio di queste forme poi ci fornisce materia per alcune considerazioni relative alla classificazione delle Colchiceae. I quattro generi della tribù Meredera, Bulbocodium, Colchicum e Synsiphon, sono certamente assal affini tra loro: i generi Colchicum e ‘Meren- dera hanno ambedue stili liberi, il primo con tepali saldati in tubo, il secondo con tepali liberi. I generi Bulbocodium e Synsiphon hanno ambedue stili saldati insieme per la maggior parte della loro lunghezza, però il primo ha i tepali liberi, il secondo li ha saldati in tubo. Evidentemente il trovare esemplare di Bul/bocodium con stili quasi liberi, toglie- rebbe assai d’importanza all’unico carattere differenziale tra Me- redera e Bulbocodium. E se (come sembra anche a me giusto) i due generi Colchicum e Synsiphon (2), la cui differenza è solo nel ca- rattere che separa Merendera da Bulbocodium, sono da fondersi in- sieme, come ha fatto il prof. Engler (8), anche i generi Merendera e Bulbocodium sono da fondere insieme. Sono poi interessantissimi gli esemplari accennati (fig. 4 e 7), aventi la base dei tepali colle orecchiette saldate tra loro a for- manti quasi un imbuto. Certamente il fatto nell’esemplare è occa- sionale, teratologico; tuttavia ha importanza, essendo esso una prova che convalida la fusione dei due generi Androcymbium in cui la forma della base dei tepali concava è analoga a quella di questa (1) REICHENBACH. — Deutschl. FI., Ser. I, vol. V, t. 428, fig. 955. (2) A proposito della fusione dei generi Colchicum e Synsiphon è assai istruttiva la forma teratologica illustrata dal compianto prof. S. Rossi e da me (in Mem. Pontif. Accad. dei Nuovi Lincei, vol. VI (1890) estrat, p. 5, tab. 3-4, fig. 1, avente gli stili saldati in uno unico diritto all’apice. (3) EnGLER u. PRANTL. — Nat. Pflanzenf. Nachtrag. I, p. 72. La FANO NTNTOO RS Va pla A a =, » , " Can forma, ed Erythrostichtus nel quale la base dei tepali non è concava. L’affinità poi tra questi due generi e il Bulbocodium oltre che dall’abito della pianta simile è anche messa in rilievo dalla forma del B. alpinum disegnata alla fig. 5 nella quale alla base dello stame si ha pure evidente la glandola nettarica caratteristica di quei due generi e che si riscontra pure frequente nel genere Merendera. Però tra i due generi Androcymbium e Bulbocodium rimane come diffe- renza fondamentale la diversità di deiscenza delle antere che come ben si sa è assunta a contradistinguere le due tribù delle Angwuil- larieae con antere estrorse e delle Colchiceae con antere introrse. Una seconda pianta assai interessante per la Flora Italiana dob- biamo pure al sig. L. Grande e questa oltre a rappresentare un tipo specifico distintissimo, del più alto interesse per la geografia botanica costituisce una varietà che ritengo nuova e che io dedico all’egregio scopritore di essa. RuMEXx NEPALENSIS Spreng. var. GranpeANUS Chiov.: a typo re- cedit caule simplicissimo, apice racemo simplici elongato, interrupto, terminato. Folia radicalia elliptica rotundata vel vix cordata, apice obtusa: caulina petiolata, ovata basi parum sed evidenter cordata, apice acuta vel suprema acuminata; folia floralia, lanceolata, vel linearia. Tepala fructifera ovato-subrotunda ampla, crebre reticu- lato-nervosa, marginibus pectinatim laciniatis, laciniis, subsetaceis 12-15 in quoque latere, apice uncinatis; in dorso plerumque unicum calliferum, callo ovato, crasso, ruguloso. Fibrae radicales nigrae anguste fusiformes. Il È. nepalensis tipico (= È. hamatus Trev.) differisce per avere 1] caule ripetutamente ramificato, coi rami divaricati quasi dalla base; ha foglie radicali più grandi, più allungate. Per questi medesimi caratteri la pianta italiana differisce dal KR. Steudelii Hochst. dell’Abissinia, il quale per altro differisce dal KE. nepalensis per le foglie radicali relativamente più allungate e più strette e per i tepali fruttiferi normalmente tutti e tre calli- feri; e come varietà almeno stimo sia ben caratterizzato dal R. ne- palensis. La var. Grandeanus è stata raccolta nella Marsica alle Pianelle a circa 1400 m. il 29 luglio 1905 (Grande n. 25 con frutti maturi); al Malpasso a 1100 m. tra le siepi il 12 luglio 1906 (Grande s. n.). n Il R. nepalensis in senso lato ha una grande area di vegetazione: dai monti dell’isola di Giava, dell’India, per la Persia e l'Asia Mi- nore arriva alla Grecia settentrionale nel monte Pindo. È poi dif- fuso nei monti dell’Africa meridionale e tropicale. Riesce quindi interessantissimo il ritrovare questa specie nell’Italia Centrale, la cui Flora ha già tanti punti di contatto con la Flora Orientale. La figura del perigonio fruttifero disegnata dal Dammer (1) cor- risponde perfettamente a quello anche della nostra varietà. (1) DAMMER ap. ENGLER u. PRANTL. — Nat. Pflanzenf. III. I. A., p. 17, fig. 8. S. Sull’endemismo dell’ Isoetes Malinvernianum di Cesati e De Notaris Nota del Prof. O. MATTIROLO Nell’Index Seminum Horti botanici Genuensis, edito nell’anno 1858, Vincenzo Cesati e Giuseppe De Notaris pubblicavano, come preziosa primizia, la descrizione della Zsoetes Malinverniana, allora allora scoperta da Alessio Malinverni (1) circa pagos Greggio e Oldenico nel Vercellese. In questo scritto gli Autori sopracitati emettono l’opinione che la interessante Zsoetes sia da considerarsi come specie di origine antica, cioè, come si direbbe oggi, relitto, conservatosi in quella lo- calità dopo i disboscamenti e i cambiamenti di cultura, sussegui- tisi nel territorio della Valle padana. Essi infatti, brillantemente, così espongono questa loro opinione: < EFoque magis quod decennia abhince nonnulla sylvae et nemora « adhuc spectabilia passim se extollebant, stagna cryptogamis aqua- < ticis sedem praebebant aptissimam, ubi nunc longe lateque arva < feracia, pinguia prata, oryzeta extensa se pandunt. Quot eximias < stirpes proinde periisse censendum sit, nos docent reliquiae quas < huc illuc colligere sors amica nobis concessit. Exemplum exi- < mium nunc offerimus in Isoéteos memorabili specie, quae fa- « cile maximum Hydropteridum europaearum decus dicetur, nu- (1) ALEssio MALINVERNI — n. 4 febbraio 1830 a Vinzaglio (Novara), mo- riva a Quinto Vercellese (Novara) 14 febbraio 1887. Agricoltore insigne, era nello stesso tempo un profondo conoscitore della Flora vercellese, nell’ambito della quale egli fece importanti scoperte di specie rare, illustrate dagli amici suoi Cesati e De Notaris. Collaborò in molte collezioni classiche di Exiccata estere e nazionali, e specialmente diede opera attiva all’ Erbario crittogamico italiano. Le sue collezioni importantissime sono oggi proprietà dell’ Istituto botanico dell’Università di Torino. Vedi: SaccarDOo. — La Botanica in Italia, 1895, pag. 100. O. MarmTIROLO, A. Malinverni. — Rivista mensile del C. A. I. Vol. VI, 1887, N. 12. — La Sesia, 1887. — La Nuova Vercelli, 1887. SaccaRDO. — La Botanica in Italia, Vol. II, pag. 66. ANNALI DI BoranICA — Voc. X. 9 ae li mati elia isp — 150 — < perrime detecta ab amicissimo, et in explorandis Cryptogamis « Vercellensis ditionis solertissimo socio nostro D. Alexi Malinverni < cui merito et pro grati animi tessera eam dicavimus ». L'opinione espressa così chiaramente nel 1858 da Cesati e De Notaris sull’origine di questa specie, che essi consideravano en- demica della Flora italiana, non fu poi, più tardi, ammessa dai botanici; e ciò per una serie di circostanze e di fatti che cre- diamo utile riferire e analizzare brevemente. Che essa fosse da ritenersi di origine esotica, venne primiera- mente (1363) pensato da A. Braun, il quale a questo riguardo così sì esprime: < Diese Art schliesst sich keiner der anderen Arten aus dem « Gebiete der mittellindischen Flora an, und kiinftige Entdec- « kungen miissen wohl iber ihre verwandtschaftlichen Verhàlt- < nisse und ihr wahres Vaterland, das schwerlich in den kiinstlich <« gezogenen Griben Piemonts gesucht werden kann, Aufschluss < geben » (1). A questa opinione, forse frutto di ‘preconcetti, (non avendo il grande botanico berlinese osservato la pianta nel luogo di ori- gine) si accostarono poi, ossequienti all’ ipse dixit, la maggior parte degli Autori; così che in poco tempo noi vediamo senz'altro prender corpo non solo il dubbio brauniano; ma specificarsi anche novissime idee sulla patria probabile della specie; le quali eb- bero il loro fondamento sulla erronea interpretazione delle condi- zioni di stazione dell’/soetes Malinvernianum (2). Mentre Cesati e De Notaris, avevano segnalato la specie n aquaeductis, < in aqua tarde fluente (v. loc. cit.); mentre Cesati stesso aveva più tardi (8) indicata la specie in einem wassergraben; e Cesati, Passerini e Gibelli (4) la indicavano « negli acquedotti »; (1) A. Braun. — Sitzung. der Phys .Math. Klasse der Akademie, Berlin. — Ueber die Isoetes Arten der Insel Sardinien, p. 622, © Dic. 1863. (2) Osserva AscHERSON (.Synop., p. 163, 1° vol.) che il nome di Isoetes. fu usato da Plinio (Libro XXVI) come neutro, e sinonimo di Aizor (Sedum); ora, non trovandosi ragione alcuna che ne consigli l’uso al genere femminile; crediamo necessario seguire la dicitura già adottata dall’Ascherson, dal Sa- debeck (EnGLER et PRANTL. — Die natiirlichen Pfanzenfamilien, 1° Th., 1902) e da altri. (3) CesaTI. — Die Pflanzenwelt im Gebiete Zwischen den Tessin, dem Po, der Sesia und der Alpen — Linnea, vol. XXXII, Halle 1862 — ricorda la herrliche Isoetes (I. Malinverniana) in einem Wassergraben . (4) CESATI, PASSERINI e GIBELLI. — Compendio della Flora italiana, pag. 25. — Ivi, per errore tipografico, sta scritto Guggio in luogo di Greggio. Questa indicazione sbagliata, compare, tale quale, nella maggior parte delle opere si- — 131 — dove Ascherson (loc. cit.) l'aveva raccolta nel 1863 «in stets mit < 6fter rasch fliessendem Wasser gefiillten Griben der Reisfeldern... » (dove io pure la ritrovai, e dove la rinvennero i successivi racco- glitori); sì era invece cominciato nel 1863, senza alcuna ragione plausibile, a variare a poco a poco le indicazioni di località, e ciò per colpa di botanici, i quali non si peritavano di descrivere la località di stazione, senza averla osservata in natura. Così il Braun nel 18653 (1) inizia la serie di queste erronee in- terpretazioni, scrivendo che l’/soetes Malinvernianum sì raccoglieva; »; e più tardi il Christ a questo proposito così si esprimeva: « .....wihrend die Po « Ebene Piemonts bei Vercelli, die Riesenform des Genus (I. Ma- <« linverniana) in den Reisfeldern hegt » (2); frase che nell’edizione francese della sua celebrata opera, suona così tradotta: «....tandis que < l’espèce géante (I. Malinv.) se rencontre dans les champs de Riz «du bassin du Po en Piemont près Verceil » (3). Così, a poco a poco, per un equivoco, si venne ad indicare la pisaia come luogo di stazione della nostra pianta, ciò che è affatto contrario alla verità. La confusione della stazione dei canali di acqua sorgiva scor- rente, con quella delle risaie, ove il sottile velo di acqua è quasi stagnante, condusse alla persuasione che l’/soetes Malinvernianum fosse da riguardarsi come pianta casualmente introdotta in Italia col riso da semina, di cui, come tutti sanno, numerosissime varietà vennero e vengono tuttora coltivate nelle risaie del vercellese e del novarese, importatevi dai principali centri risicoli asiatici. Questa opinione confortata nel 1897, dall’autorevole parere del- l’Ascherson (4), ci appare evidente già dalla comunicazione indi- rizzatami assal prima, cioè il 15 luglio 1892, dall’illustre botanico berlinese nella quale così egli si esprimeva (in litt.): « Dal 1863, nel quale anno io raccolsi a Oldenico insieme ai com- < pianti amici Cesati e Malinverni quella importante specie, ho stematiche venute posteriormente; così la vediamo nel Compendio di ARCAN- GELI (1° e 2* ediz.), nella //ora analitica di FIoRI e PAOLETTI, e in altri lavori che registrano la specie. (1) BRAUN. — Loc. cit., pag. 622. (2) CarIst. — PAanzenleben der Schweiz., 1879, p. 56. (3) Ip. — Edit. frangaise, 1883, pag. 66 (4) « Die Vermuthung dass die stattlichste Art der Gattung aus dem tropi- « schen Asien eingeschleppt sei, liegt nahe; indess ist diese in den fast 40 jahren, « die seit ihre Auffindung in Ober — Italien verflossen sind, nirgends anderswo « beobachtet worden » (v. ASCHERSON et GRAEBNER, Synopsts, loc. cit, pag. 171. PRONTI EE PORTI a RIO © E Seiià. n in Sg E « sempre aspettato la scoperta di questa pianta dall’Asia, ma la no- « tizia non mi pervenne ». Così nel Trattato popolare di Geografia universale: La Terra (1), il Fiori, parlando delle specie endemiche della Pianura Padana, ri- corda: « la sola I. Malinverniana Ces. et DeNtrs. la quale benchè «non ancora identificata con altra specie esotica, si ritiene intro- < dotta col riso ». Nella Hora analitica (2) riferendo le indicazioni del Compendio del Cesati, Passerini e Gibelli aggiunge: forse importata col riso. E finalmente nel Prodromo di una Geografia botanica dell’Italia (1908), parlando delle specie endemiche del distretto della Pianura Padana, ricorda la nostra pianta: «a quanto pare importata col riso, « probabilmente da identificarsi con specie esotica, ovvero ancora da « scoprirsi nella sua patria d’origine » (3). Una volta messi gli A. sopra questa via, ammessa cioè l’origine esotica della pianta, non solo si ritenne possibile la sua origine asia- tica; ma si pensò anche ad una probabile sua introduzione dall A- frica, siccome è chiaramente indicato dal Nyman (4) e dall’Arcan- geli (5). Così ebbe corpo quella opinione circa l'origine dell’Isoetes Ma- linvernianum che si mantenne nel campo sistematico sino a quando non venne il fortunato ritrovamento della specie in provincia di Torino, per opera del solerte conservatore dell’Istituto botanico nostro, cav. Enrico Ferrari, alla sagacia del quale siamo debitori di molte importanti scoperte nel campo della Flora piemontese. Questo rinvenimento (corroborato in seguito dalla scoperta di molte altre stazioni) valse a farmi riprendere con nuova lena le ricerche che avevo iniziate fino dall’anno 1888, quando, convinto, e lo dichiaro senza esitazioni, della esoticità della specie mi ero dedicato a scoprirne la patria, con una serie di ricerche che credo utile ricordare qui brevemente. (1) (Marinelli). Vol. IV, disp. 444-446, pag. 429. (2) Ivi, pag. 25, 1896-98. (8) Ivi, pag. LVIII. Va notato che il FrorI nell’Appendice al suo Com- pendio (1907-908) ricorda già la località allora comunicatagli dall’Orto di To- rino — Vauda di Leynì nel Rio dietro la Fornace Miglietti. (4) NyMan C. F. — Conspectus Florae Europeae, 1878-82, pag. 871. Così si esprime: « In aquaeductibus circa pagos Greggio et Oldenico, sed « verosimiliter ex Aegynto vel India advecta cum Oryza ». (5) Nella 18 Edizione del suo Compendio della Flora italiana — V’ARCAN- GELI ricorda soltanto le indicazioni precedenti di Cesati-Passerini e Gibelli; mentre nella 2 Edizione (1894, pag. 12) aggiunge la seguente indicazione du- bitativa: Introdotta dall’ Egitto (?). ng Va ata ira em LA DAMA 0» nd seco << A SR 3 I o — 138 — Nell’intento di scoprire l'origine dell’Isoetes e le modalità della sua introduzione in Italia, mi ero rivolto ai principali Erbarii (Parigi, Berlino, Roma, Firenze, ecc.) e ai più accreditati conosci- tori del gruppo, quali Ascherson, Motelay, Christ... (1), non trala- sciando di fare opportune ricerche nelle opere più importanti che andavano pubblicandosi relativamente alla Flora Asiatica e in specie in quelle che trattavano della Flora Cinese e Giappo- nese.(2). L'unica notizia di qualche importanza venuta fuori durante questa lunga e minuziosa inchiesta io l’ebbi dalla cortesia del ben noto monografo signor Christ di Basilea, il quale, gentilmente, (nel- l’anno 1905) mi segnalava una specie di Zsoetes del Giappone, avuta in un unico esemplare dal botanico Matsumura; esemplare che il si- gnor Christ mi comunicava pure, stimando dovesse essere identico coll’/soetes italiano. Rivoltomi allora all’illustre collega giapponese per ottenere ma- teriali più adatti alle mie ricerche (essendo l’esemplare inviatomi dal Christ assai malandato), ebbi la ventura di ottenere da lui al- cuni splendidi individui, dallo studio dei quali non tardai ad avere la certezza che la specie giapponese indicatami fosse identica all’ /soetes japonicum di A. Braun (3). Questa, se per l’esterna fucies è parago- nabile all’/soetes Malinvernianum, da esso differisce per una quantità di caratteri importantissimi e in specie per quelli che si riferiscono alle macrospore profondamente e regolarmente reticolato-alveolate. Comunicatami tosto dal Ferrari la sua scoperta (quando ancora mi trovavo in Bologna) non tardai ad occuparmi dei nuovi oriz- zonti che essa poteva indicare, visitando quindi le località che si andavano mano mano rivelando, studiandone la corrispondenza geo- logica, a poco a poco convincendomi che l’Isoetes Malinvernianum non poteva avere altra origine che quella delle regioni nelle quali (1) Mi è gradito dovere quello di ringraziare cordialmente icolleghi e gli a- mici: Hariot, Ascherson, Christ, Pirotta, Pampanini, Motelay, Matsumura, Negri, Parona, Gola, Prever, Ferrari, Vallino e mio fratello Ing. Ettore, sia per la gentile cooperazione loro a queste ricerche, sia per i loro aiuti e consigli. (2) Oltre le opere di THUNBERG (1784-1805) e quelle di SigBoLD e ZUCccAa- RINI (1835-1870); consultai le recenti di FRANCHET, di SAvATIER, di MATSU- MURA... e di FRANCHET et SAVATIRR, nella quale ultima è ricordata la sola /soetes japonica di Alexander Braun. (V. A. Braun. — Zuweî deutsche Isoétes-Arten nebst Winken zur Aufsuchung derselben — Anhang ‘iber einige austtindische Arten der Gattung Isottes — Verhandl. des Bot. Vereins fiir Prowinz Branden- burg III, IV Heft. Berlin, 1861-62, pag. 329). — FRANCHET et SAVATIER. — Enumeratio plantarum in Japonia sponte crescentium, vol. II, (1879), pag. 201. (3) V. A. BrAUN. — Loc. cit. Zwei deutsch. Isoet. pag. 329. — 134 — oggi si trova circoscritta e nelle quali si è conservata, così come avevano giustamente intuito i compianti Cesati e De Notaris. La dimostrazione dell’endemismo della nostra specie, si appoggia sopra alcuni ordini di fatti e di considerazioni che si completano a vicenda e che rispondono in modo esauriente a tutti i dubbi emessi circa l’origine di questo fra i più interessanti tipi vegetali che vedremo probabilissimamente, (ora che la questione è risolta), comparire in nuove località corrispondenti a quelle già numerose nelle quali (dopo la scoperta del Ferrari nel 1897) venne ritrovato. Il mio modo di vedere si fonda: I. Sulla notevole molteplicità delle stazioni oggi. note. II. Sui luoghi di sua stazione, in acque sorgive (più o meno rapidamente fluenti); e sulla sua mancanza assoluta nelle risaie. Sulla spiccata tendenza antisociale di questa pianta, la quale scom- pare non appena nuove condizioni permettano la vegetazione di altre specie acquatiche. III. Sulla corrispondenza geologica di tutti i luoghi di sta- zione oggi noti. Di ciascuno di questi argomenti dirò adunque brevemente; ri- sultando da queste mie osservazioni dimostrato il significato che assume questa specie nel quadro della vegetazione attuale, dove essa sta a rappresentare un tipo caratteristico di periodi geologici anteriori (Terziario e Plistocene), tipo che va ora scomparendo anche dagli ultimi suoi rifugi sotto l’azione distruggitrice del fattore an- tropico. Ho fede che il risultato di queste osservazioni possa essere di qualche importanza anche per il giudizio che la Scienza dovrà dare intorno al significato del gruppo intiero delle Isoetaceae, che, 10 credo, si debbano considerare oggi quasi come « anacronismi » desti- nati ad una più o meno rapida scomparsa. Se durante 39 anni, come si è detto, l’Isoetes Malinvernianum fu raccolto sempre in una sola località; se questa esclusività di stazione fu una delle cause determinanti dei dubbi, emessi da Braun, Ascherson, Nyman, Arcangeli, Fiori, sullo endemismo della specie che si ritenne casualmente introdotta coi semi del riso; ciò non vuol dire che la pianta, la quale venne raccolta per tanti anni in località unica, non sia oggi diventata nota in una certa quantità STIA tn ab n e vin 8, ha — 135 — di stazioni, come si rileva dallo specchietto, cronologicamente or- dinato, che presento, indicando i nomi dei raccoglitori e le singole località da essi scoperte: 1858. — Cesati e De Notaris. — Submersa in aquaeductibus — solo lutoso-argillaceo-siliceo, circa pagos Greggio et Oldenico in Pedemontii ditione Vercellensi. Ab initio Aestatis in Hyemem ipsis- simam laete fructificans, facile per totum annum. In aqua tarde fluente, limoque profundo vegetior. Ces. et D. Ntrs, loc. cit. (In questa stessa località la pianta era stata scoperta circa il 1857 da Alessio Malinverni, che la comunicava per lo studio ai due ci- tati autori suoi amicissimi, e la pubblicava quindi in alcune clas- siche collezioni, inviando copia di esemplari a tutti i principali Erbarii del mondo). La specie fu dal Malinverni comunicata pure fra le altre, alle seguenti E.xsiccata : A) Erbario Crittogamico italiano. I Edizione, N. 103. B) Erbario Crittogamico italiano. II Serie, N. 51. C) Rabenhorst — Crypt. vascular. Europear, N. 26. 1862. — Domenico Lisa. — 15 Sett. identica località. 1862. — Cesati. — Die Pflanzenwelt im Gebiete dem Tes- sin, ecc. in einem Wassergraben. 1863. — Ascherson. — In litt., loc. id. Gli esemplari raccolti da questo Autore furono studiati e coltivati da A. Braun. (V. loc. cit., p. 588. Monatsbericht der K. Akad. d. Wiss, Berlin 1863). 1871. — A. Malinverni. — Nel cavo principale del Bordone presso Quinto (Vercelli). 1888. — G. Gibelli, 0. Mattirolo. — Presso Quinto (Vercelli) nei fossi di acqua corrente presso il Molino. 1895. — E. Ferrari, F. Vallino. — Oldenico, lungo un Rio di acqua corrente presso la Cascina nuova (Cascina Olgata), 23 agosto. 1897. — E. Ferrari, F. Vallino, V. Valbusa. — 15 luglio. Nel Rio dietro la Fornace Miglietti, verso la Cascina Dente nella Vauda di Leynì (Torino). 1902. — E. Ferrari, F. Vallino, G. Gola, G. Negri, O. Matti- rolo. — Campo di Lombardore nei fossi a Nord della Cascina Ra- notta a fianco del Terrapieno del Campo di Tiro dell’Artiglieria, 24 giugno. 1904. — G, Gola, — 1° aprile. Nei Fontanili di Isarno presso il Sifone sotto al Canale Cavour, a Vignale (Novara). 1904. — E. Ferrari, F. Vallino, E. Mussa. — Nei pressi della Cascina Babiasso sopra Rivarossa alla sinistra del Torrente Malone, 27 agosto. PCN I PT pecicbe o. “ur? a ii — 136 — 1906. — G. Burlandi. — A Front Canavese nella Roggia del Molino Martinetti, 1° gennaio. 1905-1910. — G. Gola. — In numerosi fontanili situati alle falde e all'estremo della zona diluviale di Codemonte. Tra l’Argine Vignale e Isarno (Novara). 1907. — E. Ferrari, F. Santi. — Pianezza (Torino) a S. Pan- crazio lungo il Rio Fellone. Tra la Cascina Medica e la Cascina Peyroleri, 17 maggio. 1908. — E. Ferrari, F. Vallino, F. Santi. — Nel canale morto tra la strada provinciale ed il Malone sotto Rivarossa, 1° maggio. 1912. — Ferrari, Vallino, Mattirolo. — Nel Rio di acqua sor- gente che si immette nel Canale del Mulino a Monte del Ponte a Front Canavese, 28 febbraio 1912. In complesso dal suesposto specchietto risulta che, a tutt’oggi, l’Isoetes Malinvernianum è stato già ritrovato in tredici località dif- ferenti, appartenenti alle due provincie di Torino e di Novara. Le due località estreme distano l’ana dall’altra di circa chilo- metri novanta! Da quanto ho esposto risulta sfatato l’argomento principale sul quale si fondavano i sostenitori della importazione della specie, che cioè essa fosse legata ad una stazione unica, quella scoperta nel 1858 dal Malinverni. IL La seconda causa di dubbio circa l’endemismo dell’ Isoetes Ma- linvernianum era dovuta all’erronea interpretazione delle sue con- dizioni di stazione, le quali, pure essendo state opportunamente descritte dai raccoglitori, vennero mano mano (senza che se ne possa penetrare la ragione) falsamente indicate. Senza avvedersene gli autori si convinsero di ciò che non era e non è! La pianta doveva essere importata; la importazione doveva es- sere avvenuta coi semi del riso; quindi, per conseguenza, doveva la specie vivere nelle risaie; e ciò sl scrisse, mentre l’ /soetes Ma- linvernianum manca assolutamente nelle risaie, perocchè ben altro sono i canali che alimentano le risaie, dalle risaie stesse! Nelle risaie l’acqua è quasi stagnante, o almeno lentissima- mente scorrente. Lo specchio d’acqua, immenso e sottile velo che ricopre estensioni talora imponenti e prive di vegetazione arborea altro che sui margini dei campi, ha temperatura relativamente ele- vata. Questo ambiente adunque presenta carattere e condizioni af- eni ra nn ss; MICA ALTO SEDARE SO PEA TSI TI IRE STI = — 137 — fatto contrarie a quelle che sono indispensabili alla vita della no- stra specie. i Secondo le ricerche surriferite, la indicazione che l’ Isoetes Ma- linvernianum fosse pianta delle risaie risale al 1879, mentre prima Cesati e De Notaris — (1858) — segnalarono la specie in aquae- ductis — in aqua tarde fluente — (v. loc. cit.). I canali che portano l’acqua alle risaie del Piemonte si origi- naro naturalmente o si scavano artificialmente nella zona diluviale dei fontanili della quale parleremo in appresso. In essi l’acqua è sempre abbondante, limpida, fresca, più o meno rapidamente scor- rente, ma sempre scorrente, fra due sponde più o meno alte e di- stanti fra loro (1). Nei luoghi più adatti, ove l’ Isoetes meglio si sviluppa, lo spes- sore del'liquido scorrente è superiore molte volte a un metro, come nelle roggie dei mulini e nei canali primarii. In queste condizioni i ceppi di /soetes, impiantati come pennacchi gaiamente colorati in verde, traspaiono attraverso lo spessore dell’acqua limpida scor- rente, quasi completamente tappezzando il fondo ghiaioso del canale. Cesati ricorda la herrliche Isoetes «in einem Wassergraben »; Braun, Ascherson (loc. cit.) in stets mit (oft rasch fliessenden) Wasser ge- fiillten Griben ». In condizioni identiche ritrovai la specie; così la incontrarono il Ferrari e tutti gli altri; fatta eccezione per la località della Vauda di Leyni, ove la pianta cresce solitaria nelle pozzanghere, certe volte anche assai profonde e relativamente larghe, nelle quali sì raccolgono le acque di scolo dei terreni diluviali che compon- gono la Vauda stessa; ma nelle quali l’acqua tuttavia scorre con- tinua dall’una all’altra per tutta l'annata. L' Isoetes Malinvernianum è adunque sempre legato all'acqua di sorgenti e quindi all’acqua corrente. L’ Isoetes Malinvernianum è pianta che si potrebbe dire solitaria perchè là dove essa vive sommersa, quando per mutate condizioni è reso possibile lo sviluppo di nuove specie essa va scomparendo. Poche, rade e nemmeno costanti sono le piante concomitanti; e ciò a differenza di altre congeneri (I. velata ad es.) che sono sempre (1) L’acqua di questi fontanili diluviali, e per la sua temperatura troppo bassa e per le condizioni di livello nelle quali si origina per rispetto al livello più elevato delle risaie, non viene adoperata, e non può essere adoperata per le risaie se non molto più a valle, quando ha aumentata la temperatura e rag- giunto il livello dei campi. In generale l’acqua di questi fontanili viene usata per le marcite. Col crescere della temperatura scompare l’Isoefes anche in questi canali stessi. . DA e ai — 138 — accompagnate dalle caratteristiche Isoetofile ricordate da Gennari, Braun, Ascherson e Rheinard, Barbey, Pirotta (1). Tra le piante viventi colla nostra specie, notiamo, per la loca- lità della Vauda di Leynì (Torino), nei fossati ove l’acqua è len- tamente fluente: Alisma Plantago Linn. Glyceria fluitans LR. Br. nonchè abbastanza rari individui di: Eleocharis carniolica Koch. Veronica scutellata Linn. mentre ai bordi di questi fossatelli, sono ovunque: Juncus effusus Linn. e Carex caespitosa Good. Solo nella località presso Front (Canavese) vari cespi di Zsoetes si accompagnano con Callitriche, Myriophyllum, Veronica, Fontinalis; ma eccezionalmente; mentre nei canali, ove l’Isoetes si trova ab- bondante, sono i cespi solitari o al più accompagnati da fronde di Fontinalis che si dispongono, come i ciuffi dell’ /soetes, in dire- zione della corrente. Nel Vercellese e nel Novarese invece la nostra pianta abita il fondo ghiaioso dei canali, ove la si scopre attraverso il liquido limpidissimo sotto la forma di pennacchi ondeggianti disposti nella direzione della corrente. Coltivata l’ Isoetes resiste abbastanza a lungo, adattandosi a con- dizioni affatto diverse da quelle naturali. Se si raccoglie con cura per non strappare e danneggiare le radici, essa si accomoda a vivere nei vasi acquatici anche per alcuni anni; ma poi iniziandosi il di- stacco dalle foglie esterne, la pianta deperisce rapidamente e muore, come ho potuto tante volte constatare nel R. Orto botanico di Torino. L' Isoetes Malinvernianum per la limitata sua adattabilità ai cambiamenti delle condizioni originarie di stazione, è destinato ir- remissibilmente ad una non lontana scomparsa. Questo purtroppo ci è dimostrato da quanto abbiamo noi stessi, in pochi anni, già po- tuto osservare seguendo gli effetti dei lavori che si vanno attuando nei canali, nell’intento di poterli utilizzare in quelle pratiche agricole che a poco a poco vanno cambiando l’aspetto primitivo delle an- (1) GENNARI. — Rivista delle Isietee della Flora italiana. Comment. della Soc. crittog. italiana, 1861, n. 2, n. 3, 1862, pag. 112. BRAUN. — Loc. cit., pag. 601. ASCHERSON et RHEINARD. — Eine bot. Excursion. — Verhandl. bot. Verein Provinz. Brandeburg, 1863, pag. 196. BarBrY. — Florae Sardoae Compendium. Lausanne, 1884, pag. 178. PIROTTA. — Sulle Isoetes dell'Agro Romano. Malpighia, anno I, 1886, pag. 69. tiche Vaude, delle aride Baraggie e delle monotone Brughiere, oramai quasi ovunque sottoposte a coltura. L’agricoltore oggigiorno non disdegna più i terrazzi diluviali che erano rimasti finora incolti allo stato di magri pascoli o di cedui poverissimi. Egli, industriandosi a renderli irrigabili, scava e modifica i canali primitivi naturali, sul fondo dei quali indistur- bata cresceva l’Isoetes. La pulitura annuale dei canali stessi è pure tale operazione che riesce dannosissima allo sviluppo della nostra pianta, massime quando questo lavoro sia fatto profondamente con la raschiatura e l'asportazione del limo depositatosi. Canali che noi stessi alcuni anni or sono, avevamo veduto ric- chissimi di cespi di /soetes, sono oggi quasi spopolati. I giganteschi individui già così facili a trovarsi, alcuni dei quali misuravano sino ad un metro di lunghezza di foglie e più di 5 centimetri di base si sono fatti rari assai. A Leynì (Torino) presso il poligono dell’Artiglieria da pochi anni van scomparendo anche i piccoli giovani individui, e così in certe località prossime a Novara. Nè credo di essere lontano dal vero indicando fra le cause ef- ficienti della futura scomparsa dell’ /soetes, anche l’inconsulto di- sboscamento alpino per effetto del quale va sempre più scemando la portata annua dei canali isoeticoli che hanno origine dalla zona dei fontanili. | É ai III. Per stabilire l'omogeneità e la corrispondenza geologica dei luoghi di stazione nei quali oggi vive l’ Isoetes Malinvernianum, 0c- corre dare uno sguardo al valore dei terreni che compongono la Valle Padana superiore. Seguendo le idee degli Autori più competenti, fra i quali ri- corderò Taramelli (1), Stella (2), Parona (3), Prever (4) e Fischer (5), (1) TARAMELLI T. — Alcune osservazioni sul Ferretto della Brianza, Atti Soc. Ital. Scienze Nat. — Milano, 1877, Vol. XIX. TARAMELLI T. — La Valle del Po nell’Epoca quaternaria. Atti del Con- gresso geografico italiano. — Genova, 1892. TARAMELLI T. — L'epoca glaciale in Italia. — Atti della Soc. italiana per il Progr. delle scienze. IV riunione. — Napoli, 1910. (2) STELLA A. — Sui terreni quaternarii della Valle del Po in rapporto alla carta geologica d’Italia — Boll. R. Comit. geologico d’Italia, 1885. (8) C. f. Parona. — Trattato di Geologia. — Milano, Vallardi, 1903. (4) PREVER P. L. — I terreni quaternarii della Valle del Po, dalle Alpi marittime alla Sesia. Boll. della Soc. geologica Italiana, XXVI. — Roma, 1907. (5) T. FiscHeR. — La penisola italiana. — Torino, 1902. — 140 — oramai da tutti accettate, indicherò per sommi capi i depositi qua- ternari più interessanti che stanno in relazione coll’area di sta- zione dell’Isoetes. Avverto che intendo valermi di questi dati unicamente per ricercare e specificare le condizioni di stazione della pianta in esame; perchè essi ci permettono di determinare con si- curezza il significato di questa specie, conservatasi fino a noi at- traverso le importanti vicissitudini geologiche, come rappresentante di un tipo antichissimo, come un relitto di epoche anteriori, legato a quella sola parte dei terreni rimasti a testimoniare l’importanza di orizzonti geologici oggimai nella massima loro estensione sopra- fatti e scomparsi in seguito all’avvento di più recenti formazioni. Come è noto, la Pianura padana è costituita da terreni allu- vionali, provenienti dalle Alpi e in minima quantità dagli A pen- nini (1). Queste alluvioni che si stendono e ricoprono il letto pliocenico, in molti punti profondissimo, vengono dai geologi divisi in due serie o zone rispettivamente indicate coi nomi di zone diluviali e zone alluviali. Le prime, più prossime o meglio, in contatto col massiccio al- pino, più elevate, quindi di formazione più antica, che rappresen- tano il sistema subalpino della Pianura Padana, a loro volta sono formate dai terreni a cui furono dati i nomi di dzluviale (antico e medio) e di morenico. Le seconde, più prossime al Po, formano il sistema basso della pianura rispettivamente composto dal diluvium recente è dall’al- luvium. La zona antica, in qualche punto residua, formando piccoli al- tipiani isolati nella zona bassa della pianura; ma di questi però non avremo ad occuparci, come non avremo a trattare della zona bassa ove non si osserva la presenza dell’ /soetes Malinvernianum. La zona diluviale antica, limitrofa alle Alpi, è costituita da de- triti grossolani ed è la sede delle conoidi fluviali antiche e degli ammassi dei sistemi morenici. Il terreno antico ovunque sassoso e asciutto, forma quelle carat- teristiche zone note in Piemonte col nome di Vaude, Baraggie, Ger- bidi, e in Lombardia con quello di Brughiere e Groane. Questa zona, talora ricoprente estensioni assai considerevoli, rap- presenta uno dei distretti più caratteristici per rapporto alla Flora, (1) Questi terreni ci dànno l’idea della imponente denudazione operatasi nelle due catene montuose nell’epoca quaternaria ed in specie nel periodo glaciale. — dl — speciale ben nota ai botanici, e del quale pure non ci occu- piamo (1). Davanti a queste colline di origine morenica interrotte qua e là da ampie lacune, nei tratti ove non esistevano i ghiacciai, si distende una seconda zona di detriti diluviali collegati pure cogli avanzi delle prime antiche conoidi fluviali. Queste conoidi secondarie si presentano esse pure sotto la forma di altipiani, limitati verso le valli dei fiumi da scarpe più o meno ripide; e formano, esse pure, delle vaude o delle bdrughiere, con terreno composto di banchi di ciottoli più o meno grossi, talora cementati in specie di puddinghe. In generale, tanto i più antichi altipiani, come questi più re- centi, sono difficilmente irrigabili, sterili in gran parte, e solo adatti alla coltivazione della vite e del gelso. Un processo di disgregazione ha spesso trasformato in posto questi terreni, anche quelli ad elementi più grossi, in una argilla sabbiosa di colore rossastro designata col nome di ferretto (2), nel quale a mala pena si distinguono gli elementi primitivi. A questi terreni antichi che costituiscono le conoidi più pros- sime alle Alpi, formanti, come sì è detto, altipiani limitati verso le valli dei fiumi da scarpe più o meno ripide, fanno seguito quelli che formano la zona bassa o parte inferiore della pianura, com- prendenti anche essi due subzone (Stella). Si ha dapprima quella di origine diluviale alla quale succede quella di origine attuale, costituite tutte e due da elementi più sot- tili di quelli che caratterizzano il Diluvium antico e medio. Nella subzona diluviale, (diluvium recente), più alta, nella quale gli elementi sono ancora grossolanamente composti (quasi come (1) Limitandoci qui a ricordare come i ghiacciai quaternari successivi alle formazioni conoidali, abbiano distrutto in parte le antiche conoidi, sostituen- dovi quegli apparati morenici che in alcuni punti (specialmente in Piemonte) hanno lasciato esempi tipici e celebri, come quelli corrispondenti agli antichi ghiacciai che scendevano dalle Alpi, specie allo sbocco delle due Dore e del Ticino. (2) La trasformazione delle alluvioni primitive che ci interessano (Di- luvium antico e medio) e particolarmente dei loro elementi di natura felds- patica, è dovuta a complesse azioni chimiche e fisiche in essi determinate dagli agenti esterni che vi inducono disaggregazione e mutamenti con par- ziale asportazione, per dissoluzione, di alcuni elementi dei materiali stessi. Sono processi analoghi alla caolinizzazione, o meglio argillificazione. Le varie roccie costituenti l’alluvione, se calcifere perdono la loro calce; ed il ferro in esse contenuto, trasformandosi tutto in sesquiossido idrato, impar- tisce alla massa del ferretto quel colore speciale ocraceo caratteristico. 4 de; — 1422 — nelle formazioni diluviali antiche alle quali si è accennato prima), le acque meteoriche sono rapidamente assorbite dal suolo; mentre le abbondanti acque sotterranee rinascono a valle nel limite in- feriore della zona medesima e per conseguenza nella zona bassa diluviale recente compaiono numerosissime le fonti perenni, dando luogo ad una regione indicata col nome di regione dei fontanili. La regione dei fontanili, in origine, coperta da densissime fore- ste, è ampia in certi punti, angusta in molti altri e assai vicina alla base del diluviale medio e recente e specialmente nelle regioni dove si avanzano nella valle le conoidi diluviali antiche. Questa zona ha per le nostre osservazioni una importanza af- fatto speciale perocchè è precisamente nei canali derivanti dai fon- tanili che si incontrano le stazioni dell’ [soetes Malinvernianum. Finalmente l’ Alluvione recente è il terreno situato più in basso più prossimo al fondo della valle e al decorso del Po, mentre i ter- reni diluviali, (1 soli che per il nostro studio hanno interesse), si tro- vano più in alto e più all’esterno della valle ed i piani successivi di deposizione interposti fra di essi (che abbiamo indicato seguendo la distinzione proposta dallo Ste/la, senza preoccuparci delle distin- zioni più o meno evidenti riferibili all’influenza delle glaciazioni successive), sono distinti da un grado sempre crescente di altera- zione dei materiali dall’interno verso l’esterno e da terrazzamenti più o meno evidenti. Ma per quanto interessa la fitostatica, importa essenzialmente la distinzione fra 1 terreni elevati nettamente ferrettizzati e decal- cificati, e quelli bassi che ancora si trovano, per così dire, freschi nel loro stato originario. Le due zone seguono quasi parallamente il decorso dei fiumi attuali e si osservano molto bene in quella parte della pianura pie- montese nella quale è stato raccolto l’ Isoetes Malinvernionum, fra la Dora Riparia e il Ticino. Quivi appunto il Di/uvium superiore e me- dio, due piani spiccatamente ferrettizzati, stanno disposti lungo l’e- streme falde alpine, alla base delle quali si adagiano appoggian- dosi direttamente sulle formazioni rocciose antiche, laddove non sono ricoperte dal morenico; circondando invece queste ultime verso l’esterno, quando esse si sono deposte allo sbocco delle valli (Dora Riparia, Stura, Mallone, Chiusella, Orco, Dora Baltea, Lago d’Orta, Lago Maggiore). In quanto esse rappresentano le pìù antiche colmate alluvio- nali della Pianura padana, sempre più ridottesi nei periodi di ero- sione susseguentisi, esse si avanzano dalle falde montuose verso la linea mediana della pianura, sotto forma di conoidi più o meno — 143 — estese in superficie, più o meno prolungate verso il basso, limitate dalle correnti acquee attuali, che si sono scavate nella compagine degli altipiani diluviali primitivi i loro profondi letti ripetuta- mente terrazzati sui margini. Per riuscire a qualche particolare interessante più direttamente le ricerche presenti, questi altipiani diluviali nel medio e basso Piemonte, ovunque quasi in contatto colla ricordata zora dei fonta- nili, costituiscono due grandi gruppi. 1. Quello delle Vaxde del Canavese fra le due Dore. 2. Quello delle Baraggie o Brughiere del Biellese e del Novarese tra la Dora Baltea e il Ticino. Lasciando da parte i terreni diluviali antichi, ridotti quasi ovunque ad una stretta fascia rivestente le estreme falde alpine, (come un cordone continuo di terreno in stato di profondissima alterazione), si può ritenere che la porzione pianeggiante della su- perficie coperta dalle Vaude, Baraggie e Brughiere, sia quasi esclu- sivamente costituita dal diluviale medio. Nel Canavese le due Vaude principali sono quelle della Man- dria, colla base fra Givoletto e Fiano e l’apice alla Venaria; e quella di Volpiano, Rivarossa e S. Maurizio colla base che va da Balangero a Rivara e l’apice a Volpiano. Nel Biellese, la più avanzata è la piccola Barraggia, che all’e- sterno dei terreni morenici sì estende da Cavaglià a Carisio. Ne segue quindi una grandissima colla base da Mongrando a Cossato e l’estremità a Villanova Biellese, divisa tuttavia in due lembi da una incisione fra Candelo e Villanova occupata da terreno dilu- viale recente (1). Poi una terza colla base tra Cossato e Gattinara e l'estremità a Villarboit, pure molto estesa e continua fra la Sesia e il Ticino. Un altipiano maggiore colla base tra fomagnano e Maggiora si spinge a Sud sino oltre Mara in vicinanza di Novara; ed un se- condo distaccatosi dal morenico tra Borgomanero e Borgoticino sì avanza nellapianura sino a Mezzomerico. In corrispondenza degli anfiteatri morenici i terreni ferrettiz- zati degli altipiani si continuano coi terreni pure ferretizzati della Morena e l’analogia del substratum sembra determinare il passag- gio dell’Isoetes da quelli a questi, come è avvenuto in una stazione sola (almeno per quanto oggi è noto) quella della Praglia di Pia- (1) Questi dati sono tratti dai rilievi geologici tuttora inediti, della pianura piemontese, gentilmente favoritimi da P. Prever. Confrontisi pure P. PREVER, I Terreni quaternarii, loc. cit. PATO — 144 — nezza (Torino) ove la pianta si ritrova in un canale scorrente in una formazione, sincrona al terreni ferrettizzati diluviali. L’esame accurato delle stazioni nelle quali è stata finora tro- vato l’Isoetes Malinvernianum, ci mostra come esse sieno tutte si- tuate in terreno dwuviale ferrettizzato o nella zona immediata- mente sottostante, pure di origine diluviale detta dei fontanili, ad eccezione di una sola stazione, quella già ricordata della Praglia di Pianezza, che sì trova, come abbiamo accennato, bensì in zona mo- renica, ma essa pure ferrettizzata. Dalle osservazioni ora riferite, le quali dimostrano una corri- spondenza assoluta tra 1 terreni diluviali della Valle Padana e le stazioni odierne dell’Isoetes Malinvernianum, ci pare sufficiente- mente provato il nostro asserto, che cioè la specie in discorso sia da ritenersi come specie di origine probabilmente molto antica, conservatasi insino a noi, grazie al rifugio trovato nelle stazioni sopra descritte, in corrispondenza alle quali soltanto si manten- nero le condizioni ecologiche indispensabili al suo sviluppo. Ciò che è pure nettamente dimostrato dalle considerazioni che precedono, intorno alla scomparsa costante delle specie, alla quale noi assistiamo tuttodì in tutte quelle stazioni (Leynì ad esempio) dove lavori di qualsiasi genere (dissodamenti, cambiamenti cultu- rali, ecc.), riescono in qualsiasi modo ad alterare le primitive con- dizioni del terreno, indispensabili alla continuazione della vita della nostra specie. Le precedenti considerazioni dimostrano colla più grande delle probabilità che l'Isoetes Malinvernianum debba riguardarsi come un re- litto della vegetazione preglaciale. D’altronde in tutto questo periodo geologico, a noi relativamente vicino, che, attraverso il periodo glacia- le, confina cioè coi periodi storici, non vi furono rivolgimenti così pro- fondi da necessitare la cessazione della vita vegetale, nelle aree non occupate dai ghiacciai. Questa da noi, come è dimostrato, durante i periodi delle successive glaciazioni si potè continuare sopra un’area vastissima, attesochè il limite dei ghiacci non raggiunse mai nel suo massimo abbassamento (salvo lungo le valli) i 1000 metri sul livello del mare (1). Del resto questa conservazione non solo di vegetali ma di ani- mali ci è dimostrata pure dalle grandi quantità di specie se- gnalateci degli studi malacologici (2), dalle ricerche sulla ori- (1) Fatta eccezione per le fronti dei ghiacciai che si spinsero sino al piano costruendo gli anfiteatri morenici allo sbocco delle Valli. (2) Ricordiamo i lavori di Locarp, di Pini, di ApAMI, di POLLONERA, di SACCO, ecc. — 145 — gine della Fauna pelagica (1), dalle indicazioni entomologiche (2), ecc. ecc. Come conclusione di queste note, che rivendicano al suolo d’Italia uno dei tipi vegetali più interessanti, del quale dimostrano l’ori- gine locale preglaciale, mi sia concesso accennare ad una questione indirettamente legata al soggetto che ho trattato; come quella che ha riguardo alle giuste suscettibilità del sentimento nazionale dei botanici italiani, molto spesso, a proposito delle indicazioni di sta- zione delle piante nostre e della nostra Flora, scientemente mal- trattato o negletto da certi colleghi dei popoli a noi viciniori, che ci invidiano anche quel poco di cui siamo debitori riconoscenti alla benignità dell’ Alma mater e al nostro lavoro. Non è sotto l’influenza di un attacco di quelle malattie che i tedeschi indicano col nome intraducibile e significativo di Selbstzuf= riedenheit ed i francesi con quello di chauvinisme che mi sono de- ciso a scrivere queste cose; ma sibbene per il desiderio che abbia a cessare una condizione di cose acutizzatasi davanti all’affermarsi odierno del risveglio della nostra azione. Intendo qui accennare più precisamente alle modalità certe volte assal poco riguardose, colle quali alcuni botanici stranieri sogliono indicare le località italiane delle piante, e parlare delle piante e delle cose botaniche italiane, adoperando con ostentazione evidente, non i nomi italiani, ma quelli da loro stessi fabbricati; mai preoc- cupandosi nè degli autori italiani, nè degli studi loro (come non (1) Secondo le idee di PavesI, (in molti punti però dimostrate erronee dal ForEL) la Fauna pelagica dei nostri laghi sarebbe da riguardarsi come una Fauna relicta, forse pliocenica, mantenutasi durante il periodo glaciale nei laghi che a guisa di fiordi si internavano nelle Vallate Alpine. Pavesi P. — Altra serie di Ricerche e di Studi sulla Fuuna pelagica. Pa- dova, 1883. Società Veneto Trentina di Storia Naturale, vol. VIII, fase. 2°. Pavesi P. — Ulteriori Studi sulla Fauna pelagica dei Laghi italiani. Ren- diconti R. Isrit. Lombardo. Serie II, vol. XII, fasc. XVI. Pavesi P. — Nuova serie di ricerche sulla Fauna pelagica dei Laghi ita- liani. R.IsTIT. Lombardo, 1879. Rendiconti, Serie II, vol. XII, fasc. XI, XII. ForEL F. A. — Le Léman. — Monographie limnologique. Tom III, Lau- sanne, 1904. D.V. BorBÀs von DEJTER. — Die pflanzengeographischen Verhiltnisse der Balatonseegegend. Wien, 1907. in Resultate Erforsch. Balatonsees. (2) Ricorderò per la Valle di Susa le osservazioni specialmente di Ghi- liani e Gianelli. GuHiLianI V. — Materiali per servire alla compilazione della Fauna ento- mologica italiana ossia Elenco delle specie di Lepidotteri riconosciute esistenti negli Stati Sardi. Men. Acc. delle Scienze di Torino, Serie II, vol. XIV, 1852. ANNALI DI BoTANICA — Vor. X. 10 Pr RIE LR da Ng LE sà ae Pose 0 — 146 — esistesse una letteratura botanica in Italia!), quasi fossero pau- rosi di scrivere anche solo il nome del ecco paese, al quale pure, giovani e vecchi, uomini e donne accorrono bramosi di go- dervi la bellezza della natura, la luminosità del cielo, la libertà, la giocondità, la facilità della vita! A centinaia, potrei documentare le attestazioni di quanto io la- mento; ma non desidero farlo, onde tenere le mie parole in quella sfera elevata ove non dovrebbe imperare altra divinità che quella nobilissima della figliola di Saturno e della Madre della virtù. Per quali ragioni in questo nostro campo botanico che pur do- vrebbe essere nobile, elevata palestra dedicata alla ricerca della ve- rità, si ricorre al sistema dei piccoli, meschini, volgari tentativi di ingiurie, delle larvate ipocrisie, delle noiose punture di spilli, che non saranno certo i mezzi più adatti per fecondare quella intimità sana di rapporti che dovrebbero regolare le relazioni fra gli uomini di scienza? Chi fa uso di così ridicole, ma pure velenose e sottili armi di offesa, non comprende, che oltre al rivelare la sua ignoranza e cattiveria, ingenera condannabili confusioni nella scienza, semina diffidenza, urtando quel sentimento di nazionalità che dovrebbe pure essere cosa sacra per tutti gli umani. To non intendo far nomi di persone e tanto meno di nazioni; so purtroppo che quanto io scrivo è vero, e come italiano e come botanico sento il dovere di protestare contro tali gratuite offese. Oggi non è più il tempo delle egemonie a oltranza, le quali, se si possono imporre colla forza, non si impongono certo colla mali- gnità, che è il mezzo più adatto invece per porre in guardia chi ha orecchi per vedere e mente per riflettere. To, in conclusione, non chiedo altro che giustizia e rispetto; e nel campo floristico l'applicazione del detto evangelico che ardisco parafrasare nel modo seguente: Assegnate al suolo d’Italia le specie che vi crescono e ricorda- tevi che esiste un paese che ha questo nome; che esso ha una lingua ed una bandiera! R. Orto Botanico di Torino, marzo 1912. eee = e — -——_—_—r____-_ TtTiIiIITImIOINIOZEA LLrLILtttt_IeellllulllluIed.oteel1leleml..[!»R)»e-_—rmWemmmem-rremeTm emVTI WINIACATECACR SIR AN'ANEESNEYXCEKTIGRXCECAEFFFXLXUNTE SE NL SNAKE Ancora sul Ficus Carica di B. Lonco. Solo da poco — quantunque porti la data del 1911 — è uscita la Dissertazione del dott. Ravasini sul Fico (1), fatta come tesi di laurea sotto la direzione del prof. Tschirch, il quale ne assunse già interamente la responsabilità (2). Questa Dissertazione in diversi punti non corrisponde più alla Nota preliminare pubblicata dai si- gnori Tschirch e Ravasini (3); essa è stata modificata in seguito ‘all’aver il Ravasini appresso dalla mia voce e dai miei preparati, in occasione del Congresso della Società Italiana per il Progresso delle Scienze tenutosi a Roma nell’ottobre dell’anno passato, come stiano effettivamente le cose. Di ciò però non si fa punto cenno; e, sia per questo, sia soprattutto perchè, come vedremo, vi si con- tengono affermazioni a mio riguardo non rispondenti al vero, sono costretto — per evitare che sia sorpresa la buona fede di chi legge — a ritornare sull’argomento. Com’è mia abitudine, esporrò oggettiva- mente i fatti: il lettore giudicherà. (1) Ravasini R. — Die Feigenbiume Italiens und ihre Beziehungen zu ei- nander. Inaug. — Diss. Bern., 1911. (2) TscHIRcH A. — Die Feigenbiiume Italiens (Ficus Carica (L.), Ficus Ca- rica 1 Caprificus und Ficus Carica B domestica und ihre Beziehungen zu ei- nander Ber. d. deutsch. Bot. Ges. Bd. XXIX, Heft 3 (3 marzo 1911). Incidentalmente, domando al prof. Tschirch, il quale scriveva a pag. 84 < Ich habe alle Beobachtungen ontrolliert », come avrebbe fatto, restandosene a Berna, a controllare in Italia la raccolta delle diverse infiorescenze sulle stesse piante? Perchè, proprio su questo sta il cardine della questione circa la pretesa esistenza dell’Urfeige! (Cfr.: Longo B., Sul Ficus. Carica. Annali di Bot., Vol. IX, fasc. 4°, pp. 418-423). (3) TscHIRcH A. — Op. cit.; e TscHIrcH et Ravasini — Le type sauvage du Figuier et ses relations avec le Caprifiguier et le Figuier domestique. Compt. Rend. d. séane. de l’Acad. des Sc., T. 152, n. 13 (27 marzo 1911). Io non so in quante altre edizioni e lingue sia stata pubblicata tale Nota preliminare! MAO PERE NI MONTE PESO SR RE si = ns l'e a | ti se, - Îl E] . ERE I PE RETTE RI n E AR, Dopo che il prof. Tschirch (1) ebbe resa di pubblica ragione con la prima edizione della Nota preliminare le pretese scoperte sul Fico, io pubblicai, nel giugno dell’anno scorso, una breve Nota (2), ac- compagnata da due microfotografie di sezioni di ovuli pronti per essere fecondati, per provare l'infondatezza dell’affermazione dello Tschirch circa l’esistenza del micropilo — questione questa che mi riguardava più personalmente. Nella stessa Nota preannun- ziavo anche che intendevo canfutare al Congresso della Società Ita- liana per il Progresso delle Scienze, indetto per l'ottobre a Roma, molte altre affermazioni. Il 25 luglio, appena ricevuti gli Estratti, ne spedivo, in plico raccomandato, una copia al prof. Tschirch a Berna, perchè — com’era da supporsi — incaricasse almeno il Ra- vasini (che si trovava appunto di residenza a Roma quale Procu- ratore generale dell’Istituto Nazionale Medico Farmacologico) d’in- tervenire all’adunanza per la discussione in contradditorio e la esi- bizione, anche da parte loro, dei preparati. All’adunanza del 13 ottobre intervenne infatti il Ravasini, in rappresentanza anche, com'’egli disse, del prof. Tschirch. Io, par- lando lungamente al Congresso e illustrando il mio dire con disegni, fotografie, proiezioni e, più che altro, con preparati macroscopici e microscopici, dimostrai l'infondatezza delle seguenti asserzioni dei signori Tschirch e Ravasini: Il Caprifico è stato sempre da tutti gii autori ritenuto identico al Fico selvatico; Il Fico selvatico è diverso dal Caprifico e dal Fico; esso rap- presenta la specie originaria « Urfeige >» in Italia, e porta cratiri e fioroni come il Caprifico e forniti come il Fico; Da semi di Fico non si ottengono mai nè Fico nè Caprifico, ma sempre l’Urfeige (l’Erinosyce del Pontedera); Il Caprifico ed il Fico non possono essere riprodotti che ve- getativamente; I fiori galligeni non sono fiori essendo privi di ovulo; La Blastofaga depone l’uovo nel pseudo-ovario; Le Blastofaghe, uscite in luglio dai fioroni, entrano nei for- niti senza sciuparsi le ali, giacchè l’ostiolo è aperto sì da permet- tere alle Blastofaghe di entrare ed uscire durante tutta l’estate fino (1) TscHIRcE A. — Op. cit. (2) Loneo B. — Su la pretesa esistenza del micropilo nel Ficus Carica L. Annali di Bot., Vol. IX, fasc. 3°. all ‘a che poi nel settembre le stesse Blastofaghe li abbandonano defi- nitivamente per andare a deporre le uova nei cratiri; Non si può parlare di dicogamia proteroginica nel Fico sel- vatico; L’ovulo dei forniti è sempre provvisto di micropilo; Nessun ricettacolo di Caprifico porta mai semi; I fiori pistilliferi dei fioroni di Fico sono privi di ovuli. Di preparati macroscopici, esibil ricettacoli di Fichi selvatici (1) e Caprifichi selvatici raccolti nell'annata sulle mura di Roma ed in Toscana (Senese); anzi portai dei rami freschi con qualche for- nito (bianco e nero) maturo e buono a mangiare, di quegli stessi Fichi selvatici delle mura di Roma sui quali il 3 giugno, insieme col prof. Carano, avevo raccolti i fioronî ed il 22 luglio quest’ul- timo mi aveva raccolti i forniti. Portal inoltre — come prova ir- refutabile — in un vaso con formalina, un ramo di Fico selvatico, sul quale si trovavano contemporaneamente i forniti all’ascella delle prime foglie, e, presso la cicatrice, lasciata da una foglia nel ramo dell’anno antecedente, ancora un f/iorone quasi maturo. Mostrai an- che ricettacoli di Fico selvatico e Caprifico selvatico con l’ostiolo perfettamente chiuso prima e dopo l’entrata della Blastofaga, e con- tenenti Blastofaghe morte e prive di ali, che avevano perdute nel- l’entrare nei ricettacoli forzando le squamme di chiusura; ed al- tresì forniti maturi di Caprifico contenenti qualche seme. Di preparati microscopici, ne esibii abbondanti per dimostrare l'esattezza di quanto avevo pubblicato ; e cioè: — Che nei forniti del Fico l’ovulo, prima della fecondazione, è privo di micropilo; .— Che nei fiori dei fioroni del Fico, quando vi è un ovulo solo, esso è costituito normalmente; ma quando ve ne sono parecchi, questi sono più o meno deformati, di forma e costituzione diversa, con sviluppo per lo più ridotto o mancato addirittura, però in ogni ovario alcuni o almeno uno degli ovuli si presentano con sacco embrionale più o meno normalmente costituito; — Che i fiori gal- ligeni sono veri fiori, giacchè nel loro ovario c'è un ovulo normal. mente costituito; — che la Blastofaga depone l’uovo nell’ovulo tra il tegumento interno e la nucella, talora anche nell’interno stesso della nucella; — che, in seguito alla deposizione dell’uovo della Bla- stofaga, nel sacco embrionale si sviluppa partenogeneticamente l’en- -dosperma. Terminata la lunga esposizione della mia Relazione — ch'è stata (1) Credo non inutile far rilevare che per Fico selvatico io intendo il vero” Fico allo stato selvatico. doi ai Ps sè Ai = Rea pubblicata integralmente negli Annali di Botanica, ed alla quale rimando il lettore (1) —, il Ravasini, ottenuta la parola, dichiarò, di non aver portato alcun preparato microscopico perchè i suoi pre- parati si trovavano presso il prof. Tschirch [!?], e soggiunse che,. davanti all'evidenza dei miei preparati macroscopici e microsco- pici, egli non aveva nulla da obiettare; che, riguardo alla que- stione del micropilo, il prof. Tschirch riteneva ch’io avessi voluto» dire [sic{] che V’ovulo del Fico non ha mai micropilo; che, riguardo. all’Erinosyce, esso si trovava in diversi esemplari e pretese dimo- strarne l’esistenza con la esibizione di ricettacoli staccati in un ba- rattolo [gli unici preparati macroscopici da lui esibiti!|; e si ri- ‘ servò in fine di riferire al prof. Tschirch per rispondere alle altre. critiche da me mosse. Replicai al Ravasini che prendevo atto delle sue dichiarazioni,. e che anzi, per meglio convincerlo, mettevo a sua completa dispo- sizione lo stesso materiale esibito al Congresso. Feci peraltro rile- vare la stranezza del fatto che i preparati microscopici, dopo due; mesi e mezzo dall’invito da me fatto, restassero ancora a Berna, e; che proprio non ne rimanesse neppure uno presso il Ravasini a Roma; che, per quanto riguardava la dichiarazione circa il mi- cropilo, faceva veramente meraviglia che una cosa così elementare fosse ignorata dallo Tschirch : che, cioè, quando noi diciamo man- canza di micropilo, noi vogliamo dire che il micropilo manca nel- l’ovulo maturo, vale a dire quando esso è pronto per essere fecon- dato, ma non durante lo sviluppo dell’ovulo; che (a prescindere dal fatto che — dopo avere i sigg. Tschirch e Ravasini lanciato ai quattro venti che tutti gli esemplari di Ficus Carica spontanei d’Italia non fossero nè Fico nè Caprifico, ma soltanto Erinosyce, e che anzi seminando semi di Fico non sì ottenessero mai nè Fico nè Caprifico, ma sempre, senza eccezione, Erinosyce — il Ravasini veniva allora a dire che detto Erinosyce si trovava soltanto in di- versi esemplari!) i ricettacoli staccati da lui esibiti per provare l’esi- stenza dell’ Erinosyce non erano dimostrativi, giacchè, per le ragioni da me addotte, potevano essere raccolti rispettivamente da esemplari di Fico selvatico e Caprifico selvatico; e che la prova è@rrefutabile era soltanto quella da me data, cioè un ramo di Fico selvatico por- tante fioroni di Fico e forniti di Fico; e che finalmente io non comprendevo su quali altri punti il prof. Tschirch mi avrebbe potuto ribattere, dal momento che io avevo tutto comprovato. con preparati macroscopici e microscopici, dallo stesso Ravasini con- trollati de visu e riconosciuti esatti ! (1) Lonco B. — Sul Ficus Carica. Annali di Bot., Vol. IX, fasc. 4° — 151 — Esaurita così la questione, e messa ai voti la mia Relazione venne approvata all'unanimità. Il giorno successivo, per tutta la mattinata, all’Istituto Botanico di Roma, presente il prof. Carano, feci esaminare attentamente tutti i miei preparati al Ravasini e gli mostrai come effettivamente stes- sero le cose. Egli, davanti all’evidenza dei fatti ed alla chiarezza dei miei preparati, sì convinse sempre più dei suoi errori, tanto che affermò di non avere mai veduto preparati così perfetti, e che, con la sua tecnica, assolutamente non avrebbe potuto vedere quanto così chiaramente aveva veduto nei miei preparati. Poi, messo alle strette dalle mie insistenti domande, perchè almeno mi mostrasse quel preparato in cui egli una sola volta, come mi assicurava, aveva veduto il tubetto pollinico percorrere il canale micropilare, mi con- fessò di non potere assolutamente esibirlo, giacchè non era mai riuscito a fare un preparato stabile in i (1). Aggiunse che egli doveva però pubblicare la sua Dissertazione perchè era condi- zione sine qua non per ottenere il diploma; che, in ogni modo, avrebbe inteso il prof. Tschirch se e fino a qual punto avrebbe do- vuto modificare detta Dissertazione; e che perciò, anzi, mi pre- gava d’inviargli, appena pubblicata, una copia della mia Relazione per averla sott'occhio nel modificare la sua Dissertazione. Mi pregò inoltre di accompagnarlo dal prof. Pirotta, al quale, me presente, ripetè quanto sopra. Un paio di giorni dopo, il Ravasini consegnò al Segretario della Sezione botanica del Congresso, per essere inserita negli Atti, la seguente dichiarazione da lui scritta e che qui riporto integral- mente: « Il dott. R. Ravasini fa al riguardo alcune osservazioni, ed esaminato il materiale maeroscopico e microscopico presentato dal professor Longo, riconosce lealmente l’esattezza delle comu- nicazioni fatte in questo riguardo dal prof. Longo, dichiarando però a sua volta che esiste in Italia in diversi esemplari il tipo « Eri- nosyce > già descritto dal Pontedera, del quale egli presenta i ri-. cettacoli staccati, le fotografie dei singoli individui da lui sotto- posti ad osservazione continuata per due anni ed una pianta stradale sulla quale ha segnato le posizioni precise nelle quali questi si trovano. Sulle altre critiche mosse dal prof. Longo si riserva di rispondere dettagliatamente appena sarà uscito il lavoro del pro- fessor Longo >» (2). (1) Sfido io che si facevano tante scoperte ! (2) Cfr. Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Quinta Riunione, Roma, ottobre 1911, p. 857-858. SZ ILA e ERE A ERETTE è cel PP. lesg 2 Cali di MEO] i hi UE PSE Se O O Vediamo ora nella Dissertazione, se e fino a qual punto il Ra- vasini si sia attenuto alla sua dichiarazione. Ebbene, contrariamente alla medesima, egli ora ritira soltanto alcune delle affermazioni della Nota preliminare: -— come quella che nessun ricettacolo di Caprifico porti mai semi, e l’altra che i fiori galligeni ed i fiori pistilliferi dei fioroni di Fico siano privi di ovuli. Non accenna però affatto di avere appreso dalla mia voce e dai miei preparati come effettivamente stiano le cose, ma spiega (pag. 96) asserendo di avere studiato più esattamente, usando mi- gliori mezzi di fissaggio, imparaffinando e sezionando al micro- tomo ! (1). Egli dice anche nella Dissertazione di avere osservato miei preparati, ma senza circostanziare nè dove nè quando; polemizza anzi in qualche punto anche con quanto io ho pubblicato solo nella mia Relazione, che. egli però non cita affatto! Inoltre —- e questo è più grave — egli riporta in modo non conforme al vero ciò che os- servò nei miei preparati circa le questioni della deposizione del- l’uovo della Blastofaga e della mancanza del micropilo! Non ostante che al Congresso io avessi, con la prova alla mano, dimostrato l’esistenza in Italia del Fico e del Caprifico allo stato spontaneo, e contrariamente anche alla surriferita sua dichiara- zione, il Ravasini nella Dissertazione torna ora ad affermare che i Fichi selvatici d’Italia non sono nè Fichi nè Caprifichi, ma Eri- nosyce; torna anche ad affermare [senza aver fatto alcun esperi- mento in proposito; anzi contrariamente ai risultati sperimentali ottenuti da altri!] che seminando semi di Fico non si ottiene nè Fico nè Capritico, ma sempre £rinosyce; aggiungendo (pag. 106) che l’ esperienza del Gasparrini (da me riferita come decisiva nella Relazione) (2) non verrebbe, secondo lui, ad alcun risultato chiaro (3) [?!]. Di più, interpretando arbitrariamente quanto scrive il Trabut sul Caprifico, afferma (pag. 117) che il Trabut avrebbe confuso il preteso Erinosyce col Caprifico [? |]. (1) Io non so come il Ravasini abbia potuto in così poco tempo improv- visarsi tecnico fine, e contemporaneamente procurarsi i fioroni durante l’au- tunno e l'inverno! i (2) Longo B. — Sul Ficus Carica. — Annali di Bot., vol. IX, fasc. 49, 1911, pag. 423-424. (3) Ebbene, giacchè ciò non basta ai signori Tschirch e Ravasini, posso assicurare loro che in Algeria si coltiva una buona razza di Fico detta « /sly », ottenuta appunto da seme colà all’Orto Botanico di Algeri e che il Trabut de- scrive, raffigura e raccomanda! (Cfr. TRABUT, Le Figuier en Algérie. Gouvern. génér. de l’Algérie. Direct. de l’Agric. Service Bot. Bull. 88 [1904], pag. 15-16). VIA, uffici o th Pò, ad IA Il Ravasini inoltre, con la sua abituale disinvoltura, afferma (pag. 119) che il Pontedera avrebbe stabilito 1’ Erinosyce in To- scana! Sarei veramente curioso di sapere a quale fonte i signori Tschirch e Ravasini avrebbero attinta tale notizia, giacchè a me risulta che il Pontedera non parla di località, ma soltanto di sta- zione (1). Ed ho ragione anzi di credere che il Pontedera (nato a Vicenza (2), e non a Pisa, come inesattamente vien detto da qualche autore, ma soltanto oriundo di questa città) non abbia mai fatto ricerche botaniche in Toscana; — ciò che mi vien confermato dal prof. E. Chiovenda. Anzi, a questa posso aggiungere anche l’auto- revole conferma del prof. P. A. Saccardo. Il Ravasini dice ancora (pag. 150) [al solito senza citare la mia Relazione al Congresso, ove soltanto fo di ciò parola!|] che io ho opposto che le Blastofaghe, una volta entrate nei forniti (fichî), non posseggono la possibilità di uscirne e volare ancora sui cratiri (mamme), giacchè, nell’entrare in detti forniti, dovrebbero perdere le ali e, nell’uscire, dovrebbero essere prese dalle formiche (3). Eb- bene — come dato di fatto — mi limito a ripetere, che io gli feci anche vedere che l’ostiolo dei forniti era chiuso prima e dopo l’en- trata della Blastofaga, e che dentro si trovava morta e priva di ali la Blastofaga che vi era entrata! E se nella mia Relazione (4) scrivevo: < se le Blastofaghe — dato anche che potessero vivere così a lungo (5) — si rifugiassero, come pretendono i signori Tschirch e Ravasini, per tutta l’estate in ricettacoli con l’ostiolo aperto, forse neppure una di esse potrebbe sfuggire alla caccia che le formiche loro danno », fu perchè era stato pubblicato, nella Nota preliminare dei signori Tschirch e Ravasini, che le Blastofa- ghe, uscite in luglio dai fioroni, entrano nei formiti (fichi) senza sciuparsi le ali, giacchè l’ostiolo è aperto, sì da permettere alle Bla- ‘stofaghe di entrare ed uscire durante l’estate fino a che poi nel settembre /e stesse li abbandonano definitivamente per andare a de- i (1) PoNTEDERAE — Antologia. — Patavii (1720), pag. 250. (2) Saccarpo P. A. — La Botanica în Italia. I (1895), pag. (BI: e. LU i :(1901), pag. 87. Ip. Pontedera G. Biobibliografia. — Bergamo, 1898. I (3) Inoltre, svisando la questione, fa rilevare che anch'io dico che le | : Blastofaghe escono dai fioroni, dai forniti e dai cratiri. — Sicuro, che io parlo -di uscita, ma naturalmente dai ricettacoli maturi in cui le Blastofaghe sono % nate, e non da quei ricettacoli în cui poi sono entrate ! L (4) Longo B. — Sul Ficus Carica. — Annali di Bot., vol. IX, fase. 4, è pag. 429, nota 22. h, (5) Senza voler anche entrare nella questione se le Blastofaghe di questa | ‘generazione potessero restare un paio di mesi senza deporre le uova! 4 4 ua ed hi) Sc] bi pi "i Ù _— 154 — porre le uova nei cratiri (mamme)! — Il Ravasini poi aggiunge con meraviglia (pag. 151) [provando con ciò di non aver compreso l’a- dattamento biologico tra la pianta e l’ insetto] che, allora, quelle Blastofaghe che entrano nei forniti (fichi) sarebbero perdute! [Pre- cisamente così! ma operano, in uno dei modi più meravigliosi, la impollinazione! |. E veniamo alle questioni relative rispettivamente alla deposi- zione dell’uovo della Blastofaga ed al micropilo. Per quanto riguarda la deposizione dell’uovo della Blastofaga,. il Ravasini afferma (pag. 148) che, nei preparati di fiori galligeni da me esibiti, l’uovo della Blastofaga, si trovava sempre deposto nel- l’interno della nucella. — Ora, ciò non è vero: io gli feci invece vedere che l’uovo della Blastofaga viene deposto, come ho già detto, tra il tegumento interno e la nucella, e talora anche nell’interno della nucella stessa. Anzi, con i preparati sott'occhio, gli feci con- statare l’esattezza di quanto avevo già pubblicato in proposito e che qui riporto integralmente: « L’uovo della Blastofaga viene de- posto nell’ovario dei fiori pistilliferi del Caprifico, non, come ine- sattamente ritenne il Gasparrini, tra l’ovulo e la parete ovarica, bensì tra il tegumento interno e la nucella, come esattamente dice e raffigura il Solms-Laubach, talora però anche nell’interno stesso. della nucella in prossimità del sacco embrionale. In tale deposi- zione però l’ovopositore dell’insetto segue da prima la via del ca- nale stilare fino alla base, poi, perforando il funicolo, depone l’uovo nella posizione suddetta. Non è quindi esatto parlare di canale di puntura <« Sticheanai » come fa il Solms-Laubach per tutta la via seguita dall’ovopositore nella deposizione dell’uovo » (1). Quindi la divergenza tra le mie osservazioni e quelle del Solms-Laubach non è che di dettaglio; e perciò non arrivo a comprendere la gra- tuita asserzione del Ravasini (pag. 51) che il Solms-Laubach avrebbe descritto in modo fantastico « în phantasievoller Weise » la maniera della deposizione dell’uovo della Blastofaga! Se mai, veramente del tutto fantastica, era l’asserzione fatta dai signori Tschirch e Rava- sini nella Nota prelipinare, che cioè i fiori galligeni non sarebbero veri fiori, essendo privi di ovuli, e che l’uovo della Blastofaga ver- rebbe deposto nel pseudo-ovario; asserzione tanto fantastica, che ora il Ravasini (ripeto, dopo averlo constatato a Roma nei miei ‘preparati) ha dovuto completamente ritirare! Per quanto poi riguarda la questione del micropilo, il Ravasini (1) LonGo B., Osservazioni e ricerche sul Ficus Carica L. Annali di Bot. Vol. VII, fasc. 2°, 1909, pag. 242. pubblica (pag. 98 in nota) che questo sarebbe sempre presente fino: ad uno stadio in cui i lobi del tegumento interno si fondono l’uno- coll’altro, il che corrisponderebbe col momento in cui i fiori femmi- nei sono pronti per essere fecondati; e ciò perchè, egli dice, avrebbe veduto dei tubetti pollinici giungere al sacco embrionale normal- mente attraverso il micropilo ancora visibile. Nello sviluppo succes- sivo scomparirebbe il micropilo, e l’autore non si perita di aggiun- gere che questo stadio corrisponderebbe alle mie descrizioni ed ai preparati da cui furono tratte le microfotografie da me pubblicate, perchè, egli dice, il micropilo è chiuso, ma non si vede nessun tu- betto pollinico! [Sfido io che non si vede alcun tubetto pollinico! lo stadio é antecedente alla fecondazione!) E l’autore poi aggiunge, con grande meraviglia [sic /], di aver saputo da me ch’io non volevo sostenere che nel Ficus Carica non si presenta mai micropilo, ma che esso sì chiude precocemente, in modo analogo a quello che avviene nel Ficus hirta (1). — Nell’interesse della scienza, e per evi- tare anche che la buona fede del lettore sia sorpresa dalle parole del Ravasini, è bene esporre i fatti. Io gli feci chiaramente osservare, nei preparati, come ho già detto, esibiti al Congresso, che precocemente, ai di sopra dell’apice della giovane nucella, i bordi del tegumento interno si congiungono e concrescono in un tessuto omogeneo, in modo che — abbastanza prima che il sacco embrionale sia pronto per essere fecondato — non resta traccia di canale micropilare. Tale processo s’inizia quando già il giovanissimo sacco embrionale ha appena un nucleo; quando poi é avvenuta la prima divisione del nucleo primario (0 al massimo la seconda divisione), in modo che nel giovane sacco embrionale si trovano due nuclei appena (0 al massimo quattro nuclei), il canale micropilare è già scomparso : quindi il pro- (1) La meraviglia per questa mia spiegazione, che al Ravasini (ed al professor Tschirch) pare in contraddizione col titolo della mia Nota « Su la pretesa esi- stenza del micropilo nel Ficus Carica L. », sembrerebbe mostrare la insufficienza della coltura botanica non solo di lui, il che sarebbe poco, ma anche del professor Tschirch (un’altra prova ne è la fig. 26, a pag. 94 della Dissertazione, che io non so diversamente qualificare che un fantastico sgorbio!); giacchè tutti sanno (e già, come ho detto, lo feci notare al Ravasini al Congresso) che quando noi parliamo di non esistenza di micropilo (es. Cynomorium coccineum, Alchemilla arvensis, ecc.), non vogliamo dire che il micropilo non esiste in tutti gli stadi dello sviluppo dell’ovulo, ma che si chiude precocemente più o meno prima della fecondazione, in modo che il tubetto pollinico abbia nell’ovulo un per- corso endotropico! E — si noti bene — a pag. 137 della Dissertazione, stessa, il Ravasini dice in sostanza — senza volerlo — di aver veduto in un mio preparato che il percorso del tubetto pollinico è acrogamo aporogamo! L “ Hi - ‘cesso dell’otturazione del micropilo si compie — lo ripeto ancora una volta — abbastanza prima che il sacco embrionale si sia com- pletamente differenziato e quindi sia pronto per essere fecondato (1). Ed io, è bene ripeterlo, feci a suo bell’agio osservare al Ravasini nei miei preparati tutto il processo în parola (ma di ciò egli, come di altre cose, tace !), anzi contemporaneamente (e ciò per maggiore chiarezza e perchè non gli restasse alcun dubbio che nel Ficus Carica il fenomeno è del tutto analogo a quello studiato dal Treub nel Ficus hirta) gli mostravo anche le figure corrispondenti che ac- compagnano il lavoro del Treub! * Questi, i rilievi di fatto: giadichino i lettori. Siena, 81 marzo 1912. NOTA INSERITA DURANTE LA STAMPA. Nel fascicolo 5 della Zeztschrift fiir Botanik, or ora uscito, trovo un’interessante critica del Solms-Laubach (2) sulla stessa Disserta- zione del Ravasini. In questa critica — alla quale rimando il let- tore — il Solms-Laubach si associa anche a quanto io avevo esposto nella mia Relazione al Congresso. +" Poche parole ancora voglio ora aggiungere al riguardo del pre- teso Urfeige (Erinosyce) dei signori Tschirch e Ravasini. Poichè, come ho già pubblicato, tanto in Calabria (alta Valle del fiume Lao), quanto sulle mura di Roma ed in Toscana (Senese), io ho sempre trovato allo stato selvatico soltanto Fichi e Caprifichi, ho voluto recarmi ora nella località della Mattucchia presso Firenze: questa località, in fatti, è già specialmente indicata dai signori Tschirch e Ravasini nell’edizione italiana della loro nota prelimi- nare (3); il Ravasini a Roma, a voce, assicurava che poteva garantire (1) I signori Tschirch e Ravasini, che al solito si limitano soltanto ad as- serire, mi mostrino (o mostrino a Botanici competenti) un preparato solo in cui il sacco embrionale si sia differenziato e il canale micropilare sia presente nell’ovulo. (2) Ctr.: Zeitschrift fiir Botanik, 4. Jahrg. Heft 5, pp. 407-410. (3) TscuiRrcH A. e RavasInI R. — Il Fico primitivo ed î suoi rapporti col Ca- prifico e col Fico domestico. Arch. di Farmac. sperim. e Se. affini. Anno X, vol. XII, fasc. II, 15 luglio 1911, p. 49. — 157 — l’esistenza dell’ Urfeige almeno alla Fattucchia; e finalmente nella sua Dissertazione egli assegna alla Futtucchia, dirò così, un posto di onore con una fotogratia (pag. 114) e con una carta topografica (pag. 118), aggiungendo anche la fotografia (pag. 115) di un altro esemplare esistente nella vicina località Spedaletto — e ciò, egli dice, allo scopo di rendere a tutti possibile il controllo. Da Firenze, il mattino dell’11 maggio, insieme col Tecnico del R. Istituto Botanico di Firenze, signor Fanfani, che conosceva bene i luoghi, mi recai alla FattuceQria. Servendoci della carta topogra- fica suddetta ci fu possibile rintracciare l'esemplare, che anche il con- tadino del podere, ove trovasi la pianta, ci confermò essere quello fo- tografato e dal quale il cav. Bianchi aveva raccolti 1 ricettacoli per spedirliad un signore [evidentemente al Ravasini]. Ebbene detto esem- plare (1) non aveva alcun fiorone; anzi il contadino mi assicurò che egli non aveva mai veduto la pianta portare alcun « fico primaticcio » |fio- rone]! Inoltre mi assicurava che i ricettacoli di questo Fico selva- tico erano tutti della stessa qualità e buoni a mangiare! Cercando tra i rami, trovai i resti di due ricettacoli disseccati sulla pianta e che suppongo maturati tardivamente e quindi cimarwoli; osservati sul posto con una lente e poi meglio appena giunto all’Istituto Bo- tanico di Firenze, potei stabilire la natura /ongistila dei loro fiori. Ho perciò tutte le ragioni di ritenere che questo esemplare sia un vero Fico (2). — Richiesto poi al contadino se conoscesse un altro esem- plare di Fico selvatico nella vicina località Spedaletto, egli rispose affermativamente e si offrì di accompagnarci. Ivi discesi, trovammo il contadino del podere Spedaletto che subito ci indicò l’esem. plare fotografato. dal cav. Bianchi e che, come ora dirò, #0 mo- tivo di ritenere un Caprifico. Esso era straordinariamente carico di fioroni tanto che io non vidi ramo, per quanto piccolo, che non ne contenesse. Alle mie domande quel contadino disse che non solo i « fichi primaticci » non sono buoni, ma neppure tutti gli altri ricetta- coli che porta all’ascella delle foglie; anzi, nel dirmi ciò, espri- meva il suo rammarico che una pianta così vigorosa e così produttiva non portasse mai alcun ricettacolo buono a mangiare! Inoltre detto (1) Veramente io non posso dire con certezza se trattasi di uno o di due esemplari, giacchè sono due i tronchi che escono dal terreno a breve distanza l’uno dall’altro, il che potrebbe far supporre che le piante fossero due; in ogni modo il contadino mi assicurava che i fichi erano della stessa razza. (2) Il fatto di non portare fioroni non ci deve meravigliare (salvo per la affermazione dei signori Tschirch e Ravasini che Vesemplare portasse i fioroni come quelli del Caprifico!) giacchè la produzione normale dei Fichi sono i for- niti, come dei Caprifichi i fioroni. LT RTRT RR EEE pedi È E 4 — 158 — «contadino di Spedaletto mi disse che essi distinguono due qualità «di Fichi selvatici, secondo che i ricettacoli sono tutti buoni a man- giarsi o tutti cattivi, e che chiamano « Fichi sarvatici », distin- guendo però i primi con l’aggiunto di duoni. E ciò proprio come nell'alta Valle del fiume Lao in Calabria, dove i contadini chia- mano col nome di « Ficu salivaggiu » 0 di « Ficara salivaggia» tanto i Caprifichi quantoi Fichi che colà frequentemente si trovano allo stato spontaneo, distinguendo i secondi dai primi con l’aggiunta di boni. Dunque anche gli esemplari presso Firenze, che gli autori hanno ‘contrassegnato esattamente in modo che mi è stato possibile il con- trollo, ho ragione di ritenere che non corrispondano ai caratteri da oro assegnati all’Urfeige. Ritengo perciò oramai del tutto inutile spendere altre parole per discutere sul valore e sul significato di questo preteso Mico primitivo: per quanto i signori Tschirch e Ra- vasini, con la più grande disinvoltura, non abbiano esitato ad iden- tificarlo con tutti i Fichi selvatici d’Italia, l’esistenza del loro Urfeige è ben lungi dall'essere dimostrata ! LEICA LAN ANASINZLINZGINAINA: NLINTINAIINDINA NIE BREVI COMUNICAZIONI Aggiunte e correzioni all’articolo: Della priorità di aleuni nomi specifici di piante contenuti nell’ “ Auetarium ad Synopsim Methodicam Stirpium horti Regi Taurinensis ,, dell’Allioni. Senecio uniflorus AI. FI. Pedem. I (1785) 200 n. (28, t. 17, fig. 3 = Solidago uniflorus All. (1774), p. 70, n. 67. Arabis stricta Huds. (1762) — Arabis scabra All. (1774), p. 74, n. 83, non All. FI. Pedem. I, p. 268, n. 974, la quale è VA. ser- pyllifolia Jacq. La sinonimia dell’Auctarium va così rettificata per il sinonimo dell’Haller n. 453 dall’Allioni citato, mentre il sino- nimo Halleriano dell'A. serpy2lifolia è il n. 447 ed è esatto perciò quanto scrisse in proposito il Thellung. Alsine rupestris (Scop.) Fenzl = Stellaria rupestris Scop. (1772) — Arenaria lanceolata All. (1774) 87, n. 120. Silene nicaeensis All. (1774), p. 88, n. 123. Achyranthes sicula (Linn.) AU. (1774), p. 93, n. 188; Roth (1787) = A. aspera £ sicula Linn. = A. argentea Lam. (1789). Prof. E. CHIOVENDA. ani dite ci: PRONTO = È LS) è 30 ‘ aaa aa 0 det, MT WIpesrA gii ba po SS (tai IVA to VT AC MA pi Poca) A ff) OA sa antrano Bir T ED AB E GIA i ‘Ra Moe untagag i n RIVISTA DI MORFOLOGIA Gli elementi vascolari delle Pteridophyta. Sono essi vasi o tracheidi? Da principio si è sostenuto che fos- sero dei veri vasi. In seguito però De Bary e anche Strasburger hanno ammesso che fossero tracheidi per la persistenza di una mem- brana trasversale tra un elemento e l’altro. Presentemente due sole eccezioni si conoscono nelle radici di Nephrodium Filix-mas e di Pteris aquilina, che posseggono veri vasi, come è stato riconosciuto fin dal Russow. Gwynne-Vaughan però, riprendendo la questione ed estenden- dendola anche a piante fossili, ha sostenuto recentemente che si tratta di vasi veri, benchè speciali in certi casi. A due anni ap- pena dal lavoro di Gwynne-Vaughan, una memoria di Halft torna ad ammettere che gli elementi vascolari delle Pteridophyta sono tracheidi e non vasi. L'opinione di Halft è ora confermata da Ban- croft (1), che studia a questo riguardo 30 specie appartenenti a 21 generi differenti ed accenna ai mezzi chimici (reazioni micro- chimiche) e fisici (iniezioni con inchiostro di china) adoperati per mettere in evidenza la membrana primaria esistente fra i diversi tracheidi. Mentre però Halft spiega la formazione delle fessure, che sì osservano di frequente in una sezione trasversale fra gli ele- menti vascolari delle Pteridofite, col semplice slontanamento delle liste d’ispessimento secondario, rimanendo in mezzo all'area così formata la membrana primaria, Bancroft ammette che tali fessure sieno in parte determinate dalla parziale dissoluzione delle sostanze pectiche su un lato e l’altro della membrana primaria, dimodochè in questi punti non persiste che la sola lamella mediana, ed in parte dallo slontanamento degli strati secondari. E. Carano. (1) On the Xylem-Elements of the Pteridophyta. — Annals of Botany, Vol. XXV, 1911. ANNALI DI BoraNICA — Voc. X. 11 — 162 — Origine del midollo nella stele caulinare delle Pteridophyta. È questo un argomento di grande importanza per l’anatomia comparata delle piante vascolari; ond’è che ad esso hanno rivolto l’attenzione numerosi autori, specialmente i paleofitologi. Due teorie diametralmente opposte si disputano il campo: la prima sostenuta da Jeffrey e dai suoi scolari ammette che il midollo sia sempre di origine estrastelare, provenga cioè da introflessione della corteccia nella stele; la seconda invece sostenuta da numerosi altri valenti competitori ammette per il midollo un'origine intrastelare, giacchè esso proverrebbe da una modificazione degli elementi xilematici centrali della stele solida primitiva (protostele). É inutile far ri- levare che dai sostenitori delle due differenti teorie sono esibite delle prove abbastanza convincenti, sicchè è probabile che delle buone ragioni militino in favore degli uni come degli altri e se torto v'è, deve attribuirsi alla soverchia recisione con cui essi af- fermano le proprie idee. Tre recenti pubblicazioni, di cui una del Gwynne-Vaughan e le altre del Bower costituiscono appunto una specie di reazione all’asserto troppo rigido del Jeffrey « che il mi- « dollo deve in tutti i casi essere considerato come una derivazione <« della corteccia ». Formazione del midollo nelle Osmundaceae. — Gwynne-Vau- ghan (1) ha seguito lo sviluppo di piantine germinanti di Osmunda regalis nell'intento di osservare se di alcuni caratteri primitivi mo- strati da Pteridofite fossili ora ascritte alle Osmundaceae, rimanesse traccia nei giovani individui dei rappresentanti tuttora viventi di questa famiglia. Egli ha rivolto speciale attenzione all’effetto pro- dotto su la stele del caulicino dalla fuoruscita delle prime tracce fo- gliari. In tutti i casi esaminati le prime due tracce si dipartono in un modo perfettamente protostelico, vale a dire senza produrre nessuna depressione nella stele solida. Anche la 8° traccia si com- porta il più delle volte come le due prime, ed in alcuni casi per- fino la 4* e la 5°. Più o meno presto però al punto di distacco di una traccia fogliare un isolotto di parenchima della guaina che cinge lo xilema si fa breccia nello xilema medesimo e spesso è que- sto il primo parenchima che compare nello xilema solido della stele. Non meno spesso però il parenchima che si rende per la prima volta manifesto nella stele è un vero e proprio midollo che si ori- gina del tutto indipendentemente dalla fuoruscita delle tracce fo- (1) Some Remarks on the Anatomy of the Osmundaceae. — Annals of Botany, XXV, 1911. gliari, perchè esso sì continua verso l’alto per un buon tratto senza assumere alcun contatto con gli isolotti di parenchima suaccennato. Il contatto si stabilisce soltanto al livello della 5* o 6* traccia fo- gliare. Una volta stabilito il midollo, raramente scompare; nondi- meno in alcuni casi l’autore ha csservato che lo xilema della stele ridiventa solido al disopra del livello della 7° foglia. Lo stesso suc- cede, ma in maniera ancora più accentuata in Osmunda cinnamo- mea studiata da Faull. Per illustrare il graduale costituirsi del mi- dollo ed i rapporti che esso assume con le tracce fogliari l’autore ri- porta 5 diagrammi molto dimostrativi, oltre le tavole. Egli poi dà dei dettagli istologici della piantina e delle tracce fogliari, facendo rilevare, fra le altre cose, per la piantina che gli elementi del mi- dollo, al primo comparire sono molto lunghi, presso a poco come gli elementi del legno, la qual cosa è in accordo con l’origine del midollo daitracheidi centrali della protostele per degradazione. Non ha mai però trovato fra gli elementi parenchimatici del midollo dei tracheidi sparsi, com’egli si sarebbe aspettato dal confronto con gli affini fossili Thamnopteris e Zalesskya. Quanto alla struttura delle tracce fogliari, le prime sono molto esili e non posseggono un distinto protoxilema, probabilmente perchè i pochi tracheidi che le costituiscono si differenziano simultaneamente. Quando pero un pro- toxilema si rende manifesto, la struttura è generalmente endarca, salvo in qualche caso in cui l’autore ha potuto con sicurezza sta- bilire che è mesarca. Tale particolarità, benchè occasionale, si può ad ogni modo considerare come un ricordo atavico, in quanto il tipo mesarco era costante alla base delle tracce fogliari in Thamnopte- rise Zales:kya. In base allo studio delle piantine di Osmunda re- galis ed a quanto è noto per altre piante affini viventi e fossili Gwynne-Vaughan conclude che il midollo delle Osmundacee, con- trariamente all'affermazione di Jeffrey e dei suoi scolari, è di ori- gine intrastelare. Formazione del midollo nelle Ophioglossaceae. — Il Bower (1) è stato indotto a queste ricerche principalmente perchè in Bo- trychium, unico genere vivente di Ophioglossaceae con accrescimento secondario nel caule, poca importanza è stata data finora al legno primario, considerato dalla maggioranza degli autori come virtual- mente assente. Con tale questione però era strettamente legata l’altra non meno importante della prima comparsa del midollo nella stele delle Ophioglossaceae; per cui il Bower ha preso in esame (1) On the primary Xylem and the Origin of Medullation in the Ophioglossa- «ceae. — Annals of Botany. XXV, 1911. — 161 — parecchie specie non solo del gen. Botrychium ma anche di Ophio- glossum, ed ha poi comparato le sue osservazioni con quelle fatte su altre specie da autori precedenti, dal Farmer e Freeman sul gen. Helminthostachys, da Scott sul gen. fossile Botryoxylon. Parecchi fatti interessanti sono emersi da questo esame. Così per ciò che riguarda la stele al suo primo inizio nella piantina, l’autore ha stabilito che può presentarsi con struttura differente non solo nello stesso genere ma anche nella stessa specie, essendo in alcuni casi solida in altri fornita già di un midollo. Tale dif- ferenza è dall'autore messa in rapporto con la quantità di nutri- mento adisposizione della pianta. Nei casi in cui la steleè solida (pro- tostele) il midollo compare prima ancora della fuoruscita della prima tracria fogliare. Infatti nel centro delle protostele si rendono a poco a poco manifeste delle cellule isolate o riunite in piccoli gruppi, le quali conservano le pareti sottili ed il contenuto protoplasmatico. I gruppi o le cellule isolate confluiscono insieme, costituendo il midollo, che da principio è mal delimitato dallo xilema circostante e presenta sparsi fra le sue cellule parenchimatiche dei tracheidi talora scarsi, talora numerosi. Non vi è nessun dubbio quindi che il midollo al suo primo inizio sia non solo di origine intrastelare, ma più precisamente in- traxilica. Con la fuoruscita delle prime tracce fogliari il midollo viene accresciuto per la penetrazione del tessuto parenchimatico della guaina che circonda lo xilema, anch’esso però di origine intra- stelare. In Ophioglossum manca fin da principio nel caule una di- stinta endodermide, mentre è abbastanza evidente nel tratto infe- riore del caule di Botrychium. Questa endodermide non viene in nessun modo interrotta dalla fuoruscita delle prime tracce fogliari, ciò che conferma che il midollo da principio è soltanto intrastelare. Verso l’alto però l’endodermide a poco a poco scompare e delle in- troflessioni di parenchima estrastelare si fanno strada con la fuo- scita di nuove tracce fogliari. Il midollo definitivo proviene perciò da 3 sorgenti distinte : 1° dal parenchima intraxilico; 2° dal paranchima della guaina circondante lo xilema; 3° dal parenchima estrastelare. Quanto alla questione del legno primario in Botrychium si può con l’autore in linea generale ammettere che sia in parte o quasi in totalità fisiologicamente sostituito dallo xilema secondario pro- veniente dall’attività del cambio, e che di esso non rimangano, al- meno nel caule adulto, che delle vestigia appunto nei tracheidi sparsi occasionalmente nel midollo e nei tracheidi più interni del. l'anello legnoso. Studiando però lo sviluppo del legno in una re- Mr 08 — 165 — gione poco discosta dall’apice in Botrychium Lunaria, lo xilema primario si mostra in notevole quantità, costituendo da solo, per mancanza ancora dell’attività del cambio, l’anello legnoso. Inoltre nella medesima regione, verso il centro del midollo, si trovano sparsi parecchi tracheidi i quali rappresentano probabilmente tracce di uno xilema primario un tempo sviluppato ed ora in corso di so stituzione per lo sviluppo del legno secondario. Non sempre esi- stono di questi tracheidi sparsi in B. Lunaria, ma dove si riscon- trano, la loro presenza non si riesce certo a spiegare con la teoria di un midollo d’origine corticale. Un’altra osservazione interessante ha fatto il Bower in B. ternatum: in un esemplare che aveva su- bìto dei disturbi traumatici dovuti probabilmente a puntura d’in- setto, proprio nel punto dove la causa aveva agito v’erano nume- rosi tracheidi sparsi nel midollo. Al di sopra ed al di sotto di questo punto, cessata la causa perturbatrice, il midollo ritornava normale e privo di tracheidi. Se sì deve ammettere, come del resto ha con- fermato recentemente anche Jeffrey, che un’azione traumatica sia capace di determinare nei tessuti un risveglio di caratteri ance- strali, può anche da ciò desumersi che in questa specie il midollo sia d’origine intrastelare. Concludendo, vediamo che la prima comparsa del midollo presenta dei caratteri comuni nelle Osmundaceae e nelle Ophioglossaceae. Il secondo lavoro del Bower (1) mentre è una critica severa al- l’idea troppo rigida del Jeffrey di nuovo affermata e senza alcuna restrizione in una recente memoria, che cioè il midollo devesi in ‘ogni caso riguardare come una derivazione della corteccia, è nello stesso tempo una discussione generale su quanto fino ad oggi è noto riguardo alla formazione del midollo nelle Pteridophyta. Di nuovo egli non aggiunge che le osservazioni sulla struttura della stele di Selaginella spinulosa nel tratto del caule immediatamente sottostante allo strobilo. Dalla discussione emerge chiaro che il mi- dollo nelle Pteridophyta non ha sempre la medesima origine, come dimostra lo studio sia dell'anatomia delle piante adulte, sia dello sviluppo delle piantine con le loro particolarità ontogenetiche, sia infine dei fossili, in particolar modo delle Osmundaceae e Lepido- dendraceae. L'origine del midollo può anche variare nello stesso individuo a seconda dello stadio di sviluppo e delle condizioni d’ambiente in cui esso viene a trovarsi. Il midollo può quindi essere derivato nei modi seguenti: (1) On Medullation in the Pteridophyta. Annals of Botany, XXV, 1911. siva ite e Late ni ART Rial I È - >4 Se , ali ho È | > — 166 — 1. Completamente per degradazione del tessuto vascolare del centro della protostele, nel qual caso è di origine intraxilica (Le- pidodendraceae, Osmundaceae primitive e forse anche Equisetales) o în parte soltanto (Selaginella spinulosa, Ophioglossaceae, Osmun- daceae attuali da giovani, e Marattia). 2. Per partecipazione, oltre che del tessuto vascolare suddetto, del parenchima della guaina che circonda lo xilema, anch'esso in- trastelare (Ophioglossaceae da giovani, piantine di Osmunda, Sela- ginella spinulosa). 3. Per partecipazione dello strato interno dell’endodermide doppia, quale sembra sia il caso per le piantine di Marattia. 4. Per introflessione della corteccia (Ophioglossaceae allo stato adulto e Felci leptosporangiate). Analogamente alle Felci leptosporangiate anche nel rizoma di Selaginella laevigata var. Lyallii le stele sono così ordinate da de- limitare nel centro un midollo d’origine corticale. Senonchè mentre nelle Felci la corteccia penetra nella stele attraverso le lacune de- terminate dalla fuoruscita delle tracce fogliari (lacune fogliari), in Selaginella la corteccia penetra nella stele attraverso le lacune de- terminate dalle tracce dei rami aerei (lacune rameali). Evidente. mente però più che di affinità di questa pianta con le Felci, trat- tasi, secondo l’autore, di un semplice caso di omoplasia, determinato dalla posizione orizzontale del rizoma. Importante a tal proposito è una teoria emessa dal Bower, secondo la quale l'origine intra-ed estrastelare del midollo sarebbe in rapporto con la posizione del- l’asse e con le dimensioni delle sue appendici (foglie e rami). Così un caule eretto e microfillo favorirebbe la formazione di un midollo intrastelare; un caule sdraiato e megafillo permetterebbe la forma- zione di un midollo estrastelare. All’obbiezione che potrebbe muo- versi a questa teoria e che l’autore stesso si pone, che cioè le Dik- sonieae, le Cyatheae e numerose altre Felci leptosporangiate sono megafille, hanno un asse eretto e pure conservano un midollo estra- stelare, il Bower oppone parecchi fatti, i quali dimostrano come, una volta iniziata o l’una o l’altra sorta di formazione di midollo in un phylum, essa si conserva anche se ad un determinato mo- mento nello sviluppo filogenetico un cambiamento intervenga nella posizione dell’asse, appunto perchè la causa agirebbe soltanto nel tempo in cui si inizia per la prima volta la formazione del mi- dollo. Ora per le Cyatheaceae l’autore è riuscito a stabilire che il portamento eretto è secondario e che questa famiglia è derivata. da antenati rizomatosi probabilmente affini alle Gleicheniaceae. E. Carano. Tessuto di trasfusione. Il tessuto di trasfusione delle foglie di Conifere è stato oggetto di numerose ricerche. Recentemente dal Worsdell e poscia da altri autori: è stato considerato come omologo del legno centripeto dei fasci cotiledonari di Cycas e di Ginkgo. Carter (1) riprende la que- stione, studiando lo sviluppo di tale tessuto nei cotiledoni delle se- guenti specie: Taurus baccata, Cephalotaxus pedunculata, C. For- tunei, Araucaria brasiliensis, Pinus sylvestris, Sequoia sempervirens, Sciadopitys verticillata, Cupressus Lawsoniana, C. tortulosa, Thuja orientalis, T. spheroidea, e Juniperus communis. E giunge alla conclusione che i primi tracheidi formati del tes- suto di trasfusione nei cotiledoni tolti in esame occupano tale po- sizione ed hanno una forma tale da rendere improbabile che essi rappresentino una continuazione dello sviluppo del legno centripeto. Un paragone fra questi tracheidi e gli altri tessuti del fascio va- scolare suggerisce piuttosto che essi sono una differenziazione del parenchima. Quanto alla funzione del tessuto di trasfusione l’autore è d’avviso che piuttosto che a trasportare esso serva ad immagaz- zinare acqua. E. Carano. (1) A Reconsideration of the Origin of « Transfusion Tissue » Annals of Botany Vol. XXV, .1911. Ce ae ae PAL celti ea AE Le, VANS ANS IANEA LN IRINI NTSIXSINST NSA NSXNSCNAINAVNATIOSINTISAA RIVISTA DI FISIOLOGIA ALBERTI ALBERTO. — Gli organi di senso nelle piante in relazione allo stimolo della luce. Bologna, 1911. Questa memoria può dividersi in due parti. La prima, la più estesa, è un esame critico della teoria dell’Haberlandt sul mecca- nismo di recezione dello stimolo luminoso e di reazione da parte dei vegetali; essa comprende i capitoli I, II e III. La seconda parte, capitolo IV, è dedicata alla descrizione di ricerche originali dell’A. È la parte più importante del lavoro; di essa adunque sarà op- portuno occuparci brevemente. Guidato, come altri sperimentatori, dal concetto di disturbare la formazione dei fochi nell’ interno delle supposte cellule sensibili, l’A. ricorre a due mezzi. Dapprima egli usa degli schermi in cui sì trovano disseminati numerosi e minutissimi corpicciuoli oscuri, 1 quali intercettino la luce. Servono bene all’ uopo « certe carte sot- tili di qualità molto ordinaria, che contergono frammenti gialli di paglia non intieramente spappolata e scolorita. Si può anche in- tensificare il giuoco del chiaro oscuro, spargendo con un sottile se- taccio un po’ di gesso o di biacca sulla carta, che poi si scuote e si deterge. Traccie minime di queste sostanze rimangono aderenti sempre, di preferenza a certi punti più rilevati della carta (e qualche volta ai più depressi), i quali, dopo una opportuna manipolazione rendono la carta più ineguale alla luce ». Inoltre l’A. adopera pellicole « sulle quali erano distese delle fi- nissime emulsioni di varia natura. Vennero adunque dapprima uti- lizzate le pellicole fotografiche nelle qualiil metallo, come è noto, dopo l’esposizione alla luce e lo sviluppo, è raccolto in minutis- simi aggruppamenti variamente lontani fra loro. Poi furono provati gli olii nei quali erano emulsionati sali alcalini terrosi ». Lo scopo di tutti questi mezzi è di provocare sulle foglie sotto- poste alla luce a traverso questi schermi un giuoco di chiari e di ombre, atti ad alterare la posizione nella quale ordinariamente si for- mano i fochi. L'A. sperimentò su diverse piante, ed ottenne il risultato che queste erano ancora sensibili all’azione direttiva della luce. Poi furono impiegate delle polveri di vetro, che secondo l’A., ap- parvero più adeguate allo scopo. Esse naturalmente funzionano come altrettanti prismi, i quali debbono alterare il giuoco di rifra- zione nelle papille convesse, funzionanti da lenti, delle foglie. Ma anche con questo mezzo ]’A. osservava che si compivano i consueti movimenti di orientamento, onde egli è tratto a conclu- dere contro l’ ipotesi dell’Haberlandt. Ora lo scrivente non può esimersi da brevi osservazioni critiche. È difficile comprendere come nell'esperienza degli schermi conte- nenti numerosi e finissimi punti oscuri sì possa giungere allo scopo- di disturbare la formazione dei fochi o di alterare comunque la loro posizione. Certamente se di fronte ad una lente vi è una zona. oscura che lascia passare poca luce il foco corrispondente sarà meno intenso, ma la sua posizione dev'essere assolutamente la stessa. Si potrebbe tutt’alpiù pensare che una granulazione oscura, ricoprendo. casualmente una metà di una lente, permettesse soltanto la forma- zione di una parte dell’area focale, e che quindi questa, essendo lie- vemente eccentrica, potesse provocare un’alterazione nell’eccitazione e quindi nella reazione della foglia. Ma ciò non e ammissibile per la ragione che nella foglia esiste un numero straordinariamente grande di lenti, il quale deve dar luogo ad un numero parimente assai grande di varie combinazioni tra la posizione delle lenti medesime e quella dei vari granuli dello schermo; si deve quindi trat- tare di un complesso di piccole alterazioni in direzione contraria, il quale complesso non può dar luogo ad alcun effetto. Ciò cppor- tunamente ha previsto lo stesso autore a pag. 55, ma non ha forse data la dovuta importanza all’obbiezione, che secondo il parere dello scrivente, ha invece un valore decisivo. Anche l’altra prova con polvere di vetro non può andare esente da obbiezione, Certamente i piccoli. prismi che costituiscono la polvere deviano i raggi, ma anche in questo caso le combinazioni possibili di posizione di questi prismetti devono, secondo la legge di probabilità, risultare tali che si avrà infine una moltitudine di deviazioni luminose in opposte direzioni, le quali non possono in- durre le alterazioni previste dall’A. E non sarà neanche esatto il dire che tutti questi punti luminosi deviati eccentricamente in l — Ml — opposte direzioni dovranno dar luogo ad una risultante nu//a, po» chè dalla loro azione antagonistica può risultarne uno stimolo cen- trico, come nelle condizioni ordinarie. Ciò in casi analoghi ha dot tamente dimostrato lo stesso Haberlandt nelle risposte ai suoi op- positori, e il suo ragionamento dal punto di vista fisico appare as- solutamente esatto. Se poi anche si volesse ammettere che tutti questi vari stimoli finiscano per dare una risultante zero, resta sempre il caso di possibili lenti non coperte da prismi, le quali de- vono originare lo stimolo di orientamento. Importante invece è l’altra serie di esperienze e osservazioni intraprese dall'A. le quali consistono nel privare le foglie di epi- dermide e di ricercare se esse reagiscono ancora alla luce. In questo caso l'esperimento è veramente decisivo, ma le difficoltà non sono piccole e le prove vogliono essere ripetute numerose volte. Già il Nordhausen tentò un analogo esperimento mortificando l’epider- mide con mezzi meccanici e constatò come la sensibilità persistesse anche dopo la distruzione dell'epidermide. Analogamente l’Alberti trova che foglie private della loro epidermide reagiscono ancora alla luce. Ciò ottiene con un ibrido dal 7ropaeolum Lobbianum e con fo- glie giovanissime di Colocasia esculenta. È da augurarsi che simili studi siano continuati e ripetuti e che l'A. mantenga la promessa di rendere noti quanto prima i risultati di nnovi esperimenti, che saranno certamente interessanti. Rirrer von Gurremgere Hermann. — Uber die Verteilung der geotropischen Empfindlichkeit inder Koleoptite der Gramineen. — Jahrb. f. Wiss. Bot. Bd. L., H. 3°. L'A. riassume dettagliatamente la quistione se la sensibilità. geotropica debba ritenersi localizzata o almeno maggiormente ac- centuata all’apice del coleottile. La numerosa letteratura in propo- sito ci ha dato spesso conclusioni incerte e contraddittorie; tuttavia s’inclina a ritenere che la sensibilità sia ristretta prevalentemente (od anche esclusivamente) all’apice suddetto. Tuttavia la quistione, in taluni casi specialmente, è sempre controversa e l'A. si accinge a risolverla impiegando nelle sue ricerche il metodo dell’azione della forza centrifuga escogitato dal Piccard, secondo il quale, po- nendo l’oggetto in una certa inclinazione sull’apparecchio, è possi- bile fare agire in regioni contigue forze antagoniste. Le ricerche furono eseguite sulle seguenti specie: Avena sativa, Hordeum vul- gare, Phalaris canariensis, Setaria italica, Sorghum vulgare. I risultati principali sono i seguenti: Tua Peri ale N Ca e Et — 12 — In Avena, Hordeum e Phalaris una breve zona apicale del coleot- tile è più sensibile della zona sottostante. La zona di maggiore sensibilità è in genere dai 3 ai 5 millimetri. Nelle Panicee non si verifica una sensibilità apicale così pro- nunciata. Nel Sorghum la metà superiore è più sensibile della ba- sale, nella Setaria al contrario le due metà sono parimenti sensi- bili. Nei coleottili delle specie studiate ha luogo senza dubbio un trasporto di stimolo tanto basipeto quanto acropeto. Quando la maggiore sensibilità geotropica è localizzata nella regione apicale, v’ha in quella dell’amido mobile in tutte le cel- lule fino all’epidermide ed ai fasci conduttori. E questa zona cor- risponde in lunghezza alla zona della sensibilità. Questi ultimi fatti parlano grandemente in tavore della teoria statolitica. Arpin Pair. — Analyse des geotropischen Zeigvorgangs mittels. Luftverdinnung. — Jahrb f. Wiss. Bot. Bd. L. H. 1. È noto che una diminuzione nella pressione dell’aria fa sentire la sua azione sui fenomeni geotropici, i quali, essendo legati ad un accrescimento, restano influenzati dalla quantità dell’ossigeno pre- sente nell'ambiente esterno. L'A. dopo di aver tracciato brevemente la storia della quistione, sì propone di studiare l’azione della ra- refazione dell’aria prendendo di mira le due fasi fondamentali del processo geotropico, cioè a dire la percezione dell’eccitazione e la reazione. Materiale di osservazione il Phaseolus vulgaris. I principali risultati sono i seguenti. Nell'aria rarefatta il tempo direazione aumenta, ma questo au- mento non è in proporzione nè con la diminuzione di pressione, né con la variazione dell’attività respiratoria. Anche la fase sen- soria (misura della rapidità della percezione), ossia il tempo di pre. sentazione (che meglio potremo designare come tempo di eccitazione) si comporta analogamente. Così anche una forte rarefazione allunga la durata della fase motrice. RexneR O. — Experimentelle Beitrige zur Kenntnis der Wasser- bewegung. — Flora, N. F. Bd. III. H. 3. In questo lavoro l'A. si propone di ricercare se le cellule vi- venti pertinenti alla regione legnosa abbiano una importanza nel fenomeno del movimento dell’acqua; in altri termini se questo debba attribuirsi a cause puramente fisiche ovvero anche a cause vitali. de Il metodo adoperato è sempre quello di misurare il movimento dell’acqua per mezzo di un sensibile potetometro in parti di piante sottoposte a diverse condizioni. Il migliore materiale è per l’A. al Syringa vulgaris; furono anche impiegate piante da seme di Pha- seolus multiflorus fatte sviluppare in soluzione di Knop. L’A. studia così i fenomeni di regolazione nel movimento del- l’acqua allorquando la traspirazione resta improvvisamente abbas- sata o riattivata e in diversi casi, cioè a dire in piante intere o in parti di piante aventi un numero maggiore o minore di foglie, ecc. Sono presi anche in esame i fenomeni di aspirazione da parte delle foglie in condizioni anormali come nel caso di resistenze o im- pedimenti al movimento dell’acqua, provocati sia con la pressione, sia con intaccature, o con l’ostruzione dalle superfici assorbenti. Anche l’influenza della lunghezza del ramo viene studiata. Inte- ressanti sono le esperienze con organi vivi o morti, o parzialmente mortificati. Dai risultati delle moltissime esperienze l’A. è tratto a confer- mare l'ipotesi del Dixon sul valore dei fenomeni di adesione nel movimento dell’acqua. - Prova che nelle foglie traspiranti si manifesta sempre una de- ficienza di acqua, per cui la regolazione nel movimento si fa sempre lentamente allorquando cambiano le condizioni esterne che influen- zano la traspirazione. Abbassandosi questa improvvisamente, con- tinua ancora l’aspirazione dell’acqua per un certo tempo. Così la forza dell’aspirazione fogliare si definisce come una differenza tra la pressione nella foglia e la pressione atmosferica. Gli impedimenti al trasporto dell’acqua provocano dapprima una diminuzione, ma poi il fenomeno si riattiva per un adattamento dell’organo alle nuove condizioni. Questo fatto interessante si verifica anche non soltanto per organi vivi, ma anche per organi morti. La forza massima di aspirazione dell’acqua da parte delle fo- glie corrisponde alla pressione osmotica nelle cellule di queste; il maggior valore viene raggiunto quando le foglie tendono ad appas- sire. Anche in condizioni normali le cellule di una foglia in tra- spirazione si trovano sempre sotto il marimum di saturazione di acqua, d’onde la tendenza ad assorbirne, determinando la formazione di correnti di liquido verso di esse. Da questi e da altri risultati, che per brevità debbono essere omessi, l’A., come già si è detto, è tratto a confermare la nota ipo- tesi del Dixon. Prerrer W. — Der Einfluss von mechanischer Hemmung und von Belastung auf die Sehlafbewegung. — Adhand?. d. Math. Phys. Kl. der Konigl. Stichsischen (Gesellschaft der Wissenschaften, RXXIT!Bd., Ne 1I19:0E L’A. prima di descrivere le, sue esperienze s’intrattiene sui me- todi impiegati per rendere visibili i movimenti. Si tratta di im- piegare delle piccole leve, le quali ingrandiscono il movimento di spostamento, permettendone la facile lettura. A. questo modo compie lo studio sull’ influenza che può eserci- tare un ostacolo sul movimento, e conchiude che in genere la ten- denza al movimento non è modificata dall’ostacolo. Studia anche i fenomeni di reazione che eventualmente possono manifestarsi allorquando si esercita una torsione. In talune piante come nel Phaseolus questa reazione è nulla, ma altre volte, come nella Mimosa, può esercitare il suo valore e turbare così quei movimenti che si sarebbero esercitati liberamente senza alcuna azione perturbatrice. Compie infine delle esperienze sui movimenti provocati dalla luce, la quale agisca non sull’intera foglia, ma soltanto su di una parte di essa, restando l’altra oscurata. Ne risulterebbe una azione da parte del lembo, il quale tra- smetterebbe l'eccitazione alla articolazione, influenzandone i mo- vimenti. Ramann E. unp Bauer H. — Trockensubstanz, Stiekstofi und Mi- neralstoffe von Baumarten wihrend einer Vegetations periode. Jahrb..f- Wiss. Bot. (Bd. L. H. iL. Se sono abbastanza numerosi i lavori intorno al contenuto di sostanza secca e degli elemerti di questa nelle piante, mancano al contrario, affermano gli AA., delle ricerche su di un intero periodo di vegetazione. Questa lacuna essi vogliono colmare compiendo delle ricerche su parecchie specie, durante l’intero periodo vegetativo dal principio della primavera alla fine dell’autunno. I risultati sono vari per le diverse specie e non si prestano a conclusioni ge- nerali. Ciò non ostante questo lavoro è importante per le molte indica- zioni e tabelle che esso contiene. i cei of nq — 1705 — Ramann E. —— Mineralstoffgehalt von Baumblittern zur Tages- und zur Nachtzeit. — Jahrd. f. Wiss. Bot. Bd. L., H. 1. Il titolo di questo breve ma importante lavoro ne spiega l’ar- gomento. Esiste una differenza nel contenuto di sostanze minerali delle foglie degli alberi alla fine del giorno e della notte? Dopo numerose ricerche l’A. trova che mentre per la maggior parte degli elementi costituenti le ceneri delle piante una differenza non esiste, per il calcio invece si verifica sempre un aumento du- rante la notte ed una diminuzione durante il giorno. Questo fatto è senza dubbio in relazione con il valore del calcio per il trasporto degli assimilati. Weevers TH. — Bemerkungen ueber die Physiologische Bedeutung des Koffeins. — Annales du Jard. Bot. de Buitenzorg, Il* S., VE IO La conclusione cui giunge l’A. in questa breve nota è che la caffeina (come la teobromina) ha origine in seguito a processi se- condari della disassimilazione degli albuminoidi, che può restare per un tempo più o meno lungo accumulata e che infine è di nuovo riutilizzata per la sintesi degli albuminoidi. Kiùsrer E. — Ueber die Aufnahme von Anilinfarben in lebende Pfianzenzellen. — Jahrd. f. Wiss. Bot. Bd. L. H. 3. Come è noto lo Pfeffer in un suo lavoro di importanza fonda- mentale studiava la permeabilità dei protoplasti viventi da parte dei colori di anilina, additando così un mezzo assai proficuo per il loro studio. L'A. riprende la quistione e compie lo studio della penetrazione di numerose sostanze coloranti nelle cellule viventi di molte piante. Dai risultati ottenuti egli trae partito per discutere su talune teorie recentemente emesse sui fenomeni di penetrazione di vari corpi nella materia vivente. Tra le sue conclusioni riporta, come più importanti, le seguenti. Molti colori di anilina penetrano le cellule viventi di organi intatti, quando le loro soluzioni circolino nelle vie conduttrici. Nu- merose sostanze coloranti acide, che fino ad ora erano ritenute non vitali, possono invece penetrare cellule viventi accumulandovisi. ‘Così colorazioni vitali possono ottenersi con la Fucsina acida, con la to A Cocciniglia, con l’Orange G., ecc. ed in genere con sostanze coloranti acide facilmente diffusibili. Con le sostanze coloranti acide allo. $ stato di soluzioni colloidali non sì ha in genere colorazione; havvi Si tuttavia qualche eccezione. La teoria lipoidica dell’Overton non è br in grado di spiegare tali fenomeni. Così dicasi anche dell’asserzione È, del Ruhland, che cioè tra la diffusibilità, ossia tra lo stato colloi- : dale, delle sostanze coloranti e la loro penetrazione nelle cellule vegetali viventi non vi sia nessun rapporto, asserzione che non è in armonia con quanto fu esposto. C. ACQUA. VUXCAEYN£ EXIT SRI CEN NTFS XEU SASNESNANIXSEEE73 RIVISTA DI SISTEMATICA Origine delle Monocotiledoni. Man mano che aumentano le nostre conoscenze su la Morfologia e su la sistematica delle Angiosperme, si sente sempre più intenso il bisogno di chiarire quali siano i rapporti di parentela che cor- rono fra Mono- e Dicotiledoni. Senza dubbio dei passi si sono fatti nell’importante questione, come chiaramente dimostra l'accordo quasi unanime fra gli autori nel riconoscere che le Monocotiledoni piuttosto che un gruppo iso- lato e primitivo di Angiosperme, come prima si riteneva, rappre- sentino uno e forse anche più rami laterali derivati in epoche re- mote dal ramo principale e più antico dicotiledone. In che modo però i due gruppi si colleghino e come le Monocotiledoni abbiano col tempo acquistato dei caratteri ad esse abbastanza peculiari, sono delle questioni che esercitano, e forse eserciteranno per molto tempo ancora, la perspicacia degli studiosi. Henslow (1), basandosi su le numerose coincidenze che esistono nella morfologia esterna ed interna fra le Monocotiledoni e le Di- cotiledoni acquatiche, conferma quanto sostenne già nel 1892 in un’altra sua memoria, che cioè le Monocotiledoni derivino dalle Dicotiledoni per un adattamento aa un ambiente umido o acqueo. Oggi egli riporta a sostegno del suo modo di vedere, oltre a nume- rosì nuovi fatti acquisiti alla scienza nei vent’anni trascorsi dal suo primo lavoro, anche dei dati sperimentali da lui ottenuti. Fra i diversi argomenti esposti, meritano di essere ricordati quelli che riguardano : 1. La degenerazione delle Monocotiledoni, la quale, secondo Henslow, è manifesta in ogni organo e la cui causi deve senz'altro ricercarsi nell’azione degradante operata dall’acqua. 2. La possibile origine acquatica delle Palme, come mostre- rebbero sia le abbondanti lacune aerifere nel parenchima fonda- (1) The Origin of Monocotyledons from L'icotyledons, through Self-adaptation to a Moist or Aquatie Habit. — Annals of Botany, XXV, 1911. ANNALI DI BorTANICA — VoLr. X. 12 — 178 — mentale delle radici di molti generi tuttora viventi e del caule fossile di Palmoxylon lacunosum, sia la formazione di pneumatodi. 8. La presenza frequente nelle Monocotiledoni di organi per la conservazione dell’acqua (rizomi, tuberi, bulbi) i quali di solito si manifestano in piante che, dapprima acquatiche, sono in seguito diventate xerofite. 4. Il bisogno di molt’acqua per una vegetazione rigogliosa di molte Monocotiledoni terrestri. 5. Il confronto fra le Cycadaceae e le Monocotiledoni, nel quale l’autore tende specialmente a mettere in rilievo che in Cera- tozamia, alla stessa guisa che in Avena e in Nymphaea, si svi- luppa soltanto un solo cotiledone, mentre l’altro rimane rudimen- tale. Precisamente il cotiledone che si sviluppa è l’inferiore rispetto alla posizione del seme sul suolo. Ora tale particolarità è da lui attri- buita, in seguito ad esperimenti col clinostato ed altri dispositivi, piuttosto che all’azione della gravità, come vogliono altri autori, all'umidità del suolo. 6. Le Dicotiledoni monocotiledoni, di cui alcune sono anche oggi acquatiche, mentre altre portano delle tracce evidenti di una vita primitivamente acquatica; ad ogni modo tutte posseggono in comune con le Monocotiledoni altri caratteri oltre la presenza di un unico cotiledone. 7. L'effetto dell’acqua sulle radici. Nelle Monocotiledoni la radice primaria più o meno presto cessa di crescere e muore. Lo stesso particolare è constatabile, secondo Henslow, non solo nelle Dicotiledoni acquatiche, ma anche nelle terrestri i cui semi si met- tano a germinare su una reticella alla superficie dell’acqua. La ra- dice primaria, penetrando nell’acqua, ben presto muore, mentre delle nuove radici si sviluppano dall’ ipocotile. Altra caratteristica delle Monocotiledoni è che il meristema produttore della caliptra è in- dipendente da quello che origina il resto della radice. Ora nume- rose osservazioni fatte su piantine di Dicotiledoni allevate in acqua hanno mostrato ad Henslow che il caliptrogeno si rendeva anche in queste più o meno distinto dagli altri meristemi della radice. 8. Lo speciale ordinamento dei fasci e la mancanza del cambio, caratteristiche in stretta dipendenza l'una dell’altra, ma non ge- nerali nè esclusive delle Monocotiledoni. Come si estendono infatti le osservazioni, cresce il numero delle Dicotiledoni con ordinamento sparso dei fasci, i quali inoltre in molte forme acquatiche sono anche chiusi. D'altra parte cresce il numero delle Monocotile- doni con fasci disposti in una cerchia e con tracce evidenti di cambio. — 179 — 9. Le ricerche citologiche ed embriologiche, noverando le quali, Henslow riesce a mettere in rilievo numerose altre corrispon- denze fra Monocotiledoni e Dicotiledoni acquatiche. 10. Le ipotesi ammesse per spiegare la scomparsa di uno dei cotiledoni. Dal complesso di tutti questi fatti, l’autore si sente in grado di concludere che ciò che egli nel 1892 espresse come una sem- plice teoria ha oltrepassato lo stadio di ipotesi e può considerarsi come un fatto dimostrato. E. CARANO. WoLrr Hermanx. — Umbelliferae-A pioideae-Bupleurum, Trinia et reliquae Ammineae heteroclitae. — Englers Planzenreich, 45 Heft (IV. 228), 214 s. mit 155 Einzelbildern in 24 figuren. La prima parte di questa monografia è dedicata all’esame delle caratteristiche morfologiche e biologiche delle forme che sono com- prese in questo gruppo. Dopo l’enumerazione dei caratteri gene- rali, l’autore studia gli organi vegetativi (soffermandosi particolar- mente sulle foglie del gen. Bupleurum), la costituzione anatomica, l’organizzazione ed i rapporti fiorali, anche dal punto di vista bio- logico, l’aspetto e la struttura del frutto e del seme. Il gen. Lichtensteinia è limitato alla regione meridionale occi- dentale del Capo ed alle coste africane meridionali orientali e me- ridionali. Del gen. Puthea una specie abita l'isola Fuerteventura nelle Canarie, mentre l’altra è stata finora osservata solo all’ isola di Sant'Elena. Il gen. Meteromorpha presenta il suo limite settentrionale di diffusione negli altipiani dell’Abissinia e dei Galla e giunge fino allaregione meridionale occidentale del Capo e si trova anche nell’A- frica meridionale occidentale, ma non è improbabile che abbia anche una più vasta diffusione in Africa. Del gen. 7rinia la sez. Eutrimia è diffusa in una gran parte della regione mediterranea e dell’Eu- ropa centrale, si trova nell'Europa, nell'Asia e nella Siberia subar- tica e penetra anche nell'Asia centrale; le specie della sez. T’riniella sono invece proprie delle montagne dell’Italia meridionale e della Grecia e l’unica specie della sez. Rumia si trova in Crimea. L'area di distribuzione del gen. Bupleurum (i limiti di questa rivista non ci consentono di esaminare partitamente le singole se- zioni) si trova, per la massima parte delle specie, nelle regioni extra- tropicali dell'emisfero settentrionale: solo tre specie (B. mucrona- tum, B plantaginifolium, B. disticophyllum) si spingono per l’ India ANNALI DI BoranIcA — VoL. X. 125 dint 1 Ai sad 3 "i — 180 — e Ceylon tino alla regione tropicale, ed una si trova, come unico rappresentante del genere, al Natal e nella regione del Capo. Si conoscono solo resti fossili di Bupleurum fruticosum trovati nel travertino di Ascoli. Quanto alle pratiche applicazioni sembra che del B. marginatum vengano mangiate le radici: le foglie del B. rotundifolium e del B. falcatum ed i frutti del B. fruticosum vengono usati a scopo me- dicinale. Alcune specie arbustiformi sempre verdi sono coltivate nei giardini e fra queste la migliore è il B. fruticosum. Secondo Wood la Lichtensteinia interrupta è velenosa: nel suo paese di ori- gine le radici vengono usate contro le malattie del fegato. La seconda parte del lavoro comprende lo studio sistematico, del quale qui riferisco con dettaglio solo quanto riguarda le specie della flora italiana: Gen. I. Lichtensteinia Cham. et Schlechtd. — Africa australe, specie Y. Gen. II. Ruthea Bolle — specie 2: 1 isola Fuerteventura, 1 isola Sant'Elena. Gen. III. Heteromorpha Cham. et Schlechtd. — specie 1, A frica orientale. Gen. IV. Bupleurum L. — specie 97, particolarmente reg. sub- trop. temp. subarct. dell’emisf. sett., 1 Africa australe. Sect. I. — Perfoliata Godr., sp. 6. 1. B. rotundifolium A. — Alpi, Appennini fino all’Umbria ed agli Abruzzi. f. 1 typicum Wolff. 5. B. subovatum Link. — Italia settentrionale raro, Italia cen- trale e meridionale. var. «a eusubovatum Wolff: f. senuinum, acuminatum, Bick- nellii. Sect. II. — Longifolia Wolf., sp. 2. Sect. III. — Feticulata Godr. ex pte., sp. 2. 9. B. stellatum L. — Alpi italiane, Corsica. f. vulgare, f. latifolium, f. majus. e N N — 181 — Sect. IV. — ZEubupleura Briq., sp. 84. 15. B. divaricatum Lam. subsp. opacum (Ces.) Briq.: f. vulgare, f. giganteum. subsp. aristatum (Bartl.) Briq. 22. B. Fontanesi Guss. — Italia meridionale, Sicilia, Sardegna. 23. B. junceum L. — Italia centrale e meridionale, Sicilia. var. x Wettsteinianum Wolff. var. $ brachyphyllum Wolff.: f. Rissonii (Rich.) DC 30. B. Gerardii All. — Italia settentrionale?, centrale e meri- dionale. var. x patens Rchb. var. > filicaule (Brot.) Wolff. var. s Jacquinianum (Jord.) Briq. 41. B. tenuissimum L. Subsp. 1, eutenuissimum Wolff, var. « genuinum Godr.; f. longibracteatum, f. brevibracteatum. var. y Columnae (Guss) Godr.: f. subracemosum. var. è procumbens (Desf.) Wolff. 42. B. semicompositum L. — Italia meridionale ed isole, Istria? var. x glaucum (Robill. et Cast.) Wolff.: f. normale, f. To- daroanum. 46. B. petraeum L. — Tirolo meridionale (Giudicarie, monte Baldo), Alpi piemontesi e lombarde. f. lonchophorum, dolichatum, incurvam, globosum. 47. B. ranunculoides L. — Alpi, Appennino settentrionale fino alle Alpi Apuane. var. « genuinum Godr.: subvar. Burserianum (Willd), Briq.; subvar. obtusatum (Lapeyr.) Briq.: f. majus; subvar. elatius (Gaud.) Briq.; subvar. humile (Gand.) Briq. var. y gramineum (Vill.) Lapeyr.: subvar. typicum Wolff. f. actinoideum, syntomum, canalense; subvar. telonense (Gren.) Briq.; subvar. ramosum (Gaut. et Timb.) Briq. 58. B. falcatum L. Subsp. 1 eufalcatum Wolff: var. « genuinum Brig., f. elon- gatum; var. 8 corsicum (Coss. et Kralik) Rouy et Cam. Subsp. 4 exaltatum (Marsch-Bieb.) Briq.: var. y cernuum (Ten.) Are. (Alpi marittime, Appennini fino agli Abruzzi ed ai monti della Campania) f. typicum, Lisae, pseudolympicum; var. n Sbthorpia- num (Smith.) Wolff, f. typicum. 66. B. elatum Guss. — Sicilia: endemico. 79. B. rigidum L. subsp. 1 eurigidum Wolff, f. typicum. 80. B. spinosum Gouan. 83. B. dianthifolium Guss. — Isole Egadi, isola di Maretimo. Sect. V. — Coriacea Godr., sp. 3. 97. B. fruticosum L. — Sardegna, Sicilia, isola di Maretimo. Gen. V. Nirarathamnus Balf. f., — specie 1, Socotra. Gen. VI. Rhyticarpus Sond. — specie 3, Africa australe. Gen. VII. Buniotrinia Stapf. et Wettst. — specie 1, Persia. Gen. VIII. Trinia Hoffm., specie 11. — Eur. occid, centr., austro-orient., Grecia, Asia minore, Transcaucasia, Persia, Sib. occ Sect. I. — Eutrinia (Baill.) Drude., sp. 7. 1 Tr. glauea (L.) Dumort. subsp. 1 euglaucum Wolff. — Italia continentale. var. « Jacquini, var. { elatior. Sect. II. — Triniella Calest. ex pte., sp. 3 8. Tr. Dalechampii (Ten.) Ianchen — Abruzzi, Calabrie. Sect. III. — fFumia (Hoffm.) Calest., sp. 3. Gen. VIII a — Ledebouriella Wolff., nov. gen. — specie 2: 1 Monti Altai, 1 di patria sconosciuta. * * * Un elenco di tutte le exsiccata pubblicate, contenenti specie che sl riferiscono ai generi trattati nella monografia, termina questo lavoro. FABRIZIO CORTESI. BIBLIOGRAFIA BeccarI Opoarpo. — Palme del Madagascar illustrate e descritte. — Firenze, 1912. L’ Istituto micrografico italiano di Firenze ha pubblicato i primi due fascicoli della nuova opera di O. Beccari dedicata all’il- lustrazione delle Palme del Madagascar. L’intera opera si comporrà di 5 fascicoli in folio, su carta di lusso. .Le fotografie, fatte dallo stesso Beccari e riprodotte dall’ Isti- tuto micrografico italiano, sono veramente belle. L’opera si raccomanda da sè per il valore da tutti riconosciuto dell’uomo che la preparò. R. PiROTTA. Fiori ApRrIANO. — Boschi e piante legnose dell’Eritrea. — Firenze, Istituto agricolo coloniale, 1912. Questo volume di pp. 428, corredato di 177 illustrazioni nel testo, forma il 7° della Biblioteca coloniale pubblicata dall’ Istituto agricolo coloniale di Firenze. Nella prima parte l’autore tratta della tutela forestale nella Co- lonia Eritrea; nella seconda dei caratteri della vegetazione arbore- scente dell’ Eritrea; nella terza si trova la descrizione delle piante legnose dell’ Eritrea, in fine alla quale vi è un saggio di una chiave analitica dei generi delle piante legnose di tutta la Colonia. Questo lavoro, il primo dedicato in modo speciale alle piante legnose della Colonia, frutto in gran parte di osservazioni e rac- colte fatte sul luogo, è condotto con cura. Le illustrazioni hanno scopo principalmente pratico, accresciuto dai caratteri anatomici dei principali legnami. Certamente ricerche più estese in parti della Colonia non vi- sitate dall’autore, porteranno nuovi contributi; ma l’opera del Fiori merita elogio, sopratutto per lo scopo pratico che col libro viene raggiunto. R. PIROTTA. Si ta pi i A Rue TORRISI TATO AVIR DE — 184 — ‘ Zimmermann A. — Istruzioni per la coltura del Cotone nell’Africa. Prima traduzione italiana autorizzata del dott. A. MoRESCHINI.' — Firenze, Istituto agricolo coloniale italiano, 1911. Lodiamo l’Istituto agricolo coloniale italiano per aver collocato nella sua Biblioteca agraria coloniale quest'opera importante del chiaro prof. A. Zimmermann, botanico dell'Istituto biologico-agra- rio di Amani nell’Africa orientale tedesca. L’opera è scritta da un botanico ed è perciò che si differenzia da non poche altre analoghe scritte da non botanici. Questo esempio dovrebbe valere a mostrare che anche nelle applicazioni occorre, anzi è indispen- sabile sempre, l'intervento della scienza, se si vuol evitare di ca- dere nell’empirismo. k. PIROTTA. ALEXANDRE GuIiLLERMOND, docteur ès sciences. — Les Levures. Pré- face du docteur Roux, membre de l’Institut, directeur de l’In- stitut Pasteur. — Un volume grand in-18 Jésus, cartonné toile, de 580 pages, avec 163 figures dans le texte. — 5 fr. Questo libro, che fa parte della Encyclopedie scientifique dei s0- lerti editori O. Doin et Fils, 8 Place de l’Odéon, Paris (6%), e psecisamente della Biblioteque de botanique cryptogamique, diretta da L. Mangin, è utile per tutti coloro che, come i citologi, i fisiologi. gli industriali, i medici, vogliono mettersi al giorno dei progressi fatti dopo Pasteur nel campo della morfologia, della fisiologia e della biochimica di questo gruppo importantissimo di Funghi. A. Guillermond, che ha portato contributi notevoli allo studio dei lieviti, poteva bene essere indicato per questo scopo. Il libro comprende due parti. Nella prima, oltre a capitoli spe- ciali di tecnica e di tassonomia generale molto utili specialmente per le indicazioni pratiche che vi si contengono, sono trattate am- piamente la morfologia e lo sviluppo dei lieviti, in modo speciale la loro citologia, la fisiologia, l'ecologia, la filogenia, la variabi- lità, ecc. Nella seconda troviamo la descrizione delle specie, com- prese le meno ben conosciute, e fra queste le patogene. L'uso di questo utile libro è facilitato da numerosi indici di: nomi, autori, materia, bibliografia, e da 163 figure nel testo. LA DIREZIONE.. Dott. G. cav. Beck pe MawnnAGETTA. — Elementi di storia natu- rale delle piante. Versione italiana del dott. R. F. SoLLa sulla terza edizione originale. — Vienna, A. Héòlder, 1911. Questi elementi sono dedicati alle classi inferiori delle scuole medie ed istituti analoghi. Il prospetto delle materie chiarisce l'indirizzo ed il metodo di questo manuale. È diviso in cinque parti, cioè rudimenti di morfologia, ai quali sono dedicate 17 pagine; descrizione di una scelta di piante e fiori appariscenti; descrizione di altre piante e dei principali gruppi del regno vegetale, compresi i Funghi, i Licheni, e i Muschi; cenni di ecologia; nozioni sul modo di formare un erbario, Il- lustrano il lavoro 197 figure spesso opportunamente schematizzate, delle quali 160 in cromotipia. Rw È Pratvpagtiie. NAS a urca ah SIT z ig ra a BRR it [ae ee) Sdi LA RITZ DS DI È Ta) è > ba o i tati ANNUNCIO NECROLOGICO Il 19 Maggio moriva improvvisamente EDOARDO STRASBURGER in età di anni 69. Dell’opera del grande morfologo che ora tutti piangiamo sarà scritto in uno dei prossimi fascicoli. R. PIROTTA. - [pubblicato il 30 ottobre 1912) Faso, 8°. e a - AIN XININSSA INN INT--_-_T -<% del né nuto del loro lavori. NB. — Per qualunque notata, informazione, schiarimento, rivolgersi al prof. R. PrroTTA od al Prof. F. Cortesi, R. Istituto Botanico, TERE, 89 R. — ROMA. | G Von. X. [pubblicato il 30 Ottobre 1912] Fasc. 3° e ++ — ———————ertrrrrrrrrrr—— NINENSENAINA ARAN DA NANASNANANA A \SNSENSAMENAMNA SANA NANI NINA La vegetazione dell’ Appennino piemontese del dott. GIusEPPE GOLA Questo lavoro è il risultato di una serie di escursioni compiute tra il 1904 e il 1909 in compagnia dei sigg. cav. E, Ferrari, conser- vatore dell'Orto Botanico di Torino, e del dott. cav. F. Vallino, me- dico a Leynì, allo scopo di esplorare una parte fin qui poco cono- sciuta della regione piemontese. I buoni risultati ottenuti dalle prime erborizzazioni ed i nu- merosi problemi floristici da esse sollevati, mi invogliarono ad uno studio accurato. Mi sono avvalso per questo non solo dei materiali e dei dati da me raccolti, ma anche di quelli desunti dalle pubblicazioni flo- ristiche locali che andrò man mano ricordando, delle Collezioni del- l’Erbario dell'Orto, e delle raccolte del col. A. Zola. Al prof. O. Mattirolo, al collega G. Negri, al quale debbo molte indicazioni sull'argomento, e sopratutto ai miei compagni di escur- sione E. Ferrari, dott. F. Vallino, dott. F. Santi, che concorsero va- lidamente nella preparazione dei materiali di studio, mi è grato esprimere la più viva riconoscenza. Ho diviso il lavoro in due parti, di cui la prima è uno studio fitogeografico, nel quale ho cercato di eseguire un accurato rile- vamento ecologico della regione, avendo di mira specialmente l’ap- plicazione ad un caso pratico di alcune vedute nel campo edafolo- gico che ho recentemente esposte. Nella seconda parte ho radunato un catalogo delle specie cre- scenti nel distretto che ho preso in esame. Come una semplice enu- merazione di piante di una data regione non può portare che un contributo limitato alla conoscenza della vegetazione di essa, così anche uno studio fitogeografico non può, a mio avviso, andare dis- giunto dalla documentazione del materiale che ha servito per lo studio stesso, onde dar modo ad altri più esperti, o quando si possa utilizzare il sussidio di nuovi concetti, di controllare e di perfe- zionare la conoscenza fitogeografica della regione stessa. ANNALI DI BoranIcA — Voc. X. 13 dI li La regione che prendo a considerare in questo lavoro è costi- tuita dal versante padano dell'Appennino settentrionale, per la parte che appartiene al Piemonte. I limiti di questa regione sono segnati a sud dallo spartiacque, a nord da una linea che segue il contatto tra il miocene medio e l’inferiore tra Ceva e Saliceto, e va poi, lungo il corso della Bormida di Millesimo, a Bistagno e Acqui fino alla Pianura alessandrina; segue quindi la falda delle colline a sud della pianura stessa, attraversa la Scrivia e giunge alla Staffora alle falde dei colli del Vogherese. Così delimitato, il campo di studio permette di considerare es- senzialmente la parte alta dell'Appennino e le sue irradiazioni verso la valle padana fino a poca distanza dallo spartiacque, ed esclude quelle irradiazioni verso nord che costituiscono il sub-appennino e cioè gran parte della regione delle Langhe, il Monferrato, ecc., le cui condizioni climatiche, orografiche, geologiche, ecc., si distin- guono abbastanza nettamente da quelle del sistema montuoso più meridionale. Il confine orientale l’ho segnato dalla Val Staffora. La scelta di questo limite è alquanto arbitraria, ma per ora i confini flori- stici dell'Appennino piemontese sono alquanto mal definiti. Balbis e Nocca (1) estesero fino alla Val Curone i limiti della loro Flora Ticinensis; Allioni (2) comprese la Val Staffora nella sua Flora Pe- demontana: queste due vallate costituiscono quasi una zona neutra tra la vegetazione dipendente dal sistema alpino e quella più pro- priamente appenninica. Io ho creduto opportuno estendere le ricerche fino alla Val Staf- fora, appunto per chiarire più esattamente questi limiti, ciò che costituiva del resto uno degli scopi del presente lavoro. Quanto ai limiti occidentali, la questione sì identifica con quella tanto dibattuta dei limiti tra le Alpi e gli Appennini. È noto come alcuni autori fissino il termine della catena alpina al Colle di Tenda, altri assai più a est al Colle di Cadibona, altri infine, al Passo dei Giovi. Mentre però le opinioni dei geologi e dei geografi sono discordi, i botanici che sì sono occupati di questo (1) Nocca e BaLBIS. — Flora ticinensis, 1816. (2) ALLIONI. — Flora pedemontana, 1784. — 191 — argomento, come Burnat e Penzig (1), ritengono entrambi esatta la delimitazione stabilita dallo Stato Maggiore Sardo, la quale fa ter- minare le Alpi Marittime al Colle di S. Bernardo nell’Alta Val Tanaro. Condivido pienamente l'opinione del Burnat e del Penzig anche per dei raffronti che ho potuto fare io stesso colle regioni situate più ad ovest; stabilisco perciò il limite occidentale della mia zona di studio al Colle di S. Bernardo sopra Garessio, seguendo fino a Ceva il fianco destro della Val Tanaro. Tutta la zona alla quale ho rivolto la mia attenzione, costi- tuisce un grosso rettangolo diretto obliquamente da SO a NE, della lunghezza di circa 115 km. (C.S. Bernardo-M. Chiappo), per una larghezza massima di 80-40 km. dalla cresta dell'Appennino alla Bormida a Acqui. Gli studî floristici sopra questa regione mancano, si può dire, del tutto; essa fu percorsa in modo affatto saltuario dai botanici. Allioni fa cenno di alcune piante raccolte da lui e da Molineri in Val Staffora; Nocca e Balbis (2) ricordano, come già sì disse, un numero grandissimo di specie dei monti dell'Alta Val Staffora (M. Boglelio), e Val Curone (M. Giarolo). De Notaris (3) indica pure molte specie del versante settentrionale dell'Appennino nel suo Re- pertorium Florae Ligusticae; si tratta però in generale di specie raccolte appena a nord dello spartiacque da botanici suoi corrispon- denti; Bertoloni (4) fa cenno di parecchie piante a lui inviate da Bertero e raccolte nei pressi di Acqui o nella Val Tanaro. Nella recente Flora Ligustica di Penzig, il versante padano dei Monti della Liguria è stato completamente escluso dall'ambito del suo studio, salvo l’alta Val Tanaro per la parte che corre a monte di Ormea, poichè, come osserva giustamente l’autore, la catena mon- tuosa < essendo molto più elevata degli altri monti infrapposti fra essa e il mare, sente realmente nel suo versante meridionale l’in- fluenza del Mediterraneo poco distante ». Oltre a queste pubblicazioni abbiamo quelle del Rota (5), del (1) BurxaT et GREMLI. — Les Roses des Alpes Maritimes, 1879; BURNAT E; Flore des Alpes Maritimes, I, 1892; PeNzIG 0.; Florae Ligusticae Synopsis. Ann. Mus. civ. Storia nat. Genova, Ser. II, Vol. XVIII, 1897. (2) Nocca. — Enchiridion ad Excursiones botanicas in Agro ticinensi. Pavia, 1823. a - (3) DE NorarIs G. — KRepertorium Florae Ligusticae. Torino, 1844. (4) BERTOLONI A. — Flora Italica. (5) Rota L. — Prospetto delle Piante fanerogame finora ritrovate nella Provincia di Pavia. Giornale Botanico Ital., Anno II, 1846-47. — 192 — Farneti (1), di Pavarino (2), di Morteo (3), le quali illustrano la flora di località assai prossime o situate nel campo che ho stu- diato. TE OrocraFIA. — La cresta dello spartiacque appenninico, limite meridionale del campo delle presenti ricerche, si inizia al Colle di S. Bernardo a m. 952, si innalza gradatamente in sommità di 1140 e 1300 m. s. m., nell’alta Valle della Bormida di Mallare sopra Bar- dineto, si abbassa poi notevolmente al Colle di Cadibona (m. 440); più ad Est di questa si incontra un’altra depressione al Passo del Giovo (m. 522), al di là della quale la cresta si mantiene per lungo tratto al di sopra dei 1000 m., raggiungendo i 1287 m. e 1283 ai M. Ermetta e Reise, e per abbassarsi poi di nuovo al Passo del Turchino (m. 594). Si innalza fin sopra gli 800 m. con un massimo di m. 1170 al M. Figne, e quindi si succedono le due depressioni: la Bocchetta (m. 772), e quella più ampia e assai più bassa dei Giovi (m. 472). È questa l’ultima depressione che costituisce una comunicazione diretta tra la pianura piemontese e il mare, poichè poco ad Est, al di sopra di Torriglia, lo spartiacque adriatico-tirreno è dato dai Monti della Val Trebbia. Al di sopra di Savignone la cresta si eleva a m. 1034 al M. Can- delozzo, si abbassa di poco a Torriglia (m. 764), e infine determina i massicci montagnosi dell’Antola (m. 1598), M. Lesina (m. 1727), M. Ebro (m. 1701), M. Chiappo, M. Boglelio, ecc., i quali, con quelli dell’opposto versante di Val Trebbia, costituiscono un intricato si- stema orografico, ultima diramazione dell’Appennino emiliano. Dalla cresta dello spartiacque si dipartono con disposizione pen- nata una serie di contrafforti, i quali degradano verso la Valle pa- dana, e formano una quantità di bric di altezza progressivamente minore andando verso Nord, e verso il confine Nord il nostro campo di studio discende fino a m. 150 (Aqui), e m. 114 (Voghera). Tutti questi contrafforti determinano con molta semplicità l’oro- grafia della regione costituita da tante valli dirette press’a poco da (1) FARNETI R. — Aggiunte alla Flora pavese e ricerche sulla sua origine. Atti Ist. Bot. R. Univ. Pavia, S:.IL Vol. VI. (2) PavaRrINO G. — Intorno alla Flora del Calcare e del Serpentino nel- l’Appennino Bobbiese. Atti Ist. Bot. R. Univ. Pavia, S. II, Vol XII, 1907 e Vol. XIV, 1908. (3) MorTEO. — La vegetazione dell’Alveo dell’Orba. Malpighia. i | | i Ì — 193 — Sud a Nord pel tratto montano, e le cui testate sono terminate dai colli che ho sopra ricordato. La Val Tanaro, quella della Bormida di Millesimo, della Bormida di Spigno, dell’Erro, dell’Orba, della Stura, del Lemme, della Scrivia, del Curone e della Staffora, sono di questo tipo. Ma mentre i corsi d’acqua situati più ad Est, a partire dalla Scrivia, defluiscono direttamente verso il Nord nel Po, tutti gli altri, eccettuato il Tanaro, che tocca appena la nostra regione, vanno a defluire nel grande arco formato dalla Bormida di Millesimo, che, a partire da Cortemiglia, sì arricchisce di tutti i corsi d’acqua mag- giori e minori che discendono da tutto l'Appennino sino al Passo della Bocchetta. Disposizione orografica assai semplice, come si vede, la quale permette il rapido passaggio delle correnti atmosfe- riche del bacino adriatico a quello tirreno e viceversa, senza l’osta- colo di barriere speciali oltre a quelle proprie dello spartiacque. 00 CLima. — Lo studio dei caratteri climatici di una regione ha importanza notevole dal punto di vista floristico, non solo per co- noscere le condizioni direttamente favorevoli o non, allo sviluppo di determinate specie, ma altresì come fattore principalissimo, in unione alla costituzione mineralogica delle roccie, dei caratteri eda- fici del substrato. I dati meteorologici sulla regione che ci interessa, non man- cano del tutto, ma sono alquanto frammentarî; molti di essi sono stati rilevati per un numero troppo piccolo di anni, in modo che le stazioni sulle quali si può fare assegnamento, sono poco nume- rose; tuttavia io ho cercato di utilizzarli per quanto meglio mi era possibile. Inoltre, sia per gli opportuni confronti, sia per potere avere una idea delle condizioni climatiche di località poco distanti dal no- stro campo di studio, ho raccolto dei dati su alcune stazioni sia del versante meridionale della catena appenninica, sia della pianura a Nord, che delle catene montuose delle Alpi Marittime e dell’Ap- pennino settentrionale. Molti trattati e lavori di climatologia riferiscono abbondante- mente dati sopra un numero maggiore di stazioni e con maggiore attendibilità, perchè dedotti dalle medie di un grande numero di anni di osservazioni, ma si tratta essenzialmente di medie stagio- nali, ed inoltre a proposito delle massime e minime termiche, si vi frei — 194 — suol fare la media di tali osservazioni per un numero grande di anni, e più di rado si tiene conto degli estremi assoluti. Nelle tabelle allegate ho riferito le medie mensili, dedotte dai dati che ho potuto raccogliere nel Bollettino della Società meteo- rologica italiana. Per le cifre riguardanti la temperatura ho tenuto conto delle massime e minime assolute nel periodo di anni al quale sì riferiscono i dati da me calcolati. Tali cifre assolute non sono però quelle estreme osservate nelle stazioni in un numero maggiore di anni. Per es., in Roster (1) trovo le cifre seguenti; che differiscono da quelle pubblicate dal Boll. della Soc. Meteorologica Italiana: Sec, Roster Sec. il Boll. Soc Met. Ital. ma. ass. mil. ass, ma, ass. ml, ass. Mondovi. .. (1867-1885) 55,4 — 11,0 (1881-86) 340 — 8,2 Alessandria. (1866-98) 37,1 — 17,7 (1881-86) 35,8 — 102 Savona . . (1875-86) 35,4 — 2,0 (1881-86) 334 — 2,2 TEMPERATURA. — Per la parte elevata dell'Appennino non ho dati riferentisi alla temperatura; quelli della stazione assai pros- sima del M. Penna, indicano in complesso un andamento relativa- mente eguale a quello delle altre stazioni mentane: minime piut- tosto forti nella stagione invernale, massime relativamente elevate nella stagione estiva. In questo periodo si verificano pure delle escursioni piuttosto estese, quali sono caratteristiche in generale del clima alpino e subalpino. La zona inferiore è caratterizzata da assai ampie escursioni nella media annua della temperatura (21°,8 Volpeglino, 22°,7 Novi); sioni che si fanno assai più ampie nella zona più a Nord pianeg- giante (23,4 Alessandria), o collinosa (23°,1 Cassine); minori invece in corrispondenza del massiccio montuoso delle A. Marittime (180,7 Garessio, 209,7 Mondovì), o dell’Appennino centrale (19°,4 Bedonia), e del versante marittimo (16°,5 Genova, 179,6 Savona). Importanti sono le minime assolute invernali delle stazioni di questa zona, le quali costituiscono così una delle cause principali che ostacolano lo sviluppo di molte specie meridionali che trove- rebbero nel rimanente periodo dell’anno ottime condizioni termiche di sviluppo. escur- (1) Ho tratto gli elementi per lo studio dell'ambiente climatico dalle Pub- blicazioni di RosTER, Climatologia dell’Italia, Torino, 1909; di MILLOSEVICH, La pioggia in Italia, Ann. Uff centr. Meteor. Vol. III, 1881 e V. 1883. Le cifre sono in gran parte dedotte dal Bollettino della Soc. Meteorologica Italiana Moncalieri. Questa zona del resto è assai prossima a quella che viene con- siderata come un centro di freddo della Valle padana; in generale poi si può dire che le condizioni termiche di questa parte della catena appenninica, sono assai analoghe a quelle della rimanente porzione del versante Nord dell'Appennino emiliano, specialmente per il comportamento dell’isoterma annuale. Il raffronto colla parte situata ad Est della nostra regione, riesce pure interessante, poichè ci mostra che la zona media ed elevata dell'Appennino si comporta, rispetto all'andamento termico, come ia zona corrispondente delle Alpi Marittime; l’isoterma che passa per la parte inferiore dell’Appennino, si allontana dalla catena al- pina per andare a intersecare la regione delle Langhe. Affatto diverse sono le condizioni della regione situata a Nord, cioè della pianura alessandrina (escursione annuale grandissima, minime assolute assai forti), come pure quelle del versante meri- dionale dell'Appennino, sul quale, come è notissimo, delle cause affatto particolari fanno sì che la notevole mitezza del clima in- vernale, non vada disgiunta da una relativamente poco ampia escur- sione termica annuale. Temperatura di aleune Stazioni Appenniniche. GARESSIO VOLPEGLINO NOVI M. PENNA i 1885-91 1876-1886 1886-1891 1881-88 MESI 5) 886-189 Mass.| Min. |. Mass.| Min. | Mass. | Min. Mass.| Min. o: ann | ann. Me. (ann. | ann. | Me: l'ann. | ann, Me. lann.| ann. | | Genn. ! 0,0|10,9|-12,6| 0,8|125|-114| 0,3|125|-108| -0,6|11,0|-140 Febbr. | 0,8|13,8|-11,7| 41|17,7|- 6,9] 2,0[136|- 78| 0,7|104|-113 Marzo | 5,6|17,2/-114| 7,5/215|- 93] 6,7/22,1|- 6,4| 02/15,0|-123 Aprile | 8,4|20,0|- 42|11,6|21,8| 0,0|115/242) 12| 8,8|19,0|- 6,5 Maggio | 12,8|25,9| 1,8|15,8|308| 2,0|165|28,8| 5,7) s4/[244|- 3,1 Giugno |16,7|26,9| 6,5|198|325| 9,0|21,1|32,7| 119| 132|268| 0,0 Luglio |18,7|288| 7,1|228|35,1| 11,7|23,0[33,0| 12,8] 15,5|272| 40 Agosto |18,1|28,9| 5,4|22,6|340| 124|22,7|332| 134| 144|302| 4,0 Settem. |15,3|26,1] 1,9|18,2|30,6| 5,2|196|30,7| 81| 128|222| 0, Ottobre | 9,5|22,0|- 2,5|12,7|25,2| 2,0|12,7[/258| 06| 5,2|240|- 6,1 Novem. | 4,1|14,7|- 5,1| 6,7[16,9|- 5,8| 64|174|- 24| 38,1|16,8|-10,0 Dicem. | 0,1|114|-13,0| 25|15,8|-11,7| 1,7|100|-110| 05|140|-130 "Aaa durata PIG Temperatura di alcune Stazioni Appenniniche. MAROLA CASSINE MONDOVI ALESSANDRIA Se 1881-89 1888-39 1831-86 1881-86 rg o e | Gennaio | 0,7|12,9|-112| 08|12,0|-110 0,6 | 19,8 |- 82) 0,8| 98-10, Febbraio | 2,4|12,2|-10,0| 2,5|18,0|- 9,0| 3,2|17,6|- 5,8| 2,7|18,6|- 6,9 Marzo 4,5|17,6|-10,2| 7,6|25,7|- 7,6) 62/211|- 61| 7,1|21,6)- 7,0 Aprile 8,2|18,5|- 2,2|11,8|25,8| 0,9] 9,3|205|- 0,4|12,5]23,0) 1,9 Maggio |13,5|28,8| 0,0|15,1|815| 44/13,9/28,6] 3,6|16,7|815| 45 Giugno |17,5|83,6| 5,2|204|33,6| 6,9|180|30,6| 6,3|20,1|33,8| 7,6 Luglio |210/812| 9,6|23,4|346| 10,1|213/340| 11,2|23,7[35,8 | 114 Agosto |20,4|299| 7,4|22,6|340) 90|20,3|31,7| 9,0|22,6|340| 115 Settemb. |15,8|25,4| 5,8|18,2|294| 7,0|15,8|260| 4,1|181|287) S4 Ottobre |10,0|21,2|- 8,4|11,8|25,0| 0,2/10,2|215| 0,9|12,1/248| 0,7 Novemb. | 5,2|16,1|- 3,6| 5,7 i 65| 5,4|178|- 81| 5,6|165|- 45 Dicemb. | 2,6|15,8|-10,2| 1,6|113|-18,2| 2,0|17,8|- 6,1| 13|118|-140 ani | Temperatura di aleune Stazioni Appenniniche. GENOVA SAVONA se ei 1883-88 1881.86 Media Mass. ann. Min. ann. Media Mass. ann. | Min. ann. Gennaio , 5,6 16,0 — 18 6,6 17,5 — 2,2 Febbraio . 8,2 | 21,2 - 2,8 9,1 20,8 1,2 Marzo . 10,0 18,8 - 14 11,8 92; 1,2 Aprile. 13,9 22,0 43 14,9 24.1 23 Maggio aiar 28,8 roi 18,5 31,4 8,0 Giugno 21,1 28,8 10,8 21,6 33,4 10,5 Luglio. 24,5 832 158 | 245 32,8 19,2 Agosto. . 244 32,2 16,7 24,8 32,8 16,2 Settembre 22,3 82,1 IR 21,0 32,6 10,0 Ottobre 15,1 272 5,0 15,9 25,9 6,6 Novembre 11,6 21,9 1,0 BET 21,8 2,6 Dicembre. 8,6 16,8 20.8 81 16,1 0,4 QUANTITÀ DI PIOGGIA in aleune Stazioni Appenniniche. STAZIONI Pei Calizzano . Ponzone Garessio Millesimo . Varzi Sassello. Gavi. Busalla . Campofreddo Cairo Montenotte . Volpeglino. Garbagna . Spigno . Bubbio . Novi. Ovada . ; Capriata d’Orba Tortona Rivanazzano . Voghera Castelnuovo Scrivia . M. Penna. Bruggi . Torriglia . Marola . Mondovi Cassine . Alessandria Genova . Savona . Altez. m. s. m. 1540 1020 64 17 556 178 97 bd 26 Î È | Gennaio 49,4 52,9 93,9 62,1 67,6 39,9 97,0 56,6 60,3 89,0 50,3 47,8 63,8 86,6 30,0 76,2 45,6 62,6 39,1 40,9 29,5 48,9 Quantità di pioggia in. Febbraio (Lc 106,6 50,0 17,6 44,8 40,6 76,0 50,7 114,0 65,1 87,5 45,7 64,5 46,5 41,5 624 36,3 39,4 31,5 49,7 46,4 38,0 141,0 87,6 132,3 26,3 45,9 35,8 33,7 107,0 72,7 Marzo 132,8 96,3 64,5 1391 12,0 56,5 85,0 60,3 121,0 179,9 81,1 52,0 80,8 52,8 66,0 67,1 89,1 55,8 55,2 53,4 29,8 52,6 157,6 127,8 214,9 45,7 75,2 37,1 40,4 95,9 52,9 Aprile 177,5 156,8 134,9 169,1 146,3 110,8 199,4 110,1 159,4 216,8 150,7 90,7 113,3 125,9 147,5 86,1 119,7 100,2 83,9 83,9 88,6 80,5 188,6 167,6 243,9 134,5 110,2 98,3 68,8 99,1 96,1 alcune stazioni Appenniniche Maggio 188,6 183,8 N05: LSS,C 216,4 82,5 155,8 ,152,5 147,2 202,7 148,1 “6,0 86,9 103,0 17,6 18,9 115,5 134,5 92,5 69,0 80,9 67,0 168,8 144,3 184,5 45,5 107,6 60,2 53,4 84,7 87,6 MESI | È Giugno 62,1 43,4 66,9 86,4 37,3 48,1 66,3 929,8 1192 89,0 59,9 50,2 53,9 60,4 65,0 59,6 33,0 37,0 54,5 46,3 54,8 49,7 119,8 49,5 100,2 75,6 65,4 68,4 47,5 60,0 772, Luglio A gosto 62,6 38,8 39,0 32.7 38,9 44,1 56,0 50,2 65,7 58,2 33,1 - 45,8 32,5 33,5 312 34,8 18,8 26,5 43,0 47,0 47,3 45,4 126,2 42,3 55,7 97,8 53,1 29,9 25,7 70,1 31,4 Settembre | Ottobre 129,8 149,6 129,7 258,4 194,3 70,9 211,9 194,0 214,1 262,5 147,0 91,4 123,0 130,8 96,5 107,4 140,9 124,0 76,4 872 78,5 73,4 360,0 133,0 252,6 63,2 114,6 93,3 102,0 205,4 160,8 | Novembre 233,2 89,9 100,2 253,8 94,0 19,8 122,6 117,2 262,9 162,2 108,5 83,7 111,8 112,7 101,1 125,0 97,1 19,5 69,0 78,1 70,4 (0,2 180,0 140,8 378,4 105,0 76,3 102,2 50,7 190,7 Dicembre 66,0 51,5 63,8 168,6 67,1 33,9 56,2 56,0 100,0 103,3 444 52,4 56,3 44,0 17,0 ‘76,6 66,8 48,9 35,9 50,1 41,3 44,5 118,3 Pioggia annuale 1316,8 1045,8 973,9 1460,4 1071,0 1107,0 1195,4 1085,6 1604,6 1761,6 1058,3 729,5 918,3 910,4 LR E A dr à RA i tea ai ST a it UA \ — 200 — Pioggia. — Alquanto più numerosi sono i dati riguardanti il regime pluviometrico che mi è stato possibile raccogliere. Anzi in questo tratto della catena appenninica, sotto la direzione della sta- zione meteorologica di Volpeglino, sono state impiantate così nu- merose stazioni termopluviometriche, che la dovizia di dati sarebbe assolutamente preziosa, se le osservazioni non fossero state per molti casì eseguite o saltuariamente, o per un periodo di tempo troppo limitato, da poterne trarre tutto l’utile desiderabile. Anche a proposito del regime pluviometrico ho aggiunto alle cifre rife- rentisi all’area di studio, quelle di alcune stazioni limitrofe, riman- dando per altri dati più numerosi alle opere di climatologia ed alle ricerche speciali. È cosa nota che la catena appenninica costituisce una delle prime barriere che la corrente equatoriale incontra nel suo percorso verso il Nord dell’ Europa; è appunto la presenza di questa bar- riera che spiega la forte pluviosità della regione situata intorno a Genova; tale corrente poi innalzandosi contro la catena appenni- nica per valicarla, e perdendo così una notevole quantità di acqua, passa più secca e più elevata al di sopra della pianura padana, fino ad incontrare la barriera alpina. Nella catena appenninica influiscono perciò sulla pluviosità, ol- trechè la presenza di elevazioni montuose, anche e più ancora la particolare disposizione orografica che obbliga le correnti atmosfe- riche ad una rapida elevazione. Nella nostra regione non esistono stazioni sulle vette elevate; quelle di Pei, Bruggi, M. Penna, limitrofe ad essa, hanno un’alta piovosità annuale, accentuata anche dal fatto che non sono situate su cime isolate, ma in un complicato massiccio montuoso. È ap- punto alle testate delle valli di Trebbia e di Taro che si inizia quell’importante ed elevato sistema orografico che per le Alpi Apuane si stende fino a Lucca e a Pescia, e che determina una barriera tra l'Adriatico e il Tirreno, distinta da altissima plu- viosità. Le vette assai prossime a queste, dell'Ebro, del Ghiarolo, del Chiappo, del M. Boglelio, ecc., sono quindi con tutta verosimiglianza caratterizzate da una precipitazione atmosferica assai forte, e poco minore deve essere quella che ha luogo sul M. Ermetta, sul M. Set- tepani, ecc., che sono le elevazioni più marcate della catena al- l’Ovest della Scrivia. Su questa cresta, del resto, assai frequenti sono le nebbie, indice della condensazione dell’ umidità delle cor- renti atmosferiche. Pure assai forti sono le precipitazioni in corrispondenza delle ARS GIS E IRA PREGIATI Sg MERIIO LP TN nnt 20 — grandi depressioni, attraverso le quali si incanalano le correnti che vengono dal Mediterraneo, come l’alta ValTanaro (Garessio), quella dell’Erro (Sassello), quella di Stura (Campofreddo), e della Scrivia (Busalla), nelle quali stazioni la precipitazione annuale è notevole, anche se sì tiene conto della altitudine sul mare; tale misura ri- corda molto quella che si verifica sul versante Sud a Genova e Savona. Coll’abbassarsi della catena appenninica, diminuisce di molto la precipitazione atmosferica, e questa raggiunge un limite minimo in corrispondenza della pianura padana, dove a Voghera, Tortona, Castelnuovo Scrivia, Alessandria, si osserva una fascia di minore pluviosità, che si estende a tutta la zona collinosa delle Langhe e del Monferrato. L'andamento delle precipitazioni nelle diverse stazioni è poi del massimo interesse. In tutta la regione si osservano due massimi di precipitazione che hanno luogo nella stagione autunnale e in quella primaverile ; il massimo assoluto non si verifica però in tutte le stazioni nella medesima stagione. Nel maggior numero di esse prevalgono i massimi autunnali, mentre relativamente poche sono le stazioni nelle quali si verifica il massimo assoluto di pioggia nei mesi di primavera (Calizzano, Varzi, Bubbio). Pure numerose sono le stazioni nelle quali i due massimi pri- maverile e autunnale press’ a poco si equivalgono; tali stazioni sono situate particolarmente lungo una fascia alle falde della ca- tena appennina (Voghera, Rivanazzano, Tortona, Castelnuovo Scri- via, Volpeglino, Garbagna, Capriata, Ovada, Spigno, Cairo Mon- tenotte), ed altre con analoghe caratteristiche si trovano nei colli del Monferrato (Cassine), ed alle falde delle Alpi Marittime (Mon- dovì). Il massimo autunnale si verifica in generale nell’ottobre, ma per alcune stazioni questo ha luogo in novembre, 0, se il massimo assoluto è in ottobre, la precipitazione di novembre ne è di poco inferiore: sono queste le località situate in più diretta relazione col versante mediterraneo (Torriglia, Pei, Sassello, Busalla), le quali mostrano così una affinità nell’ andamento pluviometrico con quelle del versante ligure, dove il periodo di massima pluviosità subisce un ritardo, per raggiungere il massimo nella stagione invernale. Tuttavia questa analogia pluviometrica tra le stazioni delle grandi depressioni appenniniche e quelle liguri, sono di scarso in- teresse dal punto di vista floristico, in causa delle profonde dif- ferenze di condizioni termiche, le quali durante la stagione autunno- invernale permettono alle piante del versante ligure di risentire e di utilizzare queste torti precipitazioni; mentre sul versante Nord assai minore è l’utilizzazione possibile, avuto riguardo anche al fatto che la precipitazione ha luogo in parte allo stato di neve. Degna di nota è la marcata coincidenza tra le diverse stazioni rispetto al periodo di minima precipitazione. Questo si verifica sempre nella stagione estiva, e, per tutte le stazioni appennine, nel mese di luglio. In quelle che più risentono la elevazione delle Alpi Marittime, la minima estiva è soverchiata da quella invernale del febbraio (Garessio e Mondovì), e la minima estiva ha luogo nel mese di agosto anzichè in luglio; l’altro minimo si verifica in mesi diversi nelle varie stazioni, ma sempre d’inverno dal dicembre al feb- braio, in un periodo cioè, nel quale relativamente minimo è l’effetto immediato sulle condizioni di vegetazione. Molto importante è all’ incontro la minima estiva, perchè è assal prolungata e talora anche molto accentuata, e perchè ha luogo in un periodo nel quale le condizioni termiche, favorendo al mas- simo grado l’attività funzionale degli organi, la misura dell’acqua nel terreno costituisce un validissimo agente di eliminazione per molte specie inadatte.. Nevi. — In conseguenza della minore influenza diretta che la precipitazione invernale ha colla vegetazione, non occorre occu- parsi a lungo della frequenza e della quantità di neve che vi cade. I dati che ho trovato sopra questa serie di fenomeni sono piut- tosto scarsi; ci indicano tuttavia la forte caduta di neve, partico- larmente dove il sistema montuoso è più elevato e complesso, cioè verso gli estremi orientale e occidentale della nostra area (M. Penna, Marola, Garessio, Mondovi). Sulla frequenza delle pioggie, e sul numero dei giorni sereni e coperti, sì hanno pure poche notizie utilizzabili; riporto i pochi dati che ho trovato, e dei quali cercherò di valermi nel corso del lavoro. In complesso le condizioni climatiche della regione in studio sono quelle del cosidetto Maisklima di Koppen. Clima che si os- serva in molta parte della regione padana, che nella zona appen- ninica non è affatto tipico, ma subisce delle modificazioni a se- conda delle esposizioni, e dell’altitudine, modificandosi ora in modo da avvicinarsi a quello della regione montana e subalpina e talora da ricordare l’ Olivenklima di Koppen. GOLF 0'20L 9'T9I S'GLEI ejenuuv CIPON c'E0I | ‘910 aa = SO 0:9 — -_kagI mei eg i OC Mani ra = — lay |280T |aT |9008 0‘GFI | 999 788 G9IC Soi MESH 9116920] Tese] IST, = lag ie MRa69 CHE in E alli Fedi GUAI MATE RTETE i e a i i EE e ‘og |ogs08y]| ‘[Bn] | ‘Smo | *83ey | o[idy | ozieN | qqod | ‘uuor È | ISUN 98-I88I 88-688I 98-188I 88-1881I 98-188I 88-I88I 88-T88T T6-988I 88-928I QUOIZBAIO®SSO Ip OPporta.] ‘ur ur Quruu9ddy.[[9p IUOIZegs QUNITR Ip _RIPour RIISOAON * * * BUOARG * BAOU9Y) eLIpuessa]y * QUISSEO TAOpuoT [OI vuuad ‘N SON our[Sad[o A OISSOIBI) INOIZYVIS PRE E gior aloni Sono | qiadog (Care c') c'g 36 | 1uod9g' 1981887 | erano AVS o 9TT | 9FI | 049T| 86) 801 | 1910do9 2591] OT | tr] SOT] 861! 881 SI) 9681] 91) 06 | OTT| OTT] 861] 1uosos | 888881 | | * © © © * AO DIARRSZIOT | SOL (9:60 eg ee TT pig I 999 3688 8/7 prodog 99gr | #9 | o | 08 | 001) gt 961) TII| SEL) 68 | TT) SL | 68 | Tuosog | 98:T88T| | “ * © lapuessoly OGG L'ORSO SS 0 90, | 8 6, 0 don Dop a e Rogi | (99) | gig calo) gp 39 | 29, | imesagi ‘SBFIROIO ei eis) poi gioia aio gioni gioni ele: aq 8 90 pe si 006, | Hrodog 947 | 8 | o00t| 3° | 96L| 96L| 041] Tuesog | 98-T88T | | © * * © TAOpuoN Bia esteta a ai rodog Sui: nie |-pient Lia | LF 09/9 82 [Tuosost 188188 SIONI Riqnino rs rio gigia) atei aa ea ale pi Is, | gio) | ersodop BETTE ROERO CGS L9 01 09 TOT] 80 pe LO | 9'6ì | afett USI08 68:88 A METE ad SG Co Foe 08 8008 58) 50598 107 OO LO paenea ofooliegiaa Mo 0 OL 0900] ap gior 4 ueres E SISSI gione ie'tpa dig (ol eee | vo (mie | 19. | ee | Me | 66, frrredog i i o SG 008 So o i ee o 0 O E eo a cc a [ne] SS î î | | | etunuus| ‘SIG | “201. | “no | ‘nos (osso8x| 1801 | Sup |*SFeNy | opady ozaegg | ‘qqog | ‘uuop ca a | îè | et I INOIZVIS CIPON è È ISHN Oportad ‘oqprummuodde 1uoIzezg Qunoge Ip eIpoeur vImuo1os 9 BpIso[IquNy Pes — 205 — La forte siccità estiva, che sul versante padano dell'appennino si verifica in poche stazioni, come ha osservato Millosevich (1), diviene invece affatto caratteristica nella regione mediterranea. Vento. — Pochi dati ho potuto raccogliere sul regime dei venti nella catena dell'Appennino Ligure-Piemontese, ma senza ricorrere a dati più precisi, si può affermare che data la particolare impor- tanza di questa depressione tra le Alpi e l'Appennino emiliano, essa costituisce l’unica via per la quale le correnti atmosferiche inferiori passano dalla Valle Padana al bacino tirreno e viceversa. Per tale ragione le diverse correnti hanno prevalentemente la direzione che è loro impartita dalla configurazione dei sistemi vallivi. Nella stagione fredda i venti dominanti vengono dal Nord, in quella calda procedono in senso inverso, e s’ingolfano nelle vallate appenuine, talora con violenza notevole, quale si può constatare anche dagli effetti sul facies della vegetazione presso le creste. Tuttavia per quanto riguarda l’azione disseminatrice che il vento può esercitare, la distinzione dei venti dominanti nelle varie sta- gioni ha nel nostro caso un'importanza limitata, in quanto un qualsiasi periodo temporalesco può determinare delle inversioni nella direzione delle correnti atmosferiche, e la conseguente azione disseminatrice in qualunque direzione ed in qualunque stagione. IV. ConpizionI GEOLOGICHE. — La cresta (2) di quella parte della ca- tena appennina che costituisce il nostro campo di studio, presenta ad ovest delle estese formazioni permiane che si estendono dal Colle di S. Bernardo al Colle di Altare; si incontrano fino a Nu- ceto, Murialdo e Pallare, affondandosi poi sotto le formazioni oli- goceniche del basso appennino. È soltanto verso Ovest che la for- mazione permiana viene ricoperta da calcari di origine triasica, come presso la cresta in Val di Bardineto, e a Massimino, ai Gio- vetti sopra Bagnasco: sono calcari brecciosi compatti, sui quali per le loro proprietà fisiche e chimiche la vegetazione assume un ca- rattere ben distinto da quello delle roccie permiane vicine. Queste, (1) Op. cit. (2) Ho tratto le indicazioni riguardanti la Geologia della regione da IsseL A, Liguria geologica e preistorica. Genova, 1892, e da parecchie pubbli- cazioni di Taramelli e Sacco, le quali mi furono gentilmente comunicate dal prof. Parona che sentitamente ringrazio. ANNALI DI BOTANICA — Vor. X. 14 a e eran e Cc +" — 206 — di natura scistosa, mentre che sono piuttosto asciutte nella parte più elevata, presentano lungo i tagli naturali, che sono piuttosto ampii per la facile erodibilità della roccia, una notevole ricchezza d’acqua, onde, lungo i numerosi ruscelli che vi scorrono, si può sta- bilire una vegetazione a tipo montano, anche ad altitudini non troppo elevate. Le profonde erosioni dell’alta valle della Bormida hanno messo allo scoperto entro alle formazioni permiane, alcuni lembi di Car- bonifero, i più orientali di quelli della formazione carbonifera della Liguria occidentale; essi si incontrano a Calizzano, Bormida, Osiglio, Mallare, e sono costituiti essenzialmente da scisti e are- narie silicee piuttosto acquiferi, e con rari calcari; questi sono così poco estesi, che non possono determinare una influenza speciale sul facies della vegetazione, onde nel suo complesso i terreni del permiano e del carbonifero si comportano in modo eguale rispetto al mantello vegetale che li riveste. Segue più ad Est una estesa formazione, sulla cui età sono di- scordi i geologi, ma che è probabilmente assai antica, e che si spinge sino al fianco sinistro della Valle del Lemme. Mentre nella parte centrale di questa formazione (Rossiglione, Campoligure), prevalgono gli scisti cristallini, prettamente, silicei, tutto intorno a queste roccie scistose si osservano invece frequenti ammassi di roccie serpentinose, le quali sono abbondanti al M. Lecco, e in tutto l’alto Gorzente; sopra Rovaglio, Rossiglione, presso Olba e Tiglieto in Val d'Orba, e poi nella Val d’ Erro tra Ponzone e Sassello e a Sud di questi paesi fino a Pontinvrea. Sono cioè, come sì vede, delle formazioni assai estese, le quali conferiscono al pae- saggio locale un facies speciale, sia per le proprietà della roccia, sia per la vegetazione che la ricopre. In qualche punto la roccia serpentinosa passa a roccia anfibolica, come sopra Sassello alle falde del M. Ermetta; essa è però di estensione alquanto limitata. Mentre i terreni scistosìi sono dotati di una vegetazione analoga a quella delle roccie permiane sopra ricordate, piuttosto povera di specie, ma ricca di individui, radunati in associazioni caratteri stiche di pascoli, praterie, brughiere, castagneti, eco., estesi sia sopra i pendii poco pronunciati, sia sui punti declivi dove le roccie af- fiorano, tutt'altro aspetto offrono le roccie serpentinose. Quivi, per la maggiore resistenza della roccia, le erosioni sono più dirupate e profonde, le acque non filtrano per le mille fessure degli scisti, nè imbevono il terriccio soprastante, ma scorrono in maggior copia superficialmente, e si raccolgono rapidamente in ruscelli, i quali nella parte pianeggiante accumulano i materiali argillosi prove- — 207 — nienti dalla degradazione, onde la flora che si sviluppa su tali ter- reni assume in una stazione un carattere spiccatamente xerofilo, in un’altra un aspetto nettamente igrofito. Le roccie in posto ed i loro detriti rimangono scoperti assai più frequentemente, onde si fa più abbondante la flora rupestre, resa anche più diffusa per l’in- consulto diboscamento, mercè il quale il rapido dilavamento del terreno ha dato luogo alla formazione di estesissime superfici aride di roccia, sulle quali vive una stentata vegetazione. Dove però il mantello erboso o boschivo è intatto, l’aspetto della vegetazione sì ravvicina a quello dei terreni permiani scistosi. Presso i confini di queste formazioni, e qua e là anche inglo- bate in esse, si incontrano delle formazioni assai più recenti, ri- feribili al Miocene inferiore. Riservandomi di ricordare quelle molto estese che si trovano oltre i confini di quelle studiate finora, e che si collegano direttamente con quelle dello stesso periodo poste più in basso della catena, accennerò alle isole mioceniche di Sassello del Passo del Giovo, e di Rossiglione; sono formate di banchi ma- dreporici, di mollasse, di arenarie, di conglomerati serpentinosi, di roccie insomma, nelle quali il calcare entra o come costituente prin- cipale o come cemento. Il tratto più orientale dell’alto Appennino piemontese consta di una estesa formazione eocenica, la quale si estende assai al di là dei confini da noi assegnati al nostro campo di studio, ed è costi - tuita essenzialmente da scisti argillosi più o meno calcariferi, in qualche punto quarziferi, talora talcosi, a colore rossastro o gialla- stro, in qualche punto nero o grigio. Più rare sono in questa formazione le roccie nelle quali il cal- care si trova in forte quantità (calcecisti, calcefiri, calcari puri); anche rare sono le roccie quarzifere pressochè pure. Al’Est della Valle della Scrivia e più ancora di quella del Bor- bera, cominciano a sostituirsi agli argilloscisti le argille scagliose, le quali si vanno facendo sempre più predominanti in Val Curone e più ancora in Val Staffora. Questi terreni facili a trattener acqua per imbibizione, sono un ottimo substrato per la vegetazione ar- borea, mancando la quale, essi subiscono un rapido sfacelo, dando luogo a franamenti estesi dei quali sono note le proporzioni gran- diose che assumono nelle parti più orientali dell'Appennino setten- trionale. Pure in queste stesse formazioni eoceniche si incontrano isole di Tongriano, analoghe a quelle già ricordate di Rossiglione, Sas- sello, ecc.; sono quelle di Savignone e di Monte Maggio, costituite da conglomerati, nei quali il calcare entrando solo come cemento — 208 — o anche come roccia cementata, determina il carattere principale della roccia rispetto alla vegetazione. Assai rare sono nella parte alta della Valle del Lemme delle for- mazioni serpentinose di origine terziaria (Issel), i cui caratteri eda- fici si possono pel nostro scopo considerare eguali a quelli delle ser- pentine più antiche. Sopra tutta questa zona più interna e più elevata dell’A ppen- nino costituita dalle formazioni sopra ricordate, si appoggia sul versante padano una estesa formazione di terreno oligocenico, che va dalla Val Tanaro alla Val Staffora. I suoi confini meridionali sono segnati da una linea che tocca Bagnasco, Massimino, Perlo, Nuceto, Biestro, Cairo, Dego, Pontinvrea, Malvicino, Cassinelle, Mo- lare, Belforte, Voltaggio, Roccaforte, Rocchetta, Fabbrica Curone, e giunge alla Val Staffora presso Bosmezzo. Verso la Valle Padana tale formazione oltrepassa i confini del nostro campo di studio nella Valle della Bormida, fino ad Acqui. Quivi, seguendo una linea che passa per Morsasco, Trisobbio, Ovada, e poco a Sud di Tagliolo, per Mornese, Carrosio, Arquata, Vignole, Borghetto, viene ricoperto per un tratto da altre formazioni più recenti, e ricompare al di là della Staffora e del Curone. In questa formazione oligocenica furono distinti tre piani, cor- rispondenti (Sacco) al Tongriano, Stampiano e Aquitaniano. Il Tongriano è essenzialmente costituito di conglomerati a ele- menti di natura variabile secondo la natura dei massi montagnosi dai quali provengono, e cementati da calcari più o meno abbon- danti. Elementi assai meno grossi, e per lo più arenarie, si trovano tra la Val della Bormida di Spigno e Ovada; e formazioni marnose e arenacee sono le sole rappresentanti del Tongriano ad Est della Scrivia verso il Tortonese. Se nelle località pianeggianti o poco inclinate i banchi di con- glomerato tongriano sono ricoperti di una vegetazione piùttosto uni- forme, qualunque sia la natura degli elementi e la quantità del ce- mento che li collega, dove invece esistono dei tagli naturali, la di- stinzione è assai netta secondo la quantità del calcare che vi si trova. Così nella regione situata ad Ovest della Bormida di Spigno o ad Est di Voltaggio, dove l'abbondanza del cemento provoca la formazione di una roccia compatta, si osservano spesso pareti for- temente inclinate, quasi a picco, e resistenti assai alla degradazione, povere di acqua e quindi a scarsa vegetazione. Dove invece il calcare è in minore quantità, come nei conglo- merati che si incontrano tra Ovada e Voltaggio, allora si osser- e N vano lunghi pendii franosi, sui quali si sviluppa una vegetazione caratteristica delle frane, povera di specie e di individui, soggetta per la massima parte ad un continuo deperimento, per il rinno- varsi della superficie sempre in movimento. Più di rado, dove gli elementi pietrosi che costituiscono questi conglomerati raggiungono delle dimensioni assai notevoli, sì può notare una certa indipendenza della vegetazione che vi cresce dalla influenza del cemento calcare. Nella parte centrale della formazione oligocenica, i conglome- rati sono o costituiti prevalentemente da roccie ofiolitiche, o sci- stose o quarzitiche. Verso la Val Tanaro oltre a quarziti e ad altri elementi rocciosi cristallini, sono frequenti le breccie calacari. Così pure elementi calcari e ofiolitici entrano a costituire i con- glomerati che si incontrano ad Est della Scrivia. È in questi terreni conglomeratici, e spesso difficilmente erodi- bili, che si osservano profonde erosioni e pareti dirupate, che dànno un aspetto variato al paesaggio, e forniscono il substrato a nume- rose associazioni xerofile per lo più alicole. Lo Stampiano si estende come una fascia continua a Nord del precedente fin verso Brignano Curone; il suo affioramento, piut- tosto scarso nel tratto che sta tra Ovada e la Val Lemme, si fa assai più notevole nelle zone situate ai due lati di questa. È rap- presentato essenzialmente da marne grigie o grigio-verdastre, alter- nate o sostituite qua e là con strati arenacei Più a Nord del precedente sta una fascia di Aquitauiano, che nel nostro campo di studio si incontra presso Ceva e Montezemolo, poi segue i confini della nostra regione fino ad incontrare la Bor- mida di Millesimo a Monastero, e si estende a Nord dello Stam. piano lungo una linea che ha per confini a Sud: Denice, Montechiaro, Cavatore, Cremolino, Tagliolo, Mornese, Carrosio, Rigoroso, e arriva nella Val Curone fino oltre Garbagna; questa fascia, assai estesa verso la Val Bormida, si fa più ristretta verso levante, è limi tata a Nord da una linea che passa presso Acqui, Morsasco, Ovada, Lerma, Borghetto, Borbera, ecc., ed è formata essenzialmente da marne sabbiose e arenarie, più o meno calcarizzate. In esse talora il carbonato di calcio è così abbondante da dare origine a vere roccie compatte, utilizzabili per materiale da costruzione, Le formazioni mioceniche sono alquanto meno diffuse nell’am- bito della nostra regione, mentre entrano a costituire una parte no- tevolissima delle Langhe. Esse emergono alle falde dell’appennino solo nelle vicinanze di Acqui e di qui formano una fascia conti- nua verso Est fino al Tortonese. — 210 — I tre piani Langhiano, Elveziano e Tortoniano nei quali si di- vide la formazione di questo periodo, sono tutti rappresentati nella nostra regione. Il Langhiano forma una fascia di larghezza media di poco in- feriore al chilometro e con una massima di poco più di due, estesa da Bistagno, a Acqui, Morsasco, Montaldeo, Parodi, Gavi, Vignole Borbera, fino ad Avolasca nel Tortonese; si tratta essenzialmente di banchi marnosi, più di rado areracei. Un piccolo affioramento si trova anche a Ceva. Il piano elveziano, assai sviluppato al Nord-Ovest del nostro campo di studio, occupa unà zona presso a poco eguale a quella del Langhiano a Nord di questo, a partire da Strevi, verso Orsara, Carpeneto, Castelletto d'Orba, Serravalle ed oltre la Scrivia sotto Avolasca. È rappresentato da banchi di sabbia più o meno fortemente ce- mentati da calcare, e talora assai compatti, alternati con strati mar- noso-sabbiosi, di rado ciottolosi. I depositi del Tortoniano si osservano per un piccolissimo tratto nella nostra zona a Ovest della Scrivia, e sono ampiamente diffusi ad Est di questo torrente da Sandigliano a Malvino e Salizzola nel Tortonese. Esse constano per lo più di marne, di rado di sabbie cementate da calcare. Del Messiniano sì osserva nella nostra regione uno stretto lembo ad Ovest della Bormida da Rivalta a Montaldo, S. Cristoforo, Cas- sano, S. Agata, Carazzano, interrotto un po’ a Nord di Carpeneto, perchè ricoperto da depositi quaternarii. Sono terreni formati qua e là da arenarie e conglomerati, e più ancora da marne verdastre. Nella parte occidentale della regione si osservano delle lenti ges- sose intercalate a banchi marnosi, e spesso banchi di calcari più o meno puri e più o meno facilmente erodibili e cariati. Pure di natura marnosa sono i terreni pliocenici riferibili al Piacenziano, i quali appaiono come una zona frastagliata alle falde della catena da Rivalta a Tortona, talora profondamente erosi e ri- coperti da depositi quaternarii in corrispondenza dei corsi d’acqua. Sono questi depositi pliocenici che costituiscono i primi colli che st elevano a Sud della pianura. Assai meno estesi sono i banchi sabbiosi dell’Astiano, ridotti ad una stretta fascia sopra Capriata, Rivalta, Villavernia; data la loro estensione, si comprende come essi abbiano un’importanza mi- nima nel determinare l’aspetto della vegetazione. Poco estesi sono pure i depositi del Villafranchiano di natura — 2 11 — argillo-marnosa; a questi si debbono alcune delle prime elevazioni della pianura alessandrina, mentre i primi rilievi sono per la mas- sima parte formati da depositi diluviali. Tali depositi siano essi costituiti da elementi ciottolosi di varia grossezza, o da fini elementi di Loess, sono fortemente decalcifi- cati e argillificati. Data l’analogia della natura litologica degli elementi che sono entrati a formare questi depositi, e l'avanzata ferrettizzazione degli elementi ciottolosi del Villafranchiano tra l’Orba e la Scrivia, e a causa degli scarsi pendii che si osservano in questa zona, il ter- reno superficiale si presenta uniforme, sia per la natura argil- losa originaria dei depositi, sia per susseguente argillificazione, e decalcifizzazione almeno parziale. L’intensa coltivazione poi, che quivi si esercita da molti anni ha fatto sentire così la sua opera livellatrice, che la natura mineralo- gica, e specialmente la origine geologica del suolo ha qui meno che altrove importanza come fattore edafico. In corrispondenza dei corsi d’acqua che scendono alla catena, sì osservano più o meno estesi depositi alluvionali, di natura va- riabile, e dipendente, come è ovvio, dalla costituzione geologica della regione a monte. Ve TerRrENO. — In molti studii fitogeografici si suole considerare le condizioni d’ambientenelle quali si svolge la flora che si studia, come determinate del fattore climatico, funzione a sua volta della posi- zione geografica e dell’orografia della regione, da quello edafico di- pendente dalla costituzione geologica e mineralogica della roccia sot- tostante, ed infine da quello antropico. In generale alla costituzione geologica del suolo si attribuisce l’importanza massima nel determinare le condizioni del substrato sul quale si stabilisce il mantello vegetale; e ciò specialmente per parte di quei fitogeografi i quali attribuiscono unicamente alle pro- prietà chimiche, o unicamente a quelle fisiche, l'influenza nella di- stribuzione delle piante sul suolo. La massima importanza deve essere data bensì alla costituzione geologica della regione, ma non tanto per stabilire la natura mi- neralogica delle roccie che la costituiscono, e quindi le proprietà chi- miche o fisiche del suolo che né deriva, quanto per comprendere e spiegare bene l’orografia della regione, non solo nelle sue linee gene- Ali ct an — 212 — rali, ma altresì nelle sue più piccole esplicazioni, quali sono quelle che determinano lo stabilirsi in un area relativamente ristretta p. es. di una stazione pianeggiante a tipo pascolo, accanto ad un pendio di scoscendimento con vegetazione di carattere nemorale, e ad una depressione torbosa, ed infine ad una piccola stazione ru- pestre. La configurazione orografica di una regione è spesso determinata dalla composizione mineralogica della roccia, in quanto la mag- giore o minore erodibilità può dare origine ad uua plastica differente; ma spesso la natura e la durata degli agenti degradatori possono anche profondamente modificarla indipendentemente dalla erodibi- lità; così mentre nella catena alpina il fenomeno glaciale ha ri- messo per così dire a nuovo un’ampia superficie rocciosa, contri- buendo colla demolizione di rocce in posto e colla costruzione di morene, a modificare la plastica del paesaggio indipendentemente dalla composizione mineralogica, nell'Appennino le scarse glacia- zioni hanno permesso alla superficie rocciosa di assumere una con- formazione specialmente sotto l’ influenza assai più prolungata dei comuni agenti meteorici degradatori. Così anche roccie relativamente poco erodibili, come le serpen- tinose, hanno potuto nella parte elevata dell'Appennino dare luogo a dossi arrotondati e poco declivi, come se le roccie fossero più fa- cilmente erodibili. La struttura meccanica e chimica ha piuttosto in- fluenza nel campo fitogeografico qualedeterminante i caratteri della stazione che quelli della regione. Ricerche da me pubblicate da qualche anno, ed altre recentis- sime (1), mi hanno indotto a considerare l’influenza dell’edafismo sulla distribuzione delle piante, in modo affatto differente da quello solitamente considerato dai fautori della teoria chimica o fisica della fitostatica, e ad attribuire alle proprietà delle soluzioni esistenti nel suolo il valore di determinanti i caratteri delle diverse stazioni vegetali. Non è questo il luogo per esporre tutte le argomentazioni che mi hanno indotto a ideare e a sostenere questo modo di considerare l’ influenza del terreno sulla distribuzione del vegetale. Rimando per questo ai lavori citati, e mi limito quì a riassumere brevemente i risultati generali, ai quali sono pervenuto, e i metodi di tecnica da (1) Gora. — Studii sui rapporti tra la distribuzione delle piante e la costi- tuzione fisico chimica del suolo. Ann. di bot., III, 1905; Gora G. Saggio di una teoria osmotica dell’Edafismo. Id. id., vol VIII, 1910. G. GoLa. — Osservazioni sopra i liquidi circolanti nel terreno agrario ; ann. R. Acc. Agr. Torino, 1911, vol. LIV; Giornale di Geologia pratica, 1911. — 213 — seguire per l’ esame delle proprietà osmotiche delle soluzioni del suolo. Dopo le ricerche di Contjean, le quali dimostrarono l’assoluta in- sufficienza delle argomentazioni di Thurmann per spiegare fisica- mente le leggi che regolano la distribuzione delle piante sopra i diversi terreni, la massima parte dei floristi attribuì un’importanza edafica prevalente alla composizione chimica del suolo, e special mente alla presenza in esso di determinati composti, quali il carbo- nato di calcio, il cloruro di sodio, i nitrati di calcio e di potassio. Quanto alla spiegazione del meccanismo di azione distributiva di tali composti, si dovette ben presto riconoscere che non poteva trattarsi di una influenza direttamente nutritizia degli elementi che costituiscono i detti composti, poichè gli stessi elementi sotto altra forma di combinazione esercitano un’azione nulla o assai meno spiccata. Inoltre si potè constatare che tali elementi molto spesso non ve- nivano assorbiti in proporzione corrispondente agli effetti di di- stribuzione, ai quali essì davano luogo. Si stabilì pure che l’influenza di questi composti non è mai 0 quasi mai veramente attrattiva, ma si esercita piuttosto impedendo lo sviluppo di parecchie specie ed eliminandole dalla concorrenza, per l'utilizzazione dello spazio, il quale è così occupato da specie più resistenti. Tale azione viene detta repulsiva. Non tutte le specie si comportano in modo affatto netto rispetto a questa azione attrattiva; come si credette dapprima, o repulsiva come sì dimostrò più tardi; molte di esse si comportano come in- differenti alla natura chimica del substrato. L'elenco di queste specie, così dette indifferenti, si andò rapida- mente accrescendo, allorchè le ricerche dei floristi, eseguite su campi sempre piùestesi, portarono nuovo contributo alla conoscenza dell’argo- mento. Così questo aumento del novero delle indifferenti portò a poco a poco ad una riduzione grandissima di quelle riconosciute esclusive dell'uno o dell'altro substrato, e particolarmente alla ri- duzione di quelle ritenute calcicole esclusive. Il numero delle osservazioni fatte specialmente dai sostenitori della teoria chimica, aveva messo in chiaro l’assoluta insufficienza delle proprietà fisiche da sole a determinare la distribuzione delle piante ; d’altra parte le nuove osservazioni mostrano anche lo stesso inconveniente per le spiegazioni puramente chimiche. Si ricorse allora alla ricerca delle cause di questa insufficienza, e si credette di trovarle nella influenza delle cosidette azioni com- RINO, APRE STE RIN ARA SU AIR e af E TANTE RION VERRI? ni e nd sot — 214 — pensatrici, alcune di ordine chimico, quali la presenza di idrato di ferro o di carbonato di magnesio, o fisico, come la porosità, riscal- dabilità, solubilità della roccia; o climatico quali l'umidità del- l'atmosfera, frequenza della pioggia, temperatura ecc. Ma con questo si viene a dare un colpo decisivo alla teoria pu- ramente chimica, e coll’introdurre diversi fattori di compenso non si riesce ad altro che a complicare la questione, senza per nulla trovare la via per spiegare il loro modo di agire. Era quindi evidente che occorreva cercare in un altro mecca- nismo di azione la causa della innegabile influenza delle proprietà del terreno sulla distribuzione delle piante, e più ancora nel de- terminare quel complesso di condizioni alle quali si deve la sta- zione vegetale. Tale meccanismo non poteva però essere ricercato che nella ri- sultante di tutto quel complesso di fatti, dei quali si era ricone- sciuto il valore. La fisiologia aveva già da tempo stabilito l’importanza che i fenomeni osmotici e la tonicità delle soluzioni endocellulari e dei liquidi ambienti, hanno sopra le funzioni della nutrizione, all’assi- milazione e della riproduzione, ecc. Sì era potuto constatare che spostamenti anche minimi nell’equi- librio osmotico esercitano effetti fortissimi sulla funzionalità cellulare. Il concetto dell’esistenza nel terreno di soluzioni, le quali do- vevano essere osmoticamente attive sopra la funzionalità degli ele- menti cellulari, non era mai stato preso in considerazione dai fi- tostatici ; solo talora, nelle ricerche riguardanti la flora delle sta- zioni salate, dove la concentrazione molecolare delle soluzioni rag- giunge dei limiti elevatissimi, e quindi tali da imporsi all’atten- zione dell’osservatore, si trova accennato all’azione osmotica che i liquidi del terreno possono esercitare sul sistema assorbente delle piante. Ma queste azioni osmotiche se vengono prese in esame per spie- gare alcuni particolari di morfologia e di organografia delle alo- fite, non sono per nulla considerate come fattori di distribuzione. La distribuzione delle alofite nelle diverse stazioni viene bensì messa in rapporto con la concentrazione salina del terreno, ma in quanto la salsedine maggiore o minore del suolo può esercitare un’azione tossica più o meno intensa, escludendosi o almeno non accennandosi alla azione dannosa prodotta dai fenomeni di ipo o di ipertonia. Una più accurata osservazione porta a constatare che molte altre piante, le ruderali specialmente, si comportano rispetto ai nitrati del — 215 — suolo, esattamente come le alofite rispetto ai cloruri; e ciò si può verificare sia prendendo in esame la concentrazione delle soluzioni ambienti alle radici, sia i caratteri di affinità sistematica e morfo- logica tra le alofile e le nitrofile. Così dal gruppo delle nitrofile, da molti considerate come in- differenti, si procede ad altri gruppi di piante come quelle proprie dei campi, l. incolti, terreni nuovi, ecc., pure ritenute indifferenti da molti autori, le quali affondano le loro radici in terreni ricchi di sostanze saline disciolte o facilmente solubili, ma nei quali la con- centrazione non raggiunge i limiti elevati proprii dei terreni salati o nitrati. Nei terreni calcari il carbonato di calcio può, in grado diverso a seconda della solubilità, dare luogo a soluzioni sature di bicarbo- nato di calcio, e per di più, a lato di questo composto, si trovano in una certa misura carbonati di sodio, di potassio, nitrati, ecc., ca- paci di elevare un po’ la concentrazione delle soluzioni. L’azione antagonistica del carbonato di magnesio rispetto a quella del calcare può in molti casi venire spiegata colla scarsa attaccabi- lità di esso dalla CO’, come si osserva p. es. nelle roccie dolo- mitiche. Minore è invece la concentrazione che sì osserva nei liquidi esi- stenti in molti terreni silicei, specialmente quando questi sieno ori- ginariamente poveri di elementi capaci di dare i sali solubili, e quando la degradazione sia un po’ avanzata. Così molte roccie vul- caniche ricche di silicati di potassio, o di calcio, possono dare ma- teriali solubili in maggior misura che non una quarzite, o una roccia granitica o magnesiaca. Qui entra però in giuoco un altro fattore importante; dalla de- gradazione delle roccie ha luogo oltre che la formazione di mate- riali solubili, anche quella di altri corpi di natura colloidale, e di questi alcuni sono capaci di reagire con i sali solubili per dare silicati idrati assai complessi del gruppo dei silicati zeolitoidi. Questa reazione di scomposizione e la proprietà che hanno molti corpi colloidali di formare dei composti di assorbimento con al- cune sostanze saline, danno luogo ad un depauperamento delle so- luzioni, il quale è in funzione della concentrazione delle soluzioni preesistenti, e della proprietà dei corpi disciolti. Ne viene così che questi corpi colloidali esercitano una funzione regolatrice della con- cetrazione delle soluzioni del terreno. Tale proprietà regolatrice, che esiste in misura più o meno grande in tutti i terreni, viene più o meno facilmente saturata dalla presenza di corpi solubili in forte misura, tanto più che alcuni di questi sono adatti ad essere — 216 — fissati dai corpi sopra ricordati. Affatto spiccate si fanno invece tali proprietà nei terreni con poco carbonato di calcio e molti idrosilicati alcalinoterrosi, e sopratutto nei terreni silicei. L'humus, che in molti terreni si accumula in una certa misura, concorre da una parte, colla continua produzione di CO°, a solubi- lizzare alcune sostanze, ma dall’altra, colle spiccate proprietà as- sorbenti dalle quali è caratterizzato, vale a regolare la concentra- zione delle soluzioni del terreno. Ma se l'accumulo di humus si fa molto forte, e la degradazione di esso viene, per causa di temperatura, di secchezza o di umidità eccessive, impedita, ha luogo la formazione di humus torboso, avente proprietà fortemente acide, e nel quale perciò appunto i sali mi- nerali sono trattenuti con una energia tale, da non essere che im minima misura presenti nelle soluzioni. Si hanno così dei terreni con soluzioni diluitissime, che tro- vano la loro analogia in altri terreni poverissimi di sostanze or- ganiche e anche di sostanze solubili, come sono i terreni di ferret- tizzazione provenienti da una avanzatissima degradazione. Noi vediamo cioè che la composizione mineralogica del suolo può bastare per determinare a priori uno dei coefficienti della con- centrazione delle soluzioni. Ma molti altri fattori concorrono a complicare il fenomeno; anzi- tutto, se si torna a considerare l’esempio sopra ricordato della spiaggia salata, che è fortemente porosa, è facile constatare che un acquaz- zone che sopravvenga dopo un periodo di prolungata siccità, di- lava assai rapidamente l'accumulo di sale, e le radici delle piante ivi ospitate passano così in breve tempo da un ambiente iperto- nico ad uno fortemente ipotonico, per passar poi di nuovo col- l’evaporazione superficiale dell’acqua, e coll’ascesa per capillarità di quella profonda, a delle concentrazioni gradatamente più ele- vate. Questo fatto, che si verifica in modo affatto evidente nelle sta- zioni sabbiose salate, dove l'abbondanza del cloruro di sodio, e la porusità del substrato favoriscono i rapidi squilibrii di concentra- zione, si manifesta pure con tutta evidenza ad un accurato osser- vatore che prenda ad esaminare altre stazioni vegetali situate su terreni di origine mineralogica affatto diversa. Non sempre riesce tuttavia così facile distinguere le due sorta di terreni, quelli cioè a concentrazione variabile e quelli a con- centrazione sensibilmente costante. La variabilità e la costanza della concentrazione sono in rela- zione con molti fattori che enumererò rapidamente : — 21707 — a) Fattori fisici del suolo. La porosità, la capacità idrica del terreno, la scaldabilità, la conducibilità termica, ecc., sono tutti coefficienti dai quali dipende la quantità di acqua presente nel ter- reno, e conseguentemente la diluizione delle soluzioni, la possibi- lità di ascensioni per capillarità dell’acqua profonda, ecc. b) Biologici. L'assenza di coperto erboso o la presenza di questo, hanno importanza preponderante nel permettere alle soluzioni di risalire alla superficie o no; la superficie boschita esercita sempre un'influenza moderatrice sulla ventilazione degli strati superiori del terreno, onde essi appaiono assai più freschi, o almeno in con- dizioni di umidità più costanti rispetto ai terreni, nei quali la su- perficie non ha alcun rivestimento vegetale vivo o morto. c) Climatici. Le stazioni situate in climi costantemente umidi e piovosi, saranno per così dire costantemente dilavate, e quindi la concentrazione rimarrà relativamente costante ; all'incontro lad- dove sì alternano prolungati periodi di secchezza e di piovosità, sì potranno osservare alternative di elevata e bassa concentrazione dei liquidi del suolo; l’insolazione o la nubilosità più o meno ac- centuate, la ventilazione, ecc., contribuiscono ad aggravare in un un senso o nell’altro gli effetti di una intensa o scarsa precipita- zione atmosferica. d) Topografici. L'esposizione della stazione può, modificando la durata dell’insolazione, esercitare una certa influenza, e pure importanza ha il fatto se la stazione sia situata in un punto de- clive o pianeggiante, dove l’acqua piovana possa scorrere rapida- mente o permanere a lungo. La posizione della stazione ha inte- resse pure perchè ad essa può pervenire solo acqua piovana che ha semplice azione dilavante, o acqua di scolo o di risorgenza di altri terreni soprastanti, e quindi che può apportare, invece che di- lavare, nuove sostanze al terreno. DI Cinetici. La degradazione delle particelle del terreno da luogo, oltre a prodotti solubili allontanabili coll’acqua, anche allo stabilirsi tra le particelle stesse di sostanze insolubili colloidali, in misura variabile, ma tali sempre da determinare col tempo una capacità acquifera maggiore, e sopratutto una accentuazione del ge- loidismo e dall’eustatismo del terreno. Nel terreno smosso invece l’equilibrio meccanico tra le diverse particelle del terreno si va rompendo di nuovo e si ha quindi più intensa degradazione, maggiore concentrazione delle soluzioni e sopratutto maggiore anastatismo. Tali condizioni prodotte dal movimento delle particelle del suolo, sono sopratutto opera dell’uomo, nel nostro campo di studio — 218 — (aratura, zappatura, sarchiatura), ma non mancano anche nella nostra regione cause naturali di movimento, le quali talora agiscono da sole, per lo più integrano l’azione dell’uomo (azione della gra- vità, dell’acqua, del vento sui terreni scoperti, come frane, allu- vioni, ecc.). Di tutti questi complessi fattori, la mutua influenza determina una quantità numerosa di casi di differente concentrazione delle soluzioni, o anche delle coincidenze che a tutta prima sarebbero inaspettate. Inoltre col variare delle condizioni climatiche stagionali, pos- sono nel terreno aversi delle variazioni notevoli di concentrazione; così al termine del periodo piovoso primaverile si osserva nei no- stri climi un abbassamento generale della concentrazione dei liquidi dei terreni, al quale segue un innalzamento progressivo, più o meno accentuato, a seconda della durata del periodo di minore precipi- tazione. Nella stagione nelia quale le piante sono in riposo pressoche completo, o per semplice riduzione dell’attività traspiratoria, o ad- dirittura per riduzione della superficie traspirante, esse sono quasi indipendenti dalla concentrazione dei liquidi del suolo, ed occorre tenere conto di ciò per apprezzare le cosidette appetenze edafiche di ogni singola specie. L’esame edafico di una stazione risulta quindi assai più com- plesso di quanto non sembri dapprima, ed occorre non solo tenere conto di un semplice saggio chimico, o di un esame fisico, ma anche di tutti gli altri coefficienti, e valutarne l’importanza, non solo nel momento nel quale si fa l'osservazione, ma durante tutto il periodo nel quale si svolge il ciclo annuale della pianta. Per es. data una stazione stabilita su terreno x, occorre determinare la presenza di carbonato di calcio e approssimativamente in quale misura, poi tenere conto della porosità del substrato, e da questa sì potrà stabilire se i materiali solubili potranno essere facilmente asportati dalla pioggia o no; si dovrà inoltre verificare se la falda acquea sia a profondità tale da impedire all’acqua profonda di risalire per capillarità alla superficie durante il periodo di secco. Per stabilire la misura di tale ascesa e della conseguente eva- porazione dell’acqua, occorre tenere conto della insolazione, alla quale è esposta la stazione, della ventilazione, della eventuale pro- tezione che il coperto vegetale paò dare alla superficie del terreno, della probabilità di frequente sopravvenire di piccole piogge, 0 della persistenza di lunghi periodi di secco. Da ultimo la stazione non va considerata come quel complesso — 219 — di terreno che va dalla superficie fino ad una profondità indefinita, ma solo per quel tanto di spessore che interessa la massima parte delle radici, della pianta o delle piante, rispetto alle quali si con- sidera la stazione stessa. Così in un campo si può notare una serie di stazioni edafiche sovrapposte, quella p. e. di pochi mm. di spes- sore della flora efemera dei muschi e delle epatiche (Munaria, Riccia, Sphaerocarpus), quella della flora arvense precoce, di pochi cm. di spessore ; inoltre quella delle piante arvensi aventi radici un po’ profonde, e infine quelle delle piante arboree che cingono il campo. Tutte queste si trovano in condizioni di concentrazione affatto dif- ferenti tra loro. Se lo studio preventivo di tutte le condizioni sopra enumerate ci può dare con una certa approssimazione la misura della ric- chezza di sostanze esistenti nei liquidi del terreno, un concetto più esatto di ciò non lo si può avere che mediante ricerche spe- rimentali. Un metodo veramente esatto di misura assoluta di questa con- centrazione, non credo esista ancora; io ho utilizzato i risultati che si ottengono quando su una determinata porzione di terra si faccia cadere lentamente una certa quantità di acqua di pioggia ; la quan- tità di sostanze asportate, e di quelle rimaste nella compagine del terreno in esame, può servire di ottimo indice per valutare la con- centrazione delle soluzioni esistenti nel terreno e la loro varia- zione sotto l’influenza di agenti climatici diversi. Un metodo assai più rapido e solo qualitativo, ma che con un po’ di pratica può servire in molti casi come approssimativamente quantitativo, è quello da me proposto dell’uso di cartine di aliza- rina e poste entro involucri di carta pergamena purissima. Attra- verso questi piccoli dializzatori passano le soluzioni del terreno in misura tanto maggiore, quanto più ricco di sali è il terreno stesso, e vanno a reagire coll’alizarina, determinando delle colo- razioni intense con quasi tutti i componenti le soluzioni del suolo. Ho riassunto assai rapidamente 1 concetti che mi hanno indotto a stabilire una teoria osmotica dell’edafismo, e la metodica che sì deve seguire per studiare le condizioni del suolo in rapporto alla vegetazione; questi concetti, che ho esposto assai più a lungo in altri lavori, mi hanno condotto a suddividere le stazioni vegetali in quattro gruppi cioè delle Pedoidrofite, delle Pedoigrofite, delle Pedomesofite, e delle Pedoxerofite, secondo che le piante ivi ospi- tate vivono totalmente e contatto dall'acqua mobile, o solo col loro apparato assorbente, o in un terreno umidò bensì ma con pori ri- pieni d’aria o in un terreno secco. — 220 — Ciascuno di questi gruppi si suddivide nei sottogruppi delle stazioni peraloidi, aloidi, geloidi e pergeloidi, caratterizzate dalla presenza di soluzioni assai fortemente concentrate (sup. al 2 °/,, circa), o meno concentrate (0,5-2 °/,, circa), o poco concentrate (0,25-0,5 °/), oa concentrazione minima. Per le stazioni delle Pedoidrofite i limiti massimi di concen- trazione per ciascun sottogruppo sono alquanto inferiori. Infine ciascuno di questi sottogruppi si suddivide in stazioni eustatiche e stazioni anastatiche, quando la concentrazione dei li- quidi imbeventi il suolo è sensibilmente uguale o rispettivamente incostante durante il periodo vegetativo delle specie caratteristiche di quella determinata stazione. Così il concetto di stazione che in molti casi viene considerato come indipendente dalla natura del suolo, viene con i criterii che ho esposto ad essere molto meglio caratterizzato. Noi possiamo fa- cilmente osservare che un gran numero delle piante edaficamente considerate come indifferenti, solo perchè non sono nettamente le- gate al calcare o alla silice, sono invece caratteristiche di deter- minate condizioni delle soluzioni del terreno, allorchè queste siano considerate sotto il punto di vista del loro coefficiente osmotico : molte specie che si trovano in due stazioni affatto distinte, secca p. e. l'una, umida l’altra, trovano appunto la loro analogia solo nella corrispondenza delle condizioni osmotiche proprie delle due distinte stazioni. Vi ha un numero grandissimo di stazioni, le quali ospitano as- sociazioni diverse ; eppure le condizioni di clima, di insolazione, ecc., sono affatto identiche, onde l'apparato assimilatore, gli organi ri- produttori, ecc., possono in entrambe compiere egualmente le loro funzioni; la spiegazione del divario la si trova spesso solo nelle condizioni edafiche, indipendentemente dalla presenza di questo o di quell’elemento chimico. Così è per es. delle conoidi alluvionali in una regione silicea: mentre le più recenti ospitano una vegetazione di tipo alicolo (Rumex, Chenopodium, Polygonum, Hordeum murinum, ecc.), quelle più vecchie si ricoprono di una vegetazione di Jasione, Genista scoparia, Betula, Trifolium arvense, Rhacomitrium lanuginosum e quelle più ancora antiche hanno Polytrichum formosum, Calluna in abbon- danza, Genista tinctoria, Betula, ecc. Eppure le condizioni diinsolazione, di umidità atmosferica, di svernamento, di umidità del suolo, non sono per nulla cambiate. Solo la concentrazione dei liquidi imbeventi il suolo si è andata facendo progressivamente minore, ed i terreni sono divenuti ge- loidi o addirittura pergeloidi. I en o Lita Sed ai ae PLETRI RA, vb (i rela) t] « il Una serie di considerazioni che ho sviluppato altrove, mi hanno portato ad affermare che il silicicolismo (meglio il calcifugismo) e il calcicolismo di alcune piante non si deve affatto negare, special- mente il primo, ma è sempre un carattere secondario rispetto all’alicolismo e al gelicolismo. Così di una specie peralicola troviamo una varietà nitrofila ed una alofila, di una alicola vi ha una varietà calcicola ed una non tale, e quindi ritenuta indifferente, ma pur sempre con carattere nettamente alicolo. Si può così dire che il carattere di appetenza per una data concentrazione dei liquidi del terreno è un carattere di dignità maggiore, che quello dell’appetenza per un determinato composto chimico. Stabiliti così i concetti fondamentali che mi saranno di guida nel corso del lavoro, ritorno allo studio delle condizioni edafiche generali dell'Appennino; naturalmente poichè l’esame accurato del suolo permette di caratterizzare con molta approssimazione ogni singola stazione, l’esame più dettagliato del terreno sarà’ fatto a proposito delle singole associazioni che ne sono caratteristiche. La presenza di marne e di calcari, di conglomerati calcari e di roccie serpentinose, di micaschisti e di argilloschisti, dànno luogo alla formazione di sostanze solubili in misura assai diversa; le pioggie frequenti, il prolungato permanere delle nevi nella parte elevata, ed i lunghi periodi di siccità nella zona inferiore, l’espo- sizione a nord di molta parte della catena appennina, quella a sud di alcuni contrafforti e dossi isolati, la natura franosa dei terreni marnosi e degli argilloschisti, sono tutte condizioni che provocano una differenziazione profonda delle concentrazioni delle soluzioni che vi si possono trovare. Nol OPERA DELL'UOMO. — Già prima della dominazione romana molte tribù, di origine celtica, dei popoli liguri occupavano parecchie località della nostra regione; erano specialmente le depressioni della catena che potevano servire al transito, e le località situate appena al di sopra della pianura quelle che più delle altre venivano abitate. Gli Stazielli, 1 Liguriani, gli Iriesi, occupavano i luoghi dove ora sorgono Acqui, Tortona, Voghera. Essi entrarono ben presto in relazione colle popolazioni romane, colle quali ebbero rapporti ANNALI DI BorANICA — Vor. X. 15. — 222 — sia di alleanza, sia di ostilità; risultato ultimo di questi rapporti fu la trasformazione di queste regioni in colonie romane. Anche i passi dell’Appenino furono occupati dai dominatori ro- mani, e a Ronco, Serravalle, Sassello, Cairo, Garessio, si incontrano le vestigia di antiche vie romane di comunicazione. Pel Colle dei Giovi passava la Via Costuma che si staccava dalle Via Emilia a Piacenza, e per Tortona, e Liburna si dirigeva su Genova. Di parecchie altre località si ha notizia fino dall’epoca romana, come di Ovada, Ponzone, Molare, Spigno (Crixia), Bagnasco. Di molte altre è solo nei documenti medioevali che se ne trova un primo accenno: Orba (891), Dego (900), Millesimo (967), Roc- chetta Ligure (1197), Campoligure (1200). Tutto ciò attesta che l’attività dell’uomo si è svolta da molto tempo in questa regione. Molti dei castelli che costituirono i centri attorno ai quali si andavano agglomerando gli aggregati che ho testè ricordato, erano sotto la dominazione di principi o di vescovi del versante meridionale dell'Appennino, e per lunghissimo tempo nelle epoche posteriori, ed anche ora del resto, la parte elevata dell’Appennino fu sotto la giurisdizione dei centri più importanti situati sul versante Sud. Molto antichi e frequenti sono perciò stati i passaggi attraverso i valichi di questa parte della catena. Ma se i centri situati presso i colli o alle falde dei monti indi- cano l’attività dell’uomo da un’epoca cosi remota, tutta la parte montuosa circostante rimaneva pressochè intatta per un tempo assai più lungo. La « Silva Urba » si estendeva si può dire su tutta la catena appennina, era molto folta e ricca di selvaggina; ed ancora adesso la parte elevata della nostra regione è occupata da foreste, profon- damente alterate però dalla utilizzazione più o meno regolare che se ne è fatta specialmente in questi ultimi secoli. L'importanza continuamente crescente dei centri situati sui colli della zona inferiore della catena, la feracità del terreno, le favorevoli condizioni climatiche, determinarono ben presto un attivo sfruttamento agricolo del terreno ad essi circostante. A questo si debbono mutazioni profonde nell’aspetto della vegetazione, nella prevalenza dell’uno o dell’altro elemento floristico, l’introduzione di nuovi elementi floristici, ecc. Perciò, oltre che sotto l’aspetto climatico e geologico, noi dobbiamo dividere, anche sotto quello del fattore antropico, la nostra regione in due zone, l’una superiore nella quale il faczes primitivo della vegetazione si è meno alterato nel tempo, ed pas una inferiore nella quale esso invece si è profondamente modi- ficato. Le notevoli differenze che siosservano nella struttura petrografica della regione, le differenze di altitudine, gli intensi effetti del- l’opera dell’uomo nella parte bassa, determinano la possibilità dello stabilirsi di numerose associazioni caratteristiche delle quali cer- cherò di descrivere i tipi principali. Queste associazioni sono le risultanze di molteplici fattori sto- rici ed ecologici. In una zona come la nostra, nella quale da tempo l’attività dell’uomo ha lasciato una impronta così evidente, il fattore storico ha una influenza predominante, e converrà anzitutto prendere a considerare le associazioni secondo questo punto di vista. Anzitutto si debbono considerare le associazioni naturali. A dir vero non si può più attualmente parlare di associazioni naturali e affatto indipendenti dall’opera dell’uomo: la coltivazione a ceduo, la raccolta delle stramaglie sotto i boschi di alto fusto, il pascolo nelle regioni elevate, fanno risentire i loro effetti sulla vegeta- zione, però in modo affatto discontinuo. Tuttavia quw e là si incon- trano delle associazioni le quali si possono considerare come pri- mitive; per evitare delle distinzioni troppo sottili, io studierò insieme le associazioni naturali e quelle seminaturali. Le altre associazioni sono quelle che dipendono direttamente o indirettamente dall’opera dell’uomo, e, seguendo in massima i con- cetti del Bernatzky (1), 10 le prenderò in esame distinte in due gruppi, l’uno delle associazioni colturali, quelle cioè che dipendono da un’opera attiva e continua dell’uomo, sia nel sottrarre continua- mente gli elementi stessi da molte delle cause avverse che possono ostacolare il loro sviluppo; oppure nel mantenere costanti nel tempo la massima parte delle cause avverse o favorevoli che possono in- fluire su tali associazioni. L'altro gruppo è quello delle associazioni di abbandono, in cui l’azione dell’uomo si esplica sia nel preparare la stazione, sia nel preparare o nel togliere involontariamente nuovi elementi flo- ristici. Tale azione ha luogo però in modo affatto discontinuo, onde la lotta per l’esistenza tra le diverse piante si compie per lunghi periodi, così che si verifica l’avvicendarsi di vegetali diversi, e ne risulta (1) BERNATZKY J. — Anordnung der Formationen nach ihre BeeinfAlussung seitens der menschlichen Kultur und der Weidetiere. Botan. Jahrbucher, XXIV, 1905. — 224 — la successione di associazioni differenti con la tendenza alla costitu- zione di una associazione naturale. Ciascuno di questi tre grandi gruppi di associazioni va poi sud- diviso secondo i fattori ecologici. VIL Classificazione ecologica delle associazioni. Dovendo riunire in gruppi ecologici omogenei le associazioni principali dell’Appennino, sorge la difficoltà di adattarle ad una delle classificazioni esistenti, dato il fatto che ciascuna di esse è informata a eriterii molteplici e disparati. Anche la recentissima proposta del Warming (1) non va esente da un tale inconveniente; e già nel dare una classificazione ecologica dei terreni, io ebbi a rilevare l’ eterogeneità dei criterii adoperati per definire ciascuna delle 13 classi proposte da lui. Il Negri, in un lavoro che esce contemporaneamente a questo (2). ed io proponiamo una modificazione alla primitiva disposizione adottata dal Warming (3), onde arrivare ad una classificazione che ci sembra affatto omogenea e sufficiente a comprendere tutti i casi che si possono presentare, almeno nella zona temperata fredda. La distinzione prende le mosse da due gruppi maggiori deter- minati dalla presenza o assenza di un eccesso di acqua nel terreno, in conseguenza del quale i processi respiratorii, di una parte almeno dell’individuo vegetale, non possono compiersi se non mediante par- ticolari disposizioni morfologiche, che si riassumono nella comparsa ditessuti aeriferi. I rapporti della nostra colla classificazione eda- fica da me proposta, sono necessariamente molto stretti. Alle Idrofite corrispondono infatti le Pedoidrofite, alle Elofite comprendenti ie due suddivisioni delle Clizofite e delle Spongofite, sì riferiscono le Pedoelofite ; le Xerofite corrispondono alle Pedoxe- rofite. Quanto alle Mesofite noi le distinguiamo, a seconda della inso- lazione alla quale vanno soggette, in Sciafite e Fotofite, due classi che non trovano nessuna corrispondenza nell’Edafismo, essendo de- terminate dalle condizioni dell’ambiente epigeo. (1) WARMING. — Ecology of Plants. Oxford, 1909. | (2) NEGRI G. — La vegetazione del Bosco Lucedio (Trino Vercellese). Mem. R. Acc. Scienze Torino, S. II, T. LXII, 1911. (3) WARMING. — Okologische PhAanzengeographie. II Aufl., Berlin, 1902. — 225 — Le quattro classi sono così caratterizzate : 1° Idrofite. — Piante immerse o sommerse, provviste di tes- suti aeriferi di galleggiamento o di respirazione. 9° Elofite : A) Clizofite (1). — Piante immerse per la parte inferiore e provviste almeno in questi tessuti aeriferi. 'erreno prevalentemente minerale, sabbioso o limaccioso ; aerazione scarsa o nulla. B) Spongofite (2). — Piante viventi in substrato permanen- temente inzuppato ma non inondato, e provvisto, nella parte infe- riore almeno, di tessuti aeriferi più o meno sviluppati. Terreno prevalentemente torboso per feltro vegetale vivo o morto; aera- zione scarsa. 5° Mesofite: A) Sciafite (3). — Piante viventi in terreno umido ma leg- gero e aerato, prive di tessuti aeriferi. Apparato aereo sprovvisto di disposizioni difensive contro l’eccesso di traspirazione, in quanto questa è ostacolata dalla costante umidità e dalla scarsa insola- zione dell’ambiente. B) Fotofite. — Piante viventi in condizioni di ambiente non mai estreme rispetto alla insolazione, temperatura e umidità dell’aria e del suolo. Questo è aereato e mantiene un certo grado di umidità indipen- dentemente dalla sua struttura meccanica. 4° Xerofite. — Piante viventi in condizioni estreme rispetto alla insolazione, temperatura, e alla secchezza fisica dell’aria e fisica e fisiologica del terreno. Questo è costantemente aereato e può essere per periodi anche lunghi assolutamente secco, indipen- dentemente dalla sua struttura meccanica. Naturalmente poi in seno alle varie formazioni vegetali com- prese in queste classi, l’azione dei molteplici fattori ecologici, morfologici e storici, determina il costituirsi delle singole asso- clazioni. i (1) Dal greco x)uîw, bagno, allago. (2) Da arovvos, spugna. (3) Da oxva, ombra. IVATO Zone di vegetazione. .Si possono distinguere nell'Appennino piemontese tre zone di vegetazione; l’una superiore, assai poco estesa data la scarsa eleva- zione della catena, e che ha per limite inferiore i 1300 m. c.; è la zona subalpina caratterizzata dalla prevalenza di formazioni a pa- scolo e dalle piante subalpine. Come è ovvio, date le condizioni orografiche, tale zona è limitata all’estremo Est dell'Appennino pie- montese. Segue la zona del Faggio e quella del Castagno nella quale le specie dominanti sono accompagnate da tutta una serie di specie tipo montano o sub-montano. Poichè in questa zona, pur non man- cando pascoli e praterie, hanno assoluto predominio le formazioni boschive, e poichè una distinzione in zona montana e sub-montana è per molti rispetti poco esatta, io denominerò questa la zona dei boschi. Il limite superiore è segnato da quello inferiore della zona dei pascoli, all’Est, e dalle creste dei monti all’Ovest. Quello inferiore discende a 350-400 m. Il faggio scende fin verso i 650-700 m. nelle vallate fredde ed umide come presso Calizzano, Montenotte, ecc., il Castagno che arriva fino oltre i 1000 m. a Melogno, ai Giovetti, a Marcarolo, discende fin verso i 350-400 m. e talora anche più in basso, come tra Gavi e Serravalle, dove se ne incontrano boschi di alto fusto a 250 m. o come presso Novi a m. 200 dove se ne in- contrano individui sporadici. L'ampiezza dei limiti altitudinali dipende dalla orografia della regione, nella quale, mentre predomina l’esposizione a Nord, non mancano i contrafforti i quali procurando un riparo ai venti di tramontana, permettono notevoli variazioni nelle condizioni cli- matiche. Penzig ha già tenuto conto di questo fatto considerando come facienti parte della flora ligustica stazioni situate sul versante pa- dano delle Alpi Marittime, ma esposte a Sud e riparate dall’ele- vata barriera delle Alpi stesse. La zona inferiore comprende come specie boschiva caratteristica la quercia; ma questa è ormai ridotta a costituire dei piccoli cedui, assai più di rado dei boschi di alto fusto e limitati in superficie, e più di frequente si osservano individui isolati o quasi. si AT © % Pa La — 227 — Una tale formazione boschiva è stata per la massima parte so- stituita da formazioni culturali; è questa la zona delle vigne, dei prati, dei campi e nella quale tutte le associazioni hanno più o meno risentito dell’azione dell’uomo. Vi si comprendono specie proprie della zona collina, di quella padana, di quella mediterranea, e, per le stesse ragioni che per la zona precedente la denominerò zona delle culture. Mentre le due prime zone sono situate sopra i terreni più an- tichi, fino a quelli eocenici, e in parte su conglomerati tongriani a elementi serpentinosi, quest’ultima zona occupa quasi unicamente i depositi terziari e quaternaril. Nel nostro caso si ha una marcata coincidenza tra il variare delle condizioni climatiche dell’altitudine e ii variare di quelle geo- logiche. Il clima passa gradatamente da un tipo sub-oceanico ad uno continentale e talora anche sub-mediterraneo, per ciò che riguarda il regime pluviometrico; quindi da un tipo che favorisce il geloi- dismo e l’eustatismo del terreno, ad uno che determina l’alicolismo e l’anastatismo: il substrato si va modificando da nettamente si- liceo, e quindi più facilmente geloide, in uno prevalentemente cal- care e con abbondante calcare solubile. IX. Formazioni naturali e seminaturali. a) MEsOFITE. Associazioni silvestri. Dell’antica Foresta Urba che ricopriva per tanta parte la super- ficie della nostra regione, la massima parte è stata distrutta da coltivazioni, disboscamenti, frane, ecc. Le formazioni boschive che rimangono hanno tutte subìto l’opera dell’uomo, e, tranne il casta- gneto di alto fusto, utilizzato e si può dire coltivato pel raccolto delle castagne, le pinete, e alcune delle formazioni boschive degli alvei dei torrenti, tutto è ridotto a ceduo. Il ceduo di bosco che è meno frequentato, che è più folto, è quello che occupa la parte più elevata della catena fino verso i 1200 m.; quivi i residui delle vegetazioni precedenti si accumu- lano indisturbati, ed è pure dato incontrare nel sottobosco alcune di quelle specie che più sono sensibili all’azione diretta dell’uomo, ue La STR MEA 4 Bea | MRO “E idpRi— e sono quindi gli indici migliori di un tranquillo e regolare svi- luppo del mantello vegetale. Data la scarsa elevazione della catena e le particolari condi- zioni climatiche. mancano nell'Appennino piemontese le associa- zioni a base di Abies e di Larix. La parte più elevata è occupata unicamente dalle associazione del Faggio; più in basso troviamo l'associazione del ceduo di castagno, quella del castagno di alto fusto, della quercia, dei pini e infine, in prossimità dell’alveo dei fiumi, quella delle piante igrofile (Alnus, Salix), e qua e là verso la pianura, quella della Aobinia. Associazione DEL FacGIio. — Questa specie che è assolutamente dominante nelle formazioni boschive comprese tra gli 800 e 1200 m., è quasi dovunque tenuta a ceduo; senonchè mentre in tutte le parti più declivi dell'Appennino il ceduo è tagliato con una certa fre- quenza (8-14 anni), in quella più elevata, per qualche diecina di metri al di qua e al di là della cresta, il taglio si fa assai meno frequentemente, e talora si pratica un semplice diradamento, onde evitare che sul terreno affatto scoperto, il vento impedisca il rego- lare sviluppo del nuovo rivestimento boschivo. Il bosco di faggio si sviluppa su tutti i tipi di terreni; lo tro- viamo sui calcari triasici del Colle dei Giovetti, sulle rocce sci- stose silicee sul M. Ermetta, sugli argilloschisti nell’alta Valle Staf- fora. Le condizioni climatiche dell’alta piovosità, nevosità, nebu- losità, della parte elevata dell'Appennino, la foltezza del rivesti- mento del suolo, fanno sì che le condizioni edafiche siano press’a poco eguali in tutta la catena, ed essenzialmente eustatiche. Tali condizioni fanno si che in parecchie località il Faggio di- scenda assai più in basso, ma in associazione (V. Staffora m. 600, Pareto presso Acqui m. 200), sia in individui sporadici (V. Staf- fora m. 500, V. Curone m. 300, V. Scrivia m. 500, V. Stura m. 300, V. Bormida m. 400). Se la faggeta di cresta e quella di valle non si differenziano che per lo sviluppo diverso della specie arborea fondamentale, af- fatto distinte sono invece le associazioni del sottobosco. Nel bosco di cresta la lunga permanenza del coperto arboreo, la bassa temperatura, la permanente umidità, favoriscono l’accumularsi di una notevole quantità di residui morti, ai quali si deve la for- mazione di un alto strato di humus assai soffice e poroso, ambiente favorevole ad una intensa vegetazione saprofita. Inoltre la scarsa illuminazione, riducendo notevolmente il numero delle specie capaci di svilupparsi in tale ambiente, per mette lo stabilirsi di associazioni e APE e i n < TO A Poe. 60 ER per, è Se bito ve” 4 diva e: a IE PILE CTR AVRO SI PERI POSTA RI DA Pi da EReSRA x NA sk 53 È, ce da x* > MEIN EIPETII SOS NS SPTSUNE RI PE pe — 229 — di specie umicole; Neottia Nidus Avis, Corallorhiza innata, Mono- tropa ITypopytis, e, nei punti meno buii, Polygonatum multiflorum, Majanthemum bifolium, Pyrola secunda, Betonica officinalis, avente il rizoma straordinariamente sviluppato, Dentaria bulbifera, D. hepta- pylla, Symphytum tuberosum, Orchis maculata, Cephalanthera en- sifolia; a queste specie si aggiugono ad E. della Scrivia la rara Agri- monia agrimonioides, a ad O. di questa il pure raro Bunium flexuosum. Sui pendii di valle, dove la faggeta è pure frequentemente sot- toposta al taglio, molte specie arboree o arbustacee possono, appro- fittando dei periodi di bosco raso, svilupparsi in varia misura. Ne risulta che la specie dominante non è così esclusiva come nella faggeta di cresta. Si associano allora Corylus Avellana, e, meno frequenti, Carpinus Betulus, Cytisus Laburnum, Pyrus Aria, Rhamnus Frangula, Viburnum Lantana, specie le quali per alcuni anni sì svi- luppano perfettamente consociate al faggio, e, col crescere di questo, rimangono a formare il sottobosco arbustaceo. Tali piante sono anche importanti perchè sono quelle che pel loro più rapido sviluppo proteggono i giovani polloni di faggio su- bito dopo il taglio. La vegetazione del sottobosco è pure più varia: ne sono carat- teristici Convallaria Majalis, Cephalanthera ensifolia, Asarum eu- ropaeum, Anemone Hepatica, Orobus variegatus, Trochischantes nodi- florus, Geranium nodosum, Prenanthes purpurea. A. queste, dove è più folto il bosco, si aggiungono alcune specie umicole preceden- temente ricordate, e, dove è meno folto, altre che sono caratteri- stiche specialmente della regione del castagno, quali Anemone tre- folia, Digitalis lutea, Veronica urticifolia. Sono in generale piante a fioritura scarsa o precoce, le quali utilizzano pel loro sviluppo principalmente il breve periodo che intercede tra la fusione delle abbondanti nevi e la formazione com- pleta delle foglie degli alberi. In molte specie, anzi, spesso manca la fioritura, e ciò special- mente quando il forte sviluppo del bosco sopprime per loro quel particolare anastatismo d’ambiente, che ricerche recenti dimostrano essere necessario per far passare un organismo del periodo vege- tativo a quello riproduttivo. Del resto molto spesso, ove le condizioni di vita vegetativa si fanno sfavorevoli in modo assoluto, gli individui che vengono ad esservi esposti portano foglie scarse e clorotiche, mentre gli organi sotterranei si ingrossano, e funzionano quasi come organo quiescente che permette alla pianta di sopportare il periodo che corre tra l’uno e l’altro taglio del bosco. ut” e 0° A A i » EE Vo a) Sr VO ee. LIRE E e Peg a 3 ‘ v BETA STU MICRO, SRI — 230 — In queste formazioni il terreno ha una piccola importanza, e noi troviamo le faggete di valle come quelle di cresta sparse su tutti i tipi di terreni. Affatto indipendenti dalla costituzione mineralogica della roccia sottostante sono le numerose specie erbacee, le quali sono o netta- mente umicole, o in ogni modo separate dalla roccia dallo spesso strato di humus. Ma basta che questo humus sia esposto all’azione diretta del sole, e che le condizioni di perfetto eustatismo si annul- lino, perchè il facies della vegetazione diventi alicolo-ruderale. Associazione DEL CastAGNO. — Alquanto più diffuso nell’Appen- nino piemontese è il castagno. Le abbondanti formazioni serpentinose e di micaschisti, specialmente nella vallata della Bormida; gli ar- gilloschisti, le argille scagliose, le marne, quando siano superficial- mente decalcificate, possono ospitare le associazioni del castagno; e ciò specialmente quando l’esposizione del terreno verso Nord, fa- vorendo la permanenza delle nevi e dell'umidità dopo la pioggia e quindi una più attiva decalcificazione, determinano una bassa e costante concentrazione del liquido degli strati superficiali del suolo, quelli che sono, come è noto, prevalentemente occupati dalle radici del castagno. Nel nostro Appennino la piovosità, la nevosità e le frequentissime esposizioni a Nord favoriscono queste condi- zioni. Il castagneto di alto fusto si incontra specialmente nella zona meno elevata, dove il frutto matura meglio e più facile è l’accesso; così tra Calizzano e Millesimo, tra Bormida e S. Giuseppe Cairo, in Val d’Orba, ecc., sono frequenti castagneti di alto fusto abba- stanza estesi. Nella parte elevata della zona del castagno non mancano indi- vidui di alto fusto, ma quivi di gran lunga più frequente è il castagneto a ceduo. Nel bosco di alto fusto il castagno costituisce la specie arborea esclusiva. Assai di rado però il castagno di alto fusto dà luogo ad un’ombra così folta da impedire lo sviluppo di una abbondante ve- getazione sulla superficie del terreno; anzi, salvo che nei luoghi male esposti, le associazioni costituenti i piani inferiori del sotto- bosco di castagno a fustaia, assumono nella nostra regione uno spic- cato carattere eliofilo. Nella parte più elevata (Colle dei Giovetti, Capanne di Marca- rolo), vi si incontrano specialmente associazioni pratensi e di pa- scolo montano. In quella inferiore, specialmente sui micaschisti, l'associazione r'dgf a che ricopre il terreno è pure continua, ma di abito piuttosto xe- rofilo; vi partecipano Melianthemum vulgare, Potentilla Tormentilla, Calluna vulgaris, Brunella vulgaris, Hieracium Pilosella, H. muro- rum, Agrostis canina, tutte specie aventi foglie in parte persistenti durante la stagione invernale, e capaci, dopo il periodo di fusione delle nevi, di utilizzare totalmente l'illuminazione solare prima dello sviluppo della chioma fogliosa dell’albero. Nelle località meno esposte, alle quali accennavo più sopra, pre- valgono specie eliofobe, come 7'hesium montanum, Viola canina, Po- lygala vulgaris, Melampyrum pratense, Euphrasia officinalis, Clino- podium vulgare, Antennaria dioica, Luzula albida, L. nivea, Descham- psia fleruosa, Pteris aquilina. In entrambi i tipi di associazioni, le quali del resto presentano spesso delle specie comuni, si osserva che l’abito è affatto per- gelicolo, corrispondente all’ultimo stadio di degradazione del ter- reno nel quale la composizione mineralogica originale, la iunga permanenza di un medesimo rivestimento vegetale, senza che av- venga mail una rinnovazione del terriccio superficiale, hanno portato a poco a poco all’eliminazione di molte specie. Queste stazioni corrispondono ad uno stadio avanzato di invec- chiamento del castagneto, che precedono spesso, ove ron succeda un rimaneggiamento degli strati superficiali, la sostituzione dell’as- sociazione di brughiera a quella boschiva. Sulle formazioni marnose, dove la composizione mineralogica originaria ha permesso solo più tardi lo stabilirsi di un castagneto, e dove la degradazione non ha portato alla ferrettizzazione degli strati superficiali, le specie del sottobosco sono più varie. Vi cre- scono: Trifolium rubens, T. montanum, Lotus corniculatus, Betonica officinalis, Calluna vulgaris, Campanula Rapunculus, Solidago Virga aurea, Achillea Millefolium, Pteris aquilina. A. queste specie se ne ag- giungono altre che avendo radici più profonde, risentono meglio la minore degradazione del terreno profondo; sono queste ad esempio: Stilene italica, Dorychnium herbaceum, Unonis spinosa. In talune località dove il castagno è larga fonte di reddito pel prodotto dei frutti, si usa zappare il terreno onde diminuire la perdita di acqua per evaporazione. È questa una causa di rinno- vamento della cotica, ma questa lavorazione affatto superficiale non vale a modificare di molto le proprietà del terreno dove questo è già troppo degradato; gli elementi floristici che si osservano sono ancora quelli precedenti, ma sviluppati in modo assai precario, e costituenti in rivestimento discontinuo, che non è affatto normale nel comportamento di queste specie. — 282 — Il bosco ceduo è situato per lo più in pendio più accentuato ; quivi perciò il materiale di degradazione subisce dei movimenti, in conseguenza delle pioggie forti o prolungate; le acque di dila- vamento delle parti superiori apportano materiale a quelli sotto- stanti, lo spessore di terreno non degradato è minore, e le perio- diche asportazioni della chioma arborea provocano bruschi cambia- menti che agiscono sia sull'ambiente edafico, che su quello epigeo. Ne risulta che il bosco ceduo è quivi assai più ricco di specie. La vegetazione arborea non vi è esclusiva, ma al castagno si associa spesso la quercia nella zona inferiore, e il faggio in quella superiore, e inoltre, e con maggior frequenza, Betula alba, Juniperus communis, Carpinus Betulus, Corylus Avellana, Ostrya carpinifolia, Populus Tremula, Salix Caprea, Pyrus communis, P. acerba (questo però solo ad O. della Scrivia) P. Arza, P. Aucuparia, Acer campestre, A. monspessulanum, Ilex Aquifolium, Tilia ulmifolia, Frarinus Excel- stor, ecc. I Queste specie appaiono piuttosto sporadiche nei castagneti posti sui pendii secchi e soleggiati, e sono invece alquanto più numerose nei valloncelli profondi e freschi, specialmente in prossimità di roccie a base scistosa. Si ha così un vero bosco misto, nel quale le condizioni clima- tiche favoriscono lo stabilirsi in modo particolare di specie mi- croterme. Il sottobosco della zona del castagno è ben diverso nei cedui secchi con castagno in prevalenza e in quelli umidi a tipo misto. Nei primi si osserva una vegetazione gelicola spesso xerofila; questa è di solito distribuita in due piani: l’uno più elevato con Juniperus communis, Spartium scoparium, Mespilus germanica, Rosa gallica, R. canina, Erica arborea (rara). Il terreno è ricoperto specialmente di Pteris aquilina, Lotus cor- niculatus, Potentilla Tormentilla, Calluna vulgaris, Hieracium Pilo- sella, H. murorum, Brachypodium pinnatum, Deschampsia flexuosa, a cui si aggiungono qua e là Selene inflata, Orobus tuberosus, Trifo- lium rubens, Genista germanica e G. tinctoria, Potentilla hirta, Hype- ricum montanum, Euphorbia dulcis, Vaccinium Myrtillus, Melttis Melissophyllum, Teucrium Scorodonia, Origanum vulgare, Thymus Serpyllum, Betonica officinalis, Centaurea amara, Leucanthemum vul- gare, Plathantera chlorantha, Lilium croceum, Molinia coerulea, ecc. Nè mancano le specie a fioritura precoce, quali Viola canina, Anemone Hepatica (scarsa), A. nemorosa, pure rara, e quasi ovunque sostituita dalla frequentissima A. trifolia, Primula vulgaris e Scilla bifolia, Crocus vernus. Svagg: = Quivi è pure abbastanza frequente una specie a fioritura tar- diva, il Crocus medius. Nel fondo dei valloncelli, l’ambiente più umido favorisce lo sviluppo di specie arboree più igrofile, a scapito dello xerofilo ca- stagno; ne deriva un’ombra più folta, un accumulo maggiore di humus, e la vegetazione del sottobosco assume un carattere netta- mente sciafita. Vi sì osservano con maggiore frequenza: Nephrodium Filix-Mas, Blechnum Spicant (particolarmente nelle località situate sopra mi- caschisti), Asarum europacum, Thalictrum aquilegifolium, Stellaria nemorum, Oxralis Acetosella, Daphne Mezereum, Dentaria bulbifèra, Spiraca Aruncus, Fragaria Vesca, Rubus sp. pl., Geranium nodosum, Circaea lutetiana, Angelica sylvestris, Vaccinium Myrtillus, Lysimachia nemorum, L. vulgaris, Veronica urticifolia, Phytheuma Scheucheeri, Ph. betonicifolium, Prenanthes purpurea, Luzula nivea, Festuca gigan- tea. Pure in queste boscaglie, ma assai più localizzate, si incon- trano, Arzstolochia rotunda, Pyrus acerba, Omphalodes cerna, Atropa Belladonna. Queste ultime specie, particolarmente le erbacee, si incontrano dove il bosco è più folto, e meno influenzato dall’opera dell’uomo, e sì possono considerare, fino a un certo punto, come residui di una distribuzione più estesa. Questo fatto della permanenza di alcune specie localizzate dove la formazione boschiva è più folta, dove quindi le condizioni di am- biente sono più costanti, ed in generale questa relativa ricchezza di specie in un terreno che per ragioni petrografiche, degradazione superficiale, accumulo di humus, costanza di umidità, ece., dovrebbe essere piuttosto povero, si ricollega col fatto già osservato in Pie- monte dal Negri (1), che la vegetazione di sciafite può rimanere per lungo tempo indipendente dalla natura del coperto arboreo che la so- vrasta. Nel nostro caso speciale essendo l’ombra prodotta da nume- rose specie, gli effetti del taglio non possono essere così gravi come nel bosco affatto omogeneo, perchè la posizione riparata dalla sta- zione, e qualche specie di rapido accrescimento possono determinare presto un ombreggiamento provvisorio che precede la protezione più stabile e più efficace della specie arborea più robusta. i Bosco pI quERCIA. — Molto diffuse sono le associazioni della quer- cia in tutto l'Appennino settentrionale. Sono costituite essenzial- mente da Quercus sessiliflora, alla quale si associano con minore fre- quenza (. pedunculata, Q. pubescens, Q. Cerris. (1) NEGRI G. — La Vegetazione della Collina di Torino, Mem. R. Ace. Scienze, Torino, S. II V. LV 1905. IO DI RT tà; Het EN — 234 — Le particolari condizioni di secchezza della zona dell’Appen- nino sottostante a quella del Castagno, ed anche la natura petrogra- fica del suolo, fanno sì che queste associazioni siano largamente distribuite su terreni abbondantemente calciferi, ed in generale in condizioni di spiccato alicolismo. Così sono rivestiti da querceti i calcari triasici di Bagnasco, i terreni marnosi terziarii, molta parte dei conglomerati del Ton- griano, le argille scagliose della Val Staffora. Ma anche qui sì os- serva che le condizioni climatiche possono agire assai efficacemente come correttivi della costituzione mineralogica del suolo, perchè ad una certa altezza, dove la maggiore pluviosità determina un dila- vamento maggiore e più costante del suolo, e quindi di un sub- strato più geloide, o dove l’esposizione a nord, per cause che già dissi, provoca gli stessi effetti, l'associazione del Castagno sì sosti- tuisce a quella della quercia anche su terreno di origine geologica identica. Il bosco di Quercia a fustaia non è molto frequente; perchè è stato molto spesso distrutto e sostituito da ceduo. Attualmente la quercia di alto fusto è limitata ad aree ristrettissime, alle falde del colli, in alcuni punti più depressi, e sostituita quasi ovunque dal ceduo. Nel bosco di quercia a fustaia questa specie è per lo più esclu- siva, ma l’ombra non è mai così folta, che non si possano svilup- pare diversi piani di sottobosco. A. costituire il piano più elevato entrano principalmente, ma non sempre contemporaneamente, Carpinus Betulus, Ostrya carpini- folia, Corylus Avellana. Al di sotto di queste, e con maggiore frequenza, si osserva una vegetazione arbustacea e suffruticosa, della quale sono elementi fon- damentali Daphne Mezereum, Prunus spinosa, Crataegus oxyacantha e C. monogyna, Lonicera Xylosteum. Poichè il querceto si sviluppa sia su substrati aloidi che gelo1dì, e poichè l’ambiente determinato dalla protezione della quercia non è così eustatico da rendere le piante di piccola mole indifferenti alla composizione mineralogica del substrato, ne risulta che la ve- getazione arbustacea presenta dei facies differenti; così sui terreni serpentinosi o silicei si trova qua e là l’Erica arborea, localizzata dove le condizioni di illuminazione lo consentono. Sulle roccie cal- cari, come in Val Curone si trovano qua e là estese associazioni di Buxus sempervirens. Anche la vegetazione erbacea che ricopre immediatamente il terreno di questi boschi risente della natura mineralogica del suolo. — 235 — Noi possiamo in tal modo incontrare una associazione alicola a base di Melleborus foetidus, Origanum vulgare, Cephalantera rubra, Ophrys Arachnites, ed un’altra gelicola con Calluna, Potentilla Tor- mentilla, ecc. Il ceduo di quercia, per l’accrescimento assai più lento di quello di castagno, per l'ombra meno intensa alla quale per molti anni può dar luogo, permette lo sviluppo di numerose specie di carat- tere xerofilo-eliofilo. Molto spesso poi, sia per la lentezza di accre- scimento sia pel cattivo modo di utilizzazione, il querceto non di alto fusto assume nella parte inferiore dell'Appennino un carat- tere cespuglioso. Anche qui la quercia non è l’essenza arborea esclusiva, ma, ol- tre alle specie arboree e arbustacee ricordate a proposito della fu- staia, vi sì associano Juniperus communis, Fraxinus Ornus, e, più raro, Pyrus torminalis, nonchè numerose specie scandenti, Clematis Vitalba, Rosa e Rubus sp. pl., Lonicera etrusca, L. Caprifolium, ecc. Delle formazioni boschive che abbiamo finora esaminato, questa è la più soggetta a variazioni nelle condizioni edafiche, sia perchè situata su terreni di differentissima natura chimica, da quelli più spiccatamente calcari, a quelli silicei, sia perchè la zona inferiore della catena presenta più di ogni altra periodi di secco prolungato, che si alternano con periodi di forte pluviosità, e inoltre perchè la copertura offerta dal ceduo di quercia è la meno atta a proteg- gere il terreno dagli sbalzi del clima. Si ha così un ambiente eda- ficamente e climatologicamente anastatico, che rende più spiccate le esigenze edafiche delle singole specie che vi sono ospitate. Come già dissi altrove, sono particolarmente le specie erbacee o comun- que di piccola mole quelle che valgono a determinare qui i diversi facies a seconda delle condizioni edafiche. Così abbiamo due associazioni xerofile e un po’ eliofile, l’una a facies alicolo e situata per lo più su fondo calcare, l’altra piuttosto gelicola. Della prima sono costituenti principali HeZleborus foetiaus, Do- rychnium herbaceum, Lathyrus latifolius, Vicia (rerardi, Cytisus ses- silifolius, Astragalus glycyphyllus, Polygala major, Odontites lutea, Origanum vulgare, Hieracium heterospermum, Brachypodium pinna- tum, e particolarmente numerose orchidee, O. Arachnites, O. arani- fera, O. apifera, Himantoglossum hyrcinum, cui sì aggiungono, nella parte un po’ più elevata, Limodorum abortivum, Aceras antropo- phora, Cephalanthera rubra. - Nell’altra si osservano Erica arborea, e, meno frequente, C'alluna vulgaris, Dianthus Seguieri, Peucedanum Cervaria, Pimpinella Saxi- oe ala ù x TI SSR TRE TT * Ù DI ug VIE e I ETTARI CI E Ro i SRI a, < è 5 do Rn IAT Tn Lo r, — 236 — fraga, Ligustrum vculgure, Lilium croceum, Pteris aquilina, e talora anche Cistus salviaefolius, che però è più frequente nella zona in- feriore. Dove il querceto è più folto e il terreno più fresco, scompaiono alcune specie eliofile, ed altre vi si aggiungono: Helleborus viridis, Clematis Vitalba, Rhamnus Cathartica, Cornus sanquinea, Melampy- rum sylvaticum, Campanula Trachelium. Un facies particolare della vegetazione del Bosco di quercia è determinato dalla presenza del Mus Cotinus. Questa specie è limi- tata alla parte della Catena che è situata ad Est della Scrivia e non viene mai nel ceduo di quercia omogeneo, bensì dove a questa specie sono frammisti Castanea vesca, Corylus Avellana, Robinia Pseuda- cacia. Mentre talora cresce colle specie proprie del sottobosco di quercia a facies xerofilo sopra ricordate, lo si trova spesso frammisto a specie microterme e igrofile come in alcune vallette nei pressi di Nazzano, dove sì osserva questa curiosa promiscuità: Quercus ses- siliflora, Robinia, Corylus, come specie arboree e rade, Equisetum Thelmateja e Rhus Cotinus in assoluta predominanza, e inoltre Equi- setum ramosissimum, Epipactis rubra, Anemone Hepatica, Lychnis divica, Lythrum Salicaria, Eupatorium cannabinum. Tutte le stazioni del Aus Cotinus sono limitate alla parte in- feriore della catena al di sotto dei 400 m. BoscHI DI GIMNosPERME. — Nell’Appennino piemontese le gimno- sperme spontanee non sono molto diffuse. Data l’altitudine di esso, mancano, almeno nell’epoca attuale, le condizioni climatiche che permettono lo stabilirsi di una zona dell’abete; del resto nella no- stra flora queste specie non sono neppure rappresentate da esem- plari sporadici, quantunque un tempo esse abbiano probabilmente assunto uno sviluppo considerevole, almeno in Val Staffora, come dirò più innanzi. Boschi di Abete rosso si trovano in una estensione relativamente piccola alle falde del M. Lecco sopra Voltaggio, e costituiscono la parte essenziale di un rimboschimento assai bene riuscito (1) sopra una falda del Monte Lecco su fondo di scisti cristallini, e ricoperto antecedentemente da pascoli. Il bosco ha una estensione di ettari 600; di questo un appez- zamento è costituito da Pinus Pinaster, un altro da Abete rosso; qua e là si incontra qualche Larix malissimo sviluppato e qualche Fagus. (1) Ann. R. Acc. Agric. Torino 1900, Vol. XLIII p. 3. Naga Il sottobosco di questa formazione è assai poco caratteristico ; vi si osservano associazioni perfettamente corrispondenti a quelle del ceduo di castagno che cresce nella parte rimanente della val. lata; nella pineta il facies è un po’ più xerofilo, ed un po’ meno sotto l’abetaia, ma in generale si osserva che l’essenza boschiva non ha influito gran che sulle associazioni sottostanti. Ciò è del resto facilmente comprensibile, quando si pensi che mancano nei din- torni associazioni di sottobosco di conifere, e che, per la brevità del tempo, non ha ancora potuto determinarsi una selezione delle specie che si sono andate sostituendo al pascolo che ivi pree- sisteva. Il Pinus Pinaster si trova pure in estese zone lungo il corso inferiore della valle d’Orba, di Stura, del Gorzente, sempre in con- seguenza di rimboschimenti; quivi pel clima più secco, pel fatto di essersi la vegetazione arborea sviluppata su un terreno piuttosto denudato e occupato da radi castagni, di cui si osserva ancora qualche residuo, pel fatto di essere il Pinus la specie arborea quasi esclu- siva, l’associazione sottostante è affatto xerofila. Tuttavia la pic- cola estensione della zona boschita (V. Gorzente, V. d’Orba, Mar- carolo), fa sì che di rado la vegetazione del sottobosco abbia un carattere speciale; all’incontro allo sbocco di Val Stura, tra Ros- siglione e Ovada la formazione a Pineta ha raggiunto una esten- sione notevole, ed una età di circa 50 anni, sufficiente perchè il sottobosco abbia assunto un carattere proprio. Il quale è del resto dato da una grandissima povertà di specie. Ciò si deve attribuire probabilmente al fatto che le condizioni nelle quali si trova la flora di un sottobosco di latifoglie, non sono di molto cambiate se ad una si sostituisce un’altra specie di latifoglie. Molto maggiore è il cambiamento se su un terreno scoperto, o su un terreno boschito con latifoglie, si stabilisce un bosco di aghifoglie. Infatti l’insola- zione risulta assai maggiore che non col bosco di latifoglie, il co- perto sempreverde durante la stagione delle pioggie difende il terreno da un eccessivo dilavamento dei sali solubili e durante quella invernale esercita pure una notevole difesa contro l’irradia- zione. È noto pure come l'accumulo dei residui di aghifoglie, più difficilmente marcescenti, possa impedire lo sviluppo di alcune spe- cie. Ne risulta così la scomparsa rapida di tutte quelle specie che non hanno potuto adattarsi al nuovo ambiente, mentre assai più lenta è l'immigrazione delle altre capaci di sostituirle. Il sottobosco assume allora un carattere di grande povertà; ciò. ha luogo spiccatamente nella località sopra ricordata, dove non si osserva che un rivestimento discontinuo del terreno, sul quale cre- ANNALI DI BoranICA — Vo. X. 16 — 238 — scono pochi cespi di Calluna culgaris, Genista pilosa, Cerastium, Hieracium murorum. La sola Conifera arborea autoctona nella catena appenninica è il Pinus sylvestris che si incontra in piccole zone presso la Bor- mida a Pallare e nella bassa Val Staffora a Monteginepro, con raro sottobosco costituito prevalentemente da Erica arborea, Calluna, Cistus salvifolius, Spartium scoparium, Hieracium murorum, H. Pi- losella. Bosco pi RoBINIA. — La diffusione della Robinia raggiunge una intensità notevole alle falde della catena appenninica; si può dire che tutti i pendii di Diluviale e di Villafranchiano non bene esposti, ove non è possibile la coltivazione a Vite o a campo o frutteto, e le rive dei torrenti presso alla pianura, sono tenuti a ceduo di Ro- binia. Si tratta per lo più di aree poco estese nelle quali la vege- tazione è assai uniforme e povera di specie. È noto quanto la Robinia sia esclusiva rispetto alle altre specie arboree ed anche quante specie erbacee e arbustacee scompaiano sotto l’influenza della Robinia. Nella nostra regione tale specie è ‘ quasi esclusivamente tenuta a ceduo, onde l’alternarsi di periodi nei quali il terreno è eccessivamente scoperto o eccessivamente om- breggiato, ha luogo con una frequenza assai maggiore che non nel caso dei cedui di Quercia o di Castagno. In tal modo vengono a mancare molte delle condizioni che valgono a proteggere le specie silvestri; inoltre, anche quando la Robinia è sviluppata, assai di- verse sono, rispetto alle altre essenze boschive, le condizioni che la Robinia offre allo svernamento delle piante del sottobosco. Durante ii periodo invernale infatti le specie silvestri camefite o criptofite trovano nei residui fogliari di castagno, di quercia, o di fag- gio, una protezione contro il freddo che, per la relativamente lenta marcescenza delle foglie stesse, dura per tutto il periodo critico della stagione invernale. All’incontro le foglie di Robinia, povere di tessuti meccanici, facilmente marcescenti, e che non formano sul terreno un coperto spesso e poroso, e perciò coibente, non possono dare luogo ad una protezione efficace delle piante svernanti. D'altra parte le specie erbacee eliofile, meglio adattate a sopportare i rigori dell'inverno allo scoperto, non trovano nella stagione estiva, sotto alla fitta ombra della Robinia le condizioni favorevoli al loro sviluppo. Così la associazione del sottobosco di Robinia è costituita da poche specie di carattere sepiario-ruderale, quali Erysimum Alliaria, Rubus cae- sius, Potentilla reptans, Geum urbanum, Hypericum perforatum, Bru- — 239 — nella vulgaris, Brachypodium pinnatum, tutte specie le quali hanno spiccata adattabilità alle più svariate condizioni d’ambiente. Particolarmente ricchi di specie sono invece i margini di tali boschi, ed abitati da associazioni di tipo spiccatamente sepiario. (Artemisia campestris, Galium Aparine, Scutellaria Columnae, Calamintha Clinopodium, Glechoma hederacea, Rhamnus Cathartica, Chaerophyllum temulum, Cornus sanguinea, Ligustrum vulgare, Malva rotundifolia, Rubus discolor, Itosa canina, Geum urbanum, Hyperi- cum perforatum, T'riticum repens, Brachypodium pinnatum). BoscHI DI SPONDA DEI CORSI D’ACQUA. — Le associazioni boschive dei margini dei corsi d’acqua sono assai scarse. Esse sono limitate ai depositi alluvionali, e questi, data la ristrettezza e l’inclinazione del fondo delle vallate dell’Appennino, non offrono un campo vasto alla vegetazione. I costituenti principali di tali associazioni sono il Salix alba, 1 Populus nigra e P. alba, Alnus glutinosa è A. incana, e, con mi- nore frequenza, il Salzx Caprea e S. incana. | Il sottobosco è vario, consta di qualche specie arbustacea (Zvo- nymus europaeus, Rhamnus Cathartica, Rubus discolor, Salix pur- purea, ecc.), e di numerose specie erbacee diverse da luogo a luogo, senza formare un’associazione caratteristica, alcune più spiccata- mente fotofite, altre piuttosto sciafite. Tale incostanza è però spie- gabile in un simile tipo di associazioni sempre in via di costitu- zione, soggette a continue invasioni di nuovi elementi floristici, al variare delle condizioni di ambiente per nuove alluvioni, per ra- pida crescita, o asportazione delle specie arboree che determinano l’ambiente al sottobosco, ecc. Vi si osservano così: Equisetum Telmateja, Festuca arundi- nacea, Agrostis canina, Scirpus sylvaticus, Juncus glaucus, Sisym- brium Alliaria, Spiraea Ulmaria, Lysimachia vulgaris, Scrophu- laria canina, Petasites officinalis, Tanacetum vulgare, ecc.; quivi si sviluppa anche qualche specie scandente, Tamus communis, e, più comune, anche Clematis Vitalba. Associazioni delle Boscaglie e delle Brughiere. Nella parte più elevata e più orientale del nostro campo di studî è affatto caratteristica una associazione formata fondamentalmente da Genista radiata, la quale ricopre ampie estensioni, e sembra sostituire affatto l’associazione del Rododendro, che manca nel nostro appennino e che è così frequente nelle Alpi. — 240 — Io la ho osservata assai sviluppata sul M. Ebro, dove la Ge- nista radiata, col suo particolare portamento, è adattissima a sop- portare l’alta nevosità della regione; quivi gli ampî cespugli espansi a corona lasciano tra loro degli spazî scoperti con fitta vegetazione erbacea a tipo di pascolo, nella quale si osservano specialmente, A2- chemilla vulgaris, Viola calcarata, Gentiana acaulis, G. reptans, Plan- tago montana, Carlina acanthifolia, Carex montana, C. Ornithopoda, e, frequentissime, Orchis globosa e O. pallens. Tra i rami dell’arbusto, e perciò meglio protetti contro l’azione del vento, si incontrano, Ranunculus aconitifolius, Rosa alpina, Potentilla recta, Valeriuna Tripteris, Homogyne alpina, Doronicum austriacum. Assai più rare sono le associazioni arbustacee nella parte ele- vata dell'Appennino situata ad Ovest della Scrivia, dove del resto manca affatto la Genista radiata; solo sì trovano qua e là radi ce- spugli di Rhamnus alpina, Pyrus Arta, ma non costituiscono mai una associazione caratteristica. Le formazioni naturali a rivestimento continuo non arboreo o arbustaceo non sono frequenti nell’Appennino, e sono situate spe- cialmente in vicinanza dei passi. ASSOCIAZIONE DELLA CALLUNA. — A stretto rigore di termini man- cano da noi le associazioni caratteristiche della formazione di bru- ghiera; esistono tuttavia delle zone nelle quali la natura dell’am- biente, e in parte gli elementi floristici, sono da riferirsi a quelli delle brughiere. Ciò si osserva particolarmente in prossimità delle più forti de- pressioni della catena, come ai Giovi e alla Bocchetta di Voltaggio. Quivi la roccia sottostante è formata di argilloschisti e di scisti cristallini che di per sè favoriscono lo stabilirsi di una vegetazione gelicola; il dilavamento prolungato che qui si verifica per la na- tura del clima, favorisce ancor più l’accentuarsi del carattere ge- loide della stazione, e l'assoluta assenza di specie arboree determina un nuovo carattere della stazione, che risulta così una stazione geloide a forte insolazione. Manca, per stabilire la perfetta analogia con una brughiera tipica, la forte secchezza del suolo o la rigidità del clima che provochino la formazione dell’humus acido fortemente demineralizzato, o la ferrettizzazione del suolo, onde la stazione sia di tipo pergeloide. Questa associazione si può ritenere rappresenti ora nel nostro Appennino la brughiera di montagna, che è così frequente nella ca- tena alpina e nel Nord d’Europa. Prevale la Calluna vulgaris, e a questa si associano con una certa. CD Qua frequenza Potentilla Tormentilla, Genista pilosa, Spartium scoparium, Succisa pratensis, e, assai più rare, Gentiana campestris, Solidago Virga aurea, Molinia caerulea. Si tratta cioè di una associazione gelicola con facies nettamente xerofilo-eliofila; nè mancano affatto gli ele- menti microtermi, come è comune anche nella vegetazione di bru- ghiera. Pure non rara vi è la Carlina vulgaris, così frequente nei pascoli magri di montagna. Nei punti meno inclinati delle depressioni sopra ricordate, sono frequenti delle superfici inzuppate di acqua, nelle quali le associa- zioni che si stabiliscono presentano molta affinità con quelle ana- loghe delle brughiere; vi si annoverano specialmente Parnassia pa- lustris, Potentilla Tormentilla, Cirsium palustre, Juncus conglomeratus, Agrostis camina. In tutta questa zona a vegetazione gelicola eliofila chiusa, basta che il terreno sia comunque rimosso, onde il sottile strato superficiale più degradato sia allontanato, e il suolo sia indifeso contro le cause che provocano una oscillazione nella concentrazione delle soluzioni, perchè ricompaiano specie termofile, quali //elychrysum angustifo- lium, Cupularta viscosa. Quivi anche gli acquitrini a fondo alquanto rimaneggiati e quindi a rivestimento vegetale discontinuo, presentano una flora differente, costituita da specie microterme frammiste a specie non così spic- catamente tali, e cioè da alcune di quelle sopra ricordate, e da Po- lygonum Persicaria, P. minus, Hypericum, Euphrasia, Mentha aqua- tica, Thypha angustifolia, Juncus Lamprocarpus. Associazioni pratensi e dei pascoli. Le associazioni naturali di piante erbacee a tipo chiuso, sono, come è ovvio, differenti a seconda dell’altitudine alla quale si svi- luppano; si possono cioè distinguere le associazioni dei pascoli su- balpini, quelle delle praterie montane, e quelle delle praterie basse. A) Associazioni dei pascoli elevati oltre i 1300 m. È limitata alla parte situata ad Est della Scrivia, che è anche quella più ele- vata della nostra regione; vi si annoverano: bBotrychium Lunaria, canunculus alpestris, Viola tricolor, V. calcarata, Alchemilla alpina, Arnica montana, Homogyne alpina, Carex ornithopoda, Cl. montana, Coeloglossum viride, Gymnadenia Conopsea, Orchis sambucina, O. pal- lens, Colchicum alpinum. Ad Ovest della Scrivia il rivestimento erboso della zona più ele- vata assume un carattere diverso ; talora, come in vicinanza delle associazioni a Calluna sopra ricordate, vi si osservano specie elio- file gelicole microterme, Thesium linophylum, Helianthemum vulgare, Trifoliwm montanum, Lotus corniculatus, Gentiana campestris, Arnica montana, Carlina acaulis, Antennaria dioica, Hypochaeris radicata, Luzula pilosa, Veratrum album, Orchis mascula, Briza media, Dan- thonia provincialis, Carex pallescens. Dove la superficie è più esposta all’azione del vento (p. e. Colle di Melogno), la vegetazione si riduce a una fitta cotica, a base spe- cialmente di Agrostis canina, nella quale stanno quasi affondate delle numerosissime rosette di Arnica montana; Plantago media, Hypochaeris radicata ; poche specie si elevano con tutto l'apparato vegetativo in modo da fare presa al vento, Genista tinctoria, Astrantia minor, Antennaria dioica. Una associazione povera a tipo di pascolo, si osserva pure assai più in basso nelle vallate appenniniche, dove non più la tempera- tura, ma la secchezza del clima costituiscono una condizione sfa- vorevole allo svolgersi di un ricco mantello vegetale, almeno dopo la stagione primaverile. Mentre le roccie calcari o marnose ospitano specialmente delle associazioni erbacee o suffrutticose a tipo aperto, i terreni argilloidi derivati dalla alterazione delle roccie serpentinose ospitano una as- sociazione chiusa eminentemente xerofila. Vi si notano:/Melianthemum vulgare, H. italicum, Polygala vulgaris, Poterium Sanguisorba, T'he- sium linophyUlum, Spiraea Filipendula, Armeria plantaginea, Thymus Serpyllum, Leucanthemum heterophyllum, Ophrys Arachnites, O. api- fera, Hladiolus paluster, Phalangium Liliago, Chrysopogon Gryllus, Danthonia provincialis. Nella zona media, dove il clima non è nè eccessivamente freddo, nè eccessivamente secco, il pascolo passa a vera e propria prateria. Talora essa è affatto scoperta, talora, per la vicinanza colle forma- zioni boschive, qualche specie arborea invade la prateria, modifi- candone sto il facies. Nella prateria fresca soleggiata le erbe Taggiungono il massimo del loro sviluppo; l’ associazione consta principalmente di Fumex Acetosa, Silene inflata, Lychnis Flos Cuculi, Anthyllis Vulneraria, Onobrychis sativa, Trifolium pretense, Rhinanthus minor (raro), La- thyrus montanus, Lotus corniculatus, Salvia pratensis, Plantago media, Phytheuma Michelii, Ph. betonicaefolium, Galium verum, Scabiosa ar- vensis, Leucanthemum vulgare, Centaurea Triumphetti, Leontodon ha- stile, Holcus mollis, Anthoranthum odoratum, Bromus erectus, Col- chicum autumnale, Gymnadenia odoratissima. Come si vede vi ha una serie numerosa di specie, tra le quali, accanto ad alcune a larghis- sima diffusione altitudinare, non mancano altre più specialmente montane. La specie arborea che più di frequente ombreggia la prateria montana, è, nella nostra regione, il Castagno, che vi è rappresen- tato da individui piuttosto radi, spesso innestati e utilizzati pel frutto, i quali moderano di molto l’insolazione diretta, onde la na- tura dell’associazione erbacea muta sensibilmente. Il feltro di gra- minacee costituenti la cotica è formato in prevalenza da Agrostis canina, vi sì fanno più frequenti Lotus corniculatus; e sopratutto Rhi- nanthus minor; molte altre di quelle prima indicate scompaiono e vengono sostituite da Dianthus Seguieri, Trifolium ochroleucum, Po- tentilla Tormentilla, Brunella vulgaris, Vaillantia glabra, Centaurea amara, Hypochaeris radicata, Festuca rubra. In complesso la vegetazione assume non solo un carattere di maggiore povertà, ma diventa anche più gelicola. Questo mutarsi della vegetazione non avviene bruscamente, come del resto è ovvio, ma si va accentuando in relazione coll’intensità del coperto arboreo, finchè si arriva ad un vero e proprio sottobosco del castagneto a fustaia come ho già descritto più addietro, e nel quale sono fre- quenti le Scrofulartacee semiparassite £hinanthus, Melampyrum, Euphraste. Le praterie della parte inferiore dell’Appenino sono troppo in- fluenzate dall’opera dell’uomo, perchè se ne possa tenere discorso in questa parte del lavoro. b) XNEROFITE. Avrei dovuto includere qui le formazioni boschive a base di Conifere che ho invece descritto a proposito delle Mesofite, asso- ciazioni le quali hanno spesso uno spiccata carattere xerofilo; nella nostra regione però tale tipo di formazione non assume quasi mal tale abito e ciò perchè non è quasi mai autoctono, e dovuto a con- dizioni speciali di ambiente, bensì di formazione successiva alle mesofite, delle quali conserva ancora alcuni caratteri specialmente nel sottobosco. Un evidente abito xérofilo si osserva invece nelle formazioni arbustacee della zona delle culture, ed in modo particolare in quelle a base di Quercus sessiliflora. Associazioni delle boscaglie e dei suffrutici. Al di sotto della zona del Castagno, dove la pendenza del suolo e l’aridità o l’instabilità delle roccie terziarie non permettono lo svi- luppo di un ceduo di quercia capace di proteggere efficacemente il ter- reno, si osserva di frequente la presenza di associazioni arbustacee. La Quercus sessiliflora forma quivi dei cespugli assai radi e bassi, e frammezzo, e spesso con maggiore abbondanza, si sviluppa lo Spar- tium junceum, che diviene così spesso la specie dominante ; a queste sì associano, .Juniperus communis, Crataegus monogyna, Aronia rotun- difolia, Frarinus Ornus. La superficie del terreno è quivi ricoperta di una associazione abbastanza ricca di specie xerofilo-eliofile: Helianthemum Fumana, Rosa sp. pl., Dorycnium herbaceum, Astragalus monspessulanus, An- thyllis culneraria, Hippocrepis comosa, Linum gallicum, L.tenvifolium, Eryngium campestre, Onosma stellulatum, Galium rubrum, Artemisia camphorata, Asperula cynanchica, Lonicera etrusca, Xeranthemum annuum, Leucanthemum pallens, Lynosyris vulgaris, Crupina vulgaris, Diplachne serotina. A queste si aggiungono, assai meno frequenti, Ferula communis, Stahelina dubia, Echinops, Melilotus neapolitana, Althea hirsuta, nella zona ad Est della Scrivia, mentre nella parte ad Ovest si incontrano Convolvulus Cantabrica, Linum strictum. In complesso si tratta di un’associazione eliofila, spiccatamente, alicola, ma con scarso anastatismo, per le proprietà fisiche della marna; i costituenti tale associazione sono in modo particolare emi- criptofiti. A queste associazioni arbustacee xerofile e termofile si colle- gano, per passaggi graduali, altre associazioni costituite fondal- mentalmente di specie pure ad abito xerofilo, e per lo più suffrutti- cose ; di rado esse formano un rinvestimento continuo, più spesso questo è discontinuo; mentre quelle del primo tipo portano a con- siderare le associazioni pratensi e dei pascoli, queste fanno passaggio alle stazioni scoperte. Tali associazioni discontinue sono particolarmente frequenti sulle roccie serpentinose, quando per cause diverse venga ad affiorare la roccia poco o punto alterata ; è noto quanto difficile sia in tal caso la formazione di un nuovo terreno vegetale, capace di fornire un rivestimento continuo del suolo. Ciò specialmente è tanto più dif- ficile a verificarsi nella nostra regione dove i lunghi periodi di secco e di intensa insolazione, e l’azione violenta delle correnti at mosferiche, costituiscono di per sè un ostacolo allo sviluppo rigo- glioso della vegetazione, indipendentemente dai caratteri proprii della roccia serpentinosa. i Su tali terreni si osservano perciò spesso delle associazioni af- fatto caratteristiche, delle quali la specie dominante è sempre suffruticosa, ma prostrata, o poco elevata dal suolo. a) Ass. del Linum Salsoloides. La si osserva frequente sulle creste elevate dell’alta Valle del Gorzente; la specie dominante ha i rami — 245 — prostrati e protetti contro il vento dal pietrame che la circonda; vi si trovano inoltre Viola heterophylla, Astrocarpus sesamoides, Linum flavum, Plantago serpentina, Senecio Doronicum, tutte specie le quali nel periodo inclemente della stagione vivono come criptofite o come emicriptofite, mentre il solo L. salsoloides è esposto come camefita ai rigori della stagione. b) Dell’Euphorbia spinosa. E’ pure frequente sui dossi serpen- tinosi della Valle Gorzente, di quella di Stura e dell’Orba, nonchè sopra gli scisti denudati della Valle di Stura. Occupa però una zona molto più bassa di quella occupata dall’associazione precedente, ed essenzialmente le esposizioni a sud, e perciò tutti i contrafforti secondarii della catena, la cui direzione è ortogonale all’asse delle vallate. L'E. spinosa non cresce prostrata, ma forma dei cespugli bassi e cupuliformi, assai spesso infestati da Cuscuta; framezzo ad essi il terreno è scoperto e occupato da radi individui di Poterium Sangui- sorba, Lotus corniculatus, Peucedanum Cervaria, Satureja montana, Helychrysum angusti folium, Inula viscosa, Sesleria argentea. Sopra le formazioni terziarie, la presenza del cemento calcare, la secchezza dell'ambiente determinata dal clima, e dalla assenza di falda acquifera superficiale, determinano lo stabilirsi di asso- ‘ciazioni aperte con caratteri di xerofilia e di alicolismo accentuati, ‘e con facies diversi a seconda della struttura meccanica della roccia. Così sui depositi arenacei del terziario aridi e soleggiati tro- viamo: Melilotus neapolitana, Astragalus hamosus, Trifolium angustifo- lium, T. scabrum, Dorychnium herbaceum, Althea hirsuta, Linum galli- cum, L. strictum, Helianthemum guttatum, Convolvulus Cantabrica, NXeranthemum annuum, oppure: Linum gallicum, Helianthemum Fu- mana, Eryngium campestre, Brunella vulgaris, Teucrium montanum Globularia vulgaris, Achillea tomentosa. Sui colli marnosi, nelle medesime condizioni di ambiente cli- matico, è caratteristica la frequenza di Spartium junceum e diInula vi- scosa, al quali si accompagnano Helianthemum Fumana, Rosa gal- lica, Anthyllis vulneraria, Dorychnium herbaceum, Ononis Natrix, Coronilla minima, Hippocrepis comosa, Eryngium campestre, Plantago Cynops, Echinops iitro, Artemisia camphorata, ecc. Sui pendii dei conglomerati tongriani a elementi serpentinosi poco cementati, e continuamente franosi, in seguito al disbosca- mento, è interessante la promiscuîtà di specie alicole e gelicole, la quale mostra di quarta importanza sia il fare un esame accuratis- simo della stazione, poichè nel nostro caso basta una disgregazione maggiore del conglomerato, o la presenza di ciottoli un po’ grossi e capaci nelle loro fessure di ospitare le radici di una pianta, per cambiare a piccolissima distanza le condizioni edafiche offerte alla vegetazione. Vi si trovano infatti: Plantago serpentina, Dianthus sylvester, Astragalus monspessulanus, Trifolium arvense, Asperula cynanchica, Silene Armeria, Helychrysum angustifolium, Jasione montana, Onosma stellulatum, Dorychnium herbaceum, Silene italica, Cistus salvifolius, Tunica Saxifraga, Brunella laciniata, Dactylis glomerata. Conviene ricordare che qui la vegetazione è molto rada e povera anche di individui. Associazioni rupestri. Le associazioni testè ricordate hanno molta analogia con quelle rupestri. Nella nostra regione la stazione rupestre è poco fre- quente, e limitata più particolarmente a roccie antiche, mentre assal più di rado la si osserva su roccie terziarie. I banchi di marne e di arenarie, anche se poco alterati, offrono di rado una vera e. propria stazione rupestre, sia pel fatto che la loro erodibilità im- pedisce una durata un po’ notevole alla stazione, sia più ancora perchè la compattezza del substrato e la povertà di acqua oppon- gono un ostacolo validissimo al loro prosperare. In tali formazioni perciò le associazioni rupestri sono localizzate ai punti nei quali 1 banchi di marne si alternano a depositi arenacei grossolani e poco cementati, i quali, provocando il drenaggio degli strati soprastanti, possono fornire l’acqua necessaria alla vegetazione. Questa è però sempre eminentemente xerofila e gli elementi principali sono : Centrantus ruber, Teucrium montanum, Tunica Sa- rifraga, Potentilla rupestris, Ononis Natrix, Dorycnium herbaceum. Dove però la flora rupestre assume nelle formazioni secondarie il massimo suo sviluppo, è sopra i conglomerati tongriani forte- mente cementati. Quivi le paceti dei tagli durano pressochè sta- bili per lungo tempo e vi si possono stabilire parecchie specie ; il facies delle associazioni varia un po’ col variare della roccia ce- mentata ; così sui conglomerati del Vogherese si osservano preva- lentemente Onosma echioides, Ajuga Chamaepytis, Artemisia campho- rata, A. campestris, Helichrysum angustifolium; meno spiccatamente alicola è la flora dei conglomerati serpentinosi, specialmente se gli ‘ elementi siano voluminosi. Le roccie serpentinose in posto offrono abbastanza frequente- mente delle stazioni rupestri, le quali, pure avendo dei caratteri di spiccata xerofilia, hanno però il carattere aloide assai meno deciso di quelle stabilite sui conglomerati pure serpentinosi o sui loro detriti); la ragione, come già dissi altrove, è ovvia; in un caso la concentrazione delle soluzioni è determinata dal cemento calcare, nell’ altro dalla estesa superficie offerta alla degradazione dai de- triti serpentinosi e dalla facilità di essicamento ; mentre nelle fessure delle rupi l’umidità è più prolungata e costante, la degra- dazione della limitata superficie delle pareti della fessura è meno accentuata e le condizioni offerte alle radici delle piante sono quelle di un maggiore eustatismo. Si incontrano stazioni di tale tipo in Val d’ Erro, ma più fre- quenti in Val d’Orba e sopratutto in Val Gorzente. Ne sono caratteristici Asplenium septentrionale, Vesicaria utri- culata, Herniaria glabra, Astrocarpus sesamoides, Vicia hirta, Euphor- bia spinosa (rara), Trinia vulgaris, Linaria supina, Plantago serpentina, Asperula Cynanchica, Scorzonera austriaca, e qua e là vi si incontra pure il Leontodon anomalus. : In generale su queste roccie, come del resto è noto, la vegeta- zione si distingue per una notevole povertà di specie e anche di individui. Talora il carattere di questa vegetazione è interessante per la spiccata analogia che presenta con quella dei vecchi muri. Assoctazioni degli alvei dei torrenti e delle frane. Le associazioni che si sviluppano sui terreni nuovi presentano sempre, nella nostra regione dei caratteri diversissimi, secondo che la loro origine è dovuta all’azione diretta dell’uomo, oppure non. Riservandomi di considerare quelle del primo tipo quando trat- terò delle formazioni antropiche, conviene prendere in esame quelle che si osservano negli alvei dei torrenti e sulle frane. ASSOCIAZIONI DEGLI ALVEI DEI TORRENTI. — Nell'ambito della nostra regione i corsi d’acqua hanno tutti un regime assai variabile, ed una inclinazione notevole, onde risulta un alveo piuttosto ristretto, salvo che per breve tratto presso alla pianura. Ovunque poi l'inclinazione dell’alveo è tale da far sì che il deposito sia sempre ciottoloso o sabbioso, mai melmoso, e che esso sia sempre così ristretto da lasciare un campo assai limitato alla vege- tazione, e per di più di frequente rimaneggiato dalle alluvioni. Il rivestimento vegetale, necessariamente molto rado, consta di qualche specie igrofita, come Salix purpurea, Epilobium sp. pl., Thy- pha minima, Phragmites communis, ma più abbondantemente di xe- Raggio rofite sempre alicole, Hippophae rhamnoides, Polychnemum arvense, Ononis Natrix, Althaea cannabina, Cynoglossum pictum, Echium vul- gare, Linaria Elatine, Inula britannica, Senecio viscosus, Centaurea Scabiosa ; talora vi si aggiunge qualche specie discesa in basso colle acque, come la Genista radiata nell'alveo della Staffora. Mancano le specie peralicole, salvo che nei greti prossimi agli abitati, dove tali associazioni fanno passaggio a quelle ruderali. Ciò del resto è facilmente comprensibile, perchè il carattere più spic» cato della stazione peraloide non salata è dato dall’anastatismo, mentre quello dei depositi alluvionali recenti ghiaiosi e ciottolosi è l’eustatismo, determinato, come è noto, dal facile deflusso delle acque di pioggia che allontanano i prodotti solubili di degradazione, e dalla difficoltà colla quale le acque profonde possono giungere alla super- ficie per capillarità ed evaporarsi. Il facies della vegetazione degli alvei dei torrenti è sempre assai variabile da luogo a luogo, non solo a causa della differenza di grossezza degli elementi ciottolosi e della sopraelevazione del suolo sulla falda acquea, ciò che determina una variazione notevole nel numero delle specie che possono adattarsi al grado di umidità della stazione, ma sopratutto in relazione colla frequenza e colla mi- sura delle piene. Così, procedendo dall’asse dell’alveo verso le sponde, si osserva sempre più avanzata l'evoluzione dell’associazione che vi si stabili- sce, e sì passa così ad una ricchezza sempre maggiore di specie ar- boree, quale ho più sopra considerato. Frane. — Quantunque nella parte orientale dell’A ppennino non manchino le argille scagliose, e quindi le frane dovute al rigonfia- mento di esse, tuttavia non mì è stato dato di osservare una ve- getazione caratteristica in corrispondenza di esse; solo qua e là ho notato una notevole frequenza di Senecio viscosus. Tra la Val Staffora e la Val Curone presso Cecima ho osservato delle estese superfici denudate in seguito al disboscamento, ed altre superfici denudate e franose si osservano in corrispondenza dei con- glomerati tongriani nelle vallate del Lemme e dell’Orba. Sopra tali superfici franose le specie che vi crescono hanno uno spiccato abito xerofilo, ed un sistema radicale assai sviluppato. Vi prevalgono Helian- themum Fumana, Dorycnium herbaceum, Crataegus monogyna, e sugli argilloschisti presso Cecima, Pyrus communis in una forma curiosa piuttosto prostrata, con cauli fortemente ingrossati e contorti. Sui conglomerati tongriani sono più frequenti Pyrus Aria e Po- pulus Tremula, e qualche specie erbacea come Agrostis canina, Her- maria glabra e Cerastium. — 249 — In queste frane non ci è dato vedere, come nei greti, 11 graduale aumentare del numero delle specie e degli individui ivi crescenti; nei greti la maggior freschezza del terreno profondo, la facilità del- l'apporto di semi colle correnti acquee, costituiscono un complesso di condizioni favorevoli che mancano nelle frane; la difficoltà di consolidamento del terreno costituisce all’incontro nelle frane un ostacolo al propagarsi delle specie che vi si sono già stabilite. Cc) SPONGOFITE. Quantunque abbastanza frequentemente sia dato l’osservare nella nostra regione delle stazioni abitate da piante acquatiche o palu- stri, tuttavia esse sono assai poco estese, onde le formazioni di tipo spougofita sono assai rare. Mancano nella nostra regione raccolte acquee così ampie e così permanenti, da dare luogo a quella serie contigua di associazioni palustri così caratteristiche, e formate ciascuna di una o di poche specie fondamentali. Nell’ Appennino sì osservano specialmente dei piccoli stagni localizzati per lo più nelle parti laterali degli alvei dei fiumi, oppure di qualche piccola de- pressione nella parte montana, riempita, in tale caso, di materiale torboso, onde lo strato d’acqua ricoprente il suolo è assai piccolo. Le formazioni delle Spongofite sono piuttosto rare nella parte collinosa della catena, e quivi, sia per le condizioni climatiche, sia per ia natura marnosa del suolo, sono sempre di tipo alicolo, quan- tunque l’aloidismo del substrato sia temperato dagli accumuli di ma- teriale torboso che si vanno formando. La natura del substrato e l’intensità della illuminazione determi- nano differenti facies delle associazioni delle spongofite. Così dove il terreno è di natura torbosa e la stazione soleggiata, la base della vegetazione è costituita da Carer, specialmente C. divisa, e a questa sl associano Juncus Bufonius, J. Lamprocarpus, Linum catharticum, L. angustifolium. Dove invece la stazione torbosa è ombreggiata, la flora si fa più povera, e talora il solo Scirpus sylvaticus ricopre il terreno. Assai scarse sono nelle stazioni torbose soleggiate le Orchidee, (Orchis laxiflora, Serapias longipetala), ma le Orchidee e particolar- mente la Serapias sono assai più frequenti, anzi caratteristiche delle stazioni più povere di materiali organici, dove quasi sì ha un pa- scolo umido su fondo argilloso. Si hanno pure delle associazioni a rivestimento discontinuo del suolo, e ciò in particolare sul terreno spiccatamente marnoso. Vi pre- valgono allora Schoenus nigricans, Cyperus fuscus, frammiste a Eu- patorium cannabinum, Equisetum Thelmateja. Ong Dove la quantità di acqua che inzuppa il substrato subisce delle variazioni un po’ estese, onde la stazione risulta un po’ anastatica, specialmente in vicinanza dei trasudamenti di acqua delle roccie marnose (trasudamenti soggetti a esaurirsi nella stagione secca) è ca- ratteristica la CAlora perfoliata, la quale spesso, nell’occupare un tale tipo di stazione, si fa anche rupicola. Sugli stillicidii, necessariamente calcariferi, della zona bassa mar- nosa delle colline, si possono pure osservare delle vere associazioni di spongofite. Quivi sopra un terreno a pendio, formato essenzial- mente di residui di alghe calcarizzate, il fondo della vegetazione è costituito da Schoenus mnigricans, e frammezzo ad esso crescono Chlora perfoliata, Erythraea Centaurium, Juncus Bufonius, Spiranthes aestivalis, e, nelle anfrattuosità, Adianthum Capillus Veneris. Nella parte più elevata della catena le associazioni di spongofite sono assal più frequenti, quantunque sempre poco estese, e hanno specialmente il carattere di piccole torbiere. La natura mineralogica del suolo e la conseguente composizione delle acque di scorrimento, il più abbondante accumulo di detriti ve- getali in conseguenza della più bassa temperatura e della maggiore pluviosità, determinano la formazione di un substrao geloide e talora persino pergeloide. Tali stazioni sono specialmente situate nelle depressioni dei va- lichi delle creste oppure nel Thalweeg delle numerosissime vallette della regione elevata. Presso le creste il substratum spongioso è situato attorno ad una piccola depressione o ad un fossetto, nel limo dei quali affondano le loro radici qualche idrofita, mentre sui margini presso all’acqua si incontrano Caltha palustris, Ranunculus Flammula, E. ophioglossi- folius, Galium palustre; un’associazione periferica a questa è costi- tuita prevalentemente da Ciperoidee, Carex distans, C. glauca, C. flava, Blysmus compressus. Nei Thalweeg sopra ricordati, l’acqua che scorre dai pendii cir- costanti irriga abbondantemente con acqua sempre rinnovata e ae- reata, la stazione torbosa, rivestita da un feltro continuo di Cipe- roidee, Carex distans, C. flava, C. stellulata, C'. panicea, Blysmus compressus, Schoenus nigricans, Eriophorum latifolium, accompa- gnate da Lotus corniculatus, L. siliquosus, Potentilla Tormentilla, e, meno costanti, Agrostis canina, Scirpus parvulus, Gnaphalium uli- ginosum, Cirsium palustre. Talora l’Ersophorum latifolium assume importanza fondamentale nel costituire il rivestimento vegetale della stazione, ed è allora in- dice di un maggiore geloidismo della stazione stessa, come si osserva — 251 — p. es. sopra Campoligure, presso alcune sorgenti al contatto tra Serpentino e micaschisti. Le acque scorrenti sopra questo ultimo tipo di roccia possono talora provocare una vegetazione spongiofita tipicamente pergelicola: si hanno allora delle vere sfagnete, come sopra Campoligure, con Drosera rotundifolia, Lysymachia nemorum Potentilla Tormentilla, 0, quando manchino gli Sfagni, il terreno è rivestito di un fitto feltro di Agrostis canina, Triodia decumbens, frammezzo alle quali crescono Carex panicea, Juncus Lamprocar- pus, Majanthemum bifolium, Drosera rotundifolia, Pontentilla Tor- mentilla. Pressochè di nessuna importanza sono le associazioni di spon- gofite situate sui margini degli scarsi canali, e costituite prevalen- temente da Ciperoidee. d) CLIZOFITE. Le piccole raccolte acquee in prossimità del torrenti, soggette ad un prosciugamento più o meno completo, sono, nei limiti del nostro distretto, le sole stazioni nelle quali sì osservino tali tipi di as- sociazioni. Per la loro piccola estensione è raro, come già dissi, trovare delle serie contigue di associazioni affini. Più frequentemente ogni singola raccolta è occupata da una sola associazione, delle quali più comune è quella del Fragmiteto, e meno diffusa quella a base di Scirpus Holoschoenus o di Thypha angustifolia o Sparganium ra- mMosum. Tanto il Fragmiteto che lo Scirpeto sono poverissimi di specie associate a quella dominante, e vi si trova soltanto la Mentha aquatica. Nelle associazioni della 7hypha e dello Sparganium, la specie dominante è meno esclusiva, e frammista o attorniata da Lythrum Salicaria, Carex sp pl, Juncus glaucus, J. bufonius, Alisma Plantago. Tali tipi di associazioni si trovano specialmente nella parte bassa della catena; più in alto esse sono assai meno frequenti e carat. teristiche, e passano facilmente al tipo torbiera ricordato più sopra a proposito delle Spongofite; la formazione clizofita è in tale caso limitata al centro delle formazioni torbose delle piccolissime raccol- te acquee situate presso i valichi; quivi, trattandosi di associazioni piuttosto precarie e nelle quali non si può perciò fissare un tipo ben netto di associazione, la flora è relativamente più varia; vi troviamo infatti Polygonum minus, P. Persicaria, Hypericum tetragonum, Epilobium, Lythrum Salicaria, Mentha aquatica, Myoso- tis palustris, Lysymachia vulgaris, Juncus Lamprocarpus, J. Bufonius. — 252 — e) IDROFITE. Pressochè insignificante è la vegetazione delle idrofite; le rac- colte acquee, ruscelli, stagni, pozzanghere, sono troppo piccole e troppo incostanti per ospitare una vegetazione di piante immerse; le poche piante acquatiche che sono riportate nell’elenco si tro- vano quà e là sporadiche senza costituire delle associazioni carat- teristiche. i Esistono da pochissimi anni nell'alta Valle del Gorzente delle ampie raccolte acquee determinate da sbarramenti artificiali, ma la loro origine è troppo recente perchè sulle pareti ripide della valle sbarrata abbia potuto erodersi uno scanno, o un qualche de- posito alluvionale abbia potuto determinare la formazione di una piccola spiaggia adatta o ospitare una qualsiasi vegetazione. PD Formazione culturale. La densità della popolazione e l'intensità della utilizzazione del terreno, hanno dato luogo, come ho già più sopra rilevato, ad una grande estensione delle stazioni culturali e di quelle ruderali. Assal poco interessante sarebbe il descrivere partitamente i ca- ratteri delle singole associazioni, le quali, come è evidente, non hanno nulla di particolare alla nostra regione; io mi limiterò perciò a pochi cenni sui principali tipi di associazioni culturali dell’ A p- pennino, che si possono suddividere in associazioni a rivestimento continuo (pratensi), e in quelle a rivestimento discontinuo (dei campi e delle messi). Associazioni pratensi. —— La conformazione della regione e le sue condizioni climatiche rendono molto ristretta l’area nella quale è possibile una coltura irrigua del prato, onde l’associazione pratense corrispondente a tale forma perfezionata di coltura, è pressochè mancante nell'Appennino. Alle falde invece, e nella parte pianeggiante del thalweeg delle vallate, è frequente la coltura prativa asciutta. Tuttavia anche qui assai di rado la cotica erbosa è il risultato della seminagione di specie pratensi ben scelte, bensì un’accolta di specie che meglio di altre hanno prosperato nelle particolari condizioni di coltivazione alle quali sono sottoposte (concimazione, falciatura, ecc.). CASB Dove una razionale coltivazione ha portato alla seminagione di specie pabulari, si osservano specialmente Medicago sativa, M. fal- cata, Onobrychis sativa, Coronilla varia, Trifolium repens, T. pra- tense, T. patens, Leucanthemum vulgare, Bromus erectus, Brachypo- dium pinnatum, Dactylis glomerata, ecc. Per la maggior parte dei prati la cotica erbosa mostra di essere stata costituita da lunga data, e le associazioni che vi si trovano testimoniano di essere state influenzate assai poco dall’opera del- l’uomo, onde accanto a specie ottime come pabulari, se ne osser- vano altre affatto negative sotto questo rispetto. La presenza di alcune di tali specie è degna di interesse, pel fatto che impartisce alle associazioni un carattere particolare che le distingue dalle ana- loghe di molte altre parti del Piemonte. Sono da ricordare tra queste Ornithogalum narbonense e Echium italicum. Delle formazioni culturali a rivestimento discontinuo del suolo si hanno da annoverare diverse associazioni ben distinte fra loro per caratteri floristici, per condizioni climatiche e edafiche, e in rela- zione inoltre colla natura della coltivazione. Il substrato più importante per l'utilizzazione agricola è offerto dalle formazioni terziarie delle falde della catena. Eccettuata quella parte abbastanza ristretta che viene utilizzata come prato, tutta la rimanente superficie utilizzabile è divisa fra la coltura del frumento e quella della vite; alla prima sono adibiti i tratti meno inclinati, alla seconda i luoghi in pendio. Spesso nella coltivazione a grano sì praticano degli avvicendamenti, nei quali il Mais ha importanza grandissima. La coltivazione della vite non è per lo più associata ad altra coltivazione. A. queste, che sono le coltivazioni principali della regione, si debbono aggiungere quelle a Medicago sativa e M. falcata nelle pra- terie, quelle di Onobrychis sativa pure nelle praterie aride, e quella del trifoglio, la quale entra più che altro a far parte degli avvi- cendamenti col frumento. Nella zona superiore sono specialmente le superfici situate in prossimità dei luoghi abitati che hanno importanza culturale; na- turalmente queste sono in relazione colla orografia della regione, e sì osservano specialmente dove nei thalweg delle vallate si sono accumulati estesi depositi alluvionali. Così è p. e. dei dintorni di Calizzano, situato in un ampio bacino pianeggiante. In questa zona però le condizioni climatiché non permettono che in misura assai più scarsa la coltivazione del frumento e della vite, e l’importanza agraria principale è data dalla segale e dalla patata. ANNALI DI BOTANICA — VoL, X. 17 — 254 — Nell’Appennino dunque i due tipi di coltivazione, quella sar- chiata e quella non tale, comportano inoltre una differenza pro- fonda nelle condizioni della vegetazione che vi si può stabilire. Coltivazioni non sarchiate. — Le coltivazioni del frumento e della segale possono dar luogo a tre tipi diversi di associazioni; e cioè a quella precoce, a quella delle messi alte e a quella del campo scoperto dopo la mietitura. In quanto alla flora arvale precoce non ho nulla di particolare da rilevare; per gli altri due tipi di associazioni occorre come al solito distinguere quelle della zona delle culture da quelle della zona superiore. In quella superiore le specie delle messi alte sono alquanto scarse; vi prevalgono Viola arvensis, Convolvulus arvensis, Specu- laria Speculum, Centaurea Cyanus, e, meno abbondanti, vi sì tro- vano Sisymbrium pyrenaicum, Scandix Pecten Veneris, in una forma ridotta pauciramosa, Linaria minor, Anchusa Barrellieri, Cirsium arvense. In quella inferiore invece, il numero delle specie è alquanto maggiore, ciò che del resto è ovvio. Oltre alle specie ricordate più sopra, sono caratteristici Polygonum Bellardi, Saponaria Vaccaria, Vicia macrocarpa, Coronilla scorpioides, Bifora radians, Turgenia latifolia, Euphorbia falcata, Galium tricorne, Knautia arvensis, Poa compressa, P. dura, Schlerochloa rigida, Lolium temulentum ; alcune di esse sono particolarmente interessanti, perchè mostrano una stretta affinità delle associazioni dei campi del versante nord con quelle analoghe del versante sud. Tale affinità è dovuta a molte cause; anzitutto la stazione ar- vense per lo spiccato aloidismo che la caratterizza è tra le meglio adattate a favorire lo spostamento dei limiti vegetativi verso climi più freddi. Inoltre le specie arvensi sopra ricordate o sono annue, o hanno comunque una estrema facilità a produrre semi, onde tali piante, comportandosi come terofite, possono essere indifferenti alle condizioni sfavorevoli di clima, che si verificano durante il loro pe- riodo di quiescenza. Da ultimo si deve anche tenere conto del fatto che le popolazioni della nostra regione hanno frequentissimi rap- porti con quelle del versante sud, dalle quali assai spesso traggono le granaglie, e con esse le impurezze. Quante delle specie sopra ricordate si siano in tal modo stabilite da poco tempo nell’A ppen- nino settentrionale, e quante vi siano invece pervenute naturalmente, è difficile il dirlo; molte di esse hanno però una larga diffusione in tutta la regione situata alle falde della catena appenninica fino al modenese; ma per il Bupleurum protractum che abbiamo osser- vato in un solo esemplare presso Gavi, si deve senza dubbio am- mettere una importazione recente. Molte di queste specie delle messi fanno parte della flora dei luoghi erbosi situati sui margini dei campi, ecc.; in tale caso però l'associazione assume, per la presenza di altre specie, un facies dif- ferente; ne tratterò più oltre a proposito di quelle associazioni, le quali non sono soltanto il risultato di una diretta, benchè involon- taria, azione dell’uomo, ma bensì i primi tentativi di una ripresa di possesso della natura sul terreno trascurato dall’ uomo. Così è pure per le specie costituenti l’associazione del campo mietuto o del campo abbandonato, nel costituire le quali l’uomo ‘esercita la sua influenza solo in parte; di queste mi occuperò fra poco. Nelle vigne e nei campi a coltura sarchiata l’azione dell’uomo è meno intensa nell’apportare con le sementi nuove specie infeste, ma è all’incontro assai più efficace nell’ esercitare una azione eli- minatrice su molte specie, che senza di essa sarebbero costituenti essenziali di tali associazioni, come si può osservare nelle associa- zioni di abbandono, corrispondenti a quella campestre. È perciò che l’associazione delle specie delle vigne è assai po- vera di individui, pure essendo abbastanza ricca di specie. Vi si trovano fumaria officinalis, Capsella Bursa Pastoris, Ra- nunculus bulbosus, Stellaria media, Dianthus prolifer, Medicago lupu- lina, M. scutellata, Euphorbia Cyparissias, Linaria vulgaris, Anthir- rhinum Orontium, Veronica didyma, Anagallis arvensis, Sherardia arvensis, Galium tricorne, Knautia arvensis, Scabiosa Columbaria, Centaurea Scabiosa, Echinops sphaerocephalus, Inula britannica, An- themis tinctoria, Leucanthemum pallens, Crepis foetida, Lactuca virosa Tussilago Farfara, Bromus sterilis, Poa annua. È, come si vede, una congerie di specie a proprietà biologiche diversissime, le une efemere e a doppia fioritura primaverile e estiva, le altre perenni, o annue, ma aventi un solo periodo di fio- ritura. Alcune più frequenti nella flora delle messi, altre in quella dei campi abbandonati; alcune si trovano sporadiche nell’associa- zione delle colture sarchiate, e sono invece costituenti fondamen- tali delle associazioni delle ripe e dei margini delle vigne. Rap- presentano quindi dei tentativi di una reinvasione del terreno nuovo stabilito dall'uomo. Salvo le efemere, che si sviluppano solo nei pe- riodi di umido, tutte le altre hanno uno spiccato abito xerofilo, di- pendente sia dalla secchezza propria del substrato; sia dall’intenso riverbero del terreno nudo, e dall’aloidismo spiccato della stazione. In complesso l'associazione delle colture sarchiate e quella pro- -- 256 — pria dei campi dopo il taglio delle messi, ci appaiono come i primi accenni alle associazioni di abbandono, come le denomina Bernatzky; sono associazioni le quali, pure risentendo ancora notevolmente del - l’opera dell’uomo, tuttavia per pochi mesi sono abbandonate a sé stesse, e presentano appunto, come tutte le associazioni secondarie, una composizione differentissima da luogo a luogo, una grande ete- rogeneità di elementi floristici, e mancano affatto di una caratte- ristica biologica ben definita, come è proprio delle associazioni sta- bilite da lunga data. XI. Formazione dei terreni abbandonati, Nelle associazioni legate alle coltivazioni precedentemente ricor- date, l’uomo esercita una influenza diretta in quanto, preparando l’ambiente terreno adatto alla pianta che egli coltiva, egli prepara altresì l’ambiente per altre piante, provvede, sia pure involontaria- mente, alla disseminazione di esse, e, almeno in parte colla sar- chiatura e colla mondatura, esercita una vera selezione, lasciando sussistere solo quelle specie, le quali arrecano minore danno alla utilizzazione agraria. Nelle formazioni che mi propongo ora di descrivere, l’influenza dell’uomo è limitata solo alla preparazione iniziale della stazione, e in parte alla agenzia disseminatoria; in parte assai maggiore in- tervengono altri agenti disseminatori. Su tutte le specie che si svi- luppano in tali stazioni l’uomo non esercita alcuna azione diretta selettiva, ma da sole le specie in libera lotta fra loro formano delle associazioni a facies continuamente rinnovantesi, pel prevalere suc- cessivo dell’una o dell’altra specie. Un primo accenno a una tale ripresa di dominio delle forze naturali lo troviamo nelle associazioni caratteristiche dei campi la- sciati a sè annualmente dopo il taglio delle messi. Nella nostra regione però le condizioni climatiche sono tali che il periodo del taglio delle messi coincide press’a poco coll’inizio di un lungo periodo di secco, onde lo sviluppo delle piante costituenti questa associazione procede assai lentamente fino all’inizio della sta- gione delle pioggie, per riprendere alquanto nella seconda metà di settembre. Ne risulta così che a costituire la flora arvale estivo- autunnale prendono parte due gruppi di piante, l’uno cioè di specie che iniziano il loro sviluppo a primavera avanzata tra le messi o subito dopo la mietitura, e lo continuano in estate approfittando — 257 — della intensa insolazione, l’altro di piante efemere le quali si accre- scono rapidamente in autunno nel terreno inzuppato dalle pioggie, ‘e giungono rapidamente a fioritura. La flora arvale estiva è assai spesso caratterizzata dalla frequenza di individui alquanto atipici, per le mutilazioni che hanno sofferto durante la mietitura, dalla frequenza di Composite, Scrofulariacee, Ombrellifere, nelle quali non è rara la tendenza a dare luogo a fio- riture tardive. Vi si trovano infatti Anthemis Cota, Sonchus asper, S. oleraceus, Cupularia viscosa, che sostituisce quivi l’ Erigeron cana- dense, Odontites serotina, Linaria Elatines, L. vulgaris, Daucus Carota, Turgenia latifolia, Scabiosa hybrida. Meno frequenti sono il Polygonum aviculare, Chenopodium urbi- cum, Polychnemum arvense, che assumono una forma prostrata. A queste specie adatte, o per una lieve succolenza, o per la ri- duzione della superficie fogliare, a sopportare la siccità e la forte insolazione estiva, si aggiungono quelle efemere sviluppantisi dopo le pioggie: Capsella Bursa-Pastoris, Stellaria media, Euphorbia fal- cata, Veronica Burbaumii. ( Come è ovvio, questa stazione di abbandono ha una durata assai limitata, perchè i lavori di seminatura la riportano in breve al tipo primitivo; non si può quindi verificare qui la successione naturale di altre specie, e la costituzione di una associazione più stabile e più caratteristica. Più lungo è il periodo di tempo concesso nella stazione sepiaria alla successione di una serie di associazioni conseguenti all’abban- dono per parte dell’uomo. Le specie costituenti fondamentalmente la stazione sepiaria sono varie: Prevalgono il Crategus oxyacanta e il Rubus discolor, special- mente nella parte inferiore; meno frequentemente sono adoperati il Cornus Mas e il Prunus spinosa, nonchè 1’ Hippophae rhammnoides, la quale viene utilizzata nei terreni aridi marnosi assai compatti, spe- cialmente in Val Curone. Questa stazione è occupata da diverse associazioni, risultanti dalla successione continua di nuove specie ad altre, divenute ina- datte allo sviluppo nelle nuove condizioni, che si vanno ivi deter- minando coll’invecchiare della stazione stessa. Le cause che determinano questa successione sono, come ho già accennato altrove, prevalentemente di natura edafica. Il suolo mosso ed aereato dal recente piantamento dell’arbusto allevato dall'uomo, e protetto dall’arbusto stesso, costituisce un ottimo substrato adatto alla nitrificazione e al conseguente sviluppo di specie alicole o pe- ralicole eustatiche. C'VONBIES Il fucies della vegetazione è perciò in tal caso eminentemente ruderale, e poco dissimile da quello delle stazioni analoghe della valle padana; vi si trovano Parietaria officinalis, Urtica dioica, Al- liaria officinalis, Malva sylvestris, Ballota nigra, Plantago major, Lapsana communis, ecc. Ben presto collo stiparsi del terreno e colla conseguente dimi- nuzione della possibilità di una attiva nitrificazione, coll’accumu- larsi dei prodotti umici, col prevalere, a causa del coperto arbu- staceo, dell’azione dilavante della pioggia sull’ascesa per capillarità delle soluzioni saline e sull’evaporazione superficiale, il carattere del- l'associazione muta alquanto; vi si sviluppano specie di più lunga durata, e meno spiccatamente peralicole. Così a lato di quelle sopra ricordate sì possono annoverare Evonymus europaeus, Sambucus nigra, e alcune specie più o meno spiccatamente scadenti Galium Mollugo, Solanum Dulcamara, Calystegia sepium, Polygonum dumetorum, Cle- matis Vitalba, Lonicera Caprifolium; sotto agli individui frutescenti le specie erbacee si vanno facendo meno frequenti anche come nu- mero di individui, e a poco a poco tale tipo di vegetazione rimane - limitato alle piante della flora precoce. Coll’invecchiare della stazione se ne vanno aggiungendo a queste, che non sono per nulla caratteristiche quanto alla loro distribuzione, altre, quali il Salza Caprea nei luoghi più freschi, e in quelli più soleggiati e più caldi Rubia tinctoria e Lonicera etrusca. L'associazione sepiaria si va, come sì vede, evolvendo verso una composizione caratteristica, la quale rappresenta una tendenza ad una ricostituzione di una associazione primitiva, tendenza che è continuamente influenzata e quindi ostacolata dall’intrusione degli elementi proprii delle stazioni ruderali, dapprima, e poi da quelle spontanee eliofile o del sottobosco. Un fatto analogo si osserva nelle associazioni murali-rupestri. Già ebbi a descrivere rapidamente le associazioni di tipo netta- mente rupestre della nostra regione. Ma specialmente nella parte meno elevata, e più abitata, i muri ‘a secco nei pressi delle case e delle strade sono frequentissimi, e costituiscono realmente una stazione caratteristica, e pressochè esclu- siva per molte specie. Il fatto poi di essere tali muri spesso assai bene esposti, e perciò facilmente riscaldabili, e riparati dai bruschi abbassamenti di temperatura, l’essere essi soggetti ad un drenaggio rapido, il quale evitando gli eccessivi inzuppamenti del terreno, fa- vorisce altresì l’apporto di sali solubili tolti ai terreni che tali muri sostengono, sono le cause per le quali tali stazioni ospitano così di frequente specie degne di interesse per la loro distribuzione preva- lentemente mediterranea. — 259 — La stazione murale rupestre offre ricetto a tre tipi di associa- zioni; l’una eminentemente peralicola, a base di Parietaria offici- malis, Chelidonium majus, Chenopodium murale, ece., localizzata per lo più presso i luoghi abitati. L'altra, alicola, pure particolarmente frequente presso i luoghi abitati, purchè soleggiati e aridi, e nei quali la temperatura, e la concentrazione che ivi ha luogo delle soluzioni drenate dalla terra retrostante, favoriscono lo sviluppo di specie macroterme a distri- buzione prevalentemente mediterranea. Vi si annoverano così: Ceterach officinarum, Umbilicus penduli- nus, Campanula Erinus, Rhagadiolus stellatus, Hyoseris radiata, e, inoltre, Crassula rubens, Sedum album, S. dasyphyllum, S. rupestre, Diplotaris muralis, Arabis hirsuta, Foeniculum officinale, Origanum vulgare, Calamintha Nepeta, Thymus Serpyllum, Anthirrhinum vulgare. La terza associazione, assai meno alicola, o addirittura gelicola, è caratterizzata dalla presenza di elementi montani e microtermi, particolarmente Asplenium Trichomanes, A. septentrionale, e talora anche il loro ibrido A. germanicum, A. Adianthum nigrum, Cystopteris fragilis, Linaria Cymbalaria. Naturalmente, oltre alle condizioni di clima e di esposizione, in- fluiscono sulla costituzione di queste associazioni anche le proprietà del substrato, in ragione della sua capacità a dare delle soluzioni sa- line; tale capacità è pure in relazione colla composizione chimica delle muraglie e del terreno retrostante che determina la stazione, poichè la presenza del calcare, o come cemento o come costituente la roccia, favorisce i processi della nitrificazione, e quindi la sali- nità del terreno. Inoltre è in relazione coll’età della stazione stessa, in quanto l'invecchiamento porta alla geloidizzazione di essa, sia coll’allon- tanamento dei materiali osmoticamente attivi, sia coll’accumulo di colloidi. Si verifica così, che le muraglie presso alle case, più ricche per lo più di cemento calcareo, ospitano più frequentemente associazioni peralicole a tipo ruderale; quelle situate anche lontano dai luoghi abitati, ma sostenenti terreni marnosi o comunque calcari, sono ca- ratterizzate dalla flora di tipo alicolo sopra ricordato; nelle re- gioni silicee, come nella Valle d’Orba, o di Stura, le muraglie a secco un po’ vecchie sono le sole nelle quali le associazioni murali. rupestri gelicole e in parte microteme, possano attecchire. Un esempio evidentissimo del rapporto tra l’età della stazione murale-rupestre e l'associazione che vi si stabilisce, la si può osser- vare assai bene sulle muraglie del Forte di Gavi. =" 260025 Quivi vi ha una grande muratura di base sostenente un terra- pieno, e quindi più umida e più degradata; sopra questa si erge la muratura del Forte di costruzione più recente e assai meno alte- rata, e col cemento calcareo ancora abbondante. La prima stazione ospita Asplenium Trichomanes, Sedum album, Geranium Robertianum, Anthirrhinum vulgare, Linaria Cymbalaria, Inula Conyza, Buphthalmum salicifolium, Helychrysum angustifolium. La seconda è caratterizzata da Purietaria judaica, Viola hirta, Cochlearia glastifolia, Thymus Serpyllum, Calamintha Nepeta, Teu- crium Scorodonia, Campanula Erinus, Centranthus ruber, Calendula arvensis, Helychrysum angustifolium, Anthemis tinctoria, Hyoseris radiata. ASSOCIAZIONE DELLE MACERIE. — Ha molta affinità colla sepiaria e con quella murale rupestre, allorchè queste sono allo stato iniziale. È ovvio il carattere peralicolo di tale associazione alla quale pren- dono parte la solite specie ruderali: Urtica, Parietaria, Chelidonium, Chenopodium, Lappa, Artemisia campestris, Cynodon Dactylon, Mar- rubium vulgare, Ballota nigra, Aethusa Cynapium, Plantago media, Euphorbia Peplis, E. Helioscopia, ecc. Meno frequenti sono Melilotus alba, Reseda lutea, E. luteola, Salvia verticillata, Torilis, Xanthium italicum. In vicinanza dei luoghi abitati e bene esposti, vi si aggiunge qua e là il Sisymbrium polyceratium e il Carduus pychnocephalus; e per ora è limitata a pochi punti l’ Artemisia Verlotorum, la quale però sembra avviata ad una diffusione larghissima (1). Di tutte le specie che ho testè ricordato, le prime sono preva- lenti nei primi periodi dopo l’inizio della nuova stazione, le altre vi sì aggiungono per lo più solo più tardi; la presenza di queste ultime non si verifica mai in misura tale da costituire gli ele- menti fondamentali dell’associazione, ma la loro comparsa segna il primo differenziarsi dell'ammasso caotico di specie che invadono il terreno nuovo, e vale anche a differenziare, secondo i diversi am- bienti climatici, una associazione tanto uniforme quale è quella delle macerie. Poichè poi la successione delle specie sopra ricordate, o di altre analoghe, si compie nel medesimo ordine dovunque si venga a sta- bilire una associazione dalle macerie, si ha qui un argomento per inferirne che anche questa associazione che sembra così strettamente legata all’attività disseminatrice dell’uomo, è assai meno indipen- (1) GoLa G. Piante rare per la Flora del Piemonte, Mem. R. Acc. Scienze Torino S. II, T. — 261 — dente, di quanto non sembri, dalle leggi che presiedono alla succes- sione delle associazioni nelle formazioni naturali, ed io ritengo sia particolarmente legata alla progressiva diminuzione della salinità e dell’anastatismo del terreno. ASSOCIAZIONI DEI MARGINI DI STRADA E DEI RELIQUATI. — Sono pure esse, come tutte le associazioni in via di rapida evoluzione, assai difficili da definire. Esse rappresentano talora uno stadio avanzato di evoluzione di una associazione originariamente caratterizzata da specie arvensi 0 ruderali, ora il risultato di un depauperamento progressivo di una associazione naturale o seminaturale, esposta ad un danneggiamento continuo pel progressivo estendersi della superficie circostante uti- lizzata dall'uomo. Vi sì possono annoverare, così, numerose specie quasi tutte ali- cole, ma la presenza di una vecchia cotica non ancora distrutta, o la formazione di una cotica per la prevalenza delle graminacee im- . partisce un carattere eustatico alla stazione. Tale associazione può nella nostra flora venire considerata come il termine intermedio della trasformazione delle associazioni chiuse in associazioni aperte e viceversa. Di graminacee si osserva: Lolium perenne, Dactylis glomerata, Setaria viridis, Diplachne serotina, Phalaris canariensis, Phleum sp. pl., Vulpia ciliata, Avena sez. Euavena sp. pl., Bromus sp. pl. Hor- deum murinum, Aegylops triuncialis, Ae. triaristata, Ae. ovata. Queste specie hanno per lo più uno sviluppo rapido nella pri- mavera, e all’inizio della stagione secca hanno terminato per lo più il loro sviluppo. Allora appaiono assai meglio e si accrescono, altre specie di diverse famiglie: Rumer obtusifolius, Ranunculus bulbosus, Silene ita- lica, Potentilla hirta, Poterium Sanguisorba, Agrimonia Eupatorium, Medicago falcata, M. lupulina, Coronilla varia, Lathyrus Aphaca, Trifolium subterraneum, T. angustifolium, 1. agrarium, Hypericum perforatum, Erodium Ciconium, Turgenia latifolia, Tordylium mari- mum, Eryngium campestre, Althaea cannabina, Cynoglossum officinale, Verbascum Thapsus, V. Lychnitis, Campanula Rapunculus, Sambucus Ebulus, Leucanthemum pallens, Tanacetum vulgare, Kentrophyllum lanatum, Crupina vulgaris, Echinops Ritro, Chondrilla juncea. Naturalmente non tutte queste specie contribuiscono insieme a costituire l'associazione; la prevalenza dell’una o dell’altra è legata strettamente all’esposizione, all’età, all'umidità della stazione. Se il complesso dell’associazione non presenta delle caratteristiche — 262 — sue proprie, essa è tuttavia interessante perchè a costituirla con» corrono spesso numerose specie termofile, indici della stretta af- finità, che lega la nostra alla flora del versante sud della catena. Sia che alcune di queste specie vadano considerate come relitti di un’area di distribuzione più estesa, e che altre segnino dei tenta- tivi di invasione in atto, della flora del versante sud, è certo che le stazioni che ora consideriamo sono affatte propizie ad ospitare specie proprie di un clima più caldo e più secco. Esse infatti sono scoperte e soleggiate, sono per origine mineralogica e per mecca- nismo edafogenetico tra le più aloidi, e noi sappiamo che una ele- vata concentrazione dei liquidi del terreno, è un coefficiente favo- revole per elevare il limite di diffusione di molte specie. Inoltre queste stazioni per la loro stessa ubicazione sono le più facili ad essere esposte all’azione disseminatrice dell’uomo, e nell'Appennino la natura degli scambii è tale, da favorire in modo particolare il trasporto di specie, dal versante tirreno al padano, piuttosto che vi- ceversa. ASSOCIAZIONI DEL Bosco RASO. — Le associazioni di abbandono che ho descritto testè, sono assai spesso affatto transitorie, almeno ri- spetto ai caratteri che assumono nei primi anni dal loro inizio. Ma assai più spiccatamente transitoria è l'associazione che si svi- luppa dove il bosco (ceduo per lo più), è stato tagliato e il terreno rimane scoperto per un po’ di tempo. La distruzione dell’humus . provocata dall’intensa insolazione, dalle alternative di secco e di umido, la nitrificazione più abbon- dante, conseguente alla temperatura ed alla aereazione maggiore, l’evaporazione superficiale che porta ad una ascesa per capillarità di materiali salini profondi, determina una aloidizzazione, e un anastatismo del terreno che era precedentemente geloide eustatico. In conseguenza degli squilibrii termici e igromtrici del terreno, si rende inoltre possibile la germinazione di molti semi che si tro- vavano ivi, da lungo tempo in istato di quiescenza. Ne risulta l'apparire quasi simultaneo di una vegetazione ricca e variata, nella quale le specie proprie del sottobosco non sono le prevalenti. Di queste si possono notare: Nephrodium Filix Mas, Poa nemoralis, Luzula albida, L. nivea, Actaea spicata, Spiraea Au- runcus, Sanicula europaea, Ajuga genevensis, Melampyrum nemorosum, Veronica Chamaedrys, Lonicera Xylosteum; o poco eliofile, Vicia Cracca, Phytheuma spicatum; se ne osservano molte altre spiccata- mente eliofile, Thesium linifolium, Thalictrum minus, Rhinanthus minor, Listera ovata, Inula hirta, Buphthelmum salicifolium, Cytisus hirsutus, ed alcune in più anche alicole o peralicole, Myosotis stricta — 263 — Geranium nodosum, Rumex Acetosa, Lactuca muralis, Stachys sylva- tica, Galium cruciata, Epilobium montanum, Anthyllis culneraria, Achillea Millefolium. È singolare la presenza simultanea di tante specie così etero- genee, ma esse sono ivi certamente pervenute in epoche e con mec- canismi diversissimi, e man mano the la vita per ciascuna di esse si è fatta difficile per l’infoltirsi del bosco, si sono deposti semi, i quali, come è noto, quando sono in maturazione non troppo avan- zata, sono assal più resistenti alle avversità del periodo della quie- scenza. Essi sono rimasti così in riposo, e altre specie si sono suc- cedute nel sottobosco a quelle divenute inadatte alle condizioni sempre più avverse che si sono andate determinando. Il simultaneo trovarsi di tutti questi semi dopo il taglio del bosco in condizioni nuovamente propizie allo sviluppo, determina la comparsa contemporanea di specie che di solito fanno parte di associazioni ben distinte. Col crescere delle essenze arboree o arbustacee ha luogo una mo- dificazione dell’associazione, nel senso di una selezione in rapporto colle esigenze biologiche dei singoli elementi che la costituiscono, e il conseguente accumularsi graduale di nuovi semi, con una eliminazione sempre maggiore per le specie più eliofile. Tali semi sono poi destinati ad una simultanea germinazione al ritorno delle condizioni speciali, determinate dalla scomparsa del coperto pro- dotto dalle essenze arboree. XII Andamento annuale della vegetazione e tipi biologici di essa. Malgrado la frequenza notevole di specie della flora mediter- ranea, il freddo invernale esercita una selezione netta eliminando tutte le sempreverdi caratteristiche di questa flora. Ne risulta che se sl eccettuano i Pinus sopra ricordati, il .Juniperus, e qualche sporadico individuo di Quercus Ilex, le sempreverdi presenti nella nostra flora sono tutte di tipo nettamente pontico: Ilex Aquifolium, Bbuxus sempervirens, Ruscus aculeatus, Polygala Chamaebuxus. Si può anzi affermare che la stagione invernale arresta netta- mente nella nostra flora ogni attività vegetativa, almeno nella parte epigea. Durante questo periodo, per ragione di difesa del plasma cellu- lare contro l’azione del freddo, si determinano dei processi idro- — 264 — litici specialmente degli idrati di carbonio che conducono ad un elevato coefficiente osmotico di succhi cellulari (1). L’elevarsi della temperatura alla fine dell’inverno, provocando delle reversioni nei processi di idrolisi, ed una conseguente dimi- nuzione di pressione osmotica, costituisce lo stimolo per il movi- mento vegetativo di alcune specie, capaci a compiere rapidamente il loro sviluppo, anche a temperatura relativamente bassa. Sono particolarmente adatte a questo rapido sviluppo molte specie le quali passano l’inverno allo stato di T'erofite annuali (Draba verna, Arabis Thaliana, Cardamine hirsuta, Veronica arvensis, V. persica Poa annua, ecc.), le quali costituiscono la fora precoce ruderale:ar- vense. Rara è in questo periodo la fioritura di specie perenni emicriptofite (2) (Eranthis hiemalis, Gagea arvensis). Un po’ maggiore è la frequenza di un altro gruppo di emi- criptofite, le quali hanno assai bene sviluppato il sistema ipogeo, e sono proprie delle stazioni boschive; esse passano l’inverno pro- tette abbastanza efficacemente dal fitto fogliame e dalle nevi abbondanti; nella primavera, quando non si è ancora sviluppata la chioma degli alberi, esse risentono assai l’azione termica dei raggi solari. Vari sono i tipi di emicriptofite che si incontrano in tali sta- zioni: a rosetta, quali Bellis perennis, Primula, tipi a sub-rosetta (Helleborus viridis, Ranunculus Ficaria, Asarum europaeum, a rosetta monopodica (Anemone trifolia, A. Hepatica, A. nemorosa, A. ranun- culoides, Viola canina, Oxralis Acetosella, Orobus variegatus, Ompha- lodes verna), tipi a geofite (Crocus vernus, Galanthus, Leucojum, Erythronium, Polygonatum, Scilla). Per tutto il rimanente della vegetazione, il grande incremento allo sviluppo, è dato dall’elevazione della temperatura e delle grandi pioggie primaverili, le quali determinano la scomparsa totale della saccarofillia invernale, e la forte diluizione delle soluzioni del ter- reno, nonchè una irrigazione diretta dei tessuti epigei. Da queste nuove condizioni vengono facilitati, da un lato i processi di mitosi per la formazione di nuovi tessuti, dall'altro la turgescenza degli elementi cellulari che ne favorisce l'ingrandimento. E così, che dopo le grandi pioggie primaverili si svolge con no- (1) Liprorss B. — Die wintergrune Flora. Lunds Univ. Arsskrift N. F. Bd. II, 1907. BADALLA L. — Lo svernamento di alcune piante sempreverdi nel clima del Piemonte. Ann. di Bot, Roma, VIII, 1910. (2) RAUNKIAER C. — Types biologiques pour la Geographie botanique. Oversigt over d. Kgl. Danske Videnskabernes selskabs Forhandlinger, 1905. — 265 — tevole intensità il grande periodo di vegetazione e fioritura pri. maverile-estivo. Tale svolgimento ha luogo con una certa gradua- zione, e subisce un rallentamento alla fine di giugno, quando la temperatura e la secchezza del terreno cominciano ad ostacolare lo sviluppo di molte specie. Mentre nel periodo aprile-giugno sono caratteristiche per la loro frequenza specie in fiore, dapprima di Crucifere, poi di Graminacee e di Orchidee, e infine di Leguminose, prevalentemente di tipo me- sotermo, nel giugno cominciano ad apparire più frequenti specie ad abito xerofitico e termofile, appartenenti a Campanulacee e più ancora a Composite e Dipsacee. In un primo stadio, sono cioè gli elementi caratteristici della flora centroeuropea, che sì mostrano nel loro pieno sviluppo, nel secondo essi cedono il campo a quelli dell'Europa meridionale. Non sempre però si può dire che tali due gruppi si succedano sul medesimo terreno; piuttosto si può osservare che le formazioni continue boschive o pratensi, più gelicole, più eustatiche, appaiono nel loro pieno rigoglio nel periodo aprile-giugno, quelle discon - tinue più alicole, più anastatiche, siano esse naturali o antropiche, sono in ritardo su quelle precedentemente ricordate. Si tratta di specie ricche di sclerenchimi, talora spinescenti, in gran parte Composite: Crupina vulgaris, Centaurea solstitialis, Nanthium spinosum, X. macrocarpum, Carlina acanthifolia, Ono- pordon Acanthium, Xeranthemum sp. pl., Centaurea aplolepa, C. Calcitrapa, Carduus sp. pl., Kentrophyllum lanatum, Stachelina dubia, Inula sp. pl., Artemisia camnvphorata, Helychrysum Stoechas e angu- stifolium, e in minor numero appartenenti ad altre famiglie, /e- rula communis, Althea hirsuta, A. cannabina, Chenopodium, Atriplex. Il numero delle specie fiorite va poi rapidamente diminuendo dal luglio in poi, sia perchè molte hanno già compiuto il loro ciclo vegetativo annuale, sia perchè l’ipertonia, determinata nei loro tessuti dalla insolazione continua e dall’elevarsi della concentra- zione dei liquidi del terreno, va accentuandosi, e paralizza ogni nuovo processo formativo. Nell’ultima decade di agosto, ma più ancora nel settembre, le pioggie sopravvenienti abbassano la concentrazione molecolare dei succhi cellulari, ed allora si verifica una ripresa della vegetazione, tavorita dalla temperatura ancora relativamente elevata, che si pro- lunga fino all’ottobre avanzato. Allora, ritornano a comparire le specie efemere proprie dei ter- reni a mantello vegetale discontinuo, specialmente campi e rude- rati: Capsella Bursa Pastoris, Stellari amedia, Veronica arvensis, Ana- — 266 — gallis caerulea, A. arvensis, Mercurialis annua, Euphorbia Helioscopia, Ajuga Chamaepytis, Passerina vulgaris, Polychnemum arvense, Nigella arvensis, Stachys annua. Molte altre specie perenni riprendono un po’ più intensa la fioritura; sono specialmente le Composite ricordate precedente- mente: Lynosyris, Cupularia viscosa, Crupina, Centaurea, Inula sp. pl., parecchie Scabiosa, Odontites, Euphrasia, a fioritura prevalente- mente tardiva, ma non ne mancano altre fiorenti specialmente in primavera avanzata e rifiorenti in autunno, quali Dianthus sylve- ster, Chlora perfoliata, Jasione montana, Silene Otites, S. inflata, Linum tenuifolium, ecc. Nella parte della catena che più si avvicina alla Liguria, come nell’alta Valle del Gorzente, sono caratteristiche in questa stagione le fioriture di Aster acer, Crocus medius, Scilla italica, le quali sono gli indici più spiccati di una tendenza ad un periodo di fioritura autunnale nella nostra regione, e che si manifesta con regolarità e intensità notevoli sull’altro versante. L’andamento generale della fioritura ricorda adunque assai da vicino quello della flora del versante sud della catena, piuttosto che quello della rimanente regione del Piemonte. Ma nello stabilirsi di questa affinità il clima ha esercitato una selezione fortissima per rispetto alla capacità a sopportare il freddo invernale. Infatti nella nostra regione il clima presenta, come dissi, un facies continentale durante la stagione invernale. Ne risulta così l’as- senza di quasi tutte le sempreverdi mediterranee (vi è solo qualche Quercus Ilex, Erica arborea, Daphne Laureola, Rubia tinctorum), una scarsità notevole di Fanerofite a foglie caduche e termofile (Fraxrinus Ornus, Pistacia Therebintus, Lonicera etrusca), talora nane (Euphorbia spinosa, Cistus salvifolius), e di Camefite (Artemisia camphorata, He- Lychrysum Stoechas, H. angustifolium, Polygala mnicaeensis). Si osserva invece una frequenza assai maggiore di Emicripto- fite, di. Criptofite e di Terofite. XIIT: Affinità colla Flora delle regioni vicine (1). Mancano in questa regione gli endemismi veri e proprii, come del resto è ovvio per una zona nella quale l’isolamento manca affatto. Anzi, una regione come la nostra, la quale costituisce il legame tra due sistemi montagnosi così importanti quali le Alpi e gli Appennini, che rappresenta uno dei valichi più facili per le mi- grazioni delle popolazioni e degli animali migratori dal bacino pa- . dano a quello tirreno, risente, come è naturale delle vegetazioni così caratteristicamente diverse della catena alpina, di quella appen- nina, della regione mediterranea, e di quella della pianura padana. a) Zona DI PASCOLI. — La scarsa elevazione della regione non permette, come dissi, lo stabilirsi di una vera e propria vegetazione subalpina, la quale si presenta perciò assai povera di specie, e limitata all'estremità orientale, che è la più elevata. Quivi si tro- vano le prime elevazioni un po’ notevoli dell’appennino settentrio- nale, e la vegetazione di specie subalpine è, in misura affatto de- pauperata, quella della parte elevata dell'Appennino settentrionale. Come del resto è notissimo, la Flora dell'Appennino settentrio- nale è ricchissima di elementi comuni con quella della zona. su- balpina delle Alpi; ciò si verifica in modo assoluto per la nostra regione. Gli elementi principali che la costituiscono sono: MHomogyne alpina, Alchemilla alpina, Arnica montana, Ranunculus alpestris, Viola calcarata, Biscutella laevigata, Carex montana, C. ornithopoda. (1) Per questo argomento oltre alle opere floristiche già ricordate mi sono valso principalmente di Fiori: PAOLETTI e BEGUINOT, Flora analitica d’ Italia ; GIBELLI e PIROTTA. — Flora del Modenese e del Reggiano, Modena, 1882 e suppl. PASSERINI. — Flora dei contorni di Parma, Parma, 1852; BraccIFORTI A. — Flora Piacentina. BickNELL. — Flora of Bordighera and S. Remo, Bordighera. 1896. ArpoIno. — Flora des Alpes Marittimes, 1879, CAMISOLA. — Flora astese, Asti, 1854; FERRARIS e FERRO. — Materiali per una Flora del Circondario di Alba, N. G. B. I. 1904-1906. NEGRI. — La vegetazione della Collina di Crea, Mem. R. Acc. Sc. Torino, SHIT, T. LVII L906: — 268 — La sola Genista radiata raggiunge l’estremo limite occidentale nell'Appennino settentrionale all’estremità Est della nostra regione, e per poco anche quello occidentale europeo, perchè più ad Ovest la si trova in una sola località presso Gap nelle Alpi Cozie francesi. b) LA zoNnA DEI BoscHI è caratterizzata dalla prevalenza asso- luta dell'elemento silvatico montano, mentre in misura assai minore vi prendono parte altri elementi floristici. Elemento silvatico-montano. — Nella nostra regione sono più abbondanti le specie ad estesa area di distribuzione eurasico-nord- americana, e quelle centro e sud-europee; ma non vi mancano le specie puramente alpine (Astrantia major, Bupleurum ranunculoides, Trochischantes nodiflorus, Linaria supina, Galium rubrum, Phytheuma Michelii, Ph. Scheuchzeri, Doronicum austriacum, ecc.), e quelle pi- reneo-alpine (Ranunculus pyrenaeus, Crepis blattarioides, Homogyne alpina). Ma poco valore ha nel nostro caso il distimguere minutamente l’origine di ciascuna specie componente l’elemento. silvatico-mon- tano, perchè tutte le specie di questo tipo esistenti nella nostra flora, sono assai bene rappresentate nelle finitimi e Alpi Marittime; la massima parte di esse si trova anche nell'Appennino settentrio- nale ad Est della nostra regione. La prevalenza dell’elemento silvatico-montano si manifesta in tutte le associazioni della zona dei boschi. Elemento atlantico. — È rappresentato da un numero relativa- mente ristretto «li specie: Fagus sylvatica, Calluna culgaris, Erica cinerea, Anarrhinum bellidifolium, Laserpitium gallicum, Teucrium Scorodonia, Cytisus sessilifolius, Sharothamnus scoparius, Luzula nivea. Elemento sud-occidentale. — Scarsamente rappresentato, ma di interesse notevole pel significato che hanno le specie che lo rap- presentano; sono specialmente: Crocus medius, Allium suaveolens, Briza minor, Genista cinerea, Astragalus purpureus, Bunium flexuo- sum, Linum salsoloides, Anagallis tenella. La maggior parte di esse sono localizzate in Italia nella Li- guria occidentale, e nella Valle padana occupano solo ia parte ele- vata della nostra regione. Molte specie mediterranee, sono diffuse nella Valle padana, ma il fatto è assai meno spiccato per le specie liguri occidentali, le quali rimangono in gran parte localizzate presso il crinale, e non si spingono molto all’est, e neppure si estendono al nord nella Valle padana, come è caratteristico delle specie francamente me- diterranee Co OR, Elemento mediterraneo. — Nella nostra flora l’elemento medi. terraneo è rappresentato piuttosto da specie termofile, mancano quindi nella zona dei boschi le condizioni per lo sviluppo intenso degli elementi mediterranei, quale si osserva invece nella zona in- feriore. Tuttavia ne sono caratteristici: Lilium croceum, Galanthus nivalis, Aristolochia rotunda, Euphorbia insularis, Dianthus virgi- neus, Geranium nodosum, Pyrus acerba, Hieracium Virga aurea, Aster acer, Helichrysum angustifolium, Carlina acanthifolia. Tuttavia anche in questa zona relativamente elevata dell’A p- pennino non mancano elementi termofili, localizzati nelle stazioni meglio esposte, come ho detto più sopra. Così il Quercus Ilex, Euphorbia spinosa, Asphodelus cerasifer, Silene nocturna, si incon- trano unicamente nella parte elevata della catena approfittando dell’innalzamento delle zone di vegetazione che si verifica sul ver- sante sud, ed occupando le poche stazioni del versante padano che sono prossime alla cresta, e che presentano analogie di con- dizioni. Elemento orientale. — Colla catena appenninica ad Est della Staf- fora le affinità sono strettissime. Non solo tutte o quasi le specie comuni alla nostra regione e alla catena alpina si estendono anche all’Est nell'Appennino emiliano, ma pare che altre a distribuzione orientale o austro-orientale raggiungano nell’Appennino piemontese il loro limite nord-occidentale. Senonchè mentre poche di esse sono limitate, o quasi, al versante adriatico della catena appenninica, almeno nell'Appennino setten- trionale, e non si possono perciò considerare affatto in relazione collo Flora ligustica (Astragalus Gremlii, Lathyrus venetus, Digitalis ferruginea, Agrimonia agrimonioides), moltissime altre sono frequenti sul versante tirreno dell'Appennino ligure, e possono così portare ad una complicazione quando si voglia considerare l'origine della Flora di questa regione. Ricordo a caso: Orchis pallens, Dentaria enneaphyllos, Anchusa Barrellieri, Stachys italica, Pimpinella Tra- gium, Evonymus latifolius. ZONA DELLE CULTURE. — Elemento centro-europeo. — In questa zona tale elemento è assai più scarsamente rappresentato, e inoltre non entra a far parte di tutte le associazioni. Come ho già rilevato in altra occasione, e come del resto è no- tissimo, gli elementi microtermi, quali sono quelli centro-europei, non si abbassano verso una zona a clima più caldo, se non che in speciali condizioni; anche nell'Appennino si vede la conferma di questo fatto, perchè gli elementi microtermi non fanno parte di ANNALI DI BorANICA — Von. X. 18 SOT tutte le associazioni, ma solo delle geloidi eustatiche, quali sono ad esempio quelle di molti luoghi ombreggiati o di terreni poveri di sali solubili e a rivestimento continuo. Così vi si trovano Bracky- podium pinnatum, Anemone Hepatica, Salix Caprea, Trifolium al- pestre, Acer campestre, Pimpinella Saxifraga, Rubus caesius, Fraxi- nus Excelsior, Viburnum Lantana, Jasione montana, Solidago Virga aurea. Nelle stazioni delle Elofite di questa zona mancano, si può dire, le specie microterme, e ciò si spiega dato il carattere di instabi- lità, e l’aloidismo che si verifica ad ogni stagione estiva delle poche stazioni umide di questa zona. Poco rappresentato è l'elemento occidentale, tanto quello micro- termo che quello termofilo. Al primo gruppo possiamo ascrivere Cy- tisus sessilifolius, Anarrhinum bellidifolium e Calluna e Sharotham- nus scoparius, che del resto sono più frequenti nella zona più ele- vata. Il gruppo di specie sud-occidentali è esso pure scarsamente rappresentato. Vi si annoverano: la Centaurea aspera, Inula mon- tana, che si spinge sino ai confini orientali della nostra regione, e Koeleria valesiaca, Aphyllanthes monspeliensis, Thymus vulgaris, Leu- zea conifera, le quali sono invece limitate alla parte occidentale e quivi raggiungono nella Valle del Po il loro limite orientale. Elemento mediterraneo. — Nella zona delle colture la presenza dell'elemento mediterraneo, senza che questo sia prevalente, nè per numero di specie, nè per frequenza di individui, è il fatto che più colpisce l’osservatore. Senza mai costituire l'elemento fondamentale di ogni singola associazione esso tuttavia entra a far parte di tutte, e a determinare in ciascuna di esse un facies, caratteristico che le differenzia da quelle, pure tanto simili, che sì osservano nella parte rimanente della regione piemontese. Come già più volte ebbi a dire, i rappresentanti della flora me- diterranea sono limitati a poche fanerofite (e non sempreverdi), a poche camefite e prevalentemente a emicriptofite, criptofite e te- rofite. Sono meno frequenti nelle associazioni chiuse, tuttavia noi vi troviamo Ornithogalum pyrenaicum, O. narbonense, Ophrys sp. pl., Serapias longipetala, Orchis papilionacea, (). provincialis, Himanto- glossum hircinum, Limodorum abortivum. Ma assai più frequenti lo sono in quelle aperte, come si può rilevare dalla lunga serie che riporto: Triticum repens, Aegylops triaristata, Ae. triuncialis, Bromus madritensis, Sisymbrium altissimum, S. polyceratium, Glaucium fla- cum, Umbilicus pendulinus, Helianthemum Fumana, H. guttatum, Cistus salvie folius, Sedum rubens, Argyrolobium linneanum, Ononis Natrix, Me- aa lilotusneapolitana, Trigonella monspeliaca, Medicago orbicularis, M.ri- gida, M. Gerardi, Trifolium rubens, T. stellatum, Coronilla Emerus, Astragalus hamosus, A. monspessulanus, Coronilla scorpioides, Vicia Cassubica, V. macrocarpa, Euphorbia spinosa, Pistacia Therebinthus, Oenanthe pimpinelloides, Linum viscosum, L. tenuifolium, L. gallicum, Althea cannabina, Fraxinus Ornus, Ciymoglossum pictum, Echium ita- licum, Convolvulus Cantabrica, Bartsia latifolia, Stachys italica, Oro- banche lutea, 0. variegata, Salvia Sclarea, Plantago Cynops, Lonicera etrusca, Centrantus ruber, Rubia tinctoria, Campanula Erinus, Sca- bosa holosericea, Inula bifrons, Inula viscosa, I. spireifolia, Hely- chrysum angustifolium, H. Stoechas, Echinops elegans, Asteriscus spi- nosus, Xeranthemum sp. pl., Stahelina dubia, Carduus pycnocephalus, Centaurea alba, C.aplolepa, Rhagadiolus stellatus, Hyoseris radiata, Tolpis virgata, Helminthia echioides, Robertia tararacoides, Urosper- mum Daleschampii, Picridium vulgare, Tragopogon crocifolius. Non per tutte le specie ricordate è uguale il significato della loro presenza; alcune fanno parte della flora avventizia o di asso- ciazioni occupanti stazioni che risentono assai dell’azione dell’uomo; ma per parecchie altre la presenza nella nostra regione si deve pro- babilmente attribuire a cause oscure sì ma non meno naturali di quelle che hanno determinato la diffusione degli altri elementi flo- ristici che sono andato fin qui enumerando. La frequenza di queste specie si va accentuando nella parte più settentrionale della regione e specialmente nelle vicinanze del si- stema collinoso del Monferrato e delle Langhe. Anzi molte specie che nel nostro Appennino si incontrano piuttosto di rado, sono più abbondanti nel sistema collinoso sopra ricordato, ove sono associate a parecchie altre che mancano o non sono state fin qui indicate perl’ Appennino piemontese (Sterndergia lutea, Capparis spinosa, Zizi- phus vulgaris, Erodium malacoides, Vicia pannonica, Momordica Ela- terium, Carpesium cernuum, Catananche caerula). Elemento orientale. — Come per la zona dei boschi, l’affinità della vegetazione della zona delle culture con quella corrispondente del- l’Appenino emiliano è essai stretta. Nella zona dei boschi, come si disse, l’affinità coll’Appennino emiliano consiste più che altro nel carattere prevalentemente centro-europeo della vegetazione che vi sì trova, temperato solo dal primo apparire di qualche specie prettamente orientale o appennina; perciò questa zona presenta re- lativamente poca differenza da quella corrispondente situata alle falde della catena alpina. S Invece nella zona delle culture l’affinità colla vegetazione del- l'Appennino emiliano è assai stretta, e invece assai minore lo è colla zona ad ovest appartenente alla catena alpina. — 2722 — Sia perchè l’identità di costituzione geologica determina una conformità nell’orografia, sia perchè il clima vi è analogo, il facies della flora è in questa zona affatto simile in tutta la regione preap- pennina emiliana o piemontese. Sono in generale specie termofile quelle che dànno tale carat- tere di affinità e queste si fanno assai scarse nella catena alpina situata più ad ovest o a nord-ovest. Parecchie di tali specie termo- file nella loro espansione in Piemonte evitano quasi il sistema alpino, e si estendono al sistema collinoso del Monferrato e delle Langhe. In tal modo risulta come una fascia continua, Base dell'A ppen- nino emiliano — dell'Appennino piemontese —- Colli del Monferrato, (insomma una fascia di terreni terziari), nella quale la flora mantiene uno notevole omogeneità di carattere, pur perdendo nella sua espan- sione verso occidente una parte dei suoi elementi più spiccatamente orientali, e acquistandone di occidentali e di centro-europei. Pochissime sono le specie, le quali, essendo diffuse lungo questa zona, evitano il versante tirreno dell’Appennino ligure; io non po- trei citare che il Peucedanum verticillare e la Digitalis ferruginea; assal più frequenti sono le specie termofile mediterranee comuni . ai due versanti. Non riporto esempii di specie comuni all’Appen- nino piemontese e a quello emiliano perchè ne riuscirebbe troppo lungo l’elenco, e il catalogo riportato in fine del lavoro ne offre numerosissimi; nè riporterò per le stesse ragioni l’elenco di quelle specie che sono comuni all’Appennino ligure e all’emiliano. L'origine della flora attuale dell'Appennino costituisce un pro- blema affatto insoluto, e non è certo la regione che ho preso in esame, quella che presenti caratteristiche così salienti da potere servire di guida in questo studio. Le glaciazioni, che segnarono l’inizio del Quaternario, non hanno avuto nella catena appennina uno sviluppo tale, da sottrarre alla vegetazione preesistente delle superfici così estese, da modificare per ciò solo il carattere della flora. Ciò è tanto più evidente nella nostra regione, dove, per la scarsa altitudine e per la semplicità dell’orografia, le manifestazioni gla- ciali furono ridottissime e limitate probabilmente a poche vedrette nella parte elevata dei M. Settepani, M. Ermetta, M. Tobbio, M. Figne, M. Ebro. Le estremità della nostra regione confinavano però con i ghiacciai assai sviluppati della Val Tanaro, e quelli della Valle Trebbia, d’Aveto (1). (1) Sacco F. — Lo sviluppo glaciale mnell’Appennino settentrionale. Boll. Club Alpino Ital. 1893, vol. XXVII; TARAMELLI T., L’epoca glaciale in Italia, Atti Soc. Ital., per il progresso delle scienze, IV, Napoli, 1910. La nostra regione offrì quindi, una estesa superficie al rifugio delle specie montane e alpine, respinte dall’abbassamento dei limiti delle, nevi nella catena alpina, e costituirono, come è ormai accet- tata da tutti, il ponte di passaggio per l’emigrazione della fiora delle Alpi nella penisola lungo la catena appenninica. Dopo l’ultima glaciazione, e forse in uno dei periodi intergla- ciali, quando le mutate condizioni del clima favorirono l'avanzata lungo la catena alpina di piante orientali, sia di tipo pannonico, sia di tipo illirico-pontico, si verificarono assai probabilmente ana- loghe invasioni lungo la catena appennina. Gli elementi pannonici che si trovano nel nostro Appennino hanno con tutta probabilità seguîta la catena dei monti dell'Emilia migrando da Est e Ovest, perchè per molti di essi se ne osserva la mancanza in tutta la parte rimanente della catena alpina pie- montese fino ai grandi laghi; mancano anche nella Liguria all’in- fuori della parte più prossima all’Appennino Emiliano e alle Alpi Apuane; tali piante invece, senza mai penetrare nella Liguria, si sono estese nella Valle Padana verso il Subappennino (Digitalis fer- ruginea, Peucedanum verticillare, Lathyrus venetus). Mentre l’elemento di tipo pannonico occupa particolarmente la regione dei boschi, quello illirico-pontico si estende in quella delle culture. Per stabilire l’origine di questa invasione nel nostro campo di studio, occorre fare un esame accurato dell'importanza che la vi- cinanza del bacino tirreno può avere esercitato sulla nostra regione. Invero parecchi autori sono d’accordo nel ritenere che l’elemento mediterraneo sia pervenuto nella regione piemontese solo attraverso la depressione appenninica. Senza escludere affatto questa origine, io mi limito ad osser- vare che parecchie ragioni tendono a fare ammettere che l’arrivo di queste piante nella nostra regione abbia avuto luogo per due vie, padana l’una, tirrena l’altra. Anzitutto nulla si oppone ad ammettere la possibilità di una via padana di immigrazione quando si abbia ammesso che questa via ha servito per l’arrivo della flora pannonica, e quando si abbia il dato di fatto, ovvio a rilevarsi, della presenza di tutte le specie il- lico.pontiche proprie al nostro Appennino sia presso l’estremità est della Valle padana, sia pella Liguria. Inoltre, come già ebbi a rilevare, l'elemento mediterraneo che sì osserva nel nostro Appennino è il risultato di una selezione for- tissima, rispetto al clima, operata sulle piante proprie del versante ligure. Anche l’elemento mediterraneo, che occupa tutto il versante — 274 — padano dell'Appennino settentrionale, è, per dir così, selezionato in modo analogo rispetto al clima, tanto che in tutto l'Appennino set- tentrionale mancano, si può dire, tutte le sempreverdi così carat- teristiche della flora ligustica e mediverranea in genere. Inoltre la Flora ligustica è costituita, tra altro, da due gruppi di piante, l’uno a distribuzione prevalentemente mediterraneo-orien- tale, l’altro di origine nettamente occidentale. Per le specie di questo secondo gruppo, che si trovano anche sul versante padano del nostro A pennino, è evidente che il passaggio non può essere avvenuto che attraverso i valichi della catena. Orbene, tra le specie di questo gruppo che hanno indubbia- mente valicato l’Apennino, e quelle del primo gruppo si osserva un ben diverso comportamento. Le specie occidentali o centro-mediterranee occupano solo sta- zioni di cresta e non formano mai associazioni caratteristiche, ma sì incontrano solo sporadicamente a far parte di svariate associa- zioni, anzi sul nostro versante alcune si incontrano in associazioni diverse da quelle che contribuiscono a formare sul versante sud della catena. Così il Linum campanulatum, Iberis linifolia, Euphor- bia spinosa, E. insularis, Crocus medius, Leuzea conifera, Aphyl- lantes monspeliensis, mancano affatto nell'Appennino emiliano e nel Subappennino, quantunque e roccie silicee e terreni marnosi non siano mancati alla base delle Alpi e nei colli terziarii delle Langhe e del Monferrato, e le recenti pratiche del disboscamento abbiano offerto terreni nuovi adatti allo svolgersi di specie eminentemente xerofile, come parecchie di quelle testè ricordate. All’incontro l'elemento mediterraneo-orientale è diffusissimo al nord dell’Appennino sia verso est, lungo tutti i colli dell'Emilia, sia nel Piemonte, dove si spinge senza depauperamenti notevoli nei colli del Monferrato fin quasi al Po, e conservando per tutta questa estensione il carattere comunejdi associazioni abbastanza omogenee e ben caratterizzate. Farneti afferma di avere potuto constatare il meccanismo che permetterebbe il valico delle specie mediterranee; il versante sud, riscaldato specialmente sulle roccie calcari e serpentinose, provoca l'innalzamento fino alla cresta delle specie termofile, e queste di- scendono poi su tali roccie fino alla base dei monti, dove trovano le condizioni climatiche per espandersi. Egli dice che il fenomeno si verifica con regolarità, tanto che appare evidente il contrasto tra le associazioni crescenti su terreni petrograficamente differenti. Che esista questo contrasto in rapporto con condizioni petro- grafiche diverse, quando siano costanti gli altri fattori, p. e. cli- dia: matici, antropici, ecc., è cosa evidente e ne ho già trattato a lungo altrove; che alune specie meridionali si trovino sul nostro A ppen- nino localizzate particolarmente su terreni capaci di determinare un maggiore aloidismo della stazione, è cosa che ho pure già dimostrato altrove. Ma mi permetto di non condividere l’opinione del botanico pavese, sull’influenza che tale fatto può avere nel determinare l’in- vasione dell’elemento mediterraneo orientale nell’alta valle padana. Nel nostro tratto di Appennino la cresta è formata principal- mente di micachisti e argilloschisti e non offre quivi le condi- zioni favorevoli al passaggio indicato dal Farneti, e io stesso ne ho potuto fare la constatazione, poichè sono rarissime su tali ter- reni le piante termofile, le quali starebbero operando il valico. Ma verso la Val Tanaro esistono degli affioramenti calcari, e in corrispondenza delle alte valli del Gorzente, del Lemme e dell’Orba, vi hanno dei massicci serpentinosi i quali sono ora scoperti e assai riscaldabili, perchè i disboscamenti vi hanno determinato l’asporta- zione della cotica e la formazione di un terreno avente appunto i requisiti indicati dal Farneti. Questi terreni offrono infatti il passaggio sul versante padano a Linum salsoloides, L. campanulatum, Euphorbia spinosa, Iberis linifolia, Astrocarpus sesamoides, Linaria supina, Aster acer, Vesi- caria utriculata, a Leuzea conifera (sul calcare). Tuttavia nessuna di queste specie scende più in basso di circa 200 m. dalla cresta; il Crocus medius, che pure è così frequente nei castagneti, e che è di indubbia penetrazione dalla Liguria, si arresta assai in alto nelle vallate appenniniche; l’Asphodelus cera- sifer, così frequente nelle parti bene esposte della cresta verso il Colle di Melogno, non discende affatto sul versante nord, dove pure è così frequente l’ Asphodelus albus. Inoltre questa condizione di facile riscaldabilità delle roccie, che permetterebbe l’invasione della flora ligure, si verifica senza dub- bio da poco tempo. È notissimo per numerosi documenti che tutto il versante nord dell'Appennino era coperto da foltissimi boschi, dei quali i tagli frequenti e le coltivazioni a ceduo non sono riusciti a distruggere le traccie; gli stessi terreni scoperti sul calcare e sul serpentino hanno tutte le caratteristiche di quelli che risultano da un dilava- mento successivo alla recente distruzione di un rivestimento arboreo. Si potrebbe obbiettare una età relativamente breve del rivesti- mento arboreo, o una discontinuità nel tempo: di tale rivestimento; ma noi possiamo constatare che attualmente esistono traccie non dubbie di uno sviluppo notevolissimo delle faggete, che ci è dimo- strato dai residui di faggete sparse ovunque, dai residui di associa- zioni proprie del faggio presso i limiti superiori della vegetazione del castagno, dai resti di faggi osservati nelle frane. Ora noi sap- piamo che il faggio è una specie che non si sviluppa su un ter- reno scoperto, ma solo in successione ad un’altra associazione bo- schiva. Tutto quindi ci induce a ritenere che una modalità quale è stata indicata dal Farneti, non può essersi verificata se non che assal prima dell’invasione dell’elemento atlantico del quale il fag- gio è l'esponente più caratteristico, e perciò forse quando le stesse condizioni si verificavano contemporaneamente per una migrazione lungo l'Appennino. Se dunque le condizioni fisiche di un terreno possono nel no- stro caso entrare in giuoco, ciò è senza dubbio da un tempo breve, e tale che ha permesso alle specie prettamente ligustiche di affac- ciarsi appena sui crinali della montagna, ed a quelle mediterraneo- orientali di invadere tutto il subappernino fin quasi a Torino. Io anzi ritengo che questo diverso comportamento delle piante di due diverse origini ci possa autorizzare ad affermare che l’ar- rivo della nostra flora dell'elemento sud-orientale sia posteriore bensì a quello dell'elemento nord-europeo, ma relativamente antico, e che quello degli elementi sud-occidentali sia più recente. Credo ovvia per questi ultimi la modalità dell’arrivo; l’alta bar- riera della catena delle Alpi Marittime non può far pensare ad un valico attraverso ad essa; è solo a partire dalla depressione del Colle di S. Bernardo che si verificano delle condizioni atte a fa- vorire tale passaggio, ed infatti mentre ad ovest del Tanaro man- cano quasi gli elementi sud-occidentali, che ho più volte citato, essi si vanno facendo più frequenti dalla Valle Tanaro a quella della Scrivia. A partire dal valico dei Giovi si innalzano di nuovo le cre- ste, e cessa così la possibilità del passaggio di questo elemento, il quale va infatti scomparendo più ad est. Di un’altra serie di elementi dovrei tenere conto, e cioè di quelli nord-occidentali, ma di questi che hanno occupato in assai mag- gior misura tutta la valle padana e la regione centro-europea, il | modo di migrazione è ancora affatto oscuro, e non è la nostra re- gione il miglior campo di studi a questo proposito. Ma la vegetazione della nostra regione ha subìto e va subendo ancora attualmente delle modificazioni profonde. La più antica modificazione della quale io abbia notizia è quella determinata della scomparsa dell’Abies pectinata. Nell’alta Valle — 200 — Staffora presso il Molino di Negruzzo, in mezzo ad un'’argilla sca- gliosa ivi accumulata da un’antica frana, si mettono allo scoperto ogni tanto dei grossi tronchi e rami, i quali sono senza dubbio da attribuirsi a Abies pectinata; le persone del luogo mi assicurarono che vi si trovavano talora anche dei tronchi di Faggio, ma io non ho potuto controllare tale affermazione. Di Abete io ne ho raccolto dei pezzi, e parecchi altri ne ho ve- duti utilizzati come legname da lavoro, per costruzione di stru- menti agricoli, porte, ecc.; le dimensioni dei tronchi erano talora notevoli perchè il diametro superava i 65 cm. I tronchi, in ottimo stato di conservazione, come lo dimostra la loro utilizzazione, si trovano in posizione orizzontale in una valletta del Rio Negruzzo, affluente di sinistra della Staffora, e portano ancora la corteccia e parte di rami, mentre altri rami stroncati si trovano intorno ad essi; l'esame microscopico del legno e della corteccia mi ha assì- curato la determinazione. Il rinvenimento di resti di Abete bianco non è nuovo per l'A p- pennino settentrionale; Sordelli (1) accenna già al rinvenimento di tronchi di questa specie nei depositi quaternarii dell'Appennino emiliano, e recentemente il prof. Cavara (2) pubblicò un ampio studio su tale questione riunendo osservazioni personali e dati nu- merici, i quali provano la notevole diffusione che tale specie deve avere assunto anche in epoche storiche, e che attualmente si è as- sai ridotta di diffusione, sostituita quasi ovunque dal Faggio. Nell’Appennino ligure avanzi di Abete bianco sono stati trovati dal Chiappori (3) a Torriglia, ed altri residui di tronchi d’alberò sono stati indicati dall’Issel tanto sul versante nord che su quello sud. Tutti questi residui provano che anche sul nostro Appennino si sviluppò rigoglioso l’Abete ; attualmente questa specie è affatto scom- parsa, e, tolti pochi Pinus silvestris, non esiste in tutta la zona alcuna conifera di alto fusto che non sia stata introdotta dalla coltivazione. Contemporaneo all’Abete era già il Faggio, il quale, insieme ad al- tre poche specie arboree, è stato riconosciuto nei depositi di Torriglia. Avanzi di Faggio sono anche riconosciuti in territorio di Cam- pomorone. Questa contrazione dell’Abies pectinata che si osserva in quasi tutta la catena Appennina è nella nostra regione accompagnata da (1) SorpELLI. — Flora fossilis-Insubriae. — Milano, 1896. (2) CAvara F. — Avanzi di tronchi di Abete bianco mell’alto Appennino Emiliano. Atti R. Acc. Sc. Fis. Mat. — Napoli, S. II, vol. XIII, 1906. (3) CuraPPORI A. — Della vegetazione attuale e pleistocenica a Torriglia. — 1875, Genova. — IssEL A. — op. cit. — IsseL A. — Torriglia e il suo ter- ritorio. Boll. Soc. Geol. Ital., XXV, 1906. =e'aggiee un altro fatto analogo. Voglio ricordare il fatto che ho già accennato della presenza di specie proprie dell’associazione del Faggio nel bosco misto di Castagno, localizzate particolarmente nelle stazioni più fresche e più umide; evidentemente si è verificato anche qui, come nelle colline Torinesi (1), una riduzione dell’area occupata dal Fag- gio, e, mentre l’essenza arborea è stata sostituita, le specie erba- cee che vi crescevano all’ombra, sì sono, almeno in parte, conservate. In questa modificazione delle condizioni floristiche della re- gione ha forse parte l’opera dell’uomo; in quanto col taglio dei boschi ha contribuito ad alterare quelle condizioni di clima ocea- nico, le quali sono favorevoli allo sviluppo delle faggete. Ma assai più intensa è l’azione dell’uomo nell’esaltare la diffu- sione nella nostra flora di specie termofile e nell’introdurre e dif- fondere elementi avventizii. Di elementi avventizii è ricchissima la flora dell'Appennino piemontese; io ritengo che, per la massima parte di essi, i centri abitati del versante ligure costituiscano il punto di partenza per la nuova invasione. I traffici intensi di questa parte della Valle padana colla regione tirrena, le semina- gioni e le concimazioni sempre più estese, portano un contributo continuo di nuove entità. Per alcune di queste l’immigrazione è nettamente attuale, come per il Bupleurum protractum del quale si trova nei campi qualche raro esemplare, o per la Lippia repens e Vl Artemisia verlotorum (2) la cui immigrazione si inizia solo ora. La raccolta di nuovi dati floristici sopra una regione deve por- tare come risultato ultimo a stabilire su basi più sicure la posi- zione della regione rispetto a quelle circostanti. L’esame che sono andato facendo fin qui di una regione poco esplorata, conduce a modificare un poco la circoscrizione fitogeografica di questa parte dell'Appennino. Io ritengo cioè che il limite del settore peninsulare settentrionale debba essere portato più ad ovest del Colle di Cadi- bona, e precisamente fino al Colle di San Bernardo, che è la prima depressione che si incontra dopo l’alta catena delle Alpi Marittime. Ritengo altresì che di questo settore, il distretto ligure-padano oc- cidentale debba essere limitato alla depressione dei Giovi e non fino alla Valle della Trebbia. Ad ovest del bacino della Scrivia l'influenza della flora della regione emiliana è assai viva, e cessa invece quella della Liguria occidentale, onde mi sembra più op- portuno ascrivere la regione compresa tra il bacino della Scrivia e quello della Trebbia, al distretto Ligure-padano orientale. Torino, R. Istituto Botanico, luglio 1911. (1) NEGRI G. — op. cit. (2) G. Gora. — Piante critiche, 1. c. Catalogo delle specie crescenti nell'Appennino Piemontese. PTERIDOPHYTAE. FILICINEAE — Filices. Ceterach officinarum W. Muri a secco a Muraglie (Bagnasco), Sassello, Campoligure, Rossiglione, Serravalle Scrivia; roccie serpen- tinose al M. Tobbio, Voltaggio, cecima. Polypodium vulgare L. Presso Muraglie (Bagnasco) presso Bu- salla e Voltaggio. — Phegopteris L. Boschi tra il passo del Giovo e il M. Ermetta pr. la C. Pian di Rapa, sopra Campoligure, a Voltaggio. Aspidium Lonchitis (L) Sul M. Ghiarolo (N. B.) (1). Nephrodium Filie Mas (L) Rich. Boschi sopra Muraglie (Bagna- sco), Colle dei Giovetti, sotto il Colle di Melogno, al M. Ermetta, alla C. Pian di Rapa sopra Campoligure, Fiaccone (Voltaggio). -— Oreopteris Ehrh. Kth Presso Voltaggio. Cystopteris fragilis (L) Bernh Colle dei Giovetti, pr. la fraz. Fras- sino (Calizzano) pres. il Lago della Lavagnina, pr. la Villa Cata- nietta a Novi, Bocchetta di Voltaggio. Asplenium germanicum Tra i Molini di Voltaggio e Voltaggio. — — ». anthriscifolia Koch Tra Sassello e il Passo del Giovo. Asplenium Filix foemina (L) Bernh. Sopra Calizzano lungo il R. Scalincio, C. Pian di Rapa sopra Campoligure, Marcarolo pr. la 0. Benedetta, a Voltaggio. — Adianthum nigrum (L). Muri a secco sopra Muraglie (Bagnasco), tra Calizzano e il Colle di Melogno, in val d’Erro sopra Acqui, pr. . Tiglieto, L. della Lavagnina, Rossiglione, M. Tobbio, Voltaggio. (1) Tutte le specie qui indicate sono state vedute da me, o per averle rac- colte, o per essermi state comunicate da gentili colleghi, o per averle esami- nate nell’Erbario di Torino. Quelle che riporto sulla fede di altri autori sono contrassegnate dall’indicazione relativa, e di queste il segno N. B. indica quelle riportate dalla Flora Ticinensis di Nocca e Balbis, il segno D. N. si riferisce a quelle indicate da De Notaris nel Repertorium. Debbo notare che tanto del- l’una che dell’altra Flora ho tratto indicazioni di habitat di specie per le quali era precisata la stazione nell’ambito del mio campo di studio, omettendo altre le quali avevano solo la probabilità, non la certezza di trovarsi entro tale ambito. — 280 — — Ruta Muraria (L). Colle dei Giovetti, sopra Tiglieto, versante N. O. M. Tobbio. — Trichomanes (L). Frequente sulle rupi e sui muri a secco, dalla Val Tanaro alla Val Staffora. — septentrionale (L) Hoffm. Sulle rupi tra Calizzano e il C. di Melogno, sopra Bormida, in V. d’Erro, a Maddalena e al M. Ermetta, al L. della Lavagnina, al M. Tobbio, Voltaggio. Blechnum Spicant (L). With. Boschi sopra gli scisti cristallini lungo il Rio Scalincio (Calizzano), sopra Sassello, tra Montenotte e Ferragna sopra Olba, alla C. P. di Rapa (Campoligure), Voltaggio. Allosorus crispus Bernh. M. Lecco sopra Voltaggio. Pteris aquilina (L). Frequentissima nei boschi sopra scisti cristal- lini, roccie serpentinose (V. Tanaro, Bormida, Erro, ecc.), e marne | decalcificate (al C. del Ratto sopra Serravalle Scrivia). Adianthum Capillus Veneris (L). Stillicidi più 0 meno calcari so- pra Denice, pr. la C. Pra della Colla sopra Campoligure, pr. S. Se- bastiano (Lerma), Voltaggio. Botrychium Lunaria (L) S. W. Colle dei Giovetti, M. Ebro. Osmunda regalis (L). v. Plumieri pr. Montenotte, Voltaggio. EQUISETINAE — EqQuisetaceae. Equisetum arcense L. Lungo il Tanaro a Bagnasco. — Thelmateja Ehrh. In val d’Erro pr. Acqui, lungo il Rio Ro- verno pr. Mornese, e il Rio Neirone a Gavi, sopra Busalla, e abbon- dantissimo tra Rivanazzano e Nazzano. — ramosum Schl. In Val d’Erro pr. Acqui, tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, pr. Riva-Nazzano. LycoPoDINEAE — Lycopodiaceae Lycopodium clavatum L. Boschi sopra Muraglie (Bagnasco), pr. Montenotte. — $Selago L. Tra il Passo del Giovo e il M. Ermetta. PHANEROGAMAE. GyYMNOSPERMAE — Coniferae. Pinus Pinea L. A. Borgo Fornari presso Busalla (colt.). — Pinaster Lam Pr. Tiglieto, tra S. Sebastiano e Lerma, alle Ca- panne di Marcarolo, sempre su roccie serpentinose; alle falde del M. Lecco sopra Voltaggio (colt.). —"Qgdee — sylvestris L. Raro al colle dei Giovetti e pr. Calizzano, in bo- schi più o meno estesi tra Bagnasco e Muraglie, sopra Pallare, tra Rossiglione e Ovada in V. Stura, e in V. Staffora sopra Varzi. (M. Ginepro). — montana Mill Tra Dego e Montenotte, pr. Ponte dell’Erro Abies alba Mill. Introdotto alla Bocchetta di Voltaggio. — excelsa. Poir id. id. Juniperus comunis (L). Frequente nei boschi e sui terreni scoperti dalla V. Tanaro alla V. Curone, meno frequente in V. Staffora. Cupressus sempervirens L. AI Castello di Brignano Curone (colt.). ANGIOSPERMAE — Monocotyledones. Graminaceae. Andronogon Ischaemum L. Tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, pr. Rivanazzano. Chrysopogon Gryllus (L) Trin. In V. d’Erro sopra Cartosio, pr. Tiglieto, Rossiglione, in V. del Gorzente a Buffalora, a S. Sebastiano, in V. Lenno, sotto il C. di Ratto, tra Nazzano e Chiusano. Sorghum halepense (L). Pers Rivanazzano e presso Acqui. Phragmites communis (Trin) L. umidi, lungo i torrenti, e negli acquitrini pr. Chiusano. Setaria glauca (L) P. B. Frequente nei 1. incolti, Busalla ecc. — viridis (L) P. B. Nei 1. incolti, Novi, Nazzano, ecc. Digitaria sanguinalis (L) Scop. AI Castello di Cecima. Phalaris canariensis L. Lungo la Bormida pr. Acqui, in V. Stura, pr. l'imbocco della Galleria del Turchino. Anthoranthum odoratum L. Frequente nei prati e pascoli, C. dei Giovetti, M. Ermetta, sopra Campo ligure, alla C.Benedetta. in V. del Gorzente, ecc. __ Stipa Calamagrostis (L) Wahlb. Pr. Montechiaro d’Acqui e Vol. taggio. Phleum asperum Jacq. Liguria transappennina (D. N.). Pr. Acqui lungo la Bormida, sui terreni marnosi a Lerma, Mornese, Gavi, Ser- ravalle Scrivia e Godiasco. — alpinum L. M. Boglelio (N. B.). — pratense L. v. nodosum L. Pr. Massimino, tra l'iglieto e Ros- siglione, pr. Casaleggio Boiro, Godiasco ecc. -- Boehmeri Wib. Lungo la Bormida ad SUSE tra Tiglieto e Rossiglione in V. d'Orba. — Michelii AU. Pr. Mornese. Alopecurus agrestis L. Prati lungo il Tanaro a Bagnasco. e ii ast è sg agata alte sti Li WAR È ue NS ev È lle urca — 282 — — geniculatus L. Sopra Calizzano verso Melogno. Polypogon monspeliensis (L) Desf. Pr. Acqui (All). Agrostis Spica-venti L. Pr. Calizzano alla Fraz. Frassino. — ‘interrupta L. Sopra Denice alla Fraz. Bonini, al Castello di Voltaggio. — canina L. Frequente nei boschi in V. Tanaro, Bormida ecc, — alba L. Pr. Fiaccone (Voltaggio) e sopra Nazzano. Calamagrostis tenella Host. Nell’alto Gorzente pr. la Pedanca in ferro. Holcus mollis L. Prati al Colle dei Giovetti, alle Capanne di Marcarolo, Novi, ecc. — lanatus L. Sopra Campoligure alla C. Pra della Colla, alla Bocchetta di Voltaggio. Aira caryophyllea L. V.Gorzente, al M. Tobbio, sul R. Roverno in V. Stura, alla C. Bandia. — capiîllaris Host. ra Calizzano e il C. di Melogno. — — cv. ambigua D. N. Al passo del Giovo. Deschampsia flexuosa (L) Tin. Frequente nei boschi sopra Bagna- sco, tra Tiglieto e Rossiglione, sopra Campoligure, alla Lavagnina, Mornese. — caespitosa (L) P. B. Lungo in Tanaro pr. Bagnasco. Trisetum flavescens (L) P. B. Sopra Denice, pr. S. Pietro d’Olba, alle Capanne di Marcarolo, al Lago della Lavagnina, a Busalla, ecc. — myrianthum C. A. Mey. Boschi a S. Pietro d’Olba e a Novi. Ventenata dubia Coss. Sui i due fianchi della Val d’Orba sopra Tiglieto, Voltaggio. Avena barbata Brot. Nei 1. incolti a Rossiglione, Lerma, Vol- taggio, Novi, ecc. —. sterilis L. Pr. S. Pietro d’Olba, pr. Lerma. — fatua L. Lungo il Tanaro pr. Bagnasco. — hirsuta Moench. Voltaggio. —. pratensis L. Tra le Capanne di Marcarolo e la C. Bandia in V. della Stura, M. Bogleglio (N. B.). Arrhenatherum elatius (L) M. K. Frequente nei prati sopra Cam- poligure, alla Bocchetta di Voltaggio, Busalla, ecc. i — — v.bulbosum Presl. Sopra Campoligure alla C. Pian di Rapa. Danthonia provincialis D. C. Pr. la Bormida a Caragna, al Colle del Giovo, pr. Olba, tra le Capanne di Marcarolo e Campoligure, e pr. Mornese lungo il Rio Roverno.. Cynodon Dactylon L. Pers. Ovunque nei 1. incolti. — 253 — Sesleria argentea Sari. In V. Gorzente alle falde del M. Tobbio — — — ». elongata Host. Colle di S. Bernardo. — coerulea L. V. Curone pr. Monte Capraro e sul Monte Ebro. Triodia decumbens D. C. Ai Colli dei Giovetti, del Giovo, e presso Marcarolo alla C. Bandia e alla C. Benedetta. Diplachne serotina (L) Link. Pendii marnosi pr. Rivanazzano. Molinia coerulea (L) Moench. Pascoli tra Calizzano e Bussalla. Koeleria phleoides (Vill) Pers. Lungo la Bormida ad Acqui, sopra Lerma, pres. il forte di Gavi, al Castello di Tortona, a Cecima. — ». valesiaca Gaud. V. d'Orba lungo la strada Tiglieto-Ros- siglione. — cristata (L.) Pers Denice alla Fraz. Bonini, C. dei Giovetti S. Pietro d’Olba. i Cynosurus cristatus L. Detriti serpentinosi alle Capanne di Mar- carolo, al M. Tobbio, al Pian dei Deschi in Val Gorzente, Voltaggio. — echinatus L. Sopra Muraglie (Bagnasco) pr. Olba, a Rossi- glione, a Casaleggio Boiro, Voltaggio, ecc. Eragrostis megastachya Lk. Presso Voltaggio. Melica ciliata L. Alle falde del M. Tobbio versante N. O. — B. Magnolii Gr. et Godr. Presso il L. della Lavagnina e ai Molini di Voltaggio. — minuta L. Pr Acqui (All... — wniflora Retz. Colli dei Giovetti, M. Ermetta, pr. il L. della Lavagnina, Voltaggio. Briza media L. Frequente nei boschi e pascoli montani. -—— minor L. Tra Olba e Tiglieto, Voltaggio. — maxima L. Sulla cresta tra il C. di Giovo e il M. Ermetta in V. d’Orba e di Stura, pr. Tiglieto e Rossiglione, Voltaggio. Dactylis glomerata L. Frequentissima nei prati e 1. erbosi. Poa alpina L.v. badensis. Haenke. M. Boglelio (N. B.). — bulbosa L. Nei l erbosi a Calizzano ecc. — annuaL. Ovunque nei campi e lungo le strade a Calizzano e Acqui, ecc. — violacea Bell. Presso Montechiaro d’Acqui. — memoralis L. Boschi al Colle dei Giovetti, Voltaggio. — compressa L. Tra Bagnasco e Muraglie, a Calizzano verso il C. di Melogno, sopra Acqui in V. dell’Erro, nei colli marnosi tra Mornese, Gavi, Serravalle, pr. Novi. Glyceria fluitans R. Br. Colle dei Giovetti, colle del Giovo, pr. il Piano dei Deschi, tra Mornese e gli Eremiti, pr. Godiasco, ecc. Festuca rubra L, subsp. heterophyUlla Hack v. Ai Molini di Voltaggio, e sopra Muraglie. — que — — sub sp. curubra Hack. « vulgaris. Pr. Denice e Voltaggio. — — — f.grandiflora Hack. Denice. — — — t glaucescens Hack. Denice, Voltaggio. — ovina. vulgaris Hack. Pr. Calizzano. — — v.capillata Lam. Voltaggio. — — v.glauca Hack. Pr. Calizzano ed ai Giovetti. — gigantea (L) Vill. Lungo il R. Scalincio a Calizzano. — elatior « pratensis Hack. Pr. Bagnasco, tra Calizzano e Cara- gna, C. Bandia, tra Marcarolo e Campoligure. — — subsp. arundinacea Hack. Pr. Massimino e a Denice. Vulpia Myuros ©. C. Gm. Frequente sui margini dei campi e delle vie, Calizzano, Denice, Acqui, Tiglieto, Campoligure, Cadepiag- gio, ecc. — ciliata (Pers) Link. T.. incolti, Acqui, tra S. Sebastiano e il L. della Lavagnina, tra Gremiasco e Fabbrica Curone. Nardurus unilateralis (L) Fries. Pr. Denice ai Bonini, tra Gre- miasco e Fabbrica Curone. Sclerochloa dura (L) P. B. Lungo la Bormida a Denice, alla M. della Guardia sopra Gavi. (Campi 1. incolti, nei terreni marnosi). — rigida (L.) P. B. Tra Lerma e Casaleggio Boiro, alla M. della Guardia sopra Gavi, alla C. Montey sopra Serravalle Scrivia, tra Gremiasco e Fabbrica Curone, e presso Cecina. Bromus asper Murr. Presso Montenotte. — asper Murr. v. serotinus Benek. Boschi lungo il Rio Sca- lincio a Calizzano, e presso Voltaggio. — erectus Huds. L. erbosi presso Muraglie (Bagnasco) e Denice, nei prati presso le Capanne di Marcarolo, e nei colli tra Lerma, Gavi e Serravalle Scrivia. — tectorum L. L.incolti pr. Lerma, e sopra Serravalle Scrivia. — maximus Desf. Lungo la Bormida ad Acqui. — madritensis L. Pr. Denice. — sterilis L. L. incolti e lungo le vie tra Bagnasco e Mura- glie, a Calizzano, Acqui, Rossiglione, Mornese, ecc. — secalinus v. hybridus Schm. Lungo le strade tra Serravalle e Voltaggio. — patulus M.e H. Sassello (D. N.). — arvensis L. (1) Lungo il Tanaro a Bagnasco, pr. Novi, Go- diasco. (1) Molti autori danno notevole valore al carattere, che cioè la glumetta inferiore ha un angolo ottuso verso l’alto; ciò non è dato osservare sempre; assai più costante è invece la notevolissima lunghezza delle antere (4-5 volte la larghezza). "i Falle | Voli NT OVORBEOE — mollis L. Lungo il Tanaro a Bagnasco, al Colle dei Gio- vetti, alla C. Bandia sopra Campoligure, Rossiglione, Serravalle si Novi, Voltaggio, ecc. — molliformis Lloyd = Serrafalcus Lloydianus. Gr. et God. Tra Lerma e Casaleggio Boiro. — racemosus L. Sopra Muraglie (Bagnasco) e nei colli tra Dego e Montenotte inferiore. — commutatus. Schrad. Nei coltivati tra Dego e Montenotte, e presso Voltaggio. — squarrosus L. Frequente nei l. incolti, Muraglie (Bagna- sco) (1), a Denice, Acqui, Rossiglione, Lerma, Voltaggio, Serravalle Scrivia, Tortona, ecc. Brachypodium distachyum P. B. Al Bric della Rama pr. Dego, e sopra Godiasco. — sylvaticum P. B. Godiasco. — pinnatum (L) P. B. Frequente nei boschi, sopra Bagna- sco, C. dei Giovetti, Acqui, e nei colli tra Lerma e Serravalle Scrivia. Nardus stricta L. Pascoli al M. Ermetta. Psilurus nardoides Trin. Colli aridi tra Dego e Montenotte infe- riore, lungo la Valle del Gorzente pr. Buffalora e al Pian dei Deschi. Lolium temulentum L. Campi di cereali al Colle dei Giovetti, e pr. Voltaggio. — perenne L. Frequente nei 1. incolti pr. Bagnasco, alle C. di Marcarolo, sopra Acqui, ecc. — ttalicum B. Br. L. incolti tra Lerma e Casaleggio Boiro. Agropyrum caninum (L) P. B. Colli marnosi tra Serravalle De via e le C. Montey. — repens(L) P. B. Frequente nei ]. incolti (Bagnasco, Caliz- zano, Lerma, Novi, ecc.). — glaucum R. N. S. L. incolti pr. Bagnasco, Acqui, Lerma, Serravalle Scrivia, Novi, Rivanazzano, ecc. Aegylops triaristata W. Pr. Dego al B. della Rama, Denice alla Fraz. Bonini, lungo la strada Tiglieto-Rossiglione in V. d'Orba, pr. Acqui, tra Lerma e Casaleggio Boiro, tra Gremiasco e Fab- brica Curone. (1) L’es. appartiene alla var. c) villosus Asch. u. Gr. Syn. pag. 621. Molti degli esemplari qui indicati sotto il nome di B. squarrosus ed aventi una notevole ramificazione della pannocchia, possono forse venir ritenute come di B. patulus M. et K. Ma probabilmente, come del resto ritengono molti autori, quest’ultima specie va identificata con B. squarrosus delle quali non differisce per nessun altro carattere che per la ricchezza delle pannocchie. ANNALI DI BoTANICA — Vor. X. 19 » Ù A RT. SFR OE VIA — 2396 — — ovata. L. Frequenti nei 1. erbosi aridi, a Bagnasco, Denice, Acqui, Mornese, Voltaggio, Serravalle Scrivia, Novi, Cecima (Go: diasco). — triuncialis L. Pr. Dego al B. della Rama, Denice alla Fr. Bonini, sopra Tiglieto in V. d’Orba, a Rossiglione, lungo la Bor- mida ac Acqui, tra il Colle del Ratto e Gavi. Hordeum murinum L. Comune lungo le vie a Bagnasco, Acqui, Casaleggio Boiro, Novi, ecc. Cyperaceae. Cyperus Monti L. fil. Tra Godiasco e Rocca Susella. — fuscus L. Tra Godiasco e Rocca Susella. Eriophorum latifolium Hoppe. L. umidi torbosi tra Caragna e e Caragnetta (Calizzano), lungo il Rio della Vota sopra Montenotte inferiore, al C. del Giovo, al M. Ermetta, pr. il Pra della Colla so- pra Campoligure, alle falde del M. Tobbio, lungo il Rio Eremiti, Voltaggio, ecc. Scirpus sylvaticus L. L. umidi pr. Muraglie (Bagnasco), Caliz- zano, Ferrania, al Passo del Giovo, M. Ermetta, Pian di Rapa so- pra Campoligure, lungo il R. Neirone a Gavi, e a Voltaggio. — mariîtimus L. Sopra Montenotte inf. — Caricis. Retz Montenotte, Colle dei Giovetti, alle falde del M. Tobbia. al R. Eremiti, nel vallone del R. Roverno tra Mor- nese e il Pian dei Deschi. — Holoschoenus L. Nel Vallone del R. Roverno tra Mornese e il Pian dei Deschi, pr. Acqui, Sassello, tra Casaleggio Boiro e il Gorzente, sopra Godiasco, ecc. — setaceus L. L. umidi al passo del Giovo, ad Acqui al Pra della Colla (Campoligure), a Voltaggio. Schoenus nigricans L. AI Pra della Colla sopra Campoligure a Rossiglione, tra S. Sebastiano e Cravaria in Val Gorzente. Carex divisa Huds. L. umidi in val d’Erro sopra Acqui. — divulsa Good. Presso Rossiglione, in val d’Erro sopra Acqui. — muricata L. Pr. il Tanaro a Bagnasco. — proecor Schreb. Pr. Rossiglione e Voltaggio. ì — leporina L. Colle dei Giovettì, Pian di Rapa sopra Cam- poligure, tra Sassello e il passo del Giovo. — stellulata Good. Colle dei Giovetti, M. Ermetta, Pian di Rapa (Campoligure), Vallone Rio Eremiti a N. O. del Tobbio. i — remota L. Sopra Calizzano verso Melogno, al M. Ermetta, pr. Rossiglione, al Molino di Voltaggio. 3 — 287 — — coespitosa L. Valle d’Olba DN. — vulgaris Fr. Alta V. Staffora sopra Piano Stano. — humailis Leys. M. Settepani. — ornîtopoda V. Salendo il M. Ebro in V. Curone. — Halleriana Asso. Pr. Montechiaro d’Acqui. — montana L. Al Pian dei Deschi sopra Mornese, M. Ebro, M. Boglelio (N.B.) — pallescens L. Sopra Sassello verso il Passo del Giovo, e sul fianco sinistro della Valle del Gorzente sotto la C. Benedetta. — pilosa Scop. Val d’Olba e Sassello (D.N.). — pendula Huds. Pr. Ferranietta (S. Giuseppe Cairo) lungo 1 fossi. è — nitida Host. Pr. Novi. — panicea L. L. torbosi al Ponte sulla Bormida tra Caragna e Caragnetta (Calizzano), sul M. Ermetta, al Pra della Colla (Cam- poligure) e sul fianco destro della Valle del Gorzente tra i Deschi e gli Eremiti. — glauca Murr. Pr. Muraglie (Bagnasco), Colle dei Giovetti, tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, al Colle del Ratto tra Ser- ravalle Scrivia e Gavi, e al M. Ebro. — distans L. Tra Bagnasco e Muraglie, al Colle dei Giovo e in V. del Gorzente. agli Eremiti, e pr. il Pian dei Deschi. — flava L. Pr. Caragna (Calizzano), nell’alta V. Staffora sopra Piano Stano. — — È. Oederi Retz. Pra della Colla (Campoligure). — riparia Curt. In agro novensi (Di N.). — hirta L. M. Ermetta. Typhaceae. Typha minima Funk. Lungo la Bormida ad Acqui, in Val di Rile, lungo la Staffora a pr. Chiusano. — augustifolia L. Pr. la Bocchetta di Voltaggio e lungo la Staf- fora a Godiasco. Sparganium ramosum Huds. Lungo il Curone pr. Brignano. Araceae. I Arum italicum Mill. Boschi presso il Passo del Giovo e sul Mi. Ermetta. i È { — Dracunculus L. Pr. Varzi (colt.). j A DI DA i TRONTO A FANotSA MPV 3 SPIPEGARINA SPOT 0 ARRE, STRA — 288 — Lemnaceae. Lemna minor L. L. umidi alla Bocchetta di Voltaggio, ecc. Naiadaceae. Potamogeton natans L. Nei fossi pr. Dego. Alismataceae. Alisma Plantago L. Frequente nei l. umidi, Godiasco, ecc. — lanceolatum With. L. umidi sopra Calizzano. Juncaceae. Juncus glaucus Ehrh. Lungo la Bormida ad Acqui, lungo il Rio Albedosa pr. Mornese in V. Staffora, ecc. — conglomeratus L. Nei l. umidi in V. Gorzente, V. Staf- fora, ecc. — effusus L. Frequente nei l. umidi, Bagnasco, Calizzano, V. Gorzente, Novi, ecc. — lamprocarpus Ehrh. Comune nei 1. umidi torbosi, Calizzano, Colle di Melogno, sopra Campoligure, V. Gorzente, ecc. — acutiflorus Ehrh. M. Ermetta. — Bufonius L. Frequente nei l. umidi, lungo le strade ecc. a Bagnasco, Calizzano, Acqui, Lerma, Gavi, ecc. — Tenageia Ehrh. L. umidi lungo la Bormida di Millescimo e presso Buffalora sopra Lerma. Luzula silvatica (Huds) Gaud. M. Ebro, M. Ghiarolo (N. B.). — nivea L. Boschi ps. Muraglie (Bagnasco) al C. dei Giovetti, Calizzano, M. Ermetta, Pian di Rapa (Campoligure), Voltaggio. — albida. DC.M. Boglelio (N. B.) tra Rossiglione e Belforte M. — ‘pedemontana Boiss et Reut. Colle di Melogno, M. Ermet- ta, ecc. — multiflora Lej. Pr. Bormida (Carcare) e al Passo del Giovo. — campestris (L.) D. C. A Nord di Rossiglione. Liliaceae. Veratrum album L. Pascoli montani pr. il Colle di Melogno, al M. Ermetta, M. Ebro. Colchicum alpinum D. C. Prati nell’alta V. Staffora sotto il M Chiappo, M. Ebro. — 289 — — autumnale L. Frequente nei prati a Muraglie (Bagnasco), C. Benedetta (C. di Marcarolo), tra Gavi ed il Colle del Ratto, Bu- salla, ecc. Tulipa australis Lam. Presso Voltaggio. Lilium bulbiferum è croceum Chaix. Frequente sulle rupi e nei boschi sub-montani, tra Muraglie e il C. dei Giovetti, V. d’Erro sopra Sassello, M. Ermetta, L. della Lavagnina, presso Buffalora (Lerma), lungo il Rio Roverno (Mornese), al M. Moro (Gavi) e in V. Staffora. — Martagon. L. M. Boglelio (N. B.) M. Ebro. Gagea lutea (L) Ker-Gawl M. Boglelio (N. B.). — arvensis Pers. (Dum.). Nella Liguria transappennina (D. N.); tra Gavi e Carrosio. Ornithogalum comocum L. v. tenuifolium Guss. Tra Sassello e il Passo del Giovo. — narbonense L. L. erbosi, tra Bagnasco e Muraglie, in V. Erro sopra Acqui, al M. Ermetta, tra Lerma e Casaleggio Boiro, a Novi e tra Gremiasco e Fabbrica Curone. — pyrenaicum L. Tra Sassello e il Passo del Giovo, pr. la Ca- scina Benedetta sotto Marcarolo. Scilla autumnalis L. Presso Capriata d’Orba. — bdifolia L. M. dei Settepani pr. la M. della Neve, M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). i Muscari comosum Mill. L. incolti e vigne, pr. Muraglie (Ba- gnasco), in V. d’Erro, tra Lerma e Casaleggio, al C. del Ratto sopra Serravalle Scrivia, a Voltaggio. — racemosum (L.) Mill. Tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano. — botryoides (L.) Mill. Boschi su rocce calcari tra Bagnasco e Muraglie. Allium vineale L. Comune nei campi e 1. incolti, C. dei Gio- vetti, Acqui, Lerma, Serravalle Scrivia, Gremiasco, Varzi, ecc. — descendens L. Lungo la Staffora (All.). — sphaerocephalum L. Ceva. — suaveolens Iacq. Nell’alto Gorzente. AphyUlanthes monspeliensis L. Presso Denice. Asphodelus albus Mill. Pr. Calizzano lungo il R. Scalincio, tra Sassello e il Passo del Giovo, nella V. del Gorzente, e al M. Bo- glelio (N. B.). — cerasifer Gay. M. Settepani pr. la M. della Neve, Anthericum Liliago L. O. dei Giovetti, sotto il Forte di Melogno, il M. Tobbio, pr. Lerma, al C. del Ratto, sopra Serravalle Scrivia, su Nazzano. 4 — 290 — Paris quadrifolia L. M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). Convallaria majalis L. Boschi al C. dei Giovetti e al M. Er- metta. Majanthemum bifolium (L.). D. C. Boschi al Ponte sulla Bormida pr. Caragna, sul M. dei Settepani, sul M. Ermetta, a Voltaggio. Polygonatum verticillatum (L). AU. M. Ebro. — multiflorum All Boschi al C. dei Giovetti e al M. Ermetta. — officinalis AU. Boschi pr. il Colle di Melogno, sul M. Set- tepani sotto il Passo del Giovo, al C. dal Ratto sopra Serravalle Scrivia. Asparagus tenuifolius Lam. Nella valle della Vota sopra Mon- tenotte inf., lungo la Bormida di Millesimo, sul M. Moro (Govi) in V. Staffora, tra Dego e Sanguinetto e pr. Godiasco. vw. Ruscus aculeatus L. Presso Nazzano. <> Tamus communis L. Nelle siepi e nei boschi pr. Muraglie (Ba- gnasco), sopra Sassello, Rossiglione, alle falde N. O. del M. Tobbio, pr. Casaleggio Boiro, Godiasco, Busalla, ecc. Amaryllideae. Galanthus nivalis L. Al Lago Scuro sopra Voltaggio. Leucojum vernum L. M. Ebro e M. Boglelio (N. B.). Narcissus poeticus L. Presso Voltaggio, nell’alta Val. Staffora, sotto: 11 M. Chiappo e al M. Boglelio. (N. B.). Irideae. Crocus biflorus Mill. Gavi, Voltaggio e al Lago Scuro. — vernus Wulf. Boschi tra Dego e Mont enotte inf., al M. Ebro M. Boglelio (N. B.). — medius Balb. Nell’alta valle del Gorzente al Lago Grigio, a Masone, Altare, Colle di S. Bernardo, pr. Fiaccone e alle falde del M. Lecco, pr. Voltaggio. Iris graminea L. Presso Voltaggio. — germanica L. L. aridi sotto Muraglie (Bagnasco), al M. Moro (Gavi), pr. Serravalle Scrivia. Gladiolus palustris Gand. L. Boschivi e erbosi tra Dego e Mon- tenotte, al M. Ermetta, in V. d’Orba a Tiglieto, al Pian di Rapa (Campoligure), alle falde del M. Tobbio, al Lago della Lavagnina, in Val Gorzente. — segetum Ker. Gawl. In val d’Erro sopra Acqui. Orchideae. Ophrys aranifera Huds. Presso Montechiaro d’Acqui. — apîfera Huds. Pr. Montechiaro d’Acqui, pr. Buffalora sopra Lerma, tra Gremiasco e Fabbrica Curone. -- Bertolonit Moretti. Pr. Tortona. — Arachnites (L.) Lam. A Montechiaro d’Acqui, pr. Mornese, al R. Nocetta sopra Lerma, al C. del Ratto (Serravalle Scrivia) tra Gremiasco e Fabbrica Curone. Serapias longipetala Ten. Boscaglie sopra Dego, verso Montenotte, sopra Sassello, tra Olba e Tiglieto, al L. Lavagnina e alla C. Be- nedetta, in V. Gorzente e al M. Moro sopra Gavi. Aceras Antropophora (L.) R. Br. Presso Montechiaro d’Acqui, tra Gremiasco e Fabbrica Curone, e al M. Boglelio (N. B.). Himantoglossum hircinum (L.) Rich. Pr. Dego al B. della Rama, a Montechiaro d’Acqui, Gavi, tra Gremiasco e Fabbrica Curone. Orchis papilionacea L. Prati tra Montenotte inf. e Ferrania. — Morîio L. Al M. Ermetta pr. Olba, Voltaggio. — cortophora L. Denice al Bric del Vallone, pr. Dego in Val d’Erro, pr. Ponzone, al Passo del Giovo, tra Gavi ed il Colle del Ratto. — ustulata L. Al Colle dei Giovetti, sopra S. Pietro d’Olba, pr. Marcarolo; al Bric dei Ladri, alle falde N. O. del M. Tobbio, Voltaggio. — tridentata Scop. Presso Voltaggio. — purpurea Huds. Liguria novensis (D. N.) (sud O. fusca). Pr. Gavi e Montechiaro d’Acqui. — pyramidalis L. Boschi sotto Muraglie in V. Tanaro, pr. Mon- techiaro d’Acqui, alla Cascina di Tota e ai Cascinotti pr. Gavi e a Chiusano in Val Staffora. — globosa L. M. Ebro. — laxiflora Lam. Tra Dego e Montenotte, sopra Sassello, pr. la C. Benedetta (Marcarolo), Voltaggio. — Mascula L. Tra la C. Benedetta e Marcarolo, a Voltaggio, al M. Ebro, al M. Chiappo verso la Val Staffora. — provincialis Balb. Pr. Lerma. — pallens L. Pascoli elevati al M. Ebro e al M. Chiappo. — sambucina L. Pascoli sopra Massimino (Bagnasco) a Vol- taggio, e al M. Ebro e al M. Chiappo. — maculata L. Frequente nei boschi ai Giovetti, Calizzano, M. Ermetta, Marcarolo, Gavi, Voltaggio, ecc., M. Boglelio (N. B). — 292 — — latifolia L. Al M. Ermetta verso Olba. — incarnata L. M. Boglelio (N. B). Gymnadenia odoratissima (L.) Rich. Boschi al Colle dei Giovetti, e alla C. Benedetta nell’alto Gorzente. — Conopsea (L.) R. Br. Presso Muraglie (Bagnasco), a Caliz- zano, sopra Sassello, nella Valle del Rio Roverno, sopra Mornese, a Voltaggio, al M. Tobbio, in Val Curone sopra Gremiasco e al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.), Godiasco. Nigritella nigra (L.) Echb. M. Bogielio (N. B.). Platanthera chloranta Curt. Lungo il R. Scalincio sopra Caliz- zano, a Montechiaro d’Acqui, nella Valle del R. Roverno sopra Mornese. — bifolia (L.) Reich. Sopra Muraglie Bagnata), tra Dego e Montenotte, al Ti Ermetta, in V. Stura V. Gorzente al M. Tob- bio e Pian dei Deschi e a Ni Coeloglossum viride (L.) Hartm. M. Ermetta e M. Ebro. Corallorhiza innata R. Br. Nelle faggete sotto il M. Chiappo nell’alta V. Staffora. Spiranthes aestivalis (Lam.) Rich. Sulle rupi umide tra S. Seba- stiano e Cravaria in Val Gorzente, e lungo la Bormida di Mil- lesimo. — autumnalis Rich. Tra Busalla e Castagnola. Listera ovata L. R. Br. Tra Muraglie ed il C. dei Giovetti, al Passo del Giovo, tra Olba e Tiglieto, sopra Campoligure. Neottia Nidus-avis Rich. Nelle faggete folte ai Giovetti, a Me- logno, alle Meuje d’Amour sopra Montenotte, al M. Hong al M. Ebro. Limodorum abortivum (L.) Sw. Boscaglie tra Dego e Montenotte inf., pr. Montechiaro d’Acqui, alla C. Bandia sopra Campoligure, al M. Tobbio verso Voltaggio, pr. Fabbrica Curone, e Godiasco. Cephalanthera rubra (L.) Rich. Pr. Muraglie (Bagnasco), Denice, Dego, alla Bocchetta di Voltaggio, sotto Fabbrica Curone. — ensifolia (Ehrh) Rich. Al o. dei Giovetti, al C. di Melogno e sopra Sassello, e a Voltaggio. — pallens (W.) Rich. Pr. Denice e Montechiaro d’Acqui, in V. Staffora sotto Negruzzo e pr. Godiasco. Epipactis palustris (L.) Crantz. Pr. Ceva. — rubiginosa Gaud. Al C. dei Giovetti, pr. Dego, Montenotte, Rivanazzano, Godiasco. — microphylla Sw. Boschi di Faggi sopra Muraglie (Bagnasco). — latifolia (L) AU. Boschi di Faggi sopra Muraglie (Bagna- sco) e castagneti pr. Godiasco. 2'OggRan DycoTYLEDONES. luglandeae. Juglans regia L. Coltivata quà e là. Salicaceae. Salix alba L. Frequente lungo i fiumi e torrenti da Bagnasco alla V. Staffora. — purpurea L. L. umidi al Colle dei Giovetti, lungo 1i R. Nei- rone (Gavi), al R. Roverno (Mornese), in V. Staffora, ecc. — încana Schrank. Lungo il Tanaro a Bagnasco, pr. Calizzano, in V. d’Erro sopra Acqui, lungo il Rio Albedosa a Mornese, lungo la Staffora ed il Curone, a Busalla, ecc. — hastata L. Boschi lungo il Rio Roverno sopra Marnese. — phylicifolia L. M. Boglelio (N. B.). — nigricans Sm. Sopra Massimino (Bagnasco), Mornese, Vol- taggio, Godiasco. — Caprea L. Frequente nei boschi montani lungo il Tanaro a Bagnasco, pr. Caragna (Calizzano), sotto il C. di Melogno, al Pian di Rapa (Campoligure), al M. Moro (Gavi), Busalla, V. Staffora. — cinerea L. M. Ermetta. Populus nigra L. Frequente lungo i corsi d’acqua. — — »v. pyramidalis Sch. Lungo il Tanaro e Bagnasco. — Tremula L. Frequente nei boschi montani a Muraglie (Ba- gnasco), C. di Melogno, e nei pendii aridi, al M. Moro (Gavi), nelle V. del Gorzente, Busalla, ecc. — alda L. Lungo il Tanaro a Bagnasco, ai Giovetti, nella V. del Roverno (Mornese), sui colli marnosi tra Serravalle e Gavi, a Voltaggio. Betulaceae. Betula alba L. Boschi tra Calizzano e il C. Melogno. — — È apennina D. N. Intorno a Novi (D. N.). — ». verrucosa Ehrh. Boschi tra Calizzano e Melogno, lungo il Rio Scalincio. Alnus viridis (Chaix) D. C. Al colle dei Giovetti. — qglutinssa(L.) Gaertn. Comune nei l. umidi, lungo 1 fiumi, ecc. Bagnasco, Calizzano, Acqui, Rossiglione, Mornese, ecc. Cupuliferae. Carpinus Betulus L. Colle dei Giovetti, Calizzano, sotto il C. di Melogno, in V. Erro, ecc. Ostrya carpinifolia Scop. Nella V. Gorzente alle falde del M. Tob- bio, e al Lago della Lavagnina, al M. Moro (Gavi), a Voltaggio, a Busalla, sopra Godiasco, ecc. Corylus Avellana L. Frequente nei boschi in tutte le zone Nord degli Appennini. Quercus pubescens W. Sopra Muraglie (Bagnasco). — sesseliflora Salisb. Frequente nei boschi in tutte la zona Nord degli Appennini. i — Cerris L. In V. d’Erro sopra Acqui e pr. Piano Stano in V. Staffora. — Ilex L. Pr. Montenotte e sulla cresta tra il Passo di Giovo e il M. Ermetta. Castanea vesca Goertn. Frequente nei boschi dell'Appennino spe- cialmente in Val Tanaro, Bormida, Gorzente, ecc., anche sulle col- line marnose tra Serravalle e Gavi. Fagus sylvatica L. Frequente nei boschi in tutta la zona più elevata degli Appennini. Urticaceae. Ulmus campestris L. Raro pr. Calizzano, Casaleggio Boiro Novi, ecc., colt. . — — v. suberosa (Ehrh.). Pr. Rivanazzano. Ficus Carica L. Sui vecchi muri al Castello di Campoligure. Urtica urens L. Presso la fr. Frassino a Calizzano. — divica L. Volgare tra le macerie nei 1. incolti, ecc. Parietaria officinalis L. Comune sui vecchi muri, Muraglie, Sas- sello, Campoligure, ecc. Eleagnaceae. Hippophae rhamnoides L. Nell’alveo della Scrivia e della Staf- fora, e del Curone, e nelle siepi sui colli pr. Cecima e Brignano. Thymeleaceae. Daphne Cneorum L. Sul M. Ermetta e sul M. Tobbio pr. la vetta. — Laureola L. Ceva, Denice, al Bric del Vallone, in V. Staf- fora sotto Negruzzo e pr. Chiusano. SPOGI — Mezereum L, Boschi montani al C. dei Giovetti, lungo il Rio Scalincio (Calizzano) M. dei Settepani verso Bormida, M. Er- metta, M. Lecco, pr. M. Capraro, M. Boglelio. Passerina annua Wikst. Liguria transpadana (D. N.). Tra Go- diasco e Cecima. Santalaceae. Thesium linopyllum L. Praterie montane ai Giovetti, al M. Er- metta, al Pian dei Deschi sopra Mornese; frequente. — intermedium Schrad. Presso Montenotte, Voltaggio, Cairo, Carcare. — montanum Ehrh. Pascoli ai Giovetti, Dego e Montenotte inf., pr. il Pian di Rapa (Campoligure), in V. Gorzente, e sopra Rivanazzano. Loranthaceae. Viscum album L. Sui Peri tra Cecima e Serra (V. Staffora). Aristolochiaceae. Asarum europoeum L. Boschi lungo il Rio Scalincio (Calizzano), al M. dei Settepani, lungo il Rio della Vota (Montenotte inf.), sopra Sassello, al M. Chiappo (V. Staffora). Aristolochia rotunda L. Lungo la Bormida di Millesimo, a Mon- tenotte, Sassello, Novi, Voltaggio in V. Staffora. Polygonaceae. Polygonum Fagopyrum L. Colt. nel piano di Calizzano. — Convolvulus L. Al Colle dei Giovetti, sopra Sassello, pr. Ri- vanazzano. — dumetorum L. Tra Busalla e Fiaccone, e sopra Rivanazzano. — Persicaria L. Frequentissimo nei luoghi umidi e lungo le strade, ecc. — Hydropiper L. Gavi D. N. — minus Huds. Pr. la Bocchetta di Voltaggio. — aviculare L. Comune nei l. incolti, lungo strade, ecc., a Bagnasco, Tiglieto, Lerma e Godiasco, ecc. — Bellardi All. Nei Campi a Montechiaro d’Acqui, a Gre- miasco e Godiasco, ecc. Rumex crispus L. Lungo la strada Calizzano-Colle di Melogno, e tra Rossiglione e Ovada. ea. | Mg MR, PRI AE I “ $ Pad re Var, gr4 TIDaGREE — conglomeratus Murr. Pr. Acqui, in V. Erro, tra Lerma e Ca- saleggio, pr. Novi. — obtusifolius L. Lungo la i ad Acqui, in V. d’Erro. — pulcher L. Presso la Fraz. Bormida sopra Carcare, a Vol. taggio. — Acetosella L. Frequente nei luoghi aridi specialmente ser- pentinosi, tra Olba e Tiglieto, pr. Rossiglione, dietro il Bric dei Ladri a Marcarolo, ecc. — Acetosa L. Praterie ai C. dei Giovetti, pr. la Maddalena in V. d’Erro, e alla C. Benedetta pr. Marcarolo. Chenopodiaceae. Atriplex litoralis L. Novi, campi delle colline D. N. Chenopodium Bonus-Henricus. L. Pr. Casal Staffora' (N. B.). — Vulvaria L. Pr. Bagnasco, a Bormida sopra Carcare, alla M. della Guardia (Gavi), a Monte Capraro in V. Curone. — murale L. Pr. Pallare, in V. d’Erro sopra Acqui, e a Naz- zano. — urbicum L. Belforte Monf., Lerma (D. N.), tra Godiasco e S. Paolo. — album L. Volgare nelle vigne, 1. incolti, ecc., Bagnasco, Ti- glieto, Acqui, ecc. Polycnemum arvense L. Acqui, Godiasco. — — ce. roseolum D. N. Gavi (D. N.). Salsola Tragus L. Nell’alveo della Scrivia (D. N.). Amarantaceae. Amarantus retroflerus L. Pr. la C. di Iota tra Gavi e Mornese, pr. Rivanazzano. — patulus Bert. Tra Rivanazzano e Nazzano lungo le vie. — Blitum L. Al Castello di Cecima (V. Staffora). — deflexus L. Presso Rossiglione. Phytolaccaceae. Phytolacca decandra L. Tra i residui del Castello di Campoligure. Paronychiaceae. Scleranthus annuus L. Nei campi e l. aridi pr. Calizzano, e sopra Rossiglione, Voltaggio, ecc. — 297 — — perennis L. Al pian dei Deschi sopra Mornese. Herniaria glabra L. Frequente nei luoghi aridi ghiaiosi sopra Muraglie (Bagnasco), a Calizzano, in V. d’Erro, pr. Tiglieto, in V. Gorzente, al Pian dei Deschi, a Mornese, Gavi, Novi, ecc. Portulacaceae. Portulaca oleracea L. Negli orti e 1. incolti a Pallare, Gavi, ecc. Caryophyllaceae. Spergularia rubra (L.) Pers. Lungo le strade tra Olba e Tiglieto, pr. Rossiglione e Campoligure. Sagina apetala Are. Sui muri a secco e nelle fessure delle rupi pr. Muraglie, tra Calizzano e Melogno, pr. Tiglieto, al Pra della Colla sopra Campoligure. Alsine tenuifolia (L.) Crantz. Tra Serravalle e la C. Montey. — laricifolia (L.) Crantz. L. aridi pr. Ponte d’Erro (Acqui) e tra 1 Deschi e gli Eremiti in V. Gorzente. Arenaria serpyllifolia L. Pr. Calizzano a Frassino, al M. Er- metta, tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, Voltaggio, Castello di Cecima. Moehringia trinervia Claire. A Bormida sopra Carcare e al M. Er- metta. — muscosa L. Frequente sui muri e sulle rupi, pr. Calizzano, sopra Sassello, al M. Ermetta, Castello di Campoligure, M. Tobbio, Piano Stano in V. Staffora. Stellaria nemorum L. Lungo il R. Scalincio pr. Calizzano, M. Ghiarolo (N. B.), M. Boglelio (N. B.), Montenotte. — media L. Volgare nei l. incolti, da Calizzano a Novi, ecc. — uliginosa Murr. L. umidi ai Colle dei Giovetti e pr. Ca- lizzano. — Holostea L. Sopra Muraglie (Bagnasco), al Colle dei Giovetti e a Voltaggio. Holosteum umbellatum L. Pr. Serravalle Scrivia (D. N.). Cerastium culgatum L. Colle dei Giovetti, tra il Giovo ed il M. Ermetta, lungo la Bormida ad Acqui, Voltaggio, ecc. — arvense L. Nei l. incolti sopra Rossiglione a Mornese, Lerma, al Castello di Voltaggio. — -— £ Villarsi Verlot. Rossiglione. — triviale Lk. Presso Voltaggio. — manticum L.'Tra Sassello ed il Passo del Giovo, pr. la C. Be- nedetta a Marcarolo, a Voltaggio. ITA Later da è led ie * — 298 — Agrostemma Githago L. Frequente nei campi, Giovetti, Tiglieto, Gavi, ecc. Lychnis coronaria Desv. A Pian Soprano sopra Bormida (Car- care), tra il Giovo e il M. Ermetta. — Flos Cuculi L. Frequente nei prati, Calizzano, C. Benedetta (Marcarolo), Novi, Voltaggio, ecc. — dioica L. Nei boschi lungo il Tanaro e presso Acqui. — sylvestris Hoppe. M. Boglelio (N. B.), Voltaggio. Cucubalus baccifer L. Acqui (Lisa). Silene inflata Sm. Comune nei prati e 1. erbosi. — rupestris L. Boschi lungo il Rio Scalincio (Calizzano). — Armeria L. Frequente nei boschi ai Giovetti, Calizzano, V. d’Erro, V. Gorzente, Voltaggio, ecc. —- Saxifraga L. Sulle rupi in V. dell’Erro sopra Acqui, e tra Cravaria e la Lavagnina, e sopra gli Eremiti in Val Gorzente, Voltaggio, ecc. ‘— nocturna L. Lungo la Bormida ad Altare. — gallica L. Presso Altare e S. Pietro d’Olba. — italica (L.) Pers. Frequente a Garessio, a Bagnasco, ai Gio- vetti, al C. di Melogno pr. Acqui, a Campoligure, al L. della La- vagnina, e a Mezzamonta in Val Gorzente, e nei colli tra Gavi e Serravalle Scrivia. — nutans L. Lungo la strada Calizzano-Melogno, al M. Er- metta verso Olba, sopra Rossiglione verso Tiglieto, alla C. Bene- detta in V. Gorzente. — cviridiflora L. Montenotte (All). — Otites Sm. Pendii aridi tra Nazzano e Chiusano, e presso Montenotte. Saponaria officinalis L. Luoghi incolti a Bagnasco. — ocymoîdes L. Boschi sopra Muraglie (Bagnasco), pr. il Colle di Melogno, sopra Sassello, pr. Marcarolo alla C. Bandia, al M. Tob- bio, alla Lavagnina, tra Gavi e Serravalle Scr., ecc. — Vaccaria L. Nei campi pr. Montechiaro d’Acqui, ai Casci- netti pr. Gavi, tra Viguzzolo e Gremiasco, pr. Godiasco. Gypsophila repens L. Sopra Muraglie (Bagnasco) tra Calizzano e Melogno. — muralis. Lungo la Bormida di Millesimo e a Voltaggio. Tunica Saxifraga Scop. Garessio lungo la Bormida ad Acqui, e nei Colli tra Casaleggio Boiro, Gavi e Serravalle, a Rossiglione, Riva e Nazzano. — prolifera (L.) Scop. Frequente nei l. aridi a Calizzano, Acqui, Sassello, Rossiglione, Casaleggio Boiro, Mornese, Serravalle Scrivia, Busalla, ecc. — 299 — Dianthus Armeria L. Montenotte, Capanne di Marcarolo, Sas- sello, Olba (D. N.); Tiglieto, Novi. — Carthusianorum L. Pr. la Borgata Maddalena in Val d’Erro, e a Godiasco. (N. B.). — atrorubens L. Tra il Passo del Giovo e il M. Ermetta. — Seguieri Chaix. Sopra Calizzano tra Olba e Tiglieto, pr. la C. Benedetta e alle falde M. Tobbio in V. Gorzente, a Voltaggio, ecc. — deltoides L. Sopra Bagnasco a Muraglie, ai Giovetti tra Calizzano e Melogno, al Castello di Fiaccone (Busalla). — sylvester Wolf. Rupi aride ai Giovetti, in V. Erro sopra Acqui, e nella V. del Gorzente tra Lerma e la Lavagnina, pr. Chiu- sano, ecc. — Caryophyllus L. Godiasco (N. B.). — virgineus L. Pr. Rossiglione. Hypericacae. Hypericum Androsaemum L. Boschi pr. Montenotte inf., tra Sas- sello e il Passo del Giovo. — perforatum L. Comune nei luoghi erbosi, ecc., alla base del- l'Appennino su tutti i terreni, micascisti, serpentini, marne, ecc. — — car. angustifolium Roct. Voltaggio. — montanum L. Boschi sopra Muraglie, in V. d’Erro, a Rossi- glione, alle falde del M. Tobbio e pr. il Pian dei Deschi in V. del Gorzente, a Busalla, Nazzano, ecc. Cistaceae. Helianthemum Fumana (L.) Mill. L. aridi sopra Muraglie (Ba- gnasco), Acqui, pr. il Rio Roverno a Mornese, al C. del Ratto pr. Serravalle Scr., sopra Fabbrica Curone, Rivanazzano, ecc. — vulgare Gaertn. Frequente nei luoghi aridi sopra Muraglie, ai Giovetti, Tiglieto, M. Tobbio, tra Gavi e Serravalle Scr., Bu- salla e Godiasco, ecc. — guttatum Mill. Pr. Dego al Bric della Rama, presso Monte- notte, pr. la C. d’Allia sopra Lerma. Cistus salvifolius L. Sopra Pallare, pr. Montenotte, Dego, in V. d’Erro, a Rossiglione, tra Lerma, Mornese e il Lago della Lava- gnina. Violaceae. Viola canina L. Qua e là nei boschi al Pian di Rapa (Campo- ligure), sul M. Tobbio, pr. Lerma, M. Ebro, ecc. — lactea Sm. M. Boglelio (N. B.). Si ed STR IR PET DE DI MOI I x — 300 —. — arenaria D. C. M. Ebro. —' hirta L. Pr. il Forte di Gay. — odorata L. Voltaggio ecc. — palustris L. Pr. la C. Bandia sopra Campoligure. — heterophylla Bert. Sulla sommità del M. Ermetta, tra i detriti serpentinosi pr. le Capanne di Marcarolo al M. Tobbio, e al M. Ebro. — tricolor L. v. arvensis Murr. Giovetti, Melogno, Marcarolo, Voltaggio, Novi, M. Ebro, ecc. — — ®. saratilis. F. W. Schm. Sopra M. Capraro. Resedaceae. Feseda luteola L. Presso Dego al Bric della Rama, a Montechiaro d’Acqui, Godiasco, Cecima. — lutea L. Lungo la Bormida ad Acqui, tra Lerma e Casa- saleggio Boiro, alla Cappella Montey pr. Serravalle Scr., a Novi e Godiasco. — Phyteuma L. Tra Bagnasco e Muraglie, pr. Acqui. — odorata L. Subspontanea pr. S. Zaccaria (Godiasco). Astrocarpus sesamoîdes (L.) D. C. Sulle rupi serpentinose al Ponte d’Erro sopra Acqui, al M. Ermetta, tra Tiglieto e Rossiglione in V. d’Orba, e V. di Stura, nella V. del Gorzente, alla Lavagnina, Marcarolo, M. Tobbio ed a Voltaggio. Cruciferae. Erysimum heracifolium L. lanceolatum PR. Br. Tra Sale e Ter- rassa (Ceva), Millesimo. Turritis glabra /L. Sassello (D. N.). Tra il Passo del Giovo e il M. Ermetta. Arabis brassicaeformis Wallr. M. Ebro. — Turrita L. Voltaggio, Garessio. — alpina L. Tra i detriti serpentinosi a N. O. del M. Tobbio, M. Lecco. — hirsuta (L). Scop. Sopra Garessio, Sassello, al Castello di Campoligure, Voltaggio, tra la Cappella Montey ed il C. del Ratto sopra Serravalle Scr., Bagnasco, Curone, M. Ebro. — muralis Bert. Tra Fabbrica Curone e M. Capraro. — Thaliana L. Tra il Passo del Giovo e M. Ermetta. Sisymbryum Irio L. Nel Tortonese (All.). — altissimum L. Lungo la Bormida a Denice. RI CIRIE IRE — 301 — — Sophia L. L. incolti tra Calizzano e Melogno, sopra Go- diasco e a Belforte Mont. — polyceratium L. Pr. le case a Montechiaro d’Acqui, e al Ca- stello di Mornese. — officinalis (L.) Scop. Volgare tra le macerie; lungo le strade ecc. Erysimum Alliaria Scop. Sopra Muraglié (Bagnasco), Nazzano. Barbarea vulgaris R. Br. Pr. il Tanaro a Bagnasco, pr. Voltag- gio, a Fego (Varzi). Nasturtium pyrenaicum (L.) R. Br. Voltaggio. — palustre D. C'. Pr. il Colle di Melogno. — syleestre R. Br. Lungo la Bormida a Millesimo. Cardamine thalictroides All. Sassello, Olba (D. N.). — amara L. Pr. Calizzano. — hirsuta L. Tra il Giovo e M. Ermetta. — impatiens L. Pr. Millesimo, Muraglie (Bagnasco) e Voltaggio. Dentaria enneapyllos L. M. Boglelio (N. B.). -—— digitata L. Boschi pr. le capanne di Marcarolo (D. N.), al M. Settepani e al Monte Ermetta. — bulbifera L. Nelle Faggete al M. Settepani, tra Dego e Mon- tenotte inf., C. del Giovo, M. Ermetta, M. Ebro, e M. Boglelio (N .B.). Sinapis arvensis L. L. incolti a Garessio, alle Cascine di Iota pr. Parodi Ligure e pr. Godiasco. Diplotaris muralis (L.) D. C. Colli marnosi al Bric del Vallone pr. Denice, alle C. di Iota pr. Parodi ligure, alla Cap. Montey sopra Serravalle Scr. pr. Nazzano, — tenuifolia (L.) D. C. Lungo la Bormida ad Acqui. Erysimum orientale. Inselvatichito a Voltaggio nel giardino dello Stabilimento idroterapico. Raphanus Raphanistrum L. Campi sopra Dego, a Ferrania e pr. Novi. Rapistrum rugosum (L.) Berg. Campi e l. incolti in V. d’Erro sopra Acqui, tra Lerma e Casaleggio, a Cadepiaggio (Parodi Li- gure), sopra Gavi e Godiasco. Bunias Erucago L. L. incolti a Cadepiaggio (Parodi Ligure) e pr. Novi e Voltaggio. Isatis tinctiora L. Pr. Montechiaro d’Acqui e in V. d’Erro so- pra Acqui. Alyssum calycinum L. L. aridi pr. Calizzano, nei colli tra Ser- ravalle Scr. e Gavi, e pr. Voltaggio. Vesicaria utriculata (L.) D C. Sulle rupi tra Rossiglione e Ovada in V. Stura, tra Cravaria e la Lavagnina in V. Gorzente. ANNALI DI BoraxnIica — Vor. X. 20 Draba muralis L. Regione transappennina (D. N.). Ceva, Vol- taggio. — verna L. Voltaggio, Gavi, ecc. Cochlearia glastifolia L. Sui muri della parte Nord del Forte di Gavi. Neslia paniculata (L.) Desv. Pr. Montechiaro d’Acqui, tra i Ca- scinotti e il M. Moro (Gavi), a Voltaggio e pr. Godiasco. Calepina Corvini (All) Desv. Sopra Sassello e a Voltaggio. Senebiera Coronopus Pois. Pr. la stazione di Denice, a Sale (Ceva), tra Serravalle Scr. e la Cap. Montey, a Cecima. Lepidium graminifolium L. Tra Riva e Nazzano. — ruderale L. L. incolti sopra Acqui in V. d’Erro, Castello di Nazzano. — campestre (L.) E. Br. Pr. Garessio, Bagnasco, tra Caragna e Caragnetta (Calizzano). Hutchinsia petraea R. Br. Colli di Predosa. Capsella Bursa Pastoris (L.) Moench. Volgare nei campi e l. in- colti. Thlaspi perfoliatum L. Campi pr. Novi e Voltaggio. virgatum Gr. et Godr. Pr. S. Pietro d’Olba, Voltaggio. — alpestre L. Tra la C. Eremiti e la Pedanca in Val Gorzente, al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). Iberis umbellata L. Presso Voltaggio, e sopra la Lavagnina. Biscutella laevigata L. In val d’Erro sopra Acqui, alle falde del Tobbio in Val Gorzente e M. Figne. Papaveraceae. Fumaria agraria Lag. Muri presso Bormida sopra Carcare. — capreolata L. Campi tra Fiaccone e Bocchetta di Voltaggio. — parviflora Lam. Pr. Gremiasco in V. Curone. — officinalis L. Frequente nei l. incolti in V. d’Erro, pr. Mor- nese, Serravalle Scr., ecc. Corydalis solida Sw. M. Ebro. — fabacea Pers. M. Boglelio (N. B.). Chelidonium majus L. Pr. le case, tra le macerie (non volgare). Glaucium flavum Crantz. Lungo la Bormida a Dego, e pr. Acqui e lungo la Scrivia (All.). Papaver hybridum L. L. incolti al Bric della Rama a Dego, e presso Novi. -—- Argemone L. Campi pr. Calizzano e sopra Nazzano. — Rhoeas L. Nei campi in tutto l'Appennino. — 303 — Ranunculaceae. Clematis Vitalba L. Frequente nei boschi e nelle siepi; Bagnasco Giovetti, Acqui, Ovada, Serravalle Scr., Godiasco, ecc. Thalictrum aquilegifolium L. In Liguria transappennina D. N. Nei boschi pr. Calizzano, a Voltaggio, e sopra Piano Stano in V. Staffora. — minus L. Colle dei Giovetti, alle falde del Tobbio verso il Gorzente. — flavum L. Presso Serravalle Scr. lungo la Bormida a Dego. Anemone Pulsatilla L. Serravalle Scr., Gavi, (D. N.); dietro il Forte di Gavi. — ranunculoides L. M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). — nemorosa L. Sul M. Ermetta, M. Figne. — trifolia L. Nei boschi di Castagni presso Montenotte inf., sopra Sassello, al M. Ermetta, tra la C. Bandia, e Pian di Rapa, sopra Campoligure, nella V. del Gorzente alla Lavagnina e agli Eremiti, pr. Mornese al R. Roverno, sopra Voltaggio a Busalla. — Hepatica L. Boschi al C. dei Giovetti, sopra Sassello e Ros- siglione, alla Lavagnina, e al M. Tobbio in Val Gorzente e a Vol- taggio. Adonis Flammeus Jacq. Tra Godiasco e S. Zaccaria. Ranunculus aquatilis L. v. paucistamineus Tausch. Fossi pr. Caliz- zano. — aconttifolius L. Prati montani al M. Ermetta, al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). — Flammula L. L. umidi pr. il Passo del Giovo. — Auricomus L. M. Chiappo, D. N., M. Ebro. — repens L. Pr. Calizzano, al M. Ermetta. -- montanus Will. M. Ebro. — aduncus Gr. et God. Alta V. Staffora sotto il M. Chiappo, e M. sa — nemorosus D.C. Boschi sopra Muraglie, Bagnasco, pr. il Passo del Giovo. — acer. L. Comune rei prati a Bagnasco, Giovetti, Marcarolo, M. Ebro, ecc. -— lanuginosus L. M. Boglelio (N. B.). — velutinus Ten. Nazzano, nei prati. — bulbosus L. Frequente lungo le strade vi, Acqui, M. Tobbio, Lavagnina, Gavi, Godiasco, ecc. — arvensis L. Comune nei campi dei cereali in tutto il versante nord dell’Appennino. ) è, i O TAI CA ER E RE SRI TIE A SII Pc RIE ETC IA VIA TINA CLAIM Dea VIS QI IIS ae, — 304 — — Villari D. C. M. Ebro, e M. Chiappo. — alpestris L. M. Ebro. Caltha palustris L. Capanne di Marcarolo (D. N.); pr. Muraglie, ai Giovetti e sul M. Ermetta. Trollius europaeus L. M. Boglelio (N. B.). Eranthis hyemalis L. Campi argillosi nel Vogherese (Gib.). e pr. Gavi. Helleborus viridis L. Boschi tra Massimino e Muraglie (Bagnasco), al C. dei Giovetti, lungo il R. di Vota pr. Montenotte inf., in Val d’Erro, al M. Ermetta, al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). — foetidus L. Boschi, sopra Muraglie (Bagnasco), Colle dei Gio- vetti, val d’Erro, pr. Melazzo, sopra Voltaggio, al M. Ebro, pr. Riva, (rodiasco, ecc. Nigella damascena L. Campi lungo la Bormida ad Acqui. — arvensis L. Pr. Novi (D. N.), sopra Nazzano verso Buscafa. Aquilegia vulgaris L. Boschi tra Bagnasco e Giovetti; pr. Me- logno, al M. Ermetta, Voltaggio, M. Boglelio (N. B.). — atrata Kock. Pr. il Lago della Lavagnina, al M. Ebro, e sopra Negruzzo in V. Staffora. Delphinium Consolida L. Campi a destra del Tanaro a Bagnasco. Aconitum Cammarum L. M. Boglelio (N. B.) È forse la v. nasutum Fisch. Cfr. Fiori FI. anal. I, pag. 525. — Napellus L. M. Ebro. — Lyococtonum L. L. Boglelio (N. B.). Actaea spicata L. Boschi al C. dei Giovetti, sopra M. Capraro verso l’Ebro, e al M. Boglelio (N. B.). Berberidaceae. Berberis vulgaris L. Presso Calizzano a Frassino, pr. Novi. Droseraceae. Drosera rotundifolia L. L. torbosi pr. la Bormida tra Caragna e Caragnetta (Calizzano), e al Pian di Rapa sopra Campoligure. Parnassia palustris L. L. torbosi nel vallone del R. Eremiti alle falde del M. Tobbio e pr. la Bocchetta di Voltaggio. Saxrifragaceae. Saxifraga rotundifolia L. Boschi tra Calizzano e Melogno, al M. dei Settepani, sopra Sassello, al M. Ermetta, a M. Lecco (Vol- taggio), M. Ebro. — 305 — — tridactylites L. Pr. Sassello, al C. del Ratto sopra Serravalle Scr., sopra Gremiasco. — bulbifera L. In agro transappennino (D. N.), Voltaggio. — moschata Wulf. M. Figne. — cuneifolia L. Boschi lungo il Rio Scalincio a Calizzano, alla Bocchetta di Voltaggio, nell’alta Val Staffora. Ribes rubrum L. Siepi pr. Frassino (Calizzano). Crassulaceae. Cotyledon Umbilicus L. Sui muri a secco pr. Pian Soprano di Bormida (Carcare), a Rossiglione, al Castello di Campoligure, Bel. forte Monf. e Carrosio. Sempervivum tectorum L. Pr. Mornese e alle Capanne di Mar- carolo. Sedum maximum (L) Sut. Pr. Voltaggio. — Thelephium L. Muri pr. Calizzano. — rupestre L. Frequente nei l. aridi, ai Giovetti, Calizzano, tra Serravalle Scr. e Gavi, a Novi, ecc. — anopetalum D. C. Tra Bagnasco e Massimino, lungo il Rio Roverno pr. Mornese, Lerma, ecc. — boloniense Lois. Tra Serravalle Scr. e la Capp. Montey pr. Novi. — acre L. Frequente nei l. aridi ai Giovetti, in Val d’Erro, a Rossiglione, sopra Mornese. — album L. Muri pr. Massimino (Bagnasco), a Calizzano, Ros- siglione, Campoligure, Casaleggio Boiro, Monte Tobbio, Gavi, ecc. — dasyphyllum L. Muri al Colle dei Giovetti, al C. di Melogno, al M. Tobbio pr. il Gorzente, tra Serravalle Scr. e Gavi, a Busalla, Cecima, ecc. — Cepaea L. Rupi al C. dei Giovetti, al C. di Melogno, in Val d’Erro, a Belforte Monf. pr. il L. della Lavagnina e a Voltaggio. — annuum L. Pr. il Colle dei Giovetti. — rubens L. Sassello, Serravalle Scr. D. N.; sui muri pr. Dego, Denice, Rossiglione, Campoligure, sopra Mornese pr. Cravaria (Gor- zente). Rosaceae. Prunus spinosa L. Frequente nelle siepi e nei l. aridi pr. Ba- gnasco, i Giovetti, Acqui, sul M. Tobbio, Serravalle Scr., Novi, Vol- taggio e Rivanazzano, ecc. — Mahaleb L. In Val d’Erro sopra Acqui. — 306 — — Spiraea Filipendula L. Prati montani tra Calizzano e Melogno, in V. d’Erro, sopra Acqui, a Sassello, presso Tiglieto, in V. Gor- zente, agli Eremiti e alla C. Benedetta. — Ulmaria L. Sassello (D. N.) lungo il Tanaro a Bagnasco. — Aruncus L. Boschi al C. dei Giovetti, lungo il R. Scalincio, (Calizzano), sopra Sassello, al Pian di Rapa (Campoligure), alle falde del M. T'obbio lungo il Gorzente. Geum rivale L. Bocchetta di Voltaggio D. N. — urbanum L. Dovunque lungo le strade pr. i luoghi abitati. Potentilla Fragariastrum Ehrh. Pr. le Capanne di Marcarolo, e pr. (rodiasco. — micrantha Lam. Pr. Massimino (Bagnasco), a Frassino (Caliz- zano), pr. Campoligure al Castello, e al Pian della Colla, a Voltaggio, sul M. Ebro, in V. Staffora. — Tormentilla (L.) Neck. Comune nei boschi e 1. torbosi su roc- cie silicee, dalla V. Tanaro a quella della Scrivia. — reptans L. Frequente nei l. incolti, Bagnasco, Casaleggio Boiro, Gavi, Novi, ecc. — hirta L. . pedata W. Pr. Bagnasco, Dego, Acqui, Tiglieto, Belforte, Mornese, Voltaggio, Varzi, ecc. — recta L. Denice, Acqui, Campoligure, Sassello, Voltaggio, Novi, M. Ebro. — — f.pallida Lag. Pr. Bagnasco, Novi, Voltaggio, ecc. — — 7. pilosa Will. Belforte Monf. — argentea L. Sopra Massimino (Bagnasco), Castello di Campo- ligure, pr. la Vetta del M. Tobbio, Voltaggio e Casaleggio Bolro. — — cv. demissa. lord. Pr. il Colle di Melogno e pr. Voltaggio. — canescens Bess. Pr. Novi verso Catanietta, e a Belforte Monf. — Fragariastrum Ehrh. Pr. Godiasco (N. B). — rupestris L. Sassello, Serravalle Scr. (D. N.) Praterie al C. dei Giovetti, alla Lavagnina e tra i Cascinotti e Gavi. — wverna L. AI C. dei Giovetti. Fragaria Vesca L. Comune nei boschi dalla V. Tanaro alla V. Staffora. Rubus idaeus L. Tra i ruderi del Castello di Campoligure e al monte Boglelio (N. B.). — fructicosus L. e sue numerose varietà; frequente nei l. bo- schivi, siepi, ecc.; lungo tutta la catena. — caesius L. Boschi tra la C. di Jota a Cadepiaggio (Gavi). Agrimonia Eupatoria. L. L. incolti pr. Bagnasco, Calizzano, in V. d’Erro, a Novi, Busalla, Rivanazzano, ecc. — agrimonioides L. Faggete folte in V. Staffora sotto il M. Chiappo. — 907 — Alchemilla vulgaris L. Pr. la Bocchetta di Voltaggio. — arvensis (L.) Scop. Gavi D. N.). Campi pr. Novi. Poterium Sanguisorba L. L. aridi pr. Bagnasco in V. d’Erro, a Rossiglione, e sui colli tra Casaleggio Boiro, Mornese, Gavi e Ser- ravalle Scr. Rosa arvensis Huds. In V. d'Erro sopra Acqui, a Montenotte, C. Bandia (Campoligure), Molini di Voltaggio. — gallica L. Pr. Bagnasco, Dego, Acqui, Sassello, Olba, Mor- nese, Lerma, Voltaggio, Serravalle Scr., ecc. — canina L. Pr. Novi, ecc. — — . Lutetiana Lem. Qua e là intorno a Voltaggio. — — var. andegavensis Best. A1 Molini di Voltaggio. — — v. dumalis Bechat. Voltaggio ai Molini e verso il M. Tobbio. — — e. dumetorum Thuill. Voltaggio verso il M. Tobbio. — gallico-arvensis. Tra Mornese e il Pian dei Deschi. — tomentella L. Dintorni di Voltaggio. — anisopoda Keller — gallica X agrestis. Tra Dego e Monte- notte alla Costa del Serré. — micrantha Sem. Molini di Voltaggio. — — v.biserrata(Bech.) Christ. Tra Sassello e il passo del Giovo. — agrestis Savi. Dintorni di Voltaggio, tra Dego e Montenotte. — rubrifolia Will. Monte Boglelio (N. B.). — Jundzilli Bess. Voltaggio pr. M. Tobbio. — rubiginosa L. Sassello (D. N.). — villosa L. M. Boglelio (N. B.). — alpina L. M. Ermetta, M. Tobbio verso Voltaggio, M. Ebro e M. Boglelio (N. B.). Crataegus Azarolus L. Lungo la Staffora tra Godiasco e Cecima (inselv.). — oxyacantha L. Pr. Bagnasco, e lungo il R. Roverno sopra Mornese. — monogyna Jacq. Frequente nelle boscaglie tra la V. Tanaro e V. Staffora. Mespilus germanica L. Boschi pr. Frassino (Calizzano), M. Er- metta, pr. Rossiglione, nella V. del Roverno (Mornese), alle falde del M. Lecco (Voltaggio). Aronia rotundifolia Pers. Boschi in V. d’Erro sotto Sassello, e alle falde N. O. del M. Tobbio. Pyrus Cydonia L. Sassello D. N. — communis L. Boschi lungo il R. Scalincio (Calizzano), a Mon- tenotte, Godiasco, sopra Sassello e pendii aridi marnosi tra Cecima e Serra. , PUESTTI — 308 — — acerba D. C. Frequente nei boschi in Val Gorzente, lungo il R. Roverno e alle falde del M. Tobbio. — Malus L. Pendii marnosi scoperti, tra Cecima e Serra (V. Staffora). — torminalis (L.) Ehrh. Boschi sopra Muraglie (Bagnasco) in V. d’Erro, a Rossiglione, tra Gavi e Cadepiaggio, pr. Voltaggio, Montenotte e al M. Boglelio (N. B.). — Aria (L.) Ehrh. Frequentissimo nei boschi montani da Ca- lizzano al M. Ebro. — Aucuparia (L.) Ehrh. Boschi pr. il R. Scalincio (Calizzano) e al M. Ermetta. — Sorbus Gaertn. Boschi uo la Madonna del Monte (Riva- nazzano). Leguminosae. Gleditschia triacanthos L. Siepi al Passo dei Giovi. Cytisus Laburnum L. Frequente nei boschi montani, Bagnasco, Giovetti, Melogno, M. Ermetta, M. Ebro, M. Chiappo, ecc. — nigricans L. V. d’Erro pr. la Borgata Maddalena. — sessilifolius L. A Muraglie, ai Giovetti, lungo il R. Roverno (Mornese), colli tra Lerma e Serravalle Scr., Voltaggio, M. Ebro, Rivanazzano, Negruzzo. — scoparius (L.) Link. Pr. Pallare, sopra Sassello, sotto la C. Benedetta, in V. Gorzente, presso Voltaggio, Busalla. — hirsutus L. Boschi sopra Muraglie, ai Co, sopra Sassello. — prostratus Scop. Monte Ebro. — capîtatus Scop. Pr. Calizzano, a Caragna, Frassino, ecc. Argyrolobium Linneanum Walp. L. aridi sopra Massimino (Ba- gnasco), a Denice, Dego, al Colle del Ratto (Serravalle), Fego (Varzi). Genista ovata W. et K. Boschi tra Dego e Montenotte inf. e al M. Boglelio (N. B.). — tinctoria L. Praterie montane e boschi a Massimino (Ba- gnasco), V. d’Erro, Pian di Rapa (Campoligure), Colle Ratto (Ser- ravalle Scr.) Voltaggio. — — ©. virgata W. Colle dei Giovetti. — pilosa L. Frequente nei l. aridi della Valle Tanaro a Dego, al M. Ermetta, Rossiglione, Bocchetta di Voltaggio, lungo la Staf- fora (N. B.). — germanica L. Frequente nei boschi ai Giovetti, Montenotte inf., Sassello, Pian di Rapa (Campoligure), sopra Mornese, Riva- nazzano, ecc. — radiata (L.) Scop. Sulle creste elevate tra M. Capraro, il M. Ebro, e il M. Chiappo; di rado discende colle acque nella V. Staffora. — cinerea D. C. Tra Bagnasco e Muraglie. Spartium junceum L. Frequentissimo su tutti i declivi soleg- giati, calcarei, marnosi, alle falde dell'Appennino da Dego a Varzi, raro nei conglomerati di serpentino pr. il Rio Roverno a Mornese. Ononis spinosa L. Comune nei l. erbosi, pr. Calizzano, Acqui, Sassello, Rossiglione, Lerma, Serravalle Scr., Busalla, Godiasco, ecc. — Columnae AU Tra il Colle del Ratto e i Cascinotti (Gavi), pr. Godiasco (N. B.), Voltaggio. — Natria L. Frequente nei l. aridi calcarei sotto Muraglie, e sui colli marnosi, tra Cairo, Dego, Lerma, Serravalle Scr., Go- diasco, Rivanazzano, ecc. Medicago lupulina L. Comune nei 1. incolti, a Bagnasco, Acqui, Rossiglione, Serravalle Scr., Novi, Rivanazzano, ecc. — sativa L. Frequente nei luoghi erbosi e coltivati. — falcata L. Frequente nei l. aridi marnosi, tra Acqui e Go- diasco. — orbicularis (L.) All. Nelle vigne e 1. incolti sopra Sassello, pr. Lerma, e tra Mornese e S. Carlo. — Gerardi Kit. Lungo la Bormida ad Acqui, in V. d’Erro, sopra Acqui, tra Lerma e Casaleggio Boiro e sopra Godiasco (N. B.). — rigidula (L.) Desr. Pr. Lerma, Mornese, pr. la Cascina di Iota, tra Gavi e Parodi. — rigidula Desr. È agrestis Ten. Tra Acqui e Sassello. — minima Desr. Frequente nei l. incolti, a Bagnasco, De- nice, pr. Cravaria (Lerma), al C. del Ratto (Serravalle), Godiasco (N. B.), ecc. — denticulata W. Pr. Denice, tra Acqui e Sassello in V. d’Erro. Melilotus neapolitana Ten. Pr. Massimino (Bagnasco), a Dego, al Bric della Rama, nella V. del Gorzente tra Cravaria e Lerma. — officinalis L. Pr. Massimino (Bagnasco), sopra Acqui; pr. Lerma, Serravalle Scr., Novi, Godiasco. — alba Desr. Comune nei 1. incolti, Bagnasco, Acqui, ecc. Trigonella monspeliaca L. Pr. Montechiaro d’Acqui e al Castello di Cecima. Trifolium subterraneum L. L. erbosi pr. Ferrania, sopra Sassello, a Rossiglione, pr. Casaleggio Boiro. — arvense L. Comune nei campi e l. incolti. — — rubellum Gib. et Belli. Pr. Voltaggio, e al Castello di Fiaccone (Busalla). è — 310 — — strictum L. Sopra Sassello e tra Lerma e Casaleggio Boiro. — scabrum L. L. incolti a Dego, Sassello, al M. Tobbio, sui colli tra Gavi e Serravalle Scr., e pr. Godiasco. — stellatum L. M. Tobbio pr. Voltaggio, e tra Lerma e Casa- leggio Boiro. — lappaceum L. Sopra Godiasco (N. B.). — incarnatum L. var. Molineri Belli Pr. Casaleggio Boiro, Campoligure, Voltaggio. — angustifolium L. Pr. Dego al B. della Rama, ad Acqui ed in val d’Erro, a Rossiglione, tra Lerma e Casaleggio Boiro, alla C. di Iota, tra Gavi e Parodi, a Godiasco. — ochroleucum Huds. Prati montani pr. Massimino, Calizzano in Val d’Erro, alla Cascina Bandia (Campoligure), tra Gavi e Pa- rodi. — pratense L. Comune nei prati, ai Giovetti, Acqui, M. Er- metta, ecc. Ì — medium L. Pr. Dego, sopra Tiglieto, e al C. del Ratto (Ser- ravalle). — alpestre L. Sopra Muraglie (Bagnasco), al Colle del Ratto (Serravalle) e Sopra Nazzano. — rubens L. Boschi in Val d’Erro, a Rossiglione, sopra Mor- nese, nel vallone del R. Roverno, pr. il C. del Ratto (Serravalle Scrivia). — resupinatum L. Alla Bocchetta di Voltaggio. — fragiferum L. Prati tra Bagnasco e Massimino, pr. la Colla di Cadepiaggio e tra Cecima e Serra (Godiasco). — glomeratum L. Tra Lerma e il L. della Lavagnina. — elegans L. Sopra Olba, pr. la Colla di Cadepiaggio, a Novi. — hybridum L. Sopra Muraglie (Bagnasco), e a Rossiglione. — repens L. Comune nei prati e 1. incolti. — montanum L. Praterie a Massimino, al Giovetti, a Calizzano, pr. Casaleggio Borio, e al Colle del Ratto pr. Serravalle Scr. — campestre. Sopra Rivanazzano. — minus Schl. Pr. Massimino (Bagnasco), Dego e Rossiglione. — filiforme L. A Dego, tra Sassello e il Passo del Giovo e al Pian di Rapa (Campoligure). — patens Schreb. Novi (D. N.) Praterie pr. Mornese e Parodi. — campestre Schreb. Pr. Ceva, Massimino, Acqui, Sassello, Vol- taggio, Novi, ecc. — Thali Vill. Al Colle dei Giovetti. Anthyllis vulneraria L. Comune nei 1]. aridi incolti, e prati mon- tani. — 311 — — — e. rubra L. Colla precedente ai Giovetti, Capp. Montey (Serravalle), ecc. Dorychnium herbaceum Vill. Comune nei terreni calcarei o mar- nosi, nelle parti basse dell’Appennino, da Massimino a Dego, Ser- ravalle Scr. ecc.; più raro nei terreni serpentinosi (Rossiglione) e sui conglomerati serpentinosi (Mornese). Lotus corniculatus L. Comunissimo nei prati e nei boschi. — uliginosus Schk. Lungo il R. Scalincio pr. Calizzano. — siliquosus L. Nel Vallone del Rio Eremiti, sotto il M. Tobbio, tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, tra i Cascinotti e Gavi, a Vol- taggio, tra Nazzano e Chiusano. Astragalus hamosus L. Pr. Dego al B. della Rama. — glycyphyllos L. Pr. Massimino (Bagnasco), ai Giovetti, sotto Melogno, pr. Casaleggio Boiro, tra Gremisaco e Fabbrica Curone, e sopra Godiasco. -— purpureus Lam. Pr. Denice al Bric del Vallone. — Cicer L. Tra Maddalena e Sassello. — monspessulanus L. Frequente nei l. aridi pr. Bagnasco, Ca- lizzano, Mornese, Voltaggio e in V. Staffora sopra Varzi. — Gremlii Burnat. Pr. Busalla, M. Ghiarolo, tra Fego e Sangui- netti in V. Staffora. Robinia Pseudo-acacia L. Naturalizzato abbondantemente in tutte le parti inferiori dell'Appennino. Colutea arborescens L. Sopra Serravalle Scr. (D N.) e presso Chiu- sano in V. Staffora. Coronilla scorpioides (L.) Koch. Sui colli aridi marnosi a Dego, Denice, Acqui, Lerma, Mornese, Gavi, Godiasco, ecc. — varia L. Tra Bagnasco e Massimino, p. Acqui, a Lerma, Mor- nese, Serravalle Scr., Busalla, Godiasco, a Varzi in V. Staffora. — minima L. Pr. Novi (D. N.). Colli calcari marnosi, a Dego, Gavi, Serravalle Scr., sopra Fabbrica Curone, e sopra Rivanazzano. — Emerus L. Sopra Muraglie (Bagnasco), versante N. O. del Tobbio, Voltaggio, Rivanazzano. Hippocrepis comosa L. Sopra Sassello. tra Tiglieto e Rossiglione, in Val Stura, lungo il R. Roverno a Mornese, a Castelfero, sopra Serravalle Scr., Godiasco, ecc. Onobrychis sativa Lam. Frequente nei prati pr. Bagnasco, sopra Campoligure (C. Bandia) a Mornese, Serravalle Scr., Fabbrica Cu- rone, ecc. i Pisum arvense L. Campi pr. Gremiasco. Lathyrus Aphaca L. L. Erbosi a Bagnasco, Denice, in Val Erro, e Tiglieto, Lerma, Mornese, Novi, Busalla, Godiasco. CIRO — Cicera L.. Pr. Denice, colt. — sativus L. Pr. Denice, colt. — hhirsutus L. A Grognardo, Acqui, Parodi, Serravalle Scr. (D. a Novi, ecc. — sylvestris L. Pra della Colla e C. Benedetta pr. Marcarolo, C. del Ratto (Serravalle Scr.). — Llatifolius L. Frequente nei l. aridi a Massimino, Dego, dub Campoligure, Mornese, Lerma, Godiasco, ecc. — tuberosus L. Pr. Denice, al M. ‘Hrmetta, a Mornese, Novi (D. N.). — setifolius L. Tra Gremiasco e Fabbrica Curone. — sphaer:cus Fetz. Pr. Dego al Bric della Rama, a Rossiglione, tra Olba e Tiglieto. — pratensis L. Sopra Garessio, Frassino (Calizzano), pr. Acqui, Casaleggio Boiro, Gavi, Voltaggio. — Linnaei itetz. Intorno a Marcarolo, al Pian di Rapa e alla C. Benedetta. — niger (L.) Bernh. Pr. la C. Pra della Colla (Campoligure), e Voltaggio. — montanus Bernh. M. Ermetta, M. Ebro. — vernus (L.) Bernh. Pr. Marcarolo e al M. Ebro. — venetus (Mill.) Hall et WAlf. L. ombrosi lungo il Rio della Vota (Montenotte), tra Sassello e il Passo del Giovo, e al M. Ermetta. Vicia striata M. B. Campi pr. Gavi, Godiasco, Novi, e tra Gre- miasco e Fabbrica Curone. — hybrida L. Pr. Denice e Casaleggio Boiro. — lutea L. Montechiaro d’Acqui. — peregrina L. Dego al Bric della Rama, a Denice, sopra Acqui in V. Erro, a Godiasco. — sativa L. Frequente nei campi, Bagnasco, Ceva. — macrocarpa Moris. Campi e vigne pr. Lerma, Cadepiaggio, Novi, Gremiasco. — angustifolia L. Pr il Rio Scalincio a Calizzano, M. Ermetta, a Rossiglione. — bithynica L. Montechiaro d’Acqui, pr. Casaleggio Boiro, la Lavagnina e al M. Tobbio verso Voltaggio. — Cracca L. Comune nei campi, Bagnasco, Giovetti, Sassello, Casaleggio B., Novi, ecc, nei boschi ai Ronchi sopra Mornese. — pisiformis L. Godiasco verso la valle di Rile. — Cassubica L. Pr. Montenotte. — (Gerardi All. Campi e boschi sopra Muraglie, Olba, sopra Mor- nese, sul M. Tobbio sopra Voltaggio, a Busalla e Rivanazzano. — Marc | — tfetrasperma. In Val d’Erro tra Acqui e Sassello. — hirsuta L. Ai Giovetti, pr. Acqui, Voltaggio, Novi, ecc. Lythraceae. Peplis Portula L. Lungo ia Bormida di Millesimo. Lythrum Salicaria L. L. umidi lungo il Tanaro, ai Giovetti, ad Acqui; sopra Campoligure, Rivanazzano, ecc. — Hyssopifolia L. Lungo la Bormida di Millesimo. Venotheraceae. Epilobium angustifolium L. Sopra Muraglie (Bagnasco). — montanum L. C. dei Giovetti, Bocchetta di Voltaggio, Novi, ecc. — collinum Gmel. Pr. Frassino (Calizzano). — lanceolatum S. M. Tra Rossiglione e Ovada. — lanceolatum Seb. et Maur. f. grandiflorum. Sotto la Bocchetta di Voltaggio. — parcviflorum Schreb. v. intermedium Ri. et Coss. Tra Voltaggio e la Bocchetta. — parviflorum Schreb. Sopra Muraglie (Bagnasco) tra Rivanaz- zano e Nazzano. — hirsutum L. Tra Godiasco e S. Giovanni. — — . subglabrum Koch. Tra Nazzano e Rivanazzano. — tetragonum L. Tra il C. di Melogno e la Madonna della Neve. — alsinefolium Vill. Presso Calizzano. Circaea Tutetiana L. Sotto il C. di Melogno e al M. Ermetta. draliaceae. Hedera Helix. L. Comune nei boschi, sui vecchi muri, ecc. Umbelliferae. Eryngium campestre L. L. aridi ad Acqui, Lerma, tra Serravalle e Gavi, tra Varzi e Rivanazzano, a Cecima, ecc. — — c. contractum Micheletti f. longeinvolucrata Michel. Bull. Soc. Bot., II, 1909, p. 159. Tortona Collina del Castello. — — vv. elegans Micheletti f. lateinvolucrata Michel. L. c. Tor- tona, via alle Fornaci. Astrantia major L. Boschi a N. 0. del M. Tobbio. — minor L. Sassello (D. N.) si \ Phra; ha Rei IS , ta TA VISTA, UTO PULA HAS fr: — 314 — Sanicula europaea L. Boschi al Colle dei Giovetti, M. Ermetta M. Tobbio ver. N. O., M. Figne, sopra Varzi (N. B.). Bupleurum protractum H. et L. Un solo esemplare in un campo tra Cascinotti e Gavi. — rotundifolium L. Tra Godiasco e Cecima. — ranunculoides L. Val Gorzente alle falde del M. Tobbio. — aristatum Barth. Pr. Dego, al Castello di Voltaggio. Trinia vulgaris D. C. L. aridi tra Ponte d’Erro e Maddalena, M. Ermetta, sopra Tiglieto, alle C. di Marcarolo e sul M. Tobbio. Bunium fleruosum With. Faggete folte ai Giovetti, al C. di Melogno, alle Meuje d’Amour sopra Ferrania, sopra Sassello, al M. Ermetta. — Bulbocastanum. L. Frequente nei campi e nelle vigne a Ba- gnasco, ai Giovetti, Melogno, Sassello, Val d’Orba, Gavi, Vol- taggio, V. Staffora, ecc. Carum Carvi L. Praterie al Colle dei Giovetti, e sotto il M. di Settepani verso Bormida, sopra Castagnole (Busalla), al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). Sison Amomum L. Presso il Castello di Cecima. Pimpinella magna (L.) Huds. Prati pr. Bagnasco, e pr. Acqui. — Saxifraga. L. Tra Rivanazzano e Nazzano. — Tragium Vill. Capanne di Marcarolo (D. N.) tra i detriti ser- pentinosi alle falde del M. Tobbio, in V. Gorzente e a Voltaggio. Aegopodium Podagraria L. L. erbosi pr. Calizzano, Acqui, Sas- sello, ecc. Cnidium apioides Spr. M.* del Monte sopra Nazzano (N. B.), e a Chiusano. Meum athamanticum Iacq. Voltaggio. Trochiscanthes nodiflorus Koch. Boschi al M. dei Settepani verso Bormida, a Montenotte, pr. il Passo del Giovo, e al M. Tobbio (vers. N. O.), al M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). Oenanthe pimpinelloides L. Lungo le strade e fra le siepi al Passo del Giovo, alla Lavagnina, tra Lerma e Ovada, a Novi, ecc. Foeniculum vulgare. Sotto Sassello, pr. Lerma, al C. del Ratto (Serravalle Scr.), Castello di Cecima, ecc. Aethusa Cynapium L. Qua e là negli orti (Busalla), ecc. Angelica sylvestris L. Boschi lungo il R. Scalincio (Calizzano). Ferula Ferulago L. Presso Godiasco (Allioni), frequente nella V. Staffora sui colli marnosi, tra Nazzano e Chiusano, e tra Ce- cima e Serra del Monte. Pastinaca sativa L. Comune nei prati a Bagnasco, Acqui, tra Gavi e Serravalle, ecc. — 315 — Peucedanum Carvifolium (L.) Vill. Monte Ghiarolo (N. B.). — officinale L. Alla C. Bandia (Campoligure), a Rossiglione, in V. Gorzente pr. il R. Roverno, a Buffalora, e alla Lavagnina, pren. Voltaggio e in. Val Curone. — venetum Koch. Alle Cascine di Iota tra Gavi e Parodi, e tra Cecima e Godiasco. — Cervaria Cus. A Rossiglione, alle falde del M. Tobbio in V. Gorzente, a Voltaggio, al Castello di Fiaccone, Busalla e sopra Rivanazzano. — Oreoselinum (L) Mocuch. Pr. Voltaggio. — werticillare M. et K. Sopra Serravalle (D. N.) nel Torto- nese (All.). Heracleum Sphondylium L. Prati presso Bagnasco. Tordylium maximum L. In agro novensi (D. N.), nei ]. incolti ad Acqui, Lerma, Ovada, Serravalle Scr., Novi, Rivanazzano, ecc. — apulum L. Presso Voltaggio. Daucus Carota L. Frequente nei prati e 1. incolti. — grandiflorus (L.) Scop. Pr. Acqui, Voltaggio, Godiasco. Laserpitium Siler L. In V. Gorzente alle falde del M. Tobbio, Voltaggio, M. Ghiarolo (N. B.), M. Boglelio (N. B.). — gallicum L. M. Ghiarolo, (N. B.), M. Boglelio (N. B.). Torilis Anthriscus (L.) Bernh. Nelle siepi, e 1. incolti pr. Mas- simino, Novi, Godiasco, ecc. — nodosa (L.) Gaertn. Nelle siepi pr. Lerma e Mornese. Caucalis daucoides LL. erbosi a Denice, Acqui e Lerma, Ca- depiaggio, Serravalle Scr., Godiasco. Turgenia latifolia Hoffm. Pr. Denice, in V. d’Erro, tra Viguz- zolo e Gremiasco, tra Varzi e Godiasco. i Scandix' Pecten- Veneris L. Frequente nei campi a Bagnasco, Sas- sello, Lerma, Gavi, Novi, V. Staffora, ecc. Chaerophylum bulbosum L. Monte Ghiarolo. — hrsutum L. Boschi al C. dei Giovetti, a Melogno e M. Bo- glelio (N. B.). — aqureum v. maculatum W. Tra Caragnetta e Calizzano. — temulum L. Pr. Bagnasco, Campoligure, Voltaggio, Novi, ecc. Physospermum aquilegifolium (AU) Koch. Boschi al M. dei Set- tepani, al M. Ermetta, a Rossiglione, pr. Casaleggio Boiro, in V. Gorzente, sopra Fiaccone (Voltaggio), a Rivanazzano. Conium maculatum L. Comune nei 1. incolti della V. Tanaro, alla V. Staffora. ? Bifora radians M. B. Nei campi a Cadepiaggio, Gavi, Viguzzolo, Varzi, ecc. Cornaceae. Cornus sanguinea L. Pr. Massimino, Sassello, Gavi, Novi, Bu- salla, Godiasco. — Mas L. Pr. Dego, in Val d’Erro sopra Acqui. Rhamnaceae. Ekhamnus cathartica L. Boschi a Bagnasco, ai Giovetti, Gavi, e Novi, ecc. — — 8 lancifolius D N. Capanne di Marcarolo (D. N.) — alpina L. In V. d’Erro sopra Acqui, versante N. 0. del Tob- bio, pr. il Gorzente, Castello di Fiaccone, M. Figne, M. Ebro, M. Chiappo. — £Franqula L. Sotto il Colle di Melogno, tra Sassello e il Giovo. Aquifoliaceae. Ilex Aquifolium L. Colle di Melogno, pr. Dego, al M. Ermetta, al Castello di Campoligure, Rossiglione, sopra Fiaccone (Voltaggio). — — È heterophyllum G. Don. Alle falde del M. Lecco (Vol- taggio). Celastraceae. Econymus latifolius (L.) Mill. Tra Sassello ed il Giovo. — europaeus L. Boschi in V. Tanaro (Massimino), a Campo- ligure, al Rio Neirone (Gavi), pr. Novi, Voltaggio, Godiasco, ecc. Sapindaceae. Acer opulifolium L. Frequente nei boschi dalla V. Tanaro alla V. Scrivia. — campestre L. Frequente nei boschi a Muraglie, al Giovetti, a Montenotte, in Val d’Erro, in V. Gorzente, a Novi, Voltaggio, Godiasco, ecc. — platanoides L. M. Boglelio (N. B.). Aesculus Hippocastanuin L. Colt. qua e là (Calizzano). Anacardiaceae. Pistacia Terebinthus L. In V. d’Erro sotto Cartosio. Rhus Cotinus L. Tra Viguzzolo e Gremiasco, tra Cecima e Serra, e più frequente nei Colli tra Rivanazzano e Godiasco. sa — 317 — Polygaleae. Polygala Chamaebuxus L. Boschi montani (M. Ebro e M. Chiappo). — vulgaris L. Frequente nei l. erbosi in tutta la catena del. l'Appennino Settentrionale. — nicaensis Risso. M. Ermetta, Marcarolo, M. Tobbio a Vol- taggio, tra Gremiasco e Fabbrica Curone. — amara L. M. Ermetta, M. Boglelio (N. B.). — — e. alpestris Rech. M. Ebro. (reraniaceae. Geranium robertianum L. Tra Caragna e Caragnetta (Calizzano), al M. Tobbio (verso N. O.), al Forte di Gavi, al Cast. di Vol- taggio. — lucidum L. A Voltaggio e a Rocchetta L. — molle L. Presso Voltaggio. — pyrenaicum L. Al C. dei Giovetti, pr. Caragna (Calizzano). — rotundifolium L. Pr. Massimino (Bagnasco), tra Serravalle Scrivia e la C. Montey. — columbinum L. Pr. Gavi e Cascinotti. — sanguineum L. A. Rossiglione, e Voltaggio. — nodosum L. Boschi a Muraglie (Bagnasco), al Giovetti, Sas- sello, M. Ermetta, sopra Campoligure, al P. di Rapa, in V. Gor- zente al Tobbio, a Voltaggio. Erodium ciconium (L.) W. Pr. Montechiaro d’Acqui, ad Acqui e pr. Gavi. — cicutarium (L.) L’Herit. Pr. Calizzano, Sassello, Rossiglione, Voltaggio. Oxalis Acetosella L. Boschi sotto il C. di Melogno, al M. Er- metta, e M. Boglelio (N. B.ì. — stricta L. Comune lungo le strade e pr. le case. Linum catharticum L. Frequente nei boschi, pr. Muraglie (Ba- gnasco), Dego, Sassello, in V. Gorzente, Voltaggio, ecc. — usttatissimum L. Pr. Busalla (inselv.). — angustifolium Huds. Frequente nei 1. aridi a Bagnasco, Dego, Montenotte, Acqui, Sassello, Mornese, L. della Lavagnina, Bu- salla, ecc. — viscosum L. L. aridi, al Bric del Vallone (Montechiaro d’Acqui), alla C. di Iota (Gavi), M. Ghiarolo (N. B.), M. Boglelio (N. B.), Godiasco. — tenuifolium L. Pr. Massimino, al C. dei Giovetti, nei colli ANNALI DI BoTANICA — Vor. X. 21 di cà (O — 318 — marnosi a Lerma e tra Parodi e Serravalle Scr., a Voltaggio, a Ri- vanazzano, ecc. — salsoloides Lam. Tra i detriti serpentinosi nell’alta valle del Gorzente e della Stura pr. Marcarolo e alla C. Bandia. — strictum L. L. aridi a Ceva; Dego, (B. della Rama), Lerma, Cravaria, in V. Gorzente, e al C. del Ratto (Serravalle Scr.), Go- diasco (N. B.). — gallicum L. L. aridi a Dego, Tiglieto, alla Lavagnina, Lerma, Serravalle Scr., Godiasco, ecc. — campanulatum L. Tra i detriti serpentinosi nel gruppo del M. Tobbio, sopra Voltaggio, e alle Cap. di Marcarolo. Radiola linoides Roth. Lungo la Bormida di Millesimo. Zygophyllaceae Tribulus terrestris L. Luoghi aridi pr. Acqui. « Simarubaceae. Ailanthus glandulosa Desf. Inselvatichito tra Belforte e Ovada. Malvaceae Althaea hirsuta L. Pr. Dego, al B. della Rama, Gremiasco, Go- diasco. — cannabina L. Lungo la Bormida pr. Acqui, a Visone, Bel- forte Monf., alla C. Benedetta in V. Gorzente, pr. Rivanazzano a Godiasco, ecc. — officinalis L. Pr. Frassino (Calizzano). Malva sylvestris L. Comune nei boschi, l. erbosi, ecc. in Val d’Erro, pr. Mornese, Nazzano, ecc. — rotundifolia L. L. incolti pr. gli Eremiti in V. Gorzente, Godiasco, ecc. Tilia ulmifolia Scop. Sopra Muraglie, pr. Sassello, in V. Gor- zente al Tobbio. Euphorbiaceae Euphorbia spinosa L. Frequente sui detriti serpentinosi, in V. d’Erro, in V. d'Orba, tra Tiglieto e Rossiglione, e in Val Gorzente, al M. Tobbio, alla Lavagnina, a Buffalora, ecc., sopra Voltaggio. — verrucosa Lam. In Val d’Erro, Val Stura, tra Rossiglione e Ovada, in Val Gorzente, tra Lerma e la Lavagnina e lungo il Rio Roverno, pr. Mornese. — 319 — — dulcis L. Frequente nei boschi sopra Muraglie, ai Giovetti, pr. Melogno, al M. Ermetta, lungo il R. Roverno, il V. Staffora, sopra Negruzzo, ecc. — iînsularis Boiss. Capanne di Marcarolo (D. N.). — stricta L. Tra Godiasco e S. Paolo. — Helioscopia L. Tra S. Paolo e Chiusano (V. Staffora). — Peplus L. Comune nei ]. incolti, pr. le case, Pallare, ecc. — falcata L, Campi pr. Massimino, Dego, Acqui, Casaleggio Boiro, Serravalle Ser., Novi, Rivanazzano, Godiasco, ecc. — exrigua L. Pr. Dego, tra Olba e Tiglieto, tra Cravaria e la Lavagnina. — —. # retusa. Campi tra Borgo Fornari e Castagnole (Bu- salla). : — Cyparissias L. Comune in tutte le parti elevate e inferiori dell’A ppennino. — amygdaloides L. Tra Dego, Montenotte, in Val Staffora pr. Negruzzo, Varzi e Chiusano. Mercurialis perennis L. Boschi al M. Ermeita, al M. Ebro. — annua L. Alla C. di Iota (Gavi); a Voltaggio, Busalla, Go- diasco, ecc. Buxus sempervirens L. Boschi tra Fabbrica Curone e Monte Capraro. Ericaceae. Monotropa Hypopytis L. Faggete folte sotto il Colle di Melogno Pyrola minor L. Boschi lungo il Rio della Vota (Montenotte) M. Ermetta, e M. Boglelio (N. B.). Erica arborea L. Frequente nei boschi alle falde dell’Appen- nino, dalla V. Tanaro alla V. Staffora. — cinerea L. Sassello (D. N.) Calluna vulgaris (L.) Salisb. Frequente nelle zone montane e col- line dell'Appennino, anche sui Colli marnosi tra Gavi e Serra- valle Scr. Arctostaphylos Uva-Ursi (L.) Spr. Boschi pr. Muraglie (Bagnasco). Vaccinium uliginosum L. M. Ebro e M. Boglelio (N. B.). — Myrtyllus L. Sopra Muraglie, al R. Scalincio sopra Calizzano, M. Ermetta, in V. Stura, V. Gorzente, M. Ebro, M. Boglelio (N° Bi) Primulaceae. Primula acaulis (L.) Hi. Liguria transappennina (D. N.). Fre- quente in tutto l'Appennino, (Giovetti, Busalla), ecc. — 320 — — officinalis (L.) Iacq. Pr. la C. Benedetta in V. Gorzente, M. Ebro. Lysimachia vulgaris L. L. umidi al Colle dei Giovetti, lungo il Rio Neirone a Gavi. — punctata L. Pr. Dego, in V. d’Erro, a Sassello, pr. Rossi- glione, al Pra della Colla (Campoligure), alla Lavagnina, pr. Vol- taggio, ecc. — nemorum L. Boschi pr. Calizzano, sotto il Colle di Melo- gno, tra Dego e Montenotte, al Pian di Rapa (Campoligure). — nummularia L. Novese (D. N.) Anagallis arvensis L. Comune nei campi, spesso insieme a: — — e. caerulea Schreb. Sotto il Colle del Ratto, (Gavi), tra Mornese e S. Carlo, Godiasco. —. tenella L. L. umidi pr. Ferrania. Plumbaginaceae. Centunculus minimus L. Pr. Cassinelle (Ponzone). Armeria plantaginea W. Praterie al Colle dei Giovetti, M. dei Settepani, Val d’Erro, Monte Ermetta, e Val Stura dal Pra della. Colla a Marcarolo. Oleaceae. Ligustrum vulgare L. Frequente nei boschi pr. Bagnasco, Caliz- zano, Lerma, Novi, Godiasco, ecc. Fraxinus Ornus. L. Sopra Muraglie, Calizzano, e Melogno, tra Dego e Montenotte, a Rossiglione, sopra Acqui, al M. Ermetta, alla Lavagnina, Voltaggio, e frequente in V. Staffora. — excelsior L. Lungo il R. Roverno (Mornese), a Rossiglione, Novi, Busalla, M. Ghiarolo (N. B.), Godiasco, Rivanazzano, ecc. Apocynaceae. Cynanchum Vincetoricum Br. Al Lago della Lavagnina, nella. valle del Rio Roverno, Voltaggio, ecc. Gentianaceae. Gentiana lutea L. M. Ebro e M. Boglelio (N. B.) — Asclepiadea L. Presso Montenotte. -- acaulis L. M. Ebro. i — cruciata L. Praterie del C. dei Giovetti, M. Ebro, M. Bo- glelio (N. B). sd dar — campestris L. M. dei Settepani, M. Ebro, M. Boglelio (N. B.). — Amarella L. Tra Dego e Montenotte inferiore. Chlora perfoliata (L.) fit. Luoghi umidi pr. Massimino, a Dego, Cartosio, alla Lavagnina, al Rio Albedosa (Mornese), alla C. di Iota (Gavi), Voltaggio, Busalla, Godiasco, ecc. Erythraea Centaurium (L). Pres. Sopra Muraglie (Bagnasco), pr. Cravaria, Val Gorzente, a Rossiglione, a Nazzano, Chiusano (V. Staf- fora). — pulchella. Sw. Horn. Tra Cecima e Serra. Borraginaceae. Cerinthe minor L. Pr. Parodi e sopra Gremiasco e Nazzano. — maculata All M. Ebro, V. Staffora. Onosma stellulatum W. e K. L. aridi pr. Denice, in V. d’Erro, sopra Tiglieto, tra Casaleggio Boiro e S. Sebastiano, a S. Carlo (Mornese), sopra Serravalle Scr., Nazzano, Chiusano, ecc. Echium italicum L. Praterie e 1. incolti pr. Denice, Acqui, Lerma, Voltaggio, Novi, Godiasco, ecc. — vulgare L. Comune neil. incolti, Bagnasco, Acqui, Lerma, ecc. Lithospermum officinale L. L. incolti pr. Massimino, Cadepiag- gio (Parodi), Voltaggio, Busalla, sopra Negruzzo in V. Staffora. — purpureum-caeruleum L. Presso Voltaggio. — arvense L. Campi pr. Massimino, sopra Acqui, tra Olba e tra Serravalle Scr. e Gavi, pr. Novi. Myosotis palustris. Frequente nei i. umidi ai Giovetti, M. Er- metta, Voltaggio, ecc. — alpestris Schm. M. Ebro. — sylvatica Hoffm. "Tra il M. Chiappo e Negruzzo in V. Staf- fora. — stricta Link. Pr Muraglie, ai Giovetti, Novi, ecc. Pulmonaria officinalis L. Nei boschi pr. Calizzano, ai Giovetti, a Busalla, Voltaggio, ecc. — angustifolia L. Boschi sopra M. Capraro (V. Curone). Lycopsis arvensis L. Pr. Calizzano. Anchusa Barrelieri (AU) Vittm. Pr. Massimino, ai Giovetti, a Millesimo, tra Mornese e Serravalle Scr., Voltaggio, ecc. — italica Retz. Nei Colli tra Casaleggio, Cadepiaggio e Serra- valle Ser. e in Val Curone sopra Gremiasco, in V. Staffora, a Serra e S. Paolo. | — officinalis L. Lungo la Bormida ad Acqui. Symphytum officinale. L. Liguria transappennina (D. N.) — tuberosum L. Boschi al Colle di Melogno, M. Ermetta, Ros- siglione, ecc. Cynoglossum officinale. L. Pr. Voltaggio. — pictum. Ait Pr. Gavi, Acqui, agli Eremiti (V. Gorzente), tra Godiasco e Cecima. Omphalodes verna Moench. Boschi lungo il R. della Vota supra Montenotte, a Voltaggio e sopra Tortona (Bellardi). Asperugo procumbens L. Novi (D. N.) Echinospermum Lappula. Pr. Godiasco (V. Staffora). Heliotropium europaeum L. Tra Visone e Grognardo, a Voltaggio, e pr. Chiusano. Convolvulaceae. Convolvulus Cantabrica L. Colli aridi calcari pr. Massimino, Cairo, Dego, Montechiaro, Acqui, Denice, in V. d’Erro, pr. Lerma, e pr. S. Sebastiano (V. Gorzente). - arvensis L. Comune nei campi e 1. incolti. Calystegia sepium. (L.) R. Br Nelle siepi qua e là, Rivanaz- zano, ecc. Cuscuta Epithymum (L.). Murr. Frequ. su piante diverse a Ca- saleggio, Rivanazzano (1). — —. var. Kotschyi. Des Moul. Pr. Mornese (sui Galium). Solanaceae. Datura Stramonium L. Liguria transappennina (D. N.) Pr. Pallare. Hyoscyamus niger L. Tra Gremiasco e Fabbrica Curone, e a Voltaggio. — albus L. Lungo il Lemme pr. Gavi. Physalis Alkekengi L. Pr. Rîvanazzano. Solanum Dulcamara L. Nelle siepi, qua e là, a Calizzano e Bu- salla. — tuberosum L. Coltivata. — nigrum L. Frequentissimo nei Il. incolti. — — o. ochroleucum. Bert Pr. Rivanazzano. Atropa Belladonna L. Boschi lungo il Rio della Vota pr. Mon- tenotte inf. Scrophulariaceae. Verbascum Thapsus L. In V. d’Erro e al M. Ermetta. — montanum Schrad. Pr. Altare. (1) Sullo Spartium junceum L. — 323 — — phlomoides L. Frequente a Bagnasco, Altare, Campoligure, Lerma, Voltaggio, ecc. — Blattaria L. Comune nei 1. incolti a Massimino, Acqui, Ros- siglione, Casaleggio, Novi, Godiasco. — pulverulentum Vill. Liguria transappennina (D. N. sub V. floccosum W. e K.); in Val d’Erro sopra Acqui. — Lychnitis L. In Val d’Erro e a Godiasco (N. B). — Boerhavii L. Pr. Voltaggio. — nigrum L. Pr. Massimino (Bagnasco), in Val d’Erro, pr. Go- diasco. Linaria Cymbalaria (L). Mill. Muri del forte di Gavi. — spuria (L.) Mill. Tra il C. del Ratto e î Cascinotti (Gavi) e Godiasco (N. B.), Rivanazzano, ecc. -- Elatines Mill. Nei campi a Busalla, Cecima, Rivanazzano, ecc. — vulgaris Mill. L. incolti, Calizzano, Rossiglione, Godiasco. — supina (L.) Desf. Roccie serpentinose, in V. d’Erro a Me- lazzo; sopra Tiglieto, pr. Rossiglione e alla Lavagnina. — minor (L). Desf. Pr. Muraglie, ai Giovetti, Acqui, Grognardo, Serravalle Scr., Brignano Curone, ecc. Antirrhinum Orontium L. Pr. Rossiglione, Mornese, Serravalle Ser., Novi, Rivanazzano, ecc. — latifolium D.C. Garessio, a Montechiaro d’Acqui, a Pan- zone, tra S. Sebastiano e la Lavagnina, a Gavi, Voghera, Godia- SCO, ecc. Anarrhinum bellifolium Desf. Gavi (D. N.), Grognardo (All). Scrophularia vernalis L. M. Ghiarolo (N. B), M. Boglelio (N. B.). — nodosa L. Pr. Massimino, ai Giovetti, Calizzano, al Giovo, alla Lavagnina. — canina L. Comune nei 1. incolti a Bagnasco, Rossiglione, Serravalle Scr.; Busalla, ecc. Gratiola officinalis L. Sassello (D. N.) Pr. il C. del Giovo. Veronica Beccabunga L. Ai Giovetti nei l. umidi, tra S. Paolo e Godiasco. — Anagallis L. In Val d’Erro pr. Acqui, Voltaggio — Chamaedrys L. Boschi al C. dei Giovetti, alla C. Pian di Rapa, sopra Campoligure, Voltaggio. — urticaefolia Jacq. Frequente nei boschi ai Giovetti, Caliz- zano, in V. d’Erro, al M. Ermetta, M. Ghiarolo (N. B.), sotto il M. Chiappo. — officinalis L. Boschi ai Giovetti, Calizzano, M. Ermetta, Voltaggio, ecc. — serpyllifolia L. M. Ermetta. — 324 — — arvensis L. Nei campi pr. Calizzano, Serravalle Scr., Novi, Voltaggio, ecc. — triphyllos L. Pr. Novi (D. N.). — persica Poir. Al M. Ermetta, pr. Gavi, ai Cascinotti, pr. Voghera (Gib.), a S. Paolo (Godiasco). — dydyma T. Tra Mornese e S. Carlo. Digitalis ambigua Murr. Pr. Massimino, (Bagnasco) e C. dei Gio- vetti. — lutea L. Pr. Massimino, sopra Sassello; al M. Moro di Gavi, pr. gli Eremiti in V. Gorzente e sopra Busalla. Melampyrum arvense L. Campi a Massimino, Val d’Erro, S. Se- bastiano, Cadepiaggio, Godiasco, ecc. — memorosum L. Boschi al Colle dei Giovetti. — pratense L. Boschi pr. Massimino, al Pian di Rapa (Cam- poligure), al M. Tobbio. — sylvaticum L. Boschi al M. Ermetta, a Sassello, ecc. Euphrasia officinalis L. Comune nei 1. incolti, praterie e' boschi. — pectinata Ten. Colle di Melogno. Bartsia latifolia (L.) S. et Sm. Casaleggio Boiro, Colle del Ratto, (Serravalle), Rocca di Tortona. Odontites serotina Lam. Pr. Ceva, Caragna (Calizzano), Bardi- neto e Fiaccone, (Voltaggio). — serotina Lam. f divergens Jord. Tra Godiasco e Cecima. — lutea. (L.) Rchl. Pendii aridi marnosi a Rivanazzano, e tra Nazzano e Chiusano. — verna Beil. Pr. Sassello e M. Tobbio (D. N.) Ehinanthus major Ehrh. Prati pr. Calizzano, a Melogno, Vol- taggio, ecc. — Alectorolophus L. Pascoli montani, C. Pra della Colla (Cam- poligure), Rossiglione, Voltaggio, M. Ebro. ecc. — minor Ehrh. Frequente nei prati montani e sub-montani, Bagnasco, Giovetti, Calizzano, Marcarolo, ecc. Pedicularis comosa L. M. Figne, M. Ghiarolo (N. B.), M. Bo- glelio (N. B.). Orobancacea e. Kopsia purpurea L. Voltaggio, al M. Tobbio. Orobanche lutea Baum. rubens Wallr. Voltaggio al Castello. — caryophylacea Sm. Al Colle dei Giovetti. — gracilis Sm. Pr. Dego, tra Sassello e il Passo del Giovo, Voltaggio. — 325 — — Rapum G. Thuill. Pr. la C. Bandia (Campoligure), e in Val Gorgente, M. Tobbio agli Eremiti, Voltaggio. — loricata Reich. Pr. Serravalle Scr., al Colle del Ratto, Vol. taggio. — — o». Picridis Schultz. Tra Belforte e Ovada. — minor Sutt. Tra Bagnasco e il Colle Giovetti, pr. Altare, Dego, Voltaggio. — variegata Wallr. Tra Dego e Montenotte, sulla Genista pilosa, Voltaggio. Lathraea squamaria L. Montenotte. Labiatae. Ajuga reptans L. V. d'Erro, Marcarolo, ecc. — genevensis L. Pr. Muraglie (Bagnasco), ai Giovetti, Caliz- zano, Melogno, M. Ermetta. — Chamaepytis (L.) Schreb. L. aridi pr. Sassello, tra Lerma e Casaleggio, sopra Mornese, al Colle del Ratto (Gavi), a Godiasco, Rivanazzano. Teucrium Scorodonia L. Pr. Dego, Massimino, Calizzano, Bor- mida, al Pra della Colla (Campoligure), Forte di Gavi, Busalla, ecc. — Botrys L. Liguria transappennina (D. N.) — $Scordium L. Ai Giovetti, a Rossiglione. — Chamaedrys L. Calcari pr. Massimino, Millesimo in V. d’Erro, Casaleggio Boiro, Mornese, Lerma, Cadepiaggio, Gavi, Serravalle Scr., Busalla e Nazzano. Teucrium Polium L. Pr. Denice e a Cavatore. — montanum L. A Massimino, Tiglieto, Casaleggio Boiro, Lerma, sopra Mornese, tra Gavi e Serravalle Scr, a Cecima e Ri- vanazzano. Scutellaria Columnae AU. Pr. Voltaggio e Novi (Catanietta). Marrubium vulgare L. L. aridi incolti pr. Godiasco e Cecima. Nepeta Cataria L. Novi (D. N.), al Castello di Cecima. Glechoma hederacea L. Pr. Novi, ecc. Brunella vulgaris L. A. Muraglie (Bagnasco), a Bormida, Giovo, Rossiglione, Lerma, Gavi, Novi, ecc. — laciniata L. Frequente nei l. aridi a Massimino, ai Giovetti. Melogno, Tiglieto, alla Lavagnina, Mornese e sopra Serravelle Scr — grandiflora L. Tra Calizzano e Melogno, pr. Marcarolo. Melittis Melissophyllum L. Boschi pr. il Pra della Colla, alla La- vagnina, al M. Tobbio, a Mornese, M. Ghiarolo (N. B.), M. Boglelio (N. B). _— 526 — Galeopsis Tetrahit L. Sopra Muraglie (Bagnasco), a Rivanaz- zano, ecc. — sulphurea Iord. Alta Val Bormida tra il M. dei Settepani e Bormida. i — Ladanum L. Pr. Frassino (Calizzano), tra Orba e Tiglieto. — — ce. orophyla Tim. Pr. S. Paolo (Godiasco). Lamium grandiflorum Pourr. Colle S. Bernardo. — maculatum L. Lungo le strade e pr. le case. Leonurus cardiaca L. Pr. Montefreddo sopra Millesimo, e Bel- forte Monf. Ballota nigra L. Pr. Bagnasco, Novi, Rivanazzano. Betonica officinalis L. Muraglie, Ferragna, al Giovo, M. Tobbio, a Mornese, Gavi, ecc. Stachys germanica L. Novi (D. N.), pr. Calizzano, e lungo la Bor- mida di Millesimo. — italica Mill. Castello di Tortona (Gibelli). — alpina L. Al Colle dei Giovetti. — sylvatica L. Ai Giovetti, al Giovo, Castello di Campoligure, Cappella di Marcarolo. — arvensis L. Tra Nazzano e Chiusano. — annua L. Pr. Grognardo. — recta L. Frequente nei l. aridi a Massimino, Sassello, Ros- siglione, Mornese, Serravalle Scr., Voltaggio, Novi, ecc. Salvia officinalis L. Al Castello di Campoligure. — $Sclarea L. Tra Olba e Tiglieto pr. Acquabona, al Forte di Gavi, pr. Godiasco, e al Castello di Cecima. — glutinosa L. Boschi tra Massimino e Muraglie, e pr. Cecima. — pratensis L. Comune nei prati dalla Val Tanaro alla Valle della Staffora. — vwverticillata L. Carcare, Sassello, a Campoligure, tra la C. Benedetta e Marcarolo agli Eremiti (Mornese), al Castello di Vol- taggio e pr. Busalla. Melissa officinalis L. Pr. Acqui, pr. Cadepiaggio, alla M. della Guardia (Gavi), e sopra Rivanazzano. Satureja hortensis L. Campi tra Serra e Brignano Curone, pr. Godiasco (N. B.). — montana L. Frequente nei detriti serpentinosi sopra Tiglieto, pr. S. Sebastiano (Lerma), al M. Tobbio verso il Gorzente, nella V. del Rio Roverno e nei colli marnosi alla Cappella Montey sopra Serravalle. Calamintha grandiflora Moench. Sopra Muraglie, ai Giovetti, alla Lavagnina, M. Boglelio (N. B.). — 327 — — Nepeta Savi. A Rossiglione, Forte di Gavi, pr. Busalla, ecc. Calamintha Acinos Claire. Pr. Massimino, ai Giovetti, in V. d’Erro, a Casaleggio Boiro, sopra Serravalle Scer., sopra Fabbrica Curone. Clinopodium vulgare L. Sopra Massimino, al Pian di Rapa (Cam- poligure), pr. Cravaria (V. Gorzente), sopra Serravalle Scr., pr. Novi e Busalla. Hyssopus officinalis L. Lungo la Scrivia pr. Tortona. Thymus culgaris L. Pr. Montechiaro d’Acqui. — SerpyUlum L. Comune in tutte le regioni Nord dell’A p- pennino Origanum vulgare L. Pr. Muraglie, in V. d’Erro, sopra Rossi- glione, Serravalle Scr., Busalla, Rivanazzano. Lycopus europaeus L. L. umidi pr. Bagnasco, al Pian di Rapa, sopra Rossiglione. — exraltatus L. fil. L. umidi tra Cecima e Serra del Monte (Godiasco). Mentha rotundifoliu (L.) Huds. Pr. Acqui e Novi. — longifolia L. Huds. In Val d’Erro, pr. Lerma, e lungo la Staffora (N. B.). — 1mollissima Bork. Tra Calizzano e Melogno. — aquatica L. Ai Giovetti, pr. Acqui, al Pian della Colla (Campoligure). Verbenaceae. Verbena officinalis L. Frequente nei 1. incolti, lungo le strade, ecc. Lippia nodiflora (L.) ich. Inselv. a Capriata d’Orba (Vigna Brizzolesi). Globulariaceae. Globularia vulgaris L. Rupi calcari pr. Massimino, ai Giovetti, al Colle Ratto (Serravalle Scr.), tra Nazzano e Chiusano, ecc. Plantaginaceae. Plantago major L. Frequente nei luoghi incolti, Bagnasco, Sas- sello, Novi, ecc. — media L. Pr. Bagnasco, in V. d’Erro, al M. Ermetta, sotto Marcarolo. — montana Lam. M. Ebro. — lanceolata L. Comune nei prati. — serpentina Vill. Comune su tutte le roccie serpentinose nelle C"AGORAE valli d’Erro, d’Orba, e Gorzente, qua e là anche nei micacisti al M. Settepani, a Bormida, tra Fiaccone e la Bocchetta di Vol- taggio. — maritima L. Montenotte. — Cynops L. Massimino e Montechiaro d’Acqui, e sui colli marnosi tra Lerma, Mornese, Gavi e Serravalle Scr. Rubiaceae. Rubia tinctorum L. Serravalle Scr. (D. N.), pr. Nazzano. Galium Cruciatum Scop. Serravalle Ser. D. N., al Colle dei Gio- vetti, sul M. Moro (Gavi), pr. Novi, Nazzano, ecc. — vernum Scop. C. Bandia e C. Pian di Rapa sopra Campoli- gure, e a Rossiglione. — rotundifolium L. Sassello (N. D.), Tra Dego e Montenotte inf. al M. Ermetta. — verum L. Frequente in tutta la zona nord dell'Appennino tra Bagnasco e Novi. — purpureum L. Sassello, Acqui, Mornese tra S. Carlo e R. MOVerno. — lucidum All. Pr. Calizzano, tra Olba e Tiglieto e in V. Cu- rone. — sylvaticum L. Sopra Massimino e pr. Montenotte, e al M. Bo- glelio (N. B.). — aristatum L. Tra Bagnasco e Muraglie. — Mollugo L. Frequente pr. Bagnasco, Acqui, Rossiglione, Gavi, ecc. — rubrum L. Pr. Melogno, Sassello, in V. Gorzente, a Cra- varia. — palustre L. L. umidi ai Giovetti, Altare, Calizzano, M. Set- tepani, Giovo, Pian di Rapa (Campoligure), Bocchetta di Vol- taggio. — paristense L. In V. Gorzente, agli Eremiti (su una carbonaia) a a S. Sebastiano, al Colle del Ratto (Serravalle Scr.). — Aparine L. Acqui, Novi. — saccharatum All. Dego al Brie della Rama. — tricorne With. Campi pr. Massimino, Ceva, Denice, Acqui, Lerma, sopra Mornese, pr. Gavi, Godiasco, ecc. Sherardia arvensis L. Pr. Moda in V. Gorzente, al M. Tobbio (su una carbonaia), a Mornese, a Novi, Voltaggio. Asperula taurina L. Boschi sopra Negruzzo in V. Staffora. — odorata L. Boschi sopra Negruzzo in V. Staffora. — 329 — — cynanchica L. Rupi serpentinose tra la Lavagnina e Mornese, pendii marnosi pr. Rivanazzano, e tra Cecima e Serra. Caprifoliaceae. Adora Moschatellina L. Boschi sotto il M. Ebro e sotto il M. Chiappo. Sambucus Ebulus L. L. incolti a Bagnasco, Calizzano, M. Er- metta, Acqui, Rossiglione, Godiasco, ecc. — nigra L. Comune nelle siepi. — racemosa L. Tra Calizzano e Melogno. Viburum Lantana L. Boschi tra Massimino e i Giovetti, in Val d'Erro, al M. Moro (Gavi), Cecima, Rivanazzano. — Opulus L. Voltaggio. Lonicera Caprifolium L. Novi. — etrusca Savi. Frequente sui terreni aridi calcari a” Dego, De- nice, Grognardo, Acqui, Lerma, Mornese. — Xylosteum L. Al Colle dei Giovetti. — alpigena L. Al M. Ebro, e al M. Chiappo. Valerianaceae. Valeriana officinalis L. Sopra Voltaggio. — tripteris L. Voltaggio, M. Ebro, Boglelio (N.). — montana L. Colle dei Giovetti. Centranthus ruber (L.) D. C. Muri nelle vigne ai Cascinotti (Gavi), al Forte di Gavi. Valerianella Auricola D. C. Tra Olba e Tiglieto. — dentata. Tra Calizzano e Melogno, e pr. Tiglieto. — otlitoria L. Voltaggio. — echinata D. C. A. Voltaggio. — Morisonii D. C. Pr. Frassino (Calizzano), sotto Fabbrica Curone. Lipsaceae. Dipsacus sylvestris Huds. Pr. Bagnasco, Val d’Erro alla Madda- lena, pr. Casaleggio B., Gavi, Godiasco, ecc. — laciniatus L. Pr. Massimino e Calizzano. Cephalaria transyleanica (L.) Schrad. Pr. la Madonna del Monte a Nazzano. Succisa pratensis Moench. Pr. la Bocchetta di Voltaggio. Liri (4 Da — 390 — Knautia hybrida Coult. Frequente nei 1. erbosi a Calizzano, in Val d’Orba, al Bric dei Ladri (Marcarolo), agli Eremiti e alla Lava- gnina in V. Gorzente, e a Voltaggio. — integrifolia (L.) Bert. Pr. Muraglie, Tiglieto e Rossiglione. — arvensis(L.) Coult. Ai Giovetti, Sassello, intorno a Marcarolo, pr. Gavi, a Novi, Voltaggio. — sylvatica(L.) Duby. Tra la Maddalena e Sassello, Voltaggio. Scabiosa holosericea Bert. Sopra Bormida (Carcare). — Columbaria L. Praterie a Massimino, ai Giovetti, a Caliz- zano, Busalla, Rivanazzano. — — +. pubescens Jord. Tra Nazzano e Chiusano. — argentea x Wulfenii Kern. Tra Nazzano e Chiusano. Cucurbitaceae. Bryonia diovica Iacq. Nelle siepi a Calizzano, Sassello, C. del Ratto (Serravalle). Ecballion Elaterinm L. Castello di Tortona. Campanulaceae. Iasione montana L. Sopra i micascisti a Muraglie (Bagnasco), i serpentini in V. d’Erro, Rossiglione, Lavagnina, Voltaggio, sopra i Colli marnosi al Colle del Ratto (Serravalle Scr.), e Rivanazzano. — — s. albiflora. Pr. Belforte Monferrato. Phytheuma Scheuchzeri AU. Tra Calizzano e Melogno. — Michelii AU. x angustissimum Koch. Colle dei Giovetti, Me- logno, Voltaggio. — £ scorzonerefolium Vill. Pr. Montenotte e al M. Ermetta. — — — s. betonicaefolium Vill. Sopra Campoligure, in V. del Gorzente e pr. Serravalle Scr. — spicatum L. Al C. dei Giovetti, pr. S. Pietro d’Olba, sopra Campoligure e a Novi. Campanula Erinus L. Muri a Dego, al Bric della Rama e nel Forte di Gavi. — Medium L. Colle dei Giovetti, Denice, al Bric del Vallone, in V. d’Erro, al M. Tobbio, alla Lavagnina, Voltaggio, per Naz- zano e Godiasco. — glomerata L. v. aggregata Will. M. Boglelio (N. B.). — Rapunculus L. Comune nei l. erbosi. — — e. verruculosa Lk et Hoff. Acqui lungo la Bormida. — persicifolia. L. Sopra Muraglie, in V. d’Erro, a Rossiglione, Cravaria (Lerma), M. Moro (Gavi). — 331 — — bononiensis L. Pr. Massimino su roccie calcari, a Denice, in V. Staffora (All.), a Godiasco. — rapuncoloides L. Colle di S. Bernardo, ai Giovetti, a Pian soprano di Bormida (Carcare), tra S. Sebastiano e la Lavagnina. — Trachelium L. In V. d’Erro sopra Acqui, tra Chiusano e S. Paolo (Godiasco). Specularia Speculum (L.) D. C. Comune nei campi. Compositae. Eupatorium cannabinum L. Sopra Muraglie, ad Acqui, Casaleg- gio B., Busalla, Rivazzano, ecc. Adenostyles alpina (L.). BI. et Fing. M. Boglelio (N. B.). Homogyne alpina (L.). Cass. M. Ebro. Petasites officinalis Moench. Presso Bagnasco, lungo il R. Nei- rone a Gavi, a Busalla Voltaggio, ece. — albus (L.) Gaertn. Sopra S. Pietro d’Olba e a Voltaggio. Tussilago Farfara (L.) Pr. Muraglie (Bagnasco), lungo il Rio Ro- verno (Mornese), a Gavi, Serravalle Scr., Busalla, Nazzano. Senecio vulgaris L. L. incolti a Muraglie, Sassello, Voltaggio, Serravalle Scr., ecc. -— nebrodensis L. M. Ebro e sopra Casali in V. Staffora. — Jacobaea L. Pr. Novi. — crassifolius L. Serravalle Scr. (D. N.), in V. d’Erro, a Casa- leggio Boiro e a Voltaggio. — nemorensis L. M. Ermetta, M. Ebro. — sarracenicus L. Colle dei Giovetti. — Doronicum L. Nei boschi in V. Gorzente, dalla Lavagnina al M. Tobbio, a Marcarolo e Voltaggio. Doronicum austriacum Jacq. M. Ebro, M. Ghiarolo (N. B.), M. Bo- glelio (N. B.). — Pardalianches L. Al Colle dei Giovetti. Arnica montana L. Ai Monti dei Settepani, Ebro e Chiappo. Bellis perennis L. Bagnasco, Calizzano, Sassello, Albo. Bellidiastrum Michelii Cass. Colle dei Giovetti. Aster alpinus L. Vetta del M. Tobbio. — acer L. Casaleggio Boiro. — Amellus L. Sopra Acqui e ai colli tra Rivanazzano e Chiu- sano. Lymosyris vulgaris Cass. Gavi (D. N.) sopra a Voltaggio, a Busalla (raro), abbondantissima nei Colli tra Serra, Cecima, Godiasco e Nazzano. Solidago Virga aurea L. Melogno, al Pian di Rapa (Campoligure), pr. il R. Roverno, al Colle del Ratto (Serravalle Scr.), Busalla, Ri- vanazzano, ecc. Erigeron canadensis L. Comune nei campi e l. incolti. — annuus (L.) Pers. Acqui. — acer L. Ai Giovetti, a Melogno, tra Godiasco e Cecima. Matricaria Chamomilla L. Campi a Caragna (Calizzano), Sassello, Lerma, Novi, ecc. — inodora L. Pr. il Tanaro a Bagnasco, a Garessio e la Bormida ad Acqui. Leucanthemum culgare Lam. Frequente nei I. erbosi in tutto l'A p- pennino. — pallens Gay. Comunissimo nei campi e l. aridi incolti alle falde dell’Appennino, a Dego, Gavi, Novi, Busalla, Godiasco, ecc. — heterophyllum D. C. Frequente nei boschi dell’Appennino, tra Calizzano e Melogno, sopra Campoligure, in V. Gorzente, a Marca- rolo, Mornese, Lerma, ecc. Pyrethrum Parthenium Smith. Dego al B. della Rama, sopra Bor- mida (Carcare) e Cadepiaggio (Gavi). — corymbosum W. Tra Rossiglione e Tiglieto in V. Stura e in più luoghi in V. Gorzente, tra Mornese e la Lavagnina, a Voltaggio e sopra Godiasco. Tanacetum vulgare L. Presso Bagnasco, Acqui, Lerma, Gavi, e Novi, ecc. Artemisia camphorata Will. Novi (D. N.). Pr. Massimino, Monte- chiaro d’Acqui, alla Lavagnina, tra Serravalle Scr. e Gavi, Voltaggio, Cecima, ecc. — — e. alba. Presso Voltaggio e su rupi di conglomerato in Val di Rile tra Buscafa e Chiusano. | — — .stenoclada J. et F. Nazzano e Chiusano. — Absinthium L. Novi (D. N.). Pr. Massimino, a Melogno, in V. Staffora e Curone (N. B.), Belforte Monf. — vulgaris L. Comune nei ]. incolti, Bagnasco, Gavi, ecc. — campestris L. TL. incolti ad Acqui, Rossiglione, Casaleggio, Novi, Godiasco, ecc. — Verlotorum. Capriata d’Orba pr. la Villa Brizzolesi, pr. Bel- forte Monf., Ovada. — Abrotanum L. Nel Tortonese (All). Anthemis arvensis L. Campi a Massimino, a Ceva, ecc. — Cota L. Pr. Muraglie (Bagnasco), tra Nazzano e Calizzano e pr. S. Paolo (V. Staffora). — Pseudo Cota Vis. Pr. Denice. — 333 — — tinetoria L. Comune nei 1. incolti alle falde della catena del- l'Appennino, da Denice ad Acqui, Lerma, Gavi, Serravalle, Novi, Ovada, Gremiasco, ecc. — Triumphetti (L.) D. C. Tra Bagnasco e Muraglie. Achillea tomentosa L. Pr. Denice, Sassello, Rossiglione, Casaleggio Boiro, Buffalora (Lerma), al Colle del Ratto (Serravalle Scr.), e Vol- taggio. — Millefolium L. Comune nei prati. — nobilis L. Pr. Bagnasco, Rossiglione, Casaleggio B., Fiaccone (Busalla). Micropus erectus L. Montechiaro d’Acqui, e in V. Staffora (All.). Filago germanica L. L. aridi a Massimino, Muraglie, Sassello; Rossiglione, Acqui, alla Lavagnina, Gavi, Serravalle Scr., a _Naz- zano. — arvensis L. Pr. Massimino, Calizzano e Rossiglione. — minima (Sm.) Fr. L. aridi serpentinosi pr. Rossiglione, tra Casaleggio B. e S. Sebastiano, a S. Carlo (Mornese). — gallica L. In V. d’Erro e pr. Rossiglione. Antennaria dioica (L.) Gaertn. Sopra Muraglie (Bagnasco), ai Gio- vetti, al M. Settepani, M. Ermetta, Pian di Rapa (Campoligure), Bocchetta di Voltaggio, M. Boglelio (N. B.). Gnaphalium luteo-album L. In V. d’Erro e sopra Rossiglione. — sylvaticum L. Pr. la Bocchetta di Voltaggio. — uliginosum Bert. Pr. Novi, Montenotte, e pr. la Bocchetta di Voltaggio. Helichrysum Stoechas (L.). D. C. Sopra Muraglie (Bagnasco), a Ca- lizzano, pr. Pallare, in V. d'Orba e pr. Rossiglione. — angustifolium D. C. Al C. dei Giovetti, a Grognardo, V. Gor- zente, da Mornese al Bric dei Ladri, al Forte di Gavi, al C. del Ratto (Serravalle Scr.), Voltaggio, Rivanazzano, Godiasco. Inula Helenium L. Nel Tortonese (All). — hirta L. Ai Giovetti, in V. Gorzente tra Mornese, la Lava- gnina e Lerma. — spireifolia L. A Cavatore, Acqui, al C. del Ratto tra Serra- valle Scr. e Gavi, tra Nazzano e Riva. — salicina L. Sotto Sassello, tra Lerma e la Lavagnina, M. Moro (Gavi), Novi, e in V. Staffora. — montana L. Pr. Massimino su roccie calcari; pr. Nazzano, alla M?* del Monte. — britannica L. Pr. Rivanazzano e Godiasco. — Conyza D. C. Pr. Massimino, Grognardo, Acqui, Campoli- gure, Gavi, Busalla, Rivanazzano, ecc. ANNALI DI BorAnICA — VoL. X. i 29 Lei: Toe —- bifrons L. Al C. dei Giovetti, presso Acqui, in V. Staffora sotto Cecima. — graveolens Desf. Campi tra Busalla e Fiaccone, e pr. la Boc- chetta di Voltaggio. — viscosa (L.). In V. d’Orba sopra Tiglieto, pr. Mornese, a Bri- gnano Curone e Godiasco, Rivazzano, ecc. Pulicaria dysenterica L. Tra S. Sebastiano e la Lavagnina, a Bu- salla e Rivanazzano. Buphthalmum grandiflorum L.'"Tra Bagnasco e Muraglie e a Vol- taggio. — salicifolium L. A Massimino, ai Giovetti, nei colli tra Gavi e Serravalle Scr. ; Asteriscus spinosus (L) Gr. et Godr. Pr. Molare (All.). Calendula arvensis L. Pr. Acqui e al Forte di Gavi. Bidens tripartita L. L. umidi pr. Bagnasco, Novi, Busalla, Riva- nazzano, ecc. Xanthium strumarium L. Liguria transappennina (D, N.). — italicum Moretti. Pr. Acqui, Rivanazzano, ecc. Echinops sphaerocepalus L. Grognardo, Rivanazzano, Godiasco. — elegans Bert. In Val Staffora tra Nazzano e Chiusano, tra Godiasco e Cecima. Carlina acanthifolia AU. "Tra Massimino e Muraglie e al M. Ebro. — acaulis L. Ai Giovetti, Colle di Melogno, M. Settepani, Montenotte, M. Ermetta, alla Lavagnina alle falde del M. Lecco. pr. la Bocchetta di Voltaggio. — — . caulescens Lam. M. Tobbio. — vulgaris L. Pr. Massimino, ai Giovetti, a Melogno, Cecima, Rivanazzano. ; Xeranthemum inapertum W. Pr. Montechiaro d’Acqui, Castello di Tortona (Gibelli). — cylindraceum S. et S. Sopra Nazzano alla M* del Monte, e presso Godiasco. — annuum L. Dego al B. della Rama. Staehelina dubia L. Pendii aridi a Voltaggio tra Nazzano e Chiu- sano, e tra Cecima e Serra del Monte. Onopordon Acanthium L. Tra Lerma e Casaleggio B., e a Godiasco. Serratula tinctoria L. Sassello, lungo 1] R. Roverno a Mornese, Cecima e Nazzano. Crupina vulgaris Cass. L. aridi sopra Muraglie, Sassello, Mornese, Voltaggio e nei colli marnosi argillosi da Dego a Varzi. Leuzea conifera D. C. Roccie calcari pr- Massimino (Bagnasco). Centaurea alba L. Tra Gavi.e Mornese Voltaggio. DA n NE i e a i — 335 — — splendens L. Lungo la Scrivia pr. Tortona (Gibelli). — aspera D. C. Lungo la Scrivia a Tortona. — vochinensis Bernh. Frequente nei prati a Bagnasco, ai Gio- vetti, ecc. — amara L. Bagnasco, Giovetti, Grognardo, Novi, Busalla, Ri- vanazzano, ecc. — Cyanus L. Comune nei campi di cereali. — montana L. In V. Gorzente alla Lavagnina e al Tobbio. — Triumfetti AU. Pr. la C. Bandia (Campoligure), M. Figne, lungo il Rio Roverno, a Mornese, M. Boglelio (N. B.). — maculosa Lam. Sopra Tiglieto lungo la strada di Rossiglione. — paniculata L.wv. Reuteri Rchb. Nella V. della Bormida di Millesimo. — — Lv. brunnescens Brig. Pr. Altare. — aplolepa Moretti v. subciliata D. C. Lungo la Bormida ad Acqui. — — — ». ligustica Brig. Rupi a Nord di Rossiglione, Ovada. — Scabiosa L. Pr. Massimino, tra Lerma e Casaleggio e al M. Tobbio verso N. 0., Voltaggio, Nazzano, Godiasco. — solstitialis L. Pr. Acqui lungo la Bormida e a Godiasco. — Calcitrapa L. Colli argillosi, marnosi, da Dego a Lerma, Gavi, Novi, Godiasco. — — f.albiflora. Lungo la strada tra S. Paolo e Rocca Chiu- sella (Godiasco). Kentrophyllum lanatum (L.) D. C. Pr. Acqui, Lerma, Novi, Go- diasco, Varzi. Carduus nigrescens Vill. Tra Bagnasco e Muraglie, pr. Calizzano, Rossiglione, e al C. del Ratto sopra Serravalle Scr. — nutans L. Pr. Bagnasco lungo il Tanaro. — defforatus L. In Val Gorzente alle falde del M. Tobbio, e al Bric dei Ladri. — @Sanctae-Balmae Lois. Piano soprano di Bormida (Carcare), Dego, Sassello, Gremiasco, Fego. — acanthoides L. Pr. Tortona (All.). — pycnocephalus Desf. Pr. Denice, Montechiaro d’Acqui, Gavi, Voltaggio, Fabbrica Curone, S. Paolo (Godiasco). — tenuiflorus Curt. Sopra Sassello pr. il Passo del Giovo. Cirsium lanceolatum (L.). Scop. Bagnasco, Calizzano, Maddalena, Sassello, Casaleggio B., Gavi, ecc. i — eriophorum (L.) Scop. Pr. la Fraz. Maddalena (Sassello). — spathrulatum Gm. Tra Voltaggio e i Molini. gia 4% a nt e (i — 336 — — arvense (L.) Scop. Frequente nei campi e l. incolti da Bagna- sco a Novi. — palustre (L.) Scop. L. umidi sul M. Ermetta, al Pian di Rapa (Campoligure), alla Bocchetta di Voltaggio. — tricephalodes (Lam.) D. C. Lungo il Rio della Vota (Monte- notte), Bocchetta di Voltaggio. — Erisithales (Jacq.) Scop. Versante N. 0. del M. Tobbio. Cichorium Intybus L. Frequente lungo le strade. Lapsana communis L. Frequente nelle siepi, Calizzano, Acqui, Casaleggio B., Mornese, Novi, ecc. Rhagadiolus stellatus (L.) Gaertn. Muri pr. Sassello, lungo la strada del Giovo, pr. Casaleggio B., Rivanazzone e Godiasco. Hyoseris radiata L. Muri pr. Casaleggio B., pr. Cadepiaggio, al Forte di Gavi, al M. Tobbio e a Voltaggio, sopra Borgo Fornari (Busalla). Tolpis virgata (Desf.) Bert. Pr. Montenotte. Hypochaeris radicata L. Praterie ai Giovetti, a Melogno in V. d’Erro, al Pian di Rapa (Campoligure), in V. Gorzente, alla C. Be- nedetta e al Tobbio sopra Busalla. — maculata L. M. dei Settepani; alla Maddalena (Sassello) e Rossiglione, Pian dei Deschi (Mornese), e sul M. Moro (Gavi). Robertia tararacoides (Lois.) D. C. Salle rupi serpentinose in V. d’Orba sopra Tiglieto e in Val Gorzente al Pian dei Deschi, Lavagni- na, M. Tobbio, Marcarolo e sopra Voltaggio. Thrincia hirta Ioth. Sopra Sassello, al Pian di Rapa, alla Lava- gnina, Voltaggio, ecc. Leontodon hispidus L. Qua e là nei l. aridi, erbosi, lungo l'A p- pennino. — hastilis L. Frequente nei ]. erbosi lungo tutto l'Appennino. — anomalus Ball. Sul M. Tobbio sopra Voltaggio e verso il Gorzente. — — v.glabrifolia Gola. Col tipo. Picris hieracioides. L. Frequente nei boschi, a Bagnasco, Caliz- zano, Lavagnina, ecc. Helminthia echioides (L.) Gaertn. Tra Godiasco e Retorbido. Urospermum Daleschampti (L.) F. w. Schmidt. Al Passo del Giovo, pr. Rossiglione, Ceva, Cravaria (Val Gorzente) e al Colle del Ratto, sopra Serravalle Scr. Tragopogon pratensis L. Pr. Calizzano, Gavi, ecc. — dubius Scop. Frequente nei prati e l. erbosi, Bagnasco, Gio- vetti, Lerma, Mornese, Serravalle, Novi, Godiasco, Nazzano, ecc. — crocifolius L. L. aridi sopra Muraglie (Bagnasco). — 337 — Podospermum laciniatum D. C. Novi (D. N.) Pr. Muraglie, Lerma, Gavi, e sopra Varzi in V. Staffora. — decumbens Gr. et Godr. Pr. Massimino, al Bric del Vallone (Denice) e in V. Staffora sopra Varzi. Scorzonera humilis L. Sassello (D. N.). M. Figne. — austriaca W. Rupi serpentinose, sopra Tiglieto, al M. Tob- bio e alla Lavagnina, Voltaggio. Tararacum officinale W. Volgare. Chondrilla juncea L. L. aridi a Bagnasco, Acqui, Rossiglio ne Lerma, Gavi, Busalla, Godiasco, ecc. Sonchus asper Hill. Pr. Bagnasco lungo il Tanaro; e tra Busalla e Castagnola. — oleraceus L. Pr. Acqui, Rossiglione, Novi, Godiasco. — arvensis L. Al Pra della Colla (Campoligure), pr. Casa- leggio B. Mulgedium alpinum (L). Less. M. Boglelio (N. B.). Prenanthes purpurea L. Boschi a Calizzano, al M. Settepani, e M. Ermetta. Lactuca perennis L. Frequente nei l. aridi, Bagnasco, Calizzano, M. Tobbio, ecc. — viminea. Tra Tiglieto e Rossiglione. — saligna L. Pr. Acqui, Lerma, alla Cascina di Iota (Gavi)- Rivanazzano. — Scariola L. Pr. Bagnasco, Acqui, Lerma, Gavi, Novi. -— virosa L. A Massimino, Rossiglione, Mornese, Godiasco (N.B.). — muralis (L.) Fries. Boschi ai Giovetti, al M. Ermetta, Rossi- glione, Voltaggio, ecc. Picridium vulgare Desf. A Rossiglione, lungo il Rio Roverno, (Mornese), a Cravaria e al Tobbio, in V. Gorzente, tra Borgo For- nari e Voltaggio. Crepis foetida L. A Muraglie, Bormida (Carcare), in V. d’Erro, d’Olba, del Gorzente, a Rossiglione, Gavi, Novi, Voltaggio, Busalla, Godiasco. — leontodontoides AU. A. Muraglie, Calizzano, Pallare, Mon- tenotte inf., Denice, Sassello, Olba, Rossiglione, Gavi, Voltaggio, ecc. — setosa Hall. Prati a Bagnasco, Acqui, Lerma, Novi, Go- diasco, ecc. — wirens L. Novi. — biennis L. Presso Voltaggio. i — pulchra L. A Denice, Acqui, Lerma, Mornese, Gavi, Novi, Godiasco. — taraxacifolia Thuill. Pr. Denice. STR a ttt ian A Pagni dc è o pi ( ì ‘, — 398 — — blattarioides (L) Vill. Pr. i1 R. Roverno (Mornese). — paludosa (L.) Moench. Capanne di Marcarolo (D. N.) Hieracium (1) Pilosella L. Frequente nei luoghi aridi lungo tutto il versante nord dell’A ppennino. — staticaefolium Vill. Garessio. — Auricola L. M. Ermetta, intorno a Novi (D. N.). — auriculiforme Fr. Pr. Fabbrica Carone, al Pra della Colla sopra Campoligure. — brachiatum Bert. Tra Dego e Montenotte. | — florentinum All. Frequente nei 1. aridi lungo l'Appennino. — — . praealtum Vill. Sopra Voltaggio. — — o. glareosum Koch. Nell’alveo della Scrivia pr. Tortona. — — o. piloselloides Vill. Pr. la C. Eremiti in V. Gorzente, Voltaggio. — polyadenum Arv. T. Sassello, Altare, Busalla, Nazzano. — platyphyUum A. T. Passo del Giovo. — — var. subvallesiacum A. T. Lungo la Staffora sotto Ce- cima. — lanatum (L.) Vill. Tra Fabbrica Curone e M. Capraro, e in V. Staffora pr. Fego. — Virga-aurea Coss. var. ageratoides Fr. Sassello, tra Busalla e Fiaccone (Voltaggio) e tra Chiusano e Rocca Susella (Godiasco). — caesioides Arv. T. Pr. M. Capraro (V. Curone). — noevibifidum A. T. M. Tobbio. — murorum L. Comunissimo nei boschi montuosi, in tutto l'A p- pennino piemontese nelle sue varietà: — praecox Sch. (Calizzano, Voltaggio); lepidotorum Are. T. (Vol- taggio); subcaesium (Fr.) Belli. (Montechiaro d’Acqui, Nazzano); silvaticum (L.) Arv. T. (M. dei Settepani); alpestre Sch. (Busalla, Fiaccone, Garessio. — Grovesianum A. T. Presso Voltaggio e al Colle di S. Ber- nardo. — vulgatum Fr. Passo del Giovo, tra gli Eremiti e Marcarolo in V. Gorzente. — latifolium Spr. Tra Sassello e il Passo del Giovo. — boreale Fr. Pr. Massimino, Melogno, Marcarolo, Voltaggio e Busalla. — boreale Fr. v. obliquum. Sopra Nazzano, pr. la M. del Monte. — wumbellatum L. Sopra Nazzano (Godiasco). — heterospermum Arv. T. Tra Busalla e Fiaccone. (1) I Hieracium furono determinati dal Ch. Prof. S. Belli. Ricerche di Morfologia e di Fisiologia eseguite nel R. Istituto Botanico di Roma XXVII. SecnertI G. — Osservazioni morfologiche e biometriche sulla Urtica membranacea Poir. INTRODUZIONE. Per consiglio dell’illustre prof. Pirotta, intrapresi al principio di questo anno scolastico, lo studio biometrico della Urtica mem- branacea Poir. Le principali ragioni che motivarono lo studio furono: I. Vedere se nella Urtica membranacea si riscontrassero delle variazioni alle quali sì potessero ascrivere almeno alcune delle nu- merose varietà che i floristi hanno introdotte in detta specie. II. Ricercare mediante l’isolamento delle forme presentanti eventualmente qualche variazione, e mediante lo studio dei discen- denti da esse ottenuti, quale valore fosse da attribuire alle variazioni medesime. III. Cercare di stabilire il valore dei rapporti esistenti fra i di- versi caratteri riconosciuti e le forme eventualmente isolate. A tale scopo, lo studio biometrico non fu limitato, come nei lavori del genere, ad uno o due caratteri della pianta per ricercarne 1 limiti di variabilità o per calcolarne il coefficiente di correla- zione, ma fu esteso a più caratteri per avere risultati più generali, che ho difatti ottenuto. Essendo giunto a conclusioni che mi sembrano non prive d’in- teresse, sia per quanto riguarda particolarmente la Urtica membra- nacea, sia per quanto sì riferisce a risultati biometrici d’indole ge- nerale, pubblico la prima parte di questo studio, riservandomi di completarlo al più presto per ciò che riguarda la seconda parte. I. — Osservazioni morfologiche. Il materiale fu raccolto nel giardino annesso al R. Istituto Bo- tanico di Roma, ove sì trovano allo stato spontaneo numerose co- lonie di Urtica membranacea Poir. comprendenti complessivamente molte migliaia di esemplari. Questi furono fatti appositamente conservare, e su di essi co- minciai le mie osservazioni morfologiche e biometriche seguendo dei criteri di cui dirò in seguito. Prima di esporre i risultati delle ricerche fatte, credo opportuno riassumere ciò che i principali sistematici e floristi dicono riguardo alla Urtica membranacea, poichè ho potuto rilevare in essi non poche e non piccole divergenze. Per quanto riguarda il fusto, sono tutti d’accordo nell’attribuire ad esso le proprietà: « diritto ramificato ». Il Coste però, molto op- portunamente dice: « sovente ramificato » poichè, in realtà, s’ in- contrano numerosi individui completamente privi di ogni ramifica- zione. Il fatto che alcuni esemplari di Urtica membranacea si pre- sentano con fusto a sezione trasversale perfettamente rotonda, mentre altri ve ne sono a sezione trasversale tetragonale, spiega come, dei floristi, soltanto il Parlatore Fiori-Paoletti, accennino a questa ultima proprietà. Unico poi il Parlatore attribuisce alle ramificazioni del causale uu andamento orizzontale, e soltanto il Bertoloni con Fiori-Paoletti accennano ad un colore rossastro che talora può presentare il fusto della Urtica membranacea. In quanto all’altezza che può raggiungere il fusto di questa pianta, le dimensioni oscillano, secondo i floristi da un minimo di 30 cm. ad un massimo di 100 cm.; ma l’osservazione mostra, per questo carattere, dei valori differenti, di cui diremo più innanzi. Anche per ciò che riguarda i caratteri delle foglie, vi sono tra i sistematici non poche divergenze. La forma della lamina fogliare che il Coste dice arrotondata e che il Parlatore chiama ellittica più o meno allungata; la relazione di lunghezza tra lamina fo- gliare e picciuolo; la forma del contorno del lembo fogliare detto da alcuni a grandi dentature, da altri serrato-dentato, sono altret- tanti punti di divergenza. — B4l — | Per le stipole, tutti concordemente ammettono che esse sono due e soltanto il Moris dice che, talvolta, le stipole inferiori sono quattro. Ma dove maggiormente si nota il contrasto fra i sistematici, è in ciò che si riferisce alle infiorescenze ed alla distribuzione dei fiori su di esse. Infatti, l’unico carattere, da tutti concordemente ammesso per i fiori, si è che questi sono diclini. Per quanto ri- guarda gli altri caratteri, alcuni floristi chiamano grappoli le in- fiorescenze della Urtica membranacea, altri invece le dicono spighe. Per la distribuzione dei fiori, Grenier-Godron, Rouy, Ardoino di- cono assolutamente che sulle infiorescenze si trovano soltanto fiori diclini. Ascherson-Graebner, dopo aver fatto la medesima constata- zione in linea generale, aggiungono che però, talvolta, dei fiori staminiferi si trovano sulle infiorescenze a fiori carpelliferi, fatto notato anche dal Moris, e che talora s'incontrano piante ad infio- rescenze esclusivamente carpellifere; Wilkomm e Lange notano che sulle infiorescenze i fiori staminiferi, più spesso che non i carpelli- feri, possono mancare, ed allora la pianta diventa dioica, cosa che Ardoino, e Fiori-Paoletti, dicono accadere molto raramente. Gus- sone e Parlatore ammettono trattarsi di spighe dioiche ed in fine il Moris con Cesati-Passerini-Gibelli dicono potersi incontrare piante monoiche e piante dioiche. Tanta divergenza di caratteri attribuiti dai diversi floristi agli individui della Urtica membranacea, è dovuta al fatto di un’osser- vazione limitata ad uno o pochi esemplari. sE * * All’inizio delle osservazioni, senza aver preso notizia alcuna su questa pianta, mi avvidi che la Urtica membranacea presentava notevole variabilità di caratteri, tanto da poterne nettamente di- stinguere due tipi. Per riuscire a fissare i caratteri differenziali di essi, ho lungamente esaminato molte centinaia di esemplari, tutti giunti al momento della fioritura per osservarli in uno stadio di sviluppo presso a poco identico, ed ho infatti trovato che i due tipi differiscono tra loro per non pochi caratteri. Un primo tipo che chiamerò « tipo A » si presenta come più corrispondente alle descrizioni che più comunemente si fanno della Urtica membranacea ; l’altro il «tipo B» se ne discosta, in alcuni caratteri, notevolmente, e corrisponde piuttosto alla descrizione di alcune varietà istituite dai sistematici. Questa differenza di carat- teri fra i due tipi può anche dar ragione delle divergenze che vi sono tra i floristi nella descrizione della Urtica membranacea. x TI a yo EVA dti — 342 — In seno a ciascuno dei due tipi A e 5, si possono suddistin- guere due sottotipi x e f, poichè, alcuni esemplari, si presentano del tutto privi di ramificazioni, poveri di peli urticanti, con fusto a sezione trasversale rotonda, e di consistenza erbacea, con radici piuttosto sottili; altri invece, i f, si presentano con caratteri op- posti, ossia, ramificati, forniti di molti peli urticanti, con fusto a sezione trasversale ottusamente tetragonale, di consistenza quasi legnosa e con radici a fittone molto sviluppato. Credo opportuno esporre particolareggiatamente le osservazioni morfologiche riguardanti i due tipi distinti, per farne meglio rile- vare le differenze e per dare della Urtica membranacea una descri- zione che ne comprenda tutti i caratteri. Per il tipo A si può dare la seguente descrizione, che in non pochi punti si allontana da quella dei sistematici e floristi citati. La U. membranacea, « tipo A », presenta radice a fittone, ab- bondantemente ramificata verso la base, più (f) o meno (x) robusta, da cui sorge il fusto verde, per lo più eretto, talora ascendente, a sezione trasversale talvolta rotonda (2), tal’altra ottusamente te- tragonale (8) con spigoli molto rilevati. Ad ogni nodo corrisponde un verticillo di due foglie in ordine decussato, di un colore verde più o meno intenso, e di forma diversa. Sono per lo più cordate, a base molto larga, ma talvolta anche arrotondate, od ovali acu- minate verso l’apice. Presentano tutte profonde e larghe dentature, le quali sono ottuse e quasi arrotondate nelle foglie inferiori, più acute nelle superiori, ove si trovano spesso i denti divisi in la- cinie minori. Vi è discordanza tra i floristi nello stabilire le pro- porzioni di lunghezza tra lamina fogliare e picciuolo, poichè la più parte di essi afferma che la lamina è uguale, per lunghezza, al picciuolo e soltanto il Parlatore dice che il picciuolo è uguale o minore della lamina. Dopo aver esaminato sotto questo punto di vista diverse centinaia di foglie, ho ottenuto i seguenti risultati, diversi da quelli dati dai sistematici. Ho ottenuto cioè 88% di casi in cui il picciuolo è più corto della lamina; 9% di casi in cui il picciuolo è uguale alla lamina; 3% di casì in cui il pic- ciuolo è più lungo della lamina. Quindi si può mettere come ca- rattere che il picciuolo è più corto della lamina. Ma, in generale, si può stabilire questo fatto che spiega anche le divergenze fra i sistematici; siccome la pianta tende a porre la lamina fogliare nella migliore posizione rispetto alla luce, nella parte inferiore 34 di essa, in alcuni verticilli, prende maggior sviluppo il picciuolo, perchè la lamina sia portata in piena luce; mentre, man mano che si passa alla parte superiore della pianta, si ha riduzione del picciuolo e maggior sviluppo della lamina. Le foglie presentano, ciascuna, alla base due stipole laterali, che saldandosi insieme a due a due, dànno luogo a due stipole composte, alterne con le foglie, sullo stesso verticillo. All’ascella delle foglie si hanno ramificazioni più o meno svi- luppate (8) spesso mancanti (x). Il Parlatore dice che le ramifica- zioni sono in posizione orizzontale, ma tale portamento è tenuto, e non sempre, dai rami inferiori, i quali, per poter prendere una posizione che permetta loro di mantenersi esterni rispetto ai rami superiori, hanno, per breve tratto, un andamento orizzontale alla loro base e poi si volgono in alto. Le ramificazioni superiori sì inseriscono sul caule con un angolo che diventa man mano più acuto dal basso verso l’alto. Tutta la pianta è ricoperta di peli urticanti più (8) o meno («) abbondanti. Le infiorescenze si trovano a due a due all’ascella delle foglie e formano verticilli di quattro. Esse, per lo più, portano fiori che sono o soltanto staminiferi, o soltanto carpelliferi. Sono infiore- scenze a spiga quelle con i fiori staminiferi, e sono a tipo misto di grappolo e spiga quelle con i fiori carpelliferi. La infiorescenza a fiori staminiferi è data da un rachide stretto alla base, che poi subisce una dilatazione membranosa sulla quale, soltanto nella pagina superiore, si inseriscono sessilmente i fiori, Nessuno dei floristi citati accenna ad un mucrone con cui termina il rachide delle infiorescenze a fiori staminiferi. La loro dimen- sione varia da 5 a 25 cm. e più, e non sempre sono assolutamente più lunghe dei picciuoli delle foglie, come non pochi sistematici affermano. La loro posizione rispetto al caule è variabile e può essere obliqua, orizzontale; e le infiorescenze molto lunghe, giunte a maturità, sì ripiegano a spirale su se stesse con la parte fiorifera verso l’esterno. Le infiorescenze a fiori carpelliferi hanno un rachide quasi sempre più breve del picciuolo delle foglie, ordinariamente non dilatato, fiorifero anch’esso soltanto nella parte superiore alla base, ed all’apice con fiori disposti da ogni parte. Non è raro il caso di vedere fiori carpelliferi inseriti sul caratteristico rachide dilatato delle infiorescenze a fiori staminiferi. Il rachide delle infiorescenze a fiori carpelliferi, ripiegato all'indietro, quando i fiori non sono ‘ ancora schiusi, sì dispone in seguito obliquamente, formando col — 344 — caule un angolo più o meno acuto. I fiori carpelliferi sono più pre- cocì dei fiori staminiferi. In quanto alla distribuzione dei fiori sulle infiorescenze si hanno tre diversi casi: In un primo caso, il più frequente, si hanno piante monoiche, ad infiorescenze con fiori o soltanto stamiferi o soltanto car- pelliferi. In un secondo caso vi sono piante ancora monoiche, ma con fiori staminiferi e fiori carpelliferi variamente distribuiti sulla me- desima infiorescenza ove sì possono avere come predominanti tanto gli uni quanto gli altri. Si hanno infine piante dioiche. Nelle piante comprese nel primo caso, le infiorescenze a fiori soltanto staminiferi sono portate, nella grande maggioranza dei casi, nella parte superiore della pianta e delle ramificazioni. Note- vole il fatto che le infiorescenze a fiori soltanto carpelliferi abbon- dano sulle ramificazioni anche quando l’asse principale della pianta è prevalentemente o totalmente ad infiorescenze con fiori stamini- feri; mentre non accade mai che in piante con l’asse principale ad infiorescenze con fiori carpelliferi s’ incontrino ramificazioni con infiorescenze a fiori staminiferi. Spesso il passaggio dalle in- fiorescenze a fiori staminiferi, poste superiormente, a quelle con fiori carpelliferi, è segnato da sterilità o da mancanza sul rachide dei fiori staminiferi. Più rare sono le piante comprese nel secondo caso, ossia le piante monoiche con fiori staminiferi e carpelliferi sulla stessa in- fiorescenza. Nelle piante dioiche il numero dei verticilli fiorali è in media maggiore per gli individui a fiori carpelliferi. Gli «, non ramifi- cati, sono più facilmente dioici; i {, invece, non presentano dioi- cismo puro, perchè pur osservandosi talora individui a fiori carpel- liferi, non s'incontrano mai tra essi individui in cui le infiorescenze siano esclusivamente staminifere. Il passaggio dalle piante monoiche, comprese nel primo caso, a quelle comprese nel secondo, ed alle piante dioiche, è segnato da tutti i possibili gradi. Il tipo B presenta anch’esso i due sottotipi «, è. Per la descri- zione si accorda in massima col tipo A, ma ne differisce per i se- guenti caratteri: — 345 — Presenta una colorazione rossastra più o meno intensa che si riscontra nel caule, nel picciuolo delle foglie, sui rachidi delle in- fiorescenze, sui fiori staminiferi e, bene spesso, anche sui fiori car- pelliferi. Le foglie sono di un verde più oscuro, più piccole, di forma ovale allungata, a dentature in numero minore che nelle foglie del tipo A, ma più serrate, più, corte, più strette e semplici. Le piante ad infiorescenze con fiori staminiferi e fiori carpel- liferi mescolati insieme, si trovano molto più frequentemente in questo tipo, che è più precoce del tipo A. Alle differenze morfolo- giche esterne tra i due tipi distinti, corrispondono anche differenze anatomiche poichè il tipo A ha gli elementi del legno e gl’ ispes- simenti fibrosi nel periciclo in minor quantità che non il tipo 5. II. — Osservazioni biometriche. Sul materiale così precedentemente distinto ed osservato, ho compiuto le ricerche biometriche. Gli esemplari di Urtica membranacea, esaminati nei mesi ot.to- bre-febbraio, sono stati 1000, non perchè giudicassi sufficiente questo numero, ma per riprendere le osservazioni su di un secondo mi- gliaio in primavera-estate e vedere se la diversità della stagione porti qualche modificazione nei risultati ottenuti. Da ciascun esemplare ho ricavato i seguenti dati: I la misura dell’altezza; II il numero dei nodi; III il numero delle dentature presentate dal lato destro delle foglie comprese nei cinque verticilli più alti; IV il numero dei verticilli fogliari; V il numero dei verticilli fiorali ; VI la distribuzione dei fiori sulle infiorescenze dal punto di vista della loro sessualità. Ho ottenuto così 6000 osservazioni compiute sulla medesima specie. Credo che, per il particolare criterio di osservazione, questo la- voro si allontani, per quanto mi consta, da ogni altro del genere fino ad ora compiuto. Infatti, mi sembra, che nessuno abbia con- siderato, sotto il punto di vista biometrico, sei caratteri in una sola specie, essendosi gli altri limitati alla osservazione di due ca- ratteri per trovarne il valore della reciproca dipendenza col coeffi- ciente di correlazione e talora di uno solo per trovare il particolar modo di disposizione di un organo sulla pianta o per ricercarne l'indice di variabilità. AFAN ZA ali Re i A e a Te rà FA agri 5% SEO » SIL II RA Roo ui 5 ara lag art zi FEET LACIE. ICI Di ciascuno dei valori ricavati, ho costruito i poligoni corrispon- denti, da cui possono trarsi interessanti conclusioni. * * * I mille esemplari esaminati furono distribuiti in 10 centurie, se- condo l’ordine che segue: I centurie: Individui del tipo A, sottotipo «; Ibi » Individui del tipo A, sottotipo $#; iL EL » Individui mescolati del tipo A, sottotipi , 6; IV » Individui mescolati del tipo A e del tipo B; V > Individui mescolati del tipo A e del tipo B; VI » Individui del tipo B con sottotipi mescolati x, È; NALI » Individui del tipo 5, sottotipo «; VARE » Individui del tipo 5, sottotipo 8; IX | < Individui mescolati del tipo A e del tipo B SONA sotto tipi <, ft. Poichè nell’Urtica membranacea l'altezza rappresenta un carat- tere di estrema variabilità, ho avuto l'avvertenza di prendere esem- plari che, nelle singole centurie, avessero altezze medie diverse, per ottenere poi una media complessiva di questo valore il più possibile vicina al vero. Tanto i poligoni parziali delle singole centurie, come quello com- plessivo, costruiti sui dati delle altezze sono plurimodali tanto nel tipo A quanto nel tipo Bb. I modi variano da un minimo di 2 nella VIII e IX centurie ad un massimo di 17 nella X centurie, ed in media, ogni centurie pre- senta un numero di vertici pari a 7. Le centurie le quali presen- tano il minimo valore di altezza media, presentano anche il minimo di modi. Così la VII, la VIII e la IX centurie che presentano ì va. lori della altezza compresi fra i numeri 4-29 hanno rispettivamente poligoni con 4, 2 e 2 modi. I vertici si trovano nei poligoni delle singole centurie ai se- guenti valori: I centurie: Vertici ai numeri: 44, 46, 48, 51, 55, 58. II centurie: Vertici ai numeri: 22, 26, 28, 32, 35, 38, 40, 44, 47, 54, 65. III centurie: Vertici ai numeri; 37, 39, 43, 45, 50, 55, 57, 60, 62, 65, 70. IV centurie: Vertici al numeri: 40, 45, 48, 53, 60. V centurie: Vertici al numeri: 17, 20, 24, 30, 36, 41, 48, 50, 53, 55, 67, 64. VI centurie: Vertici ai numeri: 492, 44, 80, 56, 58, 61, 64, 67, 70, 73, 78, 82. VII centurie: Vertici ai numeri: 15, 20, 23, 26. VIII centurie: Vertici ai numeri: 5, 8. IX centurie: Vertici ai numeri: 12, 16. X centurie: Vertici ai numeri : 9, 14, 16, 23, 25, 29, 31, 35, 42, 48, 51, 53, 55, 59, 63, 67, 72. Dalla irregolarità che sì osserva nei poligoni costruiti sui dati delle altezze, si può dedurre che questo carattere è, per 1’ Urtica membranacea, di grande variabilità ed è intimamente collegato alle condizioni dell’ambiente capace di determinare negli internodi un accrescimento maggiore o minore. Tale variabilità dell’ altezza è anche messa in evidenza dalle ampiezze di oscillazione che pre- sentano tanto i poligoni centuriali quanto il poligono complessivo. Dalle osservazioni fatte ho ricavato per l’altezza i seguenti ri- sultati: Medio valore minimo: 21,7; osservato: 35,9 — 36 Og SI5 OMR 2 Medio valore medio } calcolato: 37,6 — 38; Medio valore massimo: 53,6; Media ampiezza di oscillazione: 32,9. I poligoni centuriali, costruiti sul numero dei nodi presentati dai singoli individui, sono prevalentemente unimodali, poichè su 10 poligoni, 7 si presentano unimodali e 3 bimodali. È importante osservare come, dei poligoni bimodali, due appar- tengano alla V ed alla X centurie, in cui furono promiscuamente considerati individui del tipo A e del tipo B; ed uno è ottenuto dalla VI centurie, in cui furono esaminati esclusivamente esemplari del tipo B, mentre i poligoni ricavati dall'esame biometrico degli Bagna individui del tipo A sono tutti unimodali. E ciò è tanto più note- vole in quanto che il medesimo comportamento dei poligoni si ha anche in quelli costruiti sui dati ottenuti dagli altri caratteri con- siderati. I vertici nei poligoni uninuodali riguardanti il numero dei nodi, sì dispongonò secondo i seguenti valori: I centurie: Vertice al numero 8; iN » » » L0E 1001 » » » dale JV » » » dal VII » » » 8; VIII » » » TAC 16S » » » 8: Nei poligoni bimodali, i vertici si trovano: per la VI centurie ai numeri 10-12; » X » » 8-11: » V » » 10-12. Il poligono complessivo si mostra anch’esso bimodale con i ver- tici ai numeri 8-10. Per quanto riguarda il numero dei nodi ho ottenuto dai mille esemplari esaminati i seguenti dati: Medio valore minimo : 5,7; osservato: 9,79 = 10 Medio valore medio DU 13,5 calcolato : a Oio=el0e Medio valore massimo: 13,5; Media ampiezza di oscillazione: 8,8. Per quanto riguarda il numero delle dentature ho considerato soltanto i valori presentati dal lato destro delle foglie comprese nei primi cinque verticilli, e ciò perchè, presentando tutte le piante esaminate un numero di almeno cinque verticilli fogliari, avessi un valore medio il più possibile esatto. Per i valori delle dentature, ho costruito il poligono di ciascun individuo, ed ho trovato che dei mille esemplari : il 50 % si presenta unimodale; ll DL» » bimodale; il Abr a » trimodale. I poligoni così costruiti dànno luogo a 12 differenti tipi di figure. ee Dei 10 poligoni centuriali 6 sono unimodali con i vertici ai valori : I centurie: Vertice al valore 17; II > » » » o Dai » » » » 15 IV » » » » 185 IVI » » » » 16: TE » » » » 16 ; gli altri 4 sono bimodali e presentano i vertici ai seguenti valori: VI centurie: Vertici ai valori 16-18 ; WET » >» » » 10-16 , WIE » » » » 10-14 9 Da » » » » 18-20 ; Bimodali sono i poligoni di quelle centurie ove furono mescolati individui del tipo A e del tipo 5. Il poligono complessivo è bi- modale con i vertici ai numeri 10-17. Mentre per gli altri caratteri ho trovato uguaglianza di valori medi fra i tipi A e 5, per il numero delle dentature vi si nota una differenza, poichè il tipo A ha per numero medio di dentature, nei verticilli considerati, 19, il tipo B 16. Da notarsi è anche il fatto che il numero delle dentature nelle foglie, aumenta, in generale, dai verticilli più bassi ai più alti, e diminuisce di nuovo nei verticilli più prossimi all’apice. Dalle osservazioni, fatte come sopra ho detto, ho ottenuto per il numero delle dentature i seguenti risultati : Medio valore minimo: 9,7; osservato =s.k9 PE I E 16 | media: e Medio valore medio calcolato : —__ l=16,5—=17; Medio valore massimo 23,4; Media ampiezza di oscillazione : 14, 7. Nei valori ottenuti dal numero dei verticilli fogliari, v'è note- vole regolarità, poichè, sui dieci poligoni centuriali due soltanto si presentano bimodali e sono di centurie a cui appartengono indi- vidui mescolati dei tipi A e B. ANNALI DI BorTaNnICA — Von. X. 23 — 350 — I poligoni unimodali hanno i vertici ai seguenti valori : I centurie: Vertice al valore 6; II » » » » T E III > » » 9; TEA » » » 8: Vi >» » » » 8 $ VII » » » > 6; VIII » » » DARE IX » » » >» 7( 3 La VI e la X centurie, con poligoni bimodali, hanno, rispet- tivamente, i vertici al numeri 9-15; 7-10. I dati ottenuti dall’osservazione per i verticilli fogliari, sono: Medio valore minimo: 4,5; \ osservato: 7,2 = 7; Medio valore medio AR: 4,5 nu 10,4 de Co = Medio valore massimo: 10,4; Media ampiezza di oscillazione: 6,6. Il poligono complessivo è bimodale. Il valore del numero dei verticilli fiorali nelle singole centurie, dà luogo anche a poligoni prevalentemente unimodali. Su 10, 8 sono unimodali ed hanno i vertici sui seguenti valori : I centurie: Vertice al numero 4; Il » » » » 5 ; 10EI » » » » 6; IV » » » » DL VI » » » > De VII » > » DE VIII » » » » 5; IX » » » » Db; Dei due poligoni bimodali, quello ricavato dalla VI centurie ha i vertici ai numeri 6 e 9 come quello ottenuto dalla X centurie. Questi due poligoni bimodali sono sempre di centurie in cui furono mescolati gl’individui del tipo A con quelli del tipo B. Il poligono complessivo si presenta anch’esso bimodale. I dati ricavati dall’osservazione dei verticilli fiorali sono i se- guenti: Medio valore minimo: 3,8; — 351 — osservato: 5,7 — 6; Medio valore medio SIM 3,8 È 8,7 == e Medio valore massimo : 8,7; Media ampiezza di oscillazione : 5,9 * * * Riassumendo quindi ho ricavato dalle ricerche biometriche com- piute su 1000 esemplari di Urtica membranacea Poir, esaminata al momento della fioritura i seguenti dati medi : Altezza : 36: N. dei nodi: 10; N. delle dentature presentate dal lato destro delle foglie com- tipo A=19) prese nei cinque verticilli più alti della pianta: tipo B =16) media:17; N. dei verticilli fogliari: 7; N. dei verticilli fiorali : 6; Per quanto riguarda la distribuzione dei fiori sotto il punto di vista della loro sessualità ho ottenuto su 1000 esemplari: 522 piante dioiche di cui 279 con infiorescenze a fiori staminiferi ; 2483 con infiorescenze a fiori carpelliferi ; 478 piante monoiche di cui: 72 con fiori staminiferi e pistilliferi sulla stessa infiorescenza; 406 con infiorescenze a fiori o soltanto staminiferi o sol- tanto pistilliferi. * * * I poligoni si comportano nel seguente modo : Tipo A Tipo B Tipi A-B Poligono costruito sui dati : I-dell'altezza tatuare plurimodale plurimodale plurimodale SI del numero dei nodi. . unimodale | bimodale bimodale III del numero delle denta- ture ta teu alii unimodale unimodale bimodale IV del numero dei verticilli ? foghars its. ci te unimodale unimodale bimodale V del numero dei verticilli fioraligis= We e unimodale bimodale bimodale xa =. — 352 — I poligoni unimodali, ottenuti con tanta uniformità nel tipo 4 ed anche, in parte, nel tipo B, fanno supporre che nessuna varia- zione notevole introducono in essi i due sottotipi distinti « e £. Al contrario, si ottengono costantemente poligoni bimodali quando i dati sono ricavati da individui dei due tipi A e B me. scolati insieme. Ora la presenza di più modi in uno stesso poligono, può essere, secondo il De Vries e secondo il Ludwig indice di mescolanza di razze, o di piccole specie; ovvero, secondo il Weisse, di differente influenza esercitata da ambiente diverso. Alla parte sperimentale di questo studio spetta il vedere il va- lore di queste variazioni; tuttavia, cercando di rendermi ragione delle cause che nella Urtica membranacea le producono, ho potuto osservare che il differente modo di comportarsi del tipo A e del tipo B, è forse dovuto alla diversa esposizione che gl’individui dei due tipi hanno rispetto al sole. Infatti gli individui del.tipo B, osservati e raccolti costante - mente in luoghi bene esposti e non ombreggiati, assumono nel caule ed in altri parti, una colorazione rossa più o meno intensa; hanno le foglie piccole e di un colore verde oscuro; sono più pre- coci, caratteri questi in diretta dipendenza con la maggiore espo- sizione alla luce solare. Ho anche provato a trapiantare individui del tipo A dal luogo più o meno ombroso ove sì trovavano in luoghi bene esposti al sole ed ho potuto vedere che in breve comin- ciano ad assumere l’aspetto esterno proprio degli individui del tipo 5. Le differenze, non profonde, che s'incontrano fra gl’individui appartenenti allo stesso tipo, per cui questo fu ancora suddiviso nei sottotipi « e {, dipendono, probabilmente, dal fatto che gl’in- dividui « sorgono in folte colonie a differenza degl’individui @, i quali, come fu detto, s'incontrano isolati ed in colonie molto rade. Un'ultima osservazione, a cui credo opportuno accennare, con- siste nell’aver riscontrato negli individui {, particolarmente in quelli appartenenti al tipo A una certa facilità di variazione in seguito ad azioni traumatiche. Mi è talvolta accaduto d’incontrare individui di Urtica membranacea, più o meno profondamente de- formati dal tipo caretteristico per una puntura d’insetto; ed anche non raramente ho potuto vedere individui in cui la disposizione delle parti era variata, mostrando tendenza alla disposizione alterna. Queste osservazioni preliminari saranno meglio studiate nella seconda parte del presente lavoro, già iniziata con l'isolamento dei due tipi distinti, ed ove si potrà sperimentalmente vedere quale sia il valore delle variazioni presentate dalla Urtica membranacea. (1) Vedi fi o” "a di 3 ua : MT MA UPAIE DEE al ] eat fe) da DESIO TEU Y' Laga [ei Sb a 5 ml 0 DD HAHA ANHT E 0 mi ria È n dA Eee e er Di: [parlato iaia RO TT SNO LO LR Dv ° sE [E nthp ose ae arena dine eb NEON CES cea = Da DI I I ee e I (3) 2 | EB [ETERS]= [rt 08 era e a e edo See n [ei A COSE IRR RAGZE FPORIScSSES Jobb $ S > FRECCE S| 5 $ =| 3 mi EE CERRI eee te ROS RS ATI °_———_—__———_—_—_ <%2£2— — —_—_— __odWwe SE Wai ENER Eee R$ E SA O A I E i N E O e e n N i.rr[rrrrre rss gg» nÉ ECC ESIRRRE eeIa u 5 |t00roogHj959 595593 RFMNFAEERAE8S8I8858335998 e (SI # di O Www dH OGG wW0010 dl LI I SH dOHIIAAOLPrO SIL IRA MD 0 GA E S8&33335F88g8382s353f£i9333588895585858535533 Segue Altezza. Frequenza Frequenza centuriale complessiva Xx cent. IX cent. VIII cent. VII cent. VI cent. Vi cent. IV cent. 19 27 21 16 21 GI GI 14 19 14 18 14 17 10 (ell (el 1850 1196 893 GI 11 539 1250 1071 GI GI 832 1118 156 1045 184 684 GI GI GI mi 56 57 eli GI GI LE 1l GI 15 pe n10 GGI CIO Ho DÒ GI (eli 58 54 826 1020 GI 64 610 441 448 715 726 804 DA44 68 562 910 219 148 150 152" 18 82 35.942 È ‘6, d5 Deco tese eseegoeezessanane sso aesanea sana seshazaasa BAGRGRBARIBARRZEE Poligoni costruiti sui dati dell’altezza (1). /6 ETTI Tipo TETI ol! on 55 E fe Cer DIE 100 Bi sl DECO COMEOLE /po RIDI AR TERI e DI SARE A RA RNA i FAZI TRI Pai REDS Att FAAAHAH ce 1 0 Sessa 4HE tana ARA ARA 40 45 IO 9 + 60 GI 70 SII 60 82 VI? Centurie SREnSESpteseonsasIesazIsstanato SERGRE i FROG Di GR FRGRIRISE 5 70 40 50 55 70 A rioi 4°B Xd Centurte Fig. 1. (1) Per i poligoni costruiti sui dati dell'altezza, come per gli altri, ho creduto opportuno pre- sentare soltanto i poligoni tipici tralasciando quelli costruiti sui dati di ciascuna centurie. TABELLA II Valori e frequenza nel numero dei Nodi (1). Frequenza centuriale Frequenza Media Valori 8) CITY | EV Mi VI | VEL | VITE] DE X |complessiva cen t.| cent.| cent. | cent. | cent. | cent. | cent. | cent. | cent. | cent. 8 4|-{|_-{|_-|—-{|_-|_-{|t 18 e È 2 30 5B|T—-|_—_-{[|t_-[|—-{[|T_-|_-|— 4 1 1 6 234 6 1 1|-|_- 1|- 4| 28 2 2 39 «i 665 E ORO o AZ RO tO 95 ; 1384 8 | 46 4 2 2 d 143° [1220 |1398|MULG 173 È 1449 9 deli 9 del 6) 916 30 28,160 dei 1 1690 108 BEI 340) 1661260418819 16 169 1540 106 63} |P 21° 0285368 MS ARS = ALA CT 140 1200 Read lie IO A 1210) [N19 Se St e de e ge DATO 806 RIE SA TO RIA ESE e INA 62 È 406 pu ce A i e DE TORI — | 0a EA 29 I 195 RE e atti E A IC DES, ASTE rss 13 80 16.90 nino) ea Dai Vede 5 i 34 17 Et SERA STO DIR] SC AO N ln na o 9 36 a (a SEPA] nda Aa eo ap cito pen 2 19 Pigi Sire Si SI lio, ISO po ele a Ia re 1 20 OE 1 9796 1000 (1) Vedi figura 2. Poligoni costruiti sul numero dei Nodi. \ aa |] rada NA PERRESEr ARSA NO 7 10 75 20 IECenturie V°Centurie X°Centurie a \ PA Fig. 2. x | A TABELLA III Valori e frequenza nel numero delle Dentature delle foglie (1). Media Valori È cent. 54 6| 98 Q| 448 8| — 21.816 16 | 168 24.395 Len SLd6 25.758 18 | 158 20.454 19 | 105 175 20 | — 156 26 | — 167.199 (1) Vedi figura 3. II cent. La) 44 30 65 159 153 195 a Cr 130 IMI cenì. 127 186 206 157 100 Frequenza centuriale IV cent. V cent. VI cent. 26 La.) VII cent. VIII cent. IX cent. X cent. dI 111 170 113 155 114 Frequenza complessiva 10.000 Poligoni costruiti sul numero delle GRIS ERRO GESSO A auena IDA PIE 5: S DOG Gera Ria ch È D IE i i Cammi 29 FOCHE ScASUNE pai DES ME ol "ap 12 18 24 IConturie VI Centurie Fig. 3. (1) I poligoni sono ridotti di = rispetto agli altri. Dentature fogliari (1). sind K°Centurie +15 ad o TABELLA IV Valori e frequenza nel numero dei Verticilli fogliari (1). { | Frequenza centuriale LA MATE: Ib ICIDR|CIVON V| VI | VII | cent, | cent. | cent. | cent. | cent. | cent | cent | 2 2|-|-|-|-=-{|-|-|- 9 3l_-|-{[{|_-{|—-{[|_-{_-| 116 4 1/|-{|-{|T_-{|_-{|-| 575 5 1 1| 1 8 1| 40 1274 6 DA 3 Si baLiaT 4 | 51 1519 7 35 | 46| 13] 20| 19] 12 6 1368 8 8 0:24 1428 1821-02, 18 3 1148 9 1| 17] 30| 31| 18| 22] — 710 | 10 _ 6 | 22 4| 11| 20| — 253 sE ee ZA E RL TT a e 120 nc a a ea 13 TESS RESI EEA VE (OA I TM E 14 14 —|{|-{|-[|—-|- 10) \42& 30 A E N N Rn 7246 (1) Vedi fig. 4°. cent 38 29 VIII IX cent. XxX cent. 27 24 Frequenza complessiva Te PI PILE SSA Re VI 1000 AA et" Tea leon Se Pe ra iride ATI RESI, hg "ar. si dé Ù 30 20 si Sn Poligoni costruiti sul numero dei Verticilli fogliari. r i Ù 4 DI A Li Li, LL (A fi I i] i II O tu tt 6 a e ea t 10 ‘2 mr Certurie VI° Centurie A Centate Fig. 4. TABELLA V —i b / Valori e frequenza nel numero dei Verticilli fiorali (1). Frequenza centuriale oa e II III IV VI VE VIIÒ| VILLE ICE Xx CS cent. | cent. | cent. | cent. | cent. cent, | cent. | cent. | cent. | cent. 44 70 BE O I E E i, A | 29 È 249 3 | 13 <|-|-|-{|-|84| 8|16|— 83 796 4 |40| 27 —|27|—|—-| 88| 26] 29] 18 199 1185 bill 26].29| 23: 81/20) — ll 15°) 85) 850) 28 237 1080 GORE 16: [27 Pd9e d39r ee N08 180 602 CON 14] 200-1081495 MAR SNO 86 640 e ect 0a SE E 60 531 Ge RSA RO ATA ta A NS MEA nd o 59 360 dope |srie ML |6 36 209 1 {-{|—-| 2|—-|-|1t|{-|—-|—-| 8 19 132 2: |J_|.,1<[|-|10-|[-[-fs 11 104 10 ia ae ge 8 6932 1000 (1) Vedi fig. 5. Poligonî costruiti sul numero dei Verticilli fiorali. Tipo B } A | 4 VARA X°Centurie Ce SOG II. — Osservazioni biometriche d’indole generale. Una osservazione d’indole generale, non priva d’interesse, rica- vata dallo studio biometrico della Urtica membranacea, consiste in una relazione proporzionale che sembra legare fra di loro i medi valori massimi, i medi valori minimi e, per conseguenza i medii valori medi e le medie ampiezze di oscillazione dei singoli carat- teri presi in esame. Giunsi a questo risultato cercando di vedere, se alle Rote dif- ferenze di valore che l’Urtica membranacea sio per l’altezza, corrispondesse una analoga differenza per il numero dei nodi; se cioè l’altezza maggiore o minore dipendesse da un numero maggiore o minore di nodi, ovvero dal diverso accrescimento degli internodi di un numero di nodi variante entro limiti di oscillazione propor- zionali ai limiti di oscillazione dei valori ottenuti per l’altezza. Mi posi allora questa proporzione considerando i medi valori ricavati dalla media dei mille esemplari: Medio valore medio dell’altezza, sta al medio valore dell’am- piezza di oscillazione nell’altezza stessa, come il medio valore medio del numero dei nodi, sta ad «x. E cioè: 37,7:3298—=9,l:a pensando che se i due caratteri considerati fossero in proporzione, avrei dovuto ottenere come valore di x il valore dell’oscillazione riguardante il numero dei nodi, valore già ottenuto mediante l’os- servazione calcolando la media dei valori di oscillazione presentati dal numero dei nodi nelle singole centurie: ed infatti ottenni x —= 8,4 mentre il valore osservato è 8,6. Avuto questo primo risultato volli vedere, se anche i valori degli altri caratteri fossero legati da tale relazione di proporzionalità, ed allora raccolsi i medi valori massimi, i medi valori medi, i medi valori minimi, ed i valori medi delle ampiezze di oscillazione e formai la seguente tabella : Medi valori massimi medi minimi di oscillaz. Poe daligapai i DE SLI A Per il numero dei lidi pi 13,4 9,6 5,8 8,6 Pei il numero delle dentature . 23,4 16,5 9,7 14,7 Per il numero dei verticilli fo- chiari n , 104 74 4,5 6,6 Per il numero îo5 SETE Ho vali. - Lie E e e RO ON 3,9 5,7 ANNALI DI BoranICA — Vor. X. , 24 EROE DeTENT ® 3. IPI A L'A eat don bea ER Le e AI I e pù nAr5 riti ' Li et ei Ml — 366 — dove i valori massimi ed i valori minimi sono, rispettivamente, ottenuti dalla media dei valori massimi e minimi presentati dai relativi caratteri nelle dieci centurie. I valori medi sono ottenuti per media dai valori massimi e minimi in tal modo fissati, e con- cordano tanto sensibilmente, come si può confrontare, con i valori medi ottenuti dalla media delle 1000 osservazioni su ciascun ca- rattere, che si può dire esser detti valori massimi e minimi molto prossimi all’esattezza. Ora facendo i rapporti fra i medi valori massimi e gli altri medi valori ad essi corrispondenti, si ottengono, ‘rispettivamente, dei rapporti costanti Tab. VI. Donde risulta che i medi valori considerati sono tra loro legati da una legge di proporzionalità. I rapporti ottenuti non sono tutti esattissimi nelle cifre decimali, ma le devia- zioni che presentano sono molto piccole, osservandosi poche volte differenze maggiori di centesimi e non superando mai queste i de- cimi, facilmente spiegabili con gli inevitabili errori di computo, dovuti principalmente alla incertezza nel considerare o trascurare le parti della pianta appartenenti all’apice vegetativo, dove un nodo, un verticillo fogliare, un’infiorescenza nascente, può talora esser creduta sufficientemente sviluppata, talora no; ed anche con la non perfetta identità di sviluppo in cui si trovavano gl’indi- vidui esaminati, in cui la differenza di tempo, dall’inizio al ter- mine delle osservazioni, può, forse, aver dato luogo a piccole dif- ferenze tra i primi risultati e gli ultimi. Sta però il fatto che i medi valori trovati sono tra di loro in proporzione ed è questa una relazione che dimostra, come lo svi- _luppo delle singole parti della pianta sia regolato secondo un or- dine siabilito, in modo che ad una data altezza non può se non corrispondere quel dato numero di nodi, quel dato numero di foglie, quel dato numero di dentature nelle singole foglie e quel dato nu- mero di verticilli fiorali. Per controllare la perfetta corrispondenza che in tal modo viene stabilita fra lo sviluppo delle varie parti della pianta, ho fatto ricerca del coefficiente di correlazione col metodo del Pearson, ed ho ottenuto sempre l’unità, o valori molto approssimati all’unità, avendo quindi la constatazione della correlazione perfetta o quasi. Sn Mie AT TABELLA VI. IT Costante di proporzionalità fra i medi valori ottenuti dg dall'esame biometrico della Urtica membranacea Poir. A y : M medio valore massimo di tutti i caratteri considerati. : m= >» » medio idem = Pea » minimo idem i o Ma » media ampiezza di oscillazione idem. 4 M u di DE — 9,88 Bi 059 È Deng SE 0,66 $ 0 O) » F A ’ m (0) MIE te =0:62 01 mi 0 CARI ro] ST ZL0,87 : Ti UTIA “ SE (AD) -_ —=1,50 0 Hi NB. I rapporti dati costituiscono la media dei singoli rapporti fra i diversi valori, i quali però variano, quasi esclusivamente, nella seconda cifra decimale soltanto. i Constatata tale relazione proporzionale che intercede fra i di- versi valori medi dei diversi caratteri, cercai di riprodurre grafica- mente il fenomeno che tali valori rappresentano, ottenendo quindi di esso, una rappresentazione geometrica, che si potesse poi tra- durre in una corrispondente formola analitica di carattere generale. Si potrebbe pensare che i dati raccolti dalla osservazione di caratteri così disparati, non possono rappresentare l'andamento di un fenomeno; ma tale disparità è apparente, poichè ciascuno dei caratteri è intimamente dipendente dall’unico fenomeno dello svi- luppo della pianta, di cui le singole parti ne rappresentano lo svolgersi complessivo. Per la rappresentazione grafica di tale fenomeno, ho conside- rato, per semplicità e chiarezza, soltanto i medi valori massimi ed i medi valori minimi, essendo questi i valori da cui gli altri si possono facilmente ricavare. Allora, poichè ad un dato medio valore minimo non può cor- rispondere se non quel dato medio valore massimo che è consen- tito dalla relativa costante di proporzionalità (7= 2,33), sì può considerare il medio valore massimo come funzione del medio va- lore minimo, ritenendo questo come variabile indipendente. Preso quindi, nel piano, un sistema di coordinate cartesiane ortogonali, si riportino, partendo dal punto di origine O, i medi valori minimi sull’ asse dell’ascisse x, ed i medi valori massimi sull'asse delle ordinate y. (Vedi fig. 6). Si cerchino i punti individuati dalle singole coordinate così fis- sate; riunitili, si ottiene l’immagine geometrica della funzione. Figurando, nella rappresentazione del fenomeno, due variabili che acquistano valori direttamente proporzionali, tale immagine è data da una retta passante per l’origine degli assi coordinati. Ossia i punti individuati dalle coordinate date dai medi valori minimi e dai medi valori massimi si vengono a disporre, molto sensibilmente, lungo una retta passante per l’origine ed inclinata di un deter- minato angolo « sull’asse dell’ascisse x. — 369 - L'equazione di tale retta : y=axtg@ (1) individua perfettamente la specie Urtica membranacea Poir., quando sì diano ad x e ad y i valori corrispondenti. Il valore dell'angolo di in- clinazione sull’asse delle ascisse sarà per conseguenza specifico e proprio unicamente di questa specie. Il valore della tangente ad esso corrispondente, è dato dal rapporto a cui corrisponde un valore an- golare di 66° 46' 1”. 4% Se si volessero insieme con 1 medi valori massimi e minimi considerare anche i valori medi delle ampiezze di oscillazione, si potrebbero questi riportare sulle tre coordinate ortogonali dello spazio. Ed allora prendendo, co- me prima, sull’asse x i medi va- lori minimi, sull’ asse y i medi valori massimi, sì possono ripor- tare sull’asse Z i medi valori delle ampiezze di oscillazione. Anche in questo secondo mo- do di rappresentazione, non ve- nendo turbata la relazione di 34 Gi --------r- ' ' 117 Ah | TRE rai 0 I I der ' JT I Da I ' 36 SI 10 DE 22 i y - Medi valori massimi Y=X tag 4 dG= 150 ita ATTILIO Fig. 6. proporzionalità fra i valori delle rispettive coordinate, la retta in- (1) L’equazione data, si ottiene, come è noto, nel seguente modo (vedi fig. 7 a pag. 371). Sia OL laretta data che sia riferita alle coordinate ortogonali del piano x y, e passi per l’origine 0. Preso un punto qualunque / di questa retta, si abbassi PA normale al- l’asse x. Sarà essa (Ph_-0Q) la coordinata del punto P presa sull’ asse y. Poichè abbassando da un altro punto qualunque ?’, la normale P' N’, si otten- — 370 — ; dividuata dai punti ottenuti, passerà per l’origine e rappresenterà la diagonale comune dei parallelepipedi costruiti sui valori delle tre coordinate di ciascuno dei punti. (vedi fig. 7) La equazione -di tale retta, in forma analoga alla precedente, sarà : Z=tagaVa + in cui « è l’inclinazione della retta ottenuta O L', con la retta in- tersezione dei due piani (Z OL’) (a y). (1). Con questa seconda rappresentazione si ha la retta individuante la Urtica membranacea anche in relazione con i medi valori as- sunti dalle ampiezze di oscillazione dei diversi caratteri; ma poichè tali valori sono dipendenti dai medi valori massimi e minimi, si Pie Onora rapporto dell’ordinata all’ascissa di un punto qualunque; sicchè chiamato a questo rapporto si avrà: a —tg x in cui x è l’angolo formatodalla retta 0 L con l’asse x. E quindi avremo: gono due triangoli simili, si avrà : a. E dunque costante il ? ; 7 tga ossia Y=%x tg a che è l'equazione rappresentante la retta passante per l’origine (Vedi fig. 6). (1) Sia OL' la retta data che sia riferita alle tre coordinate ortogonali 0x,0y,0ze passi per l’origine O. (v. fig. 7 a pag. 371) Preso un punto qualunque P di questa retta, si abbassi la Pf normale al piano delle due coordinate 0 x 0 y. Sarà essa (Ph — 0g) la coordinata del punto P presa sull’asse Z. Se pel punto A si conduce dall’origine O la O L, questa rappresenterà la sezione dei due piani ZOL',x0y. Poichè, abbassando da un altro punto qualunque P' la normale P'h' al piano delle due coordinate 0x 0y si ottengono due triangoli simili, ? DI si ha = = i —a, costante ed èa — tag x in cui l’angolo x è l’angolo L' O L. Perciò si ha: Z—= OA tag. a. D'altra parte, conducendo dal punto % le fm, Rn relativamente normali agli assi x, y, si trova: Onde, sostituendo, avremo: Z=tagaVa4y? che è l’equazione della retta passante per l’origine. Il doppio valore di Z che ne risulta indica, come è noto, un secondo punto della retta indefinita situato dalla parte opposta al piano Z 0 y. (Vedi fig. 7). Fig. 7 (1). (1) Per non rendere troppo cemplicata la figura ho trovato soltanto i punti aventi per eoor- dinate i dati dell’altezza e del numero dei nodi. DNA — 3792 — possono anche tralasciare nella rappresentazione geometrica del fe- nomeno, ottenendo così maggior chiarezza e semplicità (1). Fig. 8. (1) Come pure, a solo titolo di curiosità, accenno ad un altro metodo, pu- ramente grafico, di rappresentazione, in cui con poche linee sono messi in evi- denza tutti i diversi medi valori riguardanti la Urtica membranacea . Su una retta orizzontale, riporto, partendo da un punto di origine 0 il medio valore dell’ampiezza di oscillazione presentato da ciascuno dei caratteri esa- minati; e dai punti così ottenuti innalzo tante perpendicolari, riportando su queste i medi valori massimi, medi e minimi dei caratteri corrispondenti alle relative ampiezze medie di oscillazione. Unendo poi i diversi punti così otte- nuti, rispettivamente tra di loro, ottengo le tre rette corrispondenti relativa- mente ai valori massimi, medi e minimi. La rappresentazione grafica, che si ottiene in questo modo, è completata ne' suoi dettagli dai poligoni costruiti sui valori complessivi dei diversi ca- ratteri, così, come la proiezione orizzontale di una data regione è resa più chiara dal relativo rilievo che mette in evidenza ciò che nella proiezione oriz- zontale non può esser messo (Vedi fig. 8). ì: La limitazione dello studio ad una sola specie, non permette di_ fare innanzi tempo delle affermazioni, ma qualche ipotesi si può porre; molto più che se è logico ammettere che una pianta con fusto più alto o più basso abbia, in rapporto col suo maggiore 0 minor sviluppo in altezza, uno sviluppo correlativo delle altre parti, è anche logico e più consono al perfetto ordine che ovunque regna nella natura, ammettere che questo maggiore o minor sviluppo delle altre parti non sia disordinato, ma regolato, e nulla vi è di più semplice che tale ordine sia dato dallo sviluppo proporzionale delle singole parti della pianta. Ma tale concetto ha la sua con- ferma in una semplice osservazione : Avendo infatti constatato, per le misure fatte, che il numero medio del nodi nella Urtica membranacea, giunta allo sviluppo in cui fu esaminata, è 10 e che l'altezza media di ciascuno degli in- ternodi è di centimetri 4, l'altezza media di una pianta, sempre in quel dato periodo di sviluppo, è espressa dal valore 10 x 4. Sic- come poi ad ogni nodo sì trova un verticillo di due foglie, il numero totale medio delle foglie della pianta sarà 10 Xx 2, ed il prodotto |(2 Xx 2) x 17]. 10 esprimerà il numero totale medio delle loro dentature; mentre il valore 10 X 4 rappresenta il numero to- tale medio delle infiorescenze che si trovano sulla pianta e 10. (4 X n) il possibile numero medio dei fiori. Ecco quindi che i valori dei singoli caratteri risultano multipli dello stesso numero, che è il nu- mero dei nodi. Ma il numero dei nodi non è fisso; esso varia fra un limite mi- nimo ed un massimo consentiti dallo sviluppo caratteristico della specie; ebbene, come chiaramente si vede, entro i medesimi limiti varieranno anche i valori degli altri caratteri, nè, per tali varia- zioni, cesseranno di esistere fra i nodi e le altre parti della pianta le relazioni sopra indicate di multiplicità. Ridotte poi al minimo, mediante la media ottenuta da 1000 esemplari, tali differenze di variazione, è più che naturale che i rapporti di proporzionalità fra i medi valori delle varie parti della pianta siano risultati evidenti per se stessi. Si giunge in tal modo alla costituzione di una pianta ideale, teorica, che abbia come caratteri la media dei valori dei singoli caratteri, e che si può considerare come il centro dell’ampiezza di variazione che la specie, a cui detta pianta appartiene, può subire. — 374 — Per la Urtica membranacea, taie pianta teorica (1) avrebbe i se- guenti dati: Altezza media (osservata) 4 X 10; Numero medio dei nodi (osservato) 10; Numero medio delle foglie 2 Xx 10; Numero medio delle dentature per un solo lato delle foglie @X 17) X 10; Numero medio delle infiorescenze 4 X 10. Ove facendo 10 uguale ad 1, assumendo il numero dei nodi come unità di misura, si hanno i seguenti rapporti: 13 CREA Tali rapporti sono espressi da numeri, che appartengono alla serie di Fibonacci (1-2-34) o che sono loro multipli (4 = 2.2). Ed i medesimi rapporti mostrano una certa analogia con irap- porti parametrici dei cristalli nei minerali. Poichè, in un dato cri- stallo, si verifica la legge dei rapporti parametrici, se questo si con- sidera, come risultante di un aggregato di particelle solide di eguale grandezza ed isorientate, che servono come unità di misura in cia- scuna delle direzioni assiali che si considerano. Ora la pianta, nella sua parte aerea, si può considerare come un aggregato di internodi, il cui numero si può assumere come unità di misura, ed è evidente che le altre parti della pianta, essendo a questa, intimamente collegate, non potranno variare se non dipen- dentemente da questa, mantenendo quindi i loro limiti di variazione del numero dei nodi stessi e quindi in rapporto fra di loro (2). Dietro tali considerazioni, la retta rappresentante una data specie, sì puo anche più semplicemente ottenere, unendo il punto di origine degli assi coordinati ortogonali col punto individuato delle due coordinate date dal medio valore massimo (y) e dal medio valore minimo (x), calcolati, questi, soltanto sul numero dei nodi, essendo 1 rispettivi valori delle altre parti multipli di questi. Pertanto, se compiendo su altre specie osservazioni in modo ana- logo a quanto fu fatto per la Urtica membranacea, sì giungesse a risultati analoghi, si giungesse cioè ad ottenere la conferma della re- lazione di proporzionalità rivelatasi nello studio delle varie parti della pianta, si potrebbe in base a ciò porre come legge, che: (1) E tale pianta teorica che è esattamente rappresentata dalla retta già trovata. (2) Vedi tabella VII. — Hb In una pianta le varie parti si sviluppano entro limiti stabiliti, i cui valori sono tra loro proporzionali. Data allora questa proporzionalità fra i diversi valori riguardanti i diversi caratteri di una pianta, tutte le specie sì potranno rap- presentare graficamente, in modo analogo a quanto fu fatto per la Urtica membranacea, servendosi delle coordinate cartesiane orta- gonali del piano. Si avrà allora che tutte le varie specie saranno rappresentate da rette passanti per l’originee costituenti un fascio di rette, la cui equa- zione generale sarà appunto quella già indicata, ossia y=axtag« Le rette differiranno tra loro per la diversa inclinazione che avranno sull’asse x, ed allora il valore angolare « o il valore della relativa tangente dato dal rapporto 4 costituirà la caratteristica di ciascuna specie. ui ri tel srl ia rina et e at TE tele i gl è Îta. isti bei fat è se x ; $ i a È si TABELLA VII Tabella di relazione fra i medi valori dei diversi caratteri ed i corrispondenti medi valori nel numero dei Nodi. i. Rapporto fra i medi valori massimi dei diversi caratteri ed il medio va- lore massimo del numero dei nodi. 53,7 : 18,4 = 4,00 23,4 :13,4 = 1,74 18,4:13,4=1 10,4: 13,4 = 0,77 8,7:13,4 — 0,64 3. Rapporto fra i medi valori minimi dei diversi caratteri ed il medio va- lore minimo del numero dei nodi. 21,9:5,8 — 3,60 9,7 : 5,8 = 1,67 b;seb 0 Il 4,5.:5,8 = 0,77 3,8:5,8 — 0,65 2. Rapporto fra i medi valori medi dei diversi caratteri ed il medio valore medio del numero dei nodi. 37,7:9,6 — 3,93 16,5:9,6 1,71 9,6:96-1 7,4:9,6=0,77 6,3:9,6 — 0,65 4. Rapporto fra i medi valori di am- piezza di oscillazione ed il corrispon- dente medio valore del numero dei nodi. 32,8 :8,6 —=3,81 14,7:8,6 = 1,70 8,680 = 1 6,6: 8,6 — 0,76 5,7:8,6 — 0,66 Dalla presente tabella si ricava che, essendo costante il rapporto dei di- versi medi valori col corrispondente medio valore del numero dei nodi, anche tra i primi esiste uguaglianza di. rapporto e quindi proporzione. Infatti avendo che: May: Mn =Ma:Mn si ha anche: Ma:Ma=Mn:Mn come si era precedentemente ottenuto con l’osservazione diretta sui singoli medi valori. — 377 —. Se poi tali costanti di proporzionalità, sì trovassero veramente differenti per ciascuna specie, si potrebbe forse avere una limitazione del concetto di specie ed un controllo ad esso, non più individuale, ma oggettivo, matematico. Se poi, unendo insieme i dati ricavati dalle osservazioni biometriche di due specie affini, si vedesse tur- bata questa relazione di proporzionalità fra i valori medi dei diversi caratteri, se ne potrebbero dedurre conseguenze di non poca uti- lità riguardanti specialmente il valore da annettere alle variazioni più o meno profonde che si presentano, e se si debbano queste con- siderare come specie o no. Vi sarebbe inoltre qualche cosa di più semplice, che non il la- borioso metodo fino ad ora usato, per stabilire la correlazione fra le diverse parti di una pianta; ed infine una legge ordinativa ge- nerale, che nel concetto si ricollega a quella che regola lo sviluppo dei cristalli nel regno minerale, verrebbe a dimostrare la perfetta armonia dello sviluppo di tutti e singoli gli organi di una pianta. Roma, luglio 1912. _ BIBLIOGRAFIA. 1. GRENIER et Gopron. — lore de France. Vol. III p. 107, Paris 1855. 2. G. Rouv. — Flore de France, T. XII, p. 273-4, Paris 1910’ 3. H. Coste. — Flore descriptive et illustrée de la France, ecc. T.III, pa- gina 218, Paris, 1906. 4. H. ArpOINO. — Flore analityque du departement des Alpes Maritimes, pa- gina 399, Menton, 1867. 5. WiLKkomm et I. LANGE. -- Prodromus Florae Hispanicae ecc. Vol. I, pa- gina 251, Stuttgartiae, 1870, 6. C. F. Nyvmann. — Conspectus Florae Europeae, seu ecc., p. 657, Orebro Sueciae, 1878-82. 7. P. AscneRrsoN u. P. GRAEBNER. — Synopsis der Mitteleuropdischenflora. Vierter Band, pag. 614, Leipzig, 1911. 8. I. Gussone. — F/orae Siculae Synopsis ecc. Vol, II, par. II, p. 579, Nea- poli, 1844. 9. F. PARLATORE. — Flora Italiana. Vol. IV, p. 318, Firenze, 1867. 10. A. BERTOLONI. — Flora italica. Vol. X, p. 173, Bologna 1854. 11. I. H. Moris. — Flora Sardoa. Vol. III. p. 497, Torino, 1858-59. 12. G. ARCANGELI. — Compendio della Flora Italiana. Ediz. II, p. 184, To- rino, 1894. 13. V. Cesari, G. PASSERINI, G. GIBELLI. — Compendio della Flora Italiana. Vol. II p. 230. 14. A. FroRrI e G. PAOLETTI. — Flora analitica d’Italia. 15. De HELGUERO. — Interpretazione fillotassica dei poligoni fitostatistici. Cor= tribuz. Biolog. veget. IV, p. 167, Palermo 1909. 16. IpeM. — Variazione del numero dei fiori ligulati della Bellis perennis. Bull]. Orto bot. Napoli, II, p. 133, Napoli, 1904. : $ è F — 378 — 17. CALDARERA. — Coefficiente di correlazione fra stami e petali nello Styrax of- ficin. Contrib. Biol. veg.ITI, p. 375, Palermo, 1905. 18. TropEA. — Variazione della Bellis perennis în rapporto alle sue condizioni di esistenza. Malpighia, XXI, p. 276, Genova, 1907. 19. IpeM. — Maniera di semplificare la costruzione dei poligoni empirici di fre- quenza. Contrib. Biolog. Veg. IV, p. 193, Palermo, 1909. 20, TRAVERSO G. B. — Note di Biometrica. Nuovo Giorn, Bot. It., Vol. XIX, 1912, p. 29. 21. VoGLER. — Probleme und Resultate Variationsstatisticher Untersuchungen an Bliiten und Bliitenstinden. Iahrb. 1910 der St. Gallischen Naturviss. Gesellsch., St. Gallen, 1911. 22. Biometrika Annate 1903-1911. 23. PERRINAZ. — Etude biologique et biométrique sur Narcissus angustifolius, Curtis. Bull. Soc. Vaud. Sc. Nat. (5), XLIV, n. 164, 1908, p. 311-319. 24. GAIN. — Etude biométriche sur un hybride de primavère. Primula flagelli= caulis. C. R. Ass. Franc. Avane. Sc. 1907-908, Paris: XXXVI, p. 2383-34; 490. 25. CANNARELLA. — Ricerche intorno ai limiti di variabilità dell’'Arisarum vul= gare. N. G. Bot. It., XII; 1905, p. 328-47. NES NANASANAFAIRIAGINIRA AS SANSINAFSIAN TATO IRR LOTSASNINTFTÀ Aleune anomalie dell’ « Anemone nemorosa » L. Nota del dott. FABRIZIO CORTESI Fra numerosi esemplari di Anemone nemorosa L. da me raccolti a monte Terminillo, nei boschi della località detta Pian de’ Valli fra 1500-1700 m. di altezza sul mare, ho osservato alcuni individui che manifestamente deviano dal tipo normale, per ciò che riguarda od il numero o l’aspetto o la disposizione delle foglie dell’involucro che sì trova sullo scapo fiorale. Di queste anomalie due sono già da tempo conosciute e descritte, ma altre due, anche per indica- zioni gentilmente favoritemi dal mio collega E. Migliorato — che qui vivamente ringrazio — sembra che, sino ad ora, non siano state descritte: quindi credo non privo d’interesse di darne notizia, ac- cennando brevemente anche a quelle già note. de RIDUZIONE NEL NUMERO DELLE FOGLIE DELL'INVOLUCRO. Un individuo di A. nemorosa L. presenta l'involucro costituito da due foglie, invece che da tre, come si osserva normalmente. Non vi è traccia di rudimento della terza foglia nè pure della sua sal- datura con una delle rimanenti, perchè le due foglie sviluppate sono perfettaraente normali. Questo caso del resto è già stato se- gnalato (1) per la medesima specie. EE, SEPALODIA D'UNA FOGLIA DELL'INVOLUCRO. In un altro individuo di A. nemorosa L. ho osservato al posto di una delle foglie dell'involucro un filloma perfettamente simile per aspetto, per colore, per dimensioni, per disposizione delle ner- vature ai sepali del fiore della stessa specie. (1) PenzIG O. — Pflanzenteratologie. I, pag. 176. La disposizione nettamente verticillata delle due foglie invo- lucrali normali e di quella così trasformata, esclude che possa trat- tarsi dello spostamento di uno dei sepali del fiore : è indubbiamente un caso di vera e propria sepalodia, che non è infrequente negli anemoni, nei quali tale trasformazione si presenta non solo in una delle foglie involucranti, ma si estende talora anche a tutti i tre pezzi dell'involucro stesso. Così il Penzig (1) dopo aver indicato tale fenomeno come frequente per l'A. nemorosa, lo registra anche per altre specie come: Pulsatilla patens Mill. = Anemone patens L. » vernalis. Mill. — » vernalis L. » alpina Lois = » alpina L. » aptifolia Rchb. — » aptifolia Scop. Anemone baldensis L. » coronaria L. » hortensis L. » Pavoniana Boiss. e molto probabilmente sarà stato osservato da autori posteriori, anche in specie che non sono registrate nell’opera del Penzig. Nel saggio da me studiato vi è anche da osservare che il pe- duncolo fiorale, alla sua base, presso il verticillo delle foglie invo- lucranti, si presenta fortemente ripiegato in basso, formando una piccola protuberanza, che con tutta probabilità è dovuta ad un in- ginocchiamento della base del peduncolo: questo deve essersi ma- nifestato in seguito a variazione delle condizioni meccaniche di sviluppo e di accrescimento, in rapporto con la sepalodia manife- statasi in una delle foglie dell’involucro. IRR POLIFILLIA DELL'INVOLUCRO E SVILUPPO DI GEMME ASCELLARI. Di questa anomalia ho riscontrato due saggi differenti, che de- scrivo appunto separatamente. A. Un individuo di Anemone nemorosa L. presenta l'involucro costi. tuito da cinque foglie invece che da tre, come avviene normal- mente: queste cinque foglie involucranti sono normali nel loro (1) Loco citato. — 381 — aspetto, differiscono solo fra loro nelle dimensioni specialmente nella lunghezza del picciuolo. In mezzo a tale verticillo sorge il | peduncolo fiorale: ma — e questo è molto interessante — si os- serva all’ascella di una'delle cinque foglie dell’involucro, una fo- glia del tutto simile ad esse, però notevolmente più piccola, perchè più giovine delle altre. Bi In un altro individuo di A. nemorosa L. l’involuero è anche co- stituito da un verticillo di cinque foglie di aspetto normale. In mezzo a questo verticillo dell’ involucro sorge il fiore: ma presso al peduncolo fiorale e precisamente all’ascella di una delle foglie involucranti sono sviluppate altre tre foglie un poco più pic- cole, ma del tutto simili alle altre. Dal loro modo di inserzione queste foglie appariscono verticillate, quindi mi sembra logico di affermare che all’ascella di una delle foglie, che costituiscono il ver- ticillo pentamero dell’ involucro, si è sviluppato un verticillo tri- mero di foglie involucranti, che forse avrebbe potuto portare anche un fiore suo proprio. Nel Penzig (1) non ho trovato segnalato per questa o per altre specie di Anemone — comprendendovi anche i gen. Pulsatilla ed Hepatica — nè la pentameria dell'involucro, nè lo sviluppo di una o più foglie all’ascella di una delle foglie involucrali. I casi osser- vati nell’A. nemorosa dal Suringar (2), dall’Osswald (83) e dal Klinge (4) e citati dal Penzig, si riferiscono alla presenza su di un medesimo scapo di due o tre verticilli trimeri evidentemente con- centrici ed inseriti — almeno in uno di essi — ad altezza diffe- rente, tanto che il superiore è assai ravvicinato ai sepali, come normalmente avviene nell’A. Repatica L. e tali casi sono quindi pro- fondamente differenti da quelli che io ho qui brevemente descritto. R. Istituto Botanico di Roma. Luglio 1912. (1) Op. cit., I, pag. 172. (2) Kon. Akad van Wetenschapen, 2 Reihe, Bd. VII. Amsterdam 1873, pag. 181-151. (3) L. Rabenhorst's Botan. Centralblatt, 1846, pag. 482. (4) Sitzungber. der Naturforsch. Ges. der Universitit Dorpat. VI, 1, 1881, pag. 184. ANNALI DI BoranICA — Vor. X. 25 = bf Plantae novae vel minus notae e regione aethiopica del dott. EMILIO CHIOVENDA. (Continuazione: V. Volume IX (1911) pag. 315). 109. Melhania Fiorii Chiov. Frutex ramis vetustis cortice nigrescente praeditis, longitudi- naliter minute reticulato-rugoso, junioribus tomentoso-albidis pilis fasciculatis longiusculis subsetosis. Folia petiolis albo-tomentosis, 3-4 cem. longis; stipulae lineares angustissimae, 10-13 mm. longae, basi 1,5-2 mm. latae, attenuato subulatae; laminae ovatae vel ovato- oblongae, plerumque apièe rotundatae, vel acutae, vel subemargi- natae, sed extremitate cuspidulata; basi laeviter cordatae, 3,5-9 cm. longae 2-5 cm. latae; nervis basilaribus tribus, medium cum 2-3 nervis utrinque secundariis, nervi omnes ut venae subtus eximie prominentes et supra plani; superficies inferior griseo-pubescens, viridis et velutina superne pilis fasciculato-stellatis, in foliis junio- ribus fere tomentosis densioribus. Inflorescentiae subcorymbosae, laxae, pedunculo circ. 4 cm. longo, 1 mm. crasso, cylindrico vel lae- viter angulato, albo-tomentoso. Bracteae involucrales tres cordato- reniformes, apice apiculatae, sub anthesi in medio dorso albido-to- mentosae et 10-12 mm. longae, 15-18 mm. latae; in fructu eximie accrescentes, 20-25 mm. longae, 23-50 mm. latae, herbaceae, velu- tino-pubescentes, virides, minute reticulatae. Calyx sepalis lanceo- lato-acuminatis, basi ovatis 3-5 mm. latis, 10 mm. longis, acutis. Co- rolla circ. 10 mm. longa, lobis rotundatis, extus striata. Ovarium 5-loculare, loculis 4 ovulis biseriatis praeditis. Capsula matura ignota. Proxima M. grandibracteatae K. Schum. et M. Phillipsiae Bak. Eritrea: Habab a Magber 16. IV 1909 (Pappi n. 8119); a Kub-Kub 13. IV. 1909 (Pappi n. 8022); a Grammé 15. IV 1909 (Pappi n. 7955). > pdia CAO ESA E, an ara agi ria STEN NEI, 2 E sl mn Sena sn 188022 110. Brucea Erythraeae Chiov. Arbusculum ramis, petiolis, foliis junioribus, inflorescentiis, un- dique tomento flavido vel in sicco ferrugineo obtectis. Folia impari- pinnata, plerumque 6-juga, foliolis ovato-lanceolatis, lateralibus basi inaequilateris, terminale aequale, marginibus integerrimis vel vix laevissime sinuatis, nervis subtus parum prominulis, supra parum impressis, inferioribus saepe appositis 7-9 in quoque latere, 3-7 cm. longa, 18-30 mm. lata petiolulis 1-2 mm. longis praedita. Inflorescentiae masculae 20-28 em. longae, rhachide crassa inferne 1,5-2 mm. diam. spiciformes, floribus arcte glomerulatis, glomerulis subglobosis, ad apicem fere confluentibus, inferne discretis, infimis usque ad 2 cm. dissitis, flores omnino steriles, sepalis 4 intus atro- purpureis, glabris, extus dense flavido-pilosis, apice obtusis; fila- menta glabra 0,7 mm. longa, subcylindrica; antherae ellipticae ob- tusae; pollen granulis in sicco ellipticis, hydrato chloralii madefactis sphaericis, sulcis tribus bene sensibilibus et cum exina minutissime et aegre sensu striolata. Inflorescentiae foemineae 4-10 cm. longae, rhachide sat gracili et ad maturitatem 1,2-1,5 mm. crassa; flores glomerati, glomerulis discretis sat pauperis. Perianthium ut in flo- ribus masculis; carpella 4 glaberrima, atropurpurea lateraliter com- pressa, apice stygmate sessili, brevissimo, subcapitato, depresso. non vel vix decurrente, terminata. Fructus maturi, suboblique ovati 11- 11,5 mm. longi, 6,5-7 mm. lati, basi in carpophorum 0,5-1 mm. lon- gum cuneatim contracti, apice attenuati, obtusiusculi, lateraliter compressiusculi, 5-5,5 mm. spissi; cum endocarpio marginibus in ca- rinis obtusiusculis vel acutiusculis bene prominentibus et faciebus in sicco venis anastomosantibus eximie prominentibus reticulato-al- veolatis praedito. Habitus est omnino 5. antidysentericae sed ab illa facillime di- stinguitur floribus masculis semper sessilibus, in glomerulis majo- ribus, spicas valde majores et robustiores formantibus; pollinis exina sublaevi vix minutissime striolata; floribus foemineis stigma- tibus depresso-capitatis; fructibus cum endocarpio magis compresso, suturis ventrale et dorsale evidenter carinatis et faciebus nervis evi- denter cras sioribus et prominentioribus praeditis. In B. antidysen- terica typica flores masculos habent pedicellos 1-2 mm. longos in glomerulis minoribus spicas breviores formantibus, cum rhachidibus gracilioribus; carpella habent stigmata linearia, linguiformia, in an- gulis dorsalibus carpelli strata; fructus praediti sunt endocarpio minus compresso, cum suturis, dorsali praecipue, omnino rotundatis et- faciebus cum venis minus prominentibus. — 385 — Characteribus istis externis, promptiores adjiciuntur caracteres anatomici constantissimi. Canales resiniferi perimidullares semper praesentes in B. antidysenterica typica, B. sumatrana et B. pani- culata secundum Cll. Jadin et De Pergola, omnino desunt in nostra specie, in qua etiam alias notas anatomicas C1. De Pergola invenit: in parte cribrosa fibrae desunt omnino vel raro adsunt solitariae; in ligno radia medullaria elementis amplis moniliformibus, minus frequentia quam in typo sunt constituta; vasa sunt numerosi ora in toto ligno; endocarpium lignosum cellulas petrosas habet ra- mosiores. | Eritrea: Amasen ad At Zien m. 2500 circa 19. V: (Pappi n. 5279); Amba Dehrò 15. XII 1902 (Tellini n. 497); lungo l’An- seba ad Arbascico m. 1820 17. II 1909 (Fiori n. 197 e 197 bis); a Uo- chì m. 2570 1. IV. 1909 (Fiori n. 198). Questa nuova specie notevolissima specialmente per l’assenza dei canali resiniferi perimidollari non è ancora stata raccolta fuori dell’Eritrea, in cui per altro cresce anche la vera B. antidysenteri ca della quale ho potuto vedere certi esemplari femminei dell’Ha- masen tra Asmara e Az-Taclesan S. V. 1892 (Terracciano e Pappi ne 1900). 111. Heliehrysum (P0/ylepidea) arussense Chiov. Basi fruticulosum 20-40 cm. elatum, ramis herbaceis erectis 15-20 cm. longis, cinereo-vel canescenti-lanatis, ramis vetustis brun- neis. Folia inferiora lanceolato-subspathulata, apice acuta, basi con- tracta, rotundata, semiamplexicaulia, 2-4 cm. longa, 6-7,5 mm. lata; superiora linearia vel lineari-lanceolata, 3-5 cm. longa, apice acuta, plana vel longitudinaliter plicata, 4-5 mm. lata, subenervia, concolo- ria. Rami apice longiuscule denudati, foliis supremis diminutis et discretis. Capitula mediocria circiter 20 in corymbo terminali sub- globoso, densiusculo 20-25 mm. diam. disposita ; pedicelli 1-3 mm. longi lanati; involucram campanulatum, basi rotundatum, 6 mm. longum, post anthesin 5-6 mm. latum; squamae 4-5 seriatae, im- bricatae, ovato-lanceolatae, acutae, sensim ab exterioribus ad interiores accrescentes, aliquantum dorso convexae, marginibus in- tegris vel ope compressionis fissis, intimae semper erectae, exteriores pallide fuscae, interiores niveae vel ante anthesim pallide hine inde roseae: receptaculum nudum, alveolatum, Flosculi heterogami 8-15 in 1-2 seriebus exterioribus foeminei, filiformes; caeteri om- nes 30-50 hermaphroditi tubulosi. Achenia papillosa: pappi setae li- berae, apice non vel vix incrassatae. — 386 — Galla Arussi: collinettadi Dacadenè nella pianura del fiume Suksuki a SW del lago Zuai m. 1600 c. 23. VI 1909 (G. Negri n. 866 esemplari con capolini avanzati di sviluppo); monte Borà tra il lago Zuai e illago Arraroba nel piano dell’antico cratere nei pa- scoli 4. VII 1909 (G. Negri n. 1064 con capolini giovani). 112. Senecio (Cinerariiphylli Muschl.) Caranianus Chiov. Herba erecta caulibus angulatis, inferne induratis c. 75 cm. et magis elatis, simplicibus vel ramosis; caules et rami glabri. Folia caulinaria omnia lyrata, anthesi in medio caule plus minusve con- gesta; petiolus 1-2 cm. longus, basi auriculis parvis 3-5 mm. longis, in foliis infimis deficientibus, subtus costato angulatus, supra ca- naliculatus; laciniae laterales parvae paucae 1-3, rhomboideae, grosse dentatae, 7-15 mm. longae, 5-12 mm. latae; terminalis ma- xima, subreniformis, profunde (ad medium limbi) 5 lobata, lobis grosse angulato-dentatis, nervis subpalmatis, 5-6 cm. longa, 5-7 cm. lata; laminae subtus laxissime griseo-lanatae, suprae tenuissime flocculosa, virides. Inflorescentia e 2-4 ramis confecta, corymbis he- misphaericis, densiusculis: pedunculi glabri arcuato-adscendentes ; pedicelli 2-6 mm. lorgi vix pilosuli, sed in insertione flocculo niveo praediti; bracteae lineares 5-10 mm. longae 1-2 mm latae; brac- teolae in pedicellis crebrae lineares, patulae 2-3 mm. longae, angu- stissimae acutae, concolores. Involucrum anguste campanulatum, bracteolis c. 6 glaberrimis, subconcoloribus, 4,5-5,5 mm. longis, 1- 1,2 mm. latis, apice acutis, extus curvulis, in sicco flavescentibus, dorso tenuissime nervolusis. Flosculi homogami c. 12 flavi; corolla 6 mm. longa angusta glaberrima, apice lobis lanceolatis obtusis; styli rami elongati, apice truncati, penicillati. Achenia omnino im- matura 1 mm. longa, apice annulo crasso pallido praedita, undique hirtula; setae pappi corollae aequilongae, niveae, tenuissimae, fra- gillimae. Galla Arussi: luoghi sterili presso la sponda occidentale del lago Zuai m. 1550 22. VI 1909 (G. Negri n. 812); scoscendi- mento tufaceo arido poco lungi dalla sponda occidentale del lago Zuai m. 1550 22. VI. 1909 (G. Negri n. 1420). Dedicata all'ottimo amico prof. Enrico Carano. 113. Berkeya (Euderkeya) Chiesiana Chiov. Rhizoma lignosum crassum, apice multicipite. Caules simplices vel ad medium 1-3 ramis suffultus, tenue angulatus, undique, in- = Sg ferne exceptum, canescenti-lanatus,inferne pilis tenioideis decoloratis crispulis superne deficientibus vel raris hirtulus. Folia ovato-lan- ceolata, inferiora latiora 6-10 cm. longa, 1,5-3 cm. lata, superiora an- gustiora 4-5 cm. longa, 5-8 mm. lata, integra, basi rotundato-atte- nuata, subtus albido-tomentosa, subnivea, vel juniora, nivea superne intense viridia, undique strigis flavescentibus antrorsis 1-1,5 mm. longis, crassiusculis non dense sed regulariter praedita, marginibus strigoso-setosis, strigis antice versis inter caeteros quibusdam cras- sioribus, falcatis, ad basim folii longioribus, usque ad 1 cm., sed mollibus non acerosis; costa subtus eximie prominens; nervi secun- darii tantum sensibilibus. Caulis superne longe nudus, niveo-lanatus, foliis valde discretis 1-3, linearibus angustis, setoso-ciliatis. Capi- tula apice solitaria, pulcherrima, flosculis et ligulis omnibus aureis, ad 5 cm. diametri lata. Involucrum bracteis 2-3 seriatis, lineari- lanceolatis, acutissimis, subacerosis, basi in 1/8 infimo connatis, mar- ginibus fimbriato-setiferis, setis rigidis longiusculis, antice ver- sis flavescentibus; pars libera bractearum 15-18 mm. longa, basi 1,5 mm. lata. Ligulae 15-18 mm. longae, 2-3 mm. latae, tubo fili- formi 10 mm. longo, omnino glaberrimae apice minute, raro pro- funde tridentatae, basi sensim attenuatae; stylum O. Discum hemis- phaericum 20-25 mm. diametri: flosculi 8 mm. longi, tubo angusto 4 mm. longo, abrupte in limbo subcampanulato, profundissime in 5, lobis linearibus, obtusiusculis 3 mm. longis 0,5-0,6 mm. latis di- viso ; stamina filamentis glaberrimis; styli rami longiusculi apice subtruncati. Achenium omnino immaturum obpyramidatum, 1,3 mm. longum, dense sericeum; pappus 3-4 mm. longus, biseriatus e squamis lineari-cuneatis, flabellato-laciniatis, laciniis linearibus an- gustis acutissimis constans. Proxima B. seminivea Harv. et B. nivea N. E. Brown. Scioa: pendii aridi del colle di Uata Daleccià presso l’Oletta a 2650 m. 25. V. 1909 (G. Negri n. 583). 114. Carduus eremocephalus Chiov. Rhizoma praemorsum brevissimum: fibrae radicales carnosulae longissimae, cylindricae, simplices vel hinc inde fibrillis brevibus capillaribus, 2-4mm. crassae. Rosula foliorum sessilis, foltis plurimis parvis oblongis, basi breviter et late petiolatis, nisi sessilia, prae- cipue infima; ambitus sinuato-lobulatus, lobis minutis, spinis ace- rosìs subpaltitia 10 mm. c. longis terminatis, dentatis vel denticu- latis et dentibus omnibus spinulis brevioribus praeditis et fere seto- TT RETE TE e DIO ET, RI EI: tIRAN I RIST (RINIORENETI — 388 — so-ciliatis cum. petiolis ad summum 5 cm. longis, 9-12 mm. latis, coriaceis, rigidis utrinque glaberrimis et laete viridibus. Capitulum in centro rosulae sessilis, semper solitarium, erectum. Involucrum campanulatum, squamis subquadriseriatis, linearibus, seriei intimae erectis, acuminatis, subacerosis, externis omnibus eximie falcatis apice longe attenuatis et mucrone spinescente albido terminatis, basi subdilatatis, marginibus ciliato-spinulosis vel omnino integris. Corollae glaberrimae paruminvolucrum superantes.Stamina longe exserta, filamentis papilloso-hirtis. Achenia compressa, submatura ad 5 mm. longa, ab apice 2 mm. lata, sensim cuneata, glaberrima et laevia: pappus brunneus, basi in annulo caduco coneretus 20-23 mm. longus, setae laeves. Proximus C. chamaecephalo et C. Schimperi. qui differunt capi- tulis in rosulis plus minusve acervatis, involucris obconicis, squamis ovato-lanceolatis breviter mucronatis omnino adpressis ; foliis supra hirtulis et subtus lanuginosis majoribus, sinuatopinnatis, omnibus pediolatis. Scioa: Ciafedonza pascoli freschi lungo il ruscello m. 2250 13. IV. 1909 (G. Negri n. 51); collina di Entotto nel vallone del grande Cabanna, in luoghi erbosi umidi presso la cascata m. 2700 c. 14. V. 1909 (G. Negri n. 309). 115. Lobelia (Holopogon) seioénsis Chiov. Rhizoma lignosum nigrescens. Caules caespitosi inferne lignosi et plus minusve suberosi ad 5 mm. crassi. Ramuli herbacei copio- sissimi, elongati, striati-angulati, glabri: planta ad 60 cm. et magis elata. Folia oblonga, apice abrupte contracta, obtusiuscula, basi lon- giuscule, in petiolo brevissimo attenuata, 13-20 mm. longa, 5-7 mm. lata, marginibus revolutis, utrinque 2-3 dentibus apice calloso- obtusis, membranacea, rigidula, supra subtusque glaberrima, nervis laxissime reticulatis subtus prominulis. Ramuli apice longe denu- dati, floribus 4-7 in racemis laxis subunilateralibus, interdum basi ramulo additis, foliis valde deminutis iutegris, spathulatis obtusis- simis. Bracteae glabrae lineares acutae, 2-3 mm. longae, 0,6-1 mm. latae; pedicelli ut summitas rhachidis pilis albidis crassiusculis arcte adpressis hirtuli filiformi, in anthesi ad 8 mm. longi, cernui, postea ad 12 mm. longi erecti, apice sensim incrassati. Calyx tubo obliquo in anthesi brevissimo 2,5 mm. lato, adpresse piloso, in fructu 3-35 mm. longo; laciniae lineares aequales, acutae, 2 mm. longae, basi 0,4 mm. latae, in fructu 3 mm. longae. Corolla purpurea fauce — 389 — intus flavo maculata (ita videtur in sicco), dorso usque ad basim fissa, eximie obliqua, labello profundo trilobo, lobis ovatis obtusis, apice mucronulatis, mediano 3 mm. longo, 3 mm. lato, laterales 3-5 mm. longi, 3 mm. lati; dentes duo dorsales triangulari-lanceo- lati obtusiusculi, sursum falcati, apice intus barbati 2,5-3 mm. longi; corollae pars integra ad basim labelli 6-7 mm. longa. Sta- mina filamentis glaberrimis, tenioideis, apice paulum dilatatis 4,5 mm. longis; antherae coeruleae omnes apice denso annulo pilorum brevium cinctae, reliquo glabrae. Capsula tubum calycinum decem- costatum duplo superans, valvis late ovatis, apice mucronatis, tota 6-7 mm. longa, 3,5 mm. lata. Semina badia, elliptica, pro- funde sulcato-triquetra, laevia, 0,75 mm. longa, 0,4 mm. lata. Proxima L. chamaedrifoliae (Presl.) Alph. DO. Scioa: monte Managascià presso Addis Ababà nei luoghi er- bosi della sommità a 2800 m. 21. V. 1909 (G. Negri n. 494). 116. Wahlenbergia spartieula Chiov. Herba habitu spartioideo c. 70 cm. elata, eximie microphylla, a basi vel supra valde ramosa. Rhizoma ramosum, flexuosum, cor- tice suberoso pallido. Caules caespitosi tenuiter anguloso-striati, inferne hirtuli; rami elongati alterni, arcuato-adscendentibus, cau- lem centralem longitudine subaequantes. Folia valde diminuta, radicalia per anthesim 0 vel ad cicatricem reducta, sequentia trian- gulari-linearia, uninervia, subacuta, marginibus integris vel denti- culato-callosis, glabra, 5-10 mm. longa, 1-2 mm. basi lata; ramorum perminuta, bracteiformia, linearia 2-3 mm. longa, 0,6-1 mm. lata. Bracteae 1-1,5 mm. longae, 0,5 mm. latae. Flores ramulos nudos 7-10 cm. longos terminantes solitarii, ante anthesim nutantes, dein erecti; pedunculus apice sensim incrassatulus. Calycis tubus, obco- nicus glaberrimus 3 mm. crassus, 4 mm. c. longus angulatus, in fructu 10-nervosus; dentes lineari-oblongi, apice calloso-obtusi, mar- ginibus intus revolutis 1-2 mm. longi, 0,5-0,7 mm. lati. Corolla gla- berrima 8 mm. longa usque ad medium 5-lobata, lobis lanceolatis basi 3,5-4 mm. latis, acutis. Stamina dimidiam corollam aequantes. Stylus staminibus longior, sed corolla brevior, apice bifidus, sub singulis ramis tumuscentia hemisphaerica praeditus glanduliforme, undique minute papilloso-hirtulus. Capsula obovata, parum ultra tubum excrescens, longitudinaliter 10-nervata, totidem longa b mm., lata 2,5-3 mm. Semina minutissima, subrotunda, induplicata vix 0,5 mm. longa. — 390 —. Proxima W. virgatae Engler. Scioa: pendii sassosi del colle di Uata Daleccià presso l’Oletta m. 2650 c. 25. I. 1909. (G. Negri n. 639). 117. Wahlenbergia nutabunda (Guss.) Alph. DC. var. Erythraeae Chiov. Planta valde robustior, caulibus inferne crebre hirsutis, e basi dense ramosis, ramis saepe oppositis vel suboppositis, ramulis fasti giatis numerosissimis. Caeterae notae omnino congruunt cum spe- ciminibus W. nutabundae e Calabria. W. etbaica (Schweinf.) Vatke in Linnaea XXXVIII (1874) p. 700 mihi videtur synonimon speciei Gussonianae quae autem fo- liorum amplitudine maxime ludit. W. silenoîdes Hochit. cum qua , Cl. Vatke comparat plantam Schweinfurthii, est species distinctis- sima prae caeteris verennitate caudicis. Eritrea: Habab ad Oazat 21. IV. 1909 (A. Pappi n. 8349). La W. lobelioides (Linn.) Alph. DC. differisce per essere pianta affatto glabra, per le foglie più lunghe e più strette e pei denti calicini più brevi e subtroncati all’apice. 118. Brachystelma asmarensis Chiov. Tuber rotundum depressum, 4 cm. diam. latum. Caulis solitarius e tuberculo gemmifero in centro tuberi sessile oriens, subsimplex circ. 7 cm. elatus, 2 mm. cir. crassus, internodiis 2-3 inferioribus 1-15 cm. longis, caeteris in anthesi brevissimis 2-3 mm. longis postea longioribus, in parte subterranea glaber, in aérea minute pubescens. Folia infima squamiformia, caetera in anthesi linearia, sessilia e basi parum attenuata, usque ad apicem sensim attenuata, acutissima, marginibus involutis, costa crassiuscula percursis, ad margines et subtus in costa ciliato-hirtula, ad 4 cm. longa, ad 2 mm. lata. Flores axillares solitarii, pedicellis robustis hispido-puberulis 3-4 mm. longis 1 mm. crassis. Calyx fere usque ad basim in la- cinias lineares acutissimas erectas, 6-7 mm. longas, basi 1,5-2 mm. latas divisus, hirtulo-pubescens. Corolla tubo ample campanulato ad 5 mm. longo, fauce ad 7 mm. lato, extus glaberrima et atro- purpurea, intus brunnea, limbum minute sed dense sericeo-pubescens, tubum intus transverse rugosum et glabrum, marginibus longe se- toso-ciliatis, setis albis; laciniae e basi lata triangulavi, sinubus ro- — 391 — tundis amplis separatae, longe lineares 11-13 mm. longae, basi ad 3 mm. latae, in appendice vix 1 mm. latae, ciliatae et superne puberulae. Gynostegium dimidium tubum corollinum aequans gla- berrimum. Coronae lobi in 2/8 superiori orientes triangulares-sub- rotundi, apice obtusiusculi. Planta fructifera caulibus fructigeris defoliatis 5 cm. cire. longis, 2 mm. c. crassis. Folliculi glaberrimi fusiformes geminati 5 cm. cire. longi sub medio 10 mm. diam. lati, cum sutura ventrali prominula, apice longiuscule attenuati, acutissimi, basi breviter contracti. Cau- liculi foliiferi steriles concomitantes 3-6 mm. longi minute puberuli, ramulosi: folia lanceolata-oblonga 2,5-4 cm. longa, 7-8 mm. lata, apice late acuta vel obtusiuscula, basi in petiolo 3-4 mm. longo at- tenuata. Eritrea: Hamasen dintorni di Asmara (Baldrati n. D. 89 e 92). Osservazioni. — A. Richard Tent. FI. Abyss. II (1851) 49 dà una brevissima descrizione di un £. ellipticum, la quale corrisponde assai bene cogli esemplari fruttiferi qui da me riferiti e descritti. Però i dubbî sulla perfetta identità, debbo confessare non mi sono completamente tolti, specialmente perchè egli tace a riguardo dei cauli fogliferi separati da quelli fruttiferi. Però ciò ch’egli dice a proposito delle foglie, dei cauli, del tricoma e dei follicoli corri- sponde bene alla mia pianta. I due esemplari furono comunicati al Museo Coloniale dal prof. Isaia Baldrati come due cose distinte: il n. 89 è in fiore ed ha annessa l'indicazione della località, il n. 92 è in frutto e non porta alcuna indicazione. Per diverso tempo ri- tenni trattarsi per la differenza delle foglie di due specie differenti : ora invece le ritengo due forme biologiche di una stessa specie. Io ho raccolto il B. lineare A. Rich. in fiore e non so se anch’esso presenti qualche forma biologica negli esemplari fruttiferi analoga a questa; ad ogni modo io ritengo che i cauli sterili nascenti dal tubercolo che è collocato sopra il tubero, dal quale ha origine il caule fertile rappresentino la forma ibernante, di riposo durante la stagione secca. Mentre i cauli fioriferi a foglie strette graminiformi rappresentano la forma propria del periodo di massimo sviluppo coincidente colla stagione delle pioggie. È noto che in molte specie di Asclepiadacee per es. di Ceropegia si ha un eteromorfismo fo- gliare assai marcato: le foglie inferiori sono talora più ampie, ovate, rotondate, mentre le superiori sono più allungate, più strette, li- neari o lanceolate, ciò è in rapporto col medesimo fatto biologico sopra rilevato. Disgraziatamente gli esemplari del prof. Baldrati , non recano alcuna indicazione dell’epoca di raccolta, per cui la mia supposizione rimane ipotetica. — 392 — Ad ogni modo la pianta in fiore da me sopra descritta è asso- lutamente diversa dal 5. lineare come si può facilmente rilevare dalla descrizione medesima. E se, in seguito, ricerche fortunate fa- cessero trovare individui fioriferi aventi le stesse foglie quali sono descritte dal Richard, la mia pianta in fiore dovrebbe costituire una specie a sè che dovrà portare il nome qui da me proposto. Spathulopetalum Gen. Nov. Calyx 5-partitus. Corolla fere usque ad basim imam 5-partita, tubo brevissimo subnullo; laciniis spathulatis, basi eximie in unguem angustam attenuatis, apice apiculatis, in alabastris eximie clavatis et apiculatis, valvatis. Corona simplex tubulosa e basi columnae staminalis oriens, decemdentata, dentibus alterne linearibus elon- gatis, erectis, apice obtusis, marginibus minutissime papilloso-serru- latis, et brevissimis rotundatis bilobis, illis antheris oppositis et adnatis, his glandulis pollinariorum. Pollinaria elliptico-globosa caudiculis tiliformibus brevibus, glaudula atropurpurea, subobovata, sulcata, non appendiculata. Stygma pentagono, convexo, obtusis- simo, antheras aequans. Carpella duo. -- Caulis 3-4-gonus angulis obtusis in processus conicos longiusculos, patulos, dissitos, carnosos productis, simplex vel superne in ramulos fasciculatos divisus, rami floriferi apice longe subulati, tenui. Habitus est valde similis illius Carallumae vittatae N. E. Brown sed robustior. A genere Caral- luma et omnibus affinibus prae caeteris optime differt forma sin- gularissima corollae. 119. Spathulopetalum Di Capuae Chiov. = Caralluma quadranguta Di Capua (non N. E. Brown) ap. Pi. rotta Flora Colon. Eritr. (1904) 218 n. 13. Caules tri-tetragoni, glabri, angulis acutis, dentibus conicis obtu- siusculis, compressis, 5-8 mm. longis, basi dilatatis, 23 cm. dissi. tis; facies 7-10 mm. latae, in sicco cinereo-virides; apice sensim in appendicem tenuem scapìi formem cyliadricam, longissimam usque ad 60 cm. longam, basi in sicco 2-3 mm. crassam producti; pars scapiformis post anthesim demum articulo transverso secedente et apicem caulis truncatum reliquens. Flores plerumque fascicu- lati, raro solitarii, in parte superiori scapi, rhacemum laxissimum 10-20 cm. longum formantes; rhachis nodosa; bracteae subulatae — 303 — 2-3 mm, longae, 0,5 mm. latae, glabrae. Pedicelli tenues glaberrimi, 12-16 mm. longi. Calyx glaberrimus, eglandulosus, fere ad basim in lacinias subulatas lineares acutissimas divisus, 3 mm. longus, tubum vix 0,5 mm. longum, 1 mm. latum. Alabastrum clavato-cylin- dricum basi longe attenuatum apice abrupte apiculatum, ante an- thesim 8-10 mm. longum, apice 2-3 mm. crassum, apiculo 0,7-1 mm. longo. Tubum corollinum vix 0,5 mm. longum; laciniae primum pa- tentes, deinde reflexo-pendulae, lineari-spathulatae, basi longe sensim attenuatae, apice abrupte apiculatae, 11-14 mm. longae, basi 1 mm., ad apicem 3 mm. latae, extus glaberrimae atropurpureae, intus dense pilis patulis clavellatis, hirtae. Gynostegium 2,5 mm. longum, 1,5 mm. latum, glaberrimum; coronae dentes lineares 1 mm. circ. longi, 0,4 mm. basi lati, albescentes. Follicula geminata, linearia, angusta 11-13 cm. longa, 4-5 mm. crassa glaberrima. Eritrea: Habab a Chelamet-Oazat 11. V. 1892 (Terracciano e Pappi n. 955 esemplare sterile); Narò 21. IV. 1909 (Pappi n. 8289 esemplare fiorifero); tra Narò e Moga 22. IV. 1909 (Pappi n. 8814 esemplari con fiori e frutti vecchi). 120. Ascelepias Negrii Chiov. Suffrutex 1 m. circ. elatus, ramis erectis, fastigiatis, inferne lignosis eylindricis; ramulis junioribus viridibus, glabris, vel apice pulverulento-tomentellis 2,5-3 mm. diam. Folia opposita, linearia, valde elongata, 11-16 cm. longa, 1,5-2 mm. lata, glaberrima, subtus costa brunneola percursa, basi brevissime petiolato-angustata, apice acuta, marginibus laevibus. Umbellae 4-7-flores, laterales, solitariae; pedunculi 7-10 mm. longi, 0,7 mm. crassi, farinoso-tomentelli : apice nodoso-incrassati et ibi niveo-tomentosi; bracteae subulatae 2 mm. c. longae; pedicelli tenues 13-15 mm. longi niveo-tomentosi. Calyx niveo-tomentosus, tomento densissimo fere farinulento, tubo dila- tato, brevi 1 mm. longo; lobi ovato-triangulares acuti 2 mm. circ. longi, basi 1,3 mm. lati. Corolla pallide viridula, extus undique niveo-tomentosa ut calyx, intus glaberrima, tandem reflexa ; la- ciniae ovatae in sexta parte infima connatae, apice acutiusculae, 6-7 mm. longae, 3,5-4 mm. latae, marginibus lanuginoso-ciliatis. Corona flava, lobis rotundatis adscendentibus e basi columnae sta- mineae orientibus, 3,5 mm. longis, basi brevissime et crasse ungui- culatis cum auriculis triangularibus sursum erectis et in laminam subrotundam vel reniformem (si explanatur) conduplicatis, latera- liter compressis, carina dorsali crassa, rotundata praeditis, glaber- RI Pe I O n dg era i. — 394 — rimis, marginibus crenulatis; intra lobos sine ulla appendice. Gy- nostegium 2-2,5 mm. longum; antherarum appendices ovatae, ob- tusae, tenues vix stygma superantes. Folliculi subcoriacei e basi ovoidea inflata 12-15 mm. longa, 10-12 mm. crassa, subabrupte in appendicem sublineari-conicam, basi 4 mm. crassam 35-38 mm. longam, acutissimam protracti, undique laevissimi, idest non setoso- echinati, sed plus minusve ad basim albo-farinoso-puberuli, caeterum glaberrimi, badii, dorso costa crassa percursi. Proxima A. rostratae N. E. Brown, qua praebet partes juniores caulis et ramos albo-tomentosos, folia minute puberula, corollam . minute punctulatam, laciniis undique praeter margines ciliatos glabris, etc. Galla Arussi: luoghi aridi alla base del monte Oulontai a sinistra del Suksuki m. 1600 c. 29. VI. 1909 (G. Negri n. 920). 121. Pachycarpus Schumanni Chiov. = « Gomphocarpus spec. certe nova e sect. Pachycarpi » C. Schum. in Schedis Herb. Musei Colon. Romae. ad specimen Ruspolianum. Habitus omnino Schizoglossi Grantii Oliv., Caulis in sicco plus minusve compressus, internodiis ad 6 cm. longis, 50 cm. et magis elatus, puberulus. Folia omnia opposita, interdum 3-verticillata, ovato-elliptica, basi laeviter et amplissime cordata, vel inferiora minora rotundata, pergamenacea, apice rotundata, minute mucro- nulata; costa crassa, subtus valde prominens, nervi primarii pa- rum sensibiles, cum secundariis et tertiariis reticulatis vix conspi- cuis; utrinque scabro-puberula pilis brevibus albidis,.tuberculis parvis insidentibus, patulis, marginibus incrassatis minute serrulato- scabris et densius granulosis; petioli 3-7 mm. longi; laminae paris infimi 2 cm. longae, 12 mm. latae, superiorum 5,5-8 cm. longae, 2,6-4 cm. latae. Umbellae multiflorae, 15-28-flores, globosae, omnes pedunculatae, solitariae; pedunculus pubescens 2-6 cm. longus, 2-2,5 cm. crassus; pedicelli 10-15 mm. longi, 1 mm. crassi, pube- scentes, apice parum incrassati. Calyx albo-pubescens 7-8 mm. longus; tubus brevissimus, rotundatus, laciniis linearibus, acutis- simis basi 1-5 mm. latis. Corolla in sicco alba campanulata, fere ad basim laciniata, laciniis ovato-lanceolatis, acuminatis, 7 mm. longis, basi 4-5 mm. latis, extus hispidulis, intus glabris, marginibus revolutis. Corona in sicco rufescens, squamis 5 mm. circ. longis glaberrimis, imae columnae stramineae adnatis adscendentibus, cu- neatis ex apice 3-4 mm. lato, trilobato lobis triangulari-linearibus — 395 — apice obtusiusculis medio parum minore, sensim attenuatis, dorso in duas tertias partes inferiores carinis, duobus parallelis rotun- datis in processus compressos 1,5 mm. circ. elatos productis, la- mina trilobata omnino plana et erecta non inflexa. Columna sta- minea 3 mm. circ. elata; antherarum appendices membranosae, niveae subspathulatae 1,7 mm. longae, 1-2 mm. latae, apice rotun- datae. Stygma crenatum, in centro depressum ab appendicibus antherarum non tectum. Folliculi solitari evecti 4,5 cm. longi 2 cem. lati, pubescentes, longitudinaliter 4 - alati, dorso explanato et alas brunneas producti, planas ad apicem denticulatas, alae la- terales dorsum versus convoluta, parum latiores. Proximum P. scabro quod a nostro ditfert corolla reflexo-patula, lobis obtusiusculis, extus glabra; lobis coronae basi rotundato- auriculatis, abrupte in laminam linearem vel lineari-spathulatwm apice supra stygma inflexam contracta. Ogaden: da Valghe ad Oi nei luoghi prativi erbosi 16. IX. 1898 (Ruspoli e Riva n. 86 fruttifero). Galla Arussi: monte Borà fra il lago Zuai e il lago Arrarobà pascoli del piano dell’antico cratere 4. VII. 1909 (G. Negri n. 1063 fiorifero). 122. Ceropegia (1) stenoloba Hochst. ap. Schimper PI. Abyss. ed. Hohenacker (1852) n. 2048. Caulis volubilis gracillimus, cylindricus, aequaliter et brevis- sime pubescens. Folia petiolis 5-10 mm. longis, puberulis: laminae ovato-lanceolatae, basi rotundatae, vel latiuscule attenuatae, apice attenuato-acuminatae, membranaceae, tenues, supra minutissime puberulae, subtus minute hirtulae, basi fere tricostatae, 18-45 mm. longae, 6-10 mm. latae. Umbellae 2-7-florae sessiles vel brevissime ad 3 mm. pedunculatae, pedunculo pubescente: bracteae lineares subulatae, pubescentes, 1 mm. c. longae, 0,3 mm. latae. Calyx pu- bescens tubo brevissimo vix 1 mm. longo basi rotundato: laciniae lineares acutae 2 mm. longae, basi 0,5 mm. latae, pubescentes. Co- rolla tubo extus intusque glabro, campanulato, in dimidio inferiore pallido, superne atropurpureo, 4-7 mm. longo, 3-4 mm. diam. lato: laciniae arcuato-erectae, apice coherentes lineares angustissimae, tu- (1) A queste tre specie di Ceropegia ha dovuto rinunziare di descrivere la conformazione del ginostegio e specialmente la corona per non sacrificare i pochi fiori dei quali sono muniti: non ostante mi sembra siano abbastanza ben caratterizzate dalle altre specie africane note. bum aequantes vel sublongiores, atropurpureae, praeter marginem longe et densiuscule ciliatum glabrae. Capsula immatura glaberrima, linearis, 45 mm. longa, 1,5 mm. crassa, longitudinaliter striolata. Videtur proxima C. ringenti A. Rich. in qua forsan formae di- versae occultantur. Auctor indicatus speciei suae lacinias corollinas apice liberas tribuit, in nostra vero sunt certe coherentes; descriptio tamen hinc inde convenit. Abissinia: prope Dscheladscheranne (Schimper n. 2048). 123. Ceropegia inflata Hochst. ap. Schimper PI. Abyss. Ed. Hohenacker (1852) n. 2053. — C. ventricosa Hochst. in Scheda Schimperi herb. Cesati n. 626 Herba volubilis: fibrae radicales cylindricae carnosae, longis- simae, simplices, fasciculatae. Caulis gracilis cylindricus, undique aequaliter pubescens, inferne glabrescens internodiis valde elongatis usque ad 20 cm. Folia petiolis 7-8 mm. Jongis, 0,7 mm. crassis, minute sed dense pubescentibus; laminae lanceolatae, basi late cuneatae apice longe acuminatae, 10-12 cm. longae, 11-14 mm. latae, supra sparse pilosula, juxta et in margine densiuscule pubescens, inferne prae- cipue secus nervos hirtae; costa et nervi primarii sub tres in quoque latere rufescentibus valde perspiquis, ad basim lamina fere tricostata. Umbellae pauciflorae in pedunculis robustis 25 30 mm. longis, 0,7 mm. crassis: pedicelli 4-5 mm. longi; bracteae lineares angustissimae subsubulatae, pubescentes. Calyx tubo basi attenuato, campanulato extus pubescente, 2 mm. longo 1,5 lato; laciniae li- neares acutissimae 2,5 mm. longae, basi 0,5 mm. latae, arcuatae, pubescentes. Corolla externe breviter pubescens; tubo 13-18 mm. longo in 1/2-2/3 inferioribus, inflato-ovata, 5 mm. diam. lato, in 1/8 supremo 13 mm. diam. lato, fauce 3 mm. diam. lato; tubus extus pallidus, dentes intus atropurpurei glabri extus pallidi, basi rotun- dati et replicati 2 mm. lati, superne angustati, erecti, apice con- niventes, 5-10 mm. longi. Abissinia: prope Dscheladscheranne (Schimper n. 2053). ‘ 124. Ceropegia Hochstetteri Chiov. = C. racemosa Hochst. (non N. E. Brown) ap. Schimper PI. Abyss. El. Hkenacker (1852) n. 2052 et in Scheda autographa n. 624. = "gRgree Radicis fibrae fasciculatae, carnosae, cylindricae longissimae, Cau- les volubiles compressiusculi vel angulato-striati, undique aequaliter pubescentes, pilis brevitus. Folia petiolis ad 10 mm. longis, minute pubescentibus: laminae membranaceae, inferiores ovato-lanceolatae, basi rotundatae vel ample cuneatae, apice breviter acuminatae, abrupte constricto-mucronatae, aequaliter reticulato-nervosae, supra laxe et minute puberulae, subtus et marginibus densius, 5,7 cm. longae, 15-20 mm. latae: superiores ianceolatae vel lineari-lanceo- latae, basi longiuscule cuneato-attenuatae, apice attenuato-acutis- simae, ut inferiores pubescentes 7-10 cm. longae, 8-11 mm. latae. Umbellae 1-3 in pedunculo communi robusto, 2-5 em. longo, 1-1,5mm. crasso; bracteae subelatae, puberulae; pedicelli 0,5 mm. crassi, 3-7 mm. longi, subglabri. Calyx glaber fere ad basim in lacinias lanceolato-lineares, acutissimas, divisus, 3 mm. longas, basi 0,7 mm. latas. Corolla extus glaberrima, ima basi pallida, caeterum atropur- purea sed ad faucenì pallescens: tubus basi curvato unilateraliter fere gibbosus, sed non vere inflatus, ad 4 mm. diam. latus, apice sensim dilatato ad 7 mm. latus, 20 mm. circ. longus, laciniae ovatae, marginibus reflexis extus glabrae, apice rotundato-obtusae, coherentes, intus paulum lanuginosae, 8-10 mm. longae, basi ad 3 mm. latae. Videtur proxima Cl. Meyeri Johannis. A bissinia: Prope Dscheladscheranne (Schimper n. 2052). 125. Heliotropium lithospermoides Chiov. Fruticulus 20 cm. et magis elatus, ramis vetustis cinereis et cicatricosis; iunioribus albido-pubescentibus. Folia densa lineari- angusta, erecta, adpressa, vel in ramis lateralibus adscendentibus, falcata, 2-2,5 cm. longa, 1-1,5 mm. lata, basi sessilia, apice obtusa, marginibus crassis, supra convexa, enervia, subtus plus minusve profunde canaliculata, supra undique pilis basi bulbosis albidis, bulbo explanato candido, interdum epilifero tectis, subtus minus. Flores racemos terminales densos prius incurvos dein rectos 4-7 cm. longos formantes, omnes sessiles: bracteae lineares 5 mm, circ. longae, 0,8 mm. latae, apice obtusae. Calyx undique pilis brevius- culis, basi bolbosis adpressis hirtulus; tubo turbinato 1 mm. longo, 1,5 mm. lato; laciniae lineares 4 mm. longae, 0,6 mm. latae, apice obtusiusculae. Corolla 4-5 mm. longa in sicco flava, parva, an- gusta, parum calycis lacinias superans extus glabra, tubo a basi sensim in faucem dilatato, limbo concavo, erecto, lobi minuti ro- ANNALI DI BoTANICA — VoL. X. 26 dci ‘ PE MM Et Re pp per LO Saia ua - a REA VIA E A ET — 393 — tundi 0,5 mm. longi et lati, corolla intus basi glabra, in fauce et in limbo dense hirta. Stamina ad faucem brevissimis filamentis inserta; antheris Jinearibus angustis 1 mm. longis. Stylus 1,2 mm. longus, glaber, filiformis: stygma crassum profunde bilobum, lobis acutis divaricatis, basi annulo calloso cinctum. Carpidia (an semper?) duo, ovato-triquetra, basi late horizontaliter truncata, facie ante- riori convexa rugulosa, postica carina saliente laevi percursa, apice acuminata, non perfecte matura 1,5 mm. longa, basi 1 mm. lata. Proxima H. Valtkei Baker quod differt foliis 13 mm. longis, floribus inferioribus pedicellis 2 mm. fultis. Ogaden: saline di Meddo-Conaglie ai laghi Bardera 21. II. 1894 (Ruspoli-Riva n. 204). i 126. Cynoglossum Hochstetteri Vatke var. calathiforme Chiov. Differt a typo fructibus margine in membranam latam ore intus inflexa, vesiculosam, cum suo margine subintegro vel crenulato, extus serie glochidiorum: praeditam et supra hanc seriem granu- loso-scabram. Eritrea: Samhar a Salomonà m. 450 c. 10. IV. 1510 (Pappi n. 8672); Assaorta, Valle Avero 5. IV. 1892 (Terracciano e Pappi n. 17); tra Cualo ed Enrot m. 500 c. 18. III. 1893 (Pappi n. 3050); Habab ad Oazat 21. IV. 1909 (Pappi n. 8338). Nel tipo che pure è frequente nell’Eritrea i glochidi sono nel- l’orlo della membrana marginale patente, spianata. 127. Celsia micrantha Chiov. Herba 70-100 cm. et magis elata, supra basim paniculatim ra- mosa, undique glaberrima: caules cylindrici, fragiles. Folia omnia pinnata; petiolus in foliis inferioribus 2-3 cm. longus, tenuis, basi non auriculatus; rhachis nuda; foliola sessilia et basi plus mi- nusve late rhachidi adnata, in foliis infimis 7-9 a terminali majore, decrescentia, elliptica vel elliptico-oblonga, marginibus crenatis vel ad basim sublaciniatis, dentibus obtusis, undique glaberrima, nervis laxissime reticulatis, subtus prominulis, supra excavatis, terminale 3 cm. longum, 12 mm, latum. Folia suprema et floralia valde diminuta, integerrima, elliptico-linearia, obtusiuscula 2,5-5 mm. longa, 1 mm. circ. lata, basi attenuata. Pedicelli tenues patentes, glaberrimi, apice curvuli 10-12 mm. iongi. Calix 2-2,5 mm. longus, glaberrimus, fere ad basim in 5 lacinias elliptico-angustas, apice obtusas divisus. Corolla flava minima, 6 mm. diam. circ. lata, lobis rotundatis. Stamina corollam vix aequantes filamentis omnibus minutis, breviora antherisreniformibus. Capsula subglobosa 3,5-4 mm. crassa, apice vix contracta, valvis apice brevissime mucronulatis. Galla Arussi: valle media dell’Hauasch alle falde del monte Borret nelle boscaglie m. 1250 c. 12. VII. 1909 (G. Negri n. 1202). 128. Craterostygma plantagineum Hochst. var. lanuginosum (Hochst). = Torenia (sectio Craterostygma) lanuginosa Hochst. ap. Schimper PI. Abyss. ed. Hohenacker (1854) n. 2094. Differt a typo foliis, bracteis et calycibus undique margine spe- ciatim longe albo-hirtis planta densius aggregata, inferne reliquiis foliarum vetustarum brunneis stipata. Folia sunt minora et angu- stlora, ad basim magis cuneata. C. hirsutum Sp. Moore ab hoc differt floribus brevius pedicel- latis, folits membranaceis tandem in fibras delabentibus, calyce tur- binato et non prismatico-cylindraceo. Abissinia: prope Agrima in montibus m. 1900 circa (Schimper n. 2094). 129. Lindenbergia pusilla Hochst. ap. Schimper PI. Abyss. (sine indie. collectionis et anni) n. 2058. Herbula annua, minima, tenera, 6-9 cm. elata. Caulis exilis simplex, secus duas lineas interpetiolares pilosulus, vel inferne gla- brescens, internodiis inferioribus 15-22 mm. longis. Folia in sicco pallide viridia, opposita; petiolis exilibus 8-16 mm. longis, longius- cule pilosulis; laminae ovatae, vel ovato-rotundatae, membranaceae, pellucidae, basi late rotundatae et ad petiolum abrupte et breviter cuneatae, apice obtusiusculae, marginibus grosse serratis, dentibus ovatis, obtusiusculis, utrinque sed subtus parum magis pilis albis longis flexuosis sparsae, 15-25 mm. longae, 9-22 mm. latae. Flores in axillis solitarii, pedicelli 0,5-1 mm. longi, tenues cylindrici, gla- brescentes. Calyx campanulatus, basi rotundatus, laxe pilis longis hirtulus, tubo membranaceo, decolorato, 2-2,5 mm. longo, 3-3,5 mm. lato, dentibus 5 ovatis, obtusis viridibus, foliaceis 1,5 mm. longis, 1 mm. latis. Corollae omnino in speciminibus visis deficientibus. — 400 — Capsula primum globosa apiculata, tandem ovata, acuminata, cum acumine acutissimo, parum capsula breviore 4 mm. longa, 3 mm. lata, glabra. Semina numerosissima, elliptica, minutissima, pallide olivacea, 0,3 mm. longa. Species insignis floribus nunquam racemosis, in axillis distan- tibus solitariis, trichomate nunquam glanduloso, parco, elongato. An flores cleistogami? Abissinia: nelle rupi alla base dei monti lungo il fiume Ta- cazzè (Schimper n. 2038). 150. Ruellia (Dipteracanthus) Fiorii Chiov. Herba dura basi lignosa, caespitosa 20 cm. circa elata; caules inferne eylindrici superne obtuse tetragoni, virides, patule et longe hispidi, a basi ramosi, internodiis basi parum inflatis. Folia omnia opposita, petioli 5-10 mm. longi pubescentes; laminae ovatae, basi ample rotundatae vel subcordatae, apice parum attenuatae vel ro- tundatae et tunc folia subrotunda, maxima 24 mm. longa, 22 mm. lata, undique hirto-setosa et dense glandulosa; subtus grisea, supra viridia; margines minutissime crenulatis. Axillis ramulis floriferis abbreviatis, foliis diminutis praeditis ad axillas floriferis. Flores in pedicellis 3-5 mm. longis pubescentibus; bracteae rotundato-spathu- latae, basi breviter cuneatim petiolatae, apice ample rotundatae, 10-11 mm. longae 8-9 mm. latae, petiolis 1-2 mm. longis, undique dense setoso-pubescentes et dense glandulosae. Calyx bracteis longior ante anthesim 11 mm. longus, undique ut bracteae pubescens et glandu losus, usque ad basim in 5 lacinias divisus, laciniae omnes aequales in fructu 15 mm. longae, 2-2,5 mm. latae, lineari-spathulatae, apice obtusissimae. Corolla flava, in sicco fere aurantiaca, tubo 4 cm. longo, inferne per 1,5 cm. angusto 1-2 mm. crasso subcylindrico, dein sensim usque ad apicem ad instar angusti infundibuli dilatato, 6 mm. diam., intus glabro, extus ad nervos albo-hirto ; limbo 5 lobato, lobis rotun- datis subaequalibus 8-10 mm. latis et longis, glabris, marginibus vix annulatis. Stamina 4 filamentis glabris; loculis 8 aequalibus, inap- pendiculatis, linearibus, 3,5 mm. longis: pollen globosum minute reti- culatum. Capsula obovata, crasse coriacea, glaberrima nitida, apice acuta mucronata, basi attenuata, 15 mm. longa, 7 mm. lata. Semina immatura 6 lenticularia, compressissima, laevia sed undique in faciebus pilis adpressis hygroscopicis tecta, 4,5 mm. diam. lata. Proxima È. Currori T. Anders. Kritrea: Habab Oazat 21. IV..,1909 (Pappi n. 8404); Melchet- Tzaroba 18. IV. 1909 (Pappi n. 8220); Narò 21. IV. 1909 (Pappi n. 8262). — 401 — 131. Justicia (Ansellia) exilissima Chiov. Herbula annua gracilis 10-20 cm. elata : radix tenuis subsimplex: caulis a basi ramosus, ramis infimis longiusculis, saepe centralem aequantibus, 1-1,5 mm. crassis; internodils 2,5-6 cm. longis hirtis pilis crispulis, lanuginosis albidis, bifariam dispositis, interdum in- ferioribus arcuatis, nodi non vel vix incrassati, hirti. Folia omnia opposita, aequalia; petiolis tenuibus 3-5 mm. longis hirtis; laminae ovatae, basi cuneatae, apice rotundatae et emarginatae, supra mi- nute et laxissime hirtulae, subtus parum pilosulae; marginibus in- tegerrimis, vel vix minutissime crenulatis. Flores sessiles in spicis unilateralibus, axillaribus, paucifloris, laxis 2-4 pleraumque 3 floribus 10-15 mm. longis dispositis; pedunculus capillaris 10-15 mm. lon- gus, glaber. Bracteae duae minutissimae, subulatae 1-1,5 mm. longae. Calyx glaber ad basim in 4 lacinias lineares, angustissimas, seta- ceo-acutissimas, tres 4 mm. longas, unam 3 mm. longam, 0,5 mm. latas divisus. Corolla pallidissime rosea, minima, glabra, tubo 2,5 mm. longo, ad faucem plicis linearibus obliquis biseriatis decem; labio superiore ovato, extremo apice minutissime bilobo, 1-5 mm. longo, inferiore trilobo lobis rotundatis 2 mm. longo. Stamina filamentis apice vix incrassatis glabris: antherarum loculis inferioribus cum appendice loculi circ. dimidium aequante obtusa vix incurva. Cap- sula 5 mm. longa, 2 mm. lata, ovato-lanceolata, utrinque attenuato- acuta, valvis tenuiter coriaceis, pallidis, hirtis. Semina quatuor el- liptica undique eleganter scrobiculato-punctata, margine omnino aptero, denticulato. Proxima .J. eriguae Sp. Moore qua a nostra differt petiolis et pedunculis brevioribus, capsula glabrescente, seminibus tuberculato- rugosls Galla Arussi: boscaglie sulla sponda occidentale del lago Zuai m. 1550 c. 22. VI. 190 (G. Negri n. 815). 132. Thunbergia Paulitsehkeana Beck. var. laneeolata Chiov. Differt a typo caulibus abbreviatis, repentibus non vel vix scan- dentibus, 4-15 cm. longis, ramosis; foliis sessilibus lanceolatis, acutis basi brevius cuneatis, apice longius, in tertio inferiore in quoque latere dente unico triangulari, acuto, conspicuo praeditis. Bracteae, flores et capsulae minores. Scioa: collina di Entotto, pascolo secco nel vallone del piccolo Cabanna m. 2600 c. (G. Negri n. 247). " PR, sa LC po LO er stent gi mb pre | SET i 133. Lantana (Sarcolippia) dauensis Chiov. Rami primarii virgati elongati, obtuse tetragoni, glabri, cortice pallido, laevi, longitudinaliter in sicco striolato; ramuli 6 angu- lati angulis setis minutis rigidis basi bulbosis sursum abrupte flexis crebris praeditis. Folia opposita vel promisque ternata; petiolis bre- vibus 2-4 mm. longis; laminis lanceolatis basi sensim in petiolo attenuatis, apice latiuscule acutis vel obtusis, mucronulatis, margi- nibus profunde dentato-lobulatis, dentibus utrinque 3-4 triangulari» linearibus, acutis divaricatis, mediis longioribus usque ad 6 mm, 4-5 cm. longis, et dentes non computati 6-10 mm. latis; carthaceis, in sicco subnigricantibus supra glaberrimis et laevibus, subtus et margine glabris sed ad nervos et marginem setis bulbosis brevibus rigidis sparsis, recurvo-antrorsis praeditis; costa et nervi subtus pro- minuli, supra impressi. Inflorescentiae primum globosae 4-5 mm. diam. dein cylindrico-ellipticae 10 mm. longae, 4,5-5 mm. latae, in pedunculis tenuibus binis vel ternis ad nodos 8-6 cm. longis, te- tragonis, glabris, solitariae. Bracteae ovato-triangulares, apice obtu- sae vel vix apiculatae, 1,5-2 mm. longae, dense pubescentes. Calyx globosus ore bilobo, lobis rotundis minimis, antice profundissime fissus, undique dense pilis brevibus flexuosis albidis pubescens mixtis glandulis flavis sessilibus crebris, in anthesi 1,5 mm. longus et latus, enervius, fructui arctissime adherens. Corolla 1.5 mm. longa, alba in sicco, extus minute furfuracea, lobis brevibas, latiusculis rotun- datis. Fructus globosus 2,5 mm. diam. in 2 carpidia sponte dissi- diens, faciebus commissurae rotundis, parum concavis, albido-cal- careis, extus minute rugulosus, viridis, glaberrimus, apice et secus, fissuram calycis visibilis, caeterum omnino absconditus; exocarpio sicco spugnoso, sub lente lacunoso, crasso, ab endocarpio sublignoso optime distineto; loculi duo; seminibus exalbuminosis. Ogaden: sulle sponde del Daua a Ueldà 21. IV. 1893 (Riva e Ruspoli n. 1613 (1054)). Specie rilevante per il pericarpio assai spesso, spugnoso, per il quale si differenzia dalle specie di Lippia che presentano invece il pericarpio sottile poco sensibile. Le foglie per la loro dentatura ri- cordano quelle del Lycopus europaeus. 134. Geniosporum Borzianum Chiov. Herba erecta virgata; rhizoma nodoso-crassum, nigrum, ligno- sum; caules robusti circ. 70 cm. elati, tetragoni, faciebus protunde canaliculatis, basi 3 mm. latis, angulis acutissimis et fere angustis- (Pe "° pi si - — 403 — sime alatis, crassis, e viridi aenei, praeter nodos ubi hirtuli glabri, scabruli, nodi non incrassati, internodia abbreviata inferiora 3-5 cm. longa, superiora 1-2 ecm. Folia facile caduca, parva, opposita, rigida, inferiora reflexa; petioli brevissimi vix 1 mm. longi; laminae lan- ceolatae vel ovato-lanceolatae, inferiores ovatae, 10-20 mm. longae, 6-8 mm. latae, basi late cuneatae, apice acutae, supra glaberrimae, subtus ad nervos pilosulae, marginibus incra ssato revolutis, acute denticulatis vel subintegris; nervi crassi, secundarii in paria duo, primum in ima basi costae, secundum vix ad 1 mm. supra basim connata, ex quo folia videntur primo intuitu fere, palmato-5-co- stata, omnes subtus crasse prominentes, supra impressi. Folia floralia lanceolata acuta, saepe conduplicata, caeteris minora. Flo- res racemos 4-10 mm. longos, 5 mm. crassos, densissimos par- vos sessiles in axillis supremis plus minusve dissitis, sessiles. Ca- lyx viridis in anthesi 2,5 mm. in fructu 3 mm. longus, 1 mm. crassus, tubo angusto basi in fructu vix inflato, dentes quinque lineari, acuti tubo subaequilongi, tres superiores parum longiores et latiores, nervi in calyce fructifero 10, nervuli transversi evi- dentes tantum in dentibus, in tubo omnino obsoleti, tubo extus praecipue inferne pilis articulatis albis tenuibus et brevibus et glan: dulis flavis globosis sessilibus undique tecto. Corolla fere Orthosyphi, glaberrima, alba, minuta, quadridentata, lobi tres superiores rotundi breves, inferiore majore oblongo-subspathulato, parum concavo, è mm. longa. Stamina 4 filamentis exertis tenuissimis, per paria basi con- natis, glaberrimis, ante anthesim superne subspiraliter-convolutis: antheris globosis nigris, unilocularibus, valva post anthesim rotunda centro filamento affixa. Stylus glaber filiformis, stygmate parvo bi- lobo, lobis rotundis crassis, obtusis. Nuculae nudae, albidae, elli- pticae, dense et minutissime brunneo-punctulatae, 0,8 mm. longae, 0,5 mm. latae et crassae. Abissinia: Dembià sulle falde del monte Incedubà presso Gon- dar in pascoli acquitrinosi in compagnia di Xyris capensis, Fui- rena chlorocarpa, Cyperus Mundtii, Lindernia lubelivides, Eriocaulon dembianense, ecc. 2. X. 1909 (Chiovenda n. 2266). Distintissima da tutte le specie note per la forma speciale dei denti calicini lineari quasi eguali tra loro. Dedicato al prof. An- tonino Borzi, direttore del R. Orto botanico di Palermo. 185. Polygonum arussense Chiov. Caulis valde elatus, robustus, internodiis cylindricis, cavis, un- dique numerosissimis glandulis sessilibus flavis, viscosis tectis, cae- terum glabris, mediis 8-9 mm. crassis, 8-10 em. longis. Folia longe Mie pra PI È ET PRIA LS CI TREES MA; di w 4 - + Cat n Ì, ADE petiolata, petiolis 5-6 cm. longis 2-2,5 mm. latis subtus rotundatis, supra planis breviter hirtis, marginibus in dimidio superiori an- guste foliaceo-alatis, alis apice 1-15 mm. latis; laminae inferiores et mediae ovato-subcordatae, basi amplissime rotundatae et abrupte in alas petioloram decurrentes, apice longe ed acutissime acumi- natae, supremae lanceolatae; utrinque virides, subtus pallidiores, praeter costam et nervos hirtulosjundique glabrae sed supra subtusque densissime glandulis perminutis flavis, immersis, contra lucem pel- lucidis, punctatae; nervi utrinque 10-12, infimus parum supra basi 2-3 partitus, supra subtusque prominentes, supra viridi subtus de- colorati, venae omnino obsoletae. Ochreae cylindricae, integrae, per 6-9 mm. cum basi dilatata petiolorum conerescentes, deinde per 10-15 mm. liberae, apice margine 3-5 mm. lato, patente, herbaceo, tubum membranaceum, laxum extus densiuscule et breviter setoso- hirtum longitudinaliter nervosum; ochreae supremae limbo her- baceo desunt et marginem breviter setoso-ciliatum praebent. Ra- cemi lineares 7-12 cm. longi, 8-9 mm. crassi, densiusculi; pedun- culi cylindrici densissime glandulis flavis sessilibus tectis 2-5 cm. longi, 1 mm. crassi; bracteae rotundatae obtusissimae, margine bre- viter ciliato, 3 mm. longae et latae, dorso glanduligerae; pedicelli tenues bracteas aequantes vel breviores. Perianthium album per- fecte eglandulosum 5-fidum lobis rotundatis obtusis 3,5 mm. longis 2,5-3 mm. latis, nervis tenuissimis reticulatis, viridibus. Stygmata duo, capitata, purpurea. Achenium nigrum rotundum, valde com- pressum, circuitu rotundato-obtuso, apice acuminato-apiculatum, 3 mm. latum, 2,5 mm. longum-mucrone non computato, quod 0,5 mm. est longum, nitidum et laeve. Galla Arussi: sponde dell’Hauasch presso il ponte per la strada al lago Zuai, nel fango umido m. 1700, 17. VI 1909 (G. Negri n. 730). Per l’aspetto si avvicina assai al P. orientale Linn. Questo però ne differisce per parecchi caratteri, cioè per i cauli con internodii pubescenti non glandolosi; per le foglie ovunque pubescenti, per- fettamente eglandolose, pei fiori per lo più di colore assai vivo (1) e un po’ più grandi che nella nostra pianta; per l’achenio perfet- tamente lenticolare e sormontato all’apice dalla base cilindrica pic- colissima dello stilo, e le due faccie dell’achenio non sono perfet- tamente parallele tra loro, esso è un po’ turgido alla base, mentre nella nostra specie l’achenio è sormontato all’apice da un rostro conico dilatato alla base e acuto lungo circa 0,6 mm. e le faccie sono perfettamente parallele tra loro. (1) E meno frequente la forma con fiori rosei quale fu descritta dal Tournefort. La lucentezza degli achenii della nostra specie è più forte che nel P. orientale il quale li ha quasi opachi. I P. limbatum Meissn. e Schinzii C. H. Wright aventi ocree simili e crescenti in Africa differiscono tra l’altro per le foglie lanceolate. 186. Thesium Matteii Chiov. Perenne: caules cylindrici striato-sulcati, glabri, basi 1-2, 2 mm. crassi, 17-30 em. longi, simplices vel ramosi. Folia omnia squami- formia, ovata, acuta, dorso rotundata, caulibus valde adpressa 1- 1,5 mm. longa, 0,5 mm. lata, glabra. Rami floriferi plerumque ab- breviati 0,5-2 cm. longi racemose secus caulem dispositi, apice parum incrassati et angulati. Flores solitarii sessiles intense flavi, spicas densissimas solitarias, breves ramulos terminantes formantes: bracteae ovatae acuminatae, apice subpungentes, glabrae, dorso ro- tundatae, 3-3,5 mm. longae, 1,5 mm. latae, erecto-patulae; bracteolae duae laterales bracteis omnino forma et dimensione aequales. Pe- rianthium omnino glaberrimum in anthesi cum ovario 5-5,5 mm. longum, ovario 1,5 mm. longo, 1 mm. lato obpyriforme, basi in callum vel brevissimum pedicellam attenuato, laevis et glabrus; tubo 1,5 mm. longo, apice 1,5 mm., basi 1 mm. lato; laciniis 2- 2,3 mm. longis, linearibus angustis, marginibus arcte intus inflexis, apice obtusis et cucullatis. Stamina 5 filamentis linearibus tenuissimis ad faucem tubi af- fixis, 1 mm. longis, glaberrimis, apice extus in appendicem seti- formem antheras aequantem vel superantem productis; antherae parvae ellipticae 0,3 mm. Jongae, 0,2 mm. latae. Stylus giaberrimus eylindricus filiformis, 2-7 mm. longus, laciniis parum brevior; stygma crassum, subglobosum depressulum. Fructus elliptici, costis b longitudinalibus et nervis obliquis non reticulatis, dorso obtusis, prominentibus, striati, immaturi 2-2,5 mm. longi, 1,5-2 mm. crassi. Galla Arussi: monte Oulontai tra i laghi Zuai e Langano a 2000 m. nei luoghi erbosi della zona superiore 28. VI. 1909 (G. Negri n. 984 bis). Secondo la chiave analitica delle specie dell’Africa tropicale di T. G. Baker ed A. W. Hill, questa specie sarebbe assai prossima al T. leucanthum Gilg. Dedicato al prof. G. E. Mattei dell’università di Palermo. 187. Phyllanthus myrtilloides Chiov. Fruticulus humilis, basi subrepens, caulibus lignosis potius te- nuibus 1,5 mm. crassis, hine inde noduloso-incrassatis, 10-20 em. elatus. Rami herbacei virides, plus minusve compressi vel compresso- #70 |> PIVA TI AT do RE Mo l n I Re TUE TT MORTE ANTE SOTA DI) ‘a — 406 — triquetri, angulis non alatis, striati, laeves; ramuli abbreviati, ar cuati 2-6 cm. longi, a basi divisi et fere fasciculati. Folia minuta: petiolis 0,5 -0,7 mm. longis tenuibus; stipulis lineari-triangularibus, acutissimis parvis, 0,8 mm. longis, 0,3 mm. latis, glabris violaceis, membranaceis; laminae subcoriaceae ellipticae, vel subobovatae 2-6 mm. longae, 0,7-2 mm. latae, apice obtusae, minute mucronu- latae, nervis utrinque tribus, supra obsoletis, subtus prominulis, un- dique glabrae supra obscure virides subtus pallidae. Flores dioici. Masculi ignoti. Foeminei solitarii in axillis folioram: perianthium 6-partitum, phyllis elliptico-obovatis, exterioribus vix latioribus apice rotundatis, secus costam vitta violacea rutilante pictis, mar- gines late albido-membranaceis, in maturitate fructus reflexis, 2-5 mm. longis, 1,5-2 mm. latis: discus hexagonus purpureus angulis cum tepalis alternantibus, glandulae minutissimae purpureae ro- tundae, compressae. Capsula non perfecte matura sexlocularis sub- globosa, depressa; stylis brevissimis bilobis superata, 2,5 mm. lata, 1,5 mm. alta. Galla Arussi: collinetta di Dacadine nella pianura del Suk- suki a SW del lago Zuai m. 1600 c. 23. VI. 1909 (G. Negri n. 869). Secondo la chiave analitica delle specie dell’Africa tropicale data dall’ Hutchison sarebbe prossima al P. suffrutescens Pax. La ragione del nome specifico è nel modo di ramificazione e forma dei rametti che richiamano assai alla mente quello del Vaccinzum Myrtillus. 138. Carex (Hymenochlaenae 5 graciles) Negrii Chiov. Rhizoma horizontale lignoso subcaespitoso. Culmi glabri 50-70 cm. elati, graciles, ima basi vaginis 3-5 aphyllis brevibus subco- riaceis, integris, obtusis et in dimidia parte inferiore dense foliosi, foliis 10-14 linearibus, angustis, rigidulis, glabris, 15-30 cm. longis, 4 mm. latis; marginibus revolutis in sicco, longitudinaliter in medio piicatis, et nervoso-striolatis. Spiculae 9-13 omnes androgynae cum parte apicali mascula foeminea breviori lineari-cylindricae, 2-3 cm. longae, 3 mm. crassae: flores foeminei inferiores interdum steriles et plus minusve dissiti, superiores stipati; pedunculi filiformes erecti, inferiores longi 4-6 cm., supremi brevissimi 2-5 mm. et ideo spiculae supremae fastigiatae. Bracteae supremae laxae amplexantes, ovatae, setaceo-acuminatae; inferiores foliaceae, basi longe vagi- nantes, vagina infima 3,5 cm. longa, cum lamina lineari angusta spiculam supremam subaequans, 2 mm. lata. Squamae omnes ae- quales, oblongo-ovatae, acuminatae, albescentes vel pallidissime cin- namomeae, anguste viridi-carinatae, 5 mm. longae, 3 mm. latae. Utriculi squamis parum longiores, erecti, membranacei, elliptici, obtuse trigoni, subenervii, inferne albidi et glabri, apice viriduli et breviter hispiduli, basi longiuscule contracto-stipitati, abrupte in rostrum longum tenue, ore profunde bidentato contracti. Nux utriculum implens, elliptica triquetra, angulis obtusiusculis, fa- ciebus sulcatis, 2-5 mmm. longa basi cum stipite 0,5 mm. longo, apice rotundata et basi styli vix incrassato mucronulata. Styli rami tres purpurei longi erecti, basi 1 mm. connati, ramis 4 mm. longis. Galla Arussi: collina dei Soddo nelle macchie ombrose in uno stretto vallone m. 1750 c. 18. VI. 1909 (Negri n. 742). 139. Carex simensis Hochst. var. nemorum Chiov. Rhizoma caespitosum: vaginae caespitosae, basi badiae, com- presso-plicatae, latae. Folia culmum superantia 7 mm. circ. lata, plana, viridia, tenuiter glaucescentia. Spiculae 7-9 cylindricae, 1,5- 5 cm. longae 3-4 mm. latae, densiflorae, erectae, gynecandrae, ter- minalis in ‘/, vel '/,, laterales in ‘/,-'/, inferiore masculae, omnino yirescentes, vel pars mascula pallidissime ferruginea. Squamae foe- minee ovato-lanceolatae apice abrupte aristatae, lateribus pallidis- sime ferrugineis, medio late viridi lineatae, 3 mm. eirc. longae, 2mm. latae. Utriculi virides, squamas parum superantes erecti, mem- branacei, oblongi, ad 4 mm. longi, glabri, pluri-costati, apice sensim in rostrum breviusculum breviter bidentatum attenuati. A typo differt colore spicarum, glumis et utriculis evidenter minoribus. Scioa: collina di Entotto a 2600 m. nel vallone del piccolo Cabanna nelle macchie umide 27. IV. 1909 (G. Negri n. 3330 (1). (1) Precedentemente ho pubblicato una Carex densenervosa Chiov. che erro- neamente ritenni nuova e sulla quale io richiamo qui l’attenzione degli stu- diosi brevemente. Gli esemplari da me studiati ed accuratamente esaminati per la confezione della descrizione pubblicata hanno otricoli a figura perfetta- mente simmetrica, e nel loro interno sono assolutamente privi di rachilla delle spighette secondarie e perciò non esitai a collocarla nel genere Carex: avendo ora studiato attentamente esemplari di Sehoenoryphium sparteum (Wahlenb.) Kukenth. tipici raccolti dal prof. G. Negri nello Scioa sul monte Mangascià presso Addis Ababà nei luoghi erbosi della vetta a 2800 m. ce. 21. V. 1909 (n. 466), nei quali gli otricoli sono sempre muniti internamente di rachille secondarie perfettamente sviluppate e recanti all’apice una spighetta maschile con un fio- retto staminifero sporgente dall’apertura del rostro, debbo ritenere la mia specie come specificamente non differente da questa. Anche nell’Africa australe è stata . — 408 — 140. Setaria blepharochaeta Chiov. Densissime caespitosa: caules cum panicula 1-2 m. alti, robusti. Folia omnia erecia rigidissima : internodii subcylindrici sed in sicco plus minus compressi vel anguloso-sulcati; nodi nigrescentes valde incisi; internodius supremus pubescens et sub inflorescentia scaber- rimus. Vaginae inferiores laxae, brunneae, coriaceae, omnes lamini- ferae, ore barbato-ciliatae, caeterum glaberrimae, nitidae, longitudi- naliter nervoso-striatae : laminae lineares 3-4 mm. latae rigidissimae, marginibus scaberrimis, costa lata subtus valde prominens, nervis crassis plus minusve elevatis et sulcis interpositis striatae, apice acu- tissimae, supra hine inde praecipue ad basim pilis bulbosis pilosae. Panicula linearis 10-22 pleramque 18 cm. longa, 4-5 mm. crassa, continua vel ima tantum basi subinterrupta. Axis cylindricus dense pubescens; ramuli brevissimi ad fasciculos sessiles reducti 9-15 spi- culiferi. Spiculae parvae singula seta antrorsum scabra et pilis albis longis bulbiferis ciliata subtenta, ovato-lanceolata vel lanceolatae, apice acutae 2-2,3 mm. longae, glaberrimae. Glumae steriles pallide badiae I '/,, II ', spiculae tantum longae, late spiculae basim am- plectentes, apice rotundatae, ambae trinerviae. Flosculus I neuter gluma florente vacua ovato-lanceolata, flosculum hermaphroditum aequante, b-nervia, in medio dorso profunde canaliculato-depressa, albescente, vel violaceo plus minus picta praeditus. Flosculus II hermaphroditus gluma florente dorso convexa, medio tenuiter et ob- tuse subcarinata, undique minutissime granulosa, opaca, apice acuta. Antherae 1,5 mm. longae atroviolaceae; stygmata plumosa, violacea vel alba. Proxima S. rigidae Stapf a qua differt setis ciliatis, statura multo majore et glumis sterilibus. Abissinia: Dembià, pascoli paludosi ad acqua altissima nella valle Scintà sopra Asosò 8. IX. 1909 (Chiovenda n. 1877); pascoli acquitrinosi presso Asosò 13. IX. 1909 (Chiovenda (n. 2062); Gondar lungo i ruscelli nei pascoli presso la Chiesa di Fasil Odos 2. X. 1909 (Chiovenda n. 2231); valle Scintà presso Gondar nei pascoli palu- dosi 2. X. 1909 (Chiovenda n. 2263); valle Scintà sopra Asosò nei pascoli pantanosi 17. X. 1909 (Chiovenda n. 2574 forma albdescens). riscontrata la forma senza spighette secondarie maschili e tali sono gli esem- plari dello Schlechter determinati per Schoenoryphium caricoides C. B. Clar- ke, forma già nota dell’Abissinia essendo stata pubblicata dal Béòckeler col nome di Carex Schimperiana e che il Kukenthal riunì allo Schoenoryphium sparteum come varietà. RIA: 141. Aristida (Pseudarthratherum) astroclada Chiov. Annua, pallide viridis dein pallide flava. Culmi graciles inferne brunnei per 2-10 em. simplices, erecti intornodiis 1-2 cylindricis, laevibus, glaberrimis. Vaginae omnes apice longe barbatae: laminae setaceae curvulae, striatae, glabrae. Rami ad nodos numerosissimi, dense fasciculati, in nodis inferioribus omnibus abbreviatis, iterum caespitose divisi, in superioribus rami inferiores, elongati, simplices 2-8-nodi, foliiferi, apice panicula bene evoluta terminati, superiores, reiterate caespitose divisi. Paniculae ramulorum caespitosorum li- neares e fasciculis spicularam 1-3 breviter pedunculatis, adpressis formatae; ramulorum normalium e ramis 4-7 formatae solitariis, filiformibus, basi per 2-3 cm. nudi, callo glabro, apice fasciculo spi- ciformi spicularum terminatis, 12-25 mm. longo, 3-5 mm. lato. Spi- culae breviter 1-3 mm. pedicellatae, arcte adpressae, pedicellis cras- siusculis erectis, apice incrassatis, triquetris, angulis scabris. Glu- mae steriles lineares angustae, acutissimae et setaceo-mucronatae, carina denticulato-scabra, subaequilongae vel inferior vix brevior, 7 mm. longae, basi 1,5-2 mm. latae, maturae pallide flavae. Gluma florens linearis, angusta, apice sensim in columnam laxe intortam filiformem scabram, apice articulatam attenuata, basi abrupte cu- neata et in callo obtusiusculo breviter piloso contracta, cum co- lumna mm. 2, et callo mm. 0,5, 7,5 mm. longa, arcte convoluta, 0,6 mm. crassa, undique minutissime granulosa et opaca; aristae tripartitae, rami filiformes tenuissimi, erecto patuli subaequilongi 15 mm. longi. Caryopsis linearis angustissima, 3,5 mm. longa, 0,5 mm. lata glabra. Species habitu peculiarissimo et gluma florente aristae stipiti longiori optime distincta. Eritrea: lungo il Gasc presso Ducambia m. 750 c. 21. II. 1911 (Pappi n. 8798). 142, Eleusine poaeflora Chiov. comb. nova. = Coelachyrum poaeflorum Chiov. in Annuario R. Istit. bot. Roma VI (1896) p. 75. t. 3. fig. 4. Laxe caespitosa, stolonibus longis, radicantibus ad instar £. fla- gelliferae Nees. Folia glaucescentia, abbreviata, inferiora vaginis brevibus glabris, striolatis; laminae undulato-flexuosae et fere con- tortae, longitudinaliter frequenter plicatae, 3-3,5 mm. latae, 2,6 cm. longae, apice obtusae, marginibus subcartilagineo-incrassatis, un- RTALC, PRIA ZI A tg E SIN MEIER OR ere TRIESTE TE TRN RI PRIORI III N APRO TAI TEO | Ù) si Ag n Vis vd 7. LR: Uni Fe EIA (5 è Di alti ar È di Mani A h j DO Tea ER RR Di: % nn 3 È ve — 410 — dique laxissime sparsis pilis tenuibus, elongatis basi crasse bulbosis. Culmi erecti basi saepe geniculati, glabri, nodis nigricantibus, in- ternodiis 5-10 cm. longis, inferioribus 1,5 mm. crassis, subcompressis; vaginae arcte applicitae, glabrae; laminae glabrae, breves radica- libus similes; lamina suprema 6 mm. circa longa. Panicula 5-8 cm. longa. racemis solitariis alternis, plerumque 7; 1,2-4 cm. longis, in- ternodiis rhachidis semper longioribus: rhachis principalis triquetra glabra ad nodos barbata; partiales compressae, dorso 1 mm. latae, glabrae, superne flexuosae, marginibus scabris. Spiculae brevissime pedicellatae, impari pinnatae, omnes etiam terminalis aequales, utrinque 15-25, ovato-rotundatae, vel ovato-elongatae, 5-8 mm. lon- gae, 4 mm. latae, 15-21 flores. Glumae steriles ovatae, uninerviae, I apice attenuato-mucronata, II apice rotundata et abrupte mucro- nata, membranaceae, glabrae; glumae florentes ovatae, trinerviae, apice rotundatae et abrupte mucronulatae, nervibus pilis longis, simplicibus, densissimis in ‘/, vel ?/, inferioribus tectis. Paleae glu- mas subaequantes, subobovatae, marginibus angustis inflexis, carinis viridibus pilosis, medio latae membranosae, canaliculatae, apice trun- catae et denticulatae. Stygmata alba plumosa, basi longe nuda, li- bera; ovarium lineare oblongum glaberrimum. Lodiculae cuneatae tam longae quam latae, glaberrimae, margine superiori crenulato. Galla Arussi: sponda destra del lago Zuai in luoghi sterili m. 1550 22. VI. 1909 (G. Negri n. 858); monte Fantatte nell’estre- mità sud della Dancalia presso l’Hauasch in luoghi sassosi aridi m. 900 c. p. (Negri n. 1282). Altra specie nel genere con glume pelose lungo i nervi è VE. somalensis Hackel che però è diversissima. L’attento studio di questa specie mi suggerisce di riunire al genere Eleusine il mio genere Cy- photlepis, il quale non ne differisce che per le glumette indurate nel dorso e formanti quasi un piccolo astuccio per la cariosside, colla specie Eleusine yemensis (Schweinf.) Chiov. Negria Gen. nov. (Chlorideae). Spiculae racemos unilaterales elongatos, angustos 2-3 natos for- mantes, pyriformes, lateraliter parum compressae, 5 florae, floribus 4 inferioribus hermaphroditis, supremo sterile. Gluma sterilis II ovata post anthesim dimidiam spiculam aequans, membranaceo-sca- riosa, uninervia, apice bilobo-truncata, I angustior et brevior acuta. Glumae florentes omnes eximie concavae, illa flosculi I major cae- teras amplectens, apice rotundata et emarginata ad ?/, vel */, dorsi ale bag i Sr —_ il — sub apice mucrone crasso acuto, marginem apicalem non superan- tem praedita, longitudinaliter nervis 7 crassis percursa, sericeo-pilo- sula ad latera in dimidio inferiore. Glumae florentes II-V muticae vel submuticae cum eorum apice aequante vel vix superante mar- ginem apicalem glumae florentis I?*°. Stamina tria antheris permi- nutis. Ovarium oblungum stygmatibus duobus filiformibus basi longe glabris omnino liberis, apice plumosis. Caryopsis lanceolata, eximie compressa et canaliculata, undique sparse sericea. Genus ab omnibus distinctissimus, Tetrapogoni proximus a quo differt glumis florentibus 7 costatis. 143. Negria melicvides Chiov. Herba perennis, longe lateque stolonifera, innovationibus cae- spitosis valde compressis, vaginis distichis, acute carinatis laminis abbreviatis 3-10 cm. longis, 2,5-:3 mm. latis, acutissimis. Culmi gra- ciles erecti, compressi, glaberrimi, cum inflorescentia, 12-40 cm. elati; vaginae internodiis breviores, strictae, glabrae; ligulae bre- vissimae subnullae. Racemi 3-7 cm, longi, subsessiles vel pedunculo tenui usque ad 12 mm. longo suffulti; rhachis tenuis triquetra, glabra, flexttosa. Spiculae in pedicello 1 mm. circ. longo, 3 mm. longae, apice 2,5 mm. latae. Gluma sterilis I 2,2 mm. longa, 1 mm. lata, II 1,8 mm. longa, 0,5 mm. lata. Gluma florens I 3 mm. longa explanata, 2,5 mm. lata. Galla Arussi: tra l’Hauasch e Dire Daua fra Laga Arbà e Miesso lungo la strada dell’Assabot in luoghi cespugliosi umidicci m. 1086-1280 14-15 VII. 1909. (G. Negri n. 1827). 144. Pappophorum laxum Chiov. Annuum a basi ramosissimum et densissime fasciculatum; rhi- zomate? brevissimo; reliquiae caulium anni praecedentis nullae: innovationes rarae erectae, potius caules serius evolventes; planta undique dense et breviter velutina. Caules 20-30 cm. elati, basi flexuoso-infracti, internodiis abbreviatis 1,5-3 cm. longis; nodi in vaginis subasconditi, dense pubescentes; internodium supremum 12- 18 cm. longum asperrimum, denticulis sursum versis. Vaginae laxae, internodia aequantes vel longiores, ore annulo densissime piloso pro ligula praeditae; laminae anguste lineares, longe setaceo-acumi- natae 6-15 cm. longae, 2,5-3 mm. latae, longitudinaliter cum 5 nervis TOI IRR RIEN 4 oe RARO INIT LONG e N NESTA E n Z Y; » * Sg CRAL 32 OCT pri Ae ONE Ure ; ha pica aa 3 ua tota Pl I — 412 — crassioribus intermixtis pluribus aliis tenuioribus. Panicula angusta elongata, erecta vel apice subnutans, 8-10 cm. longa 15-20 mm. lata: rami omnes solitarii inferne 5-10 mm. nudi capillares; pedi- celli spicularum tenuissimi 2-5 mm. longi. Spiculae biflorae flore I hermaphrodito, II masculo; glumae steriles membranaceae I ovato- oblonga apice obtusiuscula 9-nervia, 4 mm. longa; II lanceolata, acuminata 5-nervia, 5 mm. longa, ambae dorso velutinae, nervi la- terales ante apicem evanescentes. Gluma florens I cum parte in- tegra reniformi 2 mm. longa et lata, dorso in ‘/, inferiore dense et; aequaliter sericeo-barbata, in reliquo glabra vel gradatim glabre- scens; aristae 9 marginibus scabris non ciliatis, arcuato-divaricatae, 3-3,5 mm. longae, violaceo subpictae, basi paullo dilatatae. Gluma florens II quam I minor, breviter stipitata et in ea omnino abscon- dita, glaberrima. Paleae utriusque floris glumam florentem duplo superantes hialinae, apice truncatae, carinis viridibus scabrulis. An- therae flavae 1,5 mm. longae. Caryopsis ignota. Eritrea: Habab a Maghber 16.IV.1909 (Pappi n. 8089 e 8110 insieme P. scoparium Stapf. brachystachyum var. trilophum Chiov. et Schimperianum Hochst.). Differisce dal P. brackystachyum Jaub. et Spach per le pannochie più lasse; per la gluma fiorente I diversamente pelosa, per le areste non ciliate e pei cauli più elevati. 145. Pappophorum brachystachyum var. trilophum Chiov. Gluma florens I dorso inter fascicula lateralia piloram ad basim posita, tertium fasciculum adest ab illis regione glaberrima optime circuscriptum. Eritrea: Habab a Maghber 16. IV. 1909 (Pappi n. 8111 con P. scoparium laxum e Schimperianum). La chiave analitica per la specie di Pappophorum della Colonia Eritrea da me proposta nel 1902 andrebbe così modificata. I. Glumetta I con peli uniformemeute distribuiti su tutto il corpo della glumetta o almeno nel terzo inferiore, essendo essi eva- nidi verso l’alto; mai in due o tre ciuffi distinti tra loro. A. Glume sterili ambedue trinervie P. scoparium Stapf. AA. Gluma sterile I con 2-7 nervi, la II con 3-5. B. Pannocchia lineare allungata densa continua, glume grigio- brune, areste ciliate; palee un po’ più lunghe delle glumette. C. Gluma II trinervia asimmetrica P. abyssinicum Hochst. CC. Gluma II 5 nervia simmetrica P. Schimperianum Hochst. dA e BB. Pannocchia lanceolato-allungata lassa, più o meno interrotta o lobata: glume biancastre o violacee, reste non ciliate: palee lun- ghe il doppio delle glumette. /. larxum Chiov. II. Glumetta I munita nella parte inferiore dei due margini presso l’inserzione, di due grossi ciuffi di peli argentini separati tra loro da una zona glabra. P. brachystachyum. Talora con interposto un terzo ciuffo dorsale separato dagli altri due da due zone glabre var. trilophum Chiov. 146. Pogonarthria Hackelii Chiov. P. falcata Chiov. (non Rendle) ap. Pirotta Fl. Colonia Eritr. p. 826, n. 256 escl. sinon. Perennis, dense caepitosa undique glaberrima, os vaginarum an- nulo pilorum brevissimorum praeditum exceptum; culmi erecti, basi subgeniculati internodiis 4 cylindricis, robustis laevibus ad 3 mm. crassi, supremum 35-40 cm. longum, 0,60-1 m. et magis elati. Folia in sicco convoluta, explanata 3-4mm. lata, apice acutissima 15-20 mm. longa, laevia, glabra supra longitudinaliter nervoso-striata; vaginae strictae, laeves, internodii '/, vel '/, aequantes, ligula annulo piloraum brevissimorum substituta. Panicula lineari-lanceolata, 20 cm. circ, longa, 2-3 cm. lata, erecta, vel apice subnutans; rhachis in- ferne cylindrica, laevis, superne sulcata-angulosa, scabra; rami in- fimi 1.2, reliqui 2-5 erecti vel erecto-patuli, simplices, ramos lineares formantes sursum plerumque plus minus incurvi 10-18 mm. longi, vel in speciminibus elatioribus subrecti, elongati flaccidulis usque ad 5 cm. longi, a basi spiculiferi. Spiculae pedicello 1-2 mm. longo, unilaterales 5-3 mm. longae, 1,5-2 mm. latae, brunneo-livescentes; rhachilla tenax scabrula, 4-4,5 mm. longa, flexuosa, ad scutellos su- periores glumiferos parce barbata, supremi longiuscule pilis albis setosis paucis vix 0,4 mm. longis in inferioribus glabra. Glumae steriles inaequales lineares acutissimae, I brevior 1,5 mm. longa, 0,4 mm. lata, II 2 mm. longa, 0,5 mm. lata, avibae uninerviae in carina scabrulae. Flosculi 8-10 arcte appliciti supremus ad pedicel- lum reductus: glumae florentes, ovato-lanceolatae, apice longe acu- minato-mucronatae, 3 mm. longae, 1 mm. latae, integerrimae, apice sensim in acumen attenuatae, 3-nerviae, dorso undique sub vitro gra- nuloso-scabrae; paleae ovatae apice truncato-denticulatae, carinis scabris, glumis ipsis '/, breviores, glumae 1-2 supremae vacuae basi pilis dimidiam glumam praeditae, glumae intermediae pilis brevibus vel brevissimis, infimae sine pilis. Lodiculae minutissimae. Stamina ANNALI DI BoTANICA — Vor. X. 27 SETE Li, n LIT VS a IRE NRE AES NR A) REC CR AI — dld — 3, antheris 0,8 mm. longis, flavis. Ovarium oblongum glaberrimum, stylis duobus liberis, basi glabris, apice pinnatim stygmatosis. Caryopsis ovato-oblonga turgida, minuta, 0,5 mm. longa, 0,25 mm. lata et crassa, laxissime in palea inclusa. P. falcata Rendl. sec. specimen Schlechteri n. 4562 differt ra- cemis partialibus angustioribus, gracilioribus, spiculis minoribus, glumis multo minoribus praeditis, rhachilla articulata, paleis post lapsus glumarum persistentibus. Eritrea: Acchelé Guzai a Coatit m. 1800, 20. IX. 1902 (Pappi n. 2011); Dembelas lungo il Mai Albò 25. IX. 1093 (Pappi n. 6100). Il prof. Hackel, onorando di sua gradita visita il Museo Colo- niale, richiamò la mia attenzione sulla differenza della presente specie dalla P. falcata, a lui per ciò di diritto l’ho dedicata. Questa specie giustifica pienamente la mia proposta di fondere i due ge- neri Pogonarthria e Desmostachya in uno. Il prof. Thonner (1) sì è sforzato a cercare caratteri per separare i due generi: ecco le dif- ferenze proposte da lui: Pogonarthria Desmostachya Aehrchen 2-8-bliitig, mit ge- Aehrchen vielblutig, mit un- gliderter, gewimperter Spindel. | gegliederter Spindel. Schwell- Schwellschiippchen ser Klein. | schuppchen ziemlich gross. Frucht lineallinglich, von den Frucht eirund, von den Spel- Spelzen eng umschlossen. zen locken umschlossen. Non occorrono molte parole a dimostrare la speciosità di questi caratteri, poichè è evidente che gli unici caratteri con qualche im- portanza sono le dimensioni delle lodicole e la divisibilità in arti- coli della rachilla (la cariosside chiusa nella glumetta non vale perchè altrimenti gli orzi nudi per es. si dovrebbero separare per analogia genericamente); ma noi vediamo che la nostra pianta che ha della Pogonarthria le lodicole, ha della Desmostachya invece la rachilla tenace. Anche la forma della cariosside è nella nostra specie esat- tamente intermedia tra i due generi. È poi anche assai importante rilevare i caratteristici peli del callo dei fioretti che nella nostra pianta variano da 0 nei fioretti infimi a lunghi fino 1 mm. nei fioretti supremi, crescendo essi a poco a poco, e perciò anche per questo carattere la specie da me proposta è intermedia tra la Po- gonarthria falcata e la P. bipinnata. (1) Fr. THONNER — Die Blutenpflanzen Afrikas (1908), p. 99. "a da, ” ", . * Anche la P. tuberculata Pilger per la forma dell’ovario « late ovoideum » si avvicina alla P. bipinnata. Questa specie dell’Africa tedesca S. W. differisce dalle altre specie tutte per le foglie irsute di peli tubercolati, colla fauce delle guaine lungamente ciliata; per le glume fiorifere più lungamente setoso-mucronate all’apice, con setola uguagliante circa metà della gluma. Reliquie Cesatiane. Funghi del Piemonte del Dottore CESARE MASSA. (Tav. IV) SECONDA CONTRIBUZIONE. Riferisco in questa nota osservazioni da me fatte, su parte del materiale inedito dell’Erbario crittogamico del Cesati, che vien con- servato nel R. Orto botanico di Roma. Il materiale, gentilmente favorito, dal Chiarissimo prof. Romualdo Pirotta, direttore di quel- l’Istituto botanico, comprende numerosi funghi interessanti, rac- colti in maggior parte dal Cesati, specialmente nel Vercellese e sui monti di Oropa, altri dall’abate Carestia a Riva Valdobbia (Val Sesia), altri dal Rostan nei dintorni di Pinerolo. Su queste raccolte, preziose per la flora micologica del Piemonte, già ebbe a riferire in una prima contribuzione dal titolo di eli- quie Cesatiane (1) il Chiarissimo prof. Teodoro Ferraris, direttore di questo Osservatorio fitopatologico e fa appunto dietro il suo be- nevolo invito che ho messo mano alla revisione del materiale, che ci rimaneva ancora da studiare. Peri numerosi e interessanti esem- plari ch’ebbi così in esame, tale studio fu per me gratissimo insegna- mento; di questo devo rendere sentite grazie all’illustrissimo Pro- fessore che me ne dette modo, come gli debbo profonda riconoscenza per avermi iniziato agli studi di micologia e per essermene sempre paterna guida. Con questa nota mi terrò poi contento di avere contribtito, seb- bene in piccola parte, a mettere in degna luce il frutto delle col- lezioni del Cesati, del Carestia s del Rostan, tanto benemeriti rac- coglitori. Dal laboratorio di patologia vegetale della R. Scuola di Enologia e Viticoltura. Alba, 15 aprile 1912. (1) Dott. T. FERRARIS. — Reliquie Cesatiane. — Primo elenco di funghi del Piemonte. Annuario del R, Istituto botanico di Roma, fascicolo 3°, anno IX. Estratto. Roma, editore Voghera 1902. ARRE an MERA TE TO bon Dita TE e Ae ae A, 0 A Ann vo i ATI Pi ‘ ante È. | lai gia I ihe RR ee 1, RIEN SFATT Kra? DEA DES — 418 — HYMENOMYCETAE. Panus stipticus (Bull.) Fr. Sacc. Syll. V, p. 622. Sciolze (Cesati!). (YASTEROMYCETAE. Cyathus vernicosus (Bull.) De Cond. Sacc. VII, p. 38. Vercelli (Cesati !) 1848. Tylostoma campestre Morg. Sacc. Syll., p. 160; Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 127; Lloyd. Tylost. Tav. 84, fig. 6-7. Vercelli (Cesati!). Geaster minimus Schwerin Sacc. Syll. VII, p. 80; Petri Gaste- rales in FI. Ital. Crypt. p. 69. Goyola (Cesati!) 1861. Oss. — Il Cesati lo determina nel pacchetto come Geaster Ce- sati. Il Petri ne dà la figura e cita tra i sinonimi G. Cesatii Ra- benhorst. Geaster rufescens (Pers.) Fries Sacc. Syll. VII, p. 88; Petri Ga- sterale in FI. Ital. Crypt., p. 84; fig. 45. Sciolze, Vercelli (Cesati !). Oss. — Il materiale forse per il lungo tempo trascorso è imbru- nito e su tali esemplari per il disseccamento non sono ben visibili i caratteri del peristomio. Sono invece caratteristiche le screpola- ture trasversali delle lacinie che ci danno l’aspetto generale del G. rufescens. Geaster floriformis Vitt. Sacc. Syll. VII, p. 87; Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 81, fig. 43. Vercelli, greti erbosi del Sesia (Cesati!) 1862. Bovista plumbea Pers. Sacc. Sull. VII; p. 96, Petri Gasterales in Fl. Ital. Crypt., p. 62. Vercelli « in pascuis paludosis exsiccatis » (Cesati!) 1849. Bovista nigrescens Pers. Sacc. Syll. VII, p. 99, Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 61. Riva Valdobbia (ab. Carestia)! N. 243, 1861. Vercelli (Cesati!) 1850. Lycoperdon gemmatum Batsch. Sace. Syll. VII. p. 106, Petri Ga- sterales in FI. Ital. Crypt., p, 38. Lloyd Mycological Notes Plate 46, fio. 3. Vercelli, Oropa, Biella (Cesati!). TRE UINE e ORI Pa de wi 419 Oss. — Im parecchi esemplari la determinazione dovette essere fatta coi caratteri esterni, dal portamento, dalle ornamentazioni e dagli aculei a volte lunghi e ondulati. Trattandosi di esemplari poco sviluppati e giovani non erano in essi ben definiti i caratteri microscopici e non ancora bene di- stinte le masse del capillizio, in certi casi poi le spore erano su- blevi invece che « asperule >» come dalla diagnosi del Petri. Lycoperdon polymorphum Vitt. Sace. Syll. VII, p. 110, Petri Ga- sterales in FI. Ital. Crypt., pp. 47-49. Lloyd. Mycological Notes N; ‘192-1900;- Plate 52, fig. 1. 3. 46,.6, 10. Vercelli (Cesati!) RA VELIOLbA (Ab. Carestia!), N. 490. Oss. — In qualche esemplare. quelli raccolti dal Carestia ed in altri del Cesati, il portamento è come nelle figure e nella descri- zione del Petri. Solo pochi, mancando caratteri sicuri per riferirli ad altra specie sono stati determinati per il portamento esterno come L. polymorphum confrontandoli con le belle fotografie del Lloyd, anche se le spore non erano pedicellate come nella specie. tipica. Lycoperdon pusillum Batsch Sace. Syll. VIL p. 110. L. furfuraceum (Schaeff.). De Toni Petri Gasterales in FI]. Ital. Crypt., p. 48, Lloyd. Mycological Notes N. 19, 1905, p. 216 Plate DI Ig Hab. « In Cerci siliquastri lignum ». Vercelli 1895, Biella 1855 (Cesati!). (?) Lycoperdon saccatum Wahl. Sace. Syll. VII, p. 128, Petri Ga- sterales in Fl. Ital. Crypt., p. 53, fig. 25-26. Vercelli, Sciolze (Cesati !). Oss. — Determinazione però dubbia non essendosi veduti, nep- pure staccati dalle spore, i peduncoli che le dovrebbero portare, per la stessa ragione non è neppure riferibile a L. polymorphum. Nell’esemplare raccolto a Sciolze i caratteri sono parecchio di- scordanti. Mentre il portamento lascierebbe sospettare che fosse una Bovista plumbea, la base dell'esemplare tagliato si presenta larga- mente cellulare, indicando un vero Lycoperdon, così pure il capil- lizio a filamenti molto allungati, poco ramificati, sottili e feltrati non è di una Bovista. Le spore sono in questo esemplare chiara- mente pedicellate ed echinulate come nel L. saccatum del Petri fig. 26, p. 54 (Op. cit.), mentre non a caratteri esterni delle Ho 25-55. Lycoperdon molle Pers. Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 40, fig. 11-12 Lyc. gemmatum Batsch. var. molle Pers. Sacc. Syll. VII, p. 107. Lea al de TA e Ri eden te citi i leer pit il È i È ARIA TAR AI o a Ra A — 420 — Biella, 1855 (Cesati!). Astraeus stellatus (Scop.) Fischer Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 133, fig. 81, Geaster hygrometricus Pers. Sace. Syll. VII, p. 90, Lloyd. The Geastrae, p. 9, fig. 10. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 244, 1861. Vercelli, San Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1863. Valli di Pinerolo (Rostan!). Oss. — Gli esemplari di Rostan ridotti in masse quasi amorfe, polverulenti, non presentano altri caratteri che le spore leggermente olivaceo-fuligginose di p. 5 di diametro. Pisolithus arenarius Alb. et Schwein, Petri Gasterales in FI. Ital. Crypt., p. 408, Sacc. Syll. VII, p. 148 come Polysaccum Piso- carpium Fr. Pinerolo (Rostan!). Oss. — Spore verrucolose giallo fosche olivacee n. 7 di diametro, fiocchi numerosi dello stesso colore. UREDINACEAE. Puccinia Baryi (Berck.) et. Br. Trotter Uredinales in FI. Ital. Crypt., p. 803 Sacc. Syll. VII, p. 660. Vercelli, 1861 (Cesati!). Oss. — Associato a Gnomonia setaceo (Pers.) Ces. e Pleospora in- fectoria Fuck. Aecidium Campanulae Gaillard. Sace. Syll. VII, p. 806. Hab. — Su Campanula rotundifolia. Alpi del laghetto d’ Oropa (Cesati!) 1859. PYRENOMYCETAE. Myriococcum praecox Fr. Sace. Syll. I, p. 29. Hab. — Su tronchi fracidi di varie piante. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 308, 1863. Enchnoa lanata Fr. Sacc. Syll. I, p. 90 Traverso. Pyrenomycetae in FI. Ital. Crypt., p. 362. Hab. — Su tronco di Betula. S. Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1838. Eutypa subtecta (Fr.) Fuck Sacc. Syll. I, p. 164. Traverso Pyre- nomycetae in Fl. Ital. Crypt., p. 133. Hab. — Sul Solanum dulcamara Grotta del Mago (Cesati!) 1860. Anthostomella perfidiosa (De Not.) Sacc. — Sace. Syll. I, p. 286. Hab. — Su corteccia di Acer pseudoplatanus. — 421 — Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 413. Oss. — Aschi p. 150-170 v 12-15, parafisi, spore p. 22-24 v 9-12, episporio obivaceo semplice, avvolto da una mucillagine amorfa. Botryosphaeria Dothidea (Mong. et Fr.) Ces. et De Not. Sace. Syll. I, p. 460. Traverso Pyrenomycetae in FI. Ital. Crypt., p. 410. Hab. — Sulla corteccia di rametti di /obinia. Vercelli (Cesat1!) 1850. Botryosphaeria Berengeriana De Not. Sacc. Syll. I, p. 457. Tra- verso Pyrenomycetae in FI. Ital. Crypt., p. 457. Hab.— Su cauli di Populus sp. Vercelli (Cesati!). Melanopsamma pomiformis Sacc. — Sace. Syll. I, p. 575. Hab. — Su corteccia di Betula. Biella (Cesati!). Oss. — Aschi 34-73 v 20 p spore 15 v 8 p. Bertia moriformis (Tode) De Not. Sacc. Syll. I, p. 582. Hab. — Su caule di Rudus Idaeus. San Giovanni d’Andorno (Cesat1!) 1857. Gibbera Vaccinii (Sow.) Fr. Sacc. Syll. I, p. 600. Hab. — Su caule di Vaccinium. San Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1857. Gnomonia acerina Starb Sace. Syll. IX, p. 674. Traverso Pyre- nomycetae in FI. Ital. Crypt., p. 342. Hab. — Su foglie di Acer pseudoplatanus. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 280, 1863. Oss. — Diversa per le spore maggiori da G@. Cerastis (Riess) Ces. Gnomonia setacea (Pers) Ces. Sacc. Syll. I, p. 563. Traverso Pyre- nomycetae in Fl. Ital. Crypt., p. 339. Hab.— Su foglie di Castanea, Quercus. Su Brachypodium Vercelli (Cesati!). Oss. — Per quanto riguarda la forma snl Brachypodium il Ce- sati, che all’esemplare ha unito uno schizzo, avrebbe voluto farne una varietà della specie tipica. Non mi è stato però possibile tro- vare ancora ì periteci rostrati come li disegna il Cesati, su tale materiale trovansi invece altri funghi; la forma teleutosporica della Puccinia Baryi Berk et Br. e la Pleospora infectoria Furk. Metasphaeria Dulcamarae Massa (Tav. IV, fig. 2). Hab.— Sul Solanum Dulcamara (rametti). Vercelli (Cesati!) 1852. Diagnosi. — Peritheciis gregariis eraumpentibus, quandoque se- cundum rimas epidermidis lineariter dispositis, atris, sphaericis, ascis numerosis clavatis 75 v 12 p, paraphysibus filiformibus, basi e a IR ARIE TO Sa GI E ATA Ie, ATTO — 422 — attenuatis, sporidiis parum curvulis, 8 septatis, ad septa leniter constrictis 27 v p hyalinis. Oss. — I periteci riuniti in gruppetti erompenti specialmente in linee longitudinali lungo gli spigoli dei rametti, sono neri globosi, gli aschi clavati, numerosi misurano p 75 v 12, le parafisi fili- formi si fanno un po’ più grosse all’estremità superiore, le spore ialine, trisettate, leggermente curvule e ristrette ai setti misurano p:27% vb. Lasiosphaeria faginea (De Not. et Ces.) Massa (Tav. IV fig. 1). Botryosphaeria faginea De Not. e Ces. in herb. (nomen et icon.) Hab. — In disco Magi marcescente. S. Giovanni d’Andorno (Cesatì!) 1860. Diagnosi. — Peritheciis carbonaceis superficialibus, aggregatis, quandoque confluentibus in crustam rubiginosam dein atram, pri- mum rubiginoso-furfuraceis vel subtomentosis, dein subglabris, ostiolo distineto prominulo ; ascis fusoideo-clavatis, basi attenuatis, pedicellatis 100-150 v 12-14 p; paraphysibus filiformibus, nume- rosis, flexuosis, simplicibus (rarius furcatis) sporidiis subfusoideis, utrinque attenuato-rotundatis, rectis vel lenissime subcurvulis, ini- tio 3-4 guttulatis dein medio distincte septatis et constrictis (quan- doque septis secundariis parum distinctis et vix certis praeditis) 30-86 v 8 p, byalinis. Oss. — Lo stroma superficiale e formante una incrostazione dap- prima ocracea poi nera, presenta dei periteci subimmersi, globosi, se giovani rivestiti da una massa polverosa come ruggine, poi neri, parafisi filiformi, o meno frequentemente leggermente ramose bi- forcate. Gli aschi numerosi clavati allungati misurano p. 100-150 v 12-14 con spore fusoidee ialine 30-36 v 8 p. unisettate, attenuate alle due estremità col setto mediano ben distinto (a volte due o più setti secondari, poco distinti). La specie è affine a L. viridicoma (C. et Peck). Sacc. Syll. II, p. 193 e a L. canescens (Pers.). Kack. Sace. Syll. II, p. 193 da esse però ben distinta per i caratteri indicati. Lasiosphaeria spermoides (Hoffm.) Ces. et De Not. Sacc. Syll. II, p. 196. Hab. — Su pezzetti di legno di Fagus. S. Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1861. Lasiosphaeria Rhacodium (Pers.) Ces. et De Not. — Sphaeria Fha- codium Sacc. Syll. II, p. 194. Hab.--- Su legno fracido di Populus. Lasiosphaeria crinita (Pers.) Sacc., varietà arenationis Desm, Sace. Sy. I; p./201 = Magra Hab. — A terra Vercelli (Cesati!) 1849. Lasiosphaeria setosa Schw. Sace. Syll. XIV, p. 592. Hab. — Su tronchi putridi di Alnus viridis. Riva Valdobbia (Ab Carestia!) M. 24, 1857. Lasiosphaeria flavescens (Fr.) Sacc. — Sace. Syll. II, p. 204. Hab.— Su erbe indeterminabili, caulicola. Vercelli (Cesati!) 1850. Plieospora infectoria Fuck. Sace. Syll. II, p. 265. Hab.— Su spighe di Brachypodium. Vercelli (Cesati!) 1861. Oss. — Associato a Gnomonia setacea (Pers.) Ces. e Puccinia Baryi Berk et Br. Lisea nemorosa Sacc. — Sace. Syll. II, p. bLT. Hab.— Su cauli di Spartium. Vercelli (Cesati!) 1860. Gibberella acerina Massa (Tav. IV fig. 3). Hab. — In ramis corticatis Aceris campestris. Vercelli (Cesati!) 1842. Diagnosi. — Peritheciis obovatis, piriformibus, vel irregulariter subglobosis, majusculis, vertice papillatis, contextu fusco-violaceo confertissimis, caespitulos 2 mm. et ultra formantibus, subsuper- ficialibus, basi stromate celluloso purpureo fusco carnoso insiden- tibus. Ascis oblongo-clavatis, stipitatis octosporis 80 v 18 p. (ple- rumque); sporidiis subdistichis rectis oblongo fusiformibus, obtusis, triseptatis, septis constrictis, 24 v 7 ». hyabinis. Paraphysibus nullis. Oss. — Affine a G. pulicaris (Fr.) Sace. da cui differisce per i periteci più grandi, per lo stroma non formato della sostanza della matrice, per qualche differenza nella dimensione degli aschi, delle spore; affine pure alla G. moricola (De Not.) Sace. Per gli aschi e le spore molto si avvicinerebbe alla Calonectria decora (Wallr) Sacz. che vive sulla stessa matrice, ma da essa è ben diversa per il colore bruno violaceo e non miniato dei periteci e dello stroma. Claviceps purpurea (Fr.) Tul. Sacc. Syll. II, p. 564. Hab. — Sulla Secale, su Brachypodium, Festuca, Agrostis, Pha- laris, Holcus, Lolium. Vercelli (Cesati!) 1849-1851. Oss. — Gli sclerozi della Claviceps variano di dimensioni per la diversa grandezza degli ovari su cui si sviluppano. Sugli esem- plarì osservati ho notato che sul Brackypodium lo sclerozio è lungo circa 8-11 mm., sulle Agrostis 24 mm., sulle PhRalaris 5-10 mm., sul Lolzum 46 mm. * SPIE LOI PROT e, i BET PC RIAPRE, la: — 494 — Claviceps pusilla Ces. Sace. Syll. II, p. 565. -Hab. — Sull’Andropogon. Vercelli (Cesati) 1850. Oss. — Scelerozi appuntiti da 4-8 mm. di lunghezza. Claviceps microcephala (Wall.) Tull. Sace Syll. II, p. 565. Hab. — Su Nardus stricta. Oropa 1859-1800 (Cesati !). Oss. — Sclerozi cilindrici curvuli lunghi 8-10 mm. PROTOMYCETAE. Endegone macrocarpa Tul. Sace. Syll. VITI, p. 906. Rabenhorst’s Krypt. Flora Tuberaceae. Leipzig 1896, p. 121. Hab. — A terra Vercelli (Cesati!) 1850. Oss. — Globuli giallo-cistrini simili a piccoli Lycoperdon, di con- sistenza terrosa compatta forniti come di una piccola radice. Se- zionando si vedono degli ammassi di corpi sferici, giallo-verdastri chiari, che a forte ingrandimento sì mostrano quali vescicole bianche pellucide, pluricellulari, a struttura pseudoparenchimatica; parec- chie di queste vescicole presentano poi una specie di peduncolo e una forma più allungata quasi a pera. SPHAEROPSIDACEAE. Phoma errabunda Desm. Sace. Syll. III, p. 128. Hab. — Su cauli di Verbdascum. Vercelli (Cesati!). Oss. — Spore 3 — 4,5 v 1,5 p.: periteci 215-200 p.. Phoma coenanthicola Thim, Sace. Syll. ITT, p. 151. Hab. — Su fruttescenza di Ficus (Cesati!) 1843. Vermicularia trichella Fr. Sacc. Syll. III, p. 224. Hab. — Su foglie putrescenti sul terreno di Populus, Lo- binia, ecc. Vercelli (Cesati!) 1861. Oss. — Spore 7 v 3p 1aline, periteci diametro x 850-1000 se- tole opache, continue lunghe 300-350 p. Dothiorella gregaria Sacc. — Sacc. Syll. III, p. 236. Hab. — Su legno di Salix (Cesati!). Diplodia Castaneae Sace. è) corticola Sace. — Sace. Syll. ITI, p. 354. Hab. — Su costeccia di Castanea. Val Barbina (Scopello in Val Sesia) (Ab. Carestia!) N. 359. O Oss. — Su tale materiale il Cesati dà pure Amphlisphaeria fallax De Not. da me non più ritrovata. Chaetodiplodia arachnoidea (Ces.) Sacc. — Sace. Syll. III, p. 37b. Hab. — Su legno di Fagus. San Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1861. Oss. — Socio a Lasiosphaeria spermoides. (Hoffm.) Ces. et De Not. Septoria Solidaginis Thiim Sace. Syll. III, p. 546. Hab. — Su foglie di Solidago. Biella (Cesati!) 1858. Leptothyrium Periclymeni (Desm.) Sace. — Sace. Syll. III, p. 626. Hab. Su foglie di Lonicera coerulea. Cogne (Aosta) (Ab. Carestia!) N. 322, 1863. HYyYPHOMYCETAE. Botrytis epigea Link var. rosea Sacc. — Sace. Syll. IV, p. 136 = Hyphelia terrestris Fr. Hab. — Sul terreno Vercelli (Cesati!) 1849. Oss. — Nella revisione non rinvenni caratteri che potessero ser- virmi per una determinazione diretta, osservai solo l’aspetto roseo della massa miceliare. Il Saccardo esclude il genere Hyphelia, cre- dendo poi di riferire l’Hyphelia terrestris Fr. alla specie qui ci- tata. Torula viticola Allesch. Sace. Syll. IV, p. 610. Hab. — Sulla Vite (Cesati!) 1843. Aegerita candida Pers. Sacc. Syll. IV, p. 661. Hab. — Su di un frammento di corteccia. Andorno (Cesat1!) 1844. Oss. — Sporodochi subglobosi, subfarinacei, sporofori bianchi ci- lindracei, un po’ crassi e leggermente curvuli. Volutella pulchella Ces. Sacc. Syll. IV, p. 684. Hab. — Su foglie di Populus, steli di Polygonum umificati sul terreno. Vercelli (Cesati!) 1830. Oss. — Il nome primitivo dato alla specie dal Cesati era Thy- sanopyris pulchella Ces. Volutella ciliata (A. S.) Fr. var. stipitata (L.) Sacc. Syll. IV, p. 683. Hab. — Su foglie di Robinia Cesati 1847. SOTTILI RT LORI el VARIO PRE at TI asa dA Ei 49000 MYCELIA STERILIA. Sclerotium tectum Fr. Sacc. Syll. XIV, p. 1140. Hab. — Su frammenti putrefatti di Veratrum album. M. Ce- nisio (Cesati!) 1857. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 7, 1852. Su foglie di Iris di Galega Vercelli (Cesati!). Sclerotium complanatum Tode. Sace. Syll. XIV, p. 1140. Hab. — Su Thalictrum Oropa Cesati! Vercelli (Cesati!) 1850. Sclerotium Solani P. Brum. Sace. Syll. XIV, p. 1141. Hab. — Su radici di Solanum tuberosum. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 458, 1865. Oss. — Non ho creduto di considerarlo come una specie nuova come ha fatto il Cesati che lo nomina Sclerotium myriadeum Ce- sati. Penso che si tratti di piccoli esemplari dello Sclerotium So- lani P. Brun. con sclerozi arrotondati aderenti e sparsi alla super- ficie ed all’interno della radice, dando al complesso un aspetto gri- giastro puntulato di nero. Sclerotium Semen Tode Sacc. Syll. XIV, p. 1142. Hab. — Nel midollo di Phytolacca. Vercelli (Cesati!) 1850. Su foglie di Populus tremula. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 129, 1859. Su cauli e foglie di Angelica e di Pastinaca. Su cauli di Lychnis dioica. Vercelli (Cesati !) 1850. Sclerotium vulgatum Fr. Sace. Syll. XIV, p. 1142. Hab. — Su foglie putrescenti di Verbascum phlomoides. Vercelli (Cesati!) 1849. Sclerotium mycetospora Fr. Sace. Syll. XIV, p. 1147. Hab. — Su foglie putrescenti di Populus ed altre piante di- verse. Vercelli (Casati!) 1850. Sclerotium stipatum Fr. Sacc. Syll. XIV, p. 1147. Hab. — Su diverse erbe Dipsacus, Vicia. Vercelli (Cesati!) 1850. Uss. — Per i caratteri esterni molto somigliante a Myriococcum praecox Fr. affinità notata pure dal Saccardo. Sclerozio di p 160 o poco più di diametro. Sclerotium fuscum Wall. Sace. Syll., p. 1149. — 427 — Hab. — Su cauli di Ornithogalum. Vercelli (Cesati!) 1850. Sclerotium udum Fr. Sacc. Syll. XIV, p. 1153. Hab. — Su canli di Scirpus (Cesati !). Sclerotium muscorum Pers. Sace. Syll. XIV, p. 1154. Hab. — Tra i muschi sul terreno. Oropa (Cesati!) 1859. Sclerotium fungorum Pers. Sace. Syll. XIV, p. 1155. Hab. — Su frammenti di fungo indeterminabili. Vercelli (Cesati!) 1850. Biella. Sclerotium Amanitae Fingerhut Sace. Syll. XIV, p. 1155. Hab. — Su frammento di Amanita. Biella (Cesati!). Sclerotium inclusum Schmidt Sace. Syll. XVI, p. 1159. Hab. — Su foglie di Populus. Vercelli (Cesati !) 1850. Sclerotium sulcatum Desm. Sacc. Syll. XIV, p. 1160. Hab. — Su cauli di piante indeterminabili. Costalunga (Cesati!) 1846. Sclerotium sphaeriaeforme Lib. Sace. Syll. XIV, p. 1161. Hab. — Su canli di piante indeterminabili. Sclerotium Cyparissiae DC. Sacc: Syll. XIV, p. 1162. Hab. — Su foglie e cauli di Euforbia. Vercelli (Cesati!) 1861. Sclerotium graminum Desm. Sace. Syll. XIV, p. 1163. Hab. — Su graminacee. Vercelli (Cesati !). Sclerotium culmicola (Ces.) Massa (Tav. IV, fig. 4). Hab. — Su culmi di Agropyrum. (Cesati !) 1847. Diagnosi. « Subfusiforme-elongatum, apicibus attenuatis supe- riore demum liberatum, levigatum, sub lente minutissime et lon- gitudinaliter lineatum, nitens, minime pruinosum, cortice crasso nigro vel fuscescenti nigro, nucleo albo flocculoso ». Oss. Sclerozio originantesi sul culmo appena sopra ai nodi av- volto dapprima dalla guaina fogliare poi libero, lungo da 15 a 20 mm. di forma affusolata, più piccola superiormente, a superficie liscia, nera, lucente, con poche impressioni longitudinali, forse prodotte dalle guaine adiacenti durante là formazione dello scle- rozio, il nueleo interno è bianco fioccoso, secondo l’osservazione del Cesati fatta sul fresco, sul materiale secco si nota invece che in — 428 — qualche tratto il nucleo bianco all’interno è seccato e si è staccato non rimanendo che la parte corticale spessa nera, opaca. Sclerotium fulvum Fr. Sacc. Syll. XIV, p. 1163. Hab. — Su foglie di Secale impuditrite sotto le nevi invernali. Riva Valdobbia (Ab. Carestia!) N. 147 1859. Sclerotium roseum Mong. Sacc. Syll. XIV, p. 1163. Hab. — Su culmi di Carex. Vercelli (Cesati !) 1849. Oss. — Differisce dal tipo non presentando solco longitudinale, potrebbe trattarsi di una forma giovane, è roseo anche all’esterno non nero opaco come indica il Saccardo per il tipo. Sclerotium durum Pers. Sacc. Syll. XIV, p. 1164. Hab. — Su cauli di piante indeterminabili. San Giovanni d’Andorno (Cesati!) 1839. Vercelli (Cesati,!) 1850. Su cassule di Oenothera. Vercelli (Cesati!) 1850: Su fusti secchi di Veratrum album. Riva Valdobbia (Ab Carestia!) N. 59 1857. Oss. — Il Cesati riferisce pure una sottospecie S. Fuscum Fr. di cui non ho potuto rivedere i caratteri per confermarla. (?) Sclerotium convexulum Schw. Sacc. Syll. XIV, p. 1165. Hab. — Su cauli di Angelica. Vercelli (Cesati !) 1850. Oss. — La determinazione è dubbia per gli scarsi caratteri dello sclerozio. Anche il Saccardo dà questa specie su tale matrice. Sclerotium varium Pers. Sacc. Syll. XIV, p. 1166. Hab. — Su canli di Brassica. Vercelli (Cesat1!) 1861. Su cauli di Eupatorium. S. Martino Adrara (Rota!) 1849. Sulla Secale. Vercelli (Cesati !) 1850. = Oss. — Gli esemplari sulla Secale sono stati riteriti dal Cesati come S. fulvum Fr. però non con certezza, mi sembrerebbero in- vece sclerozi giovani di Sclerotium varium. Pers. Sclerotium Uvae Desm. Sacc. Syll. XIV, p. 1167. Hab. — Su acini d’uva. Vercelli (Cesati!) 1848. Oss. — Probabilmente non è differente dallo Selerotium echina- tum Fuch. forma scleroziale della Botrytis dell’uva. Sclerotium nervale (A. et S.) Fr. Sacc. Syll. XIV, p. 1168. SETS — 429 Hab. — Su foglie di Alnus e di Quercus. Biella (Cesati !). Sclerotium sphaeroides (Ces.) Massa. Tav. VI fig. 5. Hab. — Su cauli di Lychnis divica. Vercelli (Cesati!) 1850. Diagnosi. — Erumpentibus, globosis, atris minimis et numero- sissimis, quandoque etiam in entocaulon sparsis in exsiccata facil- lime secendentibus, si non satis caute tanguntur. Oss. — Gli sclerozi erompenti caulicoli si presentano numerosis- simi, fittamente sparsi dando al substrato un aspetto grigiastro, ri- cordano molto all'aspetto il Myriococcum praecox Fr. e lo Sclerotium stipatum Fr. da cuì differiscono però oltre che per i caratteri mi- croscopici, per essere facilmente secendenti, tantochè il Cesati ha unito al pacchetti di erbario frequenti avvisi di « caute aperiendum ». Tale carattere che colpisce subito l'osservatore mi sembra meriti di essere rilevato. Rhacodium cellare Pers. Sace. Syll. XIV, p. 1189. Hab. — Su legno macerato di Salixr. Vercelli (Cesati!) 1849. CONCLUSIONE. Dal complesso delle osservazioni riferite avanti, rilevo come nel materiale da me studiato abbiano particolare interesse parecchi mi- erofungi, o per essere nuovi alla letteratura micologica, o per essere ivi raccolti in discreto numero di specie affini a formare un utile materiale di confronto. Così ad esempio interessanti sono i Gasteromiceti che vi sono rap- presentati dagli eleganti Geaster, dalle numerose Boviste e Lyco- perdon, tra cui parecchie specie pocc comuni. Tra i Pirenomiceti noto la Metasphaeria Dulcamarae Massa specie nuova caulicola sul Solanum Dulcamara, la Lasiosphaeria faginea Massa (in erbario Bo- tryosphaeria faginea De Not. et Ces). Numerosi gli esemplari di Claviceps purpurea Tul. su diverse graminacee di cui ho creduto bene riferire la lunghezza degli scle- rozi sulle diverse matrici. Un’altra specie nuova è la Gibberella acerina Massa ed è inte- ressante pure la Endogone macrocarpa Tul. Per gli ultimi esaminai i numerosissimi esemplari (circa 150) di Sclerotium, di cui ho ripor- tate note e per parecchi anche le figure caratteristiche. Trattandosi di forme sterili di funghi, recanti caratteri microscopici pochissimo ANNALI DI BoranIica — Vo. X. 28 PRIA ANIME AI e — 450 — definiti, ho tenuto speciale conto dei confronti che potevo stabi- lire tra gli sclerozi di quelle specie che ritenevo affini ed ebbi tra le altre a descrivere qualche specie nuova come lo Sclerotium culmicola (Cesati) Massa sull’ Agropyrum e lo Sclerotiam sphaeroides (Cesati) Massa sulla Lychnis. Dì questi e di altri a portamento caratteristico come lo Scle- rotium tectum Fr., Scl. inclusum Schmidt, Scl. complanatum Tode, Scl. fulvum Fr. Scl. nervale (A. et S.) Fr. ho creduto bene dare il disegno, mancando fin’ora quasi *utti d’iconografia. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE DELLA TAVOLA IV. Fig. 1° — Lasiosphaeria faginea (De Not. et Ces.) Massa. a) Periteci su un pezzetto di legno di Faggio (ingr. 3 volte). b) Periteci. c) Aschi e parafisi. d) Ascospore (b, e, d, molto ingr.). Fig. 2. — Metasphaeria Dulcamarae Massa. a) Peritecio schiacciato con aschi e parafisi. b) Aschi isolati con spore. c) Ascospore (molto ingr.). Fig. 3. — Gibberella acerina Massa. a) Stroma con periteci in parte sezionati per far vedere gli aschi. 6) Aschi con spore. c) Ascospore (molto ingr.). Fig. 4. — Sclerotium culmicola (Ces.) Massa. a) Sclerozi in grandezza naturale (0, c) Sclerozi un poco ingranditi (tutti su culmi di graminacea). Fig 5. — Sclerotium sphaeroides (Ces.) Massa. I puntini rappresentano gli sclerozi (un po’ ridotti in grandezza). TAV. IV ANN. BOT. X Fotot. Danesi - Roma C. Massa ad nat. del, eee eee IXNAIREIRAXIECANINSNANIRS SANA SNAKE, DI SRERANAXSIS NS XUNINLS SM genere < Sageretia » Brongn. in Africa del prof. EMILIO CHIOVENDA. (Tav. V-VII) Nel Bulletin of Miscellaneous Information del giardino botanico del Kew (1) leggesi un breve articolo firmato 7. A. $8. nel quale si riferisce la Berchemia yemensis Deflers alla Sageretia Brandrethiana Aitchis., e come abitato di questa specie in Africa l’autore indi- cato dà solo l’ Eritrea a Saganeiti (Schweinfurth e Riva n. 1207) e British Somaliland (Drake-Brockmann n. 889). Il genere Sageretia è però più diffuso in Africa e la sua conoscenza è anteriore anche all'anno 1869 in cui l’Aitchison pubblicò la sua S. Brandrethiana. Sono infatti da riferire a questo genere oltre alla pianta già indi- cata del Deflers (2) anche il Rhamnus spiciflora A. Rich. (3) e il Lamellisepalum Hildebrandtii Engler (4). Gli esemplari di RAamnus spiciflora, che grazie alla squisita gentilezza del prof. Lecomte, direttore del Musée de Paris, ho po- tuto esaminare in esemplari autentici di Quartin Dillon apparte- nenti all’ Herbier Drake del Castillo e gli esemplari di questa specie che io ho potuto studiare accuratamente su materiale fresco ab- bondante, non vi è dubbio che coincidono perfettamente per i carat- teri morfologici esterni del fiore e delle foglie, tra loro e con una parte degli esemplari della Sageretia Brandrethiana, il cui confronto debbo alla cortesia del prof. Baccarini direttore del Museo Botanico di Firenze e precisamente all’ esemplare autoptico di Aitkison por- tante il n. 759 della raccolta del 1879 e distinto dal medesimo come forma glabra della sua Sageretia Brandrethiana. Gli esemplari invece con foglie pubescenti-biancastre di sotto che come vedremo (1) Kew Bulletin (1907), p. 373. (2) DEFLERS. — Voy. Yemen (1889), p. 123. (3) A. RicHarDp. — Tent. FI. Abyss. I (1847) p. 188. (4) ENGLER A. sec. EnGLER u. WEBERBAUER ap. ENGLER u. PRANTL. — Naturlich. Pflanzenf. Nachtrag I (1897), p. 229 e in Annuario R. Istit. bot. Roma, VII (1897), p. 19. Rel a fa o Mn A de Tm Pi À da fA RUESIET SURE E MEGA CERTA RARA RATE GERI RO UA II . — 452 — sono considerevolmente diversi da questa forma, costituiscono îl tipo della Sageretia Brandrethiana, che ho pure studiata su esem- plari autoptici dell’ Aitkison. Il prof. Engler ebbe a foggiare il genere Lamellisepalum pren- dendo a caratteristiche: i sepali muniti di una lamella longitudi- nale e mediana nella faccia interna; gli stami con antere deiscenti verso l'esterno; foglie e rami subopposti: e lo collocava nella tribù Zizipheae assai presso al genere Berchemia. Di questi caratteri il primo è costante nelle specie del genere Sageretia ed è messo in rilievo tra gli altri anche da Bentham et Hooker (1). Gli stami negli esemplari medesimi studiati dall’autore, raccolti dall'ing. L. Robecchi-Bricchetti hanno le antere indiscuti- bilmente deiscenti lateralmente (fig. 1). Negli esemplari da me studiati all’Asmara in materiale fresco, gli stami sono prima della loro deiscenza accombenti verso il centro del fiore, le antere si toccano tra loro; i brevi filamenti sono lievemente arcuati verso il centro e si inseriscono evidentemente nel lato esterno delle antere e la loro deiscenza avviene pure lateralmente (fig. 2). Queste sono ellissoidali, hanno due loggie presentanti una rima assai marcata e profonda. Prima dell’antesi la rima è posta per- perfettamente al centro della loggia ed è rivolta ai lati del fiore, e la deiscenza avviene perfettamente lateralmente e in seguito le due loggie a causa di un lieve accrescimento del connettivo, di- vergono in seguito e alla fine sono anche leggermente rovesciate in fuori e allora le antere possono simulare una deiscenza verso l’e- sterno. La medesima conformazione delle antere l’ ho riscontrata in tutti gli esemplari muniti di fiori, che ho avuto a mia disposizione, e la si vede bene nel disegno fotografico rappresentante una sezione di fiore giovane dell’esemplare (fig. 1 e 2). Per la struttura dell’ovario non trovo differenze apprezzabili tra quello del Lamellisepalum Hildebrandtii (fig. 3), della Sagere- tia (fig. 4), del Rhamnus spiciflora e della Berchemia Deflersti. In tutti l’ovario è globoso, glabro con brevissimo stilo brevissima- mente bilobo all’apice, e contiene due loggie ciascuna con uno solo o raramente con due ovoli. I frutti maturi non li ho potuti stu- diare che su esemplari di Berchemia Deflersii raccolti dallo Schwein- furth (fig. 7) e dal Fiori: in ambedue il frutto è carnoso con peri- carpio un po’ succoso, e contiene due pireni, fortemente compressi, spessi circa 1 mm., coì margini rotondati, paralleli tra loro. In un (1) BENTHAM et HookKER Gen. Plant. I (1862), p. 379: calycis lobi intus ca- rinati. . \ (1 e 0 vr 2 BIL ET pa i — 483 — esemplare del prof. Fiori (fig. 6) ho trovato un frutto che, pur essendo certamente biloculare, aveva una delle loggie con-un solo seme, mentre l’altra conteneva due semi perfettamente sviluppati: il primo era piatto come nelle forme normali con due pireni, gli altri due si presentavano notevolmente, specialmente uno, piegati nel centro, e il frutto aveva una forma piuttosto irregolare. Nelle sezioni degli ovarii un po’ avanzati di sviluppo tanto negli esemplari di Robecchi n. 246, che in quelli di Clarke, miei e di Aitkison debbo notare intorno alle due cavità una evidente diffe- renziazione dei tessuti che corrispondono certamente alla forma- zione dell’endocarpio; e nel setto tra le due loggie noto la for- mazione di lamelle separanti nettamente il tessuto che delimita le loggie: per cui ritengo si possa dedurre con certezza che in- torno a ciascuna delle loggie in tutti questi ovarii si vada svilup- pando un tessuto lignificato che formerà poi l’endocarpio intorno a ciascun pireno, restando questi distinti l’uno dall’altro, come è evidente in tutti 1 frutti maturi, veduti da me e raccolti dallo Schweinfurth, dal Fiori, dal Pappi e da me. Per questo carattere è evidente che queste piante non possono essere riferite alla tribù delle Zizipheae caratterizzata dai pireni aventi un endocarpo osseo comune per cui sì forma un pireno unico, internamente diviso in due o più loggie. Però se la struttura anatomica degli ovarii è eguale in tutti gli esemplari riferibili come ho detto al Lamellisepalum Hildebrandtii al Rhamnus spiciflorus, alla Sageretia Brandrethiana forma glabra e alla Berchemia Deflersii; in quelli della Sageretia theezans (Linn.) Brong. è notevole una differenza fondamentale nel numero delle loggie, le quali invece che due sono tre. E questo carattere del- l’ovario trimero è a ritenersi costante nella S. theezans, essendo con- cordi gli autori nell’attribuirgli un ovario triloculare e una bacca trisperma. Tra tutti gli esemplari africani da me esaminati, uno solo ha presentato l’ovario triloculare ed è precisamente l'esemplare raccolto dal prof. Terracciano e dal Pappi e distinto col n. 661. Sembra perciò che nelle piante di Sageretia del continente afri- cano sia costante l’ovario dimero ed eccezionale quello trimero; mentre nella S. theezans è costante l’ovario trimero. Non potevo però da ciò concludere che gli esemplari del Ro- becchi fossero identici a quelli della Sageretia Brandrethiana Aitkis. n. 759; tanto più che studiando i materiali della Colonia Eritrea del Museo coloniale, mi dovevo convincere che parte degli esem- plari coincidevano colla pianta dell’Afganistan e parte invece con te, ; È f. di b È Pag è XL Ù Br RESSE SITI STO AIRIS IRIO I STI CASC I ARE MILA DEN CRC RIN ‘ = PL . 5 , Ln * ? Bari n CA de — 484 — quella dell’ Harrar. Le principali differenze tra i due tipi erano nella forma delle foglie e nella loro consistenza. La pianta dell’Har- rar ha foglie mediocremente grandi, subcoriacee, ovate, rotondate alla base, + attenuate verso l’apice ove sono mucronate, nel secco di colore assai scuro, coi margini fortemente seghettati. Le pianta del- l’Affganistan portante il n. 579 e il fRAhamnus spiciflora A. Rich. hanno foglie coriacee, piccole, + tondeggianti, rotondate alle due estremità, spesso all’apice anche retuse e qualche volta quasi bilobe, cogli orli interi o a denti minuti, rotondati, poco sensibili e nel secco di colore pallido. Tra gli esemplari della Colonia pur essendo in massimo bene distinti i due tipi, non erano scarsi però i punti di transizione e di contatto tra essi. Si presentava perciò assai interessante uno studio anatomico delle foglie in discorso, per vedere fino a quale punto i due tipi si potessero distinguere tra loro. Nel 1903 Herzog (1) studiò la struttura anatomica, in riguardo della sistematica, delle foglie della Berchemia yemenies Detlers sul- l'esemplare di Schweinfurth 1891 n. 1067 e del Lamellisepalum Hildebrandtit sull’esemplare di Hildebrandt n. 648 raccolto negli Habab. Nella Berchemia (2) constatò una struttura bifaciale: cellule epi- dermiche della pagina superiore un po’ piccole simili a quelle della B. floribunda, con pareti laterali diritte, non ispessite e con la # parete esterna debolmente ispessita, quasi tutte mucilaginose; quelle della pagina inferiore evidentemente più piccole e meno che in tutte le altre specie con tendenza ad essere papillose, con le pareti esterne fortemente ispessite e foggiate a lente. Il palizzata è uni- seriato; il tessuto spugnoso si fa a poco a poco lasso verso la pa- gina inferiore mostrando però sempre anche esso una tendenza a disporsi a guisa del palizzata, disposizione che non si riscontra che in questa specie. I nervi dal lato della pagina inferiore hanno una guaina sclerenchimatica aperta bene sviluppata, che è invece de- bolmente sviluppata dalla parte superiore. I cristalli sono solo iso- lati, numerosi in corrispondenza dei nervi gli stomi solo nella pagina inferiore, assai appressati. E notevole nelle cellule, in gran parte mucilaginose dell'epidermide superiore, il contenuto tannico, che riempie il lume al disopra della membrana interna, che è di- (1) HeRZOG. — Anatomisch-systematische Untersuchungen des Blattes der Rhamneen aus den Triben Ventilagineen, Zizypheen und Rhammeen. — Bei- hefte z. Bot. Centralblatt XV. Heft. I (1903). (2) Herzog. — L. c., p. 168. ag It) ventata mucilaginosa. I nervi secondari con tessuto collenchima- tico vanno dall’una epidermide all’altra e sporgono fortemente nella pagina inferiore e di sotto sono muniti di canali mucipari; il col- lenchima è sempre a larghe maglie, non è punteggiato e contro l'epidermide è fortemente ispessito; gli elementi sclerenchimatici possono essere più o meno sviluppati o anche mancare totalmente; i piccoli nervi o vene stanno immersi nel tessuto fogliare e man- cano perfettamente di fibre sclerose. Mancano totalmente i peli. Per il Lamellisepalum (1) constata 1’ Herzog, che ha una struttura assai simile a quella della Berchemia, ma però ritiene che lo sì deve secondo le sue ricerche tenere separato. Le foglie hanno una struttura quasi isolaterale, perchè il me- sofillo è formato di 5-6 serie di cellule a palizzata, delle quali le serie interne sono più lasse, le medie sono le più brevi. L’epider- mide superiore è costituita da cellule grandi, poligonali con pareti laterali diritte non ispessite e colla parete esterna debolmente ispessita; la cuticola è sottile e liscia. Quasi tutte le cellule epi- dermiche della pagina superiore sono ripiene di mucilagine, che è comune in questo caso, e sono più profonde che larghe. Le cellule dell'epidermide inferiore sono notevolmente più piccole, piane ed hanno le pareti laterali insensibilmente pieghettate. Gli stomi sono situati solo nella pagina inferiore, numerosi, grossi e della forma presso a poco come nella Berchemia. I nervi più forti si estendono da una pagina all’altra, i più piccoli sono immersi nel mesofillo; tutti‘i nervi più grossi posseggono una guaina sclerenchimatica in due gruppi uno superiore ed uno inferiore, costituita da elementi fibrosi molto sviluppati e fortemente ispessiti. Tra ambedue questi gruppi sclerenchimatici della guaina in sezione trasversale in forma di due mezze lune e l'epidermide trovansi per lo più solo 1-2 serie di cellule debolmente ispessite contenenti numerosi cristalli isolati di varia grandezza, mercè le quali si congiungono coll’epidermide; d’altra parte sono anche circondati da una guaina formata da una serie di cellule a pareti sottili, circondante tutto il fascio vasco- lare. Nei nervi più piccoli è presente solo questa guaina di cellule a pareti sottili con mancanza degli elementi fibrosi. Mancano i canali mucipari e per questo essenzialmente differisce questo ge- nere da Berchemia. I peli mancano totalmente. Nel margine fo- gliare si ha un gruppo di cellule molto grandi contenenti un se- creto solubile in acqua, bruno, emesso dai denti glandolosi delle foglie. (1) Herzog. — L. c., p. 171. TAG e A VAL di < » RA PETE aa 1] TRN RA REI an DITO - ui ga Poco prima dell’ Herzog in uno studio anatomico sulle foglie delle Ramnee ecc. Gemoll (1) studiò la struttura delle foglie nelle specie del genere Sageretia e tra le altre nelle S. theezans Brongn. e S. Brandrethiana Aitch. Secondo il Gemoll il genere Sageretia è anatomicamente ben ca- ratterizzato dai generi affini per la sua struttura anatomica fon- damentale. Tra queste caratteristiche sta in prima linea il tricoma che in tutte le specie è presente tarto nella pagina superiore che nella inferiore, quantunque talora sia nella pagina superiore assai scarso. Esso è costituito da peli unicellulari bipartiti muniti di breve sostegno. Poco importanti sono i caratteri delimitanti quasi tutte le specie tra loro. Principalmente la mucilagginosità delle cellule dell'epidermide superiore; secondariamente la quasi eguale costituzione del palizzata e del tessuto spugnoso; inoltre la rego- lare presenza di canali mucipari nei nervi, mancanti però solo in una specie, cioè la S. Wrightit; La circostanza poi che i nervi sempre vanno da una pagina all’altra e finalmente che sono sempre ben circondati da una guaina di sclerenchima. Studiò la S. theezans su esemplari di Osbeck provenienti dalla China constatandovi una struttura bifaciale: epidermide con cellule piccole poligonali, quelle della pagina superiore con pareti diritte, quelle dell’inferiore con le pareti laterali debolmente pieghettate. Tannino abbondante. Peli in ambe le pagine, ma scarsi nella pagina superiore. Esaminò la S. Brandrethiana su esemplari di Griffith n. 2020 dell'A fganistan e vi constatava una struttura bifaciale. Epidermide formata di cellule piccole poligonali in ambe le pagine con pareti laterali diritte, con quelle esterne fortemente ispessite, le laterali poco ispessite, poco punteggiate, mucilaginose; palizzata in doppia serie, con pareti liscie, tessuto spugnoso in tre serie assai somi- gliante al palizzata; canali mucipari nei nervi; cristalli solitarii nel tessuto spugnoso e nei nervi. Tannino abbondante in tutti i tessuti anche nelle cellule epidermiche. Peli in ambo le pagine, nella superiore assai scarsi. Riassumendo dunque quanto i due autori hanno rilevato nello studio sulle quattro specie è notevole che in tutte è stato riscon- trato un tessuto spugnoso a disposizione simile al palizzata e in- torno ai nervi una evidente guaina di sclerenchima. In tutte le (1) GemoLL. — Anatomisch-systematische Untersuchung des Blattes des KRhamneen aus den Triben Rhamneen, Colletieen und Gouanieen. — Beiheft zum Bot Centralblat, XII (1902), Heft. 3. specie vi è presenza nei nervi di canali mucipari meno che nel Lamellisepalum, in cui constatasi la presenza nell’orlo fogliare di un tessuto speciale corrispondente ai denti, fatto di grosse cellule a contenuto bruno solubile in acqua. Tutte le specie hanno il paliz- zata in più serie meno nella Berchemia di Schweinfurth in cui il pa- lizzata è uniseriato. Solereder (1) riassumendo quanto si conosce intorno all’anatomia delle Rammacee pone in rilievo che le cellule epidermiche variano per la loro profondità, per la loro ampiezza, per la natura dei loro margini, per l’ispessimento della parete esterna e per la punteg- giatura delle pareti laterali: in una unica specie, il Rhamnus Wight, constata una epidermide in doppia serie e afferma essere non co- mune la presenza di un ipoderma sotto l’epidermide della pagina superiore, che constata nel Microrhamnus ericoides (in cui rileva che la serie superiore dell’ipoderma è costituito di cellule mucilagi- nose), nei Reynosia revoluta e septentrionalis, Rhamnus alaternus (in cui si trova solo nei margini come tessuto scleroso di sostegno), Sarcomphalus crenatus, ecc. Non pare che Gemoll ed Herzog abbiano fatto delle osservazioni constatanti la presenza di un’epidermide stratificata nelle specie da loro studiate; mentre, come vedremo, io l’ho constatata negli esemplari di Sageretia theezans, di Lamellise- palum Hildebrandtii e di Rhamnus spiciflora. Il materiale da me studiato proviene esclusivamente per le piante africane (escluso l’esemplare di Quartin Dillon) dal Museo coloniale della _R. Università di Roma; per le piante asiatiche dal Museo bo- tanico dell'Istituto di studi superiori di Firenze. Gli esemplari studiati sono i seguenti: 1. Robecchi-Briechetti, Harar 1889 n. 244, 245, 246, 247, tutti determinati di pugno del prof. Engler per Lamellisepalum Hilde- brandtii Engler (2). Il n. 244 (fig. 9-11) è costituito da una sommità di caule con rametti giovani ed è affatto sterile: esso per la forma esteriore delle foglie ricorda la S. Brandrethiana tipica. Il n. 246 è costituito da sommità di rami giovani fioriferi; il n. 246 (fig. 12-13) è costituito da sommità caulinare con rami fioriferi. Il n. 247 (fig. 15-18) è formato da rami adulti solo fogliferi. Le foglie in tutti gli esemplari sono nella massima parte ovate, acute; di consistenza sempre piuttosto coriacea. (1) SoLEREDER. — Systematische Anatomie der Dicotyledonen. Erginzungs- band (1908), p. 100. (2) Gli esemplari erano in precedenza stati determinati dallo Schweinfurth per Berchemia, RAT Sa — 438 — 2. G. Schweinfurth e D. Riva, Colonia Eritrea, Saganeiti 1892 n. 1207 (fig. 24-27) una sommità di caule giovane con fiori e frutti giovani e una sommità di caule adulto con frutti maturi. Foglie piccole, rotondate, ottuse. Determinato Berchemia yemensis Detlers. Nella fig. 7 è disegnato alla camera lucida un taglio trasversale di un frutto adulto, che mette in evidenza le caratteristiche car- pologiche per cui questa pianta non è affatto una Berchemia ma bensi una Sageretia. 3. Quartin Dillon et Petit, Abissinia; determinato Rhamnus spi- ciflora A. Rich. (fig. 20-23). Ramoscello ‘in gran parte defogliato, ma con rametto foglifero e con fiori giovani quasi tutti ancora chiusi. Foglie ellittiche subacute all’apice ed ottuse, un po’ coriacee, nella pagina superiore fortemente reticolato-nervose: assi dell'infio- rescenza tutti densamente pelosi. 4, A. Fiori, Colonia Eritrea, Mensa : Torrente Messeb 1909 n. 449 (tig. 28-30) rametti adulti sterili con foglie grandi tondeggianti, ro- tondate all'apice, membranose. Determinato Berchemia yemensis Deflers. A. Fiori ibid. Hamasen Nefasit 1909 n. 536 (fig. 31-32): sommità di ramo giovane con fiori. Foglie subcoriacee ovate, acute all’apice. Determinato Berchemia yemensis. A. Fiori ibid. Hamasen tra Filfil e Moghò 1909 n. 537. Sommità adulte fruttifere con foglie submembranose acute all’apice. 5. Terracciano e Pappi, Colonia Eritrea, Mensa 1833, n. 661 e 777. Foglie subcoriacee tondeggianti, ottuse od acuziuscole all’apice, pic- cole nel n. 661, un po’ più grandi nel n. 777. Indeterminati. 6. Terracciano e Pappi, ibid., Mensa 1893 n. 2198 (fig. 35-36). Sommità rameale giovane fiorifera. Foglie coriacee, ellittiche, piut- tosto grandi, acute od ottuse, seghettate. Indeterminato. 7. Pappi, ibid., Assaorta 1893 n. 3397. Sommità adulta con ra- metti giovani fioriferi. Foglie coriacee, ellittiche od ovate, acute od ottuse, seghettate, mediocri o piccole. Indeterminato. 8. V. Ragazzi, Colonia Eritrea, Amasen 1892 n. 281 (fig. 33 34). Sommità adulta fiorifera, foglie coriacee ovate, acute, denticolate. Indeterminato. 9. E. Chiovenda, Hamasen 1909 n. 145. Rami adulti fioriferi; foglie coriacee piccole, ovate, acute, seghettate. 10. € Chiovenda, ibid. n. 266. Rami adulti con fiori e frutti giovani: foglie piccole coriacee, tondeggianti ottuse o subacute, den- ticolate. 11. I. E. T. Aitchisor, Thal: to Kuram 1880, n. 319 (fig. 50). Sommità giovane sterile con foglie piccole ovate, acute seghettate, PERE Ie REI II RI IENE bianco-tomentose di sotto, cinereo-puberule di sopra. Determinato Sageretia Brandrethiana Aitch. Due esemplari identici e con lo stesso numero dell’//erd. Webbianum. 12. I. E. T. Aitchison, Kurrum Valley Afganistan 1879 n. 759 (fig. 42-45). Rametti adulti fioriferi, con foglie piccole coriacee, glabre, tondeggianti, ottuse, denticolate. Determinato Sagerethia Brandrethiana Aitch. Nel cartellino a stampa che accompagna uno dei due esemplari nel n. 319 è stampato « 759 (1879) is an extre- mely glabrous form of the same species ». 15. C. B. Clarke: Kashmir 1876 n. 31410 C. (fig. 27-30). Som- mità di rami giovani fioriferi con foglie subcoriacee mediocri, ton- deggianti od ovate, ottuse od acute, seghettate. Determinato Sage- retia theezans Brongn. 14. Campellpere Stewart, India, n. 8 (fig. 47-48). Sommità gio- vani fiorifere con foglie ellittiche o subobovate, acute, bianco-to- mentose di sotto, glabrescenti di sopra. Gli esemplari raccolti dall’ ing. Robecchi-Bricchetti e determi- nati dal prof. Engler per Lumellisepalum Hildebrandtii hanno tutti una struttura fogliare identica. Le lamine (fig. 51) hanno in sezione uno spessore di 148-171 n, ed hanno una struttura bifaciale. L’epi- dermide della pagina superiore è costituita da cellule grandi, in se- zione pressa poco quadrate, per lo più divise nel senso tangenziale in due cellule sovrapposte; nelle foglie più giovani colle cellule più interne un po’ più piccole delle esterne; in quelle più adulte pressa poco di eguale ampiezza. La parete esterna è fortemente ispessita e porta uno strato di cutina assai spesso. La parete interna delle cellule epidermiche sottostanti si presenta fortemente incurvata, per cui le cellule del palizzata si incuneano tra’ cellula e cellula sepa- randole per lo più nettamente tra loro. Le cellule epidermiche este- riori si presentano per lo più piene di mucilaggine avente nei pre- parati un colorito bruno più o meno intenso, mentre il contenuto delle cellule sottostanti è incoloro. L'orlo della foglia nelle sezioni si presenta rotondato egualmente a spese di ambe le pagine (come è nelle foglie degli esemplari di Schweinfurth disegnati nella fig. 52). Il palizzata è in uno strato unico ed è costituito da cellule la cui lunghezza è 4-6 volte maggiore della loro larghezza. Il tessuto lasso quantunque sia piuttosto denso, non mi sembra presenti alcun orientamento speciale dei suoi elementi, per cui si possa anche lon- tanamente paragonare al palizzata. Le vene anche più piccole sono sempre accompagnate da ele- menti meccanici fibrosi sempre in proporzione dell'importanza di esse, disposti in due cordoni uno superiore ed uno inferiore: l’ in- feriore è sempre più sviluppato del superiore ed ha un’ ampiezza maggiore o almeno eguale al suo spessore. I nervi e le vene sono sempre circondati da una guaina formata da cellule grandi più o meno globose od ellissoidee, contenente mucilagine. La costola è sempre fortemente sporgente, i nervi e le vene sono più o meno immersi nella foglia: in corrispondenza dei nervi prin- cipali sì notano sotto l'epidermide della pagina inferiore dei canali mucipari in numero di 1-5 più o meno grandi, costanti in tutti 1 miei preparati. In corrispondenza dei denti, nell’orlo fogliare si notano degli ammassi globosi di cellule più grandi globose, a pareti piuttosto sottili e nei miei preparati quasi senza contenuto, che si potrebbero forse ritenere come probabili epitemi acquiferi; ammassi stati rile- vati dall’Herzog anche negli esemplari di Lamellisepalum raccolti dal- l’Hildebrandt. Sotto l'epidermide della pagina inferiore si notano nelle cellule grossi cristalli isolati di ossalato ; stami situati esclusivamente nella pagina inferiore allo stesso livello dell'epidermide o coll’apertura stomatica leggermente infossata. I picciuoli delle foglie più giovani sono sparsi di peli semplici, isolati, piuttosto lunghi; in sezione hanno una forma semicircolare colla parte inferiore fortemente incurvata e la superiore piana o leggermente concava. L’epidermide è costituita da cellule assai pic- cole, subelobose, con contenuto mucilaginoso bruno, sempre in una unica serie. Il collenchima è abbondantissimo nella parte inferiore e nei due spigoli superiori, è formato di cellule di mediocre svi- luppo, ed è riccamente fornito di cristalli. I canali mucipari sì tro- vano inferiormente fra il collenchima e il cordone fibroso inferiore. Nel picciuolo del n. 240 ho trovato un grosso canale muciparo anche immediatamente sopra il cordone fibroso superiore. Il fascio fibro-vascolare è convesso di sotto e concavo di sopra ed ha la por- zione fibrosa di sotto formata di fibre con lume piuttosto ampio nelle fibre più esterne ed è più sviluppata della superiore, che è formata di sole fibre a lume strettissimo. Il legno è formato di fibre sottili con numerosissimi raggi mi- dollari che dal midollo arrivano alla corteccia; con numerosi grossi canali per lo più disposti in piccole serie di 2-4 nel senso radiale. Nella corteccia è un sughero ben sviluppato. A intervalli piuttosto regolari e piccoli decorrono dei cordoni fibrosi formati da 9-12 elementi a pareti fortemente ispessite e a lume angustis- simo. Il parenchima corticale è formato di cellule ellissoidali piut- tosto piccole orientate tangenzialmente, incolori; però le cellule di- sposte in senso radiale in corrispondenza alle terminazioni dei raggi midollari, presentano un contenuto intensamente colorato in bruno come le cellule sugherose. Il midollo è formato di cellule grosse, globose, in gran parte ripiene di contenuto colorato in bruno più o meno intenso. L’esemplare raccolto dal prof. G. Schweinfurth e da lui deter- minato Berchemia yemensis Deflers, presenta foglie evidentemente più piccole e di forma tondeggiante e sono di consistenza meno rigida e sono meno spesse. Nella sezione il loro spessore è di 72-92 p. La struttura (fig. 52) è simile a quella già veduta negli esem- plari di Robecchi, senonchè l’epidermide della pagina superiore in- vece di presentare le cellule per lo più suddivise tangenzialmente le ha, al contrario, quasi tutte indivise e solo alcune rare si presen- tano divise. Inoltre nell’orlo fogliare in corrispondenza dei denti non presen- tano l’epitema caratteristico di quelle foglie. In tutto il resto la struttura è sensibilmente la stessa, tanto nella lamina fogliare, che nei picciuoli, nel legno e nella corteccia. Anche qui i peli non esi- stono che nei picciuoli e sono sempre semplici ed isolati. Secondo le mie osservazioni noto qualche discrepanza, colla de- scrizione anatomica data dall’ Herzog e da me sopra riferita. Le cel- lule dell’epidermide inferiore è liscia e non papillosa, e 1’ ispessi- mento della parete esterna non è foggiato a lente. I nervi secondarii sporgono lievemente nella pagina inferiore, e anche qui le vene più piccole immerse nel mesofillo sono munite costantemente di pochi elementi fibrosi oltre che della guaina di cellule a pareti sottili. Le foglie dell'esemplare di RAamnus spiciflora hanno una strut- tura identica a quella veduta negli esemplari del Robecchi, coi quali coincidono sensibilmente anche per lo spessore. Gli orli in tutte le sezioni da me fatte in serie non presentano traccia dell’epitema notato in corrispondenza dei denti e ciò certa- mente è in relazione col fatto che in questo esemplare le foglie hanno i denti pochissimo o punto sensibili. Nei picciuoli non trovo alcunchè di diverso dagli esemplari superiori. Degli esemplari raccolti dal prof. Fiori il n. 449 corrisponde esattamente per la struttura anatomica e per lo spessore delle la- mine 85-89 n, cogli esemplari di Schweinfurth. Il n. 536 corrisponde per la struttura anatomica esattamente cogli esemplari del Robecchi, senonchè lo spessore delle lamine è leggermente minore, 115-132 n, e in corrispondenza dei denti sono pure evidenti gli epitemi già in quelli osservati. Il n. 537 mentre TATO A è — 442 — anatomicamente corrisponde all’esemplare dello Schweinfurt*., ne differisce per uno spessore maggiore delle lamine, 125-132 p e per la loro forma. Questo esemplare è, a mio modo di vedere, intermedio tra i due tipi. Gli esemplari raccolti dal prof. Terracciano e Pappi n. 661 cor- rispondono esattamente per la loro struttura fogliare anche nei denti cogli esemplari del Robecchi, le foglie hanno uno spessore di 115- 132 | come nell’esemplare del Fiori n. 536. Anche l'esemplare n. 777 degli stessi raccoglitori coincide esattamente in tutto coi due testè indicati: il loro spessore oscilla tra 132 e 158 Lp; nel dente in cor- rispondenza del centro dell’epitema lo spessore tra i due strati di cuticola è di 214 n. Questo esemplare è notevole per l'epidermide con cellule quasi esclusivamente biseriata, cfr. fig. 54. L’esemplare del Pappi distinto col n. 3397 concorda esattamente cogli esemplari di Robecchi e con quelli testè indicati. L’esemplare del Dr. Ragazzi portante il n. 281 corrisponde esattamente all’esemplare di Schweinfurth avendo l’epidermide su- periore formata di cellule prive di divisione tangeziale. Lo spessore è di 125-145 p., rilevantemente maggiore che non nell’esemplare dello Schweinfurth e sensibilmente eguale a quello incontrato nel- l'esemplare Fiori n. 537, col quale esemplare coincide anche per la forma delle foglie acute all’apice. L’esemplare raccolto da Terracciano e Pappi col n. 2198 pre- senta anatomicamente il tipo riscontrato in quello Robecchi. Il loro spessore è di 161-198 p. un pò maggiore cioè: ed è poi assai mag- giore che non tutti gli altri esemplari della Colonia Eritrea che abbia visto avere una eguale struttura. Gli esemplari raccolti da me, portanti il n. 145 presentano una struttura che direi prevalentemente uguale a quella riscontrata nel- l'esemplare di Schweinfurth, ma qua e là sono evidentemente al- cune cellule epidermiche quasi sempre isolate e relativamente po- che, che si presentano divise tangenzialmente. Lo spessore delle la- mine è di 155-161 p, corrispondente cioè agli esemplari del Robec- chi. In corrispondenza dei denti è evidentissimo l’epitema reiterata- mente ricordato. Questi esemplari del tipo Robecchi accennerebbero ad un passaggio al tipo Schweinfurth, del quale ha anche la SEE e le dimensioni delle foglie. Gli esemplari miei distinti col n. 336 corrispondono per la strut- tura a quelli dell'esemplare precedente, e pur avendo uno spessore sensibilmente minore di 122-128 p., è assal maggiore però che non negli esemplari dello Schweinfurth. L'esemplare di Aitkison portante il n. 759 ha una struttura aa a re ai ct, — 48. anatomica in tutto identica a quella degli esemplari del Robec- chi e come quelli presenta il caratteristico epitema degli orli. Sono più numerose le cellule epidermiche con divisione tangenziale, ma se ne presentano spesso di quelle semplici per lo più iso- late. Lo spessore delle lamine oscilla da 122 a 128 p; è cioè ur po’ minore che non negli esemplari del Robecchi, ed è sensibilmente eguale agli esemplari eritrei aventi eguale struttura anatomica. L’esemplare di C. B. Clarke distinto col n. 31410 C. e determinato Sageretia theezans ha foglie presentanti la stessa struttura osservata negli esemplari del Robecchi: collo stesso epitema marginale in corri- spondenza dei denti; con una epidermide della pagina superiore for- mata di cellulein parte non divise e in parte divise tangenzialmente, con predominio in alcuni punti delle cellule indivise. Lo spessore delle lamine varia da 74 a 103 p., è cioè assai minore che in que- gli esemplari ed è sensibilmente eguale invece a quella degli esem- plari dello Schweinfurth, mentre la forma loro è sensibilmente eguale a quella degli esemplari robecchiani. Da ultimo ho portato lo studio sugli esemplari raccolti dal- l’Aitkison e distribuiti col n. 319 e su quelli di Campellpere Ste- wart n.8 che, come ho già detto, presentano caratteri macroscopici che li fanno differire fortemente da tutti gli esemplari che fin qui ho descritti. Anche anatomicamente i due esemplari sono identici tra loro. Le foglie hanno uno spessore, nelle regioni, parenchimatiche, di 115-171 p e presentano delle caratteristiche anatomiche notevolis- sime e costanti, per le quali differiscono a primo colpo d’occhio da quelle già esaminate (fig. 55). L’epidermide superiore è liscia con cellule grandi in sezione subquadrata, colla parete esterna for- temente ispessita, le laterali e l’interna sottili, diritte, quest’ultima pianeggiante, pochissimo o punto incurvata; le cellule contengono mucilaggine intensamente colorata in bruno e non sono mai divise tangenzialmente. L’epidermide inferiore è formata di cellule assai piccole con pareti poco o punto ispessite, per lo più prolungate in lunghi peli unicellulari, semplici, sottili, assai flessuosi anguiformi. Gli stomi hanno l’apertura sempre alquanto affossata. Il palizzata è in 2-3 serie di cellule lunghe circa due volte la loro larghezza. Il tessuto lasso è formato da cellule piuttosto grandi e fitte, con qua e là lacune piuttosto grandi. La guaina circondante le vene e ì nervi è formata di piccole cellule globose, mucilaginose e tutti i nervi sono muniti di due cordoni di fibre, dei quali il superiore è assai più sviluppato dell’inferiore ed è fortemente compresso dai lati, mentre l’inferiore lo è assai meno. La costola 'è fortemente “asa SIZE ZO IPADEOGA RUOLO TI VICI VINI SLICATAIS sporgente, le vene decorrono alla superficie delle foglie e sono lie- vemente sporgenti. L'orlo della foglia è rotondato a spese totalmente della pagina superiore e nella sezione si presenta acuto in corrispondenza del- l’orlo della pagina inferiore. Ricapitolando le osservazioni anatomiche da me fatto) eviden- temente ci troviamo di fronte a due tipi ben distinti e oi deli- mitati nei loro caratteri anatomici: il tipo cioè presentato dagli esemplari di Aitkison n. 319 e di Campellpere Stewart n. 8 carat- terizzato macroscopicamente dall’abbondantissimo tricoma bianco che riveste la pagina inferiore delle foglie; dalla forma di queste più allungata e stretta: microscopicamente dall’orlo fogliare acuto nella sezione in corrispondenza della faccia inferiore e dai nervi e vene muniti di cordoni fibrosi non foggiati a mezzaluna, fortis- simamente sviluppati presso la pagine superiore, più spessi che larghi. A questo tipo io ascrivo esclusivamente la Sageretia Bran- drethiana Aitkson tipica, esclusiva dell’India. L’altro tipo è caratterizzato dalle foglie glabre in ambe le pa- gine o solo sparse di peli quando sono giovanissime; microscopica mente dagli orli rotondati a spese egualmente di ambo le pagine; dai nervi e dalle vene muniti di cordoni fibrosi più sviluppati verso la pagine inferiore che non verso la superiore, distintamente foggiati a mezzaluna, cioè più larghi che spessi. A questo tipo sono da riferire tutte le altre specie da me state esaminate e cioè la Sageretia theezans, il Lamellisepalum Hildebrandtii, 11 Rhamnus spiciflora, la Berchemia yemensis e la Sageretia Brandrethiana forma glabra. Specificamente io le riunisco tutte colla S. theezans a for- mare un tipo specifico unico, avente con tutta probabilità il suo centro di distribuzione nell’India, tipo che nella sua distribuzione verso est e nord-est sì è mantenuto costante e verso ovest si è mo- dificato nella S. spiciflora (A. Rich.) Chiov. Riassumo perciò qui brevemente i caratteri delimitanti le due specie e la varietà della seconda specie, e la relativa sinonimia. % GENUINA: arbusto con rami riccamente fioridi all’apice, rametti fioriferi per lo più patenti o reflessi, ripetutamente ramificati. F'o- glie grandi o mediocri, rotondate alla base più o meno contratte, acute od ottuse all'apice, margini seghettati. Epidermide con cel- lule in parte in serie semplice, in parte doppia; orlo munito di epi- tema in corrispondenza dei denti. Ovario normalmente triloculare. B HinpEBRANDTII: frutice con rami all’apice scarsamente floridi, rametti fioriferi eretto-patenti, semplici o quasi, racemi con fiori piuttosto scarsi di numero, e quindi circa il doppio che nelle altre SEGR) varietà. Foglie mediocri o grandi, ovate, rotondate alla base, contratte e più o meno acute all’apice, coi margini seghettati. Epidermide con cellule in massima parte in doppia serie; orlo munito di epi- tema in corrispondenza dei denti. Ovario normalmente biloculare, eccezionalmente triloculare. x SPICIFLORA; frutice intricato con rami brevi spesso spinescenti; rametti fioriferi eretto-patenti, semplici, racemi con pochi fiori. Fo- glie piccole, raramente mediocri o grandi, rotondate ad ambo le estre- mità, ellittiche o rotonde, coi margini denticolati o interi. Epider- mide con cellule in parte uniseriate, in parte biseriate ; orlo con epitema in corrispondenza dei denti. Ovario costantemente bilo- culare. ò SCHWEINFURTHII: tutti i caratteri della var. y spiciflora meno che l’epidermide ha cellule quasi soltanto uniseriate e l’orlo è privo di epitema (1). Ovario sempre biloculare. La sinonimia delle due specie è la seguente: 1. SAGERETIA BRANDRETHIANA Aitkis.in Journ. Linn. Soc. Lond VIII (1865) p. 62; Hoox. f. Fl. Brit. India I 362; Boiss. Fl. Orient. Suppl. 158 (solo il n. 319 citato). 2. SAGERETIA THEEZANS (Linn.) Brongn. in Ann. Sc. Nat. Ser. I vol. X (1827) 360. x TIPICA Chiov. = Ahamnus theezans Linn; = Rhamnus thea Osbeck. Esclusiva delle Indie orientali e della China. 5 HinpeBRANDTI (Engler) Chiov. — Lamellisepalum Hildebrandtii Engler. X SPICIFLORA (A. Rich.) Chiov. = Rhamnus spiciflorus A. Rich. Tent. FI. Abyss. 1 (1847) 138; Schweinf. Beitr. FI. Aeth. 268. n. 718; Hemsley ap. Oliv. /7. trop. Afr.I. 388, n. 3; Martelli FI. Bogos. 18. = S. Brandrethiana forma glabra Aitkison. = S. Brandrethiana Boiss. (non Aitkis.) YZ. Orient II (1872) 22 e Suppl. p. 158. p. p.; T. A. S. in Kew Ball. (1907) 373 exl. pl. Schweinf.; Gemolle in Beiheft Bot. Centralbl. XII (1902) 367. = Berchemia yemensis Fiori pl. exsicc. Eritr. n. 586. = Sageretia sp. Aitkis. in Journ Linn. Soc. Lond. XVIII (1880) p. 41 n. 759. ò SCHWEINFURTHII Chiov. (1) Non avendo veduto materiali della S. spinosa Wettstein in Sitzungsber. math.-naturw Cl. Kais. ak. Wissens. in Wien, XVIII Abth.I (1890) p. 385 t. 4. fig. 13-14, non posso che supporre l’affinità di essa con la S. Brandrethiana tipica: secondo la figura data dall'autore essa ha le foglie della stessa forma ed è pure rivestita di peli crespi, e forse deve stare alla Brandrethiana come la S. spicifltora sta alla S. theezans. ANNALI DI BoTanICA — Vor. X. 29 "oct » è PA AI ab, evi CSA Aia Berchemia yemensis Schweinf. pl. exsicc. Eritr. n. 1207; Fiori pl. exsicc. Eritr.n. 449,573; Herzog in Beiheft Bot. Centrabl. XV. 11908 163. SPIEGAZIONE DELLE TA VOLE Tav iv Fig. 1. Sezione trasversale di fiore dell’esemplare Robecchi n. 246. » » . Sezione trasversale di fiore dell'esemplare Chiovenda n. 266. . Sezione di ovario dell'esemplare Robecchi n. 246. . Sezione di ovario dell'esemplare Chiovenda n. 266. . Ovario di esempl. Robecchi n. 246. Koritska oc. 3. ob. o. 6. Sezione trasv. di frutto di Berchemia yemensis Fiori n. 587. . Sezione trasvers. di frutto di Berchemia yemensis Schweinfurth nu- mero 1207. Tav. VI. Do Sezione trasvers. di ovario di esemplare ratcolto da Terracciano e Pappi n. 661. 9-11. Foglie dell’esemplare di Robecchi n. 4A. 12-13. >» » » n. 246. 14. Fiore con ovario avanzato di sviluppo dell'esemplare di Robec- chi n. 246. 15-18. Foglie dell'esemplare di Robecchi n. 247. 19. Fiore dello stesso esemplare. 20-23. Foglie dell'esemplare di Quartin Dillon. 24-27. Foglie dell'esemplare di Schweinfurth n, 120%. 28-30. Foglie dell'esemplare di Fiori n. 449. 31-32. Foglie dell’esemplare di Fiori n. 596. 33-34 Foglie dell'esemplare di Ragazzi n. 281. 35-36. Foglie dell'esemplare di Terracciano e Pappi n. 2198. 37-40. Foglie dell'esemplare di Clarke n. 31410 C. 41. Fiore dello stesso esemplare. 42-45, Foglie dell'esemplare di Aitkison n. 759. 46. Fiore dello stesso esemplare. 47-48, Foglie dell'esemplare di Campbellpere Stewart. 50. Foglie dell'esemplare di Aitkison n. 319. Tav. VII. 51. Sezione trasversale della lamina di foglia dell'esemplare di Ro becchi n. 246. Koritska oc. 1. ob. 5. 52. Sezione trasversale di toglia dell'esemplare di Schweinfurth nu- mero 1207 in corrispondenza dell’orlo. id. oc. 1. ob. 5. 53. Sezione trasversale di foglia del precedente esemplare oc. 1. b. 7. 54. Sezione trasversale di foglia dell'esemplare di Terracciano e Pappi Dei AIA Ax OC.Jt OD. i 55. Sezione trasversale di foglia dell'esemplare diAitkison n. 319. id. Oca Ob. STE IVES } 2 F /4) Cn) io :2/6, DANESI ROMA 5 i Ea aho E 4 Ò È si AR Lotte PA % RCA Lesa mo” di È 9 de de 4 : è ERO die se. 4 MES, Ù tg una cd ba He Bree die font: as ge C) “e Pa pren md là eee 1 E pecatgangi n iam Fiq.352 UK a ALGA SS L'iq.33. LD dp Ù) Te () faz I] SNETdO PrinesHEIM Dr. Erxnest, G. — Die Reizbewegungen der Pflanzen. — Berlin, 1912 (Verlag von I. Spinger). In questo volume l'A. riassume, come lo dice il titolo, in forma ue: sintetica e chiara questa importantissima parte della fisiologia delle hi: eccitazioni, RIVISTA DI FISIOLOGIA -@ cioè a dire lo studio dei movimenti che derivano come ui, reazione all’eccitazione stessa. Alla quistione in parola si rannoda TR l’altra se esistano veri organi di senso nelle piante e se questi si corrispondano per valore fisiologico ed anche per una certa analogia e: ; morfologica con quelli esistenti nel regno animale. L'argomento adunque è della massima importanza e opportuna- mente giunge questa nuova pubblicazione, la ‘quale riassume lo “SR stato della quistione fino all’anno corrente. , AS L’A., dopo avere accennato ai movimenti in generale nel mondo to vegetale, tratta nei singoli capitoli le reazioni derivanti dalle varie sorta di eccitazioni o stimoli, e cioè a dire dalla gravità, dall’illu- De minazione, dalla temperatura, dalle azioni meccaniche, e da quelle di esercitate da determinate sostanze. Un ultimo capitolo contenente SI delle considerazioni generali chiude il libro. È Marce G. — Recherches sur la respiration des diff'érentes pièces AE florales. — Annales des Sciences Naturelles (N. S.) Bot. T. XIV, È cosa nota che il processo respiratorio nei fiori è generalmente assai attivo e che supera quindi il processo stesso quale si verifica in altri organi delle piante. La signora Maige ha rivolto l’atten- DE: zione alle diverse parti costituenti il fiore ed ha cercato determi- Fal: narne le singole attività respiratorie. Si è servita del metodo così Dn detto dell’aria confinata, nella quale sono state poste le diverse parti vc del fiore a pesi uguali. In seguito ad un determinato tempo fu ana- # lizzata la quantità dell'anidride carbonica prodotta e dell’ossigeno val consumato. Le ricerche condotte su diverse specie di piante dettero |: i risultati seguenti : ANNALI DI Boranica — Voc. X. 29* 0 TIBETAN E Nei fiori adulti l’attività respiratoria è in genere superiore a quella delle foglie. I pistilli respirano più attivamente degli stami ed in questi l’antera è più attiva del filamento. Anche le foglie riproduttrici delle crittogame vascolari sono più attive delle foglie vegetative. Il calice è più attivo della corolla, ma è inferiore o almeno pari agli organi riproduttori. Si può quindi stabilire la serie seguente secondo l’ordine decre- scente dell’attività respiratoria: Pistillo, Stame, Calice, Corolla, Foglia. È poi preso in esame il comportamento delle diverse parti fio- rali secondo l’età, e sui risultati ottenuti segue una dettagliata di- scussione sulla quale per ragione di spazio non è possibile intrat- tenersi. LaAauGuinINE W. et Dupoxr S. — Recherches sur la distribution de la temperature dans les plantes. — Revue générale de Bota- nique, T. XXIV, N. 282, 1912. Gli autori, dei quali il primo fu colpito dalla morte al termine delle ricerche, sì propongono uno studio esatto, metodico, sulla di- stribuzione della temperatura nelle piante. Essi affrontano il pro- blema con metodo accurato, mediante l’impiego di coppie termo- elettriche applicate nelle varie regioni del vegetale, compiono le loro ricerche su diverse piante giungendo a concludere che la tem- peratura cresce dapprima con l’elevarsi del fusto dal suolo, per re- stare in seguito costante ed elevandosi anche talvolta verso le parti giovani. Nella foglia la temperatura decresce in principio lungo il picciolo, tocca il minimo all'origine del lembo e in seguito si eleva nella nervatura centrale, rapidamente se la foglia è a nervatura palmata, lentamente se è a nervatura pennata. Nelle semme la tem- peratura è più elevata. Il comportamento poi delle piante stesse varia secondo la ten- sione del vapor d’acqua e la intensità luminosa. Infine una foglia rossa posta al sole prende una temperatura superiore a quella as- sunta da una foglia d’un verde chiaro. BarcAGLI PerRUccI G. — Alcune esperienze sui movimenti geotro- pici degli organi immersi nell’acqua. — Nuovo Giorn. Bot. It. (N. S.) Vol. XIX, N. 2, 1912. L’A., prendendo le mosse dalla nota esperienza del De-Candolle sul giacinto rovesciato, e da recenti ricerche in proposito del Dr. Maillefer, viene a parlare di alcune anomalie apparenti del geo- “i, stre VI 4 È SORIA ZE io di i inn di: tropismo, sulle quali egli ha avuto occasione di sperimentare, espo- et nendo in proposito delle considerazioni teoriche in relazione alla fo teoria degli statoliti. Ripete poi delle osservazioni sperimentali, di È cui le più notevoli sono quelle per cui un ramo di urtica tagliato di e fissato entro l’acqua per l’apice rialza la base, e l’altra secondo ni la quale il ramo stesso disposto orizzontalmente e fissato nel mezzo d° rialza le due parti verso l’alto. Gli anestetici diminuiscono ed ar- restano il curvamento. ) Queste ed altre esperienze, che in parte sono la modificazione & di quelle di Hochreutiner, ma con la differenza che furono com- È piute nell’acqua anzichè nell’aria umida e che mostrarono quindi ; risultati più pronti, offrono il modo all’A. di svolgere alcune consi- derazioni teoriche. Egli ammette che il più piccolo spostamento po iniziale dalla posizione verticale è sufficiente a provocare l’inizio del movimento sotto }o stimolo geotropico. fi L’immersione prolungata nell'acqua, per l’ostacolato scambio dei 20 gas, e quindi per l’impedita eliminazione dell’anidride carbonica, “6 provoca un effetto analogo a quello degli anestetici, cioè a dire una Ne fortissima diminuzione nella capacità di reagire. Per tal modo Bi può spiegarsi secondo l'A. l’esperienza del giacinto rovesciato, e bal tale spiegazione sembra più persuasiva di altre date in proposito. Grovannozzi U. — Sul significato del dimorfismo dei granuli di mi: clorofilla in alcune piante. — Nuovo Giorn. Bot. It., Vol. XIX, N. 1, 1912. È noto il fatto del dimorfismo dei cloroplasti in taluni vegetali, dl studiato dall’Arcangeli, dal De Gasparis, dal Delpino, dal Mattei. si Il significato di questo dimorfismo non fu esattamente riconosciuto, i talchè i vari autori ricorsero a ipotesi diverse. L’Arcangeli attri- buisce alla struttura delle foglie dell’ Atriplex Nummularia, nelle quali si riscontrano cloroplasti grossi e vivamente colorati nelle :# guaine che circondano i fasci, un significato di protezione contro cal una radiazione solare troppo intensa, il Mattei invoca la natura del suolo la quale con un forte contenuto di nitrato di potassio o di cloruro di sodio provocherebbe il dimorfismo, il Delpino riguarda i grossi cloroplasti come vere alghe unicellulari incluse, degenerate 3 in seguito alla loro prigionia. i L’A. riprende l’esame di una tale quistione, e dopo un accurato pi studio compiuto con molta diligenza giunge a concludere: che il 1) dimorfismo nei cloroplasti è un fenomeno molto comune, che è da vo escludersi assolutamente l'ipotesi delle alghe prigioniere (mancando | fi Pi - ‘ De A) e ogni traccia di membrana e di nucleo); che anche l’ipotesi del Mattei appare poco probabile; che quindi la più accettabile è quella del- l’Arcangeli: « La localizzazione del tessuto assimilatore intorno ai fasci oltre a facilitare il trasporto dei prodotti dell’assimilazione, può assumere anche il significato di una struttura protettiva contro una radiazione solare troppo intensa ». Così l’A., ed una spiegazione simile appare accettabile, essendo pienamente ammissibile che la diversa attività specifica in vari tes- suti o la necessità anche di una protezione verso un’ eccessiva il- luminazione possa provocare un diverso sviluppo nei cloroplasti. PapantI-PeLLETIER GaBRIELLO. — Nozioni di Chimica-Fisica Vege- tale. — Livorno 1912. È un manualetto compilato su molte delle più importanti pub- blicazioni in proposito e che nel complesso rivela coltura nell’au- tore e facilità di assimilazione. Vi si tratta particolarmente dei col- loidi, dell'ipotesi micellare Nigeliana, della pressione osmotica e del turgore nella cellula, dei coefficenti isotonici, degli scambi di materia nel corpo della pianta ecc. È un libriccino insomma che può riuscire utile a chi vuole addentrarsi in tali studi. PanrANELLI E. — Principali fermentazioni dei prodotti agrari. — Dr. F. Vallardi, 1912. È un libro che non ha bisogno di essere raccomandato stante l’importanza dell’argomento. Nella prima parte (generalità) vi si tratta della natura delle fermentazioni e dei fermenti, nella seconda sono descritte le singole fermentazioni e cioè: le fermentazioni dei carbidrati e loro derivati, quelle di sostanze azotate, di sostanze inorganiche. Nella parte 3° si tratta della fermentazione dei pro- dotti agricoli. Numerose incisioni illustrano il testo. C. ACQUA. BIBLIOGRAFIA Prof. Dr. 0. von KircHNER. — Blumen und Insekten, ihre Anpassun- gen einander und ihre gegenseitige Abhingegkeit. Mit 159 Ab- bild. im Text und 2 Tafeln. Leipzig und Berlin, Druck und Verlag von B. G. Teubner, 1911. In un tempo come l’attuale, in cui tutte le questioni di bio- logia suscitano l’ interesse non solo della gente del mestiere, ma anche di tutti quelli ai quali la sola interpretazione d’una forma fiorale procura godimento e soddisfazione, a questo libro del valente professore di Hohenheim, già noto per altre pubblicazioni nel campo della biologia fiorale, non può mancare una buona accoglienza ed una larga considerazione, mentre esso riuscirà certamente assal utile pure a quanti sono particolarmente versati nell’antobiologia. Questo libro, uscito verso la fine del 1911, acquista anche uno speciale valore dal fatto che le disposizioni fiorali per l’impollina- zione non sono descritte da un punto di vista esclusivamente bota- nico, ma, tenendo conto dei più recenti risultati acquisiti alla scienza, ne rileva la parte dovuta agl’insetti nei servigi che essi rendono alla fecondazione con le visite ai fiori, ne espone i reci- proci adattamenti. Servendosi del vasto materiale accumulato fino ai nostri giorni e di quanto trovasi nelle opere fondamentali di Sprengel, Darwin, Delpino, Hildebrand, H. Miiller, ecc. per la compilazione dei primi 13 capitoli (nei quali dopo aver discorso dell’impollinazione e sue forme, dei caratteri della entomogamia e degli adattamenti reci- proci fra insetti e fiori e tra questi e quelli, esamina partitamente tutte le classi fiorali proposte dal Miiller) l'Autore dedica le ultime pagine del libro alla statistica fiorale, alle cause dei vicendevoli adattamenti dei fiori ed insetti ed alle ipotesi su l’origine dei fiori attingendo all’opera del prof. E. Loew: EinfuArung in die Bliiten- biologie auf histor. Grundlage (Berlin 1895). Come si può rilevare da questi pochi cenni che ho tratto da la . VERI i e a rsa "RAT SHOPRERCI: ERE Resti prefazione dello stesso Autore, questo volume del prof. Kirchner che in piccola mole (poco più di 400 pagine) condensa ed espone (in un tedesco scevro di complicazioni, il che non è piccola cosa per noi italiani) quanto è raccolto in tante opere diverse, meritava di venir segnalato ai biologi d’ Italia, anche perchè non poco di nuovo vi è contenuto. * Gaeta, marzo 1912. Dott. L. ScortI. NOTIZIE ED APPUNTI Il 16 settembre 1912, all’età di 61 anni, è morto a Varsavia il dott. FrancESco KAMIENSKI, professore nella Università di Odessa e direttore di quel giardino botanico, membro di molte accademie e società scientifiche. Il dott. C. C. Hossrus ha ricevuto dall'Accademia Reale di Mo- naco la medaglia di benemerenza per i suoi autorevoli ed apprez- zati studî sul Siam. A Genova dal 17 al 25 ottobre si è tenuta l’annuale riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Nella sezione botanica furono fatte numerose ed interessanti comunicazioni. Con- temporaneamente fu tenuto il Congresso annuale della Società Bota- nica italiana ed in un convegno di oltre trenta delegati di associa- zioni aderenti (scientifiche, sportive, ecc...) fu deliberato di costituire la Lega Nazionale per la protezione dei monumenti naturali. E. CO. not N°) L) pù SS È BT ve mi RIE PET ha n Bret. " ATIava A, ka SI ca CY ma Tie N 175 TTT Ti AT FT TATA TTI DT cere BI 1 sE IE. Tfr n x r recent n PRESTA rr ic E AL ao iena h,: è Ì p ss i tnt La