x pr È { te cel al ? ne E ee e ot a PA e TE RANA ROIO n; PARA a i RE AN, 1 Su Phi Th, fui a, ari M MI dA Lo { i) NOIA: l a Ù uti È Lr) i PUBBLICATI Pro ROMUALDO PIROTTA Direttore del R. Istituto e del R. Orto Botanico dì Roma. VOLUME UNDICESIMO CON X. TAVOLE | ROMA | TIPOGRAFIA ENRICO VOGHERA ' . ANNALI DI BOTANICA PUBBLICATI DAL Pror.*RO MEA EDO », IV Leipzig, W. Engelmann, 1909. RONN RETE O BRR n ge RO SIA Sn NE mentre le antere rimangono libere nel centro del fiore, non essendo per esse necessario un provvedimento protettivo, giacchè o sono già vuote di polline, o sono ancora chiuse. Pare che lo stesso modo di chiusura avvenga in Sanguinaria; ma mentre in questi due ge- neri non ha luogo alcuna curvatura dei peduncoli fiorali per lo scopo di cui è parola, nel genere Papaver (1), invece, e nel maggior numero delle specie della famiglia, secondo Hansgirg, essa si ve- rifica. Oltre che in £. californica, movimenti gamotropici periodici dei petali, che si aprono e chiudono parecchie volte relativamente alla durata della fioritura, si verificano anche in Platystemon cali- fornicus; mentre Glaucium corniculatum e flavum, Papaver collinum ed Argemone mericana si aprono e chiudono in una sola volta nel corso di 24 ore. Chelidonium majus, Papaver orientale, P. brac- teatum e P. arenarius non si chiudono, ma rimangono sempre aperti fino a che appassiscono. In quanto al comportarsi dei fiori rispetto alla pioggia, essi sono ombrofobi. Secondo Hansgirg (2) Eschscholtzia, Sanguinaria ed Hypecoum, in parte, appartengono al primo tipo da lui stabilito, nel quale la chiusura del perianzio impedisce l’accesso alla pioggia, senza che i peduncoli esplichino alcun movimento ombrofobo. Al secondo tipo, a quello cioè delle piante i cui fiori rimangono aperti anche quando piove, ma per mezzo di curvatura del peduncolo si allontanano dalla posizione verticale e vengono ad inclinarsi in basso, appartengono alcuni Papaver, Chelidonium e Meconopsis. Al quarto tipo, infine, in cui si combinano la chiusura dei fiori e la curvatura dei peduncoli, appartengono forme affini a Chelidonium ed alcuni Hypecoum. . Rispetto alla durata i fiori, in generale, perdono i petali molto presto, ma in alcune specie essa è più lunga di quel che si creda, senza ricordare le specie del gen. Platystemon in cui i petali dis- seccati rimangono a coprire il frutto. Secondo Kerner, Roemeria violacea e Argemone hanno fiori efimeri, in quanto che si aprono tra le 4-5 del mattino e si chiudono, per non più riaprirsi tra le 10-11 am.; Hansgirg (1. cit., p. 22) cita ancora Papaver californi- (1) Il fatto era rilevato anche dagli antichi. Virgilio (Aeneidos, lib. IX) narrando la morte di Eurialo, usa la seguente similitudine: 455 Purpureus veluti cum flos, succisus aratro 456 languescit moriens, lassove papavera collo 437 demisere caput, pluvia cam forte gravantur. (2) PAanzenbiolog. Untersuchungen ; Wien, 1904, p. 122 e seg. — V. pure: Beitr. z. Kennt. der Bliithenombrophobie, p. 23; 1896. ANNALI DI BoTANICA — Vor. XI. 2 Po STERLINE Ge Se PSE deg cum, splendidissimum, atlanticum; Argemone platyceras, Barkleyana; Roemeria refracta; Chelidonium Franchetianum, etc. Glaucium cor- niculatum e flavum, Papaver alpinum si aprono la prima volta nelle ore antimeridiane, si chiudono all’avvicinarsi del crepuscolo, si riaprono nel mattino seguente, per cadere poi appassiti fra le 2-5 pom. dello stesso giorno. La fioritura dura due giorni per Pap. somniferum, quattro per Sanguinaria canadensis, cinque per Esch- scholtzia californica. Papaver Rhoeas poi volge i suoi fiori sempre al sole e Pavesi ricorda che fu pure osservato selenotropismo. L'apparato vessillare è sviluppato nel maggior numero delle specie. Il colore dei fiori è rosso, giallo (Hypecoum, Platystemon, Platystigma, Chelidonium, Glaucium, Argemone, Hunnemannia, Esch- scholtzia, Stylophorum, Meconopsis, Dendromecon, Hylomecon, Pa- paver-sp., ecc.) o bianco (Hypecoum, Romneya, Sanguinaria, Eo- mecon, Papaver-sp., Canbya, ecc.) nei casi più frequenti; il vio- letto è più raro (ftoemeria) ed il bleu (Meconopsis) è appena rap- presentato. Miiller (A/pendl., p. 479, in nota) ha osservato che il color rosso- acceso di Pap. Rhoeas non è soltanto un mezzo di richiamo per gl’ insetti, ma rappresenta nello stesso tempo anche un colore di- fensivo che incute timore alle bestie pascolanti, le quali vengono così avvertite della presenza di sostanza velenosa e lasciano stare questi fiori; per lo meno, nei dintorni di Lipsia, essi sono rispet- tati dalle vacche pascolanti. La funzione vessillare dei petali viene talora accresciuta dal co- lorito degli stami (Romneya) o anche da quello del polline (per lo più giallo, ma talvolta diversamente colorato) (1), e talora anche dalla presenza di macchie di diverso colore alla base dei petali (Papaver, Glaucium), o nel fondo dei fiori. Quantunque manchino veri nettarii, sembra tuttavia probabile la presenza di qualcosa di analogo. Così Hypecoum alla base dei filamenti possiede un tessuto microcellulare che evidentemente contiene un succo zuccherino, ma mancano a questo riguardo os- servazioni dirette. Una disposizione analoga, secondo Kerner (p. 163), possiede San- quinaria canadensis che alla superficie dei petali mostra macchie chiare, lucenti, che risultano di grandi cellule epidermiche ricche di succo. Ma secondo Loew si tratta in questo caso di un puro fiore a polline. Come poi si è ricordato nella trattazione delle specie, (1) Veggasi in proposito: BARONI Eua., Osservaz. sul polline di ale. Papa- veracee, in: Nuovo Giorn. Bot. Ital, XXV (1893). prog e) © Luisa Miiller trovò glucosio nei piccoli sepali giallo-dorati di Ma- cleya cordata, e R. Stiger trovò succhi zuccherini nei petali di Papaver alpinum e P. Rhoeas. Per quanto riguarda gli odori, mentre alcune specie di Papaver, Uhelidonium e Glaucium non ne tramandano alcuno, e 1’ appari- scenza dell’apparecchio vessillare compensa tale mancanza, Papaver alpinum esala un odore che, come fu riferito, sta fra quello del biancospino (dovuto alla trimetilammina) e quello del muschio, e Sanguinaria emana un odore ammoniacale (Kerner, p. 191). Odore spiacevole, secondo Ekstam, manda ap. nudicaule var. radicatum e Romneya Coulterî accanto ad un odore che ricorda quello della violetta, sprigiona pure un odore accessorio che la rende sgradita. Delpino (Ult. Oss., II, p. 58) attribuisce infine al Pap. Rhoeas il così detto « odore readino » che egli classifica tra gli «odori gra- veolenti ». Dicogamia. Generalmente i fiori sono omogami (Chelidonium, Romneya, Stylophorum, Argemone hispida, Papaver alpinum e nu- dicaule) o debolmente proterogini (Glaucium, Bocconia frutescens) 0 decisamente proterogini (Sanguinaria canadensis) o proterandri (Hy- pecoum, Platystemon, Chelidonium majus secondo Poppius. In generale i fiori accanto a disposizioni per l’eteroimpollinazione presentano anche disposizioni per l’autoimpollinazione la quale riesce in molti casi coronata da successo ed in altri, secondo gli autori, 1 risultati sono contradittorii. Così per esempio, dall’elenco dello Kuuth (I, p.42), risultano autosterili: Papaver alpinum (esempl. di giardino), P. /thoeas, P. somniferum (Hoffmann), P. nudicaule (Focke), EscAscholtzia californica (Fr. Miller, Darwin), Hypecoum grandiflorum (Hildebr.), mentre alcune di queste specie figurano pure nell’elenco delle autofertili (p. 46): Pap. somniferum (Darwin, Kirchner), P. dubium (Hoffmann; sec. Miller autosterile), Pap. nu- dicaule (Warming), P. vagum (Darwin, Warming, Ekstam), P. ar- gemonioides (Darwin, Hild., Warm., Ekstam). Recentemente Ponzo constatava autofertili P. /thoeas e P. Aybridum. Eschscholtzia californica, secondo Kerner (p. 298), presenta una specie di eterostilia, le cui conseguenze a favore dell’autoimpolli- nazione sembrano di poca importanza, avendo Fr. Miiller (Bot. Zett. 1868, p. 115; 1869, p. 224-225) a Santa Catharina nel Brasile con- statato, dopo parecchie esperienze, che essa è affatto autosterile o io è in sommo grado. L’autogamia diretta avviene, secondo Kerner, nei fiori chiusi di Hypecoum procumbens e pendulum quando per condizioni atmosfe- riche non possano aprirsi. Lo stesso fu osservato da Warnstorf nel DOGE Pap. Argemone, da Knuth nel P. somniferum, da Hoffmann nel P. hybridum, e questa pseudocleistogamia si avvera anche nel Che- lidonium majus, secondo Miiller. Generalmente entomofila (0 entomogama, secondo il Kirchner), la famiglia delle Papaveracee possiede pure specie anemofile. Direttamente adattate all’anemofilia sembrano Sanguinaria (sec. Loew) e Bocconia frutescens (sec. Delpino), mentre Macleya cordata sembra iu uno stadio di transizione e Papaver somniferum secondo Schullerus è piuttosto anemofilo che zoidiofilo. Prima di chiudere queste considerazioni generali mi piace ri- cordare come P. Rhoeas e Pap. orientale furono l’oggetto delle nu- merose esperienze di Giltay (1) e di Plateau (2) nella quistione assai dibattuta circa l’importanza degli organi vessillari o degli effluvi odoranti nell’attrazione esercitata da i fiori su gl’insetti — qui-. stione che pare risoluta nel senso indicato da A. Forel (3) e da Andreae (4), cioè che il colore attira sopratutto gl’ insetti superiori, e l’odore gl’insetti inferiori e presso i primi il colore esercita mag- giore attrazione del profumo. Ad analoga conclusione, in seguito a ricerche metodicamente con- dotte sono giunti recentemente Giltay (5) e Giuseppina Wery (6). Le loro osservazioni sono concordanti. Essi riconescono la funzione vessillare degli organi fiorali colorati e son d’avviso che questa colorazione è in generale più efficace del profumo nell’attrazione della maggior parte degl’insetti, come riassume il Péchoutre (7). Fam. FUMARIACEAE. Le Fumariacee, dagli antichi botanici incluse tra le Papave- racee e dal De Candolle aggruppate in famiglia a sè, anche oggi dai sistematici sono riferite a quelle ovvero trattate separatamente. (1) Uber die Bedeutung der Krone bei den Bliiten und iiber das Farben- unterscheidungsvermigen der Insekten; Jahrb. f. wiss. Bot. XL e XLIII; 1904, 1906. (2) Les Pavots decorolles et les insectes visiteurs; Bull. Ac. roy. des Sciences de Belgique, n. 11, p. 657; 1902. (3) Die psychischen Féùhigkeiten der Ameisen und einiger anderer Insekten ; Miinich, 1901; Sensations des Insectes; Riv. di Biolog. generale, 1901. (4) Inwiefern werden Insekten durch Farbe und Duft der Blumen ange- zogen?; Beih. z. Bot. Centralbl. XV, 3, 1903; p. 427. (b) Muse: (6) Quelques experiences sur l’attraction des abeilles par les fleurs; Bull. Ac. roy. de Belgique, n. 12 (décembre), 1904, - (7) Biologie florale; Paris, O. Doin et fils, 1909. Eat ge Almeno, però, dal punto di vista antobiologico meritano di es- sere distaccate dalle Papaveracee, seguendo in ciò l’ Hildebrand che in una estesa monografia (1) ne ha spiegato ed illustrato il mecca- nismo delle parti fiorali, alla cui interpretazione Delpino (2) aveva già dedicato poche pagine. I generi si succedono secondo l’ordine tenuto da Prantl e Kundig. Gen. Dicentra (3) Bernh. Fiori omogami, melittofili. Il nettare è secreto dalle due insac- cature alla base dei due petali esterni, semicordati, e quivi na- scosto — sacchi anadenii, secondo Delpino (Ult. Oss. II, 2, p. 101). D. spectabilis DC. [Hildebrand, Jahrb. f. wiss. Bot. VII, 1869, p. 429-434; H. Miller, Befr. p. 129; Knuth, Handb. II, 1, p. 70-71] — Le descrizioni di Knuth e di Miiller concordano con quelle di Hil- debrand. A. motivo della sottigliezza dei peduncoli i fiori di questa specie sono sempre verticali e pendenti. I due sepali cadono molto presto. Tre filamenti staminali sono inclusi in ciascuno dei petali di cui seguono la curvatura ed insieme formano una doccia, la quale al- lontanandosi dal centro del fiore conduce al nettare. Questa doccia all’estremità opposta sbocca direttamente nella località dove, fra i petali esterni e la base alata di quelli interni, rimane un’apertura, cioè nel due soli punti dove si trova un accesso all’interno del fiore. Le porzioni dei filamenti staminali che sporgono dal fiore, serrate insieme con le antere, circondano lo stilo, rigido, e lo stimma, e vengono alla loro volta inclusi in un cappuccio formato dagli apici dei due petali interni. Prima assai che il fiore si apra, le antere deiscono e versano il loro polline su lo stimma grosso, lobato, racchiuso nel cappuccio. L’autoimpollinazione spontanea avverrebbe perciò inevitabile, ed il polline non potrebbe mai uscire dalla sua solida custodia se non intervenissero gl’insetti (api, esclusivamente) a provocare l’etero- impollinazione. Quando un’ape si aggrappa ad un fiore per suggere 1 nettare, essa è obbligata con la parte inferiore del corpo a spin- (1) Ueber die Bestiubungsvorrichtungen bei den Fumariaceen; Jahrb. f. wiss. Botanik, VII, 1869. (2) Sugli apparecchi della fecondazione nelle piante antocarpee ; Firenze, M. Cellini e C., 1867. (3) È l’unico nome del genere da conservare, secondo le Regole adottate nel Congresso internazionale di Vienna del 1905, mentre sono « nomina reji- cienda »: Capnorchis Borckh., Bikukulla Adans., Diclytra Borckh., Dielytra Cham. et Schl., Dactylicapnos Wall. e i s a: a I x NES È bo À È fi ae ie ni Di eo, — gere da un lato il cappuccio e gli stami flessibili che questo cir- conda e col rivestimento peloso dell'addome spazza il polline, che aderisce allo stimma, all’estremità d’uno stilo rigido. Tosto che l’ape si allontana, il cappuccio ritorna alla primitiva posizione e cir- conda nuovamente gli organi sessuali. Poichè in ogni fiore si tro- vano due nettarii e due docce che guidano ad essi la tromba del- l’insetto, questo processo si ripete due volte in ciascun fiore, una volta a destra ed un’altra a sinistra. In tal modo, il polline ade- rente allo stimma viene nei fiori più giovani spazzato dai peli addominali dell’ape e deposto sullo stimma dei fiori più vecchi, già privati del loro polline. Tale processo fu osservato da Hildebrand nei bombi che visitavano i fiori di D. spectabilis. Poichè le docce che guidano al nettare hanno in questa specie una lunghezza di 13-20 mm., soltanto due delle nostre api possono in via normale raggiungerne il nettare, cioè Bombus hortorum 9 L. (lungh. della tromba 20-21 mm.) e Anthophora pilipes F.£, la cui tromba è lunga 19-20 mm. Nel fatto sono queste due api i visita- tori e fecondatori normali di questi fiori. Miiller le osservò entrambe a succiar nettare in Westfalia, e Knuth osservò solo il primo in giardini di Kiel. Api a tromba più corta s'impadroniscono del nettare forando la corolla. Bombus terre- ster (7-9 mm. di tromba) aggrappandosi su l’alto dei fiori, fora i pe- tali in vicinanza dei nettarii e sugge il nettare dal foro prodotto. Egualmente fanno B. pratorum L. 9 (11-12 mm. di tromba) e 5. ra- jellus K. 9 (12-15 mm.), come osservò H. Miiller, mentre Osmia rufa L. 9 (9 mm.), Megachile centuncularis L.9 (6-7 mm.) e Apis mellifica L.£ (6 mm.) approfittano per -frodare nettare dei fori aperti dai bombi. La levigatezza dei petali, come Miiller ebbe campo di consta- tare, procurava all’ape mellifica in questa bisogna gran perdita di tempo. D. cucullaria DO., del Nord-America e coltivata nei giardini, ha pure fiori melittofili, descritti nella loro struttura da Hildebrand. Secondo osservazioni di Robertson presso Carlinville nell’ Illinois, la comparsa .dei fiori in primavera coincide con quella dei bombi a lunga tromba, che ne curano principalmente l’impollinazione. Poichè i due petali interni abbracciano le antere come in un cap- puccio e le difendono da una razzia del polline, i fiori vengono piuttosto sfruttati soltanto per il nettare. Tuttavia l’ape mellifica raccoglie soltanto polline nel fiore, mentre col capo allontana i pe- tali formanti il cappuccio e aduna il polline nelle zampe anteriori. La posizione pendula dei fiori rende la visita specialmente comoda rigo 2a. agli apidi e a Bombylius; talvolta però si sospendono ai fiori anche farfalle e rubano il nettare. A raggiungere questo basta una tromba di circa 8 mm., o di 12.5-14 mm. per uno sfruttamento più completo. I fiori di questa specie posseggono i due petali esterni lunga- mente speronati, ed il nettare viene secreto in questi speroni dai due prolungamenti a forma di cornetto dei filamenti staminali me- diani. Parecchi autori — Bailey, Leggett, Britton, Stone, Merriam, Meehan — riferiscono che i fiori vengono più o meno abitualmente forati dai bombi, nel Nord-America. Robertson (FZow., I, p.125-126; II, 1, p. 71) osservava nell’Illinois 12 apialunga tromba, un Bom- bylius e 5 farfalle diurne a visitare 1 fiori. D. canadensis DC. — Secondo Merriam (Torrey Club, XI, p. 66) i fiori vengono, nel Nord-Ameriea, forati da Bombus virginicus F. D. eximia DC. concorda nelle disposizioni fiorali con D. specta- bilis, ma offre un campo più ristretto alla curvatura del cappuccio verso destra e verso sinistra e la via che conduce al nettare è anche più corta (Hildebrand, 1. c., VIL, p. 484; 1869-70). Gen. Adlumia. Raf. A. cirrhosa Rf. — I fiori di questa specie hanno esternamente una conformazione molto analoga a quella dei fiori di Dicentra eximia, tuttavia la connivenza delle singole parti fiorali fra loro è ancora più salda. Il sacco dei petali esterni è molto meno marcato ed i loro margini sono aderenti nella loro porzione inferiore. Dei petali interni, come in Dic. eximia, soltanto la parte supe- riore del cappuccio è sviluppata e libera, mentre la porzione in- feriore è saldata con i petali esterni. I nettarii si trovano su i lati esterni del tubo, ventricoso in basso, formato dai sei filamenti staminali, inferiormente riuniti. L’autoimpollinazione è inevitabile nel boccio, ma l'intervento degl’insetti rende pure inevitabile l’eteroimpoliinazione (/7224d., loc. cit., pp. 437-439). Gen. Corydalis DC. Fiori melittofili omogami. Lo spostamento del cappuccio può aver luogo soltanto verso il basso. Il superiore dei due petali esterni è posteriormente prolungato in uno sprone nettarifero. C. cava Schweigg. et Kért [Hildeb.: Befr. v. C. cava, 1867; Geschl.-Verth. p. 66; 1. c.: Muller H.: Befr. p.130; Kerner, l. c.; Kirchner, FI. p.280; Delpino, App.] — Nei fiori bianchi o rosei, omo- gami, melittofili, emananti odor di miele, lo sprone si prolunga po- steriormente sul peduncolo fiorale per circa 12 mm. I fiori sono orizzontali e nello sprone si avanza il prolungamento dei filamenti — 24 — staminali superiori fino al punto di curvatura dello sprone e secerne nettare, il quale viene raccolto nella porzione dello sprone piegata verso il basso; — nettaroconca o sacco anadenio, secondo Delpino (Ult. Oss. II, 2, p. 101). I due petali interni, laterali, saldati alla base con i due petali esterni, con la saldatura dei loro apici formano un cappuccio che circonda antere e stimma. Questo è grosso e lobato ed a superficie granulare, rappresenta l’estremità di uno stilo rigido — e perciò non può essere spinto in basso — e già prima dell’apertura dei fiori è coperto del polline di tutte le antere che lo circondano e che ben aderisce alla sua superficie granulare. Gl’insetti (api a lunga tromba) che vogliono succhiare il net- tare devono introdurre la loro tromba fra il cappuccio ed il petalo superiore speronato. Con ciò essì spingono in basso il cappuccio e si sporcano la regione ventrale col polline deposto su lo stimma nei fiori più giovani, polline che vanno a scaricare nei fiori più vec- chi sul relativo stimma che ne venne già privato. In tal modo l’e- teroimpollinazione ha luogo. Cessata la pressione esercitata da l’in- setto visitatore sul cappuccio, questo ritorna nuovamente nella posizione che prima aveva, circondando di nuovo lo stimma. Poichè lo sperone, secondo H. Miiller, dal suo punto di attacco al peduncolo fiorale sì protràe posteriormente per 12 mm., ed il nettare ne riempie l’estremità solo per 4-5 mm., delle api che vo- lano all’epoca in cui fiorisce C. cava, solamente Anthophora pili- pes F. %, 7, con la tromba lunga 19-21 mm. è in grado di rag- giungere normalmente il nettare. Secondo osservazioni di Miiller presso Lippstadt e di Knuth (Bloemb. Bijdr.) nei dintorni di Kiel essa visita i fiori di C. cava in sì gran numero e contanta celerità che nessuno ne rimane in- fecondato. Come frodatore di nettare è da citare Bombus terrester L., il quale con la sua tromba lunga 7-9 mm. sarebbe ancora in grado di giungere al nettare e di gustarne una parte, ma vi rinuncia e fora lo sprone superiormente in vicinanza del nettare, al punto dove lo sprone si curva o un po’ più innanzi, cacciando la tromba nello squarcio prodotto e suggendo. Di questo foro approfittano anche altre api a breve tromba, ad. es. Apîs mellifica (6 mm. di tromba) Anthrena- Sphecodes- e Nomada-sp. Per altro Apis mellifica tenta talvolta di giungere al netiare anche per via normale, ma sempre inutilmente per la tromba troppo corta. Questi tentativi inutili, occasionali, possono, come nel caso di Anthophora pilipes; procurare l’eteroimpollinazione, anche quando, dopo aver rinunciato heiNi20 LE sa MRI RP ERA DARI ETA RETI MOL CEUIAOT PRPE TO ALIASNO 1 OO AN Pe E al nettare, essa si ferma su i fioria raccoglier polline. Miiller vide pure alcuni Bombylius: B. major L. e B. discolor Mikan, con la tromba di 10, rispettivamente di 11-12 mm. — librati, com’è co- stume dei genere, innanzi ai fiori e succhiare normalmente il net- tare, ma la loro tromba è troppo sottile, perchè possano effettuare fecondazione. Nella Stiria Hoffer osservò Bombus mastrucatus Gerst. 9 a forare lo sprone ed a suggerne il nettare. Schulz (Beitr. II, p. 205) oltre Bombdus terrester citato dal Miil- ler, osservò pure 5. lapidarius 9 e B. pratorum % a forar fiori. Stiiger (Beod., 1902) trovò fiori di C. cava con 3-5 fori, e ne de- duce che i bombi seguono l’istinto meccanico. Fiori frequentemente forati io osservai a Stradella (Pavia), mentre dei fori già praticati da Bombus profittavano non poche formiche. Non ostante che lo stimma si trovi nel cappuccio circondato dal polline del proprio fiore, l’autofecondazione non avviene. Hil. debrand, in seguito a numerose esperienze, ha stabilito che i fiori sono assolutamente sterili col proprio polline, lo sono in alto grado con quello di altri fiori della stessa pianta, mentre sono fertili solo col polline proveniente da fiori di piante diverse. C. intermedia P. M. E. (= C. fabacea Pers.) ha fiori porporini raccolti in racemi, poco appariscenti. Nelle disposizioni concordano con quelli della specie precedente; lo sperone è lungo circa 9 mm. Poichè, in aprile (in Germania), all’epoca in cui fiorisce questa specie la visita degl’insetti è scarsa ed i fiori inoltre si presentano spesso forati, qualora la pianta fosse designata per l’eteroimpolli- nazione, la fruttificazione e la formazione dei semi potrebbe aver luogo soltanto in rari casi. Per quanto potè osservare il Warnstorf (Rupp. Fl), la pianta deve essere autogama, mancando le visite degl’insetti, e Kerner (p. 395) stabili l’autofertilità di questa specie. C. solida Smith (= C. digitata Pers.) [Hildebr., 1.c.; Muller, Befr. p. 151; Kérchner, Fl. p. 280; Mac Leod, Bevr., p.187; Warrstorf, Rupp. Fl., p. 18; Knuth, BI. Bijdr.; Poppius, Blomb. Jaktt. 1903] concorda nelle disposizioni fiorali con C. cava, ma lo sperone è tal- volta un po’ più corto. I fiori d’un violetto chiaro sono in ricchi racemi e perciò molto appariscenti. I due petali laterali del cappuccio sono, nel punto dove si saldano e lungo tutta la carena, forniti di grandi papille sca- nalate le quali aumentano l’attrito ed impediscono lo scivolamento delle zampe degl’insetti (Warnstor)). Anche questa specie, secondo Hildebrand, è autosterile. I fiori sono normalmente visitati e fecondati da Anthophora pilipes ; Bom- Redi Sr rn ai ei (ET ra a tel Leica SIT leg Site e ie e OG bus terrester ed Apis mellifica ne guadagnano il nettare mediante fori nello sprone, e lo stesso fanno, per via normale, Bombylius-sp., ma senza vantaggio per i fiori. Anche Loew nel Giardino botanico di Berlino osservò Apis mel- lifica e Anthophora. In Finlandia Poppius considera come visitatore normale dei fiori Bombus hortorum L., sempre numeroso, che ne raggiunge il nettare regolarmente, mentre 5. terrester e B. agrorum forano lo sprone. C. nobilis Pers. si comporta, secondo Hildebrand, nelle disposi- zioni per l’impollinazione come Cl. cava. C. capnoîdes Pers. ha un apparecchio fiorale analogo a quello di C. cava, ma ne diversifica alquanto nella forma dei petali esterni, specialmente di quello superiore, il cui sperone è incurvato sul pe- duncolo fiorale (Hildebr.). Secondo Kerner (p. 395) questa specie è fertile col proprio polline. C. ochroleuca Koch differisce dalle specie precedenti — presso le quali il cappuccio ritorna nella sua posizione, appena cessata la pressione sopra di esso esercitata da gl’ insetti visitatori — perchè il cappuccio una volta abbassato non torna più nella posizione pri- mitiva, ma rimane piegato in basso, mentre gli stami scattano in alto e si nascondono in un solco del petalo superiore. Ogni fiore può essere perciò visitato soltanto una volta, nel modo come si è detto, e l’ape si sporca allora la regione ventrale col pol- line che si trova su lo stimma, e nel caso avesse già visitato un altro fiore di questa specie ricopre contemporaneamente lo stimma di polline straniero. Secondo le ricerche di Hildebrand (l. c.) questa Corydalis è fer- tile col proprio polline. Secondo Kerner, mancando le visite degli insetti, avviene l’autogamia (l. c.). C. lutea DC. concorda, secondo Hildebrand, nelle disposizioni fio- rali con la specie precedente. Kerner (pp. 222, 261) ne dà una larga descrizione. I due petali laterali hanno grandezza uguale e si addossano l’uno su l’altro come due mani incavate. Il petalo inferiore, picco- lissimo, è a forma di spatola; il superiore, più grande di tutti, si protrae posteriormente in un sacco cavo in cui si raccoglie il net- tare, mentre anteriormente è allargato e rialzato come la falda d’un cappello. Sotto questa falda si trova l’accesso al nettare e gl’insetti, per giungervi, si posano sui due petali laterali, forniti di lobi sporgenti in direzione orizzontale, paragonabili alle staffe esistenti ai lati di una sella. Appoggiandosi le api su queste staffe SAI n VII . o, Lai gel con le zampe, rimangono quasi a cavalcioni d’una sella, formata, come si è detto, dai due petali laterali congiunti. La pressione esercitata su la sella ha per effetto il suo abbassamento immediato ed il raddrizzamento degli stami inclusi nella cavità interna di essa sella. Siccome il polline di questa Corydalis è versato assai per tempo e si accumula su le antere, così, mentre gli stami si rad- drizzano, esso viene lanciato contro la superficie inferiore degl’in- setti che ne visitano i fiori. Miiller (Befr., p. 152; Weit. Beob. I, p. 8324) osservò presso Lippstadt Bombus agrorum F.% (12-15 mm. di tromba) a succiare normalmente nei fiori, e presso Jena le seguenti api: Psithyrus ru- pestris F.£, Bombus Rajellus Ill. ®, B. confusus Schenck £, B. la- pidarius L. 2, B. pomorum Pz. 9, Anthophora aestivalis Pz. 2. I, Osmia aurulenta Pz. ®., Eucera longicornis L.®, Halictus canthopus K.®, tutti succianti nettare o almeno tentando di succiarlo. Schenck (cit. da Knuth) in Nassau osservò Osmia cornuta Ltr. e Podalirius acervorum L., intenti a succiare; Scott-Elliot (1. cit. p. 10) osservò un bombo. C. acaulis Pers. presenta disposizioni fiorali analoghe a quelle della specie precedente (erner). C. bracteata P. e C. Kolpakowskrana Rgl. nel giardino botanico di Berlino erano visitate da Anthophora pilipes F.9, succ., come osservò Loew (cit. da Knuth). i C. claviculata DCO. [Knuth, B. Cntrbl. 52, p. 1; Hart, Nature X, p.5] — I fiori poco vistosi, biancastri, lunghi soltanto 6-8 mm. e larghi 2, stanno aggruppati in grappoli pauciflori (al più soltanto 6). In principio gli stami sono un po’ più corti dello stilo, cosicchè l’autoimpollinazione spontanea non può avvenire che quando il polline viene versato nel cappuccio, di color lilla scuro, che ab- braccia lo stimma. Quantunque lo Knuth ron abbia osservato vi- sitatori dei fiori, notò tuttavia le tracce dell’attività di insetti suc- cianti il nettare. In molti fiori egli notò che l’articolazione fra il pe- talo speronato e gli altri tre era fortemente allentata, per cui questi ultimi devono rappresentare un comodo posatoio per le api. Il cap- puccio, abbassato, non ritorna più nella primitiva posizione; lo stimma viene piuttosto nascosto sotto la falda piegata del petalo superiore. Willis (Flow. and Ins., I) in vicinanza delle coste scozzesi me- ridionali osservò visitatori dei fiori: Bombus agrorum F., frequente, B. terrester L. Sembra che ogni fiore formi un frutto. Scott-Elliot (F/. p. 10) osservò Apis, 4 Bombus, un’ape a tromba corta ed un muscide. Re > PI È si Pi Ta Mo Su C. glauca Purs. — Anche per questa specie, Miss Esther Thomp- son osservò nel Connecticut un bombo a visitare i fiori, e Stone nel Nord-America ne osservò di forati. C. aurea Wild. — A Madison, nel Wisconsin il signor Vaughan osservò fori nei fiori di questa specie, fori che egli attribuisce a coleotteri (cit. da Pammel). C. flavula DC. — In esemplari coltivati, malgrado l’appariscenza dei fiori, Meehan constatò autofertilità. L’impollinazione avviene già nel boccio. C. decumbens Pers. e C. incisa Pers., frequenti entrambe nelle vicinanze di Tokio, furono ritenute da Knuth per autofertili, poi- chè non ostante un’attenta sorveglianza in tempo favorevole, non gli capitò mai di osservare visite d’insetti e tutti i fiori si mo- strarono fecondati. Similmente non notò mai fiori forati, come se ne incontrano in altre Corydalis (Handb. III, 1, p. 314). C. chaerophylla DCO. — Burkill osservò i fiori di questa specie, a 9000 piedi sul mare, nell’India, visitati diligentemente da Bombus funerarius Sm. C.juncea, C. longipes, C. cachemiriana. — Su i fiori di queste specie Burkill, nell'India, non osservò insetti, ma i fiori fruttificarono in seguito ad autoimpollinazione. Tatti i fiori di queste specie sono rivolti obliquamente in basso. . C. rutaefolia Sibth. — Il fiore presenta il meccanismo tipico delle Corydalis. Esso non è molto vistoso, ma la pianta è sociale (Burkz22). Gen, Fumaria (Tourn.) L. Fiori melittofili omogami. Il nettare è secreto da un’appendice basilare del gruppo staminale superiore, che si nasconde entro lo sperone — sacco anadenio, sec. Delpino, loc. cit. p. 101 — del pe- talo superiore. F. officinalis L. — I fiori porporini, più intensamente colorati al- l’apice, concordano secondo Hildebrand (1. cit. p. 450) nelle dispo- sizioni per l’impollinazione con quelli di Corydalis cava. Le sei antere circondano all’apice del cappuccio, formato dai. petali interni, lo stimma semilunare, bicorne, con una piccola spor- genza nel mezzo, e poichè deiscono già nel boccio, l’autoimpollina- zione è inevitabilile. Ma nel fiore aperto, quando un insetto intro» duce la sua tromba per ricercare il nettare ed abbassa il cappuccio, lo stimma, messo allo scoperto, può ricevere polline straniero. Dalle esperienze eseguite, Hildebrand constatò che l’autoimpol- linazione spontanea è fruttifera. APE VP RITI N p III CRRSIT YES ER NE = agg e I fiori, data la loro piccolezza, il tempo in cui si aprono e le località nascoste ove si mostrano, sono scarsamente visitati da gli insetti, ma poichè fruttificano quasi tutti, anche quando il tempo cattivo escluda ogni probabile visita da parte delle api, l’autoimpolli- nazione spontanea avviene pure nella libera natura (Miller, Kirch- ner). Miller (Befr. p. 132) e Knuth (Nordfr. Ins., p. 23) hanno visto solo poche volte Apis mellifica su i fiori di questa specie. Scott-Elliot (F7. p. 9) nel Dumfriesshire, in Scozia, osservò una farfalla diurna. Macchiati (1. cit.) per questa ed altre Fumaria elenca Osmia ed < altri apidi ». Gli esemplari esaminati da Poppius (l. cit.) ad Esbo in Fin- landia sono per l'apparenza è per la struttura dei fiori concordi con la descrizione di Knuth, e quivi pure sembra che la feconda- zione avvenga principalmente per via autogama. Egli non osservò mai visite di insetti, osservò però alcuni ditteri, specialmente $y- ritta pipiens L., volare di tanto in tanto innanzi alle infiorescenze che di solito abbandonavano, oppure si posavano su i fiori senza però tentare di giungere al nettare nè al polline. F. capreolata L. e F. parviflora Lam. hanno, secondo Hilde- brand (l. cit. p. 452), disposizioni fiorali per l’impollinazione affatto analoghe a quelle di /. officinalis, però l’elasticità del cappuccio formato dai petali è così debole che, dopo una pressione da l’alto, esso ritorna lentamente o non ritorna affatto a ricoprire gli organi sessuali. Hildebrand si domanda se questa diminuita elasticità sia sopraggiunta per il continuo non uso, e considerando il fatto di non aver mai osservato alcun insetto su questi fiori, propende per una risposta affermativa. L’autoimpollinazione spontanea è fertile in entrambe le specie, e recentemente Ponzo (l. cit., II, 1905) constatava la completa ma- turità dei frutti in 14 fiori su 17 di 7. capreolata, dovuta ad esclu- siva autofecondazione, affermata già pure da Darwin (l. cit. p. 265) il quale rilevava nei fiori maggior presenza di nettare specialmente la sera e li ritenne visitati da farfalline. Anche Avebury (Brit. Flow. PI., p. 75) sembra di questo avviso escludendo le api ed am- mettendo insetti notturni quali pronubi di 7. officinalis. Moggridge osservò i fiori di /. pallidiflora forma di F. capreo- lata visitati da un’ape (Osmia) a lunga tromba. I fiori di questa forma si presentano bianchi prima della fecondazione, mentre di- ventano rosei o anche rosso-carminio dopo avvenuta la medesima. Questo cangiamento di colore- che si verifica pure in altre specie (Weigelia rosea, Melampyrum pratense, Aesculus Hippocastanum, pirla Fuchsia-sp., Ribes aureum e sanguineum, ecc.)- dei fiori già fecon- dati, contribuisce secondo Knuth (I, p. 104) ad aumentare l'appa- riscenza di tutta l’infiorescenza, mentre dai visitatori più evoluti vengono riconosciuti come già privati del nettare. F. spicata DC. concorda nelle disposizioni fiorali con Corydalis ochroleuca e C. lutea, ed è pure fertile col proprio polline (Hi/de- brand, 1. cit. p. 453). I petali che formano il cappuccio su la co- lonnetta degli stami e del pistillo sono quasi uniti insieme, ma quando la pressione esercitata da un’ape venga a separarli, la co- lonnetta che è in uno stato di tensione, rimanendo libera, si slancia in alto ed imbratta di polline l’insetto. Questo processo si produce una sola volta per ciascun fiore. Considerazioni generali su le Fumariacce. I fiori delle Fumariacee appartengono alla classe # del Miller, cioè sono adattati agl’imenotteri a lunga tromba. Come mezzi di ri- chiamo valgono la colorazione — rossa, gialla, bianco-giallastra, rosea -— dei fiori aggruppati in infiorescenze racemose di vario aspetto, e l’odore di miele più o meno sensibile emanato da alcune specie. Il nettare è raccolto in lunghi speroni o insaccature dei petali; Dicentra ed Adlumia presentano i due petali esterni speronati, fu- maria e Corydalis hanno invece un unico petalo (quello, superiore, esterno) speronato. I due petali interni saldati all'apice (talvolta colorato più inten- samente) formano un cappuccio che protegge gli organi sessuali. In Dicentra ed Adlumia, i cui fiori sono penduli, il cappuccio è spinto a destra o a sinistra da le api visitatrici, in Corydalis e Fumaria, da i fiori orizzontali, il cappuccio è invece premuto dal basso al- l’alto. Nei fiori, omogami, malgrado l’autoimpollinazione spontanea avvenga inevitabilmente, si osservano tuttavia disposizioni perchè abbia luogo anche l’eteroimpollinazione. Nei generi bicalcarati, in- fatti, quando gl’insetti cacciano la loro tromba in uno dei due ser- batoi nettariferi, vengono a contatto con lo stimma coperto di pol- line e se ne sporcano l’uno o l’altro lato del corpo. Passando ad altro fiore, con la stessa parte del corpo, sporca del polline del fiore precedentemente visitato, ne urtano, succiando il nettare, lo stimma, cosicchè immancabilmente a questo si attaccano alcuni grani pol- linici del primo fiore, specialmente quando da un altro insetto sia stato liberato dal polline che lo ricopriva al principio dell’espansione POE SER O PUPA RO PIE ASI VCS POR II MPI SEI COSTE AR SITA VOR AT gr ni e antesica. Ha luogo quindi mediante gl’insetti una eteroimpollina- zione, e precisamente un carico di polline dei fiori più giovani su lo stimma dei fiori più vecchi. Nei generi unicalcarati i quali presentano un solo serbatoio net- tarifero, gl’insetti premono sul cappuccio che nasconde gli organi sessuali soltanto dal lato in cui sì trova l’accesso al nettare. É da no- tare ora una differenza nell’influenza di questa pressione su le parti fiorali. In alcune specie, ad es. Corydalis cava, il cappuccio (come avviene nelle specie bicalcarate) una volta allontanato da gli organi sessuali torna di nuovo a ricoprirli appena cessata la pressione, in altre, invece, ad es. Cor. ochroleuca e lutea, Fumaria spicata, i filamenti sono in tale stato di tensione che una volta liberati dal cappuccio, balzano in alto ed insieme allo stilo e stimma si ada- giano in un solco del petalo superiore, rimanendo i petali del cap- puccio in basso, distaccandosi l’uno dall’ altro all’apice, cosicchè riesce facile distinguere i fiori già visitati dagl’insetti e quelli che non lo furono ancora. Con queste due disposizioni presentate dalle specie unicalcarate l’eteroimpollinazione mediante gl’insetti viene effettuata in modo analogo a quanto si è detto per le specie bi- calcarate. La sola differenza sta in ciò, che in quelle specie in cui il cappuccio torna a coprire la colonnetta sessuale appena cessata la pressione è possibile per ripetute volte un contatto dello stimma con gl’insetti, mentre nelle altre in cui la colonnetta sessuale dopu una sola pressione sul cappuccio si addossa al petalo superiore, lo stimma può essere toccato da gl’insetti soltanto una volta — ma anche in questo ultimo caso l’eteroimpollinazione è assicurata. Que- sta per alcune specie è assolutamente necessaria per la fruttifica- zione, mentre per altre non sembra così necessaria; si può però dire — secondo Hildebrand (l. cit., p. 463) — che la maggiore fruttifica- zione è dovuta all’eteroimpollinazione effettuata da gl’insetti e non all’autoimpollinazione. Kerner (p. 395-396) ricordando l’autosterilità o adinamandria di Corydalis cava, osservata da Hildebrand, e considerando l’autoferti- lità di altre Corydalis, quali C. capnoides, fabacea ed ochroleuca, conclude che l’autogamia non è nè impedita, nè priva di successo, nella maggior parte delle Corydalis, ma in quelle difese da la visita degl’insetti avviene nei fiori chiusi e ricorda la cleistogamia. Am- mette però come probabile la prepotenza del polline straniero sul polline proprio nel caso delle tre Corydalis menzionate. Oltre che le aderenze fra i petali sono importanti nel processo della impollinazione anche le diverse adelfie presentate da l’andro- ceo. In Corydalis e Fumaria i tre filamenti di ciascun gruppo sta- peppe minale sono saldati quasi fino all’apice, in Dicentra gli stami sono per lo più liberi, in Adlumia tutti i sei filamenti staminali sono riuniti in un tubo, saldato anche alla corolla. Infine Hildebrand rilevando l’accenno d’un secondo sprone e di un secondo nettario che si presentano in alcune specie unicalcarate —- (ad es.: Corydalis cava mostra uno sprone nel petalo inferiore, ma nessuna traccia di nettario nella terna di stami inferiore, mentre in Cor. ochroleuca è ancora presente il residuo di uno sprone con la traccia d’un secondo nettario; in C. lutea (1) manca ogni accenno di uno sprone nel petalo inferiore, ma vi ha ancora un avanzo del net- tario inferiore che produce anzi alquanto nettare; nelle Fumaria esaminate manca, finalmente, ogni traccia di sprone e di nettario nel petalo inferiore e nel fascetto staminale inferiore) — fa deri- vare queste dalle specie bicalcarate, contrariamente all’opinione di Delpino (Appar. fec. n. piante antoc., p. 29) secondo il quale, deri- vando le specie bicalcarate dalle unicalcarate, le formazioni anzi- dette dovrebbero considerarsi come l’inizio d’un secondo sprone o di un secondo nettario, piuttosto che i residui del secondo sprone e del secondo nettario perfettamente sviluppati nel gen. Dicentra. Anche Darwin (2) parlando della peloria di alcuni fiori dovuta a riversione, fa derivare il gen. C'orydalis, unicalcarato, da un progenitore bical- carato. « Nella Corydalis tuberosa — egli scrive (p. 425) — uno dei due nettarii è normalmente incolore, privo di nettare, della metà più piccolo dell’altro, e per conseguenza in uno stato fino ad un certo punto rudimentale; il pistillo è curvato verso il nettario completo ed il cappuccio formato dai petali interni non può sco- starsi dal pistillo e dagli stami che in una sola direzione, di modo che quando un’ape vuol succhiare il nettario perfetto, il suo corpo viene a sfregare sullo stimma e sugli stami. In parecchi generi vi- cini, Diclytra, ecc., esistono due nettarii completi, il pistillo è diritto e il cappuccio si scosta dall’uno o dall’altro lato, secondo che l’ape: sl porta all’uno o all’altro nettario. Io ho esaminato parecchi fiori di Corydalis tuberosa in cui i due nettarii erano egualmente svi- luppati e contenevano nettare; vi era dunque là uno sviluppo d’un organo parzialmente abortito, accompagnato da un raddrizzamento del pistillo, dalla facoltà del cappuccio di muoversi nell’uno e nel- (1) Oltre i casi citati da l’Hildebrand, si osservarono i due petali speronati in Cor. solida e completa mancanza di speroni in C. sempervirens e Sarco- capnos enneaphylla. Recentemente Franchet rendeva noto il caso di fiori uni- o bicalcarati su la stessa pianta di Corydalis (cit. in Engler und Prantl). (2) Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico ; trad. it. di G. Canestrini; Torino, 1876. : È dig pelo l’altro senso, d’onde un ritorno del fiore alla struttura perfetta sì favorevole all’azione degl’insetti, caratteristica della Diclytra e ge- neri affini. Queste modificazioni non possono essere attribuite al caso nè ad una variabilità correlativa, ma piuttosto ad un ritorno verso lo stato primitivo della specie ». Movimenti carpotropici compiono i peduncoli fiorali di parecchie Fumaria e di Corydalis Scouleri, riferibili al tipo « Fragaria » sta- bilito da Hansgirg; Cor. rosea compie pure una curvatura ombro- foba, dopo una violenta pioggia, dell’estremità dell’asse dell’infio- rescenza, Fam. CAPPARIDACEAE. I generi sono disposti secondo l’ordine tenuto dal Pax (1) nella monografia della famiglia. Gen. Cleome L. Il genere ha la stessa struttura di Capparis, solo manca il cap- puccio calicino formato dal sepalo maggiore ela cavità nettarifera. Tuttavia, nel punto analogo del ricettacolo, scorgesi nuda una gross goccia di nettare (De/pino, Appar., ecc., p. 29). C2. spinosa L., diffusa da Costa Rica fino al Tropico del Capri- corno ed anche nell’ovest dell’Africa tropicale, si distingue per un aspetto particolare che assumono le sue infruttescenze, allungate, spiciformi. Dopo la caduta delle valve del frutto a capsula siliqui- forme e dei semi, i resti lunghi e sottili dei gambi e del replo, so- vrapposti l’uno all’altro, rassomigliano a zampe distese di ragni, donde l'appellativo di « Spider flowers >, « Spinnenblume », « Fiori- ragni » dato a questi fiori, aggruppati a grappoli. Secondo la descrizione dello Schneck (Bot. Gaz., XX, p. 168-170) la specie parrebbe andromonoica, poichè infiorescenze di fiori ste- rili si alternano con altre a fiori fertili. Per altro la distribuzione delle differenti forme sessuali è tutt'altro che comune. Lo stesso Schneck e più tardi Bessey (Plant Word, X, p. 208- 209) hanno pure descritto il modo di aprirsi del fiore. Non appena la gemma fiorale è adulta, si allungano le unghie dei petali e nello stesso tempo anche i filamenti staminali, spingendo le antere contro l’apice della corolla ancora chiusa. Con ciò i fascetti dei filamenti vengono spinti in fuori fra i petali sul lato inferiore della gemma fiorale, mentre i petali si rovesciano dall’altro lato, cosicchè nel (1) ENGLER und PranTL. — Die Natiirliche Pflanzenfamilien, III Teil, 2 Abteiluug; p. 209-236; Leipzig, 1891. ANNALI DI BoraNnICA — Vor. XI. 3 6.) SS e By fiore aperto i quattro petali sono in alto ed i sei stami in basso (Bessey). Secondo Schneck i fiori sono notturni, aprendosi completamente al cominciar del crepuscolo (1), ed allora stami e pistillo hanno ri- preso una posizione eretta. — La fuoruscita del polline da le antere comincia pure al principiar del crepuscolo, quando il fiore si fa pronto a ricevere le visite de- gl’insetti, i quali sono adescati da una grossa goccia di nettare secreta nel fondo del fiore tra la base dei petali ed il pistillo. Inoltre il fiore possiede un grato odore di balsamo, mentre le altre parti della pianta puzzano. Il fiore, i cui sepali sono facilmente caduchi, rimane aperto durante la prima notte, è già deperito al mattino successivo e dopo 56 ore è completamente appassito. Il colore dei fiori è porporino-chiaro. Come visitatori principalissimi Schneck nell’ Illinois vide certe sfingidi da l’habitus analogo ai Colibrì (Macroglossa?) ed anche Co- libri (Zrockhilus). Inoltre furono osservati Apiîs e vespidi. Hildebrand (Ber. Bot. Ges., IV, 8, p. 330-381) fin dal 1886 ha dato una descrizione dell’antesi in Cleome spinosa ed ha osservato che nel fiore apérto lo stimma occupante l’estremità dell’ovario — il cui ginoforo corrisponde al prolungamento del peduncolo fiorale — viene a trovarsi lontano dalle antere; per conseguenza il polline, malgrado queste deiscano tutte verso il centro del fiore, non può per virtù propria pervenire sopra di esso. Ma ciò può facilmente accadere con l'intervento di grossi insetti che, ricercando il nettare secreto nel fondo del fiore da un disco poco sviluppato, sono in grado anche di trasportare il polline ad altri fiori. Ma a prescindere dal fatto che per la distanza fra le antere e lo stimma l’autoim- pollinazione può avvenire soltanto con l'intervento degl’insetti, provocatori altresì di eteroimpollinazione, questa è favorita anche dalla proteroginia. Hildebrand accenna anche a Colibrì tra gli agenti dell’impolli- nazione. Inoltre anche negli esemplari ottenuti da semi inviatigli dal Brasile da Fr. Miiller, egli osservava in (0. spinosa, accanto a fiori ermafroditi, anche fiori maschili e fiori femminili, possibilmente dovuti alle mutate condizioni di vita. CI. gigantea presenta secondo Hildebrand (loc. cit.) fiori debol- mente proterogini, favorevoli all’eteroimpollinazione, la quale però ancora più tardi può essere facilmente effettuata da gl’insetti vi- (1) A Padova, in un giardino, l’autore di queste note ebbe ad osservare que- sta Cleome con i fiori completamente aperti nelle ore più calde del pomeriggio» E ROTA A RAI ARI LESTASTETIO, COLE O RISRA VETERE ‘ TOSSE ‘sitatori. Il nettare viene secreto da un « torus », situato fra la base dei petali e dei filamenti, che accresce la struttura zigomorfa del fiore. Le antere che non si aprono subito, nei fiori osservati da Hil- debrand, presentarono parecchie differenze riguardanti la posizione delle linee di deiscenza: in parte erano tutte sopra, in parte tutte sotto ed in parte erano tutte rivolte verso un punto mediano. Anche il ginoforo terminato dallo stimma occupava diverse posizioni nei fiori, mostrandosi o debolmente piegato ad S sopra le antere, o arcuato tra i filamenti, rivolto in giù. In entrambi i casi lo stimma si trovava lontano dalle antere, il cui polline non poteva cadervi su, il che è impossibile anche in principio della fioritura per un breve tempo, quando le antere sono ancora chiuse. CI. glandulosa R. et Pav. Secondo De Lagerheim (Best. von Brachyotum ledifolium) i fiori di questa specie (non rossi!) ven- gono visitati dal colibrì Petasophora iolata Gould. CI. serrulata Pursh. (= CI. integrifolia Torr. et Gr.), dai fiori varianti nel bianco e ricchi di nettare, vengono secondo White, nel Colorado, visitati copiosamente da l’ape domestica (Am. Nat., XXII, 1888, pp. 1029-1050). Cockerell (Proc. Acad. Nat. Sci. Philadelphia, 1896, p. 84) in- dicava pel Nuovo Messico come visitatori dei fiori di questa specie parecchi apidi, come Anthidium parvum Cr., A. argemonis Ckll., Bombus morrisoni Cr., Bombus-sp., Calliopsis australior Ckll., C. scitulus Cress., C.-sp., Melissodes-sp., Megachile-sp., Perdita sebrata, Nomia punctata, Melecta miranda, ecc., ed in un caso un colibrì. Lo stesso osservatore (1898) in altre località del Nuovo Messico notò diversi apidi: Bombus-, Perdita-, Prosopis-sp. e Podalirius-sp. Notò pure (Am. Nat., XXIV, 1900, p. 488) l’apide Lithurgus apicalis Cress. Più tardi (Bot. Jb., 1901, II, p. 583) presso Las Vegas nel Nuovo Messico segnalava Anthrena argemonis Ckll., Podalirius occidentalis Cr. e Anthidium perpictum CKIl. (da Knuth, Handb., III, 1, p. 518; 2, p. 265). Nell’Entomol. News, 1901, p. 40, si trova altra lunga lista di visitatori (cit. da Cockerell: The Bees of Florissant Colorado, in Bull. of the Amer. Mus. of Nat History, vol. XXII, p. 419, 1906. A Florissant, nel Colorado, Prosopis varifrons Cress. (Cockerell, 1906). Gen. Polanisia Raf. (— Cleome). I fiori, come quelli di Cleome e di Capparis, secondo Delpino (Appar., ecc., p. 29-30) sono proterandri. Delpino descrive pure l’or- gano produttore del nettare come un corpo vistoso, giallo-aranciato, semilunare, posto fra la base dei due petali superiori. PERE SI Di pub det gn o uti e coda LX Ca ca RT NT Sa LI ae e a Leica Pol. uniglandulosa DC. è stata studiata da Barsali (Bul2. Soc. bot. it., 1904). Nel mezzo dei petali bianchi è facilmente visibile, per il colore rosso-arancio assai vivo, un corpo tronco, bene svi- luppato, a superficie: semilunare, che rappresenta il nettario. Con- trariamente a quanto indicò Delpino, Barsali ritiene i fiori come proterogini, rilevando però che alla proterandria si può esser ten- tati di credere solo osservando quei fiori nei quali sia mancata la fecondazione. A questa cooperano generalmente piccoli apidi, e Bar- sali riscontrò pure qualche microcoleottero. Pol. graveolens. Su i fiori poco visibili di questa specie Bonnier (Nect., p. 44) non osservò mai un insetto (a Kiel). Fiori agamotropici secondo Hansgirg (1904). Pol. trachysperma è data come proterandra da Delpino (Ult. 05871152, p: 159): Gen. Dactylaena Schrad. Dei quattro stami, tre (i 3 posteriori) sono trasformati in sta- minodi. Gen. Crataeva L. Talvolta i fiori sì presentano unisessuali per aborto. Cr. religiosa Forst., delle Isole della Società, per aborto del- l’ovario, si presenta unisessuale maschile. Cr. tapia L. — il « pào d’alho » del Brasile, i cui frutti « tapie » simili ad arance, hanno sapore dolciastro ed odore agliaceo — è ri- ferita come ornitofila dal Malme (cit. da Fries Rob. E.). Gen. Cladostemon A. Br. et Vatke e Atamisquea Miers. In questi generi si nota talvolta una parziale trasformazione di stami in staminodi (Radlkofer). Gen. Capparis L. Il genere è indicato come proterandro da Delpino (Appar., ecc., p. 29; Hildebrand, Bot. Zeit., 1867, n. 36) quantunque poi egli non l’includa nella lista delle piante proterandre che dà a p. 159 e seg. delle sue « Ulter. Osservaz., II, 2 ». Dei quattro sepali il superiore è fatto a cappuccio verso la base (« sepalum galeatum »), come ben si osserva in C. fleruosa BI., C. spinosa L. ed altre specie. Sotto il sepalo galeato si raccolgono due petali che in basso con le parti contigue formano la volta ad una concavità piena di nettare. C. spinosa L. ha fiori grandi, bianchi o bianco-rosei, solitari, che schiudono ed appassiscono in un giorno. Tramandano un sottile e delicato profumo di rosa o vaniglia. Kirchner, che li ha osservati a Tremezzo sul lago di Como, sul Garda e a Roma sul Palatino, ne ha dato una descrizione particolareggiatissima. Il nettario, al MiA SIT INTE -quale si accede per uno strettissimo canale formato nel modo che è detto per C. flezuosa, è riservato soltanto ad insetti a lunga tromba, specialmente farfalle. I fiori da lui esaminati si presentarono de- bolmente proterogini (Mitteil., I, p. 372), non trovandovi la prote- randria ammessa da Delpino. Mediante le visite degl’insetti l’eteroimpollinazione è favorita da questa lieve proteroginia, ed anche dalla posizione dello stimma in quelle piante in cui il pistillo sovrasta gli stami; l’autoimpol- linazione spontanea, poichè le antere sono lontane dallo stimma, può avvenire soltanto quando con l’appassire del fiore i filamenti divenuti fiosci portano le antere a contatto con lo stimma. Sul Pa- latino a Roma Kirchner trovò in alcuni esemplari fiori unisessuali maschili, per aborto del gineceo. A Penne (Teramo) dove il C. spinosa è frequente sui muri vecchi che fiancheggiano gli orti della città, io ho spesso osservato api e pieridi a visitarne i fiori, ed anche Kirchner cita Pieris da lui ve- dute su fiori di questa specie a Roma in Trastevere. C. flexuosa BI. accanto agli ordinari fiori ermafroditi ne pre- senta talvolta di quelli in cui il pistillo è atrofizzato e perciò uni- sessuali maschili (Radlkofer). Alla conca nettarifera conduce un piccolo nettaropilo, quasi a metà altezza dei petali superiori ed originato da una lieve ripie- gatura dei loro margini interni. Un orlo giallo che più tardi diventa porporino-violetto funziona da nettarindice. I numerosi lunghi stami divergono in tutti i sensi e sono un po’ ricurvi in alto. Al livello delle antere si eleva per graduale al- lungamento del carpoforo (1) l’ ovario. Date queste disposizioni fiorali l’eteroimpollinazione avviene mediante quegl’insetti i quali, guidati dal nettarindice, sieno nella possibilità di spingere il loro succiatoio attraverso la stretta fes- sura fra i petali superiori fino alla sottostante cavità nettarifera senza bisogno di un posatoio che i delicati stami non possono for- nire, quegli insetti, quindi, che a modo della Macroglossa succiano il nettare librandosi innanzi ai fiori, e con la parte ventrale del loro corpo vengono a contatto con le antere nei fiori più giovani e con gli stimmi nei più vecchi (Radlkofer: Capparis- Arten, p. 112-114). (1) Questo termine e l’altro pure adoperato di « ginoforo » stanno ad indi- care quella porzione di ricettacolo che allungandosi al disopra del perianzio e dell’androceo in una sorta di peduncolo, sostiene il gineceo e più tardi il frutto, Ehrenberg chiamò questo organo della Capparis « tecaforo » e Richard « basiginio ». Drude, per altro, riserva il nome di carpofori ai sostegni dei carpelli nel mezzo della commissura nei frutti delle Ombrellifere. i a e a dre SIATE RI e OTTANTA RI VETRINA) ME I O e II dr C. acuminata. — La presenza di un nettaropilo, ovale, formato. dalla ripiegatura per breve tratto del margine sinistro del petalo destro e del margine destro del petalo sinistro, è ricordata da Del- pino (Ult. Oss., II, 2, p. 106). Sulla corolla bianca spicca una zona atro-purpurea che addita la via al nettare (ibid., p. 118). I caratteri fiorali accennano a melittofilia (ibid., p. 269). Fiori agamotropici secondo Hansgirg (1904). C. Cynophallophora L. delle Indie Occidentali, come altri Cap- paris del sottogenere Cynophalla, presenta un nettario estrafiorale all’ascella di ogni foglia. Si tratta di una piccola glandola gialla, sferica, che secondo i dati del barone Eggers produce nettare prima che la pianta cominci a fiorire, esercitando così una funzione pro- tettiva dei fiori mediante formiche adescate, protezione che Poul- sen (nella cui memoria è riportata la figura del nettario) ritiene poco probabile. Secondo Malme (cit. da Fries) questa specie è ornitofila, come pure C. Malmeana e la seguente. C. Tweediana Eichl., arbusto alto 4-5 m. e caratteristico della bassa vegetazione boschiva nel Gran Chaco argentino e boliviano, porta fiori in racemi ombrelliformi, già segnalati come ornitofili dal Malme (1) e ritenuti per tali anche dal Fries (Bettr. 2. Kennt. Sudamerik. Flora). Per la impollinazione ornitofila i caratteri più importanti sono i seguenti. La grandezza del fiore, col polline e lo stimma alla distanza di 2,5 cm. dal nettare, corrisponde al becco del colibrì; la specie in questione era il Chlorostilbon prasinus il cui becco mi- sura 2 cm. Non havvi alcun posatoio appropriato per insetti vi- sitatori; i delicati filamenti staminali al primo tentativo si rom. perebbero. Queste circostanze — nota il Fries — concordano con quelle già rilevate nella struttura fiorale di Cap. flexuosa dal Radlkofer, in cui la mancanza d’un posatoio, la fragilità degli stami, ecc. parlano a favore d’una impollinazione mediante insetti che succiano nettare dai fiori rimanendo librati innanzi ad essi. I fiori di C. Tweediana sono proterandri e diffondono un grato odore di miele, ricchi come sono di nettare, prodotto da un disco anulare che circonda la base del ginoforo. Se la proterandria esclude l’autogamia, può però accadere, come osserva il Fries, che con lo svolazzare del colibrì innanzi al fiore, il (1) G. O. A. MALME: Ex Herbario Regnelliano ; K. Svenska Vet. Akad. Handlingar, Bd. 24, Afd. III, 6, p. 26-28. ZI polline venga dalla corrente d’aria trasportato direttamente da un fiore ad un altro. Gen. Apophyllum F. v. Mill. Questo genere, con la sola specie A. anomalum F.v. Miill. del Nord-Australia e del Queensland, è dioico. Nei fiori maschili con 8-16 stami non si osserva alcun rudimento dell’ovario; i fiori fem- minili mancano per lo più di stami. Il ginoforo è sviluppato (Pax). (ten. Forchhammeria Liebmann. Il genere, con due sole specie messicane, è monoico. I fiori ma- schili, con 12-24 stami inseriti su un breve disco carnoso e dai fila- menti più o meno saldati in basso, presentano un ovario rudimen- tale. I fiori femminili hanno 8-12 staminodi con ovario sessile a stimma carnoso, sessile. Fiori a grappolo. Nella monografia del Pax (Natiirl. Pflanzenf.) a p. 218 è detto che il genere è monoico, ed a p. 285 i fiori sono detti dioici. Questo genere, incluso con riserva dal Bentham e Hooker fra le Euforbiacee e dal Bailloh fra le Malvacee, fu dal Radlkofer rivendicato alle Capparidacee fra le quali l’aveva già posto il Liebmann. Considerazioni generali su le Capparidacee. Come si è visto da l’esame dei pochi generi riportati si hanno per lo più fiori ermafroditi o pseudoermafroditi per l’atrofia di uno dei sessi. Il genere Forchhammeria è monoico, Apophyllum è dioico. La funzione vessillare è in generale spiccata nella famiglia. Il colore dei fiori si presenta giallo (Cleomella, Isomeris, Physostemon, voeperia, Polanisia lutea, Cleome lutea, Steriphoma) bianco (Crista- tella, Pedicellaria, Dipterygium, Cladostemon), violetto (Chiliocalye, Cleome violacea), roseo (Dactylaena, Polanisia hirta, Cleome rosea), verdastro (itchiea). Fiori singolarmente appariscenti presentano Thylachium, Maerua angolensis, Crataeva religiosa e Capparis spinosa in cui i filamenti staminali rosei accrescono l’attrazione esercitata dal bianco o ros- sastro dei petali. Odore di miele emanano i fiori di alcuni C'ap- paris e grati effluvi le specie del genere Roydsia e qualche Cle- ome. Alcune specie, come Cap. spinosa ed altre, Cleome viscosa, CI. pen- taphylla ed altre coltivate in Europa hanno fiori efimeri. fh è) si AGI aa TEA I PI I Pra r ; s' E o ESE Movimenti gamotropici si osservano nel gen. Cleome, mentre Polanisia graveolens, Cleome violacea, Capparis membranacea, villosa e acuminata hanno fiori agamotropici, secondo Hansgirg (1). Circa il modo di trasporto del polline non si hanno troppe no- tizie, ad ogni modo le diverse forme del disco con secrezione net- tarea in alcuni casi accennano ad un intervento degl’insetti nella fecondazione dei fiori. Radlkofer (1884) rilevava nel gen. Capparis disposizioni favo- revoli ad una impollinazione da parte di quegl’insetti che suc- chiano nettare rimaneudo librati innanzi aì fiori (mancanza di posatoio, delicatezza degli stami); più tardi per altre specie del genere Malme e Fries constatavano l’ornitofilia, verificata pure per alcune Cleome dal Lagerheim e Cockerell; e per Crataeva tapia dallo stesso Malme. La dicogamia è rappresentata dalla proteroginia in Cleome spi- nosa e gigantea (Hildebrand), in Polanisia uniglandulosa (Barsali) e in Capparis spinosa (Kirchner), mentre proterandri sono i fiori di Cap. Treediana secondo Fries. Delpino, che già in « Apparecchi della fecondaz. nelle piante antocarpee » indicava come proterandri i generi Cleome, Capparis e Polanisia, non include poi nella lista delle piante proterandre (p. 159) che dà in « Ulteriori Osservazioni sulla dicogamia » che la sola Polanisia trachysperma. Pax non esclude la possibilità dell’impollinazione dovuta al fatto che per mezzo del ginoforo gli stimmi situati più in alto vengano a contatto con le antere di fiori più bassi o dei fiori di individui vicini. Ad ogni modo, però, Hild@brand, con i suoi studi su l'influenza esercitata dalla posizione rispetto all’orizzonte su le parti fiorali di alcune Cleome (1886), ha stabilito che esse prendono tale una posizione per cui antere e stimmi d’uno stesso fiore non vengono a contatto, favorendo così l’eteroimpollinazione. In fine, mi piace accennare alla mirmecofilia esplicatasi nel gen. Capparis. Secondo Delpino (Piante formicarie; Boll. Orto Bot. Napoli, I, 4, 1903) la sezione Cynophalla del detto genere rappre- senta un endemismo mirmecofilo per la regione centramericana con 15 specie fornite di nettario estrafiorale, alle quali bisogna (1) Sia lecito qui ricordare come Hansgirg comprenda col nome di gamo- tropismo quei movimenti di nutazione compiuti dal perianzio per la protezione specialmente degli organi sessuali, e per rendere possibile per lo più l’etero- impollinazione; egli designa poi come agamotropi quei fiori il cui perianzio (o per lo meno la corolla) non si chiude più dopo l’antesi, ma rimane aperto fino al loro appassire, e chiama emigamotropi quelli che si aprono e chiudono solo impertettamente. pie aggiungere, secondo B. Rocchetti, la Cup. rupestris L. con tutte le altre varietà e forme di questa specie , compresa la C. sicula Guss. Fam. CRUCIFERAE. I generi sì succedono secondo l'ordine tenuto da Prantl (1) nella monografia della famiglia, e nella successione delle specie, almeno per quelle europee, ho seguito il Gandoger (2). Gen. Nothothlaspi Hook. fil. Il genere contiene tre specie, montane, nella Nuova Zelanda. N. notabilis Buchan. — Di questa specie alpina Buchanan (Trans. Proc. New Zealand Instit., XIV, 1881, pp. 344-545) rife- risce che è abitualmente caratterizzata da una rosetta di foglie, a forma d'ombrella, dal mezzo della quale si eleva un capolino di fiori, bianchi, fittamente serrati (Anuth, Handb., III, 1, p. 817). Gen. Pringlea Hook. fil. P. antiscorbutica R. Br. è la sola specie del genere, confinata nella Terra di Kerguelen, dove è mangiata come il cavolo ed è re- putata efficace contro lo scorbuto. Secondo Bennett (Forms of the Pollen-grains) è anemofila; i fiori mancano di corolla, non producono nettare, gli stimmi hanno lunghe papille ed il polline è sferico. Henslow però, in base allo stimma, che non è piumoso ma glo- boso, ritiene più probabilmente questa specie come antofertile che anemofila, in armonia anche con la profusione di silique che produce. Anche Hooker (Nature, X, p. 184) ritiene la specie come ane- mofila. Nel Royal Sound Eaton (Bot. Jahresb., 1876, p. 946) osservò esemplari con 1-4 petali d’un verde pallido, che talvolta mostra- vano una lieve traccia di rossastro. Moseley (1879) scoprì un dittero privo di ali (Calycopterix Mo- seleyé Eaton) che deponeva le sue uova fra le giovani foglie del cavolo di Kerguelen. Nel « Royal Sound » vennero pure osservati dei frutti maturi, i quali rappresentano quivi l’alimento princi- pale di un’alzavola indigena — Querquedula Eatoni. Gen. Thelypodium End. Il genere comprende una quindicina di specie, nella maggior parte di California e delle Montagne Rocciose. (1) EnGLER und PrantL. — Die Natirliche Pflanzenfamilien, III Teil, 2 Abteil.; Leipzig, 1891. (2) Novus conspectus Florae Europae; Lipsiae, Th. O. Weigel, 1910. pe SE PETRI de Sa ii VETO AA ST PERE ORE STE LASA ge MOTI LRE Lr (a a In T. stenopetalum Wats. i fiori giallo-verdastri secondo A. J. Merritt (Eryth., IV, p. 147) non sono vistosi, ma le api volano nu- merose intorno alle infiorescenze racemose che hanno lunga durata ed in cui la secrezione nettarea è molto abbondante. (Xnuth, Handb., WII p3L05 Gen. Streptanthus Nutt. S. campestris Wats. — Durante la deiscenza i quattro stami più lunghi, secondo Merritt (ErytA., IV, p. 147), volgono in fuori le loro antere, cosicchè l’autogamia è resa difficile; la secrezione nettarea è copiosa. A visitare i fiori osservò in California Bombus californicus Smith. S. carinatus Wright. var. — Nel Nuovo Messico Cockerell (The Zoologist, 43 Ser., vol. II, n. 680, 1898, p. 80) osservò a visitare i fiori di questa pianta cinque apidi, fra cui Apis, e due ditteri (Knuth, Handb., III 1, p. 319). T fiori sono porporini ed il calice, urceolato, si presenta saccato (Asa Gray). Gen. Heliophila L. Il genere presenta un nettario alla base esterna di ciascun fila- mento breve, tra questo ed il sepalo corrispondente. I nettarii si mostrano a forma di cuscinetti quasi rettangolari nella H. amplexi- caulis L. e nella H. crithmifolia Wild., di cuscinetti appena ap- pena bilobi nella H. pilosa Lam. var. araboides. In diverse specie del genere coltivate nell’Orto botanico di Parma, Villani (Malpighia, XIX) osservava nelle ore più calde della gior- nata che il fiore era visitato non solo da apidi e da altri insetti a tromba lunga, ma anche da formiche e da insetti a breve tromba, i quali dopo aver visitato il fiore dalla parte superiore, passavano all’opposta ed insinuandosi tra i sepali ed i petali andavano a suc- chiare il nettare dietro lo stame breve. Hel. pilosa Lam. nel Sud-A frica — secondo scrive Marloth (1907) — è visitata da api. Gen. Subularia L. Fiori piccoli, omogami, spesso cleistogami. Knuth dice di non aver potuto osservare nettarii, e Hildebrand (1879) nel suo lavoro sulle glandole nettarifere delle Crocifere non fa alcuna menzione di questo genere. Recentemente (1900) il dottor Villani (Malpighia, XIV) scri- veva che nel gen. Subularia l'apparato nettarifero è rappresentato da un disco anulare che circonda i filamenti dei sei stami e si pre- senta con quattro lobi i quali sporgono in fuori nell’intervallo dei sepali, e ciò constatava tanto per S. aquatica (loc. cit.) quanto per 2 PA l’altra specie del genere, S. monticola A. Br. (Malphighia, XIX). Nella divisione da lui proposta delle Crocifere utilizzando il ca- rattere dei nettarii, egli include il gen. Sudularia nel gruppo delle Crocifere monocentriche, come quello che ha un solo centro net- tarifero, rappresentato, come si è detto, da un anello che circonda la base dell’ovario ed interposto tra questo e l’androceo. S. aquatica L. [Axell, p.14; Hikdebr., Geschlecht, p. 77; Knuth, Nordfr. Ins., p. 30; Hiltner, Subularia; Kerner, l. c., p. 881; Ave- dbury, p. 86] è una piccola pianta abitualmente sommersa i cui fiori in questo caso non si aprono e si autofecondano, come Axell e Hildebrand indicarono da tempo. Talvolta però con l’abbassarsi del livello delle acque degli stagni, dei fossi, ecc., i fiori rimangono aerei ed allora si aprono. Errera e Gevaert (p. 100) riportano che da alcuni piedi colti- vati in vasi a Bruxelles, che completamente inondati nelle paludi di Genck portavano fiori cleistogami, ne ebbero fiori casmogami. Le antere e lo stimma maturano contemporaneamente e negli esemplari aerei esaminati dallo Knuth le antere ricoperte di pol- line si trovavano in contatto quasi immediato con lo stimma. | I fiori delle piante sommerse hanno grosse papille stimmatiche che ricevono direttamente il polline; secondo Hiltneri frutti della forma acquatica, cleistogama, contengono i semi in maggior nu- mero di quelli provenienti dalla forma casmogama. Hiltner, come riporta la Franceschini, constatò pure che i fiori sommersi si fecondano autogamicamente a porte chiuse, ma dopo un periodo più o meno lungo si aprono tutti, pur restando sot- t'acqua. Egli accertò che in questo caso non esistono le condizioni dei veri fiori cleistogami; si tratta di un caso di ipocleistogamia (nel senso della Franceschini) dovuto a l’ habitat acquatico. Tra i fiori bianchi, casmogami, forniti di nettarii, della forma di spiaggia, quando le piante siano folte in un’aiuola, avviene una scambievole fecondazione tra i fiori vicini, avverandosi soltanto di rado l’autogamia. Scott Elliot (Flora, p. 17) nel Dumfriesshire osservò un dittero su ì fiori, e questo sembra essere finora il solo insetto visitatore menzionato (Avebury). Oltre che in Europa la specie è idrocleistogama anche nel nord dell’Asia e nel Nord-America (Prant)). In Groenlandia fu trovata da Berlin (cit. da Loew, Floristik, p. 104). Gen. Teesdalea R. Br. Fiori piccoli, bianchi, a nettare parzialmente nascosto, prodotto da quattro nettarii (Miiller, Knuth). ua Aitrii -atat dA sl dii SELL A] ji Ù BE: 7005 PEN NE IRE 9 ASI p> j ) iStoa cecaiia oe Toe ri eq A IAN ALLE RE IR I ISTAAOTI Villani (Ma/pighia, XIV) assegna alle Teesdalie due nettarii in- seriti al disotto dei filamenti degli stami corti. T. nudicaulis R. Br. [Muller, Befr. pp. 185-137; Beyer, p. 41; Knuth, Ndfr. Ins. p. 30] — La descrizione di Knuth (Handb. II, 1, pp. 117-119) concorda con quella di H. Miiller. Durante la fioritura, dice Miiller, i fiori sono fittamente serrati in un piano e, come in molte Ombrellifere, i petali di quelli esterni diretti in fuori si sviluppano più di quelli giacenti nell’interno. Ma poichè col procedere della fioritura l’asse si allunga e distende ed il piano fiorale si dispone in un racemo, ogni fiore viene a tro- varsi alla periferia del piano. Quindi, a differenza di quanto sì osserva in molte Ombrellifere e Composite, non soltanto quelli che sì trovavano prima alla periferia, ma tutti i fiori hanno corolle più sviluppate verso l’esterno. All’appariscenza dei fiori, data principalmente dal bianco dei petali, contribuiscono pure i sepali con il loro apice bianco e le appendici squamiformi dei filamenti. Le appendici dei quattro fila- menti interni circondano l’ovario compresso ed ognuna di esse pre- senta una estroflessione fra la quale e la base del petalo corrispon- dente si trova un piccolo nettario, verde, carnoso. Le antere dei quattro stami più lunghi sovrastano alquanto lo stimma, mentre quelle degli stami più corti stanno con esso alla medesima altezza. Dopo avvenuta l’antesi, tutte e sei le antere compiono un quarto di giro; quelle dei quattro stami lunghi si volgono dal lato del vicino stame più corto; quelle dei due stami più brevi si volgono dal lato esterno della infiorescenza. Le antere deiscono e lo stimma è nello stesso tempo sviluppato. Gl’insetti visitatori i quali s'avanzano verso uno dei due net- tarii esterni urtano col capo o con la tromba due antere contigue, mentre avanzando verso uno dei due nettarii interni vengono @ contatto soltanto con un’antera; in ambo i casi con l’altro lato del capo o della tromba urtano nello stimma. Quindi potranno effet- tuare tanto l’etero- quanto l’autoimpollinazione. Mancando le vi- site degl’insetti, questa avviene spontanea per mezzo degli stami più lunghi, sovrastanti lo stimma, come si è detto. Anche Warnstorf (Rupp. 7. 1895) riporta questa specie come omogama ed autogama. Miiller (1. c.; Weit. Beob. II, p. 199) elenca i seguenti visitatori da lui osservati presso Lippstadt: A) Coleotteri: Cassida nebulosa L., Aphthona nemorum L., Chaetocnema concinna Marsh. tra i crisomelidi; Ceutorhynchus pu- milio Gyll. tra i curculionidi; Limonius parvulus Pz. tra gli elate- ridi; Cercyon anale Pk. tra gl’idrofilidi. lg i B) Ditteri: Bibio laniger Mg. tra i bibionidi; Empis-sp. tra gli empidi; Onesia floralis R. D., Sarcophaga carnaria L., Themyra putris L. tra i muscidi; Ascia podagrica F., Melithreptus-sp. tra i sirfidi. i C) Imenotteri: Hadietus flavipes F. 9 H. lucidulus Schenck. 9 ‘ H. morio F. % H. nitidiusculus K. 9 H. seastrigatus Schenck. % H. Smeathmanellus K. 9 Sphecodes ephippia L. Knuth nell’isola Fòhr osservò muscidi; Mac Leod (Bevr. p. 392) nelle Fiandre 2 ditteri: Anthomyia aestiva Meig. T, Bibio Johan- nis L. Scott-Elliot (F7. p. 17) nel Dumfriesshire osservò a visitare i fiori piccole mosche. Gen. Lepidium L. Fiori piccoli, bianchi o gialli, omogami o proterogini, a net- tare parzialmente nascosto. Talvolta manca la corolla. Nettarii quattro o sel. L. Draba L. [Kirchner, N. Beob. p. 26; Fl. v. Stuttg. p. 308; Kerner, l. c. pp. 305, 333; Avebury, Brit. FI. PI. p. 88]. — I fiori bian- chi, poco appariscenti isolatamente presi, sono riuniti in ricche pannocchie corimbiformi. Anche l’orlo bianco, smarginato, dei se- pali contribuisce alquanto ad accrescere la loro vistosità. Col tempo favorevole, al principio della fioritura, le parti fiorali si espandono ed il diametro fiorale raggiunge 6-7 mm. I sei piccoli nettarii verdi si trovano esternamente alla base dei sei filamenti e sono di facile accesso anche per insetti a corta tromba. Tutti gli stami sovrastano lo stimma ma sono inclinati all’esterno, mentre le an- tere deiscono dal lato interno del fiore e mantengono sempre la loro posizione, giacchè i filamenti non compiono alcuna torsione. In questo stadio fiorale la visita degl’insetti favorisce l’eteroim pol- linazione, venendo con i diversi lati del corpo a contatto del pol- line e dello stimma. Ma in uno stadio ulteriore e di più lunga durata i fiori si restringono alquanto, erigendosi i sepali e le lun- ghe unghie dei petali e rimanendo orizzontali soltanto le lamine, di guisa che il diametro fiorale misura 4-5 mm. Le antere aperte vengono così ad avvicinarsi allo stimma e l’autoimpollinazione spontanea avviene inevitabilmente (Kirchner). Secondo Kerner (p. 305) il fiore è alquanto proterogino, inter- correndo uno spazio di 2.5 ore fra il momento in cui lo stimma è atto all’impollinazione e quello in cui le antere cominciano a versare il polline. Di più egli riferisce (p. 333) che nel primo pe- riodo della fioritura i quattro stami più lunghi si muovono verso l’esterno e si nascondono temporaneamente dietro i petali, di guisa ta tg — 46 —. che non possono essere toccati da gl’insetti e privati del loro polline; si ha così un risparmio di polline necessario per l’autogamia finale. Analogamente riferisce Avebury riguardo alla debole protero- ginia ed al movimento degli stami più lunghi. Redtenbacher cita per l’Austria i seguenti visitatori: Meligethes lepidii Mill. e Nacerdes viridipes Schmidt. Schletterer presso Pola osservava Halictus interruptus Pz., H. malachurus K. e H. minu- tus K. (cit. da Knuth, JI, 1, p. 121). L. sativum L. | Miller, Befr. p. 139; Kirchner, Fl. v. St. p. 310; Kerner, pp. 329, 381] — Quantunque i piccoli fiori bianchi di questa specie abbiano meschina appariscenza, pure a motivo del forte odore che emanano, sensibile anche a parecchi passi di distanza, sono facilmente notati da gl’insetti e copiosamente visitati. Miiller, anzi, dice di questi fiori che sono i più frequentemente visitati ri- spetto a quelli di tutte le Crocifere da lui osservate. Il nettare viene secreto da quattro nettarii verdi, carnosi, si- tuati davanti ai petali alternatamente tra uno stame lungo ed uno corto. Le antere deiscono dal lato interno del fiore, ma col bel tempo si piegano in fuori, rendendo possibile mercè le visite degl’insetti l’auto- e l’eteroimpollinazione. Col tempo cattivo i fiori non si aprono (= pseudocleistogamia) e l’autoimpollinazione spontanea avviene nei fiori chiusi. Secondo Kerner (p. 329) i fiori sono proterogini ed oltre l’au- togamia nel fiore chiuso (p. 381), questa ha luogo per un allunga- mento da parte degli stami maggiori che vengono così a portare le loro antere allo stesso livello dello stimma. Miiller (1. cit.) elenca i seguenti insetti: Ditteri: Argyromoeba sinuata Fallen.; Eristalis arbustorum L., E. nemorum L., E. sepul- chralis L., Helophilus floreus L., Syritta pipiens L., frequentissimo, Melithreptus taeniatus Mgn., Ascia podagrica F., numerosissima, Pipiza chalybeata Mgn. Tutti questi sirfidi succhiavano nettare o sì cibavano del polline. — Tra i muscidi notava Siphona cristata F. — Imenotteri: Oxybelus bellus DIb., numeroso, 0. uniglumis L., molto frequente, Cemonus unicolor F., Cerceris variabilis Schrk, molto numeroso, tra gli sfegidi; Hedychrum lucidulum F.g, tra i crisidi; Prosopis communis Nyl. T 2, molto frequente, succiante nettare o cibantesi di polline, P. armillata, Nyl. T 9, id., Halictus nitidiusculus K.®, H. lucidulus Schek. 2, Andrena parvula K. 9, A. pilipes F. T. — Coleotteri: Anthrenus pimpinellae F., Dasytes flavipes F., Anthocomus fasciatus F., Malachius bipustulatus F., ro- sicanti le antere e i petali. — Lepidotteri: Sesia tipuliformis L. aura Por ; b Lear ri ra dote a ai L LI In « Weit. Beob. II, p. 204 » nota Prosopis signata Nyl. T. Mac- chiati (1. cit.) cita Prosopis signata ed altri imenotteri; nelle mie note trovo Halictus - sp., Andrena pilipes e Prosopis - sp. L. ruderale L. [| Kirchner, Fl. p. 310; Knuth, Ndfr. Ins. p. 30]. — I petali dei piccoli fiori di questa specie, quando non mancano, sono bianco-verdastri. Dei sei stami normali sono presenti soltanto i due più corti, ed al posto dei quattro più lunghi si trova, alter- natamente, una piccola glandola nettarifera. Nei fiori omogami avviene regolarmente l’autoimpollinazione, | coronata da successo (Kirchner, Comes). Secondo Warnstorf (Rupp. FI., XXXVIII) le antere dei due stami, nei fiori omogami ed autogami, sono fin da l’antesi premute su lo stimma da due sepali. L. campestre L. — Secondo Kirchner (Beitr. p. 28), 1 fiori bianchi, piccolissimi, raggiungono nella loro espansione un diametro di ap- pena 2 mm.; tutte le antere sono lontane dallo stimma, che con le antere dei due stami più corti si trova allo stesso livello. I fiori sono omogami e tutte le antere rivolgono il lato deiscente verso lo stimma. Lateralmente alla base di ciascuno dei due stami più corti si osserva un nettario (= 4 nettarii), mentre Velenovsky (Tav. III, fig. 4 e 5) ne ha osservati sel. Quando il fiore appassisce i sepali si chiudono e premono tutte le antere contro lo stimma ed ha luogo l’autoimpollinazione spontanea. Mac Leod (Bevr. p. 394) riferisce analogamente a Kirchner. Kerner (p. 329) riporta i fiori come proterogini ed un processo per l’autogamia come per L. sativum. L. graminifolium L. ha fiori piccoli, a petali corti, privi di odore e alquanto proterogini. Il nettare è prodotto da sei piccole glandole situate alla base dei filamenti. Quando maturano gli stami, le antere introrse si allontanano dal centro del fiore e si rivolgono all’esterno, lo stimma è perciò favorevolmente disposto per ricevere polline eteroclino. All’avviz- zirsi dei petali le antere vengono a trovarsi vicine allo stimma e l’autogamia può avvenire (Pandiani). Pandiani, nel Genovese, raccolse i seguenti pronubi: Eristalis taeniopsis W. 2 e 3, molto frequente, sn., Syritta pipiens L., m. freq. e sn., Eristalomyia tenax L. 9, freq. sn. mp., Syrphus - sp. freq. sn., tra i sirfidi e Lucilia Caesar L.?, freq. mp., tra i muscidi; Polistes gallicus L., raro, sn. Schletterer presso Pola osservava: Prosopis genalis Thoms. = confusus Fòrst., Amblyteles litigiosus Wesm., Pemphredon unicolor F. (da Knuth, II, 1, p. 122). CR 07 = Rqgeraa L. virginicum L., L. Menziesiù DC., L. hirtum (L.) DC. 8 nebro- dense (Guss.). — I nettarii sono disposti due a due ai lati ed alla base di ciascun filamento degli stami corti. Sono piccolissimi, di color verde e subtriangolari ( Villani, 1905). In una pubblicazione ulteriore (1909) il Villani riassume le specie di Lepidium da lui studiate, assegnando quattro nettarii a L. ruderale L., L. virginicum L., L. micranthum Led., L. intermedium A. Gay. e L. Humboldtii DC. Riscontrò sei nettarii nelle seguenti specie: L. Nebrodense Guss., L. latifolium L., L. sativum L., L. cam- pestre L., L. heterophyllum Benth., L. Smithii Hook. L. bipinnatifidum Desv. — Ad Ushuaia, nella Terra del Fuoco, Skottsberg rinvenne di questa specie frutti in diverso grado di svi- luppo. Secondo Reiche (7. de Chile) si danno anche fiori senza pe- rigonio e con due stami soltanto. Gen. Coronopus Haller (= Senebiera DC.). Fiori omogami o proterogini, piccoli, bianchi, a nettare parzial- mente nascosto. Nettarii 4. Secondo Villani (1909; Bull. Soc. bot. it.) i nettarii in questo genere ora sono 4 — due per lato ed alla base di ciascun filamento breve (Senebiera violacea Munby, S. didyma Pers.), oppure due fra ciascun filamento breve e l’ovario (S. lZinoîdes DC.); ora sono 6, quattro grossi, due per lato di ciascun filamento breve, e due pic- colissimi, uno alla base e tra ciascuna coppia di filamenti lunghi {S. Coronopus Poir. — Coronopus procumbens Gil.). C. Ruelliù A)l. (= C. procumbens Gilib., = Senebiera Coronopus Poir.) — [Kirchner, N. Beob. p. 26; Fl. v. Stuttg. p. 311-312; Mac Leod, Bevr. p. 395; Knuth, Helgol. p. 38]. — Le corolle rimangono espanse anche col tempo torbido ed hanno un diametro di 3-4 mm. I nettarii sono rappresentati da quattro piccole glandole verdi che sì trovano ai due lati della base di ciascuno stame breve; in pa- recchi fiori se ne trovano ancora due altre fra le basi delle due coppie degli stami più lunghi. Le antere di questi ultimi sono quasi allo stesso livello dello stimma, ma da esso lontane; quelle degli stami più corti stanno alla stessa altezza dello stimma, ma piegate ancora più in fuori; tutte rimangono col lato deiscente ri- volte verso lo stimma. Gl’' insetti visitatori possono perciò procurare l’eteroimpollinazione la quale è favorita anche dal fatto che la dei- scenza delle antere avviene qualche tempo dopo l’antesi. Con l’appassire dei fiori i due petali interni si erigono e pre- mono i quattro stami più lunghi contro l’ovario, per modo che le antere vengono a trovarsi sopra lo stimma; può quindi facilmente avverarsi l’autoimpollinazione spontanea la quale, data la meschina appariscenza dei fiori, dovrebbe di regola aver luogo (Kirchner). E TRAI REALI DE ae ORI SI VAN 7 a a prLi 7 = Vici = x Ù Mati ca : site ; ES ANO Secondo Mac Leod il nettare è liberamente esposto e facilmente accessibile, ed alla fine della fioritura, in conseguenza di una cur- vatura degli stami lunghi verso l’interno del fiore, ha luogo l’au- toimpollinazione (in Loew, Florist. p. 157). Knuth (Handb. II, 1, p. 124) riferisce che i nettarii producono nettare in tanta abbondanza che la base dell’ovario ne appare tutto all’intorno luccicante. Warnstorf (Rup. FI., 38) riporta [sub Cor. squamatus (Forsk.) Asch.] i fiori come omogami, nei quali durante la fioritura due se- pali si curvano in dentro e premono in tal modo gli stami più lunghi contro lo stimma, rendendo possibile l’autogamia. Il pol- line è biancastro, biscottiforme, verrucoso, lungo 25-30 p, largo 15-18 p. Knuth ad Helgoland osservò come visitatori due muscidi: Coelopa frigida Fall. e Fucella fucorum Fall., entrambi a succiar nettare. Ponzo (1905) assegna a questa specie (sub Cor. procumbens) quattro nettarii, e constatò abbondante fruttificazione senza alcun intervento di pronubi. C. didymus Sm. (= Senebiera didyma Pers.) — Secondo Almquist (Bot. Notiser, 1891) presenta due stami fertili e quattro stami senza antere. Egli suppone che i due fertili sostituiscano una delle due coppie di stami lunghi e che gli stami più corti siano completa- mente abortiti. I filamenti privi di antere stanno al posto dei petali e quindi sono da riguardarsi come petali metamorfosati, e cioè petali che hanno subito una doppia trasformazione, cangiandosi prima in fila- menti (cfr. Capsella in località ruderali) che in seguito hanno per- duto le antere. Secondo Muschler (1908) ha luogo sovente in questa specie una riduzione nel numero dei petali fino alla completa loro mancanza; sì trovano tuttavia, non di rado, su la stessa infiorescenza delle corolle così abortite accanto ad altre normalmente sviluppate. Egual tendenza alla riduzione mostrano anche gli stami, presentandosi normalmente soltanto i due mediani, mentre in pochissimi casì sì osserva la presenza di alcuni o degli altri stami laterali. In C. verrucarius e integrifolius, invece, secondo lo stesso Mu- schler, tutti i sei stami sono d’ordinario completamente sviluppati. Come nel prossimo genere Lepidivm i piccoli petali forniti di unghia lunga, insieme ai sepali rosso-rosei, spesso caduchi, servono da apparato vessillare. La tendenza dei fiori alla riduzione spiega facilmente la ten- denza di questi all’autogamia, la quale in alcune specie (quando ANNALI DI BorANICA — Vot. XI. 4 pista i anche non esclusivamente) mena all’autocarpia. I nettarii però vi- sibilissimi ed in alto grado secretori mostrano senz'altro che questa non è derivata dalla riduzione di una precedente entomofilia. Gen. Octhodium DC Fiori gialli. Nettarii sempre quattro, uno tra ciascuno stame breve e l’ovario, uno alla base e tra ciascuna coppia di stami lunghi (Villani, 1905). Gen. Biscutella L. Fiori gialli, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4, dei quali soltanto due producono nettare. Secondo Villani (1905), i nettarii, quattro, sono disposti come in Octhodium. B. didyma L. var. lyrata (L.) - Nei piccoli fiori di color giallo zolfino e forniti di breve tubo corollino, l’autogamia, secondo Ponzo (1905), è evidente, poichè i quattro stami più lunghi si trovano vi- cinissimi al pistillo e spesso le loro antere sono a contatto con lo stimma, col quale hanno lo stesso livello. I due piccoli nettarii, verdi e muniti di corto peduncolo, sono situati in alternanza e fanno parte del ciclo dei due stami brevi. L’autogamia è fertile. B. levigata L. è stata osservata da Miiller (A/pendl., pp. 148- 149) nelle Alpi. I fiori riuniti in infiorescenze vistose presentano al lato esterno della base di ognuno dei due stami più corti un nettario, il cui prodotto si raccoglie nella cavità del sepalo sotto- stante. Similmente ai lati esterni della base di ciascuna coppia degli stami più lunghi si trova un nettario, ancora più piccolo, trilobo come i precedenti, il quale non produce affatto nettare, e va riguardato come un carattere ereditario, divenuto inutile, di progenitori forniti di quattro nettarii. E parimenti si hanno due nettarostegi in funzione e due senza utilità alcuna, poichè ogni petalo si allarga alquanto alla base, lateralmente, in un lobo bian- castro. Quello che è rivolto verso il vicino stame più corto è con- siderevolmente più sviluppato e funziona da nettarostegio sul ser- batoio nettarifero di esso stame corto, lasciando libero soltanto un piccolo accesso al nettare; il lobo, invece, rivolto verso Îo stame più lungo ha probabilmente in origine servito pure come nettaro- stegio ma è diventato inutile corrispondentemente alla mancanza di funzione presentata dagli altri due nettarii. Gl’insetti i quali vogliono raggiungere il nettare, devono in- trodurre la tromba fra uno stame breve ed il pistillo nel fondo del fiore e attraverso una delle piccole aperture che guidano alla cavità di uno dei due sepali. Le antere stanno nella posizione più favorevole perchè un in- setto che giunga al nettare le rasenti con tre lati e col quarto tocchi lo stimma ; passando così di fiore in fiore effettua 1’ incro- ciamento. Mancando le visite degli insetti, quando il fiore si chiude av- viene il contatto fra le antere e lo stimma e ne consegue l’auto- impollinazione spontanea. Numerosa è la lista degl’insetti da Miiller osservati nelle Alpi. Essa comprende 283 ditteri (Myopa buccata, Empis tesselata, Antho- myia humerella, Aricia serva, A. variabilis, Hylemyia conica, Sarco- phaga carnaria, Cheilosia pigra, Eristalis tenax, E. nemorum, Melano- stoma ambigua, Platycheirus fasciculatus, Syrphus - sp., Sciara-sp.ecc.), 5 imenotteri (Malictus albipes 9 , H. cylindricus, Polistes biglumis, ecc.), 7 lepidotteri (Coenonympha Satyrion, Colias Phicomone, Pieris napi, Polyommatus eurybia T, Vanessa cardui, Oeneis Aéllo, Zygaena exu- lans) e Meligethes, molto frequente. Loew (Beztr. p. 56) nella Svizzera osservava una Piralide. Schulz (Beztr. II, 1890, p. 16-17) nei dintorni di Halle trovò che i nettarii hanno struttura diversa da quella osservata da Miil- ler negli esemplari alpini. Tanto ad Halle quanto nelle Alpi egli pure ebbe a constatare che i fiori di questa specie, e per il colore giallo e per il gran numero di individui che ricopre non piccole estensioni, richiamano in gran copia ditteri, imenotteri, farfalle e principalmente anche coleotteri. Recentissimamente (1909) Villani pubblicava una nota sui net- tarii di alcune specie di Biscutella, e ponendo come carattere fon- damentale quello dei nettarii, riuniva in tre gruppi le specie esa- minate. Il primo gruppo è rappresentato da 5. cichoriifolia Lois, il secondo da 5. dydima L. ed il terzo da B. levigata L. Gerber (1901) nella subs. coronopodifolia L. f apricorum Jourd. constatò un caso di cleistogamia parassitaria, dovuto all’azione di un cecidomide del gen. Parisia. I fiori rimanevano chiusi, con i sepali ed i petali colorati in rosso violaceo anzichè in giallo cupo; alcuni rimasero sterili, ma i più portarono a maturità numerosi semi (cit. da Franceschini, Abbado). B. auriculata L. [Hildebr., Saftrdr.] presenta quattro nettarii al- lungati — due per lato ed alla base dei filamenti brevi, sotto la inserzione delle coppie di stami lunghi — ed arcuati in basso per insinuarsi nella cavità dello sprone sepalino ed in questa produrre il nettare. Sevali, petali e filamenti circondano l’ovario, tuttavia i sepali lasciano un accesso facile per la tromba d’un insetto. Le quattro antere superiori sono così addossate allo stimma che accanto -. F, de a P° = FATTI Lt SA: Patania bian We 1: Li POR FIRE TIE "d] bis a all’eteroimpollinazione effettuata dagl’insetti, nell’assenza di questi l’autoimpollinazione può facilmente accadere. Gen. Jonopsidium Rchb. J. acaule Rchb., unica specie, presenta fiori rosei. Secondo Villani (Ma/pighia, XIX, 1905) 1 quattro nettarii, si- tuati uno alla base e tra ciascun filamento corto ed il lungo adia- cente, sono semilunari e, non congiungendosi mai tra loro, circon- dano, come un disco, intorno intorno gli stami. Questi hanno la base tetragonale ed ingrossata, ed inettarii si sono adattati ad essa. Gen. Iberis L. Fiori bianchi, porporini, rosei, lilla, omogami, a nettare parzial- mente nascosto. Nettarii 4, inseriti a due.a due tra ciascuno stame breve e l’ovario ( Villani, Malp., XIX). I. amara L. e I. umbellata L.- Nelle infiorescenze di quesie due specie, come pure in altre, i petali dei fiori periferici sono due volte più grandi di quelli che guardano verso l'interno dell’infiorescenza (Kerner, pp. 177-178), rendendosi così più appariscente tutto il complesso. A Gèdre, nei Pirenei, Mac Leod osservò a visitare i fiori bianchi della prima specie (= /. Forestieri Jord.) un dittero: Homalomyia incisurata Zett. ed Altfken, presso Brema, osservava Antàhrena al- bicans Mill. T, A. albicrus K. T, A. praecor Scop. T, Bombus la- pidarius L. 9, B.lucorum L. 2, B.terrester L. 2, Osmia rufa L. I, tutti succianti nettare (da Xnuth, II, 1, p. 119). Willis e Burkill (IV, 1908) riportano per /. amara i seguenti visi- tatori osservati nella Gran Brettagna: Pierîs napi L., Fidonia ato- maria L. fra i lepidotteri; Syrphus vitripennis Mg. Eristalis arbu- storum L., E.? pertinax L., Empis opaca F., Siphona geniculata Deg., Lucilia, sp., Hylemyia mnigrescens, Rnd., Anthomyia radicum L., A. sulciventris Ztt. fra i ditteri; Meligethes viridescens F., Psylliodes napî Koch fra i coleotteri. I. pinnata. — Hildebrand (Ber. Bot. Ges. XIV, 1896) sperimentando su questa specie, ebbe un’abbondante fruttificazione incrociando degl’ individui, mentre ne constatava una molto più scarsa quando i fiori erano fecondati direttamente col proprio polline ovvero erano lasciati alla loro inevitabile autoimpollinazione. I. commutata Sch. et K.- Le glandole nettarifere a guisa di tu- bercoli carnosi, si trovano ai due lati della base dei filamenti corti, fra questi e le basi dei più lunghi. Immediatamente prima dell’antesi gli organi sessuali sono di eguale lunghezza. In questo stadio lo stimma porta le prime papille. Le antere in seguito si elevano in modo da sorpassare lo stimma e la lic ° corolla poco tempo dopo il principio dell’antesi. Lo stilo s’allunga dopo qualche tempo anch’esso, e lo stimma attraversa le quattro antere superiori ed in un tempo in cui queste sono ricoperte di polline, cosicchè l’autogamia è inevitabile. Lo stilo si allunga an- cora di più, le antere versano il loro polline abbastanza rapida- mente e cadono, ed i filamenti, specialmente nella parte superiore, assumono una colorazione rosso-accesa. Questo secondo stadio fem- minile del fiore dura circa 1-2 giorni. Lo stilo in questo tempo sporge molto dal fiore. I fiori di questa specie sono perciò proterogini macrobiostim- mici (Gunthart, 1902). Ma lo stesso Giinthart trovò anche che in alcuni fiori dello stesso ceppo le antere si aprivano quando lo stimma le aveva già sor- passate durante il suo allungarsi, ed in altri anche lo stimma mo- strava soltanto allora una superficie papillosa. In questi casì l’au- togamia è esclusa al principio dell’antesi. I. sempervirens L. concorda con la precedente nella posizione dei nettarii ed è pure proterogina. L’autogamia è possibile per la caduta del polline su lo stimma più basso — nel caso che il fiore non sia autosterile, data tutta la sua struttura, lo sviluppo dei sessi e la parentela di questa specie con altre a fiori autosterili (Giinthart, l. c.). I. Jordanî Boiss. presenta fiori bianchi con venature rosse nella parte inferiore dei petali. Nella posizione dei nettarii e nella pro- teroginia concordano con quelli della specie precedente, ma in essi il pistillo sovrasta l’'androceo. L’autogamia che per eccezione avviene nell’ /. sempervirens per l'ulteriore accrescimento dello stilo e per l’addossarsi dello stimma contro le due antere superiori immediatamente prima del termine dell’antesi, in questa specie ha luogo di regola (Gunthart, l. c.). I. saratilis L. è stata osservata da Briquet. I fiori sono bianchi e raccolti in grappoli corimbiformi che si allungano alla maturità. Vi ha eteromorfismo molto pronunziato nei fiori d’una stessa infiorescenza e tutti posseggono quattro net- tarii in forma di piccoli mammelloni verdi alla base degli stami più corti. In principio tutti gli stami sono gialli, lo stilo è verdastro e situato sotto le antere, decisamente introrse. Quando ha luogo l’e- missione del polline, non vi è contatto fra gli stami ed il pistillo d’uno stesso fiore per essere i due stami laterali allontanati tra i lembi dei petali e perchè le antere degli stami antero-posteriori si volgono verso l’esterno in modo da situarsi col loro profilo, e non er ene bo” bi} aio I v , 1A a israeliani Si TASSELLI Dì uil con le linee di deiscenza, dalla parte del pistillo. I fiori hanno perciò bisogno dell'intervento d’insetti (imenotteri, ditteri) perchè abbia luogo l’impollinazione ; intervento che dà per risultato una impollinazione incrociata od un’autoimpollinazione dipendenti in- teramente dai movimenti dell’insetto. Al momento dell’impollinazione i filamenti ed il pistillo hanno una intensa colorazione violetta, mentre le antere e la sommità stimmatica restano giallastre. Il Briquet ha anche osservato che il pistillo e le antere rag- giungono la maturità nello stesso tempo. Compiuta la fecondazione lo stilo si allunga e passa fra le antere antero-posteriori. Egli non crede, per averlo constatato in un gran numero di fiori, che questo allungamento tardivo abbia qualche significato nell’impollinazione, che possa, cioè, lo stilo sporcarsi di granelli di polline rimasti nelle antere. Queste sono facilmente e presto ca: duche; cadono prima le posteriori, poi le anteriori ed ultime le laterali. I. pectinata Boiss., I. semperflorens, I. Lagascana DO., I. taurica DC. — Nettarii 4, situati a paia tra ciascuno stame breve e l’ovario, quasi sempre verdi, tubercoliformi. Nell'I. umbellata sono alquanto appiattiti; nell’I. pinnata L. molto ravvicinati, tanto da sembrare un solo nettario bilobo; nell’/. sempervirens L. allontanati tra loro, sporgenti un po’ in fuori come se fossero inseriti ai lati dello stame breve (Villani, Malp. XIX, 1905). Gen. Aethionema R. Br. Fiori bianchi o rosei, di rado d’un giallo pallido. A. saxatile R. Br. — I nettarii sono quattro; piccolissimi, tuber- coliformi, inseriti uno per lato ed alla base di ciascun filamento corto ( Villani, Malp. XIX, 1905). Secondo Briquet che 1’ ha osservata in parecchie località del Giura meridionale, fiorisce quivi in maggio ed è visitata da mosche e piccoli coleotteri, attirati dai fiori riuniti in grappoli terminali. I sepali ovati, verdi, sono orlati di bianco e quelli laterali presen- tano alla base una fossetta nettarifera. I petali bianchi o d’un roseo chiaro, presentano venature rosse, e si espandono in alto. Alla base dei filamenti più corti si trovano altri due nettarii, de- bolmente differenziati morfologicamente ma in perfetta funzione per tutta la durata dell’artesi. In principio lo stimma è situato più basso degli stami, ad antere introrse, ma in seguito lo stilo si allunga e sorpassa gli stami. L’impollinazione è spesso diretta non perchè il polline arrivi agli stimmi, giacchè le antere ne sono lontane e lo stimma allun- pera. gandosi non sì porta nemmeno contro di esse, ma perchè gl’insetti con i loro movimenti mettono inevitabilmente a contatto il polline d’un fiore col suo proprio stimma; accidentalmente l’impollinazione potrà pure essere incrociata. Kirchner (cit. da Xnuth, II, 1, p. 124) aggiunge che i fiori sono alquanto proterogini, che il diametro superiore della corolla rag- giunge 3-4 mm. e che l’autoimpollinazione spontanea avviene di regola per le antere dei quattro stami più lunghi. A. heterocarpum J. Gay. ed A. Burbaumii Fisch. concordano per i nettarii con la specie precedente (Vz2/ani, 1. cit.). A. grandiflorum. — Un esemplare coltivato per una serie di anni, in piena terra, nel giardino botanico di Freiburg, in mezzo ad altre specie di Aethionema, malgrado fiorisse normalmente ed esu- berantemente ogni anno, produceva sempre scarsi frutti, dovuti forse all’impollinazione compiuta dagl’ insetti mediante il polline delle altre specie vicine. I semi accuratamente raccolti e tosto seminati dopo la matu- ranza, non germinarono affatto (Mi/debrand, l. cit. 1896). A. coridifolium DC. (= Iberis Jucunda hort.). — Nella posizione dei nettari concorda con /beris commutata, ma sono in questa specie rotondi e molto più piccoli. È proterogino. All’aprirsi della corolla gli stami sono più lunghi del pistillo, ed in questa reciproca po- sizione, dopo poco tempo comincia il versamento del polline. Più tardi lo stilo si allunga e lo stimma viene a contatto con l’orlo inferiore delle quattro antere più alte, in un tempo in cui esse contengono ancora del polline. Ma nella massima parte dei casì lo stimma è già morto e non ha luogo autogamia; spesso però, — forse quando il fiore fu poco visitato da gl’insetti e non fu coperto di polline straniero, — lo stimma anche allora porta papille vivaci. Sì ha quindi un secondo stadio femminile il quale, normale in /berzs , commutata, si avvera qui solo in pochi casi e per un breve mo- mento. Parecchi fiori si presentano con stami rudimentali (Gnthart, 1902). A. armenum Boiss. secondo Giinthart (1902) che ne ha osser- vato esemplari nel giardino « Linnaea » a Bourg-St.-Pierre nel Val- lese, possiede fiori lilla, con venature carminio, debolmente prote- rogini. I nettarii scutiformi, grandi, sono due, fra le radici di due stami più lunghi e non alla base di quelli più corti. Lateralmente gli stami lunghi posseggono appendici sottili membranose, più sviluppate in basso che abbracciano la base del gineceo e ne separano i due nettarii. Lo stimma in principio si i du a MOR ENTE SEE OT AM MIE a E pg SMETTA SEA CORRA IOE DOR CA CEI TOTAL NI CO O 2 È. P 2% è po pai evi "Agr * b li i ? da Lù È ca ig REG trova molto più basso delle antere ancora chiuse, ma più tardi per allungamento dello stilo viene portato a contatto con le antere degli stami più lunghi, favorendo così all’ultimo momento dell’an- tesi l’autoimpollinazione spontanea. In molti altri esemplari il contatto degli organi sessuali avviene quando già tutte le papille dello stimma sono appassite o quando. le antere si sono vuotate di tutto il loro polline. A. diastrophis Bge. osservato dal Giinthart (1902) in un giar- dino privato di Zurigo presenta fiori proterogini, bianchi, forniti di otto nettarii, dei quali quattro, più grandi, ai lati della base di ciascun filamento breve, ed altri quattro più piccoli, con scarsa secrezione, sotto la radice degli stami più lunghi. L’autogamia è esclusa o tutt’al più è presumibile per la caduta accidentale del polline su lo stimma; mediante gl’insetti è possi- bile una autoimpollinazione indiretta. SR i ARI pri alleate dda a N, ihr SO tc ua «wr SV gi bi rai n) i | ;” Gen. Eunomia DCO. i; Fiori bianchi o rosei. E E. cordata DC. presenta quattro nettarii piccoli, due per lato i; ed alla base di ciascun filamento corto, tubercoliformi, od appena i arcuati e leggermente compressi (Villani, Bull. Soc. bot. it., gen- si naio 1909). È Gen. Petrocallis R. Br. Le . . . . . A Fiori omogami, rosei, a nettare parzialmente nascosto. Net- sa tarii 4. P. pyrenaica R. Br. osservata da Schulz (Beitr., II, 1890, p. 16) nel Tirolo, presenta fiori rosei, appariscenti, visitati frequentemente da ditteri e farfalle. Ai due lati della base di ciascun filamento corto si trova un nettario ed il nettare è copioso. All’antesi le antere degli stami corti si trovano allo stesso li- vello dello stimma, tuttavia il contatto è evitato, giacchè i fila- menti orbicolari alla base sono diretti in fuori. Quelli degli stami più lunghi, paralleli fino alla metà di loro lunghezza, piegano po- scia in fuori. Il polline che cade dalle antere degli stami lunghi può facilmente posarsi su lo stimma ed è quindi possibile l’auto- impollinazione. Insieme con l’eteroimpollinazione gl’insetti visitatori possono in molti casi effettuare anche l’autoimpollinazione. Giinthart (1902) sul Pilatus trovò i fiori debolmente proterogini. Il diametro corollino era di circa 6 mm. e come pronubo osservò una piccola farfalla. Gen. Thlaspi L. Fiori bianchi o lilla, omogami o proterogini, a nettare parzial- mente nascosto. OTO SAT ELBA Nettarii 4. Secondo Villani (1900) alcune specie di questo ge- nere hanno quattro nettarii grossi, con corte appendici laterali, due per lato di ciascun filamento breve; altre ne hanno due, ognuno cir- cendante la base del filamento corto, per lo più aperto tra questo e l’ovario. In qualche specie nella parte esterna il nettario si pre- senta diviso, ed in altre tra la divisione si nota uno o due tuber- coletti nettariferi. Th. arvense L. [Mtller, W. Beob. II, p. 198; Kirchner, FI. v. St. p. 307; Mac Leod, Bevr., p. 393; Kerner, II, p. 329; Warnstorf, Rup. Fl., 38, p. 20 dell’estr.; Knuth, Nfr. Ins. p. 30; Poppius, Blomb. Jaktt., p. 10 dell’estr.; Avedury, Br. Fl., p. 87]. — I piccoli fiori bianchi sono riportati come omogami, Kerner e Avebury li dànno come proterogini per poche ore. Alla base dei due stami più corti si trova in ciascun lato un piccolo nettario verde (tubercoli- forme secondo Villani, loc. cit.). Le antere degli stami lunghi stanno allo stesso livello con lo stimma o lo sorpassano di poco; esse hanno i lati coperti di polline rivolti contro lo stimma al quale sono così vicine che l’autoimpollinazione spontanea è inevi- tabile. Le antere dei due stami brevi sono un po’ più basse dello stimma a cui rivolgono le linee di deiscenza; hanno una certa di- stanza dallo stimma e perciò servono a favorire l’eteroimpollinazione coll’intervento degl’insetti. | Secondo Warnstorf tutti gli stami sono più alti dello stimma sul quale sono inclinati con le loro antere introrse, di guisa che l’autogamia è inevitabile. Il polline è bianco-giallastro, ellittico, verrucoso, circa 25-30 p. lungo e 20-25 p largo. Kerner ammette i fiori come debolmente proterogini, nei quali l’autoimpollinazione spontanea avviene più tardi per il contatto delle antere e dello stimma. Miiller in Turingia osservò i seguenti insetti: Anthomyia-spec. £ e Pollenia rudis F. fra i ditteri e Apismellifica L. 9 e Andrena parvula K. $ tra gl’imenotteri. Poppius, in Finlandia, notò i fiori tutti omogami. Ad Esbo os- servò parecchi Tisanotteri, e a Geta Scaeva topiaria. Meig. Hieronymus (Pflanzenmonstr.) ha osservato fiori cleistogami. Th. perfoliatum L. [Kirchner, FI. v. St. p. 307; Avebury, Br. FI PI. p. 87]. — Nelle disposizioni fiorali concorda con la specie prece- dente, ma i fiori sono ancora più piccoli. Col tempo torbido essì rimangono chiusi o semiaperti, e col tempo soleggiato la loro aper- tura raggiunge circa un millimetro di diametro. Th. montanum L. [ Kirchner, Beitr. p. 26: esemplari di Svevia] — Nei fiori omogami, bianchi, tutte le antere hanno deiscenza in- a Ve Segui pete ri RA Pa - ® ? % : * im (“de PA Pi STRA ATER ET LIT PAL. SCE MOT STIA PIERO RT t Sd ; È 3 d e TSI N RECATO Re: x MET RE TRI LORIA ESA ENI IE — "e trorsa; quelle degli stami lunghi raggiungono la stessa altezza dello stimma, quelle dei due brevi sono un po’ più in basso. I nettarii sono fusi insieme. In esemplari del Giardino botanico di Zurigo Ginthart (1902) trovò i fiori debolmente proterogini e macrobiostimmici, ed oltre i quattro nettarii maggiori lateralmente alle basi degli stami più corti, riscontrò quattro nettarii più piccoli alla base degli stami più lunghi. Th. alpinum Crtz. [| Kirchner, Beitr. p. 27]. — In esemplari os- servati da Kirchner a Riffelalp presso Zermatt, i fiori bianchi rag- giungono un’espansione corollina di 7 millimetri. Sono omogami, ma l’autoimpollinazione spontanea è impedita dalla loro posizione eretta e dalla lunghezza dello stilo, il quale è così lungo che lo stimma sovrasta di circa 1 mm. le antere degli stami più lunghi. Tutte le antere, di color giallo, rivolgono le loro linee di deiscenza verso l'interno, e mentre quelle degli stami lunghi spuntano al- quanto dall’ingresso fiorale, quelle degli stami brevi stanno a circa 1 mm. più basse nell’ingresso del fiore. I nettarii, come nel T%. montanum, sono lateralmente fusi in- sieme in modo da formare un disco gibboso attorno all’ovario e alla ‘base degli stami. Th. alliaceum L. — I fiori concordano, secondo Kerner (p. 329) nella proteroginia e nella ulteriore autogamia con 7%. arvense. Th. alpestre L. — Nei fiori bianchi, omogami, le antere sono gialle in principio, poscia porporine e da ultimo nere. Miiller (Alpend!. p. 147) osservò i seguenti visitatori nelle Alpi: ERhamphomyia aperta, Aricia serva, Coelomyia mollissima, Hylemyia variata, Onesia cognata, O. floralis, Pollenia rudis, Cheilosia muta- bilis, Melanostoma mellina, Plathycheirus ciliger Loew, tra i ditteri; Plusia gamma e Pieris napi var. bryoniae, tra i lepidotteri. | Buddeberg (Bot. Jb. 1888, I, p. 564) riporta 17 apidi, 7 ditteri, una vespa ed un coleottero. Burkill (n. 6) nell’India osservava Bombylius major e Syrphus-sp. a 9000 piedi di altezza. Th. rotundifolium Gaud. — I fiori d’un violetto chiaro sono ricchi di nettare secreto alla base degli stami più corti. Secondo Giin- hart (1902) il nettare è secreto da 4 nettarii situati fra gli stami corti e la base di quelli lunghi. Le antere degli stami lunghi si trovano per lo più allo stesso livello dello stimma ed alla fine sì rivolgono completamente verso quelle degli stami corti. Benchè i fiori sieno omogami, non avviene un contatto con lo Ld | Les Hgi stimma, cosicchè l’autoimpollinazione spontanea è esclusa, e tanto meno questa può aver luogo mediante le antere degli stami brevi, la cui deiscenza avviene di solito dopo quella delle antere degli stami lunghi, giacchè esse non raggiungono lo stimma (Schulz, IBeibr: E p. 16). A motivo della loro colorazione i fiori spiccano molto bene sul detrito dolomitico, bianco, del Tirolo meridionale dove Schulz li ha osservati frequentemente visitati da Pieris-sp., da Vanessa cardui e da altri lepidotteri, e da ditteri, dei quali anche quelli a tromba corta possono facilmente raggiungere il nettare, data la meschina (2 */.-4 mm.) profondità del fiore. Th. corymbosum Gay. ha fiori lilla-chiaro o violetti riuniti in gran numero in infiorescenze molto vistose, emananti un grato odore. Il diametro dei singoli fiori è variabile: 6-10 mm. di dia- metro. Al principio della fioritura le antere sono ancora chiuse, mentre lo stimma già sviluppato occupa il piccolo ingresso fiorale, più basso o talora anche più alto delle antere degli stami lunghi; i fiori sono perciò alquanto proterogini. Quando sono completa- mente espansi, sono aperte le antere dei quattro stami lunghi; quelle degli stami brevi si aprono subito dopo. Tutte hanno dei- scenza introrsa e non cangiano di posizione, come quelle degli stami Innghi nella specie precedente. Poichè le antere degli stami lunghi sovrastano alquanto l’ingresso fiorale e quelle degli stami brevi si trovano allo stesso livello dello stimma, Kirchner (5Bettr. p. 27-28; esemplari del Riffelberg presso Zermatt) ammette come possibile l’autoimpollinazione spontanea. I nettarii sono quattro, due a due ai lati della base di ciascun filamento breve. Th. praecor Wulf. — Schletterer presso Pola osservò i seguenti visitatori: Anthrena converiuscula K., A. deceptaria Schmiedekn., A. tscheki Mor., Athalia rosae L. var. liberta Klug. (da Knuth, Hand BE, pr LI: Th. magellanicum Comm. — Questa specie antartica, dai piccoli fiori bianchi (diam. 2-3 mm.), è posta da Skottsberg tra le zoofile della Terra del Fuoco. Gen. Cochlearia L. Fiori omogami, bianchi, odorosi, a nettare parzialmente nascosto, od anche privi di nettare. C. Armoracia L. — I fiori odorosi contengono nettare in poca quantità, prodotto da glandole che circondano le basi degli stami. Tutte le antere deiscono verso l’interno, quelle degli stami più lunghi stanno allo stesso livello dello stimma, inserito nell’ingresso e al e MA e i E A aa SO Sag eta nt LI fiorale. Mediante le visite degl’insetti è provocata tanto l’eteroim- pollinazione quanto l’autoimpollinazione (Kirchner, FL v. St. p. 305). Questa però secondo Kerner (loc. cit. p. 566) è di nullo o quasi nullo effetto, producendo di rado la pianta frutti maturi. Secondo Warnstorf (Rupp. Fl. 1905) i fiori sono proterogini, giacchè le. papille stimmatiche sono già sviluppate nei fiori ancora chiusi; tutte le antere poi sovrastano lo stimma, cosicchè l’auto- gamia può avvenire facilmente. Il polline è giallastro, biscottiforme, verrucoso, 82-43 p lungo e 15-19 n largo. Miiller (Wezt Beob. II, p. 198) osservò i seguenti insetti in un esemplare coltivato nel suo giardino: Malachius bipustulatus F. e Meligethes, tra i coleotteri; Bibio hortulanus F., Empis punctata F., Scatophaga mendaria F., Septis-sp., Syritta pipiens L., tra i ditteri; Andrena albicans K: ®, Halictus zonulus Sm. 2, e parecchie specie di Icneumonidi, fra gl’imenotteri. Knuth (Bloemenb. Bijdr.) in giardini di Kiel osservava: Syritta pipiens L., Eristalis-sp., Syrphus balteatus Degl., tutti succianti net- tare o divoranti il polline; Meligethes. C. officinalis L. — Le osservazioni di Knuth si riferiscono ad esemplari delle isole Amrum e Fòhr, al nord della Frisia. I fiori, bianchi, tramandano odor di miele e presentano il diametro di 8-10 mm. In essi Knuth non potè riconoscere nettarii. Sprengel pure non ne trovò. H. Miiller non ne fa cenno alcuno, mentre Hil- debrand (Saftdr. d. Cruc.) riferisce che a riguardo dei nettarii questa specie si comporta come Lepidium sativum. Burkill (Spring Flow., 1897), in esemplari su le coste dello Yorkshire, trovò quattro nettarii pronunciati nel fondo del fiore, . e quattro nettarii lateralmente alla base di ogni stame breve ri- porta pure Villani (Malp. XIX). Le antere degli stami lunghi raggiungono lo stesso livello dello stimma, ma ne sono alquanto lontane. Quelle degli stami brevi deiscono un po’ più tardi; dapprima più basse, sì portano poscia alla medesima altezza dello stimma, cosicchè l’autoimpollinazione spontanea è facilmente possibile. Gl’insetti visitatori effettuano etero- ed autoimpollinazione. Hildebrand (.Saftdr. d. Cruc.) serive che l’autoimpollinazione av- viene nel chiudersi dei fiori. Knuth osservò ditteri emitropi ed allotropi e larve di Meli- gethes, nonchè Meligethes. Loew (cit, da Knuth) nel Giardino botanico di Berlino osservò Apis. Burkill (1. cit.) su la costa del Yorkshire osservò: Meligethes pi- 24 © BIN cipes Sturm.; Coelopa-sp. Hylemyia-sp., Drosophila graminum Fall. Scatophaga stercoraria, un altro piccolo muscide; IcAhneumon-sp. Scott-Elliot (/2. p. 16) nel Dumfriesshire osservò un muscide e Meligethes. Willis e Burkill (72. and. Ins. IV) nelle montagne di Clova ri- levarono due forme di C. officinalis, una macranta e l’altra micranta, nella quale ultima è variabile talvolta il numero dei petali e de- gli stami. Riportano i seguenti visitatori: Larentia salicata Hib. tra i lepidotteri; Sciara, Scatopse, Drymia hamata Fln., Trichoph- thichius-sp., Anthomyia-sp., fra i ditteri; Anthophagus alpinus Payk., ‘Ceuthorrhynchius contractus Marsh, tra i coleottori; un neurottero. In esemplari delle isole Farder osservati da Warming (Field- Notes, 1908), non fu constatata l’autoimpollinazione spontanea per contatto diretto con lo stimma; però tutti i fiori danno frutto. C. arctica Schl. abbastanza frequente in località umide, sas- sose, presenta fiori bianchi dal diametro di 6-8 mm. e protero- gini-omogami; nel Finmark, secondo De Lagerheim, emanano un grato odore, molto sensibile, così pure nella Siberia orientale se- condo Kjellman, ma nella Nuova Zembla Ekstam non rinvenne fiori odorosi. Nel boccio le antere non sono ancora mature, mentre lo stimma si mostra già alquanto lucente, papilloso, sebbene non così come in un fiore aperto. Le antere deiscono poco tempo dopo l’antesi, ma lo stimma è già da qualche tempo sessualmente pronto, sicchè l’au- toimpollinazione dovrebbe essere possibile, stando le antere allo stesso livello dello stimma ed un po’ inclinate verso il centro del fiore. Si sono pure osservati dei fiori nei quali lo stimma si tro- vava più alto delle antere, e l’ autoimpollinazione era quindi evitata. Le antere degli stami brevi deiscono dopo le altre e per lo più non raggiungono l’altezza dello stimma o delle antere degli stami più lunghi. Ekstam (Nov. Semlja, p. 141-148) non potè constatare con sicu- rezza il nettare, ma accenna alla presenza di un cuscinetto verde un po’ lucente alla base degli stami. Allo Spitzberg, dove trovò pure fiori puramente femminili, si hanno glandole alla base degli stami più corti, rudimentali in tutti 1 filamenti. L’autoimpollinazione può avvenire quando i fiori si chiudono. A questo proposito Ekstam fa rilevare che le piante artiche sono molto più indifferenti ai cambiamenti del tempo che non le spe- cie del piano o le alpine, anche per la ragione che il sole nelle la- e svi N Li cr i ut VERITA RIN LA - ea N tie ade" 3 = i ci me lerici brano TRE PIE e TA PI REAPER © BREE titudini elevate, durante il tempo in cui fiorisce la massima parte delle specie, rimane ininterrottamente sopra l’orizzonte. Non osservò insetti visitatori. Poppius (1903) osservò i fiori visitati da piccoli ditteri nelle vicinanze del fiordo di Varanger. C. anglica L. — I fiori sono privi di nettare e proterogini. I se- pali cadono facilmente e molto presto, i petali crescono ancora du- rante la fioritura. Gli stami si dirigono verso l’esterno e in questo stadio non sono a contatto con lo stimma, cosicchè gl’insetti raccoglitori di polline possono provocare l’incrociamento. Le antere deiscono successivamente; prima è la volta di quelle degli stami più lunghi che sovrastano di appena 2/3 di mm. gli stami inferiori, le cui antere deiscono più tardi. L’autoimpollina- zione spontanea è perciò d’ordinario impossibile. Ma dopo qualche tempo gli stami si volgono più verso l’interno e vengono ad av- vicinarsi allo stimma, rendendo così possibile l’autoimpollinazione nella maggior parte dei casi. ‘ Non furono osservati insetti visitatori ( Verhoe/f, p. 140-141). C. danica L. [Knuth, Nfr. Ins. p, 29; Helgoland p. 39]. — Il diame- tro dei fiori raggiunge soltanto 4-5 mm. Le antere dei quattro stami più lunghi deiscono prima,” ma sono rivolte verso lo stimma e lo sovrastano alquanto. Subito dopo deiscono quelle degli stami brevi e tutte le sei antere inclinano verso il centro del fiore assicurando l’autoimpollinazione spontanea, nel caso gl’insetti non abbiano già provocato l’autogamia o l’ailogamia. L’autogamia è coronata da successo. Come visitatori dei fiori nello Schleswig-Holstein (Nordf Ins., p. 149) Knuth riporta Eristalis tenax L. ed E.sp., un piccolo muscide; in Helgoland (Oberland) osservò inoltre Syritta pi- piens L. C. groenlandica L. — Secondo Warming (Biol. Opt., I) si trovano due nettarii alla base degli stami brevi, ma non osservò nettare in alcun fiore. Ritiene un po’ incerto che l’autogamia possa aver luogo per un contatto fra le antere e lo stimma contemporaneamente sviluppato, ma è d’avviso che l’autogamia abbia luogo quando i fiori si chiudono durante la notte o col tempo cattivo. Trovandosi poi numerosi frutti, essa dev'essere fertile. Secondo Kerner (p. 333) i fiori sono proterogini e soltanto verso la fine della fioritura, inclinandosi i filamenti, dapprima eretti, de- gli stami più lunghi verso il centro del fiore, l’autogamia ha luogo ed è coronata da successo. AI gore Gen. Kernera Med. Fiori omogami, piccoli, bianchi, a nettare parzialmente nascosto Nettaril 4. K. saxatilis Rehb.(— Cochlearia sar. Lam.) è stata osservata nelle Alpi da Miiller (A4/p. p. 147). Presenta fiori omogami nei quali la- teralmente alla base di ciascun filamento breve si trova un tuber- coletto verde, carnoso, che produce nettare in abbondanza. I quattro filamenti più lunghi si piegano quasi ad angolo retto dietro i più corti, cosicchè le loro antere vengono a trovarsi vicinissime a quelle degli stami brevi. Tutte le antere deiscono verso l’interno del fiore ed hanno tale posizione che un insetto il quale venga a succiare il nettare debba rasentarle con il capo o con la tromba, quindi in una posizione favorevole all’incrociamento. Rimanendo i fiori semichiusi con il tempo torbido, l’autoimpollinazione spontanea ha luogo fa- cilmente. Come visitatori egli osservò 9 ditteri: Microphorus velutinus, fra gli empidi; Anthomyia humerella, A.-sp. Aricia semicinerea, A. serva, Trichopticus-nova sp., tra i muscidi; Cheilosia crassiseta, Eristalis nemorum, Melanostoma ambigua, tra i sirfidi; Meligethes, Andrena nana I. Quando i fiori invecchiano l’ovario si gonfia e si colora in por- porino-scuro, contrastando sensibilmente col bianco dei petali che gli fanno corona; per tal modo i vecchi fiori della periferia del corimbo acquistano un aspetto screziato ed una notevole appari- scenza (Kerner, l. c., p. 184). Secondo Kerner (p. 273) all’epoca dell'apertura dei fiori i petali sono piccoli, eretti e piegati un po’ indentro e quasi aderenti allo stimma, cosicchè gl’insetti che fuggono il nettare sono costretti dalla detta posizione dei petali a passare col loro succiatoio in con- tatto con lo stimma per giungere nel fondo del fiore. Per cui se il succiatoio è sporco del polline di altri fiori, questo è inevitabil- mente lasciato su lo stimma. Più tardi i petali si espandono, le antere divengono visibili ed accessibili, e gl’insetti non urtano più col loro succiatoio lo stimma ma tolgono polline da le antere. Gen. Peltaria L. Fiori bianchi o rosa. P. alliacea L. — Possiede quattro nettarii, due per lato di cia- scun filamento breve; l’una coppia è unita con la omonima opposta mercè una sottile striscia nettarifera (Viani, Malp. XIX). Le antere dei filamenti lunghi inclinati su lo stimma sotto- stante favoriscono l’autoimpollinazione, mentre gl’insetti provocano l’eteroimpollinazione (Mi/debr., Saftdr. Crucif.). ua | i o di È [ov [A dirt, de AA 1 e E e i RI le” RINO A I RI abi e e a io % PI] 5 ì SA GIIEA Gen. Eutrema R. Br. E. Edwardsii R. Br. — Nella Nuova Zemblai fiori sono omogami, senza odore, e nella Siberia artica, secondo Kjellman, presentano un diametro di 5 mm. In un fiore aperto è possibile l’autogamia, poichè le antere sono allo stesso livello dello stimma e per lo più anche a contatto con esso. Ekstam non trovò frutti maturi, ma Kjellman ne trovò tanto nella Nuova Zembla (1875) quanto presso Jugor Scharr nel 1877. Non furono osservati insetti visitatori (Ekstam, Nov. Semlja, p. 140: Nello Spitzberg questa specie cessa di fiorire secondo Andersson e Hesselmann dalla metà di luglio; se vi dia frutti maturi, è ignoto. Nella Groenlandia Vanhéòffen trovò un esemplare con frutti (da Knuth, III, 2, p. 277). Gen. Alliaria Adans. Fiori piccoli, bianchi, omogami a nettare parzialmente nascosto. Dei quattro nettarii soltanto i due che si trovano alla base de- gli stami brevi producono nettare che si raccoglie verso l’interno del fiore, mentre gli altri due che stanno fra la base delle due cop- pie di stami lunghi non hanno alcuna secrezione. Il nettare si raccoglie in quattro gocce nello spazio fra gli stami ed il pistillo, e non come in altre specie fra gli stami ed i sepali, in connessione forse col fatto che qui i sepali non presen- tano alcun sacco e cadono di buon’ora dopo l’aprirsi dei fiori (Ave- bury, Hildebr.) Villani (Malp. XIX) riferendo su la posizione dei quattro nettarii, due a cercine che circondano l’inserzione degli stami brevi e due a forma di cono ottuso che si trovano esterna- mente ed alla base degli stami lunghi, non accenna ad altro che riguardi la secrezione. A. officinalis Andrz. (= Sisymbrium Alliaria Scop.). — [Miiller, Befr. p. 137, Weit. Beob. II, p. 202; Mac Leod, Bevr. p. 381; Kirchner FI. p. 295]. — Tutte le antere hanno deiscenza introrsa, quelle degli stami più lunghi circondano così strettamente lo stimma che l’au- toimpollinazione spontanea avviene di regola e secondo Hildebrand (1906) coronata da successo. Ma l’eteroimpollinazione può anche aver luogo occasionalmente, data la posizione delle antere e dello stimma. Kerner (p. 329) dà i fiori come proterogini e l’autogamia si com- pie nel modo detto per Lepidium e Thlaspi. Miiller (Il. cc.) elenca i seg. visitatori: Apis mellifica L. Andrena nitida K_ 9; Syrphus decorus Mgn., Rhingia rostrata L., Empis punc- tata F., E. nigricans F., Sepsis-sp., Antomyia-sp., Dilophus vulgaris Men. g; Bijturus fumatus F., Meligethes, Ceutorhynchus, Epuraea. Knuth (Herbstb.): Apis mellifica L. Verhoeff (B/. «und. Ins. p. 150) nell’isola di Norderney: Meligethes brassicae Scop., Tachyporus obtusus L.; Anthomyia-sp., Platycheirus peltatus Mg. T; Adela cuprella Thbg. 2. Ducke presso Trieste: Anthrena tscheki Mor. 2. Scott-Elliot nel Dumfriesshire (72. p. 14): un coleottero, un empide, due mu- scidi, due sirfidi, Macchiati (Cat.): Sepsis-sp., Culex pipiens L., Chry- sotoxrum bicinctum, Anaspis frontalis, Prosopîis signata, Osmia. Secondo Villani (MalZp., XIV, 1900) quando i fiori di A. officinalis sono forniti del perianzio, i nettarii esercitano funzione nuziale, permettono l’accesso agl’insetti forniti di proboscide, ma non alle formiche: sono quindi mirmecofobi. Ma nel secondo stadio, quando il perianzio è caduto, i nettaril, rimasti allo scoperto, s'ingrossano alquanto, continuano a produrre nettare ed attirano le formiche in gran numero, che difendono ul- teriormente la pianta da attacchi di altri piccoli animali; in que- sto stadio, da nuziali e mirmecofobi i nettarii diventano estranu- ziali e mirmecofili. Egli quindi aggiunge questa specie alle crocifere mirmecofile. Gen. Sobolewskia M. B. Fiori bianchi. S. clavata. — Parecchi esemplari coltivati in vaso nel giardino botanico di Freiburg dettero tutti buoni frutti. Nello stesso tempo (giugno 1906) un solo esemplare della stessa specie fiorì nel giar- dino privato del prof. Hildebrand, e quantunque fosse visitato da gl’insetti non produsse nemmeno un frutto. Avendo poi impolli- nato i fiori del proprio esemplare con polline dei fiori del giardino botanico, ne ebbe soltanto una scarsa fruttificazione. Egli trova la ragione probabile di questa autosterilità nel fatto che le infiore- scenze lungo tempo rimaste senza fruttificare avevano già inco- minciato a produrre germogli laterali, i quali attiravano a sè i succhi nutritizi e non li lasciavano pervenire ai fiori impollinati con polline straniero (Ber. Bot. Gesellsch. XIV, p. 897; 1906). Gen. Sisymbrium L. Fiori per lo più gialli, raramente giallo-pallidi o bianchi, omo- | gami o debolmente proterogini, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 2, 4 o 6. S. officinale Scop. [Muller, Befr. p. 138, Weit. Beob. II, p. 202; j Kirchner, Fl. p. 293; Knuth, Nfr. Ins. p. 26; Mac Leod, Bevr. p. 381; Avebury, Br. Fl. PI. p. 81]- Le descrizioni sono tutte analoghe a quella di Miiller. Nei piccoli fiori gialli, lateralmente alla base dei due stami corti si trova una glandola nettarifera, il cui nettare ANNALI DI BoranIcA — Von. XI. 5 9 Li Re are 1% Éire a VET ARE 17 MI Adi Ami FATA Tu, 5 DE A si raccoglie nell'angolo formato da uno stame breve ed uno lungo ed il pistillo. Nel primo stadio fiorale le antere degli stami lunghi e lo stimma, al quale esse volgono il lato coperto di polline e col quale hanno la stessa altezza, sporgono alquanto dal fiore, mentre quelle degli stami più corti, ma con le antere già aperte, sono nascoste nel fiore. In un secondo stadio fiorale tutti i filamenti sono allun- gati, cosicchè le antere degli stami lunghi sovrastano lo stimma ed inclinano sopra di esso, mentre quelle degli stami corti rag- giungono il livello dello stimma, tenendosene alquanto distanti. A questo doppio stadio fiorale accennano Knuth e A vebury che ne riporta la figura, mentre Miiller, Kirchner e Mac Leod riferiscono semplicemente che le antere degli stami più lunghi e quelle dei più corti si trovano, rispettivamente, più alte e più basse dello stimma. I fiori sono omogami e per le disposizioni descritte adattati all’eteroimpollinazione ed all’autoimpollinazione. Questa è frequen- temente spontanea, essendo i fiori per la loro meschinità scarsa- mente visitati da gl’insetti, e secondo Comes (l. cit.) fertile. Miiller riporta i seguenti visitatori: Anthomyia - sp., Ascia poda- grica F., numerosa, Apiîs mellifica L., Anthrena dorsata K., Hulic- tus morio L. 9; Pieris rapae L., Pieris napi L. Knuth osservò Pieris brassicae L. e P. napi L. Alfken presso Brema: Prosopis communis Nyl. % Eriades nigri- cornis Nyl. 9. Schletterer presso Pola: Anthrena florea F., Halictus calceatus Scop. e Pemphredon unicolor F., molto frequente. Mac Leod nelle Fiandre: Coelioxys conica L. 0, Halictus Sme- athmanellus K. ®; Syritta pipiens L., Platycheirus scutatus Meig., Ascia podagrica F.; Siphona geniculata Deg. Scott-Elliot (Fl. p. 14) nel Dumfriesshire: un muscide ed un sirfide. A Penne (Teramo) io osservai su i fiori di questa specie /ierzs napi L. | S. Sophia L. [Kirchner, Beitr. p. 20; Mac Leod, Bevr. p. 382; Knuth, NAfr. Ins. p. 26]-I petali sono gialli, più corti dei sepali giallo-verdastri, e quantunque le infiorescenze sieno ricche sono tuttavia poco appariscenti e pel colore dei fiori e per il loro dia- metro di soli 3. mm. Secondo Knuth stami e stimma si sviluppano sessualmente nello stesso tempo e in quanto alla loro reciproca posizione si compor- tano come nella specie precedente, con la quale S. Sophia concorda. anche nella posizione dei nettarii. i i re Secondo Kirchner, per esemplari esaminati a Zermatt, nei fiori, pure omogami, al principio della fioritura lo stimma si trova allo stesso livello delle antere degli stami corti, ma più tardi raggiunge l'altezza di quelle degli stami lunghi. Tutte le antere hanno dei- scenza introrsa e rimangono sino alla fine con i lati coperti di polline rivolti verso il pistillo; l’autoimpollinazione è perciò ine- vitabile. Tuttavia la secrezione nettarea accenna anche ad un intervento degl’insetti i quali insieme con l’autoimpollinazione possono pro- vocare pure l’eteroimpollinazione. Kirchner e Knuth segnalano 4 nettarii (2 lateralmente alle basi di ogni filamento breve), ma dalla figura datane da Velenovsky (1. cit.) si rileva che un solo nettario irregolare occupi tutto il fondo del fiore. Secondo Villani (Malp. XTX) si hanno due nettarii che circon- dano l’inserzione dei filamenti corti, congiunti mediante sottili bandellette nettarifere che contornano l’inserzione esterna della coppia degli stami lunghi, presentando tra questi un ingrossamento. Kerner (p. 805) riporta i fiori come proterogini per poche (2-5) ore. Insetti visitatori: Knuth nell'isola Féòhr osservò Anthomyia - sp. 9, Sepsis - sp., Themira minor Hal. e Syritta pipiens; von Fri- cken in Vestfalia e nella Prussia orientale notò Colaphus sophiae Schall.; Schiner nell’ Austria Thereva anilis L. e Redtenbacher presso Vienna ancora Colaphus sophiae Schall. (da Knuth. II, 1, p. 96). S. acutangulum DC. (= S. austriacum, acutangulum Koch.). — Fiori gialli a nettare parzialmente nascosto. Mac Leod (Pyreneeènbl. p. 117) nei Pirenei osservò i seguenti visitatori: Andrena flessae Panz, 9 Halictus morio F. ST, H. cylin- dricus F. 9 H. Smeathmanellus K. 9, Allantus arcuatus Forst. 9 ta gl’imenotteri; Butalis (bicuspidella?), tra i lepidotteri; Lacon mu- rinus L., Trichodes alvearius F., Cantharis fusca L., tra i coleot- teri; Eristalis tenax L., E. alpinus Panz., C'hrysotorum intermedium Meig., Cheilosia sparsa Lòw., Syrphus - sp., Melithreptus dispar Lòw., Myopa stigma Meig., tra i ditteri emitropi; Bibio hortulanus L., Empis testacea F., E. tessellata F., Zophomyia temula Scop., Unesia sepulcralis L., Pollenia vespillo F., Anthomyia antiqua Meig., A. se- pia Meig., Hylemya cinerella Meig., Limnophora compuncta Weid. d. S. pinnatifidum DC. — Fiori bianchi, piccoli, a nettare parzia]- mente nascosto. Mac Leod, nei Pirenei (l. c.), osservava Malictus rubicundus Christ. 9. GT. ite n ui reo = epgeste S. supinum L. — I due nettarii, ognuno dei quali circonda la base dei corti stami, conerescono tra loro mediante prolungamenti nettariferi che da essi sì portano esternamente agli stami lunghi. In S. dentatum All. le bandellette nettarifere che congiungono i due nettarii che a guisa di anello contornano i filamenti brevi, presentano un ingrossamento alla base esterna e tra gli stami lun- ghi. Lo stesso fenomeno si riscontra nel S. fararacifolium DC., nel S. Lòselii L. e nel S. strictissimum L. (Villani, Malp. XIX). S. austriacum Jacq. — Nel Giardino botanico di Berlino Loew osservò: Eristalis arbustorum L., E. nemorum L., Pipiza festiva Mg., Syritta pipiens L., Syrphus albostriatus Fall.; Anthrena dorsata K. ®, A. nitida Fourc. ®, A. propinqua Schenck ®, A. tibialis K. 9, Apis mellifica IL. $, Melecta armata Pz. 2, O. fulviventris Pz. ST (da Knuth, Msi p96). S. orientale L. (= S. Columnae Jacq.).. — Presso Fiume (F.), Trieste (T.) ed in Ungheria (U.) Friese osservò a visitare i fiori di questa specie i seguenti apidi: Anthrena carbonaria L. (F.), A. de- corata Sm. (U.), A. Aypopolia Pér. (U., F.), A. “mbata Ev. (U.), A. Morio Brullé (F., U.), A. nobilis Mor. £ gd (U.), A. scita Ev. (U.), A. sisymbrii Friese (F.), A. suerinensis Friese (U.), A. tibialis K. (U.), Nomada chrysopyga Mor. (U.), Osmia bisulca Gerst. (F., U.), O. fu2- viventris Pz., O. Panzeri Mor. (F., U., O. solskyi Mor. (F.). — (da Knuth, II, 1, p. 96). S. strictissimum L. — Petali gialli. Nel Giardino botanico di Berlino Loew osservava Apîs mellifica L. a succiar nettare (da KnutAà, II, 1, p. 96). S. novae zealandiae Hook. f., secondo Thomson (N. Zeal. FI. PI.) è autogama — come probabilmente le altre specie della Nuova Ze- landa -- mancando le visite degl’insetti. Gen. Erucaria Girtn. Petali violetti. Calice chiuso, più o meno gibboso. Nettarii quattro, uno tra ciascuno stame breve e l’ovario, uno alla base e tra cia- scuna coppia di stami lunghi (Villani, Malp., XIX). L’Eruc. aleppica Girtn., coltivata nei giardini botanici, presenta i quattro stami più lunghi saldati due a due per i filamenti, con le antere libere. Gen. Cakile Gàrtn. Fiori discretamente grandi, d’un violetto chiaro o quasi bianchi, omogami, a nettare nascosto. Nettarii 4. C. maritima Scop. [Mac Leod, Bot. Jaarboek, I, 1889; Knuth, Ndfr. Ins., p.31, 149; Weit. Beob., p. 231; Helgol.; Verkoe/f, BI. u. Ins., p. 138; Avedury, Br. FI. PI., p.89].— I fiori violetti o bianchi LINO Ger È emanano un grato profumo e presentano quattro nettaril, due mag- giori, triangolari, sul lato esterno fra ogni coppia di stami lunghi e due più piccoli bilobi, su la faccia interna ed alla base degli stami più corti. I sepali sono perfettamente uniti e si mantengono nella loro posizione verticale fino alla formazione del frutto. Formano così un tubo lungo 4 mm. nel quale si raccoglie il nettare, spesso in tale quantità da esserne ripieno fin quasi a metà (AnutA). Verhoeff però scrive che i sepali non funzionano da serbatoi del nettare, che si raccoglie su la linguetta che fa da nettario e fra i filamenti degli stami più lunghi. Anche Villani (Malp., XIX) parla di nettarii linguiformi alla base e tra gli stami lunghi, presentantisi come cuscinetti quelli fra gli stami brevi. I fiori sono omogami (Henslow li riporta come proterandri) e le antere degli stami lunghi sporgono dalla corolla, cosicchè è pos- sibile l’autoimpollinazione spontanea per la caduta del polline su lo stimma, incluso nell’ ingresso fiorale. Le antere degli stami corti rimangono incluse nel fiore e raggiungono il livello dello stimma (Mac Leod, Knuth). Ma la probabilità dell’eteroimpollinazione mediante gl’insetti è tanto grande quanto quella per l’autoimpollinazione. Gl' insetti che vengono a succiare il nettare cacciano il capo o la tromba (secondo Mac Leod, per lo sfruttamento del nettare è necessaria una tromba di 4-6 mm.), come in tutti i fiori delle Crocifere, fra lo stimma e le antere, quindi si ricoprono di polline un solo lato della tromba o del capo, nel caso essi circolino nel fiore. Se gl’ in- setti in un fiore precedentemente visitato hanno sporcato di polline anche l’altro lato, ne depositano sopra lo stimma. Se introducono il capo a destra o a sinistra nel fiore, ne segue l’autoimpollina- zione. Ma dopo la visita di parecchi fiori tutti e due i lati di un insetto saranno sporchi di polline ed ogni nuova visita provocherà eteroimpollinazione (Anuth). Presso Kiel e nelle isole al nord della Frisia Knuth osservò i seguenti visitatori: Meligethes; Aricia albolineata Fall., Musca do- mestica L., Onesia sepulcralis Mg., Scatophaga merdaria F., S. ster- coraria, tra i muscidi, tutti a mangiar polline; £. arbustorum L., E. pertinax Scop., E.— sp.; E. tenax L., Platicheyrus podagrata L., Rhingia campestris Mg., Syrphus arcuatus Fall., S. umbellatarum F., Tropidia milesiformis Fall., tra i sirfidi, tutti a succiar nettare e a mangiar polline; Apis mellifica L., Bombus lapidarius L., Halictus calceatus Scop., tra gli apidi; Plusia gamma L., Epinephele janira L., a ci a a ge PO 7° ” pl I n Se PR pi Le nrsarà ara Ae CI re TTI C+ pdl ci a e i ca e ii da le; di CSM) E Hipparchia hyperanthus L., Pieris napì L., P. rapae L., Vanessa ur- ticae T.., Zygaena filipendulae L., tra i lepidotteri, tutti a succiar nettare. | Ad Helgoland (dove mancano le api) lo stesso Knuth osservò 3 coleotteri, 4 sirfidi, un muscide e Plusia gamma. Imenotteri, ditteri e lepidotteri osservarono Alfken e Leege a Juist; Verhoeff nell'isola Norderney osservò coleotteri e ditteri ; Mac Leod presso Blankenberghe una piccola farfalla notturna; Scott-Elliot nel Dumfriesshire un muscide e Meligethes (Knuth, IL 1, p. 126-127). C. americana Nutt. (= C. marîtima Scop.) secondo Meehan (Life- Hist. VIII) è autogama. C. maritima Scop. var. latifolia (Poir.) a Kvalbò nelle Farder, secondo Warming (Field- Notes, p. 1057) ha un delizioso profumo che ricorda quello della vaniglia. Le antere degli stami lunghi gi- rano lateralmente verso gli stami corti nel primo stadio fiorale; esse sono tutte al disopra dello stimma, quindi l’autoimpollinazione spontanea può facilmente avvenire. Ordinariamente tutti i fiori producono frutti. Gen. Myagrum Tourn. Fiori piccoli, gialli, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4, dei quali due sviluppati e due sono rudimentali. M. perfoliatum L. — Secondo Kirchner (FI., p. 318) i piccoli fiori di questa specie posseggono due nettarii molto sviluppati sul lato interno delle basi degli stami brevi, mentre quelli pertinenti agli stami più lunghi sono debolmente accennati da sottili strisce verdastre, come già aveva scritto Hildebrand (Saftdr. Crucif.). Secondo Villani (Malpighia, XIX) i nettarii sono sei, inseriti esternamente ciascuno tra uno stame e l’ altro. L’autoimpollinazione è coronata da successo (Kirchner) e come omoclina la cita Comes. Schletterer presso Pola osservò îì seguenti apidi: Anthrena car- bonaria L., A. deceptoria Schmiedekn., A. flavipes Pz., A. lucens Jmh., A. morio Brull., A. parvula K., Halictus levigatus K., H. qua- dricinctus F., H. scabiosae Rossi (da Knuth, IX, 1, p. 125). Gen. Goldbachia DC. Nel numero e nella posizione dei nettarii, secondo Villani (Malp., XIX), concorda col gen. Erucaria Gàrtn. Fiori d’un rosa pallido. Gen. Calepina Adans. C'. Corvini (A11.) Desv.— Nei fiori bianchi si hanno quattronettarii, per posizione analoghi a quelli di Biscutella" (Villani, Malp., XIX). LENTO E La fecondazione è diretta, elevandosi le antere allo stesso li- vello dello stimma (Vaucker, I, p. 270). Gen. Isatis L. Fiori piccoli, gialli, omogami a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 6. I. tinctoria L. — [Hild., Saftdr. Crucif.; Kirchner, FI. v. St., p. 312; Knuth, Bjidr.]- Malgrado le meschine dimensioni dei sim- goli fiori, le infiorescenze nel loro insieme sono molto vistose. I nettarii sono sei, inseriti ad ugual distanza fra le basi dei sei stami. (Hil/debr., Kirchner, Villani). Questi all’aprirsi del fiore si piegano in fuori in modo da rimaner lontani dallo stimma, e le antere volgono quasi orizzontalmente in alto il lato deiscente. Gl’insetti perciò provocano a preferenza l’ eteroimpollinazione (Hildebr., Kirchner). Knuth, in esemplari da giardino, osservava presso Kiel i se- guenti insetti visitatori: Syritta pipiens L., Andrena parvula K.%, Apis mellifica L. $, Meligethes. Loew, nel Giardino botanico di Berlino: Cantharis rusticus Fall., Bibio hortulanus T., Eristalis nemorum li. (da Knuth, IL, 1, p. 125). Gen. Succowia Med. S. balearica (L.) Med., unica specie, a fiori gialli, presenta pure quattro nettarii analoghi per posizione a quelli di Calepina e Bi- scutella (Villani, Malp. XIX). Secondo Hildebrand questa specie è autofertile (1896, p. 327). Gen. Vella L. Fiori gialli. V. spinosa Boiss. ha due grossi nettarii poliedrici, concavi su- periormente, ognuno situato alla base e tra ciascun filamento breve e l’ovario ( Villani, 1910). Gen. Zilla Forsk. Z. myagroides Forsk., pianta del deserto, fu osservata ad Heluan dal Fisch e descritta e figurata nelle sue « Beitr. zur Blutenbiolo- gie » (p. 25-27, Tav. III, fig. 9). I fiori porporini che si mostrano a primavera, hanno petali relativamente grandi, più intensamente colorati su la faccia interna che su l’esterna, cuneiformi, dapprima rosei e poscia d’un rosso carminio. Una nervatura rosso-cupa at- traversa tutta la lamina del petalo e funge da nettarindice. Il tubo formato da le unghie dei petali raggiunge 6-7 mm. di lunghezza ed il diametro dei fiori aperti misura 15-33 mm., essendo questo maggiore nei fiori più vecchi che nei giovani. I fiori più vecchi sono inoltre colorati più intensamente di quelli giovani, © quindi anche per questo riguardo più appariscenti. E la ragione id ATO Li xi fe = NEO I SAI I mie ‘ALA (I SE e SUR RELITTI Pi. scia PELA AIRIS RL NR TAO SE VISO LEVE TOVRA RN ONTA RIDI IRA ENEA CRT AI SIAE i del fatto — che si avvera anche in altre piante — è molto semplice. Se cioè i fiori prima di appassire non sono stati impollinati, essi rinforzando i loro mezzi di richiamo presentano un’appariscenza favorevole ad attirare ancora le visite degl’insetti, riuscendo così a rimuovere la concorrenza dei fiori più giovani che per lungo tempo ancora possono aspettare di essere impollinati. Ad ogni modo, per una pianta come Zilla myagroides, la quale produce spesso gran quantità di fiori, la cosa è di molta importanza. Le antere degli stami più lunghi sovrastano lo stimma, quelle degli stami corti stanno con esso quasi allo stesso livello. Alla base dei filamenti corti, sul lato interno, si trovano due nettarii a se- crezione copiosa, mentre quelli situati fra le basi dei filamenti più lunghi hanno nulla o scarsa produzione di nettare. Le papille stimmatiche si sviluppano già nel fiore in boccio, mentre in questo stadio le antere sono ancora chiuse, si ha quindi proteroginia, quantunque la deiscenza delle antere cominci quando i fiori si schiudono. Per la posizione reciproca delle antere e dello stimma l’auto- gamia è inevitabile, ma anche l’eteroimpollinazione è senza dubbio favorita. Come visitatori Fisch osservò 8 apidi a lunga tromba, un lepi- dottero diurno; uno sfingide ed un sirfide (?); 3 vespidi ed un mu- scide, i quali ultimi quattro non giungevano al nettare. Inoltre notò anche un coleottero ed una formica che leccava i nettarii. Durante il tempo cattivo e la notte i fiori rimangono aperti. Secondo la classificazione di Miiller i fiori di Z. myagroides ap- partengono al gruppo 5. Gen. Eruca DC. Fiori giallicci, grandi, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4. E. sativa Lam. possiede fiori giallo-pallidi, i cui petali ornati di venature giallo-brune si espandono in una croce, il cui diametro raggiunge i 25 mm. (Kirchner, Beitr., p. 2L: esemplari di Varen nel Vallese). Il calice è verticale e misura 10 mm. di altezza. I fiori sono omogami, e dei quattro nettarii i due più grandi, sul lato interno delle basi dei filamenti corti, producono nettareabbondante, mentre gli altri due, più piccoli, situati fra le basi di ciascuna coppia di filamenti lunghi, non hanno alcuna secrezione. Le antere hanno deiscenza introrsa e sono così strette allo stimma che l’autoimpollinazione spontanea è inevitabile; più tardi allonta- nandosi dallo stimma per il loro ripiegarsi in dietro, lasciano libero cl 1; fg agl’insetti l’accesso al nettare e l’eteroimpollinazione viene favorita (Hildebr., Saftdr. Crucif.; Kirchner, 1. c.). A Penne (Teramo) in esemplari coltivati io osservai su i fiori Apis, Eristalis-sp. Savastano (1883) include questa specie, che fiorisce quasi per tutto l’anno, tra le piante apistiche. Vaucher (I, p. 265) ha paragonato l'odore dei fiori di E. sativa a quello dei fiori d’arancio. Gen. Sinapis Tourn. Fiori gialli o debolmente proterogini. In alcune specie i sepali sono verticalmente spiegati ed il nettare è esposto; in altre specie è completamente nascosto. Nettarii 4. S. arvensis L. |Miller, Befr., p. 140, Weit. Beob., II, p. 204; Knuth, Ndfr. Ins., p. 28, 149; Kérchner, Fl., p. 299; Kerner, II, p. 842]-I numerosi fiori d’un giallo-oro sono così fitti che per gli insetti visitatori riesce più comodo succiare il nettare cacciando la ‘tromba fra gli stami, che con l’introdurla fra i sepali, giacchè i net- tarii — due alla base degli stami brevi, e due situati fra l’uno e l’al- tro degli stami lunghi — sono visibili ed accessibili da l’esterno. In principio gli stami più lunghi volgono in fuori ed in alto i lati delle antere coperte di polline disponendosi così favorevolmente per l’incrociamento, ma più tardi le antere con la faccia coperta di polline sono girate in dentro ein basso, cosicchè il polline, qua- lora non fosse stato asportato da gl’insetti, cade su lo stimma giunto alla loro altezza e l’autoimpollinazione avviene spontanea (Muller, Kirchner, Knuth). Secondo Kerner i fiori sono proterogini: quando la gemma fiorale si apre, le antere sono piegate in dentro ed an- cora chiuse, ma lo stimma, che sovrasta un po’ le antere, è già atto all’impollinazione. In questo. primo stadio del fiore lo stimma può ricevere solo il polline trasportato da gl’insetti. Ma nel giorno dopo 1 filamenti degli stami maggiori si sono allungati e piegati lieve- mente verso l’esterno e le antere sono più alte dello stimma. In questa fase del fiore, avendo le antere volto all’esterno il lato co- perto di polline, questo è scoperto ed a disposizione degl’insetti, nè lo stimma può riceverne per loro mezzo, trovandosi sotto la cu- pola formata dalle antere. Ma al terzo giorno i filamenti sono eretti e le antere vengono a trovarsi più vicine che mai allo stimma, e l’o- vario che si è allungato ha spinto lo stimma fra le antere coperte su tutti i lati di polline e l’autogamia è assicurata (loc. cit., p. 841). Eggers (cit. da Hansgirg) osservò fiori pseudocleistogami. Jordan (Sfellung, ecc., p. 13) negli esemplari da lui esaminati trovò che solo i nettarii situati innanzi agli stami brevi producono Cis Ae ale tare A reti pet iran) die ii cu: o ina . à î " $ ana cile t rei 2 Y v | una grossa goccia di nettare, mentre negli altri due spesso non si ; osserva produzione alcuna, il che può accennare ad una sterilità che comincia o già cominciata da parte di tali nettarii. Miiller (Befr., p. 140) elenca i seguenti insetti visitatori: Zri- stalis aeneus Pz., E. arbustorum L., Ihingia rostrata L.; Cephus spi- nipes Pz., Halictus leucozonius Schrk. 2, Andrena nana L. d, Apis mellifica L. £, frequentissima; Coccinella septempunctata; Euclidia glyphica L. In « Weit. Beob. » nota: Dalmannia punctata F., Myopa buccata L., Empis - sp., Lucilia - sp., Scatophaga merdaria F. Sc. ster- coraria L., Chrysogaster Macquarti Loew, Eristalis pertinax Scop., E. arbustorum L., E. sepulcralis, Syritta pipiens L.; Halictus sexno- tatus K. 9, H. sexsignatus Schenck £, H. malachurus K. ®, H. leuco- zonius K.9, Andrena cingulata F. T, A. albicrus K. T, A. dorsata K. 2, Bombus lapidarius L. 9, Apis mellifica L. $, Chelostoma ni- gricorne Nyl. T, Nomada pallescens H. Sch. ®, Prosopis confusa Nyl. 2, P. armillata Nyl. 2; Strangalia nigra L., Leptura livida F., Phyllo- pertha horticola, Meligethes ; Euclidia glyphica L. (lungh.della tromba ( mm.); Strachia ornata. Ì Knuth nelle isole al nord della Frisia (N) ad Helgoland (H) e nell’isola Rugen (R.) osservava: Apis mellifica L. (N., R.), Bombus terrestris L. £, Anthrena carbonaria L. £., Halictus rubicundus Chr, £, tutti e tre a Rugen; Pieris rapae L. (N.), P. napi L. (N.), Vanessa Atalanta L. (R.), V. urticae L. (R.), Pierîs sp. (R.); Eristalis tenax L. (N., H. R.), E. anthophorinus Zett. T (R.), E. arbustorum L. I (R.), E. pertinax L. (R.), E. sepulcralis L. (R.), Syrphus umbellatarum F. (N.), S. ribesiù L., S. pyrastri L., Helophilus floreus L., Chrysops coecutiens L. DT, tutti a Rugen, Calliphora vomitoria L. (H.), Meli- gethes sp. (N.). i Alfken presso Brema osservava gli apidi: Anthrena albicans Miill. 9, A. carbonaria L. 9, A. denticulata K. 9, A. flavipes Pz. 2, Eriades florisomnis L. 9. In Olanda Heinsius (Waarn., ecc.) osservava Apis mellifica L. $, Bombus hortorum L. %, B. lapidarius L. £, Anthophora pilipes F. 9, Andrena pilipes F. ®; Pieris brasicae L. £; Eristalis horticola Deg. %, E. arbustorum L. 2, e De Vries (Bestuiv.) Apis mellifica L. £. Mac Leod (Bevr., p. 389) nelle Fiandre osservò: Wkingia-sp., Eristalis tenax ed Eristalis-sp., Syritta pipiens, Syrphus balteatus, piccoli muscidi e Pieris drassicae. Schletterer presso Pola: la vespa Arge cyanocrocea Forst. Poppius in Finlandia: Scaeva-sp. Macchiati (Catal.) elenca: Euclidia glyphica L., Phyllopertha hor- F. ticola L., un Halictus, qualche Andrena, Nomada solidaginis Panz., Y Scatophaga, Eristalis tenax, E. arbustorum ed una Lucilia. ET I A PA Re i PAM | See AL N “ È cà RO x RR RIE I ASTE n Nalle mie note trovo: Eristalis-sp., Halictus e Apis, osservati a Rivarolo Mantovano (1909). Secondo Eggers (Bot. Centrbl. VILI, 1881, p. 57-58) S. arvensis in alcune isole delle Indie Occidentali, come a San Tommaso, in località aride presenta fiori cleistogami (xerocleistogamia). S. alba L. [ Kirchner, Beitr., p. 21-22]. — I fiori emanano un grato odore di vaniglia. I petali sono d’un giallo-oro ed il diametro fiorale raggiunge i 15 mm. I sepali stanno orizzontali. Lo stimma sovrasta la corolla di 2-3 mm., circondato allo stesso livello da le antere degli stami più lunghi; tuttavia non avviene l’impollinazione spon- tanea perchè, come già Hildebrand aveva osservato (Saftdr. Crucif.) le antere hanno rivolto in fuori il lato deiscente. Le antere dei due stami corti stanno 3-4 nim. più basse e volgono verso l’interno del fiore i lati coperti di polline. Dei quattro nettarii, a ricca produzione nettarea, due sono in- ternamente alla base degli stami corti e due esternamente fra le basi delle due coppie di stami lunghi (H#/d., Kirchner). Knuth, in esemplari coltivati, presso Kiel osservava Apis mel- lifica a succiar nettare ed Eristalis tenax L. a mangiar polline. Hildebrand (1905) ha osservato che quando molti individui di questa specie sono fra loro vicini, ogni fiore produce la siliqua, men- tre in un individuo a ricca fioritura, ma isolato, constatò che moltis- simi fiori erano già caduti e solo pochissimi avevano dato il frutto. Gen. Diplotaxis. Fiori gialli o bianchi, discretamente grandi, odorosi, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4. D. tenuifolia DC. [MacLeod, Bot. Centrbl. XXIX, 1887; Bevr., p. 383; Kirchner, FI., p. 301; Schulz, Beitr., II, p. 15; Avebury, Br. FI. PI., p. 84]. — I fiori grandi, gialli, odorosi, esaminati presso Duinkerke-am-See, nel Belgio, da Mac Leod, sono omogami. Delle quattro glandole nettarifere, le maggiori, situate sul lato esterno di ciascuna coppia degli stami lunghi, non hanno alcuna secrezione nettarea e, a motivo della posizione orizzontalmente spiegata dei due sepali ad esse opposti, sono visibili da l’esterno. Gli altri due nettarii, più piccoli, posti alla base dei filamenti corti, producono nettare e sono aderenti all’unghia dei petali e i due sepali ad essi opposti sono verticali. All’appassire dei fiori l’autogamia è assicu- rata per il contatto dello stimma e delle antere. Le antere degli stami corti sono con il lato coperto di polline rivolte verso l'interno, quelle degli stami più lunghi, a livello dello stimma, sono rivolte verso quelle dei più corti. Gl’insetti visitatori effettuano principalmente l’eteroimpollinazione. ai aac A Me n AO ACER È SR N SEN SE INA DEE «E va “ vw x a PERE TI I ATI ei ri, va Ò PIVOLI MESSIA TR Secondo Schulz (1. cit.) col tempo torbido e di notte le antere sono meno lontane dallo stimma che nei giorni soleggiati e così vien facilitata l’autoimpollinazione. Secondo Kerner (p. 209) i fiori si aprono (in settembre) fra le 8-9 del mattino e si chiudono fra le 4-5 pom. Miller (A/penbdl., p. 150) riporta i seguenti visitatori : Anthomyia - sp. e Aricia - sp., tra i muscidi; Malictus morio e H. nitidiusculus ®. tra gli apidi e Lycaena Damon. Mac Leod (Bevr.): Eristalis tenax ed E. intricatus, una piccola farfalla notturna. Kirchner: ÉEristalis. Schulz scrive che i fiori, molto appariscenti dal giallo lucente dei petali, sono visitati da numerosi ditteri e piccole farfalle, e con minor frequenza da imenotteri e coleotteri. Anche Savastano (1883), pure includendo questa specie tra le piante apistiche del Napoletano, la dice visitata molto raramente dalle api. D. muralis DC. [ Kirchner, Beitr., p. 23; Mac Leod, Bevr.] nel colore dei fiori e nelle disposizioni fiorali concorda con la specie precedente; in questa, però, tutti e quattro i nettarii producono nettare. All’aprirsi del fiore le antere sono già aperte e lo stimma è sviluppato. In principio esso si trova alquanto più basso o allo stesso livello delle antere degli stami più lunghi. Quantunque queste antere volgano all’esterno il lato della deiscenza, sono tuttavia co- perte tutt’all’intorno di polline, cosicchè l’autoimpollinazione spon- tanea è inevitabile anche perchè sono molto vicine allo stimma. Ad espansione fiorale completa lo stimma sovrasta un poco le antere degli stami più lunghi; cosicchè con le visite degl’insetti è favo- rita l’eteroimpollinazione. Le antere degli stami corti sono rivolte all’interno e si trovano più basse di 3 mm. di quelle degli stami lunghi. Mac Leod nelle Fiandre osservò visitatori Apis, Halictus, He- lophilus, Eristalis tenax, molto numeroso, E. arbustorum, numeroso, un piccolo sirfide, due microditteri, Pieris napi. D. erucoides DC. ha fiori bianchi. All’aprirsi del fiore i quattro stami più lunghi sono quasi a contatto col pistillo, che superano per circa metà di lunghezza delle antere, deiscenti dal lato opposto allo stimma, cioè in fuori. Più tardi l'estremità superiore delle quattro antere sì curva in dentro verso lo stimma, in modo che il polline può facilmente cadere su di esso, anche pei movimenti delle infiorescenze causati dai venti e provocare l’autoimpollinazione. I fiori durano due giorni ed al terzo cominciano ad appassire. DSCRZO L’autogamia è fertilissima; quasi tutti i fiori abboniscono la sili- qua. Pronubi più frequenti, a Trapani, sono le api (Ponzo, I, 1905). Comes (Ult. St., 1879) aveva pure riferito su l’autofertilità di questa specie. D. viminea DC. — In questa specie l’autogamia, secondo Ponzo (1. cit.), è la più comune, se non la propria, data la piccolezza e la fugacità dei fiori. Inoltre i quattro stami più lunghi hanno le an- tere allo stesso livello dello stimma, col quale sono a contatto, e deiscono dal lato che lo guarda, per cui inevitabilmente il polline vi cade sopra. L’autogamia è poi fertilissima. D. versicolor che, secondo Béguinot, costituisce una buona specie della flora italiana e ricorda nel portamento D. muralis e D. vi- minea, è una delle poche Diplotaxis nostrane che presentino nei fiori un cangiamento di colore. Bianchi sul fresco, tendono, col disseccarsi, a diventare bianco-violacei. Questo cangiamento di co- lore, abbastanza diffuso nelle specie del gen. Diplotaxis, è anzi ca- ratteristico di molte Diplotaris a fiore giallo, le quali assumono un colorito biancastro in seguito alla disseccazione, come ad esempio avviene in D. virgata DC., D. catholica DO., D. tenuisiliqua Del., D. trifolia Kunze, ecc., specie estranee alla flora italiana. Nelle nostre specie questo fatto è eccezionale; è avvertibile soltanto uno scoloramento negli individui a fiori violacei e carnicini di D. eru- coides e in quelli di D. apula Ten. (Béquinot). D. Harra Boiss. (Fisch, Beitr. p. 29) esaminata dal Fisch ad Heluan possiede fiori gialli il cui diametro raggiunge 10-18 mm. ed il tubo formato dalle unghie dei petali misura 4 1/2 - 6 mm. Gli stami sono introrsi nel fiore in boccio: i più lunghi, però, ese- guono movimenti di torsione fino all’espansione fiorale in modo da assumere una posizione quasi estrorsa, mentre i più corti riman- gono introrsi. I più lunghi stanno con le anfere allo stesso livello dello stimma, i più corti più in basso rispetto ad esso. Dei quattro nettarii producono nettare soltanto i due situati alla base interna degli stami più corti, mentre quelli al lato esterno dei filamenti più lunghi dànno scarsa produzione nettarea e sono poco o affatto coperti dal perianzio, dal quale sono invece protetti i nettarii in funzione. I fiori sono debolmente proterogini, tuttavia l’autogamia non è possibile che alla fine della fioritura, ed anche allora non senza eccezione. Poichè il nettare in alcuni casi è completamente nascosto ed in altri lo è solo in parte, i fiori potrebbero essere ascritti alla EI ISTE GA Ae NEONATI I e TIA (I bin Ù — a ala 4 fl prc classe AB o alla classe B del Miiller, o occupare un posto inter- medio fra i due gruppi. Durante il tempo cattivo e nella notte i fiori si chiudono al- quanto, ma non così completamente come in altre specie. Di giorno emanano un odore acuto ma grato, analogo a quello di Sinapis ar- vensis e di altre Crocifere. Di insetti visitatori, 1 quali sì servono della corolla come po- satoio, Fisch osservò 2 api a breve tromba, raccoglienti polline, un sirfide, un muscide e due specie di coleotteri. Gen. Erucastrum Schimp. et Spenn. Fiori giallastri, di rado bianchi, omogami o debolmente prote- rogini, a nettare liberamente esposto. Nettarii 4. E. obtusangulum Rchb. | Kirchner, Beitr., p. 22]. — In esemplari di Zermatt Kirchner trovò il diametro dei fiori, dai petali d’un giallo-oro, di circa 12 mm. Le antere che prima di aprirsi mostrano un punto rosso-cupo ai loro apici, volgono i lati deiscenti verso l'interno, ma sono tutte — quelle dei più corti più ancora delle altre quattro — lontane dallo stimma contemporaneamente svilup- pato, sicchè l’autoimpollinazione spontanea, per la posizione verti- cale dei fiori, di regola non avviene. Le antere degli stami lunghi si trovano con le loro estremità inferiori allo stesso livello con lo stimma, quelle degli stami corti sono alquanto più basse. Nel fondo del fiore si trovano quattro nettarii d’un verde cupo; due larghi e piatti, internamente, alla base dei filamenti corti e due strobiliformi, eretti in alto e sporgenti in fuori fra le unghie dei petali, fra le basi delle coppie di stami lunghi (Velenovsky, l. c.). Il nettare, secreto agli apici dei nettarii, potrebbe facilmente es- sere raggiunto dall’esterno, se non fosse più comodo per gl’ insetti impadronirsene dall’alto, come fu detto per S. arvensis. Mac Leod nei Pirenei (sub Diplotaris Erucastrum Gren. et Godr., p. 117) os- servò quali visitatori dei fiori 6 imenotteri: Psithyrus vestalis Fourer. ®, Andrena cineraria L. 9, A. trimmerana K. ®, I, Halictus micans Schmiedek. 9, H. cylindricus F.®, H. leucozonius F. 2; 6 far- falle: Pieris rapae, P. napi var. Napeae, Anthocharis Belia var. Sim- plonia, A. cardamines, Nemeobius Lucina L., Erebia Stygne, nume- rosa; un coleottero: Zonabris (Mylabris) flexuosa Oliv.; 7 ditteri : Eristalis tenax L., E. arbustorum L., Merodon equestris F., Syrphus excisus Zett., Chrysotorum festivum L., Bombylius fugax Wied., An- thomyia buccata Fall. E. arabicum Fisch. et Mey., E. Pollichii Schimp. et Spenn. — I nettarii sono quattro; i car-- Alt pidiali hanno forma di cuscinetti poliedrici, ed i placentarii sono cilindrici, eretti ed alquanto acuminati all'estremità. Nell’ E. varium Dur. i carpidiali sono bilobi ed a volte divisi in forma di due piccoli mammelloni (Villani, Malp., XIX). Gen. Brassica L. Fiori gialli, omogami o debolmente proterogini, per lo più riu- niti in grandi infiorescenze, a nettare parzialmente nascosto. Net- tarii quattro, dei quali due alle basi interne dei due filamenti corti e due fra le basi di ciascuna coppia di stami lunghi. B. oleracea L. [Miiller, Befr., p. 139; Knuth, Ndfr. Ins., p. 27; Kirchner, Fl. v. St., p. 296; Mac Leod, Bevr., p. 385; Avebury, Br. Fl. PI. p. 82]. — Le descrizioni circa i nettarii e le disposizioni fiorali per l’impollinazione date da Knuth, Kirchner e Mac Leod concordano con quella di Miiller. I fiori d’un giallo chiaro, aperti secondo Kerner (l. cit., p. 209- 210) dalle 8-9 am. fino alle 8-9 di sera (settembre), posseggono 4 nettarii disposti nel modo che si è detto. Le gocce nettaree pro- dotte dai due nettarii alla base dei filamenti corti si raccolgono fra V’ovario, lo stame corto analogo e i due stami lunghi limitrofi, ed il nettare degli altri due nettarii si raccoglie al lato esterno e fra la base delle due coppie di stami lunghi, molto avvicinati fra loro, ed ingrossano, secondo Miiller, talvolta fino a venire in con- tatto col sepalo sottostante. I due stami corti, ordinariamente più in basso, qualche volta allo stesso livello con lo stimma, si piegano in fuori, ma il lato coperto di polline è rivolto verso l'interno. I quattro stami lunghi non si allontanano dal centro del fiore, ma compiono un quarto di giro o mezzo giro intorno al loro asse, cosicchè il lato delle loro antere coperto di polline è rivolto verso gli stami corti od anche verso l’esterno. Gl’ insetti i quali succhiano il nettare alla base dei filamenti corti provocano nella massima parte dei casì incrociamenti. Man- cando le visite degl’insetti l’autoimpollinazione spontanea accade per la curvatura dell’estremità superiore degli stami lunghi, che determina così il contatto delle antere con lo stimma. Secondo Jordan (1886, p. 13) la produzione nettarea ha luogo soltanto da parte dei nettarii situati innanzi agli stami corti, gli altri due invece, linguiformi, non producono affatto. Secondo Knuth (Mandb,, II, 1, p. 100) il nettare di questi ul- timi nettarii può essere raggiunto dagl’insetti senza il contatto da parte loro con lo stimma, quindi essi nettarii sono utili per l’ im- pollinazione, come potrebbe confermare l’osservazione di Jordan. CASE IR DER III OE ADI INI CUT MR 0 VIPIOE Sa RR IPA " 4 k - % Le aTA = pedi i gia Ù Anche Avebury, riferendo come dubbiosa la secrezione nettarea i dei due nettarii in parola, e che gl’insetti succiando il nettare ac- ; cumulato fra le basi degli stami lunghi non rendono alcun servigio alla fecondazione, si domanda se questa non possa essere la ragione della diminuzione o mancanza di secrezione da parte dei detti nettaril. Macchiati (Noterelle, ecc. 1900) pure riferisce che dei quattro centri melliflui della specie in questione due soltanto sono attivi e gli altri sono in via di abortire, senza emissione di nettare. Villani (Malp. XIX) rileva la posizione dei nettarii, ma non accenna alla loro secrezione nè totale, nè parziale. Dalle esperienze eseguite da Lund e Kjaerskou (1886) l’auto- gamia è coronata da successo, tuttavia 1 numerosi frutti che se ne a ottengono non sono per lo più così ricchi di semi come quelli ot- tenuti dall’incrociamento (cfr. Darwin; Eff. Fec. incr. e pr.). dl Miiller (1. cit. p. 140; Wezt. Beob. II, p. 204) riporta i seguenti visitatori dei fiori : Meligethes, molto numeroso, che si ciba di pol- line o divora altre parti del fiore, Anthrena fulvescens Sm. %, A. fulvicrus K. ®, tutte e due raccoglienti polline, A. nana K. d, succiante, A. gwinana K. ® succiante e raccogliente polline, A. nigroaenea K. 9, succiante, Apiîs mellifica L. 9, a succiar nettare e a raccoglier polline, Halictus cylindricus K. %, H. morio F. ®, raccogliente polline e succiante, Osmia rufa L. 9, succiante; Thrips, frequente. Secondo Knuth l’ape tiene il primo posto tra i visitatori dei fiori, ad Helgoland osservò Pieris brassicae, Apis-, Anthrena car- bonaria L., e nelle isole al nord della Frisia diversi sirfidi (Me/o- philus, Eristalis, Syrphus, Rhingia) nonchè Bombus terrestris e Me- ligethes. Alfken e Hòppner presso Brema osservarono apidi, e cioè 7 Anthrena, 3 Bombus, 8 Halictus, Nomada succinta Pz., Osmia rufa L. e Podalirius retusus L. Leege a Juist osservò i due apidi: Colletes cunicularis L. ed Osmia maritima Friese D. Nel giardino botanico di Berlino Loew notò gli apidi: Antho- phora carbonaria L., T, Anthrena ertricata Sm. %, Bombus agro- rum, B. lapidarius e terrester, ed Osmia rufa. Mac Leod nelle Fiandre: 4 Bombus, Psithyrus vestalis ?, Osmia bicornis, 5 Andrena, Halictus sexnotatus K., Nomada succincta Panz, Myopa buccata L., 3 Eristalis, Syrphus ribesii L., Platycheirus ma- nicatus Meig., Syritta pipiens, Rhingia rostrata; Sarcophaga hae- morrhoa Meig., Anthomyia estiva; Pieris brassicae, P. Rapae, An- Er Fb Sa A i " È 3 sp St) Pola: Halictus calceatus Scop. H. fasciatellus Schek. Cobelli (VerA. Zool. bot. Ges. Wien 1889) presso Rovereto, su i fiori della var. sabauda osservò 50 apidi dei generi Anthrena, Anthophora, Apis, Bombus, Chalicodoma, Chelostoma, Eucera, Hali- ctus, Melecta, Nomada, Osmia, Xylocopa, mentre su la var. Botrytis- asparagoides che fiorisce più tardi osservò soltanto 11 apidi ed in scarso numero d’individui. Macchiati (Catal.) annota: Ape, Halictus morio Kirb., Halictus?, Osmia, Andrena ed altri apidi. Secondo Bonnier (Nect., p. 59) Bombus terrestris fora talvolta uno dei sepali gibbosi che raccolgono il nettare. B. mollis Vis. — Comes (1875) ne vide i fiori visitati continua- mente da MHalictus, i quali scendendo attraverso i petali, li divari- cano per andare a succhiare il nettare secreto dalle quattro glan- dole ipogine, opposte ai sepali. Avendo egli sottratto alla visita degl’insetti una intera infiorescenza avvolgendola con un velo, vide tutte le silique dei fiori venire a completo sviluppo. Analogamente a quanto Miiller ha descritto per 5. oleracea, i quattro stami più lunghi sono rivolti con le antere, introrse, verso lo stimma, e mentre queste deiscono si curvano con l’apice in fuori impollinando con la loro faccia lo stimma, di cui hanno già rag- giunto il livello. B. balearica (Hild., Saftdr.). — Nei fiori largamente aperti, con i sepali orizzontali, i filamenti stanno lontani dall’ovario, cosicchè fra le antere e lo stimma rimane una larga via aperta che, anche per gl’insetti non forniti di lunga tromba, rappresenta un facile accesso al nettare. Mediante le visite degl’insetti si verifica tanto l’autoimpollina- zione quanto l’incrociamento. B. campestris L. [Ponzo ; I, 1905] - Il tubo fiorale formato da l’unghie dei petali misura 3-5 mm. I quattro nettarii, piccoli, verdi, sono alla base degli stami. Le api, posate su le lamine orizzontali dei petali, introducono la glossa entro il tubo e col capo urtano le antere e lo stimma che non si sviluppano contemporaneamente. Lund e Kjaerskou (1. cit.) hanno dimostrato che questa specie ha solo buoni effetti con la staurogamia, mentre l’autogamia è af- fatto sterile. Le osservazioni di Ponzo confermano i detti risultati. Poppius ad Esbo in Finlandia osservò i seg. visitatori: Melige- thes brassicae L., Bombus lapidarius L. $ e Aricia semicinerea Wied. A Jakobstadt constatò numerose visite da parte di un dittero : Dilophus humeralis Zett. ANNALI DI BoTANICA — Vot. XI. 6 ai ca 2a pg Ro RETI Ù e da tato pens dt È NETTO dl I N LEG AE STIA TNT I > — 82 — Nel Chilì secondo Johow (Best. CRilen. BI. II, p. 36, in nota) è frequentemente visitata da Apis mellifica, ed in California Fowler (Entomol. News X, 1899, p. 157-162) osservava nei fiori Nomada civilis Cress., N. melliventris Cress. e N. lepida Cress. B. rapa L. [Kerchner, FI. v. St. p. 298; Schulz, Beitr. I p. 3; Mac Leod, Bevr. p. 386; Knuth, Ndfr. Ins. p. 27]. — I fiori d’un giallo-oro sono debolmente proterogini secondo Kirchner, Mac Leod e Knuth, e nel numero e nella posizione dei nettarii concordano con quelli di B. oleracea. Tuttavia, secondo Kirchner, i nettarii situati alla base interna degli stami più corti si presentano tal- volta ognuno in due gibbosità separate ed hanno una secrezione molto più abbondante di quella degli altri due. Quando i fiori si aprono le antere sono ancora chiuse, e quelle degli stami lunghi sono addossate allo stimma già sviluppato. Pri- ma ancora che i petali si siano completamente espansi le antere deiscono, ed i filamenti compiono un mezzo giro sul loro asse, co- sicchè i lati coperti di polline vengono ad esser rivolti all’esterno. Secondo Schulz, che riporta i fiori come omogami, i filamenti com- piono talvolta una torsione di circa 90°. Le antere degli stami corti rimangono con le linee di deiscenza rivolte verso l’ interno, sono di 2-3 ‘/, mm. più basse dello stimma e servono esclusivamente all’eteroimpollinazione. Gli apici delle altre quattro antere sovrastano soltanto di poco lo stimma, ma più tardi sì curvano e verso la fine della fioritura può avvenire l’auto- impollinazione spontanea. Questa è fertile secondo Hildebrand (Geschlecht., p. 70), che esperimentò su esemplari tenuti in camera, e secondo Kirchner, mentre Lund e Kjaerskou (l. cit.) e Focke (cit. da Knuth) la ritengono sterile. L’eteroimpollinazione provocata dalle visite degl’insetti è se- guita da ricca fruttificazione. Knuth, presso Kiel, osservò i seguenti visitatori: Apis mellifica ; Helophilus pendulus L. Syritta, Eristalis tenax L., E. nemorum L., Syrphus; Meligethes. Krieger, presso Lipsia; Prosopîs communis Nyl. Schmiedeknecht in Turingia: Anthrena flessae Pz., A. floricola Ev., A. dorsata K., Osmia bicolor Schrk. 2, O. rufa L., e cita per Firenze, secondo Piccioli, Anthrena florentina Magr. Schenck a Nassau osservava 14 specie di Anthrena, Halictus al- bipes HF. e H. interruptus Pz. 9, Nomada alternata K., N. succincta Pz., N. xanthosticta K., Osmia bicolor Schrek. A Penne (Teramo) io osservai Apîs, Andrena cineraria L., No- mada ruficornis. ae B. Napus L. (Kirchner, Fl. v. St. pp. 298-299; Mac Leod, Bevr. p.287; Knuth, Ndfr. Ins. p. 28) concorda nel colore dei fiori e nelle loro disposizioni con la specie precedente. I fiori sono però un po’ più grandi e l’infiorescenza un po’ più lassa. Secondo Kirchner la proteroginia è un po’ più pronunciata che nei fiori della specie precedente; le antere prima della deiscenza mostrano un punto rosso-cupo al loro apice. L’autoimpollinazione quanto l’incrociamento dànno ricca produ- zione di semi (Lund e Kjaerskou, 1. cit.). Knuth osservò per questa specie gli stessi visitatori che per la precedente. Miiller (Weit. Beob. II, p. 204) riporta: Empis tesselata F., Andrena parvula K. 2 e Halictus Smeath- manellus K 2. Wiistnei nell’isola Alsen osservò Anthrena carbonaria quale vi- sitatore dei fiori; Alfken presso Brema (su B. Rapa e B. Napus): i sirfidi Orthoneura nobilis, Fall., Platycheirus albimanus F., Syrphus venustus Mg.; undici specie di Anthrena, Eriades florisomnis L., sei specie di Halictus, 3 Nomada, Osmia rufa L. 9. T, Podalirius acer- vorum L. e retusus L.; Schmiedeknecht in Turingia : Osmia bicolor Schrk. £ (da Knutàh, II, 1, p. 102). Mac Leod, nelle Fiandre (su B. Napus e 5. Rapa): Apîs, Bom- bus terrestris L. 9, Andrena albicans Mill., altre 4 Andrena, Hali- . ctus rubicundus Christ. 2, Eristalis tenax, nemorum e pertinax, Syrphus bifasciatus F., Bibio hortulanus L., Dilophus vulgaris Meig., Anthomyia aestiva Meig.; Anthocharis cardamines, una piccola far- falla notturna; Cantharis fusca L. De Vries in Olanda: Anthrena dorsata K. ®.. A Stradella (Pavia), a Castel San Giovanni (Piacenza) io ho os- servato : Apis, numerosa, Andrena-sp., Bombus -sp., in appezza- menti coltivati. B. Robertiana Gay var. apenninica, trovata dal prof. Cavara nell’Apennino emiliano su le rupi della Riva di Dardagna, ha fiori in ampi grappoli, di colore giallo-zolfino, con antere astate e terminate da un becco ricurvo. Alla base dei filamenti si trovano quattro glandole nettarifere di cui due, in forma conica, fra le due coppie di stami lunghi, due, reniformi, comprese fra ognuno degli stami brevi ed una coppia dei lunghi. B. nigra Koch. (Kirchner, Fl. v. St. p. 299; Mac Leod, Bevr. p. 387; Knuth, Helgol., Ndfr. Ins. p. 149) concorda nella forma e nella posizione dei nettarii con B. oleracea, secondo Kirchner e Mac Leod. PS CROSTA e, iù ca a RE E n PNE TITTI, |M RR PÒ pv A PAR EE Pr E Le ESC A TOSCOVA: IIS SCO CIRIE OTRS RIN ONDA PROSS CESARINI NOE SER \ De RN. PA RE, x PPITIRA NA, pri i pa “ai AIR In esemplari esaminati da Knuth ad Helgoland gli stami lunghi si trovano alla stessa altezza dello stimma, dal quale sono lontani circa un millimetro, perciò coll’inclinarsi dei fiori a cagione del vento, l’autoimpollinazione spontanea può facilmente avvenire per la caduta del polline su lo stimma. Inoltre essi sono rivolti contro gli stami corti i quali sono di 2-3 mm. più bassi dello stimma; perciò essi non possono mai effettuare l’autoimpollinazione ma ser- vono all’incrociamento, provocato dalle visite degl’insetti, che nu- merosi sono attirati dai gialli fiori di questa specie, emananti un odore di cumarina. In Helgoland Knuth non riscontrò differenze nella lunghezza dello stilo, per cui su diversi individui lo stimma sì trova ora al- l'altezza dei più corti ed ora degli stami più lunghi, come riferisce Kirchner e come già Todd (Amer. Natur. XV, 1889) aveva riferito per esemplari del Nord-A merica. Gl’insetti visitatori osservati da Knuth nell’isola Helgoland sono muscidi (CalZliphora erythrocephala Mg., C. vomitoria L., Coelopa frigida Fall., Cynomyia mortuorum L.T, Fucellia fucorum Fall, Lucilia caesar L., Scatophaga stercoraria L.), sirfidi (Eristalis arbu- storum L., E.tenax L., Helophilus trivittatus F., Syritta: pipiens L.), apidi (Anthrena carbonaria L.) e Pieris brassicae; Forficula auricu- laria L., molto numerosa. Verhoeff (Nordern. p. 104) a Baltrum osservò Meligethes brassicae Scop., PhyMopertha horticola L. e Anthomyia - sp. Heinsius in Olanda: Scatophaga stercoraria L., Éristalis arbu- storum L. De Vries nei Paesi Bassi: Bombus subterraneus L. B. fruticulosa Cyr. è indicata come autofertile da Comes (1. c.). B. montana DC. è stata esaminata da Mac Leod (Pyren.-bl., p. 115) al Pic d’Ayré ed a Gavarnie nei Pirenei e viene indicata da lui come un fiore lepidotterofilo (?). Le unghie dei petali, gialli, formano un tubo corollino profondo 9-11 mm. Le antere dei quattro stami più lunghi deiscono verso l'interno del fiore, stanno riunite intorno allo stimma che sovra- stano alquanto. Quelle dei due stami corti sono nascoste nel tubo, sono molto più basse dello stimma ed il loro lato coperto di pol- line è pure rivolto verso l’asse del fiore. Due strette aperture ai lati dello stimma conducono al nettare. La tromba d’un insetto, introdotta in una delle dette aperture, rasenterà innanzi tutto lo stimma e forse anche una o due antere degli stami lunghi, e pe- netrando più profondamente nel fiore si strofinerà sul lato coperto di polline di un’ antera degli stami corti. Visitando un fiore suc- cessivo, il polline del primo viene portato su lo stimma, e si avvera l’incrociamento. È evidente però che mediante gl’insetti l’autoim- pollinazione non è affatto esclusa. L’autoimpollinazione spontanea è assicurata dal trovarsi fin da principio il Jato coperto di pollime delle antere degli stami lunghi in contatto con lo stimma. Dei quattro nettarii i due più piccoli stanno alla base dei fila- menti corti ed i due più grandi alla base di quelli lunghi, ma hanno secrezione nettarea soltanto i due primi. Mentre il nettare dei nettarii più piccoli può essere guadagnato soltanto da la tromba d’un insetto che venga introdotta dall’alto nel fiore per le strette aperture accennate, i nettarii maggiori, privi di qualunque secre- zione, possono (come in altre crocifere, ad es. Diplotaris tenuifolia) essere raggiunti anche dall’esterno, attraverso le fessure esistenti fra i sepali. Corrispondentemente alla struttura fiorale Mac Leod osservò a vi- sitare i fiori di Br. montana una farfalla diurna: Anthocharis belia Cr. var. Simplonia Freyer. Gen. Raphanus Tourn. Fiori biancastri, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Net- taril 4. R. Raphanistrum L. (Muller, Befr. p. 140: Weit. Beob. II, p. 205; Mae Leod, Bevr. p. 390; Kirchner, Fl. v. St. p. 302; Knuth Ndfr. Ins. p. 32, 150; Riigen p.83; Avebury, Br. FI. PI., p. 90; Ponzo, N. Giorn. Bot. it. XII, 1905, p. 593) concorda nella posizione dei nettarii con Sin. arvensis, tuttavia a motivo della posizione eretta dei sepali il nettare non è visibile da l’esterno nè accessibile. I petali si presentano bianchi con venature violette, oppure giallo- chiari con venature giallo-cupe. Tutte le antere rivolgono il loro lato deiscente verso lo stimma, quelle degli stami più corti ne rag- giungono l’altezza, quelle dei più lunghi lo sovrastano; l’autoim- pollinazione spontanea è perciò favorita ancor più che in Sînapts, ma è senza successo, come recentemente constatava anche il Ponzo, il quale riporta i fiori come proterogini, mentre proterandri li ha in- dicati Hoffmann (Ref. Ludwig, Bot. Centralbl. 1884, XX, p. 268). Miiller in Vestfalia osservò i seg. visitatori: Apis mellifica L., Bombus senilis Sm., B. muscorum L., Halictus flavipes F., H. Smeathmanellus K., fra gli apidi; Cephus spinipes, tra i tentredinidi; Rhingia rostrata L., Syrphus ribesiù L., Syritta pipiens L. ed un lepidottero: Coenonympha pamphilus L. Knuth nello Schleswig-Holstein: Apis mellifica L., Bombus lapidarius L., B. pratorum L., Pieris rapae T., P. napi L., Lycaena - sp.,Gonio- eri aL e nen EVOLVE EMO gi CIRIACO OL TRONO E EMOTIVI NEO REI III TSE PARE VARIO sb: gia pterya rhamni L., Syritta pipiens L., Syrphus-sp., Melanostoma gra- cilis Meig.; Meligethes aeneus L. Nell'isola Riigen lo stesso Knuth: Volucella bombylans L.; Apis mellifica L., Vanessa urticae L., Pieris-sp. Alfken presso Brema: MHalictus nitidiusculus K. 9. Schletterer presso Pola: Halictus morio F. Scott-Elliot (Fl. p. 19) nel Dumfriesshire (Scozia): Apis, Bombus, muscidi e Meligethes. Poppius ad Esbo, in Finlandia: Musca atramentaria Meig. e Me- ligethes brassicae L. R. Landra Mor. ha fiori proterogini. Il nettare è prodotto da quattro glandole verdi, due globiformi situate nel lato interno di due stami corti, le altre due, allungate, piatte, fra le basi dei fi- lamenti lunghi. Le antere sovrastano lo stimma, cosicchè negli ul- timi stadi della fioritura l’autoimpollinazione può avvenire per la caduta del polline su lo stimma. I fiori bianchi, portati da piante viventi in società, col polline e col nettare richiamano gl’ insetti in gran quantità (Pandiani, 1904). Pandiani (loc. cit. p. 13) riscontrò i seguenti pronubi: Syritta pipiens L., Eristalomyia tenax L. 92, T, Bombylius-sp., raro; Pieris brassicae L., rara; Apis mellif. var. ligustica Spin., frequente; Bom- bus lapidarius L. raro, Andrena fulvicrus Kirb. 2, frequente. R. sativus L. var. oleiferus DC. | Kirchner, N. Beob, p. 28, FI. v. St. p. 302; Mac Leod, Bevr. p. 300]. — I petali sono bianchi con lievi venature verdastre ovvero lilla con vene più scure; il diametro dei fiori espansi misura circa 20 mm., la lunghezza dei sepali, verticali, che lassamente circondano le unghie dei petali è di 9-10 mm. Dei quattro nettarii, due a forma di cuscinetti sì trovano sul lato in- terno della base dei due stami corti e due, cilindrici, esternamente, fra le basi delle due coppie di stami lunghi. Solo i due sepali esterni, opposti agli stami corti, sono rigonfi alla base e funzionano da serbatoi nettariteri. Le sei antere deisecono verso l’interno del fiore e si dispongono orizzontalmente senza che i filamenti subiscano alcuna torsione, rimanendo in conseguenza lontane dallo stimma. Le antere degli stami lunghi stanno allo stesso livello dello stimma, ma quelle dei più corti sono più basse di 2-3 mm. e curvate inoltre verso l’esterno. - Verso il termine della fioritura le antere superiori vengono a contatto con lo stimma, cosicchè in mancanza delle visite degl’in- setti sl avvera l’autoimpollinazione spontanea, coronata da successo ma 1 frutti contengono soltanto una metà di semi sviluppati (Darwin, Eff. fec. inc. ecc. p. 265). TERI Ù £ pit Kirchner osservò Apis mellifica, Bombus - sp., Sirfidi, Pierîs e Me- ligethes. Schletterer nel Tirolo: Anthrena gwinana K. e presso Pola: An- threna carbonaria L., A. deceptoria Schmied., A. flavipes Pz., A. nana K., A. thoracica F., Eucera clypeata Er., E. longicornis L., Halictus calceatus Scop., H. Malachurus K., Podalirius acervorum L., P. nigrocinetus Lep., P. retusus L. var. meridionalis Pér., Xylocopa violacea L. Dalla Torre osservò nel Tirolo Anthrena guinana K. ®. MacLeod nelle Fiandre: Eumerus lunulatus Meig., Ascia poda= grica; Lucilia Caesar; Pieris brassicae, P. napi, tutti a Melle, in un orto. Nel Cile, presso Santiago, Johow (1. cit. p. 86, in nota) osservò Apis mellifica. Secondo Meehan (Life-Histor. VIII) alcune piante mostrano di- sposizioni per l’autoimpollinazione ed altre per l’eteroimpollinazione mediante gl’ insetti. Gen. Enarthrocarpus Labill. Fiori bianco-giallastri con venature porporine. Nettaril quattro; uno tra ciascuno stame breve e l’ovario, uno alla base e tra ciascuna coppia di stami lunghi ( Villani, Malpig. XIX). Gen. Rapistrum Boerh. Fiori gialli, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Net- taril 4. R. rugosum Bergt. (Kirchner, Beitr. p. 24). — In esemplari osser- vati dal Kirchner a Montorge presso Sion il diametro dei fiori mi- surava circa 10 mm., e dei sepali — della stessa lunghezza delle unghie dei petali (5 mm.) — soltanto quelli opposti ai due stami più corti hanno un rigonfiamento sacciforme alla base. Le antere dei quattro stami più lunghi stanno alla stessa altezza dello stimma, e rivolgono (cfr. Hi/dbr., Saftdr. Crucif.) le superficie aperte late- ralmente, ma sono tutt'intorno coperte di polline e sono così vicine allo stimma che l’autoimpollinazione spontanea può avvenire. Dei quattro nettarii, come li descrisse Hildebrand e Velenovsky li rappresentò, due, rigonfi, stanno alla base interna dei due stami corti e producono riccamente, e gli altri, più piccoli, cilindrici, ester- namente, fra le basi delle due coppie di stami lunghi, hanno solo scarsa secrezione nettarea. R. rugosum secondo Hildebrand (1896) è quasi autosterile. Gen. Crambe Tourn. Fiori discretamente grandi, bianchi, lievemente proterogini, a nettare parzialmente nascosto. i . a pinta » a Bourg St. Pierre, avevano un diametro fiorale di soli 1,5-2,2 mm. Nei giovani bottoni fiorali gli organi sessuali sono egualmente lunghi, ma prima ancora che avvenga l’espansione della corolla, lo stilo comincia ad allungarsi e contemporaneamente lo stimma si ricopre di papille. Quando le antere cominciano ad emettere il pol- line, quantunque anche i filamenti si sieno allungati, lo stimma le sovrasta considerevolmente. Perciò, secondo Giinthart, l’autoim pol- linazione spontanea è esclusa. I fiori sono proterogini macrobio- stimmici. Gen. Cardamine L. Fiori omogami o proterogini, bianchi o lilla, a nettare parzial- mente o completamente nascosto. Nettarii 2 o 4. C. pratensis L. (Miller, Befr. p. 134-135, Weit. Beob. I, p. 326; Kirchner, Fl. p. 290; Mac Leod, Bevr. p. 373; Knuth, Ndfr. Ins. p. 25, 148; Aveburg, Br. FI. PI. p. 79) presenta fiori bianchi o por- porino-pallidi, a nettare nascosto, più grandi che in altre specie affini e perciò e per il nettare visitati da un maggior numero d’in- setti. Alla base di ciascuno degli stami corti si trova una glandola carnosa, verde, anulare, sviluppata maggiormente verso l’esterno, mentre una glandola più piccola si trova alla base di ciascuna coppia di stami lunghi e dal loro lato esterno (Hi/d.). Il nettare secreto da questi quattro nettarii si raccoglie nel fondo ventricoso dei sepali, dei quali i due che stanno sotto i nettarii maggiori e che producono nettare in maggiore abbondanza sono più ‘ ventricosi degli altri situati sotto i due nettarii minori. Quindi è possibile, come rilevava Miiller, da un semplice esame del calice riconoscere dove si trovino i due stami più corti. Le unghie dei petali sono considerevolmente lunghe e formano un tubo di parecchi mm. di lunghezza, in fondo al quale è nascesto il nettare. Questa specie appartiene perciò alla classe fiorale .. Ancor prima dell’antesi gli stami più lunghi sovrastano lo stimma, e compiono un quarto di giro dalla parte del vicino stame più ZI FREIRE UV RIS PANCHE OLPO TATE pi 3 Lg corto, cosicchè gl’ insetti visitatori con gli opposti lati del capo rasentano lo stimma e le antere coperte di polline. Per conseguenza, a seconda che introducano la tromba a destra o a sinistra nel fiore, provocheranno etero- od autoimpollinazione. I due stami corti rivolgono i lati aperti delle loro antere sempre verso lo stimma; in molti fiori essi stanno più bassi, in altri allo stesso livello ed in altri più alti dello stimma. Nei due ultimi casi l’autoimpollinazione spontanea è possibile. Quando il tempo è freddo, piovoso, si trovano non di rado dei fiori, nei quali la torsione degli stami più lunghi è avvenuta in modo «ppena sensibile o non si è prodotta affatto; in questo caso i loro lati coperti di polline rimangono rivolti contro lo stimma e l’autoimpollinazione spontanea ha luogo. Tuttavia questa pianta, secondo esperimenti di Hildebrand (1896) è autosterile, quando l’impollinazione venga eseguita tra fiori di una stessa infiorescenza, oppure adoperando per ciascun fiore il suo proprio polline. Warnstorf (£upp. FI., 38) riporta i fiori come proterogini, giacchè lo stimma si mostra con papille sviluppate rel fiore ancora in boccio. Accenna pure che i fiori doppi sono quivi rari; ed a questo pro- posito Hildebrand (Bot. Centralb2 VI, 1881) ne trovò presso Bonn e presso Freiburg un esemplare che mostrava i petali trasformati in stami. In piante esaminate da Warming (Biol. Opt. I.) in Groenlandia le antere degli stami corti sono così presso allo stimma che l’au- toimpollinazione spontanea è possibile; tuttavia raramente si for- mano frutti maturi, ma la moltiplicazione della pianta avviene me- diante bulbilli fogliari, agamicamente. A Trangisvaag, nelle Farder, lo stesso. Warming trovò i fiori omogami, con un diametro di 21 mm., in cui le antere degli stami brevi erano situate sotto lo stimma, oppure i loro apici ne rag- giungevano il livello, nel qual caso l’autoimpollinazione si rendeva possibile. Secondo Ekstam (Nov. Semlja) nella Nuova Zembla il diametro dei fiori, lievemente odorosi, proterogini-omogami, raggiunge 10- 15 mm. (secondo Kjellmann nella Siberia artica il loro diametro è di 24 mm. in generale) e sono bianchi o violetti. In quanto ai net- tarii e alle disposizioni fiorali concordano con quelli descritti da Knuth nelle isole al nord della Frisia. Ekstam non riscontrò esem- plari con frutti maturi, ma Kjellman (cit. da Ekstam) ne rinvenne con frutti quasi maturi a Jugor Scharr. Notò a visitare i fiori un piccolo dittero. L SL è A ggonr Re O AT O e o e tn Pi 7 P, Parimenti allo Spitzberg, al Capo Thordsen, Ekstam (Spitz. p. 19) trovò frutti quasi maturi e completamente maturi i frutti dell’anno precedente, mentre non ne furono trovati secondo Andersson ed Hesselman nè in Groenlandia (sec. Kolderup Rosenvinge) nè nella Norvegia artica (sec. Norman). Ciò farebbe pensare ad un fenomeno di partenocarpia, tanto più che Andersson ed Hesselman in due esemplari raccolti allo Spitzberg trovarono che il polline conteneva in un caso il 95 % ed in un secondo il 100 % di granelli inser- vibili. I fiori — secondo Ekstam bianchi o rosso-chiari, secondo An- dersson ed Hesselman d’un violetto chiaro con venature più scure — presentano un diametro di 13-18 mm., emanano un lieve profumo e sono omogami. Ciò non pertanto, essendo lo stimma alto 1-2 mm. sopra le antere, è ovviato all’autoim pollinazione. Frutti maturi di questa Cardamine furono osservati anche nel- l’Alaska (Eastwood, Bot. Gaz. 33, p. 147; cit. da Knuth III, 2, p. 276-277). | Miiller riporta i seg. visitatori: Meligethes - sp., frequente, Oma- lium florale Payk, numerosissimo, fra i coleotteri; Bombylius discolor Mg., B. major L., Empis opaca F., Anthomyia - sp., Eristalis nemorum L., Helophilus pendulus L., Melanostoma mellina L., Rhingia rostrata L., frequente, Syrphus nitidicollis Mg., tra i ditteri; Anthrena cine- raria L. 9, A. dorsata K. ®, A. gwinana K. %®, A. parvula K. £ S, Apis mellifica L. $, frequentissima, Bombus terrester L. ®, Halictus cylindricus F. 9, Nomada lateralis Pz. ®, N. lineola Pz. T, Osmia rufa L. 3, tra gl’imenotteri; Anthocharis cardamines L., Pieris bras- sicae L., P.napi L., Rhodocera rhamni L., Vanessa urticae; Thrips. Knuth: Apis mellifica e Bombus terrestris; Helophilus pendulus e Syrphus - sp.; Anthomyia - sp., Meligethés - sp. Alfken, presso Brema: Bombus derhamellus K. e B. pomorum Pz., Nomada succincta Pz. £ e la farfalla Thecla rubi. Réssler presso Wiesbaden: Muacroglossa fuciformis L. Scott-Elliot nel Dumfriesshire (77. p. 13): un bibionide, un muscide, quattro sirfidi ed una farfalla. De Vries nei Paesi Bassi: Halictus quadricinctus F.; Mac Leod nelle Fiandre: Apis, Osmia bicornis Li. T, Bombus lapidarius L., An- drena albicans Mùl., A. parvula K., A. nitida Fourer., Halictus cylin- dricus F., H. flavipes F., Bombylius major L., Eristalis pertinax Scop., E. nemorum L., E. arbustorum L., E. intricarius L., E. aeneus Scop., Melanostoma mellina L., Empis livida L., Anthomyia aestiva Meig., Hylemyia cinerella Meig., Scathophaga merdaria F., Anthocharis car- damines, Pieris brassicae, P. napî, Vanessa urticae; Anthobium tor- quatum Marsh. —_ 9% — Fritsch (1904) nella Stiria: Euchloè cardamines d, Pieris napi d. Willis e Burkill (Pt. IV) nella Gran Brettagna rilevarono 1l fatto «che mentre nell'Europa centrale e settentrionale le api sono tra i principali visitatori dei fiori di questa specie, dei 115 insetti da essi osservati in primavera e in estate, 102 erano ditteri brevilingui e mancava qualunque apide. Tra i lepidutteri notano: Pieris napiî L. ed Eriocephala calthella L.; tra i ditteri: Mela- nostoma dubium Ztt., Empis bilineata Lw., Trichophthicus - sp., An- thomyia sulciventris Ztt., Tephrochlamys - sp.; tra i coleotteri: Me- ligethes viridescens F. e Anthobium minutum F. Ad Esbo in Finlandia Poppius osservò Anthobium minutum L. e Meligethes brassicae L. Nelle mie note trovo elencati per Penne (Teramo): Apis, Bom- bus - sp., Pieris - sp. Rhodocera rhamni L., Vanessa C. album. Oltre i fiori ermafroditi si sono trovati fiori mancanti degli or- gani femminili e Giinthart (l. cit.) ha osservato anche l’eterostilia. C. amara L. (Ludwig, Biol. Not.; Hildebr. Saftd. Cruc.; Kirchner, Fl. p. 291: Mac Leod, Bevr. p. 375) a petali bianchi, concorda con la precedente nel numero e nella posizione dei nettarii. I fiori si presentano in basso ristretti a forma d’imbuto; appar- tengono perciò alla classe fiorale B. I sei stami sono di lunghezza quasi eguale e molto divergenti fra loro, le linee di deiscenza delle antere rimangono rivolte verso il centro del fiore. L’ovario arriva a metà altezza degli stami, lo stimma si trova perciò innanzi alle vie d’accesso al nettare. Gl’insetti che vengono a succiarlo, con un lato del capo urtano le antere e con l’altro lo stimma, provocando di preferenza l’incrociamento, e l’autoimpollinazione solo quando alter- natamente introducono il capo a destra o a sinistra dello stimma. Secondo Kirchner si danno anche fiori femminili a petali più piccoli che nei fiori ermafroditi. Knuth (Bijdr.) riporta i seguenti insetti: Apiîs mellifica L., Eri- stalis tenax L. Scott-Elliot nel Dumfriesshire (FI. p. 12) osservò ditteri, farfalle, «coleotteri. C. chelidonia L. — Secondo Delpino (1898) questa specie pre- senta nettarii estranuziali, da lui minutamente descritti nelle di- verse fasi nella sua nota « Nuove specie mirmecofile fornite di nettarii estranuziali ». C. impatiens L. [Muller, Weit. Beob. I, p. 327; Kirchner, FI. p. 292]. — I fiori di questa specie, secondo Kirchner, sono pochis- simo appariscenti, poichè i petali, bianchi, sono molto piccoli e talvolta mancano affatto. ANNALI DI BoTANICA — Vor. XI. 7 ERRE VIS EE STRANI SP Tg E Alla base di ciascuna coppia di stami lunghi si trovano due nettarii, e gli altri due, alla base di ciascun filamento corto, sono, sul lato esterno dei filamenti, riuniti mediante un cercine. I filamenti si piegano verso l’esterno del fiore, ma le facce delle antere coperte di polline guardano tutte verso lo stimma, cosicchè gl’insetti visitatori possono provocare l’incrociamento e l’autoim- n SILE E ati I pollinazione. Miller riporta un solo visitatore: Andrena albicans K. 9. C. asarifolia L. — In questa specie, secondo Villani (Malp. XIX) i nettarii posti alla base degli stami brevi sono bipartiti e b° quelli inseriti (uno) tra ciascun paio di stami lunghi sono quasi sferici e di color verde. C. silvatica Link. — Le antere, secondo osservazioni di Bur- kill, nell'India, deiscono a brevissima distanza da lo stimma, e 3 poscia vengono a contatto con esso. È Visitatore: Halictus polyctor Bingh. 2. C. hirsuta L. — Secondo Jordan le antere sono addossate allo stimma e l’autoimpollinazione spontanea è inevitabile. Le osservazioni di Warming (Zield-Notes) su esemplari delle isole Farder concludono pure per l’autoimpollinazione spontanea come inevitabile, e ciascun fiore porta frutto. Lo stimma sporge dal boccio. Nei fiori espansi da poco tempo, ‘ 1 cui petali sono tuttora eretti, gli stami più lunghi inclinano in dentro e le antere, che sono aperte, stanno sopra lo stimma ma- turo; quelle degli stami più corti sono chiuse. Più tardi, i filamenti corti si allungano e lo stimma viene a trovarsi tra le antere degli stami lunghi. Mac Leod (Beer. p. 375) riporta i seguenti visitatori dei fiori molto piccoli, bianchi, a 4 stami. ed a nettare parzialmente na- scosto: Andrena fulva Schranck 9. Onesia gentilis Meig., Meli- gethes. Scott-Elliot (27. p. 14) pel Dumfriesshire riporta un coleottero, un sirfide e due muscidi come visitatori. Macchiati nel suo catalogo elenca: Ape ed altri apidi, Antho- charis cardamines. I Villani (Ma/p. XIX) assegna sei nettaril a questa specie, due | ai lati di ciascuno stame breve, ed uno alla base e tra ciascuna coppia di stami lunghi. C. corymbosa Hook., C. depressa Hook. da i fiori piccoli ed in- cospicui, delle isole Auckland, Campbell e Macquarrie, secondo Delpino (1900) sono omogame, e così pure C. stellata Hook., delle medesime isole, quantunque per i suoi corimbi sessili nel centro a iL, — ‘di una rosetta di foglie radicali, abbia un maggior grado di ap- pariscenza delle precedenti. C. latifolia Vahl. ha fiori lilla, a nettare completamente na- scosto, visitati nei Pirenei da Pieris napi e Anthocharis cardamines (Mac Leod). C. resedifolia L. (Schulz, Beitr. II, p. 15) ha fiori omogami nei quali le antere degli stami lunghi si trovano alla stessa altezza con lo stimma scutiforme, L’autoimpollinazione spontanea è inevitabile. Le antere degli stami corti, che ordinariamente deiscono dopo quelle degli stami lunghi, raggiungono qualche volta lo stimma, ma di solito non lo toccano, per essere i filamenti alla base alquanto curvati verso l’esterno. La secrezione nettarea non è considerevole, tuttavia Schulz al Passo di Costonzella sopra S. Martino di Castrozza osservò i fiori di questa specie visitati da molti ditteri e da alcuni imenotteri. Miiller (Alpend!. p. 145) nelle Alpi osservò: Empis semicinerea, Aricia lugubris, A. serva, Scatophaga stercoraria, Cheilosia mutabi- lis, C. vernatis, ed una farfalla diurna: Pararge hiera T. Secondo Villani (Malp. XIX) i nettarii in questa specie si riuniscono insieme in una strettissima striscia posta sotto gli stami. C. bellidifolia L. — Secondo Warming (Biol. Opt. I) i fiori in Groenlandia sono autogami, giacchè le antere, in ogni caso quelle degli stami lunghi, stanno alla medesima altezza con lo stimma. Un nettario, grande, si trova alla base di ogni stame corto, ed uno, più piccolo, fra ciascuna coppia di stami lunghi. Secondo Ekstam (Nov. Semlja) nella Nuova Zembla i fiori — che secondo Kjellman nella Siberia artica hanno un diametro di 8 mm. — privi di odore sono proterogini-omogami, essendo lo stimma già papilloso nel boccio. Nei fiori aperti di fresco le antere sono allo stesso livello dello stimma o almeno lo raggiungono con i loro apici superiori, sicchè l’autoimpollinazione è inevitabile. Allo Spitzberg (l. cit.) secondo lo stesso Ekstam i fiori sono omogami, hanno un diametro di 5-7 mm. e posseggono un lieve profumo. L’autoimpollinazione è inevitabile. Produce frutti maturi. Non osservò visitatori. C. Blaisdellii Eastwood, nell’Alaska possiede sepali gialli, lun- ghi 3-5 mm. e larghi 2 mm.; i petali sono bianchi e spatoli- formi. i ate È , wo 7 : bi P\ bi È CRE È Di * — 100 — Furono osservati soltanto frutti immaturi (secondo Eastwood, Bot. Gaz. 33, p. 146: cit. da Knuth, III 2, p. 277). C. purpurea Ch. et Schlecht., nell’Alaska, presso Nome City e nell’isola St. Laurentius possiede sepali giallicci, lunghi 3 mm. dei quali i due esterni appaiono alla base quasi speronati. I pe- tali, lievemente porporini, hanno 6 mm. di lunghezza, e ‘furono osservati frutti maturi (Eastwood, l. cit., da Knuth, l. cit.). C. trifolia L. (Giinthart, p. 10) osservata nel giardino botanico di Zurigo dal Giinthart, ha fiori bianchi, omogami, i cui nettarii per posizione e per forma si differenziano da quelli di C. praten- sis. Mentre in questa 1 nettaril maggiori si trovano esternamente ai lati della base dei filamenti corti, edi minori situati fra 1 fila- menti lunghi hanno scarsa secrezione, in C' trifolia le due glandole nettaree maggiori, a forma di focaccia, sì trovano fra gli stami lunghi, mentre ai due lati degli stami più corti si osservano net- tarli piccoli, spesso privi di funzione. Spesso essi mancano o sono molto variabili nel loro svi- luppo. Tutte le antere sovrastano il piano della corolla. Lo.stimma in principio è solo al livello delle antere inferiori ed anche in que- sto stadio fiorale è per lo più già fornito di papille. Le quattro antere superiori invece hanno già cominciato ad emettere il pol- line quando lo stimma non era ancora completamente sviluppato, ma più tardi il pistillo si allunga e lo stimma, che ha raggiunto il suo pieno sviluppo, viene a contatto con le antere più alte. Le antere degli stami più corti entrano in funzione quando lo stimma è così alto da non poter raggiungerlo. Prima che sieno esaurite, lo stimma viene portato ancora più in alto sopra le quattro antere superiori, ma non di tanto che la spontanea autogamia non sia possibile. Allora in seguito all'avvenuta fecondazione il gineceo si allunga. In questo stadio anche le antere degli stami inferiori sono esaurite; esse servivano esclusivamente all’incrociamento, poichè al principio della loro attività lo stimma era troppo distante perchè avvenisse l’autogamia, ed in seguito lo stimma aveva perduto qua- lunque funzione. Non è esclusa però autogamia indiretta mediante le visite degli insetti. Contrariamente a quanto avviene in C. pratensis, le antere in C. trifolia non cangiano mai la loro posizione primitiva. C. pauciseta Benth. — Rattan (Bot. Gaz. VI, p. 242) in Cali- fornia osservò in questa specie le torsioni eseguite dagli stami più lunghi subito dopo l’antesi; le antere per tal mezzo vengono a _D 4 LVL son vili sd nkig Via DA) Ì "a Da Lia cola -, w ta ara ca i __ — 101 — trovarsi in una posizione estrorsa e l’autoimpollinazione viene im- pedita. Un tale procedimento osservò pure in Brassica campestris. C. alpina L. secondo Kerner (1. cit. p. 329) ha fiori proterogini, nei quali lo stimma sporge dai fiori appena aperti, mentre gli stami non sono ancora sviluppati. In questo stadio può aver luogo soltanto l’inerociamento mediante il polline trasportato da gl’in- setti. Più tardi gli stami si allungano, le antere aperte vengono così a contatto con lo stimma e l’autoimpollinazione spontanea è resa possibile. C. chenopodifolia L. secondo Grisebach (Bot. Zeit. 1878) ha oltre i fiori casmogami, aerei, anche fiori sotterranei, cleistogami. Se- condo Kerner (l. cit. pp. 383-384) 1 fiori cleistogami sotterranei si formano prima di quelli portati dai fusti epigei. Lindman a Rio Grande do Sul(1900) constatò la tendenza de- gli stoloni terminati con un fiore cleistogamo ad infossarsi nella terra, proteggendo in tal modo il fiore ed il frutto prossimo a ma- turare dal gelo della notte durante la fioritura invernale. I detti fioti sono lunghi circa 1 mm. e rappresentano un perfetto fiore di crocifera, in miniatura, a cui non mancano i quattro petali. Fu detto però anche che la corolla è assente in questi fiori (Grisebach) e sul numero degli stami gli autori non sono d’ac- cordo. Grisebach ne descrive quattro, opposti ai sepali, e Schulz sol- tanto due. Goebel ne ha trovato ora quattro, ora tre ed ora due, e questi due stami non contengono che due sacchi pvollinici. Nella sua monografia sul gen. Cardamine (Bot. Jahrbiich. di Engler, XXXII, 1903, pp. 280-623) Schulz conclude che la fecon- dazione è ordinariamente dicogama, mentre le specie annuali pre- sentano per lo più autogamia, che Thomson (1880) ha dimostrato necessaria per C'. hirsuta della N. Zelanda. Fiori cleistogami con sviluppo di frutti normali a semi buoni (sotto terra) si hanno in C. chenopodtifolia, C. flaccida subsp. mi- nima delle alture delle Ande, ecc.; l’autore aggiunge la C. corymbosa che presenta molte abitudini conformi alla C. hirsuta. Le piante autogame presentano i petali e gli stami del verti- cillo esterno molto ridotti (Ref. Solla; Malp. XVII, p. 528). Gen. Dentaria L. Fiori appariscenti, biancastri o rossastri, a nettare per lo più nascosto. D. polyphyUa Waldst. et Kit. [Gunthart, Beitr. p. 11; Fritsch, BI. Unters. Steiermark; 1906]. — Fiori di esemplari raccolti da Giin- — 102 — thart a Bachtel (cantone di Zurigo) avevano petali bianco-gialla-. stri, della lunghezza di 17-18 mm. Due nettarii semicircolari cir- condano all’esterno la base dei due filamenti corti, mentre altri quattro nettarii, rudimentali, senza secrezione alcuna si trovano al disotto del peduncolo fiorale, sotto il piede dei filamenti più lunghi. I filamenti sono sottili e tutti presentano deboli espansioni mem- branose. Le quattro antere superiori subiscono torsioni. I fiori sono omogami, tuttavia l’autogamia spontanea è esclusa, poichè lo stilo rimane sempre così corto che lo stimma non può venire a contatto con le antere. L’autogamia dovuta a caduta del polline può solo raramente avverarsi, essendo il polline molto glu- tinoso. Abbastanza frequente è invece l’autogamia indiretta. In esemplari della Stiria Fritsch trovò soltanto due nettarii verde-giallastri alla base dei due stami corti. I fiori sono omogami e l’autogamia è possibile nel primo stadio fiorale, quando le antere degli stami più lunghi si trovano allo stesso livello dello stimma. La distanza tra le glandole nettaree e l’ingresso del fiore mi- sura circa 1 cm. e tutta la struttura fiorale accenna a visite da parte degli apidi. Un’ape che introduca la sua glossa nel fiore, deve necessariamente rasentare con essa le antere e lo stimma, a motivo della stretta bocca dei fiori che, del resto, in questa specie non si espandono mai completamente. D. pinnata Lam. var. alba, descritta da Giinthart (1. cit. p. 11) se- condo esemplari d’un giardino di Zurigo, possiede fiori aggruppati in racemi ombrelliformi, grandi, d’un violetto chiaro, 1 cui sepali verdi, orlati di rosso, si presentano lievemente rigonfiati alla base ed i petali, obovati, raggiungono la lunghezza di 15-17 mm. Quattro nettari carnosi, molto pronunciati, stanno alternatamente fra le basi di uno stame lungo e di uno stame corto. Essi mo- strano dei prolungamenti a mo’ di bandellette nelle due direzioni, ma non si fondono mai insieme. I fiori sono debolmente proterogini. Quando le quattro antere superiori incominciano a coprirsi di polline, lo stimma, che nel boccio era quasi alla stessa altezza delle antere, si trova per una mezza lunghezza di antera sotto il margine inferiore di esse. Quando queste cessano di emettere il polline lo stilo si è allun- gato di tanto che lo stimma ne ha raggiunto il livello e contro esse si adagia soltanto per l’autogamia. D. pinnata Lam. (esemplari del Giura) ha fiori omogami se- condo Giinthart (1. cit. p. 11). La differenza di lunghezza degli organi sessuali al principio della loro funzione è molto più considerevole che nella varietà pre- cedentemente descritta, nè si pareggia verso la fine dell’antesi, co- sicchè l’autogamia è per lo meno resa molto difficile. Le antere degli stami lunghi subiscono torsioni come nella va- rietà precedente. I due nettarii semicircolari abbracciano all’esterno la base dei filamenti corti. D. bulbifera L. [Hildebr., Saftdr. Crucif.; Kirchner, Fl. p. 292; Knuth, Bijdr.; Kirchner, Mitteil. I; 1900; p. 367] secondo Kirchner (1900) ha fiori omogami, dotati d’un lieve profumo (esemplari di Urach (Schwàbische Alb). I sepali verdi — dei quali i due esterni, situati sotto i due nettarii attivi, sono rigonfiati alla base — sono eretti ed hanno una lunghezza di 5 mm. Le lamine d’un lilla chiaro dei quattro petali espansi rappresentano un diametro fiorale di circa 20 mm.; le unghie sono erette e lunghe circa 10 mm. I nettarii, d’un verde cupo, sono quattro: duea forma di cu- scinetto al lato esterno della base dei due stami corti, e due conici esternamente e fra le basi delle due coppie di stami lunghi; sol- tanto nei due primi, però, Kirchner osservava produzione di nettare. All’aprirsi dei fiori lo stimma è sviluppato e deiscono le antere dei quattro stami più lunghi, e poco tempo dopo anche quelle dei duè stami corti. Le prime quattro antere stanno a 2 buoni mm. al disopra dello stimma e si trovano nell’ingresso fiorale; esse rivol- gono in principio verso l’interno i lati coperti di polline, ma non conservano, come riferisce Hildebrand, questa posizione. Secondo Kirchner esse a poco a poco si girano in una posizione orizzontale in modo che il lato coperto di polline guardi in alto e i due apici delle antere sieno alquanto curvati in basso. Hildebrand ha scritto che gli stami corti sono rudimentali, pre* sentandosi col solo filamento e con l’antera mancante, ma Kirchner non ha trovato fiori in tali condizioni ; invece le antere degli stami corti, che hanno una lunghezza di 5 mm., sono bene sviluppate e stanno all’altezza dello stimma, ma da esso lontane. Per la posizione delle antere superiori sopra lo stimma l’auto- impollinazione spontanea in ogni caso non è esclusa, ma sembra, per la nota mancanza di fruttificazione in quelle località riparate dove la pianta non riceve visite da parte degl’insetti (Nerner. 1. cit. p. 456), essere di nullo o scarsissimo effetto. Knuth (l. cit.) pure scrive di non aver mai osservato alcuna vi- sita d’insetti nei fiori di questa pianta, malgrado una attenta sor- O e O wi Ae sr deu tà E” ESA FETI IA IP ROIO N RITO Se OPTIO II AIA TE ; RITRINIA Vs ST QI veglianza. nei boschi presso Kiel e Flensburg, e in conseguenza. scarsissima produzione di frutti. La fruttificazione di questa pianta avviene soltanto nelle loca- lità soleggiate, al margine dei boschi, dove gl’insetti abbondano e ne Visitano i fiori, mentre nell’ interno del bosco, dove le piante crescono all'ombra e gl’insetti sono molti scarsi, la pianta è quasi sempre sterile e la sua moltiplicazione avviene per mezzo di bul- billi all’ascella delle foglie. Kirchner (1900) in località boschive soleggiate trovò i fiori vi- sitati da due ditteri mangiatori di polline e da coleotteri (MeZigethes ed un Cerambicide); ed in alcuni esemplari osservò giovani silique. D. enneaphyllos L. [Schulz, Beitr. II, p. 14; Fritsch, BI. Unt. v. Steiermark; 1905]-I petali giallo-biancastri sono lunghi 13-17 mm. Esternamente alla base dei filamenti corti si trova un cercine se- milunare, diretto verso l'esterno, e innanzi al punto di mezzo delle basi di ogni coppia di stami lunghi si trova ancora un nettario più largo, diretto verso l’alto. Questi quattro nettarii producono scarsa quantità di nettare. Le antere degli stami più lunghi si trovano allo stesso livello dello stimma, spesso sessualmente maturo prima ancora della loro deiscenza, o più di rado alquanto più basse e si ricoprono di polline mantenendo ordinariamente una posizione quasi orizzontale. Spesso i filamenti si girano un po’ verso l’esterno ovvero verso l’interno. Poichè gli starhi edi petali, anche col tempo più caldo, poco si espandono, così le antere si trovano molto vicine allo stimma o sono con esso a contatto, e l’autoimpollinazione spontanea può fa- cilmente accadere. Le antere degli stami corti si aprono contemporaneamente @ quelle degli stami lunghi o poco tempo dopo (Schulz, 1. cit.). Nel Tirolo meridionale (vicinanze di Paneveggio e San Martino) Schulz osservò i fiori di questa specie visitati principalmente da nottue, oltre che da ditteri e da piccoli coleotteri. Fritsch esaminò esemplari nei dintorni di Graz e fa rilevare che all’aprirsi del boccio fiorale lo stimma, già sessualmente ma- turo, sporge tra le antere ancora chiuse e perciò il fiore è disposto soltanto per l’incrociamento. In un secondo stadio fiorale si allungano i petali e i filamenti; le antere degli stami lunghi circondano lo stimma o più o meno lo sovrastano; l’autoimpollinazione spontanea non può mancare. Presso Maria-Trost Fritsch osservò Bombdus pratorum %, presso Judendorf un Anthobium in gran quantità ed alcuni esemplari di Orchestes fagi e Thrips. — 105 — Non ebbe l’occasione di osservare nottue nelle ore di sera, non- dimeno la struttura fiorale accenna ad un adattamento per l’impol- linazione mediante apidi e mediante farfalle, la bocca del fiore es- sendo molto stretta. D. digitata Lam. [Kirchner, Mitteil, I; 1900] - Esemplari del Monte Baldo, esaminati da Kirchner mostravano nei fiori i seguenti rapporti di grandezza. I sepali lunghi 7 mm. e larghi 4'/, mm.; la lunghezza dei petali era di 19 mm., dei quali 7 per le unghie, erette, che chiudono completamente gli spazi esistenti tra le estre- mità superiori dei sepali, e 12 per le lamine che, larghe 10 mm., colorate in lilla chiaro con venature più cupe, sì espandono oriz- zontalmente in un diametro fiorale di 26 mm. I fiori sono debolmente proterogini; sopra un pistillo alto 8 mm. il cui ovario è violetto chiaro e lo stilo verde, sta lo stimma ro- tondo, biancastro, sessualmente maturo all’aprirsi del fiore, mentre le antere non si aprono se non quando la corolla si è tutta espansa. L’ingresso fiorale largo 5 mm, è quasi interamente chiuso dallo stimma e dalle antere dei quattro stami più lunghi che lo circon- dano. Le antere, portate da filamenti violetto-chiari, sono giallo- verdastre e deiscono per due fessure longitudinali nel loro lato in- terno, mostrando un polline grigio-biancastro. Poichè i quattro stami più lunghi hanno la stessa lunghezza del pistillo e le antere sono in immediata vicinanza con lo stim- ma, l’autoimpollinazione spontanea avviene di regola. Le antere degli stami più corti si trovano sotto lo stimma, 2-3 mm. al disotto di quelle degli stami lunghi e deiscono anche un po’ più tardi. Anche dopo la deiscenza, i lati coperti di polline di tutte le antere rimangono rivolti verso l’interno, però le quattro superiori sì girano più tardi volgendo in alto il lato coperto di polline. Nel fondo del fiore si hanno due nettarii verdi, a ricca secre- zione, i quali a guisa di ferro di cavallo cingono esternamente e lateralmente le basi dei due stami corti. Esemplari coltivati nel giardino botanico di Hohenheim presen» tavano fiori di maggiori dimensioni e più vivamente colorati, rag- giungendo il diametro fiorale di 35 mm. Meno qualche piccola variante nella forma dei nettarii, Kirchner riscontrò che nelle di. sposizioni fiorali essi concordavano con quelli esaminati sul Monte Baldo. D. laciniata Miill., specie americana, è stata osservata da Ro- bertson (F7ovv. IIT. Bot. Gaz. XIV, 1889, pp. 298-299). I fiori bianchi Vi AR ET SALI. É ne, ESSERI? PELO CIS TV IO e Sia, 1 ENI TE GT FRENA ì 9 hs cir 0 PATER AI MOLA SISSI SET FELL RE I NEI RITTER IAA ON. SI E se n pento iti mense vd I È a = A a itato LATP, SS) Seà La “Sao o porporini concordano nelle loro disposizioni con quelli di Car- damine pratensis; la ventricosità dei sepali, sottostanti ai quattro nettarii, è pero la stessa in tutti e quattro. Lo stimma, d’ordinario, sovrasta le antere, tuttavia, mancando la visita degl’insetti, la possibilità dell’autogamia non è piena- mente esclusa. Insetti con tromba lunga S mm. possono facilmente raggiungere il nettare profondamente nascosto, ma anche visitatori ad organo succiante più corto sono capaci di forzare lo stretto ac- cesso al nettare e goderne. Robertson nell’Illinois osservò 8 apidi longilingui e 6 brevilingui, 3 ditteri longilingui e 2 farfalle; Trelease nel Wisconsin osservò due api longilingui ed una farfalla (da KXnutA, III, 1, p.320). È: Gen. Ricotia L. d Fiori grandi, violetti. Sepali muniti di tasche nettarifere. Net- È tarii due, situati tra ciascuno stame breve e l’ovario (Villani, bi: Malp. XIX). È RE. lunaria DC. — I due nettarii sono tubercoliformi, secondo A Villani (loc. cit.). 7 Gen. Lunaria L. Dl I Fiori grandi, violetti, omogami, a nettare nascosto. È. L. annua L. (L. biennis Mnch.). [Mattei G. E., Not. bot.; Warn- i: storf, Rupp: Fl. 38: Knuth, Bot. Centrbl. Bd. 70, 1897] ha fiori ; violacei (con alcune linee bianche alla fauce della corolla, secondo Mattei), privi di odore (con lieve odore narcissino, secondo Mattei), i cui petali con le unghie formano un tubo lungo soltanto 10 mm., cosicchè il nettare è accessibile ad insetti a corta tromba. Le antere dei quattro stami lunghi sporgono fuori dell’ingresso fiorale, rivolgendo verso l’interno i lati coperti di polline. L’au- toimpollinazione avviene perciò spontanea per la caduta di polline o mediante gl’insetti che visitano il fiore. Gli stami più corti sono alla base arcuati lasciando così il posto per i nettarii situati nel loro lato interno. Le antere degli stami corti rivolgono pure i lati coperti di pol- line verso lo stimma, ma poichè i filamenti degli stami lunghi cir- condano il pistillo ed impediscono il contatto fra lo stimma e le antere degli stami corti, il loro polline è riservato all’incrocia- mento. Nel giardino della scuola di Kiel Knuth osservò Vanessa ur- ticae e Pieris brassicae L.T, Anthophora pilipes F.T; Apis mellifica; Bombus lapidarius (Bijdr); Andrena gwinana K. 3 e Syritta pipiens. Mattei, nelle vicinanze di Bologna, vide frequentemente i fiori visitati da Bombylius major che ritiene poco utile alla dicogamia (incrociamento) delle piante per il suo particolare modo di dipor- tarsi su) fiori. L. rediviva L. [ Kirchner, Mitteil. I.; Gunthart, Beitr.]. — Circa i fiori di questa pianta Knuth (II, 1, p. 110) riporta soltanto che Loew nel giardino botanico di Berlino ne vide visitati i fiori da Apis mellifica. Ma già Sprengel (Entd. Geh. p. 331) scriveva che i fiori di questa specie « presentano due nettarii sui quali stanno i due filamenti più corti, ed i due sepali opposti ai nettarii sono alla base gibbosi per raccogliere il nettare da essi prodotto ». Ve- lenovsky (1. cit. Tav. II, fig. 28 e 29) ed un po’ diversamente Hil- debrand (Saftdr. Cruc., tav. I., fig. 6) ne hanno figurato i nettarii i quali circondano completamente i filamenti corti e prolungandosi ai loro lati interni in forma di piccoli coni, e finalmente Delpino (Ult. Oss. II, 2, p. 48) ricorda che i fiori emanano un odore giacintino. Kirchner (in esemplari dei dintorni di Urach, Schwibisch Alb) constato un profumo più sensibile, che ricordava quello del capri- foglio. Probabilmente i fiori riceveranno la visita di farfalle not- turne, a cuì accenna anche il colore bianco o bianco-bleu della co- rolla. Di giorno però sono visitati da bombi, Pierîs napîi e da numerosi Meligethes che ne divorano le parti fiorali. I fiori sono omogami, tutte le antere deiscono dal lato interno e non cangiano posizione; lo stimma si trova in principio al di- sotto delle quattro antere superiori, ma più tardi (forse dopo l’av- venuta fecondazione?) per l’allungamento dell’ovario viene a tro- varsi fra esse ed infine anche più alto. L’autoimpollinazione è perciò inevitabile. I due nettarii, che Kirchner trovò corrispondenti a quelli figu- rati da Velenovsky, hanno ricca secrezione. Secondo Giinthart, che esaminò piante raccolte nel Klònthal, i fiori appariscenti hanno un diametro di 20-25 mm! La profondità del tubo corollino raggiunge 8-9 mm.; i sepali sono pelosi, muniti di profonde tasche nettarifere e raggiungono un terzo della lun- ghezza dei petali, che è di 15-20 mm. I due nettarii sono situati al lato interno degli stami corti. I filamenti lunghi possiedono nel loro lato interno una aletta membranosa, diretta obliquamente in basso verso il nettario; il canale quindi originato che comincia al disotto delle antere e termina al nettario, deve essere considerato come una guida per la tromba degl’insetti. L’estremità inferiore dei filamenti corti è debolmente allargata a forma di cucchiaio. I fiori sono omogami, più raramente debolmente proterogini, però, nel maggior numero dei casì, proterogini nel boccio. L’auto- ia le meat etti AA PRE è age a AT RIE, VE PR ag a MET NR AVRA PASTI SR De: + CASE: i REPRP 1L L 5; PETRI ET i 2.00] b> y “asi — 1088 — ID E i Da bi derit i: gamia è inevitabile, trovandosi lo stimma durante tutta l’antesi fra le quattro antere superiori. Le antere degli stami corti servono esclusivamente all’allogamia. Ta Gen. Selenia Nutt. 2 Fiori gialli. Nettarii 10 (Villani, Malp. XTX).. È Nella S. aurea Nutt. il numero dei nettarii varia, a volte si i trovano 8 nettarii, a volte 10 (Vz2Zani, 1900). Gen. Schizopetalum Sims. Petali bianchi o porporini. Nettarii due. "A S. Walkeri Sims. — I due nettarii, verdi, sono inseriti alla base je di ciascun filamento breve, circondandolo esternamente, e sono for- niti di due unguicole, giallognole all’apice, rialzate e divergenti ai a lati degli stami lunghi ( Vé2lani, Malp. XIX). di Ha fiori molto belli ed odorosi, i cui petali, bianchi superior- Sd mente e d’un colore verde-pomo inferiormente, si arrotolano facil- mente verso l’interno del fiore, chiudendolo perfettamente, ad ogni variazione atmosferica poco favorevole alla pianta (Villani, Malpi- ghia XVII). Gen. Dithyrea Harv. D. Wislizeni Engelm. — Cockerell (The Zoolog., 4° ser., vol. II, n. 680. 1398, p. 80) osservò a visitarne i fiori nel Nuovo Messico tre api brevilingui e Ammophila-sp. (da Knuth, ITI, 1, p.320). Gen. Hutchinsia R. Br. Fiori piccoli, bianchi, omogami o proterogini, a nettare parzial- mente nascosto. Nettarii 4. H. alpina R. Br. [Muller, Alpenbl. p. 150; Schulz, Beitr. II, p. 17]. — Secondo Miiller i fiori sono proterogini; quando il fiore si apre tutte le antere sono ancora chiuse e sovrastate da lo stimma, già ma- turo. In questo stadio fiorale, mediante le visite degl’insetti, l’incro- ciamento è favorito dalla posizione dello stimma e dalla proteroginia. Internamente, ai due lati della base di ognuno degli stami più corti si trova un tubercolo carnoso verde che produce nettare. Tutte le sei antere rimangono col lato coperto di polline rivolte verso lo stimma. In molti fiori le quattro antere degli stami lunghi giungono al!o stesso livello dello stimma, e soltanto esse assicurano, in man- canza della visita degl’insetti, l’autoimpollinazione spontanea. Nelle Alpi, all’ospizio dell’Albula, Mùller osservò i seguenti dit- teri visitatori: f'hamphomyia antracina ®, Rh.-sp., Anthomyia sepia, Musca domestica, Pogonomyia alpicola, Platycheirus melanopsis. P Ae — 109 — Schulz nel Tirolo meridionale trovò 1 fiori omogami o debol- mente proterogini, e di regola le antere degli stami lunghi vengono a contatto con lo stimma, sicchè l’autoimpollinazione spontanea è facilmente possibile. Malgrado le dimensioni meschine dei nettarii la secrezione è abbastanza considerevole. Come Miiller anche Schulz osservò visitatori dei fiori piccoli ditteri. i Secondo Kerner, che riporta i fiori pure come proterogini, uno dei quattro stami più lunghi si avvicina per lo più tanto allo stimma, che questo possa riceverne il polline, e quando ciò è avve- nuto, lo stame se ne allontana di nuovo portandosi verso la periferia del fiore (1. cit. p. 333-334). Mac Leod, nei Pirenei, osservò due ditteri: HMylemyia cinerella Meig. 9 e Limnophora compuncta Wied. d. H. procumbens (L.) Desv. — Secondo Villani (Ma/p. XIX) i quattro nettarii sono tubercoliformi e ciascun paio è inserito alla base ed ai lati degli stami corti, mentre nella H. alpina subiscono spesso tali modificazioni da assumere l'apparenza di due soli net- tarii, contornanti gli stami brevi, e dai quali spiccano sottili prolungamenti che terminano alquanto rigonfiati sotto gli stami lunghi. Gen. Capsella Moench. Fiori piccoli, bianchi, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettaril 4. C. bursa pastoris Moench. [Mii2ler. Befr. p. 138; Weit. Beob. II, p. 204; Kirchner, Fl. p. 811; Mac Leod, Bevr. p. 393; Knuth, Ndfr. Ins. p. 31, 149; Avebury, Br. FI. Pl. p. 87] ha piccoli fiori bianchi a quattro nettarii, uno per lato ed alla base dei filamenti corti. Tutte le antere volgono verso lo stimma il lato coperto di pol- line, e quelle degli stami lunghi sono alla stessa altezza dello stimma e così vicine ad esso, che l’autoimpollinazione spontanea avviene di regola ed è anche fertile. Gl’insetti con le loro visite possono provocare auto- ed eteroimpollinazione. Talvolta i petali, tutti o in parte, sono trasformati in stami. Breitenbach (Blumenpolym., Kosmos 1884, Heft 3, p. 206-207) ha osservato in Westfalia oltre i fiori ermafroditi, anche fiori femmi- nili, più grandi. Willis (Proc. Cambridge Phil. Soc. 1893) osservò anche in In- ghilterra la ginomonecia e la ginodiecia, e le ricerche di Burkill (Spring. Flovv., 1897) confermano la supposizione che la ginomo- necia e la ginodiecia di C. bursa pastoris è prodotta dal freddo. e tl o va rt di nigi e pr ENTE NE SIN N pr gi A UR ci Seta La PRESO DI di "e nt" Y ui "Ze ur Te = ® * NIE nba vo SRI IMI bea PRU ty as ago Anche Warnstorf osserva che nei primi fiori presso Ruppin (Rupp. Fl., Bot. Ver. Brand. Bd. 38) gli stami spesso abortiscono, e nel corso ulteriore della fioritura si trovano solo fiori ermafro- diti le cui antere stanno allo stesso livello dello stimma, per cui l’autoimpollinazione è inevitabile. Miller (Befr.) osservò in Vestfalia i seguenti ditteri: Eristalis nemorum L., Syrphus balteatus Deg., Syritta pipiens L., Ascia po- dagrica F., Melithreptus scriptus L., M. taeniatus Mgn.; M. pictus Mgn., Anthomyia; in « Weit. Beob. » elenca ancora: CArysotorum bicinctum Pz.; Anaspis rufilabris Gylh.; Sapyga clavicornis Sh., Pro- sopis pictipes Nyl.T; Pr. Signata Nyl T; Adela violella Tr.; Thrips. Schmiedeknecht osservò in Turingia Anthrena distinguenda Schek.; Alfken, presso Brema, Anthrena flavipes Pz. $; Verhoeff nell’isola Baltrum i ditteri: Atrhomyia-sp., Cynomyia mortuorum L., Syritta pipiens L. Knuth nell’isola Fòhr e presso Kiel: Syritta pipiens L.; nel- l’isola Rom Eristalis-sp. Nel Tirolo Dalla Torre osservava l’ape AntArena rosae Pz.; Schletterer presso Pola osservava gli apidi: Anthrena parvula K., Eucera longicornis L., Halictus malachurus K., e i tentredini : Athalia spinarum F., A. rosae L. var. liberta Klg. Mac Leod nelle Fiandre osservò: Apîs, 9 imenotteri brevilingui: Andrena albicans Miller. 9, A. minutula K., A. nitida Fourer. 9g, Halictus minutus K. 9, Prosopis hyalinata Smith gd; Odynerus pa- rietum L., Oxybelus uniglumis L. T, Dolerus palmatus K1. I, Cephus pygmaeus L.; sirfidi, un muscide, un coleottero ed una farfalla. Nei Pirenei lo stesso Mac Leod: Anthomyia tetra Meig. e Antho- charis cardamines. Willis e Burkill (IV) nella Gran Bretagna: Siphona geniculata Deg. e Antomyia-sp. Poppius (l. cit.) a Geta: Scaeva ribesii e Aricia pluvialis L. Silén (1. cit.) a Kexholm: Syritta pipiens L., Melithreptus-sp., Ascia podagrica F. 9, Dinera grisescens Fall. d. Macchiati (Cat.): Culex pipiens, Chrysotorum bicinctum, Anaspis frontalis, Prosopîs annulata e 2 specie di microlepidotteri. Burkill nell’India: Halictus polyctor Bingh. $. Goebel (1904) riferisce di aver vista questa specie con fiori ipocleistogami (nel senso di Franceschini) durante una estate calda ed asciutta. Ottenne pure esemplari a fiori ipocleistogami assogget- tandoli a scarsa nutrizione. C. pauciftora K. — Secondo Kirchner (1893) in esemplari del Tirolo meridionale non si osservava alcuna secrezione di nettare. —id.—T In esemplari, invece, coltivati nelle più favorevoli condizioni, ai due lati della base di ciascun filamento corto si osservarono net- tarii d’un verde-cupo, piccoli, con produzione di nettare. C. gracilis, forma che secondo alcuni è considerata come un ibrido, secondo Ross (Ma/p., anno V) mostra polline abortito ed ovoli che hanno perduto la facoltà riproduttrice. Gen. Camelina Crantz. Fiori gialli, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4. C. sativa Crntz. [Kirchner, N. Beob., p. 25, Fl. v. St., p. 306; Warnstorf, Rupp. FI., 1905; Anuth, Ndfr. Ins., p. 29]. — I quattro nettarii sono situati uno per lato di ciascun filamento breve. Il diametro dei fiori raggiunge soltanto 4 mm. Le antere degli stami più lunghi sono al medesimo livello dello stimma e molto vicine ad esso; esse servono perciò all’autoimpollinazione. Le an- tere degli stami corti sono più in basso e curvate verso l’esterno ; servono per l’incrociamento. Warnstorf (sub C. microcarpa Andrz. riporta pure i fiori come omogami ed autogami. Knuth (£i)dr.) osservò presso Kiel il coleot- tero Meligethes nei fiori di questa specie. Secondo Savastano (1883), che la include fra le specie apistiche del Napoletano, è frequentata dalle api. Gen. Neslea Desv. Fiori piccoli, gialli, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 2. N. paniculata Desv. —- Secondo Kirchner (£7., p. 316) si ha nei fiori un debole accenno di due nettarii in forma di piccoli cusci- netti, su 1 quali si elevano i filamenti più corti (cfr. Hildedrand, Saftdr. d. Crucif.). Villani (Ma/p., XIX) ha riscontrato invece quattro nettarii, ora disposti come in Hutchinsia, ora i due situati ai lati di ciascuno stame breve confluiscono tra loro per una sottile striscia nettarifera posta all’esterno di esso stame in modo da far credere trattarsi di due soli nettarii, ciascuno contornante esternamente una porzione del filamento corto. Hildebrand (l. cit.) del resto menziona che sono numerosi i casi in cui i due nettarii si presentano sviluppati, ma sono molto diversi fra loro, concordando solo nel fatto di trovarsi quasi senza eccezione alla base dei filamenti corti. In generale si possono di- stinguere tre casi: i nettarii si trovano sul lato esterno fra il fila- mento ed il calice, oppure intorno alla base dei filamenti, o tra l’ovario e la base del filamento, e perciò al lato interno di questo. Tutte le antere aperte sono rivolte verso lo stimma. vie e - A 2 dI p° MI Mito pel e ST PR N EINEN L’autoimpollinazione spontanea è facilmente possibile: secondo Warpstorf (Rupp. FI., 1905) le antere sovrastano alquanto lo stimma. Gen. Draba L. Fiori piccoli, bianchi o gialli, omogami o proterogini, a nettare parzialmente o completamente nascosto. D. hirta L. è dell'Europa artica. Nella varietà rupestris Hartm. secondo Warming (Biol. Opt., I) tutte le antere depongono il polline su lo stimma, mentre nella forma lejocarpa Lindbl. la deposizione del polline avviene soltanto da parte degli stami più corti ed anche con difficoltà. Warming osservò frutti maturi della prima forma presso Hol- stensborg e della seconda presso Godhavn, in Groenlandia. Ekstam (Nov. Semlja) ne trovò della prima nella Nuova Zembla. Classe fiorale A B. Giinthart (Beitr., p. 16) nel Giardino botanico di Zurigo trovò i fiori di questa specie decisamente proterogini. Il pistillo cresce e sorpassa l’androceo, prima che questo entri in funzione, cosicchè l’autoimpollinazione, per lo meno diretta, è impossibile. La lunghezza dei petali misura 4-5 mm. Ai lati della base di ciascun filamento corto si trovano due nettarii. D. borealis Bge. secondo Kerner (1. c. p. 333) ha fiori protero- gini. Verso la fine della fioritura le antere degli stami lunghi, me- diante curvature dei filamenti si piegano verso il centro del fiore, ed il polline arriva facilmente per lo stimma. Il polline degli stami corti è destinato all’ incrociamento. D. altaica Bge. [Giinthart, Beitr., p. 14; nel Giardino botanico di Zurigo]. — I petali sono bianco-lattei ed il diametro della co- rolla misura 4-5 mm. I nettarii, a forma di semicerchio, circondano il lato esterno delle basi dei filamenti corti. Le differenze di tempo nella deiscenza delle antere e di spazio nella posizione delle antere delle due sorta di stami sono molto pronunciate e rimangono invariate fino al termine dell’antesi. Le basi dei filamenti staminali sono ingrossate e determinano quattro tubi per i quali la tromba d’un insetto dev'essere intro- dotta per giungere al nettare (« fiore revolver »), ed il modo di comportarsi degl’ insetti che visitano questi fiori corrisponde inte- ramente a questa particolare loro struttura. Si osserva, cioè, sempre che gl’insetti dopo aver cominciato a succiare, ancora per tre volte successive alzano il capo e lo riabbassano per succiare ad ogni volta. La torsione dei quattro stami lunghi non comincia che tardi e cessa quando hanno assunto contro gli stami più corti la posizione già descritta più volte per altre specie. Lo stimma e le antere superiori stanno per tutto il tempo della fioritura press’a poco al medesimo livello. Lo stimma è già nel boccio ricoperto di papille e diventa completamente sviluppato ancor prima che avvenga l’apertura della corolla. L’autoimpollina- zione spontanea è possibile per tutta la durata dell’antesi. D. oblongata Martins, dello Spitzberg, secondo Delpino (1900) è riferibile alle crocifere omogame, miomelittofile. D. corymbosa R. Br. secondo Warming (l.. cit.) è omogama e ne osservò frutti maturi presso Holstensborg, Egedesminde e Godhavn. Tutte le antere sono rivolte verso l'interno senza subire torsioni, ma gli stami più lunghi sì piegano alla sommità più o meno late- ralmente verso i più corti, le cui antere si aprono pure verso lo stimma. D. Wahlenbergii Hartm. — Secondo Miller (Alpendl., p. 146) i nettarii si trovano a ciascun lato della base dei due filamenti corti. Tutte le antere deiscono verso l’ interno e non subiscono alcuna tor- sione. In mancanza della visita degl’insetti avviene regolarmente l’autoimpollinazione. Gli esemplari di Groenlandia concordano con quelli delle Alpi a riguardo dei nettarii e della omogamia, e frutti maturi trovò Warming (l. cit.) presso Godhavn ed Ekstam (l. cit.) nella Nuova Zembla. Anche Lindman (Bot. Centrbl., Bd. XXX, 1887) per la Scandinavia riferisce analogamente. D. frigida Sant. — Omogama. Autoimpollinazione possibile. Miiller (A/pendl., p. 147) osservò un muscide: Anthomyia-sp. D. Thomasti Koch. — Miiller (Alpenbl. p. 147) osservò i seguenti insetti a visitarne i fiori: Aricia serva, Homalomyia canicularis, Ta- china-sp., tra i muscidi; ChQeilosia hercyniae, sirfide, e Formica fusca ed una cimice. D. nivalis Liljebl. — Anche in questa specie l’autoimpollina- zione, secondo Warming (l. cit.) è inevitabile, trovandosi le antere addossate contro lo stimma. Frutti maturi furono osservati da Warming presso Holstensborg, in Groenlandia. Classe fiorale AB. I fiori sono piccoli e bianchi. D. incana L., pure boreale, non si allontana in sostanza dalle altre specie; è omogama e autogama. Warming (1. cit.) ne osservò frutti maturi presso Godthaab, Jakobshavn, Holstensborg. D. artica J. Wahl. è pure omogama ed autogama, e Warming ne osservò più volte frutti maturi. ANNALI DI BOTANICA. — VoL, XI. 3 — iaia ri SD e at & Pia” | mini a da Sl ni SU te a: Sissi Classe fiorale AB. D. alpina L. secondo Lindman (l. cit.), sul Dovrefjeld, è omogama. e le disposizioni fiorali menano all’autoimpollinazione inevitabile. Secondo Ekstam nella Nuova Zembla i fiori bianchi o gialli, senza odore, di questa specie, sono proterogini-omogami, ed alla base degli stami corti si trova per ciascun lato una glandola nettarea. Nel boccio le antere non sono ancora aperte, ma lo stimma, che è alquanto (1 mm.) più alto, è già papilloso. In un fiore aperto le. antere e lo stimma stanno allo stesso livello, quelle, talvolta, un po’ più in alto. Le antere deiscono all'apice e si curvano nello stesso tempo contro lo stimma o sopra di esso, cosicchè l’autoim- pollinazione avviene facilmente. Furono trovati frutti maturi, ma Ekstam non osservò insetti visitatori. Allo Spitzberg i fiori, omogami, emanano un debole profumo. D. crassifolia L. è omogama secondo Warming (l. cit.) che la trovò in ricca fruttificazione nel Lyngmarksfjaeld presso Godhavn, a 1000 piedi di altezza. Tutte le antere stanno quasi alla stessa altezza e vicine al pi- stillo, che è molto corto ed ampio, ed ha un breve stilo il cui stimma è sessualmente maturo nello stesso tempo in cui le antere sono aperte. D.aureaM.Vahl. -I petali gialli formano con leloro unghie erette un tubo, cosicchè solo insetti a lunga tromba possono arrivare al net- tare, che probabilmente è prodotto da quattro glandole alla base degli stami più corti. I fiori sono omogami: mediante gli stami più lunghi è assicu- rata l’autoimpollinazione spontanea, mentre gli stami più corti ser- vono all’ incrociamento ( Warming, Biol. Opt. I.). D.repens Bieb., è stata descritta dal Giinthart (l. cit.) in esem- plari d’un giardino di Zurigo. Il calice giallo è alla base rigonfio e fornito di sparsi peli biau- chi. I petali, lunghi 4-45 mm. possiedono una distinta venatura. I nettarii sono situati ai due lati della base di ciascun fila- mento corto, in forma di corpi ovali, carnosi, grandi, con tracce di collegamento fra loro. I fiori sono in principio proterogini. Lo stilo si allunga subito dopo l'apertura del fiore, cosicchè lo stimma già maturo viene a trovarsi sopra le antere, prima che queste entrino in funzione. L’autogamia è esclusa. In molti fiori però Giinthart osservò le antere aprirsi quando lo stimma le attraversava, cosicchè l’autogamia era immancabile. x NOM LIRTTONIA Sembra (Kerner, l. cit. p. 394) che l’autogamia prodotta artifi- cialmente rimanga senza effettto. D. aizoides L. [ Hildebr., Saftdr. Crucif., Miller, Alpenbl. p. 145- 146; Kerner, 1. cit. p. 331; Gunthart, Beitr. p. 13; Avedury, Br. FI. PI. p. 84]. - Nei fiori giallo-dorati che poi a poco a poco si fanno bianchicci si hanno due nettarii aì lati di ciascun filamento corto dei quali quelli situati ai lati esterni sono più sviluppati di quelli interni (Hi/debr.). Quando il fiore si apre, lo stimma maturo sovra- sta le antere ancora chiuse. Queste si aprono quando i filamenti lunghi sono arrivati allo stesso livello dello stimma. Inclinandosi poscia le antere contro di esso, l’autoimpollinazione spontanea è possibile (M%w2ler, Kerner, Avebury). Col tempo soleggiato gli stami sì allontanano tanto l’uno da l’altro che il nettare diviene visibile, e gl’insetti visitatori favori- scono l’incrociamento. Col tempo freddo, invece, i fiori rimangono semichiusi, ed il polline degli stami lunghi perviene per virtù pro- pria su lo stimma (Miller). Secondo Hiidebrand dal nettario che circonda la base di ogni stame breve procede un debole prolungamento, all’esterno, verso la coppia opposta di stami lunghi (cfr. Villani. Malp. XIX), che produce scarsa quantità di nettare e sembra per la pianta una for- mazione inutile. Lo stesso Hildebrand riferisce che l’autoimpolli- nazione è impedita. Secondo Giinthart che esaminò questa specie nel giardino bota- nico di Zurigo, lo stilo sovrasta per tutta l’antesi le antere, di modo che, a parte anche la proteroginia, l’autoimpollinazione é esclusa contrariamente alle vedute di Miiller. Tuttavia in alcuni fiori egli osservò che per la parziale chiusura della corolla, l’autogamia può avvenire. La proteroginia è poi in questi fiori, il cui diametro raggiunge 8-9 mm., meno pronunciata che in D. aizoon. Nel piano, secondo Hildebrand, i fiori sono frequentemente vi. sitati da Apis mellifica e producono numerosi frutti; nelle Alpi, Miiller (l. cit. p. 147) osservò muscidi (Anthomyia cinerella, A. dis- secta, A. sepia, A. trapezina, A.-sp., Aricia serva, Scathophaga merdaria) e sirfidi (Cheilosia brachyssoma, Ch. vernalis, Ch.— sp., Chrysogaster Macquarti, Eristalis arbustorum, E. tenax) tra i ditteri: Psodos coracina, Plusia gamma, Vanessa cardui, Lycaena orbitulus, Syrichtus alveus, Zygaena exulans, Asarta aethiopella, Botys cespi- talis, Catastia auriciliella, Brachycrossata tripunctella, tra i Lepidot- teri, e Dasytes alpigradus tra i coleotteri. D. Majellensis Kern., osservata da Giinthart (1. c.) in un giar- dino di Zurigo, presenta petali gialli, della lunghezza di circa 4 PELI PROE IE INEO 0 ET MR SE di. sr LE mm. Il nettare è prodotto da un anello che circonda la base dei filamenti e si raccoglie nel fondo del calice, più rigonfiato che nella D. aizoides. Quantunque i fiori sieno omogami, l’autoimpollinazione spon- tanea è esclusa dalla distanza che intercede fra gli organi sessuali. Lo stilo che in principio ha la stessa lunghezza degli stami, cresce poscia rapidamente e sorpassa le antere. Frequentemente Giinthart osservò formiche a rubare il nettare. D. Zahlbruckneri Host. [Kirchner, Beitr. p .26: esemplari di Riffel- berg presso Zermatt]. — I fiori sono piccoli, giallo-dorati e protero- gini. Quando il fiore comincia ad aprirsi, lo stimma già sviluppato è incluso ordinariamente nell’ ingresso fiorale, più raramente vi stanno le antere ancora chiuse dei quattro stami più lunghi ed al- quanto più basso lo stimma. Più tardi tutte le sei antere si trovano nell’ingresso fiorale al di sopra dello stimma, cosicchè è possibile l’autoimpollinaziorie spontanea dopo che le antere si sono aperte. Il nettario è rappresentato da quattro piccolissime glandole, verdi, che si trovano ai due lati della base dei due filamenti corti. D. aizoon Wahlb. secondo Giinthart (1. cit.) presenta fiori gialli, il cui diametro raggiunge 9-10 mm. Un anello carnoso che circonda tutti i filamenti produce nettare copioso che in forma di piccole gocce si raccoglie fra le porzioni basali dei filamenti. Esso è facil- mente accessibile dall’alto e sempre visibile. I fiori esaminati in un giardino di Zurigo erano tutti decisamente proterogini, sporgendo lo stimma papilloso dal fiore ancora in boccio. Per tutta la durata dell’antesi esso sorpassa considerevolmente le an- tere, cosicchè l’autoimpollinazione spontanea è esclusa, a prescin- dere anche dalla proteroginia. Le papille stimmatiche appassiscono dopochè le prime antere sì sono aperte; le antere degli stami più corti si aprono sempre più tardi di quelle degli stami lunghi. Ginthart osservò a visitare questi fiori alcuni ditteri, nonchè Apis (tre sole visite in un'ora). D. lasiocarpa Rchb. ha fiori proterogini, gialli. Lo stimma, ses- sualmente maturo, sporge già dal boccio. Le antere dei quattro stami lunghi incominciano a coprirsi di polline quando per l’allun- gamento dei filamenti sono pervenute all'altezza dello stimma. L’au- toimpollinazione spontanea succede allora abbastanza frequente- mente per diretto contatto degli organi sessuali. Alla fine dell’antesi i petali non caduchi cangiano di colore e di- ventano bianchi (Gwnthart, }. cit., p. 15: esemplari d’un giardino di Zurigo). N ‘TA alta 7 e CALZA MRI sii — 117 — D. olympica Sibth. — Il diametro della corolla aperta misura 6- 8 mm. Il nettare è prodotto e nascosto nel modo che si dirà e sì è detto per D. Dedeana e D. altaica. Due sepali sono alla base ri- gonfi e per lo più pieni di nettare. I fiori, gialli, sono omogami: il pistillo è sempre più corto degli stami, anche di quelli più brevi. Le antere superiori si girano ed inclinano in avanti, cosicchè vengono a contatto con lo stimma e l’autogamia si rende possibile per la caduta del polline sopra di esso (Gunthart, 1. cit. p. 15: esemplari d’un giardino di Zurigo). D. Dedeana Boiss. ha fiori bianchi, omogami, a nettare na- scosto. Questo è prodotto da glandole poste al lato esterno della base di ciascun filamento : quelle dei due filamenti corti si presen- tano maggiori delle altre. Gli stami interni sono della stessa lunghezza del pistillo e poichè le antere mantengono sempre la loro posizione primitiva, l’autoim- pollinazione spontanea avviene facilmente. La corolla ha un diametro di 7-8 mm. (Gunthart, 1. cit. p. 14- 15: esemplari d’un giardino di Zurigo). Gen. Erophila DO. Fiori piccoli, bianchi, omogami o debolmente proterogini, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 4. E. verna KE. Meyer (= Draba verna L.) [Muller Befr., p. 135, Weit, Beob. I, p. 327; Hildebrand, Gesch. — Verth p. 70: Kerner, l. cit. p. 183, 333; Kerchner,, FI. p. 305; Mac Leod, Bevr. p. 391; Knuth, Nfr. Ins. p. 28] — Alla base e ad ogni lato dei due stami più corti si trovano due glandole nettaree verdi, piccole. Le antere, introrse, degli stami più lunghi sono così vicine allo stimma sul quale alla più lieve scossa può arrivare del loro polline, che l’autoimpollinazione spontanea è immancabile Questa, secondo le ricerche di Hildebrand (cfr. anche Rosen, Bot. Zeit. 1889, p. 605- 608) è coronata da successo. Le antere degli stami più corti sì trovano più basse dello stimma e servono quindi all’eteroimpollinazione. Secondo Kerner i fiori sono proterogini, tuttavia le antere dei- scono lo stesso giorno dell’antesi e l’autoimpollinazione spontanea è dovuta al piegarsi degli stami verso il centro del fiore. I petali, se- condo lo stesso Kerner, si accrescono durante la fioritura. Jordan ha distinto delle forme di Erophila a frutto breve — nelle quali i fiori si presentano nel modo che è stato detto — e delle forme a frutto lungo, nelle quali lo stimma sovrasta le antere e la fruttificazione rimane spesso interrotta. Knuth presso Kiel osservò soltanto Apis mellifica a succiar net- È biliari CTR fl in A Delo PAST, ica ei atta ee) TN PP stai — 113 — tare e a raccoglier polline da questi fiori. Miller in Westfalia oltre l’apeTosservò pure due api a breve glossa: Anthrena parvula K. è e Halictus-sp. ed alcuni muscidi a mangiar polline : Anthomyia-sp., Hylemyia cinerella Mg., Sarcophaga carnaria L. Alfken (cit. da Knuth: II, 1, p. III) presso Brema osservò apidi (Anthrena parcula K ® Apis \mellifica L., Bombus terrester L. 9, Halictus calceatue Scop., %, H. morto F. %, H. nitidiusculus K. ®) e muscidi: Musca domestica L. %.. Mac Leod nella Fiandre: Anthomyia radicum L. è e Hylemyia cinerella Meig. Burkill (Spring Fl.) su la costa del Yorkshire un dittero brevilingue molto piccolo, e Scott-Elliot (Flora, p. 17) nel Dumfriesshire osservò un coleottero e due ditteri. Meehan presso Filadelfia osservò che Draba verna apre i suoi fiori, col tempo soleggiato, verso le 9 am. e li chiude circa le 2 del pomeriggio; col cielo annuvolato i suoi fiori rimangono per lo più chiusi (Bot. Jahresb. 1881. 1. p. 518). Anche Coville (Bot. Gaz. XIV. 1889. p. 263) trovò durante un inverno questa specie con fiori cleistogami. Gen. Schievereckia Andr. Fiori a nettare parzialmente nascosto Nettarii 4. Sch. podolica Andrz. — Ai due lati della base di ogni filamento corto si trova un nettario. Nel primo stadio fiorale la proteroginia impedisce l’autoimpol- linazione, la quale rimane esclusa ancora per un certo tempo dopo la deiscenza delle antere, per essere queste lontane dallo stimma. Ma verso la fine della fioritura gli stami inclinano verso il centro del fiore ed allora segue l’autogamia (Kerner, l, cit. p. 167,333). In esemplari del giardino botanico di Berlino Loew osservò vi- sitatori: Meligethes aeneus F.; Scop.; Anthrena parvula K.%®, Apis inellifica L., Halictus nitidiusculus K.®. In esemplari del giardino Fròbel di Zurigo Giinthart (l. cit. pa- gina 28, sub Alyssum podolicun Bess.) osservò lo stimma svilup- pato un pò’ prima delle 4 antere superiori le quali cominciano ad emettere il polline quando hanno raggiunto la stessa altezza dello stimma ed in alcuni fiori anche un po’ prima. Ma allora gli stami crescono ancora di più, cosicchè le quattro dette antere passano vi- cino allo stimma. In questo stadio egli non vide avverarsi l’auto- gamia. Verso la fine della sua attività lo stimma per un nuovo al- lungamento dello stilo viene portato allo stesso livello delle sud- dette quattro antere e molto spesso ancora più in alto. E poichè gli stami soltanto di poco si allontanano dalla loro posizione pri- — 119 — mitiva, è possibile in questo momento l’autogamia, che Giinthart ‘osservò parecchie volte avvenire per l’addossarsi delle quattro an- tere superiori su lo stimma. Gen. Aubretia Adans. Fiori porporini, di rado bianchi. Aub. purpurea DC. fol. arg. marg. è stata minutamente descritta da Giinthart (1. c. p. 17) su esemplari di un giardino di Zurigo. Il diametro della corolla misura 10 mm., la lunghezza di un petalo è di 9-10 mm. e la profondità del tubo corollino di 8 mm. I sepali, specialmente quelli forniti dei rigonfiamenti, sono bian- chicci o d’un verde-chiaro; le lamine dei petali, violette, hanno ve- nature più scure, le unghie sono bianche. Il nettario è rappresentato da un anello verde, mediocremente sviluppato, che circonda all’esterno ie basi di tuttii filamenti, ma solo all’esterno e specialmente ai lati degli stami più corti si nota la secrezione nettarea. Il nettare si raccoglie nello sperone dei sepali corrispondenti ovvero in forma sferica tra le basi di uno stame lungo ed uno corto. I filamenti staminali sono muniti di listerelle membranose de- correnti a spira, e poichè sono tutti eretti, e specialmente i quattro più lunghi combacianti fra loro, questi quattro tubi a spira rap- presentano i soli accessi al nettare. Questa disposizione rende dif- ficile agl’insetti brevilingui di giungere al nettare, mentre a quelli appropriati designa una maniera stabilita nello sfruttamento del nettare. I fiori di questa specie sono perciò accessibili soltanto ad api longilingui ed alle farfalle. Il pistillo nella sua crescita va di pari passo con gli stami, cosicchè lo stimma si mantiene sempre press’a poco nel mezzo fra l'estremità superiore delle più alte e quella inferiore delle antere più basse. Le papille stimmatiche sono completamente sviluppate quando le antere superiori già da qualche tempo si son ricoperte di polline; i due stadi però hanno la stessa durata. I fiori, perciò, sono dapprima proterandri e più tardi omogami. L’autogamia spontanea è quasi esclusa poichè lo stimma non è atto a ricevere il polline finchè le quattro antere superiori non si sieno torte verso le due inferiori, e perchè queste sono abbastanza lontane dallo stimma per venire con esso a contatto. Quando gli stami più lunghi sono già esauriti, le antere inferiori si avvicinano ordinariamente allo stimma ancora un poco ed in qualche caso pos- sono pervenire a contatto con esso. di Zi ii) Aub. purpurea D C. fol. aur. marg., esaminata dal Giinthart (1.c.) a Zurigo, presenta la stessa colorazione dei petali che nella pre- cedente, solo che nel punto dove le lamine passano ad unghia si mostrano verdi. Sono lunghi 17 mm. I nettarii risultano di due glandole ai lati della base di ogni filamento, che quasi si toccano insieme innanzi allo stame, ma non si confondono. I filamenti staminali presentano pure delle espansioni membra- nose a spira, ma in un senso diverso che nella Aubrietia prece- dente. I fiori sono proterogini. Lo stimma si trova in principio note- volmente più basso delle quattro antere superiori, quasi all’altezza. delle inferiori. Esso raggiunge le prime quando sono quasi esaurite ma ancora in tempo perchè possa nell’ultimo momento dell’antesi aver luogo l’autogamia. Ma poichè l'allungamento dello stilo avviene spesso così tardi che l’autoimpollinazione non può avverarsi, gli stimmi di questi fiori rimangono per lungo tempo vivaci. Fiori lepidotterofili (?). Aub. croatica Schott. — I nettaril sono rappresentati da un sem- plice semicerchio, senza prolungamenti laterali, che circonda la base dei filamenti più corti. I fiori sono proterogini. Siccome i rapporti di lunghezza fra gli organi sessuali non vengono alterati verso la fine dell’antesi da un ulteriore accrescimento dello stilo, l’autogamia spontanea. è possibile per la caduta del polline su lo stimma, nè è esclusa l’autogamia indiretta (Gnthart, 1. cit. p. 19: esemplari d’un giardino di Zurigo). Aub. deltoidea DO. concorda nel colore dei fiori e nella posi- zione dei nettarii con la precedente. I filamenti staminali presentano le dette liste membranose, la- terali, meno pronunciate negli stami minori. Lo stimma non raggiunge mai la lunghezza degli stami e poi- chè i fiori sono decisamente proterogini, l’autogamia è affatto esclusa. Lo stimma è colorato in rosso (Gunthart, 1. cit. p. 20). Aub. Antilibani Boiss. I fiori violetti sono proterogini; lo stimma si eleva molto presto, tanto che al tempo in cui s’'impolverano le antere dei quattro stami più lunghi esso le sorpassa di 4 mm., e so- pravanza quelle dei due inferiori di 6-7 mm. Sicchè sporge di molto dal fiore e l’autogamia spontanea è esclusa. Ciò che si è detto si riferisce ad esemplari del giardino alpino <« Linnaea » di Bourg St. Pierre, esaminati da Giinthart (l. cit. p. 20), mentre in esemplari d’un giardino privato di Zurigo trovò e x #. TERI VII STORE la dicogamia ancor più pronunciata, ma lo stilo non sorpassava l’androceo. Lo stimma, con alcune papille tuttora vivaci agli orli, perveniva presso le antere superiori, ma nel maggior numero dei casi le antere erano ancora chiuse e l’autoimpollinazione spontanea aveva luogo affatto raramente. La struttura dei nettarii è analoga a quella di Aud. purpurea DC. fol. aur. marg., e le espansioni membranose dei filamenti sono sviluppate come in Aud. croatica Schott. Aub. Columnae Guss. (Ten.) — I fiori sono d’un violetto più cupo che nella specie precedente, ma si dànno anchè fiori bianchi, e Giinthart, (1. c. p. 21) in esemplari del giardino « Linnaea » trovò fiori freschi bianchi e violetti su uno stesso ceppo. Nettarii e liste dei filamenti staminali come in A. deltoides DC. I fiori sono proterogini, e poichè lo stimma è ancora papil- loso quando raggiunge il livello delle antere superiori, l’autogamia sembra inevitabile. Si presentano però delle differenze a riguardo del grado della dicogamia e della lunghezza reciproca degli stami e del pistillo. In alcuni rari fiori, a motivo della pronunciata dicogamia e del brusco allungamento dello stilo al disopra degli stami, l’autogamia è resa impossibile. In alcuni ceppi Giinthart osservò pure piccoli fiori con stami affatto rudimentali. Loew (cit. da Xnuth, II, p. 108) nel Giardino botanico di Ber- lino osservò i fiori di questa specie e della A. spathulata DC. vi- sitati da Apis mellifica. Aub. Leichtlini hort.—In esemplari d’un giardino di Zurigo, esa- minati dal Giinthart (1. cit. p.21),i petali misuravano 13 mm., in altri di Bourg St. Pierre trovò 18 mm. di lunghezza. Anche il co- lore dei fiori era diverso; nei primi si presentavano d’un rosso-car- minio chiaro, biancastro nella faccia esterna dei petali, in quelli di Bourg St. Pierre, del giardino alpino « Linnaea » i petali erano d’un violetto chiaro. I nettarii sono rappresentati da tubercoli ai due lati degli stami brevi, e talvolta alla base dei filamenti più lunghi si trovano ru- dimenti di altri 4 nettarii, che però non hanno alcuna secrezione. I fiori del giardino di Zurigo erano in principio proterogini, verso la fine dell’antesi omogami. I filamenti sorpassavano il gine- | ceo per tutta la fioritura. Nei fiori del giardino « Linnaea » il pi- stillo rapidamente allungantesi, portava lo stimma al disopra delle quattro antere superiori, prima ancora che queste si aprissero. Que- sti fiori erano per tutta l’antesi debolmente proterandri. Nelle due et e Ae ieri, e Aa cd Ii "toe RT a 2 3a rn Fara Cl di to; IGOR GA RZ È MA NON sorta di esemplari l’autogamia è improbabile; nei primi è tuttavia possibile per la caduta del polline ed in quelle di Bourg St. Pierre per il fatto che spesso lo stilo sopravanza soltanto di poco gli stami. Aub. « Froebeli ». -- Questa varietà esaminata dal Giinthart (1. c. p. 22) nel giardino del signor Fròbel di Zurigo, ha petali di 12 mm. di lunghezza, le cui lamine, a venature ramificate poco distinte, sono d’un bleu violaceo e le unghie bianco-verdastre. I due nettarii circondano a semicerchio i lati esterni della base dei filamenti brevi. La differenza fra gli stami lunghi e corti misura circa una volta e mezzo la lunghezza di un’antera. Poichè stami e pistillo crescono proporzionatamente presto, lo stimma per tutta l’antesi rimane fra le antere superiori e quelle inferiori. I fiori sono così decisamente proterogini che l’autogamia è esclusa. Inoltre le antere superiori sì torcono quando hanno cominciato ad entrare in attività, finchè si rivolgono contro quelle degli stami più corti e si allontanano perciò da lo stimma. Aub. gracilis Sprun. (A. Pinardi Boiss.). — Il calice possiede ta- sche nettaree molto profonde. Esso è d’un verde-giallo ed è rive- stito di lunghi peli, radi, confusi, come, del resto, peli lanosi o to- mentosi si osservano sul calice delle quattro precedenti Aubrietia. Le lamine dei petali, a venature appena visibili, sono d’un lilla- bleu, le unghie bianche. Ai due lati della base dei filamenti corti si trovano nettarii grandi, rotondi, che mandano verso i filamenti più lunghi ed in basso (nei corrispondenti sepali) dei prolungamenti sottili e lunghi, che però non si confondono. I fiori (Guinthart, 1. cit. p. 22; giardino del signor Fròbel di Zu- rigo) sono proterogini. Nel boccio il gineceo è molto più lungo dei filamenti. Le papille dello stimma si sviluppano immediatamente dopo l'apertura della corolla, e più tardi lo stimma viene spinto al di- sopra delle quattro antere superiori, prima che queste deiscano, cosicchè l’autogamia è esclusa. A. proposito dei nettarii Villani (Malp. XIX) scrive che non mancano casi in cui i due prolungamenti concrescono tra loro, for- mando come un lungo sperone. Secondo Hildebrand (Saftdr. Crucif.) le linee di deiscenza delle antere sono tutte rivolte verso lo stimma, quelle delle antere supe= riori ad esso più vicine, più lontane le altre, cosicchè per mezzo delle prime può avvenire l’autoimpollinazione; le farfalle, poi, non mancano di trasferire il polline da un fiore all’altro. pin TRA Gen. Descurainia Webb et Berth. D. deltoides DC. (Grnthart, Beitr. p. 16-17; esemplari del Giar- dino botanico di Zurigo). — I petali d’un violetto scuro hanno vena- ture più cupe ed una lunghezza di 20 mm.; il calice è verde-bian- castro e le tasche del nettare sono molto profonde. Esso viene secreto da due glandole a semicerchio che circondano all’esterno la base dei filamenti corti, le quali a destra ed a sinistra, cioè contro le basi degli stami maggiori, decorrono in sottili prolungamenti senza però toccarsi. Poichè lo stimma quando deiscono le antere superiori si trova precisamente fra queste e le due inferiori, l’autogamia è possibile per la caduta del polline. Il gineceo, il cui stimma è già maturo, sì allunga e quando raggiunge le antere superiori, le papille stimmatiche sono per lo più affatto disseccate ed anche le antere non contengono d’ordinario gran quantità di polline. I fiori di questa specie sono perciò dapprima fortemente prote- rogini e verso la fine dell’antesi lo sono ancora soltanto debol- mente. Gli stami più lunghi che durante la loro funzione si volgono contro i più corti, posseggono sottili espansioni membranose, late- rali, che nel lato interno presentano accenni di una doccia obliqua. Anche le espansioni dei filamenti più corti sono analoghe — ma meno sviluppate — a quelle corrispondenti nel gen. Aubrietia. Gen. Hugueninia Rchb. Hug. tanacetifolia Rchb. è stata esaminata da Briquet (Etud. etc.) nella valle del Gran San Bernardo e nella catena del Monte Bianco, sotto il ghiacciaio di Tré-la-Téte. Il calice e la corolla sono gialli, il diametro della corolla è di 5 mm. e l’appariscenza dei fiori, più che dal colore, è determinata dall’esser raccolti in grappoli compatti. I sepali sono completamente espansi e non si riscontra nessun accenno a tubo; i sepali laterali, un po’ carenati, sono durante l’an- tesi raddrizzati contro gli stami corti, alla base dei quali si hanno due nettarii piccolissimi, verdastri, che funzionano almeno nella mattinata, ed il nettare si raccoglie appunto nella carena dei sepali suddetti. Le antere deiscono e volgono orizzontalmente in alto il lato coperto di polline. I fiori omogami, odorosi di miele, sono vi- sitati da mosche, vespe, api e farfalle che di preferenza effettuano l’autoimpollinazione. Kirchner (cit. da Knuth, II, 1, p. 97) riferisce che nel Giardino botanico di Hohenheim tanto i petali che gli stami erano eretti, sicchè lo stimma viene coperto dal polline delle 4 antere superiori da cui è circondàto. PRIA TESA Ti È i * Leo es v PRA ; io Se I pina io VIDEO e LA Pi di sant a De HAT i; ie a c Secondo Hildebrand (Ber. d. dot. Ges. 1896) la pianta si mostra autosterile nel Giardino botanico di Freiburg. Gen. Stenophragma Celak. Fiori piccoli, bianchi, omogami o debolmente PERO a net- tare parzialmente nascosto. Dei sei nettarii alla base dei filamenti hanno secrezione soltanto quelli alla base dei filamenti corti, gli altri quattro sono rudimen- tali (Anuth). St. Thalianum Cel. (= Sisymbrium Thalianium Gaud.). [Muller, Weit. Beob. II. p. 202-203; Kirchner, Fl. p. 294; Mac Leod, Bevr. p. 3582; Knuth, Ndfr. Ins. p. 27]. — Il nettare prodotto dai nettarii alla base dei due stami corti si raccoglie nelle tasche dei sepali sottostanti; talvolta manca qualunque secrezione nettarea (AnutA). Nei fiori, omogami, tutte le antere volgono allo stimma il lato coperto di polline: quelle degli stami più corti sono più basse dello stimma ed il loro polline è destinato all’incrociamento per mezzo degl’insetti. Le antere degli stami più lunghi, invece, circondano lo stimma ed effettuano inevitabilmente l’autoimpollinazione. Secondo Kirchner mancano non di rado gli stami corti. Kerner riporta i fiori come proterogini (1. cit. II, p. 329); e così pure Verhoeff (p. 104); Warnstorf (Rupp. Fl., 1905) indicando come omogame le piante di Ruppin, riferisce che quivi su la medesima pianta s'incontrano fiori ermafroditi e fiori con stami abortiti (gi- nomonecia). Miiller presso Lippstadt osservò quali visitatori dei piccoli fiori inappariscenti: Ceutorhynchus-sp., Anaspis rufilabris Gyll. e Meli- gethes tra 1 coleotteri; Empis vernalis Mgn., Ascia podagrica F., khingia rostrata L., tra i ditteri, ed Apis mellifica L. Mac Leod nelle Fiandre osservò Anthomyia aestiva Meig. e Scott- Elliot (F7. p. 12) nel Dumfriesshire un sirfide. Secondo H. Hornig (Entom. News XIV. 1903. p. 252) i fiori nella Nuova Yersey vengono impollinati dal papilionide Anthocharis ge- nutia Boisd. (= Midea gen. Fabr.), il cui bruco vive nel frutto; nel primo stadio il frutto e il bruco hanno una colorazione molto ana- loga, cosicchè quest’ultimo si distingue molto difficilmente (da Knuth, ILL 2, p. 278). Meehan (Life-Hist. X. 1894. p. 59) presso Filadelfia osservò fiori ‘in primavera privi di corolla, o soltanto con 1-3 petali. Gen. Turritis Dill. Fiori omogami a nettare parzialmente nascosto. T. glabra L. [Hildebrand, Saftdr. Cruc.; Kirchner, Fl. v. St. p. 289]. — Nei fiori bianco-giallastri, poco appariscenti, due glan- a — 125 — dole nettarifere si trovano esternamente alla base delle due coppie di stami lunghi, mentre i due stami corti posano sopra un cusci- netto che a destra ed a sinistra manda un prolungamento breve, conico, quasi principio di due nettarii separati (Z2ild. Kirchner). Non di rado le quattro glandole confluiscono in un anello continuo (Kirchner). Villani (Malp. XIX) scrive che in questa specie due nettarii circondano ciascuno esternamente l'inserzione degli stami brevi, hanno ai lati strisce nettarifere che confluiscono tra loro e presen- tano un ingrossamento tra gli stami lunghi. Le antere deiscono dalla parte interna del fiore; quelle degli stami più lunghi sono vicine allo stimma con la loro estremità in- feriore e quelle dei più corti con l'estremità superiore, cosicchè l’au- toimpollinazione spontanea è inevitabile. Gl’insetti, con le loro visite, possono effettuare autoimpollina- zione ed incrociamenti. Warnstorf (Rupp. F?., 1895) indica i fiori come proterogini : le papille stimmatiche sono già sviluppate nei fiori non ancora com- pletamente aperti, più tardi le antere vengono a trovarsi allo stesso livello aello stimma, rendendo così possibile l’autogamia. Knuth (58%)4r.) osservò presso Kiel due sirfidi: Rhingia rostrata e Syritta pipiens, che succiavano nettare. Gen. Arabis L. (1). Fiori piccoli, bianchi o biancastri, di rado rosei, lilla o bleu, per lo più omogami, più di rado proterogini, a nettare parzialmente nascosto. Nettarii 2, 4 o 6 (KnutA, II, 1, p. 86). A. pauciflora Grcke [Schulz, Beitr. II, p. 11]. — Questa specie (= A. brassiciformis Wallr., Brassica alpina L.) ha fiori bianchi, omogami. Alla base degli stami corti si trova un cercine anulare quadrangolare o poligonale; alla base di ciascuna coppia di stami lunghi si trova un tubercolo più piccolo, che ordinariamente manda al lati un prolungamento verso le basi degli stami corti; del resto la forma dei nettarii è molto variabile e la secrezione è meschina. Lo stimma si trova per lo più a livello con l’estremità inferiore delle antere degli stami lunghi e viene da esse toccato, cosicchè l’autoimpollinazione spontanea è inevitabile. Col tempo favorevole per la torsione dei filamenti le antere si volgono verso quelle degli (1) In un recente lavoro del Giinthart (Biblioth. Botanica, Heft 77) si ha ,jun ordinamento delle specie di questo genere fondato su i caratteri antobio- ‘logici, del quale avrei tenuto conto se il lavoro suddetto non fosse venuto troppo tardi a mia conoscenza. — 126 — stami corti, ed allora mediante le visite degl’insetti può avverarsi anche l’incrociamento. Nella Turingia Schulz non osservò altri visitatori dei fiori che fisopodi e Meligethes. A. Turrita TL. presenta quattro nettarii, due più grossi in forma di scodelline circondano ognuno la base degli stami brevi e due più piccoli, in forma di linguetta, sono situati uno alla base e tra gli stami lunghi: tutti sono riuniti tra loro da una sottile striscia net- tarifera sinuosa (Villani, Malp. XIX). Villani (Malp. XVIII) ha osservato che nel primo stadio fiorale questi nettarii, essendo nascosti dal perianzio, hanno la sola fun- zione di attirare gl’insetti per la staurogamia, ma nello stadio post fiorale, quando incominciano a distaccarsi i pezzi del perianzio e. gli stami, essi continuano ad accrescersi ed a produrre miele, atti- rando una enorme quantità di formiche. La specie va dunque annoverata tra le mirmecofile. Mac Leod (Pyren.) nei Pirenei, a Gèdre, vide visitati i bianchi fiori di questa specie da MHalictus cylindricus F. 9. A. hirsuta Scop. [Muller, Befr. p. 134; Gunthart, Beitr. p. 23]. — Secondo Miiller si hanno due soli nettarii al lato interno della base degli stami corti; Giinthart, in esemplari del giardino bota- nico di Zurigo, trovò quattro nettarii situati fra le basi di uno stame corto e di uno stame lungo, riuniti fra loro da strisce non nettarifere. Inoltre i due nettarii maggiori mandano dei prolunga- menti ai lati interni degli stami corti che, però, non confluiscono insieme. Ne segue quindi che il tipico anello nettareo che circonda esternamente tutte le basi dei filamenti nelle Crocifere è comple- tamente sviluppato in questa specie insieme con i prolungamenti al lati interni degli stami più corti. Secondo Villani (1912), le cui osservazioni concordano con quelle di Velenovsky, due nettarii circondano a guisa di cercine l’inser- zione staminale breve, ed ognuno ha due grossi prolungamenti la- terali che si portano all’esterno e sotto ciascun filamento lungo, ove sì ingrossano a forma di tubercoli tondeggianti, che spesso si toccano fra loro. Secondo Miiller. i fiori omogami presentavano nella maggior parte dei casi lo stimma più basso degli stami più lunghi, cosic- chè l’autogamia aveva luogo per la caduta del polline; più rara- mente lo stimma si trovava allo stesso livello delle antere superiori e l’autogamia avveniva per contatto immediato. I fiori esaminati da Giinthart erano sensibilmente proterogini e lo stimma si trovava ad un livello un po’ più alto su le antere — 127 — superiori. Al termine dell’antesi la torsione dei quattro filamenti lunghi spinge le dette antere fino all’altezza dello stimma. Anche Warnstorf (Rupp. F?., 1895) riporta i fiori come prote- rogini, con lo stimma sovrastante le antere. Miiller osservò a visitare i fiori di questa specie: Ammophila sabulosa L., Apîs mellifica L., Halictus sexnotatus K. 9, Andrena al- bicrus K.g, ed un lepidottero: Euprepia Jacobaeae L. Nel Dumfriesshire Scott-Elliot (AZ. p. 12) osservò un empide, due muscidi e due sirfidi. A. sagîittata DC. ha piccoli fiori bianchi, a nettare parzialmente nascosto, che Mac Leod (Pyren. p. 119) nei Pirenei, a Gavarnie (1600 m.), vide visitati da un lepidottero: Adela-sp.? Secondo Villani (1912) i nettarii sono in numero di quattro, due circondano l’inserzione staminale breve a cercine aperto tra il filamento e l’ovario, e due grossi, interi o trilobi, di colore verde- scuro sono situati alla base esterna di ciascuna coppia di filamenti lunghi. Tutti e quattro i nettarii sono sempre collegati da grosse strisce nettarifere. Ma queste forme, secondo le osservazioni del Villani, possono ancora variare, ed altre ancora ne ha riscontrate e disegnate Ve- lenovsky. Nell’A. hirsuta (L.) Scop. var. glastifolia Rchb. si hanno pure quattro nettarii, dei quali due circondano ognuno la base del corto filamento ad anello completo all’esterno, ed aperto fra lo stame e l’ovario, e due grossi, arcuati, con la convessità rivolta in alto, sono posti ciascuno alla base esterna delle due coppie di filamenti lunghi. Tutti e quattro sono sempre riuniti tra loro da grosse stri- sce nettarifere (Vi/lani, 1912). A. collina Ten. — Secondo Comes (1875), quando l’androceo è in completo sviluppo le antere sì piegano invertendo la loro posizione; parrebbe quindi che questa specie rifugga assolutamente dalle nozze consanguinee. Gli apici, però, delle antere, ricurvi verso l’interno del fiore, sono diretti contro lo stimma e ne raggiungono l’altezza, mentre al tempo della sfioritura, i lembi dei petali raddrizzandosi ed accartocciandosi in ciascun fiore, vengono a determinare il con- tatto fra le antere e gli stimmi. Tale contatto dura più di un giorno, finchè i petali, disarticolandosi, cadono e lasciano svilup- pare la siliqua. L’impollinazione omoclina avviene facilmente. A. alpestris Schleich. [Ginthart, Beitr. p.23: esemplari del giar- dino Friòbel di Zurigo). — Il calice ha tasche nettarifere sviluppate come in A. hirsuta. La corolla è bianca. Al lato interno delle basi dei filamenti corti si trovano due nettarii più piccoli e tra le basi de ARCI n: Pedace dii È LE AO cè dei filamenti più lunghi stanno altri due nettarii maggiori. Le quat- tro antere superiori subiscono torsione. I fiori sono fortemente proterogini. Al principio dell’antesi lo stilo è più corto dei filamenti, ma si allunga bruscamente e lo stimma viene a passare le quattro antere superiori quando queste sono ancora chiuse. Ordinariamente lo stimma perisce quando le antere sono già in funzione, ma spesso anche quando esse tomin- ciano ad entrare in attività. Miiller (1. cit. p. 145) nelle Alpi osservò i seguenti visitatori: Apis mellifica; Anthocharis cardamines T, Syrichthus malvae; Cheilosia pigra, Platycheirus tarsatus, Anthomyia humerella, Spilogaster-sp.? A. serpyllifolia Vill. b. nivalis Guss. — Secondo Villani (1912) i nettarii circondano ad anello incompleto la base dei filamenti brevi. Sono aperti da uno stretto solco tra i filamenti e l’ovario, ed inferiormente presentano un solco più largo, tra cui talvolta è facile distinguere uno o due piccoli nettarii tubercoliformi. Late- ralmente l’anello nettarifero ha sottili strisce che all'estremità si trasformano in due grossi nettarii, 1 quali spesso concrescono tra loro alla base esterna dei filamenti lunghi. A. muralis Bert. presenta in generale due nettarii; ognuno cir- condante ad anello completo la base dello stame corto è distinta- mente solcato all’esterno, e tra il filamento e l’ovario si prolunga in un lobo più o meno acuminato. Ai lati di ciascun nettario par- tono delle strisce nettarifere che terminano in due grossi e ton- deggianti nettarii, ognuno situato alla base esterna di ciascun fila- mento lungo. Talvolta le strisce nettarifere sono concresciute tra loro, e nelle parti mediane presentano due solchi, uno superiore ed uno inferiore. A. Holboellii Hornem. — Warming (Biol. Opt. I) trovò 1 fiori omogami. In principio le antere degli stami lunghi sovrastano lo stimma, ma più tardi questo viene con esse a contatto in seguito all’allungamento del pistillo. A. cebennensis DC. — In questa specie, secondo Villani (1912) sì osservano due nettarii laterali ognuno, a guisa di cercine com- pleto, circondante la base del filamento breve. Essi sono lievemente solcati tra il filamento e l’ovario, ed all’esterno sono forniti di un largo solco ad arco, nel quale è annidato un piccolo nettario ton- deggiante. Ai lati si notano delle appendici che terminano in grossi nettarii tondeggianti alla base esterna di ciascun filamento lungo. A. albida Stev. [Gynthart, Beitr. p. 26] — Il nettare viene se- creto alla base dei filamenti corti e si raccoglie in gran quantità — 129 — negli speroni molto pronunciati dei sepali opposti ai detti fila- menti. I filamenti lunghi si torcono, come in A. alpina, finchè le loro antere sono rivolte verso quelle dei filamenti più corti, formandosi così due tubi, rivestiti di polline, che conducono al nettare. Que- sti tubi sono un po’ più larghi che in A. alpina, poichè i fiori sono anche un po’ più grandi. Lo stimma giace nel tubo corollino al disotto delle quattro an- tere superiori, che solo verso il termine dell’antesi raggiunge, e sì feconda col loro polline. L’autogamia per la caduta del polline e l’autoimpollinazione indiretta sono possibili anche prima della fine dell’antesi. I due filamenti più corti non raggiungono lo stimma quando le loro antere cominciano a coprirsi di polline; essi rimangono ai lati e servono all’allogamia. Loew (cit. da XnutAh, II, 1, p. 89) nel giardino botanico di Ber- lino osservò Coccinella septempunctata; Cheilosia-sp., Eristalis ae- neus Scop.: Anthrena parvula K. I 2, Apis mellifica L. $, Bombus hortorum L. $, B. lapidarius L. 9 Osmia rufa L. T; Vanessa ur- ticae L. Hildebrand (Saftdr. Crucif.) menzionava che alla base degli stami appaiati sì trova un rudimento piccolissimo, verdastro, di un nettario. Secondo Villani (1912) i nettarii degli stami brevi hanno la stessa forma che si osserva in A. alpina, invece quelli posti ester- namente ed alla base dei filamenti lunghi sono linguiformi, gra- datamente restringentisi in alto ove terminano in punta attenuata: in basso si allargano e dai lati partono delle sottili bandellette nettarifere che quasi sempre si collegano con i prolungamenti la- terali dei nettarii dei filamenti brevi. A. Belliardieri DC. f. rosea. — [Ginthart, Beitr. pp. 26-27]. — La corolla espansa presenta un diametro di 9-12 mm. Un anello a ricca secrezione nettarea circonda la base di cia- scun filamento corto, e nessuna glandola nettarea trovò Giinthart fra i filamenti lunghi. Lo stimma è maturo ancor prima che i fiori si aprano ed in questo stadio sopravanza le antere ancora chiuse. In seguito ven- gono a trovarsi più alte, ma non raggiungono mai il livello dello stimma ed incominciano poscia a ricoprirsi di polline, volgendo le facce interne contro gli stami più corti, come in A. albida Stev. Questa torsione continua insieme ad un nuovo allungamento dei filamenti e ad un rovesciamento delle antere in dietro ed in alto, ANNALI DI BoTANICA. — VoL. XI. 9 pe RETTE RL ORI POTTER RIALTO e pie NO TÀ TRS ar nni Voll DD nat » WR SE aa E tati % — 130 — cosicchè nell’ultimo momento dell’attività funzionale del gineceo è possibile l’autogamia spontanea. Prima però che i filamenti ab- biano eseguita questa torsione di circa 180°, non è possibile natu- ralmente alcuna autoimpollinazione. A. alpina L. |Sprengel, p. 333; Axell, p. 19; Muller, Alp. pa- gine 143-144, Schulz, Beitr. II, pp. 11-12; Warming, Biol. Opt. I, pp. 10-11-12 dell’estr.; Lindman, Bidrag etc. p. 45; Ekstam, Nov. Semlja, p. 189; Gunthart, Beitr., p. 25]. — Secondo Miller al lato esterno della base di ciascun filamento corto si trova un nettario a due punte che produce nettare in abbondanza che si raccoglie nella cavità dei sepali sottostanti. Inoltre si trovano due piccoli nettarii esternamente fra le basi di ciascuna coppia di stami lun- ghi, e perciò sopra i due sepali superiori molto meno rigonfiati alla loro base. i In questi nettarii Miller non constatò secrezione. La posizione degli stami è tale da favorire ora con prevalenza l’incrociamento ed ora l’autoimpollinazione spontanea. Gli stami più lunghi col lato coperto di polline. si rivolgono ora verso gli adiacenti più corti, cosiechè un insetto — che vuol raggiungere il nettare si- tuato alla base di questi stami più corti — non può a meno di rasentare le antere e sporcarsi di polline, ora rivolgono il lato co- perto di polline allo stimma, sul quale ne lasciano facilmente ca- dere, specialmente col tempo sfavorevole, essendo allora meno in- clinati verso l’esterno. I fiori sono omogami. Nelle Alpi osservò visitatori due ditteri: fhamphomyia anthra- cina % e Spilogaster-sp. Anche Schulz, le cui osservazioni sì riferiscono ad esemplari di Val di Fiemme e Val di Fassa nel Tirolo meridionale, trovò fiori omogami, ad autoimpollinazione quasi inevitabile, poichè le antere degli stami lunghi solo col tempo soleggiato si allontanano da lo stimma, mentre gli sono vicine o addossate col tempo cat- tivo e durante la notte. In quanto alla forma dei nettarii egli trovò che la base degli stami corti era. circondata da un anello quadrangolare, che solo. produceva nettare, mentre un tubercolo più piccolo, poco spor- gente, qualche volta appena visibile, si trovava nel punto di mezzo innanzi alla base di ciascuna coppia di stami lunghi. Questi tubercoli sembrano scomparsi nei fiori di altre regioni: Sprengel (p. 333) ed Axell (p. 19) assegnano infatti a questa specie soltanto due nettarii. A. visitare questi fiori nelle località indicate Schulz osservò al- cuni ditteri ed un paio di piccole farfalle diurne. aa SERE da ea x di ù «e id [na di sai TIR 4 SISI Warming in Groenlandia e Lindman nelle Alpi scandinave ri- scontrarono pure fiori omogami, ad autoimpollinazione spontanea possibile od inevitabile, analoghi agli esemplari alpini esaminati da Miiller. Ekstam nella Nuova Zembla trovò i fiori di questa specie, dal diametro di 6-12 mm., proterogini-omogami, lievemente odorosi. Ordinariamente vi ha luogo l’autoimpollinazione spontanea per il contatto immediato dello stimma globoso con l’orlo superiore delle antere, che deiscono quando il fiore si apre e si trovano alla stessa altezza o un po’ più alte dello stimma. Glandole nettaree con ricca secrezione si trovano alla base degli stami corti, ed altre più piccole alla base degli altri stami. Ekstam osservò frutti maturi, ma non insetti visitatori dei fiori. Giinthart, in esemplari di Zurigo, riscontrava il nettare prodotto da un anello alla base degli stami corti, che si raccoglieva ordina- ‘riamente in goccioline fra i singoli filamenti e più di rado nelle tasche dei sepali, debolmente sviluppate. I fiori, il cui diametro raggiungeva circa 8 mm., con la lamina dei petali bianca, senza venature, lunga 5-6 mm., erano protero- gini nel boccio, o lievemente proterogini-omogami. Le papille stimmatiche si sviluppano molto spesso nel fiore ancora chiuso, mentre gli stami non hanno ancora raggiunto la definitiva lunghezza al di là del pistillo. Dopo l'apertura della corolla gli stami si allungano, sorpassano con le antere ancora chiuse lo stimma sessualmente maturo ed incominciano allora a coprirsi di polline. Le papille dello stimma rimangono ancora vivaci finchè le antere sono in funzione. Già nel boccio è inco- minciata la torsione dei quattro stami più lunghi, la quale con- tinua finchè le quattro dette antere abbiano rivolto contro gli adiacenti stami più corti le loro facce interne coperte di polline. E poichè i nettarii sono maggiormente sviluppati sul lato esterno dei filamenti corti, gl’insetti per introdurre la loro tromba sì ser- vono di queste due vie — affatto ricoperte di polline — originate dall’inclinazione di due stami più lunghi con l’altro più corto. In alcuni esemplari le antere si sviluppano più presto e deiscono prima ancora che, per l'allungamento dei filamenti, vengano portate oltre lo stimma. Neppure in questo caso è possibile l’autoim pollinazione, poichè la detta torsione degli stami lunghi li allontana dallo stimma. Nell’India Burkill (n. 6) osservò i fiori di A. a/pina visitati da Rhingia angusticincta Brunetti. Secondo Villani (1905) A. alpina presenta quattro nettarii, uno inserito alla base di ciascun filamento breve, ed uno all’esterno ed t è } Dai "ti Cole bici) sali A i Mi et i o, (A 7 bc e PPI) RL Ne He n gra ) sin si RAP T E METITRE NINA 10 REG E O FA IISTAZO RIN hr "SIABIN RZ GIURIA DA ID RAI ° I Tra cit t È ia nd af; ? alla base di ciascuna coppia di stami lunghi. Tale disposizione nei nettarii riscontrava il Villani nei fiori di piante coltivate nell’Orto È: botanico di Parma, ma in esemplari raccolti su la cima di Monte Miletto (Campobasso; m. 2050 s. m.) notava che se la posizione dei È nettarii è la stessa di quella che si riscontra nelle piante coltivate, A la forma ne è alquanto diversa. Negli esemplari coltivati il nettario degli stami brevi circonda 6. quasi del tutto la base del filamento, lasciando una piccola aper- | tura tra questo e l’ovario; spesso ha due corte appendici laterali de che terminano in due rigonfiamenti tondeggianti, ciascuno al disotto pi ed esternamente all’inserzione di ogni filamento lungo, e sì continua in basso in uno sperone che si annida nella gibbosità del rispettivo sepalo. Il nettario, invece, posto esternamente alla base di ciascuna i coppia di filamenti lunghi è di forma conica, un po’ acuminato alla estremità ed allargato alla base. Negli esemplari di Monte Miletto i nettarit degli stami brevi I mancano delle appendici laterali, e quelli situati alla base esterna e tra ciascuna coppia di stami lunghi sono sempre molto ingros- sati, ottusi all’apice e alquanto arcuati (N. G. Bot. ital., N. S., XIX, E n.02 1912) J A. procurrens W. et K. [Gwnthart, Beitr., p. 23; esemplari del i Giardino botanico di Zurigo]. — I petali bianchi hanno una lun- ghezza di 9 mm. Degli otto nettarii, quattro più grandi e quattro più piccoli, situati nel medesimo modo che in A. hirsuta, hanno secre- zione soltanto i più piccoli. Tutti i nettarii sono uniti fra loro, tutt'al più fra i minori l’anello è talvolta interrotto. Nè mancano i pro- lungamenti verso i lati interni dei filamenti più corti. r Secondo Villani (1912) i nettarit sono conformati come nell’A. serpyllifolia b. nivalis. I laterali sono più o meno aperti all’interno, tra la base cioè del filamento corto e l’ovario, esternamente sono i solcati od aperti, e con uno o più nettarii tubercoliformi interposti. I nettarii laterali di questa specie, disegnati da Velenovsky (tav. III, ; fig. 21 e 26) si presentano appena solcati nella parte esterna. i Tutti i filamenti portano espansioni membranose, e le quattro x antere superiori si torcono finchè si sono collocate di fronte. È Le papille stimmatiche si sviluppano già nel boccio. Durante i tutta l’antesi lo stilo sovrasta gli stami per la metà circa della sua t lunghezza, cosicchè perla proteroginia e per la posizione dello stimma i l’autogamia è esclusa. | A. bellidifolia Jacq. [MiWler, Alp., p. 144-145; Ginthart, Beitr., 4 p. 24-25]. — Secondo Miller un cercine carnoso circonda la base. all’esterno di ciascun filamento corto e produce nettare. Questo ri- È PE È 3 £ mane in principio sotto forma di due goccioline a destra ed a si- nistra sul cercine, ma poi si raccoglie nell’angolo fra la base del filamento e la base lievemente rigonfia del sepalo sottostante. Inoltre al lato esterno della base di ciascuno stame lungo si trova un pic- colo tubercolo carnoso, verde, senza alcuna secrezione nettarea. * Secondo Villani (1905) si rinvengono sei nettarii, uno circon- dante la base di ciascun filamento breve in forma di anello verde e quattro, linguiformi, uno alla base di ciascuno stame lungo. Così pure li riscontrava Velenovsky (Villani, 1912). I bianchi fiori, del diametro di circa 8 mm., sono proterogini, con stimma lungamente vivace. Quando il fiore si apre, la larga capocchia stimmatica, che corona l’ovario sopra un breve stilo, è già papillosa e sessualmente matura, mentre le antere — di cui quelle degli stami lunghi raggiungono o di poco sorpassano lo stimma — sono tutte chiuse. Se il tempo è cattivo, si aprono le antere verso l'interno ed i. fiori rimangono semichiusi, cosicchè il polline degli stami lunghi viene a contatto con lo stimma ed ha luogo l’autoimpollinazione spontanea. Col tempo soleggiato, invece, sepali e petali si espandono com- pletamente, le antere si scostano quanto è possibile da lo stimma, di guisa che il polline non giunge da sè a contatto con il medesimo. Nel corso della fioritura il pistillo s’allunga e sopravanza anche gli stami più lunghi. Gli stami più corti rimangono col lato deiscente rivolti verso lo stimma; le antere degli stami più lunghi rispettivamente adia- centi rivolgono in alto il lato coperto di polline, cosicchè viene fa- cilmente toccato dalla testa o dalla tromba d’un insetto in cerca del nettare. Come visitatore Miiller notò soltanto Eristalis tenax L. Negli esemplari esaminati da Giinthart a Zurigo e a Bourg St-Pierre si notavano lievi diffesenze circa i nettarii. Egli trovò 1 fiori omogami o debolmente proterogini. In quelli di Bourg-St.-Pierre il pistillo è in principio più corto degli stami. Ma quando lo stimma è presso ad appassire, esso per l'allungamento dello stilo si trova spinto fino all’altezza delle an- tere superiori, dalle quali è coperto di polline. Lo stimma soprav. vive all’androceo solo per poco tempo. Nei fiori esaminati a Zurigo, il pistillo fornito appena delle prime papille stimmatiche oltrepas- sava le quattro antere superiori, ancora chiuse, cosicchè l’autoim- pollinazione non poteva mai avverarsi. Ma verso la fine dell’antesi sì allungavano di nuovo i filamenti, cosicchè in numerosi fiori era ua possibile ancora un contatto fra gli organi sessuali, che spesso però non conduceva all’autogamia, poichè lo stimma per lo più era ap- passito, ma poteva però accadere nei pochi fiori in cui per il mancato inerociamento lo stimma rimaneva vivace ancora per lungo tempo. Si ha quindi una pianta, conclude Giinthart, che con mezzi affatto diversi raggiunge lo stesso scopo: l’autogamia al termine dell’antesi. A. coerulea Haenke [Kerner, 1. c., II, p. 184, 329, 381; Kérchner, Beitr., p. 20; Schulz, Beitr. II, p. 13; Ginthart, Beit., p. 24]. — I pe- tali che in principio hanno una colorazione azzurra, impallidiscono più tardi e si addossano ai giovani frutti che hanno preso intanto un colore violetto. I fiori sì presentano omogami o debolmente proterogini. Sul lato esterno della base degli stami corti e della base di ciascuna coppia di stami lunghi sì trovano dei nettarii semilunari, spesso molto in- significanti, ma solo quelli alla base degli stami corti producono nettare. Giinthart, nei fiori esaminati a Zurigo, non riscontrò mai nettare, neppure trattando i fiori con i reattivi di Fehling e di Nylander. Secondo Schulz e Kirchner l’autoimpollinazione spontanea è ine- vitabile giacchè le antere degli stami lunghi, che si trovano allo stesso livello dello stimma, quando il tempo è cattivo e durante la notte si addossano ad esso; non di rado anche le antere degli stami più corti raggiungono lo stimma. Giinthart trovò invece una differenza considerevole nella lun- ghezza delle antere delle due sorta di stami, e quelle degli stami corti, che spesso si rovesciano in dietro, sono abbastanza lontane da lo stimma, col quale non vengono mai a contatto. Esse servono esclusivamente all’incrociamento per mezzo degl’iusetti, special- mente ditteri, che, malgrado la mancanza di nettare, visitano tut- tavia questi fiori. - Anche Schulz, presso Franzenshéhe osservò alcuni ditteri a vi- sitare i fiori di questa specie. Secondo Kerner (p. 881) l’autogamia si verifica immancabilmente in quei fiori (pseudocleistogami) che per la persistenza del tempo cattivo rimangono chiusi. A. pumila Jacq. — I bianchi fiori di questa specie, esaminati da Schulz (Beitr., II, p. 12-18) nel Tirolo, sono proterogini. Alla base dei filamenti corti ed esternamente si trova un net- tario semilunare che li circonda, con due prolungamenti laterali più sviluppati. Innanzi alla base delle coppie di stami si trovano due tubercoli più grossi o più lunghi. Con probabilità soltanto le glandole dei filamenti corti producono nettare. dia i PEZZA 366 = 900 di “sii Lo stimma, di regola, è già sviluppato nel boccio e sporge fra i petali prima ancora che il fiore sì apra. Al tempo dell’antesi lo stilo sopravanza quasi sempre le antere: di circa 1 mm. quelle degli stami lunghi e di 2-8 mm. circa quelle dei filamenti più corti. Solo in casi eccezionali le prime raggiun- gono lo stimma; sicchè l’autoimpollinazione spontanea è completa- mente esclusa. I filamenti degli stami lunghi o non subiscono alcuna torsione, sicchè le antere rimangono sempre introrse, oppure la torsione è così meschina che, come in A. alpina, le facce coperte di polline delle antere si volgono obliquamente contro lo stilo o contro le antere degli stami corti. Nei dintorni di Franzenshòhe Schulz riscontrò questa specie anche ginomonoica. Quantunque egli avesse avuto occasione di osservare questa spe- cie col tempo cattivo, tuttavia notò a visitarne i fiori tre piccoli ditteri. A. arenosa Scop. — Di questa specie, dai petali bianchi o rosei, Miiller (Weit. Beob. I. p. 326) riporta i seguenti visitatori osservati da Buddeberg presso Nassau: Andrena cineraria L. ®, A. parvula K. %, A. cingulata F. 9g, A. albicans K. ®, A. nigroaenea K. %, Halictus leucopus K: ®, H. tetrazonius K1. 9, H. flavipes K. ®, H. cilindricus K. £, ed un lepidottero: Thecla rubi L. Tutti questi insetti succiavano nettare o raccoglievano polline. Bail (B. Centrbl. IX) nella Prussia occidentale osservò special- mente sirfidi (Eristalis intricarius L., Melanostoma mellina L., Me- lithreptus seriptus IL.) e muscidi (Lucilia-sp., Anthomyia-sp.); inoltre imenotteri (Apis, Anthrena nana K., Dolerus vestigialis Klug.), far- falle (Pierîs napi L., Thecla rubi L. Nemeobius lucina L., Euclidia glyphica L.), una cimice (Eurydema oleraceum) ed un coleottero (Athous subfuscus Miill.). Secondo Villani (Ma/p. XIX) due nettarii a linguetta sono alla base e tra gli stami lunghi, e due, trifidi, circondano quasi intera- mente lo stame breve. In un lavoro recentissimo (1912) egli descrive altre forme di net- tarli. Ed abbastanza vario appare lo sviluppo dei nettarii in questa Crocifera come è facile rilevare dalle descrizioni o figure di Sprengel (p. 331), di Velenovsky (Tav.IT, fig. 8), di Kirchner (Màttez?. I. 1900). Questo ultimo autore nei dintorni di Urach trovò i fiori debol- mente proterogini, e visitati da una gran quantità di Meligethes, ‘che all’occasione possono provocare l’impollinazione ma riescono ‘sopra tutto dannosi divorando le parti fiorali. o, x hi ca sa "_ ti Sal È i si x bi. » ca io ARIE A. petraca Lam. secondo Ekstam, nella Nuova Zembla, ha fiori bianchi omogami, con un odore sensibile di mandorla. Un nettario più grande si trova alla base ed esternamente fra gli stami più lunghi, ed un nettario più piccolo si osserva alla base, esternamente e per ogni lato, dei filamenti più corti. Sembra che il nettare sia prodotto da queste ultime glandole. L’autoimpollinazione spontanea è facilmente possibile, giacchè per l’accrescimento dello stilo lo stimma viene portato allo stesso livello delle antere degli stami lunghi. Più tardi crescono anche gli stami più bassi e le loro antere raggiungono pure lo stimma e le an- tere degli stami più lunghi. Ekstam riscontrò frutti maturi e vide visitati i fiori da un dittero di media grandezza. Warming a Trangisvaag nelle Farder trovò pure fiori omogami, nei quali l’autoimpollinazione può avvenire solo difficilmente, stando le antere sotto lo stimma. Osservò pure dei fiori neì quali lo stilo era portato molto presto oltre il fiore, e lo stimma perciò al disopra delle antere. Il diametro fiorale era di 6-8 mm. A. deltoides DC. — Loew nel giardino botanico di Berlino ne vide i fiori visitati da Osmia rufa (cit. da Knuth, II, 1, p. 89). A. caucasica Willd. — Burkill (Fert. of Spring FI.) nella costa del Yorkshire osservò frequentemente a visitare i fiori di questa spe- cie Eristalis pertinax Scop. Willis e Burkill (IV) nella Gran Bretta- gna osservarono : Vanessa urticae L.; Apis mellifica L., Bombus ter- restris L., B. lapponicus F., Lucilia cornicina F., Pollenia rudis F., Anthomyia sulciventris Ztt., Anth.-sp., Scotophaga-sp. A. bryoides Boiss. — In un giardino di Zurigo Giinthart (Beztr. p. 27) trovò 1 fiori omogami. A. suecica Fr. — Silén presso Kexholm, in Finlandia, osservò i seguenti insetti visitatori: Andrena albicrus K.%, Halictus rubicun- dus Chr. ®, Cheilosia pulchripes Loew 9, Anthomya aestwa Mg. ST 9, numerosa, Chortophyla-sp., Tephritis-sp., Tachina truncata Gyllenh., Hesperia malvae L. A. Thaliana L. secondo Hildebrand (Saftdr. Crucif.), come già Kurr e Sprengel indicavano, manca completamente di nettarii. Nei fiori sono sviluppati soltanto i quattro stami lunghi e le loro an- tere con le facce coperte di polline sono direttamente appressate allo stimma cosicchè l’autoimpollinazione ha luogo ed è inevitabile. Villani (1900) invece nei fiori da lui esaminati, bianchi e pic- colissimi, trovò due nettarii inseriti al posto dei due stami più corti, che parimenti non riscontrò mai in tutti gl’individui di questa specie da lui studiati. Linneo ascrisse quattro nettarii al gen. Arabis (Gen. 882). Nel suo recentissimo lavoro, Villani (1912) assegna sei nettarii alla specie in questione. Due in forma di piccole scodelle, o di tu- bercoli, circondano ognuno la base esterna del filamento breve, e quattro, tubercoliformi, sono inseriti uno alla base esterna di ciascun filamentolungo. Talvolta i sei nettarii sono collegati tra loro da sot- tilissime bandellette nettarifere. Negli esemplari forniti di quattro stami i nettarii, occupanti il posto del filamento breve, hanno forma di scodella, sono più svi- luppati del solito, interi o leggermente solcati all’esterno, e riu- niti ai quattro nettarii, tubercoliformi, per mezzo di corte striscie nettarifere. Quando i nettarii sono quattro, essi sì presentano in questa specie in una maniera caratteristica. Due, a forma di scodella, sono inseriti alla base di ciascun filamento breve, e degli altri due, tu- bercoliformi, uno si trova alla base ed all’esterno di un filamento lungo e l’altro alla base ed all’esterno di un filamento lungo della coppia opposta. È notevole il fatto che se uno di questi due net- tarii è inserito alla base del filamento lungo di sinistra, l’altro si trova alla base del filamento lungo di destra della coppia degli stami opposti. Gen. Greggia A. Gray. L'apparato nettarifero è rappresentato da un disco anulare che circonda i filamenti e si presenta con parecchi lobi ( Villani, Malp. 1900). Gen. Erysimum L. Fiori gialli omogami o proterogini, a nettare parzialmente na- scosto. Nettarii due o quattro (Enuth, II, 1, p. 98). Secondo Villani (Malp. XIX) i nettarii in questo genere sono ordinariamente quattro, uno ad anello od a semicerchio aperto al- l’infuori, che contorna la base di ciascun filamento breve, ed uno, tubercoliforme, semplice, bilobo, trilobo, bipartito, tripartito od anche con più lobi o più divisioni tra ciascuna coppia degli stami lunghi che, il più delle volte, vengono anche in parte circondati lateralmente. E. crepidifolium Rchb. (Schulz, Beitr. II, p. 14) ha fiori d’un giallo lucente, appariscenti. Appena il fiore si apre lo stimma ma- turo sovrasta le antere degli stami lunghi di circa 3 mm.; i fila- menti si allungano più tardi, cosicchè le antere raggiungono lo stimma. Solo in questo ultimo stadio esse cominciano a coprirsi di polline. In principio è solo possibile l’incrociamento, dopo può avvenire anche l’impollinazione, specialmente col tempo cattivo e durante la notte, trovandosi le antere appressate allo stimma. % È i ; "ST PRIA E La base degli stami corti è circondata da un cercine nettari- fero quadrangolare o poligonale, ed innanzi alle basi di ciascuna coppia di stami lunghi sì hanno tre processi nettarei obliquamente rivolti in alto, il mediano dei quali si trova precisamente innanzi allo spazio esistente fra i due filamenti. I fiori di questa specie sono visitati frequentemente da lepidot- teri, imenotteri, ditteri e numerosi Meligethes. E. ochroleucum DC. [Ginthart, Beitr. p. 27]. — I petali sono di un giallo pallido e risultano di un’unghia sottile, lunga, bianca e di una lamina rotondeggiante più corta. I nettarii sono rappresertati da anelli alla base dei filamenti corti. i La differenza di lunghezza nelle due sorta di stami raggiunge al termine dell’antesi quasi la lunghezza di un’antera. Nel boccio questa differenza non si nota, ma lo stimma, decisamente bilobo e più tardi colorato in giallo, mostra già la sua superficie com- pletamente sviluppata e sessualmente matura. In questo stadio esso sopravanza considerevolmente l’androceo. Più tardi, quando l’androceo entra in funzione, lo stimma si trova ad ‘/,-‘/, di lunghezza d’un’antera al disopra delle quattro antere più alte. La proteroginia, quindi, è molto pronunciata; tuttavia l’auto- gamia viene effettuata regolarmente quando lo stimma nell’ultimo momento della sua attività viene di nuovo spinto fino a livello delle dette antere. Le antere degli stami più corti servono esclusivamente all’inero- ciamento. E. helveticum DC, secondo Miiller (A/pendl. p. 150) ha fiori omogami. Dei quattro nettarii, i due alla base esterna dei filamenti corti sono in funzione ed il nettare si raccoglie nell'angolo formato da essi con l’ovario, mentre gli altri due sul lato esterno della base degli stami lunghi sono atrofizzati. Nelle Alpi egli osservò i seguenti insetti visitatori: Strangalia melanura, Meligethes, Oedemera virescens; muscidi indeterminati; Erebia medusa, Pieris brassicae, Vanessa cardui, Pararge hiera S. E. pumilum Gaud. [Ginthart, Beitr. p. p. 27]. Il nettare è secreto da due tubercoli caratteristicamente attor- cigliati, posti internamente e lateralmente alle basi degli stami corti e da tre nettarii molto più piccoli situati alla base degli stami lunghi. I filamenti lunghi si torcono verso la fine dell’antesi finchè le loro antere si mettano di fronte. Già nel boccio lo stilo porta una grossa capocchia stimmatica che si ricopre di papille subito dopo l’apertura del fiore. Le antere in questo stadio si trovano nel tubo corollino, in basso, lungo circa 13 mm. Mai loro filamenti si allungano presto, si addossano allo stimma ancora vivace e si effettua l’autoimpollinazione. Le antere degli stami più corti offrono il polline per l’al- logamia. E. odoratum Ehrh. secondo Kerner (l. c., p. 194) ha fiori odo- ranti di miele. E. hieracifolium L. lanceolatum (R. Br.). — Non di rado si os- serva che il nettario inserito alla base degli stami lunghi si pre senta sdoppiato; in tal caso i nettarii divengono sei, insieme con quelli che circondano la base interna dei filamenti corti (ViMlani, Malp., XIX). E. virgatum Roth. secondo Bonnier (Nect. p. 59) è visitato da Apis mellifica sia direttamente, dall’ ingresso fiorale, sia dall’esterno. Essa opera in quest’ultimo modo quando il nettare è abbondante, poichè esso esce allora tra i sepali in forma di quattro grosse goc- cioline e può essere preso abbondantemente da gl’ insetti. Fiori giallo-zolfini. E. aureum Bieb. secondo Comes (Ult. St. 1879) è autofertile. E. orientale B. Br. — Nel Giardino botanico di Kiel Knuth (Her- bstb.) ne vide visitati 1 fiori da sirfidi (Eristalis, Platycheirus, Syritta | pipiens L., Syrphus balteatus Deg.) e da Pieris napi L. E.cheiranthoides L. [Muller, Weit Beob. II, pp. 203—204; Kir- chner, Fl., p. 295; Mac Leod, Bevr., p. 380; Avebury, Br. Fl. PI, p. 82]. — Nei fiori giallo-dorati si trovano quattro nettarii, due ru- dimentali all’esterno e fra le basi delle coppie di stami lunghi, e due in funzione al lato interno delle basi di ciascun filamento breve. Il nettare prodotto da questi ultimi nettarii riempie da ogni parte lo spazio tra la base degli stami corti, di quelli lunghi adiacenti e l’ovario. Tutte le antere rivolgono verso il centro del fiore il lato coperto di polline, gli stami più corti si piegano in fuori e rendono così libero l’accesso al nettare per gl’ insetti visitatori che effettuano per lo più l’incrociamento. Le antere degli stami lunghi circor- dano lo stimma ed assicurano l’autoimpollinazione spontanea nel caso di mancato incrociamento. Buddeberg a Nassau osservò a visitare i fiori l’ape brevilingue Pa- nurgus calcaratus Scop.; Loew (Beitr., p. 30) nella Slesia osservò Va- nessa urticae e Mac Leod nelle Fiandre: Andrena propinqua Schenck, Eristalis tenax L., Anthomyia aestiva Meig. Mi par EU a ” Tio Ai a . AG ts PERLE SICARIO Poppius ad Esbo in Finlandia osserò Hyl/aeus annulatus K. e tisanotteri. r Gen. Cheiranthus L. Fiori appariscenti, odorosi, omogami, a nettare quasi na- scosto. C. Cheirî L. [Hildebr., Saftdr. Cruc.; Kirchner FI. p. 285; Ave- bury, Br. F1. P1. p. 77). — I fiori gialli presentano due nettarii, situati alla base degli stami brevi, che mandano a destra ed a sinistra due prolungamenti, il cui nettare viene raccolto nelle tasche dei sepali. Le antere hanno deiscenza introrsa e chiudono la bocca del fiore; quelle più alte sono a contatto dello stimma con l’estremità inferiore, quelle più basse con l’estremità superiore. L’autoimpollinazione spontanea è perciò inevitabile, mentre gli insetti visitatori effettuano anche l’incerociamento, toccando con gli opposti lati della tromba lo stimma e le antere. Come visitatori di esemplari coltivati Knuth (Weit. Beob. p. 231) riporta Apis mellifica e Rhingia; Miller (Weit. Beob. I, p. 324) Apis mellifica e Anthophora pilipes F. ®; Schenck a Nassau An- threna flessae Pz.; Burkill (Spr. 12.) nel Yorkshire Bombus terre- ster TL.; Schletterer nel Tirolo Anthrena albicrus K. £ ST, e presso Pola: Anthrena albopunctata Rossi = funebris Pz., A. carbonaria L., A. flavipes Pz, A. morio Brull., A. schlettereri Friese, Bombus ar- gillaceus Scop., Eucera longicornis L., Halictus calceatus Scop., H. levigatus K. 9, H. morio F., H. scabiosae Rossi, H. villosulus -K., Podalirius acervorum L., P. crinipes Sm., P. nigrocinetus Lep., P. retusus L. v. meridionalis Per., Xylocopa violacea L.e gl icneumo- nidi Bassus laetatorius F. e Homoporus tarsatorîus Pz. A Casalmaggiore (1906) su esemplari coltivati (a fiori bianchi e a fiori porporini): Pierîs brassicae, ed in una varietà a fiori gialli: Xylocopa violacea (Scotti). : Ch. mutabilis e Ch. maritimus presentano fiori versicolori (Del- pino; Ult !Oss30LE-:2)p. 28): Gen. Alyssum L. Fiori abbastanza piccoli, gialli, omogami o proterogini, a net- tare parzialmente nascosto. Nettarii per lo più quattro; talvolta anche fiori senza nettare. A. calycinum L. [ Kirchner, Fl. pp. 303-304: Kerner, l. c. pa- gine 184, 333, 834; Avebury, Fl. PI. p. 84]. — I fiori d’un giallo- dorato diventano bianchicci verso la fine dell’antesi, e sono privi di nettare. Il diametro fiorale misura soltanto 1'/,-2 mm. I sepali e le unghie dei petali stanno eretti e stretti. Tutte le antere deiscono verso l'interno del fiore e rimangono Ure 3: di La — Ml — . in tale posizione; quelle degli stami corti sono alla stessa altezza dello stimma che sorpassano invece quelle degli stami lunghi. L’autoimpollinazione spontanea è quindi inevitabile (Kirchner). Secondo Kerner i fiori sono debolmente proterogini, e per mezzo delle visite degl’insetti può aver luogo l’incrociamento; se questi mancano, verso la fine della fioritura si avvera l’autogamia curvan- dosi gli stami contro lo stimma. Knuth (B?jdr.) presso Kiel osservò: Syritta pipiens L. a succiare nei fiori; Miiller (Wet. Beob. I, p. 327) in Turingia un conopide: Myopa testacea L. pure a succiare. A. saratile L. [Ginthart, Beitr. p. 30]. — In fiori esaminati in un giardino di Zurigo i nettarii rappresentavano due docce intorno alla base dei filamenti corti, debolmente sviluppate nel lato in- terno di essi filamenti o anche affatto scomparse, molto prominenti invece all’esterno, ai due lati della base dei filamenti. Nei fiori esaminati nel giardino alpino di Bourg-St.-Pierre il nettario anu- lare è interrotto anche esternamente alla base dei filamenti, sicchè si presentano quattro nettarii, situati ai due lati dei filamenti corti. I fiori di Zurigo si presentarono debolmente proterogini, spesso anche omogami, ma alla fine dell’antesi sempre omogami. I filamenti cessano di crescere quando le antere cominciano a coprirsi di polline. Il pistillo, dapprima corto, spinge innanzi lo stimma già ma- turo alle quattro antere superiori quando queste già sono in fun- zione, cosicchè l’autogamia spontanea non è esclusa. Questa è pose sibile anche più tardi, giacchè lo stimma sovrasta le dette antere in una misura insignificante. Nel giardino alpino di Bourg-St.-Pierre i fiori erano omogami o debolmente proterandri. Già nel boccio il pistillo porta una ca- pocchia stimmatica bene sviluppata, che però per lungo tempo an- cora non è sessualmente matura. Le antere superiori, nel boccio, non sopravanzano ancora il pi- stillo, ma quando incomincia l’antesi si allungano rapidamente, sor- passandolo. Verso la fine della fioritura il pistillo raggiunge di nuovo la lunghezza dell’androceo. Sicchè in questi fiori l’autoimpollinazione non interviene che alla fine della fioritura, ma con maggior sicu- rezza che negli esemplari del giardino di Zurigo. A. alpestre L. — I fiori — esaminati da Kirchner (Beòtr. p. 25) a Gelbe Wand presso Zermatt —- sono d’un giallo d’oro, odorano di miele, presentano un diametro di 3-4 mm. e sono omogami. Le antere dei quattro stami più lunghi stanno allo stesso livello dello Ò CNIL Ei PETRI, sit feti mo VERO SIE IRIS RT E MONT ANS EAST PORRI stimma, a circa 1 mm. sopra la bocca del fiore; quelle degli stami corti si trovano nell’ingresso fiorale. I lati aperti delle antere rimangono rivolti verso l’interno, ma sono così lontani dallo stimma, che l’autogamia spontanea non può dirsì in ogni caso assicurata. Ai due lati della base dei due stami brevi si trovano quattro nettarii, verdi e piccoli, a secrezione piuttosto abbondante. A. argenteum [ Hildebr. Saftdr. Crucif.]. — I fiori presentano quat- tro nettarii, situati a destra ed a sinistra della base di ciascun fi- lamento corto. Le antere superiori volgono verso lo stimma ilati coperti di pol- line, ma trovandosi quanto più è possibile da esso lontane a mo- tivo dei filamenti curvati indietro, l’incrociamento è favorito prima. dell’autoimpollinazione. A. Wulfenianum Boiss. |[Gunthart, Beitr. pp.31-32]. — Le osserva- zioni sì riferiscono ad esemplari d’un giardino di Zurigo. Nei fiori si hanno due paia di nettarii situati lateralmente alle basi dei filamenti più corti e molto sviluppati. I fiori sono debolmente proterogini, ma lo stimma sopravvive all’androceo. Il pistillo non giunge mai al livello delle antere e poichè, inol- tre, i filamenti lunghi si torcono, nel modo detto più volte, allon- tanandosi da lo stimma, l’autogamia spontanea è esclusa. A. montanum L. [Kerner, l. c. pp. 178, 194; Schulz, Beitr. II, p. 15]. — I fiori, abbastanta piccoli, emanano odor di miele; le antere degli stami più lunghi stanno per lo più alla stessa altezza dello. stimma, contemporaneamente sviluppato. I filamenti che nelle gior- nate calde sono alquanto divaricati, nella notte o durante il tempo cattivo si addossano allo stimma, cosicchè l’autoimpollinazione spon- tanea è inevitabile. I nettarii sono quattro, due nell’angolo fra la base degli stami corti e delle due paia di stami lunghi, e due innanzi alla base di ciascuna coppia ai stami lunghi (1). L’appariscenza dei fiori in questa specie viene accresciuta, se- condo Kerner (p. 178) dall’ulteriore sviluppo dei petali. Ì Schulz come visitatori dei fiori osservava ditteri; Miiller (West. Beob. I, p. 327) nel suo giardino notava: Syritta pipiens L., Éri- stalis sepulcralis L., Anthomyiasp., Lucilia cornicina, Dasytes fla- (1) Secondo Fritsch (Biol. Unters.) l'esposizione di Schulz è poco chiara, giacchè essendo quattro gli angoli fra i punti d’inserzione degli stami corti e di quelli più lunghi, i nettarii dovrebbero essere otto. . — 143 — vipes F., Cerceris variabilis Schrk,. Prosopis, sp. g) Halictus niti- diusculus K. ®, Nomada ruficornis L. ; Friese in Ungheria osservava la rara Anthrena tscheki Mor. — > nigrifrons Smith; Ducke presso Trieste: Anthrena tscheki Mor. ®, di e A. (Biareolina) negletta Dours Cd. Questa specie è stata pure estesamente descritta da Ginthart (Beitr. pp. 28-30), le cui osservazioni sì riferiscono ad esemplari del Giardino botanico e del giardino Fròbel di Zurigo, e del giar- dino alpino « Linnaea » di Bourg-St.-Pierre. Dopo aver detto dei quattro nettarii, bene sviluppati, che si trovano negli angoli fra la base degli stami lunghi e di quelli corti si diffonde lungamente sul polimorfismo che presentano le espan- sioni membranose dei filamenti, le quali non possono altrimenti considerarsi che come mezzi per la formazione di tubi atti a gui- dare la tromba degl’insetti visitatori fino al nettare. Rispetto alla dicogamia i fiori da lui esaminati si presentano omogami, o debolmente proterogini, oppure fortemente proterogini. A. transsilvanicum Schur. [ Fritsch. Biol, Unters.].. — I fiori di un giallo vivace riescono molto appariscenti nel loro insieme. I petali si allungano durante la fioritura, come — secondo Kerner — si verifica in A. montanum, Wulfenianum e « cuneatum ». (Pro- babilmente si tratta — nota Fritsch — di A. cuneifolium Ten.). La bocca del fiore è molto angusta, e proprio innanzi ad essa si trovano le antere e lo stimma. Poichè i fiori sono omogami, così — data la posizione degli organi sessuali — l’autogamia è fa- cilmente possibile, se pure la pianta non è autosterile. A destra ed a sinistra di ciascun filamento corto si trova un nettario, verde. Presso Peggau Fritsch trovò nei fiori di questa specie numerosi piccoli coleotteri: Ceuthorhynchidius floralis Payk., Meligethes ae- neus F., M. subaeneus Strm. e M. viduatus. Strm., oltre a picco- lissimi formicidi. A. halimifolium DC. — I nettarii sono curvati un po’ in giù, quasi ad uncino, stretti, gialli (Villani, Malp, XIX). Gen. Clypeola L. Due nettarii sono situati ai lati di ciascun filamento corto ( Vi2- lani, Malp. XIX). C. messanensis secondo Kerner (l. cit. p. 333) è proterogina e l’autogamia, verso il termine della fioritura avviene nel modo che è detto per Lobularia nummularia. Gen. Lobularia Desv. L. maritima ha fiori che emanano un forte odore di miele (Ave- bury, p. 84), molto visitati dalle api (Mi/debdr.). £ A i ì CEST EEE RI TR BARE LI PI 0a e A su ei ea e ie ae i Hildebrand (1896) trovò questa specie autosterile nel Giardino botanico di Freiburg. Secondo Caspary, come riporta Hildebrand (Saftdr. d. Crucif.) i fiori presentano otto nettaril. L. nummularia secondo Kerner (1. cit. p. 333) è proterogina, tut- tavia verso la fine della fioritura gli stami movendosi verso il centro del fiore, rendono possibile l’autogamia, giacchè il polline degli stami lunghi perviene su lo stimma. Gen. Berteroa DC. Fiori bianchi, omogami, a nettare parzialmente nascosto. Net- taril 4. B. incana DO. (= Alyssum incanum L.) [Schulz, Beitr. I. p. 4; Kirchner, Fl. p. 304; Mac Leod, Bevr. p. 391: Warnstorf, Rupp. F1., 1895]. — I nettarii sono quattro; due per lato di ciascun filamento corto (Schulz); al lato di ciascuno stame più corto sta un dente che va ad addossarsi contro l’ovario, che a sua volta’con i suoi spigoli affi- lati aderisce ai quattro stami più lunghi (K?rchner, Mac Leod).In questo modo sì forma uno speciale accesso ad ogni nettario,. Le antere dei quattro stami lunghi subiscono una torsione di 90° volgendosi contro gli stami corti, le cui antere si trovano alla stessa altezza dello stimma, mentre le altre sono alquanto più in alto. L’autoimpollinazione è quindi possibile. Warnstorf trovava i fiori proterogini ; lo stimma era già svi- luppato nei fiori semichiusi e gli stami più lunghi in questo frat- tempo ancora molto più corti dello stilo e con le antere chiuse ; quando avviene l’espansione dei petali i filamenti si allungano e sovrastano un po’ lo stimma, facilitando così l’autogamia. Knuth (MHerbstb., Bijdr.) come visitatori dei fiori osservò presso Kiel Eristalis arbustorum L., E. nemorum L., Rhingia rostrata L., Syritta pipiens L., Syrphus ribesiù Li e Vanessa io L.; Warnstorf, presso Ruppin: Apis-sp., ed Alfken, presso Brema: Malictus bre- vicornis Schek. 9. Gen. Fibigia Med. Fiori gialli o porporini. F. lunarioides Willd. e F. eriocarpa DC. — I quattro netta- rii si trovano a due a due alla base ed ai lati di ciascuno stame breve in forma di protuberanze poliedriche irregolari; più spesso ogni nettario presenta tre lobi, due dei quali, quasi formando un semicerchio, circondano una parte del filamento corto ed il terzo lobo è posto alla base dello stame lungo adiacente (Viani, Malp. XIX). — 145 — Gen. Vesicaria Lam. Fiori gialli a nettare parzialmente nascosto. V. aretica R. Br. — Warming (502. Opt. I.) riferisce soltanto di questa specie di averla trovata con frutti a 2100 m. di altezza. V. utriculata L. — Secondo Briquet (Etudes, etc.) che 1’ ha osser- vata nel Basso Vallese, su le rocce intorno alla cascata di Pisse- vache, i suoi fiori gialli del diametro di 1,5 cm., attirano da lungi l’attenzione e sono visitati da imenotteri e lepidotteri. Anche Hil- debrand (Saftd. d. Cruc.) dice di questi fiori che sono adattati ad insetti a lunga tromba. A destra ed a sinistra degli stami laterali (più corti) ed alla loro base si trovano due nettarii in forma di mammelloni ver- dastri; si hanno quindi in tutto quattro nettarii. Le antere e la sommità del pistillo occupano l’ingresso del fiore, ostruendolo completamente. I due lobi stimmatici sorpassano alquanto le antere quando queste si aprono per emettere il loro polline, e durante l’antesi questa differenza di livello aumenta sempre più. Cosiechè mancando le visite degl’ insetti, l’autoimpollinazione non è, di regola, possibile. Ma quando gl’insetti visitano il fiore, la disposizione accennata può provocare tanto l’incrociamento che l’autoimpollinazione. Talvolta i due stami esterni hanno la stessa lunghezza dei quattro interni. I fiori esaminati da Kirchner (Bot. Centralbl. Bd. 69, p. 20) erano lievemente proterogini, privi di odore, ed il loro diametro raggiungeva 15-22 mm. V. grandiflora Hook. — I quattro nettarii situati uno alla base e tra ciascun filamento corto ed il lungo adiacente, sono semilunari e, non congiungendosi mai tra loro, circondano come un disco in- torno intorno gli stami; la base degli stami è, inoltre, tetragonale ed ingrossata e perciò i nettarii si sono adattati ad essa (Villani, Malp. XIX). Gen. Braya Sternb. et Hoppe. Fiori gialli o bianchi a nettare parzialmente nascosto. B. alpina Sternb. secondo Kerner (p. 329) è proterogina e l’au- togamia avviene in seguito all’allungamento che subiscono gli stami. Nel medesimo modo poi che in Ma/colmia, due gruppi di setole erette, dure ed aguzze, esistenti su l’ovario indicano agl’insetti la via per andare al nettare, su la quale essi devono necessariamente urtare col succiatoio e col capo le antere coperte di polline (1. cit. p. 244). ANNALI DI BOTANICA. — Vor. XI. 10 È; re: Sn ” PIP ESRI ERI) dle’; PE i PIA LETI SISI - 3° - è e, a — 146 — Secondo Ekstam nella Nuova Zembla i fiori, del diametro di 5-8 mm. e senza odore, bianchi o violetti, sono omogami o debol- mente proterogini-omogami. Nel boccio le antere e lo stimma stanno alla stessa altezza e non sono ancora completamente sviluppati. In un fiore non com- pletamente aperto le cose stanno egualmente, ma lo stimma è al- quanto papilloso, lucente. Poi cresce lo stilo e le antere nei fiori totalmente aperti raggiungono lo stimma soltanto con la loro estre- mità superiore, dove comincia l’emissione del polline. L’autoim pol- linazione è quindi possibile. Ekstam non osservò insetti a visitare i fiori e non riscontrò frutti pienamente maturi. B. glabella. Rich., dello Spitzberg, secondo Delpino (1900) è ri- feribile alle crocifere omostaurogame, miomelittofile. Gen. Anastatica L. Fiori bianchi. Due nettarii ai lati di ciascun filamento breve (Villani, Malp. XIX). Su A. hjerochuntica L., la celebre « Rosa di Gerico », uno dei più noti esempi di igrocasia, legga lo studioso la breve ma inte- ressante nota del prof. Borzì (Biolog. d. disseminaz. di alc. Croci- fere, Bull. Soc. bot. ital. 14 nov. 1908), ricordata anche dal Bé- guinot in una recentissima pubblicazione (1). Gen. Pugionium Grtn. Fiori rosei. P. dolabratum Maxim., della Mongolia, secondo Batalin (Acta h. Petropolit. X, 2, 1888) è proterandro (da Xnutà, II, 1, p. 130). Gen. Malcolmia R. Br. Fiori bianchi o rosei, appariscenti, a nettare nascosto. M. maritima R. Br. — In questa specie e nella M. africana R. Br., secondo Kerner (l. cit. p. 244), come in Braya alpina, due serie di setole aguzze esistenti su l’ovario segnano agl’insetti la via al nettare. Questo, secondo Villani (Malp. XIX) è secreto da due nettarii inseriti uno alla base e tra ciascun filamento breve e l’ovario, e nella M. marittima hanno forma di cuscinetti pentagonali. Secondo Hildebrand (Berichte etc. 1896; XIV; p. 327) questa specie è autofertile. Nella M. torulosa Desf. secondo Villani (1. cit.) i nettarii si pre- sentano a volte semplici e di forma conica, a volte tubercoluti e bilobi. Nella M. flexuosa Sibth. e Sm. e nella M. Chia DO.i nettarii (1) BiGuINoT A. — La Flora, il paesaggio botanico e le piante utili della Tripolitania e Cirenaica ; Padova, Drucker editori, 1912. — 147 — concordano nella forma e nella posizione con' quelli di M. mari- tima. Nella M. africana, in numero di due circondano a guisa di ferro di cavallo l’inserzione degli stami brevi e sono aperti nella parte esterna. Superiormente presentano due appendici che si por- tano sotto ed esternamente ai lunghi filamenti; qualche volta mostrano un solco più o meno accentuato fra lo stame corto e l’ovario. Tdentico fenomeno si riscontra nella M. graeca. Boiss. et Spr. ed altre. Talvolta il solco è così profondo da fare apparire i net- tarii in numero di quattro, due per lato di ciascun filamento breve. In un lavoro recentissimo (1910) Villani raggruppa in due serie le Malcolmia da lui studiate rispetto ai nettarii: la prima, a net- tarii poliedrici, comprende M. marittima, flexuosa, Chia, ecc., la se- conda, a nettarii in forma di ferro-di cavallo, abbraccia M. afri- cana, graeca, ecc. Gen. Farsetia Turr. F. aegyptiaca Turra. | Fisch, Beitr. pp. 27-29]. — I fiori di questa specie osservata dal Fisch ad Heluan, presentano un tubo corollino di qualche mm. sporgente dal calice, che misura 11-14 mm., ed il diametro fiorale è di 11-19 mm. I petali variano molto nella forma e nel colore; questo è più intenso su la faccia interna che su l’e- sterna, d’un violetto cupo o giallo tendente al bianco; per altro tra i fiori bianchi, gialli o violetto-cupi si riscontrano tutte le grada- zioni possibili, però non in uno stesso individuo, che porta sempre fiori di uno stesso colore, ma rispetto a quelli di individui diversi. Due nettarii soli sono sviluppati alla base dei filamenti corti. Le papille stimmatiche sono già completamente sviluppate nel fiore in boccio, mentre le antere cominciano ad emettere il polline un po’ prima o all’espandersi del fiore. A motivo della posizione dello stimma l’autogamia è inevitabile, però anche l’incrociamento viene provocato. ì Fisch ritiene questi fiori come adattati a lepidotteri notturni, non solo in base alla forma ed al loro colore, ma anche per l’o- dore che essi emanano alla sera e di notte. L’odore dapprima in- definibile, a sensazioni dolcigne, diventa col lungo annasare spia- cevole e piccante (ammoniacale). L'accesso al nettare molto ristretto e tutto 1’ insieme delle di- sposizioni fiorali lascia pensare a pronubi tra le farfalle notturne, tuttavia non osservò che dei visitatori di nessun vantaggio, un sisfide, cioè, ed un muscide, due coleotteri ed una formica. Fisch riscontrò pure non raramente fori alla base del calice, senza averne però scoperto gli autori. e > PX °° ue EER et Re I SE MII ch : CIV RIE RT Ad Pot bra PAPI nin Lod di fac hanea è RES VE I TRA NIE SENI" Gen. Euclidium R. Br. Fiori bianchi. E. syriacum R. Br. presenta quattro nettarii, piccoli, due per lato ed alla base di ogni filamento breve, tubercoliformi od appena arcuati e leggermente compressi (Villani, Bull. Soc. bot. it. 1909). Gen. Hesperis L. Fiori appariscenti, odorosi, a nettare nascosto. Nettarii 2 o 4. H. matronalis L. [Mùller, Befr., p. 137; Kirchner, Fl. p. 2983; Warnstorf, Rupp. Fl. 1895; Kerner, l. c. pp. 198, 200, 204; Anuth, Weit. Beob. p. 23; Avedbury, Br. FI. PI., p. 80]. — I grandi fiori emanano, specialmente la sera, un odore di viola. I nettarii sono rappresentati da due glandole verdi, carnose, che circondano la base degli stami corti. Le antere degli stami più lunghi si trovano nella bocca del fiore; dopo che hanno versato il loro pelline crescono alquanto e sporgono in fuori — la qual cosa avviene molto di rado, nota Avebury. Le antere degli stami corti, deiscendo, vengono a contatto dello stimma con la loro estremità superiore; nel corso della fioritura anche queste sporgono dal fiore. Tutte poi le antere hanno deiscenza introrsa, co- sicchè tutte ricoprono lo stimma di polline, e quindi l’autoim pol- linazione è immancabile. Gl’insetti succiatori provocano però incro- ciamenti, toccando con gli opposti lati della tromba o del capo le antere e lo stimma, mentre quelli che raccolgono polline possono effettuare l’auto-e l’eteroimpollinazione. Warnstorf ha trovato i fiori debolmente proterogini od omogami. Secoudo Jordan le antere degli stami diventano più tardi se- miestrorse. Miiller (l. c.) riporta i seguenti insetti visitatori: Nemotelus pan- therinus L.; Chrysogaster aenea Mgn., Eristalis nemorum L., E. tenax L., Volucella pellucens L., Ehingia rostrata L., tra i ditteri; Ha- lictus leucopus K. 9, Andrena albicans K. ®, Apis mellifica L. ©, tra gl’'imenotteri; Pierîs brassicae L., P. Napi L., P. rapae; An- thocomus fasciatus L. In « Weit. Beob. II, p. 200 » : Erist. nemorum, Rhingia rostrata ed una cimice: Strachia oleracea L., osservati dal Buddeberg a Nassau. Knuth (Bijdr.) riporta: rist. tenax, E. arbustorum, E. pertinax, khin. rostrata; Apîs mellifica e Bombus lapidarius L. 9 e le tre Pieris suddette; nonchè Vanessa urticae L. (Weit. Beob.). Fritsch nel Giardino botanico di Graz osservò Epicometis hirta (Beobacht.). In esemplari di giardino io vidi spesso a Mortara (Pavia) i fiori di H. matronalis visitati da Pieris-sp., Volucella-sp. e Bombus. — 149 — Hesp. tristis L. [ Muller, Weit. Beob. II, pp. 200-202; Kerner, 1. c. II, pp. 192, 200-201, 204, 238]. — I petali d’un verde-gialliccio sporco con venature d’un grigio-verde sudicio non emanano alcun odore di giorno e non sono osservati da gl’ insetti, ma quando viene la sera tramandano un forte odore di giacinto che attira molti le- pidotteri notturni. Secondo Miiller sul lato interno della base dei filamenti più corti si trovano due grandi glandole nettaree, verdi, carnose, la cui se- crezione è così abbondante da riempire i due angoli fra la base di ciascun filamento corto, quella dei due stami adiacenti più lunghi ed il pistillo. I sepali, lunghi 11-15 mm., sono alla base lievemente curvati in fuori, mentre per due terzi della loro lunghezza, in alto, sono così serrati da tenere unite insieme le unghie-dei petali, lasciando così al principio della fioritura soltanto uno o due angusti accessi al nettare, comodi soltanto per la tromba delle farfalle. Al principio della fioritura le antere dei 4 stami lunghi coperte di polline, stanno, nell’ingresso fiorale, rivolte verso il centro del fiore; ad 1 0 2 mm. al disotto si trova lo stimma contemporanea- mente sviluppato. Questo è diviso in due lobi, le cui sottili estre- mità sono volte in basso. Le antere dei due stami più corti rivolgono parimenti verso il centro del fiore i lati coperti di polline, e sono così presso allo stimma che con la loro estremità superiore si trovano quasi allo stesso livello dei lobi stimmatici ricurvi o presso a poco ad 1 mm. di distanza. Gli accessi al nettare si trovano fra le dette estremità stimma- tiche ed uno stame corto, cosicchè la tromba d’una farfalla che succia il nettare, rasenta con gli opposti lati lo stimma e la faccia coperta di polline di un’antera d’uno stame corto. Introducendo poscia in altro fiore la tromba già imbrattata di polline intorno intorno, la farfalla provoca incrociamenti. Ma se manca la visita da parte degl’ insetti lo stimma si spinge in alto fra le antere dei quattro stami più lunghi e si ricopre di polline. L’autoimpollinazione, secondo le ricerche di Miiller, è fertile, mentre Hildebrand (1896) in un solo esemplare del suo giardino constatò nessuna produzione di frutti o di frutti senza semi buoni. Le funzioni degli stami in questa crocifera sono secondo Miiller molto diverse. Nei giovani fiori i quattro più lunghi tengono lon- tani dal nettare i visitatori inutili, ostruendo con le loro antere l'ingresso fiorale e con i loro filamenti contribuiscono a guidare al — 150 — nettare la tromba d’una farfalla; nei fiori più vecchi, quando l’in- crociamento fosse mancato, rendono inevitabile l’autoimpollinazione. I due stami corti servono invece esclusivamente all’ inerociamento. Agnese Miiller in alcune miti sere di maggio osservò visitatori e pronubi dei fiori di Hesperis tristis ; Plusia gamma L. (15-18 mm. di tromba) frequente, Madena sp. (11 mm.), Dianthoecia conspersa W. V.; un geometro: Jodis lactearia L. ed un piralide: Botys forficalis. Kerner (p. 238) riferisce che questi fiori vengono visitati da piccole specie del genere Plusia, e P. gamma ho osservato più volte anch’io in esemplari d’un giardino di Mortara. Analogamente a quanto riferisce Miller, anche Comes (1875) ri- porta che mentre prima della deiscenza delle antere lo stimma bi- lobo si trova ad un livello più basso, in seguito prolungandosi ra- pidamente il gineceo, esso rade con i lobi il tubo attorniato dalle antere e ne asporta gran quantità di polline. Sicchè la specie è di quelle ad impollinazione omoclina. Gen. Matthiola R. Br. Fiori appariscenti, a nettare profondamente nascosto, secreto da un nettario ai lati della base di ciascun filamento corto. M. incana R. Br. (Knuth, Bot. Centralbl., Bd. 70, n. 24/25, pp. 337, 338). — I fiori omogami, d’un rosso vivace, emanano un odore di ga- rofano (di viola, secondo Kerner, p.193). I sepali avvicinati in alto, serrano le unghie dei petali formando così un tubo della lunghezza di 15 mm. e del diametro di 2 mm., che si allarga in alto a 4 mm. L’aspetto cuoriforme della base del calice tradisce da l’esterno la posizione dei nettaril: la base di ogni filamento corto è circondata da un cercine nettareo abbastanza grosso che ad ogni lato produce rispettivamente una grossa goccia di nettare, cosicchè il tubo ne è riempito sino alla metà. Alla base dei quattro stami più lunghi si trova un cercine più piccolo, che però non produce nettare: quindi più meschina è la gibbosità dei sepali corrispondenti. Le antere degli stami più lunghi raggiungono la bocca del fiore e rivolgono in dentro i lati coperti di polline, lunghi circa 5 mm. Quelle degli stami corti, di eguale lunghezza, hanno filamenti di 2-3 mm. di lunghezza; esse non giungono perciò allo stimma, che sta circa 8 mm. alto nel tubo corollino. In conseguenza di ciò, gli stami lunghi servono all’autoimpollinazione, spontanea per la caduta del polline su lo stimma o per mezzo degl’insetti, mentre i più corti, pure rivolti verso l'interno, servono all’incrociamento. Knuth (Bijdr.) nel giardino della scuola di Kiel osservò a vi- sitare i fiori di esemplari coltivati di questa specie una farfalla D'ota À vana — 151 — diurna: Vanessa urticae È, (lunghezza della tromba 14-15 mm.) e quivi pure notava Pierès-sp. Secondo Villani (1910) i nettarii ora sono due ed ora quattro. In quest’ultimo caso sono più ravvicinati tra il filamento breve e l’ovario che all'infuori, anzi, qualche volta mostrano nella parte superiore un accenno di appendici laterali. Nella nota già ricordata su la disseminazione di alcune Croci- fere (Boll. Soc. bot. it., 14 nov. 1908) il prof. Borzì rileva il valore biologico della macrobiocarpia presentata da questa specie, eminen- temente ruderale. M. annua Sweet. — È specie coltivata. Knuth (Biidr.) osservò | Pieris-sp., a visitarne i fiori; Schletterer presso Pola notò Xylocopa violacea L. Nell’odore e nella posizione dei nettarii concorda con M. incana (Kerner). Esperienze eseguite da Nobbe (Bot. Centralbl., Bd. 32, p. 253) provarono che incrociando varietà con tendenza a fiori doppi con altre a fiori semplici, prevalgono nei prodotti i caratteri di quella varietà che ha fornito il polline. Inoltre i semi che germogliano più presto (in 3-4 giorni) forniscono in prevalenza fiori doppi, quelli che a germogliare impiegano un tempo più lungo (9-10 giorni) dànno fiori semplici e fertili. Oltre Nobbe fecero anche esperienze culturali Mac Leod (Bull. Ac. Roy. Belg., XVIII, 1889; Bot. Jaarboek, II, 1890, e Schmidt, Hiltner e Richter (Landwirts Versuchsstat., XXXV, 3, 1888). M. Valesiaca Boiss. secondo Briquet (Etudes) che l’ha osservata nelle valli di St-Nicolas, di Binn, nel Sempione, è esclusivamente visitata da lepidotteri diurni e talvolta anche da bombi. Per giun- gere al nettare — prodotto da due nettarii verdastri situati a si- nistra e a destra e alla base degli stami corti — occorre a gl’insetti una tromba di 8-10 mm. I petali, d’un violetto sporco nel lembo e bianchi nel punto in cui si curvano per passare all’unghia, si espandono in un piano 1l cui diametro raggiunge 3,3-5 cm. Il nettare si raccoglie in fondo al tubo formato dai sepali e dalle unghie dei petali. Al momento dell’emissione del polline il pistillo si trova a li- vello degli stami corti, ma gli stimmi non vengono mai a contatto con essi, poichè ne sono separati dall’ampiezza dei filamenti degli stami lunghi. Questi sorpassano di molto lo stimma. L’autoimpollinazione perciò è di regola, ma gl’insetti passando da fiore a fiore possono anche provocare inerociamenti. rà aule diceria eni orali de. L »e o te pae E IR RIT er 7 Petr ) È a t ri — 152 — M. bicornis DC. — I fiori di questa specie sono affatto not- turni, aprendosi di sera per chiudersi alla mattina successiva (Mattez, Lepid. e Dic. p. 43). Villani (Ma/p. XIX) riscontrò quattro nettarii, uno per lato di ciascun filamento breve, quasi laminacei, eretti, abbastanza lunghi, appuntiti all'apice e qualche volta bipartiti. Così pure nella Mat- thiola sinuata R. Br.; non di rado i nettarii in queste due specie sì riducono a due, come se fossero concresciuti tra loro a guisa di anello profondamente solcato all’interno ed all’esterno del fila- mento (Villani, 1910). M. tricuspidata R. Br. [ Ponzo, 1905]. I sepali avvicinati, lunghi 12-14 mm. formano un tubo intorno alle unghie dei petali, dal lembo violaceo, obovato, smarginato. I sel stami inclusi completamente nel tubo, hanno antere lineari, lunghe poco meno dei filamenti ed introrse; il pistillo è più corto e raggiunge appena l’altezza dei 4 filamenti più lunghi. Interna- mente, alla base, si produce il nettare. L’autogamia, evidente, è anche fertilissima. Ponzo crede fertilissima anche l’autogamia in M. rupestris che vide fra le rupi fornita sempre di innumerevoli silique. Secondo Villani (Malp. XIX) in M. tricuspidata si hanno due nettarii, contornanti ciascuno la base degli stami brevi. M. nudicaulis (L.) Trautv. — Nella Nuova Zembla, secondo Ekstam, i fiori di questa specie raggiungono un diametro di 10-20 millimetri e talvolta di 35 mm. Sono bianchi, rossì o rosei, con un forte profumo di Leucoium e con produzione di nettare alla base degli stami più corti. L’autoimpollinazione, nei fiori omogami, viene facilitata dall’es- sere gli stimmi più bassi di 2-3 mm. delle antere. Ekstam riscontrò frutti maturi e vide tali fiori ripetutamente visitati da Bombus. In altra memoria (1894) riferiva che quando il vento è gagliardo (a Matotschkin Schar, tra 73° e 74° lat. bor.) i bombi cercano ri- fugio nei fiori di questa specie e di Saxifraga oppositifolia, dalla quale, in media, proveniva il 90 % del polline che trovò su i bombi esaminati, mentre il 10 % era di M. nudicaulis. Allo Spitzberg questa specie fu trovata solo una volta nel 1827, mentre Andersson ed Hesselman non ne dànno alcuna notizia (da Knuth, III, 2, p. 278). Gen. Bunias L. Fiori gialli, omogami, a nettare nascosto. B. orientalis L. — Secondo Kirchner (FI., p. 314-315) i fiori giallo-dorati, odorosi, riuniti in grandi infiorescenze, presentano due — 1539 — nettarii a meschina secrezione, cioè un piccolo tubercolo semicirco- lare, verde, al lato interno delle basi di ciascun filamento breve. Il diametro dei fiori misura 11 mm.; le antere dei due stami corti stanno press’a poco allo stesso livello dello stimma, ma es- sendo piegate in fuori rimangono da esso lontane e verticali: esse deiscono un po’ più tardi delle altre quattro e volgono verso l’in- terno il lato coperto di polline. Mediante la visita degl’insetti è possibile tanto l’auto-che l’ete- roimpollinazione. «Quella ha luogo spontaneamente per la caduta del polline de- gli stami lunghi su lo stimma, ed è secondo Comes (Ult. St.) fer- tile. Warnstort (Rupp. Fl., 1895) indica i fiori come proterogini, ad autoimpollinazione inevitabile per essere gli stami sovrastanti allo stimma. Loew nel giardino botanico di Berlino osservò visitatori Bibo hortulanus L. 2 T, Ceria conopsoides L., Eristalis arbustorum L., tra i ditteri; Anthrena propinqua Schenck ® e Prosopis communis Nyl.d tra gli apidi, ed un tentredinide: Cephus-sp. 2. Hildebrand (1905) nel giardino botanico di Freiburg constatava la quasi assoluta sterilità nei fiori di un esemplare rimasto lontano dagli altri coltivati nello stesso giardino, malgrado fiorisse esube- rantemente e fosse visitato da numerose api. Silén in Finlandia, presso Kexholm, osservò i seguenti visita- tori: Eristalis arbustorum L. ST %, E. nemorum L. 2, Helophilus lunulatus Mg. ®, Syritta pipiens L. 9, Melanostoma mellina L. ®, Me- lithreptus nigricora Zett. T, M. dispar Loew d, Calliphora erythro- cephala Mg. d, Lucilia caesar L. £, Dilophus femoratus Mg. 2, D. albipennis Mg. 3, Tachina-sp., Acmaeops pratensis Laich., Ma- lachius aeneus L., Andrena albicans Mill. 2, Colletes cunicularia esi B. Erucago L. presenta secondo Villani (Malp., XIX) quattro nettarii: uno ad anello, aperto all’infuori, circonda ciascuna inser- zione del filamento breve, ed uno tubercoliforme, appena appena bilobo, trovasi alla base e tra gli stami lunghi. Secondo Comes (1. cit.) è autofertile. Schletterer presso Pola osservò visitatori dei fiori gli apidi: Anthrena flavipes Pz., A. nana K., Halictus fasciatellus Schek., H. morbillosus Krcht., H. morio F. (da Knuth, II, 1, p. 126). Secondo Hildebrand (Saftdr.; sub B. aspera) due nettarii alla base esterna delle coppie di filamenti lunghi sono abortiti e due sviluppati circondano la base dei filamenti corti. Gen. Chorispora DC. Fiori gialli o rosei. Nettarii due, inseriti uno alla base e tra ciascun filamento breve e l’ovario. Nella CA. tenella DC. sono tu- bercoliformi (Villani, Malp. XIX). Gen. Parrya R. Br. P. macrocarpa k. Br. dell’isola Melville, dell'Alaska, e anche dell'Asia Centrale, possiede secondo Eastwood (Bot. Gaz. 33, p. 148- 149) dei sepali lievemente porporini, gli esterni quasi speronati alla base; i petali, bianchi o porporini, sono lunghi 12 mm. e a lunga unghia. Sembra che vi sia secrezione nettarea nel calice (!). I semi alati accennano ad anemocoria (da Knutàh, III, 2, p. 278). Secondo Delpino (Compar. biolog. ecc.) la P. arctica, dello Spitzberg, appartenente al tipo brachisifone, è da considerarsi come staurogama miomelittofila. Gen. Conringia Heist. Fiori d’un giallo-pallido, di rado a venature rosse. Nettarii due. C. orientalis Andrz., C. clavata Boiss. — I due nettarii, circon- danti ad anello la base degli stami brevi, sono tuttavia aperti per un breve tratto tra questi ed i sepali corrispondenti (Villani, Malp. XIX). Nella C. planisiliqua F. et. M. invece, i nettarii sono quattro: due in forma di cuscinetti irregolarmente pentagonali, un po’ sol- cati internamente, si trovano ognuno alla base e tra ciascun fila- mento breve e l’ovario; e due piccoli a linguetta ottusa, uno all’esterno ed alla base di ciascuna coppia di filamenti lunghi (Villani, 1910). Gen. Moricandia DC. Fiori violetti in grappoli lassi ed allungati. M. arvensis (L.) DC. secondo Villani (Ma/p. XIX) presenta due nettarii, verdi, piccoli, ora cilindrici o conici e posti uno tra cia- scun filamento breve e l’ovario, ora in forma di un semicerchio che circonda lo stame. Bayer (Beîtr.; cit. da Villani, 1910) asserisce di avere consta- tato anche la presenza dei nettarii degli stami lunghi, molto pic- coli, quasi indistinti e spesso mancanti. Questa specie, erbacea nei campi, diventa suffrutescente su le colline aride e montuose. Gen. Pachycladon HK. f. P. Novae Zealandiae Hook. f. — Questa pianticella alpina cresce frequentemente nella Nuova Zelanda in vicinanza dei campi di neve e secondo Buchanan (Trans. Proc. New Zealand Instit. XIV. 1881. p. 343-344) fiorisce e fruttifica in breve spazio di tempo, come fanno altre piante nivali (da Xnutà, III, 1 p. 321). Sguardo generale su le “ Cruciferae ,,. Le Crocifere hanno fiori regolari, ermafroditi, in generale pic- coli, riuniti in grappoli terminali, in principio ombrelliformi e corimbiformi, privi per lo più di brattee e profilli. Tali infiore- scenze sono ad accrescimento acropeto; frequente è quindi il caso di trovare alla base dell’infiorescenza i frutti già maturi o ridotti al semplice replo, mentre all’apice i fiori sono ancora in boccio; ad es. nella comunissima Capsella bursa-pastoris, in Biscutella di- dyma, ecc. ecc. Il dott. D'Onofrio (1) riguarda le infiorescenze delle Crocifere come infiorescenze simpodiali i cui assi sono orientati polistica- mente, ossia in cinque o più direzioni dello spazio. Il calice serve non solo come organo di protezione, ma in molti casì serra talmente le unghie dei petali in modo da formare un breve tubo in fondo al quale si trova il nettare. I quattro sepali, distinti, d’ordinario caduchi (2), spesso eretti, alternano con i pe- tali. I due laterali, interni, sono frequentemente gobbo-carenati alla base, ed innanzi a questi stanno le due coppie di stami più lunghi, mentre innanzi ai due sepali esterni stanno gli stami più corti. Dalla lunghezza dei sepali e dalla loro commessura laterale di- pende la profondità a cui si trova il nettare e da ciò la pertinenza delle specie alle diverse classi fiorali. Come si è detto, i due sepali laterali si prolungano spesso in basso a mo’ di gobba (Conringia orientalis, Malcolmia maritima, Erysimum hieracifolium, Brassica monensis, Moricandia arvensts, Raphanus, Rapistrum) o di cornetti (Biscutella). Tali formazioni sono talvolta in relazione con i nettarii, raccogliendovisi il net- tare (ad es. Cardamine pratensis; ed a questo proposito Miiller nota come il calice di questa specie abbia una durata più lunga che in molte altre Crocifere) oppure le glandole nettaree vi pe- netrano, come è il caso di Biscutella auriculata. (1) Composizione morfologica di aleune Fanerogame; Infiorescenza delle Crocifere: Bull. Orto Botanico di Napoli, tomo I, fasc. 3, p. 336; 1902. (2) Caduchi sono pure i petali e gli stami, rimanendo libero su l’asse l’o- vario supero (Haars: Ueber das Abfallen von Bliitenteilen, Inaug. - Dissert., Kiel, 1911). RGS Pe SOT I pr SOM eta Ma, come rileva Giinthart, queste tasche sepaline si presentano spesso in fiori nei quali i nettarii non sono affatto situati su gli stami minori (Aethionema armenum Boiss., Cardamine trifolia L. e molte altre); frequentemente — malgrado l'abbondanza del net- tare nel fondo del fiore — esse non contengono nettare, e talvolta esse si rinvengono in fiori privi di nettare, come è il caso di Arabis coerulea Kaenke. Egli ritiene perciò che queste tasche sepa- line (« Honigsicke > e « Honigtaschen ») o cornetti (< Honigsporn ») rappresentino semplici caratteri morfologici che solo occasional- mente acquistano importanza biologica. Egli ha in seguito (1910) distinto queste tasche sepaline in proprie ed improprie, « echte » ed « unechte », a seconda che contengono nettare o ne son prive. La corolla risulta di quattro petali, disposti in croce, le cui unghie, assottigliate alla base, stanno verticali, e le lamine sono invece patenti. Per lo più le lamine sono indivise, talvolta smer- late o bifide (Berteroa), più raramente pennatifide (Schizopetalum, Dryopetalum). Tù Iberis e in Teesdalea nudicaulis i petali rivolti in fuori hanno maggiori dimensioni, ed in alcune specie di parecchi generi, spe- cialmente Lepidium e Coronopus, Nasturtium e Cardamine, i petali sono molto piccoli e talvolta mancano affatto. In Pringlea si hanno fiori senza petali, ovvero con 1, 2,3 o 4 petali; in Capsella dursa- pastoris sono talvolta costituiti da quattro stami. Predomina nei petali il colore bianco, a cui tien dietro subito il giallo, mentre più scarse sono le specie a fiori violetti (Erucaria, Cakile, Ricotia, Lunaria, Moricandia, Matthiola valesiaca, Descu- rainia deltoides), rosei (Jonopsidium, 1beris-sp., Aethionema - sp., Pe- trocallis, Peltaria - sp., Goldbachia, Arabis - sp., Pugionum, Mal- colmia - sp., Chorispora - sp.), porporini (Zilla myagroides, Schizo- petalum - sp., Aubrietia - sp., Fibigia - sp.), rossi o rossastri (Den- taria - sp., Matthiola incana) o bleu (Arabis - Sp.). Fiori versicolori presentano Zilla myagroides, Diplotaxis - sp., Alyssum calycinum, Cheiranthus mutabilis e maritimus, ecc. Non poche Crocifere hanno fiori odorosi; i fiori di Crambe ma- ritima, Hugueninia tanacetifolia, Erysimum odoratum, Alyssum al- pestre e montanum, Lobularia maritima emanano odore di miele; quelli di Matthiola annua e incana (sec. Kerner), varia, di Chei- ranthus Cheiri, Hesperis matronalis, odor di viola; odor di garo- fano, secondo Knuth, tramandano i fiori di Matthiola incana e odor di giacinto quelli di Hesperis tristis e di Lunaria rediviva (sec. Del- pino, Ult. Ossi 22,05): Come i sepali, anche i petali (e gli stami) nella maggior parte un dre È \ — 157 — delle Crocifere — come nel maggior numer» delle Polipetale e Simpetale xerofile — appassiscono in breve tempo, dopo avvenuta la fecondazione dei fiori, si staccano e cadono. Più raramente per- siste il perianzio, come ad esempio in alcune specie di Alyssum (vernale, sinuatum, argenteum, micranthum, alpestre), Draba (la- siocarpa, Aizoon, hispanica, affinis, olympica), in Meliophila am- plexricaulis, Isatis - sp., ecc. Circa i movimenti gamotropici del perianzio, presentano fiori agamotropici, secondo Hansgirg (1), Hutchinsia petraea, alpina ; Iberis jucunda; Matthiola sinuata; Cakile maritima; Alyssum spi- nosum, alpestre, maritimum; Dentaria polyphylla, digitata, Draba, armata, lasiocarpa, ecc.; Arabis pumila, procurrens, albida, ecc.; Thlaspi violascens, montanum; Braya alpina; Aubrietia intermedia; Cardamine amara; Conringia orientalis ; Coronopus violascens ; Le- pidium stylatum; Malcolmia mongolica; Moricandia arvensis, Ra- phanus caudatus, ecc. ecc., ed emigamotropici: Stenophragma pumi- lum e Thalianum; Arabis Stelleri, japonica e Scopoliana; Aubrietia gracilis, Pinardii, erubescens, parviflorà ; Thlaspi cochleariforme e Kowaczii, ecc. ecc. Fiori che si aprono e chiudono periodicamente presentano Di- plotaxis sitfolia, erucordes; Arabis arenosa, Soyeri, pumila; Biscutella lejocarpa, ciliata, raphanifolia ; Bunias erucago, Farsetia clypeata, Sinapis juncea, Huqueninia tanacetifolia, Vesicaria sinuata, ecc., e fiori efimeri /{eliophila arabioides. L’androceo delle Crocifere offre uno dei più noti esempi di sdop- piamento. Gli stami, tetradinami, formano due verticilli dimeri, il superiore dei quali sdoppiato e perciò di quattro pezzi. Ma come nella corolla, anche l’androceo offre casi di riduzione; così, ad esempio, in Cardamine hirsuta mancano per lo viù gli stami late- rali, mentre alcune specie di Lepidium (L. Iberis) e di Senebiera (S. didyma) mostrano fiori affatto diandri, presentandosi soltanto gli stami mediani. D'altra parte in Megacarpaea si riscontrano stami numerosi (fino 16). In non pochi generi, (specialmente delle Ve2- linae e Moricandtinae) i filamenti degli stami più lunghi sono @ due a due uniti fra loro (Moricandia arvensis). Un gruppo di caratteri antobiologici, interessantissimo, è dato dalle appendici (ali, squame, denti) varie nello sviluppo che si ri- scontrano nei filamenti. Le espansioni alate ed i processi denti- formi (nel gen. A/yssum, in Aubrietia, in Dontostemon), come pure le appendici squamiformi sul lato esterno dei filamenti sono in (1) PAanzenbiologischen Untersuchungen; Wien, A. Holder, 1904. — 158 — evidente connessione con l’impollinazione mediante gl’ insetti e Je ricerche del Ginthart dimostrano che tutti i fiori delle Crocifere provvisti di tali organi nei filamenti sono dei fiori entomofili ti- pici, mentre mancano in quei pochi fiori adattati ad una decisa od esclusiva autogamia (/bderis-, Petrocallis-, Thlaspi-, Kernera-, Draba - sp.). Le antere, in tutte le Crocifere, hanno in principio rivolto verso l’interno il loro lato aperto e coperto di polline, e quelle dei due stami più corti che sogliono essere più basse dello stimma, man- tengono tale posizione. Ma nei quattro filamenti più lunghi, le cui antere sono allo stesso livello o più alte dello stimma ed a questo molto vicine, esse compiono frequenti torsioni mediante le quali il lato coperto di polline viene rivolto in alto, lateralmente od al- l'esterno: esse fanno l'impressione — scrive Kirchner (1) — che cerchino di sottrarsi all'imminente contatto con lo stimma del proprio fiore ed all’autogamia. Secondo che tali movimenti abbiano luogo o non, l’autoimpollinazione viene resa difficile, favorita o resa inevitabile, ed un esame dei singoli casi insegna che queste diverse possibilità si verificano in dipendenza della maggiore o minore fre- quenza delle visite degli insetti e perciò corrispondono a necessità della pianta. Nel mezzo del fiore delle Crocifere si eleva l’ovario con lo stilo e lo stimma alla sua estremità. Le diverse forme che presenta lo stimma, secondo ricerche del dott. Villani 2) possono essere com- prese in quattro gruppi: stimma glaucioide, stimma piano, stimma capitellato e stimma subpenicillato. Lo stesso autore ritiene che lo stimma è sessile in molte Crocifere ed in altre quello che è chia- mato stilo, non è che un rostro, seminifero o fertile, aspermo o sterile, e infine siiliforme, che egli definisce così: « una porzione apicale dell’ovario (a cavità continua con quella della porzione ovulifera) angustata e più o meno allungata, individualizzata per servire a qualche scopo biologico che, generalmente, si riferisce alla disseminazione ». Malgrado la grande uniformità che le Crocifere presentano nella struttura dei fiori, esse mostrano una tale varietà nel numero e nella posizione dei nettarii, nella posizione degli stami rispetto ad essi ed allo stimma, nel modo di proteggere e di offrire il nettare agl’insetti visitatori, che difficilmente due specie di questa famiglia concordano completamente. (1) Blumen und Insekten; Leipzig, G. B. Teubner, 1911. (2) Dello stimma e del preteso stilo delle Crocifere; nota prima in Mal- pighia, anno XVI; vol. XVI; nota seconda, ibidem, anno XVII, vol. XVII. pos — 159 — Nel fondo dei fiori, alle basi dei filamenti, sì trovano dei net- tarii di un verde cupo, a guisa di tubercoli, dallo sviluppo più variato, ed il nettare prodotto o rimane sopra di essi, o sì ripar- tisce nel fondo fiorale o si raccoglie in fondo ai sepali. Nel lavoro su i nettarii delle Crocifere, Hildebrand (1) ha riportato le sue osservazioni e quelle di Sprengel e di altri, citando 48 specie comprese in 34 generi. In quanto al numero dei nettarii Arabis Tha- liana e Lobularia maritima rappresentano 1 due estremi, la prima mancandone completamente e la seconda presentandone otto. Ri- spetto alla posizione essi si trovano alla base dei filamenti corti o in dentro o in fuori, a destra o a sinistra, mentre quando sono situati alla base dei filamenti lunghi, costantemente essi stanno sul lato esterno, mai sul lato interno. Hildebrand si occupa pure del diverso grado di sviluppo che presentano i nettarii e dalla presenza così diversa di tali glandole, passa in rassegna i diversi modi di impollinazione nelle Crocifere, di cui dirò in appresso. Anche il prof. Velenovsky (2) ha studiato i nettarii di questa fa- miglia. Le sue ricerche si estendono a 170 specie, tra le quali al- cune esotiche. Secondo questo autore nessuna specie è sprovvista di nettarii (ciò viene smentito da alcuni dati dello Knuth e da le ri- cerche del Giinthart) ; se uno stame abortisce, si sviluppa il nettario in forma di un rigonfiamento tondeggiante. La grandezza dei nettarii è in rapporto con quella dei fiori, ma si danno tuttavia eccezioni. Ad esempio, Heliophila amplexi- caulis ha fiori molto più piccoli di Ma/colmia maritima, ma in quella sì nanno nettarii molto più grossi che in questa. I nettarii (supe- riori) più grandi sì riscontrano in Crambe maritima, mentre i più piccoli si hanno in Lepidium ruderale e Stenophragma Thalianum. Mentre i nettarii inferiori, cioè quelli alla base degli stami più corti, sono sempre presenti quantunque talvolta molto piccoli, quasi rudimentali — come in Crambe maritima e cordifolia — quelli su- periori mancano molto spesso, e per vero alcune specie di un ge- nere possono presentarne ed altre ne. La posizione dei nettarii corrisponde segnatamente alla strut- tura ed alla forma dei frutti, ed in base alla struttura delle glan- dole nettaree ripartisce Velenovsky le Crocifere in quattro gruppi: Siliquosae, Siliculosae, Nucamentaceae e Brassiceae, suddividendo le Siliculosae in Latiseptae ed Angustiseptae. (1) Vergleichende Untersuchungen iiber die Saftdriisen der Cruciferen ; 1879. (2) O medovych zlazkah rostlin Krizatych. (Uber die Honigdriisen der Kreuzblitler: Abhand]. d.. Kng. bòhm. Ges. d. Wiss.; 1883). pe E ARDA Mt e te dea ati Altro contributo notevole alla conoscenza dei nettarii nelle Cro- cifere ha dato il prof. Villani, il quale ha esaminato una buona parte di specie appartenenti a circa 70 generi (in lett. 2 aprile 1912). Rispetto all’apparato nettarifero egli (1900) distingue i fiori delle Crocifere in quadricentrici, dicentrici e monocentrici, secondo che presentano quattro nettarii (qualunque sia la loro posizione), due od un solo centro nettarifero. In altra memoria (1905) aggiunge un altro tipo che comprende le Crocifere con fiori forniti di più di quattro nettarii, che chiama policentriche. Lo scopo delle ricerche dell'autore è duplice: l’uno indaga fin dove è possibile rendere utile il carattere dei nettarii nella classi- ficazione di questa famiglia, l’altro studia il loro significato mor- fologico nella simmetria del fiore. Anche il Bayer (1) fonda la sua classificazione delle Crocifere sul carattere dei nettarii, e più recentemente il dottor Calestani (2) ne tentava un’altra assumendo come base alcuni caratteri anato- mici, principalmente delle valve e dello stilo. Lavori affatto recentissimi su tale argomento pubblicavano pure il Giinthart e lo Schweidler. Giinthart (1910) ha delineato una classificazione delle Crocifere, riconoscendo, come già il Bayer, nell’organizzazione del nettario un importante carattere sistematico. Ma mentre il Bayer non ha rico- nosciuto che la struttura dell'apparato nettareo è in prima linea determinata dalla eminenza dei sepali mediani, per Giinthart la forma del nettario rappresenta un facile indizio per il grado di tale eminenza. Mentre il Bayer non fa alcuna differenza fra glan- dole mediane proprie ed improprie e sotto la denominazione comune di < glandole laterali » riunisce quattro cose affatto diverse, cioè glandole proprie ed improprie esandre, endandre e amfiandre se- condo Ginthart il nettario delle Crocifere risulta di due glandole laterali e di due mediane. Le prime sono distinte in endandre se si trovano fra le basi interne degli stami più corti, amfiandre se giac- ciono fra questi e gli stami adiacenti più lunghi ed esandre se stanno a l’esterno degli stami più corti. Spesso le glandole laterali circondano le basi di questi stami a guisa di anelli le cui parti endandre sono allora per lo più divise da solchi trasversali, sottili ma profondi. Le glandole mediane giacciono all’esterno delle basi degli stami più lunghi. (1) Bestrige zur Systematischen Gliederung der Cruciferen ; Beih. z. Bot. Centralbl. XVIII (1905). (2) Sulla classificazione delle Crocifere italiane; N. Gi. Bot. Ital, N. S., vol. XV, luglio 1908. "a AM atei rich dat Edo nigeria tt — 161 — T.o Schweidler nella sua memoria dopo aver passato in rassegna storico-critica i lavori precedenti di Hildebrand, Villani, Velenovsky e Bayer, illustra un tipo fondamentale (A4/yssum-Typus) dei nettarii delle Crocifere e nella terza parte del suo scritto li considera dal punto di vista del loro significato per la sistematica. Nella maggior parte le Crocifere (esclusivamente proterogine secondo Kerner; loc. cit., IT, pag. 307) hanno fiori proterogini od omogami; proterandri sono in Cakile maritima (secondo Henslow), Alyssum saratile (sec. Giinthart), Pugionum dolabratum (sec. Ba- talin). Secondo gli elenchi della Franceschini e dell’Abbado fiori clei- stogami si mostrano in Cardamine chenopodifolia (cleistog. geocar- pica), Draba verna L. e Thlaspi arvense L. (cleistanteriche, sec. Ab- bado). Kuhn (Loew: M. Kuhn’s Untersuch. i. BI. — und Frucht- polymorphismus) nella sua lista delle piante cleistogame riporta anche Heterocarpus Phil., secondo Philippi, in « Bot. Zeitung 1365 pag. 264. Tra le ipocleistogame, nel senso della Franceshini, vanno citati Naturtium officinale R. Br. e Arabis coerulea Haenke (pluvioclei- stogame); Sinapis arvensis L. e Capsella bursa-pastoris Moench. (trofocleistogame); Sudularia aquatica L. (idrocleistogama); Biscu- tella levigata L. subsp. coronopodifolia L. B apricorum Jourd. (ceci- docleistogama) e Morisia monantos Asch. (geocleistogama). Per quanto riguarda la classificazione, i fiori delle Crocifere sì aggruppano per la massima parte nella classe fiorale AB (nettare parzialmente nascosto; colori predominanti il bianco e il giallo). Poche specie rientrano nelle classi fiorali A (nettare liberamente offerto), B (nettare totalmente nascosto), Y (fiori lepidotterofili) ed H (fiori melittofili). Classe AB: Arabis Turrita. Draba crassifolia. » alpina, >» mnivalis. » Holboellii. >» corymbosa. » Hookeri. >» hirta (lejocarpa e rupestris). » pauciflora. > arctica, >» pumila. >» eincana. » bellidifolia. » aizodes. » coerulea. > Zahlbruckneri. " Draba alpina. > frigida. >» Wahlenbergi. i Cardamine bellidifolia. > hirta incano-hirta. » pratensis. ANNALI DI BOTANICA. — Vor. XI. phi: Cardamine resedifolia. Thlaspi alpestre. » montanum. » alpinum. . » rotundifolium. » corymbosum. kRorypa pyrenaica. Iberis Forestieri. Vesicaria arctica. Cochlearia groenlandica. » officinalis. » danica, Barbarea vulgaris. » intermedia. Nasturtium officinale. » palustre. Alyssum alpestre. — 162 — Petrocallis pyrenaica. Kernera saxatilis. Biscutella levigata. Hutchinsia alpina. Sinapis arvensis. Diplotaris tenuifolia. Sisymbrium officinale. » Sophia. » Thalianum. Brassica nigra. » oleracea. » Rapa. » Napus. Erophila vulgaris. Capsella bursa-pastoris. Crambe maritima. KRaphanus Raphanistrum. Classe A: Senebiera Coronopus, Erucastrum, Sinapis - sp. Classe B: Cardamine latifolia, Draba aurea, Cakile marittima, Cardamine prateusis (sec. Knuth), Matthiola - sp., Zilla myagroides, Classe F: Brassica montana (?. sec. Mac Leod) Hesperis tristis, Aubrietia - sp. (sec. Giinthart). Classe H: Aubrietia sp. (secondo Giinthart). In « Comparazione biologica di due flore estreme» Delpino ri- duce, in generale, i fiori delle Crocifere a due tipi: al tipo brachi- sifone fra gli apparecchi tubolosi, ed al tipo micranto fra gli ap- parecchi aperti brachipetali. Al primo tipo appartengono fiori relativamente grandi (ad. es. Brassica, Sinapis, Matthiola, Cheiranthus, Dentaria, ecc.) in cui i petali posseggono un’unghia assai lunga ed i sepali, eretti, lun- ghi, conniventi con le unghie dei petali, formano un tubo più o meno lungo, da 5-10 mm. e più, nel cui fondo si raccoglie il net- tare. Tali fiori sono quindi esclusivamente assegnati alla visita di pronubi forniti di proboscide di lunghezza corrispondente, vale a dire di apidi, di farfalle (specialmente diurne) ed anche di alcune mosche, purchè queste ultime sieno di grande (Volucella ecc.) o di media statura (RAingia, ecc.) e di particolare sagacia per giungere a carpire il nettare. Le specie di questo tipo sono spesso a fiori adinamandri ed al- lora la staurogamia è assoluta; ma, dato anche il caso, per alcune di esse in cui possa aver luogo una efficace impollinazione omo- - i a Sete — 163 — clina, Delpino le ascrive fra le staurogame, piuttosto che fra le omostaurogame, per essere la staurogamia in grande prevalenza. Nei fiori del secondo tipo i petali hanno unghie brevissime e sono aperti, 0, se approssimati, non formano che un principio di tubo, data la brevità delle unghiette. Il nettare, quindi, in tali fiori micranti si rende accessibile anche ad insetti di tromba cor- tissima. I pronubi preferiti sono mosche di media e piccola sta- tura e mancando le loro visite ha luogo una efficace impollinazione omoclina. Delpino suddivide questo tipo micranto in tre categorie, secondo il grado dell’appariscenza dei fiori e delle dimensioni, che possono essere, relativamente, massime, medie e minime. Come termine mas- simo cita l’ Alyssum maritimum, più specie di Iberîs, ecc. in cui la cospicuità fiorale è aumentata considerevolmente dalla disposizione in corimbi bianchi, gialli o rossastri, assai floribondi; nel qual caso si fa passaggio agli « apparecchi aperti polianti ». Come termine medio sì hanno specie a fiori più piccoli e radi, ove appena qualche volta si nota l’appulso di piccoli ditteri e di apidi minuscole, come ad esempio: Drada verna, D. muralis, Cap- sella bursa-pastoris, Arabis Thaliana ecc. Infine, qualche specie, come la Senebiera didyma, mostra la micranzia spinta a tal segno da convertirsi quasi in cleistogamia. Le specie micrante maggiori vanno inscritte tra le omostaurogame, le medie fra le piante ad omogamia prevalente, le minime fra le omogame assolute. Nei fiori delle Crocifere la dicogamia, la lunghezza diseguale degli stami, i movimenti delle antere, ecc. contribuiscono ad impedire che in principio abbia luogo l’autoimpollinazione, la quale ha luogo con sicurezza alla fine della fioritura. La posizione, poi, dei net- tarii rispetto alle antere è tale che gl’insetti succiatori di nettare debbano toccarle tutte od alcune di esse con un lato del corpo, mentre con l’altro vengono a contatto con lo stimma. Quanto più i per tale contatto è sfavorevole la posizione degli stami e dei pi- stilli, tanto più è facilitata l’autoimpollinazione spontanea. E la posizione dei nettarii, come si è visto dai singoli casi illustrati nella parte descrittiva, è così varia nella famiglia delle Crocifere che era da aspettarsi — conclude Hildebrand nel suo lavoro citato — che anche i modi di impollinazione fossero diversi. Infatti in questa famiglia si verificano i casi più svariati di autoimpollinazione spon- tanea fino alla più favorita eteroimpollinazione e, come Miiller aveva accennato, si danno, specialmente in questa famiglia, numerosi i casi in cui l’autoimpollinazione spontanea e l’eteroimpollinazione sono possibili nello stesso tempo. Devesi però notare che in molti casi la presenza dei nettarii non è subordinata alle disposizioni per l’auto- o per l’eteroimpollinazione. Le Crocifere rappresentano anzi una famiglia nella quale le disposizioni per l’impollinazione si sono esplicate a grado a grado, e « probabilmente sono su la via di ul- teriori modificazioni», alla qual cosa sembrerebbe accennare il fatto. che frequentemente nei diversi individui della stessa specie ed in uno stesso fiore in epoche diverse del suo sviluppo, sono possibili differenti modi di impollinazione. Questa — continua Hildebrand — può avvenire per diretta de- posizione del polline su lo stimma vicino, in quanto che le antere con le loro fenditure appoggiano contro lo stimma, in parte soltanto le superiori, ovvero le superiori con la loro metà inferiore o le in- feriori con la metà superiore (es. Arabis Thaliana, Cheiranthus Cheiri, ecc.). In un’altra serie di casi la disposizione è tale che nel primo periodo della fioritura il polline non si depone direttamente su lo stimma dello stesso fiore, ma se mancano le visite degl’in- setti, ciò avviene in un secondo periodo (es. Sinapis arvensis, Le- pidium sativum, Cardamine pratensis, Biscutella auriculata, ecc.). In altri casi, inoltre, non ha luogo nessuna diretta deposizione del pol- line su lo stimma, ma tutte le parti sono così vicine e le disposi- zioni sono tali che gl’insetti debbono in prima linea effettuare l’au- toimpollinazione, quand’anche l’eteroimpollinazione non sia esclusa (es. Neslea paniculata, Dentaria digitata, Aubrietia Pinardi, ecc.). In Cakile maritimum sembra egualmente possibile auto- ed ete- roimpollinazione, mentre in /beris pinnata, Bunias aspera, Carda- mine amara, Alyssum argenteum, ecc. l’eteroimpollinazione sembra evidentemente favorita. Ed, in generale, a favorire l’eteroimpclli- nazione contribuiscono l’allontanamento delle antere da lo stimma, la distanza da questo delle antere inferiori, le vie ai nettarii for- mate dal modo di essere dei sepali e dei petali e la presenza delle appendici diverse nei filamenti staminali. Kerner (loc. cit. II) descrive, a proposito delle Crocifere, quattro processi che conducono all’autogamia. Questa è prodotta dall’allun- gamento degli stami in Arabis coerulea, Braya alpina, Cardamine alpina, Rhizobotrya alpina, che crescono nelle cavità occupate dalla neve dell’alto monte, e in alcune specie annue e bienni, quali Le- pidium campestre, sativum, Sisymbrium Alliaria, Thalianum, Thlaspi alliaceum e arvense (p. 329). In Draba aizoides l’autogamia è prodotta dall’inclinazione degli stami (p. 381). In Cochlearia groenlandica, Draba borealis e verna, Clyveola mes- — 165 — sanensis, Lobularia nummularia, Hutchinsia alpina, Schieverekia Po- dolica, Lepidium Draba, Alyssum calycinum essa è dovuta a movi- menti degli stami (p. 333) e finalmente in Sinapis arvensis è pro- dotta da l’allungamento del pistillo (p. 342). In quanto agl’insetti che visitano i fiori delle Crocifere, Knuth (Grundriss d. Bl.-biologie e Handbuch ecc. II, 1, p. 80) con referenza al colori fiorali, scrive che mentre quelle a fiori bianchi e gialli ricevono soltanto poche visite di insetti rappresentati nella gran maggioranza da ditteri (sirfidi specialmente) e da api poco sagaci (e in via subordinata da altri imenotteri — sfegidi —-) e più di rado da coleotteri e farfalle, quelle a fiori violetti ed a nettare nascosto sono visitate molto più frequentemente da parte di insetti, rappre. sentati non solo da quelli nominati e dalle api più evolute ma anche dalle farfalle. Come esempi possono servire Sinapis arvensis e Car- damine pratensis. Alcune specie (MHesperis tristis) sono decisamente lepidotterofile. Si rileva dunque che le Crocifere sono tutte entomogame, visi- tate da apiarie e ditteri (in prevalenza) durante il giorno, mentre altre lo sono da lepidotteri notturni durante la sera. Come ane- mofila è ritenuta Pringlea antiscorbutica — il così detto cavolo della solitaria, disabitata, inospite, rude Terra di Kerguelen od Isola della Desolazione, nell’Oceano Indiano australe — che per i navigatori delle regioni polari del sud rappresenta l’antidoto contro lo scor- buto, come la Cochlearia officinalis lo è per la gente marinara del nord. Alle voche specie mirmecofile fu già accennato, mentre, per quanto è a mia conoscenza, nessuna crocifera è acarofila. La famiglia delle Crocifere abbraccia non meno di 1200 specie, abitanti nella maggior parte le zone temperate del nord, special- mente degli emisferi orientali, senza per altro mancare nell’ Ame- rica del Nord, donde, lungo le Ande, si spingono fino nell'America meridionale. Copiose nella regione del Mediterraneo, contribuiscono da noi a formare in numero non indifferente la così detta flora delle erbacce, frequenti nei campi, lungo le strade, tra le sabbie, su i muri, tra le macerie. Alcune specie riescono vantaggiose a l'economia domestica, mentre non poche sono coltivate come ornamentali. Fra queste ultime mi piace ricordare le seguenti. Il Cheiranthus Cheiri — violacciocca — diffuso in tutto l’ovest e il sud dell'Europa, s'incontra frequente su i muri e fra le rovine; allo stato selvatico i fiori sono più piccoli e d’un giallo chiaro, ma emanano lo stesso gradevole profumo che esalano le forme a fiori più grandi, d’ un — 166 — giallo più cupo, talvolta bruno, ottenute col giardinaggio. La Mat- thiola incana, sparsa in tutto il bacino del Mediterraneo e che nel- l'Oceano Atlantico si trova dalle isole Canarie all’ Inghilterra, per le tante varietà di colore ottenute rappresenta una bella pianta da giardino, dal gradito profumo, massime le varietà « flore pleno » con gli stami trasformati in petali. La Lunaria rediviva, dai fiori violetti, che a molte regioni mon- tane d’ Europa conferisce un aspetto caratteristico al tempo, della fioritura e più ancora al tempo della fruttificazione per le sue silique quasi tondeggianti, argentee, è insieme con l’altra — L. biennis, le: cui larghe pannocchie raggiungono sino la lunghezza di un metro — frequentemente impiegata nella confezione dei « trockenbou- quets >. L’Alyssum saxatile o « canestra d’oro » originario dell’isola di Creta, viene coltivato per i suoi fiori e per il suo portamento che ne fanno una delle più belle piante ornamentali della primavera, specialmente se combinata con la « canestra d’argento » o Iberis amara. Questa, dai fiori bianchi in grappoli conici, insieme a I. semperflorens e I. sempervirens, da i fiori bianchi, e JI. umbellata, dai fiori violacei, sono pure frequenti nei giardini. L’Aubrietia del- toidea, dai fiori azzurrognoli con una macchia giallo-paliida all’un- ghia dei petali, è adatta ad ornare rocce artificiali. L'Erysimum Petrowskianum viene coltivato per i suoi fiori di color giallo-zaf- ferano che durano la maggior parte dell’estvate. Inoltre sono pure coltivate Ma/colmia maritima ed africana, Matthiola annua e M. graeca, le così dette « viole quarantine » di cui si hanno numerose varietà a fiori doppi; Hesperis matronalis, dai fiori violetti o bianchi, semplici o doppi. Fam. TOVARIACEAE. Questa famiglia, col solo genere Tovaria R. et Pav., fu creata dal Pax (1) e posta fra le Crocifere e le Capparidacee. Bentham e Hooker (2) inclusero il gen. Tovaria fra le Fitolac- cacee, Eichler (3) tra le Papaveracee della qual famiglia Triana e Planchon (4) distinsero una particolare tribù delle Tovarzeae. Comunemente essa viene incorporata alle Capparidee. (1) EnGLER und PRANTL: Die Nattirl. Pflanzenf., Lief. 587, p. 207, 1891. (2) Genera Plantarum, I, p. 110. (3) Flora Brasil. XIII, 1, p. 239. (4) Prodr. Florae Novo-Granatensis, p. 88; Paris, 1862. — 167 — Gen. Tovaria Ruiz et Pavon. T. pendula R. e P. fu studiata su materiale vivente nel Giar- dino botanico di Quito, nell’Ecuador, da G. v. Lagerheim (1), che l’ha descritta anche nelle sue disposizioni fiorali. Le gemme fiorali si aprono molto per tempo, ed i fiori, mono- morfi, ercogami, rimangono largamente aperti fino alla caduta dei filamenti, dei petali, dei sepali. Lo stimma sovrasta sempre le an- tere, le quali all’antesi si mostrano diritte e rivolte un po’ verso l'esterno. Deiscono per fenditure longitudinali e dopo essersi vuo- tate di polline e disseccate, i filamenti staminali si ripiegano verso l’interno del fiore e sì addossano all’ovario. L’autoimpollinazione spontanea è quindi impedita. Sul disco, tra i filamenti staminali ed i petali, si trovano i net- tarii — alterni con i filamenti — già osservati da Ruiz e Pavon. I petali sono d’un verde-chiaro (« albido-lutescentia » secondo Ruiz e Pavon; bianchi secondo Hooker, Pax, Triana e Planchon) e perciò poco appariscenti. D'un verde alquanto più cupo sono i sepali. Ad eccezione dei nettarit la pianta pare non abbia alcun altro mezzo di adescamento. De Lagerheim non potè constatare nei fiori nessun particolare odore, ma tutta la pianta, fresca, ne emana uno debole, spiacevole, che ricorda quello di Cestrumy; negli esemplari secchi l'odore varia, diventa più sensibile ed è analogo a quello di liqui- rizia. Pax ed altri autori più recenti hanno paragonato l’odore di 7. pendula a quello di Apium graveolens. A. Quito, nel Giardino botanico, von Lagerheim osservò soltanto pochi ditteri che visitavano i fiori della specie in questione, per la quale i caratteri dati dagli autori non sono concordi e perciò pensa che possa esservene un’altra che egli non ebbe la ventura d’incon- trare. Fam. RESEDACRFAE. I generi sono disposti secondo l’ordine di Hellwig nella sua monografia della famiglia, inserita nell’opera « Engler und Prantl », Die natiirliche Pflanzenfamilien. Gen. Caylusea A. St. Hilaire. C. canescens (L.) H. Hill. ha fiori omogami, a nettare comple- tamente nascosto, che furono osservati, e minutamente descritti, dal Fisch presso il Cairo. (1) Zur Kenntniss der Tovariaceen; Berichte d. d. botan. Gesells. X, 3, p. 163-169; 1892. e e rprra ci = ' i È ue : PORTESE Il calice e la corolla hanno cinque pezzi; quelli della corolla, bianchi, sono un po’ giallastri alla base e come in Reseda, diversi in grandezza. La base concava nella faccia interna è munita di unghia squamiforme che copre il nettare; la porzione superiore in- vece è laciniata e con le gialle antere e l’ovario verde rappresenta non piccola parte nell’insieme vessillare. I singoli fiori, del dia- metro di 5-8 mm. sono poco appariscenti, ma un po’ più lo sono le ricche infiorescenze a racemo, nelle quali soltanto pochi fiori sono contemporaneamente spiegati. Gli stami, in numero di 12-18 per fiore, risultano di un lungo filamento, cilindrico, fornito di brevi peluzzi che ancora più pic- coli si trovano pure su le antere. Queste, dapprima introrse, si torcono durante la deiscenza ìn modo da rivolgere in alto il lato coperto di polline. L’ovario è munito d’un peduncolo come nelle Capparidacee, e ricoperto come i filamenti di corti peli, dai quali gl’insetti ven- gono trattenuti dal cercare il nettare al punto d’inserzione di que- sto organo e guidati nella via precisa. Quantunque il peduncolo fiorale sia obliquamente rivolto in alto, gli organi sessuali per un ripiegamento pronunciato si tro- vano sempre in una posizione pendente, per cui il gineceo si rende molto comodo come posatoio per gl’insetti e l’accesso alla cavità nettarifera rimane libero. Lo stimma acquista la sua lucentezza quando deiscono le antere dei primi stami, ì quali, a mano a mano che le antere si aprono, si allontanano dall’ovario, cosicchè gli stimmi rimangono isolati. L’autogamia, come pure la geitonoga- mia, a motivo della posizione pendente del gineceo per cui gli stimmi sono coperti completamente dall’ovario, non può avvenire per la caduta del polline. L’autoimpollinazione per diretto contatto delle antere con gli stimmi non fu mai osservata dal Fisch, che a visitare i fiori notava soltanto un muscide allotropo. I visi- tatori principali, però, come in Keseda, devono essere api bre- vilingui. | Il nettare è ben difeso contro la pioggia e gli ospiti sgraditi, il polline invece è in piena balia delle vicende atmosferiche, come è il caso delle Reseda agamotropiche (1). Gen. Reseda L. I fiori, biancastri o giallastri, omogami o debolmente proteran- dri, contengono nettare più o meno completamente nascosto. ì (1) Hansire A. — Physiolog. und phycophytologische Untersuchungen; Prag 1893. SA UTI A CIIICONIE I petali hanno la lamina frastagliata in lacinie clavate, diver- genti a raggi. Il ricettacolo si allarga posteriormente in un di- sco (1) quadrangolare, perpendicolarmente eretto, ricoperto di peli nella faccia anteriore e che funge da nettarindice. La faccia po- steriore, glabra, produce nettare. Le unghie allargate, squamiformi, del petalo mediano e posteriore suno addossate alla superficie po- steriore del disco e con i loro lobi lo circondano superiormente e lateralmente, cosicchè proteggono il nettare da la pioggia e dai vi- sitatori inutili (p. es. Mosche). Wilson (1883) ha paràgonato il nettario di feseda ad una sca- tola il cui coperchio deve essere aperto da gl’insetti cercatori di nettare; a questa bisogna le api brevilingui del gen. Prosopis sem- brano meglio adatte delle longilingui. In questo genere la gemma fiorale è aperta; quindi non ha luogo una vera antesi, e il principio della secrezione nettarea in- dica la maturità del fiore. L’ovario libero nel centro del fiore rappresenta il più comodo posatoio per gl’insetti, i quali provocano perciò sempre eteroimpol- linazione quando abbiano in precedenza visitato un altro fiore. (Miller, Kirchner, Mac Leod, Knuth). R. luteota L. — I fiori giallo-pallidi hanno nettare completa- mente nascosto, raccolto in un nettario conformato come quello di R. lutea. I fiori, inappariscenti in sè, sono riuviti in infiorescenze abbastanza visibili. Gli stami uniformemente disposti intorno al- l’ovario sono un po’ sorpassati dai tre stimmi. Durante la deiscenza delle antere non ha luogo movimento degli stami, perciò l’autoim- pollinazione spontanea è molto facilmente possibile. A differenza di quello che avviene in altre specie (‘. lutea, R. fruticosa ecc.), il processo di deiscenza delle antere è centrifugo secondo Beyer (pag. 51). Come visitatori dei fiori Miller e Buddeberg (Befr. p. 143; Weit Beob. IT, p. 205) osservarono: Urodon conformis Suffr., U. ru- fipes F. fra i coleotteri; Anthrena nigroaenea K., in quantità, Apis mellifica L., Prosopis bipunctata F., Pr. communis Nyl., molto fre- quente, Pr. hyalinata Sm., frequente. Macchiati (Catal.) elenca: Andrena cineraria L., Prosopis signata Panz., Apis mellifica T.., e nei miei appunti trovo segnati per que- sta specie Anthrena-sp., Apis mellifica L., Prosopis-sp. (1) Nel suo studio anatomico dei tessuti nettariferi, Bonnier (pag. 108) con- sidera questo organo come uno sviluppo speciale del parenchima su la base comune degli stami, che sporge in fuori, formando una dipendenza speciale nettamente separata dai filamenti. antiche Penn e br E. luteola L. var. crispata Ten. presso Algeri si presentò a Bat- tandier ginodioica. (Bot. Centrbl. XVIII, p. 104). R.lutea L. — I fiori d’un giallo pallido a nettare completamente nascosto, omogami secondo Kirchner (F1., p. 815), debolmente pro- terandri secondo Schulz (Beitr., I, 1888, p. 4), sono orizzontali e privi di odore. In principio gli stami sono inclinati sopra il pi- stillo (Kirchner), ma in esemplari del Giardino di Gand osservati da Mac Leod (Bevr., p. 214) non tutti gli stami erano piegati sul pistillo, ma alcuni rivolti ai due lati del medesimo od anche in basso, presentando a questo riguardo molta diversità. Quando incomincia la secrezione del nettare deiscono alcune antere ed i loro filamenti si ripiegano in alto nella direzione del disco. In questo frattempo secondo Kirchner sono già sviluppate le papille stimmatiche, ma secondo Schulz queste maturano soltanto quando le antere degli stami più interni contengono ancora del polline, cominciando la deiscenza delle antere da quelle degli stami verso la periferia del fiore. Mancando le visite degl’insetti può aver luogo l’autoimpollina- . zione, poichè le antere aperte stanno su lo stimma, ma questa au- togamia è di scarso o nullo effetto (Darwin, Focke). Oltre ai fiori ermafroditi, Schulz osservò l’andromonecia, pre- sentandosi in alcune infiorescenze dei fiori con ovario non svi- luppato. Tra gl’insetti visitatori dei fiori Miller (Befr. p. 143; West. Beob., II, p. 205) osservò: Apis mellifica L., Halictus-sp., Prosopis pictipes Nyl., P. signata Pz., molto numerosa, fra gli apidi; Cerce- ris arenaria L., C. labiata F., frequente, C. rybiensis L., molto nu- merosa, fra gli sfegidi; Odynerus parietum L., fra i vespidi. Osservò pure alcuni coleotteri e ditteri. Loew nella Stiria (Beitr. p. 51) notò Prosopis-sp.; Dalla Torre nel Tirolo le api: Malictus quadricinetus Fbr., H. sexnotatus K.; Mac Leod nei Pirenei, a Géèdre: Andrena nigroaenea K., A. albi- crus K., A. parvula K., Halictus flavipes F., Odynerus parientum L., Eumenes coarctatus L., Polistes gallica L., fra gl’imenotteri brevi - lingui; Pieris Daplidice; Syritta pipiens L., Syrphus corollae F., Anthomyia buccata Fall., fra i ditteri; Smith in Inghilterra: Pro- sopîis bipunctata F. == signata Pz. Schletterer per il Tirolo e presso Pola osservò i seguenti ime- notteri: Anthidium diadema Litr., A. oblongatum Ltr., Anthrena al- bopunctata Rossi, A. converiuscula K., A. converiuscula K. var. fu- scata K., A. flessae Pz., A.labialis K., A. morio Brull., A. parvula K., "fr A sg e A. thoracica F., Ceratina cucurbitina Rossi, Colletes lacunosus Dours, C. niveofasciatus Dours, Eucera longicornis L., Halictus calceatus Scop., H. interruptus Pz., H. quadricinetus F., H. sexnotatus K., Nomada nobilis H.-Sch., Nomia diversipes Latr., Prosopis clypearis Schek., fra gli apidi: Pristomerus luteus Pz., fra gl’icneumonidi; Pseudagenia albifrons Dalm., Salius notatus Lep., fra i pompilidi, Cerceris arenaria L., C. emarginata Pz., C. quadrifasciata Pz., C. specularis Costa, Crabro clypeatus L., fra gli sfegidi; Allantus fa- sciatus Scop., fra 1 tentredinidi, e Eumenes pomiformis Pz., Ody- nerus partetum L., Polistes gallica L. fra i vespidi. Macchiati (Catal.) elenca: Anaspis frontalis, l’ape, Halictus”, Prosopis signata Panz., Prosopis-sp.; Vespa germanica F. Nei miei appunti trovò: Odynerus parietum L., Bombus-sp. R. odorata L. nelle disposizioni fiorali concorda con A. lutea. I fiori odorosi, bianco-giallastri, omogami, attirano numerose pic- cole api le quali o succhiando nettare o raccogliendo polline, effet- tuano l’impollinazione. Mancando le visite degl’insetti ha luogo l’autoimpollinazione spontanea, coronata da successo. Miiller (Befr. pp. 142, 143; West. Beob. II, p. 205) in Westfalia osservò i seguenti visitatori: Syritta pipiens L., tra i sirfidi; Anthrena nigroaenea K., Apis mellifica L., frequente, Halictus smeathmanellus K., H. conulus Sm., Prosopis annularis Sm., P. bipunetata F., fre- quente, Pr. communis Nyl., molto frequente, P. Ayalinata F., P. pictipes Nyl. fra gli apidi; Cerceris rybiensis L. tra gli sfegidi ; Thrips, molto numerosi. Knuth (Weit. Beod. p. 231) nello Schleswig-Holstein osservò Apès mellifica L., Pieris-sp. Loew nel Mecklenburg (Beitr. p. 41): Hal: ctus rubicundus Chr., Syrphus balteatus Deg., Apis mellifica L. Schenck in Nassau osservò : Anthidium oblongatum Ltr., A. pun- ctatum Ltr., A. strigatum Ltr. Alfken presso Bolzano: Coelyoris rufocaudata Sm., Halictus fla- vipes F., frequente, Megachile pacifica Pz., frequente, fra gli apidi, e i coleotteri: Acmaeodera flavofasciata Pill., Clytus massiliensis L., C. ornatus Hbst. Poppius ad Esbo in Finlandia osservò Pieris napî L. e Plutella cruciferarum Zell. fra i lepidotteri ; Coccinella hiero- glyphica L.; Bombus lapidarius L. ©, Andrena parvula Klug., Hy- lacus annulatus L., H. confusus Npl. fra gl’imenotteri; Syritta pi- piens L., Syrphus floreus L., Scaeva-sp., Se. vittigera Zett., Sphae- rophoria menthastri L., Paragus tibialis Fall, Lucilia-sp., Sarco- phaga carnaria L. Recentemente Heineck (1908) ha considerato diversamente il = ara ricettacolo di R. odorata, allontanandosi dalle descrizioni di Sprengel e di H. Miiller. Egli ha osservato tre ingressi principali al nettare, e così an- gusti da non poter essere sfruttati dalle mosche. Quello mediano sì trova fra le unghie dei due petali posteriori; due più larghi si trovano lateralmente a questo nel mezzo delle unghie, ed ognuno di essi ha una piega verso l'interno. Le dune aperture esistenti fra le unghie dei petali posteriori e laterali meritano appena di esser prese in considerazione, poichè lo spazio nettareo è già divenuto troppo angusto. R. glauca L., studiata da Mac Leod nei Pirenei, presenta fiori bianchi, a nettare parzialmente nascosto, raccolti in racemi appa- . riscenti, eretti. Come nelle altre specie di Reseda il nettario è rap- presentato da un disco bianco, semicircolare, su la faccia posteriore dell’ovario; nel mezzo produce nettare ricoperto in parte dalle due squame basilari dei petali superiori, cosicchè il fiore è da assegnare alla classe AB di Miiller. Quando il fiore si apre, i quattro stimmi sono già maturi ses- sualmente e possono essere fecondati mediante le visite degl’insetti; la deiscenza delle antere avviene prima negli stami superiori e più tardi in quelli inferiori. Poichè i fiori sono in posizione orizzontale, l’autoimpollinazione è resa possibile dalla caduta del polline delle antere superiori su gli stimmi. Specialmente in giugno È. glauca è visitata da numerosi insetti. A Gèdre, nei Pirenei, Mac Leod (p. 123) osservò: Andrena ovina KI., A. extricata Smith, A. trimmerana K., A. nigro-aenea K., A. nigro-olivacea Dours., A. albicrus K., Halictus rubicundus Christ., H. flavipes F., Polistes gallica F., fra gl’ imenotteri; Syrphus co- rollae F., Zodion cinereum F., fra i ditteri emitropi; Hylemya ci- nerella Meig., fra i ditteri allotropi. Gen. Oligomeris Cambess. I fiori ermafroditi, talora si presentano unisessuali per aborto (Hellwig). Gen. Ochradenus Del. Fiori ermafroditi od unisessuali per aborto, apetali (Hellwig). O. baccatus. Del., pianta del deserto, esaminata dal Fisch presso Heluan, presenta fiori apetali, unisessuali, su diversi individui od anche, secondo Volkens (Flora etc., 1887), su lo stesso piede. Il calice risulta di sei lobi colorati in verde, rivolti in basso. Sul calice si trova un disco allargato, bene sviluppato, che nel fiore maschile si presenta diversamente suddiviso, mentre nel fiore fem- minile non lo è quasi affatto. — 199 — Gli stami nel fiore maschile sono in gran numero, e l’ovario è ridotto. Nel fiore femminile gli stami sono trasformati in squa- mette membranacee ed i tre stimmi sono molti espansi. La funzione vessillare è compiuta nei fiori maschili — che oltre il nettare offrono anche polline agl’insetti — principalmente dalle antere di colore aranciato, contenenti polline giallo chiaro. Concor- rono anche le altre parti del fiore; il disco, i lobi del calice e per- sino le brattee fiorali che, verdi in principio, assumono poco dopo l’antesi una colorazione gialla, la quale specialmente nei fiori fem- minili si cangia spesso alla fine in arancio. Il gineceo si colora anch’esso in giallo, ma dopo la fecondazione ritorna verde. Gli stimmi brillano. All’appariscenza contribuisce ancora la disposi- zione dei fiori in densi racemi, la cui fioritura ha luogo dal basso all'alto, ma di speciale importanza, come per altre molte piante del deserto, è l’arresto del fogliame che nelle macchie di OcAhradenus non raggiunge mai un forte sviluppo; inoltre ha non poco valore il contrasto con l’ambiente. I frutti sono numerosi, quindi le visite degl’ insetti nei fiori unisessuali non possono essere scarse, tuttavia Fisch non osservò che una vespa, tre muscidi e due specie di formica. Poichè il nettare è liberamente esposto, il fiore appartiene al gruppo A della classificazione del Miiller. Considerazioni generali su le “ Resedacee ... Le Resedacee hanno fiori omogami o lievemente proterandri, ermafroditi od unisessuali per aborto. OcAkradenus baccatus si pre- senta dioico od anche monoico. Rispetto all’esposizione più o meno completa del nettare, C'ay- lusea canescens, keseda luteola, R. lutea e It. odorata, a nettare com- pletamente nascosto, entrano nella classe B di Miiller; /. glauca, a nettare piarzialmente nascosto, nella classe AB e Ockradenus baccatus, 11 cui nettare è liberamente esposto, appartiene alla classe A. Il carattere del nettario coincide in questi tre gruppi col colore bianco, bianco-giallastro, giallo, giallo-biancastro ad essi assegnato e gl’insetti visitatori sono nel maggior numero imenotteri a breve tromba. Da uno sguardo agl’insetti che visitano i fiori delle Reseda ri- sulta che essi sono più frequentati dagl’imenotteri che non dai dit- teri, contrariamente a quanto asseriva Delpino, come già aveva Mo è a STE, VE LEE ICI OTTICI RIETI EESSIO SI RO SOIA PORCI NEI MIT Sai rilevato H. Miiller (cit. da Bonnier, p. 70). Similmente i fiori di Re- seda odorata, luteola e Phytheuma, verdi o bianco-verdastri, poco visibili (che Darwin chiamava « fiori oscuri >» e riteneva poco vi- sitati), molto nettariferi, attirano molti imenotteri (Bonmnier, p. 39). L’odore dell’amorino (feseda odorata) rientra nel gruppo degli odori benzoloidi secondo Kerner (p. 191), e Delpino lo adduce come tipo (odore resedino), mentre i fiori di R. alba odorano di narcisso ma con qualche mistura di spiacevole (Ult. Oss., p. 43). I fiori delle Reseda durano parecchi giorni e non si chiudono mai, rimanendo aperti fino al tempo in cui appassiscono (fiori aga- motropi), mentre parecchie tra loro effettuano movimenti carpotro- pici, per la difesa dei frutti maturi. L’autoimpollinazione, possibile in molti casi, è coronata di suc. cesso oppure è di scarso o nullo effetto come in P. lutea, secondo Darwin e Focke. Le esperienze di Darwin provarono che alcuni individui della stessa discendenza sono autosterili ed altri comple- tamente autofertili, fatto, questo, di cui Darwin cercò una spie. gazione nella ipotesi di spontanea variazione della pianta. ( Fam. MORINGACEAE. Questa famiglia, di dubbia posizione sistematica, comprende il solo genere Moringa con le tre specie: M. arabica Pers., M. oleifera Lam. e M. concannensis Nimmo. Mancano osservazioni dirette a riguardo della biologia fiorale, tuttavia diverse circostanze accennano ad eteroimpollinazione: la presenza di un disco, il grato odore dei fiori ed il colore — bianco o rosso — dei medesimi (Pax: Natiirl. Pflanzenf, III 2, p. 242). Gen. Moringa Juss. M. oleifera Lam., un bell’albero dai rami gracili e dal fogliame elegante, ha fiori vistosi, appariscenti, in ricche pannocchie ascel- lari, probabilmente nettariferi. Secondo Delpino (Ult. Oss. II, 2, p. 884) i fiori di Moringa (M. oleîfera?), a quanto ne riferisce Gould, sono visitati nella Giamaica e a San Domingo dal piccolo colibri Mellisuga minima Gould. Brehm (Vita degli animali, Uccelli IV, trad. ital. 1870, p. 12) riporta pure che i fiori di Moringa sembrano avere speciali attrat- tive per la Certhiola flaveola, uno scansore che ha le stesse ten- denze dei colibri, e passando di ramo in ramo esamina, come essi, accuratamente l'interno dei fiori. — 175 — Per Delpino (Piante formicarie) il gen. Moringa con le sue tre specie (una delle quali — M. aptera — è senza dubbio fornita di nettarii estranuziali, e le altre due pare che lo siano) rappresenta un endemismo mirmecofilo per la regione afro-indiana (Bull. Orto Bot. Napoli; tomo I, fasc. 2, p. 170, e tomo I, fasc. 4, p. 386). BIBLIOGRAFIA. ABBapo M. — La Cleîistogamia; Atti Soc. ital. Sc. nat. vol. XLVIII, 1909. 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Esercito per ìl Prof. EMILIO CHIOVENDA L’egregio colonnello d’artiglieria Alberto Zoli volle con somma gentilezza affidarmi per la determinazione alcuni pacchetti di piante raccolte da alcuni ufficiali, i quali sapendolo molto amante della botanica ed essendo a lui legati da grande amicizia, gli ave- vano inviato. Le circostanze eccezionali in cui gli esemplari fu- rono raccolti, mentre fervevano le operazioni di guerra, li rendono molto interessanti. Ma l’interesse si aumenta poi assai quando si con- sideri l’importanza che alcuni di essi hanno per la scienza. È dunque in grazia della cortese abnegazione di codesti uffi- ciali che la conoscenza della Flora libica già tanto innanzi si ar- ricchisce oggi di alcuni tipi vegetali assolutamente nuovi per la scienza, e di alcuni altri che risultano nuovi per la regione. A S. E. il tenente generale Ezio Reisoli comandante delle truppe ope- ranti nel settore di Homs che non disdegnò accoppiare la gloria delle vittorie all’umile raccolta di piante che maggiormente col- pivano la sua attenzione, al tenente colonnello d’artiglieria G. Re- gazzi, ai capitani di artiglieria Cesare Baseggio a Tripoli e Attilio Franchini a Derna, al tenente del genio Luigi Sacco a Tripoli e al capo operaio dell’arsenale a Bengasi Carlo Raviola, si deve questa piccola ma importante raccolta (1). (1) In quest'anno altre due raccolte fatte da militari in servizio di guerra sono state pubblicate: R. PAMPANINI: Un manipolo di piante della Cirenaica. — In Bull. Soc. bot. Ital 1912, piante raccolte dal sig. M. LonGA, sergente nel battaglione Edolo del 5° reggimento alpini. i A. BeGuINoTt e A. Vaccari: Contributo alla Flora della Libia. — Mini- stero Affari Esteri. Monografie e Rapporti coloniali, n. 16, agosto 1912, piante raccolte dal maggiore medico della R. marina ANTONIO VACCARI. Vedi anche: A. TRoTTER: Addizioni alla Flora libica. — In Bullet. Soc. bot. Ital. (ottobre 1912) p. 193-200. RETE Rial PA PRE I Let NA Ì I n SIE, i I TREE : E i sensi della mia gratitudine vadano tanto a chi mi ha pro- curato il gradito incarico di questo studio quanto a tutti gli illustri raccoglitori. Additerò qui le piante più pregevoli facenti parte di questa col- lezione. Forme nuove: MHelichrysum siculum var. albidum, Anagallis Mo- nelli var. leptensis, Ornithogalum barba caprae subsp. Baseggii. Risultano nuovi acquisti alla Flora libica: Fumana arabica, Erodium glaucophyllum e Launaea tenuiloba. Roma, 31 ottobre 1912. BRASSICACEAE. 1. Brassica Tourneforti Gouan. Deserto di Hod el Migrab presso Tripoli, 6. IV. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 58). 2. Sisymbrium Irio Linn. Deserto di Hod el Migrab presso Tripoli, 6. IV. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 62). 3. Lobularia lybica (Viv.) Webb. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 76). CISTACEAE. 4. Helianthemum tunetanum Coss. et Kral. Tripoli giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 10). 5. Fumana arabica (Linn.) Boiss. Derna, 21. V. 1912 (Cap. At- tilio Franchini, n. 39). Nuova per la regione, nota anche della Tunisia e di Sicilia. SILENACEAE. 6. Silene Oliveriana Otth. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 70). 7. Tunica compressa (Desf.) Fisch. et Mey. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 6). PARONICHIACEAE. 8. Paronychia arabica DC. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 84). T'AMARICACEAK. 9. Tamarix bounopaea J. Gay. Homs (Tenente generale Ezio Rei- soli, n. 26). — 185 — MALVACEAE. 10. Lavatera cretica Linn. Ainzara, 29. I. 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 13). (XERANIACEAE. 11. Erodium laciniatum (Cav.) Willd. Tripoli, giugno 1912 (Te- nente Luigi Sacco, n. 8); Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 83). 12. Erodium glaucophyllum Ait. var. glabrum Pom.? Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 34). Esemplare caulescente sterile con foglie a lembo rigido carno- setto, glaberrimo, con orlo lobulato-dentato. Tutte le parti sono glaberrime ad eccezione delle stipole che nei margini sono densa- mente cigliati. Il caudice è grosso e quasi legnoso. TEREBINTHACEAE. 13. Rhus oxyacantha Cav. Homs, luglio 1912 (Tenente generale Ezio Reisoli, n. 31). RHAMNACEAE. 14. Zizyphus Lotus Linn. Homs, luglio 1912 (Tenente generale Ezio Reisoli, n. 50). LEGUMINOSAE. 15. Genista capitellata Coss. var tunetana Coss.; Trotter in Bollet. Soc. Bot. Ital. (1912) p. 198. Homs, luglio 1912 (Tenente generale Ezio Reisoli, n. 18). Per la Libia non era nota fino a pochissimo tempo fa che la G. acanthoclada DC. della quale ho visto esemplari raccolti da J. Haimann nella Tripolitania nell'aprile 1882. La G. acanthoclada differisce dalla Genista capitellata Coss. pei rametti sempre opposti, tutti terminati all’apice in una spina acutissima e pungente, per le foglie sempre trifoliolate a foglioline lineari lunghe 6-9 mm., larghe 0,5-1mm.; pei fiori sparsi lungo i rametti formando dei racemi lassi pauciflori; per le corolle esternamente densamente sericee. Ringrazio vivamente il prof. Trotter per avermi comunicato in esame gli esemplari suoi e altri provenienti dai dominii francesi. Mentre la G. acanthoclada rappresenta per la Libia un elemento < 1) ; della Flora mediterranea occidentale, la G. capitellata rappresenta un elemento di quella occidentale riallacciandosi essa a tipi propri dell'Algeria e del Marocco. 16. Ononis angustissima Lam. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. D). 17. Trifolium stellatum Linn. Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 44). 18. Anthyllis maura Beck: W. Becker in Beiheft bot. Centralbl. XXVII (1910) p. 270. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 7). 19. Lotus creticus Linn. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 81). 20. Vicia pseudocracca Bert. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Capi- tano Cesare Baseggio, n. 80) 21. Caesalpinia Gilliesii Wall. Homs, luglio 1912 (Ten. generale Ezio Reisoli, n. 24); Bengasi, 16. V. 1912 (Capo operaio Carlo Ra- viola, n. 45). LyTHRACEAE. 22. Lawsonia alba Lam. Homs, luglio 1912 (Ten. Gen. Ezio Rei- soli, n. 22). AIZOACEAE. 25. Mesembrianthemum cristallinum Linn. Homs, luglio 1912 (Te- nente generale Ezio Reisoli, n. 20). UMBELLIFERAE. 24. Pituranthos tortuosus (Desf.) Benth. et Hook. f. Tripoli giu- gno 1912 (Ten. Luigi Sacco. n. 11). DIPSACEAE. 25. Scabiosa arenaria Forsk Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 36). ASTERACEAE. 26. Pallenis spinosa Cass. #8 asteroides (Viv.) Aschers. Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 41). 2%. Phagnalon rupestre (Linn.) DC. Homs, luglio 1912 (Ten. ge- nerale Ezio Reisoli, n. 28). 23. Helichrysum siculum (Spreng.) Boiss. Homs, luglio 1912 (Te- nente generale Ezio Reisoli, n. n. 15 e 29). 29. Helichrysum siculum var. albidum Chiov. var. nov. Involucrum albidum vel pallidissime flavescens. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 1). — 187 — Non riesco a trovare oltre il colore dell’ involucro altri carat- teri per separare questa varietà dal tipo specifico. L’/. lacteum Coss. della regione atlantica superiore è certamente diverso. 30. Filago gallica Linn. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912. (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 75). 31. Anthemis glareosa Dur. et Bar. NA gara, 1594 (Cap. Cesare Baseggio, n. 64). 32. Anacyclus alexandrinus Willd. Homs, luglio 1912 (Ten. gene- rale Ezio Reisoli, n. 16), 33. Artemisia herba alba Asso. Derna, 21. V 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 42). Esemplare sterile munita della galla lanosa della quale parlano Viviani e Dvrant et Barratte. 34. Senecio coronopifolius Desf. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 4); Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 82). 85. Cichorium pumilum .Jacq. Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 40). 36. Launaea tenuiloba (Boiss.) Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 9). Non esito a riferire a questa specie l’esemplare citato, formato di due individui, perchè essi hanno tutte le caratteristiche attribuite dal Boissier alla sua Zollikoferia tenuiloba, la quale è per ora nota della Palestina meridionale. Sono specialmente caratteristiche le la- cinie fogliari subfiliformi terminate all’apice da mucrone candido e le brattee involucrali terminate all’apice pure da bianco mucrone. PRIMULACEAE. 37. Anagallis linifolia Linn. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912. (Ca- pitano Cesare Baseggio, n. 63). 38. Anagallis Monelli Linn. var. leptensis Chiov. Corolla rubra petalis obovatis. Caules truticulosi, internodiis abbreviatis. Folia rigida, valde minora quam in typo. Homs, luglio 1912 (Ten. Gen. Ezio Reisoli, n. 27). Questa varietà sarebbe per la A. Monell Linn. analoga alla var. microphylla Ball. per l'A. linifolia Linn. L'A. Monelli differisce da questa varietà per i petali rotondati ricoprentisi in basso per gli orli, qui invece i petali sono più lunghi che larghi e in basso gli orli non si ricoprono affatto. Petali lunghi 3-4 mm., larghi 2,5 mm. Foglie lunghe 7-8 mm., larghe 2 mm., nella pagina superiore nel secco munita ai lati della costola di due nervi sottili impressi, coi margini un po’ revoluti. PAL RENT ped II UE A O_O GITA vi è PE Ia Ve RN — 188 — 39. Cyclamen Rohlfsianum Aschers. Derna-Casa Aronne, 20. X. 1912 (Ten. col. G. Regazzi, n. 87). A SCLEPIADACEAF. 40. Calotropis procera (Wild.) R. Br. Homs, luglio 1912 (Ten. ‘Gen. Ezio Reisoli, n. 25). BoRRAGINACEAE 41. Alkanna tinctoria (Linn.) Tausch. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Raveggio, n. 71). 42. Echium arenarium Guss. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 3); Homs, luglio 1912 (Ten. Col. Ezio Reisoli, n. 32). 45. Echium sericeum Vahl. Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Fran- chini, n. 48). 44. Echiochilon fruticosum Desf. Tripoli, giugno 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 2); Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, novo): 45. Cerinthe oranensis Batt. Tripoli Hod el Migreb nel deserto 6. IV. 1912 (Cap. Ces. Baseggio, n. 56). SOLANACEAE. 46. Hyosciamus albus Linn. Tripoli Hod el Migreb nel deserto, 6. IV. 1912 (Cap. Ces. Baseggio, n. 60). 47. Nicotiana glauca Graham. Homs, luglio 1912 (Ten. Gen. Ezio Reisoli, n. 17). SCROPHULARIACEAF. 48. Linaria tenuis (Viv.) Spreng. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Ces. Baseggio, n. 79). 49. Linaria virgata Desf. var. sirtica Murb. Ainzara, 29. I. 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 12). LAMIACEAE. 50. Micromeria nervosa (Desf.) Benth. Derna, 21. 5. 1912 (Ca- pitano Attilio Franchini, n. 38). 51. Salvia lanigera Peir. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912. (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 65). 52. Prasium majus Linn. Homs, luglio 1912 (Ten. Gen. Ezio Reisoli, n. 28). 55. Ballota pseudo dictamnus (Linn.) Benth. Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio Franchini, n. 35). — 189 — PLANTAGINACEAE. 54. Plantago Coronopus Linn. Tripoli Ainzara, 15. II. 1912 (Ca- pitano Cesare Baseggio, n. 77). CHENOPODIACEAE. 55. Chenopodium murale Linn, Derna, 21. V. 1912 (Cap. Attilio. Franchini, n. 37). POLYGONACEAE. 56. Rumex bucephalophorus Linn. Tripoli-Ainzara 15. II. 1912 (Cap. Ces. Baseggio, n. 85). 57. Rumex tingitanus Linn. var. lacerus Boiss. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1903 (Cap. Cesare Baseggio, n. 69). 58. Polygonum equisetiforme S. et S. Homs, luglio 1912 (Ten. ge- nerale Ezio Reisoli, n. 19). THYMELAFACEAE. 59. Thymelaea microphyIla Coss. Ainzara, 29. I. 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 12); Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. (4). EUPHORBIACEAE. 60. Euphorbia terracina Linn. Tripoli Hod el Migreb nel deserto, 6. IV. 1912 (Cap. Ces. Baseggio). Esemplari che per la radice fittonata e i cauli semplici sembre- rebbero annui; ma è noto che questa specie fiorisce spessissimo, se non sempre, fin dal primo anno. AMARYLLIDACEAF. 61. Pancratium marltimum Linn. Homs, luglio 1912 (Ten. gene- rale Ezio Reisoli, n. 21); Tripoli Hod el Migreb nel deserto, 6. IV. 1912 (Cap. Ces. Baseggio, n. 52); Tripoli, 18. VI. 1912 (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 46 con disegno e note relative al profumo dei fiori). LILIACEAE 62. Ornithogalum barba caprae Asch. et Barb. subspecies 0. Ba- seggii Chiov. subsp. nova. Habitus 0. barbae caprae sed differt foliis basi longius et au- gustius attenuatis, marginibus et dorso setis patentissimis, rigi- dulis sparsis; bracteis linearibus, membranaceis, glaberrimis, acu- tissimis 20 mm. longis, basi 3 mm. latis. Phyllis perigonii oblongo- linearibus; filamentis staminum dimidium perigonium vel 2/3 ae- quantibus. Tripoli-Ainzara, 15 II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 67). Con tutta probabilità questa pianta dovrà essere elevata a specie distinta. Per ora io preferisco tenerla riunita all’O. barda-caprae per avere come questa i tepali, calloso-cucullati all'apice, col callo papilloso, e così l’ovario insensibilmente attenuato nello stilo AVO. fimbriatum Willd. si avvicina solo per avere i fiori piut- tosto grandi (tepali lunghi 9-10 mm., larghi 2,5-3 mm., ma per tutto il resto ne differisce. Da ambedue le specie poi è notevolissimo che differisce per le foglie non propriamente pelose, ma solo setoso- cigliate e col dorso sparso di rade setole, setole piuttosto grosse e rigide, patenti ad angolo retto. 64. Allium odoratissimum Desf. Tripoli-Ainzara 15. II. 1912 (Ca- pitano Cesare Baseggio, n. 72). 65. Muscari stenanthum Freyn. Tripoli-Ainzara, 15 II 1912 (Ca- pitano Cesare Baseggio, n. 66). 66. Asphodelus microcarpus Viv. Tripoli-Ainzara, 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 86). CyPERACEAE. 67. Scirpus holoschoenus Linn. Tripoli, 18. VI. 1912 (Ten. Luigi Sacco, n. 50). (GRAMINACHAE. 68. Imperata cylindrica (Linn.) P. B. var. europoea Anderss. Tri- poli, 18. VI 1912 (Tenente Luigi Sacco, n. 47-49); Tripoli-Ainzara 15. II. 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 68). 69. Koeleria Salzmanni Boiss. et Rent. var. Cossoniana (Bonnet) Domin. Tripoli Hod el Migreb nel deserto, 6, IV. 1912 (Cap. Ce- sare Baseggio, n. 59). 70. Bromus rubens Linn. var. canescens (Viv.) Coss. Derna, 21. V. 1912. (Cap. Attilio Franchini, n. 33). 71. Brachypodivm distachyon (Linn.) P. B Tripoli-Ainzara, 15. II, 1912 (Cap. Cesare Baseggio, n. 78). Secondo contributo alla conoscenza della Flora micologica della Provincia di Perugia del Dott. G. SEVERINI Nel 1906 pubblicai un primo elenco di funghi (1), in tutto 162 specie, per la maggior parte rinvenuti nelle adiacenze di Perugia. Soltanto entro il 1911 mi è stato possibile di riprendere metodi. camente lo studio micologico della regione e, sul materiale che ho . fin’ora raccolto, scelgo una centuria delle forme più interessanti e bene identificate, per farne oggetto della presente contribuzione. Anche in questa seconda serie trattasi di micromiceti parassiti o saprofiti di piante superiori, in parte da me raccolti in escursioni, in parte provenienti da materiale inviato a questo Laboratorio per l'esame di malattie. Vi figurano infatti parecchie specie ben note per essere la causa diretta di malattie importanti di piante col- tivate od utili, talune delle quali, come la « peronospora del fru- mento » (Sclerospora macrospora), le « macchie nere della lupinella » (Anthostomella Sullae), vennero già segnalate a parte quando le riscontrai per la prima volta nell’Umbria. Vi sono poi cinque specie che risultano fin’ora del tutto nuove: di queste darò le rispettive diagnosi, proponendo, dall’ospite sul quale le rinvenni, le seguenti denominazioni: Apiospora Rubi-fruticosi, Pleospora Coronillae, Ma- crophoma mneriicola, Septoria evonymina, Pestalozzia Helichrysti. Le esplorazioni più frequenti e minuziose ebbero per campo sopratutto i territori di Perugia e di Assisi, in una zona cioè i cui punti estremi sono il Monte Pacciano, il Monte Malbe ed 1l Tezio a nord-ovest, i monti di Deruta, di Bettona ed il Subasio a sud, sud-est, entro la quale viene quindi ad essere compreso il gruppo delle colline di Perugia ed il tratto della media valle del Tevere che dall’altezza di Deruta a sud, risale fino alla pianura di Umbertide a nord. Soltanto poche specie le ho recentemente rac- colte a Monte Luco presso Spoleto. (1) Vedi: Annali di Botanica. Vol. VI pag. 277 303. VR ASTRI AE — 1922 — Se si tiene conto che la regione esplorata non rappresenta del- l'Umbria che una piccola parte, e che le 262 specie a tutt'oggi registrate sono di soli micromiceti, si può affermare che lo studio della micologia umbra si presenta molto promettente per la ricchezza delle specie; onde io mi terrò ben lieto se ancora in seguito mi sarà dato di portare alla conoscenza di questa parte così impor- tante della flora crittogamica regionale, il mio modesto contri- buto. PHYCOMYCETEZ A. N. Berl. et B. De Toni. 1. Cystopus Portulacae (D. C.) Lev. Sulla Portulaca oleracea, frequente sulle vie e su macerie prossime a Perugia. 2. Sclerospora macrospora Sacc. In Hordeum vulgare #; dimensioni delle oospore (diam. totale): 59,2-78,2 p. In Triticum sativum; dimensioni delle cospore (diam. totale): 55,2 80,5 p. In Avena sativa; dimensioni delle oospore (dia- metro totale): 55,2-82,8 p. In Festuca elatior *; dimensioni delle oospore (diam. totale): 55,2-78 p. In Alopecuris agrestis*; dimensioni delle oospore (diam. totale): 48,3-78,2 p. In Lolium temulentum *; dimensioni delle oospore (diam. totale): 57,5-85 p. In Agropyrum repens; dimensioni delle cospore (diam. totale): 55,2-82 n. Nota. — Essendovi nelle dimensioni delle spore, conidi, ecc. di moltissime specie, leggere variazioni rispetto ai limiti ammessi dalle diagnosi, ho creduto bene di riportare le cifre risultanti dalle mie misurazioni: le ometto invece per quelle specie nelle quali esse risultano esattamente corrispondenti alla dia- gnosi. Per le determinazioni e ricerche bibliografiche mi servii specialmente delle se- guenti opere: SAccARDO Sy/loge Fungorum; RABENHORST, Kryptogamen Flora; Sy- Dow, Annales Mycologici; FLORA ITALICA CRYPTOGAMA; SUCHROETER, DIETEL, FI- SCHER ecc, Fungiin ENGLER-PRANTL, ecc. Consultai poi i più importanti trattati di fitopatologia (FRANK, HARTIG, KIRCHNER, Comes, BERLESE, v. TuBEUF, PRIL- LIEUx, ERIKsson, DELACROIX, SORAUER, VOGLINO, FERRARIS, ecc.) e le principali rassegne, annali, bollettini, riviste di botanica, di patologia vegetale e di agri- coltura. Le graminacee segnate con asterisco sono ospiti nuovi per la specie (1). Tutte vennero raccolte presso il Tevere sui campi della tenuta di Casa- lina, nel giugno 1910. DISCOMICETEA Fr. 3. Sclerotinia Libertiana Fck. Sulla Vicia Faba, in molte località prossime a Perugia, maggio 1912. 4. Rhytisma punctatum (Pers.) Fr. Sull’Acer monspessulanum al Monte Subasio (bosco delle Carceri); luglio 1911. PIRENOMYCETEZE Fr. De Not. (1 . Limacinia Penzigi Sacc. Sui rami, frutti e foglie del Citrus Limonum, nelle serre della Villa dell’on. Cesaroni a Colle Umberto I. 6. Ceratostoma juniperinum Ell. et Ev. (2). In tumori sui rami di Juniperus communis, nel bosco presso Villa Cesaroni a Colle Umberto I, e nei giardini pubblici di Spoleto. . Anthostomella Sullae Mont. In Hedysarum coronarium, in campi coltivati presso Perugia; agosto 1910. Aschi: 70-75 v 8-9 p. var. Onobrychidis (?) In Onobrychis sativa, dove l’ho per la prima volta riscontrata in diverse località nell’estate 1910. Come ho già osservato in una mia precedente nota (3), la forma che vive sulla lupinella si di- stacca alquanto dal tipo per alcuni caratteri, spe- (1) SEvERINI G. — Stazioni sper. agr. it ,1910, Vol. XLIII, fasc. X, p. 774-86. (2) In. Annali di Botanica, Vol. VIII, 1910, p. 253-62. (3) In. Le Stazioni sp. agr. it., 1911, Vol. XLIV, fasc. 6-6, p. 414-16. ANNALI DI BoTANICA. — Vor. XI. 13 cialmente per gli aschi che sono più grandi (95-110 v 11-15 p), e peri periteci che sono anfi- geni; onde mi limito temporaneamente a distin- guerla come varietà di questa specie. 8. Laestadia tuscula Pass. Sulle foglie di Vidurnum Tinus, a Monte Luco presso Spoleto, nell’aprile 1912. Associata alla Phyllosticta tinea Sacc. che probabilmente rap- presenta il suo stato picnidico. 9. L. Cookeana (Fr.) Sace. Sulle foglie secche di Quercus Rodur, a Monte Pacciano, marzo 1912. Aschi: 45-55 v 9 Spore: ‘9-10 v.4,bp. 10. L. Polypodii Sacc. et Magn. Sul Polypodium vulgare, al Subasio (Carceri), luglio 1911. Periteci: 80-120 p. Aschi: 50-60 vw 15 p. Spore: 11-12 v_ 5» 11. Sphaerella punctiformis (Pers.) Rbh. Sulle foglie secche di Acer campestre, a Monte Pacciano, marzo 1912. Aschi: 35-45 v 5-7 p. Spore: 7-8 v 2-25» 12. S. Tini Arcang. Sulle foglie di Vidurnum Tinus, nei giardini pubblici di Spoleto, aprile 1912. Periteci: 60-90 p, per lo più ipofilli. Aschi: 45-50 v 12-14 n Spore: 16-20 v 5,5-6 » 13. S. sparsa (Wallr.) Awd. Sulle foglie secche di Quercus Kobur, a Monte Pacciano, marzo 1912. Aschi: 40-55 v 6-8 p. Spore: 7-9 v 3-3,5 » — 195 — 14. S. Populi Awd. Nelle foglie secche di Populus nigra, a Monte Pacciano, marzo 1912. Spore: 30-40 v 4,5-5 p. 15. S. peregrina Cooke. Nelle foglie di ARubia peregrina, a Monte Luco (Spoleto), aprile 1912. 16. Apiospora Rubi fruticosi n. sp. < Peritheciis lare gregartis seriatis, tectis, globosis, peridermio pustulato innatis, atris, nitidis, brevissime papitllulatis, 0,3-0,) mm. diam.; ascis cylindracets, subsessilibus, paraphysatis, 140-150 v 9-9,5 p, octosporis; sporidiis oblique monostichis vel disti- chis, piriformibus, rectis vel curvulis, utrinque acu- tiusculis, hyalinis, 30-55 v 6-7 p, prope basim 1- septatis, ad septo vix constrictis, loculo inferiore corciter 9 p. longo ». Hab. in sarmentis Rudi fruticosi, in sylva S. Do- minici (Perusia). i 17. Gnomonia setacea (Pers.) Ces. et De Not. Sulle foglie secche di Quercus Cerris, a Monte Malbe, gennaio 1912. Aschi: 30-35 v 8-10 p. Spore: 12-14 v 2». 18. Venturia Straussii Sacc. Sui rametti e sulle foglie languenti di Erica scoparia, presso S. Marino. Aschi: 80-120 v 17-18 p. Spore: 18- 20 v 8-9 >», unisettate, pri- ma jaline, poi leggerm. olivacee. 19. Melanomma juniperinum (Karst.) Sacc. Sui rami secchi di Juniperus communis, a Colle Umberto I. Associata al Ceratostoma juniperinum Ell. et Ev. 20. Pleospora vulgaris Niessl. Sull’Osyris alba; i periteci sono localizzati alle porzioni terminali dei rametti, che si presentano — 196 — per un certo tratto secche. A Monte Malbe, ot- tobre 1912. Aschi: 100-110 v 13-16 p.. Spore: 18-25 v 9-10», 5-settate. 21. PI. Dianthi De Not. Nelle foglie e nel caule di Dianthus Caryophyl- lus, coltivato in giardini a Perugia, gennaio 1912. Periteci: 200-300 p. Aschi: 115-160 v 23-27 p. Spore: 80-35 v 15-16». 22. PI. Cytisi Fckl. Nei rami secchi del Cytisus sessilifolius, a Monte Malbe, ottobre 1911. Aschi: 180 « 20-25 p. Spore: 32-35 v 11-13 p. f. Spartii (Sacc. Syll. Fung., IL p. 248). Nello Spartium junceum, all’orto agrario del- l’Istituto di Perugia, marzo 1912. Aschi: 110-150 v 23-25 p.. Spore: 25-35 v 12,5-13,5 p. 23. PI. infectoria Fekl. Nei culmi secchi di Triticum sativum, a S. Mar- tino in Campo, marzo 1912. Aschi: 100-140 v 12-13,5 p. Spore: 20-25 v 9-10 ». 24. PI. Tassiana Sacc. et Trav. Sui rami secchi di Usyris alba, a Monte Pac- ciano, marzo 1912. Aschi: 80-90 v 16-18 p. Spore: 18-20 v 7-8 », trisettate. 25. PI. Coronillae n. sp. < Perithectis gregartis, peridermio tectis, demum erumpentibus, globoso-depressis, atris, 0,5-0,7 mm. lat., cortaceiîs, osculo umbonato pertusis, levibus; ascis cylindraceo-clavatis, subrectis vel arcuatulis, 8-spo- ris, 190-230 v 12 n; sporidiis monostichis, elli- psoiîdeis, obtuse rotundatis, 3-4 transverse septatis, 30 Sa ra a RAT LA dle pn a e eli e — 197 — medio constrictis, in longitudine uniseptatis, olivaceo melleis, 20-25 v 10-11,5 p.; paraphysibus filifor- mibus, simplicibus, ascos aequantibus >». Hab. ad ramos emortuos Coronillae Emeri, in « Monticelli », prope Perusiam. . Cucurbitaria Coronillae (Fr.) Sace. Sui rami di Coronilla Emerus, nel bosco di S. Domenico a Perugia, febbraio 1912. . Polystigma rubrum (Pers.) D. C. Sulle foglie di Prunus Amygdalus, nell’ orto agrario dell’Istituto, ottobre 1911. . Microthyrium microscopicum Desm. Nelle foglie di Quercus Ilex, presso Perugia, gen- naio 1912. . Lophodermium Pinastri (Schrad.) Chev. Nelle foglie secche o ancora verdi di Pinus /- nea, presso Ponte S. Giovanni, gennaio 1912. BASIDIOMYCETEA De By. . Ustilago bromivora (Tul.) Fisch. de Wald. Sugli ovarî di Bromus sterilis, nell’orto agrario dell'Istituto, maggio 1907. Clamidospore: 7-9,5 p. 31. U. Caricis (Pers.) Fck. Sulla Carex glauca, a Monte Tezio, maggio 1910. Clamidospore: 20-23 v 15-18 p. . Cronartium asclepiadeum (Willd.) Fr. Sulle foglie di Cynanchum fuscatum, nel giar- dino botanico dell’Istituto, agosto 1912. Uredospore: 25-32 v 18,5-20,5 p. Teleutospore: 30-50 v 10-12 p. 33. Puccinia Glechomatis D. C. In Glechoma hederacea, presso Porta Bulagaio a Perugia, settembre 1905. Si. VI (| 36. 58. 39. 40. SC i9gao Teleutospore: 30-40 v 13-17 p, con peduncolo lungo 15-20 p. P. Rhagadioli (Pass.) Syd. Picnidi, ecidi, uredosori sulle foglie di Rhaga- diolus stellatus, a Monte Malbe, marzo 1912. Ecidiospore: 15-25 n. Uredospore: 20-25 ». . Gymnosporangium confusum Plowr. Sui rami di Cydonia vulgaris, nell’orto agrario dell’Istituto, luglio 1912. Tiungh. del pseudoperidio: 5-10 mm. Ecidiospore: 23-29 p. Aecidium Ferulae Rouss. et Dur. In Ferula sylvatica, sulla vetta del Subasio, lu- glio, 1910. SPHAROPSIDEA Lev. . Phyllosticta Aceris Sacc. Sulle foglie di Acer monspessulanum, a Monte Malbe, ottobre 1911. Picnidi: 65-100 p diam. Sporule: 3,5-4,5 v 1,3-1,7. Ph. Rhamni West. Sulle foglie di Rhamnus Alaternus, a Monte Luco presso Spoleto, aprile 1912. Picnidi: 180-250 pp. Sporule: 6-6,5 v 3,5 p. Ph. tinea Sace. Sulle foglie di Viburnum Tinus, a Monte Pac- ciano, ottobre 1911. Picnidi: 60-80 p, amfigeni. Sporule: 4,5 v 2 p. Ph. osteospora Sacc. Nel Fraxinus Ornus. Le sporule sono alquanto più piccole che nel tipo, ma gli altri caratteri ria A 199 — sono tutti corrispondenti a questa, e non alle altre Phyllosticta descritte sulla stessa matrice. A Monte Malbe, gennaio 1912. Picnidi: 45-65 p. Sporule: 4-5 v 1 p. 41. Ph. Quercus Sacc. et Speg. Su foglie languenti e secche di Quercus sessi- liffora, a Monte Malbe, gennaio 1912. Sporule: 7-8 v 2-2,5 p. 42. Ph. maculiformis Sace. In Castanea sativa, a Monte Pacciano, otto- brex TO, 43. Ph. ruscicola Dur. et Mont. Sui cladodi di Ruscus aculeatus, associata alla Leptosphaeria Rusci (Wallr.) Sacc. Monte Subasio, luglio 1911. 44. Ph. ficicola Pat. Sulle foglie di Ficus Carica, a Valdirose presso Lisciano Niccone, giugno 1912. Sporule: 8-10 v 4,5 p. 45. Ph. iliciseda Sace. Sulle foglie verdi e languenti di Quercus Ilex, nei giardini del Frontone a Perugia, nel gen- naio 1912. Molto affine alla PA. Quercus Ilicis Sacc., ma si distingue da questa per le spore più grandi. Picnidi: 250-350 p. Sporule: 7-7,5 v 2 p. 46. Phoma crateriformis (Dur. et Mont.) Sace. Sulle foglie secche di P/yMlirea burifolia, a Monte Malbe, marzo 1912. Sporule: 15-16 v 2-2,5 47. P. syringella Fck. Sulle foglie secche di Syringa vulgaris, coltiv. in giardini a Castel del Piano, decembre 1911. Sporule: 5-6 v 2 p. » STRA i ARI PU a Rn O. | ET e, PT i è eee ERRE AI e EARLE 48. P. herbarum West. In Oenothera biennis. Forse è lo stato picnidico della Pleospora herbarum alla quale è associata. Sporule: 7-9 v 3,5-4,5 L. f. Humuli (Sac Syll. Fung., ILL, p. 133). Nei sarmenti secchi di Humulus Lupulus, al- l’orto agrario dell’Istituto, gennaio 1912. Sporule: 6-7 v 3-4 p. « 49. P. Datiscae P. Henn. Nel caule secco di Datisca cannabina, nel giar- dino botanico dell’Istituto, gennaio 1912. Sporule: 4,5-6 v 3-3,5 h. 50. Macrophoma Oleae (D. C.) Berl. et Vogl. = PRoma Weae (D. C.) Sacc. Nelle foglie secche di Olea europaea, a S. Ca- terina presso Perugia, gennaio 1912. Sporule: 18,5-25 v 4,5-5 p. 51. M. Mirbelii (Fr.) Berl. et Vogl. i Nelle foglie secche o languenti di Buxus sem- pervirens, a Monte Luco (Spoleto), aprile 1912. Picnidi: 250-450 p. Sporule : 15-16 v 9 |. 52. M. neriicola n. sp. « Peritheciis amphygenis, innatis, gregariis vel subsparsis, primum tectis, dein erumpentibus, co- nicis, poro pertusis, atris, 150-200 » diam.; spo- rulis cylindraceis, rectis, granulosis, continuis, 17,5- 18,5 v 2,5-3,5 p; basidiis hyalinis, filiformibus, aequantibus ». Hab. in foliis aridis et deJectis Nerd Oleandri, in Horto Agrario Perusino. A Phoma nerticola Pat. peritheciis amphygenis, sporulisque, longioribus, et a Macrophoma Oleandri Pass., peritheciis am- phygenis sporulisque minoribus satis distincta. 53. Aposphaeria mollis (Lév.) Sace. Sullo Spartium junceum a Monte Pacciano, ot- tobre 1911. Picnidi: 120-200 p. Sporule: 4,5-6 v 2-2,5 w. Pa at pl gi 54. Dendrophoma Marconii Cav. Sulla Cannabis sativa, coltiv. alla « Colombella » presso Perugia, agosto 1911. oli (di 5. Vermicularia trichella Fr. Sulle foglie di Hedera helix nel Monte Subasio, Monte Luco, aprile, luglio, 1911. Picnidi: 100-170 p. Sporule: 20-25 v 5-5,5 n. 56. V. Liliacearum West. Sulla Convallaria majalis, nei giardini di Villa Faina a Perugia, luglio 1912. 57. Coniothyrium olivareum Bon. Sulle estremità secche dei rami di Jasminum nodiflorum.Orto agrario dell'Istituto, gennaio 1912, Differisce dal C. Jasminii (Thim.) Sace. e dal C. Castagnei Sacc. per le dimensioni delle spore. Sporule: 6,5-7 v 4,5. 58. C. Palmarum Cke et Mars. In Chamaerops excelsior nei giardini pubblici di Perugia; febbraio 1912. Associato alla Diplodia Passeriniana Thiim. Sporule: 7-9 v 4-4,5 p. 59. Diplodia Juniperi West. Sul rami di Juniperus communis, nel bosco della Villa Cesaroni a Colle Umberto I. Associata al Ceratostoma juniperinum El. et Ev. 60. D. Evonymi West. Sulle foglie cadute putrescenti di Evonymus ja- ponicus, presso Torgiano, decembre 1911. Picnidi: 350-450 p. Sporule: 25-30 v 10-12 p. 61. D. Humuli Fek. 7 Nei sarmenti secchi di Humulus Lupulus. Orto agrario, gennaio 1912. Sporule: 21-23 v 11-12 p. i 62. 63. 64. 66. 67. 63. D. Passeriniana Thiim. I picnidi si trovano su chiazze marginali o api- cali delle foglie verdi, o su quelle secche di Cha- maerops humilis ed excelsior. Giardini pubblici di Perugia, gennaio 1911. Sporule: 8-11 v 3-3,5 p. Ascochyta Aucubae Sacc. et Speg. Sulle foglie secche di Aucuba japonica. Giar- dino botanico, febbraio 1912. Picnidi: 150-250 p. Sporule: 9-10 v 2-3 p. A. Quercus Sacc. et Speg. Sulle foglie di Quercus Robur, presso Castel del Piano, maggio 1912. Picnidi: 60-90 p. Sporule: 9-12,5 v 2-4 y. A sorghina Sacc. Sulle foglie di Sorghum vulgare, coltiv. a Ca- salina, nel luglio 1910. Associata al Cladosporium ‘ graminum Link. Picnidi: 90-120 p. Sporule: 15-20 v 8 p. Hendersonia sarmentorum West. Nelle foglie secche di Laurus nobilis. A Villa Monticelli, decembre 1911. Sporule: 13-15 v 5,5-6,5 p. H. maculans (Cda) Lév. Sulle foglie di Quercus Ilex, a Monte Malbe, marzo 1912. Associata alla PAyllosticta iliciseda Sacc. Sporule: 18-20 v 6-7 p. Stagonospora graminella Sacc. Sulle foglie secche o languenti del Brachypo- dium pinnatum, a Monte Malbe, ottobre 1911. ‘ Pienidi: 200-300 p. Sporule: 16-20 v 2,5-3 n, 3-4 settate, plu- riguttulate, leggerm. ristrette ai setti. droni 69. Septoria Laburni Pass. Nelle foglie di Cytisus sessilifolius, a Monte Malbe, ottobre 1911. ; | Pienidi: 50-100 n. | Sporule: 12-20 v 2-2,5 p, continue o 1- 3 settate. sa 70. S. Hederae Desm. In Hedera helix, presso Monteripido, marzo 1912. Sporule: 23-30 v 2-3 p. prat ER MEET Ti À pr 71. S. cornicola Desm. In Cornus sanguinea, a Lerchi presso Città di Castello, giugno 1912. Sporule: 23-30 v 2-3 n. 72. S. Dianthi Desm. Sulle foglie del Dianthus Caryophy0lus coltiv. in giardini a Perugia; per lo più associata alla Pleospora Dianthi De Not. Picnidi: 100-150 p. Sporule: 30-45 v 3,5-4,5 È. animi iene degli i 73. S. Petroselini Desm. var. Apii Br. et Cav. Frequente sull’ Apium graveolens, negli orti presso a Perugia, ottobre 1911. gi Sporule: 30-50 v 2-3 n. - (4. S. Lycopersici Speg. ( Sulle foglie di Solanum Lycopersicum, coltiv. in 4 orti presso Città di Castello, agosto 1911. X Picnidi: 150-200 p. Sporule: 60-120 v 2,5-3,D p. 75. S. Tritici Desm. Nel Triticum sativum, molto frequente durante ; l'inverno e la primavera del 1912. 76. S. evonymina n. sp. «< Maculis nullis, sed matrice tota expallente; pe- ritheciis numerosissimis, hypophyllis, raro epiphyl- lis, saepe în tota folii pagina regulariter confertis, iii pr etc ici te e io nd n at e : x “ 2 119 î — 204 — subglobosis, innato erumpentibus, epidermide lace- rata cinctis, ostiolatis, 300-400 p diam., contextu parenchymatico fuligineo ; sporulis cylindraceis, sub- clavulatis, utrinque truncatulis, granulosis, hyalinis, 1-3 septatis, 45-70 y 3,95-4 1 >». Hab. in foliis languidis ac dejectis Zvonymi Ja- pontci, prope Torgiano (Perusia). A. Septoria Evo- nymi-japonicae Passer., S. Evonymi Rabh., S. evo- nymella Passer., S. Japonicae Ond. atque S. spi- culispora Ell. et Ev., sporulis majoribus et non continuis praecipue dignoscitur. Socia Diplodia Evonymi West. in foliis dejectis, ‘7. Rhabdospora phomatoides Sacc. Nei rami di Genista tinetoria, a Monte Malbe, ottobre 1911. Picnidi: 100-150 p. Sporule; 3-3,5 v 25-30 p, curvule, 1-3 settate. 78. Discosia Artocreas (Tode) Fr. Sulle foglie di Populus nigra, a Monte Pacciano, marzo 1912. Associata alla Sphaerella Populi Awd. Sporule: 16-19,5 v 2,5 a, con setole lun- ghe 9-11 p. MELANCONIEA Berk. 9. Cylindrosporium Ranunculi (Bon.) Sacc. Sulle foglie di /anunculus Ficaria, presso Pi- scille, marzo 1912. Conidî filamentosi, fusiformi: 60-80 v 2p. » corti e grossi: 20-25 v 3-4 p. 80. Pestalozzia Hartigii v. Tub. Sulle foglie di giovani piante di Pinus Pinea, a Villa Monticelli presso Perugia, decembre 1911. Conidî: 18-25 v 9 |», con ciglia terminali 12-18 v 1p; peduncolo: 20-40 v 1,5-2 p. RE RA TR EI STO CRONO FIBRA I TESTI SLA TIE A TIT TOZZI = DONO SIR VI MORO PORIORIO II. MEN — 205 — 81. P. Helichrysii n. sp. « Acervulis sparsis, nigris, conico-hemisphaerictis, erumpentibus, 300-450 p diam.; conidiis fusifor- mibus, plerumque longe pedicellatis, 4-locularibus, ad septa non vel vix constrictis, 23-27 v 9-10 p; loculis duobus mediis majoribus, fuligineis, eatimis parvulis, jalinis, superiore 5 rostellis divergentibus, jalinis, filiformibus et longissimis, 18-35 v 1 pw, or- nato, inferiore pedicello 20-40 v 2 p, suffulto >». Hab. in caulibus siccis Melichrysit Stoechadis, in Monte Malbe (Perusia). 82. Monochaetia Saccardiana (Vogl.) Sacc. et Trav. — Pestalozzia monochaeta Desm. Nelle foglie di Quercus Suber, all’Orto agrario dell'Istituto, gennaio 1912. Conidî: 18,5-23 v 5-6,5 p, con rostello lungo 10-14 p. HYPHOMYCETE/ Mart. 83. Monilia fructigena Pers. Sui frutti del Pirus Malus, presso la Rocca di Casalina, giugno 1910. 84. M. cinerea Bon. Sui frutti del Prunus avium, racc. c. s. 85. Cylindrium griseum (Ditm.) Bon. Conidî: 13-20 v 2-3 p. Sulle foglie di Quercus Robur, al Monte Subasio, luglio 1911. 86. Oidium Evonymi-japonici (Arc.) Sacc. Sull’Evonymus japonicus, in molte località. 87. 0. quercinum (Thiim.) (?). Conidî: 25-30 v 14-17 p. È apparso per la prima volta anche nell’Um- bria durante l’estate del 1908, dapprima sporadi- camente, poi diffusissimo negli anni successivi: eran Seca TIRI Sere i : Masi pia: £ si SE (ONT _ — 206 — dal 1911 sembra alquanto in decrescenza. L'ho ri- scontrato su Quercus peduncolata e sessiliflora, sem- pre in piante giovanissime, sui polloni, od anche in piante adulte ma sui rami inferiori, molto sog- getti a tagli. 88. Ramularia sambucina Sacc. Sulle foglie di Sambucus nigra, in siepi presso Deruta, luglio 1912. Conidî: 23-35 v 4,6 p. 89. R. Cynarae Sacc. Sulle foglie di Cynara Scolyjmus, frequente negli orti presso Perugia, giugno 1912. Conidî: 14-25 v 4-4,5 p. 90. Cladosporium epiphyllum (Pers.) Mart. Sulle foglie di Hedera helix, nel bosco di S. Do- menico a Perugia, febbraio 1912. Conidî: 10-18 v 5-7 p. 91. CI. graminum Link. Nelle foglie di Sorghum vulgare, a Casalina nel luglio 1910. Associata all’ Ascochyta sorghina Sace. Conidî: 14-16 v 5 w, unisettati. 92. Clasterosporium carpophilum (Lév.) Aderh. Frequente specialmente sulle foglie e sui gio- vani rami del Prunus Persica, P. Armeniaca, col- piti da gommosi, durante l’estate-autunno. Conidî: 35-40 v 13,16 p, per lo più tri- settati. Questa specie, secondo Aderhold (Arbezt. aus der biol. Abt. f. Land-Forst. am Kais. Ges. Bd. 2, 1901, p. 515-19) e Voglino (Atti R. Ac. Sc. Torino, Vol. XLI, 1905, p. 27) corrisponde al Coryneum Beyerinckiî Oud., e sarebbe da riportare come stato conidico all’Ascospora Beyerinckii di Vuillemin. 98. Cercospora Violae Sacc. Sulla Viola canina, al Subasio (Carceri), lu- glio 1911 Conidî: 100-150 v 3,5-4 p. si — 207 94. C. rosicola Pass. In Rosa sp.a Monte Malbe, ottobre 1911. Conidî: 40-60 v 2,5-3 p. 95. C. scandens Sacc. et Wint. Sul Tamus communis, al Subasio, luglio 1911. Conidî: 50-60 v 3-4 p. 96. C. smilacina Sacc. Sulle foglie di Smilax aspera, a Monte Luco (Spoleto), aprile 1912. Conidî: 45-70 v 4-5 p. 97. C. Fabae Fautr. Sulla Vicia Faba, V. Narbonensis, in diverse località, giugno 1911. 98. Heterosporium gracile (Wallr.) Sacc. Sulle foglie verdi di Iris foetida, coltiv. nel giar- dino botanico dell’Istituto agrario, marzo 1912. 99. H. echinulatum (Berk.) Cooke. Nel Dianthus Caryophyllus, a Villa Faina presso Perugia. Associato alla Septoria Dianthi Desm. che forma macchie gialle nelle quali stanno rag- gruppatii picnidi, mentre 1’ H. echinulatum forma macchie bianchiccie orlate di bruno. Conidî: 35-45 v 14-16 n, unio bi-settati. 100. Macrosporium nobile Vize. Nel fusto, nelle foglie secche o languenti del Dianthus Caryophyllus; all’Orto agrario dell’Isti- tuto, febbraio 1912. Conidî: 55-80 v 25-40 p. Laboratorio Botanico del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia settembre 1912, e Rn WIR a * PT1 he Me LITÀ Mc. le ad 3 ah Ri AA te ta a i lat ea e]]lxx.rz.r.rr.tP},.TT e ——_ —_ — _ —— CARIBE NINASENIOSNSNEINLNIXIXSINIININAAISSISSSNFEN Questioni e ricerche sulla biologia fiorale dell’olivo. Memoria di C. CAMPBELL Se si scorre la bibliografia classica, le più o meno recenti pub- blicazioni e monografie agronomiche e quelle riguardanti speciali ricerche sull’olivo, si nota facilmente come scarse ed imperfette siano state sempre le conoscenze botaniche e biologiche special- mente sul fiore e trascurate del tutto le ricerche sperimentali sul- l'argomento. In fatti, dell’olivo botanicamente, non si trovano che brevi ed incomplete notizie racchiuse in altri lavori d’ indole generale sulle Oleaceae, senza speciali ricerche al probabile paese d’origine, gene- ralmente desunte da scarso materiale da erbario e senza un lavoro di accurata comparazione; biologicamente solo quel poco che già conoscevano gli antichi e tramandato nelle diverse opere riguar- danti l’olivo dal lato colturale; osservazioni superficiali, non sempre convincenti, spesso in aperto contrasto con le conoscenze scienti- fiche di fisiologia e biologia vegetale e quindi con base assoluta- mente empirica; in conclusione l’oscurità più assoluta sopra fatti e ricerche che possono solo essere guida sicura ad una olivicoltura più razionale. Preoccupazione generale le malattie. Ognuno volle vedere in vecchie e nuove malattie la o le cause di uno improduttività più o meno grande e di una alternanza di produzione più o meno sen- tita; trascurati o quasi un cumolo di fenomeni che studiati po- tevano spiegare molteplici fatti, che non ritraggono la loro origine da cause veramente e tipicamente patologiche. Tale constatazione mi decise nel 1900 ad iniziare le ricerche, in parte rese note, nella speranza di contribuire alla soluzione di così importante problema, iniziando il lavoro con lo studio accu- rato di quanto era stato scritto e fatto dai più antichi tempi, con- frontando le opinioni e le osservazioni dei diversi autori, rivol- gendo la massima attenzione all'influenza delle pratiche colturali ed al fiore. ANNALI DI BoTANICA, — Vor. XI. 14 Due fatti notai subito, che ritenni della massima importanza: 1) L’aborto parziale — più o meno intenso — dell'organo femminile nel fiore di molte piante in cui il prodotto si mostrava costantemente nullo o deficiente. 2) L’infiorescenza terminale estesa più o meno numerosa a moltissime piante e varietà, da farmi tosto considerare se realmente l’Olea europaea del Linneo, dovesse considerarsi quella pianta ad infiorescenza ascellare che tutti i botanici così avevano descritta, o non dovessero farsi delle nette distinzioni tra piante ad infiore- scenza ascellare e terminale, e tra queste come considerare quelle ad infiorescenza mista. Nella questione dell’aborto dell'organo femminile nel fiore, una questione di fondamentale importanza mi si presentò subito da risolvere: tale aborto, non ancora notato da alcuno, era esso ef- fetto di speciali condizioni biologiche o patologiche, o era esso fisso in determinate piante, rappresentandovi uno stato di permanente mutazione, ed in tale caso a quale o quali cause attribuirlo ? Questioni, come si vede, quanto mai importanti e che non po- tevano alla leggiera venire considerate, in quanto dalla loro solu- zione dovevano dipendere una somma di deduzioni di indole tec- nico-agraria, che non potevano ritrarre la loro base che da un serio lavoro di ricerche sperimentali, in quanto molto spesso sem- plici osservazioni, sia pure molto accurate, portano a conclusioni errate. «Iniziato il lavoro sperimentale con 12 prove di concimazione completa ripartite sopra una regione vastissima e nelle più dispa- rate condizioni, sopra piante con fiori ad organo femminile abor- tito e piante con fiori normali, ne ho potuto trarre l’importante conclusione che se la concimazione influisce generalmente sulla pianta e sopra una più o meno abbondante fioritura, l’aborto per- mane nelle piante che lo presentano, e quindi esso non può ri- tenersi in relazione ad uno stato di speciale denutrizione della pianta. Ad eguale conclusione mi portarono: la decorticazione anulare, che per lo stato di ipernutrizione ed iperumidità che determina nel ramo decorticato, tanto favorevolmente agisce sulla allegazione dei fiori normali, e le irrorazioni cupriche, in cui per la nota azione del solfato di rame sul processo di assimilazione, quando oppor- tunamente somministrate, manifestano una azione decisamente fa- vorevole alla fioritura ed allegazione del fiore. — 211 — L'esistenza in Venafro di un olivo da antichissimo tempo chia- mato Maschio, mi fece subito ritenere trattarsi di piante ad organo femminile abortito, e l’esame di esse confermò i miei dubbi (1); si hanno colà piante con permanente aborto fiorale tra piante rego- larmente produttive, che gli agricoltori locali ritengono capaci di rendere più sicura l’allegazione delle altre. Di piante di olivo « maschie » non ho trovata poi che la citazione molto semplice del Tavanti (2) che a proposito delle varietà di olivi coltivati in Toscana cita pei territori di Pontremoli e Cetona le olive « ma- schie » e nel Fivizzano altre olive chiamate « femmine ». Stà in fatto che dovunque in Italia, ma più specialmente nel Mezzogiorno, si trovano numerosissime le piante ad aborto fiorale, ho potuto dovunque trovarne e stabilire la ragione di improdut- tività (in senso agrario) di moltissime piante. La scoperta dell’aborto fiorale sulle nostre piante, mi fece con- siderare la possibilità che anche in altre contrade dovesse riscon- trarsi, considerando la pratica agraria degli antichi e moderni Arabi di fare la impollinazione artificiale dei loro olivi, pratica che doveva ben avere la sua origine in differenze sostanziali, che se non avevano ancora richiamata l’attenzione dei botanici e degli agronomi, dovevano bene esistere, in quanto un uso tanto originale ed interessante, non poteva non essere giustificato, fosse pure da osservazioni poco esatte ed empiriche. D'altra parte, co- noscendo l’esistenza nel sud Tunisino di un olivo chiamato dagli arabi « Dekkar » in lingua araba « maschio o fecondante » era na- turale che le mie induzioni sì rafforzassero, in quanto una simile denominazione non poteva che giustificare qualche cosa di ben di- verso dalle altre piante, ed in tal modo decisi lo studio dell’olivo Dekkar ed in genere delle piante e varietà delle contrade ove si pratica l’impollinazione artificiale. Da tale studio (8), a cui rimando per maggiori notizie, risulta, come nelle piante di olivo « Dekkar » l’aborto dell’organo femmi- nile sia sempre più o meno manifesto; ma ciò che più interessa (1) C. CAMPBELL. — Osservazioni e ricerche sull’olivo chiamato « maschio ». — Bullettino Società Botanica Italiana, 1910. (2) G. TAVANTI. — Memoria del sig. Giuseppe Tavanti di Bibbiena in Ca- sentino in risposta al programma proposto sotto il dì 7 settembre 1803 della k. Società economica fiorentina detta dei Georgofili. Premiata nell'adunanza del 1° giugno 1805. — Firenze, MDCCCV. (3) C. CAMPBELL. — Sul? Olivo « Dekkar » del Sud Tunisino e sulla im- pollinazione artificiale degli olivi praticata dagli Arabi di certe oasi africane. — Nuovo Giornale Botanico Italiano, Nuova serie, vol. XIX, n, 1, 1912, N nei ila hd‘ A ua FR PRODI NO EPATITE pata è l’esistenza di più varietà di olivi — Dekkar — in modo che gli Arabi per ogni varietà di olivo distinguono le piante in maschili e femminili, e ciò che ha una grande importanza, l’ identità in una varietà studiata, la Chemlali, tra le piante dagli Arabi designate come maschili e quelle femminili, le due forme differenziate solo dallo sviluppo e struttura del fiore. Va pure notato come nelle piante chiamate maschili sia insignificante la produzione, e che a tale fatto vada attribuita la distinzione. Del resto, dalla poca o punta produttività anche gli antichi derivavano la designazione di maschili per certe piante (1), ed è probabile che per tradizione gli Arabi l’abbiano mantenuta. Di piante con aborto fiorale più o meno manifesto se ne sono trovate in notevole quantità in seguito in Tunisia, da potere spie- gare la poca o insensibile produttività di molti oliveti, e casi in- teressantissimi di aborto fiorale mi sono stati comunicati dalla Grecia. Ricerche in altre contrade oleifere diranno in seguito quanto sia esteso e quanta importanza assuma per l’avvenire dell’olivi- cultura. Nei fiori ad organo femminile abortito sì nota come a detto aborto corrisponde un maggior sviluppo del calice della corolla e dell’androceo, con colorito manifestamente più chiaro nel calice nella corolla e nel pedicello fiorale e come tra i caratteri dirò così tipici dei fiori con organo femminile abortito, e quelli dei fiori normali, se ne abbiano di intermedi, in cui pure non ma- festandosi l’aborto dell'organo femminile, l’allegagione si dimostra più difficile per ragioni che l’indagine anatomica potrà in seguito chiarire. Mi venne così di stabilire secondo i caratteri del fiore una di- visione delle piante, anche nella stessa varietà, che tenendo conto dei caratteri del fiore permettesse una distinzione delle piante col- tivate, per tutte le deduzioni che ne potranno scaturire sia dal lato scientifico come da quello pratico, come base di future ricerche biologiche e di un lavoro di selezione che escluda dalle colture le piante in cui sia manifesta la incapacità produttiva: I. Fiori a calice e corolla molto sviluppati, calice, corolla e pedicello fiorale biancastri, di un colorito bene appariscente, note- vole sviluppo nell’androceo con una iperproduzione di polline, aborto dell’organo femminile più o meno esteso ai fiori dell’intera pianta. II. Fiori con caratteri più prossimi ai precedenti, organo fem- minile non abortito di un colorito più chiaro anche nello stilo. (1) TrorRasTtus — Mist. Plant., III, 18. — 213 — Sono i fiori in cui, pure non notandosi aborto, l’allegagione è meno abbondante e che molto probabilmente rappresentano lo stato in- termedio della mutazione. TII. Fiori con calice corolla ed androceo meno sviluppati che nei casi precedenti, calice corolla e più specialmente il pedicello fiorale di colore verdastro. Organo femminile bene sviluppato con lo stilo di un bel verde appariscente. Sono i fiori che ho chiamati normali ed in cui si ha — salvo contrarie condizioni — la perfetta allegagione. Dal complesso degli esperimenti ed osservazioni fatte, ho ri- portata la convinzione che l’aborto fiorale nell’olivo ‘rappresenti uno stato di stabile mutazione, nè diversamente ritengo si possa e debba considerarlo, se si tiene presente come su esso non agiscano uno stato di buona nutrizione, la decorticazione anulare e l’azione fisiologica del solfato di rame; mentre coll’innesto si ha un mezzo come rendere produttive tali piante. Prove ripetute in più località iniziate nel 1902, mi hanno dimostrato come innestando le piante ad aborto fiorale, con nesti tolti da piante riconosciute a fiori nor- mali, sì possa avere produzione come da piante normali. D’altra parte se l’aborto non fosse che l’effetto di speciali con- dizioni biologiche o patologiche, non si potrebbe forse spiegare il maggiore sviluppo delle altre parti del fiore con la maggiore pro- duzione di polline, che si troverebbe in contrasto con uno stato pa- tologico qualsiasi, a meno che patalogico non sì ritenesse anche l’anomalo sviluppo, ma in tale caso a che attribuirlo ? Il fatto che piante ad organo femminile abortito sono da secoli «conosciute, più specialmente tra gli arabi, da ricavarne la pratica dell’impollinazione artificiale, che tali piante mantengono il loro carattere malgrado le condizioni di vita uguali per altre piante che non lo presentano, che in una stessa varietà « Chemlali » sì ha netta distinzione tra le due forme fiorali e che tali si manten- gono con la riproduzione asessuale, fatto del resto che ha il suo perfetto riscontro nelle nostre piante, mi sembra basti a confer- mare l'ipotesi di una mutazione stabile, come si conosce per altre piante. Studi e ricerche future stabiliranno per ogni varietà la ten- denza o meno alla mutazione, e più che tutto la sua permanenza «con la riproduzione sessuale. A. tale proposito posso sin da ora no- tare come dalle poche olive avute da piante « maschie » seminate abbia ottenute piante che nei caratteri ricordano perfettamente la pianta madre, sì vedrà in seguito se in esse, come è probabile, si mantengano anche i caratteri del fiore. RA Mi ae — i: ARIETTO, BISI — 2il4 — Contro l’ipotesi di una stabile mutazione scrisse il Petri, (1) fa- cendo dipendere l’aborto da deficiente umidità del terreno «la ri- dotta migrazione dell’acqua nel corpo della pianta è una delle prin- cipali cause della esagerata percentuale degli ovari abortiti ». Niuno più di me ha forse compreso e sostenuto il danno che la siccità può produrre nella produzione dell’olivo, dimostrando anche con citazioni di geografia botanica (2) come l’olivo per la sua ori- | gine e per le sue esigenze, sia pianta più che tutto da terreni ir- rigatori e l’irrigazione possa solo, non indipendentemente dalle altre buone condizioni di fruttificagione, rendere regolare nei climi caldi ed asciutti la produzione. Il Petri sostiene inoltre che il deficiente assorbimento d’acqua; da parte della pianta sia determinato da uno stato patologico della radice, e che quindi l’aborto sia in relazione ad una esagerata for- mazione di micorize. Egli crede inoltre che la produzione delle piante che portano fiori abortiti, quando innestate con marze tolte da buone piante a fiori normali, dipenda dalla diversa attività fun- zionale del nesto, capace di stimolare la formazione di numerose radichette autotrofiche, interrompendo lo stato di depressione pro- veniente dalla micotrofia preesistente. Ora niun dubbio che la linfa elaborata dal nesto possa e debba influire sul soggetto, ma che tale influenza possa esercitarsi in modo tanto palese e direi straordinario è lecito dubitarne, mentre è più (1) L. PETRI. — Osservazioni sulla biologia e patologia del fiore dell'olivo. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei vol. XIX serie 5% 2° sem. fasc. 11 e 12, 1910. Quanto al tentativo del Petri di farsi ritenere il primo ad avere conosciuto e scritto di aborto fiorale nell’Olivo, ricorderò come egli che cita la mia pub- blicazione del 1909 « Sulla Biologia e Patologia dell'Olivo » Roma 1909 — non poteva non rilevare come in essa ricordassi la mia comunicazione al 1° Con- gresso Internazionale di Olivicoltura di Toulon del 1908, che ebbe luogo prima della sua comunicazione ai Lincei. Che se il riassunto della mia comunicazione vide, per cause indipendenti dalla mia volontà, solo più tardi la luce, non man- carono le notizie datene dai giornali; tra le quali mi basterà citare quella del prof S. Slauss-Kaptschieder, rappresentante ufficiale a quel Congresso del Go- verno Austro-Ungarico, che ricorda chiaramente la mia citazioue sull’aborto dell’organo femminile nel fiore dell’Olivo. « Die Oelproduktion an der italie- nischen und franzéischen Riviera zugleich Bericht iiber den I internationalen Oelbaumkongress in Toulon sur mer. Zeitschrift fiir das landwirtschaftliche Versuchswesen in Oesterreich, 1909 ». Ciò per la parte ufficiale. D’altra parte mentre il Petri non fa che rife- rire su semplici osservazioni non controllabili, da parte mia esiste un lavoro di ricerche iniziate nel 1901 sotto la vista e il controllo degli agricoltori inte- ressati, senza alcun mistero per nessuno! (2) C. CAMPBELL. — Pour l’avenir de l’Oleiculture. Tunis 1907. poi | 3 palese e generalmentenotaed ammessa l’influenza del soggetto sul ne- sto. Se il Petri anzichè fermarsi a delle superficiali osservazioni, avesse fatto degli esperimenti, si sarebbe facilmente accorto del grossolano errore. E valgono i fatti: in una vecchia pianta di olivo « maschio » uno solo dei piccoli rami venne innestato, da quel nesto — non molto vigoroso — sì sono avuti a suo tempo fiori normali e nor- male fruttificagione. In piante con aborto fiorale innestate in cui per la morte di un nesto si è avuto un ramo del soggettò cre- scente unitamente a quelli dei nesti attecchiti, ho veduto mante- nersi nell’uno e negli altri i caratteri primitivi. Se l’ipotesi del Petri avesse un qualche fondamento, in tali casi la maggiore atti- vità funzionale dei nesti attecchiti avrebbe dovuto influire anche sul ramo venuto dal soggetto. E se personalmente non ha fatta la prova contraria di innestare cioè pianta a fiori abortiti, sopra pianta normale, ho osservato qualche innesto fatto da agricoltori e ho con- statato sempre la permanenza nel nesto dell’aborto fiorale. Al fatto ho dato e dò quel valore relativo che può avere una osservazione, in quanto giudizi esatti non è giusto e serio trarli da semplici os- servazioni e da lavori non controllati o controllabili. Ma ha il Petri considerati 1 diversi stadi biologici per cui passa una pianta innestata, quando più specialmente l'innesto venga pra- ticato sopra vecchie piante o piante deperite? Per compiere l’innesto, specie coi deplorevoli metodi usati in pratica, si sopprime la chioma della pianta e sui rami tagliati a maggiore o minore altezza si fà l’innesto. Si ha quindi un primo periodo di grande depressione nella pianta, privata in periodo vegetativo, l’olivo è pianta a foglie persistenti, di tutta la sua parte aerea, nè i nesti possono, per quanto vigorosi, sostituire d’un tratto la parte asportata e ristabilire il rotto equilibrio, ela- borando la linfa assorbita dalle radici. Piano piano si va ristabi- lendo l’equilibrio in quanto i nesti col crescere tendono a sosti- tuire la parte aerea della pianta soppressa per compiere l’innesto. Ma nel punto di innesto parte del ramo, specie quando sia di di- mensioni piuttosto forti, si dissecca, ed i nuovi tessuti del nesto crescono sui tessuti necrotizzati del soggetto. Avviene ancora ta- lora che per la maggiore attività funzionale del nesto, è il caso che sì verifica in piante deperite ed in condizioni patologiche, lo svi- luppo del nesto sia maggiore di quello del soggetto. Nell’uno e nel. l’altro caso si ha nell’innesto la funzione che potrebbe esercitare la decorticazione anulare, ipernutrizione del nesto, denutrizione del soggetto. E chi vive studiando e osservando le piante, sa bene che in tali casi dopo alcune annate di abbondante produzione comincia i e o < n Ma naz |seo Men — 216 — uno stato di generale depressione, a cui fanno seguito tutti quei fenomeni propri di piante in condizioni anormali e patologiche; fe- nomeni che possono venire ritardati da eccezionali cure, buone con- cimazioni, ecc. Nel primo periodo, la pianta privata del suo apparecchio assimi- latore è esposta al marciume radicale come tutte le piante tagliate in piena vegetazione, nel secondo periodo si può avere un relativo equili- brio a cui succede il periodo che chiamerò finale, in cui la linfa ela- borata non arriva che in piccola parte alle radici e quindi in queste, per quanto per ragione diversa, si hanno così contrariec ondizioni di vita da favorire, anzichè allontanare, tutte le cause parassitarie. L’innesto quindi, come generalmente si pratica, non può agire nel senso indicato dal Petri, ma in senso decisamente contrario e anche praticato con le migliori norme che la tecnica agraria sug- gerisce, per quanto diminuiti di molto, non sarà mai possibile di- struggere completamente gli effetti notati. Come si vede, la possi- bilità di una benefica azione del nesto sul soggetto, se possibile in determinati casi, non si verifica nel caso in parola, in parte per le ragioni stesse sostenute dal Petri, diversa attività funzionale del soggetto — pianta in condizioni patologiche, e del nesto tolto da pianta sana e normale e cade quindi la sua ipotesi sorta da sem- plici osservazioni, che il lavoro e la ricerca sperimentale distruggono. Citerò anzi un caso interessantissimo, che a suo tempo illustrerò dettagliatamente, di probabile azione del soggetto — pianta con aborto fiorale — sul nesto di pianta a fiori normali. Praticato l’innesto nel 1902, nel 1905 notai come l’infiorescenza presentasse caratteri diversi da quelli della pianta da cui il nesto era stato tolto, e che ricordavano quelli del soggetto, ma quando stava per avvenire l’antesi in prosieguo di tale infiorescenza ne venne una che presentava i veri caratteri delle infiorescenze del nesto. Caddero i fiori della prima infiorescenza e furono i secondi quelli ad allegare e portare il frutto. Dal 1905 il fenomeno si è più o meno intensamente ripetuto, e anche nella corrente fioritura sì è avuto accenno del fenomeno stesso. È un caso di probabile azione del soggetto sul nesto, certo interessantissimo, e che dimostra quanto oscura ancora sia l’azione che l'innesto può esercitare sulla natura della pianta. Da notarsi come in metà della pianta — sì trattava di due rami — l’innesto non attecchì e le infiorescenze continuarono a portare fiori con palese aborto dell’organo femmi- nile, mentre l’altra metà, innestata con varietà ad infiorescenza terminale e quindi anche ben distinta dalla prim per tale ca- rattere, diede e dà regolarmente e abbondantemente prodotto. ast Nè le variazioni nella percentuale tra fiori abortiti e normali, cche sulla stessa pianta si possono riscontrare da un anno all’altro, provano, io credo, della instabilità dell'aborto. Casi simili non man- cano in altre piante. Come e perchè ciò avvenga, lo diranno future ricerche intese a spiegare fatti su cui non sono oggidì possibili neanco semplici ipotesi. Il Millardet per la vite ha fatta la stessa costatazione, senza pensare di negare l’andromonoecia nella vite, (1) e quindi negare in certe piante la permanenza dell’ aborto fiorale, più o meno intenso. In una mia nota sulla fioritura autunnale nell’olivo (2), conclusi col ritenere, in base alla attuali conoscenze di biologia fiorale, e a numerose osservazioni e ricerche fatte, come essa sia in relazione ad un accumulo di carbo-idrati nella pianta. Che del resto una buona fioritura ed allegazione nell’olivo sia in relazione ad un regolare e migliorato processo di nutrizione aerea (assimilazione), ce lo prova l’azione manifesta dei sali di rame dati alle foglie con le irrora- zioni cupriche. Il mio studio sulla fioritura autunnale mostra an- cora quale e quanta influenza possano avere le condizioni esterne nel determinare nell’olivo una fioritura più o meno abbondante, e mostra ancora come in condizioni di deficiente nutrizione radicale sì possa avere un’abbondante fioritura se non relativa allegagione del fiore, ma lascia impregiudicata la questione dell’aborto, che si mantiene con le irrorazioni cupriche e quindi con condizioni che nelle piante a fiori normali determinano una più abbondante fiori- tura e più sicura allegagione. Se l’aborto fosse in dipendenza di deficiente assorbimento radi- cale — acqua e sali — la decorticazione anulare che, specie nei rami eretti a maggiore capacità funzionale, sì mostra sempre tanto etfi- cace nel determinare una abbondante allegagione, per lo stato di iperumidità ed ipernutrizione che vi determina, dovrebbe elimi- narlo, la maggiore quantità di acqua necessaria venendo trattenuta dalla decorticazione nella parte superiore del ramo, dopo il primo periodo dalla operazione in cui si ha perdita di umidità per l’eva- porazione che si produce dalla ferita. L’esito negativo ottenuto con prove eseguite sopra piante di olivo — maschio — mi fa ritenere anche per tale fatto erronea l’interpretazione data dal Petri all'aborto. L’azione benefica della decorticazione anulare nei climi asciutti, mi fa considerare ancora tale operazione come un mezzo per rimediare (1) A. MiLLaRDET. — Saggio sulla ibridazione della vite. — Traduzione di G. Grimaldi — Torino — 1893. (2) C. CAMPBELL. Sulla fioritura autunnale nell'Olea europaea L. Rendi- «conti della R. Accademia dei Lincei, vol. XX, I sem., fasc. 12, 1911. i, SI 7 Srogon | alla siccità; restano però in pratica delle difficoltà che discuterò in speciale lavoro. L'esistenza dell’aborto e la tendenza ad esso in contrade tanto diverse per clima e condizioni biologiche, anche là dove l’irriga- zione viene regolarmente praticata, la differenziazione nei caratteri del fiore in una stessa varietà tra fiori produttivi ed improduttivi — Chemlali —-, mi sembra basterebbe a dimostrare come l’aborto dell’organo femminile rappresenti una stabile mutazione da consi- derarsi scientificamente e dal lato agrario, per la notevole impor- tanza nei riguardi della produzione. A quale o quali cause attribuire tale aborto? Domanda a cui una risposta è quanto mai difficile e che stabilita la fissità dell’aborto non ho mancato di farmi, in quanto la ricerca delle cause deter- minanti certi fenomeni porta il maggiore e più sicuro contributo alla soluzione degli oscuri problemi biologici, di cui la tecnica agra- ria attende il suo più sicuro indirizzo. Nella mia nota sull’Olivo « Maschio » (1) notai come l’aborto. fosse « più diffuso nelle località ove si ha la pratica della riprodu- zione per piantone (grossa talea)» e che quindi venga «fatto di considerarlo come uno stato degenerativo in conseguenza della con- tinua riproduzione asessuale e probabilmente dell’età ». Osservazioni diligentemente seguite e ripetute in più località, mi mostrarono come l’aborto sia più intenso e sviluppato nelle piante giovani prodotte con riproduzione asessuale a mezzo di grosse talee, mentre nella stessa località nelle vecchie piante l’aborto o non si nota o in modo appena palese. Da una tale constatazione sorse l’ipo- tesì che il metodo di riproduzione non fosse estraneo al fatto. Del resto per quanto manchino ancora ricerche, non credo si possa ne- gare l'influenza della riproduzione agamica nel provocare mutazioni, per negarlo bisognerebbe non ammettere quanto è acquisito oggi- giorno in fatto di mutazioni e traumatismi. La degenerazione con successivi innesti negli alberi fruttiferi è stata da tempo dimostrata dal celebre fisiologo inglese Knight, e recentemente il Danie] ha dimostrata la trasformazione di un cri- santemo per effetto di ripetuta riproduzione per talea (2). La mia ipotesi, fondata sopra osservazioni originali, comincia a trovare ap- poggio nel campo sperimentale, e nel lavoro dei più competenti biologi, a cui è nota l’influenza che la ripetuta riproduzione aga- (1) C. CampBELL. — L. C. (2) DANIRL L. Sur la trasformation d’un Chrysanthème à la suite de bou— turage répéeté. Comptes rendus de l’Académie des Sciences. T. 154, V. 16, pa- gine 997-998. Paris, 1912. — 219 — nica ha nel determinare cambiamenti di forma e mutazioni vere e proprie. Il Petri non crede sostenibile una simile ipotesi, perchè anche in olivastri da seme si può notare l’aborto come nelle piante da se- coli coltivate. Alla mia volta non trovo sostenibile l’idea del Petri, in quanto per ammetterla bisognerebbe ritenere che mutazioni anche accidentali non fossero trasmissibili con la riproduzione ses- suale! e d’altra parte è noto come anche nelle viti allo stato sel- vaggio si trovino piante maschili che la selezione ha eleminate dalla coltura. L’aborto stabile non è quindi nell’olivo un caso iso- lato, ma che ha riscontro in altre piante estesamente coltivate. Un fattore invece non trascurabile è quello della età. Il trovare piante ultrasecolari a fiori normali lo farebbe escludere ma non è improbabile che un carattere latente nelle vecchie piante si mani- festi nella pianta che ne deriva, e si trasmetta poi anche sessual- mente. Se e quanta influenza possa quindi avere la riproduzione organica nell’aborto fiorale, è cosa che se non è sperimentalmente dimostrata non può a priori negarsi. Ad essa ho dato e dò il valore di una ipotesi sorta da osservazioni che per quanto accurate non bastano a stabilire la verità di un fenomeno. Ma qualunque sia l’origine dell’ aborto le ripetute prove sperimentali, e i fatti ci- tati, mettono fuori dubbio la sua stabilità in piante determinate. Altra questione importante nel riguardi della Biologia fiorale è quella dell’azione che sulla fioritura ed allegazione del fiore pos- sano esercitare agenti esterni e vicende atmosferiche favorevoli 0 contrarie alla fecondazione. L’olivo, pianta da terreni freschi od irrigatori, ha bisogno, per una regolare fruttificagione di una relativa umidità nel terreno e se in Europa ha trovato solo stazione propizia sulle coste marine nei luoghi ventilati o nelle posizioni elevate, lo si deve al danno noto che le nebbie esercitano specie quando si manifestano nel pe- riodo di fioritura. Il fatto che ho recentemente descritto (1) della permanenza completa sulla pianta degli ovari fecondati e non fecondati in seguito ad una forte nebbia, se ne dimostrava l’azione dannosa, non ne spiegava chiaramente ancora il suo meccanismo. Ulteriori ricerche — di cui darò quanto prima relazione — mi hanno provato come la nebbia abbia agito impedendo la diffusione del polline, in pianta, che ha bisogno di polline estraneo per essere fecondata — eterogama. — (2) C. CAMPBELL. Un caso di partenocarpia nell’olivo? Nuovo Giornale Bo- tanico Italiano (Nuova Serie). Vol: XIX, 16. 1, 1912. alal MR RE SS Ve n CRA o Vo a re Veli 7 eri An an A CARINE, L'azione dannosa dell’umidità è del resto nota per altre piante dei climi caldi. Nella Palma dattilifera se nei primi 10 giorni dalla impollinazione viene una pioggia, viene a mancare la fecondazione e quindi la fruttificagione. Il Petri cercherebbe spiegarla con l’esperienza fatta di bagnare lo stimma con acqua distillata, avendo ottenuto già dopo 3 o 4 ore di contatto con l’acqua, l’ingiallimento e la completa plasmolizza- zione del citoplasma delle cellule clavitormi mucipare e così egli « spiega l’azione dannosa della nebbia e della pioggia sui fiori da poco aperti e nei quali ancora non sia avvenuta la impollinazione ». Il caso di partenocarpia da me studiato dimostrerebbe come la nebbia agisse nel rendere difficile se non impossibile la feconda- zione incrociata. L’ingrossarsi degli ovari non fecondati può avere origine in una semplice azione vegetativa — stimolante — del polline proprio. È certo che in pratica il caso non è frequente e si verifica solo in condizioni speciali, come in seguito a decor- ticazione anulare, ad innesto, o ad uno stato di speciale nutri- zione, precisamente come sì nota nelle viti a stami corti e reflessi, in cui si hanno nello stesso grappolo acini grossi e con semi e acini piccoli sprovvisti di semi, in numero variabile gli uni dagli altr,i o pochi acini grossi fecondati e la completa caduta degli ovari non fecondati. Ciò mostra ancora quanto incerta ed oscura sia la biologia fiorale dell’olivo e quale interesse si abbia ad appro- fondire le sue conoscenze. Le condizioni note favorevoli alla fecon- dazione del fiore dell’olivo, la sua struttura, l'ubicazione dello stimma, la forte produzione di polline leggerissimo che il semplice alito mette in movimento, fanno ritenere l’olivo una pianta emiuente- mente anemofila, in cui l’eterogamia abbia nella fecondazione un posto molto più importante di quanto si creda, e le mie ricerche provano e giustificano tale supposizione. È certo che mentre in alcune piante o varietà ha prevalenza l’autogamia, in altre ha predominio l’eterogamia. Così si può anche spiegare come dalla semina di alcune varietà si abbiano forme tra loro dissimili, mentre in altre il dimorfismo tra le piante da seme è quasi nullo od insignificante. Esperienze che ho in corso, mi permettono sino da ora di pre- vedere tutta l’importanza di un simile lavoro sperimentale, e mi fanno ritenere come per ottenere con la riproduzione sessuale forme pure, sia necessario assicurarsi artificialmente l’autogamia. Che del resto la fecondazione incrociata possa essere utile, se non indispensabile, sta a dimostrarlo la pratica secolare degli Arabi. ‘Circa l’azione che nella fecondazione possano avere gli insetti, se — 221 — sperimentalmente non è provata, sta il fatto che il miele prodotto dalle api nel periodo di fioritura dell’olivo, ha un sapore amaro- gnolo caratteristico, ed è quindi indubitato che le api — come altri insetti — visitino il fiore dell’ulivo, non si sa però quanta parte esse abbiano nel lavoro di impollinazione. * E * L'altra questione su cui fino dall’inizio delle mie ricerche sì fermò la mia attenzione, è quella della presenza più o meno nu- merosa o completa in molte piante e varietà della infiorescenza ter- minale. Se si considera che l’olivo, o meglio l’ Olea europaea L., è stata sempre ritenuta e descritta come pianta ad infiorescenza ascellare, il trovare l’infiorescenza terminale numerosa ed estesa, non poteva non farmi fissare l’attenzione su essa. Le estese ricerche bibliografiche mi convinsero che il fatto era sfuggito ai sistematici che nelle diverse opere floristiche descris- sero l’olivo, sia perchè si limitarono a darne la descrizione classica del Linneo, sia perchè venne a mancare quel largo lavoro di ri- cerca, che rende tanto spesso così incerta la sistematica fatta a base di esemplari di erbario. Ma se le ricerche bibliografiche nelle opere botaniche ed agra- rie mi obbligarono ad un lavoro lungo e qualche volta penoso, anche più difficile e lungo mi riuscì il lavoro di ricerca sopra esemplari degli erbari esistenti e più che tutto la ricerca di materiale dai paesi ove si coltiva e conosce l’olivo e più specialmente di Oriente. Stabilire l’esistenza della infiorescenza terminale mi sembrò troppo poca cosa, interessa di stabilire quale sia il suo vero si- gnificato e come essa debba essere considerata sistematicamente e biologicamente. Problemi difficili non tanto in se stessi, quanto per la difficoltà di avere quel copioso materiale da studio e quel com- plesso di osservazioni e ricerche che ognuno dovrebbe possibilmente fare da sè sul posto di raccolta, per potere costantemente seguire un ordine di idee nettamente prestabilito. Fino a qual punto abbia raggiunto lo scopo, non sta a me il dirlo, certo il frutto di lungo lavoro e di non lievi sacrificî, se non è ancora pienamente arrivato allo scopo ha portato un non lieve contributo alla soluzione della questione e ulteriori studi fatti nei paesi da cui presumibilmente ci viene l’olivo, finiranno ») di portare luce e con essa si vedranno definite questioni biologiche che se interessano tanto la scienza, non interessano meno la tecnica. — 222 — agraria, che dalla risoluzione dei problemi scientifici attende un più sicuro indirizzo. Le ricerche nei vecchi erbari mi dimostrarono come l’ infiore- scenze terminali fossero state raccolte da Botanici che non le segna- larono nè nell’etichetta d’erbario nè in speciali note o pubblica- zioni. La presenza della infiorescenza terminale dovette quindi o sfug- gire, o ciò che sembrerebbe più logico, non dovette richiamare la attenzione del raccoglitore, che ad essa non attribuì alcuna impor- tanza, fermo il concetto stabilito che l’Olea europaea L. dovesse essere considerata pianta ad infiorescenza ascellare. L’unica e recente notizia che se ne abbia è quella data dal Prof. Pasquale a proposito di una varietà di olivo ritenuta molto produttiva (1), ma il Pasquale non fece che rilevare il fatto della infiorescenza terminale, non notò come in alcune piante l’ infiore- scenza terminale lasciasse anche parzialmente il posto a quella ascellare, non curò l'origine della pianta, ed il significato biologico che poteva e doveva avere un fatto tanto importante. Le indagini fatte sulle piante di Olivo in Tunisia (personal- mente) dell'Asia Minore e della Palestina (con materiale ricevuto) nella Grecia (per comunicazione), mi portarono a constatare come infiorescenze terminali si abbiano nelle contrade citate e come tra gli olivi coltivati a Smirne e nella Palestina vi sieno caratteri- stiche tali da difficilmente potere ascrivere le due forme ad un unico tipo modificato solo dalla coltura (2) e come negli olivi col- tivati selvatici od inselvatichiti delle diverse regioni, sieno palesi differenze troppo marcate per non rendere sempre più palese e probabile l’ipotesi già emessa, che l’olivo coltivato abbia origine da forme botanicamente distinte, ingiustamente confuse con forme intermedie dovute a lunga azione colturale e a naturale ibridismo, forme che sembrano collegarne l’origine. Un concetto ben fisso ho tenuto presente nelle mie ricerche e che cioè lo studio morfologico e biologico delle piante coltivate debba partire dalle forme selvatiche od inselvatichite, in quanto da (1) G.A. PASQUALE. — Su di una importante varietà di Ulivo. — Rendi- conti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Anno XII, fasc. 6, 1873. — Studi botanici ed agronomici sull'Ulivo (Olea europea) e sue varietà. — Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche, Napoli anno XII, fasc. 7. 1873. (2) C. CAMPBELL. — SullOlivo coltivato in Oriente. — Nota preliminare. Annali di Botanica, Vol. IX, fase. 3, 1911. ! gici gog tale studio si apprendono cose che riesce difficile scoprire o anche solo intuire con lo studio anche più accurato degli individui do- mestici. Ho potuto così trovare come l’ Olea burifolia Ait. debba realmente stare come specie a se (1), ed ingiustamente sia stata confusa con quelle forme inselvatichite dell’olivo domestico che assumono una forma speciale nella foglia e nel portamento, più spesso per le speciali condizioni biologiche che per natura indivi. duale, forma che spesso muta col mutare delle condizioni di vita. Ho potuto così ancora notare come in Tunisia il Zebbouz (Olea- ster) comprenda non solo l’ Olea buaifolia Ait. 2) ma anche forme speciali che non appartengono alle varietà di olivo coltivate e neanco alle forme inselvatichite delle stesse. L'esame del materiale avuto recentemente dall’Algeria, mi ha provato come anche colà esista la stessa forma da me trovata in Tunisia e descritta come vera Olea burifolia, mentre con tale nome anche in Algeria si designa l’oleaster che cresce cespuglioso e spi- nescente, e che può spesso rappresentare un ibrido o una forma inselvatichita dell'olivo domestico. Constatazioni simili estese a tutte le regioni ove l’olivo trovasi coltivato e più specialmente allo stato spontaneo, ci faranno chia- rire inevitabili dubbi del momento e porteranno un maggiore e si- curo contributo alle conoscenze botaniche sull'argomento. È ancora utile notare come l’intiorescenza terminale sia propria di alcune specie del genere Olea e come anzi in base ad essa il De Candolle abbia pel genere stabilite due grandi divisioni (3): I. Paniculis racemis corymbisve ascillaribus; II. Paniculis termi- nalibus. Il carattere quindi di infiorescenza terminale non può nè deve essere trascurato dal Sistematico, nè tanto meno dall’Agronomo, in quanto a diversa forma di vegetare deve corrispondere una tecnica colturale diversa. Ma tra la forma ad infiorescenza nettamente ascellare e quella terminale esistono, e sono le più tra le piante coltivate, piante ad infiorescenza mista, in cui la proporzione delle infiorescenze sia ascellari che terminali è variabilissima anche nella medesima va- rietà. Come devono essere considerate queste piante? devono esse ritenersi come delle forme a sè da venire considerate sistematica- (1) C. CampBxLL. — Sul?’ Olea buxifolia Ait. — Annali di Botanica, Vol. IX, fasc. 3, 1911. (2) C. CAMPBELL. — Sull’Olivo « Dekkar » del Sud Tunisino, ecc. 1. c. (3) A. DE CANDOLLE. — Prodromus systematis naturalis Regni vegetalis. — Parisiis, MDCCCXLIV. Pars. VIII. la " ui Seu MOL E LITI TO mi RA e I i Tani > ian e ai ta r Page” » VS Da PI MM * lai ai a gt Mei pda Nasi recita sii berlina PS ei der " an UA 2 RIPARI E bi Li AM pa Leni: — 224 — mente, o devono considerarsì come delle forme puramente coltu- rali? L'esame attento di estese regioni olivetate mi ha fatto con- statare come tra il maggior numero di piante con presenza o meno di infiorescenze terminali, e queste in percentuali variabilissime, sì trovi spesso qualche pianta ad infiorescenza completamente o quasi terminale; tale constatazione mi fà propendere per la seconda ipotesi, perchè? Perchè le forme ad infiorescenza completamente o quasi termi- nale, tra la maggioranza di piante con o senza infiorescenza ter- minale, mi sono sempre state definite col nome di olivastri e ritenute dalle persone del luogo come piante naturalmente venute da seme. Perchè anche la varietà descritta dal Prof. Pasquale ha avuto origine da seme. Perchè l’infiorescenza terminale numerosa è più facile riscon- trarla in quelle forme da seme, che così bene si distinguono da quelle più gentili riprodotte asessualmente, per quel complesso di caratteri, spesso non ben definiti, ma che non possono sfuggire al- l’occhio abituato a simili ricerche. Se quindi l’infiorescenza terminale sì trova più numerosa, quando non sia completa, nelle forme nate da seme in località ove pre- dominano varietà con qualche infiorescenza terminale, è naturale, così mi sembra, dovere considerare la infiorescenza terminale come una forma ancestrale, che il ritorno alla funzione sessuale fa riap- parire e l’infiorescenza mista come una forma colturale, che dalla forma primitiva si è andata più o meno allontanandosi per l’azione colturale e più specialmente per la riproduzione agamica. Due fatti ne verrebbero quindi come logica conseguenza: Le forme ad infiorescenza mista non possono considerarsi che forme colturali che si fissano anche con la riproduzione sessuale 0 come ibridi naturali delle due forme tipiche. L’azione della riproduzione agamica nel determinare nell’Olivo mutazioni vere e proprie. Naturalmente la conferma di tale ipotesi, tale in fatti deve ancora ritenersi per quanto suffragata da osservazioni e fatti così importanti, sarà data dal lavoro sperimentale, che disgraziatamente per la lenta vegetazione dell'olivo offre maggiori difficoltà che per altre piante coltivate e oltre che maggiori mezzi richiede quella sicurezza di continuità, che sola può assicurare la riuscita di certe ricerche. Contro tali conclusioni si schiera il Petri (1) che non crede alla. (1) L. PeTtRrI. — L. c. — 225 — azione della riproduzione agamica sulle infiorescenze e crede che ricerche in proposito non confermeranno la mia ipotesi. Non si sa perchè egli stesso non abbia fatto ‘osservazioni e ricerche in mentre si fa tanto sollecito di criticare le opinioni altrui. Nota inoltre come le infiorescenze terminali possano venire confuse con false infiorescenze terminali per l’aborto della gemma api- cale, e fa bene, in quanto a lui cui venne fatto di accorgersi di vere e proprie infiorescenze terminali dopo i miei lavori, deve appunto essere successa la confusione! È bene a tale proposito no- tare come la falsa infiorescenza terminale si distingua nettamente dalla vera anche od occhio non armato di lente e come le false infiorescenze terminali non siano poi tanto frequenti come il Petri sembra voler far credere, mentre le vere infiorescenze terminali, come egli stesso ha dovuto suo malgrado constatare, sono molto frequenti e diffuse in tutte le regioni olivetate. Nella mia prima nota sulla infiorescenza terminale nell’ Olea europaea L. (1) ho rappresentato nella figura un esemplare ad infio- rescenza mista, proprio per dimostrare come si possano avere sulla stessa pianta le due forme e se il Petri avesse ben letta e com- presa la mia nota e non fosse animato da spirito di contraddizione non avrebbe avuto ragione a meravigliarsene. È palese come il Petri cerchi togliere importanza ad un fatto, che risalta evidente anche a chi non abbia famigliarità con certe ricerche e certi studi e la cui importanza sia dal lato sistematico che da quello biologico, se non ha compresa lui, i Botanici non hanno potuta che constatare. Ma ciò che più interessa di far risaltare è l'influenza che la ri. produzione agamica esercita nell’organismo vegetale che ad essa venga assoggettato, ed a cui il Petri mostra così chiaramente di non credere, i Tale influenza si manifesta nell’Olivo come nelle altre piante fi- siologicamente e morfologicamente. È noto, anche al coltivatore il più ignorante, come per ingen- tilire una pianta selvatica, due mezzi siano a sua disposizione, ri- produzione per talea ed innesto. Tali pratiche ripetute sullo stesso individuo lo conducono a produzioni più zuccherine e meno acide e tale cambiamento che va a scapito della naturale rusticità non può che considerarsi una mutazione organica della pianta. Morfo- logicamente se esistono meno prove sull’azione della riproduzione (1) C. CampBELL.— Sulla infiorescenza terminale nell’ « Olea curopaea » L. — Nuovo Giornale Botanico Italiano. Nuova serie, Vol. XIV, 1907. ANNALI DI BoraNICA — Vor. XI. 15 . — 226 — agamica, quelle esistenti bastano da sole a far considerare con minor leggerezza le conseguenze di una pratica agraria così diffusa e così ingiustamente lasciata al più volgare empirismo. E come sempre valgano dei fatti: È noto come per avere una buona percentuale di nascita dai nocciuoli di olivo bisogna ricorrere alle piante più inselvatichite originate da seme e come da queste andando verso la più gentili tale percentuale vada gradatamente diminuendo sino a ridursi ad 1/10 circa. In ciò sono concordi tutti gli sperimentatori ed i vivaisti e le mie prove hanno confermate quelle precedenti. Ma nessuno, ch'io sappia, ha tentato la prova opposta, quella cioè di riprodurre con talea piante inselvatichite in confronto con piante domestiche. Per mio conto ho constatato come in tale caso avvenga precisamente l'opposto di quanto avviene per seme, e mentre si ha facile attec- chimento dal soggetto domestico questo è più difficile pel selvatico. Simile constatazione depone inconfutabilmente per una mutata attitudine biologica nell’individuo assoggettato alla riproduzione agamica e quale meraviglia quindi che a mutazioni biologiche fac- ciano anche riscontro mutazioni morfologiche! Con la riproduzione agamica si ha prevalenza di vita vegeta- tiva, prevalenza che deve bene avere una ripercussione sull’orga- nismo vegetale. Del resto tutti gli Autori che con competenza sì sono occupati dell'Olivo, sono concordi nell’ammettere l’utilità della riproduzione sessuale, che se fatta con criteri razionali scegliendo i nocciuoli delle migliori varietà per la semina, potrebbe dare piante diretta- mente produttrici senza bisogno d’innesto, purchè fosse assicurata l’autogamia del fiore o l’incrocio artificiale tra buone varietà allo scopo di averne ibridi su cui portare una oculata opera di se- lezione. A. parte l'influenza discussa della riproduzione agamica, vi ha ancora una azione diretta che niuno potrà mai mettere in dubbio. Con essa si riproducono tutte le mutazioni e attitudini della talea e della marza tolta dalla pianta madre, oltre che tutte le malattie costituzionali, fatto di cui non sì è tenuto mai il dovuto conto e che ha portato agli innumerevoli inconvenienti che si riscontrano in tutti gli oliveti riprodotti da talea, inconvenienti che si mol- tiplicano col succedersi delle riproduzioni. Chi non sa come p. e. dal tralcio di vite che nasce dal legno vecchio, quasi sempre impro- duttivo, si abbiano costantemente viti improduttive? Cito il fatto della vite perchè più noto e palese, ma che si ripete in tutte le geo — per Ul piante per cui si usa la moltiplicazione per via asessuale. Nella scelta delle talee o piantoni non si è ancora tenuto presente il coefficiente età. Con l’età della pianta scema la sua fertilità e quindi produttività ed è naturale che adoperando vecchie piante improduttive per formarne talee, se ne ottengano piante alla loro volta poco o punto produttive. Alla cattiva scelta delle talee e delle marze, si deve molto spesso la improduttività di interi oliveti e per tale ragione la riproduzione agamica dovrebbe esser tolta agli agricol- tori per essere affidata a tecnici competenti, con la creazione di grandi vivai di Stato o dallo Stato sussidiati, integrandosi così con l’opera di Botanici ed Agronomi l’opera del pratico agricoltore. È quindi indispensabile portare nel campo della olivicoltura, tutto quel moderno lavoro che dà così lusinghieri risultati per altre piante coltivate, e togliendola al secolare empirismo, possa avviarla ad un avvenire meno incerto e più rimunerativo. pot: PELTE GE TRA i e sane si vela sa, .’ pere = 1 # LI x Te 7 gi ME at) x 2 —_ _—_—._-_——_Ty_ - SENSINI UNSNARLNA ITA NSEGANIASNI SIE LRSISAREXANSANSE Intorno al « “x dato ad una Graminacea dell’Harrar, Negli Annali di botanica (1) ho descritto un nuovo genere di Graminacee della tribù Ch/or:deae dedicandolo al nome del botanico raccoglitore prof. Giovanni Negri. Essendo stato già distinto col nome Negria un genere appartenente alle (Gesneraceae dell’Au- stralia da Ferd. von Miiller che lo dedicò al geografo Cristoforo Negri zio dell’attuale viaggiatore nell’Abissinia meridionale; mo- difico il nome in Joannegria. Genere avente per ora una unica specie la Joannegria melicoides. Prof. E. CHIOVENDA. Roma, 20 novembre 1912. (1) Annali di Botanica. X (1912), p. 410. perse in Rn ts b° RIVISTA DI FISIOLOGIA Axmpora G. e Tommasi G. — I composti di arsenico in agricoltura. — Ann. della R. Stazione Chimico-Agraria Sperim. di Roma. Serie II, Vol. V. Il lavoro in parola fu eseguito in seguito a voto del Ministero di Agricoltura e al fine di ricercare gli effetti che i trattamenti dei preparati arsenicali usati in agricoltura esercitano sulla vita delle piante. Precede un cenno storico sulla questione; quindi gli autori pas- sano a trattare dei composti di arsenico impiegati e dei pericoli che possono provenire dal loro uso. Ma per rispondere adeguata- mente a tale quesito sono necessarie naturalmente delle ricerche, alle quali gli autori si sono accinti. Innanzi tutto è presa in esame le quantità di veleno che può trovarsi nelle erbe sottostanti agli ulivi sottoposti ai trattamenti arsenicali. Quindi è studiata la quan- tità di arsenico residuale negli alimenti provenienti da piante trat- tate con sali di arsenico. Segue lo studio sull’azione fisiologica eser- citata dall’arsenico sui vegetali, ed infine quello dell’arsenico nel ter- reno agrario. Riportiamo talune delle conclusioni. L’uso dei sali di arsenico in agricoltura non è senza pericolo. Le quantità di veleno che sì riscontrano negli alimenti provenienti da alberi trattati con asenicali, quantunque in genere siano pic- cole, sì elevano pure talvolta sopra il limite ritenuto nocivo. Possono pure derivarne danni alle stesse piante coltivate. Ne deriva che se nuovi medicamenti potessero sostituire l’arsenico, questo dovrebbe . essere bandito, ma poichè ciò non è, occorre opportunamente di- sciplinarne l’impiego. ScurtI F., Tommasi G. — Sulla formazione del grasso nei frutti oleaginosi. — Ann. della R. Staz. Chimico-Agraria Sperim. di Roma. Serie II, Vol. V (Nota II). Questa nota fa seguito ad altra nella quale gli autori, occupan- dosi della formazione del grasso nei frutti oleaginosi, giunsero alla i i et A A DA tali ae 10 eli — 294 — conclusione che nell’ulivo la formazione del grasso nel mesocarpio non avveniva per afflusso e consumo degli idrati di carbonio, ma probabilmente a spese di alcoli cerosi, i quali costituirebbero il ma- teriale di origine degli acidi grassi. Volendo portare una conferma a tali vedute gli autori sono pas- sati a studiare i frutti di Ligustro (Ligustrum japonicum) ottenendo dei risultati che confermano il loro punto di vista. Scurri F. — Le materie tanniche dal punto di vista chimico e biologico. — Ann. della R. Staz. Chimico-Agraria Sperim. di Roma. Serie II, Vol. V. L'A. si propone di studiare se sia possibile avere una spiega- zione plausibile dal punto di vista fisiologico delle materie tanni- che le quali sono diffusissime negli organismi vegetali. Non potendo addentrarmi per ragioni di spazio nelle argo- mentazioni svolte dall’A., mi limiterò a riportare la conclusione, secondo la quale le materie tanniche rivelano un completo accordo con gli idrati di carbonio, sia nella loro prima formazione, che negli ul- teriori momenti del loro metabolismo. « Con una regolarità che non ha certo nulla di casuale, così V’A., ad ogni diversa manifestazione dell’attività protoplasmatica nel campo delle materie zuccherine, cioè ad ogni singolo gruppo di idrati di carbonio, si rinviene nel campo delle materie tanniche il termine corrispondente, ad ogni caso biologico offerto dalle piante, per così dire, ad idrati di car- bonio, corrisponde un caso perfettamente analogo offerto dalle piante a tannino. <« Ciò dimostra che nelle molteplici esigenze della vita vege- tale queste due classi di composti devono disimpegnare funzioni analoghe ». ScortI F. e Fornarni M. — Sulla formazione del grasso nei frutti oleaginosi. — Ann. delia R. Staz. Chimico-Agraria Sperim. di Roma. Serie II, Vol. V (Nota III). Gli AA. seguendo l’indirizzo di studi precedenti, compiono lo studio sperimentale delle foglie del ligustro, con l’intendimento di ricercare se tra foglia e frutto di ligustro esistessero quei rapporti già constatati tra foglie e frutti nell’olivo, ossia di studiare i pro- dotti di elaborazione fogliare ed i loro eventuali rapporti con i componenti dei frutti. Tra le conclusioni del lavoro importante prin- cipalmente è quella secondo cui in questi vegetali, riscontrandosi PR NSIZINE O SPARO, UR SMI LATO III Co A RAISI Se MODO pi È — 235 — 5 l’amido come prodotto ultra secondario, avrebbe luogo un cambia- mento nella direzione dell'attività clorofilliana, cioè a dire che il la- coro produttivo di queste foglie, anzichè nel campo degli idrati di carbonio si svolge in buona parte nel campo delle materie grasse. PanLapin W. — Ueber die Bedeutung der Atmungspigmente in der Oxydationsprozessen der Pflanzen. — Ber. der d. Bot. Gesell. Bd. XXX, H. 3. In questa nuova nota preventiva l’A. continua a svolgere le sue idee sul valore dei pigmenti respiratori nei processi di ossida- zione. Egli paragona detti pigmenti a molte altre sostanze colo- ranti le quali si riducono prendendo idrogeno; il blu di metilene ad esempio combinandosi a due atomi di idrogeno dà la reazione; CHEN Sdi ti Analogamente i pigmenti respiratori si trasformerebbero in leu- cocorpi assumendo idrogeno. Quindi essi avrebbero l’ufficio di fa- vorire i processi di ossidazione sottraendo idrogeno alle sostanze da ossidare. Ricerche compiute hanno posto in luce che i processi di ossidazione nelle piante avvengono per mezzo delle ossidasi (pe- i rossidasi 4 ossigenasi) ma la loro azione sembra sia limitata non potendo favorire che l’ossidazione di determinate sostanze. L’os- sidazione nella generalità dei casi dovrebbe riferirsi ad un processo di sottrazione di idrogeno con formazione poi di acqua. Sappiamo che il glucosio subisce dapprima nella respirazione un processo di scomposizione anaerobia; i prodotti di tale scomposizione vengono poi ossidati. Ora le ossidasi non sarebbero in grado di provocare direttamente tale ossidazione, ma tra il glucosio (o i suoi prodotti di scomposizione anaerobia) e le ossidasi stesse deve esistere un corpo intermediario che sarebbe il pigmento respiratorio. Questo sottrar- rebbe alla sostanza da ossidare l’idrogeno, il quale con l’aiuto delle ossidasi si ossida in acqua. Consideriamo ad esempio l’alcool quale prodotto della scomposizione anaerobia del glucosio; se chiamiamo con R il pigmento respiratorio, la combustione dell’alcool nei suoi prodotti finali, anidride carbonicaedacqua, avverrebbe come appresso: 12C,H0+6R=6RH,+C0,+30C : 2. 6RH,+30,=6R+6H,0. Ma nella prima fase di queste reazioni restano tre atomi di car- PAZ VENERE IE a RA I IS ian Li ira bonio senza ossidarsi. Questi possono anche essere ossidati per mezzo dell’acqua in presenza di speciali fermenti secondo lo schema: 1.20,H,0+6H,0-+12R—12RH,+4CO, 2. 12RH,-+60,=12R+12H,0. Quindi l’ossidazione è fatta a spese dell’ossigeno dell’acqua as- similata durante il processo respiratorio; mentre nella precedente fase anaerobia di scomposizione del glucosio l’ossigeno per l’ossi- dazione è tolto dal glucosio stesso (nella formazione di alcool e dI€C105) Durante dunque il processo respiratorio, quale è stato rappre- sentato, non soltanto è formata ed eliminata acqua, ma è anche assimilata. Con ciò la funzione intermedia del pigmento respira- torio resta chiarita. Uno speciale fermento provocherebbe l’unione dell’idrogeno al pigmento, dal quale poi sarebbe liberato e unito all’ossigeno con la formazione dell’acqua per l’azione di altri fer- menti. Concludendo: il pigmento respiratorio sottrae idrogeno e pro- voca quindi nel corpo ternario l’unione del carbonio e dell’ossi- geno rimasti con formazione di C O,, e poichè l’ossigeno non è suf- ficiente per la combustione di tutto il carbonio, il pigmento sot- trae anche idrogeno all’acqua, lasciando così disponibile l'ossigeno di questa. Poi alla sua volta ricede l’idrogeno che si combinerebbe con. l'ossigeno dell’aria formando acqua. Così l’azione intermediaria del pigmento nella combustione completa fino alla formazione dei prodotti finali acqua e anidride carbonica resta sufficientemente spiegata. Infine l’A. passa ed esaminare il primo processo di scomposi- zione anaerobia del glucosio, la quale anche avverrebbe con la pre- senza dell’acqua. HannIG E. — Untersuchengen iiber die Vertheilung des osmotischen ‘Drucks. — Ber. d. Deut. Bot. Gesell. Bb. XXX, H. 4. Fino ad ora non è nota una spiegazione che non sì presti ad obbiezioni sulle correnti provocate dalla traspirazione, e ciò perchè manca in gran parte il materiale di osservazione. La migliore teoria in proposito è tuttora quella del Dixon, la quale poggia, come è noto, sui fenomeni di coesione tra le varie parti della colonna acqua che è aspirata dagli organi traspiranti. Tuttavia non si è potuta ancora dimostrare nei vegetali una così grande forza di aspirazione. Recentemente il Renner (1911) ha posto in evidenza l’esistenza di — 237 — grosse pressioni negative (-10-20 atmosfere). I fattori che possono spiegare il fenomeno sono: le proprietà capillari nelle membrane che traspirano acqua (secondo le idee del Dixon), 2 la pressione osmotica delle cellule traspiranti, 3 ambedue i precedenti fattori. In questo lavoro l'A. prende di mira il secondo punto e ricerca se la distribuzione delle pressioni sia in relazione con il movimento dell’acqua. La quistione fu toccata in precedenza da altri. Così l’Ewart (1906) ricerca se nelle foglie dello stesso albero la concen- trazione del succo cellulare aumenti dal basso all’alto. Dapprima parve esistere un tale rapporto, ma in seguito si vide che le dif- ferenze erano anche in relazione con la grandezza delle foglie e con l’età. Un'altra quistione importante è quella dei rapporti fra le pres- sioni delle radici e delle foglie. Si credette riscontrare una pres- sione crescente dalle prime alle seconde, ma queste esperienze non furono esenti da critiche. L’A. riprende la quistione usando il metodo plasmolitico; estende l’indagine ad un gran numero di piante ed arriva alla conclusione che in generale la pressione osmotica è minore nelle radici che nelle foglie. Ora senza dubbio questo fatto ha un valore per la teoria del movimento dell’acqua, e l’A. vi si diffonde spiegandone il valore. Napson G. A. — Mikrobiologische Studien (résumé dal russo). — Bull. du Jard. Impérial Botanique de St. Pétersbourg. T. XII, livr. 2-3. L’A. descrive un microrganismo contenente clorofilla, ma che non sviluppa mai ossigeno, come si può rilevare con i metodi i più sensibili. Si deve quindi ritenere la clorofilla stessa come inattiva. Al microrganismo l’A. dà il nome di Chlorobium limicola. Egli crede inoltre che i batteri verdi del Winogradsky, i quali eserciterebbero una spiccata influenza nella vita dei solfobatteri, altro non siano che colonie per la maggior parte di CAlorobium limicola; con ciò le idee suesposte sulla loro influenza dovrebbero essere modificate. Josr. L. — Studien iiber Greotropismus. — Zeitsch. f. Bot. IV Iahr. 8 Heft. È questo un lavoro di grande importanza nel quale l'A. prende in esame la complessa quistione degli statoliti, in rapporto alla sen- sibilità geotropica. Ne fa un dettagliato ed acuto esame critico, de- scrive esperienze assai interessanti le quali contradicono la teoria Cai "i QE TR Pie ARITPRITA 238 Fim i è î : i) ZL. esiti RO SLI NNO ESTE re IR PERI I SI NESSO VISIT TENER ONE TEVINRE ARITRT — 302 — tati: Il deposito che si forma all’apice della radice primaria è in genere piuttosto scarso ed è diffuso; procedendo lontano dall’apice comincia ad accentuarsi in strati più profondi del periblema ed anche del pleroma, come anche nello strato esterno epidermico. In radici più adulte si mostra più abbondante nel cilindro corticale e comincia a formarsi anche nei fasci; finchè nella parte più alta della radice le lamine legnose ne sono addirittura piene. Nelle radici laterali il deposito si mostra spesso anche più marcato specialmente nel cilindro corticale e nello strato epidermico, mentre in genere il cilindro centrale è libero o quasi. Nelle radichette secondarie si verifica spesso un accumulo maggiore verso l’apice. E quivi fu an- È cora constatato il fatto di speciali accumuli intorno ai meristemi iniziatori delle radici secondarie. La fig. 2 della tav. 3 mostra questo fatto. Il deposito nella radice dalla quale sì tolsero le sezioni era i localizzato nello strato più esterno corticale, ma dove si originava un meristema esso cominciava a mostrarsi in tutta la zona circo- stante, formando poi una speciale calotta intorno all’apice del me- ristema stesso. I fusti e le foglie non presentano di regola i depo- f siti, soltanto sì riscontrano talvolta ma raramente nella parte in- i feriore del fusto, e localizzati intorno alla porzione meccanica dei i fasci. Nelle parti più alte non si riscontra più nulla. I Con gli altri sali di manganese (solfato-bromuro-cloruro) furono eseguite parecchie esperienze con soluzioni equimolecolari ed anche più concentrate. Nelle equimolecolari con la soluzione ad 1 su 20 mila il deposito si dimostrava molto minore in paragone del nitrato. Si noti che in questo caso le piante si erano sviluppate con quasi nes- suna differenza, cioè a dire mostrarono di non avere sofferto. Si impiegarono allora soluzioni anche più concentrate le quali ritar- darono lo sviluppo senza uccidere la pianta. Si ebbero depositi più accentuati, ma sempre inferiori a quelli ottenuti col nitrato. È Fu da ultimo sperimentato il nitrato di piombo in diluizione | di 1 su 24 mila. Le piante precedentemente sviluppate in acqua vi soggiornarono per circa tre settimane. Lo sviluppo fu ritardato ma le piante non furono danneggiate. All’esame microscopico, con trattamento mediante H,S, si mostrò abbondantissimo il deposito } nero e pressochè nelle stesse regioni: Si provò in questa pianta ai anche il nitrato di uranile (1 su 24 mila); fu già detto in un mio pre- 4 cedente lavoro che anche in questo caso si formano nella radice È dei depositi che dànno una colorazione pressochè omogenea, qualche 3 volta un po’ più accentuata all’apice nelle cellule del dermatogeno. È Concludendo: în questa pianta il processo di separazione e loca- : lizzazione dei ioni ha luogo esclusivamente 0 quasi nella radice. L'en- — 303 — dodermide non limita la regione nella quale si verificano î depositi. Questi abbondano intorno ai tessuti embrionali (specialmente nei meri- stemi delle radici secondarie). SINAPIS ALBA. Questa specie fu sperimentata in individui provenienti da semi lasciati sviluppare in acqua distillata. Nelle giovani piantine è an- cora assai intensa la reazione dei nitrati, ma dopo alcuni giorni di permanenza in acqua distillata la reazione decresce fino a scom- parire. Allora si utilizzarono per le note esperienze. In una di queste sì fecero sette lotti che si posero nelle seguenti soluzioni: nitrato manganoso 1 su 5 mila; id. 1 su 10 mila; bromuro, solfato e cloruro equimolecolari alla soluzione di nitrato 1 su 10 mila. Controllo in nitrato di potassio equimolecolare a detta soluzione; controllo in acqua distillata. Si mantennero le piante alla tempe- ratura di 15° C. circa, nelle suddette soluzioni per 14 giorni. Lo sviluppo fu uguale nei vari lotti, anche in acqua distillata; un po’ maggiore nel nitrato potassico. L'esame microscopico mostrò che i depositi si formavano nella radice particolarmente nel cilindro cen- trale, nella zona floematica e nella xilematica. Nella zona corticale i depositi sono assai rari, possono talvolta mancare, ma talvolta occupano anche gli spazi intercellulari. La fig. 3® della tav. 3* mostra appunto quanto ora si è detto. Si osserva il deposito localizzato nel cilindro centrale, e in una regione del corticale negli spazi intercellu- lari. All’origine delle radici secondarie si veriticò il caso già descritto per altre piante. I depositi abbondano dalla parte nella quale si origina il meristema, che al suo apice è ricoperto da una calotta ripiena di depositi, tav. 8* fig. 4°. Con gli altri sali di manganese sì ebbero in questo caso risultati presso che identici. Allorquando nell’interno della pianta sono preesistenti dei nitrati, si può sup- porre che anche il solfato, il bromuro e il cloruro assorbiti possano dare origine, per scambio di basi, alla formazione di nitrato man- ganoso, specialmente se, avendo nell’interno della pianta una con- centrazione della soluzione, diminuisce il grado di dissociazione di questa. E allora si può supporre che sia sempre il nitrato quello che dà prevalentemente i noti depositi. Ma nelle esperienze de- scritte le piante erano state precedentemente mantenute fino a che la reazione dei nitrati (coi metodi già descritti) veniva a scompa. rire. L'ipotesi accennata quindi nel nostro caso non può sussistere e si deve ritenere che la localizzazione dei cationi possa aver luogo ‘anche con gli altri sali sperimentati. Non furono in questo caso sperimentati nè l’uranio, nè il piombo. ai Co PIEDE 3 MIST ae SMETTE ” Nelle parti aeree non si ebbe alcun deposito, tranne alcuni casi di annerimento vicino al primo paio di foglie, in cui si riscontrò il deposito nella cerchia dei fasci. Concludendo : per questa pianta la separazione dei ioni e l’accu- mulo dei cationi si fa quasi esclusivamente dalla radice, massima- mente intorno ai nuovi tessuti meristematici. L’ endodermide lascia passare î cationi e segna il limite del loro accumulo nel cilindro cen- trale. Le mie osservazioni hanno termine con questa pianta. Sarebbe stato desiderabile un numero maggiore di osservazioni, ma queste da me compiute richiesero, per l’esatto controllo dei fatti suesposti, un lavoro assai lungo, e quantunque la loro descrizione sia stata raccolta in queste poche pagine, pure esse rappresentano il lavoro di più di due anni, continuato quasi sempre senza notevoli inter- ruzioni. In questi ultimi tempi lo studio è stato ripreso nel laboratorio di fisiologia dell’Istituto Botanico di Roma ed esteso a nuove specie per opera di altra persona, e in questo nuovo lavoro di prossima pubblicazione non si porta che una nuova conferma ai fatti fino ad ora da me descritti. Ora non ci resta che un ulteriore compito, e certamente il meno facile, quello di indagare il significato dei fatti osservati. Spiegazione dei risultati sperimentali precedentemente descritti. Conclusioni. Una prima quistione che deve essere presa in esame nel tenta- tivo di interpretare i fenomeni descritti è quella riguardante la natura del processo per il quale si originano i noti depositi allor- quando la pianta è coltivata in sali di manganese. Si può doman- dare: Si tratta in questo caso di un processo fisiologico normale che si applicaai sali di manganese nel caso speciale, come in altre con- dizioni avviene anche con gli altri sali che la pianta trae dal ter- reno, ovvero si tratta di un processo anormale, che non può avere alcun rapporto con i processi che si svolgono nella vita ordinaria dei vegetali, ma che è provocato appunto dalle condizioni speciali nelle quali l’esperienza si è svolta? La risposta non può essere dubbia. Il manganese non è un corpo nocivo alla vita delle piante, queste anzi lo contengono, lo accumulano in determinate circostanze, e ne risentono per di più vantaggio, come è oggi dimostrato da un complesso di lavori. Le soluzioni da me adoperate furono di molto diluite e in grado tale da non disturbare o rallentare lo sviluppo dei vegetali che vi erano posti. Noi ci troviamo adunque in con- — 505 — -dizioni fisiologiche normali, con questa sola differenza che nelle mie esperienze sono stati offerti alla pianta i vari acidi esclusiva- mente legati ad una base di manganese. I depositi adunque pro- vocati da questo corpo nell’interno della pianta ed in determinati tessuti devono studiarsi come conseguenza di processi fisiologici, i quali devono ritenersi propri delle piante stesse, e tali da compiersi con tutta probabilità anche in presenza di sali diversi da quelli del manganese. Vediamo ora quale sia il significato dei fenomeni precedente- mente descritti. Evidentemente tale significato non può essere che il seguente. Negli organi radicali si compie esclusivamente o pre- valentemente il lavoro di separazione dei ioni delle soluzioni pro- venienti dall'esterno, questi ioni si diffondono differentemente se- cando la natura della loro carica elettrica nei diversi tessuti; e da una parte debbono accumularsi i cationi e dall’altra gli anioni. Ma i primi, nel caso delle colture in soluzioni di sali di manga- nese, finiscono per dar luogo a depositi insolubili e colorati, che ci rivelano la regione e i tessuti nei quali avvenne il processo; dei secondi nulla sappiamo di preciso perchè non solo non sono diret- tamente osservabili al microscopio con esattezza ma non provocano neanche depositi particolari come nell'altro caso; essi naturalmente o devono essere impiegati. o, man mano che si accumulano, eli- minati e diffusi in altre regioni, perchè altrimenti il loro accumulo eccessivo comprometterebbe la vita dei tessuti. Notiamo tuttavia che nel caso del grano i nitrati si riscontrarono microchimicamente diffusi nel cilindro corticale della radice, nel quale avvennero anche i depositi con la soluzione di nitrato manganoso. Ma un’indicazione abbastanza importante sulla natura dei fatti osservati l'abbiamo dalla circostanza che l’accumulo dei cationi con relativi depositi avviene nelle radici in vicinanza dei tessuti di, nuova formazione. Nella parte della radice primaria in cui comincia a originarsi il meristema, che darà luogo ad una radice secondaria, i depositi cominciano a spesseggiare all’intorno, finchè formano una specie di calotta che ricopre il giovane meristema, il quale è del tutto privo di depositi. In questo caso il significato non è dubbio, i cationi che si accumulano in quantità così grande nei tessuti cir- costanti al meristema, devono essere in rapporto con un rispettivo consumodianioni nei tessuti del meristema stesso, nel quale contutta probabilità, per non dire ‘certezza, è impiegato l’acido nitrico per l’organicazione dell'azoto. In questi tessuti adunque noi possiamo «dire dimostrato che avvenga la sintesi dei corpi ternari con l’azoto per la formazione delle sostanze proteiche. TUE * Ur IE DT ARRE LT Me , # al TR RT TIR I LR ME N I e I \ — 306 — Probabilmente anche l’ organicazione dello zolfo e fors'anche del fosforo accade analogamente. Ma un’altra osservazione serve a fornire una ulteriore dimostra- zione circa l’esattezza di questa ipotesi. Nel fagiuolo riuscì a com- piere la dimostrazione microchimica dell'accumulo degli albumi- noidi; or bene questi si mostrarono prevalentemente nelle regioni nelle quali avveniva la separazione degli anioni dai cationi e l’ac- cumulo di questi. Ma v'ha di più: nel fagiuolo stesso sì riscontrano lungo i giovani fusti e nelle foglie i serbatoi speciali albuminoi- dici. Or bene in questi stessi serbatoi si formano abbondantissimi depositi medianti colture in soluzioni di nitrato manganoso mentre i tessuti circostanti ne sono spesso privi. Così il rapporto tra l’atti- vità formatrice di nuovi tessuti, tra la presenza di sostanze albu- minoidee da un lato e il processo di separazione degli anioni dai cationi dall’altro e dell'accumulo di questi, come residuo del pro- cesso per il quale i primi debbono essere impiegati non potrebbe essere dimostrato con maggiore evidenza. Ma a questo punto conviene subito prendere in esame un dubbio che può insorgere per il fatto che i depositi in questione si mo- strano non soltanto con il nitrato manganoso, ma anche con altri sali adoperati tra i quali ve ne ha taluni, i cui anioni non sem- brano utilizzabili, e tali sarebbero nelle nostre esperienze i cloruri ed i bromuri. E potrebbe obbiettarsi che se i depositi avvengono anche con il bromuro ad esempio, in questo caso non si può par- lare di un nesso esistente trai fatti da noi osservati e i processi di sintesi che avvengono normalmente nella pianta e per i quali il bromo non può essere utilizzato. Ma noi abbiamo visto che seb- bene i depositi in parola si formino anche con altri sali, in genere essi sono più abbondanti quando sia impiegato il nitrato. Per il solfato poi sì comprende anche come possa essere impiegato l’acido solforico. Ma anche negli altri casi nei quali l’anione non sembra utilizzabile, non v'è grande difficoltà a comprendere come la pianta debba procedere egualmente ad una separazione e localizzazione dei ioni. Noi sappiamo che in realtà le piante introducono nel proprio corpo molte sostanze ritenute del tutto inutili; ciò può accadere perchè la facoltà di selezione non è in certi casi sviluppata o lo è in piccolo grado; ne deriva quindi che le sostanze ritenute inu- tili sono spesso assorbite per lo stesso meccanismo per il quale sono assorbite le sostanze utili. Anche nel nostro caso può ritenersi che accada lo stesso fatto. Le proprietà di penetrazione dei corpi a tra- verso il protoplasto vivente è un fenomeno di natura biulogica ; le semplici teorie chimico-fisiche non bastano a spiegare il fatto, però. — 307 — da ciò non si potrebbe negare ogni valore a queste stesse teorie. Così oggi si tende a dare importanza nei fenomeni di penetrabilità alla carica elettrica dei ioni destinati alla penetrazione. Ora secondo questo modo di giudicare, che è oggi accettato dai più, sì può ri- tenere che per un fenomeno fisico-chimico, o se vuolsi anche, per una specie di adattamento fisiologico sì compiano gli stessi feno- meniì di separazione e localizzazione dei ioni anche quando la pianta, per la natura dei sali che subiscono il processo di dissociazione non ha a risentirne alcun vantaggio. In questo caso gli anioni non uti- lizzati debbono essere eliminati quando il loro accumulo in una determinata regione potrebbe compromettere la vita della pianta stessa. Noi abbiamo visto che con il nitrato di uranile e col nitrato di piombo, si formano depositi nelle stesse regioni; abbiamo già detto in principio del presente lavoro che il Colin ha trovato che i sali di bario si localizzano nella radice; una simile localizzazione accade probabilmente nel grano anche per il torio, come io ho già accennato, ciò parla in favore dell’ipotesi che si abbia a fare con proprietà generali che si manifestano anche con i cationi di altri corpi. Ma interessante è a questo punto la domanda se anche con il sodio, con il potassio, con il magnesio con il calcio, con i corpi insomma ai quali sono comunemente legati gli acidi assorbiti dai vegetali nel terreno, debbono ritenersi probabili gli stessi fenomeni. L'argomento diretto per una decisiva risposta ci manca; ma tutti gli argomenti di analogia portano a concludere favorevolmente. Noi non sapremmo concepire senza difficoltà come con il nitrato manganoso ad esem- pio debba avvenire l’utilizzazione dell’anione contenente azoto in determinate regioni quando invece con il nitrato di potassio o di magnesio il fenomeno dovesse verificarsi in regioni diverse. Per di più abbiamo visto nelle mie ricerche che questa separazione e localizzazione di ioni avviene nella radice prevalentemente là dove si formano nuovi tessuti, dove quindi debbono accorrere gli idrati di carbonio, dove intensissima dev'essere l’opera di metabolismo co- struttivo; ne risulta quindi che molto arduo sarebbe il negare la stretta relazione fra questi processi, relazione che secondo tutte le probabilità deve anche verificarsi quando alla pianta siano forniti altri nitrati invece di quello manganoso, così come avviene nelle ordinarie condizioni di coltura. Ma nel fagiuolo abbiamo anche dimostrata la relazione diretta fra la presenza di sostanza allumi- noide e la formazione dei depositi provenienti dall’accumulo dei cationi; dunque tutto porta a concludere che nelle ricerche finora esposte si possa avere una indicazione assai probabile, per non dire ture a e esa È ni traditi EIA a i ge nn — 308 — certa delle regioni nelle quali ha luogo principalmente la forma- zione delle sostanze proteiche. Così potremo ritenere secondo l’indicazione a noi fornita dalla presenza dei noti depositi: che la formazione delle sostanze protei- che ha luogo principalmente nei tessuti radicali, massimamente nei tes- suti di nuova formazione, eccezionalmente nelle parti aeree, come nel fagiuolo, nel quale i serbatoi albuminoidici rappresentano il luogo di formazione delle sostanze stesse che vi sono accumulate. Resta ora a trattare un’altra quistione. Nelle parti aeree delle piante da noi studiate, nelle quali non si riscontrano i depositi di manganese si deve escludere che possa aver luogo l’utilizzazione del- l’azoto dell'acido nitrico, del solfo dell’acido solforico e conseguen- temente la formazione dell’albuminoidi per sintesi diretta di questi corpi con gli idrati di carbonio? In questo campo l’indagine si fa oltremodo difficile, poichè ci mancano osservazioni dirette. È possi- bile che il nitrato manganoso impiegato nelle nostre esperienze possa essere utilizzato in piccola quantità nelle foglie senza lasciare depositi visibili; ma io penso che se il processo avvenisse con grande intensità i depositi dovrebbero formarsi anche in questo caso come per quello delle radici, e come realmente si formano per il fagiuolo nelle cellule speciali, nelle quali deve ammettersi che abbia vera- mente luogo il processo formativo in quistione. Potrebbe anche es- sere che gli acidi, separati dai loro cationi, emigrassero lentamente verso le parti superiori, isolati o parzialmente legati ad altri ca- tioni di natura diversa che si debbono supporre esistenti nella pianta, e così fossero in grado di prendere parte ai processi sintetici senza lasciare una traccia del loro impiego, mediante la formazione dei depositi originati dall’accumulo dei cationi del manganese come av- viene nelle radici. Ma in questo caso dovrebbe trattarsi di un pro- cesso di piccola intensità; non sarebbe infatti concepibile l’esistenza di forti dosi di acido nitrico libero ad esempio senza che la vita della pianta ne venisse compromessa. Ma anche nelle parti aeree avven- gono formazioni attivissime di nuovi tessuti, se tutte le sostanze organiche azotate necessarie per queste formazioni si originassero sul luogo, i0 penso che nelle mie esperienze con il nitrato manganoso sì sarebbero dovuti originare i noti depositi rivelatori dell’impiego dell’acido nitrico. Parmi dunque doversi (secondo il risultato delle ricerche) ritenere assai probabile la conclusione : che nelle parti aeree dei vegetali (fusti e foglie) è possibile l’impiego diretto dell'a- cido nitrico dei nitrati per la formazione della sostanza organica azo- tata, ma che questo processo o avviene in piccolo grado o soltanto in casi speciali. — 309 — E qui torna opportuno il rammentare che anche altre ricerche compiute da diversi sperimentatori, e sulle quali credo per brevità di non diffondermi, hanno dimostrato che in casì speciali si può ot- tenere in foglie staccate e coltivate in presenza di sostanze zuc- cherine e di nitrati la formazione di nuove sostanze organiche azo- tate. Il ragionamento che noi abbiamo fatto per l'azoto può natu- ralmente valere anche per il solfo. Del fosforo, che si riscontra in determinati composti, non ab- biamo alcune indicazioni per trarre delle conclusioni. Ricorderò anche a questo punto che molte ricerche sono state compiute per indagare se la luce fosse necessaria nel processo forma- tivo degli albuminoidi; la conclusione che emerge dal complesso di queste ricerche è che la luce stessa non debba ritenersi necessaria. Non v'è adunque per questo lato difficoltà ad accettare l’ ipotesi che gli organi principalmente destinati per tali sintesi siano quelli radicali (1). Le conclusioni alle quali io sono arrivato in base alle mie ricer- che sono l’opposto di quanto oggi si inclina ad ammettere, poichè è noto che si ritiene costituire i tessuti verdi il luogo di sintesi delle sostanze proteiche. Ma quest’ipotesi è accettata puramente per un criterio di analogia con quanto accade per la sintesi dei corpi ter- nari nel processo di organicazione del carbonio. Tutti coloro che si occupano di tale quistione, pur accettando questa ipotesi prov- visoria, hanno cura di osservare come una grande incertezza do- mini in proposito, mancando qualsiasi indicazione diretta sul luogo in cui si compiono tali processi. Ora parmi che quiste mie ricerche permettano di considerare la questione sotto nuovo punto di vista e ci diano delle indicazioni, alle quali non può — se non m’in- ganno — essere negato un certo valore. i (1) Recentemente il Baudisch ha insistito sul concetto che il processo di assimilazione dei nitrati e dei nitriti nelle piante verdi sia da ritenersi un processo fotochimico, secondo le idee dello Schimper. L’A. giunge a questa conclusione considerando la questione dal punto di vista chimico, studiando cioè taluni processi di combinazione dell’azoto, che egli ritiene debbano avvenire anche nelle piante, e sui quali avrebbe grande importanza la luce. Ma questa non è che un ipotesi mentre da altre e anche recenti ricerche risulta l’indipendenza dell’organicazione dell’azoto dalla pre- senza di luce. Rammenterò ancora come per conciliare le opposte opinioni l’Euler già suppose essere necessaria la luce per l’ultima fase del processo di formazione degli albuminoidi, mentre essa poi non sarebbe necessaria per il processo di riduzione dei nitrati e nitriti. Ma anche questa opinione per quanto autorevole non è che una semplice ipotesi, la quale può avere avuto il suo valore in via provvisoria data la grande incertezza che finora ha domi- nato sull’argomento. , 2a N) i 3 d — 310 — Se le radici rappresentano particolarmente gli organi nei quali ha luogo la separazione dei cationi degli anioni, per permettere l’im- piego di questi, può domandarsi quale sia la sorte dei cationi, quando essi non finiscono per dare luogo a depositi insolubili, come accade per il manganese. Così, ad esempio, se consideriamo quanto avviene col nitrato di potassio o di sodio noi avremo che in questo caso il potassio ed il sodio dopo l’utilizzazione dell’azoto non sono in grado di dar luogo a depositi, come per il caso del manganese, poichè essi provocano la formazione di composti solubili, capaci quindi di spo- starsi da una regione all’altra. Non possiamo in questo caso pre- cisare che cosa avvenga. Se si tratta di corpi necessari per la vita della pianta, come ad esempio del potassio, del magnesio, essi emi- greranno nei luoghi nei quali possono trovare utile impiego; ma se essi sì trovano in eccesso o se si tratta di corpi non utilizzabili essi potrebbero o restare inattivi confinati nei vacuoli di cellule speciali, od anche eventualmente essere eliminati. Ma a tale qui- stione, ancora prematura allo stato delle nostre cognizioni, si ran- noda l’altra dello scambio di sostanze tra il sistema radicale e il mezzo che lo circonda, quistione tuttora controversa e oggetto an- che di recenti studi. Anche su questo argomento non credo entrare poichè ci porterebbe troppo lontano dallo scopo diretto delle pre- senti ricerche. Ed infine un ultimo punto a trattare. Abbiamo visto nelle nostre esperienze, che i depositi di manganese possono trovarsi o nell’in- terno delle cellule viventi, o negli spazi intercellulari, e per fino nelle pareti di cellule morte, come nel caso delle fibre o dei vasi. Ho già accennato al come possano spiegarsi questi fatti, ma ora converrà ritornare sull’argomento. Poichè i depositi in parola de- vono provenire dall’accumulo dei cationi del manganese questo ac- cumulo può accadere in più modi. Possono essere determinate cel- lule che captano i cationi, ed allora è evidente che il deposito si forma nell’interno di esse. Può anche essere che in determinate regioni di una stessa cellula abbia luogo l'accumulo dei cationi e in altre l'accumulo degli anioni ed allora ha parimenti luogo il de- posito nell’interno della cellula stessa, nella quale può anche av- venire l’utilizzazione degli anioni. Tale ad esempio deve ritenersi il caso delle cellule speciali del fagiuolo, le quali nel mentre sono ricche di sostanze albuminoidiche accumulano anche in grande quan- tità il deposito rosso-bruno. Può inoltre accadere un terzo caso, che cioè determinate cellule lascino penetrare soltanto gli anioni; in questo caso i cationi della soluzione, la quale per imbibizione si diffonde nelle pareti, divengono di numero sempre maggiore finchè — 311 — finiscono per dar luogo ai noti depositi, sia nelle pareti delle stesse cellule, sia negli spazi intercellulari, od anche nelle pareti o negli spazi di cellule vicine. Tale ad esempio è il caso degli apici delle radici secondarie, nelle quali deve aver luogo un attivo accumulo di anioni; i cationi che da questi restano separati finiscono per provocare un abbondante de- posito che ricopre come una calotta l’apice meristemale, occupando e il lume delle cellule e le pareti e gli spazi intercellulari. In modo analogo si può spiegare la presenza di depositi nelle pareti dei vasi legnosi o delle fibre dei cordoni meccanici. Così ho procurato di interpretare brevemente i risultati di queste mie ricerche. Tale opera non è stata facile, nè può essere quindi priva di dubbi o non suscettibile di possibili obbiezioni. Ma è .com- plesso delle ricerche da me compiute, principalmente con il nitrato manganoso, e în via secondaria con altri sali, dimostra che noi pos- siamo per questa via penetrare in parte il mistero della diffusione e localizzazione dei ioni, poichè i cationi del manganese, dando luogo ad un deposito insolubile e colorato, rivelano le regioni interne del vegetale nelle quali avvengono tali processi. Così abbiamo visto che l’ac- cumulo dei cationi per separazione dai rispettivi anioni è massimo in- torno ai tessuti di nuova formazione nelle radici; non ha invece luogo di regola nelle parti aeree del vegetale, tranne in qualche caso, come nel fagiuolo, nel quale i depositi si riscontrano nelle cellule speciali ricche di sostanze albuminoidee. Parimenti nel fagiuolo fu messo in evidenza il rapporto tra il contenuto di sostanze albuminoidee e la quantità del deposito rosso mattone provocato dall’accumulo dei ca- tioni del manganese. La formazione adunque di tali depositi ci rivela con tutta probabilità il luogo in cui si compiono i processi di utilizzazione dell’azoto dell'acido nitrico, dello zolfo dell'acido solforico; di sintesi in una parola degli albuminoidi. E tali processi si verificano princt- palmente nelle radici, eccezionalmente nei fusti e nelle foglie. Le mie ricerche adunque portano ad una opinione completamente diversa da quella fino ad ora esistente, per la quale si inclinerebbe a credere che anche l'organicazione dell’azoto e la formazione ulteriore degli albu- minoidi abbia luogo negli stessi tessuti, nei quali avviene la sintesi del carbonio con l'ossigeno e l'idrogeno per la formazione degli idrati di carbonio. Questa è la conclusione più importante che parmi debba logi- camente derivare dalle mie ricerche. È î E ia TEO SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. iÈ Fig. 1. — Sezione longitudinale mediana in una radice di Triticun sativum svi- luppata in soluzione di nitrato di uranile (1 su 80 mila). Primi depositi di ossido giallo verso l’apice. Ingr. 138 diam. Fig. 2. — Come la precedente. Depositi più estesi per maggior soggiorno nella soluzione. Ingr. 125 diam. Fig. 8. — Sezione trasversale in una radice di Triticum sativum coltivata in soluzione di nitrato manganoso (1 su 10 mila). Primi depositi interni. Ingr. 125 diam. Fig. 4. — Come la precedente. Depositi più estesi per maggiore soggiorno nella soluzione. Ingr. 105 diam. Fig. 5. — Sezione trasversale in una radice di Phaseolus vulgaris coltivato in soluzione di nitrato manganoso ‘1 su 2 mila). Ingr. 40 diam. Fig. 6. — Altra sezione come sopra ad ingrandimento di 120 diam. Avvertenza. — In questa tavola si è usato, per semplicità, colore uniforme, ma si deve avvertire che le figure 1, 2, dovrebbero avere — secondo i preparati che rappresentano — una tinta più gialla, essendo in questo caso il deposito costituito dall’ossido giallo di uranio. II Fig. 1. — Porzione di sezione trasversale nel fusto di Phaseolus vulgaris col- tivato in soluzione di nitrato manganoso (1 su 8 mila). Ingr. 180 diam. Fig. 2. — Sezione trasversale in un cuscinetto del primo paio di foglie sopra le cotiledonari in una pianta di Phaseolus coltivata in soluzione di ni- trato manganoso (1 su 8 mila). Ingr. 42 diam. (Disegno schematico). Fig. 8. — Sezione trasversale in una radice di Zea Mays coltivata per 15 giorni in soluzione di nitrato manganoso (1 su 10 mila). Ingr. 56 diam. (Disegno schematico). TOR Fig. 1. — Sezione trasversale in una radice di Zea Mays coltivata in solu- zione di nitrato manganoso (1 su 10 mila), mostrante l’origine di una radice secondaria. Ingr. 105 diam. Fig. 2. — Sezione trasversale in una radice di Pisum sativum coltivato in soluzione di nitrato manganoso (1 su 20 mila), mostrante l'origine di una radice secondaria. Ingr. 40 diam. Fig. 3. — Sezione trasversale in una radice di Sinapis alba coltivata in solu- zione di nitrato manganoso (1 su 10 mila). Ingr. 124 diam. Fig. 4. — Sezione trasversale come sopra, mostrante l’origine di una radice secondaria. Ingr. 124 diam. (Disegni da microfotografie, colorati secondo i preparati). TAN dl ANN. BOT. XI. ra & 7) data” ANN. BOT. XI. PAVSD 3 ALA dg PIL ti, DI CLI 3 RIZZA CDATTIIRIO pe > Xi Sr “ola 6; TAV. 3. = Pri 1 G i Mir * n è bi è do i hell RP I peri la Alcune osservazioni sull’embriogenesi delle « Asteracee » del dott. E. CARANO Lo sviluppo dell'embrione nelle Asteracee è stato finora oggetto di parecchie ricerche. Emergono dalla lettura di ciò che a tutt’oggi è stato pubblicato due fatti in special modo: 1° la grande unifor- mità nel piano generale di struttura di detto embrione attraverso le specie più disparate della famiglia, il che dimostra che anche dal punto di vista embriogenetico le Asteracee rappresentano un gruppo molto naturale; 2° l'incertezza, la disparità di vedute che esistono non pertanto al riguardo delle primissime divisioni del- l’oospora. Alcuni autori, fondandosi appunto su queste prime divi- sioni, hanno creduto opportuno, come specificherò più oltre, creare un tipo speciale di formazione dell'embrione per le Asteracee; per cui a me è parso interessante studiare un po’ più da presso l’ar- gomento. \ Di regola nelle Angiosperme l’oosfera fecondata, dopo essersi rivestita di membrana ed accresciuta, si divide mediante una parete trasversale in due cellule. A questa prima divisione generalmente ne seguono delle altre nello stesso senso, originandosi in tal guisa una; pila di elementi che costituiscono il così detto proembrione. Ora l’Hanstein, in seguito alle sue classiche ricerche, stabiliva che mentre nelle Dicotiledoni è di solito la cellula terminale della pila quella destinata a fornire la maggior parte dei tessuti del- l'embrione, subendo reiterate divisioni di cui la prima è longitu- dinale, nelle Monocotiledoni sono invece le dus cellule estreme. Soltanto come eccezione egli ammetteva che anche nelle Dicotile- doni vi potessero essere più cellule, in luogo della sola terminale, ad edificare la massa principale dell'embrione (1). L’Hegelmaier però a parecchi anni di distanza dimostrava che il numero degli esempi studiati dall’Hanstein era troppo esiguo, (1) HAnsTEIN, J. — Die Entwicklung des Keimes der Monokotylen und Di- kotylen. Bot. Abhandlungen, Bd. I, Heft 1, 1870. ai a di ta é PRE E II PIL LAMPO RERIE PERO E IND AIZITO g A OVEST CUM Cipe io si i io. perchè potesse permettere di formulare delle leggi generali. Egli infatti, estendendo le sue osservazioni a molte altre piante non esa- minate da quello e tenendo in considerazione anche gli esempi il- lustrati da altri autori, concludeva, contrariamente all’Hanstein, che non poche Dicotiledoni edificassero l'embrione per mezzo di due cellule estreme. Sicchè giudicava più esatto assegnare alle Dicoti- ledoni due tipi di uguale importanza, il primo dei quali con una cellula, il secondo con due cellule estreme a formare la grande massa dell'embrione. Come un grado di passaggio fra i due tipi collocava poi il caso presentato dalle Asteracee, esprimendosi in questi termini: « Alle piante, in cui si mostra un comportamento in certo modo intermedio, sembrano appartenere le Sinanteree, in quanto la cellula terminale del proembrione si delinea prima delle altre come cellula iniziale dell'embrione; epperò si divide prima trasversalmente e solo dopo longitudinalmente ».. Ciò egli affermava, basandosi non su osservazioni proprie, ma su delle figure di giova- nissimi embrioni di Calendula riportate dal Tulasne in un suo la- voro e su unadescrizione del Fleischer circa lo sviluppo dell'embrione in Helianthus (1). ta Lo Schwere, studiando diligentemente l’embriogenesi in Ta- raracum officinale, si mostra soddisfatto di constatare che le sue os- servazioni confermano quelle del Tulasne e del Fleischer. Anche egli cioè è convinto che la cellula terminale delle due in cui si divide l’oospora, ingrossando ed assumendo un aspetto differente dalla cellula basale, sì divida ad un certo momento mediante una parete equatoriale in due nuove cellule, di cui l’esterna, secondo lui, fornirebbe la parte epicotilea e l’interna l’ipocotilea dell’em- brione. In seguito a tale constatazione egli esprime l’idea che si potrebbe per le Asteracee stabilire uno schema generale come è stato fatto per le Crocifere (2). Dopo lo Schwere, parecchi altri studiosi, che hanno avuto ad occuparsi della stessa questione in generi differenti di Asteracee, senza dubbio influenzati dal suo lavoro, ne hanno confermato le idee; sicchè ora è convinzione dei più che in queste piante la cel- lula terminale si divida mediante una parete trasversale e le due cellule così prodotte, a loro volta dividendosi longitudinalmente, pro- ducano gli ottanti caratteristici. Altri autori come il Mottier, il Merrel, ecc. si limitano a formu- lare delle ipotesi senza pronunziarsi in modo definitivo. (1) HEGELMAIER, F. — Vergleichende Untersuchungen iiber Entwicklung di- Kotyledoner Keime. Stuttgart, 1878. (2) ScHWERE, S. — Zur Entwickelungsgeschichte der Frucht von Tararacum officinale Web. Ein Beitrag zur Embryologie der Compositen. Flora, Bd. 82, 1896. O BIO Rr Riserbandomi di esporre con maggiori dettagli la parte biblio- grafica e di riportare le figure in un prossimo lavoro, desidero in questa nota porre in rilievo che le mie osservazioni dissentono da quelle degli autori precedenti. Le specie che ho esaminate sono Calendula arvensis, Bellis perennis, Cichorium Intybus. In tutte e tre ho visto che la grossa oospora, seguendo la re- gola generale per le Angiosperme, si divide trasversalmente in una grande cellula basale ed in una piccola terminale di forma emi- sferica. Questo stadio è tutt’altro che raro a riscontrarsi. Ponendo però mente allo stadio successivo, che è il controverso, non mi è mai riuscito, per quanto abbia sezionato numerosissimi giovani achenii, di scorgere che la cellula terminale si dividesse mediante una parete equatoriale; bensì con la massima evidenza ho constatato che la prima divisione che essa subisce è sempre longitudinale, aven- dola sorpresa in fasi differenti di divisione cariocinetica. Contem- poraneamente alla cellula terminale si divide anche la cellula ba- sale, però trasversalmente; ed io ho visto il suo fuso nucleare di- sposto in direzione normale a quello della cellula terminale. Così si forma un corpo di quattro cellule, delle quali due con- tigue ne occupano l’estremità e due in pila seguono al di sotto. È questo lo stadio che si rinviene più di frequente dopo quello della prima divisione dell’oospora, e che è stato descritto, ma in modo inesatto, dagli autori precedenti. In seguito le due cellule dell’estremità, mediante una parete verticale, perpendicolare alla prima che le ha prodotte, generano un piano di quattro cellule. Lo stesso fa la cellula sottostante, dividendosi per due divisioni lon- gitudinali successive in quattro nuove cellule, e si origina in tal modo lo stadio di ottanti. Concludendo, son convinto, sia per quel che ho osservato diret- tamente sia per le illustrazioni che accompagnano le memorie degli altri autori, che il comportamento sopra descritto formi regola ge- nerale per le Asteracee. Quindi anch'io, come lo Schwere, penso che potrebbe per esse crearsi uno schema come per le Crocifere, modificando però la sua interpetrazione e quella degli autori che dividono le sue idee, 1m questo modo: La cellula terminale del proembrione non si divide mai trasversalmente, bensì longitudinalmente prima in due, dopo in quattro cellule che costituiscono il primo piano degli ottanti. Il secondo piano è originato dalla cellula immediatamente sottostante, distaccata mercè una prima divisione della cellula basale. \ BREVI COMUNICAZIONI Per la priorità di aleune ricerche sperimentali sulle “ Typha ,,. Or non è molto, il signor J. B. Gèze ha pubblicato un volume sulle 7?ypha ed alcune altre piante palustri, studiate sotto gli aspetti botanico e agrario (1). Nella prima parte del suo lavoro — dedicato all’esame critico del valore dei diversi caratteri delle Typha per ciò che concerne la classificazione e la determinazione delle specie — l’autore, trat- tando, a un certo punto, della forma degli organi in queste piante, sì sofferma, tra altro, sulle anomalie presentate dalle infiorescenze femminili; e a proposito di quella fra esse per cui, sopra un unico fusto, si mostrano due o più infiorescenze femminili giustapposte, egli riferisce d’aver osservato la deformazione stessa (infiorescenza trisecata e mancante dell’estremità superiore) il 10 agosto 1907, sulla 7. angustifolia, nei pascoli di Saint-Aignant-les-Marais, presso Marennes, e di aver altresì veduto varî esempi della medesima, ri- guardanti sia la stessa specie che la 7. latifolia, negli erbarî delle Facoltà di Scienze di Parigi e di Bordeaux. Da ultimo, il Gèze dichiara d’aver ottenuto, nel luglio 1909 e successivamente, me- diante azioni traumatiche, la riproduzione dell’anomalia nella 7°. an- gustifolia e nella T. angustata; descrive il metodo seguito e illustra le sue esperienze con alcune figure (2). (1) J. B. Gèze. — Etudes botaniques et agronomiques sur les Typha et quelques autres plantes palustres, pp. VII — 175; VII pl. Société anonyme d’im- primerie de Villefranche-de-Rouergue, 1912. (2) ID. — Loco cit., pp. 40-43, pl. II, B, C, D. ANNALI DI BoTaNICA — Vor. XI. 21 Orbene, mi sia concesso di ricordare come, sin dal 1906, in una nota pubblicata nella Ma/pighia (1), io segnalassi un caso d’infiore- scenze femminili giustapposte, da me osservato, nel luglio dello stesso anno, sulla 7. stenophylla, nell’Orto botanico di Catania. Dall'esame del caso teratologico da me raccolto avendo tratto la convinzione che l’anomalia stessa aveva avuto origine da una causa traumatica, mi proposi di tentarne per questa via la ripro- duzione artificiale. Fu così che, nel novembre 1906, in seguito ad azioni traumatiche diverse, all’uopo esercitate sulle infiorescenze femminili della 7. stenophylla e della T. angustifolia, potei ottenere un numero svariatissimo d’esempi dell’anomalia in discorso, come può desumersi oltre che dalla minuta descrizione ch’io ne diedi nella nota sopra ricordata anche dall’esame della tavola annessa alla me- desima, in cui sono riprodotti da fotografie otto fra i tanti casi tera- tologici da me artificialmente ottenuti. Aggiungerò infine che la stretta identità, esistente tra i risultati sperimentali ottenuti dal Gèze e quelli che già sei anni prima eran stati da me resi di pubblica ragione, permane e si ripete ancora sia per ciò che riguarda l’interpretazione critica di alcune osservazioni contenute in precedenti lavori sullo stesso argomento, sia per quanto concerne la natura della causa che, nell'ambiente normale della pianta, può aver provocato la comparsa della particolare deforma- zione qui presa in esame. Roma, gennaio del 1913. G. TRINCHIERI. (1) G. TrINcHIERI. — Su le infiorescenze multiple nel gen. Typha (Tourn). L. Malpighia anno XX, vol. XX, pp. 321-331, tav. IV, Genova, 1906. RN ARANAIXNIEAINSANANI SSNSNSDI SA ANAANLSSLIANAGNAI NANA NM MLNASNI È RIVISTE SINTETICHE I mitocondri nelle cellule vegetali. Il Meves, che con numerose ricerche ha tanto contribuito alla conoscenza dei mitocondri nelle cellule animali, ha osservato nel 1904 delle formazioni protoplasmatiche d’aspetto simile nei vege- tali, precisamente nelle cellule del tappeto di giovani antere di Nymphaea alba e le ha perciò indicate con lo stesso nome (1). È probabile però che prima di lui tali formazioni non fossero sfug- gite ai botanici: così ad es. è da supporsi che i « granula » descritti dallo Zimmermann nel 1890 non rappresentassero altra cosa (2); e del pari le strutture indicate dal Mikosch con una descrizione conforme del tutto a quella dei mitocondri nei lavori più recenti: « piccoli granuli, molto rifrangenti, di regola ordinati in coroncina, oppure appalati ed anche isolati » (3). Certamente però è stato il lavoro del Meves che è servito d’im- pulso a successive indagini da parte di numerosi altri autori, Così il Tischler ha constatato l’esistenza di mitocondri nelle cellule ta- peziali di Ribes (4); il Derschau in quelle di Lilium Martagon e d’Iris germanica (5); lo Smirnow li ha osservati nelle cellule me- ristematiche di apici radicali di Hyacinthus orientalis (6); Dues- berg e Hoven neile cellule di embrioni di pisello, di fagiolo, di (1) Meves, FR. — Ueber das Vorkommen von Mitochondrien bzw. Chon= driomiten in Pflanzenzellen. Ber. d. Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXII, 1904, (2) ZIMMERMANN, A. — Beitrége zur Morphologie und Physiologie der Pfan- zenzelle. Heft I, 1890. (3) MigoscH, C. — Ueber Strukturen im pflanzlichen Protoplasma. Verh. der Ges. Deutsch. Naturforscher u. Aerzte. 66 Versammlung zu Wien, 1894. (4) TiscHLER, G. — Ueber die Entwickelung des Pollens und der Tapeten- zellen bei Ribes-Hybriden. Jahrb. f. wiss. Bot., Bd. 42, 1906. (5) DerscHau, M. von. — Ueber Analogien pflanzlicher und tierischer Zellstrukturen. Beih. zum Bot. Centralbl., Bd. XXII, 1907. (6) Surrnow, E. — Ueber die Mitochondrien und den Golgischen Bildungen anàloge Strukturen in einigen Zellen von Hyacinthus orientalis. Anat. Hefte, Bd. 32, 1907. tac ila La ie die readers e ab trani Pi # a P n , Si — 320 — È aglio e nelle foglie di Tradescantia (1); il Nicolosi-Roncati nelle cel- lule madri del polline di Helleborus foetidus (2); il Bonnet nelle cellule del tappeto e nei granelli di polline di Cobaea scandens (8); il Bonaventura nelle cellule di apici radicali, caulinari e di giovani foglie di diverse piante (4), ecc. G Per l’aspetto e per il modo di comportarsi di fronte ai reattivi coloranti i mitocondri delle cellule vegetali corrispondono a quelli delle cellule animali. Sono dei corpicciuoli che, a seconda degli stadii che attraversano, si presentano con forma differente; tal- volta come granuli isolati, tal’altra come granuli allineati a guisa di coroncine, che dal Benda ebbero il nome di condriomiti, tal’al- tra ancora come bastoncini più o meno allungati, dritti o flessuosi, indicati dal Meves col nome di condrioconti. Su la natura chimica dei mitocondri, le ricerche non sono state ancora approfondite ; nel campo zoologico si è pressochè concordi nell’ ammettere che essi contengano un lipoide, nel campo botanico non sì è emesso ancora alcun giudizio. Ma è oramai fuor di dubbio che i mitocon- dri rappresentino delle parti viventi del citoplasma e non dei sem- plici prodotti di elaborazione oppure degli artefatti in seguito al- l’azione dei liquidi fissatori, come hanno sostenuto alcuni autori. Essi sì moltiplicano per bipartizione, come fanno, ad es. i bat- terii e nel momento della divisione cellulare non scompaiono per poi ripristinarsi, bensì persistono e sembra che si ordinino in due masse in modo che il piano di divisione li distribuisca metà in una cellula figlia e metà nell’altra. Il Giglio-Tos, che nelle cellule animali si è occupato di tale argomento, ammette oltre alla divi- sione del nucleo o cariodieresi e del citoplasma o plasmodieresi, anche una divisione dei mitocondri o condriodieresi. Quest’opinione è condivisa oggi da alcuni botanici, mentre è combattuta da altri, come più oltre vedremo. Negli animali, in special modo nei metazoi in cui le forma- zioni mitocondriali sono state oggetto di maggiori ricerche, si è constatato che ad esse spettano molteplici funzioni: ad es. nella. ) UESBERG J. et H. Hoven. — Observations sur la structure du pro- toplasme des cellules végétales. Anat. Anz., Bd. 36, 1910. (2) NicoLosi-RoncaTI, F. — Formazioni mitocondriali negli elementi ses- suali maschili dell’ Helleborus foetidus L.; Bull. del R. Orto Bot. dell’Univ. di Napoli, T. II, 1910. (3) BonNET, J. — L’ergastoplasma chez les végétaux. Anat. Anzeiger, vol. XXXIX, 1911. (4) PonAvENTURA, C. — Intorno ai mitccondri nelle cellule vegetali. Bull. Soc. Bot. Ital., 1919. ue, — 321 — differenziazione dei mioblasti e dei neuroblasti esse diverrebbero rispettivamente miofibrille e neurofibrille; nella differenziazione degli spermatidi formerebbero la guaina dello spermatozoo (la prima delle funzioni ad essere messa in rilievo pei mitocondri dal Benda); nelle cellule delle ghiandole salivari, epatiche, intestinali sarebbero il punto di partenza dei prodotti di secrezione. Infine il Meves e con lui numerosi altri autori non hanno esitato a considerare i mi- tocondri, tenendo conto della regolarità con cui essi vengono distri- buiti al momento della divisione cellulare nelle cellule figlie, come i portatori dei caratteri ereditari del citoplasma. In tal modo i mitocondri rappresenterebbero per il citoplasma ciò che si ammette rappresentino i cromosomi per il nucleo. Il Goldschmit (1) giunge al punto da ritenere che il condrioma, o complesso dei mitocondri di una cellula, rappresenti una trofocromatina, una cromatina cioè preposta alla vita vegetativa, in opposizione all’idiocromatina del nucleo, che è il substrato della vita specifica. Fino a qual punto queste ultime ipotesi sieno attendibili lo dimostreranno le future ricerche; epperò ad esse si sono già pronunziati decisamente con- trarii parecchi autori fra i quali il Lundegàrd (2) e lo Schaxel (3). Rimane ad ogni modo il fatto che nel campo zoologico vengono ai mitocondri legate delle proprietà molto importanti dal punto di vista funzionale. Nei vegetali gli studiosi si sono da principio limitati, come ab- biamo accennato, a rilevarne puramente l’esistenza e, possiamo an- che aggiungere, nelle piante superiori soltanto. Lavori più recenti però sono stati diretti a metterli in rilievo anche nei gruppi più bassi. Così il Guilliermond li ha ricercati nei Batterii, nelle Cia- noficee, nei Saccaromiceti, ma con esito negativo; ciò che, secondo lui, è da attribuirsi più che ad una reale mancanza di simili corpi nelle cellule di questi organismi, alla deficienza dei metodi finora impiegati. Invece li ha osservati chiaramente nei giovani aschi di Pustularia vesiculosa allo stato di condrioconti (4). Le Touzé li ha scorti, sebbene con non soverchia chiarezza, nei giovani tessuti (1) GoLpscaMIDT, R. — Der Chromidialapparat lebhaft funktionierender Gewebszellen. Zool. Jahrb. Abt. f. Anat. und Ontog., Bd. XXI, 1904. (2) LUNDEGARD, H. — Ein Beitrag zur Kritik zweier Vererbungshypo- thesen: Ueber Protoplasmastrukturen in den Wurzelmeristemzellen von Vicia Faba. Jahrb. f. wiss. Bot., XLVIII Bd., Heft III, 1910. (3) ScnaxEeL, J. — Plasmastrukturen, Chondriosomen und Chromidien. Anat. Anz., Bd. 39, 1911. (4) GUILLIERMOND, A. — Sur Zes mitochondries des cellules végétales. (C. R. Ac. des Sc. Paris, T. CLIII, fase. 3, 1911. ® N ci e aac Se rca RE ì v Sert ; x L : =ltaggrate di parecchie Fucacee (1); il Nicolosi-Roncati nelle Floridee e preci- samente nelle carpospore di Lemanea torulosa e di Gigartina Teedii e nelle tetraspore di Gastroclonium reflexum (2). Il Pénau in uno studio citologico su diversi batterii ammette che il « reticolo ba- sofilo », una formazione speciale che egli riesce a mettere in evi- denza mediante appropriati liquidi fissatori e coloranti e che persiste indipendentemente ‘dal nucleo, sia assimilabile ai mito- condri (83). Per riguardo alla loro funzione spetta ai mitocondri delle cel- lule vegetali quell’importanza che essi meritano nelle cellule ani- mali? Sarebbe a priorî ammissibile data la costituzione fondamen- talmente simile della cellula animale e vegetale; però non si po- trebbe affermarlo senz’altro. Nel 1910 il Pensa a breve intervallo pubblicò due note (4), nelle quali rilevava un fatto di capitale in- teresse e cioè che da formazioni endocellulari, per aspetto e per modo di comportarsi di fronte ai reattivi microchimici, somiglianti < in modo veramente impressionante » ai mitocondri degli animali, aveva visto originarsi nelle cellule vegetali i cloroplasti. Egli ado- perava, oltre ai soliti metodi pei mitocondri, i metodi del Golgi e del Cajal all’impregnazione col nitrato d’argento, riportandone degli ottimi risultati. Infatti le formazioni suddette si tingevano eletti- vamente in nero per la precipitazione dell’argento metallico; e spesso la colorazione avveniva in seguito alla sola immersione in nitrato d’argento, benchè il trattamento successivo con liquido ri- duttore fosse sempre utile per rendere più completa e nitida l’im- pregnazione. Per le sue osservazioni egli si era servito delle pareti di ovarii molto giovani di Gladiolus, di Lilium Martagon, di L. can- didum, di Iris germanica ecc. e dei ricettacoli di Rosa. In questi differenti materiali egli riusciva ad osservare «i varii stadii di passaggio dalle forme più svariate di granuli, di bastoncini, di fila- menti a quelle per le quali è indubbia la natara di cloroplasto ». Bisogna però subito aggiungere che il Pensa nelle conclusioni (1) Touzé LE, H. — Contribution è l’étude histologique des Fucacées. Rev. Gén. de Bot., vol. XXIV, n. 277, 1912. (2) NicoLosi-Roxncati, F — Formazioni endocellulari nelle Rodoficee. Bull. Soc. Bot. Ital., 1912, n. 3. (3) PéNAU, H. — Contribution è la cytologie de quelques microrganismes. Rev. Gén. de Bot., T. XXIV, nn. 277-280, 1912; (4) PENSA, A. — Alcune formazioni endocellulari dei vegetali, I Nota. Boll. Soc. med. chir. di Pavia. Seduta 8 luglio 1910. Ip. — Alcune formazioni endocellulari dei vegetali. — Anat. Anzeiger. BA. 37, n. 12, 1910. — 323 — delle sue note faceva in modo speciale risaltare che giudicava te- merario, malgrado la rassomiglianza perfetta, omologare le forma- zioni produttrici dei cloroplasti, i quali rappresentano per la cel- lula vegetale dei costituenti ben definiti e caratteristici, ai mito- condri, corpi ancora poco noti e pei quali nessuno dei metodi fi- nora usati è assolutamente specifico. Indipendentemente dal Pensa ed a pochi mesi di distanza, il Lewitsky, in una nota inserita nel « Bollettino della Società Bo- tanica Tedesca >», rendeva di pubblica ragione i risultati delle sue ricerche sui condriosomi delle cellule di giovani radici di Pisum sativum e di piantine di Asparagus officinalis, confermando quelli ottenuti dall’autore italiano; anzi più esplicito di lui concludeva fra le altre cose: 1° nell’ apice del caule della piantina i con- driosomi si trasformano in cloroplasti; nell’apice della radice in leucoplasti; 2° la capacità dei condriosomi di trasformarsi da fili in coroncine ed in granuli, come anche i processi di divisione lon- gitudinale sembrano avvisare all’analogia sul principio di costi- tuzione dei condriosomi e dei cromosomi (1). Non mi sembra fuor di luogo far qui rilevare che il lavoro del Lewitsky fu eseguito in gran parte nel laboratorio di Strasburger, il quale, scettico dap- prima circa l'affermazione da parte degli altri autori sull’esistenza dei mitocondri nelle cellule vegetali (2), ne fu in seguito così con- vinto, sia per le proprie osservazioni, sia per quelle dei suoi sco- lari, da determinarsi ad accogliere senz’altro nell’ultima edizione del suo trattato non solo il concetto di mitocondri, ma anche la derivazione dei plastidi da essi (3). Dello stesso avviso però non si è mostrato il Meyer (4) che al lavoro del Lewitsky ha mosso una critica per diverse ragioni troppo severa: in primo luogo perchè, com’egli stesso confessa, non ha mai avuto occasione d’osservare i condriosomi; poi perchè egli ignorava che antecedentemente al lavoro del Lewitsky altri ve n’erano, quelli del Pensa, che dimostravano in sostanza la mede- sima cosa; infine perchè, pur essendo vero che egli è uno dei fon- datori della teoria, almeno fino a questi ultimi anni, più accredi- tata sull’origine dei plastidi, può essere non meno vero che i metodi (1) LewrrsKy, G. — Uedber die Chondriosomen in pflanzlichen Zellen. Ber. d. Deutsch. Bot. Ges., Bd. XXVIII, 1910. (2) STRASBURGER, E. — MHistologische Beitréige. Heft VII, 1909, p. 112-113. (3) STRASBURGER, E. — Lehrdbuch der Botanik. 11 Aufl., 1912, pagg. 61, 53, 81, 598. (4) MEYER, A. — Bemerkungen zu G. Lewitsky: Ueber die Chondriosomen in pflanzlichen Zellen. Ber. d. Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXIX, 1911. ‘i ELP e Per SI n OI SR ALE nn da lui impiegati nel 1883 non fossero così perfetti come quelli ado- perati dai citologi attuali. Com’ è noto, lo Schimper (1) e il Meyer (2), circa trent'anni addietro contemporaneamente ed indipendente mente l’uno dall’altro giungevano alle medesime conclusioni ri- guardo all’origine dei plastidi, e cioè che questi derivassero gli uni dagli altri per divisione. Ora, basandosi da una parte sulle sue < accurate osservazioni » e sulla sua « perfetta conoscenza della maniera di comportarsi dei cromatofori » e dall’altra sulla insuffi- ciente chiarezza sia nella forma che nel comportamento chimico dei corpi indicati dal Lewitsky col nome di condriosomi, il Meyer sente di poter affermare che le vedute dell'avversario sono « cer- tamente inesatte ». Tale affermazione senza dubbio non è giusta; ma non si può disconoscere che il lato debole, finora almeno, della questione dei mitocondri è la mancanza di caratteri specifici tali che permet- tano di stabilirne una definizione e di elevarli alla stessa dignità degli altri costituenti morfologici della cellula. Basta però ciò per destituirli di qualsiasi importanza e quindi anche della capacità di poter generare i plastidi ? Nè il Meyer è il solo ostile ai mitocondri. Anche lo Schmidt (3) ne rimane poco entusiasmato e in ogni modo non crede che l’opinione della provenienza dei plastidi dai mitocondri si basi su solide fon- damenta. Il Némec ritiene che i mitocondri delle cellule vegetali sieno dei prodotti del ricambio, i quali si accumulerebbero sopratutto nelle cellule in grande attività funzionale, come quelle del tappeto, dei nettaril, ecc. (4). Nello stesso anno in cui il Pensa e il Lewitsky comunicavano i loro risultati, il Lundegàrd pubblicava indipendentemente da essi una dotta ed importante memoria, però forse eccessivamente critica, la quale potrebbe compendiarsi così: il proposito di dimostrare la mancanza di ogni fondamento nelle due teorie sulla trasmissibilità dei caratteri ereditarii per mezzo dei cromosomi del nucleo e dei (1) ScHIMPKR, A. F. W. — Ueber die Entwicklung der ChlorophyUkirner und Farbkirper. Bot. Ztg., 1883. (2) MEYER, A. — Das ChlorophyUkorn in chemischer, morphologischer und physiologischer Beziehung. Leipzig, 1883. (3) ScamInT, E. W. — Pflanzliche Mitochondrien. Progressus Rei Botanicae, Bd. 4, 2es Heft, 1912. Ip. — Neuere Arbeiten iiber pflanzliche Mitochondrien. Zeitschr. f. Bot., Jahrg. 4, 1912 (4) NeMEC, B. — Das Problem der Befruchtungsvorgtnge. Berlin, 1911. — 325 — mitocondri, cromidii del citoplasma (1). Prescindendo dalle consi- derazioni d’indole teorica di cui è ricco il lavoro, esporremo i ri- sultati delle sue ricerche originali: Osservando delle sezioni in apici radicali di Vicia Faba in pre- cedenza fissate nei modi ordinarii, l’autore constatava come feno- meno quasi costante in seno al citoplasma delle cellule meristema- tiche la presenza di granuli, di bastoncini, di vescicole, che si tingevano con ematossilina ferrica più o meno intensamente. In un preparato fissato con liquido forte di Flemming osservava invece con sua meraviglia dei tubolini lisci in grande quantità e delle vescicole. Allora per impedire al momento del taglio dell’apice ra- dicale dei possibili, anormali spostamenti nel contenuto cellulare e per produrre una subitanea azione del liquido fisssatore sulla su- perficie di sezione, egli introduceva la radice intatta in una solu- zione all’1% di ac. crom. e dopo 10-30 secondi ne asportava l’apice, che introduceva dall’acido cromico in liquido debole di Flemming. I preparati in tal modo fissati venivano colorati o con ematossilina ferrica o con violetto di genziana e safranina; ed osservati al mi- eroscopio rivelavano nell’interno delle cellule meristematiche dei corpi di forma svariata; in parte vermiformi, a nastro, filiformi, a coron- cina, a vescicole, situati di preferenza attorno al nucleo; in parte con aspetto più o meno di piccoli nuclei. Operando dunque in modo differente, e cioè o con liquidi fissatori ordinarii, 0 con liquido forte di Flemming, o con liquido debole di Flemming, previo bagno in acido cromico, l’autore riusciva od ottenere dei corpi con forme diverse: ma la maggior varietà era conseguita coll’ultimo dei tre procedimenti. Egli era perfettamente convinto che tali corpi non fossero dei prodotti di precipitazione in seguito al fissaggio, nel senso del Fischer; però non risolveva la questione se non ricor- rendo a sezioni fatte a mano su materiale vivo: pel citoplasma di ogni cellula scorgeva dei corpicciuoli rotondi, in numero variabile a seconda dell’ubicazione della cellula medesima ; ad es., abbondanti nel dermatogeno e nelle serie più esterne del periblema, essi erano molto scorsi nel focolare apicale. Questi corpicciuoli contenevano alla loro volta un certo numero di bastoncini debolmente rifran- genti e in attivo movimento molecolare, i quali con aggiunta di Jodo-joduro di potassio tingevansi in bleu; dunque risultavano di amido ed i corpi che li contenevano non erano che leucoplasti. Se (1) LUNDEGARD, H. — Ein Beitrag zur Kritik zweier Vererbungshypothesen: Ueber Protoplasmastrukturen in den Wurzelmeristemzellen von Vicia Faba. Jahrb f. wiss. Bot, Bd. XLVIII, 1910. ebete Pa, Ie PNESTNI SPAM a Gi * Md ia + Cada; it i ec: di 9 e — 326 — d'altra parte introduceva sul portaoggetti in una goccia di un li- quido fissatore (jodo-joduro di potassio, ac. crom. 1 %, liquido di Flemming) delle sezioni longitudinali ottenute da radici vive, su- bito vedeva prodursi dei particolari cambiamenti nella posizione e nella forma dei leucoplasti, che tendevano a disporsi attorno al nucleo ed a contrarre rapporti fra loro, alterandosi profondamente, in modo che ne risultavano delle figure con aspetto di rosarii. In tal modo il Lundegàrd si convinceva che nel suo caso dovesse trat- tarsi in parte dello stesso fenomeno indicato dallo Schimper (1) col nome di sistrofe, cioè di un accumulo di cloroplasti in massa, pro- vocato nelle ricerche dello Schimper da agenti fisici, nelle sue invece da agenti chimici. Senonchè qui oltre ad accumulo vi era alterazione, in seguito a stiramento, dei leucoplasti. Paragonando le figure così ottenute con quelle provocate dai procedimenti di fissaggio su esposti, l’autore vi trovava una perfetta corrispondenza; dunque i corpi dalle forme più svariate di granuli, di coroncine, di tubi lisci o a diverticoli, di vescicole, ecc., altro non erano che il prodotto d’alterazione dei leucoplasti per opera dei liquidi fissa- tori, l’alterazione essendo tanto maggiore quanto più lenta era la morte delle cellule e peggiore il fissaggio. In alcuni preparati l’au- tore poteva perfino scorgere le forme graduali fra i leucoplasti con- servatisi normalmente e quelli alterati. Anche i granuli d’amido, quando esistevano e sì presentavano in parecchi in ciascun leuco- plasto, concorrevano ad alterarne la forma, distribuendosi in catena nello stroma disteso di esso. Ma nelle figure d’alterazione dei leu- coplasti il Lundegàrd ravvisava inoltre alcune delle strutture indi- cate negli animali col nome di cromidii, condriosomi, ecc., e siccome le notizie che allora si possedevano intorno a questi speciali corpi su materiale vivo erano scarsissime, egli non poteva fare a meno di esprimere il dubbio che anch'essi rappresentassero delle defor- mazioni di corpi costituiti diversamente in vivo. Oltre alle defor- mazioni subite dai leucoplasti, il Lundegard rilevava anche la posizione che essi assumevano nell’interno della cellula al momento della sua divisione: essi sì disponevano cioè in due gruppi all’e- stremità dei poli del fuso nucleare ed in maniera raggiata, in modo da simulare quasi una partecipazione al processo di divisione. Ep- però anche questo speciale fenomeno non rappresentava, secondo l’autore, che il risultato di un artefatto in seguito a penetrazione uniforme su tutti i lati della cellula del liquido fissatore. Rilevando (1) ScHIMPER, A. F. W. — Untersuchungen ‘iiber die ChlorophyUkirner und die ihnen homologen Gebilde. Jahrb. f. wiss. Bot., Bd. XVI, 1885. — 327 — inoltre l'apparente processo di divisione longitudinale che si ren- deva frequentemente manifesto nei leucoplasti alterati, il Lun- degird concludeva che « forse un eguale fatto dovette occorrere ai sigg. Giglio-Tos e L. Granata quando costruirono una condriodie- resi, ossià una sorta di mitosi pei condriosomi ». Non manchereb- bero infatti, secondo l’autore, nelle cellule animali dei corpi che al momento della divisione cellulare potrebbero comportarsi come i leucoplasti nelle cellule vegetali. E di questo passo egli giunge a spiegarsi gli errori commessi da un gran numero di studiosi che si erano fin allora occupati dei mitocondri! Se a questo punto abbaudoniamo il lavoro del Lundegird per rivolgere la nostra attenzione ad alcune delle ricerche del Guil- liermond, ci accorgiamo subito che fra i risultati dei due autori non v'è accordo. Al Guilliermond è parso interessante, dopo le osservazioni del Pensa e del Lewistky sui cloroplasti, di vedere se anche i leuco- plasti ripetessero la stessa origine dai mitocondri, ed all'uopo ha scelto dapprima come materiale di studio dei giovanissimi tuberi di patata, proponendosi di risolvere Je due questioni: 1° Quali sono le relazioni che esistono fra i mitocondri e i leucoplasti; 2° per quali processi citologici l’amido appare nella cellula. Secondo Schimper e Meyer si sa infatti che l’amido è sempre il prodotto dell’attività dei cloro- o dei leucoplasti; mentre secondo altri bota- nici, fra i quali il Belzung, non è escluso che l’amido possa for- marsi per una sorta di precipitazione in seno al citoplasma senza il concorso dei leuciti. Ora in tuberi misuranti appena qualche millimetro di diametro, impiegando il metodo di Regaud, il Guilliermond scorge che le cellule del parenchima corticale e del midollo posseggono numerosi mitocondri in forma di piccoli granuli. In uno stadio più avanzato un certo numero di mitocondri acquistano semplicemente delle dimensioni 2 o 3 volte maggiori e diventano leucoplasti, nello stesso tempo che in seno ad essi com- pare un corpicciuolo chiaro che conferisce loro un aspetto vescico» lare; è l’inizio della formazione del granulo d’amido, il quale in- grossa sempre più mentre il leucoplasto periferico si riduce fino a scomparire del tutto. I leucoplasti dunque, come i cloroplasti, « ri- sultano sempre dalla differenziazione di elementi preesistenti che s'incontrano nei meristemi e nei tessuti embrionali. Questi elementi che dallo Schimper erano considerati come dei piccoli leucoplasti molto delicati e molto difficili a mettersi in evidenza, sono in realtà o dti AA de “te BAN SLA ES I: PEG DI ERRE TRO Fa uguali ai mitocondri studiati negli animali » (1). In un secondo la- voro, seguendo l’esempio di Schimper, il Guilliermond sceglie per le sue osservazioni le radici di un’orchidea, di Phajus grandifolius, che posseggono dei leucoplasti di grandi dimensioni (2). Nelle cel- lule dell’apice, adoperando sempre il metodo di Regaud, egli mette in evidenza numerosi piccoli condrioconti sparsi nel citoplasma. A poca distanza dall’apice i condrioconti aumentano sensibilmente di volume, ma non cambiano di forma e si raccolgono intorno al nucleo, assumendo anzi contatto con la sua membrana, mentre alla super- ficie di ciascuno di essi e non nell’interno come nella patata, com- pare un granello d’amido. Questa speciale posizione dei condrio- conti durante l'elaborazione dell’amido induce l’autore a pensare che il nucleo abbia una certa importanza nell’interessante processo. Egli si spiega inoltre per l’estrema piccolezza dei mitocondri se certi autori, fra i quali il Belzung, nei materiali da loro esami- nati sieno giunti a negare l’esistenza dei leucoplasti e ad ammet- tere che l’amido si formasse direttamente nel citoplasma: Per- tanto mentre nel lavoro precedente egli dice che i leucoplasti sono il prodotto d’una leggera modificazione dei mitocondri, crede ora opportuno modificare questa interpretazione e considerare sen- z’altro i leucoplasti come assimilabili ai mitocondri, non subendo questi ultimi che un semplice aumento di volume prima di ela- borare l’amido. Quest’idea viene confermata dal Guilliermond anche in seguito, studiando la formazione dell’amido nelle piantine ger- minanti di Majs, di Grano, di Orzo, di Ricino, di Pisello, di Fa- giuolo, in cui i condrioconti, in forma di bastoncini più o meno allungati, a differenza di quelli dei tuberi di patata e delle radici di Phajus, non aumentano neanche di volume prima di divenire capaci di secernere amido, bensi producono in un punto qualunque della loro lunghezza uno o più rigonfiamenti, determinati appunto dalla secrezione dell’amido; se il gonfiamento sì produce nel mezzo il condrioconte assume l’aspetto di fuso; se ad un’estremità, quello di clava; se alle due estremità, quello di manubrio. I granuli d’a- mido così formatisi sì accrescono a spese della sostanza mitocon- driale, che si riduce sempre più fino a scomparire; onde il Guil- liermond insiste neila sua opinione, già manifestata nei lavori (1) GuILLIERMOND, A. — Sur l'origine des leucoplastes et sur les processus cytologiques de l’elaboration de l’amidon dans le tubercule de la pomme de terre. C. R. Ac. Sc. Paris, T. CLIII, 1911, pag. 1492. (2) GuILLIERMOND, A. — Sur les leucoplastes de Phajus Re et leur identification avec les mitochondries. C. R. Ac. Sc. Paris, T. CLIV, pag. 286-289, 1912. da di (nah È Bi precedenti, che cioè il processo d’elaborazione dell’amido nella cel- lula vegetale sia perfettamente simile a quelli constatati per la formazione di alcuni prodotti di secrezione della cellula animale (1). Un altro caso di differenziazione dei mitocondri per la produzione dell’amido è stato messo in evidenza dal Guilliermond nelle radici di Ficaria ranunculoides: le giovani cellule del meristema apicale non contengono che dei condrioconti, i quali sì trasformano nelle cellule più adulte in condriomiti, i cui grani si isolano, si raggrup- pano attorno al nucleo, ingrandiscono considerevolmente e formano amido. Riassumendo dunque, i processì di differenziazione dei mi- tocondri per la produzione dell’amido possono, secondo il Guil- liermond, ridursi a due tipi: 1° accrescimento di volume di mito- condri granulari isolati (tuberi di patata e radici di Phajus) o riuniti in condriomiti (radici di Ficaria ranunculoides); 2° forma- zione di piccoli rigonfiamenti sul tragitto di un condrioconte (pian- tine germinanti di Majs, Grano, Pisello, ecc. (2). In un successivo lavoro il Guilliermond fa un passo avanti e giunge ad una sorta di conciliazione fra la teoria di Schimper e Meyer e quella dell’origine dei plastidi dai mitocondri. Egli os- serva dei mitocondri nei tessuti dei carpelli, della nucella, nelle cellule del gametofito femmineo, compresa l’oosfera, di Canna, Tu- lipa, Amaryllis, Lilium, nelle cellule del tappeto e nei granelli di polline di Cucurbita e di Erythrina; donde desume che questi cor- picciuoli si trasmettono dalla pianta madre fino agli elementi ses- suali. Ma è noto che anche Schimper e Meyer hanno osservato nel- l’oosfera dei corpi che essi descrivono come leucoplasti molto piccoli, poco visibili, difficili e talvolta impossibili a colorarsi e dai quali fanno derivare i leuco- e i cloroplasti della futura pianta. È probabile quindi, ne desume il Guilliermond, che essi abbiano osservato i nostri mitocondri, che un esame accurato del resto permette d’osservare anche in cellule vive. « I nostri risultati danque, egli dice, non sono in contraddizione con le concezioni di Schimper e Meyer, solamente mostrano che i corpi da essi considerati come leucoplasti sono in realtà degli elementi con ufficio molto più generale che non lo pen- sassero gli autori; poichè essi corrispondono ai mitocondri animali, (1) GUILLIERMOND, A. — Quelques remarques nouvelles sur le mode de for- mation de l’amidon. Comptes rendus hebd. de la Soc. de Biol. Paris, T. LXK.XII pag. 276-279, 1912. (2) GUILLIERMOND, A. — Sur /es différents modes de la formation des leu- coplastes. C. R. Soc. Biol. Paris T. LXXIII, pag. 110-112, 1912. iù, 2 © SSIS 0 e E RIETI nuta in seguito a fissaggio con liquido di Benda mostra che questo liquido « dev'essere riconosciuto, almeno per le strut- ture citoplasmatiche, come il mezzo fissatore esatto, per tanto tempo CI a % Wii i na 7 i desiderato ». Ma oltre questo l’autore ha potuto sperimentarne nu- ; merosi altri, alcuni dei quali già noti, altri nuovi, e classificarli in È; due gruppi, cioè quelli che conservano inalterati i condriosomi e ci quindi rendono la vera struttura del citoplasma e quelli che li al- È terano producendo in tal maniera degli artefatti. Sono ascritti al 4 primo Gruppo: 1) la miscela di Benda, 2) la stessa senza acido acetico, 3) la miscela di Altmann, 4) l’acido osmico al 1/2 %, 5) la formalina al 10 %, 6) la miscela debole di Flemming. Al se- condo: 1) l’aleool assoluto, 2) l'acido acetico al 20 %, 3) la miscela I di Carnoy, 4) l’alcool e sublimato, 5) l’alcool, sublimato ed acido ace- di tico, 6) la soluzione acquosa satura di sublimato, 7) l'alcool, subli- mato ed acido picrico, 8) il nitrato d’argento al 2 %, 9) l’acido pi- rogallico al 2 %, 10) l’acqua ossigenata, 11) il liquido forte di Flem- ming. Per quanto riguarda la seconda questione, il Lewitsky, te- nendo conto di ciò che ha osservato e su materiale vivo e su materiale fissato con liquidi che non ne alterano la costituzione, passa in rasse- gna le teorie finora emesse sulla struttura del citoplasma e si convince che alcune non sono esatte, mentre altre come la « granulare » di Altmann e la «filare » di Flemming corrispondono al vero e pos- sono essere incorporate nella « teoria del condrioma », ì granuli di Altmann ed i fili di Flemming corrispondendo rispettivamente ai mitocondri ed ai condrioconti. In breve ecco quel che egli ha potuto stabilire per il citoplasma dellecellule meristematiche delle squamme ascellari di Elodea canadensis: « l’impalcatura del citoplasma è for- mata dai condriosomi » i quali « si presentano in forma di fili omo- > genei (condrioconti), di coroncine (condriomiti), di granuli (mitocon- ì dri). Gl’interstizi sono occupati da una sostanza fondamentale poco rifrangente, fluida, apparentemente omogenea, la quale può conte- nere diversi inclusi, come fisodi, vacuoli e simili ». Circa l’impor- x tanza fisiologica dei condriosomi, l’autore assicura che essi subi- scono diversi importanti destini, fra gli altri quello di produrre i cloroplasti, confermando così ciò che egli assicurava prima per Aspa- ragus officinalis. La seconda nota (1) è una diretta risposta alle critiche del Meyer, in base ai risultati ottenuti operando sullo stesso materiale impie- 2 * vl” de e ah x REgpoT Mateo (1) LewITsKy, G. — Die Chloroplastenanlagen in lebenden und fixierten Zel- | len von Elodea *canadensis Rich. Berichte der deutsch. bot. Gesellsch., Bd. XXIX, 1911. ERA REA e e E, So - gato da quello per le sue ricerche, cioè su giovani foglie di Elodea ‘canadensis. Mentre però le foglioline adoperate dal Meyer erano al minimo lunghe mm. 0:7 e mostravano già dei cloroplasti ben dif- ferenziati, il Lewitsky riesce ad osservarne di quelle che misurano appena mm. 0.3. L’esame è fatto su foglioline vive o fissate ed i preparati ottenuti con l’uno e l’altro metodo vengono fotografati. In verità non si può disconoscere che fra i fotogrammi 1 e 2, il primo dei quali tolto da materiale vivo, il secondo da materiale fissato, vi è quasi perfetta identità. «Come si vede» dice il Lewitsky confrontando le sue figure con quelle del Meyer, «le forme dei gio- vani cloroplasti sono del tutto diverse da quelle descritte ed illu- strate dal Meyer. La grande maggioranza degli inizii dei cloroplasti sono, nel miei preparati, allungati, in forma di bastoncino, altri in forma di manubrio; con altre parole, essi mostrano le stesse forme che io avevo già stabilite pei giovanissimi stadii di Asparagus of- ficinalis ». Altro particolare interessante che il Lewitsky mette in evidenza e che concorda con le osservazioni del Guilliermond e del Pensa, si è che la clorofilla appare già nello stadio in cui i con- driosomi mostrano l’aspetto di condrioconti. Dopo la pubblicazione delle due sue prime note anche il Pensa ha esteso le ricerche, comunicandoci in parecchie riprese i risultati ottenuti (1). Recentemente poi egli ha pubblicato un’accurata me- moria che contiene, oltre a numerose nuove osservazioni, il com- pendio di quanto è esposto nei lavori precedenti (2). Egli impiega sempre e di preferenza il metodo dell’argento ridotto come quello che gli offre i reperti più sicuri; anzi di esso si serve per control- lare i risultati ottenuti coi metodi prop. detti dei mitocondri, essendo anch'egli, come il Lundegàrd, convinto in seguito a propria espe- rienza che spesso con l'applicazione di tali metodi si ottengono delle notevoli alterazioni nel citoplasma. Descrive le manipolazioni ne- cessarie per il metodo all’argento, accenna ai vari metodi esperi- mentati pei mitocondri e dichiara fra questi il migliore il IV B di Regaud. Le piante e le parti di piante più diverse dalle Pterido- (1) PeNsA, A. — Alcune formazioni endocellulari dei vegetali. II Nota. Boll. Soc. med.-chir. di Pavia, 1911. Ip. — Alcune formazioni endocellulari dei vegetali. (Considerazioni sulla derivazione dei cloroplasti e sui mitocondri delle cellule vegetali). Rend. Ist. Lomb. serie II, vol. XLIV, 1911. Ip. — Ancora di alcune formazioni endocellulari dei vegetali. Anat. Anz. vol. XXXIX 1911. (2) Ip. — Osservazioni di morfologia e biologia cellulare nei vegetali (mi- tocondri e cloroplasti). Archiv fur Zellforschung. Bd. VIII, Heft 4, 1912. pr Lee AA le ire Pe i anne RA LISI ILE e 1 LACIE SL PE png La 5; — 336 — fite alle Angiosperme dicotiledoni si prestano ugualmente bene alle sue osservazioni. Egli però non si occupa che di una sola categoria di plastidi, dei cloroplasti, ed afferma che essi possono bensì pro- venire, come ammettono Schimper e Meyer, da altri cloroplasti per: divisione, ma la loro prima origine è da ricercarsi nelle « speciali formazioni endocellulari » che si tingono elettivamente in nero per. la precipitazione dell’argento metallico. Condizione indispensabile però affinchè la reazione argentica avvenga è la presenza della clo- rofilla. « Se non c’è clorofilla non c'è reazione ». E così essa non avviene in gemme, in cotiledoni di piantine germinanti se non quando incomincia a comparire la clorofilla; cosicchè se le piantine vengono allevate al buio, la reazione fallisce. Oltre alle formazioni endocellulari capaci di precipitare l'argento metallico, altre ve ne sono, molto più fine, molto più delicate che non posseggono tale facoltà, ma che invece si colorano coi metodi proprii dei mitocondri. Per esse il Pensa riporta l'impressione « che siano un prodotto di differenziazione del citoplasma o meglio che provengano da un’ul- teriore differenziazione di elementi o facenti parte della struttura del citoplasma o a loro volta differenziatisi da esso > (pag. 647). Comunque, egli è convinto che le due sorta di formazioni sieno fra loro « legate da vincoli di parentela molto stretti. Quelle prover- rebbero da queste in linea diretta. Insomma negli elementi cellulari nei quali si formano i cloroplasti, si avrebbe dapprima la presenza di speciali formazioni molto fini simili ai mitocondri, colorabili coi metodi propri di questi, e non colorabili col metodo dell’argento ridotto; queste formazioni diventerebbero in seguito capaci di as- sumere la colorazione nera col metodo dell’argento quando inco- minciano ad essere provviste di clorofilla: subirebbero infine tutte le modificazioni descritte, fino ad avere l’aspetto di cloroplasti ti- pici definitivamente costituiti ». Accanto ai cloroplasti ben diffe- renziati spesso accade di osservare le formazioni delicate simili a mitocondri, il che induce il Pensa a pensare che non tutte subi- scono la medesima sorte, benchè egli non escluda la possibilità che esse possano anche tardivamente essere destinate alla formazione di nuovi cloroplasti, ad una specie di rinnovamento insomma dei cloroplasti medesimi (pag. 633). Riassumendo ora, secondo le idee del Pensa, quanto riguarda l’origine dei cloroplasti, questi proverrebbero dalle formazioni che precipitano l’argento e che derivano alla loro volta dalle formazioni simili ai mitocondri; ma queste ultime sono differenziazioni del citoplasma, dunque i cloroplasti sono in fondo derivati del citoplasma; conferma questa di antiche idee, come ab- biamo accennato più sopra, opposte a quella di Meyer e Schimper. — 337 — . Alla questione se è possibile omologare le formazioni endocellulari in parola ai mitocondri delle cellule animali, l’autore non crede, come per il passato, di poter dare una risposta definitiva, non es- sendovi ancora, al difuori dell’aspetto e del modo di comportarsi di fronte ai reattivi microchimici, altro carattere che valga a con- traddistinguere i mitocondri medesimi. Abbiamo nelle prime pagine accennato che Le Touzé, studiando l’istologia di alcune Fucacee, ha constatato anche in queste piante, sebbene con non troppa chiarezza, l’esistenza di mitocondri. Egli ha anche affacciato l'ipotesi che i feoplasti provenissero da essi. Orbene, il Nicolosi-Roncati, occupandosi dello studio citologico di Cystoseira barbata, conferma pienamente la semplice ipotesi dell’autore fran- cese (1). Impiegando il metodo di Benda, che egli ritiene elettivo pei mitocondri, osserva nei giovani rami di Cystoseira che la cellula apicale e le cellule epidermiche ad essa finitime sono ricche di mitocondri, e non contengono affatto feoplasti. Procedendo da queste a cellule epidermiche più adulte, egli nota in diversi punti del citoplasma, ma di preferenza in prossimità del nucleo una con- densazione di mitocondri: ognuno di questi punti è centro di for- mazione di un feoplasto. Dunque il Nicolosi concorda col Pensa, Lewitsky, ecc. nell’assegnare un’origine mitocondriale anche ai feo- plasti, 1 quali però, a differenza dei cloro e leucoplasti studiati dagli altri autori, non si formerebbero per differenziazione di singoli mi- tocondri, bensì per accumulo e successiva fusione di un gran numero di essi. La presenza costante poi di minuti granuli mitocondriali attorno al nucleo induce l’autore ad ammettere che non esistano semplici rapporti topografici, ma anche genetici fra il nucleo e le formazioni in discorso. In tal maniera egli si associa alle idee so- stenute da numerosi autori nel campo zoologico e recentemente anche dall’Arnoldi in botanica, di un’origine nucleare dei mito- condri, i quali diverrebbero così uguali ai cromidii (2). Mentre il Nicolosi stabilisce un’origine mitocondriale pei feopla- sti, sappiamo ancora ben poco riguardo ai rodoplasti. Lo Svedelius nel suo interessante lavoro sull’alternanza di generazione in Deles- seria sanguinea (3) fa un breve cennv sulla questione dei condrio- (1) NicoLosi-RoncatI, F. — Genesi dei cromatofori nelle Fucoidee. Boll. Soc. Bot. It. 1912, n 6 (2) ArNOLDI, W. — Sur l’appareil chromidial chez quelques plantes Gym- nospermes et Angiospermes. Biol. Arbejder, Telegnede Eug. Warming paa kans 70 Aars Fodseldsdog, Kopenhagen, 1911. (3) SvenELIUS, N. — Ueber den Generationswechsel bei Delesseria sanguinea. Svensk. Bot. Tidslkr Bd. V, H III, 191L. SI ELI a stiate; ves RAT IL te” i da hd i; CITBOGARZOro I somi: nel citoplasma della cellula madre delle tetraspore; precisa- mente nel momento in cui il nucleo è in diacinesi, compaiono alcuni corpi che tingonsi molto intensamente con ematossilina ferrica e persistono in tutti gli stadii della tetradogenesi fino a. completo sviluppo delle spore. Da principio questi corpi sono pic- coli e numerosi; poscia si ridacono in numero, ma in compenso diventano più grossi. Formazioni analoghe furono dal Lewis osser- vate in un’altra Rodofieca, in Griffithsia Bornetiana (1) e interpre- tate come provenienti dal nucleo, cioè come sostanza cromidiale. Lo Schiller invece, che ha osservato gli stessi granuli in Anti- thamnion (2), non trova nessuna relazione d’origine fra essi e il nucleo. Dello stesso avviso è lo Svedelius, il quale crede di ravvi- sare nel suoi corpi i condriosomi delle altre piante, però non attri- buisce loro che il semplice ufficio di materiali nutritizii prontamente utilizzabili, inquantochè compaiono all’inizio della tetradogenesi e scompaiono a costituzione perfetta delle spore. Per quanto ri- guarda la derivazione dei rodoplasti dai condrisomi egli confessa candidamente che non ha potuto dimostrarla in Delesseria. Non possiamo terminare senza volgere la nostra attenzione ad un lavoro del Rudolph, apparso proprio in questi giorni nel « Bollettino della Società botanica tedesca » (3). Egli ha avuto particolarmente di mira, iniziando le sue ricerche, di verificare i risultati del Lewit- sky, quindi sì è servito a bella posta non solo dello stesso materiale ma anche degli stessi metodi. Ed è giunto alla conclusione che i condriosomi esistono, sono rilevabili anche in materiale vivo e si presentano così come quello li ha descritti; però coi plastidi non hanno proprio nulla a che vedere. Condriosomi e plastidi sono, se- condo lui, due formazioni che coesisterebbero nella stessa cellula, ma indipendentemente le une dalle altre e non sarebbero legate da nessun vincolo di parentela. I plastidi proverrebbero invece gli uni dagli altri nella maniera descritta da Schimper. Gli argomenti su cui il Rudolph si basa per concludere quanto sopra fanno l'impressione che non sieno sufficientemente fondati. In una sezione longitudinale attraverso un internodio di un giovane (1) Lewis, J. F. — The Life History of Griffithsia Bornetiana. Ann. of Bot., vol. 23, 1909. (2) ScniLLer, F. — Beitrige zur Entwicklungsgeschichte und Physiologie des planzlichen Zellkernes. Jabrb. fiir wissensch. Bot., Bd. XLIX, 1911. (3) RupoLPa, K. — Chondriosomen und Chromatophoren. (Beitrag zur Kritik ‘der Chondriosomentheorien). Berichte der deutsch. bot. Gesellsch. Bd. XXX, Heft 9 1912, ra ri STRICNTRI: CRA LERTE — 339 — turione di Asparagus officinalis, poco discosto dall’apice egli vede, partendo dalla periferia verso il centro, che nell’interno delle cellule, oltre ai condriosomi in forma di granuli e di bastoncini, esistono dei cloroplasti ben differenziati ed in tutti gli stadii di divisione. Le figure di divisione dei cloroplasti nelle cellule parenchimatiche che accompagnano i fasci vascolari diventano molto lunghe e sottili, tanto da confondersi facilmente coi condriosomi a bastoncino. Dunque nella medesima sezione viene offerta fra i cromatofori adulti ed i condriosomi una catena di forme intermedie, catena che, secondo il Rudolph, ha spinto il Lewitsky ad ammettere fra le due forma- zioni un rapporto genetico; mentre in realtà si tratta di un caso di rassomiglianza fortuita. In un’altra sezione lungitudinale prati- cata nell’apice l’autore rileva che le cellule meristematiche non contengono che una sola sorta di corpi, in forma di granuli, ecce- zionalmente di bastoncini, sicchè non è possibile far distinzione in essi fra condriosomi e plastidi, probabilmente « perchè qui i pla- stidi sono ridotti alla grandezza dei mitocondri. ». La distinzione però si accentua subito a poca distanza dall’apice, poichè alcuni granuli ingrossano e assumono la forma tipica di plastidi, mentre gli altri rimangono immutati anche nei tessuti adulti. Il Rudolph ha tentato anche sui condriosomi diversi saggi, i quali peraltro non gli hanno offerto alcun risultato sicuro per una definizione chimica di questi corpi, nè tanto meno gli hanno per- messo di stabilire se una differenza chimica esiste negli stadii ini- ziali fra condriosomi e cromatofori. Ma allora se nell’apice non esiste che una sola sorta di corpi, e se non è possibile scorgere differenza alcuna morfologica o chimica fra stadii iniziali dei plastidi e con- driosomi, perchè escludere ‘che fra le due formazioni ci sia comunità di origine? D’altronde non è esatto ciò che il Rudolph attribuisce al Pensa ed al Lewitsky, e cioè che questi ammettano una corri- spondenza numerica fra i mitocondri iniziali di una cellula ed i plastidi da essi prodotti. Il Pensa specialmente in parecchie riprese fa risaltare che non tutti i mitrocondri diventano plastidi, persì- stendo una parte di essi anche nelle cellule adulte. Oltre ad Aspa- ragus il Rudolph ha in seguito esaminato numerose altre piante ed in tutte ha constatato l’esistenza di condriosomi; per cui in am punto si esprime in questi termini: « Chi per una volta sola ha visto il muoversi di questi corpi nella cellula vivente, a costui non può rimanere più dubbio sulla loro reale esistenza anche in vivo, e l’obbiezione del Lundegard che i condriosomi descritti non sieno che dei leucoplasti deformati cade da sè ». a PS protiro e aL e oi PAEPE IA RPS vee “me "2% Acco dunque il primo che chiaramente afferma essere la critica del Lundegard per lo meno esagerata. * * * Quanto fin qui ho riferito con un'esposizione abbastanza par- ticolareggiata rappresenta ciò che ci è noto fino a questi ultimi giorni sull’interessante quanto discussa teoria dei mitocondri. Non v'è dubbio che i dati finora posseduti nel campo botanico siano più scarsi di quelli che si posseggono nel campo zoologico; epperò, con nostro rincrescimento, forse non meno di quelli controversi. Gli studiosi sono divisi in due schiere: nella prima militano gli scettici, che per fortuna sono non solo in minor numero, ma per giunta quelli che meno direttamente si sono occupati della questione, se si eccettuano il Lundegàrd e il Nemec; nella seconda i seguaci della teoria, 1 quali basano le loro affermazioni non sul ragionamento soltanto, ma anche sui fatti. Dagli scettici si oppone che non si è ancora riusciti a delimitare il concetto di mitocondri, non essendo certo sufficienti per definire queste speciali formazioni nè l’aspetto, che è multiforme, nè il comportamento microchimico, che non è specifico. E quest’obbiezione è lealmente riconosciuta anche dai se- guaci dei mitocondri. Col criterio della forma, osserva lo Schmidt (1), si potrebbero infine ascrivere ai mitocondri quasi tutti i costituenti non cristallini della cellula. Una seconda obbiezione, che del resto rimane assorbita dalla prima, è la seguente: se sia opportuno ac- cogliere in botanica, come per il primo ha fatto il Meves e gli altri hanno imitato, il termine « mitocondri » per indicare delle forma- zioni endocellulari, che presentano coi mitocondri animali di comune solo l’aspetto e l’affinità per certe sostanze coloranti. Probabilmente, essendo identico il piano di costituzione della cellula animale e vege- tale, omologhe saranno le formazioni endocellulari indicate col nome di mitocondri precisamente da quegli stessi autori che hanno avuto l’agio di osservarle nella due sorta di cellule. Ciò sarebbe in particolar modo sostenuto anche dal fatto che il Lewitsky ed in parte il Pensa nel regno vegetale ed il Meves (2) e il Samsonoff (3) nel regno ani- male ammettono, in seguito alle proprie osservazioni, che i mito- (1) ScamipT, E. W. — Pflanzliche Mitochondrien. Progr. Rei Bot., Bd. 4, 2 Heft, pag. 180. (2) Meves, FR. — Ueber Beteiligung der Plastochondrien an der Befruchtung des Eies von Ascaris megalocephala. Arch. fir mikr. Anat., Bd. 36, 1910. (3) SAmsonoFe. — Veber die Beziehungen der Filarmasse Flemmings zu den Korner Altmanns. Arch. fir mikr. Anat., Bd. 75, 1910. condri entrino a far parte della struttura intima del citoplasma, anzi ne costituiscano l’impalcatura solida, conferendogli quell’a- spetto che dall’Altmann era stato indicato come granulare e dal Flemming come filare. Un'altra obbiezione è questa: son poi i mi- tocondri delle formazioni realmente esistenti nel citoplasma vivo o non rappresentano piuttosto degli artefatti o delle alterazioni di altri costituenti della cellula in seguito alle manipolazioni a cui si sottopone il materiale? Questa obbiezione ha trovato un valido ap- poggio nella prima memoria del Lundegàrd, avendo questi dimo- strato che per l’alterazione dei leucoplasti si possono ottenere in giovani cellule di apici radicali di Vicia Faba delle figure molto simili ai mitocondri, condriomiti, ecc. Certamente il lavoro del Lun- degàrd deve tenersi in seria considerazione, specie poi da chi si accinga per la prima volta a studi così delicati; però se dai critici si abuserà nel contrapporlo a quanto hanno affermato molti altri autori forse non meno accorti e prudenti dello stesso Lundegàrd, esso perderà il maggiore dei suol pregi, quello cioè di agire come moderatore degli entusiasmi dei mitocondristi. Il Meves, il Pensa, il Lewitsky, il Guilliermond e il Forenbacher, che hanno osservato i mitocondri in materiale fissato, affermano di averne constatato. l’esistenza e l’aspetto identico in materiale vivo. Ora questa affer- mazione non può non meritare la nostra fiducia, salvo che non vo- gliamo ammettere, ciò che del resto trova un precedente nelle famose centrosfere, che gli autori sieno riusciti a suggestionarsi a vicenda. Di essi poi i quattro ultimi, sostenuti anche da Strasburger, dichiarano che dai mitocondri derivino i plastidi. Ed eccoci alla questione più grossa, che ha suscitato tutto il risentimento del Meyer e l’incredulità dello Schmidt. Anzi lo Schmidt riesce perfino a spie- garsi come gli autori suddetti sieno giunti ad affermar ciò, ammet- tendo una speciale influenza esercitata in botanica dall’importanza riconosciuta ai mitocondri nel regno animale. Secondo lui, essi sa- rebbero partiti da una prima premessa che dev'essere stata presso a poco la seguente: « I cromatofori non sono continuamente pre- senti nelle cellule vegetali, ma si originano per evoluzione di altri corpi cellulari, che sono allora da considerarsi come stadii iniziali dei cloro- e dei leucoplasti » (1). Ora, applicando gli stessi metodi adoperati in zoologia, essi hanno osservato nelle cellule vegetali delle formazioni, che avendo l’aspetto di fili, di granuli, di coroncine, ecc. hanno omologato ai mitocondri animali. Ma con gli stessi metodi dei mitocondri hanno in seguito osservato che si tingono anche 1 (1) ScamipTt. — Zeitschr. f. Bot., IV Jahrg., 1023 Heft, pag. 711. PR SIATE, AE VO, CO è | o A ei an 0 SE RR E pe: | Ò i X À p do — 342 — cromatofori; dunque, hanno conchiuso, questi hanno origine da quelli. Il ragionamento dello Schmidt, se è esagerato, non manca però di fondamento, poichè in realtà una continua preoccupazione rile- vasi ad ogni passo nelle loro memorie nel voler riconoscere nelle piante quella stessa importanza che i mitocondri hanno negli ani- mali. Però per affermare che dai mitocondri abbiano origine i plastidi non è vero che essi si siano limitati alla semplice con- statazione che questi si tingono come quelli, ma hanno potuto se- guire fra gli uni e gli altri tutte le forme intermedie e non soltanto su materiale precedentemente fissato, ma anche in cellule vive. Un'altra osservazione fa lo Schmidt, a cui si associano il Meyer nella sua critica e il Lundegird nella seconda memoria anzi citata, ed è la seguente: le forme che precedono il cromatofori definitivi e che vengono attribuite ai condriosomi non rappresentano in fondo che diversi stadii di sviluppo di essi, stadii che anche prima furono in parte osservati mediante una lunga e difficoltosa osservazione e che ora, dati i metodi più perfetti di tecnica, possono seguirsi molto più agevolmente. In tal modo però la divergenza verrebbe a ridursi ad una semplice questione di termini, inquantochè gli stadii di svi- luppo, prima soltanto in parte intravisti ed indicati ugualmente col nome di plastidi, ora son chiamati mitocondri. Epperò essendo stati questi stadii intravisti soltanto in parte, è probabile che sieno sfug- giti gli stadii iniziali, in cui i plastidi come tali non esistono, mentre esistono le formazioni indicate col nome di mitoconari. Il Lewitsky infatti afferma che fra le figure da lui osservate su ma- teriale vivente (e che corrispondono in tutto a quelle fornite da materiale fissato) e le figure descritte dal Meyer come stadii iniziali dei plastidi non vi è nessuna somiglianza. Il Guilliermond a questo riguardo è, come abbiamo visto, più conciliativo del Lewitsky, am- mettendo che i brevi condroconti, 1 quali aumentando di volume divengono i plastidi, non siano che i corpi considerati dallo Schimper e dal Meyer come i leucoplasti iniziali. Lo Schmidt infine osserva ancora che se, come afferma il Pensa, è necessaria la presenza della clorofilla perchè avvenga l’impregnazione argentica, le speciali for- mazioni da lui descritte non sono nient’altro che dei cloroplasti. Ma noi abbiamo visto che anche il Guilliermond e il Lewitsky so- stengono che i corpi mitocondriali in un determinato stadio della loro evoluzione accusano la presenza di clorofilla, pur essendo an- cora lontani dalla loro fase definitiva; il che toglie molta della sua. validità all’appunto dello Schmidt. Il Rudolph infine pubblica in questi giorni una memoria in cui cate I RAT IE pic Maggio sostiene con argomentazioni non soverchiamente fondate che fra condriosomi e plastidi non v'è alcun rapporto genetico. Comunque sia, è evidente che la teoria dei mitocondri è lungi dal riscuotere il consenso comune degli studiosi; ed è probabile che le discussioni continuino per un bel pezzo, anche perchè i seguaci di essa già annunziano che altri uffici importanti, oltre quello della produzione dei plastidi, spettano ai mitocondri nel regno ve- getale. Affinchè però tali discussioni riescano utili è d’uopo che ai fatti si contrappongano i fatti e non il semplice ragionamento. Roma, 81 dicembre 1912. E. CARANO. RIVISTA DI SISTEMATICA R. KnurH. — Geraniaceae. — Engler’s Pflanzenreich, fasc. 54. Un volume di 640 pag., con 427 illustrazioni in 80 figure. Leipzig, W. Engelmann, 1912. I caratteri delle piante appartenenti alla famiglia delle Gera- niaceae secondo il monografo sono i seguenti : Fiori ermafroditi, regolari o più raramente irregolari zigo- morfi. Sepali 5, 4, liberi o più di rado congiunti fino a metà, imbricati o rar. valvati, uno (il posteriore) talora speronato. Petali 5 04, rarissimamente (nel gen Rbynchotheca) mancanti per aborto. Stami in numero doppio 0, più raramente, triplo dei sepali, 0 più: spesso tutti anteriferi, o talora î 5 alterni privi di antere, 0 talvolta anche per aborto 2-9 o 7; filumenti + connati alla base, più ra- ramente liberi; antere versatili, 2-loculari, congiunte con scarsissimo connettivo: carpelli riuniti con l’asse, superiormente allungati in ro- stro; stimmi ligulati, rarissimamente capitati: ovuli 1 0 2 sovrap- posti nei loculi, penduli, col micropilo disposto superiormente e col rafe ventrale, raramente in maggior numero. Frutto 3-5 raramente 8-lobo : lobi monospermi deiscenti settifragamente fino all'asse e spesso + spi- ralmente revoluti dalla base all’apice del rostro, raramente con 2 - 0 semi. Semi penduli: testa membranacea 0 subcoriacea. Erbe annue o suffrutici 0 raramente frutici arborescenti. Foglie opposte od alterne, per lo più 2 stipolate, dentate, lobate, dissecte, composte, più raramente intiere. Peduncoli ascellari 1-2 flori 0 mul- tiftori quasi ad ombrello: più di rado fiori isolati, ascellari, privi di brattee. Fiori spesso appariscenti, sepali persistenti: petali obcor- dati o spatolati o lineari di vario colore, spesso pallidamente porpo- rini, più di rado gialli. Sa Mt ta sa tei La prima parte della monografia comprende lo studio degli organi vegetativi a partire dalla germinazione del seme, dal loro aspetto morfologico esterno, alla costituzione morfologica interna, al loro comportamento biologico: l'Autore studia così il fusto, le foglie, le radici, i fiori, i frutti ed i semi, tanto nel loro aspetto normale, quanto nelle loro deviazioni teratologiche. | In quanto alla distribuzione geografica. la maggior quantità delle 600 specie di Geraniacee attualmente conosciute è diffusa su en- trambe le zone temperate: e di queste specie, che vivono nelle re- gioni temperate, il più gran numero abitano le montagne e le re- gioni montuose, tanto che ed esistono fra esse non poche specie tipicamente alpine. Dei sottogruppi: le Diracmeae, con la specie Diracme Socotrana sono limitate all’isola di Socotra; le Vivianeae e le Wendtieae abi- tano l'America meridionale subtropicale nel versante Pacifico. Le Biebersteinieae invece sono diffuse nella regione asiatica delle steppe fino alla regione delle steppe ponto-dacica, mentre le Geranieae, che costituiscono il gruppo più ricco di specie, sono quasi uniforme- mente diffuse nelle zone temperate e subtropicali, solo un piccolo numero sì trova nei tropici. Il gen. Sarcocaulon, povero di specie, si trova nell'Africa meridio- nale e meridionale-occidentale; il gen. Monsonia ad esso affine è tipico delle steppe e dei deserti di tutta l’Africa ed è largamente diffuso nell'Africa meridionale. Per non aumentare troppo i limiti di questa recensione non possiamo intrattenerci con dettaglio sulla diffusione dei generi: Erodium, che si trova in tutta Europa fino al 60° di lat. Nord, in Asia in tutta la Siberia meridionale fino alle coste del Giappone e del mare di Ochotsk, nell'Asia mediterranea donde si spinge attraverso l’Himalaya fino al Tibet, mentre nel- l’Africa è limitato solo alla regione mediterranea; Geranium, ric- chissimo di forme per lo più montane, è largamente diffuso in tutto il mondo, più particolarmente nel regno floristico dell'Asia orien- tale, nell'America settentrionale e nell'America meridionale subtro- picale, nell’Eurasia temperata e nell'Africa non tropicale, mentre l'Australia e la regione dei Monsoni sono le più povere di specie. Il gen. Pelargonium poi è inquilino dell’Africa, ad eccezione di quattro specie: P. Endlicherianum (Asia Minore), P. Rodneyanum, P. australe, P. anceps (Australia). Il P. grossularioides, affine al P. anceps, si trova anche in California e nelle Indie Orientali nelle montagne del Nilagiri. Resti fossili delle Geraniacee si trovano nel Bernstein, sotto forma di frutti del Geranium Beyrichi Conwentz e dell’Erodium nudum Conwentz. Le Geraniacee sono affini alle Ossalidacee, alle Tropeolacee, alle Balsaminacee: però mentre queste ultime restano isolate nel gruppo per l’orientazione dei semi, sonvi rapporti abbastanza stretti fra le Geranieae-Biebersteinieae e le Tropeolacee da un lato e fra le Wend- tieae- Vivianeae e le Ossalidacee dall’altro. Le Geraniacee sono col- legate anche con le Linacee e le Rutacee per l’obdiplostemonia e particolarmente con le Rutacee per la presenza di idioblasti oleiferi sparsi nel parenchima. Per il loro considerevole contenuto in tannino molte Gerania- cee, nei loro paesi di origine, vengono impiegate come rimedio contro la dissenteria: così la Monsonia ovata, M. biflora, M. Burkeana, inoltre le specie di Pelargonium: reniforme e zonale e le radici del Ge- ranium nepalense, G. Wallichianum, G. maculatum. Contro le emor- ragie uterine Komorowitsch ha indicato un decotto di Erodium cicutarium, che viene usato in Russia con buon successo. Nei popoli dell’Africa meridionale vengono usate come the le foglie di Erodium incarnatum, sotto il nome di Natal Wild tea. Nell’America settentrionale e meridionale viene usato come eccel- lente foraggio l’ Erodium cicutarium. L'essenza che in commercio va sotto il nome di oleum geranti deriva per la maggior parte dall’ Andropogon schoenanthus e da questa pianta deriva tutta l’essenza di tal nome che viene dalla Turchia, dall’India e dalla Spagna. Solo l’oleum geranii di Francia (peso spec. 0.906) deriva da Pelargonium e con molta probabilità dal Pelargonium roseum, il geranio rosa dei giardinieri. In uno speciale capitolo l’autore tratta poi degli ibridi e delle forme orticole delle Geraniacee, alcune delle quali sono di grande importanza. Per i caratteri forniti dai carpelli, dai sepali, dai semi e dai frutti le Geraniaceae si dividono in cinque tribù, come dimostra la seguente tabella: A) Carpelli maturi forniti di lunga appendice (coda), code + spiralmente contorte dalla base all’apice del rostro. Trib. I. GERANIFAR. a GARILIOSI p) èe3o ì ni A Ri (1 % uc RT pr SABOT TT, CRT OR si - n STAI B) Carpelli maturi privi di coda. a) Sepali liberi, imbricati. sa x. Semi solitari nei carpelli. | Trib. II. BIEBERSTEINIFAE. i 8. Semi 2 0 00 nei carpelli. È: Trib. III. WENDTIFAE. b) Calice tubuloso o campanulato, connato fino circa a metà, lacinie imbricate. x. Frutto a capsula. Trib. IV. VIVIANEAE. B. Carpelli 8, disgiunti. Trib. V. DIRACHMEAE. * * * Trib. I. — GERANIEAE Benth. Fat Saia ASI L. Gen. 1. Geranium L. — Sp. circa 250, diffuse nelle regioni tem» perate di tutta la terra, nelle regioni tropicali sugli alti monti. Sect. 1. Columbina, sp. 11, Eurasia temp. di; 1. G. pusillum Burm. — Nell’Eurasia fino all’Himalaya occid.: Sicilia (Messina). 3. G. columbinum L. — In tutta Europa: manca nella Russia, vi sett., orient. e centrale, nella Svezia sett. ed in tutta la Norvegia, i; sì trova anche nell’Africa mediterranea occid. sì; 4. G. dissectum L. “ var. x. typicum R. Knuth. — Eurasia fino alla Persia, Reg. mediterranea; introdotto in California, Messico, Ecuador, Chilì, Bra- sile, Argentina. 6. G. rotundifolium L. — Eurasia fino all’Himalaya occid. T. G. bohemicum L. — Diffuso in tutta Europa eccetto nel set- tentrione: anche nell’Africa medit. occidentale. (Tirolo presso Bol- zano, It. centr. e merid., Sardegna, Corsica). 8. G. divaricatum Ehrh. — Eurasia fino alla Tsongaria, come pure nella parte occidentale della regione mediterranea africana.. 9. G. molle L. — Eurasia fino all’Himalaya occidentale. var. è. grandiflorum Vis. — Reg. mediterranea orientale: Ca-. labria, M. Pizzo. 10. G. brutium L. — Calabria (Rosarno, Anoja), Bosnia. 11. G. delicatulum Ten. et Guss. — Italia (Abruzzi). Sect. 2. Lucida, sp. 7, Reg. medit. Afr. trop. Euras. temp. 18. G. lucidum L. — In tutta Europa, ad eccezione della Scan- dinavia sett., Finlandia, Russia sett., Asia temperata fino all’Hi- malaya occid., Macaronesia. Sect. 3. Robertiana, sp. 1 Euras. temp. 19. G. KRobertianum L. var. a. genuinum, Gren. et Godr. — In tutta Europa fino 68° 12' lat. bor. e nelle isole vicine: Asia temp., Africa settentr. Introdotto a Malacca, nell’America atlantica settentr. e merid., Chili. var. 8. purpureum (Vill.) DO. — In tutta la regione medit., nell'Africa orientale merid. fino all’Uganda. Sect. 4. Chilensia, Sp. 22. tutte dell'America merid. 1 sp. dell'Australia. Sect. 5. Andina. Sp. 17, Ande ed alte montagne dell'America merid. Sect. 6. Unguiculata sp. 4, Reg. medit. 60. G. macrorrhizum L. — Eur. merid. mediterranea centr. ed orient.: Italia (Campania, Istria, Tirolo). Sect. 7. Subacaulia sp. 4, Reg. medit. 64. G. cinereum Cav. var. «. typicum R. Knuth. — Pirenei ed Appennino meri- dionale (M. Sirente, M. Pollino, Monte Miletto, M. Meta, presso Ce- realto). 66. G. argenteum L. — Alpi orient., Appennino centrale. Sect. 3. Tuberosa Boiss. sp. 3, Reg. medit. 68. G. tuberosum L. var. x. genuinum. — In tutta la reg. medit. fino alla Tsongaria: Italia (Nizza, S. Remo, Abruzzi, Basilicata, Sicilia). Sect. 9. Anemonifolia R. Knuth. sp. 1. Macaronesia. Sect. 10. Caespitosa R. Knuth. sp. 11 tutte americane. Sect. 11, Gracilia R. Knuth. sp. 7 tutte americane, Sect. 12. Sylvatica R. Knuth. sp. 26. Reg. paleoart. ANNALI DI BoranICA — Vor. XI. 23 ui ERI IA MAN > FILES PRA Wa OPROROMII SG O EI CTCRYAZI SOCIA RI INOAENI IA NPT yo edi © Je =r SSA 1 lt De pena = AA Di È dat I AEREI DAR ARIETE) ea ‘4 van de PRODI É # nI r a Si : 850 Nota 103. G. sylvaticum L. — Eurasia ad oriente fino al Jenissei. Ita- lia (Alpi, Appennini). 111. G. aconitifolium L'Hèr. — Alpi (M. Bianco, M. Cenisio ecc.). 113. G. pratense L. — Eurasia ad oriente fino al Kamtschatka. Italia (Alpi, Appennini?). Sect. 13. Reflexa R. Knuth. sp. 8, Reg. paleoart e medit. 116. G. phaeum L. — Eur. centr. ed occid. Alpi, Appennini. var. B. lividum (L’Hèr.) Pers. — Tirolo, Colli Euganei. 117. G. reflerum L. — Parte centr. dell'Appennino e della Pen. balcanica: Morrone, Majella, Gran Sasso d’Italia. Sect. 14. Polyantha R. Knuth. sp. 3, tutte asiatiche. Sect. 15. Sanguinea R. Knuth. sp. 11, Euras. temp. 127. G. sanguineum L. — Quasi in tutta Europa e nel Caucaso. Sect. 16. Rupicola R. Knuth. sp. 8, Am. Austr. Sect. 17. Brasilensia R. Knuth. sp. 3, Brasile. Sect. 18. Australiensia R. Knuth. sp. 3, Austr. Giava. Sect. 19. Pyrenaica R. Knuth. sp. 6, Reg. med. or. Eur., Afr. austr. 152. G. pyrenaicum Burm. f. — Marocco, in tutta Europa ed Asia minore. var. «. typicum Woron. var. 0. umbrosum Reichb. Sect. 20. Renifolia R. Knuth. sp. 5. Afr. ed Am. trop. Sect. 21. Incana Rcht. sp. 12, Africa. Sect. 22. Incanoidea R. Knuth. sp. 15, Messico. Sect. 23. Palustria R. Knuth. sp. 21, Eurasia. 191. G. palustre L. — Europa al sud fino ai Pirenei, It. sett. e Turchia al nord fino alla Finlandia ed alla Svezia merid. Sect. 24. Striata R. Knuth. sp. 11, Eurasia 1 sp. Messic. 210. G. striatum L. — Appennino meridionale (Napoletano, Ba- silicata, Calabria, Sicilia), Pen. balcanica merid. i 211. G. nodosum L. — Montagne dell'Eur. meridionale (Piemonte, presso Brescia, Tirolo merid., Friuli, Appennino toscano, Corsica). Sect. 25. Sibirica R. Knuth. sp. 1. Eurasia. Sect. 26. Mexicana R. Knuth. sp. 6, Amer. centr. Sect. 27. Simensia R. Knuth. sp. 10, Africa. Sect. 28. Laxicaulia R. Knuth sp. 2, Am. merid. occid. Sect. 29. Diffusa R. Knuth. sp. 14, Am. merid. Sect. 30. Neurophylloidea A. Gray. sp. 6, Is. Hawai. Gen. 2. Erodium L’Herit. -— Sp. 60. Sect. 1. Plumosa Boiss. sp. 5. Afr. medit. Prov. armena-iranica. Sect. 2. Barbata Boiss. sp. 55. Subsect. 1. Incarnata Brumh. sp. 1, Afr. merid. » 2. Guttata Brumh. sp. 5. Reg. medit. 1 sp. Am. sett. 9. E. Gussonei Ten. — It. merid. (Napoli, Manfredonia, Otranto, M. Catalfano). Subsect. 3. Pelargoniflora Brumh. sp. 6. Reg. medit. sud-oc- cid. merid. ed orient. Subsect. 4. Malacoidea W. et L. sp. 8. Reg. medit., Africa, America, Austr. 18. E. laciniatum (Cav.) Willd. — Reg. medit.: introdotto nel- l’Am. merid. 4 var. x. genuinum Boiss. — Sicilia. >» |. envolucratum W. et L. — Sicilia, Sardegna. » v. affine Porta et Rigo. — Abruzzi, Sicilia. > dò. pulverulentum Boiss. — Sicilia. 19. E. Chium Willd. — Reg. mediterranea europea ed africana, ad oriente fino all'Isola di Syra e di Chio, Macaronesia, It. merid. var. 0. murcicum. — It. merid. (S. Lazzaro). 20. E. malacoides Willd. — Reg. mediterranea, introdotto in Ma- caronesia, Capo di B. S., Am. sett. e merid., It. sett. centr., mer. ed insulare. var. y. crassifolium Brumh. — Toscana, Sicilia f. albiflorum. Subsect. 5. Chamaedryoidea Brumh. sp. 4. Reg. atlidutica li- gure tirr., Asia centr. 26. E. maritimum (Burm. f.) L’Hèrit. — Provincia ligure tir- rena, e Provincia atlantica nella parte sett.: inselvatichito al Capo di B. S. var. 0. Bocconi (Viv.) DC. — Corsica, Sardegna, Sicilia. 28. “E. corsicum Leman. — Coste rocciose della Corsica e della Sardegna. 3 PRIN ELIO PONE EPTO A RT SRI SP SE RA] TRITATA PINTO PREV e fo | a eat ei | È ” ao x RAR RE E NA en en SALATE eu ; “ by h Sea È Bca È FIR pri 1a ù 29. E. Chamaedryoides (Cav.) L’Hèrit. — Is. Baleari. Secondo Brumhard anche al M. S. Michele in Corsica? Subsect. 6. Gruina W. et L. sp. 5. Reg. medit. Ponto, Asia centr. 33. E. botrys (Cav.) Bertol. — Pianta ruderale di tutta la reg. mediterranea: inselvatichita in Macaronesia nell'America sett. e merid.: Corsica, It. merid., Sicilia. var. genuinum Rouy. » luxurians Gauss. 34. E. gruinum (L.) L’Hèrit. — Reg. medit. centr. ed orient. ec- cetto l’It. continentale: Sicilia. Subsect. 7. Absinthioidea Brumh., sp. 7. Reg. medit., Asia. 35. E. ciconium (L.) Ait. — Pianta ruderale di tutta la reg. medit. fino all'India ant. inselv. nell’Am. sett.: It. sett., centr., merid. ed insulare. 40. E. alpinum (Burm.) L’Hèrit. — Alte regioni montuose degli Abruzzi e dell’Appennino romano? Subsect. 8. Petraea Brumh. sp. 6. Pirenei, Siria, Algeria, Spa- gna mer., Marocco. Subsect. 9. Cicutaria W. et L. sp. 6. Reg. medit. merid. occid. 49. E. bipinnatum (Cav.) Willd. — Eur. occid. dal Belgio alla Spagna merid, inoltre in Algeria, Marocco, Tunisia, Sardegna e Corsica. bl. E. cicutarium (L.) L’Hèrit. var. x. triviale Trautv. — Italia: Liguria, Sicilia. f. chaerophyllum. — Italia: Verona, Sardegna, ecc. var. d. primulaceum Brumh. — Firenze, Padova, Sardegna. 52, E. moschatum (L.) L’Hèrit. — Pianta ruderale di tutta la reg. medit.: qui e là inselvatichita nell’Eur. sett., inoltre naturalizzata in Macaronesia, Capo di B. S., America sett. e merid., Australia. Italia: sett., centr., merid. ed insulare. var. B. praecox Lange. Subsect. 10. Romana Brumbh. sp. T. Reg. medit. merid. occid. 54. E. romanum (Burm. f.) Ait. — In tutta la reg. medit.: It. centr., merid., insul. var. B. canescens Guss. — Sicilia sett. E. cicutarium X romanum Brumh. — Sicilia. — 353 — Gen, 3. Monsonia L. — sp. 29, Africa. Gen. 4. Sarcocaulon (DC.) Sweet. — sp. 6, Afr. merid, Gen. 5. Pelargonium L’Hèr. — sp. 232 e numerosi ibridi artificiali. Il P. inquinans Ait. dell’Afr. mer, è subspontaneo sui margini delle vie a Nizza, Monaco, Mentone, Ventimiglia, ecc. Trib. II. — BieBERSTEINIEAE (Endl.) Boiss. Gen. 6. Biebersteinia Steph. — sp. 5, Asia, Trib. III. — WENDTIEAE Benth. Gen. 7. Rhynchotheca Ruiz et Pav. — sp. iL Ande, Gen. 8. Wendtia Meyen. — sp. 3, Chilì, Argentina. Gen. 9. Balbisia Cav. — sp. 6, Ande subtropicali. Trib. IV. — VivianIcaR (Endl.) Benth. Gen. 10. Viviania Cav. — sp. 28, Chilì, Brasile. Trib. V. — DIRAcHMEAE Rich. Gen. 11. Dirachma Schweinf. — sp. 1, Is. Socotra. * * * In questa monografia è da notare che in calce alla descrizione di molte specie, specialmente delle più diffuse e polimorfe, l’Au- tore ha riunito in tabelle analitiche il quadro delle forme secondo gli studi dei diversi autori. Un copioso indice di ersiccata chiude questo grosso volume ela- borato con la diligenza abituale nei collaboratori del P/lanzenreich. FABRIZIO CORTESI. K. Krause. -- Goodeniaceae und Brunoniaceae. — Engler’s Pflanzen- reich Heft. 54. Un volume di pagine 214 con 266 illustrazioni. in 35 figure. Leipzig, W. Engelmann, 1912. La prima parte della monografia delle Goodeniaceae descrive i caratteri, gli organi vegetativi, la struttura anatomica, l’organizza- zione fiorale, l’impollinazione, il frutto, il seme e la germinazione, Nei rapporti della distribuzione geografica le Goodeniacee sono per la maggior parte originarie dell'Australia: dei 13 generi infatti che comprende questa famiglia 10 sono completamente australiani; di 291 specie che questi 18 generi complessivamente comprendono, 27 sole sono extraustraliane; delle altre 264, 126 si trovano nell’Au- stralia occidentale extratropicale, 58 nell’Australia orientale, 39 ap- partengono all’Eremea e 34 sono proprie delle steppe dell'Australia settentrionale. Riguardo alla posizione sistematica le Goodniaceae appartengono alla serie delle Campanulatae e sono prossime alle C'ampanulaceae e particolarmente alla sezione delle Lobelioideae. Per il notevole contenuto in sostanza amara che si osserva nelle Goodeniacee queste piante sono usate nella medicina locale e re- gionale: così le foglie della Scaevola Plumieri e della S. frutescens sono impiegate come rimedio contro il beriberi, in molte parti del- l'India, mentre la radice dell’ultima specie viene usata alle Is. Mo- lucche come antidoto contro gli avvelenamenti. I frutti di alcune specie di Scaevola sono mangiati: così pure le giovani foglie di S. frutescens. Il midollo di questa pianta è usato per fare la carta di riso dell’arcipelago indomalese e serve per molti lavori di orna- mentazione. Alcune Goodeniacee dell'Australia servono come fo- raggio ed alcune Leschenaultia e Goodenia per la bellezza dei loro fiori sono coltivate a scopo ornamentale. Gen. 1 Velleia Smith. sp. 18. » 2 Symphyobasis Krause sp. 1. 3 Goodenia Smith. sp. 99. 4 Calogyne R. Br. sp. 4. > 5 Leschenaultia R. Br. sp. 19. » 6 Anthotium R. Br. sp. 2. ‘ Selliera Cav. sp. 2. __8 Pentaptilon E. Pritzel sp. 15 >» 9 Catosperma Benth. sp. 1. v DA v A ini È Gen. 10 Diaspasis R. Br. sp. 1. . >» 11 Scaevola L. sp. 83. » 12 Verreauxia Benth. sp. 3. » 13 Damptera R. Br. sp. 57. * E La famiglia delle Brunoniaceae è una famiglia monotipica rap- presentata da un unico genere e da un’unica specie: la Brunonia australis Smith, la cui posizione sistematica è stata per lungo tempo incerta, tanto che alcuni hanno riferito tale genere alle Dipsacacee, altri alle Campanulacee, alle Goodeniacee, alle Globulariacee, taluni come un anello intermedio fra le Borraginacee e le Lamiacee. Ma in seguito agli studi anatomici di Colozza, che dimostrano l’affinità con le Goodeniacee, questa pianta deve essere riferita alla serie delle Campanulatae, in cui costituisce una famiglia distinta. La Brunonia australis è esclusivamente australiana e si presenta in tre varietà: macrocephala, sericea, simplex. FaBRIZIO CORTESI. perfino alle Composite, alle Plumbaginacee, od è stata considerata __— zf.rr— _ FT ———______ÒP_—tt2———__———————————_————___—_—_—__T_-+-_--@ NISSAN AINAIISLNASNA NA III NARRFILFA NANA MSANSSSNSI NI SINISESIE SNA, BIBLIOGRAFIA TiscaLer G. — Uber die Entwicklung der Samenanlagen in par- thenokarpen Angiospermen-Fritchten. — Jahrb. f. wiss. Bota- nik. LII (11 giugno 1912), pag. 1-84 con 2 tavole e 30 figure nel testo. In questo lavoro il Tischler espone i risultati da lui ottenuti studiando con i metodi della microtecnica moderna i fenomeni che avvengono negli ovuli di alcuni frutti partenocarpici. Egli tratta con competenza l’interessante argomento, dimostrando anche una larga conoscenza della bibliografia in proposito. L’A. distribuisce le diverse piante partenocarpiche finora note in vari gruppi, per ognuno dei quali egli tratta come tipo una pianta: A. — OVULI CON SACCO EMBRIONALE NORMALE ALL'’ANTESI. I. — Ovuli con mutamenti progressivi nel gametofito (tipo Ficus Carica). Nel maggior numero degli ovuli provenienti da esemplari di Fico coltivati ad Heidelberg — ove non si trova il Caprifico — l’A. tro- vava che, senza dimostrabile eccitazione esterna, si aveva forma- zione di endosperma. Mentre le cellule di questo tessuto in molti casi morivano precocemente, esse persistevano in altri e si sviluppavano in un tipico tessuto nutritizio. L'A. trovava dunque nel Fico di Hei- delberg la partenogenesi dell’endosperma, da me e dal Leclere du Sablon già trovata nel Caprifico, con la differenza però che, mentre nel Caprifico essa avveniva in seguito ad un’eccitazione esterna — deposizione dell’uovo della Blastofaga —, nel Fico di Heidelberg invece non era dimostrabile alcuna eccitazione esterna. Ed è stato a bene che le ricerche del Tischler siano state fatte fuori dell’area di distribuzione del Fico e del Caprifico, giacchè, altrimenti, po- teva sempre sorgere il dubbio che qualche Blastofaga fosse entrata. nei ricettacoli. Negli stessi ovuli del Fico di Heidelberg il Tischler non trovava però mai un solo embrione quantunque esaminasse accuratamente centinaia di ovuli, ed anche il tentativo da lui fatto di far germi nare i frutticini diede risultato assolutamente negativo. Queste ri- cerche vengono quindi indirettamente a confermare la conclusione a cui ero giunto nel 1905. Dopo aver potuto seguire col sussidio della microtecnica moderna il percorso del tubetto pollinico fino al sacco embrionale (percorso che sì compie neil’ovulo in modo particolare: Acrogamia aporogama) ero venuto alla conclusione che nel Fico non si ha partenogenesi, la formazione dell'embrione avendo luogo « in seguito a fecondazione ». Le ricerche del Tischler hanno infatti provato che anche nel Fico di Heidelberg, mentre l’endosperma si può produrre partenogeneticamente, la cellula uovo invece, man- cando la fecondazione, non si sviluppa in embrione. Degno di nota è ancora il fatto messo in evidenza dal Tischler, che nell’endosperma partenogenetico del Fico di Heidelberg — senza, ripeto, che vi sia embrione — si ha un’autodigestione che procede dall'interno verso l’esterno. Il Tischler naturalmente studia lo sviluppo e la struttura del- l’ovulo del Fico di Heidelberg, ed egli non solo conferma quanto io aveva già pubblicato e sostenuto che, cioè, rell’ovulo del Fico manca il micropilo, ma si meraviglia come mai lo Tschirch ne vo- glia affermare l’esistenza: « Der Mikropylarkanal fehlt Ficus Ca- rica zur Zeit des fertiggestellten 8-kernigen Embryosacks ebenso st- cher, wie dies fitr Ficus hirta nach Treub der Fall ist. Meine Pré- parate waren auch in unserem Falle ganz eindeutig und ich kann mich nur Longo anschliessen, der das gleiche angibt. Ganz unbe- greiflich ist mir, wie Tschirch das Vorhandensein einer offenen Mikro- pyle behaupten kann. Denn man kann zwar auf Medianschnitten zwischen den Zellen des Integuments oberhalb des Nucellus eine Tren- nungslinie “ konstruieren ”, aber dabei bleibt doch die Tatsache be- stehen, dass der Hohlraum restlos mit Gewebe verschlossen ist. Die Longoschen Mikrophotographien kinnten auch von meinem Material stammen». Formazione di endosperma senza che avesse avuto luogo fecon- dazione il Tischler trovava anche negli ovuli di certe razze di Ananas sativa : î } II. — Ovuli con mutamenti progressivi nello sporofito (tipo alcune varietà di Ananas sativa). In altre razze di Ananas sativa il Tischler non trovava mai svi- luppo di endosperma, ma invece delle particolari proliferazioni nu- cellari. III. — Ovuli con degenerazione di tutti gli elementi (tipo Musa sapientum e tipo Mihlenbeckia platyclados). Nella Musa sapientum il Tischler dice che, mancando la fecon- dazione della cellula uovo, tutti gli elementi dell’ovulo degenerano; però nella nucella possono prima avvenire caratteristici fenomeni di dissoluzione analogamente come si presentano negli ovuli fe- condati, quindi senza il diretto stimolo del sacco embrionale accre- scenfesi. Nella MiAlenbeckia platyclados il Tischler trovava la parteno- carpia tanto a Buitenzorg e ad Amani quanto ad Heidelberg. Gli ovuli di questa pianta, mancando la fecondazione, degenerano total- mente, come pure tutti i tessuti carpellari ad eccezione dell’epi- dermide dell’ovario. ‘BV OVULI NEL QUALI NON SI SVILUPPA UN SACCO EMBRIONALE NORMALE. Nelle due razze di Musa, la « Puwalu » di Ceylan e la « Ki- panji > dell’Africa orientale, il Tischler non potè constatare un solo sacco embrionale normalmente sviluppato; entrambe queste razze presentano anche una forte riduzione degli organi maschili. B. Loxao. Kurssanow, L. — Uber Befruehtung, Reifung und Keimung bei Zygnema. —- Flora, N. F., IV Bd., I Heft, 1911. L’autore ha studiato due specie, Zygnema cruciatum Ag. e Z. stellinum Kirchn. e i risultati a cui è giunto sono conformi nei tratti generali a quelli ottenuti quasi contemporaneamente dal Trondle per Spirogyra : 360 — Nella copulazione il protoplasto maschile gira di 90° in modo che nel canale di copulazione passa prima un cromatoforo, dopo il nucleo ed infine il secondo cromatoforo, mentre il protoplasto femmineo non cambia di posizione. La fusione dei nuclei dei due gameti avviene abbastanza presto nello zigoto, nel quale, su bito dopo la formazione della membrana, degenerano i due croma- tofori maschili. Il nucleo dello zigoto o nucleo primario fornito di 28 cromo- somi, mediante doppia divisione (etero- ed omeotipica) forma quattro nuclei figli o nuclei secondarii a 14 cromosomi ciascuno, di cui però tre degenerano e l’unico superstite prende il posto del nucleo pri- mario. Una fusione successiva di due nuclei secondarii, come era stata osservata dal Chmielewski, non si effettua. Se accidentalmente degenerano due nuclei secondarii soltanto, gli altri due rimangono distinti e dallo zigoto ha origine un individuo a cellule binucleate. La divisione del nucleo nello zigoto è un feno- meno atavico, ereditato dagli antenati delle Zygnemaceae, i quali a simiglianza delle Mesotaeniaceae, dovevano sviluppare nell’in- terno dello zigoto 4 distinti embrioni. Nella germinazione dello zigoto il nucleo superstite si divide equazionalmente e si produce un individuo aploide, le cui cellule cioè hanno un nucleo a 14 cro- mosomi. E. CARANO. PeénAU, H. — Contribution è la eytologie de quelques microrganis- mes. — Revue générale de Botanique, tome XXIV, 1912. È un complesso di osservazioni forse ancora un po’ caotiche ma interessanti, che confermano in alcuni punti, in altri confutano i risultati di autori precedenti sul difficile argomento della struttura fina di alcuni microrganismi. Le ricerche sono distinte in due parti, di cui la prima riguarda la citologia di un fungo, Endomyces al- bicans, la seconda quella di 3 batterii, Bacillus anthracis, B. me- gatherium, B. mycoides. Il riassunto storico che precede in ciascuna parte alle ricerche originali, dà agio al Pénau di mettere in rilievo le numerose contradizioni esistenti sui diversi costituenti cellulari, in ispecie sul nucleo, riguardo alla sua interpretazione, alla sua struttura, alla sua presenza od assenza in stadii differenti dell’evo- luzione dell’individuo. Siffatte contradizioni sono attribuibili, se- condo l’autore, sopratutto ad errori di tecnica, avendo la maggior parte degli studiosi precedenti fatto uso nelle loro ricerche dello stesso metodo di fissazione e di colorazione per mettere in evidenza ad un tempo formazioni cellulari differenti e che si comportano differentemente di fronte ai mezzi fissatori e coloranti. È perciò che egli crede opportuno d’indicare la tecnica seguita per ogni specie esaminata e quindi ì metodi nuovi specialmente di fissazione da lui adoperati per alterare il meno possibile la struttura cellulare. In Endomyces e nei tre bacilli su menzionati vi sono gli stessi costituenti morfologici cellulari; cioè, oltre al citoplasma ed ai va- cuoli, il o i nuclei, il reticolo basofilo, i corpuscoli metacromatici. Il nucleo può presentarsi sotto aspetti differenti non solo da specie a specie, ma anche nella stessa specie a seconda dello stadio d’evo- luzione dell'individuo; ad ogni modo sia esso presente per tutto l’intero ciclo di sviluppo, sia presente temporaneamente, non manca mai. Il reticolo basofilo è una formazione speciale di natura e fun- zione non ancora ben definite, forse assimilabile ad ergastoplasma o a mitocondrii, ma distinta dal nucleo e dai corpi metacromatici, coi quali finora era stata confusa, non solo per la sua genesi, ma anche pei suoi caratteri morfologici e per le sue proprietà croma- tiche. I corpuscoli metacromatici costituiscono essenzialmente delle sostanze di riserva e non dei veicoli o accumulatori di tossine ; sono dal punto di vista chimico ancora poco conosciuti; ma per il modo di comportarsi di fronte ai reattivi microchimici sembra che sieno di natura lipoidica. Il Pénau tenta anche per mezzo di due ipotesi, una chimica l’altra fisica, di spiegare il fenomeno della metacromasia posseduta da questi corpi. Nucleo, reticolo basofilo, e corpi metacromatici possono persi- stere indipendentemente gli uni dagli altri per tutta la vita del- l'individuo; oppure il nucleo può ad un certo stadio d’evoluzione scomparire come tale, originando un cromidio. In Endomyces albicans, ad es., il nucleo ed il reticolo basotilo non solo persistono per tutto il ciclo d’evoluzione, ma entrambi partecipano al processo di gemmazione nella forma di fermento, o alla divisione cellulare nella forma filamentosa. A. proposito del nucleo, la speciale struttura descritta dal Wager pei fermenti non esisterebbe’ secondo il Pénau, essendo ciò che l’autore inglese interpretava come nucleolo il vero nucleo della cellula e la vescicola nucleare il vacuolo a corpuscoli metaero- matici. In Bacillus anthracis invece in un certo stadio d’evoluzione non vi sono che il nucleo ed i corpi metacromatici. In seguito però il pro e tare Ei i S sei ati teo a ani Aire MEI E nucleo voluminoso e denso scompare, producendo un reticolo baso- filo diffuso (idiocromidio), dal quale proverrà la spora. In Bacillus megatherium il nucleo non degenera in nessuno stadio di sviluppo, diventando anzi centro d’edificazione della spora; ma insieme esiste un reticolo basofilo, di cui una parte interviene anche nella costituzione della spora. Anche in B. mycoides, di cui sono stati studiati soltanto i gio- vani stadii, coesistono nucleo e reticolo bosofilo. Tenendo conto della diversa struttura e del diverso modo di com- portarsi di questi organiti cellulari nel cielo d’evoluzione di un in- dividuo non solo nelle specie su menzionate ma anche in quelle studiate da autori precedenti, il Pénau tende all’idea che i batterii endospori non formino un gruppo omogeneo, potendo alcuni essere avvicinati ad Ascomiceti, altri ad alcune Cianoficee, altri a Pro- tozoi. E. CARANO. Bay, W. — Chromosomenzablen bei Triticum-und Aegilopsarten. — Berichte der deutsch. bot. Gesellsch, Bd. XXX, Heft 4, 1912. È un contributo all'importante questione dell’origine del grano coltivato, il quale, com’è noto, secondo le vedute più recenti pro- verrebbe dal Triticum dicoccoides spontaneo in Palestina, secondo vedute più antiche, ammesse anche ora da qualche autore, derive- rebbe da Aegilops ovata. Il Bally avendo avuto a sua disposizione abbondante materiale di queste diverse specie, ha potuto seguire le divisioni meiotiche nelle cellule madri del polline ed è giunto al seguenti risultati, i quali parlano evidentemente in favore della prima teoria: Triticum dicoccoides ha nuclei aploidi a 8 cromosomi come Tri- ticum vulgare e Secale cereale. Aegilops ovata, che è in grado di fornire degli ibridi con Tri- ticum, ha nuclei aploidi a 16 cromosomi. E. CARANO. DarLIne, Ca. A. — Mitosis in living cells. — Bull. of the Torrey, Bot. Club, vol. 39, N. 8, 1912. L’autore ha trovato come ottimo materiale di studio per le figure cariocinetiche in cellule vive le giovani antere di diverse specie di Acer. Dei giovani rami fioriferi venivano staccati dalla pianta TESE PRENIRARACAI e conservati in acqua nel laboratorio. Nelle cellule madri del pol- line, al momento della prima divisione, l’autore ha osservato la piastra equatoriale e ha contato i cromosomi, calcolandoli a circa 40, qual'è il numero stabilito con materiale fissato e colorato. I cro- mosomi inoltre erano ben isolati ed equidistanti fra loro, mentre di solito sì presentano alquanto ammassati in materiale fissato. Mal- grado i diversi tentativi fatti, non è riuscito all’autore di far con- tinuare la divisione di queste cellule, una volta fuoruscite dall’an-, tera. Anche nelle cellule madri del polline di Larix decidua egli ha osservato diversi stadii cariocinetici, sebbene non fossero troppo evidenti per la grande quantità d’amido esistente. E. CARANO. ArwnoLpi W. — Zur Embryologie einiger Euphorbiaceen. — Tra- vaux du Mus. bot. de l’Acad. Imp. des Sc. de St. Pétersbourg, TX, 1912. È un nuovo contributo all’interessante, quanto complessa strut- tura del sacco embrionale delle Euphorbiaceae. Le osservazioni sono state condotte su materiale raccolto dall’autore nella ricca colle - zione di Euphorbiaceae dell'Orto botanico di Buitenzorg. È noto, per le ricerche del Modilewski e recentemente anche della Dessjatoff, che in alcune specie del genere Euphordia (E. procera, palustris, virgata) il sacco embrionale a completo sviluppo in luogo della tipica struttura possiede 4 triadi di cellule poste all'estremità dei due diametri maggiori del sacco ed un nucleo endospermico ri- sultante dalla somma di 4 wuclei polari. Delle piante studiate dall’Arnoldi solo Acalypha presenta una struttura consimile, mentre le altre o posseggono un sacco tipica- mente costituito (./atropha, Glochidion, Scepasma buxifolia, Trigono- stemon) oppure un sacco a struttura ridotta (Ceramanthus, Codiacum, Pedilanthus tithymaloides). Fra le specie con sacco normale e quelle con sacco a struttura ridotta abbiamo tutti i gradi di passaggio. In Jatropha difatti a completa maturanza del sacco le antipodi per- sistono, mentre in G/ochidion, Scepasma, Trigonostemon degenerano. In Pedilanthus le antipodi non si costituiscono affatto, sicchè non v'è che la triade superiore e i due nuclei polari più o meno fusi a formare il nucleo endospermico. Infine in Ceramanthus e in Co- diaeum il sacco a maturità non contiene che 4 nuclei, tre dei quali partecipano alla formazione della triade polare e il restante rap- presenta l’unico nucleo polare. E. Carano. I RARE CITE LE 9 ni dè die le i ; d È ‘ PE af 0% AN q ; Ca; di ETRE REN DAT pù ° da , vi È Esa fior si Borromcey, W. B. — The root-nodules of Myrica Gale. — Ann. of Botany, vol. XXVI, N. 101, 1912. Sprart, E. R. — The morphology of the root tubereles of Alnus and Elaeagnus, and the polymorphism of the organism cau- sing their formation. — Ann. of Botany, vol. XXVI, N. 101, 1912. O I tubercoli, che si riscontrano sulle radici di Myrica Gale, di 3 Alnus e di Elaeagnus sono delle radichette secondarie più o meno #9 profondamente modificate e ramificate in seguito alla penetrazione SI di un batterio, che è quello stesso che determina i tubercoli delle 3 q 2% Leguminose, cioè Pseudomonas radicicola. Esso funziona nei tuber- coli suddetti, come risulta dalle esperienze degli autori, allo stesso modo che nei tubercoli delle Leguminose, vale a dire assimilando l’azoto atmosferico. Questa la parte più interessante dei due lavori. Gli autori poi danno minuti dettagli sulla localizzazione del bat- < terio nell'interno dei tessuti dell’ospite, sulle modificazioni che su- CO bisce il nucleo delle cellule infette, sul polimorfismo di Pseudomonas SA radicicola. In Alnus ed Elaeagnus infatti questo batterio può assu- sd mere due forme differenti, quella di cocco e quella di bastoncino, de in rapporto con le condizioni differenti d’ambiente. Non pertanto possono anche le due forme esistere insieme e modificarsi facil- mente l’una nell’altra. > _ E. Caravo. de. vi Lo sporofito delle Epatiche (1). se Lavoro riguardante la morfologia dello sporogonio, costituente, com’è noto, da solo lo sporofito delle Epatiche come delle Briofite in generale. Douin si occupa delle tre parti che generalmente co- stituiscono lo sporogonio (capsula, peduncolo e piede); della dei= scenza della capsula, delle spore, degli elaterii e parti analoghe; VA delle parti che proteggono lo sporogonio (perianzio, involucro, pe- p rigino); e infine discute sul valore che la morfologia di queste Di: parti può avere nella classificazione. Quattro tavole illustrano il di lavoro. KR. PIROTTA. (1) Dourn RoB. — Le Sporophyte chez les Hépatiques. — Rev. gén. Botane = XXIV, 1912, p. 402, 453, pl. 18-21. VA FLO) r i e ra Li < CD) SPA TOESONRR = 0 Conidiofori delle Erysiphaceae (1). M. Foix seguendo lo sviluppo dei conidiofori di parecchie Éri- sifacee, stabilisce quattro tipi diversi: 1° la cellula basale è contemporaneamente sostegno e cellula madre o generatrice dei conidii (Es. Erysiphe graminis); 2° un sostegno unicellulare porta una cellula madre al disopra della quale si trova una catena più o meno lunga di cellula desti- nate a differenziarsi direttamente in conidii (Es. Erysiphe poly- goni DC.); 3° sostegno spesso pluricellulare, del resto come il secondo tipo; 4° sostegno di regola pluricellulare, che può dare conidifori gemmando (Es. Vidiopsis taurica Lév.). ig. Struttura e funzione dei cistidii (2). Intorno a questi costituenti dell’imenio e dell’imenioforo di molti Basidiomiceti pubblica ora un esteso lavoro F. Knoll, dell’Univer- sità di Graz, venendo alla conclusione che cistidi e cellule cistidi- formi degli altri Basidiomiceti costituiscono un solo gruppo mor- fologico di corpi unicellulari, semplici (ramificati in Coprinus ephe- merus) e che tutti hanno funzione di idatodi (meno quelli di certi Coprinus di ufficio sconosciuto ancora); sono cioè idatodi tricomici dell’imenio basidioforo, eliminando goccie liquide già da tempo os- servate sulla superficie dei ricettacoli, con secrezione localizzata in parti determinate del pelo. Il liquido contiene sempre sostanze col- loidali provenienti dalla stessa parete e altre sostanze che sareb- bero prodotti finali del processo metobolico. I cistidii compiono ta- lora funzioni secondarie, come eliminazione di prodotti inutili del ricambio (acido ossalico), funzione meccanica. (1) Foix. M. — Les conidiophores des Erysiphaccées. Note préliminaire. — Rev. génér. de Botanique, XXIV, 1912, p. 200, avec fig. (2) KnoLL F. — Untersuchungen iiber den Bau und die Function der Cy- stidien und verwandte Organe. — Jahrbiich. f. wissenschaftl. Botanik, 50, 1912 p. 455. ANNALI DI BoranICA — VoL XI. 24 =, IA) A) PT PA a, î PREPARA TIE I PR IRR TR IIANT SIOE SINTAO TONE Nucleoli di Spirogyra (1). Con uno studio particolareggiato microchimico e microcolorante A. TrònpLE viene alla conclusione che non vi è rispondenza fra i nucleoli di Spirogyra e quelli delle piante superiori, bensi fra i nu- cleoli stessi e i cromosomi del nucleo delle piante superiori. Ri ». Berichte der Deutsch. Bot. Gesellsch., Bod. XXIX, Heft 2°, 1911. (4) ARNOLDI, W. — Zur Embryologie ciniger « Euphorbiaceen ». Travaux du Musée Botanique de l’Académie des Sciences de St. Pétersburg, 1912. NRE IR I SI SI SIE II IRA INT STI pie rondo IPP NR è A "2 & Li à 3 >» V i a brionali di quattro cellule e sacchi embrionali di sedici cellule e, fra l’uno e l’altro, dei casi intermedi. E cioè in Ceramanthus e Co- diaeum trovò che sì formano solo le sinergidi, l’oosfera e un nucleo polare, in Scepasma buxifolia e in Pedilanthus non potè mai osser- vare l'apparato antipodale, in 7rigonostemon e in Glochidion le an- tipodi muoiono poco dopo, in Iatropha persistono, per cui il sacco è perfettamente normale, mentre in Acal/ypha osservò il caso estremo vale a dire un sacco embrionale contenente sedici cellule ordinate in quattro triadi ai poli e ai lati del sacco e in una tetrade al centro, cioè disposte in modo identico a quello osservato dal Mo- dilewsky e dalla Dessiatoff nei loro preparati. Il materiale che ha servito alle mie ricerche l’ ho tolto tanto da piante spontanee, quanto da esemplari coltivati nel R. Orto bo- tanico; l’ ho fissato parte col liquido di Juel, parte col liquido cro- moacetico. Ho colorato le sezioni con ematossilina Delafield e sa- franina. In E. helioscopia L. il gametofito, prodotto nella megaspora at- tiva o sacco embrionale, mi si è presentato sempre tipicamente costituito. Ho seguito lo sviluppo del sacco embrionale a partire dalla formazione delle megaspore; esse sono disposte in pila lungo la parte assile della nucella. La inferiore si accresce in dimensioni e per ciò si distingue nettamente dalle altre che vengono più o meno presto schiacciate e riassorbite; ha nucleo voluminoso e contiene granuli d’amido. Il sacco maturo presenta all’estremo micro- pilare le due sinergidi dai contorni ben chiari e col caratteri- stico vacuolo in basso; inferiormente ad esse si trova l’oosfera dap- prima di dimensioni simili alle sinergidi, poi un po’ più grossa. Verso il centro del sacco embrionale, più o meno distanziati si scorgono i due nuclei polari, immersi in abbondante citoplasma. Le antipodi, poste all’estremità inferiore del sacco, presentano di- mensioni più piccole rispetto alle altre cellule del gametofito ; sono di forma triangolare, l’una accanto all’altra o sovrapposte e colo- rate intensamente. Anche nell’ E. Peplus L. il sacco embrionale è di otto nuclei; però mentre nel caso generale è la macrospora inferiore che ger- mina, in questa, in due ovuli contenuti nello stesso ovario, mi si è offerto il caso di vedere che la macrospora attiva è la superiore. Le antipodi qui vanno a male subito dopo la costituzione del ga- metofito. Ho potuto inoltre ampiamente osservare che i nuclei po- lari si mescolano solo al momento della fecondazione. Il gametofito in E. Lathyris L. sì presenta in modo normale ; le antipodi sono grosse rispetto a quelle dei sacchi embrionali delle altre specie e perdurano un certo tempo; le potei scorgere anche dopo che le sinergidi eran già andate a male. î Anche in £. altissima Boiss. ed E. hibernica L. il sacco embrio- nale è normale, con cellule piccole e ricche d’amido. L’E. spinosa L. si differenzia dalle altre per avere al suo inizio il sacco embrionale molto approfondito negli strati nucellari ; col crescere esso schiaccia parte delle cellule che gli sovrastano in modo che sì sposta verso l’alto. In un ovulo (fig. 1) ho osservato due grosse cellule madri delle megaspore. La presenza di più cellule madri fu già notata dallo Schmidt e dal Modilewsky nell’E. pa- lustris L. Io però ho sempre osservato nei miei preparati la pre- senza di una sola megaspora attiva. Le antipodi sono grandi e con membrana ben distinta. Nel sacco embrionale di E. plathyphylla L. i nuclei polari sono più grossi degli altri del gametofito. A me sembra che qui il nu- mero delle antipodi allo stadio del sacco maturo sia superiore al normale, perchè esse mi sì son presentate in numero di quattro o cinque, all’estremità inferiore del sacco e intensamente colorate dalla safranina. Le sinergidi hanno vita più lunga delle antipodi. Ho esaminato da ultimo la Poinsettia pulcherrima ER. Grah. Questa Euphorbiacea presenta due sorta di infiorescenze: nelle une abbonisce solo il fiore carpellifero, nelle altre abboniscono solo i fiori staminiferi. Nel fiore carpellifero delle prime il sacco embrionale presenta antipodi abbastanza grosse che però scom- paiono presto. Fra i molti sacchi embrionali tipici uno ne ho tro- vato che presenta un numero di nuclei maggiore del normale e disposti, nel modo seguente (fig. 2-5): in una prima sezione alla parte antipodale si presenta un nucleo circondato da poco cito- plasma; in una seconda si scorgono al centro due nuclei avvicinati aventi l’aspetto dei nuclei polari; sopra ad essi sta un nucleo di uguale grossezza, e inferiormente, all’altro polo, due piccole cellule; ancora in basso e a sinistra. altre due cellule sovrapposte e situate al di fuori di una specie di parete, che percorre il sacco lungo un tratto della sua lunghezza, limitando a sinistra una stretta zona. In una terza sezione verso il micropilo, si hanno due nuclei, della grandezza di quello trovato precedentemente in questa regione; il sinistro ha un vacuolo in alto; quindi si potrebbe interpretare, per il suo aspetto e per la sua posizione, come una sinergide; a sini- stra, un po’ al di sotto di questi ultimi e da essi separato dalla membrana già descritta, si rinviene un altro nucleo. In fondo al sacco se ne hanno due in fila. In un’ultima sezione, al centro si EIN PENTA PI0E mm Pa io >» de e Tn I A Dr (e a Li era a — 398 — presentano tre cellule sovrapposte, piuttosto grandi e con membrana evidente. Ora, mentre le cellule di questo sacco embrionale sono in nu- mero identico a quello trovato dal Modilewsky e dalla Dessiatoff in E. procera, E. palustris ed E. virgata, la loro disposizione al con- trario, ne differisce di molto. Nel caso delle infiorescenze in cui abboniscono i fiori stamini- feri l’ovulo va a male solo ad un determinato momento così che spesso vi ho notato il gametofito normalmente sviluppato cioè di sette cellule. Non ho mai osservato la fusione dei nuclei polari; essi restano sempre distinti anche quando vengono perfettumente a contatto. Uno di tali ovuli però devia dalla regola generale: è di dimensioni più grandi e con sedici nuclei distribuiti in maniera abbastanza irregolare (1). In una prima sezione si osservano verso l’alto due cellule che, per i loro caratteri, manifestamente evidenti, possiamo interpretare come due sinergidi. In ciascuna di esse infatti notiamo un nucleo e al disotto un grande vacuolo. Sotto le due sinergidi si scorgono due altri nuclei, in fondo al sacco poi si vedono altre cinque cellule distinte fra loro perchè ciascuna possiede un pro- prio nucleo ma mal delimitate nella loro massa citoplasmatica. Nella parte superiore della sezione successiva si osserva un nucleo, circondato da una massa di citoplasma non esattamente definita, nucleo che interpreto come oosfera; nel centro due altri nuclei strettamente avvicinati, poi un quarto ancora un po’ più in basso, ed un quinto in fondo al sacco. Nella terza e quarta sezione si di- stinguono altri due nuclei. In complesso, dunque, sedici nuclei. Quale sia l’origine di tale anomalia non posso ancora precisare, perchè ho dovuto sospendere lo studio per mancanza di materiale in istadi appropriati. Si può ammettere che tali sacchi embrionali nor- mali rinvenuti in Poinsettia pulcherrima, dimostrino nuovamente come lo sviluppo del gametofito femmineo delle Euphorbiaceae sia soggetto a variare da una specie all’altra e di più, nel caso mio, anche nella medesima specie, essendosi presentato alcune volte normale ed altre no. (1) La descrizione di tale sacco embrionale è presa dalla mia nota presen- tatadal prof. Pirotta all'Accademia dei Lincei nella seduta del 14 aprile 1912: « Di alcune particolarità embriologiche in Poinsettia pulcherrima R. Grah. Rend. Acc. Lincei, Cl. Sc. Fis. Mat. Nat. Vol. XXI, serie 5?, 1° semestre, tasc. 9 «»_—Coneludendo dalle mie osservazioni risulta che: & ; . . . Mi 1° l’Euphorbia spinosa ha presentato in un caso due cellule madri del sacco embrionale ; 2° mentre delle megaspore quella che si sviluppa general- ur mente è la inferiore, nell’. Peplus due volte ho riscontrato che è la superiore; 3° in tutte le specie studiate il gametofito femminile si pre- senta costituito di otto nuclei; solo in Poinsettia pulcherrima, in i due casi ho trovato un sacco embrionale avente sedici nuclei, Nel- cinque; 4° i nuclei polari sempre si fondono solo al momento della fecondazione. Il nucleo secondario appena fecondato sì segmenta subito, mentre l’oosfora passa un certo tempo in riposo; 5° nelle cellule del sacco embrionale c’ è amido. VE. plathyphyUa poi le antipodi sono in numero di quattro 0 K n Peet dA dii sii cl Pei : e” > 25% - ELI tO a gen o saga lo, PONE "fer deb DI - pa i PALE GPDIA VA 5a palio (734 UA PES : PIA DANTE * dra, usi ef alta ERE: 5 É PI a UÈ CO CASE bi ——mn1nmec__________—mEeiriit {_____—Lcrr'e ANNE NANNA NA NASA NANI SA ICI NINNI EIPSANISNANITMSEIZEAIASG Secondo pugillo di piante libiche per il prof. EMILIO CHIOVENDA Le piante di questo secondo contributo sono state raccolte in località in parte ancora floristicamente assai poco note. Anche in questo elenco figurano qualche specie e varieta non ancora indicate della regione che nel testo contradistinguo con un * e perciò anche questo secondo contributo riuscirà interessante ai botanici. Rinnovo qui i più vivi ringraziamenti agli egregi e gentilissimi signori colonnello Alberto Zola e Dr. Ferdinando Vignolo-Lutati alle cui collezioni queste piante appartengono e che gentilmente hanno voluto incaricare me dello studio; nonchè ai raccoglitori che hanno colle loro raccolte reso ancor servizio alla scienza, cioè il colonnello Luigi Durand, il capitano medico Giacinto Triulzi, il ca- pitano di artiglieria Cesare Sacco, i tenenti Celloni, Minola e Pietro Bonamico, i sergenti Antonetti ed Aldo Rovida. Le piante raccolte dal sergente radiotelegrafista Antonetti a Sirte sono anche accompagnate dai nomi indigeni che egli conosci- tore della lingua araba potè raccogliere direttamente e anche ciò tornerà interessante assai, perchè a questo riguardo per la Libia ben poco fino ad ora è stato fatto. RANUNCULACEAE. 1. Adonis dentata Delile, forma petalis coccineis; Homs sul Mergheb, 22. II. 1918, nome indig. Telma e Sgemera ed è temuta come morti- fera al bestiame (Antonetti). A. dentata Delile, forma petalis flavis; Homs sul Mergheb, 23. II, 1913, nome indig. Nuar asfar e Zuarera; a Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Sgemera sofra (Antonetti). RE PREME A NI LR LN BIT VET SERE SO GIA TI SA ln i. Ha ni Pri De ln sarà ERSIN RECON IREITE NINE RIP RR ET I TE MT RI ERE O E BRASSICACEAE. 2. Matthiola humilis DC.; Homs sul Mergheb, 23. II. 1913, nome indig. Scigara (Antonetti); a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1918 (Rovida). 3. Farsetia aegyptiaca Turra.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bo- namico). 4. Enarthrocarpus clavatus Delile; Homs sul Mergheb, 23. II. 1918, nome indig. Scultam e Nuar aslug (Antonetti); a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 5. E. pterocarpus DO.; Lebda, 25. II. 1915, nome indig. Sciaabà (Antonetti). #6. E. uncatus (Boiss.) Benth. et Hooker f. Gen. pl. I (1862) 99; = Hussonia uncata Boiss.; = Erucaria aegyceras J. Gay.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 7. Alyssum maritimum Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni); Homs sul Mergheb, 22. II. 1913, nome indig. Anesc (Antonetti). 8. A. Iybicum (Viv.) Coss.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida); nell’Oasi di Tripoli fra l’/mperata, III. 1913 (Sacco). 9. Cakile maritima Scop. ©. aegyptiaca (Linn.) Coss.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). Forma piccolissima alta pochi cen- timetri con foglie elittiche lunghe circa 2 cm. e larghe 1 cm. 10. Rapistrum bipinnatum (Desf.) Coss. et Kral.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). PAPAVERACEAE. 11. Papaver rhoeas Linn.; Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Gu- raien (Antonetti). 12. Hypecoum aequilobum Viv.; Bengasi nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). — 403 — #13 H. deuteroparviflorum Fedde in Bull. Herb. Boiss. Ser. IL vol. V (1905) 166, in Engler P/anzenreich. Heft 40 [IV. 104] 90 n. 2; — H. parciflorum C. et W. Barbey (non Kar. et Kir); a Sirte nel golfo Sirtico I{I. 1913 (Rovida). Nell’ erbario del R. Istituto Botanico di Roma si conservano esemplari di questa specie raccolti nell’ Egitto Inferiore a Marsa Matrooa il 7 maggio 1890 dal Rev. E. Armitage, cioè poco al di là del nostro confine orientale. 14. Fumaria vagans .Jord.; Bengasi, nel littorale presso i pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). CISTACEAE. 15. Helianthemum vesicarium Boiss.; Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Temmer bussurur (Antonetti). 16. H. virgatum (Desf.) Pers.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 17. H. Lippii Pers.; Oasi di Tripoli tra l’/mperata, III. 1913 (Sacco). CARYOPHYLLEAE. 18. Silene setacea Viv.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 19 S. ligulata Viv. Florae Lybicae Specimen (1824) 24, tab. 12, fig. 3; Bengasi, nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). Riferisco l’unico saggio di cui è formato l'esemplare a questa forma, non stata ricordata nel Catalogue di Durand et Barratte, rife- rendomi solo alla descrizione e alle figure date dall’autore. È pros- sima alla S. setacea Viv. dalla quale differisce per le foglie più larghe, per i petali colle lacinie obovate più larghe e per le cassule ellittiche, subcilindriche lunghe due volte il carpoforo. I semi sono muniti di un solco marginale acuto e le due faccie sono auricolato- depresse; ma gli orli non sono alati e la superficie è opaca, minu- tissimamente granulosa sotto forte ingrandimento. 20. S. succulenta Forsk. status S. cryptantha Viv.; Bengasi nel littorale presso i pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). Questi esemplari giovani corrispondono perfettamente alla figura del Viviani e mentre in alcuni fiori i petali sono più brevi del ANNALI DI Boranica — Vot. XI. 27 — 404 — calice, in altri sono un po’ più lunghi, per cui ritengo assai più esatto ritenere il nome dato dal Viviani come sinonimo e caratte- rizzante solo lo stato della pianta precedente all’antesi; e non come una forma veramente distinta, come dubitativamente hanno fatto Durand e Barratte. 21. Minuartia (1) geniculata (Poir.) var. extensa (Duf.) Giirke; Be- guinot e Vaccari Contributo I alla Flora Libica (1912) 42; = var. linearifolia Moris; = Arenaria calycanthema Balsamo, pl. sicc. (1832) cum descript. mss. (1834) in Herb. Cesati Romae. Bengasi, nel lit- torale ai pozzi di Sabri, I. 1918 (Minola). L’aspetto della pianta è perfettamente eguale a quello della Spergularia marginata. 22. Loeflingia hispanica Linn.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 23. Paronychia arabica Linn.; a Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 24. Herniaria Fontanesii J. Gay; Orfella a Beni Ulid, III. 1915 (Bonamico). 25. Gymnocarpos decandrum Forsk.; Orfella a Beni Ulid, IIL 1913 (Bonamico). FRANKENIACEAE. 26. Frankenia revoluta Forsk.; Bengasi, nel littorale ai pozzi di Sabri, L 1912 (Minola). MALVACEAE. 27.Malva parviflora Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni); Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Cobez (Antonetti). (1) Mi uniformo alle vedute dei signori Hiern, Schinz, Thellung, Briquet per ciò che riguarda l’adozione di questo nome generico e più specialmente elle ragioni da quest’ultimo addotte in Flora Corsica, I (1910) 529, e perciò anche l’Arenaria flaccida All. (non Roxb.)che io avevo pubblicato come A/sine è più corretto chiamarla Minuartia flaccida. PSR. echo "Di 05 - + Agia ST di RUTACEAE. 28. Peganum harmala Linn.; Orfella a Beni Ulid, III. 1912 (Bo- namico). 29. Ruta bracteosa DC.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). GERANIACEAE. 30. Erodium laciniatum (Cav.) Willd. x genuinum Boiss.; Orfella a Beni Ulid, III. 1918 (Bonamico), littorale di Bengasi ai pozzi di Sabri, I. 1913 (Minola). * affine (Ten.) Porta et Rigo; Oasi di Tripoli fra l’[mperata, III. 1918 (Sacco). *) pulverulentum (Cav.) Boiss.; Orfella a Beni Ulid, III. 1918 (Bonamico). *e Bovei (Delile) Murbeck; Homs sul Mergheb, 22. II. 1913, nome indig. Ent/gula (Antonetti). 81. E. cicutarium (Linn.) L’Her.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 83. E. moschatum (Linn.) L’Her.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 54. E. hirtum (Forsk.) Willd.; Orfella a Beni Ulid, III 1918 (Bo- namico). ZxGOPHYLLACEAE. 35. Fagonia cahirina Boiss.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bo- namico). LEGUMINOSAE. 36. Retama Raetam (Forsk.) Webb; Tripoli, 2. II. 1913 (colonnello Luigi Durand). 37. Genista capitellata Coss. var. tunetana Coss.; Chiov. in Annali di Botan. XI (1912) 185; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 38. Ononis angustissima Lam. f falcata (Viv.) Barrat. et Dur.; Oasi di Tripoli fra l’Imperata, III. 1913 (Sacco). 39. Medicago littoralis Rhode; Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913. (Rovida). 40. Lotus polyphyllus Clarke Travels, III (1813) 41; = Dorychnium argenteum Delile (1813); —= Lotus argenteus Webb et Berth. (1840) non Brot. nec Salisb.; Bengasi, nel littorale presso i pozzi di Sabri, I. 1913 (Minola). 41. Lotus creticus Linn.; Bengasi nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1914 (Minola); Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida); Oasi di Tripoli tra l’/mperata, III. 1913 (Sacco). 42. Lathyrus cicera Linn.;j Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Sgi- liban ahmeur (Antonetti). ; AIZOACEAE. 43. Mesembrianthemum crystallinum Linn.; Bengasi, nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1913 (Minola). CRASSULACEAE. 44. Umbilicus horizontalis (Guss.) DC.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). UMBELLIFERAE. 45. Smyrnium olusatrum Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni. 46. Pithuranthos tortuosus (Desf.) B. H. £ virgatus Coss. et Kral., Oasi di Tripoli fra l’Imperata, III. 1913 (Sacco). DIPSACEAE. 47. Scabiosa arenaria Forsk.; Sirte nel golfo Sirtico, III. 1912 (Rovida). ASTERACEAE. 48. ? Perralderia garamantum Aschers.; Orfella a Beni Ulid, III 1911 (Bonamico). Fsemplare giovanissimo e affatto sterile, per la forma delle la- cinie fogliari acute all’apite e per essere la pianta quasi perfetta- mente glabra sembra si debba ascrivere a questa specie, i cauli però anche le basi persistenti di quelli secchi degli anni precedenti sono certo più gracili di quelli che sono disegnati nella tavola 9 di Barratte e Durand. Noto poi che la pianta nel secco è perfettamente inodora. 40. Ifloga spicata (Forsk.) Sch. bip.; Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). 50. Anthemis cotula Linn., Homs sul Mergheb, 23. II. 1913, nome indig. T'egherof elbeda (Antonetti). 51. Anacyclus alexandrinus Willd.; Sirte nel golfo Sirtico, III 1912 (Rovida); Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Boramico). 52. Chrysanthemum coronarium Linn.; Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Gaanan e Gahanan (Antonetti); Homs sul Mergheb, 23. ILL 1913 (Antonetti); Sirte nel golfo Sirtico, III. 19183 (Rovida). 53. Artemisia herba-alba Asso; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). *54. A. monosperma Delile var. lybica Chiov.; Sarmentosa, a basi caespitose ramosa, ramis fastigiatis erectis subparallelis, 50-70 cm., elata. Panicula lanceolata 10-17 cm. longa., ramis erecto-patulis, vel subfastigiatis. Floscnli $ 3-5, £ 1-2; corollae glandulis sessilibus globosis, flavis, magnis sparsae, dentibus brevissimis. Folia parva, fasciculata, glabra, simplicia, vel apice profunde 2-5 fida, laciniis angustissimis curvis, apice obtusiusculis; floralia simplicia, curva. Dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni); Oasi di Tri- poli fra l’Imperata, III. 1913 (Sacco). Per l’aspetto è assai differente dall’A. monosperma dell’ Egitto ma pei caratteri fiorali gli corrisponde bene. 55. Senecio coronopifolius Desf.; Lebda, 25. III. 1913, nome indig. Murrerà (Antonetti); Oasi di Tripoli fra l’Imperata, III. 1913 (Sacco), . TT TRA -—- 408 — 56. Calendula arvensis Linn.; Homs sul Mergheb, 23. IL 1913, nome indig. Sfera (Antonetti); Sirte nel golfo Sirtico, III 1913 (Rovida); Orfella a Beni Ulid, III. 19183 (Bonamico). 67. Atractylis flava Desf.; Oasi di Tripoli fra l’Imperata, III. 1913. (Sacco). 58. Carduncellus eriocephalus Boiss.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). 59. Leontodon Miilleri Sch. bip., Homs sul Mergheb, 23. II. 1913, nome indig. Murrerà (Antonetti). 60. Scorzonera undulata Vahl., var. alerandrina (Boiss.) Barr. et Bonn.; Lebda, 27.I. 1913, nome indig. Ghis (Antonetti); Bengasi, X.. 19192 (Triulzi). 61. Sonchus tenerrimus Linn.; Lebda, 25. II. 1918, nome indig. Tifaf (Antonetti). 62. S. oleraceus Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 63. Launaea resedifolia (Linn.) Kuntze; Oasi di Tripoli tra l’Im- perata, III. 1913 (Sacco). Già indicata per la Libia dai Beguinot e Vaccari: Contributo alla Flora della Libia in base alle piante raccolte dall'ottobre 1911 al luglio 1912, p. 70, n. 396. La pianta qui indicata corrisponde perfettamente agli esemplari di Sicilia. PRIMULACEAE. 64. Anagallis linifolia Linn.; Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Srega (Antonetti). BORRAGINACEAE. 65. Anchusa undulata Linn.; Bengasi, nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). 66. Echium confusum De Coincy; Bengasi, nel littorale ai pozzì Sabri, I. 1912 (Minola). WAI { "a fe AT i 4 . x x a n % d4 È e” di \ eviti È i TE c me i ì, A n +% È 2 09 LETT sasa A AI ) [II Si TE rie i Hosos sal Merstoh 23. IL. 1918 Sale netti); Sirte nel golfo Sona III. 1913 (Rovida). 68. Echiochilon fruticosum Desf.; Oasi di Tripoli tra l'/mperata, III. 1913 (Sacco). 69. Cynoglossum cheirifolium Linn.; Homs sul Mergheb, 22. II. 1913, nome indig. Segàha (Antonetti). SOLANACEAE. 70. Lycium europaeum Linn.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bo- namico). LABIATAF. 71. Lavandula multifida Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 72. Thymus capitatus Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. X {I 1912 (Celloni). 73. Marrubium vulgare Linn. 8 /anatum Benth.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1913 (Celloni). PLUMBAGINACEAE. 74. Statice pruinosa Linn.; Bengasi, nel littorale presso i pozzi di Sabri, I. 1912 (Minola). PLANTAGINACEAE. 75. Plantago albicans Linn. « typica Beg.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). 8 angustifolia Guss.; Oasi di Tripoli fra l’Imperata, III 1913 (Sacco). 76. P. notata Lag.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). CHENOPODIACEAE. 77. Chenopodium murale Linn.; Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida). MESTIERE Ce: MEER RI VIET LOI COSIO E RAEE PRATI I TA TRE iii CRITOTO SI? 78. Haloxylon articulatum (Cav.) Boiss.; Orfella a Beni Ulid, III 1913 (Bonamico). POLYGONACEAE. 79. Polygonum maritimum Linn.; Bengasi, nel littorale ai pozzi di Sabri, I. 1913 (Minola). 80. Emex spinosus (Linn.) Campd.; Sirte nel golfo Sirtico, III. 1913 (Rovida); Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). THYMELACEAE. 81. Thymelaea microphylla Coss. et Dur.; Oasi di Tripoli fra l'Im- perata, III. 1913 (Sacco). KUPHORBIACEAE. 82. Euphorbia terracina Linn. 0. prostrata Boiss.; Sirte nel golfo Sirtico, III. 19153 (Rovida). URTICACEAE. 83. Urtica urens Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). IRIDACEAE. 84. ? Crocus sativus Linn.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). Esemplari solo fogliferi, le tuniche dei cormi corrispon- dono assai bene a quelle di questa specie; però i cormi sono assai più piccoli e allungati e le foglie 2-3 in ogni individuo sono lunghe e larghe come in questa specie. AMARYLLIDACEAE. * 85 ? Pancratium collinum Coss. et Dur. sec. Coss. in Ann. Sc. Nat. Ser. IV. 1. (1854) 228. Dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). Esemplare sterile che però per i bulbi e le foglie corrisponde assai bene a questa specie; coltivo nell’Orto botanico un bulbo di questa stessa provenienza, del quale attendo la fioritura. LILIACEAE. Pi 86. Urginea undulata Steinh.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1912 (Celloni). 87. Scilla hemisphaerica Boiss.; Homs sul Mergheb, 23. II. 1913 nome indig. Bussela (Antonetti). 88. Muscari comosum Linn.; Homs sul Mergheb, 23. II. 1913; a Lebda, 25. II. 1913, nome indig. Catut (Antonetti). 89. Asphodelus microcarpus Viv.; Homs sul Mergheb, 23. II. 1913. nome indig. AnzeZ (Antonetti); molto comune in tutte le colline intorno a Tarhuna e ad Azizia e costituisce insieme ad altre piante simili la quasi totalità della Flora, 18. XII. 1912 (Celloni). 90. Erythrostictus punctatus Schlecht.; Bengasi, nel littorale presso i pozzi di Sabri, I. 19183 (Minola); Bengasi, X. 1912 (Triulzi). NAJADACEAF. 91. Posidonia oceanica Delile; Bengasi, littorale ai pozzi di Sabri, I. 1913 (Minola); Homs, 22. II. 1913, nome indig. Teben dalr (An- tonetti). GRAMINACEAE. 92. Imperata cylindrica P. B.; a Suani Ben Adem (Sacco). 93. Stipa tenacissima Desf.; dintorni di Casr Garian, 18. XII. 1918 (Celloni). 94. Schleropoa philistaea (Steud.) Boiss. Oasi di Tripoli fra 1’ /m- perata, III. 1913 (Sacco). 95. Vulpia uniglumis (Sol.) Dum.; Oasi di Tripoli tra l’[mperata, III. 1913 (Sacco). 96. Lamarkia aurea (Linn.) Moench.; Orfella a Beni Ulid, III. 1913 (Bonamico). iI pedi Di) e | CÈ î ia za ati uaar hi) : e E e E E e e ZI ll] °° zY1*—/1*e eo! e] SJ tel IH Ò .1t.. ‘e e e e ERA E CESSI A IIS XF XSXFXISTER ISS HEIRL NEK Una bacteriosi dell’ Ixia maculata e del Gladiolus Colvilli. Ricerche del dott. G. SEVERINI. (Tav. VIII) Nell'aprile del 1912 si manifestava una malattia dell’Ixia ma- culata e del Gladiolus Colvilli, due Iridacee estesamente coltivate nei giardini della Villa dell’on. Z. Faina presso Perugia, la quale per la sua eccezionale gravità richiamò in modo speciale la mia attenzione. Le piante, ottenute da tuberi provenienti dall’Olanda, erano state allevate in vasi con terra. molto ricca di humus, posti entro alcuni chàssis fra di loro completamente separati. I sintomi della malattia apparvero contemporaneamente in tutti gli chàssis, e sì resero molto ben manifesti quando già cominciavano a svol- gersi le prime infiorescenze. Da un esame sommario di un certo numero di individui presi in diversi reparti, non esitai a caratte- rizzare la malattia per una bacteriosi 0, come generalmente si de- nominano le malattie bacteriche di questo tipo, per un « marciume molle » dei tuberi. Ed essendo per la prima volta e con tanta vio- lenza apparsa in piante le quali hanno pure la loro importanza in floricultura, mi accinsi a farne oggetto di particolari ricerche 1 cui risultati verrò qui esponendo. Caratteri esteriori della malattia. — Sulle piante colpite si nota in principio un ingiallimento agli apici delle foglie il quale poi si estende longitudinalmente verso la base, procedendo dapprima lungo uno o ambedue i margini, mentre la porzione mediana conserva per un certo tempo il suo colore verde normale: poi l’ingiallimento sì propaga man mano anche a questa, finchè l’intera foglia finisce col seccare. A questo punto, si notano alla base delle foglie, e pre- cisamente sulla porzione inguainante, delle macchie livide, dap- prima violacee e distinte fra loro, poi confluenti e grigio-nerastre. Un leggero sforzo di trazione basta allora perchè avvenga in quel punto il distacco dal tubero sottostante di tutta la parte aerea, ME SI Cs PS TIE È 4 PI P Li . MRC È heal), "i Re" e % uao Sett e SIA e PIA SI | ta ped La LI ga 3 al ZAIRE oppure questa, nei casi più gravi, si ripiega bruscamente sulla base e finisce col cadere in terra. Anche gli steli delle infiorescenze in- gialliscono, i fiori sì seccano rapidamente e si distaccano. Esaminando i tuberi, dopo averne allontanate le tuniche che. non presentano nulla di anormale, vi si notano delle alterazioni più o meno profonde consistenti dapprima in macchie superficiali gialle o rossastre, incavate, che poi si estendono a tutta la super- ficie del tubero, il quale perde la sua consistenza, diviene flaccido e con la compressione si apre lasciando uscire una massa giallo- bruna, molle, granulosa, non viscida e senza odore caratteristico. Quando la malattia è molto avanzata, i tuberi si presentano in parte svuotati, in parte ripieni di una massa putrescente nera e spesso invasa da muffe. Il processo canceroso interessa non solo i tuberi vecchi, ma si propaga anche a quelli giovani in via di sviluppo che può completamente distruggere. Caratteri anatomo-patologici. — Le sezioni di tuberi malati, 0s- servate al microscopio, mostrano alterazioni identiche tanto per l’Ixia che per il Gladiolus. Prendendo in esame dei tuberi nei quali la malattia non sia ancora molto progredita, sì osservano qua e là nel parenchima di riserva del cilindro centrale e del corticale, nu- merose lacune irregolari, ripiene di bacteri per lo più mobilissimi, e di cellule isolate o gruppi di poche cellule parenchimatiche morte e deformate, la cui parete però si conserva perfettamente integra. Le cellule del tessuto parenchimatico circostanti a queste lacune presentano un protoplasma profondamente alterato, bruno, assai gra- nuloso, nel quale sono immerse numerose gocciole di aspetto oleoso, vivacemente colorate in rosso o in giallo-aranciato. I bacteri, che si insinuano negli spazi intercellulari, attaccano evidentemente le lamelle mediane disciogliendole e provocando così l'isolamento graduale delle cellule, sulle quali inoltre pare che eserci- tino una azione tossica capace di trasmettersi anche a distanza, come lo dimostra il fatto che i fenomeni di degenerazione protopla- smatica si manifestano anche in cellule lontane dai bacteri stessi e che non sì trovano ancora in via di dissociazione. Nessuna alte- razione si riscontra nei fasci vascolari; nell’interno dei vasi si nota spesso un contenuto giallastro, rifrangente, mai però la presenza di bacteri. Questa deve anche assolutamente escludersi entro le cellule paren- chimatiche, la cui parete cellulosica non subisce alterazioni. Dal- l'esame microscopico appare inoltre che i bacteri non hanno alcun potere dissolvente sull’amido, perchè i granuli, che in grande nu- mero sono contenuti entro le cellule del parenchima di riserva, si conservano intatti anche nelle cellule morte e dissociate. Un fatto che si osserva costantemente, è che il processo di di- sorganizzazione dei tessuti incomincia esternamente verso la base del tubero vecchio, in corrispondenza cioè ai tessuti dell’ area d’inser- zione rimasti liberi dopo il distacco del tubero stesso, e da qui pro- cede verso l’alto invadendo progressivamente i tessuti interni fino ad estendersi, come è stato già osservato, al tubero giovane e, per un breve tratto, anche alla porzione inguainante delle foglie. Una sezione della foglia praticata su questo punto mostra anche qui la presenza di lacune ripiene di bacteri in seno al mesofillo ed i so- liti fenomeni di avvelenamento del citoplasma, in seguito ai qualii tessuti perdono la loro turgescenza, divengono flaccidi, e provocano il disseccamento e la caduta della porzione sovrastante della foglia. Dall’esame delle alterazioni anatomiche risulta quindi in modo evidente, come è stato già osservato in molti casì di marciumi molli di altre piante, che si ha a che fare con un processo istolitico dei tessuti parenchimatici, provocato dalla presenza negli spazi inter- cellulari di microrganismi capaci di uccidere le cellule e di discio- gliere le lamelle mediane colle quali vengono a contatto. Isolamento dei microrganismi e prove d'infezione. — Tanto per l’Ixia che per il Gladiolus, fu presa da porzioni malate di alcuni tuberi un po’ della polpa rammollita e giallastra che venne stem- perata in acqua sterile seminando poscia il liquido batterifero col. l’ansa in un decotto neutro di fagioli gelatinizzato e addizionato di glucosio e di cloruro sodico, col quale si fecero diverse serie di piastre. Nelle diverse manipolazioni, furono rigorosamente seguite tutte le pratiche di disinfezione e prese le precauzioni necessarie per impedire possibili inquinamenti. Dall’insieme di tutte le culture, dopo dimora di alcuni giorni alla temperatura della stanza (circa 14° C.), sì ottennero tre diversi bacteri dalle piastre seminate con materiale proveniente dai tuberi d’Ixia, e due da quelle inoculate con la polpa di Gladiolus, tutti fluidificanti la gelatina, però con di- versa intensità. Tralasciando per ora la descrizione di tutti e cinque i bacteri ot- tenuti in cultura pura, riferirò senz'altro i risultati delle infezioni artificiali, alle quali si rese necessario di procedere subito onde poter identificare il vero microrganismo patogeno. Le infezioni furono praticate su tuberi d’Ixia e di Gladiolus in vegetazione provenienti da località immune dalla malattia e ri- SIIT I, pe LOT Pe , I Age ag 0. Lul EC A MI Re ee INI. EI pa O PIT. de Sui a — 416 — ‘sscontrati assolutamente sani. Dopo di averne allontanato l’invoglio di tuniche, furono accuratamente sottoposti a disinfezione con su- blimato ed a ripetuti lavaggi con acqua sterilizzata. I tuberi di Ixia vennero inoculati con i tre bacteri isolati dalla stessa pianta malata, e quelli di Gladiolus respettivamente con i due bacteri iso- lati dai tuberi malati di Gladiolus. Una parte di tuberi non venne infettata. Il materiale batteri- fero fu introdotto col filo di platino entro fori praticati attraverso ai tuberi con un ago previamente arroventato. Tutti i tuberi ven- nero rivestiti con molta ovatta imbevuta di acqua sterile, e posti entro recipienti di vetro rigorosamente disinfettati, mantenendo poi in serra tiepida. Contemporaneamente gli stessi bacteri furono anche seminati su fette di tuberi poste entro capsule sterili, mantenute umide ed in termostato a 28°. Gli effetti delle inoculazioni si palesarono dapprima sulle fette di tuberi, ma non ugualmente per tutti i bacteri. Dei tre isolati dall’Ixia, due sì svilupparono scarsamente sulla superficie delle se- zioni, senza però riprodurre le alterazioni riscontrate nei tuberi infetti. L’altro invece si mostrò attivissimo, tanto da produrre in pochi giorni il rammollimento delle fette che contemporaneamente divennero di un colore-giallo bruno. La polpa molle, leggermente viscosa, osservata al microscopio, sì dimostrò costituita di cellule pa- renchimatiche isolate o facilmene dissociabili con una leggera pres- sione sul coprioggetti, e di un’enorme quantità di bacteri assai mobili. Dei due bacteri isolati dai gladioli malati ed inoculati su fette di tuberi sani, uno produsse il rammollimento e la pigmentazione giallo bruna del tessuto, comportandosi in modo perfettamente si- mile al precedente; l’altro invece formò un’abbondante massa mu- cosa, biancastra sulla superficie delle fette, i cui tessuti andarono anche in questo caso disgregandosi, ma con maggiore lentezza e senza speciali colorazioni. A risultati identici si pervenne colle prove d’infezione fatte su tuberi interi in vegetazione. Dopo un periodo di tempo variante dai 12 ai 20 giorni, le piante che erano state inoculate con i tre medesimi bacteri che già avevano dato risultato positivo nei tuberi in fette, presentavano sintomi evidenti di malattia, con le stesse manifestazoni esterne ed interne già descritte, mentre tutte le altre continuarono a mantenersi perfettamente sane. Rimase quindi stabilito che dei cinque microrganismi isolati, tre si dimostrarono capaci di riprodurre artificialmente la malattia: di questi, uno proveniva soltanto dal gladiolo, gli altri due non rappresentavano probabilmente che uno stesso bacterio comune tanto all’Ixia che al Gladiolus, come venne poi accertato dallo studio dei caratteri morfologici e biologici che passeremo ora in rassegna. Descrizione del microrganismo patogeno isolato dall’Ixia e dal Gla- diolus. — È un bacillo a cellule cilindriche, arrotondate all’estre- mità, isolate o riunite in corti filamenti, lungo 1,8-2,3 È, largo 0,7 #, mediocremente mobile nelle culture giovani, peritrico con ciglia lunghe fino 14 p e grosse 0,5 p, in numero di 5-12 per ogni cellula, sinuose. Si colora bene con i colori basici d’anilina. Non produce spore, ne capsule, non si colora col Gram. Si sviluppa egregiamente nei substrati solidi, specialmente a base di decotti di tuberi di gla- dioli, di patate, di brodo di fagioli, ecc., purchè abbiano reazione leggerissimamente acida. Nelle piastre di gelatina forma colonie su- perficiali o profonde, bianche, opache, sferoidali, a margine rego- lare e liscio, a struttura interna granulosa. Fonde lentamente la gelatina: la fluidificazione si manifesta 12 o 15 giorni dopo la se- mina. Nelle culture per infissione in gelatina, forma superiormente una colonia appiattita che si diffonde uniformemente su tutta la superficie libera, e lungo il canale d’infissione si sviluppa abbon- dantemente e uniformemente per tutta la sua lunghezza, formando. un largo fittone a nastro regolarmente lobato. La fusione interessa gradatamente tutto il cilindro di gelatina che s’intorbida, mentre in basso resta un deposito fioccoso bianco. Anche in agar forma un grosso fittone a superficie verrucosa, ma superficialmente si svi- luppa pochissimo. Nei substrati solidi e liquidi si nota lo svolgi- mento di piccole quantità di gas, mai però la produzione di pig- menti. Nelle culture a striscio forma una patina biancastra che si diffonde su tutta la superficie libera del substrato. Coltivato per strisciamento su fette di patate in tubi di Roux, forma dapprima una linea bianchiccia, poco rilevata, che poi si espande costituendo uno strato mucoso denso, mentre il substrato diviene rapidamente molle. Nel latte, dopo circa 6 giorni dall’inoculazione, forma un coagulo molto compatto che non ridiscioglie neanche dopo due. mesi dalla semina; il liquido che sì è separato dalla caseina resta limpido e incolore e dà una reazione sensibilmente acida. L’ag- giunta di tornasole ai substrati liquidi dimostra che l’organismo modifica la loro reazione, che diviene infatti marcatamente acida. Non sì nota produzione di indolo, nè riduzione di nitrati. In acqua peptonizzata con aggiunta di NaCl] si sviluppa scarsamente, intor- bidando uniformemente il liquido. L’optimum di temperatura per il suo accrescimento va da 28° a 30°, muore a circa 47° dopo PE, I, ta — 413 — 10 minuti, è invece resistentissimo alle basse temperature, rima- nendo vitale a —10° anche per 1/2 ora. Coll’essiccamento perde la sua vitalità dopo 2 giorni. Si sviluppa bene in presenza di ossi- geno, ma le colture anaerobiche (processo di Biichner) dimostrano che si accresce bene anche in assenza di esso. È quindi anaerobio facoltativo. Descrizione del microrganismo patogeno isolato dal Gladiolus. — È un bacillo allungato, ad estremità arrotondate, per lo più riunito in coppie, raramente isolato, lungo da 2,3-2,8 n, largo 0,6 x, mobilis- simo. È un monotrico e le ciglia possono essere inserite su ‘uno solo o su ambedue i poli, isolate o riunite in breve ciuffo: mi- surano in media da 3 a 8 p di lunghezza e circa 0,4 p di grossezza. Si colora bene coi colori basici d’anilina, ottimamente colla car- bolfucsina di Ziehl. Non produce nè spore, nè capsule: non prende il Gram. Si coltiva benissimo negli stessi substrati solidi adope- rati per il precedente, purchè abbiano però reazione perfettamente neutra. Sulle piastre di gelatina, forma in principio colonie leg- germente giallastre, superficiali o profonde, consistenti, a super- ficie rugosa, alquanto trasparenti, a struttura interna irregolarmente ‘striata: intorno alle colonie si forma prestissimo un’area di fluidi- ficazione regolarmente circolare e torbida. La gelatina quindi viene fusa con molta rapidità. In tutti i substrati si osserva la produzione di un pigmento, dapprima di un giallo pallido, tendente poi all’aranciato e talvolta, a seconda dei diversi substrati, al rossastro. Coltivato per infis- sione in gelatina, sviluppa superiormente un’ampia colonia bianco- giallognola a margine frastagliato, dapprima piatta, poi incavan- tesi a poco a poco verso il centro prolungandosi in un fittone molto slargato in alto e degradante in basso in un tenue filamento formato di piccole colonie distaccate. La gelatina quindi sj fluidifica a guisa di imbuto, e quando è liquefatta diviene limpida e di un colore giallo-rossastro sempre più intenso. In basso, verso l’apice dell’imbuto, si deposita una massa fioccosa prima bianca, poi ten- dente al roseo. Le culture per infissione in agar presentano press’a poco lo stesso aspetto, formandosi un fittone tenuissimo in basso, molto slargato in alto ed irregolarmente rigonfiato in vescicole. Col- tivato per strisciamento in agar o in gelatina forma una stria rilevata, slargantesi in basso, a superficie ed a margini irregolar- mente sinuosi: pigmentazione totale del substrato in giallo rossa- stro. Su fette di patata in tubi di Roux forma una stria giallo- gnola, rilevata e ben netta che non si estende a tutta la superficie TTAp9rZA PO FUAOE del substrato. Coagula il latte dopo circa 4 giorni di incubazione, separando un coagulo finamente granuloso, che dopo circa un mese dall'innesto, è quasi completamente ridisciolto: rimane allora un liquido giallo rossastro, limpido, a reazione debolmente acida. Le culture in liquidi con tornasole dimostrano che il bacillo ha azione marcatamente acidificante. Non si ha sviluppo di gas nelle culture, nè produzione di indolo, nè riduzione di nitrati. Nella soluzione acquosa di peptone con NaCl si sviluppa rigogliosamente, formando alla superficie una densa pellicola che si distacca senza rompersi, mentre il liquido sottostante rimane limpido. Si sviluppa egregia- mente ad una temperatura oscillante fra 28° e 30° C., viene ucciso a circa 47° in dieci minuti, resiste a lungo a -10° senza perdere la vitalità. Non sopporta l’essiccamento per oltre due giorni. Si ac- cresce bene soltanto in presenza di aria, dimostrandosi perfetta- mente aerobio. Dall’insieme dei caratteri morfologici e dal comportamento nelle culture, si può affermare con sicurezza che i due microrganismi qui sopra descritti non possono riportarsi a nessuna delle specie fin qui studiate come causa di marciumi in altre Iridacee, o in piante di famiglie diverse. Quanto alle Iridacee, van Hall (1) per primo studiò un marciume dei rizomi e dei giovani germogli di Iris florentina e germanica, ed isolò tre diversi microrganisini (Pseudomonas Iridis, Bacillus omnivorus, Pseudomonas fluorescens-eritiosus) coi quali i due bacilli da me isolati, ad eccezione del potere dissolvente eser- citato sulla lamella mediana, non presentano alcuna affinità di ca- ratteri. Recentemente il Cavara (2), in una Nota preventiva, ha descritta una bacteriosi dell’Iris pallida: ma non si può fare un raffronto, perchè mancano i caratteri del microrganismo, che l’A. si propone di dare in seguito. Degli altri microrganismi fin quì noti come produttori di mar- ciumi e degenerazioni in tessuti di diverse piante non apparte- nenti alle Iridacee, (così il Bacillus aroideae di Townsend, B. Sola- nisarpus, B. Oleraceae di Harrison, Pseudomonas campestris di Smith, Bacillus carotovorus di Jones, P. Hyacinthi di Smith, B. Hyacinthi di Heinz, ecc. ecc.) il solo B. aroideae, descritto sulla Calla, si av- (1) HaLL, van, C. J. J., Das faulen der jungen Schéòsslinge und Rhizome von Iris florentina und Iris germanica, verursacht durch Bacillus omnivorus v. Hallund durch einige andere Bakterienarten — Zeit. f. Pflanzenkr., Bd. 13, 1903, s. 129 — 144. (2) CavaRA F. Bacteriosi del Giaggiolo (Iris pallida Lam.) — Bull. Soc. Bot. It., 1911, fasc. 6 p. 130-134. ANNALI DI BoranIca — VoL XI. 28 n A I 9 sò a d co ar a Lean Lea IS $:ber7 è E Po x CI. i ; dici lione. au l'a = nn £ end EI PAT . nd NI et 4 AT si ni PI È = ch: Pa ari ia Sr. è LE, vicina alquanto al primo dei microrganismi da me descritti: ma anch'esso però differisce per altri caratteri fra cui le dimensioni, l'aspetto delle colonie, la produzione di gas, il comportamento rispetto all’ossigeno ecc. In base principalmente a queste considerazioni si può conclu- dere che i due microrganismi che producono il marciume dei tuberi di Ixia maculata e Gladiolus Colvilli, appartengono a due specie nuove che propongo di denominare come Pseudomonas Gladioli quella trovata sul Gladiolus Colvilli, e come Bacillus Ixiae, quella iso- lata dall’Ixia maculata e anche dal Gladiolus Colvilli. Comportamento dei due microrganismi rispetto ad altre piante ospiti. -- Precedentemente sono stati già riportati i risultati otte- nuti dalle prove d’inoculazione dei due microrganismi sull’ospite stesso dal quale erano stati rispettivamente isolati. Quantunque le esperienze avessero avuto esito assolutamente positivo e fossero state condotte in modo da impedire eventuali inquinamenti, pure ritenni opportuno di procedere al re-isolamento dalle piante sulle quali era stata riprodotta artificialmente la malattia. Si ottennero di nuovo i due bacilli che furono esattamente identificati con quelli isolati la prima volta. Stabilita così la possibilità di riprodurre coi microrganismi in cultura pura la malattia sul proprio ospite, si tentarono le seguenti esperienze d’infezione in ospiti diversi : 1° Pseudomonas Gladioli inoculato in tuberi di Ixia maculata. Dei tuberi sani di Ixia maculata, previamente lavati con sublimato ed acqua sterilizzata furono inoculati col metodo precedentemente descritto. Si mantennero in incubazione a 28°-30° all'oscuro, entro recipienti di vetro con apertura chiusa da un tappo d’ovatta, av- volti con cotone imbevuto d’ acqua sterile. Sezionando dei tuberi dopo 10 giorni dall’infezione, il tessuto circostante ai canali dove era stato introdotto il materiale batterifero si presentava di colore rosso bruno e di consistenza molle. Al microscopio si mostravano già dissociati gli strati di cellule a contatto o in vicinanza agli ammassi di bacteri, l’imbrunimento e l’alterazione di cellulle in punti anche molto lontani dal centro d’infezione. In seguito il pro- cesso di disgregazione ha progredito con lentezza e con poca inten- sità: in parecchi tuberi si è anche arrestato. Come al solito, le pa- reti cellulosiche ed i granuli d’amido conservavano la loro integrità. 2° Bacillus Ixiae in tuberi di Gladiolus Colvilli. L'infezione fu praticata col solito procedimento, adoperando la cultura pura ot- tenuta dai tuberi malati di Ixia maculata. Dopo 10 giorni il mar- ciume era già molto esteso in tutti i tuberi infettati, che si pre- sentavano quasi interamente ridottiin una poltiglia molle, di color bianco-grigiastro. Il bacillo si è dimostrato di una grande viru- lenza e di un energico potere dissolvente sulle lamelle mediane. 3° Pseudomonas Gladioli in tuberi di Gladiolus segetum. Dopo 8 giorni si manitestava già il marciume intorno ai punti inoculati: la malattia progredì poi con molta rapidità, e tutti i tuberi ino- culati marcirono. Intensa produzione di pigmento rosso-ruggine. 4° Bacillus Ixiae in tuberi di Gladiolus segetum. Risultato negativo. 5° Pseudomonas Gladiòli in rizomi di Iris germanica. Il ri- sultato fu positivo in quasi tutti rizomi inoculati, però il micror- ganismo dimostrò una debole azione patogena. Scarsa pigmenta- zione dei tessuti. 6° Bacillus Ixiae in rizomi di Iris germanica. Risultato ne- gativo. 7° Pseudomonas Gladioli in tuberi di Crocus sativus. Risul- tato negativo. 8° Bacillus Ixiae in tuberi di Crocus sativus. Riprodusse. il marciume in tutti i tuberi inoculati, con i soliti caratteri. 9° Pseudomonas Gladioli in bulbi di Hyacinthus romanus. Si ebbe notevole produzione di pigmento rossastro, alterazioni endo- cellulari, ma nessun accenno a disgregazione dei tessuti. 10° Bacillus Ixiae in bulbi di Hyacinthus romanus. Mar- ciume delle squame in tutti i bulbi inoculati. 11° Pseudomonas Gladioli in bulbi di Narcissus Tazetta. Pro- dusse gli stessi effetti osservati sullo Hyacinthus. 12° Bacillus Ixiae in bulbi di Narcissus Tazetta. Risultato negativo. 153° Pseudomonas Gladioli in tuberi di Solanum tuberosum. Rammollimento del parenchima, limitato però ad una ristretta zona intorno al centri d’infezione. Pigmentazione giallo-rossastra. 14° Bacillus Ixiae in tuberi di Solanum tuberosum. Si è di- mostrato molto più energico del precedente, riproducendo la ma- lattia con i soliti caratteri. 15° Pseudomonas Gladioli in radici di Brassica Rapa. Risul- tato negativo. 16° Bacillus Ixiae in radici di Brassica Rapa. Risultato ne- gativo. Da queste esperienze risulta quindi che le inoculazioni con cul- ture pure dei due microrganismi, praticate scambievolmente sugli ospiti dai quali essi provengono, possono indifferentemente ripro- Ze Age De durre la malattia. Però il Bacillus Ixiae si è dimostrato più viru-. lento dello Pseudomonas Gladioli. Quanto alle inoculazioni su altri ospiti, gli organismi si comportarono diversamente. Così lo P. Gla- dioli ha verso il Gladiolus segetum la stessa azione patogena che sul G1l. Colvilli; più debole invece la esercita sull’Iris germanica, sul Solanum tuberosum, e ancora più debole sullo Hyacinthus ro- manus e sul Narcissus Tazetta, dove produce alterazioni endocel- lulari, ma non veri e propri fenomeni di marciume. Sul Crocus sat. e sulla Br. Rapa infine sì dimostrò inattivo. Il B. Ixiae a sua volta non è stato capace di infettare il Gla- diolus segetum, nè l’Iris germanica, nè il Narcissus Tazetta, nè la Br. Rapa: si è dimostrato invece molto virulento verso il Solanum tuberosum ed il Crocus sativus. Condizioni favorevoli allo sviluppo della malattia. Mezzi di lotta. — Innanzi tutto è necessario ricordare quanto è stato già osser- vato a proposito dei caratteri anatomo-patologici dei tuberi: che cioè la malattia si comincia sempre a manifestare alla base dei tu- beri stessi. Ora è molto probabile che i microrganismi si aprano la via in corrispondenza all’area di inserzione, rimasta libera dopo il di- stacco dal tubero vecchio sottostante: quivi, mancando l’ invoglio di tuniche, i tessuti vengono a trovarsi in più diretto contatto coll’esterno e sono quindi, anche per la probabile esistenza di pic- cole screpolature, più facilmente aggredibili dai microrganismi che sì trovano nel terreno. Le condizioni poi indispensabili perchè la malattia progredisca e si diffonda rapidamente sono, come è stato osservato nelle nu- merose esperienze d’ infezione, una temperatura non inferiore al 25°-30° C, ed un forte grado di umidità: basta che una delle due condizioni venga « mancare, perchè il processo di marcescenza si arresti. Riguardo al modo onde combattere la malattia, si consigliò di ricorrere senz’altro ai sistemi preventivi di lotta, e cioè special- mente: 1° di usare tuberi sani, provenienti da località immune dalla malattia e di conservarli, durante il periodo di riposo, in luogo bene asciutto ed aereato. 2° di procedere in ogni modo alla disinfezione esterna dei tuberi stessi immergendoli, prima di collocarli sul terreno, per J5 minuti in acqua riscaldata a 50°-55°. A questa temperatura 1 tuberi non soffrono, mentre si sa che i due bacilli muoiono a circa 47°. en 3° di scartare il terriccio ed i vasi che siano stati a contatto con piante infette, e di procedere alla disinfezione delle cassette con formolo o latte di calcio. 4° di mantenere l’ambiente ben aereato, illuminato, e non ec- cessivamente umido. Conclusioni. 1° La bacteriosi dell’Ixia maculata e del Gladiolus Colvilli è prodotta da due specie di bacilli che ritengo nuove e per le quali propongo i nomi di Pseudomonas Gladioli e Bacillus Ixiae. 2° Lo Pseudomonas Gladioli n. sp. è rappresentato da elementi allungati, arrotondati alle estremità, per lo più riuniti in coppie, raramente isolati, di dimensioni 2,3-2,8 a 0,6 p. E mobilissimo, mo- notrico, con ciglia lunghe 3-8 p, isolate o riunite in ciuffo ai poli. Si colora bene con tutti i comuni colori basici d’anilina, non prende il Gram, non è sporigeno, liquefà rapidamente la gelatina, produce in tutti 1 substrati un pigmento prima giallo poi rossastro. In ge- latina forma colonie a superficie verrucosa, alquanto trasparenti, internamente striate. Culture a fittone slargate in alto ad imbuto, degradanti in basso in una sottilissima stria formata da colonie distaccate. È acidificante, coagula il latte formando un coagulo finamente granuloso che ridiscioglie lentamente, non produce gas, né indolo, non riduce i nitrati. L’optimum di temperatura per il suo accrescimento va da 28° a 30° C., muore a 47°, è resistentissimo alle basse temperature, non sopporta l’essiccamento, è spiccata- mente aerobio. 3° Il Bacillus Ixiae n. sp. è formato da bastoncini arrotondati alle estremità, isolati o riuniti in corti filamenti, di dimensioni 1,8-2,3 a 0,7 p. È dotato di mediocre mobilità soltanto in culture giovani, è peritrico con 5-12 ciglia sinuose, lunghe fino 14 p. Sì co- lora bene coì colori basici d’anilina, non si colora col Gram, non è sporigeno, fonde assai lentamente la gelatina, non produce pig- menti. In gelatina forma colonie bianche, opache, a superficie re- golare e liscia, internamente granulose. Per infissione forma lungo tutto il canale un largo nastro a superficie verrucosa. È acidifi- cante, coagula il latte formando un coagulo molto compatto senza ‘poi ridiscioglierlo, sviluppa piccole quantità di gas, non forma indolo, non riduce i nitrati. L’optimum di temperatura per il suo accrescimento va da 28° a 30° C., muore a 47°, è resistentissimo alle basse temperature, non sopporta l’essiccamento, è anaerobio facoltativo. RIP POVERI MCR RARE COS) E TAB TSO e VORREI AEG TE SEIT 4° Tutti e due questi microrganismi, inoculati sugli ospiti sopra ricordati, possono produrre il marciume molle dei tuberi e delle guaine fogliari, si localizzano negli spazi intercellulari dei tessuti parenchimatici e disciolgono le lamelle mediane provocando l’iso- lamento completo delle cellule. Non alterano le pareti cellulosiche nè i granuli d’amido; avvelenano invece rapidamente il citoplasma. 5° L'azione dissolvente sulle sostanze pectiche della lamella mediana è più energica da parte del Bacil/us Ixriae. Lo Pseudo- | monas Gladioli invece dimostra un maggiore potere di tossicità verso il citoplasma. 6° Le esperienze d’infezione dimostrano che ambedue gli orga- nismi possono riprodurre la malattia in altri ospiti: però il potere di adattamento sembra minore per il Bacillus Ixiae. 7° L'infezione, in condizioni naturali, avviene probabilmente in corrispondenza della base dei tuberi, dove i microrganismi possono trovare una facile via di penetrazione. Condizioni indi- spensabili poi perchè la malattia progredisca, sono una temperatura di 25°-30°C. ed un forte grado di umidità. Laboratorio di Botanica del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia marzo 1913. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VIII. Fig. 1. — Piante di Ixia maculata colpite da marciume, disposte da sinistra a destra, secondo stadi progressivi di malattia (circa !/, della grane dezza naturale). Fig. 2. — Pseudomonas Gladioli. Cultura per infissione in gelatina (gran- dezza naturale). Fig. 3. — Id. Colonie in gelatina dopo 4 giorni dalla se- mina (ingr. circa 100 diam.). Fig: 4. — Id. Microfotografia di un preparato colorato con carbolfucsina di Ziehl (ingr. circa 700 diam.). Pig. 5. — Id. Microfotografia di un preparato colorato per le ciglia col metodo di Lòffler (ingr. circa, 800 diam.). Fig. 6. — Bacillus Ixiae. Cultura per infissione in gelatina (grandezza natu- rale). Pig: dA. + Tad: Colonie in gelatina dopo 6 giorni dalla semina (ingr. circa 100 diam.). Fig. 8. — Id. Microfotografia di un preparato colorato colla carbol- fucsina di Ziehl (ingr. circa 750 diam.). Fig. 9. — Id. Microfotografia di un preparato colorato per le ciglia col metodo di Lòffler (ingr. circa 850 diam.). TAV. VIII. gi tl e SA Ea e ATA A RCA ANA AR > MENTE GA HAL SAT RANA RAIN NAS NINE N E NE NE NINA NE È Sull’uso razionale della Iucee monocromatica in fotomicrogerafia Nota di Tecnica fotomicrografica del dott. GIOVANNI FAURE Già in una nota precedente (1) ho dimostrato come in fotomi- crografia occorra ottenere immagini dei preparati con perfetto orto- cromatismo. Questo consiste nella riproduzione dei colori di un preparato mi- croscopico con un chiaroscuro corrispondente alla loro gamma, alla loro chiarezza, quale viene percepita dal nostro occhio. In tal modo si riesce ad ottenere fotomicrogrammi monocromi in cui rimane con- servato il valore del colore, senza quelle anomalie spesso dannose per cui il chiaroscuro dei colori rimane completamente falsato. Non basta però molte volte che nei preparati si conservi inal- terato il valore cromatico, ma spesso per far risaltare dei partico- lari, per risolvere determinate strutture, occorre accentuare i con- trasti o diminuirli. Ad es. un preparato che presenti parti rosse contenute in parti vedi, queste, se sì applica il semplice processo ortocromatico avranno nella riproduzione fotografica un valore cro- matico press’a poco eguale, onde fra le parti stesse non si avrà al- cun distacco rimanendo come impastate fra loro. In tal caso i) processo ortocromatico dovrà essere applicato in modo che nella fotografia si abbia un’immagine monocroma con contrasto di tono, contrasto che nel preparato era evidente essendo diversi i colori. Lo scopo di questa mia breve nota è appunto quello di indi- care al fotomicrografo il modo di esaltare o diminuire i contrasti nelle diverse parti di un preparato in modo da ottenere immagini praticamente migliori e con quella nitidezza che si richiede. (1) Cromofotomicrografia. Nota di tecnica fotomicrografica del dott. GrIo- VANNI FAURE. — Annali di Botanica, Vol. X, fasc 2°. (LES TOTTAOR e dae La luce bianca, sia proveniente dal sole, sia da una sorgente lu- minosa artificiale (lampada elettrica ad arco, becco a gas Auer, ecc.) è costituita, come ognuno sa, da un complesso di luci monocroma- tiche che nel processo analitico della stessa luce bianca costitui- scono il cosidetto spettro. Prendiamo a considerare ad es. lo spettro solare o quello dato da una lampada ad arco che gli somiglia: vi riscontriamo i se- guenti colori principali con le varie gradazioni: rosso, aranciato, giallo, verde, bleu, indaco, violetto. Queste luci monocromatiche hanno diverse proprietà fisiche e chimiche tanto che lo spettro com- prende la porzione calorifica, quella luminosa e quella chimica, data quest’ultima dai raggi bleu, indaco e violetto e da altri invisibili al nostro occhio posti al di là del violetto, chiamati raggi ultra= violetti; anche al di là della porzione rossa vi hanno i raggi infra- rossi, invisibili al nostro occhio anch’essi, ma dotati secondo le belle esperienze di Abney di un’azione fotografica. Secondo la teoria Ioung-Helmoltz i colori fondamentali sareb- bero il rosso, il verde, e il bleu violetto: dal rosso al verde si pas- serebbe per l’aranciato-giallo, dal verde al bleu-violetto per il verde-bleu. La caratteristica di tali colori è la lunghezza d’onda (1) espressa in pp (milionesimi di millimetro). Il seguente quadro indica le varie lunghezze d’onda per le di- verse strie dî Fraunhofer : Rosso A — pi» 760 B — >» 687 CO — » 656 Giallo = » 589 Verde E —_- » 527 Ra >» 486 Bleu Ga RZ Violetto Hree= 391 Ultravioletto - Linea dei Magnesio » 280 » - » > /Cadmio:® > 270: La porzione ultravioletta della spettro ha un’azione fotografica assai rilevante, e mentre nella fotografia dei comuni preparati co- lorati occorre eliminarla per ragioni che ho esposto nella « Cro- mofotomicrografia », pure in alcuni casi offre indiscutibilmente preziosi vantaggi al micrografo, quando occorra risolvere minutis- simi particolari di struttura in organismi infinitamente piccoli, come ad cs: nelle diatomee, nei bacteri, ecc. #@ Pa ri LO " x \ di era si » » 510 » 400 4 hi si CSA, [E LE 3 , >» » 460 » 380 E — da pp 700 a 560 PIP 00 a 0 Gritti ont 100710 H —. » >». 540 » 420 K, — ‘assai luminoso, adatto per riproduzione ortocromatica. I filtri possano essere adoperati da soli oppure, quando occorre, accoppiati insieme, così ad es.: A-D — Rosso cupo G-H — Verde A-B — Bruno B-C — Bleu verde B-E — Giallo verde D-H — Violetto Le coppie precedenti di filtri avranno le seguenti bande di tra- smissione: A-D — da pp 700 a 640 A-B — >» s 580 ». 600 B-E — >» » 560 » 600 CHE es di TO BC. se ee 10 10 DB—*">3 0 > 7420065: 460 Invece dei filtri preparati con lastre di vetro rivestite di gela- tina colorata, possono adoperarsi filtri costituiti da una bacinella a facce parallele (spessore cm. 1) che viene fornita con qualunque apparecchio fotomicrografico, la quale si riempie di soluzioni colo- ranti di anilina del colore che conviene esaminato. spettrosco- picamente. Però consiglio specialmente i principianti a non ricor- rere a ricerche spettroscopiche un po’ noiose e qualche volta errate e cerchino di sopportare la spesa, certo non molto elevata, per l'acquisto dei filtri Wratten che si prestano benissimo per qualunque lavoro fotomicrografico ed anche per macrofotografia scientifica. Voglio ricordare qui alcune delle principali sostanze coloranti adoperate in citologia ed istologia vegetale e animale con le loro bande di assorbimento: i 1. Bleu d’anilina pp 550-620 e 600-620 2. Bleu Metilene > } 650-680 3. Bruno Bismarck. » 480-420 4. Ematossilina Heidenhain » 560-600 re M able Ù x $ b: NiG4 Li Fa i ° MIT n° LA TT pi î è COPIE À led n . Eosina up 490-530 5 6. Eritrosina » 510-540 7. Fuxina » 530-570 1 19: \ 510-530 8. Picrocarminio » Î 560-570 9. Rosa Bengala > 550-560 10. Verde Jodo >» 620-650 11. Rosso Congo >» 480-520 12. Verde Metile >» 620.650 13. Violetto Genziana >» 570-600 14. Violetto Metile » 580-600 Gli schermi Wratten da usarsi con preparati che presentano co- lorazioni corrispondenti a quelle citate e dei quali occorre esaltare 1 contrasti, saranno: 1586B-E 8. G-H 2. D-G 9 G-H SIMO 10 SE 4. B-E RESERO, 5. G-H 120 .H 6. G-H 13. B-E 7. B-G 14. B-E Le radiazioni che si useranno avranno dunque le lunghezze d’onde rispettive: 1. pp 560-600 8. pp 510-540 Qui». 640680 9. » 510-540 3a 400510 orta 6105680 4. » 560600 DRAGO GIO 5. » 510-540 19 ka 610.610 6. >» 510-540 13.» 560-600 7. » 560-600 14. >» 520-600 Se le preparazioni avessero doppie o triple colorazioni si foto- graferanno con lo schermo K, qualora l’ortocromatismo dei colori conservato faccia spiccare nell’immagine monocroma i due o i tre colori secondo toni diversi: se ad esempio, si avessero vicini tre colori che non darebbero nella loro riproduzione ortocromatica alcun distacco, si vedrà quale dei colori si vorrà contrastare sugli altri ed allora si userà il rispettivo filtro di colore complementare con- dla ni J ta dA 1a Ù. o ì PRE NEGA RE RAI IRA CIR, AI ROSPO ILA SUONI, SIG ESOT LOI ENTO RIO CE CI n Do è vasta 4 ” 4 al | = a Y 7 O) bi s ; . forme a ciò che ho detto innanzi, filtro che farà apparire come nero il colore che faceva d’uopo rendere evidente, Qualche volta però avviene che dei preparati presentino strut- ture minutissime che hanno assorbito lo stesso colore adoperato con leggiere gradazioni di tinta. Se allora si fotografasse con filtri a contrasti i dettagli del preparato sparirebbero nel positivo in una massa oscura pressa poco uniforme, avendo le deboli gradazioni dello stesso colore assorbito in egual modo la luce proveniente dal filtro di colore complementare. Allora per rimediare a tale inconveniente o si fotografa con lo schermo per ortocromatismo K, oppure si adopererà un filtro che trasmetta della luce che non sarà completamente assorbita dalle parti colorate del preparato. Prendiamo un esempio per rendere chiaro ciò che ho detto. Sup- poniamo di aver colorato un preparato con cellule ricche di conte- nuto, presso che uniformemente nelle sue parti, con eosina. Se si volessero mettere in evidenza le sole pareti cellulari (senza il con- tenuto) su fondo incoloro, si adopererebbe senz’altro per la sua fo- tomicrografia un filtro H di colore bleu o la coppia H-G di colore verde. Ma siccome importa di far spiccare i dettagli nelle singole cellule dovrà adoperarsi il filtro rosso F il quale trasmetterà luce di p.y 610: il fotomicrogramma non apparirà allora tanto contrastato, ma ricco in dettagli. Prima di terminare questa mia nota voglio accennare ai fattori per il tempo di posa relativi ai diversi filtri Wratten, fotografando con luce emessa da una lampada elettrica Nernst e da una a gas Auer: Schermi Nernst Auer A 6 6 b 12 12 C 16 12 E 3 6 F 6 12 G 2 4 H 16 16 K, 11/, 3 D-G 80 250 A-D 90 240 B-E 60 120 G-H 1600 1600 B-C 600 1000 B-G 25 20 Sri le. Pai v Ade dA ea) r 095 — } ST, vago. » = Set RITO f ° |’ Per lo sviluppo delle lastre pancromatiche si userà la glicina, il Rodinal, o anche il Perinal, rivelatore concentrato speciale per le lastre Perutz, ma che si presta benissimo per lastre anche di altre marche. Un rivelatore ottimo però per le sue qualità è. l’ossalato ferroso (1), oggigiorno a torto detronizzato dalla pletora dei moderni sviluppatori, del quale ho parlato in una mia nota precedente. (1) Lo sviluppo all’ossalato ferroso nella fotomicrografia, Ann. di Bot., Vol. X, fasc. 1°. ei A 3 pet: si de, TITO "e È A > can i Alti vi , CINI sn isp Dn Tae (RIO CA o St ACNE ANA SIRIA SININSINT SIA NANI TSI NS ANS NAS ST Su particolari anomalie del sacco embrionale di < Bellis perennis » del dottor ENRICO CARANO (TAV DX) Chamberlain (1) parecchi anni addietro rilevava in alcuni sac- chi embrionali di Aster Novae-Angliae una struttura molto strana ed interessante: delle numerose antipodi contenute in ciascun sacco, l’inferiore, che di solito differiva dalle altre per la grandezza molto maggiore, per la scarsa densità del citoplasma e per le di- mensioni ragguardevoli dei suoi nuclei, eccezionalmente si modifi- cava in modo che di questi suoi nuclei due assumevano l’aspetto e la posizione reciproca dell’oosfera e del nucleo secondario nor- mali. Sicchè egli concludeva per l’esistenza di un’oosfera anti- podale. Quest’osservazione fu messa in dubbio dalla Goldflus (2), che, occupandosi della struttura e della funzione delle cellule epiteliali e delle antipodi nelle Asteracee, prese anche in esame A,ter Novae- Angliae e non vi trovò nulla che corrispondesse a ciò che Cham- berlain aveva descritto. Più tardi l’ Opperman (3), seguendo lo sviluppo del sacco em- brionale in parecchie specie di Asfer, non mancò anch'essa di ri- volgere l’attenzione alla specie studiata dai due autori precedenti; e constatò, contrariamente alla Goldflus, che l’antipode inferiore diveniva realmente molto più grande delle altre, ma non rinvenne (1) CHAMBERLAIN, C. J. — The embryo-sac of Aster Novae-Angliae. Bot. Gazette, vol. XX, 1895. (2) GoLpeLus, M. — Sur la structure et les foncetions de l’assise épithéliale et des antipodes chez les Composees. Journal de Botanique, T. XII, 1898, pag. 379; e T. XIII, 1899, pag. 58-59. (3) OPPERMAN, M. — A contribution to the life history of Aster. Bot. Ga- zette, vol. XXXVII, 1904. ANNALI DI BOTANICA — Voc. XI, 929 i rar ar A tt ei nè la differenza di dimensioni fra i suoi nuclei e quelli delle altre antipodi, nè l'anomalia indicata da Chamberlain. In Aster undulatus invece scorse un caso se non identico corrispondente a quello de- scritto da questo autore: un sacco cioè conteneva oltre all’oosfera ed al nucleo secondario normali, una seconda oosfera ed un se- condo nucleo secondario verso l’estremità inferiore; di più, fatto molto importante, la seconda oosfera veniva fecondata. L’Opperman non potè con sicurezza stabilire l’origine dell’anomalia da lei os- servata, quindi fu costretta a formulare diverse ipotesi, fra cui la più probabile le sembrò quella che oosfera e nucleo secondario sopranumerarii provenissero da una delle tre primitive cellule an- tipodali, forse dalla superiore. Un caso non meno strano io ho trovato in Bellis perennis. Bi- sogna però ritenere che tali anomalie siano abbastanza rare, perchè dei numerosi capolini sezionati, con l’ intento di seguire lo sviluppo dei tessuti nell’embrione di questa pianta, solo uno mi si è mostrato anomalo. In compenso quasi tuttii suoi achenii hanno manifestato in grado più o meno avanzato una deviazione nel loro sacco em- brionale dalla struttura tipica. Nella figura 1 è rappresentato uno di tali sacchi. Esso risulta di due cavità, di cui la superiore è ampia circa il doppio dell’in- feriore e rappresenta la porzione normale, contenendo i diversi co- stitluenti del gametofito femmineo, cioè l’oosferà, una delle siner- gidi e l’accenno del nucleo secondario, che riesce ben manifesto nella sezione successiva. Al limite fra le due cavità vi sono cinque antipodi, una delle quali (a) possiede tre nuclei, mentre le altre non ne mostrano che uno soltanto, pur essendo in effetto anch’esse plurinucleate, come si rileva bene dall’osservazione delle sezioni precedente e seguente a quella illustrata. Dalla volta della cavità inferiore sporge nel suo interno una grossa cellula con aspetto perfettamente uguale a quello di un’oosfera (pso); essa infatti è piriforme e possiede, come di regola l’oosfera normale, un citoplasma abbondante ed un grosso nucleo e nella parte superiore un vacuolo. La figura 2, che illustra la sezione successiva, mostra nella cavità infe- riore due altri nuclei; di questi uno in prossimità del punto d’in- serzione della pseudo-oosfera è quasi ridotto ad una massa informe (in) e l’altro, molto evidente, con un nucleolo enorme ha l’aspetto e la posizione di frontealla pseudo-oosfera di un nucleo secondario (ne). Altri sacchi ho osservati con’ particolarità non meno strane; fra questi uno che possedeva, oltre alla parte normale, un’altra sottostante con entro una grande cellula foggiata al solito ad oosfera e due piccole masse rivestite di membrana, entrambe oc- — 437 — cupanti nella cavità la posizione che nel sacco normale occupano le antipodi (fig. 3,4). La spiegazione di queste diverse anomalie in Bellis perennis non ha opposto alcuna difficoltà: trattasi come in Aster Novae-Angliae di una cellula antipodale che, ingrandendo considerevolmente fog- gia ed ordina i nuclei nel suo interno ad imitazione di quelli di un sacco embrionale. Nei diversi achenii ho avuto agio di seguire i gradi successivi di sviluppo dell’anomalia, partendo dal caso in cui un’antipode mostravasi soltanto un po’ più grande delle altre fino a quello illu- strato dalla figura 1. In un sacco ho osservato anche due cellule antipodali ingran- dite fra le cinque esistenti (fig. 4,4); il loro contenuto però non manifestava altro d’anormale che l’ipertrofia di uno dei nuclei con formazione di un grossissimo nucleolo. Guardando la preparazione che io ho illustrata con la fig. 1, sì prova a tutta prima l'impressione come se due sacchi siano so- vrapposti l’uno all’altro, con la differenza però che mentre il su- periore è fornito di cellule epiteliali (e) alla periferia, l’inferiore ne è privo. Intorno all’una come all’altra delle due cavità si os- serva con molta evidenza la dissoluzione della parte più interna (c) del tegumento operata sia dalle cellule epiteliali, sia direttamente dall'enorme antipode; la qual cosa è in appoggio dell’opinione di coloro che attribuiscono alle cellule antipodali delle Asteracee un ufficio assorbente. Non ho mai osservato la pseudo-oosfera e il nucleo seconda- rio dividersì per produrre rispettivamente l embrione e l’albu- me; ciò che d’altronde era da attendersi per l'impossibilità of- ferta agli spermi di poter giungere fino ad essi attraverso al tes- suto compatto formato dalle antipodi alla base della porzione nor- male del sacco. Nel caso offertosi all’ Opperman la fecondazione della seconda oosfera era stata possibile perchè questa giaceva nella stessa cavità contenente l’oosfera ordinaria. Quale significato può attribuirsi a queste anomalie? Chamber- lain non esita a considerare l’esistenza di un’ « oosfera antipodale » come una nuova prova in favore dell’omologia fra le antipodi delle Angiosperme e il protallo delle Gimnosperme, omologia sostenuta già sono molti anni dallo Strasburger. L’Opperman invece, basandosi sul fatto che l’oosfera sopranu- meraria può anche essere fecondata, sostiene l’altra teoria, secondo cui le antipodi e tutte le cellule del sacco embrionale maturo sono da ritenersi come delle oosfere potenziali. TAO LIL EA I LO RE I TITO MO MER > EI E ST REI DI e un E SITO. ee PR ge 9 Sa 7° e" PI 5 ‘ i -, dn Di RT le — 488 — A parte il fatto che l’Opperman non può con piena convin- zione affermare che l’oosfera da lei osservata derivi da un’antipode, io credo si possa tanto a lei quanto a Chamberlain obbiettare che tutt’intera una cellula antipodale e non uno dei suoi nuclei do- vrebbe assumere l’aspetto di oosfera perchè i casi di Aster undu- latus e di A. Novae-Angliae potessero valere ad appoggiare le teorie da essi richiamate. Aggiungendo poi quanto ho potuto osservare direttamente in Bellis perennis, mi confermo di più nell’idea che non è possibile riconoscere a queste anomalie il valore filogenetico loro attribuito dagli autori suddetti. In Bellis infatti alcuni dei nuclei fratelli della pseudo-oosfera possono perfino foggiarsi ad antipodi, verificandosi in tal modo il fatto curioso della produzione di antipodi in un’antipode! Si tratta dunque piuttosto di una particolare mostruosità per cui una cellula antipodale diventa capace di comportarsi come una megaspora fertile, producendo nel suo interno un gametofito fem- mineo più o meno ridotto. Sebbene le specie finora indicate a questo riguardo siano ap- pena tre, appartengono nondimeno tutte al novero di quelle con antipodi plurinucleate. Sembra quindi che la presenza di parecchi nuclei costituisca una condizione necessaria perchè l’anomalia si verifichi. L'aspetto che questi nuclei rivestono più di frequente è, come abbiamo visto, quello di oosfera e di nucleo secondario; raramente invece ricorrono le figure di sinergidi (Aster Novae-An- gliae) e di antipodi (Bellis perennis). Ciò potrebbe essere non privo d’ interesse, in quanto mostrerebbe come le due formazioni — oosfera e nucleo secondario — siano legate strettamente l’una all’altra e rappresentino un apparecchio caratteristico, forse anche molto antico del gametofito delle Angiosperme. Quali siano le cause che favoriscono lo sviluppo di tali mostruo- sità è molto difficile stabilire; forse però non trascurabile deve essere l'influenza delle condizioni d’ambiente. Io ho rilevato che i capolini raccolti in grandissimo numero in primavera erano senza eccezione normali, mentre uno fra i pochissimi raccolti in novem- bre, cioè proprio nell’epoca in cui Bellis perennis riprende da noi la sua fioritura, ha mostrato i casi descritti. Ora succede, come ho avuto agio di constatare da parecchio tempo, che i primi capolini a fiorire in autunno, manifestino sovente anche all’esterno delle ano- malie, fra cui la più frequente è la produzione in mezzo ai fioretti del disco di squamme verdi simili a quelle dell'involucro. Anche l'anomalia descritta da Chamberlain e che non è stata posterior- mente rinvenuta nè dalla Goldflus nè dall’ Opperman, si è mani- RS) PA E i denirnagi Ls en ene festata in materiale raccolto dall'autore verso la fine di ottobre dopo i primi geli autunnali. Nello studio di Bellis perennis mi si è offerto un altro caso in- teressante, che non ha nessuna relazione con quelli sopra descritti. In un giovane achenio l’embrione si era sviluppato all’esterno del ‘ sacco embrionale. Per combinazione quest’achenio invece che lon- gitudinalmente è stato sezionato trasversalmente, sicchè è meno agevole scorgere i rapporti di posizione dell’embrioncino col sacco. Seguendo però la serie di sezioni interessanti l’intero achenio, si rileva che tutto l’embrioncino, compreso il suo sospensore, ri- mane limitato fuori del sacco. Nella figura 5 è illustrata una di queste sezioni: la cavità del sacco completamente circondata dalle cellule epiteliali (e) è ripiena d’albume (en), mentre l’embrioncino (em), tagliato alquanto obbliquamente, giace su un lato di essa, producendole col suo accrescimento un’ insenatura. Non è possibile con questo solo esempio precisare l’origine di questa particolare struttura. È molto probabile però che l’embrione, mancando di qualsiasi relazione col sacco, provenga per via apogama da una cellula del tegumento. Nell’interno del sacco verso l’estremità mi- cropilare io non sono riuscito a scorgere nell’albume alcuna trac- cia di embrione normale abortito; non pertanto l’albume aveva continuato regolarmente a svilupparsi. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Sezione longitudinale in un sacco embrionale anomalo di Bellis pe- rennis. e) cellule epiteliali — a) antipodi — pso) pseudo-oosfera — €) cel- lule del tegumento in via di dissoluzione. Fig. 2. — Sezione longitudinale successiva a quella illustrata nella fig. 1 — in) massa informe corrispondente ad uno dei nuclei dell’antipode ingros- sata — ne) nucleo secondario. Fig. 8. — Sezione longitudinale attraverso un altro sacco anomalo: pso) pseudo- oostera — a) cellule con aspetto e posizione di antipodi. Fig. 4. — a) due cellule antipodali notevolmente ingrossate. Fig. 5. — Sezione trasversale in un giovane achenio di Bellis perennis: em) em- brioncino in via di sviluppo — er) albume — e) cellule epiteliali. RE TRAE RA 19 i pI0 È i RARI ‘ FITRRTORI SERALI (I 1g È 7 É da ù VISA i i Z IR “I a DISC fg) ia, ds ve) È CIRIE 5) 4 MMANESTA CORRI, olii a Seti ass È sttALa, gi tra) È Intorno alle attività enzimatiche di due bacteri patogeni per le piante. Ricerche del dott. G. SEVERINI È noto già da molto tempo che fra le alterazioni che si riscon- trano negli organi di piante colpite da quelle malattie bacteriche, che comunemente vengono descritte col nome di « marciumi molli », la più frequente e caratteristica è la dissociazione dei tessuti nei singoli elementi costituenti, in seguito alla scomparsa delle lamelle mediane, che appunto servono a mantenerli saldamente riuniti fra di loro. In molti di questi casi si è potuto constatare che i mi- crobi patogeni, oltre a produrre tossine che avvelenano rapidamente le cellule dell’ospite, elaborano uno speciale enzima, capace di idro- lizzare e quindi di disciogliere i composti pectici della lamella mediana. Si ammette infatti che la lamella mediana sia costituita prevalentemente di sostanze pectiche, carbidrati affini alle emicel- lulosi, le quali, secondo le idee di Mangin e di altri, si trovereb- bero più propriamente allo stato di pectosa nei tessuti giovani, di pectato di calcio in quelli adulti: la pectosa passerebbe allo stato di acido pectico, il quale, per opera di un enzima coagulante, la pectasi, verrebbe trasformato, in presenza di un sale di calcio, in pectato di calcio. Numerosi osservatori si sono occupati di marciumi molli di piante, e delle alterazioni anatomiche che li accompagnano, pochi invece, e per lo più incompletamente, delle azioni enzimatiche che in essì sì svolgono per opera dei microrganismi che li producono. Così Potter (1), studiando il marciume della Brassica Napus, ritenne che dallo Pseudomonas destructans venisse elaborata una (1) PorTER M. C. — Uedber eine BakterienkranKheit der Riiben. Centr. f. Bakt. und Parasitenk., II, Bd. 7, 1901, s. 282-288, 358-362. — 412 — citasi, la quale avrebbe prodotto il rigonfiamento e rammollimento delle pareti cellulosiche, e causato il discioglimento della lamella mediana. Anche Jones (1) ammise che il Bacillus carotovorus del marciume delle carote potesse disciogliere le lamelle mediane se- gregando una citasi. Invece van Hall (2) propose di distinguere questo enzima col nome di « pectinasi » già suggerito da Bourque- lot ed Herissey. Spieckermann (3), descrivendo una bacteriosi della Brassica acephala, si occupò con una certa ampiezza di indagini del modo come il bacterio patogeno discioglie le lamelle mediane ed uccide le cellule. Riuscì poi a stabilire che la sostanza attiva sì conserva nei succhi ottenuti dalle piante infette, ma che non passa attraverso ai filtri, che ha un potere dissolvente diverso a seconda delle piante in cui sì forma, che riscaldata a 60° diventa inat- tiva, ecc. Anche Harrison (4) notò che nel marciume del fusto e dei tuberi di patata, il B. solanisarpus distrugge le lamelle me- diane, senza però attaccare le pareti cellulosiche. Ma la più estesa contribuzione alla conoscenza delle azioni enzimatiche che si svol- gono nei tessuti vegetali colpiti da marciumi, è stata portata re- centemente da Jones, e dai suoi collaboratori Harding e Morse, con un importante studio sul « marciume radicale di piante prodotto da bacteri » e sulla pectinasi da essi elaborata (5). La 1% parte di questo lavoro comprende studi comparativi fra il B. carotovorus di Jones, il B. oleraceae di Harrison, il B. ommnivorus di van Hall, il B. aroideae di Townsend e Spieckermann, rappresentati comples- sivamente da 43 razze diverse. Gli A. arrivarono alla conclusione che probabilmente tutte queste razze non rappresentano che una unica specie assai variabile. Nella 2% parte Jones si occupa degli enzimi elaborati dalle diverse razze, sempre in confronto col suo B. carotovorus. Dopo di aver precipitato con alcool gli enzimi dai succhi di piante malate o dalle colture liquide dei diversi bacilli, studia le proprietà e le azioni che essi manifestano in soluzione acquosa sui tessuti vegetali. Dalle sue osservazioni risultò che gli (1) Jowxes L. R. — Bacillus carotovorus n. sp. Centr. f. Bakt. und Parasi- tenk., IT, Bd. 7, 1901, s. 12-21, G1-68. (2) HALL, vAN, — Bijdragen tot de Kennis der bakterieele Plantenziekten. Proefschrift Amsterdam, 1902. (3) SPIECKERMANN A. — Beitrag zur Kenntnis der bakteriellen Wund- fiulnis der Kulturpflanzen. — Landwirtschaft. Jahrbiich. Bd. 31, 1902, s. 193-210. (4) HARRISON F. C. — A dacterial rot of potato caused by Bacillus solani- sarpus. Centr. f. Bakt. Parasitenk. u. Intektionskr., Bd. XVII, 1906, n. 1-13. (5) Conf. SwitH E. F. — Bacteria in relation to Plant Diseases. Vol. RE p. 81 e seg. { a $ AL enzimi isolati dalle diverse razze agiscono soltanto sulle sostanze pectiche della lamella mediana, e che quindi non attaccano la cel- lulosa, non hanno azione diastasica sull’amido. L’A., che prima aveva caratterizzato tale enzima citolitico come una citasi, dopo i risul- tati dei suoi studi, fu indotto a preferire il nome di pectinast, trattandosi probabilmente dello stesso enzima descritto da Bour- quelot ed Herissey. In un caso di marciume molle da me osservato nei tuberi di Ixria maculata e di Gladiolus Colvilli, riuscii ad isolare due diversi bacilli capaci di riprodurre artificialmente la malattia, e che pro- posi di chiamare Baci/lus Iriae e Pseudomonas Gladioli. Disponendo di culture rigorosamente pure di questi due microrganismi, decisi di studiare sperimentalmente le loro attività enzimatiche. Rimandando, per ciò che concerne la descrizione della malattia ‘e dei caratteri der microrganismi che la producono, ad altro mio lavoro (1), credo indispensabile di ricordare le principali alterazioni prodotte dai due microrganismi, quando vengano inoculati nei tu- beri delle piante ospiti, premettendo che sotto questo punto di vista, ambedue sì comportano in modo quasi del tutto simile. La loro azione patogena si svolge a carico del tessuto parenchimatico di riserva, che diviene molle e flaccido pochi giorni dopo l’ infe- zione, presentando all'esame microscopico gli elementi cellulari se- parati fra Joro, o facilmente separabili con la pressione, in seguito alla scomparsa delle lamelle mediane. Il citoplasma appare forte- mente coartato, granuloso, di color bruno ed in via di disorganizza- zione. Nei tuberi infettati con lo Pseudom. Gladioli, 1 fenomeni di avvelenamento del protoplasma si possono manifestare già alla distan- za di parecchi strati di cellule al di là del luogo d’invasione del mi- crorganismo, mentre nel caso del Bacillus Ixiae non precedono mai per più di uno o due strati il processo di dissociazione cellulare. Ciò farebbe ritenere che il primo elabori delle sostanze tossiche molto più energiche e diffusibili. I bacilli sì muovono e si avanzano esclusivamente negl’intercellulari e negli spazi lasciati liberi dal dissolvimento delle lamelle mediane che in generale precede di poco l’invasione degli organismi. Non si riscontra mai la presenza di bacilli entro le cellule, le cui pareti cellulosiche si conservano inalterate, come pure del tutto inalterati appaiono i granuli d’amido. Per studiare le attività enzimatiche di questi due microrga- nismi, mi servii sia di culture liquide, sia di succhi estratti da (1) SeveRINI G. — Annali di Botanica. Vol. XI pag. 413-424, AGI tuberi ammalati. Nel 1°caso il liquido culturale aveva la seguente composizione : Urania RE LO Gluceosio=gta. ye pre O) Fosfato.potassico Ue. *. sr D ‘A:cqua- comune Sagl aa a A000 Questo liquido veniva distribuito in Erlenmeyer di circa 500 cc. di capacità, sterilizzato e poi inoculato, mantenendo in termostato a 28°. Quando il massimo sviluppo era raggiunto (dopo circa 4 giorni per il Bacillas, dopo 6 per lo Pseudomonas), si aggiungeva per ogni 100 cc. di liquido, 1 ce. di soluzione alcoolica satura di timolo. Dopo poche ore si depositava al fondo dei recipienti un leggero precipitato, mentre il liquido diventava perfettamente limpido. La reazione era per lo più debolmente acida, specialmente nel liquido di coltura del Bacillus Ixiae. Nel 2° caso, quando cioè il liquido enzimatico era formato dal succo di tuberi marciti, i microrganismi si inoculavano dapprima su fette di tuberi sani, precedentemente sterilizzate in autoclave. Si manteneva in incubazione fino a completo rammollimento dei tes- suti, poi le fette venivano ridotte in poltiglia, aggiungendo poca acqua. Il liquido spremuto dalla polpa veniva filtrato per carta, poi addizionato di cloroformio 0 meglio di timolo, come nel caso precedente. Preparati così i liquidi enzimatici, volli innanzi tutto control- larne l’efficacia, ponendo, in una porzione di essi, delle sottili se- zioni di cotiledone di lupino, ed esaminando periodicamente al microscopio. Da queste prove risultò chiaramente che in essi non si aveva nessuna diminuzione del potere citolitico. In principio le la- melle mediane divengono meno rifrangenti, e si rigonfiano notevol- mente: poi cominciano a disciogliersi ed a scomparire nelle porzioni più sottili, mentre resistono alquanto in quelle più ispessite. Ma basta una leggera compressione sul copri-oggetti per provocare la separa- zione completa delle cellule. Di solito occorrono da 1 a 2 giorni, alla temperatura di circa 30°, per ottenere il disgregamento completo delle sezioni. Le pareti cellulari rimangono inalterate, anche dopo una lunga immersione, conservando perfettamente la reazione della cellulosa. Il distacco del protoplasma dalla parete si verifica invece molto presto, specialmente nel liquido enzimatico dello Pseudomonas, dove si osservano fenomeni di degenerazione e di corrosione anche a carico dei granuli di aleurone. i In genere i liquidi artificiali di coltura hanno un’azione meno. rapida, ma possiedono le stesse proprietà in confronto ai succhi ot- tenuti dai tuberi malati. Con questi liquidi indubbiamente attivi, ho proceduto allo studio analitico delle diverse attività enzimatiche, i cui risultati verrò ora esponendo, a cominciare da quella cellulasica in senso lato. I. ProrINASI. — Il metodo consisteva nel sottoporre all’azione dei liquidi enzimatici, sostanze di natura pectica, determinando quan- titativamente lo zucchero riduttore presente al principio ed alla fine di ciascuna esperienza. Preparai artificialmente la pectina dalla polpa di prugne fresche aggiungendo a caldo del latte di calce fino a reazione neutra. Le sostanze pectiche formavano un coagulo ge- latinoso che poi dializzavo, o sottoponevo a lavaggio in sacchette di tela, fino a scomparsa di qualsiasi traccia di glucosio. In alcune prove mì servii anche di pectina preparata dalle rape, secondo il metodo di Behrens e Stòrmer (1). Prima di aggiungere le sostanze pectiche, i liquidi enzimatici venivano saggiati con tornasole: se la reazione era neutra o troppo debolmente acida, si aggiungevano poche gocce di una soluzione conc. di acido tartarico. Subito dopo l’aggiunta di pectina, si do- sava la quantità di zucchero riduttore nel liquido, poi si manteneva in termostato a 28° o 80° per alcuni giorni, determinando, per lo più ogni 24 ore, il potere riduttore. Le determinazioni di zucchero vennero fatte col metodo di Al- lihn, previa defecazione dei liquidi con acetato di piombo. Ricor- derò anche che per ogni 100 ce.di liquido enzimatico, erano stati aggiunti grammi 10 di sostanze pectiche. Per ogni saggio prele- vato dai liquidi, si eseguivano due determinazioni, le cui medie, riferite a 100 di liquido enzimatico, sono riportate nella tabella qui trascritta: (1) LOHNIS F. — Landwirtschaft. bakteriol. Prakt, 1911., p. 108. S ISS Zucchero Î Zucchero riduttore ì | Rie OO oZ0E N e | | LIQUIDI ENZIMATICI SO Variazioni = MO di, con pectina Inaà a Si ; a o i - zioni Regione di feugiio nie z di pectina | ‘8-VIII-1912|g. 0,09738| — SII dA a _ g. 0,0978 _ ss, | Liquido culturale | Bg, » 2A » 0,1084 a AA | di Pseudom. Gla i dioli. (CLENOENASS — = — _ i | TESSli Sa SOS: ee = È 8» e seg _ id. — |+g.0,0175 i | E 3-VIII-1912|g. 0,0698 = —_ — “sd CREO = g. 0,2003 Dial Li Bb DID» — » 0,3180 es 2 #9 Liquido culturale va diBacillusIxiae. \% > > Sui SOSIO Ha Si di io e id. SS; et te, Sara cs id. —_ — 1 Va e 13 e seg. DE » 0,3523| — |4-g.0,2825 u MEA ER Si PR 16-VIII » |g.0,2914 — — — N | (5 >» —_ g. 0,2999 ni — 6 Liquido culturale |j9 » >» 2A » 0,8429 ne? In n di Pseudom. Gla- < f ‘i dioli. RO. —_ id. — — t: fo » » = id. ee: 5: A II 26» » — |» 08654| — |+g.0,0740 È | | 16.VIII » |g 0,0537 _ — si f \1s Da —_ g. 0,0626 — — Ri Liquido culturale , ni di Bacillus Iriae. 19 > > III e A sti pps DS = » 0,1804 SL = Ù I 26 e seg _ » 0,2800 — + g.0,2263 pi ; | : sa I | I ; Liquido culturale (26-VIII .0.3105 a Spa = " di Pseudom. Gla- ER si dioli. 2-IX e seg, — g. 0,3280 — + g.0,0175 ‘9 26-VIII » |g.0,4697| — = er 4 II bs » oo. daga | pot (3 Liquido culturale , > di Baciltus Iriae, BO >» > ARA 00 Bi Dr î 2-IX » — » 0,6106 _ _ Di: arie PR 06480 SELE pra È Zucchero riduttore e È Data ia dopo soggiorno (> Jen riduttore in termostato © delle SARRI | LIQUIDI ENZIMATICI in liquido Variazioni È determina» | Ss enzim. Sem-|con pectina|con pectina 3: zioni. plice di prugne | di rape Zi SE 912 |g. 0,2870 — -- _ dopo 12 oredalla Pa g. 0,4238 g. 0,3825 Pes: aggiunta di dioli (o1°XII-1912" | — © |» 0,6469|"» 04288] + g. 0,4360 per la pectina i prugne DIS IRAN “NIN. = » 0,7230| » 0,4480% i + g.0,1610 per Ta pectina di rape 19-XII-1912 |g. 0,2054 dopo 12 ore = 0. S. Liquido colturale fica pra) Liquido colturale | pectina. di Pseudom.Gla- © di Bacillus Ixiae. 23 » >» —_ 9) PASTORE IO == 4 29 >» » —_ g. 0,2850 | g. 0,2679 _ » 0,3819 id. _ » 0,4266| » 0,2776 _ » 0,4451| » 0,2914 |+ g.0,2397 Cc. S. id. |» 0,8100|+g.0,1046 C..S. 8-I-1913|g. 0,0989 Succo dituberiino- culati con Pseu- dom. Gladioli. dopo: do ore Pesa 13 - I - 1918 _ Succo di tuberi ino- culati con Baci!- lus Ixiae. dopo: i ore = 13 - I - 1918 - o I - 1913 |g. 0,0905 i vd Sr | g. 0,2914|g. 0,259) — (+ g.0,3542 9 9 C. S. » 0,4531| > 0,265 too: C. S. | g. 0,2551 | g. 0,1505 | \ + g.0,2185 | y 763 C. So » 0,3040 | » 0,1 g.0,0848 c. Ss. Nelle prove fatte con gli stessi liquidi enzimatici bolliti, non si ebbe nessuna variazione in presenza di sostanze pectiche. Da queste esperienze risultano principalmente i seguenti fatti: 1° In tutte le prove vi fu aumento nella quantità di zuc- chero riduttore: ciò dimostra che i liquidi enzimatici di ambedue MERE a “a si e be AE (i e BLA 1? Ie i) PE RT iL gli organismi hanno potere idrolitico sulle sostanze pectiche, e con- ferma quindi l’esistenza di una pectinasi. 2° Nei liquidi enzimatici, specialmente in quelli dello Pseu- domonas, la pectinasi lentamente si distrugge; come mostra il con- fronto dei risultati delle esperienze I-III con quelli delle espe- rienze IV e V. Nelle prime tre infatti, dove le quantità finali di zucchero erano più basse, i liquidi enzimatici furono messi in pre- senza di pectina qualche tempo dopo (circa 8 giorni) la loro pre- parazione; mentre nelle ultime due i liquidi vennero a contatto con la pectina un giorno dopo l’aggiunta di timolo. 5° La pectinasi esplica subito la sua azione, la quale è più pronta e più rapida per lo Pseudomonas (cfr. IV e V). 4° L’enzima decompone meglio la pectina di prugne che non quella di rape. Ciò dimostrerebbe, confermando anche in parte i risul- tati delle esperienze d’infezione, un certo potere specifico di adatta- mento da parte dell'enzima stesso. 5° L'intensità dell’azione enzimatica è quasi uguale, tanto nel liquido artificiale di cultura, che nel succo di piante malate. II. CeLLuLAsI. — Delle striscie di carta bibula o degli strati di cotone, entro capsule di vetro, vennero imbevute coi liquidi enzi- matici. Anche dopo un lungo soggiorno in termostato a 28°, la cel- lulosa non venne attaccata, confermando così i risultati delle os- servazioni microscopiche. III. InvertasI. — I liquidi enzimatici venivano addizionati di gr. 10 % di saccarosio in polvere, determinando il potere riduttore prima e dopo soggiorno in termostato a 28°. In due esperienze suc- -cessive, vennero notate le seguenti variazioni nelle quantità di zuc- .-chero riduttore (% di liquido enzimatico): - 449 — <| S| Data | Zucchero Zucchero | v bj della riduttore riduttore | 2 | LIQUIDI ENZIMATICI subito | | Variazioni 25 determina- (dopo l'aggiunta dopo soggiorno | 3 zione di saccarosio in termostato z | | | Liquido culturale( 7-[X-1912 g. 03584 è. » i Pseudom. Gla-. ve Rai: \ noe om.Gla |12-IX e seg > g. 0,8804 + g. 0,0220 | I 7-1X-1912 g. 0,4375 = 2 Liquido A) 9 » >» 3 g. 0,6387 — di Bacillus Ixiae.\ {9 » >» Re: » 0,9127 _ IS STE —_ >» 0,9755 + g. 0,5377 | | Liquido culturale | RT=1913 | g. 0,1239 | 43 | i \ di Pseudom. Gla- | pil pr dioli. (Lone = | g. 1,1415 | +g.1,0176 Le Hi: | Liquido culturale\ 9 > > | g.0,3594 | = —_ di BacillusIxiae.\13 » » | — g. 1,9569 | -+g.1,5985 Dai risultati esposti in questa tabella si rileva che in tutti i casì vi fu un guadagno nelle quantità di zucchero riduttore, evi- dentemente dovuto all’inversione del saccarosio per opera di una invertasi che si è dimostrata molto più attiva nel liquido enzimatico del Bacillus Ixiae. Nella 2* esperienza, le quantità finali di zuc- chero sono notevolmente superiori, perchè furono adoperati liquidi enzimatici freschi, mentre per la 1% servirono liquidi preparati già da qualche tempo. Quindi si ripete lo stesso fatto, già osservato per la pectinasi; che cioè i liquidi enzimatici si conservano solo per breve tempo attivi. IV. AmILoGLUCASI. — Una parte di liquido enzimatico veniva mescolato con eguale quantità di una soluzione all’1 % di amido solubile. x Si determinava il potere riduttore prima e dopo soggiorno per un’ora in bagno regolato a 55°. Non sì verificò nessuna variazione nella quantità iniziale di zucchero riduttore, neanche lasciando la soluzione per lungo tempo in termostato. V. AMILODESTRINASI. — I liquidi enzimatici mescolati con amido solubile, come nel caso precedente, si ponevano in bagno regolato come sopra saggiando di quando in quando con jodio e misurando tri AA ti ORTA SOT ICI aci Ppt an i IENE TO se "w Pa — 450 — il tempo necessario per la completa scomparsa della colorazione bleu. Le diverse prove dettero le seguenti oscillazioni minime e massime di tempo: Pseudomonas Gladioli, minuti occorsi: 0,50” — 1’,45/; Bacillus Ixiae, » » 1100 3001 Le prove di controllo con i liquidi bolliti invece: Pseudomonas Gladioli, minuti occorsi: 1’,34” — 2,05”; Bacillus Ixiae » » 17,44” — 25,35”. Data la rapidità con cui scompare la colorazione bleu operando coni liquidi non bolliti, si può ammettere con sicurezza, special- mente per il Bacillus Ixiae, la esistenza di un’amilodestrinasi. Si verrebbe quindi ad avere un’attività amilodestrinasica senza essere ‘ associata ad un’attività amiloglucasica, analogamente a quanto è stato già osservato nei funghi (1). VI. MaLrasi. — Dopo di aver addizionato al liquido il 2 % di maltosio, venne determinato il potere riduttore prima e dopo sog- giorno in termostato a 28°, ottenendo i risultati esposti nella seguente tabella: Zucchero | | | riduttore | | LIQUIDI ENZIMATICI | subito | dopo 5 giorni | dopo 8 giorni Variazioni |dopo l'aggiunta] di maltosio Liquido culturale di Pseu- | | dom. Gladioli . . .| g.1,4520 g. 1,6583 Id. | +g.0,2063 Liquido culturale di Ba- | | PE cillus Ixiae . . . .| >»14581 | >1,5546 | g.1,8722 | +g OA141 Da queste cifre, che si riferiscono sempre a 100 di liquido, si può dedurre che una parte del maltosio è stata idrolizzata per opera dì una maltasi, che si dimostra più attiva per il B. Ixiae. VII. ProrEASI. — La presenza di questo enzima fu determinata, qualitativamente, mediante le seguenti prove: (1) PAnTANELLI E. e BRruscHI D. — Meccanismo di secrezione degli en zimi. — Ricerche preliminari su la secrezione dell’amilasi. (Annali di Bota- nica, VIII, 1910, p. 133-174). 1. Dell’albumina d’uovo coagulata, tenera, fu tagliata in piccoli cubetti di circa 2-3 mm. di lato; i liquidi enzimatici furono distri- buiti in diversi tubi da saggio, in ognuno dei quali fu introdotto un solo cubetto d’albumina, e poscia mantenuti in termostato a 37°. Dopo due giorni, nei tubi col liquido dello Pseudomonas, si notava al fondo una leggera nubecola intorno al cubetto di albumina. Dopo una settimana, agitando leggermente i tubi da saggio, si trovava che i piecoli cubi di albumina erano molto consumati, o ridotti in pic- coli fiocchi. Dopo un mese, non restava al fondo del liquido che un piccolo residuo amorfo, giallastro. D'altra parte i cubi d’al- bumina immersi nel liquido enzimatico del B. Ixiae si mantennero, anche dopo lunghissimo tempo, inalterati. 2. Reazione del direte. In tubi da saggio contenenti albumina coagulata in presenza dei liquidi enzimatici, dopo una settimana di dimora in termostato a 37°, sì aggiungeva un lieve eccesso di potassa caustica, e, dopo riscaldamento, si addizzionavano poche goccie di solfato di rame al 5%. Nel liquido enzimatico dello Pseudo- monas si notava allora una colorazione rosa più o meno intensa, in quello del Bacillus invece una colorazione bleu. Nel 1° caso la reazione indica adunque che dell’albumina è stata disciolta da un enzima proteolitico e trasformata in composti della serie dei peptoni, nel secondo caso invece che l’albumina non è stata idro- lizzata e che quindi manca l’enzima proteolitico. 3. Reazione del triptofane. Aggiungendo ai tubi da saggio pre- parati come sopra, dopo 22 giorni di dimora in termostato a 37°, alcune gocce d’acqua di bromo, si otteneva nel liquido enzimatico dello Pseudomonas Gladioli, una leggera colorazione violetta, nes- suna reazione invece per il Bacillus Ixiae. Ciò dimostra che lo Pseudomonas elabora enzimi proteolitici capaci non solo di trasfor- mare le albamine in peptoni, ma anche di scindere questi in com- posti meno complessi fra cui il triptofane. 4. Questi risultati vengono pienamente confermati dalle culture in latte. Ambedue gli organismi coagulano il latte, evidentemente in seguito al loro potere acidificante, che, in specie per il Bacillus Ixiae, è abbastanza sensibile. Lo Pseudomonas è poi capace di ri- disciogliere il coagulo di caseina, fino a farlo scomparire del tutto; dopo un mese o più. La reazione del biurete dà in questo caso una colorazione rosa, talvolta tendente al rosso (peptoni), l’acqua di bromo dà un colore violetto marcatissimo (triptofane). Il Bacillus Ixiae invece non ri- discioglie la caseina coagulata, e il liquido che rimane separato si co- lora in bleu col biurete (albumina), non dà la reazione del triptofane. ANNALI DI BoranICA — VoL. XI. 30 * sii Si può quindi affermare che il solo Pseudomonas Gladioli ela- bora enzimi proteolitici capaci di scindere le albumine in peptoni e di trasformare ulteriormente i peptoni in composti meno com- plessi. Allo scopo infine di stabilire se i due microrganismi siano ca- paci di elaborare anche altri enzimi, furono fatte ricerche per l’os- sidasi, reduttasi, catalasi, zimasi e lipasi; ma si è dovuto sempre escludere per ambedue la possibilità di svolgere altre azioni enzi- matiche, oltre quelle messe in rilievo con le su esposte ricerche, dalle quali si possono dunque trarre le seguenti conclusioni prin- cipali: 1. Tanto lo Pseudomonas Gladioli, che il Bacillus Ixiae fab- bricano una pectinasi capace di idrolizzare le sostanze pectiche della lamella mediana, trasformandole in zucchero riduttore. Nei liquidi enzimatici questo enzima ha presso a poco la stessa intensità di azione per ambedue gli organismi. 2. Ambedue elaborano inoltre invertasi, amilodestrinasi, e mal- tasi, che nei liquidi enzimatici si mostrano molto più attivi per il Bacillus Ixiae. 3. Il solo Pseudomonas Gladioli elabora enzimi proteolitici che nei liquidi enzimatici si conservano lungamente attivi. Aprile 1913. Laboratorio Botanico del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia. ———T—Tttt;;t__ ——11——1#@@—l1———1@@—@—1t@@l@l1t1t1tt@t@—1t@—@1m@À@w___@ ABRSNINA SS TRAINING XS IANGINANANHA ISAAC IRIAZIAS A STLSLTDA USCIRE “ Podaxon Ferrandi ,, nuova specie della Somalia italiana del Prof. ORESTE MATTIROLO. (Tav. X) Il fungo di cui presento la descrizione, venne raccolto nel no- vembre dell’anno 1897 dal capitano Ugo Ferrandi a Lugh (Somalia italiana); e da lui inviato al Museo civico di Genova confuso fra i barattoli contenenti le collezioni zoologiche. Riconosciutane più tardi la natura, venne dal professore Raffaele Gestro, affidato al prof. Ottone Penzig, e da questi gentilmente, nell’autunno scorso, concesso a me per lo studio. I tre esemplari, che in perfetto stato di conservazione e nello stadio di maturazione completa, ho potuto investigare, conservati nell’alcool, mi si rivelarono come rappresentanti di una forma non an- cora conosciuta dell’interessantissimo genere Podaxron, alla quale sono lieto di dare il nome glorioso dell’ardito esploratore. Prima di discutere i caratteri che distinguono la nuova entità, credo utile riassumerli in una frase diagnostica destinata a fissarne la posizione sistematica, PODAXON. (Popaxis. Desv.). Fries. System. Myc. III, pag. 62. Popaxon FerRrANDI Mattirolo: nov. spec. Peridio, ovato, oblongo, avellaneo, leve, hinc illine ‘squamoso; squamis floccosis crustaceis; basi lacera irregulariter dehiscente. Stipite fistuloso, cylindrico, parce squamoso, basi leviter in- crassato. Columella fistulosa. Capillitio quasi nullo, ex hyphis hyalinis regularibus (non spi- raliter lineatis) in glebam sparsim diffusis tantum efformato. io — 454 — Gleba isabellina, pulposa. Basidiis glomerulatis. Sporis obovato-ellipticis, fere limoniformibus, apice quasi trun- catis, ibique poro impressis; membrana duplice, levi, translucida vix flavidula cinctis, Y X 9 p. Totus fungus 12-15 cent. altus — Peridium 5-6. Stipes 8-10. Speciem hanc, detectori perillustri, Navarco Ugo Ferrandi, No- variensi, cuius hodierna opera pro futura prosperitate Somaliae, quam maxime italicis animis praetiosa, admirandaque, grato corde dico et dedico. La famiglia dei Podaxrinei, caratteristica delle località secche delle regioni tropicali, comprende finora un numero assai limitato di tipi, la massima parte proprii delle località sabbiose (psammo- fili, alcuni ritenuti termitofili); ha confini e relazioni di parentela ancora lungi dall’essere definitivamente acquisiti alla scienza, come è dimostrato dalle varie opinioni dei differenti Autori che se ne oc- cuparono. Si capisce di leggieri che la difficoltà di avere i materiali di studio e la mancanza di ricerche sul loro cielo di sviluppo, sieno le cause delle incertezze che lamentiamo. Ciò che abbiamo detto della Famiglia occorre ripetere del genere che ci interessa. Le identiche lacune appaiono, per le stesse ragioni, nel genere Podaxon, per il quale nessuno ancora ha potuto proporre criterii scientifici inoppugnabili, sui quali imperniare la seriazione delle singole specie. I Poda:con si appalesano assai variabili anche durante lo svi- luppo; le specie poi, per così dire, sfumano l’una nell’altra, non distinguendosi tra loro, che per l’aspetto generale, i caratteri del capillizio e qualche volta per la dimensione delle spore, omogenee nel loro tipo generale. Anche la seriazione delle specie oggi adottata, fondata sul co- lore delle spore, sembra artificiale, perciò che questi colori. (secondo le osservazioni del Patouillard) possono variare coll’età. In molte specie infatti, la gleba è bianca nei giovani esemplari, per diven- tare quindi gialla, ed assumere, colla maturazione perfetta, colora- zione rossa e certe volte quasi nero-vinosa. Jumelle et Perrier de la Bàthie nella descrizione del loro Podaxon termitophilum ricordano che esso ha spore dapprima gialle, poi di un rosso-mogano (v. Bibliog. loc. cit.. pag. 53). Queste brevi considerazioni ho creduto premettere come indispen- sabili alla descrizione del Podaxon Ferrandi, onde meglio si possano valutare i caratteri che lo distinguono dalle specie già note. s' ia) Ì ld — 455 — Il corpo fruttifero del Podaxon Ferrandi raggiunge circa 15 cm. di lunghezza totale, compreso lo stipite propriamente detto, la cui lunghezza è doppia all’incirca di quella del peridio; ha superficie liscia, contorno ovato-oblungo, colore di nocciola e dimensioni che variano da 4-5 cm. di lunghezza per 2,5 a 3 di spessore. Il peridio presenta inoltre poche squame a contorno irregolare, facilmente stac- cabili, aventi più l’aspetto di specie di croste che di vere squame. Lo stipite è pur esso liscio, cilindrico, all’estremità leggermente ingrossato, ove è rivestito da una specie di calotta formata dalla sabbia tenacemente tenuta insieme dalle ife miceliari rizoidali. Esso pure è distinto per alcune squame annuliformi, però assai meno sviluppate di quelle peridiali. La columella che è la continuazione dello stipite mostrasi fi- stulosa in tutta la sua lunghezza. La deiscenza, come negli altri tipi congeneri, avviene per il di- stacco della parete peridiale dallo stipite, nella parte inferiore del sacco glebale, la cui parete quindi, negli individui maturi, pende come frangiata sullo stipite stesso. La gleba matura ha colore quasi isabellino, uniformemente tinta e polposa. Nella massa delle spore scorre un capillizio non molto abbon- dante, formato da ife che si partono dalla columella e si dirigono verso la parete peridiale. I filamenti di cui è composto, nulla pre- sentano di notevole, sono incolori, ialini, misurano da 4 a 5 p, pre- sentando tutti i caratteri delle ife normali; mancano gli inspessi- menti spiralati caratteristici di molte Podaxrinee. Le spore sono portate da basidii glomerulati, che ancora si pos- sono riconoscere nelle glebe mature, le sole che abbiamo esaminate. Ogni basidio dà luogo a quattro spore, obovato-ellittiche, quasi li- moniformi, troncate all’apice, ove si nota una specie di insenatura o di poro (poro germinativo). Esse hanno l’aspetto che distingue la massima parte delle spore delle specie congeneri. La membrana è duplice, trasparente, colorata lievemente in giallo. Le medie delle misurazioni danno una larghezza di 7 p, ed una lunghezza di 9. * * * Lo studio delle diagnosi delle 28 specie di Podaxon, le quali, a partire dall’anno 1829 (anno di fondazione del genere) trovai de- scritte nella letteratura e che io ho cronologicamente elencate nella une ta scale diciraliartoa) cane sarei dr — 456 — Bibliografia, in appendice a questa nota, mi permette di poter af- fermare che nessuna di esse può confondersi col nostro Podaron Ferrandi. Senza accennare, ciò che sarebbe inutile, per ciascuna specie ai caratteri che la distinguono da quella or ora descritta, ci piace af- fermare che se anche alcune di esse presentano caratteri comuni col Podaxron Ferrandi, da esso pur sempre si distinguono per ca- ratteri differenziali troppo facili a rilevarsi nelle diagnosi, perchè sì debbano qui prendere in considerazione e discutere. Siccome poi possiamo ragionevolmente ritenere che le spore del nuovo Podaxron abbiano negli esemplari esaminati (indubbiamente maturi), raggiunto il loro colore definitivo giallo pallidissimo, così già anche per questo riguardo il Podaxon Ferrandi non po- trebbe confondersi che con pochissimi congeneri, dai quali però troppo facilmente esso si può distinguere per altri importanti ca- ratteri. Ciò che devo lamentare si è che nessuna indicazione ci abbia lasciato il Ferrandi intorno alle eventuali relazioni tra la nuova specie ed i termitai, alle quali fanno pensare le osservazioni rife- rite dagli Autori per alcune altre specie (/. carcinomalis, P. pi- stillaris, P. ghattasensis, P. termitophilum); nonchè il recente rin- venimento di un Podaxron affinissimo al /. carcinomalis (1) raccolto dal nostro dott. Giovanni Negri sopra nidi di termiti abbandonati nella Dankalia meridionale. Durante le ricerche che mi hanno dimostrata la indipendenza specifica del Podaxon Ferrandi, mi fu preziosa la cortesia del col- lega N. Patouillard, il quale gentilmente volle mettere a mia dispo- sizione pubblicazioni varie e paragonare la mia specie con quelle da lui descritte o conservate nel suo Erbario. (R. Orto botanico, Torino, marzo 1913). PODAXON. FRIES. Syst. Myc., III, p. 62; Patouillard, in Bull. Soc. Myc. Fr. 1829, p. 159. — Podaxris Desveaux; MAssée. Monograf. — Lycoperdon Linn. — Sclero- derma Pers. — Schweinizia Greville (ex Fr.) — Cionium et Mitremyces Sprengel. — Cauloglossum Corda. (1) Le condizioni di ipermaturità dei due esemplari portati dal dott. Negri non ci concessero di poter giungere ad una determinazione indiscutibile, in specie per il fatto che nelle glebe non si sono più trovate traccie di capillizio. G. NEGRI. — Appunti di una escursione botanica nella Etiopia meridio- nale. — Ministero delle Colonie, Ufficio di studi coloniali, Monografie e rap- porti. Roma, 1913. N. 4. 1829. BIBLIOGRAFIA ED INDICE CRONOLOGICO DELLE SPECIE SINORA DESCRITTE. 1) Podaxon carcinomalis (Linn.). — FRIES. Syst. Myc., III, pag. 62. 2) Podaxron calyptratus. — YRIES. Loc. cit., p. 63. 3) Podaxon pistillaris (Linn.). — FRIES. Loc. cit., p. 63. 1850-61. 4) Podaxon loandensis. — WELWITSCH et CurRrEY. Fuugi Angolenses. A Description of the Fungi collected by D. F. Welwitsch in Angola during the years 1850-61, p. 288, t. XX, fig. 5, 7 (Transact. Linn. Soc. London, XVI, 1867, ersch. 1870). 5) Podaxon elatus. — W. et CurR. Loc. cit., t. XIX, fig. 4, 6. 6) Fodaxron mossamedensis. — WeELW. et Curr. Loc. cit., p. 288, t. XIX, fig. 4, 6. 1856. 7) Podaxon Egyptiacus. — MoNnTAGNE. Sylloge generum specierumque 1887. cryptogamarum, ecc. N. 1044. — PATOUILLARD ap. DvyBoswKI in Archives des Missions, 1892, tab. 4, fig, 1, et in Bull. Soc. Myc. Franc., 1890, p. 166. Cauloglossum aegyptiacum Corda. Tom. VI., Icones, p. 18, tav. III, fig. 44, 1854, 8) Podaxron arabicus. — PaToUILLARD. Contribution à l’Etude des Cham- pignons extraeurop. Bull. Soc. Myc. Franc., III, p. 122, tab. XI, fig. 1. 1890. 9) Podaron Emerici. Berkeley Herb. — Massér G. E. A Monograph of the Genus Podaris. Desv (Podaxon Fries). Journal of Botany, XXVIII, 1890, p. 15, tav. 294, fig. 11. » 10) Podaxon Farlovii. — Massér. Loc. cit., p. 15, t. 295, fig. 19-26. » 11) Podaxon Schweinfurthii. — PaATOUILLARD. Le Genre Podaxon. Bull. Soc. Myce. Fran., 1890, p. 165. » 12) Podaxon Deflersii. — PaToUILLARD. — Loc. cit., p. 165. » 13) Podaxon axratus. — PartouILLARD. Bull. Soc. Myc. Frane, loc. cit. p. 164 et var. 8. — DyBoswKI in Arch. d. Missions, 1892, tab. 4, fig. 2. 1891. 14) Podaxron squamosus. — PatoUILLARD. Podaxon squamosus nov. sp. Bull. Soc. Myc. Franc., VII, 1891, p. 210, tav. XIII. 1893. 15) Podaron mexricanus. — ELLIS. Descript. new. sp. Fungi. Journ. of Mycolog., 1893, p. 274. 1895. 16) Podaxron mossamedensis. — WeLwITcH et Currev. Loc. cit. var. Emini. — P. HenNINGS. Fungi Africani. Engler jahr. XVII, 1896, p. 58. 1897. 17) Podaxon Perraldieri. — ParoUILLARD. Expl. Tunisie. Ilust. bot., tab. 3, fig.3. — Catalogue raisonné des Plantes cellulaires de la Tuni- sie, p. 68. 1887. 18) Podaxon Glaziovii. — P. HENNINGS. Beitriige zur Pilzflora Sud Ame- ricas. II, p. 210, 1897. 1898. 19) Podaxon Ghattasensis. — P. HENNINGS. Fungi Centro Africani. Hedwi- gia, 1898, p. 287. 1899. 20) Podaxron Argentinus. — SPEGAZZINI. Fungi Argentini novi vel cri- tici. Anales del Museo Nacional de Buenos Ayres, 1899, p. 186. » 21) Podaxon Patagonicus. — SpeGAZZINI. Loc. cit., p. 186. Piatto deecra AR__ 0 ii i SE alto = ERRO E. 9, raiitaplio dita. LD siii » A nd acari dii x pie RUPE I DISTA PI I 9 - v = ri — 458 — 1900. 22) Podaxon Chevalieri. — PATOUILLARD et HARIOT. Enumeration des Champignons recoltés par A. Chevalier au Sénégal et dans le Soudan occidental. — Journal de Botanique, tom. XIV, 1900, p. 241. 1901. 23) Podaxron Gollani. — P. HENNINGS. Fungi Indiae orientalis a claris. Gollan an. 1900 collecti II. Hedwigia, 1901, p. 338. 1904. 24) Podaxon Algericum. — PATOVILLARD. Champignons Algéro-tunisiens, nouveaux ou peu connus. Bull. Soc. Myc. Franc., 1904, p. 53, tav. V, vol. XX. » 25) Podaxon Milleri. — P. HENNINGS. Fungi Australiensis. II. Hedwigia, 1904, p. 187. » 21) Podaxon strobilaceum. — Epwin BinGHAMm CopPELAND, New and inte- resting California- Fungi. Annales Mycologici, 1904, p. 4, fig. 7. 1910. 27) Podaxon termitophilum. — JumELLE et PerRRIER. — M. Henry Ju- MELLE et H. PERRIER DE LA BiTHIE. Termites champignonnistes et champignons des termitières a Madagascar. Révue Générale de Bota- nique, tom. XXII. Paris, 1910, p. 53. 1913. 28) Podaxon Ferrandi Mattirolo. Oltre le opere citate si consultino anche le seguenti: Kunze G. Secotium, eine neue Gattung der Gastromycetes Trichogastres. Flora, 1840, p. 21. C. MontAGNE. Considérations générales sur la Tribu des Podaxinées et fon- dation du nouveau Genre Gyrophragmium appartenant à cette Tribu. An- nales des Sciences Naturelles 2% serie, tom. XX. Paris, 1843. L. R. e C. TULASNE. Description d’une espèce nouvelle du Genre Secotium Kze. Annales des Sciences Naturelles, III serie, tom. IV, 1845. Corpa. Icones Fungorum, VI. (curant. Zobel). 1854. EnGLER e PRANTL. Die natirlichen Pflanzen-familien. 1. Teil, 1. Abt., Plecto- basidineae. Ed. Fischer, Leipzig, 1897. F. Cavara. Contributo alla conoscenza delle Podaxineae (Elasmomyces Matti rolianus nov. gen. et sp.). Malpighia, anno XI, vol. XI, 1897. Con tav. Saccarpo. Sylloge. Vol. VII, p. 58. » > IDG » 267. » » » 158 » Di 0AIVi 1») 204 » >» XVI; » 232 » S XVI ZI9 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Podaxon Ferrandi. Aspetto generale della specie, grand. nat. Fig. 2. — » » Sezione dell’esemplare rappresentato nella fig. 1. Fig.3-4. — » » Esemplari meno sviluppati, grand. nat. Fig. 5. — » » Basidi (gruppetto di). Ocul. 2. Obb. E. Zeiss. Fig. 6. — » » Spore. Ocul. 2. Obb. E. Zeiss. Sulla presenza di depositi nei tessuti delle piante provocati da colture in soluzioni di nitrato manganoso della Dr. Eva BOSELLI In un lavoro pubblicato recentemente in questi Annali (Vol. XI, Fasc. 2), il prof. C. Acqua sì occupa dell'argomento concernente la diffusione dei ioni nel corpo delle piante in rapporto anche all’utilizzazione dell'azoto dei nitrati. È noto che su tale que- stione regna tuttora una grandé incertezza dovuta al fatto che poco o nulla sappiamo sulle vicende che subiscono i sali e i loro elementi nel corpo della pianta dopo il loro ingresso. Il profes- sore Acqua si è servito per queste ricerche prevalentemente dei sali manganosi ed in modo particolare del nitrato. Nelle colture di questi sali opportunamente diluite si riesce ad avere uno svi- luppo pressochè uguale a quello presentato dai lotti di controllo, il che non deve sorprendere quando si pensi che il manganese è annoverato tra i corpi i quali non solo non sono nocivi, ma pos- sono riuscire utili per la vita delle piante. Ora, in tali condizioni accade che i cationi del manganese, allorquando si accumulano in determinate regioni, finiscono per dare luogo ad un deposito inso- lubile e colorato, dovuto ad un ossido (e probabilmente al bios- sido) di manganese, il quale si presta egregiamente per lo studio diretto della localizzazionee dell'accumulo dei cationi medesimi. Il prof. Acqua nel detto lavoro ha lungamente discusso il significato di questi depositi, che si mostrano localizzati quasi esclusivamente nelle radici e sono sempre in relazione con l’attività formativa delle piante in detti organi. Si hanno sempre ad esempio depositi abbondantissimi intorno ai meristemi radicali, allorquando essi iniziano l'origine di nuove radicelle, e questi depositi provocati dall’accumulo dei cationi, debbono essere in rapporto con il ri- chiamo e l’eventuale consumo degli anioni da parte dei giovani tessuti in via di sviluppo. In qualche caso si è anche riusciti a stabilire un rapporto tra questi fenomeni e la formazione di so- stanze proteiche, talchè sembra non potersi dubitare che le espe- — 460 — rienze descritte ci offrano un metodo consigliabile per ricercare la soluzione di un tanto controverso problema. Credo inutile entrare in altri dettagli che sono esposti nella succitata memoria del prof. Acqua, ma mi preme invece spiegare lo scopo di queste mie ricerche, le quali debbono considerarsi come la continuazione di quelle del prof. Acqua. Questi prese in esame un numero limitato di piante, sul quale cercò di compiere uno studio il più esteso possibile. Lo scopo del lavoro da me intrapreso fu quello di estendere lo studio ad un numero maggiore di piante, ma limitando la ricerca — per ragioni di tempo — all’impiego del solo nitrato manganoso che secondo le precedenti ricerche si presentava particolarmente opportuno. In contatto dunque di soluzioni opportunamente diluite di questo sale si posero dei semi che si fecero germinare per modo che le giovani radici pescassero nelle soluzioni medesime, e si con- tinuò così la coltura, avendo sempre cura di indagare se lo svi- luppo si manteneva uguale o quasi a quello offerto dai lotti di controllo. Si preferirono le colture in quelle determinate soluzioni che presentavano questa condizione, e dopo alcuni giorni si com- piva l’esame microscopico. Le sezioni del materiale proveniente dalle colture in nitrato manganoso furono sempre paragonate con sezioni del materiale proveniente dalle colture di controllo, e le sezioni in cui appariva il deposito colorato furono sottoposte all’a- zione dell’acido cloridrico che ne determinava la decolorazione. I risultati ottenuti sono quelli che passo brevemente a descrivere. Ma prima di far ciò non posso non osservare che quasi contem- poraneamente all'ultimo lavoro del prof. Acqua, ma posteriormente alle sue precedenti comunicazioni sull’argomento, Elsa Houtermann ha dato alle stampe una memoria nella quale descrive fatti consi- mili; ma ad essi dà una interpretazione diversa, inquantochè non li ritiene dovuti a fenomeni speciali di captazione di ioni da parte di determinati tessuti, ma li riferisce all’azione di speciali ossi- dasi, che provocherebbero il deposito del manganese mediante processi di ossidazione. Non essendo mio compito di entrare a di- scutere in questo argomento controverso mi limito all’esposizione dei fatti che ho osservati, i quali possono servire da ulteriore con- tributo per lo studio della quistione (1). (1) HouTERMANN ELSA. — Ueder angebliche Beziehung zwischen der Salpeter- séure assimilation und der Manganabscheidung in der Pflanze. — Sitzungsber. d. Kais. Akad. der Wiss. Wien (Mathem-nat. Klasse) Bd. CXXI, Abt. I. 1912. La fazio - SA 4 è PI ù x < CI - sete) A LA d . » Sy YU ,% È #0) * STA i dei La nai a FA i dei » NI sg e) sla vittime Y y . Ca “| 6 n Li x #0 è À . 2 pr) . su w pr tt i SETAGÌ © psc e Le colture delle piante da me studiate furono fatte in recipienti di vetro circondati da carta nera. Nel liquido in essi contenuto, (soluzioni di nitrato manganoso in acqua distillata, eccezional- mente in acqua di fonte, ed acqua distillata od acqua di fonte per controllo) galleggiavano anelli di sughero sui quali erano di- stesi fili intrecciati o tulle per sostenere prima i semi e quindi le giovani piante. Quando fu necessario, quest'ultime vennero tra- sportate su dischi galleggianti di sughero forati e fissate nei fori con del cotone. Così le piantine erano meglio sostenute. Si coltivarono in tal modo Cicer arietinum, Vicia Faba, Vicia sativa, Rraphanus sativus, Phytolacca dioica, Hordeum vulgare. In ap- posite caraffe furono pure coltivati bulbi di Hyacinthus orientalis. Furono anche messe in contatto di soluzioni piante già sviluppate fornite di radici come Nzicotiana Tabacum, Myriophyllum proserpi- nacoìdes, e prive di radici, per essere state tagliate, come Vicia Faba, Vicia sativa, lRaphanus sativus, Spinacia oleracea, Helianthus an- nuus, Hordeum vulgare. Si ottennero i seguenti risultati: 1. — CicER ARIETINUM. Le colture in soluzione di nitrato manganoso 1 : 10.000 e quelle di controllo in acqua distillata diedero piantine aventi fusto e foglie ugualmente sviluppati. Le radici delle prime si presentarono un po’ più brevi e più scure, e al microscopio mostrarono depositi rosso-bruni dovuti con tutta probabilità a biossido di manganese, Tale deposito decresceva per quantità dalla base verso l’apice, dove mancava ed era sovratutto abbondante in corrispondenza all’ori- gine di nuove radici. Esso si trovava nei fasci attorno al cilindro centrale estendendosi poco o molto verso la periferia. Solamente nelle radici fu riscontrata la presenza dell’ossido in parola. Se =SViocrs HABA Le piantine coltivate nella soluzione di nitrato manganoso 1:10000 e più ancora quelle coltivate nella soluzione 1:5000, mostrarono in tutte le loro parti uno sviluppo un po’ minore che nelle pian- tine di controllo in acqua distillata. Il deposito rosso-bruno si trovò, all’esame microscopico, nelle radici, in tutta la loro lunghezza, ma nel solo parenchima corticale e mancando talora negli strati più profondi. L’ossido apparve in grande quantità in corrispondenza bi dia , — 462 — all'origine di nuove radici e nell’apice delle giovani radici già sviluppate. Nelle radici provenienti dalla soluzione più concen- trata l’ossido apparve più abbondante. Non si riscontrò nessun deposito nelle parti aeree. 3. — VICIA SATIVA. Le piantine coltivate nella soluzione di nitrato manganoso 1:10.000 e quelle coltivate in acqua distillata sì svilupparono ugual- mente. Il solido deposito apparve nelle radici in pochi strati di cellule attorno al cilindro centrale in quantità decrescente dalla base verso l’apice, fino a scomparire prima dell’apice. Però apparve abbondantissimo in corrispondenza a nuove radici formantesi nella parte inferiore del fusto. Nel rimanente del fusto e nelle foglie non si riscontrò alcun deposito. 4. — RAPHANUS SATIVUS. Le piantine in soluzione di nitrato manganoso 1 : 10.000 si svi- lupparono ugualmente a quelle di controllo in acqua distillata, ma sulle radici di quest'ultime si formarono molte radici secon- darie, mentre sulle prime, un po’ più scure, comparvero solo rari inizi di queste. Il precipitatodi manganese si depositò esclusivamente nelle radici: nell’epidermide e nel cilindro corticale, ma non molto profonda- mente, di rado fino alla metà di esso. L’estensione del deposito an- dava diminuendo dalla base verso l’apice della radice, ove non esi- steva affatto. O. — PHYTOLACCA DIOICA. In questa specie, in considerazione degli abbondanti depositi normalmente esistenti di ossalato di calcio, si credette sostituire all'acqua distillata l’acqua di sorgente, ricca appunto di sali di calcio. Le piantine in soluzione di nitrato manganoso 1:10.000 crebbero più lentamente di quelle in acqua sorgiva. Nelle prime si depositò il biossido di manganese nelle radici e cioè: in piccola quantità nei fa- sci, in maggior quantità nel parenchima corticale, attorno al cilindro centralefino ad un terzo circa dellospessore del parenchima. La quan- tità del deposito decresceva dalla base verso l’apice della radice. Al- cune delle piante coltivate in acqua di fonte furono poi trasportate nella soluzione di nitrato manganoso 1:10.000. Le loro radici creb- bero allora lentissimamente mentre divennero lunghissime le radici delle piante lasciate in acqua di fonte; inoltre le foglie delle prime acquistarono una colorazione verde meno intensa di quelle delle seconde. In questa pianta adunque il nitrato manganoso, almeno nella soluzione adoperata, riuscì alquanto nocivo. Nelle radici delle piante trasportate nella soluzione di nitrato manganoso, il biossido di manganese sì presentò nel parenchima cor- ticale in piccola quantità e diversamente distribuito nelle radici dei vari individui. 6. HoRDEUM VULGARE Le piantine coltivate in acqua distillata, in soluzione di nitrato manganoso 1:10.000 e 1:5000 acquistarono uguale sviluppo; però le radici delle piante coltivate nelle soluzioni avevano presso l’apice una zona bruna, di colorazione più intensa nelle piante coltivate nella soluzione più concentrata. L'esame microscopico mostrò la presenza del biossido di manganese in corrispondenza alla zona bru- na, nelle cellule più esterne del parenchima corticale. Nelle parti aeree non si ebbe alcun deposito. T. — HYACINTHUS ORIENTALIS. Tre bulbi di giacinto germogliarono in acqua di fonte. Quindi uno di essi fu trasportato in soluzione di nitrato manganoso 1:10.000, un altro in soluzione di nitrato manganoso 1:5000 ed un terzo in acqua distillata. Dopo qualche giorno in molte radici della coltura 1:10 000 e in ancor più numerose radici della coltura 1:5000 si os- servò all’esterno presso l’apice una breve zona quasi nera e al di sopra di questa una più lunga zona sfumata in bruno giallastro. L'esame microscopico rivelò, in corrispondenza alla zona bruna, grandissima quantità del solito deposito nei fasci e attorno ad essi. Si riscon- trava anche in qualche rara cellula verso la periferia della radice. Nella zona bruno giallastra appariva al microscopio una colorazione meno intensa. L'esame microscopico fu ripetuto dopo la fioritura e si trovò, sempre nelle radici, una grandissima, straordinaria quantità di bios- sido nei fasci. Attorno a questi, ancora una gran quantità di depo- sito in una zona più o meno estesa, poi ancora alla superficie. Il massimo di annerimento si verificò più presto e in più nume- rose radici nella soluzione 1:5000 che non nella soluzione 1:10.000. Alcune radici si curvarono piegandosi verso l’alto. Le radici nelle 7% LAI — 464 — soluzioni raggiunsero una lunghezza di poco inferiore a quelle in acqua distillata. (Lunghezza massima: acqua distillata cm. 12; so- luzione 1:10.000 circa cm. 10; soluzione 1:5000 circa cm. 9,5). Le foglie delle colture in soluzione erano più brevi che in acqua distil- lata. (Lunghezza massima: acqua distillata circa cm. 11, soluzione 1:10.000 circa cm. 6; soluzione 1:5000 un po’ più di cm. 5, in un germoglio non fiorito oltre cm. 6). Anche gli scapi fiorali delle col- ture in soluzione erano più brevi che non in acqua distillata. (Lun- ghezza massima: in acqua distillata circa cm. 13; in soluzione 1:10.000 circa cm. 4,5; in soluzione 1:5000 circa cm. 4). Negli scapi fiorali e nelle foglie non si osservò nessun deposito colorato. 8. — NicotIANA TABACUM. Alcune piante coltivate in vaso si tolsero dalla terra, si lava- rono accuratamente le loro radici e quindi si trasportarono in tre diverse soluzioni: 1° nitrato di potassio in soluzione equimolecolare con N. 2; 2 nitrato manganoso 1:10.000; 3% nitrato manganoso 1:5000. Le piante rimasero nelle soluzioni per oltre due mesi senza differenziarsi per caratteri esterni. All'esame microscopico nelle ra- dici delle piante provenienti dalle soluzioni di nitrato manganoso, si constatò la presenza del biossido di manganese. Esso era in grande o piccola quantità a seconda che le radici provenivano dalla solu- zione più o meno concentrata. L’ossido si trovava specialmente nel cilindro corticale, irregolarmente distribuito, ma sopratutto localiz- zato presso il cilindro centrale. Si trovava pure in alcuni grandi vasi del legno e raramente al centro. Non si ebbe deposito rosso bruno nel fusto e nelle foglie. 9. — MyRIOPHYLLUM PROSERPINACOIDES. Alcuni rami di Myriophyllum, in parte sommersi ed in parte emersi, furono trasportati, dalla vasca in cui vivevano, in tre reci- pienti contenenti tre diversi liquidi: acqua distillata, soluzione di nitrato manganoso 1:10.000 e soluzione di nitrato manganoso 1:5000. Si formarono ugualmente nuove radici sia sui rami di controllo sia su quelli in contatto delle soluzioni; i diversi rami diversamente coltivati non mostrarono caratteri esterni diversi. Dopo circa un mese all’esame microscopico si notò la presenza dell’ossido di man- ganese solamente nelle radici provenienti dalla soluzione 1:5000 e solamente in piccola quantità nel cilindro corticale presso l'apice. RE nai VR n lt Bi e edi data dle Pa Tealae "0 Ji — 4656. hei 10. — ESPERIENZE CON PIANTINE RECISE, SENZA RADICE. Piantine recise, senza radice, di Vicia Faba, Vicia sativa, ka- phanus sativus, Spinacia oleracea, Helianthus annuus, Hordeum wvul- gare, dopo essere state per alcuni giorni in soluzioni di nitrato manganoso 1:10.000 e 1:5000, non mostrarono all'esame microsco- pico nessuna traccia di ossido di manganese. Conclusione. Le soluzioni di nitrato manganoso si prestano ottimamente per lo studio della localizzazione dei depositi provocati dai cationi di manganese, purchè tali soluzioni siano opportunamente diluite. In questi casi sì riesce ad ottenere sviluppi uguali o di poca differenza con i lotti di controllo. Un’eccezione fu presentata dalla Fitolacca, nella quale lo svi- luppo fu sempre un po’ minore. La formazione dei suddetti depositi avviene esclusivamente o quasi esclusivamente nelle radici. Note- volissimo è il fatto di depositi all’inizio di nuove radici, dal che può dedursi che il processo in questione è in intimo rapporto con l’attività formatrice di nuovi tessuti. I fatti adunque già descritti nel lavoro succitato del Prof. Acqua, trovano in queste mie nuove ricerche una piena conferma. Allo scopo di spiegare perchè il processo di localizzazione dei cationi non avvenisse anche nelle parti aeree, io mi sono chiesta se in questa dovessero arrivare le soluzioni di sali manganosi assor- biti dalle radici. Benchè facilmente si potesse rispondere con una probabile affermativa, io volli compiere delle esperienze speciali, che consistevano nel far pescare nel liquido dei fusti tagliati verso la base; per tal modo, a traverso la ferita, il liquido arrivava nelle foglie che si mantennero sempre verdi. Ciò non ostante non si forma- rono mai depositi. Questo sembra indicareche è soltanto nelle radici che v'è la proprietà specifica di provocare l'accumulo dei cationi del manganese sotto forma di ossidi. In conclusione adunque queste mie ricerche dimostrano che le proprietà riscontrate dal Prof. Acqua in alcune piante, si estendono quindi a molte altre e debbono avere per spiegazione una causa d’indole generale. Roma, R. Istituto Botanico, Maggio 1913. Mo LT è ” OO SEE, e ni a ri e IAT Di nin nin Lal CA Catia ENTI TIRRENI FTA oa RESSE coli, [| I ________1._.elo '!1!)1!P__ |M ————————IeeIeeEee ee e e e e eee ° —'*-_—evo een ro. FAVE SXSR MES NULSSHMESE IE PAPA EMO HS SLNLEL SATHS Sul significato dei depositi originatisi nell’ interno di piante coltivate in soluzioni di sali di man- ganese. Nota critica di C. ACQUA In un lavoro eseguito nell’Istituto di Fisiologia Vegetale della Università di Vienna, Elsa Houterman (1) prende in esame le mie ricerche preliminari intorno ai depositi che si formano allor- quando si coltivano delle giovani piante in soluzioni diluite di nitrato manganoso. Detta nota preliminare fu pubblicata nell’anno 1910 negli atti della R. Accademia dei Lincei, sotto il titolo: Ré- cerche sul luogo di utilizzazione dell'azoto dei nitrati nel corpo delle piante. Disgraziatamente l’Autrice non ha avuto cognizioni delle mie ulteriori pubblicazioni sull'argomento e cioè della mia me- moria: 9/2 importanza dell'apice radicale quale centro per la geo- percezione (Ann. di Bot. 1911), memoria che si occupa anche della localizzazione dei ioni del manganese; e della nota inserita negli atti del Congresso tenuto in Roma dalla Società Italiana per il progresso delle scienze, il cui rendiconto fu pubblicato nei primi mesi dell’anno 1912. Quest'ultima nota porta esplicitamente il ti- tolo: La penetrazione e la localizzazione dei ioni nel corpo delle piante. Ne deriva che la Houterman si fonda esclusivamente sulla mia prima nota 1910, e quindi mi attribuisce delle conclusioni, che 10 stesso in seguito ad ulteriori ricerche avevo modificato, e muove a me obbiezioni d’interpretazione, che io stesso m’ero posto ed alle quali avevo già risposto. Io poi, pubblicando nei primi mesi del corrente anno la mia memoria ultima sull’argomento non avevo ancora visto il lavoro della Houterman, uscito sul finire del 1912, (1) HOUTERMAN ELsa. — Uber angebliche Beziehung zwischen der Salpe- tersciureassimilation und der Manganabscheidung in der Pfanze. — Sitzungs- ber. der Keis. Akad. der Wissensch in Wien. — Mat. nat. Kl. — Bd. CXXI, Abt., 1. ANNALI DI BoranICA — Vor. XI. S1 Fr — 468 — e del quale non era ancora comparso l’annunzio tra le riviste con- tenenti la nuova bibliografia. Quindi è che neanche io nell’ultima mia memoria (2) ho potuto tener conto di questa nuova pubblica- zione sulla quale reputo ora opportuno intrattenermi brevemente. Innanzi tutto mi preme mettere in evidenza che le ricerche della Houterman confermano pienamente i fatti da me descritti; la sola differenza che essa crede di riscontrare, quella cioè che se- condo me con altri sali di manganese non avverrebbero i depositi quali si verificano col nitrato, non ha ragione di essere, perchè io stesso dopo le prime esperienze delle quali trattai nella mia nota preventiva, ho modificata la mia opinione, inquantochè ebbi agio di osservare — specialmente usando soluzioni equimolecolari — che i depositi in quistione si formano anche con l’impiego di solfato, cloruro, bromuro. Si può adunque concludere che i fatti nuovi da me descritti sono pienamente confermati da questo lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia Vegetale della Università di Vienna, sotto la direzione del prof. Molisch, come è espressamente detto in fine del lavoro medesimo. Ma se sull’esistenza dei fatti da me descritti non può ragionevolmente sorgere più alcun dubbio, resta incerta tuttavia l’interpretazione la quale certamente non è facile come io stesso ho già avvertito nella mia ultima pubblicazione; su questo punto le mie idee non collimano più con quelle espresse dalla Houterman, la quale anzi combatte le opinioni da me espresse in proposito. Non sarà dunque inopportuno spendere poche parole sull'argomento. To ritenni che la localizzazione dei ioni di manganese, provo- canti il deposito di biossido, dovesse riguardarsi come un processo normale della pianta, che avviene nel nostro caso con il manga- nese come può avvenire con altri sali, con la sola differenza che il manganese, provocando la formazione di depositi insolubili co- lorati offriva il modo di seguire il processo, che con altri corpi sfugge all'osservazione, perchè i loro sali assorbiti dalle piante non hanno la proprietà di provocare depositi colorati, non ostante che in essi debba avvenire il fenomeno della dissociazione e possa de- rivarne un accumulo di cationi. Notai inoltre che anche con l’u- ranio — il quale dà depositi colorati — si ottenevano risultati con- simili; egualmente dicasi con il piombo, il cui nitrato dà origine ad un deposito insolubile scolorato ma rivelabile coll’impiego del- (2) C. Acqua. — Sulla diffusione dei ioni nel corpo delle piante in rap- porto specialmente al luogo di formazione delle sostanze proteiche. Ann. di Bot. Vol. XI. F. 2°. E. FILI PALTIONESI, e ROR g FA . sd a 3 - — 469 — l'idrogeno solforato fatto agire sulle sezioni. Ora dal fatto che in questi casì i depositi si rivelarono negli stessi tessuti nei quali si riscontrava il biossido di manganese io fui tratto a concludere che i processi in parola probabilmente dipendevano da proprietà gene- rali fisiologiche della pianta stessa, e che nel caso specifico avve- nivano con il manganese, come in altri casi poteva ammettersi che avvenissero con altri sali nutrienti, quantunque l’osservazione non ci permettesse poi il controllo diretto. Dissi inoltre che questa localizzazione di ioni doveva ritenersi in rapporto con la formazione di sostanze proteiche perchè io con- statai i depositi accumularsi nelle radici sempre in corrispondenza della formazione di nuovi tessuti, nei quali devono essere attivissimi i processi formativi anche di sostanze proteiche, e perché nel fa- giuolo io trovai che il deposito rosso-bruno si trovava localizzato, anche nelle parti aeree, ma nelle cellule speciali albuminifere che esi- stono in questa pianta. Io adunque non ho esposta un'ipotesi cam- pata in aria, ma mi sono strettamente attenuto ai fatti osservati, ho affermato un rapporto non ipotetico ma esistente realmente. Ma la Houterman osservando che i fatti in parola si verificano non sol- tanto con il nitrato di manganese, bensì anche con altri sali, i cui anioni non possono essere utilizzabili nei processi di sintesi, ritiene non potersi accettare l’ipotesi da me avanzata. Ora questa obbiezione, che ha certamente il suo valore, è stata fatta da me stesso nell’ultima mia memoria e da me stesso discussa, onde in questa breve nota io non ho che a ripetere quanto ho già detto. Io ho ritenuto che anche con altri sali possano avvenire dei depo- siti per una specie di adattamento, 0, se vuolsi, per una sorta di memoria fisiologica, per cui spesso negli organismi si ha la ripe- tizione di processi ai quali detti organismi furono educati, anche quando da tale ripetizione essì non ne ritraggono più vantaggio per le mutate condizioni in cui si trovano. Nella fisiologia vegetale sono noti esempi indiscutibili di questi processi; anche nei fenomeni stessi di assorbimento di sostanze dall'ambiente esterno noi sap- piamo che spesso dalla pianta sono assorbite sostanze completa- mente indifferenti od anche nocive. Or bene nessuno da questo fatto potrebbe concludere che se le radici ad esempio mostrano la capacità di assorbire sostanze inutili per la pianta, per questa sola circostanza debbano ritenersi inadatte ad assorbire anche le so- stanze utili! Ora parmi che ad un tal modo di interpretazione non possa negarsi valore. Quando poi si usa nelle esperienze acqua sorgiva, come ha fatto la Houterman, non si può escludere la possibilità di uno scambio — 400 — di basi tra 1vari sali disciolti, e quindi anche la possibilità di for- mazione di nitrato di manganese non ostante che in origine sia stato aggiunto altro sale. Questa è la ragione per la quale io ho adoperato acqua distillata, la quale per quanto meno adatta, pure permette un buono sviluppo alle piantine derivanti da seme. La Houterman osserva inoltre che anche con il permanganato potassico sì osservano depositi, però questi non si formano soltanto nei tessuti vivi ma anche nei necrotici, il che maiavviene nelle altre esperienze con i sali di manganese. Ora basta questa sola osservazione per rivelare che in questo caso abbiamo a fare con fenomeni del tutto differenti. Il perman. ganato potassico attacca le sostanze organiche, sulle quali esercita un’energica azione ossidante. Ci troviamo adunque in presenza di fenomeni del tutto differenti, i quali non hanno nulla di comune con gli altri descritti, sebbene possano anch'essi condurre alla for- mazione di depositi colorati. Quanto poi all’ipotesi della Houterman che la presenza di os- sidasi nel giovani tessuti basti per spiegare i fatti descritti, io no- terò che l’azione di un’ossidasi è certamente probabile, dal mo- mento che il manganese viene ossidato; ma questa supposizione è compatibile con quanto io ho ritenuto di ammettere, perchè le ossidasi stesse possono rappresentare un anello della catena per la quale dal ione Mn si passa alla formazione del biossido. Ma parmi che anche con questa ipotesi debba ammettersi l’esistenza di un processo in rapporto con i bisogni fisiologici del vegetale, e non di un processo secondario prodotto quasi indipendentemente dalla semplice azione di un ossidasi senza alcun rapporto con i bisogni della pianta. Infatti con l’ipotesi della Houterman resta inesplicato: 1° perchè, mentre le ossidasi debbono ammettersi generalmente presenti in tutti i tessuti attivi. nel nostro caso il biossido di man- ganese si trovi soltanto o quasi nelle radici; 2° perchè nell’ecce- zione da me constatata di una produzione di deposito nelle parti aeree del fagiuolo, questo deposito resti confinato nelle cellule al- buminifere. Queste sole constatazioni bastano a farci vedere che il fenomeno è molto più complesso di quanto suppone la Houterman euon è esplicabile per la semplice azione di ossidasi. Parmi quindi che le conclusioni alle quali io sono giunto nella mia succitata me- moria siano più in armonia coni fatti osservati, e rappresentino un modo più plausibile di spiegazione. Si può adunque ritenere che nella radice avvenga il primo la- voro di separazione dei ioni appartenenti ai sali assorbiti, i quali per la diluizione in cui si trovano debbono presentare il fenomeno - . Ò Ù > della dissociazione. Per questa funzione la radice può paragonarsi a quel reparto di un grande laboratorio nel quale i materiali en- trati confusamente debbono essere opportunamente separati e va- gliati perchè poi possa avvenire la successiva distribuzione dei costituenti detto materiale in altri reparti nei quali debbono essere impiegati. E nel nostro caso questo lavoro si compie con la sepa- razione dei ioni a opposta carica elettrica, ossia dei cationi dagli anioni. Questo grande, continuo lavoro, cui sarebbero adibiti gli organi radicali, noi non lo seguiamo nelle condizioni ordinarie. Con i sali di manganese e degli altri corpi adoperati si riesce a metterlo in evidenza. Nella radice stessa troviamo che il processo si accentua gran- demente intorno ai tessuti in via di formazione; troviamo in un caso ben constatato (fagiuolo) che nelle parti aeree il deposito stesso riempie soltanto i serbatoi albuminiferi. Ciò fa vedere la relazione tra la produzione di tali depositi e l’attività formativa di nuovi tessuti e la presenza infine di sostanze proteiche. Anche da questo punto di vista la radice si presenta quale un organo di primaria importanza, nel quale deve anche avvenire in larga scala la sintesi delle sostanze proteiche, mentre fino ad oggi sì è ritenuto dai più che questa proprietà fosse legata esclusivamente agli or- gani verdi. Tali sono le induzioni che mi sembra possano essere tratte lo- gicamente dai risultati delle mie ricerche. Roma, KR. Istituto Botanico, Giugno 1913. Sri arie iran tte ADATTE TIE Ae Pia ite NA el * ‘ p 5 - " ii sà » Pai e e e _______________z3 RUSS NANA STASI VAI SVINIRA IA GCSIA NANFAIDIVITLARLI RIVISTE SINTETICHE La nutrizione minerale negli Sfagni. Gli sfagni formano fra le Briofite un gruppo di piante carat- teristiche non solo per la loro speciale natura anatomica, ma an- cora per il loro comportamento particolare nella funzione della nu- trizione, che è stata oggetto di studi particolareggiati in questi ultimi tempi. Per queste ragioni gli sfagni vengono considerati come un gruppo di piante inferiori ben limitato e definito; per cui anche sistematicamente si è voluto separarli dalle epatiche e dai muschi propriamente detti. Intorno alla nutrizione di queste piante ben poco si conosceva fino a questi ultimi tempi: si arguiva solo che non solamente gli elementi della sostanza organica dovessero essere indispensabili al loro sostentamento, ma che anche gli elementi delle cenerì do- vessero assumere una parte importante nei processi della nutri- zione. I risultati degli studi fatti a tale riguardo sono interessan- tissimi, perchè oltre ad aprire uno spiraglio di luce intorno ai processi nutritivi degli esseri vegetali inferiori, possono dar luogo ad ulteriori ricerche, che sarebbero importantissime non solo dal lato biologico, ma anche da quello geologico. Tali studi potrebbero avere anche per la nostra flora una non lieve importanza, giacchè secondo l’ul- timo censimento sono ben 29 le specie e 31 le varietà di sfagni esistenti in Italia: essi trovansi sia sulle Alpi, sia sull'Appennino, talvolta anche nella pianura. Ma come già in tanti altri campi, anche in questo la Germania ha preceduto gli altri paesi in tali studi. | Ognuno sa come in questo paese siano abbondantissimi gli sfa- gni sia allo stato vivo sia allo stato fossile per cui formano degli enormi giacimenti torbosi, che si estendono per centinaia di chi- lometri quadrati, raggiungendo in molti punti l’altezza di metri 2.40. Il Governo germanico, preoccupato appunto da queste enormi esten- sioni di terreni torbosi, che pochissimo o male si prestano agli usi DIE AN dell'agricoltura, sì decise alla istituzione di numerose stazioni speri- mentali, coll’unico e preciso scopo di studiare, quali miglioramenti fossero da apportare a questi terreni, per ridurli ad essere colti- vati. Ed i risultati pratici di tali ricerche cominciano già da un po’ di tempo a farsi sentire qua e là; sicchè non c’è da dubitare, che in un avvenire più o meno lontano, se non tutti, almeno gran parte di questi terreni potranno essere soggetti alla coltivazione razionale, e quindi fonte di nuovo benessere. Ho voluto accennare rapidamente a questo fatto per far risaltare come realmente in Germania tali studi abbiano e debbano del resto avere una portata di gran lunga maggiore di quello che potrebbero avere da noi; an- zitutto perchè non sono molti i terreni torbosi in Italia, e poi lo studio di essi non potrebbe avere per noi che un’importanza scien- tifica. Ma è appunto per questo che io ho voluto in questa breve memoria sintetica riassumere nel modo possibilmente più chiaro i risultati a cui sono giunti gli studiosi tedeschi: anche perchè que- sti studî possono aprire il campo su nuove e più vaste ricerche nel vastissimo e complesso problema della nutrizione di questi organismi inferiori, e dei vegetali in genere. COME SI SVOLGE IL PROCESSO DI ASSUNZIONE DEGLI ALIMENTI NEGLI SFAGNI MINERALI. Mentre che nelle piante superiori l'assunzione degli elementi delle ceneri è affidato ad organi speciali, le radici, negli sfagni invece l'assunzione degli alimenti si effettua in parti determinate del corpo, come vedremo più innanzi. Per favorire appunto una sufficiente e rapida assunzione, le cellule superficiali della maggior parte di questi organismi sono fornite nella parte esterna di un foro, che però nella specie cymbifolia può essere maggiore di uno, e variare da uno a nove. La membrana di queste cellule è costituita da una pellicola di natura colloidale, che ha la proprietà di gonfiarsi a contatto dell’acqua e delle sostanze in essa disciolte; cosicchè questo tessuto privo di plasma che limita il corpo non serve solo come mezzo di trasporto per il liquido nutritizio, ma serve ancora per assumerlo dal di fuori. A_tal uopo le cellule presentano una re- azione acida, che non deriva da alcuna emissione acida speciale della cellula, ma bensì dalla natura colloidale della membrana stessa, e quindi dalla sua speciale costituzione. Non bisogna però credere che per tutti gli sfagni esistano nelle pareti esterne delle cellule i fori suddetti, che specialmente per le specie acquatiche, le Hydrophyta, questi fori mancano non solo completamente, — 475 — ma tutto il tessuto assumente l’acqua o manca o non è ben dif- ferenziato. Invece in altri moltissimi casì di sfagni viventi nei ter- reni, essi sono provvisti di abbondantissimi rizoidi, che si allun- gano notevolmente nel terreno e compiono la funzione di assu- mere dalle vicinanze immediate l’acqua e le sostanze nutritizie, e di portarle al tessuto di natura spugnosa. In quanto agli organi fogliari, la loro funzione è doppia, vale a dire quella di assumere le soluzioni nutritizie, e quella di produrre sostanza organica mediante il processo di organicazione: la prima di queste funzioni è fatta da cellule ialine, i leucocisti che rappre- senterebbero appunto il sistema fisico-chimico per l’assunzione degli alimenti; la seconda invece è eseguita dalle cellule contenenti pro- toplasma ed i corpi clorofilliani, e rappresenta quindi la funzione più complessa, quella dell’organicazione. Generalmente i cloroplasti dei muschi in genere, e degli sfagni in ispecie sono eliofobi, ra- gione per cui queste piante preferiscono luoghi ombreggiati: essi hanno a tale scopo degli adattamenti speciali per ovviare all’in- conveniente della luce troppo intensa, e che consiste in pigmenti speciali che trovansi nella parete cellulare, e che a seconda della loro disposizione, favoriscono più o meno la deviazione dei raggi di luce. Le pareti delle cellule ialine negli sfagni sono state og- getto di studi diligenti per parte di Baumann e Gully (1); essi con- statarono come le pareti di queste cellule fossero costituite da una speciale sostanza colloidale, che si gonfia nell'acqua assumendo gli elementi nutritizii, e che avrebbe una parte importante, anzi se- condo me essenziale, nel processo di nutrizione di queste piante. In sostanza questi autori avrebbero trovato che la reazione acida non è dovuta ad un emissione di acido, ma bensi alla natura della sostanza colloide. Ma ad ogni modo questo problema di capitale importanza per studiare più da vicino il processo di nutrizione non è peranco risolto; nè lo sarà tanto presto; perchè se difficile è la soluzione del problema negli studi di laboratorio, più difficile lo è in natura, dato il fatto della quasi completa oscurità che re- gna ancora oggi sui processi complessi che si svolgono nel terreno agrario, in ispecie sull'azione concomitante del terreno e delle radici. (1) Prof. BaumannN e GuLLy. — Mittheilungen der Bayr. Moorkulturanstalt. H. 4, pag. 19 e seg. % E Lo » eri . - venll'ali i DT ea na PI Lo A, e È ® < L'AZIONE DEL CALCIO SUGLI SFAGNI. Il dott. H. Paul (1) ha studiato molto a lungo l’azione del cal- cio sugli sfagni, ed i risultati a cui giunse offrono un notevole in- teresse. Il contenuto in sostanze nutritizie d’un terreno paludoso viene in massima regolato dal sottosuolo e dall’acqua. A seconda del con- tenuto in elementi nutritizi del substrato per i bisogni delle di- verse piante si avrà un maggiore o minore sviluppo della flora: poichè mentre in due terreni paludosi con quasi la medesima ve- getazione il contenuto in elementi nutritizi può essere molto di- verso, tanto maggiore sarà questa differenza, quando si tratti di vegetazioni diverse. La solubilità degli elementi nutritizi in un ter- reno paludoso pare che dipenda più che altro dallo stato fisico del terreno. Ad ogni modo la composizione chimica centesimale di ele- menti nutritizi nel terreno è soggetta a grandi variazioni, per cui generalmente parlando sono più ricchi in elementi nutritizi i ter- reni in pianura di quelli in montagna. Notevole è sopratutto la diversità nel contenuto in calcio, per cui gli sfagni in terreni ricchi di calcio si troverebbero solo qua e là, e questo vale principal- mente per le specie S. cuspidatum ed acutifolium: mentre in ter- reni che hanno pochissimo calcio, gli sfagni trovansi in grande quantità come per le specie ,S. medium e rubellum. Per conseguenza sì può ritenere fino ad un certo punto che la quantità maggiore o minore degli sfagni vegetanti su un terreno dipende dalla quan- tità maggiore o minore di calcio, e quindi anche per stabilire il carattere d’un terreno paludoso bisogna ricorrere più che altro ai caratteri botanici delle specie ivi esistenti. Come già ho ricordato avanti, anche gli sfagni presentano le reazioni acide caratteristiche per le piante con radici. Però il con- tenuto in acido nelle diverse specie esaminate sarebbe sempre molto diverso a seconda del luogo in cui vivono: così nella S. rubellum medium, papillosum, che trovansi di preferenza negli altipiani, la quantità di acido è maggiore che ad esempio nelle specie S. pla- tiphyllum, contortum, recurvum, che trovansi di regola nei terreni più bassi. Secondo il Paul la presenza di quantità maggiore o mi- nore di acidi sarebbe in relazione rispettivamente alla quantità mi- nore o maggiore di calcio. Vedremo però più tardi come la reazione (1) PauL H. — Die Kalkfeindlichkeit der Sfagna und ihre Ursache. — Mitteilungen der K. Bayr. Moorkulturanstalt. Heft. 2. acida non sia da attribuirsi ad un emissione vera e propria di acidi, ma ad altre cause più complesse. Diverse esperienze di laboratorio eseguite dal dott. Paul (1) hanno dimostrato che gli sfagni continua- vano a crescere, quando all’acqua distillata si aggiungeva tanto calcio da neutralizzare circa la metà dell’acido, ma che le piante morivano quando la soluzione era talmente forte da saturare tutto l’acido. Ad ogni modo non si è potuto ancora stabilire se esiste un certo rapporto fra la quantità acida della pianta e la quantità di base esistente sul terreno; prima di tutto per la natura speciale dei terreni su cui queste piante vivono, e poi perchè diverso è spe- rimentare in laboratorio e diverso sperimentare sul terreno. Ma lo studio di laboratorio intanto è utile, e deve essere fatto sempre in precedenza, perchè esso per gradi e comparativamente deve portare dallo studio dei fenomeni semplici a quelli più complessi. Anche qui occorre il metodo sistematico dello studio, in caso contrario non sarà mai possibile poter raggiungere dei risultati seri e precisi dei fenomeni così complessi che avvengono in natura, specialmente per chi si accinge a studi di fisiologia. Ma pur troppo questo me- todo di studio, per il quale occorre tempo e pazienza, è trascurato dalla maggior parte dei studiosi di fisiologia e chimica agraria. LA COMPOSIZIONE CHIMICA DEGLI SFAGNI ED IL LORO POTERE DI ASSORBIMENTO PER LE BASI. Fra i diversi lavori eseguiti su questo argomento, il più inte- ressante è senza dubbio quello del dott. Gully (2), che apre indub- biamente nuovi orizzonti nel vastissimo e ancora così poco noto campo sulla nutrizione degli organismi vegetali in genere, e di quelli inferiori in ispecie. Il Gully distingue gli sfagni in tre categorie: 1° Sfagni cresciuti in terreno di montagna; 2° Sfagni cresciuti in terreno di bosco; 3° Sfagni cresciuti in terreno di pianura. A questo proposito credo necessario notare come questa divi- sione non sia esatta: perchè vi sono delle specie di queste piante che vivono tanto in terreno di montagna come in quello di bosco o (1) Loco cit. (2) GuLLY dott. EuGEN. — Untersuchungen ueber Humussciuren. — Mit- teilungen der K. Bayr. Moorkulturanstalt. Heft. 5. ai © » sà #5 i o dea centi 0 di DI: Aia 4 UT Pre ri &e LOSS, E bal — 475 — in quello di pianura: come ci sono anche di quelli che vivono in tutte tre le categorie di terreni. Quindi credo che tale divisione non essendo razionale, sia stata prescelta dal suddetto autore solo per coordinare meglio la materia oggetto del suo studio. Dippiù gli sfagni vengono divisi e studiati sia allo stato vivo sia allo stato spento; e ciò perchè la loro composizione chimica difatti mostra delle differenze e caratteristiche notevoli nei due stadi di vita e di morte e che meritano di essere rilevati, anche perchè come vedremo più innanzi, esiste un certo rapporto fra le parti vive e morte, per cui le prime per accrescere il loro corpo hanno bisogno di elementi che vengono sottratti dalle parti morte direttamente. A seconda del luogo d’origine e dell’età gli sfagni raggiungono una lunghezza diversa. Per le loro condizioni ordinarie di vita gli sfagni vivi vegetano su quelli morti: e per questo a cagione del- l'aspetto scuro, quasi nero, si possono benissimo distinguere da quelli vivi, che sono verdi. Accenno naturalmente alle specie di sfagni che possano avere una particolare importanza per il nostro paese. Sfagni vivi di montagna. — L'analisi delle ceneri di questi sfagni dà i risultati riassunti nella tabella qui sotto: Composizione media CAOS O METRES AO) MD re 0.108_ 3051525 0.128 » TOS 0 OS20647 0 158 PO; 2%. a 1. 0.046— 01035» 0.072 » N e 0A: 0956 0.759 >» Le specie prese in considerazione sono: S. fuscum, S. acuti- folium e S. medium: le prime due specie contengono meno ele- menti nutritizi della terza: quali siano le cause di questa diver- sità si vedrà più tardi. Sicchè per gli sfagni vivi si hanno in media per 100 parti di calcio, 49.6 parti di magnesio, 177.5 parti di po- tassia, 27.9 parti di anidride forforica e finalmente 294.2 parti di azoto. Il contenuto in fosforo di questi sfagni sta rispetto al calcio nella proporzione di 1a 4, mentre il contenuto in magnesio nella proporzione di 1 a 2; all’incontro il potassio si trova rispetto al calcio nella proporzione di 1.77:1, mentre l’azoto di 8:1. Le ce- neri dunque di questi sfagni contengono potassio in quantità mag- giore ed in ordine decrescente vengono poi il calcio, magnesio e fosforo. i 508] dal alii ga Sfagni spenti di montagna. — Dalla tabella seguente risulta la composizione centesimale degli elementi contenuti nelle ceneri degli sfagni spenti, e cioè: Comporizione Caf N00; 0,33% 1 © 00259 Ma ONE 0 099 ‘0:19 e TO RO 004-076 DL PIRA RO UNO O0TT ‘0,064 N E RA OLO 0040 620 Negli sfagni vivi mentre abbiamo un maggior contenuto di po- tassio nelle ceneri, nelle parti morte invece ciò non avviene, ed aumenta invece la quantità di calcio notevolmente. La percentuale di calcio e magnesio degli sfagni spenti è notevolmente superiore a quella degli sfagni vivi, mentre la percentuale di anidanidride fosforica si mantiene la medesima. Vedremo più tardi la ragione di questo fatto. Sfagni vivi di terreni boschivi —- Le specie che hanno uno spe- ciale interesse per noi sono: lo S. cymbifolium, S. acutifolium. S. Gir- gensohnii, S. recureum: mentre le prime tre specie trovansi di pre- ferenza nei terreni poco umidi, lo S. recurvum trovasi invece in terreni molto umidi. La composizione chimica dello S. acutifolium del bosco varia molto da quello dello S. acutifolium dei terreni più elevati ed è la seguente: COR Ae 0 MII 132 00 Me IR NOLI Rose ant seg OI BO ia N SO TL e RIO In questa tabella si nota come la percentuale di anidride fosfo- rica e azoto sia molto elevata. Nello S. cymbifolium non si trovano delle percentuali così elevate di anidride fosforica e azoto come nello S. acutifolium; d’altra parte lo S. cymbifolium contiene più calcio potassio e magnesio dello S. acutifolium. Lo S. recurvum che trovasi di preferenza sui margini dei fossi contiene meno calcio, magnesio e fosforo delle due specie citate avanti, ma più potassio e azoto delle specie più avanti menzionate. Nello S. Girgensolni, che è scarso di acqua, la quantità di elementi nutritizi in esso contenuti è maggiore che per tutte le altre specie boschive. Dunque riassumendo la composizione delle ceneri di queste specie di sfagni oscillerebbe fra i limiti qui sotto indicati: Composizione media Ca RO A 420 Sapio) Met MEI 10935 014005 RIO 0,6941965. + 08460 PIO TO, 160 LL soleggiato NI 0 RI 88 Lo I Per ogni 100 parti di calcio troviamo nei sfagni boschivi vivi, 40.0 di magnesio, 241 parti di K, 63.7 di anid. fosforica e 485.4 parti di azoto. In questa specie di sfagni si ha dunque per la me- desima quantità di calcio pressa poco un uguale quantità di ma- gnesio, ma più K, e molto dippiù anid, fosforica e azoto che non per gli sfagni di montagna. Sfagni spenti di bosco. — La composizione chimica delle ceneri dello S. acutifolium fossile dà: CAO o fe e O DIR MEO ee 0000 ROL tane e RON PO i go 0 Nite OR go E VS Questa pianta spenta dunque contiene quantità minori di ma- gnesio, potassio, anidride fosforica, e N, ma quantità maggiori di calcio dello stesso stagno vivo. Lo .S. cymbifolium spento invece ha la seguente composizione centesimale: CROLLI dal OI Mo0 ra ee 0 RON I La Posse eo ca 0A 06: N Berne A AR e Lo In questa specie spenta si trova relativamente meno potassio, fosforo e azoto, ma maggior quantità di calcio e magnesio. Per lo S. recurvum l’analisi centesimale ci dà 1 seguenti dati: CROATO MEO O RR UO I Oa RO O UO) OZ PIO e OR E I oe MONS NOIA Degli a 0a Ano de gd Da questa composizione delle ceneri risulta che la percentuale in calcio uguaglia quella in potassio, mentre quella di magnesio uguaglia quella del fosforo. Le ceneri dello S. Girgensohnii ci danno i risultati seguenti: Cao ae e a O MORE AO e N ona Oa RO O o POS i 0 N SIRO AR enzo» In questa specie la quantità centesimale del magnesio e fosforo è press’a poco identica, laddove invece la percentuale di potassio raggiunge circa la metà di quelia del calcio. Riassumendo dunque la composizione media degli sfagni spenti di questa categoria offre le medie seguenti: Caos a oa e a ROIO Mei dee 1: ONS I MEARIAI RANA) e RR VIa, PRO e o 0,148 > NEI ei USO In genere dunque gli sfagni spenti dei boschi hanno meno po- tassio, fosforo e magnesio di quelli vivi, ma circa il 20 % di calcio più degli altri. Su 100 parti di calcio dunque si hanno per gli sfagni fossili dei boschi 25.4 parti di magnesio, 58.5 parti di K,0, 27. Sparti di fosforo e 203.0 parti di azoto. Sfagni vivi di pianura. — Di questa categoria le specie che per noi possono avere interesse sono lo S. contortum e platyphyllum. Lo S. contortum contiene dunque: Composizione media Gal... a 066 2999007 2,009 % MgO . . . . .0,260 — 1,005 >» 0,632 » Riolh. .. Ve. 0.359 0 6900 0,747 » Pi@gli is i i 0760 10008 0,168 » N] 200 A 1,357 » Negli sfagni vivi di montagna e di bosco il tenore medio di potassio nelle ceneri è molto maggiore del tenore medio di calcio, all’incontro il tenore in calcio delle ceneri degli sfagni di prato è molto maggiore. Oltre a ciò le ceneri degli sfagni di prato sono molto più povere in anidride fosforica di quelle degli sfagni di bosco. Per lo S. platyphylium la composizione chimica sarebbe la se- guente: 60 EA en LITE Meo A NEL | RION o Seen Re 101048 | BO Age a O N ORO CILE E CI LOO0 a Per quello che riguarda il rapporto del calcio rispetto agli altri elementi nutritizi, bisogna notare, come presso questi sfagni, come per quelli di pianura in genere, su una medesima quantità di calcio vi è una minore quantità degli altri elementi. Sfagni spenti di pianura. — La composizione chimica delle ce- neri dello S. contortum dà la seguente percentuale dei soliti ele- menti. Cage ee ie re lea Meg e sino. MAI RON ER REA0I Poerio LE N Si sr ERO MDON N a So ae OTO Le parti morte dunque di questi sfagni sono ugualmente po- Ù vere in potassio, anid. fosforica e azoto, ma più ricche in magnesio e calcio delle parti vive. La composizione chimica invece dello S. platyphyllum spento è - la seguente: Caf. Ve 4, AULA OA MEO CATLIIONE 1, RAS | RO AR LU AO PIO A OE PO a ap ione | Nt VO UO e a ii Anche per questi sfagni troviamo nelle parti morte un tenore maggiore in magnesio e calcio che negli sfagni vivi: inoltre con- d tengono relativamente molta anidride fosforica e azoto: ciò è tanto più notevole in quanto che le parti mc i di sfagni contengono una quantità doppia di sostanze incombustibili di quello che non con- tengano le parti vive. Lai ian LE DIFFERENZE NELLA COMPOSIZIONE DELLE MEDESIME SPECIE DI SFAGNI VEGETATE IN LUOGHI DIVERSI. T terreni torbosi dei boschi sono generalmente un poco più ricchi nei diversi elementi nutritizi dei terreni con strati torbosi che tro- vansi su altipiani o montagna scoperta, ma non tali da poter spie- gare le grandi differenze che esistono per l’anid. fosforica e l’azoto. Non trattasi qui precisamente della differenza quantitativa in cui si trovano questi due componenti, ma dalla forma più o meno or- ganicabile in cui questi elementi si trovano. Anzi il Gnlly (1) in un altro suo molto pregevole lavoro ha studiato a fondo i rapporti che passano fra la vegetazione, la composizione chimica e la con- cimazione nei terreni torbosi: egli potè stabilire come i terreni di bosco nei primi anni di cultura non hanno bisogno nè di concimi fosfatici nè di concimi azotati. Nella questione importante se nel terreno trovansi a disposizione della pianta più o meno elementi nutritizi, non bisogna badare solo alla composizione centesimale, ma bisogna anche tenere conto se gli elementi presenti nel terreno sono in uno stato tale da poter essere organicati dalle piante. Perciò una stessa pianta coltivata in terreni diversi può avere una com- posizione diversa dall’altra, e quindi un terreno sarà in grado di produrre piante a tenore più elevato, mentre un altro ne produrrà a tenore più basso. Generalmente il terreno torboso di montagna contiene gli elementi in una forma molto difficilmente solubile. Gli sfagni di terreni elevati hanno a loro disposizione delle quantità minime di elementi nutritizi negli strati superiori del terreno, ed è perciò che essi sono obligati a servirsi anche di elementi nutri- tizi che provengono dalla polvere e dall'acqua atmosferica: ed a compiere questa speciale funzione di assumere questi elementi ag- giuntivi dall’atmosfera, il corpo degli sfagni è fornito d’una spe- ciale struttura anatomica, che si adatta egregiamente allo scopo. È questo appunto uno dei tanti casi, e certo fra i più caratteri- stici, in cui il corpo ha preso i dovuti e necessari adattamenti a questa nuova e speciale funzione. E siccome la percentuale di ele- menti minerali dell'atmosfera è presso a poco la medesima, special. mente nei periodi di calma, ecco perchè questi sfagni di terreni di (1) GuLLy dott. EuGEN. — Uebdber die Beziehungen zwischen Vegetation, che- mischer Zusammensetzung und Dungerbedùrfniss der Moore. — Mitt. d. K. Bayr. Moorkulturanstalt. Heft. 3. ANNALI DI BoranICA — Vor. XI. 32 elevati, pur provenendo da luoghi diversi, offrono press’a poco la medesima composizione chimica. Le condizioni su cui si svolge la nutrizione per le altre due specie di sfagni sono invece molto diverse. Difatti mentre come abbiamo detto più sopra gli sfagni di montagna si servono in mag- gioranza e completano la loro nutrizione con gli elementi che tro- vansi a disposizione nell’atmosfera, gli sfagni invece tanto di pia- nura quanto di bosco sì servono degli elementi che trovansi a loro disposizione sia nel terreno sia nelle acque sotterranee. Se pren- diamo a considerare per esempio il terreno su cui vegeta lo S. acu- tifolium, vediamo che esso presenta delle differenze notevoli nel te- nore sia in potassio, sia in fosforo, sia in azoto. Da ciò risulta chiaro, come il luogo di origine può esercitare una influenza notevole sulla composizione dei vegetali; ma anche qui trattasi più che altro della forma e struttura chimica in cui trovansi gli elementi anzichè della loro percentuale in elementi nutritizi. Differenze ancora più note- voli si hanno per uno stesso sfagno, quando questo cresce su ter- reno di composizione chimica diversa. Perciò le più grandi diver- genze nella composizione centesimale di elementi nutritizi lo danno gli sfagni di prato; e ciò perchè stando questi sfagni in un am- biente che è sottoposto più o meno periodicamente a delle inon- dazioni, essi trovano quindi a loro disposizione delle quantità alle volte grandi alle volte piccole, ma sempre molto variabili degli ele- menti nutritizi che trovansi nelle acque di inondazione ed a con- centrazioni quindi molto variabili. Come abbiamo visto già le ceneri degli sfagni vivi di montagna hanno la seguente composizione media: la 0: erat Iata LAS: ATI Da LORCA RA IRR i) RIO ETNIA AD At RARI GS PRON" EA i Let Alano N Mo SALT) mentre gli stessi sfagni spenti contengono: (GT O SLA gio AIS LO 101 SAL aan ET Moio PE Re es zi RARO O Ki Re: DIA Bore ee 00 N iaia ia 620 Confrontando queste due tabelle si nota che entrambe queste sorta di sfagni contengono quasi la medesima quantità di calcio, i. AA ERRE ESTE ASTON VAT INI STABIA | mentre per i rimanenti elementì si hanno delle differenze notevo- lissime. Difatti gli sfagni spenti contengono più Ca0 degli altri, contengono però meno Mg0, N, P,0, e K,0. Sembra quindi che il calcio si trovi a far parte d’un composto organico difficilmente scom- ponibile. Similmente avviene per il magnesio: difatti negli sfagni morti troviamo ancora 1’87.5 % di magnesio degli sfagni vivi, quindi col lavaggio andrebbe perduta circa la 7* parte del magnesio, il quale sì troverebbe forse in una forma più facilmente solubile, e probabilmente formerà un composto inorganico coll’acido fosforico, mentre l’altra parte del magnesio, la maggiore, è legata ad una mo- lecola organica azotata più complessa. Un comportamento alquanto diverso invece lo dà il potassio. Gli sfagni spenti di montagna contengono solo un terzo circa del po- tassio contenuto negli sfagni vivi. Gli sfagni completano il loro bisogno in calcio e magnesio colla polvere dell’atmosfera, mentre per il potassio essi sono costretti a servirsi di quello degli sfagni morti; e quindi è molto probabile che il potassio si trovi nella forma di sale inorganico molto facilmente solubile. In quanto al- l'anidride fosforica gli sfagni morti ne contengono circa il 25 % di meno di quelli vivi, e probabilmente essa trovasi allo stato di sale di calcio e magnesio, e sotto tale forma viene poi consumato dalle piante vive, mentre il restante dell’anid. fosf. fa probabil- mente parte di molecole organiche più complesse. Passando infine all’azoto vediamo che gli sfagni fossili conten- gono circa il 18% di azoto meno di quelli vivi. Dell’azoto totale dunque circa la quinta parte trovasi in una forma facilmente so- lubile, ed è probabile che questo azoto venga usufruito ulterior- mente dagli sfagni vivi, mentre l’azoto rimanente trovasi in una forma organica insolubile. Se ora passiamo a considerare gli sfagni di bosco, vediamo che la composizione della cenere per quelli vivi è la seguente: Ca ii e "00 ME O At e o RO I AT Ae a PT e er 1902 RBBAORES TSE PESII TRN N PI SN ANZIANA 1170. mentre la composizione delle medesime piante morte è la seguente: CAO NT a. > 0092 Aaa epr dra de e ua 0 o ei zizi 03 Dal nem LR E OS RE OE ali ASD FEE pp 9 "arr Ln TRA Gli sfagni spenti di bosco contengono dunque più calcio, ma meno degli altri 4 elementi. È probabile però che la maggior quan- tità di calcio contenuta in queste piante morte di bosco sia dovuta a detriti di tale elemento provenienti dagli alberi soprastanti, giac- chè le foglie cadute dagli alberi contengono maggior copia di calcio che di potassio. Nella loro decomposizione il potassio essendo più solubile viene assunto in maggior quantità dalle parti aeree degli sfagni, mentre che il calcio disciolto viene assunto dalle parti morte di questi muschi: trattasi quindi in questo secondo caso di uno di quei tanti, innumerevoli fenomeni fisico-chimici che acca- dono nel terreno, e che al giorno d’oggi non sono ancora peranco studiati. Quest’ ipotesi è avvalorata anche dal fatto che gli sfagni di bosco contengono maggior quantità di potassio di quelli di mon- tagna, e sieccome ambedue le categorie di questi sfagni sono gene- ralmente povere in potassio, la ragione della maggior quantità di questo elemento contenuto in questi organismi di bosco, non può riferirsi che a questo fatto. In ambedue i gruppi di questi sfagni il potassio trovasi a far parte di composti del medesimo grado di solubilità e gli sfagni vivi di bosco sembrano assumere anche essi per il proprio accre- scimento il potassio solubile degli sfagni morti. Questo mostra an- che come gli sfagni siano organismi avidi di potassio, che dopo avere cercato di assumere per sè tutto il potassio sciolto nel ter- reno, cercano poi di appropriarsi anche di quello contenuto nella polvere atmosferica. La percentuale di acido fosforico sia per quelli vivi sia per quelli fossili è alquanto elevata: invece in quanto all’azoto questi sfagni ne sono più ricchi di quelli di montagna. Passando poi a considerare in ultimo gli sfagni vivi di pianura la loro composizione è la seguente: ; (COMMA (| e PIT 0 Mg0 SEIT RO ll ao 0,269 » IO e e RO IP5O - (0219580 vw NE e I invece quelli dei medesimi sfagni morti è la seguente: CAOS ere ae Ae 0216 Mao ao RA 01884 Rovio ve e 0309 PARISE IO ERI VA De A NE SEE RO, AA Ra Questi sfagni di pianura tanto vivi che spenti danno circa la medesima percentuale di potassio di quelli di bosco, ma per tutte le specie di sfagni spenti si nota una forte diminuzione di potassio: perdite molto minori sì hanno per l’anidride fosforica. Invece il calcio è anche qui in quantità molto maggiore: viceversa è sen. sibilmente diminuita la quantità dell’azoto. Dopo avere così esposto brevemente le differenze più notevoli fra le diverse categorie di sfagni, passo ora a parlare d’un argo- mento importantissimo, cioè del potere di assorbimento per le basi. IL POTERE DI ASSORBIMENTO PER LE BASI. Gli sfagni posseggono la proprietà di appropriarsi dalle solu- zioni nutritizie gli elementi minerali e di adsorbirli sulla loro superficie. Dalle diligenti ricerche di A. Baumann ed E. Gully (1), risulta che gli sfagni hanno la proprietà di presentare sulla loro superficie il fenomeno dell’assorbimento superficiale, che chiamerò però meglio adsorpzione. Ad eseguire questo fenomeno è egregia- mente adattato la particolare struttura anatomica degli sfagni: quest’adsorpzione è tanto maggiore o minore, quanto maggiore 0 minore è la superficie delle cellule ialine dello sfagno. Queste pa- reti cellulari sono costituite da colloidi, i quali hanno la proprietà di adsorbire anche dalle soluzioni le più diluite le sostanze di- sciolte. Quindi le grandi cellule ialine di questi sfagni formano come un grande apparato per la captazione degli elementi mine- rali, e compiono quindi una funzione simile a quella delle radici. Prima che si conoscessero i risultati importanti di questi studii sil cercava di spiegare l'assunzione degli elementi nutritizii coll’esi- stenza di acidi organici, incaricati di tale funzione. Questa opinione era generalmente la più diffusa, finchè vennero alla luce i risultati importanti delle ricerche degli autori suddetti. Se si mette in un vaso da precipitazione uno sfagno con acqua distillata, e vi si aggiungono alcune gocce d’una soluzione diecinor- male di soda, usando la fenolftaleina come indicatore, sparisce al- lora dopo alcuni secondi la colorazione rossa del liquido, ed esso diventa incoloro : questo fatto indicherebbe dunque la presenza di una discreta acidità. (1) A. BAUMANN e E. GuLLy. — Untersuchungen ueber Humustiuren. Mit- teilungen der K. Bayr. Moorkulturanstalt. Heft IV. Da una memoria del conte di Leiningen (1) risulta come gli sfagni sarebbero nocivi agli alberi di bosco a causa della loro forte ‘acidità. Quest’autore cercò di determinare quantitativamente l’aci- dità di questi sfagni con una soluzione diecinormale di soda, e trovò che per la neutralizzazione dell’acidità per porzioni di sfagni lunghe 5 cm. occorrevano cem. 1.3-2 di soda. Mi preme però far notare come questo metodo quantitativo non possa essere rigoroso : però ha il pregio di mettere a conoscenza dell'importante feno- meno, che oggi pare ormai provato, visto le conferme avute da di- verse parti. Fino a poco tempo fa si credeva che la forte percentuale di acido della torba di sfagno fosse da ascriversi ad acidi umici liberi, che dovrebbero venire messi in libertà a mano a mano che i di- versi strati torbosi vengono a formarsi. Ma siccome anche gli sfagni vivi posseggono una forte acidità. secondo Zailer e Wick (2) tale reazione acida è da attribuirsi solamente ed unicamente ad acidi organici liberi. Anche questi autori cercarono di determinare quan- titativamente quest’acido e trovarono che per 1 gr. di sost. secca esso è neutralizzato da cem. 2.02 di soda decinormale. Epperò con questo mezzo non potendosi determinare con esat- tezza la parte di acido degli sfagni solubili in acqua, questi autori cercarono un altro mezzo. Presero 10 gr. di sfagni freschi e li mi- sero in un pallone di Erlenmeyer di 100 ccm.; vi versarono sopra 70 cem. di acqua distillata bollita, vi aggiunsero 2-3 gocce di fe- nolftaleina e poi un certo volume di soda quartonormale (5.0 ccem.): il pallone veniva chiuso con un tappo di gomma, lo si agitava ogni 10 minuti e dopo due ore si titolava la soluzione di soda in eccesso con una soluzione ottavonormale di acido solforico. Il vantaggio notevole che offre questo metodo è quello di esclu- dere le cause di errori che possono provenire dalla neutralizzazione della soda col CO, dell’aria. Le prime ricerche del Gully (3) ese- guite con la titolazione condussero a determinare solamente l’aci- dità dei muschi. Fu solo più tardi che quest’autore insieme con il prof. Baumann potè constatare, che le reazioni acide degli sfagni non sono dovute ad acidi veri e proprii, ma che sono dovute in- vece alle tensioni di superficie delle pareti delle cellule ialine, per (1) GRAF von LEFININGEN. — Naturw. Zeitsch. fiir Forst und Landw. 1907, pag. 183,4. (2) ZAILER e WiLK. — Ueber den Einfluss der Pflanzenkonstituenten auf die physik. und chem. Eigenschaft des Torfes — Zeitsch. fiir Moorkultur und Torfverwertung. 1907, pag. 223. (3) GuLLv. — Loc. cit. vu #2 € (CE LP —_ 489. cui queste accumulano le basi aggiunte per la titolazione sulla loro superficie, sicchè non è più possibile determinare con esattezza la acidità vera. Dopo la constatazione di questi fatti fu necessario determinare il potere di assorbimento per le basi tenendo presenti determinate condizioni di esperienza, come ad esempio la concen- trazione del liquido da far assorbire, il volume totale, ecc; solo usando tali cautele, del resta necessarie, per chi voglia ricavare veramente un risultato proficuo, fu possibile di ottenere dei valori costanti e comparabili. In queste ricerche risultò un fatto curioso che grandi quantità di sfagni assorbono relativamente una minore quantità di base che non piccole quantità; e siccome anche la per- centuale di sostanze anidre in sfagni provenienti da luoghi diffe- renti è diversa, si dovettero naturalmente avere anche dei risultati diversi nel loro potere di adsorpzione per le basi. Il metodo usato per la determinazione del potere di adsorpzione per le basi era il seguente: furono introdotti gr. 3 di sfagni seccati all’aria in un pallone di Erlenmayer da 5300 cem.; vi si aggiunsero cem. 200 di una soluzione di calcio decinormale, ed agitando di tanto in tanto fu lasciato digerire per tre ore. Passato questo tempo il contenuto del pallone viene filtrato in un filtro a pieghe, ed in 100 cm. di filtrato si titola l’acido acetico reso libero con una soluzione quarto normale di soda. Dalla tabella qui sotto ci si può fare un concetto abbastanza chiaro sul potere di assorbimento per le basi. (La quantità di alcali, che viene assorbita da 100 gr. di sfagni anidri ad una soluzione di soda debolmente su eccesso, è segnata In'gr.). Quantità | Soluzione i quarto | Prova | Prova | Prova | Prova | Prova | Prova SPECIE sfagni | normale Media freschi | aggiunta 1 2 3 4 6) 6 gr. cem. I Sfagni di montagna vivi. Medium. . ..| 10,5 | 5,0 |0.1198] 0,0985) 0,0895 0,1079| 0,0820| 0,1277| 0,1043 Fuscum....| 105 | 5,0 |0,1073] 0,0913|0,0916| 0,0972| 0,0853| 0,1025| 0,0960 Acutifolium .| 105 | 5,0 |0,0796| 0,0773/0,0952|0,0951| 0,0920| 0,0978) 0,0895 Rubellum. ..| 105 | 50 |0,1028|0,1243|0,1433| 0,1022| 0,1176|0,1277| 0,1197 Valore totale medio . . . | 0,10283 LE RE E RT MIE II PASTI Platyphyllum Girgensohnii. Platyphyllum Quantità |Soluzione quarto normale aggiunta cem. 2 agg ne Prova | Prova | Prova | Prova | Prova | Prova l | 2 3 Media 4 5 | { Sfagni di bosco vivi. 5,0 5,0 5,0 5,0 0,0712 0,0809| 0,6822 0,0798) 0,1039| 0,0995] 0,0863 0 ,0705 0,0730) 0, Us 0 0778 0 0,0724| 0,0758| 0,0740 0, 0884 0,0674| 0, 0726 0, SEO, 0,0979| 0,0905]| 0,0830 0 ,0887 0,0854) 0 09? 0 (89 0,0732] 0,0773| 0,0790 Valore totale medio . .. | 0,0805 Sfagni di pianura vivi. 5,0 5,0 50 5,0 5,0 5,0 5,0 0,0878} 0,0748) 0,0780} 0,0832) 0,0810 0,0523| 0,0901| 0,0553| 0,0473| 00738 0,0975) 0,1000| 0,1023| 0,1013| 0, 1045! 0,0833| 0,0813 0,0798| 0,0600 ‘0,1078| 0,1022 Valore totale medio . . . |0,0811 Sfagni di montagna spenti. 0, Li 0,0950) 0, di 0,0990 0,0882 sido 0,0970| 0,1050 0,1206; 0, 1000 0, 010: 0,0747; 0,1248) 0,1155 0,1015; 0,0927| 0,1093; 0,0992 0,0485| 0,0990 0,1414| 0,1136 0,1016) 0,1115| 0,1040 0,1048) 0,1186 Valore totale medio . .. | 0,1065 Sfagni di bosco spenti. 5,0 5,0 5,0 5,0 0 ('838| 0 0962 0,1012 0,0986 0, 0970, 0, 0996 0 J0984 0,1044 0,0938, 0, 0811 0, 0850 0,1060 0 ,0830| 0, 0870 0, 0782 0,0766 0,0785, 0,1019) 0, 1107, 0,0987 0,0997) 0 0975 00994 0,1126 0, 1120 0,0989 0 ,0852 0,0814 | | Valore totale medio . . . |0,0946 Sfagni di pianura spenti. 5,0 5,0 5,0 0,0518] 0,0570| 0,0582] 0,0530| 0,0603| 0,0520| 0,0554 0,0740| 0,0824| 0 009) 0,0755] 0,0526| 0,0967| 0,0820 0,0682| 0,0753| 0,0777| 0,0782| 0,0865| 0,0821| 0,0775 Valore totale medio . ..|O0.0711 LI 1a aa 249 — Dando uno sguardo alle due tabelle risulta che il potere di ad- sorpzione di queste piante dipende anche dal loro luogo d’origine, poichè ad esempio lo S. acutifolium di montagna assorbe il 7,3 % più di alcali che non quello di bosco. Risulta ancora, e questo è un fatto importantissimo, che il potere di adsorpzione per le basi è press’a poco lo stesso sia per gli sfagni vivi sia per quelli spenti, che stanno al di sotto di quelli vivi; vale a dire che le parti vive contengono una percentuale di acido all’incirca uguale alle parti morte. Le più recenti ricerche sugli acidi umici hanno dimostrato dunque con sicurezza che, la torba di sfagno non contiene nè i cosidetti acidi umici liberi nè acidi di altra specie, ma che invece le proprietà acide di questo sfagno sono dovute alle proprietà col- loidali delle cellule ialine. Gli sfagni dalle soluzioni saline o dagli idrati concentrati sì impossessano di quantità variabili della base: così da una soluzione di acetato di calcio al 10 %, e da una soluzione di acetato di sodio al 25 % prendono la basein maggior quantità, e le quantità adsorbite calcio e sodio stanno in un rapporto equi- valente al loro peso molecolare. Ma non solo le diverse specie di sfagni adsorbono quantità variabili di sostanze basiche, ma questo avviene anche per uno stesso sfagno quando proviene da luoghi diversi. Inoltre, specialmente per gli sfagni di pianura si è potuto constatare come anche la composizione chimica degli sfagni stia in certi rapporti col loro potere di adsorpzione per le basi: così mentre gli sfagni di montagna contengono minor quantità di elementi nu- tritizi, rispetto a quelli di pianura, al contrario il potere di adsor- pzione è maggiore pei primi che non pei secondi. IL POTERE DI ADSORPZIONE PER LE BASI DIPENDE DAL CONTENUTO IN ELEMENTI NUTRITIZI. Abbiamo già visto avanti che le pareti delle cellule ialine sono costituite da sostanze colloidali di una colossale tensione superfi- ciale, che dimostrano inoltre una carica elettrica, per cui posseggono le proprietà di togliere la base alle soluzioni saline anche le più diluite, e di adsorbirla sulla superficie. Adsorbiti che sono sulle cellule ialine, questi clementi nutritizi vengono man mano traspor- tati nell'interno della pianta per mezzo di successivi e più o meno complessi fenomeni fisico-chimici. Noi ci dobbiamo quindi im- maginare innanzi tutto la parete cellulare gonfiata e con carica elettrica negativa: questa attira quindi i cationi dalle soluzioni sa- : Re Lic OL rel IRE RIE TRAD] * E de EE x etagi è. line dissociate e li trasforma in idrati, i quali per diffusione pas- sano attraverso la parete cellulare, e concorrono in un tempo più o meno lungo alla formazione di nuova sostanza organica. In questo processo, di natura elettrolitica, avvengono dei processi di ridu- zione per opera dell’idrogeno messo in libertà, cosicchè avvenuta la saturazione con le basi o con i ioni dello idrogeno, ha luogo un cambiamento nella carica elettrica della parete cellulare, per cui diffondono anche gli acidi. La quantità delle basi libere, che vengono condensate sulle pareti delle cellule, non sono mai sufficienti, a neutralizzare le loro ten- sioni elettriche come avviene negli esperimenti dei citati autori; poichè in natura non si trovano delle soluzioni saline concentrate a disposizione delle piante. Se gli sfagni non contenessero delle basi adsorbite, allora le loro cellule ialine dovrebbero avere sempre la medesima carica elettrica, e quindi sempre la medesima quantità dovrebbe essere adsorbita. Ma siccome invece la quantità delle basi è sempre variabile, così tale è anche la rimanente quantità delle me- desime che serve alla neutralizzazione della tensione elettrica. Le cifre ottenute appunto nella misurazione del potere di adsorpzione per le basi confermano, che questo dipenae dalla quantità presente di elementi nutritizi, vale a dire dalla percentuale di Ca0, Mg0, e K, 0. Con una serie di prove il Gully credette potere formulare l’ipo- tesi che gli sfagni di montagna hanno il maggior potere di adsor- pzione per le basi, laddove invece quelli di pianura ne dimostrano il minore, ed infine quelli di bosco avrebbero un valore intermedio fra i primi due. Inoltre l'aumento o la diminuzione di questo potere di adsorp- zione per le basi sarebbe in ragione inversa colla minore o mag- giore percentuale in componenti minerali basici. Per ogni gruppo di sfagni vi sono di quelli che hanno un maggiore coefficiente di adsorpzione per le basi, per cui risulta che la somma totale delle ‘ basi libere che gli sfagni sono capaci di adsorbire sulla loro super- ficie delie cellule ialine è diverso anche per sfagni di un medesimo gruppo. Determinando poi separatamente gli elementi nutritizi le- gati fisiologicamente a quelli legati per adsorpzione, si può dimo- strare, che realmente quest’azione fisico-chimica così importante, è dovuta alla natura speciale colloidale delle cellule ialine degli sfagni, e quanto più queste cellule sono grandi tanto maggiore ne è la quantità di base adsorbita. IL COMPORTAMENTO DEGLI SFAGNI DI FRONTE AL FOSFATO TRICALCICO. Fischer (1) ed ultimamente Cameran e Hurst (2) trovarono, che soluzioni sature di fosfato calcico contengono tanta maggior quantità di acido fosforico, quanto maggiore è la quantità del tri- fosfato sodico adoperato. Ma siccome la concentrazione gravime- trica deve essere indipendente dalla quantità di terreno, così ap- pare chiaro come questi antori non abbiano preso in considerazione gli stati d’equilibrio. Difatti, sulla solubilità del trifosfato in acqua pura sono state trovate delle cifre che per la maggior parte non concordano affatto fra di loro. E fuori di dubbio che questa man- canza di concordanza fra i diversi dati è dovuta al fatto che non si è tenuto calcolo di molti fattori importanti, di cui principal- mente, la temperatura e lo stato molecolare del terreno, poichè il sale sì presenta in più idrati tanto allo stato amorfo quanto cri- stallino ; e per dippiù non sì è tenuto calcolo della grande lentezza con cui si raggiunge l'equilibrio fra la soluzione ed il terreno. Dalle ricerche eseguite da Tacke e Sùchting (3) da una parte e da Gully (4) dall’altra risulta che occorre una enorme lentezza ac- ciocchè sia raggiunto lo stato d’equilibrio nella soluzione. È op- portuno però notare come nelle prove eseguite dal Gully si è raggiunto molto più presto lo stato d’equilibrio che non nelle prove degli altri due citati autori. Questa circostanza è probabilmente dovuta al fatto che nelle ricerche di Gully anche con quantità va- riabili di fosfato andava in soluzione quasi sempre quantità co- stante di acido fosforico. Dimostrato fu inoltre che le sostanze col- loidali sottraggono la base dalle soluzioni saline e la condensano sulla loro superficie, e cioè la quantità della base condensata o meglio adsorbita varia secondo il metodo adottato nelle prove. Per ogni quantità adsorbita di base passa in soluzione un’equivalente quantità di acido. A. peso uguale i colloidi da un volume maggiore di soluzione salina mettono in libertà una quantità maggiore di acido. I risul- tati ottenuti complessivamente dal Gully dimostrano chiaramente, come nell’azione scambievole fra fosfato tricalcico e sfagni, queste (1) Landw. Jahrbiicher, 12. 160. (2) Journ. Americ. Chem. Soc., 1904, 26. 885 (3) TACKE E SUcHTING. — Ueber Humussciuren — Landw. Jahrbiicher, 1911, pag. 717-754. (4) Loc. cit. “e e - iaia "a Sta TG ** Sigg azioni seguano le leggi dell’adsorpzione: il che conferma nuova- mente come l’azione dissolvente esercitata dagli sfagni sui fosfati sia dovuta ad azioni adsorbenti. A questo proposito credo ancora opportuno ricordare che non bisogna da un fatto specifico passare improvvisamente a dedurre un fatto generale: questo è purtroppo un errore che si riscontra spessissimo negli studi biologici. Sol perchè una o più piante di specie diversa mostrano molte volte un ugual fenomeno biologico non si può dedurre una legge generale per tutte le piante, ma solo per quell’ unica o quelle poche specie esaminate, ed anche qui oc- corrono sempre numerose serie di prove e controprove. Tornando al nostro argomento dunque noi sappiamo come i colloidi siano sostanze di natura chimica diversissima, e come anche il loro potere di adsorpzione stia in intima correlazione con la struttura molecolare da una parte, quella anatomica dall’ altra, quando sì tratta naturalmente di casi come il nostro. Benchè la membrana cellulare colloidale appartenga per la sua composizione al gruppo della cellulosa, non è necessario però che ogni cellulosa sia un colloide. Tutte le piante posseggono la membrana cellulare, ma nessuno oserebbe affermare, che tutte posseggano la proprietà di disciogliere i fosfati tribasici. Ogni colloide possiede delle pro- prietà specifiche, alle quali vanno naturalmente anche legate delle funzioni specifiche. Qui sorge appunto un fatto interessante, che il Gully nelle sue ultimissime ricerche avrebbe constatato, cioè che esisterebbero anche dei fenomeni di adsorpzione che non hanno già lo scopo di apportare gli elementi nutritizi, ma invece quello contrario, cioè di servire all’eliminazione di sostanze nutritive, e che egli chiama « assorbimento interno ». Intorno a l’interpretazione di questo fenomeno inverso, e se egli veramente esiste, occorrono ulteriori ricerche e conferme: nè so se questo fenomeno meriti più propriamente il nome di adsorp- zione inversa o negativa, oppure se sia un vero e proprio fenomeno di assorbimento, vale a dire se la sua azione si eserciti su tutta la massa e non sulla superficie solamente. A questo punto torna opportuno ricordare come si stia dibat- tendo un’aspra polemica fra i signori Tacke e Sùchting da una parte e il Gully dall’altra, su questi importanti fenomeni di as- sorbimento non solo; ma anche sull’azione di agenti chimici sui sfagni e sui muschi in genere. Difatti, mentre i primi ritengono i fenomeni surricordati dovuti alla presenza di acidi umici del terreno, attribuendo ai fenomeni colloidali un’importanza pura- mente secondaria, il secondo invece attribuisce una grande impor- tanza a tali fenomeni. Così questi autori studiarono separatamente e per vie diverse il comportamento dei muschi di fronte a diversi sali, ma giunsero ad ottenere anche dei risultati completamente diversi: tutti però sono d’accordo nell’attribuire agli sfagni ed ai muschi in genere la proprietà di adsorbire maggiormente la base da soluzioni saline calde che da fredde. Quest’ ultimo fatto però non avrebbe nulla di speciale quando si pensi che tutte le reazioni chimiche vengono accelerate coll’aumento della temperatura. Fu- rono studiati inoltre anche l’adsorpzione su basi trivalenti con idrato di alluminio ed idrato ferrico, ed anche qui i risultati non sono concordanti. Giacchè mentre per ]l’idrato di alluminio non si formano reazioni secondarie, che possono ritardare od impedire al- meno parzialmente l’azione di adsorpzione, invece per l’ idrato fer- rico la cosa è molto diversa. Difatti per l’azione contemporanea adsorbente, assorbente e riducente delle parti torbose cambia con- tinuamente il carattere delle soluzioni di ferro: in queste si trova costantemente sia ferro bivalente sia ferro trivalente, il di cui rap- porto quantitativo varia continuamente. Qui è da notare un fatto curiosissimo che gli sfagni messi in contatto con soluzioni ferriche di determinata concentrazione, non producono fenomeni di adsorp- zione; ciò secondo il Gully vorrebbe dire che gli sfagni adsorbono le basi mediante l’azione di colloidi a carica negativa. Gli sfagni hanno inoltre la proprietà di mettere in libertà lo iodio dei sali iodici; ciò si spiegherebbe col fatto che i suddetti organismi tolgono ad esempio al ioduro potassico o agli altri sali la base e lasciano in libertà nella soluzione l’anione libero. Finalmente interessanti sono le ricerche eseguite sulla reversi- bilità dell’adsorpzione. Per allontanare dalle piante le basi tratte» nute per adsorpzione, bisogna far agire per un tempo sufficiente- mente lungo una soluzione di acido cloridrico all’1 %; con ciò si neutralizzano le basi libere, le quali come cloruri passano in so- luzione, e si possono quindi determinare quantitativamente col nitrato di argento. Dopo fatta questa estrazione e portando gli sfagni in contatto con soluzioni di acetati, si vede che la base adsorbita è molto maggiore dopo che non prima dell’estrazione, e per conseguenza risulta che le piante, avvenuta la saturazione delle basi, dimostrano gradi diversi di adsorpzione. I signori Tacke e Suchting, a conferma dell’esistenza degli acidi umici, citano il fatto dell’inversione dello saccarosio che verrebbe operato dall’acido emesso dai muschi. Questa reazione, che è tipica per gli acidi, non può sussistere di fatto, come è stato dimostrato da numerose altre esperienze. Lo Smith ad esempio osservò che ALA una soluzione zuccherina al 10 % dopo 15 ore di riscaldamento aveva già invertito il 75 % del suo zucchero; quindi non è sostenibile l'ipotesi dell’azione specifica d’un acido sull’inversione del sacca- rosio. Nei muschi sì trovano sempre presenti fosfati, carbonati, al- cali liberi, i quali agiscono sull’inversione accelerandola, ed insi- stendo sul riscaldamento sì formano degli acidi provenienti dalla decomposizione dei sali suddetti, i quali agiscono sul saccarosio, de- terminandone la rapida e completa scissione. I COSIDETTI ACIDI UMICI E GLI SFAGNI. Sulla questione che ormai da tanto tempo si dibatte, se gli acidi umici esistano o no nel terreno, credo opportuno aggiungere due parole sullo stato odierno della importante questione anche perchè essa non va disgiunta dall’azione degli sfagni, i quali ultimi anzi hanno servito a chiarire molto lo stato delle cose. Il Kindell (1) combatte la teoria del Gully, che cioè le azioni acide apparenti degli sfagni siano dovute ad azioni puramente col- loidali, poichè vi è la gran maggioranza di terreni che pur non avendo alcuna vegetazione di sfagni, dimostrebbe la presenza di questi cosidetti acidi umici o dei loro sali. Ma come giustamente osserva il Gully, questi non intende sostenere che siano solo gli sfagni a possedere tale specifica proprietà fisico-chimica, ma che sia precisamente nelle pareti delle cellule saline contenuta quella tale sostanza colloidale che darebbe luogo ai fenomeni d’adsorpzione. Sempre secondo quest’ultimo autore sarà possibile ottenere sostanze con acido umico in tutti quei terreni in cui vi è presenza di resti organici vegetali. Le sostanze chiamate comunemente acidi umici, sì troverebbero già preformate nelle piante viventi, e si possono estrarre da queste per mezzo delle basi, ma si possono anche otte- nere artificialmente da più gruppi organici. Colla morte le piante diventerebbero apparentemente acide, perchè i processi di ossida- zione e putrefazione distruggono l’organizzione cellulare, mettono allo scoperto le diverse parti di tessuti o cellule, che divengono più permeabili agli agenti esterni, per cui probabilmente con l’aiuto di questi agenti si formerebbero quelle tali sostanze colloidali, per cui molte volte i resti organici di piante mostrano un’adsorpzione mag- giore che non le piante vive. (1) RinpELL. — Internat. Mittheilungen fiir Bodenkunde. Heft 1, pag. 67-80. Il dottor Sven Odin di Upsala (1) ha pubblicato ultimamente una memoria sulla natura degli acidi umici. Benchè il lavoro sia da lodarsi, perchè condotto con rigore scientifico, pure esso ha un grave difetto di origine, perchè egli è partito dal vecchio metodo per la preparazione degli acidi umici. Ciò non pertanto il lavoro offre alcuni punti interessanti. Da esso risulta ad esempio che gli alcali sono capaci di formare con i cosidetti acidi umici dei com- posti solubili non colloidali, ed inoltre che gli acidi umici sono praticamente insolubili. Ultimamente anche il Wieler (2) ha pubblicato una interessante memoria, in cui sostiene che l’acidità delle membrane cellulari sia un fatto generale: per cui il carattere acido d’un terreno non sa- rebbe determinato da acidi specifici come molti riterrebbero gli acidi umici, ma invece dai residui delle membrane cellulari che sareb- bero di natura acida, provenienti dalle piante o parti di piante in decomposizione. Egli tenta confermare questo fatto accennando anche al debole sviluppo della microflora in terreni di natura acida, ed attribuisce anche lo scarso sviluppo di batteri in un terreno acido alla scarsità o mancanza di calcio. La composizione chimica quindi dei cosidetti acidi umici natu- rali è anzitutto variabilssima, e dimostra che non esiste alcun com- posto definito meritevole di tale nome. Questo è ormai dimostrato sperimentalmente e chiaramente dai numerosi e profondi lavori di Hermann, Eggerts, Sostegni, Adolf Meyer e Miklang. Quindi gli acidi umici cosidetti non sono altro che un miscuglio di pro- dotti di decomposizione vegetale con altri prodotti più facilmente conservabili come i grassi, i pentosani, sostanze amidacee, ecc. Si intende quindi come questi miscugli debbano dar luogo ad una se- quela di formazione di sostanze chimiche più o meno complesse e molto variabili, come del resto è variabilissima la composizione chimica medesima dei vegetali. Per cui quello che molti hanno cre- duto di trovare nel terreno, cioè l’acido umico non è un prodotto di esso, e quindi non esiste: esso è solo un prodotto di laboratorio che si forma dall'azione di acidi ed alcali sugli idrati di carbonio e sostanze proteiche. A questo riguardo non deve sorprendere la concordanza nel comportamento fisico fra il cosidetto acido umico del terreno e quello di laboratorio, perchè ambedue sono sostanze di natura colloidale. Io credo ad ogni modo che qualora fosse sperimentalmente di- mostrata la nessuna esistenza di conducibilità elettrica, si potrebbe quasi sicuramente dedurre che non esistono nel terreno acidi liberi. (1) Sven Opìn. — Ber. d. chem. Gesellsch. 1912, N. 4, pag. 651-660. (2) A. WIELER. — Ber. d. bot. Gesellschaft, 1912, Bd. 30, pag. 394-406. Con ciò credo di avere esposto abbastanza chiaramente quale sia lo stato odierno delle cognizioni intorno agli elementi minerali degli sfagni e come ad esso sia legato intimamente la tanto vessata e lunga questione degli acidi umici. Da tutto l’esposto risulta evi- dente la enorme importanza che hanno e debbono del resto avere, per lo studio dei fenomeni biologici, le ricerche fisico-chimiche. Per questo appunto il lavoro del Gully merita la più ampia lode, perchè esso oltre ad essere stato condotto con criteri scien- tifici serupolosi, ha indubbiamente aperta la strada su nuove ri- cerche in questo campo ancora così poco studiato, e pur così vasto della nutrizione degli organismi vegetali. Ma ripeto è solo appli- cando e approfondendo i metodi di ricerche chimiche e fisico-chi- miche che si potrà avere sempre maggior luce sul complesso dei fenomeni vitali. Roma, R. Istituto Botanico, aprile 1913.. Dott. "E PrarTE: PRfA o eni RIVISTA DI FISIOLOGIA Iosr, L. und Stopper, R. — Studien iber Geotropismus. II. Die Verinderung der geotropischer Reaktion dureh Sehleuder- kraft. — Zeitschr. f. Botanik. IV Jahr., 3° Heft. È questo il seguito del lavoro del Iost, di cui. fu data ultima- mente la recensione. La parte più importante di queste nuove ri- cerche è la constatazione dell’inversione del movimento geotropico nelle radici operata mediante un opportuno aumento di forza cen- trifuga. Cioè a dire facendo intervenire per mezzo di un apparec- chio a ruota girante la forza centrifuga si trova che fino ad una certa intensità essa agisce come agisce la gravità, cioè a dire pro- voca il geotropismo positivo, mentre ad intensità maggiore pro- duce un’inversione di direzione, cioè a dire si ha geotropismo ne- gativo. Questo fatto è molto importante quando si ricordi che anche per l’eliotropismo esiste un fatto consimile, e che quindi il paral- lelismo fra questi due fenomeni resta chiaramente dimostrata. Peirce Groree I. — Liberation of Heat in respiration. — Bot. Gazette vol. LIII, n. 2. L’A., riprendendo degli studi sui quali fece già una comunica- zione preliminare nel 1908, si propone di studiare con esatto me- todo la quistione della liberazione del calore nei processi respiratori della germinazione. Usa per questo studio i calorimetri Dewar, fabbricati dal Burger di Berlino, i quali meglio di altri apparecchi consimili rispondono all’esigenza della delicata ricerca. Inoltre egli colloca detti calorimetri in ampie stanze nelle quali è minima l’oscil- lazione di temperatura. Studia così diligentemente la produzione del calore ed ottiene per il pisello durante la germinazione dei semi 4.93 calorie per ANNALI DI BoTaNICA. — Vor. XI. 33 GONE PIE RI SITO ES SINO PE Ie SEPRIO RIVA CE ALTA ESSE RL SOS e VOTI TANA CRI n giorno e per ciascun grammo di peso. Questo numero è minore di quello riscontrato dal Bonnier nelle sue classiche ricerche, avendo questo sperimentatore trovato 59 calorie per chilogrammo e in un minuto. Facendo le dovute correzioni per ridurre queste due cifre ad un medesimo rapporto di tempo e di peso si constata la notevole differenza. In seguito l'A. ha voluto compiere un esperimento comparativo sugli animali, senza tuttavia entrare a discutere il significato di questa esperienza. Con salamandre non ebbe dapprima risultato ap- prezzabile, ma con un topo del peso di gr. 19,3 trovò che in 30 mi- nuti si sviluppavano non meno di 845,96 calorie. Infine, l'A. discute il significato dei risultati ottenuti. È indi- scutibile che vha produzione eccessiva di calore e quindi perdita del medesimo. Il calore potrà avere importanza grande nello svol- gimento dei processi vitali, ma certamente la quantità prodotta è superflua. Ma il calore può anche derivare da un’altra causa. Pos- sono essere ossidate sostanze nocive che così verrebbero distrutte. In questo caso si avrebbe a fare con una specie di processo chimico di purificazione. Anche l’energia calorifica prodotta in tale processo può essere utilizzata, ma evidentemente in questo caso sì tratta di cosa differente, ossia lo scopo diretto dell’ossidazione non sarebbe la necessità diretta della produzione di energia. Il processo adunque è abbastanza complesso e vuol essere studiato nei vari suoi punti di vista. ULRIcA, E. B. — Leaf Movements in the Familly Oxalidaceae. — Contr. from the Bot. Labor. of the Univ. of. Pennsylvania, Vol STHens: L’A., dopo aver fatta la storia dello studio di tali movimenti, compie per proprio conto ricerche sperimentali, delle quali i princi- pali risultati sono ì seguenti. La luce ha l’importanza principale nei movimenti delle foglioline, mentre il calore e l'umidità esercitano un’azione secondaria. Il mo- vimento è massimo dopo la levata del sole, poi diminuisce per breve tempo; nel restante della giornata v'influiscono le condizioni am- bienti. Nell’oscurità il movimento continua, e questo periodo sembra più lungo di quello riscontrato dallo Pfeffer per le piante da lui studiate. Nella luce bleu le foglie presentano oscillazioni quotidiane minori di quelle presentate nella luce bianca, ma dopo una setti - mana esse subiscono una specie di adattamento. Il calore ed il freddo 4 Siri prodotti artificialmente non esercitano una notevole azione. Al con- trario si mostrano efficaci le eccitazioni elettriche, che possono es- sere ripetute con effetti costanti. Il movimento che si verifica alla mattina è senza dubbio il prodotto dell’illuminazione dei giorni pre- .cedenti; e la costante ripetizione ha resi questi movimenti quasi ereditari. In condizioni di intensa illuminazione la temperatura esercita la sua influenza, ma le curve dell’alzarsi e abbassarsi della temperatura e quella del movimento delle foglioline decorrono in senso opposto. In fine il comportamento non è uguale per le sin- ‘gole specie. DaxcrarD, P. A. — La production de la chlorophylle sous Y’ aetion de la lumière. — Bull. de la Soc. Bot. de France, t. LIX, 1912. In questa comunicazione assai interessante lA. dopo aver ram- mentato che è generalmente ammesso avere influenza la luce nel processo di formazione della clorofilla massimamente nel giallo e, in via decrescente verso l’infrarosso e l’ultravioletto, riprende lo stu- dio della quistione servendosi di uno spettroscopio a visione diretta capace di dare uno spettro assolutamente puro. Egli ottiene dei ri- sultati che non concordano con quanto fino ad ora è stato ammesso e dopo una esatta determinazione delle varie zone dello spettro nelle quali ha luogo la massima produzione di clorofilla conclude che v’ha uno stretto accordo tra il nuovo spettrogramma della produzione della clorofilla e quello dato precedentemente dall’ A. sulla decolora- zione della clorofilla stessa. Quindi è che sotto l’azione di queste radiazioni la clorofilla sì di- strugge e si rigenera continuamente; l’attività delle varie regioni dello spettro è la stessa nei due fenomeni. È da notarsi che per i germogli di Lepidium sativum si è avuta abbondantissima formazione di pigmento fra i raggi di lunghezza d’onda 680-630; una minore ma sempre assai forte fra 630-590; poi una diminuzione progressivamente fino a 540, per sparire a 520 o 500. Dancrarp, P. A. — La détermination des rayons actifs dans la synthèse elorophyllienne. — Le Botaniste (Douzième sé- rie) 1912. Io ho già parlato su questa rivista delle ricerche del Lubi- ‘menko, secondo le quali il massimo di attività clorofilliana corri. - A E TT I RE DR Ma I TIENE APERI LAICI PPT — 502 — sponderebbe non alla parte meno refrangibile dello spettro, ma bensì a quella più rifrangibile. L’A., riprendendo precedenti osservazioni si propone nuovamente l’esame sperimentale della quistione, operando con uno spettro asso- lutamente puro il quale agisca su di un’alga, sprovvista di elementi di riproduzione mobili, e quindi incapace di spostarsi, e coltivata in presenza di una soluzione nutritizia di Knop, la quale non contiene traccia di carbone organico. Evidentemente lo sviluppo dell’alga deve essere in relazione con la sua facoltà di fissare il carbonio nelle diverse regioni dello spettro. Le conclusioni alle quali giunge il Dangeard sono le segnenti: la prima comparsa della clorofilla ha luogo in forma di una linea verde che corrisponde esattamente alla larghezza della banda I d’assorbimento della clorofilla ; se ne può dedurre che esiste una con- cordanza assotuta tra la vegetazione di un'alga verde e l'assorbimento delle radiazioni da parte della clorofilla ch'essa contiene; il massimo di azione si trova tra ) 660, e )% 670. Nelle successive osservazioni si constata che Za vegetazione si sviluppa nell'ordine stesso nel quale si estende V assorbimento di una soluzione di clorofilla a misura che la concentrazione aumenta. Infine per ciò che riguarda la regione più rifrangibile dello spettro si può concludere che in essa, mal- grado il forte assorbimento della xantofilla, sopratutto a partire da X 490 l'energia assorbita sì è mostrata incapace di provocare la sintesi clo- rofilliana. L’A. crede di spiegare la divergenza tra le sue conclusioni e quelle del Lubimenko con il fatto che egli adopera uno spettro puro, mentre quest’ultimo usa dei vetri colorati, che lasciano sempre passare delle radiazioni accessorie. KriL FRIEDERICH. — Beitrige zur Physiologie der farblosen Sehwe- felbakterien. — Beitrige zur Biologie der Pflanzen, Elfter Band, Zweites Heft. È questo uno sudio importante su quel singolare gruppo di mi- crorganismi costituito dai solfobatteri scolorati. L’A. dopo aver tracciata brevemente la storia dell'argomento e rammentato i clas- sici lavori del Winogradsky, si propone di riprendere lo studio delle condizioni di vita dei solfobatteri ricorrendo all’impiego di col- ture pure, mentre il Winogradsky s’era valso di colture fatte sotto il vetrino porta-oggetti e che lasciavano sempre qualche dubbio 08 — intorno alla loro purezza e che ad ogni modo non potevano pre- starsi ad uno studio completo. Egli compie le sue ricerche con le forme Beggiatoa e T'hiothrix che riesce ad isolare e coltivare in con- dizioni speciali, secondo particolari metodi assai interessanti per chi si occupa dell'argomento, ma che non possono essere descritti in questa breve rassegna. Studia quali siano le proporzioni otti- mali dell’ossigeno, dell’idrogeno solforato e dell’anidride carbonica; ricerca di quali composti si servano a preferenza i solfobatteri per sopperire al loro bisogno in azoto, ed infine prende in esame il loro comportamento in presenza di sostanze organiche. Le conclusioni generali alle quali A. giunge sono in parte le stesse di quelle del Winogradsky. Cioè a dire ambedue le forme Beggiatoa e T'hiothrix ossidano l'idrogeno solforato ed accumulano lo zolfo in forma di piccole gocce amorfe. Successivamente lo zolfo è ossidato con formazione di acido solforico. Senza l'idrogeno sol- forato la vita si rende impossibile. La conferma di tali proprietà è di valore specialmente per il genere Thiothrix, poichè era stato posteriormente al Winogradsky messo in dubbio il suo contenuto in solfo (Wille-Molisch). Inoltre l’A. giunge a speciali conclusioni, e cioè che i solfobatteri possono vivere senza la minima presenza di sostanze organiche, ma che queste in moderate proporzioni non nuocciono; che sono necessarie discrete quantità di carbonati alcalini terrosi, i quali probabilmente servono alla neutralizzazione dell’acido solforico; che sono utiliz- zati sali ammoniacali come sorgente di azoto; che quale sorgente del carbonio può solo aver valore l’anidride carbonica. Infine l'A. conferma le idee del Winogradsky sulla natura del processo di ossidazione che dovrebbe attribuirsi ad una respirazione inorganica. E mentre il Winogradsky ammetteva la possibilità di una respirazione normale con emissione di anidride carbonica, l'A. la giudica impossibile. Lo scrivente questa recensione non può esimersi dal notare che egli ha recentemente preso in esame in uno studio critico una tale quistione, dimostrando come allo stato attuale delle nostre cognizioni non si debba invece negare l’even- tuale esistenza di una respirazione normale, la quale — sebbene non ancora dimostrata per le enormi difficoltà che insorgono in pro- posito — deve ritenersi non solo possibile, ma molto probabile. Egli ha altresì sostenuto che l’ossidazione dei materiali inorganici deve avere un significato completamente diverso da quello attribuito ai processi respiratorî. Ma il Keil non tien conto di questo studio, che probabilmente non conosce. Basti dunque soltanto il notare che i risultati delle sue ricerche non portano nessun nuovo contri- =r PET SITA, E A EEN IRR IT TI, SIANO NEIL E ELOS ESRI a Si i s di, DES I buto per la soluzione della quistione, se i ee di ossidazione sì debbono o no considerare come processi respiratorî, e che quindi bisogna andare alquanto guardinghi prima di continuare ancora a parlare dell’esistenza di una respirazione inorganica. Currius TE., und Franzen, H. — Das Vorkommen von Formaldehyd in den Pflanzen. — Ber. chem. Ges., XLV, p. 1715. Gli autori riprendono in esame l’ipotesi del Baeyer sull’assi- milazione, secondo la quale le piante ridurrebbero il CO, e pro- vocherebbero la formazione dell’aldeide formica. Ma per discutere del valore di questa ipotesi bisogna innanzi tutto risolvere il quesito se l’aldeide formica sia dimostrabile nei tessuti verdi. Gli autori passano in rassegna i metodi fin qui ese- guiti, concludendo che sono tutti insufficienti, talchè fino ad ora la presenza della formaldeide non sarebbe stata dimostrata. Essi ri- tentano la prova sottoponendo a distillazione fortissime quantità di foglie di faggio, precedentemente pestate con una apposita mac- china. Dall'analisi chimica del distillato risulterebbero sicuramente dimostrate piccolissime quantità di aldeide formica. Gli autori ne concludono che con ciò resta certamente dimostrato il fondamento dell'ipotesi del Baeyer sull’assimilazione. A parte il valore chimico di queste ricerche, sul quale io non credo di dover entrare in discussione, non si può non far osser- vare la fallacità del concetto per il quale sì reputa di potere sen- z’altro applicare all'organismo vivo ciò che si è attenuto sull’or- ganismo morto in seguito a distillazione. Possono derivarne combinazioni speciali che forse non hanno nulla a che fare con quelle esistenti allo stato vivo, molto più che nel presente caso si tratterebbe di quantità estremamente piccole di aldeide formica. Inoltre manca assolutamente la dimostrazione che nei tessuti non verdi le cose procedano diversamente. Per quanto poi riguarda l’ipotesi del Baeyer ricorderò che questo autore ai suoi tempi (1870) riteneva dimostrata l’analogia di fun- zione tra pigmento clorofilliano e pigmento sanguigno, e che quindi il primo avrebbe provocata, ossidandosi, la riduzione del CO, in CO, dal quale poi sarebbe derivata la formazione dell’aldeide for- mica. Ora questa ipotesi allo stato attuale delle nostre cognizioni non può sostenersi, concordando tutti coloro che si sono occupati dell’argomento nell’ammettere una differenza sostanziale di funzione tra i due pigmenti — non ostante certe loro analogie —, e che se è tuttora da ritenersi probabile per altri argomenti la forma- zione dell’aldeide formica, quale primo prodotto nel processo foto- sintetico, con ciò non può senz’altro richiamarsi in onore l’ipotesi suddetta, poichè il processo, se ha luogo, avviene probabilmente in modo diverso. Si deve adunque concludere che le ricerche del Curtius e del Franzen sono un contributo alla risoluzione del quesito se nelle piante verdi l’aldeide formica esista come prodotto del processo fotosin- tetico, ma che non possono offrire nè una esauriente dimostrazione in proposito, nè possono richiamare in onore le idee del Baeyer come hanno creduto di affermare gli autori. LecLeRo Du SasLon. — Influence de la lumière sur la transpiration des feuilles vertes et des feuilles sans chlorophylle. — C. R. Ac. Sc. Paris, CLV, p. 847. Studia la traspirazione in piante che presentano foglie verdi e scolorate. Trova che l’influenza della temperatura è presso che la stessa per ambedue le categorie di foglie. Ne conclude che la luce non influisce perchè è assorbita dalla clorofilla, ma perchè proba- bilmente modifica le condizioni di permeabilità delle membrane protoplasmatiche. Mazé P. — Recherches sur la présence d’acide nitreux dans la sève des végétaux supérieurs. — C. B. Ac. Sc. Paris, CLV, po(81 L’A. trova nell’essudato notturno dei vegetali superiori dell’acido nitroso, il quale non sarebbe proveniente da nitrati che possono essere assorbiti dal terreno, ma costituirebbe un prodotto di ela- borazione delle cellule. Così piante di Mais coltivate senza nitrati, ma in presenza di solfato o cloruro di ammonio, contengono acido nitroso nel loro essudato. BLanc L. — Influence des variations brusques de température sur la respiration des plantes. — C. R. Ac. Sc. Paris, CLV, p. 60. Il Palladine ha affermato che una variazione brusca di tem- peratura provoca un’eccitazione nell’intensità respiratoria. L'A. ri- \ i ea e ii A Ve Atria dii deh SERIE PERE I E LA e TATA TÀ pi LOGIN prende lo studio sperimentale della quistione giungendo a conclu- sioni opposte, constatando che le variazioni brusche non provocano nessuna eccitazione, e che fra l’attività respiratoria ad una data temperatura e quella ad una temperatura superiore il passaggio ha luogo gradualmente. DeLEeano N. T. — Studien ilber den Atmungsstoffwechsel abge- schnittener Laubblitter. — Jahrb. f. Wiss. Bot., Bd Li, H. 5, 1912. Nei processi respiratorî che si compiono in presenza dell’ossigeno bruciano soltanto gli idrati di carbonio, od anche altre sostanza prive di azoto, ed infine anche gli albuminoidi, i quali possono così costi- tuire un materiale respiratorio? La questione è della massima importanza poichè ad essa sì con- nette la conoscenza della dinamica del processo respiratorio. L’À. studia dettagliatamente e sperimentalmente la quistione su foglie tagliate di Vitis vinifera. Dopo un cenno storico sull’argomento, segue una minuta esposizione dei metodi usati per la ricerca chimica delle varie sostanze; indi la descrizione delle esperienze compiute. I risultati ai quali è giunto l'A. sono i seguenti: Nella respira- zione normale di foglie di vite distaccate e fino al limite di 100 ore di tempo sono bruciati soltanto gli idrati di carbonio e particolar- mente l’amido.' In questo periodo non si presentano cangiamenti, nella sostanza albuminoidea. Ma dopo il tempo suddetto, cioè a dire dopo la scomparsa dell’amido, il processo respiratorio sembra che cambi radicalmente, cioè a dire gli albuminoidi coagulabili si scompor- rebbero, trasformandosi in prodotti solubili, tra cui anche dei sali ammoniacali. L’azoto libero non è emesso, com’anche non si pro- duce acido nitrico. Quindi ordinariamente gli idrati di carbonio costituiscono il ma- teriale respiratorio del fogliame, ma in mancanza di questi servono anche gli albuminoidi. Infine l'A. espone un piano di future ricerche. Joxnes W. R. — The digestion of Starch in germinating peas. — The Plant World, vol. 15, n. 8, 1912. Nella germinazione del pisello l’amido non si discioglie unifor- memente nel parenchima dei cotiledoni, ma comincia dalla periferia e progredisce verso i fasci. L’A. indaga la causa di ciò; opportune i esperienze escludono che il fenomeno possa dipendere da diverso po- tere di imbibizione per l’acqua, invece la causa deve essere riscon- trata in diverso contenuto di enzimi capaci di agire sull’amido. Promsy, G. et Drevoxn M. P. — Influence des rayons X sur la ger- mination. — Rev. génér., de Bot., T. XXIV, n. 281. Molto controversa è la questione dell’influenza dei raggi X sulla vegetazione. I risultati contraddittorì possono dipendere da diver- sità di materiale impiegato o anche da diversa intensità dei raggi stessi. Gli autori riprendono la quistione studiando in una prima parte la diretta azione dei raggi X sulla germinazione dei semi del lupino, della fava, della lenticchia e delle cariossidi del grano, ed in una seconda l’azione unita dei raggi e della temperatura elevata. Le conclusioni alle quali giungono sono le seguenti: Alla temperatura ordinaria i raggi esercitano un’azione estrema- mente variabile sulla rapidità di germinazione dei semi. Nulla di generale è osservato per ciò che riguarda l'aumento in peso secco e la tenuta in acqua. Al contrario si avrebbe in genere una variazione di struttura, e cioè una scelerificazione del periciclo ed una moltipli- cazione di fibre in corrispondenza dei fasci libro-legnosi del fusto. L’accrescimento degli elementi vascolari e la loro lignificazione sa- rebbero più rapidi. Infine la corteccia presenterebbe una riduzione. Ad una temperatura elevata si hanno fenomeni più regolari. V’ha azione favorevole sulla vegetazione, acceleramento di sviluppo. Si osservano anche in questo caso modificazioni anatomiche simili alle descritte. I SrogLasa T. — Influence de la radioactivité sur le développe- ment des plantes. — C. R. Ac. Sc. Paris, CLV, p. 1096. Allo scopo di studiare esaurientemente l’influenza della radioat- tività, lA. intraprende esperienze di colture con liquidi radioattivi, tra 1 quali va in prima linea annoverata l’acqua radioattiva di Joachimsthal. I risultati ottenuti in confronto di lotti testimoni coltivati in soluzioni nutritizie non radioattive ma di eguale com- posizione, furono decisamente favorevoli sia per lo sviluppo delle piante, che per il peso della sostanza secca. Ne conclude che la ra- dioattività dell’acqua favorisce la produzione vegetale, e che la mec- A y ci 008 SS canica dei tessuti e degli scambi gassosi sì trova enormemente faci- litata, e che ciò avviene anche per l’assimilazione fotosintetica nelle cellule ricche di clorofilla. Piante studiate: Triticum vulgare, Hordeum distichum, Vicia faba, Pisum sativum, Lupinus angustifolius, Trifolium pratense, Pisum arvense. MoLiscHa Hans. — Ueber das Treiben von Pflanzen mittels Ra- dium. — Sitzungsberichte der Kaiserlichen Akademie der Wis- senschaften (Math.-Naturw. Klasse), CXXI Bd. 1-3 Heft,, 1912. L’A. espone il risultato delle sue ricerche intraprese fin dal- l’anno 1910 intorno all’azione del radio sul periodo di riposo dei vegetali, essendo noto come sì sia già riusciti in vari modi a in- fluenzare detto periodo. Adopera preparati fortemente radioattivi e compie anche parecchie esperienze con l'emanazione. Giunge al notevole risultato che i preparati di radio hanno la proprietà di interrompere il periodo di riposo invernale in parecchie piante. Così rami di Syringa vulgaris sottoposti all’azione di forti prepa- rati per uno o due giorni alla fine di novembre od in decembre, possono poi tosto svilupparsi in ambiente caldo, il che non avviene o avviene soltanto in minimo grado con piante non radiate. Natural- mente la radiazione — per non danneggiare la pianta — deve es- sere opportunamente limitata nella sua durata. Risultati ancora più evidenti ottenne con l'emanazione, però con una parte soltanto delle piante sottoposte ad esperimento (Syringa vulgaris, Aesculus Hippocastanus, Liriodendrom tulipifera, Staphylea pinnata), mentre in altri casi non si ebbero risultati apprezzabili (Gingko diloba, Platanus sp., Fagus silvatica, Tilia sp.) C. AcQua. loi e Lio Para ei e e e e ot RIVISTE Individualità dei plastidi. In questa seconda nota preventiva (1) Sapéhin conferma e com- pleta le sue ricerche intorno alla individualità dei plastidi. E nei tessuti somatici e in quelli sporogeni e in quelli spermatogeni il plastide o i plastidi provengono gli uni dagli altri per divisione, mantengono cioè ininterrottamente la loro individualità. R. PIROTTA. Lo iodo nel nucleo? Johanna Baby (2), contro le affermazioni di Justus (1912) che anche il nucleo delle piante come quello degli animali contenga iodo sempre riconoscibile, sostiene che non potè mai riconoscere la presenza dell’iodo nel nucleo vegetale, col metodo di Justus, e che quindi la sua affermazione non è esatta. R. PIROTTA. Magnesio e elorofilla (3). Con ricerche condotte su Alghe e su piante superiori la signo- rina Mameli porta un contributo alla interessante e discussa que- stione dei rapporti tra magnesio e clorofilla, concludendo che tra magnesio e clorofilla vi è un rapporto diretto costante, come vi è un rapporto ‘inverso costante fra magnesio e pigmenti gialli, asse- gnando, in appoggio specialmente alleidee di Willstàtter, al magnesio due gruppi di funzioni, quella di diretta utilizzazione e quella di catalizzante. (1) SaPÉHIN A. A. — Untersuchung. ib. d. Individualittt der Plastide. — Ber. d. Deutsch. Botan. Gesellsch. XXXI, 1913, p. 14. (2) BaBy JOHANNA. — Ueder das angeblich konstante Vorkommen von Jod im Zellkern — Ber. Deutsch. Botan. Ges. XXXI, p. 35. (8) MameLI Eva. — Sulla influenza del magnesio sopra la formazione della clorofilla. — Atti Ist. Bot. Pavia, ser. II, vol. XV, p. 161, c. 1 tav. ATRATY RRNT î a Jackzewskia phalloides. Il nuovo genere Jackzewskia fu testè istituito dal prof. O. Mat- tirolo (1) per un interessante Gasteromicete della Russia, il quale per i suoi caratteri si presenta come forma di transizione per con- statare le relazioni che legano le Phalloideae meno complicate colle Hysterangiaceae, rendendo probabilmente più intima ed evidente la parentela tra le Clathraceae e le Hysterangiaceae. R. PIROTTA. Il nueleo dei tubi cribrosi. Contrariamente all’opinione generalmente seguita che il tubo cribroso adulto non abbia più nucleo, E. W. Schmidt (2) col me- todo delle serie complete di sezioni e con accurata colorazione so- stiene che vi è sempre un nucleo normale. R. PIROTTA. Nettarii di “ Nasturtium ,, (3). A. Villani continua le sue accurate ricerche intorno ai nettarii delle Brassicacee. In questo lavoro studia quelli dei MNasturtium e i risultati delle sue osservazioni gli permettono di riunire in tre gruppi principali, fondati sui caratteri dei nettarii, le specie da lui studiate. R. PIROTTA. Licheni calcicoli. E. Bachmann (4) trova nelle attuali ricerche sui licheni calci- coli nei quali il fungo è associato a Chroolepus, che le cellule del- l’alga possono sciogliere il calcare ; che quando sono avvolte dalle (1) MatTIROLO ORESTE. — Jackzewskia, illustrazione di un nuovo genere di Hysterangiaceae. — Mem. Acc. Sc. Torino, s. II, t. LXIII, 1912, p. 213 c. 1 tav. col. (2) Scamipt E. W. — Der Kern der Siebròhren. — Ber. d. Deutsch. Bot. Gesellsch. XXXI, 1913, p. 78. (3) ViLLanI A. — Dei nettarii di alcune specie di Nasturtium. (L.) R. Br. — N. Giorn. Botan. ital n., s., vol. XIX, p. 499. (4) BACHMANN E. — Der Thallus der Kalkflechten. II. Flechten mit Chro- olepusgonidien. — Ber. d. Deutsch. Botan. Gesellsch. XXXI, 1913, p. 3, m. 1 taf. Vitinia ife, crescono con vivacità, gemmando, mentre il calcare, per il cre- scere delle ife viene traforato a modo di spugna, cosicchè può as- sumere e trattenere a lungo l’umidità atmosferica. " R. PIROTTA. . Parassitismo di “ Glomerella ,,. Un lavoro ampio, accurato, interessante intorno al parassitismo delle specie del genere G/lomerelZla, ai rapporti tra essa e Gloeospo- rium e Colletotrichum, stabiliti su numerosissime osservazioni e su culture sperimentali e inoculazioni sui frutti di numerosissime piante utili, è stato recentemente pubblicato da C. L. Shear e Anna K. Wood (1). Gli autori stabiliscono che questi parassiti, che produ- cono una sorta di antracnosi, presentano tre fasi nel loro ciclo evo- lutivo, caratterizzate da tre sorta di spore (conidii, clamidospore, ascospore) che furono attribuite a diversi organismi (forma conidiale Gloeosporium e C'olletotrichum ; ascosporifera, Glomerella). Le forme parassitarie osservate su 86 ospiti differenti, appartengon6 quasi sempre alla variabilissima Glomerella cingulata (Stonem.) (34 ospiti, uno solo a G. gossypiù Edge e uno a G. lindemuthiana Shear). R. PIROTTA. Spore nelle Diatomee. H. Selk (2) le osservò in numero di 4 a 16 in diversi individui di Coscinodiscus biconicus del plancton dell'Elba. R. PiRroTTA. Sviluppo di Ulothrix. Ulothrix flaccida Kiitz, secondo le ricerche di N. Wille (3) si riproduce nel mare col mezzo di propagoli (acineti) e di gameti (macro-e microgameti), nell'acqua dolce per opera di aplanospore e di gameti. Imacrogameti possonosvolgersi anche partenogeneticamente. R. PIROTTA. (1) SHEAR C. L. and Woonp ANNA K. — Studies of Fungous parastites be- longing to the Genus Glomerella. — Unit. Stat. Depart. of Agriculture. Bu- reau of Plant Industry. Bull. n. 252, Washington, 1913. (2) H. SeLK. — Coscinodiscus-Mikrosporen in der Elbe. — Ber. Deutsch. Botan. Gesellsch. XXX, 1912, p. 669. (3) N. WiLLe. — Om Uadviklingen of Ulothrix flaccida Kutz. — Svensk. Botan. Tidskr. VI, 1912, p. 445, c. tav. A ani ti et * 3. 1. er e ia DI IRR RE OTTO De Azigospore di Spirogyra. Nella Spirogyra Tjibodensis n. sp. F. C. von Faber (1) osservò che alla luce viva non si formano i canali di copulazione e si pro- ducono azigospore. R. PIROTTA. Simbiosi di Gastrodia e Armillaria. Gastrodia elata Bl. è una Orchidacea apoclorofillica, olosaprofita. S. Kusano (2) osservò che cordoncini di rizomorfe dell’ Armillaria mellea penetrano nel giovane tubero, le ife si sciolgono ed en- trano nelle cellule del parenchima esterno formandovi dei gomitoli Il micelio segrega delle gocce che sono assorbite dalla pianta e forma delle bolle che poi si isolano e sono pure assorbite, rimanendo sol- tanto pochi residui. Se il tubero non è stato infettato la pianta non fiorisce. L'autore ritiene si tratti di parassitismo della Gastrodia sulle rizomorfe del terreno che sarebbe nutrita da quella subcorticale, e che questo caso sia favorevole alia opinione della origine della simbiosi dal parassitismo. -R. PIROTTA. Fecondazione nelle Rose. Matsson osservò (3) che gli insetti visitano raramente i fiori delle Rose delle sezioni Caninae e Villosae, nelle quali quindi la regola sembra essere l’autogamia, confermata dal piccolo numero degli ibridi tra le specie di queste sezioni. Ha anche osservato che si possono formare frutti sia colla fecondazione naturale che colla artificiale ed anche senza fecondazione con una percentuale di di- scendenti, in quest’ ultimo caso, quasi uguale a quella ottenuta nelle seminagioni ordinarie. R. PIROTTA. (1) F. C. von FABER. — Spirogyra Tjibodensis n. sp. — Ann, Jard. | Bot. Buitenzorg 2. sér., t. XI, p. 259. (2) S. Kusano. — Gastrodia elata and its symbiotic Association with Ar- millaria mellea. — Journ. Coll. Agricult. Tokyo, vol. 4, 1911. (3) L. P. RaEINHoLD MarTsson. — Till Fragan om Rosernas Befrukting. — Svensk. Botanisk Tidskr. VI, 1912, p. 589. Viviparità in Pernettya. Nella Pernettya pumila (L.F.) i semi germinano, a somiglianza di Bulbine asiatica e altre poche piante, nel frutto chiuso; però in questa specie, secondo le osservazioni di C. Skottsberg (1), la radice che si ramifica assorbe la polpa del frutto, nutrendosene. R. PIROTTA. Sacco embrionale delle Orchidacee. In uno studio accurato condotto intorno a specie dei generi Epidendron, Phajus, Corollorhiza, Bletia, Caelogyne, W. L. Sharp (2) trovò che talvolta la cellula archesporiale iniziale diventa la cel- lula madre delle megaspore, si segmenta una volta e la cellula figlia interna segmentandosi pure dà due cellule, delle quali la più profonda diventa il sacco embrionale; tal’altra dà direttamente il sacco Il quale è ordinariamente costruito sul tipo ordinario ot- tonucleato; però talvolta i nuclei sono soltanto sei, perchè il pri- mario antipodo si divide una sola volta. Ha luogo fusione dei nuclei polari e avviene tra due equiva- lenti, quando i nuclei sono otto; tra il polare micropilare e i due antipodali, quando i nuclei sono sei; ma il nucleo secondario si disorganizza senza dividersi, benchè avvenga l’unione col secondo nucleo spermatico; quindi non sì forma albume. Secondo l’autore i sacchi embrionali a sei nuclei sembra rap- presentino la tendenza verso una progressiva riduzione della parte vegetativa del gametofito femmineo. R. PIroTTA. Il fulmine e le piante. Ernst Stahl (3) ha pubblicato recentemente un interessante la- voro opportuno per tutti coloro che vogliono occuparsi della que- stione dei rapporti fra le piante e i colpi di fulmine. Il libro, del quale non è possibile qui dare che un cenno, comprende, oltre una (1) SkortsBERG C. — Uebder Viviparie in Pernettya. — Sv. Bot. Tidskr. VI, 1912, p. 490, c. fig. (2) SHARP W. L. — The Orchid Embryo-Sac. — Bot. Gazz. 54, 1912, p. 872, c. 3 tav. (3) StaHL Ernst. — Die Blitzgefihrdung der verschiedenen Baumarten. — Jena, G. Fischer, 1912. Aaa vo a bei O I TRIO A RT ET) PI RE SE II LI UTO RO PIA EI MRRINNAT O) — 514 — breve introduzione e una relativamente breve bibliografia, sette capitoli, nei primi dei quali (I-IV) è trattato della frequenza dei colpi di fulmine sulle diverse sorta di alberi, dei danni recati e dei rapporti fra la pianta e l’azione del fulmine. Nel capitolo V sono esposte esperienze relative specialmente alle condizioni delle piante che determinano o favoriscono un danno maggiore o minore quando sono colpite dal fulmine. Il capitolo VI tratta della spiegazione dei diversi effetti dannosi subìti da di- verse piante, e in relazione al concetto dominante nel lavoro, che sia più danneggiato un albero colla scorza secca che uno bagnato dalla corona fino agli strati del terreno umidi. Nel VII capitolo infine sono indicate alcune conseguenze pra- tiche sull’ utile o sul danno che la vicinanza di alberi porta alle case o agli uomini che vi sì riparano quando vi sia pericolo di fulmini. Pigmenti delle Schizocloree e delle Floridee. Una nuova serie di ricerche hanno condctto H. Kylin (1) a stabilire che nelle Floridee e nelle Schizocloree (Cyanophyceae) i pigmenti si possono raggruppare in due categorie: quelli solubili nell’alcool e non nell'acqua (clorofilla, carotina, xantofilla e fico- xantina) e quelli solubili nell'acqua e non nell’alcool (ficoeritrina, ficociana). Clorofilla, carotima e xantofilla esisterebbero sempre; ficoeritrina sarebbe pigmento caratteristico delle Floridee, come ficociana delle Schizocloree. Però la prima non manca nelle Schi- zocloree, come-la seconda si trova in certe Floridee. Alla distri- buzione, prevalenza, associazione di questi pigmenti sì dovrebbero i colori così differenti che presentano tanto le Floridee (rosso vivo, rosso bruno, porporino, violetto, grigio, verde scuro, verde azzurro) che le Schizocloree (azzurro chiaro, verde azzurro, verde bruno, violetto, azzurro violetto, rosso). L’autore ritiene che il cambiamento di colore osservato in certe Oscillatoria e in certe Floridee sotto l’azione di luce di diversa qualità o quantità, sia un adattamento cromatico complementare dovuto alla scomparsa o ricomparsa di uno dei due pigmenti, fico- ciana e ficoeritrina, e forse all'aumento e alla diminuzione dei pig- menti gialli e verdi. Ficoeritrina e ficociana avrebbero soltanto ufficio di sensibiliz- zatori ottici. È R. PIROTTA. (1) H. KyLin. — Ueder die Farbe der Florideen und Cyanophyceen. — Svensk. Bot, Tidskr. VI, 1912, p. 531 c. 1 tav. Il sistema delle Felci. Loxsoma Cunninghamii R. Br., che presenta nello sporofito ca- ratteri di Ciateacee e nel gametofito (protallo) caratteri di pas- saggio tra Ciateacee e Polipodiacee, offre a K. Goebel (1) occasione per esporre le sue idee sul sistema delle Felci leptosporangiate. Egli stabilisce così i gruppi principali: I. Filices leptosporangiatae. 1. Sporangiis longicidis — a deiscenza per fessure longi- tudinali (Osmundaceae, Schizeaceae, Gleicheniaceae). 2. Sporangiis brevicidis — a deiscenza per fessure trasver- sali oblique (Cyatheaceae, Hymenophyllaceae, Polypodiaceae). II. Filices eusporangiatae. Sono, come tutte le altre Pteridofite, a sporangi longicidi. Il collegamento colle eusporangiate è fatto dal primo gruppo. Flora italica cryptogama (2). Della parte prima di quest'opera (/ung?) sono testè stati pub- blicati i fascicoli 9 e 10. Il primo contiene un Secondo supple- mento all’elenco bibliografico della Micologia italiana del Dr. G. B. Traverso. Nel secondo il prof. T. Ferraris tratta, fra le Hyphales, la famiglia Mucedinaceae distribuita e illustrata secordo il metodo adoperato per le altre famiglie. Staphylea pinnata L. ed Evonymus latifolius Mill. nell’Avelli- nese (3). In una interessante nota sulla costituzione dei boschi dell’A p- pennino avellinese, A. Trotter ferma la sua attenzione sulla pre- senza nell’alta valle del Sabbato e nell'alta valle del Calore di (1) K. GoEBEL. — Archegoniatenstudien - XIV. — Loxsoma und das Sy- stem der Farne. — Flora, N. R. V, 1912, p. 33, c. fig. (2) Flora italica cryptogama. Pars I, Fungi. Fasc. 9. Traverso G. B. — Supplemento II all'elenco bibliografico della Mi- cologia italiana. — Fasc. 10. Rocca S. Casciano, 1912. FERRARIS T. — Hyphales — Mucedinaceae. — Rocca S. Casciano. Gen- naio 1913. (3) TROTTER A. — Della particolare costituzione di alcuni boschi nell’ Ap- pennino avellinese. — N. Giorn. Bot, it., n. s., XX, 1913, p. 265. ANNALI DI BoTANICA. — Vor. XI. d4 UA. 4° + e Mea — 516 — Staphylea pinnata L. e di Evonymus latifolius Mill. associati. A questo riguardo però afferma che l’Evonymus nel Mezzogiorno non fu raccolto che recentemente in una sola località e la Staphylea sul M. Vulture e in alcune località della Campania. Ora è giusto ricordare che entrambe le due dette specie furono già da tempo indicate dal prof. B. Longo della Calabria Citeriore (Valle del Lao, sorgenti del fiume Esaro a piè del M. Montea), e che questa in- dicazione è anche riportata a p. 155 del vol. IV della Flor. anal. d’Italia di Fiori e Paoletti! R. PIROTTA. L’accrescimento in spessore del caule delle Palme. Malgrado le numerose ricerche finora pubblicate, le nostre idee al riguardo dell’accrescimento del caule delle Palme non sono an- cora sufficientemente chiare. Di recente lo Schoute (1) con un grosso lavoro ha recato un contributo molto importante al difficile argo- mento. Nella sua dimora a Buitenzorg egli ha potuto disporre di un materiale copioso, sicchè non si è limitato, come hanno fatto la grande maggioranza degli autori prima di lui, all'esame microscopico di pezzi tolti ad altezze differenti del caule di uno stesso esemplare, ma ha raccolto prima sul luogo numerose osservazioni e misure su ben 96 specie, ciascuna rappresentata da parecchi esemplari di età differente; poi nel laboratorio ha fatto lo studio anatomico sul materiale raccolto e conservato. Il suo lavoro è perciò distinto in due parti, di cui la prima riguarda le misurazioni, la seconda l’a- natomia. Già mediante le sole misurazioni l’autore è riuscito a sta- bilire che l'accrescimento in spessore del caule delle Palme è inti- mamente legato all’accrescimento primario nella gemma terminale e che il cosìdetto accrescimento secondario deve ritenersi nè più nè meno che una continuazione del primario dopo cessato l’accresci- mento longitudinale. Lo studio anatomico non ha fatto che confer- mare tale risultato. Le conclusioni principali dell’interessante lavoro sono le se- guenti: In molte Palme non vi è affatto accrescimento secondario; in altre vi è un accrescimento secondario precoce che già è terminato quando il caule vien fuori libero dalle guaine delle foglie; in altre infine vi è un accrescimento secondario tardivo, limitato talora solo alle parti basali del caule. ‘ (1) ScHouTE J. C. — Ueber das Dickenwachstum der Palmen. Annales du Jardin Botanique de Buitenzorg, 2 série, vol. XI, p. 1-209, 1912. AI — Bb17 — Tutte le Palme esaminate mostrano, nel momento in cui l’ac- crescimento longitudinale cessa, una grande conformità nella costi- tuzione del caule. Questa struttura primaria è caratterizzata specialmente da ciò che le cellule sia nella corteccia sia nel cilindro centrale sono iso diametriche e le fibre sclerenchimatiche a sezione circolare. Se non interviene accrescimento secondario essa rimane immutata. L’anello d’ispessimento raramente rimane ancora attivo dopo terminato l’accrescimento longitudinale; in ogni modo esso ha poca importanza nell’accrescimento secondario. Nello stesso caule la struttura primaria è differente a seconda che si esaminano le porzioni inferiori o le superiori; di ciò bisogna tener conto in un confronto se non si vuol cadere in false affer- mazioni. L’accrescimento secondario precoce può compiersi in modo di- verso in dipendenza della successione con cui si differenziano le porzioni meccaniche dei tessuti; esso è però determinato da in- grandimento degli elementi preesistenti, non da divisione cellulare. L’accrescimento secondario tardivo si effettua invece sempre in un modo determinato essendo anche determinata la successione con cui si differenziano le porzioni sclerenchimatiche, in rapporto coi bisogni meccanici della pianta. Epperò in tale accrescimento oltre ad aumento di volume degli elementi preesistenti, vi è anche spesso abbondante divisione delle cellule parenchimatiche. Nella corteccia dei cauli ad accrescimento secondario tardivo la differenziazione dei fasci vascolari e dei cordoni fibrosi avviene subito cessato l’accrescimento longitudinale; per cui essa costituisce intorno al caule ancora tenero un solido rivestimento. In conseguenza la corteccia cresce sopratutto passivamente e si distende soltanto in ‘direzione tangenziale per opera delle cellule parenchimatiche che spesso si dividono. La parte che maggiormente concorre all’accrescimento secondario tardivo è quella esterna del cilindro centrale, perchè contiene le fibre sclerenchimatiche a pareti sottili, fonte principale di tale ac- crescimento. In ogni cordone fibro-vascolare sì differenzia dapprima la porzione conduttrice ed un piccolo nucleo di fibre ad essa attiguo; la massa principale meccanica invece si differenzia a poco a poco, partendo da questo nucleo verso la periferia. Una volta ispessite le fibre non sono più capaci di crescere. Sia le fibre, sia le cellule paren- chimatiche attigue ai fasci, irradiano tutt’attorno alle porzioni dure secondo una legge determinata. Solo le cellule parenchimatiche in quelle porzioni di tessuto com- 2 di RIMEERESA Upi We ne P_i calano è ei Pai rea ssaa ppc Page RI I RI ao LI 3 MAL Pali » n TI » PA RI SEAN FAST AL PALAIA e IE Mat: v » - (sE ; Y ti — 518 — prese fra due porzioni sclerenchimatiche mostrano un’altra orienta- zione; da ciò appunto segue che le porzioni meccaniche costituiscono la vera fonte d’ispessimento. Tutte le cellule parenchimatiche pos- sono dividersi, e nei fasci vascolari che hanno protoxilema anche il parenchima protoxilematico contribuisce all’accrescimento. La parte interna del cilindro centrale, come la corteccia, cresce anch’essa passivamente. In molte Palme si presentano in questa porzione degli ampi spazi intercellulari o dei canali, i quali più tardi possono essere colmati per formazione di tilli. l'accrescimento secondario delle Palme, a differenza di quello cambiale delle Dicotiledoni e delle Conifere, è da considerarsi come un accrescimento diffuso, epperò molto appropriato per gli scopi della pianta. E. Carano. Filogenesi delle Gnetales. La genealogia delle Gnetales rimane ancora avvolta nel dubbio sia per lo scarsissimo numero dei rappresentanti viventi molto di- . versi fra loro, sia per la mancanza, almeno finora, di fossili che possano facilitarne lo studio. Lignier e Tison sì propongono di contribuire all'importante ar- gomento con una serie di ricerche su l’anatomia del fiore, che, se- condo loro, è uno dei punti meno approfonditi dello studio delle Gnetales. In una prima memoria espongono i risultati ottenuti dall'esame di Welxwitschia ‘1), che per le sue speciali caratteristiche essi sono condotti a considerare come appartenente al gruppo delle Angiosperme primitive. In Welwitschia le infiorescenze staminifere e carpellifere sono di organizzazione identica, risultando di un asse con delle brattee decussate, all’ascella di ciascuna delle quali si trova un fiore sul tipo di quello delle Angiosperme. Ciascun fiore è infatti costituito di 5 verticilli dimeri, di cui i due ultimi formano un ovario tetracar- pellato chiuso e prolungato in un lungo stilo; il verticillo sotto- stante forma un androceo bistaminato. Questi fiori, attualmente diclini, derivano da un fiore primitivamente monoclino per aborto dell’una o dell’altra sorta di sporofilli. Benchè Welwitschia conservi sopratutto nella sua anatomia ed istologia numerosi caratteri gimnospermici che l’hanno fatta clas- : (1) LIGNIER et Tison. — Les Gnétales, leurs fleurs et leur position systé- matique. Ann. Sc. Nat., série IX, t. XVI, p. 55-185, 1912. — 519 — sificare finora insieme con le altre Gnetales fra le Gimnosperme, è da riguardarsi come un’Angiosperma, avendo assunto il carattere fiorale essenziale dell’Euangiospermia, cioè un ovario chiuso, al di- sopra di un androceo. Ma è un’Angiosperma che si distingue da tutte le altre appunto per la conservazione di caratteri anatomici ed istologici ancestrali, i quali sono in genere i più lenti a modi- ficarsi. Tuttavia la riduzione dei fiori, la loro riunione in infiore- scenze anch’esse ridotte non permettono d’ascriverla alla linea di discendenza diretta delle Angiosperme; piuttosto essa appartiene ad un filo laterale, che secondo gli autori potrebbe essere quello stesso a cui si ascrivono le A mentales, con questa considerazione però, che conservando Welwitschia numerosi caratteri gimnospermici man- canti alle Amentales, essa apparterrà probabilmente alla base del phylum, mentre le Amentales saranno situate al vertice. ‘Il confronto di Welwitschia da una parte con le Gimnosperme, dall’altra con le Angiosperme permette di ricostruire grosso modo il complesso dei caratteri delle Proangiosperme dalle quali ebbe ori- gine l’Angiospermia. Questi caratteri sono così riassunti dagli autori: Legno centrifugo costituito di trachee (protorilema), di tracheidi dapprima scalariformi, poscia areolati, privo di vasi; probabile esi- stenza ancora di legno centripeto, ma forse soltanto nelle foglie; tessuto di trasfusione; ripiegature medullosee della corona legnosa con ten- denza all’ isolamento dei fasci; canali secretori del tipo di quelli delle Cycadales, delle Bennettitales e delle Ginkgoales; fibre ipodermiche; nervazione dicotomica. Rami riproduttori semplici, grossi, a fillotassi spirale, ciascuno terminato du un grosso fiore a fillotassi del pari spiralata in tutte le sue parti e costituito d’un gineceo terminale, di un androceo subtermi- nale e forse anche d’un perianzio per differenziazione delle brattee superiori. Nell’androceo microsporofilli filicini con sporangi (0 piuttosto sinangi) abassiali o laterali; serie meccanica degli sporangi epider- mica e forse già parzialmente reticolata; microspore producenti game- tofito pluricellulare e probabilmente anterozoi; in ogni caso germinanti nella camera pollinica. Nel gineceo macrosporofilli molto ridotti, chiusi, salvo all’estremità (Emiangiosperme), pluriovulati, con ovuli aggruppati verso la base, sia a margini, sia nell’interno; ovuli tegminati, prov- visti di una camera pollinica produttrice d’una gocciola micropilare per accogliere le microspore, e di un gametofito cicadeo; feconda- zione predisseminatrice; proembrione; semi con embrione dicotiledone e senza albume. E. CARANO. BIBLIOGRAFIA E. Srraspureer - L. Josr - H. SoneNk - G. Karsten — Trattato di Botanica ad uso delle Università e degli Istituti superiori. Seconda traduzione italiana sulla undecima edizione tedesca del dott. CarLo AvETTA, professore ordinario nella R. Università di Parma. — Milano, 1913, Società editrice libraria. 1 volume di pp. 933 con 780 figure nere e a colori. Salutiamo con vero compiacimento la comparsa della seconda edizione italiana di questo Trattato di Botanica, del quale la prima edizione italiana era comparsa nel 1896. Non è il caso di dire del Trattato, essendo esso a tutti ben noto. Diremo però che l’egregio traduttore in numerose e opportune ‘note ed aggiunte « ha cercato di ricordare alcuni dei fatti più sa- lienti venuti in luce dopo la pubblicazione dell’originale tedesco sopratutto per ciò che riguarda ricerche di botanici italiani », la peculiarità della flora italiana, le piante utili e le piante medicinali della farmacopea ufficiale. Questo Trattato è indispensabile a tutti, insegnanti, studiosi e studenti, e dobbiamo essere grati anche alla solerte Società editrice libraria di Milano che ha provveduto a procurarcelo. R. PIROTTA. ExneLeR A. — Syllabus der Pflanzenfamilien. — Siebente, wesen- tlich umgearbeitete Auflage mit Unterstiittzung von Dr. E Gilg. — Berlin, Gebriid. Borntraeger, 1912, m. 457 Abbildungen. Della nota e utilissima opera di Adolfo Engler è uscita la set- tima edizione, in formato nuovo, colla novità di numerose, oppor- tune illustrazioni nel testo. L'ordinamento del lavoro è il medesimo. SS ia: È de Pro ai: MTA » — 522 — Ricorderemo quindi soltanto il seguente Sistema esposto nella nuova edizione. Le tredici divisioni del Sistema delle piante, adottate da Engler, sono le seguenti: I. SchizopAhyta. — II. Phytosarcodina. — INT Fla- gellatae.— IV. Dinoflagellatae. — V. Bacillariophyta. — VI. Conju- gatae. — VII. CAlorophyceae. — VIII. Charophyta. — IX. Phaceo- phyceae. — X. Ehodophyceae. — XI. Eumycetes. — XII. Embryophyta asiphonogama. — XIII. Embryophyta siphonogama. R. PIROTTA. AVVISO. Il Dr. Giovanni Bergamasco è entrato a far parte della reda- zione della Boliesni Rastenii, Rivista russa delle Malattie delle Piante, Bollettino della Stazione centrale Fitopatologica dell’ Orto Botanico imperiale di Pietroburgo. Egli prega di inviargli i lavori di patologia vegetale e mico- logia al seguente indirizzo: Via Tasso, Villa Florio — Napoli. Ù DAVIPLI ; Sir, y STR PAN VI he tig Gli Annali di Botanica si pubblicano a fascicoli, ino «tempi non determinati e con numero di fogli e ui vole non determinati. Il prezzo sarà indicato numero per numero. Agli autori saranno dati gratuitamente 25 esemplari di estratti. Si potrà tuttavia ‘chiederne. un numero maggiore, pagando le semplici spese di carta, tiratura, legatura, ecc. Gli autori sono responsabili della forma e del c conte. di nuto dei loro lavori. NB. — Per qualunque notizia, informazione, schiarimento, rivolgersi al i i prof. R. Pirotta od al Prof. F. PORTESE: R. Istituto Botanico, Patlisporna, 89 B. ‘.— ROMA. No Gros: ER, O, NI È say N 3 5185 00257 8183 = î