URCHASED 1923 FROM © 909 È GENEVA BOTANICAL GARDEN @ NI AD AES) rpm A = ì CA canta) Ar n-Invî Siti o): i ———________- 7 ANNUARIO DEL R. ISTITUTO BOTANICO DI ROMA REDATTO DAL PRO. ROMUALDO PIROTTA DIRETTORE DELL’ ISTITUTO Anno III. — 1887-88. CON XXI TAVOLE LITOGRAFICHE LIBRARY NEW YORK BOTANICAL GARDEN ULRICO HOEPLI LIBRAIO-EDITORE. MILANO NAPOLI -- PISA 1888 ISERVàar coN i Ofe a DUPI LA BIBLIOTHEQUE 201 U DU CONSERVATCITE BOTANIQUE DE GENEVE VENDU EN 1922 Roma — Tip. della R. Accad TEST Î lai INDICE Martel E. Contribusioni all’Algologia italiana . . + PS ee Lanzi M. Ze diatomee fossili del terreno quaternario di Tan Sg Mercatili L. / vasi laticiferi ed il sistema assimilatore . . . sE Acqua C. Sulla distribuzione dei fasci e nel loro decano dal fusto alla foglia. . . a e co Pirotta R. Osservazioni sul Oi MM SPUROSOR I è 0 6 0 ” Avetta. C. Contribuzione allo studio delle anomalie di struttura nelle radici delle Dicotiledoni . . . ” Sin? Acqua C. Contribuzione allo o) dei UA di cesalata di alto nelle pPiadie è è è e e og? Baldini T. A. Ze gemme dallo pena Diodea Moi Pi I e E | Pirotta R. Ze/orno ad una Sensitiva dell'Argentina. . . ” Martel E. Sullo sviluppo del frutto del Paliurus siria (al ” Avetta C. Ricerche anatomo-istologiche sul fusto e sulla radice dell’Atra- ANOPIS SPUA08G la è 6 6 7 Id. Contribuzione all’anatomia ed i Coro Pago) e sun casa dell’ Mg tigogon leptopus Hook. . . . . ” Massalongo C. Osservazioni critiche sulle specie e varietà di Snatiolia ialiane create dal De Notaris . . SO SERIE, Pirotta R. $u/la struttura delle foglie dei A ARR RT, 157 170 { +R6q ride pri viggot mormora) "e 2 Me inn cla ae simalib »1 . inciulà E ObYinsinan sven 15- ha Vestini ki i al pt. bc. Mi | min ALL Mar Vbbeaionda, imm 19 svetta D api IR TE i MARNI {rid Mi e. al PR, Sd N MALI "Wu det 1g RO Tie 1 tari vst siasi RETUUNTE ve Msi sti gii io solita DUE Ri ATTO ATE RE I ST Vaodinti UTI | DAVTAOI ulti ciato tb obiet aa ta bale da anni pnpoli ei a rogti ca 0 MR * A COMTGNIIT pote DL n' i IONE atta DITUCNICITI Mk A hi tIT bia! Pa a a Marlo Gotan, suit Day DIRUAIO! dk al 14 [A VECI III GEO RESA IA CE TOO LA A ETTI VT AVO TATTOO URATTO) MS Le SE si ai Ago on ag è ohasiy it fibigo road lirici bivio subb #" > Ai Re RE Mate iii SI bat it i a ibra nia 4 acta e ei PRIORA 1° Raga È va GIR Sinti img pd î nenibasi si Miki zl Afonso A si L MI a _ ar AVANZA na; fr "A RE RP RASTA TOA “ì ita MU Ere vorei, E, : Î 5 (NI DI AUG 7-1 SISSA «(|XrEZz-_---rrF.--FrrrrFFrFFr-FF-F-------;-:<= = golo retto, per cui sotto quest'aspetto, la varietà che presento si avvi- ‘ cina all'Z. rostratum, benchè con questa non possa essere confusa tanto \ ( per le appendici laterali, quanto per le dimensioni. Queste ultime poi non permettono, che venga collocata fra le varietà dell'Z. dinale. Fig. 3. SIE 74. E. binale Turp. — De Not,, l c., p. 37, tab. III, fig. 18. — Fia. 3. Oltre alla località indicata da De Notaris, riscontrato nelle paludette del Rincosporeto di Renco e nei prati sotto Ungiasca. Ho potuto osservare, nel materiale delle località sopra ram- [e mentate, un gran numero delle forme figurate dal Ralfs (tab. XIV, A I fig. 7). J \ 75. E. binale Turp. var. ? — Rassomiglia per l'insieme alla LC RS) varietà figurata da Ralfs (tab. XIV, fig. 8); ma ne differisce per ) le ondulazioni del contorno. Più allungato, più snello, manca di è Va) cia 5 5 ; ARE 3 \ Y produzioni laterali alla estremità dei segmenti; l'intaccatura apicale f 4 media è meno larga. Lungh. mm. 0,0553, largh. 0,0335. Fig. 4. \ / “x . a . A p La varietà data dal Ralfs non ha più di mm. 0,020 di lun- ghezza. Riscontrato nel materiale raccolto vicino a Cossogno. Fia 4. 76. E. verrucosum Ehr. — De Not., 1. e., p. 33, tab. II, =—="of fig. 10. — Oltre alle località indicate da De Notaris, trovato al Rocolo Scacini, nelle pozze del colle d'Unchio e nei prati vicino a Ramello. 77. E. pectinatum Breb. — De Not., p. 36, tab. III, fig. 15. — Oltre alle loca- lità indicate dal De Notaris, rinvenuto nel materiale proveniente da siti umidi presso il Musinon e dallo Sfagneto di Bieno. Piuttosto raro ma fornito di caratteri spicca- tissimi. De Toni e Levi (1. e.) lo danno come dubbioso per l'Italia. 78. Micrasterias truncata (Corda). — De Not., l. c., p. 32, tab. II, fig. 9. — Oltre alle località indicate da De Notaris, riscontrata nel materiale proveniente dal Rocolo di San Martino e Rocolo Scacini nel Rincosporeto di Renco. Gli esemplari da me rinvenuti corrispondono al disegno di De Notaris e non a quello di Ralfs (1. e., tab. X, fig. 5), poichè in quest'ultimo il lobo medio ha l'orlo concavo, mentre è convesso nel disegno di De Notaris e negli esemplari esaminati. 79. M. truncata Corda, var.? — Non indicata da De Notaris ; trovata nel ma- teriale proveniente da siti umidi vicino Cossogno. Nella sua forma generale corrisponde non iN alla M. fruncata, e tanto per la forma Fit del segmento medio quanto per le di- mensioni (lung. mm. 0,108, largh. mm. È 0,102) si avvicina alla M. crenata dise- È gnata dal Ralfs (tab. X, fig. 4); differisce LO però dall'una e dall'altra per la presenza = di papille spiccatissime poste alla estre- Bepi pio. Da bug mità dei denti. Non si può ascriverla Fi. 5. alla M. papillifera, perchè mentre in quest'ultima l'orlo del lobo medio è concavo, nell'esemplare da me esaminato è quasi convesso, ed i lobi laterali sono molto meno profondamente incisi. Fig. 5. 80. M. rotata (Grev.). — De Not., I. c., p. 30, tab. 1, fig. 6. — Trovata in gran quantità nello Sfagneto di Bieno, Rocolo di San Martino, Rincosporeto di Renco, nel rigagnolo sotto Ungiasca vicino al mulino di Cossogno, nelle pozze del colle d'Unchio. De Notaris la trovò egualmente in tutte le pozze di Rincosporeti e negli Sfagneti. 81. M. denticulata Breb. — De Not., 1. c., p. 31, tab. 1, fig. 7. — Oltre alle loca- lità indicate da De Notaris, riscontrata al Rocolo Scacini e vicino il ponte di Ramello. 82. M. papillifera Breb. — De Not., 1. c., p. 31, tab. II, fig. 8. — Oltre alle località indicate da De Notaris, trovata in uno stillicidio al Musinon. 83. M. crenata Breb. — Non indicata da De Notaris; trovata nello Sfagneto di Bieno. L I pochissimi esemplari osservati corrispondono alla descrizione ed al disegno dati dal Del Ponte (1. c., p. 80, tab. V, fig. 17-18); non corrispondono invece a quelli del Ralfs (1. c., p. 75 tab. VII, fig. 2). Difterisce dalla M. truncata e dalla M. denticulata per la lunghezza maggiore e per i denti sull'orlo dei lobi più smussati e meno triangolari. 84. Staurastrum punctulatum Breb. — De Not., l. c., p. 51, tab. IV, fig. 44. — Trovato solo nel materiale proveniente da siti umidi vicino Ungiasca e vicino al mulino di Cossogno. Ann. Ist. Bor. — Vot. II. 9 ZZZ) * 85. St. rugulosum Breb. — Non indicato da De Notaris ; trovato vicino al viale del Musinon. Questa specie, che rinvenni in pochissimi esemplari, non può confondersi con qualsiasi altra per i suoi caratteri spiccatissimi ed in particolar modo per la pre- senza dei denti che stanno sui tre angoli sporgenti. Mi spiace di non avere potuto confrontare i nostri esemplari con quelli di Brebisson e di avere dovuto attenermi alla descrizione troppo succinta ed al disegno del Ralfs (1. c., p. 214, tab. XXXI, fio. 19). 86. St. muricatum Breb. — De Not., 1. c., p. 51, tab. IV, fig. 42. — Stesse località date da De Notaris. 87. St. margaritaceum Ehr. — De Not., 1. c., p. 49, tab. IV, fig. 48. — Stesse località date da De Notaris. 88. St. hirsutum (Ebr.). De Not., 1. c., p. 50, tab. IV, fig. 41. — Oltre alla località indicata da De Notaris, trovasi presso il mulino di Cossogno. 89. St. echinatum Breb. — Trovato nel materiale raccolto sotto il Rocolo di San Martino e sotto Ungiasca. Benchè questa specie non figuri nella memoria di De Notaris, pure è indicata sopra uno dei pacchi. Gli esemplari esaminati erano del tutto conformi alla descrizione ed al disegno di Ralfs (1. c., tab. XXV, fig. 24). 90. St. spongiosum Breb. — De Not., 1. c., p. 48, tab. VI, fig. 87. — Stesse località date da De Notaris. 91. St. polymorphum Breb. — De Not., 1. c., p. 52, tab. IV, fig. 46. — Oltre alla località indicata da De Notaris, trovato vicino a Santino ed al Rocolo Scacini. È da notarsi che fra il disegno del De Notaris e quelli di Ralfs (1. c. tab. XXII, fig. 9 e tab. XXXIV, fig. 6) vi sono differenze rilevanti. Gli esemplari studiati sì avvicinano maggiormente a quelli del secondo anzichè a quello del primo. Potei infatti osservare per es. la presenza di 3 denti all'apice dei lobi negli esemplari veduti di traverso, mentre il De Notaris ne figura solo due. 92. St. paradoxum Meyen. — Non indicato da De Notaris; trovato nel mate- riale dello Sfagneto di Bieno. Il De Notaris in questa stessa località indica una specie molto vicina a questa, cioè lo St. brachiatum, il quale differisce dallo Sf. paradoxum per l'assenza di granu- lazioni alla superficie. Gli esemplari esaminati corrispondono appuntino alla descrizione ed al disegno dati dal Ralfs (tab. XXIII, fig. 8); però le appendici sono meno snelle. 93. St. teliferum Ralfs. — De Not., 1. c., p. 50, tab. IV, fig. 40. — Alle loca- lità notate dal De Notaris, si aggiungano quelle del Rocolo Scacini vicino al viale del Musinon, del Rocolo di San Martino e dei prati sotto Ungiasca. 94. St. laciniatum Del Ponte? — Si trovò nel materiale proveniente dal Rin- cosporeto di Renco. Siccome non mi venne dato di esaminare più di un esemplare, non son del tutto certo che non appartenga allo 84. dejectum indicato dal De Notaris (1. c., p. 54, tab. V, fig. 51-51bis). Per le dimensioni e la forma generale si avvicina però maggiormente al laciniatum, specialmente per gli angoli che non sono acuminati come nel de- Jectum. == 95. St. turgescens De Not., 1. c., p. 51, tab. IV, fig. 43. — Stessa località data da De Notaris. Le dimensioni sono un po’ minori di quelle date da De Notaris. Secondo alcuni è una varietà dello St. punetulatum Breb. 96. St. diplacanthum De Not., l. c., p. 49, tab. IV, fig. 38. — Stesse loca- lità date dal De Notaris. 97. Ankistrodesmus falcatus (Corda). — De Not., l. c., p. 71, tab. IX, fig. 83. — | Stesse località di De Notaris. Dato come dubbioso nell'elenco di De Toni e Levi. Alghe di famiglie diverse trovate nel materiale che servì al presente lavoro. 1. Batrachospermum moniliforme Roth. var. corfasum Hass. — In un riga- gnolo presso Trobaso. 2. Bolbochaete setisera (Roth) Ag. — Presso Cossogno. 3. Chaetophora elegans Ag. — Pozzetta presso Cossogno. 4. Scenedesmus obtusus Meyen. — De Not., l. c., p. 77, tav. IX, fig. 87. — Indi- cato comunissimo dal De Notaris, ritrovato nel materiale proveniente da siti umidi vicino al viale del Musinon, nel Rincosporeto di Renco, ai mulini di Santino ed ai prati sotto Ungiasca. 5. S. quadricauda (Turp.). — De Not., 1. c., p. 73, tab. IX, fig. 84. — Nelle stesse località indicate dal De Notaris. 6. S. dimorphus (Turp.), — Raro nelle stesse località del.S. obtusus. 7. Hydrodictyon utriculatum Roth. — Presso la Castagnola. 8. Pediastrum Boryanum (Tup.). — De Not., l. c., p. 79. tab. IX, fig. 92. — Stesse località indicate dal De Notaris. 9. P. Ehrembergii A. Br. — De Not., 1. c., p. 78, tav. IX, fig. 89-90. — Colla specie precedente, ma più raro. 10. Rivularia echinata Eng. Bot.. — Senza indicazione di località. 11. R. radians (Kg.). — Rincosporeto di Renco. 12. Scytonema Notarisii Menegh. — Sopra una rupe presse S. Maurizio. 13. Stisonema minutum Hass.? — Sfagneto di Bieno. Do con dubbio questa specie, avendo esaminati dei soli frammenti. 14. Anabaena stagnalis Ktzg. — In un rigagnolo presso S. Martino. 15. Hypheothryz aeruginea v. pallida Ktzg. — Senza indicazione di località. Le dimensioni trovate sono alquanto inferiori a quelle date dal Rabenhorst (£7. europ. Alg. p. 78). 16. Symploca melanocephala Kg. — Gola del Sirù. 17. Oscillaria limosa v. chalybea Kg. — Rigagnoli presso il ponte di Ramello. 18. Chroococcus turgidus Nig. — Sfagneto di Bieno. Ie diatomee fossili del terreno quaternario di Roma, del dott. MATTEO LANZI (). Elenco dei generi e delle specie finora rinvenute. Melosira varians Agard. — Alla cava di s. Agnese, Monte delle Piche, via Ostiense al sud di Malafede, Orvieto. ’ ’ var. dentroteres Grun. — Cava di s. Agnese. ” granulata Ralfs. (Orthosira punctata W. Sm.) — Via Ostiense. ’ crenulata Ktz. — Capo di Bove. ’ ’ var. italica Grun. — Gabi. a) arenaria Moore — Cava di lignite di Spoleto (già rinvenuta dal prof. Pan- tanelli), via Ostiense. Cyclotella operculata Ktz. — Gabi. ’ ’ var. mesoleja Grun. — Tomba dei Nasoni. ’ meneghiniana Chauvin. — Monte delle Piche. - ” var. rectangulata Grun. — Cava di s. Agnese. ’ kutzingiana Thw. — Via Ostiense. ” compta Ktz. var. paucipunctata Grun. — Gabi. ’ ” var. oligactis Grun. — Gabi. , pantanelliana Castrae. — Lignite di Spoleto (Pantanelli). Surirella ovata Ktz. — Gabi. ” ovalis De Breb. — Cava di s. Agnese, Orvieto. ’ o) var. minuta Van Heurek — id. id. ’ splendida Ktz. — Cava di s. Agnese. - biseriata De Breb. — Monte delle Piche, Orvieto. Campylodiscus costatus W. Sm. — Gabi, Orvieto. Cymatopleura ellyptica Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, cava di lignite di Spoleto da un saggio avuto dal prof. Meli. ” solea De Breb. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Monte delle Piche, via Ostiense, Orvieto. Epithemia Westermannii Ktz. — Orvieto. a Hydmannii W. Sm. — Cava di lignite di Spoleto, Orvieto. (1) Nel compiere il presente studio mi sono non poco giovato dei materiali diatomiferi, che gentilmente mi favorirono i signori dott. E. Guinard di Montpellier, conte F. Castracane, prof. R. Meli, e dott. G. Terrigi. — IS} —> Epithemia turgida Ktz. — Tomba dei Nasoni, Gabi, Capo di Bove, via Ostiense, Orvieto. ” ” var. granulata Grun. — Monte delle Piche, via Ostiense, Orvieto. ” zebra W. Sm. — Tomba dei Nasoni, cava di-s. Agnese, Gabi, via Ostiense, cava di lignite di Spoleto. ” ” var. proboscidea Grun. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, cava di lignite di Spoleto, Orvieto. Argus W. Sm. — Tomba dei Nasoni, Capo di Bove, Monte delle Piche. ’ ” var. amphycephala Grun. — Tomba dei Nasoni. ” sorex Ktz. — Tomba dei Nasoni, Gabi, via Ostiense. ” gibba Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Monte delle Piche, Orvieto. ’ ” var. ventricosa Grun. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, via. Ostiense, Orvieto. ’ ocellata Ktz. — Gabi, cava di lignite di Spoleto, Orvieto. Eunotia monodon Ehrn. — Via Ostiense. ’ gracilis Rabenh. — Tomba dei Nasoni, via Ostiense. ’ minor Rabenh. — Tomba dei Nasoni, Gabi. ” arcus (W. Sm.) Grun. — Via Ostiense. Nitzschia (7yblionella W. Sm.) angustata Grun. — Via Ostiense. ’ siomoidea W. Sm. — Gabi. ” Brebissonii W. Sm. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove, Orvieto. ” amphiozis W. Sm. — Cava di s. Agnese, Gabi. ’ hungarica Grun. — Cava di s. Agnese. ’ thermalis var. intermedia Grun. — Gabi. 7 ’ var. minor Grun. — Gabi. ” paleà Grun. — Tomba dei Nasoni, Gabi, Capo di Bove, via Ostiense. ” fonticola Grun. — Tomba dei Nasoni. 7 frustulum Ktz. — Cava di s. Agnese. ’ 7 var. tenella Grun. — Cava di s. Agnese. ’ ’ var. inconspicua Grun. — Cava di s. Agnese, Monte delle Piche. ” debilis Grun. — Cava di s. Agnese. ’ paleacea Grun. — Orvieto. *Fragilaria mutabilis W. Sm. — Tomba dei Nasoni. ” ” var. minutissima Grun. — Tomba dei Nasoni. ’ undata (W. Sm.) — Via Ostiense. ” Harrissonii Ebrn. — Cava di lignite di Spoleto. ” brevistriata Van Heurck var. pusilla Grun. — Gabi. ’ ” var. subacuta Grun. — Gabi. Denticula tenuis Ktz. — Gabi. Synedra ulna Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Capo di Bove, Monte delle Piche, via Ostiense, Orvieto. ” ” var. longissima Van Heurck. — Cava di s. Agnese, Gabi, Monte delle Piche. ) ’ var. subaequalis Grun. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove. lo pe Synedra ulna var. spathulifera Grun. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove, Orvieto. ” ” var. splendens Rabenh. (S. radians W.Sm.) — Cava di s. Agnese, Gabi, via Ostiense, Orvieto. - ” n var. capitata Grun. — Capo di Bove, via Ostiense. ” acus var. angustissima Grun. — Monte delle Piche. Cocconeis placentula Ehrn. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Capo di Bove, Monte delle Piche, cava di lignite di Spoleto, Orvieto. - pediculus Ehrn. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove, via Ostiense. Achnanthes exilis Ktz. — Monte delle Piche. ” lanceolata Grun. (Aclhnanthidium De Breb.) — Via Ostiense, Orvieto. Rhoicosphenia curvata W.Sm. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Orvieto. Gomphonema constrictum var. subcapitatum Grun. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Monte delle Piche, Orvieto. ) ” var. capitatum Van Heurck — Tomba dei Nasoni, Monte delle Piche. - intricatum Ktz. — Tomba dei Nasoni, Gabi, via Ostiense, Orvieto. ’ elongatum W. Sm. — Tomba dei Nasoni. ” dichotomum W. Sm. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Capo di Bove, via Ostiense. ’ acuminatum Ehrn. — Tomba dei Nasoni, via Ostiense. ” ” var. coronatum Van Heurck — Cava di s. Agnese. ” ” var. non constrictum Van Heurek— Tomba dei Nasoni, via Ostiense. ” subclavatum Ktz. — Cava di s. Agnese, Monte delle Piche. ” tenellum W. Sm. — Monte delle Piche. ” cristatum Ralfs. — (G. augur Ktz.) — Via Ostiense. ’ vibrio Ehrn. — Cava di lignite di Spoleto. Amphora ovalis Ktz. — Cava di s. Agnese, Gabi, Monte delle Piche, via Ostiense, Orvieto. ” ” forma parva Grun. — Gabi. ” ’ var. gracilis Van Heurek — Tomba dei Nasoni, Orvieto. ” ” var. affinis forma minor Van Heurck — Cava di s. Agnese. ” pediculus Ktz. var. minor Grun. — Gabi. Cymbella (Cocconema) lanosolata Ehrn. — Gabi, Capo di Bove, via Ostiense. 7 (Coccon.) cistula Hemp. — Cava di s. Agnese, via Ostiense, cava di li- gnite di Spoleto, Orvieto. ” (Coccon.) oymbiformis Ehrn. — Tomba dei Nasoni, Gabi, Monte delle Piche. 7 cuspidata Ktz. — Cava di lignite di Spoleto. ’ obtusiuscula Ktz. — Id. i) subaequalis Grun. — Gabi. ” affinis Ktz. — Tomba dei Nasoni, Cava di s. Agnese, Gabi, via Ostiense, cava di lignite di Spoleto. ’ gastroides Ktz. — Cava di lignite di Spoleto. ” (Encyonema) ventricosa Ktz. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove, via Ostiense. Se Mavicula (Pinnularia) major Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, via Ostiense. ” (Pinnularia) viridis Ehrn. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Capo di Bove, Monte delle Piche, via Ostiense, Orvieto. ” ” var. commutata Grun. — Cava di s. Agnese, Gabi. ” (Pinnularia) oblonsa Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, Monte delle Piche, Orvieto. ’ (Pinnularia) Brebissonii Ktz. — Gabi, Capo di Bove. ’ » var. deminuta Grun. — Capo di Bove. ” (Pinnularia) peregrina Ktz. — Cava di s. Agnese. ’ (Pinnularia) viridula Ktz. — Capo di Bove, Orvieto. ” radiosa Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gahi, Monte delle Piche, via Ostiense, cava di lignite di Spoleto, Orvieto. ” ” var. acuta Grun. — Cava di s. Agnese, cava di lignite di Spoleto. ’ gibba W. Sm. — Via Ostiense. ’ cuspidata Ktz. — Tomba dei Nasoni, cava di-s. Agnese. ’ seminulum Grun. — Tomba dei Nasoni. ” gastrum Ehrn. — Tomba dei Nasoni, Monte delle Piche. - limosa Ktz. — Gabi, Monte delle Piche, Orvieto. ) ” var. giberula (Ktz.) Grun. — Tomba dei Nasoni, cava di s. Agnese, Gabi, via Ostiense. ’ ’ var. subinflata Grun. — Cava di s. Agnese, Monte delle Piche. ’ ambisua Ktz. — Cava di s. Agnese, Capo di Bove. ’ ” valva craticularis (Surzrella craticula olim) — Capo di Bove. ” appendiculata Ktz. var. irrorata Grun. — Tomba dei Nasoni. ” semen Ktz. — Via Ostiense. ” iridis Ebrn. — Cava di s. Agnese, Gabi. ” ” var. firma Grun. (Nav. firma Ktz.) — Gabi. ” ellyptica Ktz. — Cava di s. Agnese, Gabi, Capo di Bove, cava di lignite di Spoleto, Orvieto. ” ’ var. minutissima Grun. — Gabi. 7 rhynoocephala Ktz. — Cava di s. Agnese, Orvieto. ” amphyrayncus Ehrn. — Cava di s. Agnese, via Ostiense, cava di lignite di Spoleto. ” obtusa W. Sm. — Cava di s. Agnese. 7 bicapitata Lagerst. — Cava di s. Agnese. - amphysbaena Bory — Id. ” bacillum Eh. — Monte delle Piche. ” laevissima Ktz. — Cava di s. Agnese, Gabi. i) sculpta Ehrn. — Gabi, Capo di Bove, Orvieto. ” subcapitata Gregor. — Gabi. 7 fontinalis Grun. — Gabi. 7 (Colletonema) vulgaris Brun. — Gabi. ” (Colletonema) neglecta Brun. — Cava di s. Agnese, Orvieto. IRAN Stauroneis phoenicenteron Ehrn. — Cava di s. Agnese, Via Ostiense. n » punctata Ktz. — Via Ostiense. linearis W. Sm. (S7. Swithii Grun.) — Orvieto. Mastogloja Smithii Thw. — Gabi. » ”» ” ” var. lacustris Grun. — Tomba dei Nasoni. ’ var. amphicephala Grun. — Gabi. ezigua Lewis — Tomba dei Nasoni. Densei Thw. — Gabi, Orvieto. Grewillei W. Sm. — Orvieto. = 7 I vasi laticiferi ed il sistema assimilatore. del conte LUIGI MARCATILI. (Tav. I-V) Come è noto, i vasi laticiferi sono stati generalmente ascritti al sistema secretore. Il primo che abbia data importanza al latice, come materiale proveniente in gran parte direttamente dai tessuti assimilatori, fu E. Faivre, nel suo lavoro: Recherehes sur la circulation et sur le role du latea dans le Ficus elastica (!). Egli, dopo aver esposte diverse esperienze fatte su varie piante di cus collo scopo di determinare i tessuti percorsi dal latice ed il suo ufficio, viene a diverse conclusioni, fra le quali per noi è importante la seguente, cioè che « il latice si comporta come sostanza elaborata, assimilabile, indispensabile al mantenimento e all'acerescimento del vegetale e che è elaborato dalle foglie e serve ulteriormente allo sviluppo delle parti ». Riguardando questa questione soltanto dal punto di vista fisiologico, nel 1882 lo Schullerus dà nuovamente importanza al latice, come materia formativa e partecipante direttamente a tutti i processi formativi della pianta, col suo lavoro: Die physiologische Bedeu- tung des Milchsaftes von Euphorbia Lathyris (*). Egli, in questo lavoro nega an- che che il latice ssa assumere l’ufficio di materiale di riserva, e perciò i latici- feri si distinguono nel rapporto fisiologico dal parenchima corticale al quale appar- tengono per la loro origine. Fra i numerosi lavori anatomici pubblicati intorno ai laticiferi, ve ne sono al- cuni importanti per il nostro soggetto, per i cenni che danno sulle relazioni fra i laticiferi e î tessuti in cui essi scorrono. Ricordiamo per primo: Zntstehung der Milchsaftgefisse u. s. w. del Dippel (*). Sebbene egli non si occupi dell’ ufticio fisiologico dei laticiferi, tuttavia descrivendone il percorso in un numero rilevante di piante, avverte incidentalmente e in modo molto sommario, che dai rami principali, che accompagnano le nervature fogliari, partono ramificazioni dirette nel parenchima circostante in tutte le seguenti specie: Carica Papaya, 0. microcarpa, Cichorium Intybus, Tararzacum officinale, Tragopogon pratense, Chelidonium majus, Campa- nula persicifolia, C. graminifolia, C. glomerata, Trachelium, Phyteuma spicata, (!) Annales des scien. natur. V® série, tom. VI, pag. 33. (2) Verhandlungen des botan. Vereins der Prov. Brandenburg. 24 Jahrg. 1882, pag. 26. (3) Nieuwe Verhandelingen van het Bataafsch Genootschap der Proefondervindelijke Wijsbe- geerte te Rotterdam. 1864. Ann. Ist. Bor. — Vor. III ; 3 = 180 Jasione montana, Hoja carnosa, Aselepias curasavica, Ficus carica, F. stipu- lata, Urostigma elasticum. Un cenno simile lo troviamo pure nel lavoro di Han- stein ('), che nota, come i laticiferi, specialmente nelle Cicoriacee, di cui dà an- che qualche disegno, dopo aver accompagnati i fasci vascolari fogliari, s’ isolano penetrando nel parenchima, terminandovi alquanto rigonfi. Somiglianti osservazioni fanno il David per l' Euphorbia splendens e per l' E. Lathyris (*) e lo Scott per la Scorzonera (3). Tutti però non danno a questi fatti importanza alcuna per- chè si possa trarne qualche indizio intorno all’ ufficio probabile dei vasi contenenti latice. Pel primo il prof. Haberlandt, studiando i rapporti dei laticiferi coi sistemi con- duttore ed assimilatore, ha cercato di mostrare anatomicamente il loro ufficio nella nota: Zur physiologischen Anatomie der Milehròhren (4). Le conclusioni riportate anche nella Physiologische Pflanzenanatomie, 1884, p. 226, del medesimo autore, sono le seguenti « I rami dei laticiferi che isolati si distaccano dai cordoni conduttori, si rivolgono inoltre assai spesso in alto per entrare fra le cellule a palizzata e rice- vere i prodotti d'assimilazione dalla prima sorgente. Colle loro terminazioni, che talvolta sono forcute, si appoggiano spesso contro cellule a palizzata, riunite insieme a modo di ciuffo (Euphorbia, Ficus nitida, Hypochoeris radicata) e se tale diretta unione non è ben possibile, allora cellule collettrici a forma d'imbuto assumono il trasporto dei prodotti d'assimilazione da ciascun gruppo di palizzata ai laticiferi ete. -. Lo Schimper (°) energicamente si oppone a questo modo di vedere e non vuole rico- noscere assolutamente l'importanza fisiologica della stretta unione osservata dall’ Haber- landt. Egli la spiegherebbe come un fatto dovuto a semplici ragioni meccaniche di sviluppo. Anche l'Hansen (5) nega questi rapporti e dice che volendo rispondere alla domanda, se i laticiferi siano organi conduttori oppure escretori, le proprietà chimi- che parlano in favore della seconda, poichè la quantità di materiali nutritivi, albu- minoidi ed idrati di carbonio, rimane al disotto di quella delle sostanze che sono indubbiamente prodotti di secrezione. Però 1’ Heinricher, in un suo recentissimo lavoro (7), sebbene non si occupi direttamente dei laticiferi, ritiene insussistenti le ragioni messe innanzi dallo Schimper, e specialmente non ammette la sua spiegazione meccanica, perchè in questo caso non si capisce, come la disposizione speciale delle cellule attorno ai laticiferi, non si ritrovi anche attorno alle fibre sclerose, che nu- merose attraversano irregolarmente î mesofilli di molte piante. A proposito delle (1) Die Milchsaftgefisse und die verwandten Organe der Rinde, Berlin, 1864. (®) Veber die Milchsellen der Euphorbiaceen, Moreen, Apocyneen und Asclepiadeen von Georg David. Breslau 1872. (5) Zur Entwickelungsgeschichte der gegliederten Mitchròhren v. D. H. Scott. Arbeiten des botan. Inst. Wiirzburg. 2 B. 1882. (4) LXXXVII Band der Sitzb. der k. Akad. der Wissensgh. I. Abth. Jinn-Heft., Jahrg. 1883. (®) Veber Bildung und Wanderung der Kohlehydrate in der Laubblittern. Botanis. Zeitung, 1885, pag. 737 u. ff. (9) Veber Fermente und Enzyme. Arbeit. des botanis. Instituts Wiirzburg, III Bd. pag. 287. (7) Die Eiweissschliuche der Cruciferen und verwandten Elemente in der Rhoeadinen-Reihe, v. Dr. E. Heinricher. Mitteilung. des botan. Instituts zu Graz. Erster Band, pag. 59 - e 79. Su Papaveracee, sostiene poi che il latice sia da ritenersi come materiale nutritizio e che contiene albuminoidi, e che non si deve dimenticare la correlazione esistente fra i laticiferi e i vasi cribrosi, sebbene tale relazione sia poco studiata. Questa pubblica- zione ha pure grande importanza, perchè descrive minutamente le disposizioni che le cellule a palizzata e del mesofillo prendono intorno ai serbatoi degli albuminoidi nelle Crucifere, disposizioni molto simili a quelle trovate dall’Haherlandt e da noi per i laticiferi. Da quanto precede è facile vedere che la questîone dell'ufficio dei laticiferi è tutt'altro che risoluta. Gli è perciò che insieme al prof. Pirotta, sì sono intraprese delle ricerche allo scopo di stabilire se l'opinione emessa dall’Haberlandt, e basata sulle sue poche osservazioni, avesse un fondamento nei fatti molto più esteso e si- curo. Perciò dapprima abbiamo esaminate molte specie del genere cus, provviste abbondantemente di laticiferi, ed i risultati abbastanza soddisfacenti furono pubblicati in questo medesimo Annuario (!). Lasciando da parte pel momento ogni considerazione fisiologica, le ricerche intorno ai ricordati rapporti anatomici furono poi estese a molti generi di quasi tutte le famiglie conosciute come fornite di laticiferi, e furono pure rese note in parte e sommariamente lo scorso anno (°). Col presente lavoro ci pro- poniamo di esporre più particolareggiatamente quanto ci fu dato in questo lungo esame di osservare intorno ai rapporti fra i laticiferi ed il sistema assimilatore, rapporti che esistono quasi generalmente, benchè in modo più o meno evidente. Per rendere più agevole lo studio abbiamo esaminato separatamente i laticiferi di ciascuna famiglia, cercando di raggruppare intorno a un medesimo tipo quelle specie, che presentano disposizioni simili o poco diverse, descrivendo dapprima sommariamente il percorso dei laticiferi nel fusto e nel picciolo, e poscia partitamente nella foglia. In molte specie, lavorando su materiale conservato in alcool, i laticiferi si rendono subito evidenti, perchè assumono un colore rosso-bruno-ruggine ; in altre questa rea- zione si ottiene facilmente, mettendo i tagli per pochi momenti in una soluzione piut- tosto diluita di acido cloridrico, poi trasportandoli in potassa e lavandoli in acqua distillata. Generalmente però il modo migliore di colorare i laticiferi, è, come si è detto nella prima delle ricordate note, di mettere i tagli per 12-24 ore in una so- luzione alcoolica concentrata di rubina; portarli poi per pochi minuti in una solu- zione allungata di potassa, quindi lavarli e scolorare con alcool forte. Talvolta buoni risultati si ottengono anche colorando dapprima i tagli con una soluzione densa di fucsina, e scolorandoli poi con acido cloridrico allungato. Lavando il preparato con acqua distillata i vasi laticiferi restano colorati insieme alle parti lignificate. La macerazione di Schultze dà difficilmente buoni risultati e solo in casi speciali si otten- gono belle preparazioni ; in ogni modo bisogna regolarne l’uso praticamente, secondo le varie specie che si trattano. (1) Sui rapporti tra i vasi laticiferi ed il sistema assimilatore nelle piante. Anno TI, fase. I, pag. 48. (®) Ancora sui rapporti tra è vasi laticiferi ed il sistema assimilatore nelle piante. Anno II, fase. 2, pag. 156. — 20 — APOCINEE. Intorno ai laticiferi di questa famiglia, considerati dal punto di vista nostro, il De Bary(!) dedica pochissime parole, paragonandoli a quelli delle Euforbiacee. Siccome però anche fra queste si hanno notevoli variazioni fra specie e specie, così tal para- gone riesce molto imperfetto. Il Trécul (?) invece si dilunga nel descrivere il per- corso dei laticiferi nel fusto e nota che le loro ramificazioni formano attraverso il midollo, rimpetto alle inserzioni delle tracce fogliari, un plesso molto intricato, e che nelle foglie percorrono spesso, oltre il parenchima, le lacune e possono terminare a fondo cieco nel mozzo di esse. In generale, il percorso dei vasi laticiferi di molte Apocinee si può ridurre ad un tipo fondamentale comune, che però subisce modificazioni diverse nelle singole specie. Sezionando trasversalmente il fusto della 7urghinia veneniflua Don., lo ve- diamo presentare una zona continua fibro-vascolare, difesa da un gran numero di forti fibre meccaniche sparse od aggruppate irregolarmente intorno ed esternamente alla porzione eribrosa. I vasi laticiferi, che nell'internodo hanno un percorso regolare, senza ramificazioni, nè anastomosi, e più o meno parallelo a quello dei fasci conduttori, si trovano in piccolissimo numero nella parte più esterna del midollo, mentre sono molto più numerosi tra i gruppi meccanici, e attorno ad esse immersi nel parenchima cor- ticale. Nel nodo, essendo le foglie opposte, si staccano due cordoni di fasci, che re- golarmente entrano nei piccioli relativi. I vasi laticiferi del midollo in parte couti- nuano il percorso nel fusto, in parte, curvandosi semplicemente verso l'esterno, escono dal fusto insieme ai cordoni vascolari, per entrare nel picciolo. Quelli che sì trovano invece fra gli elementi meccanici e nella corteccia seguono un percorso irregolare, danno delle biforcazioni e rami secondarî che percorrono in varie direzioni il paren- chima e formano quasi come un gomitolo o plesso, complicato molto e d'aspetto spe- ciale; ma al principio del picciolo ritornano regolari. Anche fra questi vasi se ne trova qualcuno che, scome i midollari, per entrare nel picciolo s'incurva solamente sotto la traccia fogliare, nè presenta irregolarità di sorta. Nella Zhevetia nereifolia Juss: i laticiferi sono numerosissimi nel midollo, e se ne trovano anche in numero discreto nel parenchima corticale, oltre quelli tra le masse liberiane, attorno alla zona cribrosa. La massima parte dei vasi midollari, nel nodo, proseguono diritti il loro percorso, pochi escono regolarmente colle tracce fogliari, alla cui ascella però (cioè nell'angolo fatto dalla traccia fogliare colla cerchia dei fasci), il gomitolo irregolare formato dagli altri vasi è maggiore che nella 7anghinia, e manda rami fin sotto l' epidermide. Nel Rhyncospermum jasminoides Hook. sono pure numerosissimi i vasi midol- lari, molti se ne trovano attorno ai grossi fasci di fibre meccaniche che difendono la zona cribrosa, sono invece rari nel parenchima corticale, ed al nodo escono curvandosi (1) De Bary, Vergleichende Anatomie. 1877, Capit. XII. (2) A. Tréeul, Laticifères et liber des Apocynées et Asclépiadées, vaisseaua sous-cuticaires etc. Adansonia Tom. VII, pag. 164. ‘ SS semplicemente sotto le tracce fogliari, mentre i primi formano il solito gomitolo compli- catissimo a rami molto stretti fra loro; si estende in tutto il midollo e alle ascelle delle tracce fogliari. Tanto al principio del picciolo che immediatamente al di sopra del nodo, tutti i vasi laticiferi riprendono il percorso regolare. Il . chimense Hort. si comporta perfettamente alla stessa maniera. Anche i vasi laticiferi della Beaumontia grandiflora Wall. hanno un percorso simile; quelli del 7rachelospermum Thunbergii A. Gr. si ravvicinano molto a questo tipo, soltanto i vasi corticali sono più rari, e nel nodo il gomitolo, mentre è molto complicato e ricco all'ascella d-lla traccia fo- gliare, nel midollo è più semplice ed è formato solo da poche ramificazioni. Nella Cerbera lactaria Hamilt. e nel Nerium Oleander L. la zona vascolare s1 può considerare costituita da fasci a struttura bicollaterale, sebbene la zona cribrosa interna sia poco sviluppata. I vasi laticiferi si trovano sempre fra gli elementi cri- brosi, tanto della zona esterna che interna; solamente al nodo, quando si stacca il gruppo dei fasci che va nel picciolo, presentano percorso alquanto irregolare nell’ a- scella e pochi rami penetranti nel parenchima. corticale. Nella 7'abernaemontana co- ronaria Wild. e nella 7. amygdalifolia Jacq. i laticiferi si trovano sparsi nel mi- dollo, nella zona cribrosa, fra i piccoli gruppi di fibre meccaniche e nel parenchima corticale; nel nodo parte escono regolarmente insieme agli elementi in cui sì tro- vano, parte danno qualche ramificazione e fra questi specialmente i corticali. Nella Vallesia cymbaefolia Orteg. si trovano pochi ma grossi vasi -laticiferi s0- lamente nella corteccia; una parte di essi al nodo esce semplicemente incurvandosi colla traccia fogliare, senza dare alcuna ramificazione. Anche nella Vinca major L. i laticiferi grossi, ma in piccol numero, si trovano solamente nella corteccia fra i gruppi di cellule meccaniche contornanti la zona vascolare. Al nodo seguono perfetta- mente il tipo della Va//esia. Lo stesso può dirsi dell'Arduinia bispinosa L.; però le ramificazioni sono più numerose e formano un principio di plesso. La zona vascolare si presenta nell'A/yrzia daphnoides A. Cunn. disposta quasi a rombo, con gli elementi vascolari aggruppati maggiormente agli angoli, da cui nel nodo partono i quattro gruppi di fasci che entrano nei piccioli. I vasi laticiferi si trovano sparsi tanto nel parenchima midollare che nel corticale, però sempre vicino al sistema conduttore e specialmente, in maggior numero, ai vasi. Al nodo presentano poche ramificazioni e molti escono regolarmente, quindi il plesso si può dire che è appena accennato. Appartenente a questo medesimo tipo è il percorso dei vasi laticiferi nel Blaberopus venenatus D.C. f; soltanto la zona vascolare si presenta circolare, e si trova anche fra i suoi elementi qualche laticifero. Un tipo abbastanza differente da quelli esaminati fino ad ora lo troviamo in una specie indeterminata di P/umeria nella quale numerosi e grossi laticiferi percorrono in ogni senso tanto il parenchima midollare che la corteccia, emettendo ramificazioni diversissime; i corticali però hanno generalmente un diametro minore degli altri e di più molti dei loro rami, che arrivano fin sotto l'epidermide, sono sempre piccolissimi. Nel punto di distacco delle tracce fogliari si notano vasi più numerosi e più ramificati. Questa disposizione, trovata solamente in questo genere, merita un'attenzione speciale, considerando le piccole ramificazioni, che attraversano il parenchima sottoepidermico ancor verde, e che perciò funziona da tessuto assimilatore. Nelle P. acwtifolia-Poir., P. bicolor R. P., P. hypoleuca Gaspar., le cose pare procedano al medesimo modo, benchè per insufficenza di materiale non abbiamo potuto studiarne bene i fusti. Se passiamo ora a studiare i vasi laticiferi nel pieciolo, troviamo generalmente che in esso seguita la disposizione medesima del fusto, con qualche rara variante di nes- suna importanza, dovuta alle modificazioni che hanno assunto i fasci vascolari nella loro disposizione, relativamente a quella che avevano nel ramo. Veniamo ora alla parte più importante, cioè al percorso dei laticiferi nella la- mina fogliare. Ripigliando la Zarghinia veneniflua, noi troviamo che è munita d'una rete vascolare a maglie strette, le cui ultime minime diramazioni contengono uno 0 due vasi. Queste si trovano molto vicino al tessuto a palizzata, da cui sono divise da una o due file di cellule conduttrici, nè mai sono accompagnate dai vasi laticiferi. Nella rachide, facendo una sezione, troviamo che gli elementi dei fasci sono disposti a ventaglio. I vasi laticiferi sparsi irregolarmente nel parenchima, sono più numerosi vicino alla porzione cribrosa, mentre non se ne trova che un numero limi- tato nella parte interna del ventaglio; seguitano ad avere un percorso regolare, paral- lelo come nel fusto. Nelle diramazioni secondarie e terziarie i vasi occupano il centro del cordone, rivestiti dalla parte cribrosa, attorno a cui stanno i vasi laticiferi in numero vario (Tav. I, fig. 1), minore quanto più è piccolo il fascio. Le cellule del pa- renchima lacunoso, compiendo l'ufficio di cellule collettrici, vengono a formare attorno alla nervatura come una guaina speciale di sezione regolare. Oltre i vasi laticiferi che accompagnano i fasci, ne abbiamo altri i quali sono perfettamente isolati. Se osserviamo al microscopio un pezzo di foglia macerata con la miscela di Schultze, noi vediamo infatti staccarsi, dai vasi accennati sopra ramificazioni, che penetrano nel parenchima, scorrono talvolta direttamente attraverso tutta la maglia per riunirsi ad un laticifero del fascio opposto o laterale, tal altra invece si ramificano, ed i rami formatisi o si ricongiungono ai laticiferi principali come nel caso già accennato, ovvero, e non di rado, terminano in mezzo alle maglie. Nelle sezioni trasversali vediamo che general- mente scorrono fra le cellule del parenchima spugnoso, a brevissima distanza da quelle del palizzata, da cui son divise da una o due file di cellule collettrici, che ven- gono ad appoggiarsi sui vasi (Tav. I, fig. 2). Questo rapporto intimo fra il tessuto assi- milatore e i vasi laticiferi isolati od uniti ai fasci fibro-vascolari viene anche confer- mato dal fatto, che da alcuni d’essi partono diramazioni laterali o terminali, che, penetrando tortuosamente fra cellula e cellula del palizzata, si dirigono verso le cel- lule del parenchima sottoepidermico (fig. 1). Nelle Zubernaemontana coronaria è T. amygdalifolia i vasi laticiferi stanno nelle porzioni cribrose dei fasci, quindi tutt'intorno nelle nervature principali, i cui fasci sono disposti in cerchio, dal lato inferiore nelle altre che scorrono proprio sotto il palizzata. Essi però non giungono mai fino alle ultime ramificazioni formate da pochi vasi. Perfettamente come nella 7anghinia si comportano i laticiferi che isolati attra- versano le maglie, ramificandosi o no in esse, mentre nei tagli trasversali li vediamo inoltrarsi fra le cellule dello spugnoso, che formano loro attorno come una guaina, in stretta relazione con le cellule collettrici. Una disposizione molto simile alla già descritta la troviamo pure nella Plumeria acutifolia, P. bicolor, P. sp., meno che i vasi laticiferi di diametro molto grosso, si SO E trovano isolati nelle diverse parti del laschissimo parenchima lacunoso, anche fin presso l'epidermide inferiore, e di più, rami speciali non solo scorrono sotto il palizzata, ma, penetrando fra i suoi elementi, vengono ad appoggiarsi contro le cellule epidermiche ed altri vanno a quelle della pagina inferiore (Tav. I, fig. 3). Anche nell’A/yzia daphnoides, nella Vinca major, nel Trachelospermum Thun- bergii e nell’Arduinia bispinosa bellissimi e numerosi laticiferi percorrono in tutti i sensi il parenchima spugnoso, le cui cellule si appoggiano coi loro rami contro i la- tificeri. Questi hanno, specialmente nell’Arduinza, molte ramificazioni, le più impor- tanti delle quali scorrono addossate alle inferiori delle due file di cellule che com- pongono il palizzata (Tav. I, fig. 4); oppure fra la prima e seconda serie. In un gruppo composto dalle seguenti specie: Beaumontia grandiflora, Rhynco- spermum jasminoides, Vallesia cymbaefolia, Plumeria hypoleuca, Plumeria sp. Thevetia nereifolia, Blaberopus venenatus, i laticiferi seguono generalmente il tipo già studiato; però gli isolati sono sempre in piccolo numero, penetrando fra le cellule del parenchima solo per brevi tratti, vicino ai fasci vascolari, senza quasi mai pre- sentare le numerose ramificazioni trovate nelle altre specie. Nel Nerium Oleander, nella Cerbera lactaria, nel Rhyncospermum chinense i vasi laticiferi accompagnano i*fasci principali, ma non arrivano alle piccole ramifica- zioni, nè mai se ne trovano di isolati. Però in molti casi anche in queste piante nu- merose cellule collettrici o di trasmissione, adagiandosi su essi, li mettono in rapporto coi tessuti verdi assimilatori. ASCLEPIADEE. Come per i vasi laticiferi delle Apocinee così anche per quelli delle Asclepiadee non abbiamo notizie speciali sulla terminazione nelle lamine fogliari, e tanto il De Bary ('!) che il Trécul (?) si limitano nei loro lavori ad assomigliarli ai laticiferi delle Urticacee, Euforbiacee ecc. In questa famiglia, come si è già fatto notare in una delle precedenti comunicazioni, si possono considerare due gruppi diversi di specie cioè : 2) piante grasse a foglie ridotte o metamorfosate, b) piante non grasse a foglie normali. Del primo grupppo abbiamo potuto esaminare solamente il genere Stapelia. Le numerose specie presentano però tutte una struttura simile e che esponiamo per la Stapelia planiflora. Il sistema conduttore è formato da piccoli gruppi vascolari , composti di pochissimi elementi e disposti in una zona della forma del fusto, che è all'ingrosso, romboidale con i lati curvi verso l'interno. Il parenchima midolla- re è composto da grosse cellule globose, sparse irregolarmente, con piccoli spazi intercellulari, mentre nella corteccia, in taglio trasversale, le cellule si mostrano più allungate nel senso radiale e, secondo le specie, si dispongono più o meno con una certa regolarità per formare come tanti raggi, che dall'interno sì dirigono all'epider- mide. Mancando vere foglie, formano esse lo sviluppatissimo strato verde assimilatore, che si ritrova tanto nel fusto che nei rami. I gruppi di fasci conduttori per entrare nelle spine, squame o foglie metarmofosate, che numerose si trovano nelle diverse specie, (1) De Bary, loc. cit. (2) A. Trécal, loc. cit. 194 — s'ineurvano ad angolo molto acuto, all'esterno, senza presentare irregolarità. I laticiferi sono numerosissimi, si trovano in tutti i tessuti, specialmente nel midollo, che per- corrono in ogni direzione senza una disposizione determinata, salvo quei pochi che tro- vansi vicini ai fasci vascolari e li accompagnano sempre, anche quando escono dal fusto (Tav. I, fig. 5). Dalle diramazioni e anastomosi che appariscono nei tagli trasversali e longitudinali pare che i laticiferi debbano formare come una vera rete complicatis- sima che immersa nel midollo, riveste i fasci conduttori e manda numerosi rami ter- minali e liberi fra le cellule del tessuto assimilatore (fig. 5, 6), i quali si appoggiano contro le cellule sottoepidermiche, che più abbondantemente assimilano. Perciò pare evidente che in questo caso i laticiferi fanno principalmente l'ufficio di collettori, e sostituiscono le diramazioni della rete vascolare che noi troviamo nelle foglie normali. Trovammo le stesse cose nelle specie seguenti: .S. mutabilis Jacq.; S. Passerinti; S. scutellata; S. pulchella Mass.; S. tridentata Hort.; S. punctata Mass.; S. parvipun- ctata; S. reftera Haw.; S. conspurcata Wild.; S. gemmiflora Mass.; S. europaca Guss.; S. ambigua Mass.; S. ciliata Thb.; S. bisulea Don.; S. fuscata Jacq.; S. deflexa Jacq.; S. variegata L.; S. trisulca Jacq.; S. trifida; S. anguinea Jacq. Le specie appartenenti al secondo gruppo hanno vasi laticiferi nel fusto, nel pic- ciolo e nella Jamina fogliare, come nelle Apocinee, e perciò le deseriveremo col me- desimo sistema adoperato per queste. La Stfephanotis floribunda A. Brongn. è munita d'una zona completa fibro-vascolare, difesa da una cerchia di belle e forti cellule mecca niche, aggruppate con una certa regolarità attorno alla parte cribrosa. Nel nodo le due traccie fogliari si staccano regolarmente dal tronco. I laticiferi nell’internodo hanno per- corso parallelo ai fasci come nelle Apocinee, e sì trovano in gran numero nel midollo, mentre sono molto scarsi nella corteccia. Al nodo cambiano percorso, si ramificano, scor- rono irregolarmente in tutte le direzioni e vengono a formare quel plesso o gomitolo, che già abbiamo visto in molte piante e che in questa specie si spande nel midollo e alle ascelle delle traccie fogliari, per dar poi origine ai laticiferi regolari, che percorrono l'internodo immediatamente superiore ed i piccioli. A questo medesimo tipo si rasso- miglia il percorso dei laticiferi nell’ //oje carnosa R. Br., che però, invece della zona dei fasci di difesa, ha cellule fortemente sclerenchimate, sparse nel midollo e nella corteccia. Nel Gomphocarpus fruticosus L. la zona vascolare è simile a quella della Ste- phanotis, come pure Ja sua difesa meccanica. I vasi laticiferi, grossi e regolari, si tro- vano numerosi oltre che nel midollo, nel parenchima corticale e fra i gruppi di elementi meccanici, anche nella porzione cribrosa. Nel nodo presentano un percorso alquanto irre- golare tanto i vasi midollari che i corticali, ma veramente non si può dire che si formi gomitolo nè plesso, perchè non offrono quasi mai ramificazioni, nè anastomosi. Somiglia a questa specie la Ceropegia elegans Hook. Anche nella 7wedza coerulea Don. i numerosissimi laticiferi sparsi nei diversi tessuti somigliano perfettamente ai già descritti, colla sola differenza che al nodo divengono molto più irregolari e ramificati, ed il gomitolo che si forma, oltre che nel midollo, si spande anche all’ ascella della traccia fogliare e a quasi tutta la corteccia. Nella Cryptostegia grandiflora R. Br. i laticiferi sono rari, ma seguono perfettamente il tipo già descritto, sebbene il go- mitolo molto lasco nel nodo, lo sia meno all’ascella della traccia fogliare e diventi invece complicato e fittissimo al principio del picciolo. Nel picciolo generalmente la zona fibro-vascolare si dispone ad arco più o meno compatto e i laticiferi che seguono sempre paralleli e regolari si trovano immersi nel parenchima in numero maggiore o minore secondo il tipo a cui appartengono quelli del fusto. Se questo ne ha nella zona cribrosa, anche nel picciolo li troviamo in que- sta parte. Nella foglia della Sfephanotis floribunda troviamo una distintissima nervazione, che scorre molto vicino al palizzata, specialmente nelle sue ultime diramazioni con- tenenti due o tre vasi. I rami primarî hanno un gruppo di fasci al centro, circon- dati da una zona cribrosa, difesa da un parenchima a cellule alquanto selerenchi- mate. Invece nei rami secondarî gli elementi del fascio hanno la disposizione ordinaria (Tav. II, fig. 7). I laticiferi si trovano irregolarmente attorno e vicino alla parte eribrosa delle nervature più grosse, mentre scorrono quasi sempre più o meno lontano dalle più piccole. Da ciò ne deriva che il numero dei vasi isolati è molto rilevante, e i loro rapporti coi tessuti assimilatori e collettori sono strettissimi. Infatti, noi ne vediamo molti su cui le cellule a palizzata vengono ad appoggiarsi coll’estremità inferiore (fig. 7), mentre altri penetrano e scorrono per lunghi tratti fra la prima e la seconda serie di questo tessuto. La fig. 8 (Tav. II) mostra appunto le sezioni di due laticiferi, che sì trovano in tali condizioni. La maggior parte poi sono quelli che attra- versano in ogni direzione il tessuto spugnoso sempre accompagnati dalle cellule irre- golari di questo tessuto, che li rivestono come d'una guaina, la quale, mediante le cel- lule collettrici, è in comunicazione col sistema assimilatore. Simile è la 7wedia coeru- lea, colla differenza che i laticiferi scorrono più vicini al fascio conduttore anche nelle piccole nervature. Bellissimi i vasi isolati che, in parte scorrendo sotto il palizzata, vi penetrano e, giunti sotto le cellule epidermiche, si ramificano seguitando per lunghi tratti fra esse e le cellule a palizzata. Lo stesso dicasi per la distribuzione delle nervature e dei laticiferi nella C7ypto- stegia grandiftora, dove noi vediamo questi ultimi isolati percorrere lunghi tratti nel parenchima fogliare, a breve distanza dal palizzata (Tav. II, fig. 9), ma non si trovano però le numerose ramificazioni indicate sopra, che penetrano verso le epidermidi. Nell’ Zoya carnosa abbiamo le foglie molto ispessite, col parenchima lacunoso sviluppatissimo, percorso da numerose fibre sclerenchimate. Manca il tessuto a palizzata propriamente detto con le sue cellule caratteristiche; sotto l'epidermide il tessuto verde ha grosse cellule globose molto simili a quelle del lacunoso. I fasci vascolari disposti a cerchia sono contornati dalla zona cribrosa, inferiormente e superiormente alla quale le fibre sclerose formano due gruppi irregolari. Le ultime diramazioni contenenti al solito due o tre vasi non sono accompagnate nè da fibre meccaniche, nè da latici- feri. Questi, nelle principali nervature, seguono il tipo della Stephazotis; scorrono vicino alla parte cribrosa, e mandando ramificazioni, che isolate penetrano nel paren- chima fondamentale, lo percorrono irregolarmente in ogni direzione per lunghi tratti, arrivando in parte ad appoggiarsi contro le piccole cellule del tessuto acquifero sottoepidermico. Nel Gomphocarpus fruticosus la fitta rete vascolare è molto simile a quella della Ste- phanotis. I laticiferi numerosissimi nelle grosse e medie nervature formano loro attorno come una guaina su cui vengono ad appoggiarsi le cellule a palizzata, le collettrici e quelle Ann. Isr. Bor. — Vot. III. 4 IR del tessuto spugnoso, che hanno una forma allungata speciale, ricordante. anche per la loro disposizione a strati, quelle del palizzata. In molte piccole nervature troviamo pure qualche vaso laticifero; mai, al solito, cogli ultimi vasi. Laticiferi isolati in piccolo numero penetrano fra gli strati del lacunoso in modo, che le cellule di esso vengono ad appoggiarvisi col loro diametro minore. A questo medesimo tipo possono riportarsi gli scarsi laticiferi della foglia della Ceropegia elegans; però bisogna notare che la disposizione del lasco parenchima spu- gnoso è del tipo comune, non presentando quella speciale del Gomphocarpus. EUFORBIACEE. Sui laticiferi di questa famiglia il De Bary (') dà qualche maggior notizia, spe- cialmente sulle Euforbie grasse, e nota che in alcune essi, per i raggi midollari, en- trano nel midollo formando alla regione periferica numerosi rami isolati. Nelle Huforbie munite di foglie i laticiferi seguono i fasci, e da questi mandano rami attraverso il parenchima fondamentale, che, a lor volta, si ramificano e terminano a fondo cieco , distribuendosi specialmente verso l'epidermide inferiore. Anche il Pax in un suo re- cente lavoro (*) ne parla brevemente, occupandosi però soltanto di quelli del fusto, e delle loro relazioni col sistema conduttore. Anche in questa famiglia possiamo distinguere due gruppi: 4) le specie con foglie ridotte o metamorfosate, b) quelle a foglie normali. Al primo gruppo appartengono alcune specie di Z#uphordia. In esse troviamo, come nelle .Sfupelia, sviluppatissimo nel fusto il tessuto assimilatore sottoepidermico, che sostituisce quello fogliare mancante. Prendiamo ad esaminare l’ Euphorbia pendula Boiss.. Essa ha una zona vascolare completa regolarissima, difesa da pic- coli gruppi di cellule fortemente selerenchimate, sparsi irregolarmente, ma vicini alla porzione cribrosa. Da essa, negli internodi, si stacca quasi ad angolo retto un gruppo di fasci, che va nelle :quame, dentro cui, in sezione, si dispone a ventaglio. I vasi laticiferi numerosi e grossi hanno un percorso regolare parallelo ai fasci conduttori, e si trovano nella corteccia e nel midollo; più in questo che in quella. Al nodo però perdono in gran parte il percorso regolare, danno ramificazioni e formano quel solito gomitolo che noi abbiamo già descritto, e che è più intrecciato e ricco proprio al- l'ascella della traccia fogliare, più lasco nel midollo. Nella parte più esterna della traccia fogliare, i laticiferi hanno già ripreso il percorso regolare; una parte d'essi li troviamo pure attorno al fascio nelle squame. Osservando specialmente i vasi corticali noi vediamo ch» mandano dei rami, che alla lor volta si ramificano, percorrono in varie direzioni la corteccia, e si dirigono fra le cellule assimilatrici, giungendo talvolta fin sotto l'epidermide, mostrandosi più numerosi dal lato opposto all'inserzione della foglia. Caratteristica ed interessante è la loro terminazione sempre contro una o più cellule verdi, come si osserva nelle .Stapelza. (1) De Bary, loc. cit. (*) Dr. Ferd. Pax, Die Anatomie der Euphorbiaccen in ihrer Beziehung sum System derselben. - Botanische Jahrbiicher ete. von E. Engler. V Band, IV Heft. 1884. ee Diverse altre specie presentano un tipo alquanto differente dal descritto, cioè: l'£. splendens Boj., VE. Tirucalli L., E. caput- Medusae L., e VE. Canariensis L.. In esse troviamo la parte conduttrice formata regolarmente da una zona continua di fasci vascolari o da piecoli gruppi staccati, ma a brevissima distanza; mancano le cellule mec- caniche liberiane. Dalla zona del fusto si partono regolarmente i gruppi di fasci, che vanno secondo le specie nelle squame, nelle spine, oppure nelle foglie rudimentali come nell’ 7. caput-Medusae. In queste non si forma una rete completa di nervature, seb- bene i primi fasci si ramifichino pur seguendo sempre il percorso longitudinale nella massima lunghezza della foglia, e comunichino fra loro mediante rare nervature secon- darie, composte da pochi elementi vascolari. I laticiferi mancano nel midollo, mentre sono numerosissimi e di diametro considerevole nella corteccia; presentano poi dei caratteri alquanto diversi, sicchè specialmente, per comodo di descrizione, si possono riunire in due gruppi. Nel primo, abbiamo quelli vicinissimi alla porzione eribrosa dei fasci con- duttori e che in piccolo numero si trovanò anche ad una certa distanza: essi hanno percorso regolare, longitudinale, parallelo come nell’/. perdw/a, accompagnano le traccie fogliari e mandano rare ramificazioni laterali. Il secondo gruppo è formato dai lati- ciferi molto numerosi che percorrono in ogni direzione tutta la corteccia, riccamente ramificati. Essi si inoltrano fra le cellule assimilatrici ed arrivano coi rami secondarî, sempre di diametro alquanto minore, fin sotto le cellule epidermiche, contro cui si ap- poggiano con le estremità ‘dilatate. Anche le terminazioni nel tessuto assimilatore sono interessanti, specialmente quelle formate da due o-tre piccoli rametti che s'in- ternano fra cellule vicine e, per così dire, le abbracciano quasi completamente. Nelle foglioline dell’ Z. caput-Medusae i vasi seguitano in parte ad accompagnare i fasci, mandando numerosi rami, che percorrono il parenchima assimilatore e, come nel fusto, o terminano in esso o contro le cellule epidermiche (Tav. II, fig. 10). Le specie appartenenti al gruppo con foglie normali si assomigliano molto alle Apocinee e alle Asclepiades. Nell’ 7. derdroides L. noi troviamo la solita zona va- scolare completa, da cui nel nodo si staccano tre gruppi di fasci, che vanno nelle foglie. I laticiferi, di diametro piuttosto grande, si trovano numerosissimi e sparsi ir- regolarmente in tutto il parenchima corticale, ma i più vicini ai fasci conduttori hanno percorso regolare, parallelo, e nel nodo la maggior parte seguono diretti, mentre son pochi quelli che, curvandosi semplicemente senza presentare ramificazioni, accompa- gnano le traccie fogliari. Il medesimo tipo si riscontra nell’internodo e nodo dell’ £. ceratocarpa Ten., colla sola differenza che in questa i laticiferi sono numerosissimi anche in tutto il midollo vicino alla zona vascolare, fra i gruppi dei vasi e se ne trova qualcuno e nella parte cribrosa e fra i gruppi di cellule meccaniche che la pro- teggono. La medesima cosa avviene nell’ 7. amygdaloides L. Nell’ 7. spinosa L. si ha la zona vascolare molto spessa e il midollo ridotto. I laticiferi si trovano in buon numero attorno alla parte cribrosa e seguono il tipo già descritto meno che nel nodo, ove una piccola parte dei vasi acquista un percorso un po' irregolare, dà ramificazioni e forma un gomitolo piccolo, circoscritto all'ascella e intorno alla traccia fogliare. La medesima descrizione vale per l' £. Peplus L. e per l'#. Apios L., e vi assomiglia l' 7. Characias L., i cui laticiferi sono però ancor più a con- tatto colla zona cribrosa, e l'#. Relioscopia L., che ha il gomitolo del nodo molto ridotto. = on La Poinsettia pulcherrima Grah. ha la solita zona conduttrice completa con pic- coli gruppi meccanici, i laticiferi grossi, ma non numerosi, e regolari come nelle £- phorbia. Si trovano nella corteccia vicino alla parte-cribrosa, qualcuno penetra anche fra i suoi elementi, al nodo si ramificano e formano il gomitolo piuttosto esteso fra ed attorno alle traccie fogliari, con rami che vanno fin sotto l'epidermide. La' Gym- nanthes elliptica Sw. sì riporta a questo medesimo tipo, meno che i laticiferi man- cano nella porzione eribrosa e son più numerosi nella corteccia. Lo stesso dicasi pel Croton ciliato-glandulosum Orteg.. Per le altre specie di (70%0n, mancando il mate- riale, non abbiamo potuto esaminare bene il percorso dei laticiferi nel fusto; ma da quel poco che abbiamo visto non dovrebbero variare dal tipo accennato. Nei piccioli generalmente i fasci conduttori o a cordone centrale, od a ventaglio o a cerchia completa sono sempre accompagnati da laticiferi regolari, paralleli, che occu- pano la medesima posizione che avevano nel fusto. Nell' Euphorbia ceratocarpa in una sezione della rachide troviamo i fasci con- duttori, disposti quasi a ventaglio, difeso da un largo collenchima. Le nervature se- condarie scorrono anch'esse molto vicine al palizzata. Nella rachide e nervature prin- cipali i laticiferi grossi e numerosi si trovano attorno al fascio conduttore, formano come una guaina e scorrono regolarmente paralleli; nelle medie invece si trovano solo attorno alla parte cribrosa, e su di essi vengono ad appoggiarsi numerose le cellule del parenchima lacunoso. Molti si prolungano e scorrono isolati in quest'ultimo tes- suto, oppure perfettamente a contatto col palizzata e talvolta, facendosi largo fra le sue cellule, vanno ad appoggiarsi fin contro quelle del tessuto epidermico (Tav. II, fig. 11). Allo stesso modo si comportano £. spinosa, E. helioscopia, E. Characias; molto si- mili si presentano l'£. dendroides, VE. Peplus, V E. amygdaloides, ma i laticiferi iso- lati sono scarsi e pare non penetrino nel palizzata. Nelle foglie dell'£. Apzos i lati- ciferi seguono il tipo sopra descritto solamente nelle grosse nervature, ma terminano in esse, e non se ne trova più traccia nè nelle piccole, nè nei parenchimi. Anche nella Poinsettia pulcherrima la rete vascolare è molto simile a quella delle Zuphorbia, come pure il percorso dei laticiferi, grossi e numerosi attorno alle ner- vature. Vasi isolati scorrono sotto il palizzata con rami che penetrano fra le sue cel- lule; la medesima cosa avviene nella Gymnanthes elliptica, dove si hanno pure le terminazioni quasi sempre coll'estremità ingrossata a clava (Tav. II, fig. 12). Fra tutte le piante esaminate le diverse specie di Cro/or si prestano stupen- damente allo studio, perchè ricchissime di latice, che nell’alcool, oltre al rappren- dersi, assume naturalmente un forte color bruno-rossastro, e questo rende visibilissimi i vasi laticiferi per sè stessi, del resto, già grossi e facili a vedersi. Tutte le specie studiate si comportano perfettamente allo stesso modo, perciò ci limiteremo a deseri- vere il Croton aucubaefolium. Tutta la rete vascolare è però alquanto lassa come pure il parenchima lacunoso composto di grosse cellule abbastanza regolari, che limi- tano cavità tondeggianti. I laticiferi sono straordinariamente numerosi; pochi attorniano le nervature, mentre i più scorrono irregolarmente per tutta la foglia, sì ramificano in ogni direzione, come si vede nella fig. 13 (Tav. III), che rappresenta il mesofillo in un ta- glio tangenziale all'epidermide; si portano sotto e tra il palizzata (Tav. III, fig. 14), terminando distintamente tanto contro l'epidermide inferiore che superiore (Tav. III, — ao fig. 15), spesso a doppia ramificazione addossata contro tre o più cellule (Tav. III, fig. 16). In nessuna altra specie trovammo così sviluppati i laticiferi, e la speciale guaina che in- torno ad essi formano le cellule del tessuto spugnoso è molto manifesta, sicchè i rap- porti che prendono direttamente o indirettamente col tessuto assimilatore sono nu- merosi. Un bell'esempio di rapporto indiretto ce lo fornisce la fig. 17 (Tav. IV), in cui si vedono due grosse cellule collettrici appoggiate da una parte contro il palizzata e dall'altra contro una sola cellula, che a sua volta si appoggia su un grosso lati- cifero. Questo poi viene chiuso come in una guaina da due altre cellule del mesofillo, di forma semilunare. Simiglianti disposizioni trovansi nel €. discolor W., 0. appen- diculatum, C. pieturatum, C. nobile, C. Moreanum, C. ciliato-glandulosum. PAPAIACEE. » Intorno a questa famiglia, per mancanza di materiale non abbiamo potuto fare che pochissime osservazioni, sicchè non abbiamo avuto che risultati imperfetti. Anche il De Bary (!) si limita, per quanto ci riguarda, a notare che i laticiferi, mentre mancano nel midollo dell'internodo, formano una rete in quello del nodo; che nel peduncolo e nella lamina fogliare seguono i fasci vascolari, accompagnando e toccando trachee e vasi cribrosi; ed infine che nel parenchima terminano con rami anastomizzantisi. Nel fusto della Vasconcellea hastata Car. troviamo una complicatissima zona vascolare formata da.grossi e piccoli fasci, con la zona cribrosa sviluppatissima, cir- condata da numerosi gruppi meccanici stretti lateralmente, ma sviluppatissimi nel senso radiale, e anastomizzati longitudinalmente in modo variapilissimo. Nel midollo, delle tracce fogliari che si staccano dal fusto, le mediane escono curvandosi sem- plicemente all’esterno, mentre le laterali, prima di riunirsi alle altre, hanno un percorso alquanto curvo a spirale e traversano un lungo tratto del parenchima cor- ticale. I laticiferi, piccoli ma numerosissimi, offrono un tipo speciale che si può considerare intermedio fra quelli già studiati e quelli veramente articolati delle Campanulacee, sebbene più vicini a questi ultimi. Formano una rete perfettamente anastomizzata a maglie strette irregolari, che circondano i gruppi meccanici, man- dano molte ramificazioni tra i fasci legnosi, prolungantesi talvolta fin nel midollo, poche invece attraverso la corteccia, dove assumono un percorso più regolare. Al nodo, all'uscita delle traccie fogliari, i laticiferi che si trovano attorno e tra i loro elementi, seguono naturalmente il percorso dei fasci, mentre invece le ramificazioni corticali diventano irregolarissime, presentano a loro volta numerosi rami e anastomosi, for- mando una vera e fitta rete, che però non si spande nel midollo, come accenna in generale il De Bary. Simile disposizione otfre il fusto della Carica Papaia; altret- tanto non si può dire per una specie innominata di Carica, non avendo potuto esami- nare il fusto. Nei piccioli delle due prime specie si ha il medesimo sistema di fasci e laticiferi studiati nel fusto; in quello della Carica sp. la zona cribrosa ha di più, una difesa completa di cellule meccaniche; ed i laticiferi formano bensì una rete, ma solamente limitata attorno ai gruppi meccanici, e fra questi ed il legno. (1) De Bary, loc. cit. — 80 — Nella lamina della |. hastata, i laticiferi, nei fasci principali, si comportano come nel fusto, e formano una rete finamente anastomizzata, che avvolge la zona eribrosa; invece nei fasci minori sì riducono molto di numero fino a trovarsene uno solo; allora però cambiano disposizione, divengono paralleli, nè più danno ramificazioni laterali o longitudinali, terminano nei medesimi fasci e per conseguenza non si trovano mai isolati. Essi sono in rapporto coi tessuti verdi mediante le numerose cellule collet- trici che li attorniano. Così si comporta la Carica sp. Nella C. Papuia troviamo invece di più, numerosi rami che partono isolati dalla rete circondante i fasci, percorrono irregolarmente tutto il parenchima spugnoso, ramificandosi alla lor volta di muovo, e si avanzano, sotto e tra le cellule del palizzata, fin contro il tessuto epidermico. MusacgE. Per questa famiglia non troviamo nessuna notizia particolare che ci riguardi, ed anche i nostri risultati sono piuttosto imperfetti, non avendo potuto esaminare che diverse specie del genere Musa e, per di più, soltanto il picciolo e le lamine fogliari. Siccome si sono presentate perfettamente simili fra loro, ci limiteremo a descriverne una: la Musa rosacea Jacq. Nel picciolo sonvi grosse lacune a:ree, che riducono a ben poco il parenchima fondamentale, dentro cui sono sparsi irregolarmente i cordoni fibro-vascolari, composti di pochi elementi e difesi da archi di fibre meccaniche. Il latice non scorre più in canali come quelli studiati fino ad ora, ma in speciali lacune che chiameremo col De Bary: sacchi laticiferi, senza entrare menomamente nella que- stione della loro formazione. Questi sacchi sono di vario diametro, generalmente però sempre grossi; accompagnano i fasci conduttori longitudinali in piccolissimo numero, e si trovano o attorno ad essi a breve distanza, oppure immersi fra i loro elementi. Nella foglia v è un esteso tessuto probabilmente acquifero e la rete vascolare ha ner- vature sempre abbastanza grosse, composte da un fascio conduttore come quelli del picciolo, contornato però da un forte tessuto di difesa, composto da robuste cellule liberiane, specialmente alla parte superiore ed inferiore. I sacchi laticiferi, in numero vario da uno a tre o quattro, si trovano nella parte esterna, oppure immediata- mente attorno a quest'ultimo tessuto, e, quando stanno superiormente, le cellule del palizzata contribuiscono direttamente alla loro formazione. Questi sacchi non si tro- vano mai separati dal sistema conduttore, ma o mediante le cellule del laschissimo tessuto spugnoso o direttamente come si è detto sopra, sono in stretti rapporti col tes- suto assimilatore. Similmente costruite trovammo le seguenti specie: M. discolor Hort.:; M. Ensete Bruc.; M. sapientum L.; M. paradisiaca L.; M. sinensis Sw.; M. spe- ciosa Ten.. i ARACEE. Sui laticiferi delle Aracee, Van Tieghem nel suo lavoro: Recherehes sur la strue- ture des Aroidées (!) dà alcune notizie generali; nota p. es. come i laticiferi che (1) Ann, scien. natur. 5° série, tome III, pag. 72. accompagnano i fasci si moltiplichino e mandino nel parenchima circostante rami innu- merevoli, che si avanzano soli o in gruppi di due o tre fin sotto l'epidermide. Il De Bary nulla dice che ci interessi : invece recentemente il Dalitzsch in un lavoro molto im- portante ('), nel quale passa in rivista le idee di Hanstein, Trécul, Van Tieghem sui diversi tipi e i diversi percorsi dei laticiferi che accompagnano i fasci vascolari, tratta anche delle loro ramificazioni, che penetrano nei parenchimi, delle anastomosi, ecc., benchè non accenni affatto alla questione, di cui ci occupiamo. Anche in questa famiglia il latice scorre in sacchi, del tutto simili a quelli delle Musacee. Nel Caladium eru- bescens il fusto ed il picciolo hanno una grandissima quantità di lacune aeree più 0 meno grosse, a sezione circolare, per cui anche in esso è molto ridotto il parenchima fondamentale in cui sono immersi irregolarmente i cordoni conduttori composti di pochissimi elementi vascolari e cribrosi, con rare anastomosi trasversali che li met- tono in comunicazione fra loro. I sacchi laticiferi si trovano quasi sempre in tutti i fasci, all'esterno della porzione cribrosa, talvolta anche vicino ai vasi; sono piccoli e presentano un aspetto speciale dovuto a piccole protuberanze che hanno lateral- mente e che s'insinuano fra le cellule più vicine. Talvolta tali sporgenze acqui- stano una certa importanza, poichè si allungano e ramificano, e scorrendo per un tratto abbastanza lungo mettono in comunicazione varî laticiferi. Nella lamina la rete vasec- lare è molto lasca, con nervature di media grandezza, contenenti un piccolo numero di vasi, che scorrono sotto o vicino al palizzata. Il parenchima lacunoso, lasco e con grandi cavità aeree, è invece sempre molto stretto attorno e vicino ai fasci conduttori, ed in esso si trovano numerosi i sacchi laticiferi (Tav. IV, fig. 18). Anche nella lamina questi mandano piccole prominenze fra cellula e cellula, e possono assumere un per- corso irregolare, dar rami laterali ‘che si possono anastomizzare fra loro, e che isolati penetrano in ogni direzione fra il parenchima, arrivando anche contro le due epider- midi. Dei piccoli rami scorrono talvolta orizzontalmente fra una serie e l’altra del palizzata, come si vede in sezione trasversale nella fig. 15 (Tav. III), ed alcuni, ma raramente, si appoggiano perfino agli stessi fasci. Nel Syngonium auritum L. troviamo i sacchi laticiferi del fusto e del picciolo piccoli in proporzione di quelli della lamina, ma seguono il tipo del 04/adium. Le rami- ficazioni che attraversano il palizzata e si mettono in comunicazione coll'epidermide sono più numerose, ed i rapporti col tessuto assimilatore divergono perciò estesissimi (Tav. IV, fig. 19). Appartenenti pure a questo medesimo tipo sono l'/omalomena rubra Hassk. e l’'Aglaonema commutatum Scott.; però i sacchi isolati sono in piccolo nu- mero e molto ridotti. Nell'Alocasia metallica Sch. i sacchi laticiferi sono molto piccoli ma numerosis- simi; si presentano con un aspetto diverso da quelli già osservati, perchè hanno mol- tissime ramificazioni, che fanno comunicare fra loro tutti i vasi è formano una rete ana- stomizzata attorno ai fasci longitudinali e trasversali, con piccoli rami che s'inoltrano tra le cellule del parenchima e vi terminano a fondo cieco. Anche nelle foglie se- guono questo medesimo tipo, e dalla rete che attornia i fasci, si staccano numerosi (1) Max Dalitzsch, Beitrdge sur Kenntniss der Blattanatomie der Aroideen. Botanisches Cen- tralblatt, 25 Band, pag. 317. 2.9 rami che percorrono irregolarmente tutto il parenchima ; alla lor volta si dividono e ridividono terminando nel parenchima stesso o contro i tessuti epidermici. Similmente si comportano i sacchi laticiferi del Xarthosoma roseum Scott., con bellissime rami- ficazioni, non così numerose come nell’A/ocasia, sebbene anch'esse presentino impor- tanti relazioni coi tessuti assimilatori e collettori (Tav. IV, fig. 20). Nel fusto e nelle foglie della Dieffenbachia Seguine Schott. troviamo tanto nei fasci che nei sacchi il tipo dell'Homa/omena, ma mancano quelli isolati, perchè ces- sano sempre insieme alle nervature, nè danno vere ramificazioni laterali. LOBELIACEE. Anche per i laticiferi di questa famiglia non troviamo che poche indicazioni gene- rali nel De Bary; d'impor'ante vi è notato soltanto che nel fusto di Siphocampylus manettiefiorus alcuni rami isolati giungono alla superficie superiore dell'epidermide e sporgono formando come piccole papille. Questa particolarità non l'abbiamo potuta tro- vare nei tre Siphocampylus: che abbiamo esaminati e di cui si parla in seguito. Nelle Lobeliacee i vasi laticiferi sono piccoli, e appartengono al tipo di quelli articolati, percui formano una rete completa, abbondantemente anastomizzata® Nella Lobelia Erinus L. la zona fibro-vascolare è regolare, e da essa si stacca al nodo un gruppo di fasci che vanno nel picciolo. Attorno al cambio, immersi nella zona eri- brosa stanno i laticiferi, non in gran numero, sicchè lo spessore radiale della rete è poco considerevole. Le maglie irregolarissime sono piuttosto strette e alquanto allun- gate. Al nodo una piccola parte della rete esce curvandosi semplicemente con la parte cribrosa della traccia fogliare in cui si trova, e la rimanente si richiude all'ascella per riformare la zona continua interrotta per un breve tratto dalla uscita dei fasci conduttori. Similmente si comportano: la Zobelia excelsa Leschen., ma con rete più ricca radialmente, la 7upa crassicaulis Hook., la 7. ignescens e il Siphocampylus ignescens. Nel S. canus Pohl. e nel S. coccineus si ha pure questo tipo con poche varianti, perchè la rete è più ricca ed inoltre invia ogni tanto dei rami irregolari che si ridividono nella corteccia e vanno fin verso l'epidermide. Questi rami corticali sono più numerosi nel nodo specialmente vicino al distacco dei fasci, e all'ascella fogliare. Nei piccioli i fasci disposti a ventaglio presentano nella porzione eribrosa la rete dei laticiferi come nel fusto, ma forma, naturalmente, soltanto un arco. Anche dalla rete del picciolo nelle due ultime specie di .S/phocampylus partono ramifica- zioni che si spingono fin sotto l'epidermide. Nella lamina fogliare di Zobelia Erinus la rachide seguita ad avere la dispo- sizione vascolare del picciolo, le nervature grosse e medie hanno la struttura ordinaria, e presentano i laticiferi che formano la solita rete anastomizzata, a maglie più rego- lari, più scarse ed allungate. Nelle piccole nervature ed anche nelle estreme i lati- ciferi sono ridotti a due o tre con percorso parallelo, regolare, e non formano più rete od anastomosi. Dai laticiferi che accompagnano i fasci, siano a rete o paralleli, par- tono numerosi rami laterali o terminali, che percorrono il parenchima spugnoso, ramificandosi a lor volta irregolarmente ed arrivando colle loro ultime diramazioni — 33 — rimpiccolite tanto sotto e tra le cellule a palizzata, che contro le due epidermidi (Tav. IV, fig.21). Uguale disposizione osservasi nella Z. excelsa; somigliante è quella delle tre specie di S:phocampylus; però i rami isolati sono in molto minor numero. Anche la Tupa ignescens e la T. crassicaulis si rassomigliano al tipo descritto, meno che i laticiferi anche nelle grosse nervature hanno un percorso quasi regolare e parallelo con poche anastomosi. CAMPANULACEE. Intorno al percorso dei vasi laticiferi nella foglia delle Campanulacee il De Bary non dice nulla; invece parlando di quelli del fusto avverte che generalmente man- cano nel legno secondario e nel parenchima midollare. Però per alcune specie riporta l'opinione di Trécul ('), che insiste molto sulla distribuzione dei vasi che dalla cor- teccia vanno al midollo traversando il corpo legnoso e mettendosi in comunicazione cogli elementi del legno. Nel medesimo lavoro di Trécul troviamo pure accennato che « la rete anastomizzata seguita nelle nervature, con maggiori o minori anastomosi secondo la grandezza dei fasci, e perfino nel parenchima non percorso dalle trachee ». A questo proposito è pure importante ricordare che Van Tieghem (2), trattando delle Liguliflore, modifica in parte l'opinione di De Bary, cioè che la rete laticifera si trovi al limite esterno dei vasi cribrosi ed anche fra essi. Egli invece la pone nello strato esterno sotto endodermico del periciclo, e siccome lo spessore di questo può essere vario, così possiamo trovarla perfettamente a contatto colla porzione cibrosa. Ecco ciò che abbiamo osservato noi. Nella Canarina Campanula Lam. la zona vascolare è completa, colla parte cribrosa molto sviluppata; da essa al nodo sì stac- cano due gruppi di fasci che si ridividono e si complicano molto per entrare nelle foglie opposte e nei rami secondarî. I vasi laticiferi piuttosto grossi e numerosi for- mano una rete completamente anastomizzata, a maglie strette, piuttosto lunghe nel senso longitudinale; vi sono però anche piccoli rami che terminano a fondo cieco. Questa rete si trova dentro alla zona eribrosa, fra i suoi elementi, che segue anche quando al nodo avvengono le divisioni delle tracce fogliari. Così si forma una piccola inter- ruzione nella rete principale, ma presto cessa, perchè all'ascella della traccia fogliare, si ricompleta subito, insieme alla zona vascolare. Però qui avviene una particolarità che manca nelle Lobeliacee: cioè, dalla zona vascolare che ha già dato origine ai gruppi fogliari e rameali, e propriamente dalla parte più vicina a questi ultimi, alcuni vasi accompagnati da molti elementi cribrosi si avanzano irregolarmente nel mi- dollo e si riuniscono nel mezzo, formando così una comunicazione diretta fra le due parti opposte del fusto. Tale comunicazione non si spande in tutto il midollo, ma è solamente ristretta ad una zona centrale che in sezione longitudinale appare molto sottile. Anche i laticiferi prendono grandissima parte a questa comunicazione, e infatti tra gli elementi cribrosi troviamo una parte della solita rete, a maglie più irregolari e più fitte di quelle del fusto. Questa porzione è formata da numerosi rami prove- nienti dalla rete dell’internodo inferiore e superiore, con un percorso breve, ma irre- golare e molto complicato. (1) A. Trécul, Des laticiferes: dans les Campanulacées. Adansonia Tom. VII, pag. 174. (*) Ph. Van Tieghem, Ann. des. scien. natur. VII Série, tom. 1, 1885, pag. 13. Ann. Ist. Bor. — Vot. III. D) TRA I vasi laticiferi della Campanula Cervicaria L. possiamo riportarli a questo medesimo tipo; si trovano pure nella zona eribrosa, però sono più piccoli, più nume- rosi e disposti più irregolarmente a formare una fitta rete a maglie strette. Al nodo si staccano dal fusto tre gruppi di fasci che vanno nelle foglie con percorso regolare e una parte della rete laticifera li accompagna semplicemente senza che qui si formi la minima traccia di comunicazione attraverso il midollo. Simile struttura offrono la C. gregaria, la C. gracilis Bert., la C. Rapunculus L., il Trachelium coeruleum L., e la Jasione montana L.. La C. Vidalii Vats. ha la rete molto spessa radialmente e fittissima, perchè i laticiferi sono in numero grandissimo. Al nodo, l'interruzione for- mata dalla parte che si stacca col gruppo fogliare, si richiude subito, ed allora, dalla rete laterale all'ascella della traccia fogliare, partono numerosi rami che vanno nella corteccia, dove alla lor volta si ramificano ed arrivano fin sotto l'epidermide. Nei piccioli abbiamo il cordone vascolare centrale disposto a ventaglio; nella por- zione cribrosa seguita la rete laticifera perfettamente come nel fusto. Nella lamina fogliare di Canarina Campanula la rachide e le nervature princi- pali, sempre piccole, hanno la struttura del picciolo, mentre nelle altre troviamo molto sviluppata la parte vascolare, che scorre sotto il palizzata; tutta la rete delle nerva- ture è molto lasca e lascia maglie che sono molto grandi. La rete dei laticiferi arti- colati continua come nel picciolo e nel fusto anche nella rachide e nervature più importanti; ma poi cessa, e le fa seguito un numero limitatissimo di vasi paralleli, non anastomizzati, che accompagnano le nervature minori. Tanto dalla rete che da questi ultimi partono numerosi rami, che penetrano nel parenchima spugnoso e, 0 l'attraversano per riunirsi ad un fascio opposto, o si ramificano e terminano in esso, contro gruppi di cellule collettrici. Talvolta dei rami, però sempre in pic- colo numero, arrivano fra le cellule del palizzata fin contro l'epidermide superiore. La Campanula Cervicaria si rassomiglia molto a questo tipo, anzi i vasi isolati sono più numerosi e inviano maggior numero di rami laterali, che penetrano fino alle due epidermidi ; lo stesso dicasi per la €. gregaria, C. gracilis C. Rapunculus, e per il 7'ra- chelium coeruleum. Nella 0. Vidalii troviamo sviluppatissimo il palizzata composto di tre file di cellule, la rete vascolare è più numerosa di nervature ed ha maglie più piccole. I laticiferi in tutta la lamina sono come quelli già descritti, danno rami laterali nu- merosissimi, che in generale si dirigono irregolarmente nello spugnoso fino all'epider- mide inferiore, mandando altri rami secondarî fra cellula e cellula. Non mancano però quelli, che invece attraversano il palizzata per arrivare alle grosse cellule epidermiche superiori (Tav. IV, fig. 22). Nella Jusione montana i laticiferi seguono il tipo descritto delle Campanula , ma però rimangono sempre nella zona eribrosa, e non danno mai rami laterali o ter- minali, che scorrano isolati nei varî tessuti. CICORIACEE. Intorno ai laticiferi di questa famiglia abbiamo un lavoro importante di Trécul (') che dapprima descrive il percorso, dei vasi laticiferi nel fusto e nella radice, poi nelle (1) A. Trècul - Des laticifores des Chicoriacées - Adansonia, Tome VII. pag. 169. = gh foglie, ove son situati alla parte inferiore delle nervature. Dice che sono anastomiz- zati come quelli del fusto, che però nelle piccole -nervature si trova un solo la- ticifero e che inoltre alcuni sono isolati. A proposito dell'emissione di gocce di latice osservata dal Carradori nel 1805 nella Zactuea sativa, ne trova la spiegazione osser- vando che tale fenomeno è causato dai rami laticiferi che s? elevano verticalmente, più o meno obliquamente dalle nervature e arrivano fin sotto la cuticola, che essendo alterata, come pure la membrana del vaso, può permettere l'uscita del liquido al minimo contatto, come p. es. a quello d'una formica. Anche nella Zactuca altissima, virosa, Scariola, augustana, stricta, Dregeana, quercina, cracoviensis, livida, sativa, avviene il medesimo fenomeno. ‘ Nel fusto del Sonehus oleraceus L. abbiamo una struttura del sistema conduttore complicata; essa è formata da una zona di piccoli e grossi cordoni fibro-vascolari, colla parte cribrosa molto sviluppata. Nel nodo, per entrare nella foglia un gruppo di questi cordoni escono incurvandosi, quelli mediani direttamente all’esterno, quelli laterali facendo un percorso più lungo e alquanto spirale nella corteccia e si riuniscono ai primi per poi ridividersi e suddividersi in modo complicatissimo. Inoltre al nodo il midollo è traversato quasi comp:etamente in tutta la sua larghezza da una rete spe- ciale a maglie larghe tondeggianti, formata da elementi, provenienti dai fasci midol- mari, che contraggono ivi anastomosi frequenti con quelli della cerchia. I vasi lati- ciferi del tipo articolato, sono piccoli, numerosi e formano una rete a maglie strette irregolarissime, che si trova completamente attorno e nella parte più esterna della zona cribrosa dei fasci delle cerchia e dei midollari. Queste porzioni comunicano fra loro con diramazioni laterali, ma specialmente è nel nodo che, seguendo sempre le tracce fogliari, si riuniscono in modo variabilissimo fra loro, poi si rispezzano per formare le reti che attorniano i gruppi fogliari. Alcune diramazioni dei laticiferi ac- compagnano sempre gli elementi, che attraversano il midollo, come sopra abbiamo detto. Il S. arversis L. si comporta in modo simile. Nel ,. asper L. abbiamo un percorso alquanto diverso, ma pure complicatissimo, anche per la presenza dei fasci midollari periferici. Al nodo, l'uscita dei fasci ha luogo come nel S. o/eraceus. La rete laticifera riveste le parti eribrose, specialmente quelle dei fasci midollari, mentre è rada nell’esterne vicino ai gruppi méccanici sot- toepidermici. Ritorna però molto ricca anche in questi nella complicata ramificazione, simile a quella sopradescritta, dei fasci conduttori al nodo fogliare. Nel 7ragopogon porrifolium L. si ha una disposizione molto simile alla prece- dente, ma la zona vascolare è quasi continua, con le porzioni cribrose molto ridotte. Nel nodo è complicatissima il distacco delle traccie fogliari, e la rete laticifera riveste sempre al solito la parte cribrosa, ma è formata da un numero scarso di elementi, ed è ridotta ad una sola fila irregolare. A questo medesimo tipo possiamo ascrivere la Crepis vesicaria L. e la C. negleceta L.. Le foglie sessili di queste diverse specie hanno tutte una grossa rachide, da cui si partono le nervature in maggiore o minor numero secondo i generi. Nel Sorchus oleraceus la rachide è formata da un grosso cordone di fasci disposti a ventaglio; così avviene nelle grosse nervature, mentre nelle altre che scorrono addossate al paliz- zata, si hanno pochi vasi e pochissima parte cribrosa. Nelle prime, seguita la rete — 86 — anastomizzata del fusto, ma presto cessa e si cambia in rari vasi paralleli, che non arri- vano nemmeno fino alle piccole nervature, nè mai si presentano isolati. Lo stesso vale pel S. arvensis, pel S. asper, e per la Crepis veswicaria. Nel 7ragopogon porrifolium i fasci delle nervature hanno bene sviluppata la porzione vascolare e poco la cribrosa. Al limite estremo troviamo grossi laticiferi ma in piccolo numero, e con decorso. quasi regolare parallelo, meno nelle grandi nerva- ture dove presentano una laschissima rete, con” rare anastomosi. Solamente qualche piccolissimo ramo si trova, isolato, penetrare fra tre o quattro cellule dello spugnoso, vicino alle nervature. ) La 0. neglecta, sebbene simile alla €. vesicaria, ha, ma in numero limitato veri vasi isolati, perchè qualcuno di quelli che accompagnano i fasci, si prolunga nel parenchima e talvolta si ricurva superiormente, penetrando anche fra il palizzata (Tav. V, fig. 23). PAPAVERACEE. Secondo il De Bary i vasi laticiferi di un fascio vascolare nel tipo Papaver non si uniscono a quelli dei vicini lungo l’internodo, e nel parenchima fogliare formereb- bero alla loro terminazione un'impo:tante rete ramificata. Nella foglia del tipo Che- lidonium si ha la medesima rete, ma nel picciolo o nel fusto una parte dei vasi si tro- vano all’interno della porzione cribrosa vicino alla zona vascolare, gli altri alla faccia esterna con ramificazioni corticali. Trécul nel suo lavoro Des laticiferes dans les Pa- pavéracées (!), sebbene si occupi specialmente dell'origine e della formazione dei lati- ciferi, non manca di notare lo stretto rapporto che essi hanno coi fasci vascolari, ba- sandosi molto sulla loro reciproca distribuzione nel fusto e nel picciolo; trascura però in massima parte il lembo fogliare. La zona conduttrice nel Papaver Rhoeas L. è formata da cordoni vascolari più 0 meno grossi con elementi cribrosi abbastanza sviluppati; nel nodo una parte di essi vanno a formare i fasci fogliari, senza presentare la complicazione offerta dalle Cicoriacee. I lati- ciferi sono piuttosto grossi, numerosi, vicini fra loro, e stanno immersi nella parte eri- brosa vicina al cambio, formando una sola linea ad arco. Mantengonsi nell’internodo quasi regolari, paralleli, al nodo seguono sempre la parte eribrosa delle tracce fogliari, ma si biforcano, diventano irregolari e formano una piccola rete anastomizzata, che presto cessa per riformare i vasi regolari del picciolo e del fusto. Non si trovano mai nè rami corticali, nè midollari. Nel P. somzi/erum L. e nel P. orientale L. troviamo un percorso molto simile tanto dei fasci, che dei vasi, i quali però sono meno regolari e nel nodo formano la rete più estesa, a maglie più fitte e complicate. Nella Bocconza cordata W. i laticiferi sono più scarsi e si trovano quasi al limite esterno della svilup- patissima parte cribrosa; invece sono numerossimi nell'Argemone mezicana L., e più estesi lateralmente in modo da formare un vero mezzo cerchio. Nella rachide e nelle grosse nervature del ?. R2hoeas troviamo un cordone centrale simile a quello del fusto, come anche nelle piccole nervature, scorrenti sotto il palizzata. (1) Adansonia. Tome VII, pag. 145. . SSR I laticiferi seguitano a trovarsi sempre nella zona cribrosa al limite esterno, con percorso abbastanza regolare e parallelo, sebbene presentino biforcazioni e piccoli rami laterali, che formano una laschissima rete a maglie rade, allungatissime. Le cellule del tessuto spugnoso formano guaina attorno al fascio conduttore, e si trovano così vicino ma non a contatto coi vasi laticiferi, che non si isolano mai. La stessa disposizione si ritrova nel P. orzentale, nel P. somniferum coi laticiferi molto vicini alla zona va- scolare; invece nella Boccoria cordata e nell'Argemone mexicana, stanno quasi alla periferia. MoRACEE. Il De Bary, riunendo dal punto di vista dei vasi laticiferi le Urticacee alle Apo- cinee ed Asclesiadee, non dà nessuna notizia particolare. Anche noi su questa fami- glia abbiamo risultati imperfetti non avendo esaminate che specie del genere /zews. Nel suo fusto noi troviamo generalmente una zona completa conduttrice con la por- zione cribrosa difesa da gruppetti di fibre liberiane assai ispessite; nel picciolo si ha la medesima disposizione, ma talvolta vi è un sol cordone centrale senza midollo. I laticiferi, più o meno grossi secondo le specie, sono regolari, paralleli nell’internodo, e si trovano sparsi in numero rilevante nella corteccia e nel midollo, qui, special- mente in una cerchia vicino alla zona vascolare, sopratutto quando scompare parte del midollo ed il fusto è cavo internamente. Al nodo, come in molti altri casi, per- dono il percorso regolare, danno ramificazioni diverse e formano il solito gomitolo, molto più spesso nella corteccia, nell’ascella e attorno alla traccia fogliare, che nel midollo. Nel picciolo riprendono il percorso parallelo. Nella lamina molto spessa del Yicus elastica Rosb, il tessuto acquifero sottoepi- dermico è sviluppatissimo, lo spugnoso ha grandi lacune, la rete vascolare è piuttosto fitta, ed anche le ultime nervature contengono parecchi vasi che si trovano vicino al palizzata, da cui son divise da una o due file di cellule. Tutto il fascio è rafforzato da numerosissime cellule ceristallofore, ed inferiormente da un tessuto meccanico di grosse fibre sclerenchimate. I laticiferi accompagnano le nervature in numero vario, sempre minore, quanto più piccolo è il fascio, ma di quando in quando alcuni di essi l'abbandonano, oppure danno rami laterali che scorrono isolati nei tessuti vicini. Al- cuni giungono fino all’assimilatore, penetrano tra le cellule inferiori e tra le vere cel- lule a palizzata, arrestandosi ivi o facendosi strada, tra il tessuto acquifero, anche fino all'epidermide (Tav. V, fig. 24 e 25). Anche in questa specie, nelle sezioni trasversali dei laticiferi (Tav. V, fig. 26) troviamo che le grosse cellule del tessuto acquifero, assu- mono una forma un po' più piriforme dell'ordinaria, dirigendo la punta a preferenza contro il laticifero. In maggior numero sono i rami che diretti nello spugnoso lo per- corrono in senso vario, in parte scorrendo da un fascio conduttore all’altro, in parte terminando liberi contro lo straterello di cellule palizzatiformi, ricche di clorofilla, che in queste piante si trova più o meno sviluppato al disotto dell'epidermide infe- riore, e che certamente assimila. Evidente, come in altre piante, è l’appoggiarsi che fanno sui laticiferi i rami di moltissime cellule del tessuto spugnoso, che compiono le funzioni di collettore e trasmissore dei prodotti d'assimilazione. Similmente si comportano — 58 — il /. Benjamina L., F. Brasiliensis Link, !. bengalensis L., F. cordata Thbg., F. nereifolia Reihw. (Tav. V, fig. 27) /. Abelùz. In molte altre specie abbiamo, è vero, la medesima disposizione dei diversi tes- suti e del sistema conduttore, ma i laticiferi, sebbene accompagnino i fasci, non si tro- vano mai isolati, nè danno ramificazioni. Allora sono più numerosi vicini al palizzata dal lato dei vasi, e contro essi si appoggiano numerose cellule collettrici. Apparten- gono a questo tipo il /. mierophylla, F. scabra Jacq., P. laurifolia Lam., F. Surin- garti, F. rubiginosa, F. stipulata Thunb., F. capensis Thbg. DIPSACEE. A proposito di questa famiglia il Van Tieghem (') dice che nel sottile periciclo del fusto dei Dipsacus si trovano cellule secretici latiginose isolate od aggruppate, come pure nella foglia tra l'arco endodermico che riveste i fasci e la parte cribrosa. Noi abbiamo esaminato solo il Dipsacus pilosus L., ma in esso ci sono i laticiferi comuni, piccoli, numerosissimi, immersi nella zona cribrosa, ove si mantengono abba- stanza regolari, quasi mai anastomizzati. Al nodo, al distacco delle traccie fogliari, divengono invece irregolari, anastomizzati, biforcati, e formano un piccolo gomitolo, che presto cessa per ridare origine ai percorsi regolari. Nella foglia si hanno nume- rose nervature, vicine al palizzata, colla porzione eribrosa sviluppatissima, nella quale stanno i laticiferi, in gran numeso, regolari, paralleli, e seguitano così in tutto il per- corso dei fasci conduttori, senza mai isolarsi, nè dar rami, che attraversino i tessuti. NINFEACEE. Di laticiferi propriamente detti e simili a quelli già studiati non ne troviamo in questa famiglia; essi sono sostituiti da speciali cellule laticifere, più o meno piccole, di forma varia e che occupano posizioni speciali secondo che sì considerano le specie appartenenti alle Cabombee, Nupharee, Ninfee e Nelumbiee. Seguendo la descrizione che ne fa Van Tieghem, sul suo lavoro: Sur l'appareil séeréteur et les affinités de structure des Nymphéacées (*); abbiamo voluto vedere che rapporti tali cellule pren- devano coi tessuti assimilatori, rapporti dei quali non è fatta parola nel detto lavoro. Però solamente nel Nel/umbium speciosum W. siamo riusciti a vedere chiaramente le cellule laticifere numerosissime sparse nel parenchima spugnoso, o aggruppate irre- golarmente. Intorno ad esse si appoggiano le irregolari cellule del mesofillo, ed anche in buon numero le cellule collettrici (Tav. V, fig. 28); però non le troviamo mai fra le cellule del palizzata e nemmeno immediatamente al di sotto di esse. Invece l'epidermide inferiore vi si trova spesso a contatto, oppure solamente separata da una sola cellula. Come per le Dipsacee, anche per questa famiglia sono necessarî studi più numerosi ed estesi alle diverse specie. (!) Second mémoire sur les canaun sécréteurs des plantes. Ann. des scien. natur. VII© série, tome I, 1885 pag. 21. (*) Bulletin Soc. botan. de France. Tome XXXIII, 1886, pas. 72. 99 = Per riassumere in poche parole i diversi rapporti che i laticiferi prendono col sistema assimilatore nelle diverse . piante studiate, li raggrupperemo in alcuni tipi principali, secondo la loro importanza. Questi tipi non sono costanti nella medesima famiglia, anzi vi si trovano modificazioni importanti, certamente dovute alle diverse condizioni, al diverso sviluppo degli organi assimilatori, ed al diverso bisogno che ogni singola pianta ha di trasportare più o meno celeramente le sostanze assimilate. Forse queste diversità non vi dovrebbero essere se i laticiferi facessero parte esclu- sivamente del sistema secretore. I tipi principali sono i seguenti: 1° I laticiferi penetrano insieme ai fasci vascolari del picciolo nella lamina fogliare, si diramano in essa accompagnando le nervature, ma non arrivano mai alle ultime piccole diramazioni, nè si isolano nel parenchima del mesofillo. In questo caso i rapporti col sistema assimilatore sono indiretti, poichè fra le cellule del tessuto spe- cifico assimilatore, cioè del palizzata e i laticiferi troviamo le cellule collettrici e di trasmissione, sopratutto del tessuto spugnoso. Quindi le sostanze elaborate dalle cel- lule verdi verrebbero trasmesse in parte ai laticiferi per via indiretta. Appartengono a questo tipo il Ner:um Oleander, Cerbera lactaria, Rhycospermum chinense, Va- sconcella hastata, Carica sp., Dieffenbachia Sequine, Jasione montana, Sonchus oleraceus, S. arvensis, S. asper, Crepis vesicaria, Euphorbia Apios, Papaver Rhoeas, P. orientale, P. somniferum, Bocconia cordata, Argemone Mewicana, Ficus miero- phylla, Y. scabra, F. laurifolia, F. Swringarii, F. rubiginosa, F. stipulata, F. ca- pensis, Dipsacus pilosus, Nelumbium speciosum. Nelle Musa, sebbene i laticiferi non s'isolino mai, i rapporti sono più diretti, perchè le cellule del palizzata stanno a con- tatto coi vasi, che accompagnano superiormente i fasci. 2° I laticiferi, oltre all’accompagnare i fasci, come si è detto sopra, si trovano per piccoli tratti isolati, specialmente nei parenchimi vicini alle nervature, sicchè senza essere ancora in strettissimi rapporti col sistema assimilatore, perchè ne restano sempre divisi da un numero più o meno rilevante di cellule di trasmissione, pure segnano una condizione più vantaggiosa della precedente. Essa sì ritrova nella Beau- montia grandiftora, Rhyneospermum jasminoides, Vallesia cymbaefolia, Plumeria hypoleuca, Plumeria sp., Thevetia nereifolia, Blaberopus venenatus, Gomphocarpus fruticosus, Ceropegia elegans, Euphorbia dendroides, E. Peplus, E. amigdaloides, Homalomena rubra, Aglaonema commutatum, Siphocampylus ignescens, S. canus, S. coccineus, Tragopogon porrifolium. 3° A questo tipo apportengono tutte quelle piante in cui i rapporti sono molto stretti ed evidentissimi, poichè i laticiferi, dopo aver accompagnato i fasci, 0 s'isolano o mandano numerosissime ramificazioni isolate, che attraversano irregolarmente il tes- suto spugnoso, il tessuto a palizzata (arrivando fin contro le cellule epidermiche), colle cellule dei quali stanno in strettissimi rapporti. Essi sono così i collettori più diretti delle sostanze assimilate in tutte le cellule verdi. — Riscontrasi nelle seguenti piante: Tanghinia venenifua. Tabernaemontana coronaria, T. amygdalifolia, Plumeria bicolor, P. acutifolia, Alyaia daphnoides, Vinca maior, Trachelospermum Thun- bergii, Arduinia bispinosa, genere Stapelia, Stephanotis floribunda, Hoja carnosa, Twedia coerulea, Cryptostegia grandiftora, Euphorbia pendula, E. splendens, E. Ti- rucalli, E. caput-Medusae, E. canariensis, E. ceratocarpa, Poinsettia pulcherrima, — 40 — Gymnanthes elliptica, genere Croton, Carica Papaya, Caladium erubescens, Syngonium auritum, Alocasia metallica, Xanthosoma roseum, Lobelia Erinus, L. excelsa, Tupa ignescens, T. erassicaulis, Canarina Campanula, Campanula Cervicaria, C. gregaria, C. gracilis, C. Rapunculus, C. Vidaliî, Trachelium coeruleum, Crepis neglecta, Ficus elastica, F. Benjamina, F. brasiliensis, F. bengalensis, F. cordata, F. nereifolia, FP. Abelîi. Da queste brevi notizie sulla distribuzione e sul decorso dei laticiferi nelle varie famiglie che ne sono fornite, si vede che quei rapporti che l’ Haberlandt segnalò in poche specie col sistema assimilatore, sì riscontrano nella gran maggioranza dei casi e, sebbene più o meno intimi, considerati dal punto di vista anatomo-fisiologico, pare a noi abbiano di certo una grande importanza per determinare l'ufficio che i laticiferi stessi compiono nelle piante, e cioè confermino l'opinione esposta dall'Haberlandt stesso, che questo particolare sistema di vasi o di cellule concorra nel trasporto delle sostanze plastiche o formative. Eri l. »_2 » 3 » 4 » 5 » 6 Fic. 7 4 » 8 DICI » 10. » ll 12. tre fi SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (1). Tavola I. Sezione trasversale della foglia di Zanghinia veneniflua, nella terminazione d'un fascio con- duttore, circondato da vasi laticiferi. Un ramo d’essi si spinge fra le cellule del parenchima fogliare, verso l'epidermide superiore. (Ingrandimento 255/, t°] . Sezione trasversale della foglia di 7anghinia veneniflua, con la terminazione d’un vaso lati- cifero. (Ingrandimento 255/,) . Sezione trasversale della foglia di Plumeria sp., con due vasi laticiferi distinti, ed a sinistra una nervatura. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Arduinia bispinosa, con un grosso laticifero, che dopo aver accompagnato un fascio conduttore, seguita biforcandosi. (Ingrandimento 255/,) . Sezione longitudinale del fusto di Stapelia planiflora, con un fascio conduttore e numerosi frammenti di vasi laticiferi. (Ingrandimento 55/1) . Sezione trasversale del fusto di Stapelia planiffora; porzione corticale con numerosi fram- menti e terminazioni di laticiferi. ‘Ingrandimento 55/1) Tavola II. . Sezione trasversale nella foglia di Stephanotis floribunda, mostrante un fascio conduttore lon- gitudinale e il taglio d'uno trasversale. Un vaso laticifero scorre sotto le cellule a palizzata (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di S. floribunda, con il taglio d'un fascio conduttore sor- montato da quello di due laticiferi, uno dei quali, il superiore, scorre tra la prima e la seconda serie di cellule a palizzata. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Cryptostegia glandiflora, con la terminazione d’un fascio conduttore e due laticiferi. (Ingrandimento 255/,) Sezione trasversale della fogliolina di Euphorbia caput-Medusae ; con un laticifero che attra- versa il parenchima fogliare, fin sotto l’epidermide, contro cui termina. (Ingrandimento 255/,) . Sezione trasversale della foglia di Euphorbia ceratocarpa , con la terminazione di tre latici- feri, due nello spugnoso, uno attraverso il palizzata, sotto l'epidermide superiore. (Ingrandi- mento 255/,) Sezione trasversale della foglia di Gymnanthes elliptica, con un pezzo di laticifero, che, dopo aver corso appoggiato contro le cellule a palizzata, termina rigonfiato a clava. (Ingrandi- mento 255/1) (1). (Spiegazione delle lettere). N. B. I laticiferi sono colorati in rosso-bruno. es=-Epidermide superiore della foglia. pm=-Parenchima midollare. e i=Epidermide inferiore della foglia. fe==Fascio conduttore. e==-Epidermide del fusto. t=Lacune. pp=Parenchima a palizzata. cce=Cellule collettrici. p s==Parenchima spugnoso. ta=Tessuto acquifero. pc=-Parenchima corticale. Ann. Ist. Bor. — Von. III 6 Fic. 13. » 14. Fic. 23. (9) Dì Ep Tavola 1II. Sezione del mesofillo del Croton aucubaefolium, parallela all’epidermide superiore, con una rete estesissima di laticiferi isolati. (Ingrandimento 120/,) Sezione del palizzata del Crotorn aucubaefolium, parallela all’epidermide superiore, con la terminazione di due laticiferi, uno dei quali biforcato. (Ingrandimento 120/1) 5. Sezione trasversale del Croton aucubaefolium, con diversi laticiferi nel parenchima spugnoso, e loro terminazione contro le due epidermidi superiore ed inferiore. (Ingrandimento 255/1) . Frammento dello stesso, con terminazione caratteristica d'un laticifero contro più cellule epidermiche, e tagli di due vasi. (Ingrandimento 255/1) Tavola IV. Frammento di sezione trasversale di Croton aucubaefolium, rappresentante il taglio d'un laticifero messo in rapporto col palizzata da tre cellule collettrici. (Ingrandimento 500/;) . Sezione trasversale della foglia di Caladium erubescens, con la terminazione d'un fascio con- duttore e due laticiferi (Ingrandimento 255/1). . Sezione trasversale della foglia di Syngonium auritum, con un laticifero caratteristico delle Aroidee. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Xarthosoma roseum, con fascio conduttore e laticifero molto ramificato. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Zobelia Erinus, con la terminazione d'un fascio condut- tore e d'un laticifero con ramificazioni che vanno al palizzata e alle due epidermidi. (Ingran- dimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Campanula Vidalii, con un laticifero che dal fascio con duttore va alle grosse cellule epidermiche. (Ingrandimento 255/1) Tavola V. Sezione trasversale della foglia di Crepis zeglecta, con un fascio conduttore che copre un laticifero, la cui terminazione libera si ricurva e s'appoggia al palizzata. (Ingradimento 255/,) . Sezione trasversale della foglia di Yicus elastica, con un laticifero, che attraversa il paliz- zata, si fa strada nel tessuto acquifero e termina ricurvo sotto le cellule epidermiche. (Ingran- dimento 500/,) . Sezione trasversale della foglia di Ficus elastica, con la terminazione d’un laticifero nello sviluppatissimo tessuto acquifero. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Ficus elastica, con il taglio d'un laticifero nel tessuto acquifero. (Ingrandimento 500/,) . Sezione trasversale della foglia di Micus nereifolia, con la terminazione d'un laticifero verso l'epidermide inferiore. (Ingrandimento 255/1) . Sezione trasversale della foglia di Ne/umbium speciosum, con varie cellule laticifere, in rap- porto col tessuto collettore. (Ingrandimento 255/1) — 43 — Sulla distribuzione dei fasci fibrovascolari nel loro decorso dal fusto alla foglia del dott. CAMILLO ACQUA. (Tav. VI-VII). Lo studio dell'anatomia vegetale, che in questi ultimi anni ha acquistato sempre maggiori proporzioni, ha condotto molti botanici all'esame del fusto, sia con criterî puramente anatomici, sia con criterì di anatomia applicata alla sistematica, ed altri parimenti condusse allo studio anatomico del picciuolo, specialmente come applicazione alla classificazione delle piante. Così tra coloro, che descrissero il decorso dei fasci nel fusto, mi limiterò ora a citare il Niigeli (!), i cui lavori magistrali costituiscono il fondamento di questa parte d'anatomia vegetale. La scuola francese è forse stata la più feconda di autori, i quali abbiano trattato di anatomia del fusto e del picciuolo appli- cata alla sistematica, e in seguito si avrà più volte occasione di occuparsi di essi. Ma se noi procuriamo riunire in una sintesi tutti questi lavori e dal loro confronto trat- tegiare l'intero decorso dei fasci nella pianta, ci accorgiamo che a un dato punto questo tentativo riesce impossibile e vi è una lacuna, che niun lavoro di anatomia generale si è accinto a colmare. Questa lacuna è costituita dalla grande insufficienza di cognizioni che si ha presentemente sul decorso dei fasci che discendono dalla foglia e raggiungono il cilindro centrale del fusto. Coloro che studiarono l'anatomia di quest'ultimo deserissero il decorso dei fasci fino al loro staccarsi dal cilindro e più in là non li seguirono; gli altri invece, che rivolsero le loro ricerche all'esame del picciuolo, considerarono la disposizione dei fasci in questo senza occuparsi del come essa fosse originata; sicchè uno studio di anatomia generale sulla distribuzione dei fasci nel loro passaggio dal fusto alla foglia manca presentemente. Non bisogna però dimenticare le numerose monografie e di specie e di generi e più raramente di famiglie. Nella maggior: parte di esse si contengono sufficienti osser- vazioni, delle quali procurerò in seguito tenere il maggior conto possibile. Il presente lavoro è adunque una prima contribuzione allo studio del decorso dei fasci fogliari, e, per non allargare di troppo il campo delle osservazioni, si aggira uni- camente su piante dicotiledoni. Sarebbe in errore chi credesse essere l'oggetto delle mie ricerche lo studio dei diversi gruppi di piante dal punto di vista dell'anatomia comparata della foglia; invece (1) Veber das Wachsthum des Stammes und der Wurzel bei den Gefiissplanzen. Beitrige zur wissenschaftlichen Botanik. Erstes Heft. Leipzig 1858. BR o mi sono prefisso uno scopo diverso; io ho cercato dei tipi distinti di decorso dei fasci fogliari, procurando d’assicurarmi che quella forma di decorso da me notata non costi- tuisse una anomalia accidentale, ma che, ripetendosi in più foglie ein più individui, essa venisse realmente a costituire ciò che io ho chiamato: un tipo di decorso. Trovati così dei tipi distinti in diversi gruppi di piante, io ho cercato compa- rarli tra loro per scorgerne le relazioni e osservare se, collocando alle due estremità di una linea i due tipi più differenti, gli altri potessero occupare dei gradi intermedî dai più semplici ai più complicati. Ciò premesso, non si dovrà credere che i tipi de- scritti per un gruppo di piante siano i soli che possano riscontrarsi, ma semplice- mente che essi esistono, quali verranno descritti, in quei dati gruppi. È anche utile aggiungere come le presenti osservazioni si riferiscono soltanto a piante aventi foglie adulte; ma inoltre è anche necessario notare, come, ciò non ostante, la possibilità di variare nella stessa specie esista sempre; infatti ho più volte tro- vati descritti in qualche monografia di piante, che erano già state da me studiate, oltre i tipi, che io aveva notati, altri diversi, che, variando l'età, l'ambiente, le con- dizioni di vita, non mancano di presentarsi. Il seguire passo passo le singole varia- zioni anatomiche, il descrivere i diversi tipi di decorso in relazione con l'età, con la morfologia della pianta, non poteva formare oggetto di ricerche generali fatte in gruppi di piante diversissime, molte delle quali straniere, e quindi in condizioni diverse da quelle della loro patria. Ho premesso tutto ciò perchè dalle mie osservazioni non siano tratte erronee conclusioni. Debbo però ora aggiungere essere mia convinzione che i tipi riscontrati in un gruppo di piante siano in generale i più frequenti e quindi i più comuni. Essi saranno descritti ordinatamente a partire dai più semplici fino a giun- gere ai più complicati, e spesso comprenderanno dei sottotipi o delle varietà, a seconda che le specie, le quali vi appartengono, presenteranno per il lato che consideriamo una affinità maggiore o minore. Prendendo di mira questo concetto, le divisioni di famiglie, generi ecc. evidentemente scompaiono, poichè spesso troviamo aggruppate in uno stesso tipo piante tra loro diversissime; perciò dopo compiutane la descrizione nel modo che sopra ho detto, ho creduto opportuno riordinarle per famiglie in un quadro sinottico con accanto i rispettivi tipi di decorso e ciò affinchè riesca facile lo scorgere quali variazioni nel decorso dei fasci fogliari corrispondano a ciascuna famiglia. Dei criterî, dei quali mi sono valso per stabilire i diversi tipi, mi riservo a par- lare infine, quando la descrizione delle varie specie ci avrà fornito argomento per discorrere sulla importanza di essi. Intanto eredo opportuno premettere qualche schia- rimento sul significato speciale che intendo dare ad alcune frasi, e ciò per meglio faci- litare al lettore l'intelligenza della descrizione. Io dico che /a foglia s'inserisce sul fusto per due, tre 0 più cordoni secondo che i suoi fasci raggiungono la cerchia del fusto in due, tre o più punti tra loro di- stinti e separati il più delle volte da altri fasci preesistenti. Dico invece che /°in- serzione sì fa per un solo cordone o per un solo gruppo di fasci, quando questi raggiungono la cerchia o in un solo punto o in punti tra loro vicini non separati il più delle volte da altri fasci preesistenti. Dieo infine che l'inserzione sé fa in più di un internodio, quando una parte dei fasci fogliari raggiunge la cerchia poco dopo essere entrata nella corteccia, e un'altra parte invece persiste per qualche tempo in BERT. [e forma di cordoni corticali, unendosi alla cerchia nel primo o nel secondo internodio sottostante. Se noi conduciamo longitudinalmente un piano, che divida per metà fusto e foglia, scorgiamo che nei casì, ne’ quali l'inserzione di quest'ultima si fa per un solo cor- done, esso è anche generalmente diviso dal piano ; nei casi d’inserzione per 3, 5 0 7 cordoni, uno di essi, cioè quello che si unisce col punto della cerchia più vicino alla foglia, è parimenti diviso dal piano, gli altri invece sono ad esso simmetrici. Io chia- merò il primo col nome di cordone o fascio mediano, gli altri denominerò cordoni o fasci laterali. Così nei casi d’inserzione per tre fasci si avrà un fascio mediano e uno laterale per parte; se poi l'inserzione avverrà per cinque o per sette fasci, si avranno oltre il mediano due o tre fasci laterali per parte. Da ultimo nei casi d’inserzione per due cordoni il piano passa nel punto mediano tra essi, senza dividerli generalmente. Un altro carattere, del quale mi sono valso per stabilire dei tipi e anche dei sottotipi, è la presenza o la mancanza di anastomosi. Alcune volte i cordoni che partono dalla cerchia del fusto prima di entrare nella foglia si dividono e si uniscono tra loro in un modo caratteristico e il più delle volte costante per una stessa specie. Questa anastomosi può avvenire anche lungo il picciuolo o in vicinanza del lembo o del piano d'inserzione delle foglioline. Altre volte esistono ambedue i casi, cioè vi è un’ ana- stomosi doppia, alla base del picciuolo e nella parte superiore di esso. Prendiamo qualche esempio. Le foglie di Pelargonzum sonale Willd. hanno tre fasci d'inserzione, e ciascuno di essi nell'uscire dalla corteccia si divide in tre parti, cosicchè ne derivano nove fasci; allora essi s'intrecciano e si rifondono in modo da costituirne soltanto cinque. Uno sguardo dato alla fig. 1 della tav. VIII può far comprendere il processo; i fasci laterali sono stati colorati in turchino e il mediano in rosso per far meglio risaltare l'intreccio. Nelle foglie composte di Corzum maculatum Lin. troviamo che i fasci, i quali si portano ai piccioli secondarii o alle foglioline, scambiano sempre numerose ramifi- cazioni con tutti i loro vicini. Le fig. 7, 8 della tav. VII mostrano in sezione tra- sversale l'intreccio intimo che subiscono i varî fasci. Ora in tutti questi casi, nei quali i fasci fogliari prima di entrare nel lembo o nelle foglioline contraggono rela- zioni costanti e per il numero e per la regione della foglia in cui si presentano, io dico che esiste una vera anastomosi. Altre volte i fasci passano alla foglia tra loro disgiunti senza aver subìto alcuna relazione di contatto. Molte Composte presen- tano questo modo di decorso, nel quale, come si vede, non vi è anastomosi. Una esatta Jinea di divisione manca però tra queste due forme, infatti anche nei casi, nei quali non vi è anastomosi, non è cosa rara lo scorgere come qualche ramificazione scambiata possa effettivamente mettere in relazione un qualche fascio col suo vicino; ma ciò innanzitutto è un fenomeno parziale ridotto a qualche fascio; di più esso si presenta variabilissimo da individuo a individuo e si compie senza regola alcuna numerica e topografica. In questo caso adunque non esiste un'anastomosi nel senso che io ho attribuito a questo vocabolo. Altre volte avviene che i cordoni stac- catisi dalla cerchia nel passare alla foglia si dispongono l'uno accanto all'altro, venendo così a costituire, a seconda dei casi, o un arco o una cerchia corzinua. In questi casi una vera anastomosi, come per altre specie fu descritta, sembra non esistere, poichè i diversi fasci non fanno che accostarsi tra loro senza presentare quel vario intreccio caratteristico, quale vedemmo nei Pelargoni. Però quantunque il processo in apparenza sia diverso, io ho creduto dover collocare le piante che lo presentano tra quelle aventi anastomosi. I diversi fasci infatti, sebbene in modo diverso, vengono a contrarre, al pari di quelli di altre specie, una effettiva relazione di contatto, poichè si fondono in un’ unica massa fibrovascolare, avente forma diversa o di arco o di cerchia, nella quale scompare ogni traccia di divisione. Dopo aver descritte le specie, che appartengono a un dato tipo, nel modo il più 7 conciso che mi sarà possibile, io esporrò alla fine di esso in carattere diverso qualche considerazione che si riferisca particolarmente alle varie specie studiate, rimandando il lettore all’ ultima parte per ciò che riguarda le considerazioni di indole generale. Così pure alla fine di ciascun tipo esporrò brevemente quanto ho appreso dall'esame di altri lavori consultati in proposito. A questo punto mi piace far notare come sia stato mio intendimento estendere ampiamente lo studio bibliografico sul decorso dei fasci che si portano alla foglia; ma, se si toglie una parte delle monografie, nel maggior numero degli altri casi, come sopra ho detto, mi è stato impossibile raccogliere nozioni sufficienti. Del lavoro del Nîgeli ('), che sopra ho menzionato, non potei utilizzare che una piccola parte, poichè in esso l'insigne autore rivolge unicamente l’attenzione al decorso dei fasci nel fusto, considerando anche le traccie fogliari da questo unico punto di vista. Così pure il pregevole lavoro del De-Bary (2) non mi ha recato che debole aiuto, stante la sua indole di trattato generale di anatomia vegetale, che non può quindi discendere a particolari e a dettagli. Della lunga serie di botanici tede- schi e in maggiori proporzioni francesi, che si volsero allo studio dell'anatomia sistema- tica, tentando così dar vita a un nuovo ramo di scienza, io parlerò durante la descrizione delle specie da me studiate, procurando trar profitto dalle loro osservazioni circa il decorso dei fasci fogliari, e di essi infine parlerò nell'ultima parte traendo argomento dal fatto, che più autori in questi ultimi tempi credettero scorgere un buon criterio di classificazione nella distribuzione dei fasci e nella struttura del picciuolo. Una sufficiente cognizione sul decorso dei fasci fogliari non potrebbe essere data che da un esteso numero di osservazioni; prima adunque di passare alla descrizione delle diverse specie io non posso non rammentare anche una volta l'indole del pre- sente lavoro, cioè quello di una prima contribuzione, la quale quando fosse fatta se- guire da studî ulteriori, il che potrebbe anche avvenire per mio mezzo, credo sarebbe per recare un non spregievole soccorso allo studio dell'anatomia dei vegetali. I. Tipo. L'inserzione della foglia nel fusto si fa per un solo cordone o per un solo gruppo di fasci, il quale traversa obliquamente la corteccia e si inserisce tosto nella cerchia. Le sue dimensioni sono variabilissime; così mentre alcune volte si riscontra un fascio ordinario, altre volte può essere perfino un terzo della cerchia, che sembra distaccarsi per passare alla foglia. Tra questi due gradi estremi ve ne sono naturalmente degli (1) Op. cit. (*) Vergleichende Anatomie der Vegetationsorgane der Phanerogamen und Farne. Leipzig 1857. x ig 4 intermedî. Nelle foglie sessili dal cordone o gruppo di fasci partono direttamente le nervature, nelle foglie picciuolate possiamo distinguere più casi. Alcune volte i fasci traversano il picciuolo come si sono staccati dalla cerchia senza subire alcuna modi- ficazione, o presentando soltanto delle divisioni. Altre volte invece essi modificano la propria disposizione prendendo forma o di un arco o di una cerchia aperta. A. prima vista riesce difficile lo stabilire quando una data forma di disposizione si accosti più a quella dell'arco che della cerchia o viceversa; ma mediante una più accurata osser- vazione si riesce a trovare un carattere che ci permette di fare una tale distinzione con una qualche esattezza. Questo carattere è costituito dal diverso modo con il quale si partono le ramificazioni nel lembo. Tutte le volte che la disposizione dei fasci nel picciolo tende più a quella di un arco che di una cerchia è alle estremità del primo che partono le nervature; quando invece la disposizione tende più alla forma di cerchia è ai lati di questa che si dipartono le nervature. Per questi e per altri caratteri possono distinguersi parecchi casi. 1° Il cordone, staccatosi dalla cerchia del fusto, traversa la corteccia e tosto sì divide per dare origine alle nervature, o quando esiste un picciuolo lo traversa non presentando che traccie di divisioni. Vi ascriveremo la Wubrecia laevigata Smith., il cui decorso dei fasci che vanno alla foglia è schematicamente rappresentato dalla fig. 1 tav. VI. In /p si scorge il cordone d'inserzione che si ramifica per dare origine alle nervature. Vi appartengono inoltre le seguenti specie: Callistemon saligna Sm., Callistemon rugulosa Willd., Melaleuca styphelioides Smith, decussata R. Br., sparsa, armil- laris Smith, pulchella R. Br., thymifolia Smith., Myrtus tarentina Mill.. Thaspi perfoliatum Lin., Capsella bursapastoris Moench., Matthiola incana R. Br., Carda- mine hirsuta Lin., Ulex europaeus Lin., Hyssopus officinalis Lin., Salvia candelabrum Boiss., Prasium majus Lin., Origanum dictamnus Lìn., majorana Lin., Satureja montana Lin., Lavandula dentata Lin., Thymus vulgare Lin., Rosmarinus officinalis Lin, Zithospermum rosmarinifolium Tenor., purpureo-coeruleum Lin., Anchusa hybrida Tenor, Cynoglossum pictum Ait., Myosotis palustris With., Omphalodes linifolia Moench., verna Moench., Thelygonum cynocrambe Lin., Euphorba peplus Lin. (foglie alterne), Buzus sempervirens Lin., balearica Lam., rosmarinifolius Hort., Lychnis coronaria Dsr., poseueuli Lin., viscaria Lin., Silene inffata Smith., italica Pers., /ruticosa Lin., Dianthus deltoides Lin., barbatus Lin., rupicola Bivon., Cera- stium thomasii Tenor., arvense Lin., fomentosum Dec., Cucubalus bacciferus Lin., Saponaria officinalis Lin., Gypsophilta saxifraga Lin., Arenaria media Lin., Quil- laja saponaria Molina, Aster ericoides Lin., Eriocephalus africanus Lin., Relhania genistaefolia Herit., Symphytum officinale Lin. le cui foglie s'inseriscono general- mente per un gruppo di cinque fasci. Si rassomigliano la Borago officinalis Lin., il Sisymbrium asperum Lin. __ 2° Il gruppo dei fasci non appena sortito dalla corteccia assume la forma di un arco, dalle cui estremità si staccano due ramificazioni costituenti due cordoni corticali. (Tav. VI, fig. 7 ec.). Nel lembo dalle estremità dell'arco partono altre ramificazioni, che, unendosi ai cordoni corticali, costituiscono le prime nervature. Vi ascriveremo la Brunfelsia americana Lin. della quale la fig. 7 della tav. VI rap- x Le presenta una sezione trasversale del picciuolo, e che qualche volta può presentare nei suoi cordoni corticali ce traccie di divisioni. Essa ha anche nel centro un cordone meccanico non rappresentato dalla figura. Simile comportamento ha la Sol/andra nitida Zuccag. tranne però la mancanza del cordone centrale e l'assenza quasi totale di divisioni nei cordoni corticali. Sono poi somiglianti le seguenti specie: Atropa solanacea AU., Solanum glutino- sum Dunal., triquetrum Cav., Freylinia cestroides Colla, Iochroma coccineum Scheidw., tubulosum Bth., Cestrum aurantiacum Meyer., Datura arborea Lin., Nicotiana glauca Graham., Solandra grandiflora Swartz., Habrothamnus magnificus Hort., Teucrium fiavum Lin., Salvia grahami Benth., gesneriaeftora Hort., Physalis peruviana Lin., le cui foglie s' inseriscono nella cerchia del fusto per un gruppo formato generalmente da 3 fasci. Si rassomiglia il Solanum haemathocarpum. Nelle altre specie che seguono si nota la formazione di un arco come sopra si è detto, ma con l'asseriza frequente di cordoni corticali: Psidium pomiferum Lin., Euge- nia vulgaris Dec., australis Dec., baruensis Spr., acris. Wght et Arn. 3° I fasci si dispongono in semicerchia con i lati spesso rientranti. Le ramifica- zioni nel lembo si staccono non dalle sue estremità ma dai suoi lati. (Tav. VI fig. 10 f.). Vi appartengono le seguenti specie: Salvia selaraea, Lin. ceratophylloides Lin. nelle quali le prime ramificazioni del lembo partono dalle estremità della semicerchia, cosicchè queste specie presentano ambo i modi di ramificazioni. Presentano poi tipi- camente una ramificazione laterale: l’ Zucalyptus globulus Labil., (Tav. VI fig. 10 /l.) resinifera Smith., cornuta Labil., l' Eugenia malacensis Dec., la Metrosideros vil losa Sm., il Citrus medica Lin. Le tre specie di Buzus che abbiamo studiate presentano delle particolarità che vogliono essere descritte. Il Weiss (*) per primo notò nei giovani fusti di Buxus sempervirens Lin. la presenza di quattro cordoni corticali posti ai quattro angoli, (tav. VI fig. 2 cc), i quali nella parte superiore si univano ai fasci fogliari e nella inferiore invece si terminavano bruscamente nel parenchina corticale senza congiungersi con la cerchia del fusto. Ma in questi ultimi tempi l’Hérail (*) sorse a combat- tere le osservazioni del Weiss e a sostenere chei cordoni corticali, anzichè terminarsi nel parenchima omonimo, sì univano realmente colla cerchia centrale. Ora io, credendo importante il risolvere una tale questione, ho compiuto su le tre specie sunnominate una serie di osservazioni, che mi permet- tono di dichiarare vera l’ asserzione del Weiss e ritenere 1° Hérail vittima di un sicuro errore. Ecco adunque realmente come vanno le cose. I quattro fasci provengono dalle foglie opposte, nelle quali essi occupano gli orli, ed entrano nel fusto unitamente ai cordoni d° inserzione. Quindi è che da ognuno dei due opposti punti penetrano nella corteccia tre fasci e di questi il mediano s' inserisce tosto nella cerchia e gli altri due persistono come cordoni corticali. Ne consegue che, essendo due le foglie, sì avranno quattro fasci disposti ai quattro angoli del fusto (tav. VI fig. 2 cc). Dopo ciò essi decorrono senza altre modificazioni per tutto l’internodio sottostante. Le foglie del Buwus sono opposte e decussate, quindi nel prossimo paio inferiore da altri due punti opposti della cerchia entrano insieme ai cordoni d’ inserzione altri quattro di questi fasci. Allora i primi sì assottigliano rapidamente e poco dopo scompaiono senza essersi congiunti con la cerchia del fusto come vorrebbe l'Hérail. Quindi in totalità si ha un sistema di fasci corticali, del tutto disgiunti dal cilindro cen- (1) Markstindiges Geftissbundelsystem einiger Dicotyledonen in seiner Beziehung zu den Blatts- puren. Botanisch. Centralblatt, t. XV, p. 280. (*) Recherches sur l’anatomie comparée de la tige des Dicotylédones. Ann. de science. natur. 7à série — Botanique. T. II, N. 2,3, 4, 5, 6. = 40 = trale, che percorrono un internodio e si estinguono quando altri sono giunti a sostituirli, cosicchè i quattro fasci di un internodio alternano con quelli degl’internodi vicini. Esagerando il fenomeno per meglio far comprendere la loro disposizione, si avrebbe in projezione schematica la fig. 8 della tav. VI. All’ esterno del fusto quattro coste rivelano la presenza di un sistema corticale. Ora dal momento che questi fasci, tolta qualche relazione che possono contrarre col cordone d' inserzione nell’ uscire dalla corteccia, rimangono divisi da tutto il resto del sistema conduttore, sorge tosto una domanda: quale è la ragione della loro presenza ? Poichè è evidente che come organi con- duttori non possono funzionare e per la mancanza di continuità tra di loro e per l'assenza di rela- zioni colla cerchia del fusto. Volendo rispondere ad una tale domanda cominciai dallo studiare la struttura di questi fasci e mi convinsi ben presto come essa fosse sufficiente a gettare ampia luce sulla questione. Uno sguardo alla fig. 4 della tav. VI, che rappresenta una sezione trasver- sale in un fascio corticale, ci dimostra che, anzichè trovarci d’ innanzi ad un cordone conduttore, abbiamo a fare con un vero cordone meccanico. Infatti gli elementi vascolari e i cribrosi sono del tutto mancanti, e il fascio è in gran parte costituito da fibre liberiane /4 e da poche libriformi /fi in somma non contiene che elementi meccanici. Dal lato fisiologico la strana disposizione scoperta dal Weiss trova con ciò una sufficiente spiegazione. Noi ci troviamo in presenza di un sistema meccanico corticale, che deve certamente recare non lieve utile ai fusti di Buzus, i quali per tale disposizione alternante di quattro cordoni per internodio (tav. VI, fig. 3), vengono a ricevere un vero sostegno nei primi periodi della loro giovinezza. La fig. 8 della tav. VI mostra infine la disposizione dei fasci in una foglia di Buzus rosmarinifolius dove essi decorrono senza ordine alcuno, staccan- dosi dai lati di una cerchia, che costituisce la nervatura principale della foglia. Le particolarità del fusto del Buzus sempervirens Lin. mi hanno indotto a cercare se esistano altre specie descritte con un sistema corticale del tutto disgiunto dalla cerchia centrale; ma non potei aver conoscenza che di un lavoro del Duval-Jouve ('), che descrive per alcune specie di Salicornia, tra le quali la fruticosa, uno speciale sistema corticale. Le foglie sono opposte ed hanno un solo cordone d’ inserzione. Questo prima di entrare nella cerchia emette un ramo che si suddivide ripetutamente fino a costituire una rete di fasci corticali, che poi scompaiono alla fine dell’ inter- nodio sottostante senza unirsi col resto del sistema conduttore. Ecco poi una serie di altre specie studiate da diversi autori le quali presentano un solo cordone d’inserzione. Secondo il Gibelli (°) le foglie di Empetrum nigrum presentano un’ inserzione per un grosso fascio, e in fine del lavoro l’ autore soggiunge che il tipo di struttura descritto per l' Z. nigrum si ripete quasi identicamente in tutte le altre specie di Empetrum conosciute. Il Colomb (*) in un lavoro di anatomia sulle stipule e del quale dovremo più innanzi occuparci, descrive nel Galium cruciata la seguente disposizione : le foglie, che sono opposte, ricevono un fascio per ciascheduna, il quale si tridivide e con le parti laterali va ad anastomizzarsi con i segmenti laterali del fascio dell'altra foglia. Nell'arco di anastomosi nascono le stipule. Il Kamienski (4) descrive pure un solo cordone nelle Primula mistassinica, farinosa, stricta, sibirica, longiftora ecc. I Drosophyllum lusitanicum secondo le ricerche del Penzig (5) appartiene a questo tipo e come il Drosophyllum si comportano anche secondo il Nigeli (5) le seguenti specie: /Jeris «mara Lin., Jasminum fruticans Lin., Saro- thamnus scoparius Koch., Frawinus eacelsior Lin., Vinca minor Lin., Vinca major Lin., Apocynum hypericifolium Ait., Phlox spec. Veronica incisa Ait., Calluna vulgaris Sal., Hypericum quadran- gulum Lin., Androsaemum officinale Al, Evonymus europaeus Lin., Alsine laricifolia Wahlemb., Dianthus plumarius Lin., Spergula arvensis Lin., Cerastium frigidum Biebrst., Cerastium triviale (1) Des Salicornia de l'Herault. Bull. Soc. bot. de France, t. XV, p. 132. (®) Di una singolare struttura delle foglie delle Empetracee. Nuovo Giorn. bot. It. VIII, n. 2, aprile 1886. (3) Ztude anatomique des Stipules. Bull. de la Société botanique de France, t. VIII, 1886, n. 5. (4) Vergleichende Anatomie der Primulaceen. Abhandl. Akad. Halle Bd. XIV, 1877, p. 141-250. (5) Untersuchungen iiber DrosophyUum lusitanicum L. K. Inaug. Dissert. Breslau. 1877. (5) Op. cit. Ann. Isr. Bor. — Vor. II. 7 , =.= Lk., Galium mollugo Lin., Galium purpureum Lin., Galium rubioides Lin., Rubia tinetorum Lin., Trevirania longiflora Reg., var. ilicifolia. Russelia iuncea Zuccar. Da ultimo secondo Hanstein (1) hanno un solo cordone d’ inserzione parecchie Rubiacee, Asperula, Rudia, Galium, VHamelia chry- santha, la Houstonia coccinea, la Bouvardia mollis, la Coprosme ligustrina, l'Ewostemma floribundum. II. Tipo. Inserzione della foglia nel fusto per due cordoni. Lungo il picciuolo, quando esiste, essi subiscono delle divisioni, rimanendo per un tempo più o meno lungo disgiunti, nelle foglie sessili ciascuno si ramifica tosto costituendo le nervature. La fig. 9 della tav. VI rappresenta la distribuzione schematica dei fasci in una Phlomis ferruginea Tenor. Tra il tipo antecedente, in cui v' era un solo cordone d' inserzione e il presente, in cui ve ne sono due, non mancano degli anelli di congiunzione. Se osserviamo il decorso dei fasci in una Nepela grandiflora Bbrst., scorgiamo che discendono dalla foglia più fasci, i quali nell’ entrare nella cerchia si uniscono e formano un solo gruppo. Però non appena ciò è avvenuto, esso si biforca e continua il decorso con due rami principali divergenti, lasciando talvolta nel mezzo un terzo minore. Se ora passiamo a esaminare altre tre specie della stessa famiglia cioè la Phlomis agraria Ledeb., la Ballota pseudodictamnus Benth. e il Marrubium vulgare Lin. vediamo che esse hanno del pari un solo gruppo di fasci d’ inserzione, ma nel quale la tendenza a biforcarsi è accelerata. Invece di dividersi dopo essere entrato nella cerchia come avveniva nella Nepeta grandifiora Bbrst. esso si biforca in prossimità di questa, quando è ancora nella corteccia, cosicchè l’ inserzione della foglia in queste specie si fa per un gruppo di fasci composto di due rami principali, e talvolta anche di un terzo minore, come abbiamo riscontrato nella Nepeta grandiflora Bbrst. Il processo evidentemente ha fatto un secondo passo. Ma se ora passiamo ad osservare come vadano le cose in una specie vicinissima, cioè nella Phlomis ferruginea Tenor. scorgiamo che la tendenza a biforcarsi apparsa nella Nepeta grandiflora Bbrst. accresciuta nella Ph/omis agraria Ledeb. e in altre specie, qui ha raggiunto un grado massimo di sviluppo, per cui entrano nella corteccia due rami divergenti tra loro che sì uniscono alla cerchia in due punti distinti. Il processo ha fatto adunque l’ ultimo passo e dal primo siamo passati per gradi intermedî al secondo tipo. Si ha adunque in questo caso tutto il processo di un'evoluzione anatomica da una forma più semplice ad una più complicata. La Phlomis ferruginea Tenor. per quanto si è detto, resta sufficientemente descritta. I due cordoni traversano il picciuolo disgiunti o inviandosi qualche ramificazione ana- stomotica e lasciano partire ai lati due rami che decorrono paralleli (fig. 9, tav. VI). Un simile modo d'inserzione hanno pure le foglie del Zamzum amplericaule Lin. nelle quali i due fasci si ramificano tosto per dare origine alle nervature. Il decorso dei fasci fibrovascolari delle Labiate, specialmente nel loro passaggio alla foglia, fu studiato dall’Hanstein (*) il quale trova del pari che il cordone d’ inserzione sì biforca prima di giungere alla cerchia del fusto. (1) Veber girtelformige Gefisstrangverbindungen. Abhandl. d. Berliner Academie 1857, p. 77. (2) Op. cit. —. 5 = La Zysimachia nemorum con altre specie secondo le ricerche del Kamienski (') avrebbe nel picciuolo tre fasci, il mediano si biforcherebbe unendosi ai laterali, cosicchè da ogni foglia entrereb- bero nel fusto due cordoni. III. Trpo. Inserzione per tre cordoni i quali entrano nella foglia disgiunti senza aver prima subìto una anastomosi alla base di essa. Alcune volte passano direttamente nel lembo, altre volte si anastomizzano in vicinanza di questo dopo aver percorso il picciuolo separati; oppure decorrono i primi tratti disgiunti per fondersi in seguito lungo il picciuolo. Stipule, quando esistono, innervate dai fasci laterali. Distingueremo più casi. 1° I fasci entrano nel lembo senza essersi generalmente anastomizzati. 2ipl0- taxwiîs erucoides Dec., Brassica rapa Lin., Euphorbia apios Lin., characias Lin., den- droides Lin., spinosa Lin., helioscopia Lin., ceratocarpa Tenor, Croton discolor Rich., Poznsettia pulcherrima Graham., Helichrysum orientale Gaertn., Borrichia frutescens Dec., Baccharis halimifolia Lin., Chrysanthemum segetum Lin., Othonna carnosa Less. Osteospermum moniliferum Lin., Senecio angulosum Wall., longifo- lius Lin., niveus Willd., oxyriaefolius De., Salmea volubilis, Zalusania triloba Pers. 2° I fasci percorrono qualche tratto separatamente finchè poi finiscono per con- giungersi, formando un arco, dalle cui estremità partono le nervature nel lembo 4), 0 fondendosi in un solo cordone principale d). a) Parietaria arborea Ait., Garrya eliptica Dougl., Ferdinanda augusta. Lag. db) Cydonia japonica Pers., Crataegus crus-galli Lin., Raphiolepis salici- folia Lindl., Cotoneaster microphylla Wall., Rosa bunksiae R. Br., Photinia serru- lata Lindl., Kerria japonica Dec., Stramwaesia glaucescens Lindl., Prunus caroli- niana Ait., pissardi, lusitanica Lin., Barnadesia rosea. Lindl. Un lavoro del Maury (*) rivela una tale disposizione anche nelle Plumbaginee. Dalla cerchia si staccano tre fasci principali. Il mediano è accompagnato da ramificazioni secondarie; i due late- rali si sdoppiano e ciascun ramo diventa una nervatura laterale della foglia, infine anche il fascio mediano si divide e prende parte al processo. L'autore parla poi dell’ Aegialitis annulata, che dice presentare una rassomiglianza con alcune Plumbaginee. A questa forma si rannodano pure le Arme- ria egli Acantholimon. Non debbo poi dimenticare il Vuillemin (8) il quale ha già descritto in parec- chie Composte una simile forma di decorso. IV. Tipo. Inserzione per 3 fasci i quali non passano mai nella foglia disgiunti, ma si ana- stomizzano nell'entrarvi per poi continuare il loro decorso divisi, o sì uniscono for- mando un arco o una cerchia continua. Spesso avviene una doppia anastomosi, cioè alla base del picciuolo e in prossimità del lembo o delle foglioline. Alcune volte, come si è detto, i fasci si dispongono ad arco, altre volte si può avere una cerchia; (*) Op. cit. (®) Etudes sur l’organisation et la distribution géografique des Plumbaginacées. Ann. de sciene. alba 70 Senior Vi mv 201804004 (3) De la valeur des caractères anatomiques au point de vue de la classification des vegétauw. Tige des Composées. Paris, 1884. AO e tra questi due casi estremi ne esistono altri intermedî, cioè nei quali sì ha un arco con tendenza a ripiegarsi e a costituire una cerchia. Quale criterio di distinzione adot- terò l'esame del modo con cui si partono le ramificazioni del lembo o delle foglio- line, come si è visto nel primo tipo; quando però nell'inserzione di queste ultime segue una nuova anastomosi, riesce impossibile una tale distinzione. Altri criterî potranno esserci forniti dalla presenza di fasci corticali o midollari nel picciuolo. Stipule gene- ralmente innervate dai fasci laterali. Distingueremo più sottotipi : 1° Formazione nel picciuolo di un arco di fasci o di una semicerchia con i lembi rientranti, o di una cerchia completa. a) I fasci decorrono disponendosi generalmente ad arco, che in prossimità del lembo o delle foglioline può subire una nuova anastomosi per poi dividersi in più parti, ovvero può inviare direttamente delle ramificazioni dalle sue estremità. Lotus jacobaeus Lin., corniculatus Lin. I fasci laterali, dopo avere inviato un ramo alle stipule, si anastomizzano col fascio mediano. Dopo ciò si ricostituiscono tre fasci principali disposti ad arco che si rianastomizzano in prossimità delle foglioline. Nissolia fruticosa Lin. Picciuolo generalmente formato da cinque fasci. Urtica vrens Lin. Seguìta l’anastomosi si hanno tre fasci disposti ad arco che in prossimità del lembo si rianastomizzano di nuovo. Urtica membranacea Poir. Come sopra; picciuolo con cinque fasci. Urtica grandidentata. Come la specie precedente. Urtica dioica Lin. Picciuolo con sette fasci (!). Boehmeria argentea Guillem. Il fascio mediano si tridivide e si anastomizza con i laterali. Dopo ciò per ulteriori suddivisioni si giunge ad avere una semicerchia a ferro di cavallo, dalle cui estremità partono le ramificazioni nel lembo. Urtironia chiriquensis. Come la specie precedente. Mercurialis annua Lin. Ii fascio mediano si tridivide e unendosi ai laterali forma tre fasci. Nel lembo le prime ramificazioni partono dai laterali finchè poi an- che il mediano prende parte al processo. Trifolium pratense Lin. In questa specie le foglie sono guainanti, il decorso dei fasci nella guaina è rappresentato dalla fig. 11 tav. VI. I cordoni laterali nell’ uscire dalla corteccia si dividono e con il loro ramo più esterno innervano le stipule. Come si scorge dalla figura, queste ramificazioni stipulari continuano a suddividersi fino a formare una rete complicata di fasci /s. Con il ramo più interno invece decorrono paralleli al fascio mediano, col quale possono anche scambiare qualche ramificazione lungo il decorso. Nell' uscire dalla guaina i tre cordoni si dividono e si anastomizzano variamente in modo da costituire un arco formato da più fasci. Verso la fine del pic- ciuolo segue una nuova anastomosi, dopo la quale si hanno tre gruppi di fasci corri- spondenti alle tre foglioline. Medicago sativa Lin., Medicago arborea Lin., Anthyllis barbajovis Lin.. I fasci decorrono nella guaina non molto dissimilmente dal 7r/folium pratense Lin. Nel (1) Delle numerose variazioni, che si riscontrano in questa specie, dirò alla fine del presente tipo, parlando d'una monografia del Gravis. Berg pes picciuolo si hanno tre cordoni principali, disposti a triangolo, che inviano ramifica- zioni alle prime due foglioline e passano senz'altro nella terza. Hyppocrepis comosa Lin. Anastomosi, dopo la quale si hanno tre fasci a triangolo. Cicer arietinuvin Lin. Anastomosi alla base del picciuolo dopo la quale risultano cinque fasci disposti ad arco, cioè uno nel mezzo e due per parte. In corrispondenza dell'inserzione delle numerose foglioline troviamo una particolare disposizione regolare degna di essere descritta. La prima fogliolina si forma a spese dei due fasci laterali corrispondenti, i quali poco prima si fondono ed inviano un gruppo di ramificazioni; dopo ciò essi non si ridividono ma persistono uniti. In questo stadio la struttura del picciuolo ci appare asimmetrica, poichè da una parte rinveniamo due fasci laterali e dall'altra uno solo. Ma poco dopo ecco che dal fascio mediano si stacca una ramifi- cazione che va a fornire un nuovo fascio al lato mancante. In questo stadio il pic- ciuolo ritorna simmetrico e composto di cinque fasci, ma poco dopo nel lato opposto sì ripete il medesimo fatto, poi nuovamente nel primo e così di seguito fino a giun- gere all'ultima fogliolina. In questa entrano tutti i fasci del picciuolo, i quali si sono ridotti a tre, avendo il mediano cessato di mandare altre ramificazioni. b) I fasci decorrono nel picciuolo disponendosi generalmente in cerchia completa o incompleta. Nel lembo o nell’ inserzione delle foglioline le ramificazioni sì staccano dai lati. Putranjiva roxburghii Wall. Si ha nel picciuolo una cerchia che nella parte superiore di esso tende ad aprirsi. Omalanthus populifolia Grah. Cerchia aperta. Croton nobile Hort., Croton maximus Hort. Come la sp. precedente. Croton ciliatoglandulosum Orteg. Cerchia generalmente chiusa. Erythrina cristagalli Lin. Picciwolo avente una cerchia che si rianastomizza in prossimità delle foglioline. Haematoxylon campechianum Lin. Si ha una semicerchia nel cuscinetto che si completa nel picciuolo. Dolichos lignosus Jacq. Semicerchia nel picciuolo. Melia azsedarach Lin. I fasci formano con la loro unione una cerchia continua. Nei picciuoli secondarî e nelle foglioline entrano delle ramificazioni provenienti dai lati. Sapindus emarginatus Vahl., Citrus limonum Risso. Si rassomigliano alla sp. precedente; in quest’ ultimo si ha una semicerchia che nel lembo lascia partire rami- ficazioni ai lati. & Quercus suber Lin., Quercus phullata Hamilt., Quercus ilex Brot., Quercus lanata Smith. I tre fasci si uniscono e formano una cerchia lievemente aperta. Quercus laurifolia Michx., Quercus coccifera Lin. Cerchia quasi sempre chiusa. Clematis balearica Rich. Cerchia completa con anastomosi doppia, cioè alla base del picciuolo e in prossimità delle foglioline. 2° Sottotipo. Picciuolo costituito o da un arco o da una cerchia, ma con la pre- senza di due cordoni corticali che decorrono nella regione che guarda il fusto. Essi prendono parte generalmente con una ramificazione al processo d'innervazione delle foglioline o si fondono invece con la cerchia 0 con l'arco in prossimità del lembo. Lg Wisteria rubra. Cerchia chiusa con due fasci corticali. Nel cuscinetto del pic- ciuolo e in quelli secondarî delle foglioline la cerchia è lievemente aperta. Si rassomigliano nei tratti principali le seguenti specie: 27mosa denhartii, sen- setiva Lin., Acacia farnesiana Lin, Robinia pseudacacia Lin., Wisteria chinensis Dec., Sophora japonia Lin. Tamarindus indica Lin. In questa specie i fasci corticali rimangono general- mente estranei al processo d'innervazione delle foglioline e da ultimo si fondono con la cerchia. Bauhinia racemosa Vahl., purpurea Lin. Posseggono come le altre specie de- scritte una cerchia con fasci corticali, i quali scompaiono unendosi alla cerchia in prossimità del lembo. Delle altre particolarità di questa specie dirò nella descrizione d’un prossimo sottotipo al quale appartengono altre Bauhinie. Parkinsonia aculeata Lin. Dopo l'anastomosi si rinviene un arco il quale si divide in due parti, lasciando come residuo nel mezzo un piccolo gruppo di fasci, che innerverà una spina. I due frammenti maggiori dell'arco primitivo formeranno due picciuoli distinti. Nel cuscinetto di ciascuno di essi rinveniamo una semicerchia che lascia partire due fasci corticali, chiudendosi lungo il picciuolo. Acacia cornigera Wild. Segue nei tratti principali la specie precedente. I net- tarî esistenti lungo il picciuolo ricevono ramificazioni dalla cerchia. Ceratonia siligua Lin. Questa specie presenta due modi di distribuzione dei fasci. Alcune volte si ha una sola cerchia nel picciuolo, altre volte una cerchia con cordoni corticali. Quest' ultima forma predomina nei picciuoli secondarî, quando esistono. Desmodium gyrans Lin. Si ha una cerchia nella quale predominano tre fasci disposti a triangolo. Cordoni corticali come nelle altre specie. 3° Sottotipo. Picciuoli trasformati in fillodi. I caratteri generali di questo sot- totipo sono quali si riscontrano nella Acacia linearis Ker. Dopo l'anastomosi si forma nel cuscinetto del picciuolo una cerchia continua, come è rappresentata dalla fig. 3 della tav. VII. Ben presto però essa si apre, assumendo una forma allungata, il che si scorge dalla fig. 4 della tav. VII. I due fasci /! si trovano nella regione che guarda il fusto. Passando alla fig. 5 scorgiamo come la cerchia sempre più si divida e tenda ad allungarsi, finehè nella fig. 6 i due fasci /! hanno girato intorno ad una glandola esistente nel cuscinetto, rappresentata nella fig. 4, e si sono riuniti occupando uno degli orli del fillodio. La struttura propria di questo è adunque rappresentato nella medesima fig. 6. Con la lettera e è indicata la parte collenchimatosa che accompagna i fasci. Si rassomigliano nei tratti generali le seguenti specie: Acacia melanozylon R. Br., saligna Wendl.. : Altre volte il processo è semplificato. Anzichè staccarsi due fasci nella regione che guarda il fusto per poi riunirsi, come avveniva nell'Acaeza Vnearis. se ne stacca direttamente uno solo. Lo stesso avviene nella parte opposta e questi due cordoni decorrono agli orli del fillodio, mentre la cerchia primitiva subisce altre divisioni, È però necessario notare la variabilità di un tal carattere anche in uno stesso individuo. Secondo le mie osservazioni questo modo di comportarsi sarebbe di frequente seguìto dalla Acacia rostellifera Bth., calamifolia Sieb., id. iteaphylla F. Muller.,- cras- = Hog sifolia, homomalla Wendl., obliqua Dec., cultriformis Hook, mirbeli Dehn., ornitho- phora Sweet., oxycedrus Sieb. 4° Sottotipo. Presenza nel picciuolo di una cerchia con un cordone centrale midol- lare. Appartiene a questo tipo il gruppo dei Pelargoni. Farò precedere la descrizione del Pelargonium zonale Willd. atta a mostrare il comportamento generale del processo. Pelargonium zonale Willd. Se si conduce una sezione trasversale nel picciuolo si osserva la disposizione dei fasci rappresentata dalla fig. 9 della tav. VII. Scorgiamo in essa cinque cordoni principali, cioè /!. /°*, f*, /4, /°, ed altri minori segnati con /”. Per intendere ora il modo col quale dai tre fasci d' inserzione si sono formati mediante anastomosi i cinque cordoni del picciuolo gettiamo uno sguardo sulla fig. 1 della tav. VIII. I fasci laterali sono stati colorati in turchino ed il mediano in rosso, per far meglio comprendere l'intreccio. Ciascuno dei cordoni emette tre ramificazioni, e queste umendosi variamente tra loro costituiscono quattro fasci posti in cerchia, più un cordone centrale. Nella figura il picciuolo è girato di 45 gradi per far meglio risaltare il processo, cosicchè il fascio /° sarebbe quello che nella posizione normale guarda il fusto. Inoltre non sono rappresentate le ramificazioni che partono dai fasci laterali per recarsi alle stipule. Da questi cinque fasci principali se ne formano altri d'ordine secondario. In prossimità del lembo la cerchia e il fascio centrale subiscono delle divisioni per cui si vengono ad avere tre gruppi di fasci, corrispondenti a tre nervature principali della foglia. Il modo di decorso fin qui descritto è nei tratti gene- rali comune a tutte le altre specie di Pelargorium, si nota però alcune volte una variazione nella formazione del fascio centrale. Nel Pelargonium zonale esso è costi- tuito soltanto dai fasci laterali, e quantunque in qualche caso il fascio mediano possa inviarvi una qualche ramificazione in tesi generale si può dire che il fascio centrale è formato esclusivamente o quasi dai fasci laterali. Altre volte invece accade diver- samente. Il fascio /! che è una diretta emanazione del fascio mediano d’ inserzione (fig. 1, tav. VIII) lascia partire lateralmente un ramo, il quale si allontana dal fascio che lo ha originato e alla sua volta invia una seconda ramiticazione al fascio centrale. Distingueremo adunque due varietà : a) Il fascio centrale midollare è formato esclusivamente o quasi dai fasci laterali. Pelargonium tomentosum Jacq., graveolens Ait., capitatum Ait.. glutinosum Ait., lateripes Herit., inquinans Ait., malvaefolium Jacq., fagrans Willd., gibbosum Willd., semiplenum Hort., cordatum Ait., decipiens Haw., tetragonum Herit. In queste due ultime specie vi è anche un'altra particolarità. Nella fig. 1 tav. VIII abbiamo visto che i fasci laterali si dividevano in tre parti, per congiungersi con una di esse col ramo più esterno del fascio mediano, costituendo i cordoni /*, /*, e si anastomizza- vano scambievolmente con gli altri due rami formando i cordoni /*, /*. Quivi invece i fasci laterali si dividono in sole due parti; con la prima concorrono a costituire i cordoni /*, /* come sopra, con l'altra formano soltanto il cordone /? cosicchè in questo stadio si ha una cerchia senza il cordone midollare. Ma poco dopo una rami- ficazione che si parte da /° viene a dare al picciuolo la struttura propria di questo sottotipo. 6) Il fascio centrale è formato per concorso dei fasci laterali e del mediano. bei Pelargonium murrayanum Colla, quercifolium Ait. Quest' ultima specie segue alcune volte anche il decorso descritto nella varietà 4). 5° Sottotipo. Formazione di una cerchia nel picciuolo con un fascio centrale midol- lare e con la presenza di fasci corticali. : Appartiene a questo tipo la Bauhinia glandulosa Dec. Nel cuscinetto ha luogo una intima anastomosi, dopo la quale si ha una cerchia di fasci con un cordone midollare concentrico. Procedendo innanzi il fascio si trasforma in collaterale e quasi contem- poraneamente si staccano dalla cerchia due fasci corticali come si è visto per altre specie. Con ciò si ha la struttura propria di questo sottotipo. La foglia delle Bau- hinie è biloba con una leggera protuberanza a punta nel mezzo dell’ incavatura. Ora avvicinandoci alla fine del picciuolo, ecco quanto avviene: il fascio centrale si fonde con la cerchia, la quale si divide in quattro parti; due più grandi situate nella regione che guarda il fusto, due minori occupanti la regione opposta. Allora le prime sì scostano l'una dall'altra, nel mentre che le seconde vengono ad occupare lo spazio lasciato libero dalle prime nel loro divergere. Quivi esse si fondono nuovamente per poi ridividersi, lasciando però nel mezzo un piccolo cordone. In questo stadio si hanno quattro gruppi di fasci disposti linearmente e dei quali i due più esterni sono mag- giori, più un piccolo cordone nel mezzo che li divide in due regioni. Poco dopo i primi quattro si fondono a due a due, si uniscono ai cordoni corticali e in questo stadio non sì hanno più che due soli gruppi di fasci, più un cordone minore nel mezzo. Allora i due primi passeranno nei due lobi fogliari, il cordone minore inner- verà il prolungamento esistente nell’ incavatura della foglia. Bauhinia purpurea Lin. Simile nei tratti generali alla specie precedente. Le altre due specie di Bauhinie, collocate nel 2° sottotipo, per la mancanza del cordone cen- trale, presentano un analogo comportamento. Il tipo ora descritto è uno dei più ricchi di forme e molti autori ebbero a studiare parecchie specie ad esso appartenenti. Il Petit (') in una breve Nota parla del sistema librolegnoso delle Mi- mosee, Cesalpiniee, Leguminose, che incomincia per 3 fasci i quali possono saldarsi formando un arco ecc. Nelle Malvacee, Geraniacee, Oxalidee, I'ropeolee, secondo le sue osservazioni si trovano al principio del picciuolo cinque fasci, dei quali i due superiori si saldano insieme, e non restano che quattro fasci principali. Ma noi abbiamo visto che il sistema fibrovascolare del picciuolo comincia nei Pelargonium per 3 cordoni; la diversa osservazione del Petit dev’ essere dunque originata dal fatto che i laterali si sdoppiano non appena entrati nel picciuolo. In una mia precedente Nota sullo stesso argomento (*) ho già notato come non sia esatto lo stabilire, quale carattere generale per le Geraniacee, la presenza di quattro fasci principali nel picciuolo, mentre esiste il genere Pelargonium che ne possiede cinque, cioè quattro in cerchia e uno centrale. Così il Petit stabilisce per le Quercus come carattere generale, poichè è opportuno ricordare che egli considera tali caratteri quali criterìî di classificazione, la presenza di fasci intramidollari nel picciuolo. Ora le poche specie da me studiate dimostrano anche la presenza di una cerchia senza questi fasci, e per terminare, mi limito a rammentare come il De-Candolle (3) abbia trovato su 137 specie studiate 87 con fasci mi- dollari e 50 senza di essi. Il Gravis (4) in una bella monografia su l’ rtica dioica, deserive la (1) Sur le parcours des fuisceaue dans le pétiole des Dicotylédones. Comptes Rendus de l'Aca- démie de sciences, T. CIII, n. 17. (2) Malpighia, Anno I, fase. VI. (3) Anatomie comparée des feuilles chez quelques familles des Dicotylédones. Genève 1879. (4) Recherches anatomiques sur les organes végétatifs de l'Urtica dioica. Bruxelles, 1885. ona forma di decorso suesposto, discendendo però ad una serie di altri particolari non scevri certa- mente d’ importanza. Tra questi noterò un fatto di polimorfismo, che si presenta frequentemente nel picciuolo, il quale può essere costituito ora da 8, ora da 5, ora da 7 fasci. Le foglie da me studiate possedevano tutte 7 fasci. Anche il Kamienski (') descrive in parecchie Primulacce come p. e. nella Primula spectabilis una inserzione per tre fasci con anastomosi. Il Geranium robertia- num secondo il Weiss (*), qualche specie del genere /mpatiens secondo il Beyse (3) e la Quercus pedunculata secondo il Frank. (4) apparterrebbero a questo tipo. Anche la Begonia tubercolata hy- brida descritta dal Westermaier (?) riceve dal fusto tre cordoni. Da ultimo non si deve dimenticare che la presenza di un cordone midollare nei picciuoli di Pelargorium sonale fa già avvertita dal De- Candolle (5). V. Tipo, Foglie opposte. Inserzione per tre cordoni, i due laterali di una foglia sì ana- stomizzano con i due laterali dell’ altra prima di entrare nel picciuolo mediante un ramo anastomotico (Tav. VII, fig. 1, ca). Ferdinanda nobilis H. Pan. I tre fasci nell’ entrare nel picciuwolo si anastomiz- zano e suddividendosi, danno luogo a più fasci disposti senza alcun ordine. Verso il lembo tendono ad assumere la forma di semicerchia, dalle cui estremità partono le nervature. Dahlia variabilis Desf. Una parte dei fasci si dispongono in cerchia, altri ri- mangono nel midollo disordinatamente. In prossimità dell'inserzione delle foglioline avviene una generale anastomosi. Dahlia imperialis. Come la D. variabilis nei tratti generali. Monorosma odoratissima. I fasci si dispongono in semicerchia. Il Lestiboudois (7) esaminando le foglie di Centranthus ruber, trova che i fasci laterali di una foglia comunicano con quelli dell’ altra. Il medesimo fatto fu parimenti costatato dal Colomb (8) per la stessa pianta e più ancora per il luppolo. Da ultimo rammenterò, che l' Hanstein (*) ha già de- scritto il decorso dei fasci e le anastomosi nella Dahlia variabilis Desf. VI. Tipo. L'inserzione dei fasci fogliari nella cerchia del fusto si fa in più di un internodio. Una parte dei fasci che discendono dalla foglia traversa obliquamente la corteccia e l'inserisce tosto nella cerchia, mentre un’ altra parte persiste per qualche tempo iso- lata, costituendo dei cordoni corticali che si uniscono generalmente alla cerchia negli internodî successivi. (1) Op. cit. (2) Op. cit. (*) Untersuchungen iiber den anatomischen Bau und das mechanische Princip im Aufbau eini- ger Arten der Gattung Impatiens. Halle 1881. (4) Beilrige zur Kenntniss der Geftisshindel. Bot. Zeit. 1864. (5) Veber das markstindige Bindelsystem der Begoniaceen. Flora, 1879, p. 177-193. (6) Op. cit. (?) Etudes sur l'Anatomie et la Physiologie des végétaua. Lille 1839. (8) Op. cit. (°) Op. cit. Ann. Ist. Bor. — Von. III 00 = Bre Vicia faba Lin. La fig. 10 della tav. VII rappresenta il decorso dei fasci cor- ticali nel fusto di questa specie. Dalla foglia discendono tre cordoni, quello di mezzo entra direttamente nella cerchia, gli altri due laterali (/) percorrono un internodio prima di penetrarvi. Con fc è poi denotato un fascio corticale meccanico a pareti ispes- site, ii quale discende dalla foglia con il fascio mediano, percorre due internodi e in seguito si unisce alla cerchia del fusto. Questi sono i tratti generali del processo; esaminiamo ora qualche particolare e serviamoci della fig. 2 della tav. VIII. In essa è rappresentata una parte della fig. 10 della tav. VII ma con maggiori dettagli. I fasci corticali laterali sono colorati in turchino; il mediano in rosso ed i cordoni corticali meccanici sono segnati da una linea punteggiata come nella figura 10 tav. VII. Con /* fl sono rappresentati i cordoni corticali laterali che discendono dalla foglia e per- corrono un internodio prima di unirsi alla cerchia del fusto; //// sono invece i cor- doni corticali laterali che provengono dalla foglia superiore e che si uniscono nella cerchia in prossimità della foglia rappresentata dalla figura, mentre con un ramo s'ana- stomizzano ai fasci che discendono da quest’ultima. In conclusione si ha un sistema corticale costituito da due cordoni, uno per lato, il quale ad ogni foglia riceve un ramo di rinforzo della cerchia e un altro ne manda alla foglia. In fe! si scorge il fascio meccanico che proviene dalla foglia superiore corrispondente, che ha quindi percorso due internodi e che in prossimità della cerchia si biforca, congiungendosi a questa con due rami; /c*° è invece il fascio meccanico che discende dalla foglia rappresentata nella figura, e che percorrerà alla sua volta due internodi come cordone corticale. Da ultimo fe proviene dalla foglia superiore e entrerà nella cerchia in prossimità della inferiore. Da quanto si è detto si comprende facilmente che le foglie della Vicia faba devono essere alternamente distiche. Circa le anastomosi e il decorso dei fasci nel picciuolo la stessa figura potrà dare da sè un'idea sufficiente. I due colori servono a far meglio risaltare la anastomosi e l'origine di ciascun fascio. La foglia è stata anche in questa figura girata di un angolo di 45 gradi. Il picciuolo a metà è inter- rotto per mostrare quale sarebbe la disposizione dei fasci in sezione trasversale. Ma questo fatto è meglio rappresentato dalla fig. 5 tav. VI. La foglia in questo caso è composta di due foglioline; altre volte invece essa può essere costituita da un numero maggiore, tanto da aversi una vera foglia pennata. In questo caso la struttura del picciuolo sì modifica e si ha la disposizione rappresentata nella fig. 6 tav. VI. Il processo rimane sempre nelle generalità il medesimo. Dopo la Vicid faba Lin. collocheremo il Zathyrus nodosus, arboreus, clymenum Lin., nei quali tutti esiste un sistema di fasci corticali laterali occupanti le ali del fusto. In corrispondenza di ciascuna foglia alcuni rami si portano in essa, altri di rinforzo giungono dalla cerchia, cosicchè il processo non è dissimile da quello della Vicia faba Lin. Nella foglia alata i fasci si dispongono linearmente o quasi, anasto- mizzandosi lungo il decorso, e passano mano mano nelle diverse foglioline. La presenza di fasci corticali si rinviene anche in altre piante diversissime; così il Berge (*) descrive nel Bryophyllum calicinum una inserzione per tre fasci i quali percorrono circa due inter- nodi dividendosi a forca prima di entrare nella cerchia. Il Miiller (*) parla del decorso dei fasci nella (1) Bestrige sur Entwickelungsgeschichte von Bryophyllum calycinum. Ziivich 1877. (*) Untersuchungen iiber die Struktur einiger Arten von Elatine. Flora 1877, p. 481-496. SEN: latine hydropiper. Le foglie sono opposte e da ciascuna di esse discende un cordone che si divide in due rami, congiungendosi con gli altri due della foglia opposta. Questi due cordoni risultanti de- corrono paralleli alla cerchia per congiungersi con essa in prossimità della foglia sottostante. Anche nella Elatine alsinastrum i fasci fogliari decorrono per qualche tempo come cordoni corticali. Nel Lepismium radicans secondo il Vochting (1) entra dalla foglia nella corteccia un cordone il quale manda ramificazioni in tutte le direzioni, ma la traccia fogliare originaria si piega in basso ed entra nella cerchia soltanto in corrispondenza della foglia inferiore. Dopo ciò l’autore descrive altre specie che tralascio per non troppo dilungarmi, ma in generale si può dire che nelle Ahipsalideae i cor- doni discendenti dalla foglia mandano ramificazioni in tutte le direzioni, quasi a costituire una rete ed entrano nella cerchia in prossimità della foglia sottostante. Le Cucurbitacee, illustrate dal Lotar (*) offrono una curiosa complicazione. Il fusto contiene generalmente dieci fasci; cinque di questi sono più grossi e stanno all’interno, altri cinque più piccoli sono situati all’esterno e costituiscono dei fasci corticali. Ciascuno di questi ultimi dopo avere inviato delle ramificazioni alle foglie non vi penetra definitivamente che al quarto internodio. La foglia ri- ceve tre fasci. Chiamando col numero 1 quello che entrerà nella foglia nel primo internodio, con il numero 2 quello che vi passerà nel secondo e così di seguito, si osserva come i fasci siano disposti attorno al cilindro nell'ordine che segue: 1,4,2,5,3; nel prossimo internodio passerà alla foglia il fascio 1 più una ramificazione destra del fascio 3 e una sinistra del fascio 4. Nell’internodio se- guente sarà il fascio 2 quello che entrerà alla foglia, più una ramificazione destra del fascio 4 e una sinistra del fascio 5 e così di seguito. I fasci della cerchia sostituiscono gli usciti e rafforzano con archi anastomotici quelli che hanno inviato ramificazioni alla foglia. I tre cordoni nell’uscire dalla corteccia si anastomizzano e in seguito si dispongono ad arco o a ferro di cavallo. Anche nelle Composte la presenza di fasci corticali è stata accertata dal Vuillemin (8). Nell'Ar- temisia dracunculus ciascun fascio mediano della foglia percorre cinque internodi prima di inse- rirsi nella cerchia del fusto, cosicchè in sezione trasversale si scorgono cinque cordoni corticali. Altre volte possono percorrere uno spazio maggiore, e allora il loro numero si accresce nella sezione trasver- sale. Il decorso dei cordoni corticali delle Vici4 fu già studiato dalla Gosmildth (4) e dal Van-Tie- ghem (5), il quale ha trovato una variabilità a seconda della età della pianta. Da ultimo una tale struttura fu anche avvertita dal Jinniche (9). VII. Tipo. Inserzione per cinque cordoni principali i quali si anastomizzano generalmente prima di passare alla foglia. Phaseolus vulgaris Lin. Il decorso dei fasci dal loro dipartirsi dalla cerchia, fino alla loro uscita dalla corteccia è rappresentato dalla fig. 3 della tav. VIII. Con 7s sono contrasegnati i' rami stipulari. Dopo subìta l'anastomosi essi si dispongono in cerchia lungo il piccinolo, con la presenza di due cordoni corticali, i quali non (1) Beitrige sur Morphologie und Anatomie der Rhipsalideen. Pringsheim’s Jahrbiicher, BA IAeENit327: (*) Essai sur l'anatomie comparée des Cucurbitacées. Lille 1881. (3) Op. cit. (4) Beitrige sur Entwickelungsgeschichte der Fibrovasalmassen in Stengel und in der Haupt- wurzel der Dicotyledonen. Inaug. Dissert. Zurich 1876. (3) Sur les faisceaua libéro-ligneua corticaua des Viciées. Bull. de la Soc. bot. de France série II, t. VI-3. (0) Beitrige zur anatomischen Systematik der Papilionaceen. Wigand's. Botanische Hefte 1. Marburg 1885. == prendono parte all'innervazione delle foglioline, ma entrano invece nelle appendici sti- pulari di queste. Dolichos giganteus Willd. Segue nei caratteri generali la specie precedente. Pueraria thumbergiana Benth. Dopo l'anastomosi tra i diversi fasci si ha nel cuscinetto una cerchia chiusa con piccoli fasci intramidollari. Procedendo verso il pieciwolo da un lato della cerchia si stacca un gruppo di fasci, che dopo varie modificazioni finirà per dar luogo a due cordoni corticali. Allora una parte dei fasci midollari va ad occupare il posto lasciato vuoto da questi, e un’ altra parte si unisce invece con la cerchia. Dopo ciò la struttura del picciuolo resta costituita da una cerchia di fasci con due cordoni corticali, i quali prendono parte alla innervazione delle foglio- line. Nei cuscinetti secondarî di quest'ultime si rinnova la stessa disposizione suesposta. Ranunculus repens Lin. Formazione di una cerchia quasi chiusa nel picciuolo che si rianastomizza prima di passare al lembo. Brassica insularis Moris. Formazione di un arco nella regione inferiore del picciuolo; nella regione superiore il fascio mediano, cioè il fascio impari, si porta fuori dell'arco che poi si richiude, cosicchè si ha in questa specie la presenza di un cor- done corticale nella regione opposta a quella che guarda il fusto. In prossimità del lembo il fascio corticale si unisce all'arco, mediante ramificazioni anastomotiche. Bupleurum fruticosum Lin.. I cinque fasci passano direttamente al lembo senza anastomosi. Il decorso dei fasci nella Pueraria thumbergiana Benth. fu già studiato dal dott. Avetta (1) in una monografia di questa specie. Anche le foglie del Sambucus laciniata secondo il Lestiboudois (*) riceverebbero dal fusto cinque fasci. Lo stesso dicasi secondo 1° Hanstein (3) delle foglie di Platano. L’Anemiopsis californica e la Peperomia argentea secondo il Debray (4) appartengono a questo tipo. VIII. Tipo. Inserzione per sette fasci principali che si anastomizzano nell'entrare nel picciuolo. Ficus rubiginosa Desf. La fig. 2 della tav. VII rappresenta una sezione tra- sversale in un fusto di questa specie in prossimità dell'inserzione di una foglia. I tre fasci laterali // prima di passare nel picciuolo si anastomizzano dapprima scambie- volmente poi con il fascio mediano. In questa specie si riscontrano però tali frequenti variazioni, che il processo descritto spesso ne viene alterato. Alcune volte i fasci la- terali possono ridursi a due in una sola parte, altre volte oltre i sette cordoni sì riscon- trano altri fasci minori. Nella generalità esiste il tipo d'inserzione per sette fasci, ma le variazioni sono frequenti. Dopo avere descritto una curva nel passare al picciuolo, i fasci quivi si dispongono in una cerchia quasi completa che nel lembo si apre e lascia partire delle ramificazioni dalle sue estremità. Altra particolarità è la se- guente: progredendo verso la regione più alta del picciuolo i fasci della cerchia da (* Ricerche anatomiche ed istogeniche sugli organi vegetativi della Pueraria thumbergiana Benth. An. Ist. bot. di Roma, Anno I, fasc. II (2) Op. cit. R (3) Op. cit. (4) Étude comparative des caractères anatomiques et du parcours des faiscerua fbrovascu- laires des Pipéracées. Paris 1886. BLA collaterali che erano cominciano a diventare concentrici e la porzione cribrosa gira tutto attorno alla porzione legnosa. In un periodo più avanzato dei gruppi eribrosi si staccano dalla cerchia e si portano nel mezzo, costituendo dei cordoni intramidollari, che nel lembo si ramificano e passano nelle nervature. Sono simili alla specie precedente il /cus macrophylia Desf. e il Fieus popu- lifolia Vahl. L’Aesculus Hippocastanum stando alle asserzioni del Lestiboudois (1) avrebbe un'inserzione delle sue foglie nel fusto per sette cordoni. La Begonia Hughelii che fu oggetto degli studî del Wester- maier (?) possiede delle foglie che hanno pure un tipo d'inserzione per sette fasci, ma unitamente ad esse se ne trovano delle altre del tutto dissimili. L'autore dice infatti che nella foglia superiore entrano dieci cordoni, nella prossima inferiore undici, nella terza otto, e nella quarta finalmente sette. Il Debray (3) descrive il modo d’inserirsi delle foglie di Zoururus laureri, che avviene per sette fasci, i quali si portano direttamente nel lembo traversando la foglia parelleli gli uni agli altri; è anche simile, tranne qualche modificazione, l’Outtunynia cordata. I Piper nigrum avrebbe una inserzione per un numero variabile da cinque: a sette fasci. Da ultimo fra le Composte il Vuillemin (4) ha anche riscontrato questo tipo nel 7ragopogon pratensis e nella .Serratula gigantea. IX. Tipo. Inserzione per un numero vario ma generalmente grande di fasci (anche più di trenta nell’ Meracleum sphondylium Lin.), i quali alcune ‘volte passano senza or- dine nel picciuolo, ma con tendenza in questo caso ad assumere un aspetto regolare nella parte superiore di esso. Nelle foglie composte in vicinanza ‘del piano d'inser- zione dei picciuoli secondarî o delle foglioline vi è costantemente anastomosi. La fis. 4 della tav. VIII rappresenta una sezione trasversale fatta in un 7halietrum nel piano d’inserzione di una foglia. In 4 d si scorgono i fasci occupanti ancora la guaina della foglia, in c d i fasci sono entrati nella corteccia e s'inseriscono nella cerchia del fusto. Il turchino ed il rosso rappresentano il floema e lo xilema del fascio. Paeonia albijlora Pall. Inserzione per tre fasci principali e' per un numero vario di fasci secondarî. Nel pieciuolo si dispongono ad arco è lungo il decorso i fasci di mezzo si uniscono sempre più tra loro, cosicchè infine nella parte mediana dell'arco i fasci sono contigui e nelle parti laterali sono invece disgiunti. In pros- simità delle foglioline l'arco si frammenta in più gruppi di fasci che passano in que- ste senz’ altro. Paconia peregrina Mill. Sims. Segue la specie precedente, ma l'arco è più curvo fino a formare una semicerchia. Helosciadium nodifltorum Koch. Cerchia quasi completa nel picciwolo; anasto- mosi nella inserzione delle foglioline. Oenanthe phellandrium Lam. Si rassomiglia alla specie precedente. Conium maculatum Lin. Inserzione per molti fasci che abbracciano circa la metà della cerchia del fusto e si dispongono ad arco nel picciuolo. Prima di passare (1) Op. cit. (2) Op. cit. (3) Op. cit. (4) Op. cit. ea nelle foglioline o nei picciuoli secondari subiscono sempre un' intima anastomosi. Le figo. 7, S della tav. VII mostrano ciò in sezione trasversale. Dapprima l’ anastomosi comincia nella parte in cui s' inserisce il picciuolo secondario (fig. 7, 7 @), in seguito poi si estende a tutti i fasci (fig. 8, 7 4). Con 7.s sono indicate le ramificazioni che sì portano ai picciuoli secondarj. Ammi majus. Lin. Come il Conium maculatum. Foeniculum piperitum Dec. Inserzione come sopra; cerchia completa nel pic- ciuolo. Foenicuum vulgare Gaert. Rassomiglia alla specie precedente. Oenante fistulosa Lin. Inserzione per circa quindici fasci che si dispongono li- nearmente nel picciuolo dilatato. Anastomosi sempre come nelle specie precedenti. Heracleum sphondylium Lin. Inserzione tutt’ all’ intorno della cerchia per mol- tissimi fasci (più di 30), i quali si dispongono il più delle volte disordinatamente nel picciuolo, come in un fusto di monocotiledone. Thalictrum iaquini H. Port., densiflorum H. B. La fig. 4, tav. VIII, come si è detto, rappresenta una sezione trasversale condotta nel fusto in corrispondenza del piano d'inserzione d'una foglia. I molti fasci, circa 20, si raccolgono nel picciuolo dispo- nendosi disordinatamente, con tendenza però ad assumere un aspetto regolare nella parte superiore. Anastomosi sempre completa come sopra si è detto. Si rassomiglia al Thalictrum V Aquilegia lutea Hort. nella quale spesso i fasci assumono la disposi- zione di una cerchia, e l'Aguilegia bergerii, Hort. i di cui cordoni d'inserzione sono però in numero minore. Un inserzione per un numero considerevole di fasci fu trovato dal Kamienski (1) nelle Primu- lacee, tra le quali ricorderò la Primula auricula, le cui foglie a larga base ricevono non meno di venti fasci. Lo studio dei 7'halietrum fu anche compiuto dal Meyer (?) il quale cita più specie, i cui fasci passando al picciuolo si dividono e si dispongono circolarmente a somiglianza del fusto. Abbiamo poi visto secondo il Westermaier (3) i diversi modi d’ inserzione della Begonia hu- ghelii, che può avere sette, otto, dieci o anche undici cordoni. L’Hildebrand (4) trova pure nella famiglia delle Begoniacee che l'inserzione può operarsi per più fasci, da tre a nove, e dopo ciò egli parla dei fasci midollari del fusto, che esistono soltanto in alenne specie e che possono prendere parte alla innervazione della foglia in modi diversissimi. Il Courchet (5) ebbe anch’ egli a descrivere le foglie guainanti delle Ombrellifere che ricevono più fasci i quali si dispongono in cer- chia nel picciuolo talvolta con fasci midollari. Da ultimo il Debray (9) descrive nel Piper nigrum una inserzione per undici fasci, nel Piper excelsum per tredici e nella Peperomia incana per otto, i quali tutti traversano paralleli il picciuolo, inviandosi soltanto dei rami anastomotici. (1) Op. cit. (*) Beitrige zur anatomischen Systematik.— Ranunculaceen. — Wigand's Botanische Hefte, 1. Marbourg 1885. (3) Op. cit. (4) Anatomische Untersuchungen èiber die Stimme der Begoniaceen. BerJin 1859. (5) Zes Ombelliferes en général et les espèces usitées en Pharmacie. Montpellier 1882. (5) Op. cit. Cast Go Cercherò in quest’ ultima parte di riassumere i principali risultati anatomici otte- nuti ed esporre brevemente qualche considerazione su i diversi fatti che abbiamo fin qui osservati. La disposizione dei fasci nel loro passaggio dal (fusto alla foglia offre un grandissimo numero di variazioni, per le quali si possono avere forme diver- sissime e senza niuna relazione apparente. Così se esaminiamo una Melaleuca, nella quale la foglia riceve un solo cordone e la paragoniamo con l'’Ieracleum sphondylium che ne riceve più di 30, questa enorme differenza ci salta subito d’innanzi agli occhi. Però non vi è dubbio che tra queste diversissime forme ve ne siano delle altre, atte a colmare almeno in parte la lacuna che le separa. Così partendo da una Melaleuca noi troveremo prima di giungere all’ /Zeraclewm sphondylium delle foglie aventi due cordoni d'inserzione, poi tre, cinque, sette e finalmente nelle specie ad esso vicine dieci, quindici o venti e così di seguito. Anzi quando due forme o.tipi vicini di de- corso sì riscontrano nella stessa famiglia o meglio nello stesso genere, in una parola in piante vicinissime, accade spesso di trovare tutti i gradi intermedî da una forma più semplice ad una più complicata. Ciò noi abbiamo visto in alcune specie del genere Phlomis e di altri generi vicini, ed io per non fare una inutile ripetizione non ho che a ricordare la pag. 10 nella quale trovasi la descrizione di questa specie. Ciò che si è detto per il numero dei fasci valga anche per la loro disposizione. Come carattere secondario ricorderò che i fasci nel passare alla foglia descrivono generalmente una curva, e da ultimo trovo superfluo l’avvertire, poichè cosa già nota, che quando esiste un arco nel picciuolo questo è orientato in guisa da guardare verso l'alto e verso il fusto con le sue estremità. Parimenti nel maggior numero dei casi i cordoni corticali del picciuolo sono situati nel lato superîore; un’ eccezione si riscontra, quando il pic- ciuolo ha subìto una torsione. Nello stabilire dei tipi, sottotipi ecc. mi sono valso di caratteri, dei quali più innanzi avrò occasione di parlare; intanto, volendo considerare il decorso dei fasci dal solo punto di vista anatomico per meglio far comprendere a colpo d'occhio le diverse disposizioni trovate, noi potremo distinguere tredici modi principali di distribuzione : 1. L'inserzione della foglia sul fusto si fa per un solo cordone o per un solo gruppo di fasci, il quale uscito dalla corteccia si divide per dare origine alle nervature nelle foglie sessili. Nelle foglie picciuolate traversa il picciuolo o indiviso o presen- tando varie divisioni per le quali si possono avere più fasci disposti ad arco o in forma di cerchia più o meno completa. Nel lembo dalle estremità dell’ arco o dai lati della cerchia partono le nervature. 2. Inserzione per due cordoni i quali entrano nella foglia divisi, ramificandosi in seguito per dare origine alle nervature. 8. Inserzione per tre cordoni i quali: 4) alcune volte entrano nel lembo senza essersi prima anastomizzati; 2) altre volte invece si fondono lungo il picciuolo emet- tendo prima o dopo delle ramificazioni laterali. 4. Inserzione per tre cordoni i quali si anastomizzano nella base del picciuolo o nell’uscire dalla corteccia. Si danno tre casi: 4) nelle foglie sessili, compiuta l'ana- stomosi, si ramificano per dar luogo alle nervature ; 5) nelle picciuolate, intrecciandosi e dividendosi variamente formano o un arco o una cerchia; c) altre volte invece i tre — 64 — ? cordoni si dispongono l'uno accanto all'altro, costituendo una cerchia completa od incompleta. 5. Inserzione e anastomosi come sopra, formazione o di un arco o di una cer- chia con cordoni corticali. 1 6. Inserzione e anastomosi come sopra, formazione di una cerchia con cordoni corticali e midollori, 7. Inserzione e anastomosi come sopra, formazione di una cerchia con un cor- done midollare centrale, senza cordoni corticali. \ 8. Foglie opposte, inserzione per tre cordoni. I due fasci laterali di una foglia si anastomizzano con i due laterali dell’ altra prima di entrare nel picciuolo, quivi si dispongono in cerchia o senza alcun ordine, ma con tendenza però in questo caso ad assumere un aspetto regolare nella parte superiore di esso. 9. Inserzione e anastomosi come nelle altre forme precedenti. Si ha nel cu- seinetto una cerchia la quale in seguito si allunga e subisce numerose divisioni. Pic- ciuoli trasformati in fillodi. 10. L'inserzione dei fasci fogliari nella cerchia del fusto si fa in più di un internodio. Anastomosi e formazione nel picciuolo di un arco o di una cerchia; ov- vero fasci disposti linearmente. 11. Inserzione della foglia per cinque cordoni, i quali il più delle volte si ana- stomizzano nel passare alla foglia. 12. Inserzione per sette cordoni principali, i quali si anastomizzano e formano una cerchia. 13. Inserzione per un numero vario ma generalmente grande di fasci, i quali si dispongono in cerchia nel picciuolo o si trovano sparsi senza ordine alcuno, ma con tendenza in questo caso ad assumere un aspetto regolare nella parte superiore di esso. Nelle foglie composte in vicinanza del piano d'inserzione dei picciuoli secondarî o delle foglioline vi è costantemente anastomosi. Ora affinchè sia facile lo scorgere quali diversità di decorso corrispondano a cia- seuna famiglia, credo opportuno riordinare le specie studiate secondo la loro classifi- cazione naturale, collocando accanto ad esse il numero indicante la particolare forma di decorso che presentano. RANUNCOLACEE. Paeonia albiftora Pall. Aquilegia lutea Hort. Î ” peregrina Mill. Sims. he n bergerii Hort. 13 Thalictrum jaquini H. Port. Clematis balearica Rich. \ ” densiflorum H. B. Ranunculus repens Lin. 11 CROCIFERE. Sisymbrium asperum Lin. Diplotaris erucoides Dec. Thlaspi perfoliatum Lin. I n tenuifolia Dec. 3 Capsella bursapastoris Moench. VI Brassica rapa Lin. Matthioia incana R. Br. ’ insularis Lin. 11 Cardamine hirsuta Lin. Stilene inflata Smith. ” italica Pers. ” fruticosa Lin. Lychnis coronaria Desr. ” fioscuculi Lin. ” chalcedonica Lin. ” viscaria Lin. Cucubalus bacciferus Lin. Saponaria officinalis Lin. Pelargonium zonale Willd. ” semiplenum Hort. ” cordatum Ait. ” tomentosum Jacq. ” graveolens Ait. ” capitatum Ait. ” glutinosum Ait. ” lateripes Herit. CARIOFILLEE. Dianthus deltoides Lin. ” barbatus Lin. ” rupicola Bivon. Cerastium thomasti Tenor. 1 ” arvense Lin. ” tomentosum Dec. Gypsophila saxifraga Lin. Arenaria media Lin. GERANIACEE. Pelargonium inquinans Ait. ” malvaefolium Jacq. ” fragrans Willd. 7 gibbosum Willd. ” decipiens Haw. ” tetragonum Herit. ” murrazanun Colla. ” quercifolium Ait. + RUTACEE - MELIACEE - SAPINDACEE. Citrus medica Lin. » limonum Risso. Ulex europaeus Lin. Erythrina cristagalli Lin. Cicer arietinum Lin. Trifolium pratense Lin. Medicago sativa Lin. ’ arborea Lin. Wisteria rubra Hort. ” chinensis Dec. Mimosa sensitiva Lin. ’ denhardtii Lin. Anthyllis barbajovis Lin. Robinia pseudacacia Lin. Sophora japonia Lin. Parkinsonia aculeata Lin. Acacia cornigera Willd. ” farnesiana Lin. Ann. Isr. Bor. — Von. III 1 Melia azedarach Lin. 4c Sapindus emarginatus Vahl. LEGUMINOSE. 1 Ceratonia siligua Lin. Desmodium gyrans Lin. Tamarindus indica Lin. Bauhinia racemosa Vahl. 4b ’ aculeata Lin. 7 glandulosa Dec. ” purpurea Lin. Lotus jacobaeus Lin. » corniculatus Lin. Hippocrepis comosa Lin. Dolichos lignosus Jacq. 9 Haemathoxilon campecchianum. Nissolia fruticosa Lin. Acacia linearis Ker. ” melanoxcylon BR. Br. ” saligna Wendl. = 4b Wo} —__ —— rr ——- ----——— T ira Acacia rostellifera Bth. Vicia faba Lin. ” calamifolia Sieb. Lathyrus nodosus. ” erassifolia. » _ arboreus. ” iteaphyla F. Muller. » © clymenum Lin. ” homomalla Wendl. ” cultriformis Hook. ° Pueraria thumbergiana Benth. ” mirbeli Dehn. Phaseolus vulgaris Lin. ” obliqua Desv. Dolichos giganteus Willd. 7 ornithophora Sweet. ” oxycedrus Sieh. RosAcEE. Spiraea lanceolata Poir. ) Prunus pissardi. Quillaja saponaria Molin. \ È Raphiolepis salicifolia Lindl. Cotoncaster microphylla Wall. Crataegus crusgalli Lin. Rosa banksiae R. Br. ” crenulata Roxb. | Photinia serrulata Lindl. Cydonia japonica Pers. 35 Kerria japonica Dec. Prunus caroliniana Ait. Strauwaesia glaucescens Lindl. ” lusitanica Lin. MIRTACEE. Callistemon saligna Sm. Eugenia acris Wght et Arn. ” rugulosa Wild. ” baruensis Spr. ? Pabricia laevigata Smith. ” malacensis Dec. Melaleuca styphelioides Smith. o) vulgaris Dec. ” decussata R. Br. ” australis Dec. 7 sparsa. : Psidium pomiferum Lin. ” armillaris Smith. Metrosideros villosa Sm. ” pulchella R. Br. Eucalyptus cornuta Labil. ” thymifolia Smith. ” globulus Labil. Mirtus tarentina Mill. ” resinifera Smith. OMBRELLIFERE. Bupleurum fruticosum Lin. 11 Heracleum sphondilium Lin. Venanthe fistulosa Lin. Foeniculum piperitum Dec. | ” phellandrium Lam. ” vulgare Gaert. Ti Helosciadium nodiftorum Koch. Conium maculatum Lin. co Aster ericoides Lin. Briocephalus africanus Lin. Helichrysum orientale Gaertn. Borrichia frutescens Dec. Baccharis halimifolia Lin. Chrysanthemum segetum Lin. Othonna carnosa Less. Senecio angulosum Wall. ” longifolius Lin. ” niveus Willd. Symphytum officinale Lin. Borago officinalis Lin. Anchusa hybrida Tenor. Myosotis palustris With. Brunfelsia americana Lin. Physalis peruviana Lin. Freylinia cestroides. Atropa solanacea All. Solandra grandiflora Swartz. 7 nitida Zuccag. Habrothamnus magnificus Hort. Nepeta grandiflora B. Brst. Teucrium chamaedris Lin. ” flavum Lin. Marrubium vulgare Lin. Ballota pseudodictamnus Benth. Salvia candelabrum Boiss. ” grahami Benth. a) selaraea Lin. 7 gesneriaefiora Hort. ” cerathophylloides Lin. Hyssopus officinalis Lin. Phlomis ferruginea Tenor. = fe. COMPOSTE. HE ) 84 Senecio oxyriaefolius De. Osteospermum moniliferum Lin. Salmea volubilis. Zaluzania triloba Pers. da Barnadesia rosea Lindl. Ferdinanda augusta Lagase. ” nobilis H. Pan. Dahlia variabilis Desf. | ” imperialis. Monorosma odoratissima. (va) BoRRAGINEE. \ è Cynoglossum pietum Ait. Lithospermum rosmarinifolius Ten. ” purpureo coeruleum Lin. > 1 Omphalodes linifolia Moench. \ ” verna Moench. Î SOLANACEE. Solanum haematocarpum. ” glutinosum Dunal. a triquetum Cav. Datura arborea Lin. Cestrum aurantiacum Meyer. Jocroma coccineum Scheidw. ” tubulosum Bth. Nicotiana glauca Graham. LABIATE. Prasium majus Lin. Origanum dictamnus Lin. ” magjorana Lin. Satureja montana Lin. Lavandula dentata Lin. Thymus vulgaris Lin. Rosmarinus officinalis Lin. Phlomis agraria Ledeb. Lamium amplericaule Lin. 9 = BRS EUFORBIACEE. Buxus sempervirens Lin. ) Euphorbia helioscopia Lin. ” balearica Lin. | » ceratocarpa Tenor. Î ” rosmarinifolius Hort. ) 1 Croton discolor Rich. HRS Euphorbia peplus Lin. \ Poinsettia pulcherrima Graham. (foglie alterne) » (foglie opposte) È Mercurialis annua Lin. Putranjiva rocburghii Wall Euphorbia apios Lin. Omalanthus populifolia Grah. o ” characias Lin. 3a Croton nobile Hort. ” spinosa Lin. ” ciliatoglandulosum Orteg. ” marimum Hort. ORTICACEE. Theligonum eynocrambe Lin. 1 Urtica divica Lin. SIE Bohemeria argentea Guillem. 0, Garrya eliplica Doug. ) cl SE ; \ Pisa iabiransit \ 30 Urtironia chiriquensis. Irtica urens Lin. Î Ficus rubiginosa Desf. ” membranacea Poir. 40 ” macrophylla Desf. 12 ” grandidentata. ‘ ” populifolia Vahl. CUPOLIFERE. Quercus lanata Smith. coccifera Lin. 4e laurifolia Michx. Quercus suber Lin. L phullata Hamilth. 4c ” ” ilex Broot. ” Discendendo ora a maggiori particolari rammenterò la strana disposizione trovata nei Burus, nei quali il sistema corticale non ha più alcuna relazione con la cerchia del fusto e costituisce un vero sistema meccanico, come si può rilevare dall’ esame istologico del fascio (Tav. VI fig. 4). La presenza di questi cordoni corticali che si terminano in coecum, senza congiungersi con la cerchia dei fasci fu constatata dal Weiss (!) ma negata dall’Herail (*), il quale asserisce aver trovato una relazione ana- stomotica tra i primi e la seconda; le mie osservazioni hanno pienamente confermate quelle del Weiss. Noi ci troviamo in presenza di uno di quei frequenti e interes- santi fenomeni di adattamento, col mezzo dei quali gli individui resistono alle mutate condizioni dell'ambiente o soddisfano muovi bisogni. Non sarà inverosimile 1’ asserire che in origine il sistema corticale dei £x7vs dovette essere un reale sistema con- duttore, quale si riscontra in molti altri casi. Le relazioni che i cordoni corticali con- traggono nel passare alla foglia coi fasci di questa e il loro decorso in essa mostrano una grande analogia di comportamento con i veri fasci conduttori corticali di altre specie. Ma forse giunse il momento in cui la pianta, fra tutti i suoi bisogni, uno ne (*) Op. cit. — (*) Op. cit. = gr sentì prepotente e quasi indispensabile, quello cioè di provvedere i suoi giovani rami di organi di sostegno, di un sistema meccanico atto ad offrire loro una vera ed efti- cace difesa contro le azioni dannose dell'ambiente esterno. E allora scorgiamo non senza meraviglia che i cordoni corticali, i quali nella gran maggioranza delle piante fanno parte del sistema conduttore, nei Bus sono modificati in modo da cangiare completamente il loro ufficio normale per assumerne uno nuovo corrispondente a nuovi bisogni, e da costituire un sistema meccanico corticale, che perde ogni relazione, perchè inutile, col cilindro centrale. Nei fusti adulti essi scompajono col soprag- giungere delle formazioni secondarie, le quali sono da sole sufficienti a donare alla pianta la robustezza necessaria. L'esame del decorso dei fasci dal fusto alla foglia mi portò anche ad osservare il modo con cui vengono innervate le stipule, ed a pag. 11 e 12 io già notai che nei casi nei quali l’ inserzione della foglia si opera per più fasci, esse erano generalmente innervate dai laterali. Su questo argomento ho sott'occhi un lavoro del Colomb ('), il quale, proponendosi lo studio anatomico della stipula, dopo aver fatte parecchie osservazioni su varie specie, finisce per dare una vera definizione anatomica di essa. Della descrizione delle specie da lui esaminate mi sono parecchie volte occupato durante il presente lavoro, onde qui non parmi cosa inopportuna l’ occuparmi brevemente della seconda parte, cioè della definizione anatomica della stipula. Ecco quanto il Colomb dice a pagina 90: Je propose done de nommer stIiPULE tout appendice inséré sur la tige, et dont le système vasculaire est esclusivement formé de dérivations empruntées aux faisceaua foliaires, avant que ceua-ci ne soient sortis de l'écorce. Così il Colomb: ora brevi osservazioni ci convinceranno dell’ insufficienza di tale definizione. E innanzi tutto conviene fissare l’attenzione a quanto si è detto a pag. 12 descrivendo il decorso nel 7rifolium pratense Lin., nelle Medicago ed in altre piante affini, aventi foglie guainanti. In esse, come è noto, la foglia si congiunge col fusto mediante una guaina formata da due stipule in parte libere, in parte aderenti al picciuolo. Il decorso nella guaina del 7rifolium pratense è rappresentato dalla fig. 11, Tav. VI; si scorgono in basso tre fasci che entrano in essa indivisi; poco dopo però i due laterali si sdop- piano e con il ramo più esterno innervano le stipule. Nei tratti generali il decorso nelle altre foglie guainanti studiate non è dissimile. Ora se si pone mente alla regione nella quale avviene questo sdoppiamento dei fasci laterali, ci accorgiamo che nel 7yi/olium pratense Lin. essa corrisponde alla linea di confine tra la foglia e la corteccia, e siccome questo carattere entro ristretti limiti è variabile, alcune volte il fenomeno si anticipa e allora la divisione avviene nella corteccia, altre volte si ritarda e allora ha luogo nella foglia. Da questi fatti quindi la definizione del Colomb comincia ad apparire insufficiente e lascia dei forti dubbî circa la propria bontà, ma essa viene totalmente contraddetta da quanto avviene non soltanto in una specie vicina, nel 7y/folium repens, ma ancora in più rose come nella Rosa thea, R. mycrophyla, R. muscosa, e in parecchie delle varietà colti- vate. In esse i fasci laterali escono normalmente dalla corteccia indivisi e non in- (1) Op. cit. — 70 — viano il loro ramo stipulare che dopo essere entrati nella guaina. Questi pochi fatti citati furono da me riscontrati a caso e mi fanno eredere, che qualora fossero intraprese delle speciali ricerche si avrebbero certamente altre prove analoghe ; ad ogni modo se il Colomb potesse citare un forte numero di osservazioni in suo favore, io sarei dispo- stissimo a ritenere i casi da me notati come eccezioni ed accettare la sua defini- zione, ma siccome egli nel suo lavoro non esamina che un numero relativamente pic- colo di specie, le mie osservazioni, quantunque costituite da pochi casi, sono sufficienti a dimostrare, che la questione della definizione anatomica della stipula non è stata ancora risolta. Un altro fatto certamente importante è quello delle variazioni frequenti che si riscontrano nella stessa specie da individuo a individuo. Nell’ Wrtica divica per esem- pio io riscontrai nel picciuolo sette fasci, ma le ricerche del Gravis (!) accertano che essi spesso possono ridursi o a tre o a cinque. Nei rami fioriferi di edera helia Lin. la variabilità anatomica del picciuolo è così frequente, che io per non dilungarmi di troppo, dovetti abbandonarne lo studio. Infatti mi è occorso di riscontrare in pic- ciuoli di foglie morfologicamente simili delle disposizioni diversissime, come per esempio una semplice cerchia di fasci, una cerchia e tre fasci corticali, una cerchia e un fascio midollare. i Nella Vicia fuba abbiamo anche visto come i picciuoli portanti due o tre foglioline abbiano una struttura propria (tav. VI, fig. 5), e quelli invece aventi un maggior nu- mero di foglioline ne abbiano un’ altra diversa (tav. VI, fig. 6). E qui potrei citare una serie lunghissima di fatti, i quali tutti porterebbero a constatare la spiccata ten- denza nella maggior parte delle piante a cambiare facilmente di struttura nei loro picciuoli. Il fenomeno certamente non è isolato e si lega con la legge generale di variabilità che regola tutti i diversi organi della pianta, ma riguardo ai picciuoli questa legge si accentua maggiormente e la loro variabilità è un fatto hen più fre- quente e caratteristico. Se prendiamo a esaminare il numero dei cordoni, per cui una foglia contrae relazioni con la cerchia del fusto, scorgiamo tosto una maggiore costanza e regolarità, o per lo meno alle variazioni anatomiche corrispondono il più delle volte variazioni morfologiche, come di filotassi ecc. Le foglie, per esempio, di Zuphorbia peplus hanno due modi d' inserzione; le foglie inferiori ricevono un solo cordone, le superiori invece ne ricevono tre, ma le prime sono alterne e picciuolate, le se- conde sono sessili e opposte. La relazione tra la variazione anatomica e morfologica in questo caso è patente. Una eccezione esiste, è vero, nei /7cus e in più piante descritte nell'ultimo tipo, nelle quali il numero dei cordoni d’ inserzione è dentro stretti limiti variabile; però qui bisogna notare che la foglia comunica con la cerchia del fusto per molti fasci, i quali nel maggior numero dei casi ne abbracciano una intera regione; quindi ciascun fascio non viene a rappresentare che una piccola parte del sistema conduttore della foglia e se subirà una modificazione, l’ effetto complessivo prodotto sarà tanto minore, quanto maggiore è il numero dei fasci medesimi. Ad ogni modo la fisonomia generale del processo è sempre costante, caratteristica, riconoscibile per una medesima specie, o se essa varierà non mancheranno di corrispondere varia- (*) Op. cit. = We zioni o di età o di forma o di ordine filotassico. Per ciò che riguarda la disposizione dei fasci nel picciuolo le cose vanno invece diversamente; se alcune volte le varia- zioni stanno in rapporto con l'età e con la morfologia della foglia, come avviene nella Vicia faba, altre volte invece esse si compiono senza norma alcuna e in tesi generale si può dire che non esiste forse una sola specie in cui la struttura del picciuolo non sia in alcun modo variabile o per la disposizione dei fasci, o per il loro numero o per altri caratteri secondarî. Ora questo fatto non può non meritare una qualche considerazione. Ogni variazione anatomica o morfologica, che rinveniamo in una pianta costantemente e regolarmente, deve avere la sua ragione di esistere in una causa fisiologica o bio- logica, altrimenti non sapremmo concepire perchè una pianta debba acquistare una determinata struttura, quando questa non le sia di un valore reale; inoltre io credo che un carattere anatomico debba tanto più esser soggetto ed obbedire ad una legge regolatrice, quanto più l'organo che lo presenta ha un'alta funzione fisiologica da compiere. Ora la sottigliezza della parte superiore della foglia distendentesi in lamina, il suddividersi in essa dei fasci in minutissime maglie ci denota i più importanti ufficî della foglia, quelli cioè di produrre sostanza organica vegetale sotto l' azione dei raggi solari e di eliminare una considerevole quantità di acqua sotto forma di vapore. L' inserirsi della foglia nel fusto in varî modi ha anche una importanza evidente nella costituzione della cerchia, ma la disposizione dei fasci nel picciuolo quale relazione può avere con determinate funzioni del vegetale? Se si tolga un frequente processo di anastomosi tra i diversi fasci, e del quale dovrò ora occuparmi, noi dobbiamo con- cludere, che la distribuzione dei fasci nel picciuolo è di un'importanza certamente secondaria. Non bisogna dimenticare non essere il picciuolo altro che il ponte di pas- saggio, per il quale i fasci della foglia raggiungono il caule, essi non hanno quivi generalmente nessun principale ufficio da compiere, ed è questa forse la ragione della loro disposizione così variabile. Questa varietà, spesso senza. ordine, si rende appunto possibile, poichè da essa il vegetale non ha a ricevere notevoli vantaggi, nè a soffrire notevoli danni. Ma un altro fatto che rinveniamo con frequenza, e del quale mi sono servito per stabilire dei tipi o dei sottotipi, è un processo di anastomosi, che si riscontra spesso lungo il picciuolo tra i diversi fasci che lo attraversano. Di esso già ebbi a occuparmi nella prima parte del presente lavoro, onde per non ripetere quanto ho già detto mi limiterò a ricordare pochi fatti. In molte foglie i diversi fasci che percorrono il pic- ciuolo, prima di passare nel lembo o nelle foglioline, si anastomizzano tra loro; in molte altre invece questa anastomosi nel picciuolo non avviene ed allora i cordoni entrano nella lamina senza aver prima contratte relazioni reciproche. In alcuni casi l'anastomosi è anche doppia, cioè si fa alla base e all'apice del picciuolo. Così per esempio nel Zotus corniculatus abbiamo tre fasci disposti a triangolo nel picciuolo; se esaminiamo ciascuna delle tre foglioline che lo sormontano scorgiamo che ognuna di esse riceve un fascio. Ora parrebbe da ciò che i tre fasci dovessero penetrare di- rettamente nelle tre foglioline, ma invece non è così; essi prima si avvicinano, si fondono per poi tornare a dividersi. Nei 7halictrum e in molte Ombrellifere l' inser- zione della foglia si compie per molti cordoni, i quali si raccolgono nel picciuolo e decorrono quasi paralleli in esso, inviandosi soltanto qualche ramo anastomotico; ma È _ 479022 quando ci troviamo in vicinanza dell'inserzione delle prime fogliolin», il processo diventa caratteristico. I fasci destinati a innervare la prima fogliolina o a portarsi nei picciuoli secondarî, prima di passarvi seambiane numerose ramificazioni con tutti i loro vicini. Le fig. 7 ed 8 della tav. VII mostrano in sezione trasversale questo fatto; »s rappresenta le ramificazioni che si portano a un picciuolo secondario, 74 i numerosi rami anastomotici. Se esaminiamo invece una foglia semplice di un dato gruppo di Composte, vedremo che i tre cordoni d'inserzione percorrono il picciuolo senza congiungersi generalmente tra loro e passano così separati nel lembo, dove si uniscono, come ognuno sa, mediante le numerose ramificazioni anastomotiche proprie di questo. Se ora noi ci facciamo a dividere in due gruppi tutte le specie studiate, cioè a collocare in uno, quelle i di cui fasci prima di passare nella lamina o nelle laminette contraggono scambievoli relazioni, e a porre nell'altro quelle che non presentano un tal fatto, scorgiamo che nel primo gruppo si trovano tanto piante con foglie semplici che composte, mentre nel secondo non rinveniamo che piante a foglie semplici. In tutti gli individui, le cui foglie composte hanno più cordoni d' in- serzione, questi prima di portarsi alle foglioline debbono aver contratto u a qualche relazione scambievole. Non affermo di certo che ulteriori ricerche non possano consta- tare delle eccezioni, ma ciò non ostante ho ferma fiducia che esse rimarranno dei fatti isolati, non capaci di smentire nella generalità quanto ho sopra asserito. Così stando le cose non sarà inopportuno spendere qualche parola in proposito. Innanzi tutto dobbiamo considerare che la foglia è il più importante laboratorio chi- mico, il quale produce le principali sostanze necessarie alla vita dell'organismo, e questo laboratorio comunica con le diverse regioni della pianta mediante cordoni o fasci conduttori, per mezzo dei quali l'individuo da un lato invia alle sue foglie una parte dei materiali grezzi non ancora elaborati e dall’ altra riconduce i prodotti, cioè le sostanze organiche formate, per impiegarli a soddisfare i diversi bisogni della nutrizione. La foglia semplice rappresenta un solo e grande laboratorio nel quale le singole parti si trovano di regola riunite tra loro mediante numerose reti di comu- nicazione; invece la foglia composta è un vero laboratorio a più sezioni corrispondenti alle diverse foglioline, ciascuna delle quali lavora per proprio conto. Ora se, per ipotesi, ciascuna fogliolina comunicasse direttamente mediante cordoni conduttori isolati con le diverse regioni del fusto, che cosa dovrebbe derivarne? È facile il prevederlo. Nelle grandi foglie composte accade continuamente che le diverse foglioline si trovino esposte in vario modo ai raggi solari, o che talvolta, per una qualsiasi ragione, alcune di esse abbiano a raggiungere uno sviluppo maggiore o minore, o che infine si trovino variamente influenzate dall’ ambiente esterno. In tutti questi casi noi avremo una foglia, le di cui foglioline compiranno un lavoro disuguale, corrispondente alla di- versa quantità di luce che riceveranno, o al diverso loro sviluppo o ad altra causa esterna. E allora comunicando ciascuna di esse per proprio conto con la cerchia del fusto, nei diversi punti di questa dovrebbero giungere i prodotti in quantità mag- giore 0 minore a seconda che cause esterne variabilissime fecero sentire diversa- mente sulla foglia la loro influenza. Al contrario, avvenendo l’ anastomosi, tutti i cor- doni che discendono dalle molteplici foglioline contraggono relazioni gli uni con gli altri, scambiandosi numerosi rami e da questo fatto risulta la conseguenza, che î pro- mao — (5 — dotti debbono giungere nei diversi punti del fusto equamente distribuiti. Nella foglia semplice il processo di anastomosi lungo il pieciuolo non è di regola necessario, poichè l’anastomosi ha effettivamente luogo nel lembo, quindi in più casi vediamo i cordoni fibro-vascolari entrare in questo, senza aver prima contratte reciproche relazioni, altre volte invece avviene il contrario, e allora si tratta di disposizioni ausiliarie, che la na- tura spesso concede ai diversi organismi. Quanto fin qui si è detto riguarda soltanto la corrente discendente, quella cioè che dalle foglie passa nel fusto; analogo ragionamento potrebbe esser fatto per l'altra parte, cioè per la corrente ascendente che dal fusto passa nelle foglie. Partendo da questo concetto, io ho ritenuto la presenza di anasto- mosi come un buon criterio per stabilire dei tipi o dei sottotipi. Un'altra questione mi rimane a trattare brevemente ed è quella della struttura d>1 pieciuolo applicata alla classificazione delle piante. Non entrerei certamente in tale argomento, se recentemente non fosse stato asserito dal Petit, bastare in molti casi l'esame anatomico del picciuolo per riconoscere la famiglia od il gruppo al quale la pianta appartiene. Ora dopo quanto fin qui è stato esposto, appare evidente la con- clusione, che una tale asserzione non può riposare sopra un solido fondamento. Esist» oggi una scuola, la quale ha rivolta la sua attività all’ applicazione dell’ anatomia alla classificazione delle piante, argomento senza dubbio importantissimo e meritevole della massima attenzione. Però se si pone mente ai criterî, con i quali da taluni si cerca la risoluzione dell'arduo problema, nascono tosto dei dubbî sulla bontà dei mezzi ado- perati e sulla loro attitudine a produrre un qualche effetto vantaggioso. Nella pianta come in tutti gli organismi, sì animali che vegetali, esistono dei caratteri che presentano un maggiore potere di variazione degli altri, e che difatti variano realmente da individuo a individuo, senza che l'organismo abbia a subire per ciò delle conseguenze evidenti. Ora questi caratteri sono certamente di ordine secondario ed io li chiamerei carattere acces- sorî. Ve ne sono invece degli altri, che si presentano per lo più costanti e ordinati, che sono di una massima importanza e dalla cui variabilità dipenderebbe quella dell’ in- tero organismo; questi secondi caratteri io li denominerei caratteri fondamentali. Ora perchè una classificazione anatomica possa meritare 1 appellativo di buona, bisogna che sia basata quasi esclusivamente su questi ultimi. Quindi l’unico processo razionale per giungere ad una buona classificazione anatomica dev'essere il seguente: cercare dapprima in un dato gruppo di piante tutti i varî caratteri che si riscontrano indistintamente, esa- minare in seguito quali di essi presentino maggiormente il fenomeno della variabilità, e quali invece siano generalmente soggetti ad una legge di costanza e di regolarità, e su questi ultimi infine fondare principalmente una classificazione. Opera non dissimile avranno operato coloro i quali primi gettarono le basi dell’attuale classificazione dei vegetali. Se ora invece si esaminano i mezzi, coi quali oggi, salvo poche eccezioni, si tenta intraprendere lo studio dell’ anatomia-sistematica, noi ci avvedremo tosto com'essi siano spesso in disaccordo con quelle buone norme delle quali testè si è parlato. In famiglie, in gruppi di piante, nelle quali il velo dell'ignoto è quasi completamente disteso, oggi spesso si è paghi di descrivere quanto appare da una semplice sezione trasversale, fatta a caso in un fusto e in un picciuolo ; e senza tener conto il più delle volte delle variazioni che succedono con l'età, e di tutti quegli altri fatti che hanno una prima importanza nella costituzione anatomica della pianta, si procede a fondare una Axn. Ist. Bor. — Vor. II. 10 74 classificazione che non può possedere alcun valore, poichè del tutto arbitraria. Io credo adunque che la questione dell’ anatomia applicata alla sistematica abbia bisogno ancora di lunghi e serî studî prima che possa dirsi converientemente risolta; ad ogni modo le mie osservazioni mi portano a concludere, che l’ esame anatomico del picciuolo non è nella maggioranza dei casi sufficiente a riconoscere la famiglia di una pianta. In una mia precedente Nota che sopra ho avuto occasione di ricordare io facevo osservare come le specie da me studiate, le quali presentano il primo tipo suesposto, cioè un'inserzione della foglia nel fusto per un solo cordone fibrovascolare, fossero piante aventi foglie semplici. Fin d'allora però non dubitava che delle eccezioni non sarebbero mancate, ed infatti mentre non mi è occorso di trovarne nelle piante da me studiate, rinvenni qualche rara indicazione nei lavori di Nigeli; però dal com- plesso delle mie osservazioni e di quelle fatte da altri autori, ho potuto acquistare la convinzione che si avvera nella generalità dei casi quanto ho asserito nella Nota sud- detta. Il fatto merita studî ulteriori, ma quando fosse confermato sarebbe un bell’ esem- pio del come alla maggior semplicità di decorso dei fasci nella foglia corrisponda il più delle volte la maggiore semplicità morfologica, e verrebbe a confermare l’ asserzione del DuvalJouve (!), che cioè «lle differenze notevoli nella forma esterna dei vegetali corrispondono delle differenze reali nei particolari della loro organizzazione. (*) Op. cit. Fie » b) »” ”» » Fra. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. VI. . . Rappresentazione schematica del decorso dei fasci nel loro passaggio dal fusto alla foglia nella Mubricia laevigata Smith. — fp fascio fogliare. Sezione trasversale in un giovane fusto di Buzus sempervirens Lin. — ce cordoni corticali. Rappresentazione schematica in projezione del sistema corticale di un giovane fusto di Buzus sempervirens Lin. Sezione trasversale in un fascio corticale di Buwus sempervirens Lin. — 10 fibre liberiane, rai. . 200 If libriformi È Sezione trasversale nel picciuolo di una foglia bi-o trifogliolata di VWicia /aba Lin. Sezione trasversale nel picciuolo di una foglia pennata di Vicia /uba Lin. Sezione trasversale in un picciuolo di Brurfelsia americana. Lin. — cc cordoni corticali. Sezione trasversale in una foglia di Buzus rosmarinifolius Hort. — e cerchia di fasci 10. Il, (O) 10. co DI corrispondente alla nervatura mediana della foglia. Rappresentazione schematica del decorso dei fasci dal fusto alla Mo nella Phlomis fer- ruginea Tenor. — fp fasci fogliari principali. Sezione trasversale in un picciuolo di Eucalyptus globulus Labil. — in visinanza del lembo. — fl fascio che si stacca da un lato della cerchia per innervare il lembo. Decorso dei fasci nella guaina del 7rifolium pratense Lin. — fs fasci stipulari. Tav. VII. Rappresentazione schematica del decorso dei fasci nel tipo V, nel quale i fasci laterali delle due foglie opposte si congiungono nella corteccia mediante un arco anastomotico ca. Sezione trasversale in un fusto di Micus rubiginosa Desf. in prossimità del piano d’ inserziono di un picciuolo. — /l fasci laterali. Sezione trasversale nel cuscinetto di una Acacia lnearis Ker. — e collenchima. 5. 6. Successive modificazioni nella trasformazione dei picciuoli in fillodi. — e collenchima, f' fasci disgiunti nella fig. 4 e 5 che si uniscono nella fig. 6 8. Anastomosi tra i diversi fasci nell’ inserzione di un picciuolo secondario di Corium macu- latum Lin. — ra ramificazioni anastomotiche, ;s ramificazioni che si portano a un piccinolo secondario. . Sezione trasversale in un picciuolo di Pelargonium zonale Wild. — f*, f*, f*, f*, f? fasci principali del picciuolo, / fasci minori. Decorso dei fasci in un fusto di Wicia fuba Lin. — fin, fascio mediano fogliare, / fasci laterali corticali, /c fascio corticale meccanico. Tav. VII. Rappresentazione schematica del decorso dei fasci nel loro passaggio dal fusto alla foglia in un Pelargonium. -— rosso = fascio mediano, turchino = fasci laterali (Per la spie- gazione delle lettere v. la fig. 9 della tav. VII). id, in una Vicia fuba Lin. (Per la spiegazione delle lettere v. la fig. 10 della tav. VII). . Decorso dei fasci nel loro passaggio alla foglia in un Phaseolus vulgaris. Lin. — rs rami- ficazioni stipulari. . Sezione trasversale in un fusto di 7'lalictrum jaquini in prossimità del piano d’ inserzione di una foglia. — 4,6 fasci che ancora occupano la guaina della foglia, c,d fasci che entrano in cerchia, r0ss0 = porzione vascolare, turchino = porzione cribrosa. — {Db — Osservazioni sul Poterixm spinosum L. del prof. R. PIROTTA Il Polerium spinosum L. è fra le specie europee del genere una delle più inte- ressanti e per il modo di vegetazione della pianta e per la struttura morfologica e per alcuni fatti biologici. Alcune osservazioni di questi nltimi anni e le poche notizie, anche contradditorie, trovate nei libri di morfologia e di sistematica intorno a questa specie, mi indussero a farne lo scorso anno uno studio più accurato. Servirono alle mie ricerche due robusti esemplari coltivati nell’ Orto botanico di Roma ed altri spontanei, freschi, comunicatimi gentilmente dall'egregio collega di Cagliari, prof P. Gennari. IL La pianta, che presenta il suo stadio di riposo durante l'estate ed il principio dell'autunno, porta i primi fiori alla fine di marzo ed al principio di aprile e matwa i frutti nel maggio ed ai primi di giugno, per passare dopo ben presto di nuovo allo stato di riposo. Le gemme, che daranno luogo ai primi germogli fioriferi sono le prime a svilupparsi. Esse trovansi all’ ascella dell'ultima o delle ultime foglie normali del- l'anno precedente, quelle foglie cioè al disopra delle quali il sistema vegetativo dà luozo alla metamorfosi in spine, producendo lo speciale sistema spinificato, che fece dare il nome alla specie e del quale dirò altra volta. Gli indicati germogli fioriferi si sviluppano vigorosamente per un certo tempo, raggiungendo o superando di poco il livello del sistema spinificato dell'anno precedente, e portano ben presto le infiore- seenze. Allora cioè l'asse principale del germoglio si termina con una infiorescenza, talora unica, isolata, /erminale; più spesso però all' ascella delle foglie (1-3) imme- diatamente al di sotto di essa. si producono germogli laterali, secondarî, brevi, forniti di una a poche foglie ridotte a: tre foglioline, e terminano ben presto con una infio- rescenza laterale. AI ascella delle dette foglioline possono ancora in certi casi svol- gersi delle brevissime infiorescenze di terzo ordine. Compiutosi pertanto lo sviluppo delle infiorescenze, al di sopra del sistema vegetativo spinificato dall'anno precedente trovasi dalla fine di marzo a giugno il sistema riproduttivo. Intanto però si svolgono e crescono i germogli del sistema vegetativo dell'anno, soltanto fogliferi, raggiungono ben presto e sorpassano il sistema riproduttivo e quindi danno il sistema spinificato dell’ annata. Quando adunque i frutti sono maturi, tro- viamo un sistema di rami spinificati dello scorso anno s0//0 le infiorescenze di quest’ anno; poi l infiorescenza dell'annata ad assi induriti; quindi sopra il sistema spinoso del- l’anno. Più tardi, caduti i frutti, anche gli assi delle infiorescenze funzionano da spine. I Le infiorescenze del Poferium spinosum sono vere spighe, che possono essere, come dissi, /erminali o laterali, isolate 0 raggruppate. Le terminali e le isolate sono le più lunghe e possono misurare nella loro parte fornita di fiori da 3-5 e fino ad 8 centimetri negli individui coltivati; le laterali sono sempre assai più brevi, talora brevissime. I fiori, portati da un peduncoletto così breve da potersi a ragione dire sessili, sono di tre sorta, maschili, femminei ed ermafroditi. Il grado però dell’ ermafrodi- tismo è assai diverso nei diversi casi. La distribuzione di questi fiori ed il loro nu- mero sulle infiorescenze dello stesso individuo e dei diversi individui non è eguale: anzi ho potuto stabilire che vi sono pure differenze tra le piante coltivate e le spon- tanee. I diversi autori non sono concordi su questo punto della distribuzione dei fiori nel Poterium spinosum. Così, per limitarmi ai nostri italiani, Bertoloni (!) dice che le infiorescenze sono poligame coi fiori fertili superiori; Gussone (?) le dice sopra femminee, sotto maschili senz'altro; il Moris (3), che a quanto pare fu il solo che studiò con attenzione questa pianta, dice a proposito della distribuzione dei fiori: « in aliis plantis flores masculos, in aliis foemineos gerentes, in aliis flores inferiores « masculos, superiores autem foemineos ». Io ho potuto esaminare nei due individui coltivati 41 spighe terminali e 36 laterali, e nei sei individui spontanei di Sardegna 126 spighe terminali e 145 laterali. Nelle tabelle, che seguono, ho esposto i risul- tati numerici di queste osservazioni, i quali, meglio che con molte parole, permette- ranno di trarre qualche conclusione, benchè non assoluta, sulla distribuzione dei sessi nel Poferium spinosum. TABELLA I. Numero dei fiori maschili e femmipei per ogni spiga. A. Piante coltivate. I. Spighe terminali. 1° individuo 2° individuo Spighe con fiori o* Spighe con fiori 9 Spighe con fiori © Spighe con fiori $ Il 0 I » 14 | ] »_2 1 A_N Ti te O O sigg e 9 o) 8 eo 1 » 4 1 »_ 15 Gai Ou era TIMECTONIS OMENZIOLO fa ne OS 2 SPRLIBRO, A TZ ezio ARPINO) e Ti gn ole earn Ra 00 AMREVE 10 S6l 3) 128 Sl 552 10 55 (1) Bertoloni I. Alora italica, II, p. 191. (*) Gussone I. /orae siculae Syn. II, p. 602. (3) Moris I. B. Mora Sardoa, IL p. 32, du NES II. Spighe laterali. 1° individuo Spighe con fiori o” Spighe con fiori $ 5 ” () il ” 1 ] CRCR) 1 E) 4 1 ». 2 Il » 5 I 3” ‘3 Il ” 5) l ao 1 È) 7 ‘) 11 } 5g 60) Il ie el 9 64 | | Spighe con fiori J) Spighe _- $ B. Piante spontanee. 1. Spighe terminali. 1° individuo Spighe con fiori o — Spighe con $ O 7 RARO a 1 nie PIANO, peri 2 n» 2 SUO MS 6) NE) — d m LEG, 1 » 4 i È CABSEST; 2 si -_ 4 »' 8 2 LI) Car MIO) 153 46 — ll = 19 18 105 3° individuo Spighe con fiori 0° — Spighe con $ 17 n. (0 — 5 CAIO) Iiaroghozi Mi bid 19 a At ALn 8 liver: 2 lol add Loki? De Lin da9 5 » 10 Lo: and 19 110 Spighe con fiori 0° 5 | È eos pa PE E 99 n 1a] Spighe 26 20 » n ” ”» con fiori o — Spighe 2° individuo {) Ss 2 [9] TR 2° individuo (0) UD i Ut} 4° individuo 0 (0) con fiori 2 A IRRGNRE, 1 l'i PINTO 6 ] c) 7 PI to) 5 . 9 LO) abile! calle 2 ° 14 5) 233 Spighe con $ ARTO CARNE 9A: E iolE® 3 na 09 Qu Ma 04 SIBKIEN5 ] 00 DI DUET. 5) = 8 ] - 9 20 Ato con 2 ” () LA egizi I »_ 6 Ln Len getti Die neo 4 »_9 6.» 10 Srivenpli 4» 12 MARTON) IREFOZN La) 26 235 Spighe con o — Spighe 9 20) “0 5° individuo i) = 6° individuo Spighe con fiori o — Spighe con | Spighe con fiori o — Spighe con %$ nio) = 1 » 0) 7 * (0) = 6 » 0 A I ata Lriftozt Gli ei o DIMO — IS 4 sid = Il 2000O > 6 —18) alavdi ddt 8 SE 0 nidi aa CALI TA AA SUI dia 09 di ASA pali rana ME 16° ‘be DEMO — 3 NEITTO) 76 FETTE: 17 SÒ 1° individuo O— 3 n_0 SIR ET cea e ani 4 Mat 5 7 6 4 lio. 4llEno:g 25 130 4° individuo Spighe con o — Spighe con 9 9 = 9 ” O0— 4 = 0 SER 5) AO) () (o) esi 1 »_ 3 1 n 05 2 FINO, 4 CT 3 7 8 3 » 9 9 » 10 1 » 12 29 177 II. Spighe laterali. 2° individuo Spighe con o — Spighe con £ 20» 0—- 5 2000) 2 » 1—- 383 E (iI 4_n 2-2 » 2 2 »3—- 4 CIR 2 »n4—- 8 - ] iti OA nio a ila e » 6 34 66 — 1 TI l » 9 34 120 5° individuo Spighe con o — Spighe con 9 16 > 0—- 8.» 0 da 206 i Ul (CAM O, a FIR Il 5) 2 » 6 2 IN, Il » 6 Il » 9 17 52 3° individuo Spighe con o — Spighe con 9 DOM 0 SA = 0) = sl 29 0) 5 ni 2 É S { ul) 3 » 4 5) » 5 D » 0 1 »_7 1 n 29 tato 6° individuo Spighe con o° — Spighe con La 00) do an 2 =» l 100 A 5 1 >» 6— 4 n.4 TO PAT i 12 35 i 0 Taperca IT Rapporto tra i fiori maschili ed i femminei nelle singole spighe. A. Piante coltivate. I. Spighe terminali II. Spighe laterali 1° individuo 2° individuo 1° individuo 2° individuo Spighe— fiorio'— £ | Spighe— fiori” — £ | Spighe— fiori 7 — % | Spighe — fiori — £ 1 ibi det PS RE 1 2 —18 1 — 3 —16 dae _25 1 — 0 — 4 —30—16| 1 — 4 —18| 1 — 0 — 6| 8-0 — I n = 1 5 17 T = 0, = 10 1 — 0 — DR e Ne o i e N en — Lio 4° 16, 2 PO 6 IT 2 insidie pile Post ig esi te o de Diga e uf ale i nio) 204 | 75 9° fi ae 1 — 5 =14| Gail ‘td | SAS TR L' ie 3 — 5 — 16 1 — 838 — 10 Dod LI IMRE Ri Ge ab — 18 1 —- 8 —12 Lt == 5 = ag do SCSI 1 — 6 —18 24 94 233 L= Mi 257 31 123 532 | 655 1° individuo Spig— o'— 2 2-0—-0 1-0—- G 1_-0—-7 1-0—- 8 TE240=89 1—-0—-10 1_-1-=9 La=t= 7 == 104—- 5 2-9 06 2-9—- 1 10 46 108 2° individuo Se 2T-0—#8 2—-0- 7 1-0—- $ Qa—-1— 8 1_-1- 9 1-2—- 7 1-3 —- 7 1_-4—- 7 1—-5— 5 1—-6— 2 1_—-6— 4 1_—-060— db 1-6—- 6 1—-8— 58 1-10— 0 1-10— 1 1—-10— 4 2079 104 183 == {el == B. Piante spontanee. I. Spighe terminali. 3° individuo 4° individuo Mile ee Qi geo E 0 = 03 == 1—-0—- 2|1—-0-1 1-0—- 8|1—-0— 6 eee oT-0— 7)2—-—0— 8 1—-0— 8|4—-0—- 9 1—-0— 916 —0—-10 4-0 —-10/3 — 0-11 1—-0—-11|4- 0-12 esso Seo MES 1_-2-10|/1-0—-15 19 4 11026 0. 235 114 235 Ann. Ist. Por. — Voc. III. 5° individuo 6° individuo Spie gio) Spie etgi=9 == 1-0—- d 1_-0—- 6 Q2-0—- 8 1—-0—- 9 1_-4- 6 1-5—- 8 1_-5—- 4 1_-6_- 2 1—-7- 4 1-8—- 2 2—-8—- 3 1-8—-5 1-8S8—- 8 Meo = 17 76 80 156 6O0_-0= 0 esso poi e: een ve d-3= r=G=6 ali ll 1° individuo 2° individuo >= II. Spighe laterali. 3° individuo 4° individuo 50 individuo 6° individuo Spig— o — $.|Spig- o°— 3. [pig — 2. [pig — 9 pig d- £|Spig— P—- £ 3—-0— 0|/2-0— 0/4—-0— 0|4—-0— 018—0— 0/1 —-0— 0 1—-0— 1l1-—0— 13—-0—.1|]3—-0—-2/1-0— |1-0-=1 1—-0— 8|1—-0— 2|5—0— 2|/1—-0—-3|I1-0— 53 4-0—-5 1—-0— 4|12—0— 8|7—0— 5/1—-0—- 5|2—0— DI 1-0— 4 4-0—.515—0— 4/3 —0— 4|]/2—0— 6|12—0— 71-11-11 6T-0— 64—-0— 5/3 —0— 5])4-0— 7|1-0—-8|1-1-4 2T-Q— 7]13—-0— 6,)2—0— 6|/8—0— 8|1—-0— 9]1-1-5 2T-0— 8|1-0— 7|1-0— 7|3—0— 91—-2—- 5] 1_-2— 4 laoeiae GI =0= == € 2 -0_-10|7 9 calca a Me A Sr PI o agli 2012 " » ll 35 2—1—- 8|1-2— i (ba co ir 54 pi x (E ag 1=2-3 leto) iS 46 SOSTE so pi i \LIR e 1-3—- 4 1-4—- 2 1—-4—- 5 1-56—-1 3 —12— 0 54 66 120 156 | TapeLLa III Riassunto delle Tabelle precedenti. A. Piante coltivate. È J ua terminali spighe laterali totale per individ. 3 da | fiori L | totale fiori | fiori * | foi o ion fiori g| fiori 9 “ua 1 123 | 532 655 11 64 75 134 | 596| 730 2 53| 151) 204 | 24] 233.257 77| 384|. 461 Somma] 176 | 683 859 dD 297 332 211 980 1191 — 359 — B. Piante spontanee. È Spighe terminali spighe laterali totale per individ. È fiori g° | fiori 9 | totale fiori] fiori g*| fiori 4 | totale fiori| fiori | fiori 9 vicini 1 46 108 154 5) 130 135 51 258 289 2 79 104 183 66 120 186 145 | 224| 369 d 4 110 114 0) 88 SS 4 198 202 4 0 235 2535 0) TEZIZA 177 0 412 412 5 76 S0 156 2 92 54 78 1132 210 6 21 54 75 11 35 46 32 S9 121 Somma | 2206 691 917 84 602 656 310 |-1293 | 1603 TaBeLLA IV. Numero dei fiori ermafroditi in rapporto colle spighe e coi fiori. A. Piante coltivate. I. Spighe terminali II. Spighe laterali ‘1° individuo 2° individuo 1° individuo 2° individuo Delle 31 spighe 8 con % | Delle 10 spighe 3 con % | Delle 9 spighe 2 con % |Delle 25 spighe 3 con $ degli 8 fiori: dei 8 fiori: dei 2 fiori: dei 3 fiori: 1 con 1 stiloe5 stami|1 con 1 stilo e 10 stami|1 con 2 stili e 1 stame|1 con 1 stilo e 3 stami infra (El ao ThE {ni a|TroiiLiunt Og bias so SO a era 30» To ene ae I TI e ROMS) [e Si B. Piante spontanee. Nessuna delle spighe mi presentò fiori ermafroditi. Dall’ esame delle tabelle sopraesposte si possono trarre molte deduzioni, che per amore di brevità credo opportuno condensare nelle seguenti conclusioni : 1. Nelle piante coltivate, le spighe, siano esse terminali o laterali, portano un numero totale di fiori superiore a quello delle piante spontanee. Questo totale però presenta delle oscillazioni considerevolissime anche per il fatto, che specialmente nelle piante spontanee vi è tendenza marcata alla spinificazione, clre porta con se l' aborto di un certo numero di fiori superiori od inferiori. Nelle piante coltivate sopra 41 spighe terminali ho trovato, per il numero totale dei fiori, un minimo di 13 ed un massimo di 24; però la maggioranza delle spighe | portano da 18-20 fiori. Nelle stesse piante, sopra 24 spighe laterali troviamo un mi- nimo di 2 ed un massimo di 17, e in maggioranza da 8-14. Nelle piante spontanee il numero totale dei fiori diminuisce considerevolmente. Infatti, lasciati da parte i Pot E casi di totale aborto (che può dipendere o da totale spinificazione o da spinificazione parziale accompagnata da aborto degli organi sessuali nei fiori rimasti), sopra 106 spi- ghe terminali trovai un minimo di 1 fiore ed un massimo di 16, con la maggior parte di 9-10, e sopra 146 spighe laterali un minimo di 1 fiore, un massimo di 12 e la maggior parte di 3-8. 2. Il numero assoluto dei fiori femminei e maschili per ogni individuo è variabile; tuttavia il rapporto fra di essi è sensibilmente costante. I fiori maschili sono in generale quelli, che hanno maggior tendenza ad abortire, forse in causa della loro posizione sull'asse dell’ infiorescenza. Questo fatto si verifica assai meno frequente nelle piante coltivate, che nelle spontanee, e nelle spighe terminali, che nelle laterali. Nelle piante coltivate poi, le spighe con totale aborto di fiori maschili, divenute quindi femminee, sono sempre in numero minore di quelle fornite anche di fiori maschili (1 sopra 41 spighe terminali, 153 sopra 34 spighe laterali). Nelle piante spontanee invece la pro- porzione è molto maggiore, ed in esse si verifica anche il caso, che tutte le spighe di un individuo, terminali e laterali, non portino fiori maschili. Così nei sei individui spontanei abbiamo le seguenti proporzioni: per le spighe terminali 5 su 20, 6 su 17, 7 su 18, 7 su 16, 17 su 19, 26 su 26: per le spighe laterali : 20 su 34, 7 su 12, 20 su 25, 16 su 17, 29 su 29 e 29 su 29. Di essi un individuo è tutto femmineo, un altro quasi, offrendo soltanto due spighe con fiori maschili; un terzo ha tutte le spighe laterali, meno una, con fiori femminei. I casì nei quali il numero dei fiori maschili di una spiga è maggiore di quello dei femminei, è molto più raro, rarissimo quello nel quale tutta la spiga sia maschile, caso che verificai solo nelle piante spontanee. Negli individui da me esaminati infatti, fra le piante coltivate non ho trovato mai questo caso nelle spighe te:minali; e nelle laterali un solo individuo sopra 9 spighe ne presentò una con tre fiori o ed uno $. Ma nelle piante spontanee le cose si comportano in altro modo. Infatti per quanto riguarda le spighe terminali un individuo ne presentò 2 su 18 con 9 fiori o” ed 1 £; un secondo 8 su 20 con fiori o” più numerosi, e tra essi uno con 10 fiori o e 0 ®; in un terzo individuo 9 sopra 17; negli altri tre nessuna. Per quanto riguarda le spighe laterali, soltanto due dei sei individui studiati presentarono delle spighe con fiori maschili più numerosi dei femminei, e precisamente 1 sopra 12 in in uno, 5 sopra 34 nell’ altro e di queste cinque tre con 12 fiori o e 0 9. Però se noi consideriamo i numeri totali dei fiori maschili e femminei nelle piante spontanee, nelle coltivate e nelle une e nelle altre prese insieme, troviamo che il rapporto si può dire costante. Infatti dei 1603 fiori delle piante spontanee 310 erano > e 1293 £; dei 1191 fiori delle piante coltivate 211 erano o e 980 9; dei 2794 fiori, totale di tutte le piante, 521 erano o e 2273 . Ora in tutti questi casì i fiori maschili rappresentano approssimativamente uz quinto del numero totale. 5. Di qualche interesse mi sembra quanto riguarda i fiori ermafroditi. In nessuna delle spighe, terminali o laterali, delle piante spontanee trovai fiori ermafroditi; li riscontrai invece relativamente frequenti nelle piante coltivate, ed in esse più nume- rosi nelle spighe terminali, che nelle laterali. Nel totale delle spighe dei due indi- vidui coltivati, soltanto 16 presentarono fiori ermafroditi, e cioè 11 nelle spighe ter- minali, 5 nelle laterali. Tutte le spighe poi non portano ehe un solo fiore ermafrodito. BR UNA In questi fiori ermafroditi la distribuzione degli elementi maschili e femminei è diversa, e varia specialmente per il numero degli stami. Abbiamo infatti tra i 16 fiori 5 con 1 stilo, 3 con 2 stili, 8 con 3 stili; abbiamo per contrario 3 fiori con 1 stame, 5 con 2 stami, 2 con 3 stami, 2 con 4 stami, 1 con 5 stami, 1 con 6 stami, 1 con 10 stami, 1 con 12 stami. Questo fiore che porta contemporaneamente elementi maschili e femminei, unico per ognuna delle indicate 16 spighe, corrisponde nella maggioranza dei casi all’ infimo fiore femmineo, quello cioè che fa subito seguito ai maschili, quando questi si trovano sulla spiga; uno solo stava nella parte superiore della spiga, ma portava un solo stame. (Questi fiori ermafroditi sì possono dunque ritenere come molto ridotti, gli ultimi residui cioè del passaggio alla separazione dei sessi nella nostra pianta. E più precisamente, considerando l’esiguo numero degli stami in questi fiori bisessuali, si possono ritenere come gli ultimi fiori nei quali l' elemento femmineo prende il sopravvento. Siccome poi questi fiori bisessuali li ho trovati tutti (nel caso da me studiato) nelle piante coltivate, mentre mancavano affatto nelle piante spontanee, si potrebbe forse con fondamento ammettere, che si tratti di fatti atavici, il cui presentarsi sia dovuto alle speciali con- dizioni o.ferte dalla coltivazione. Non bisogna però dimenticare, che il Moris accenna alla presenza di fiori ermafroditi nel Poterium spinosum; ma non dice, se li abbia osservati in piante spontanee od in quelle coltivate. È pure interessante rilevare alcuni fatti, i quali mi sembra valgano a dimostrare che in questa pianta vi è una marcata tendenza alla separazione dei sessi. Ho trovato infatti in certi individui coltivati delle spiche laterali con un solo fiore maschile fornito anche di pochi stami, e delle altre con spighe terminali e laterali aventi un solo fiore femminso e numerosi maschili (9-10); in certe altre spighe i flori maschili o rispetti- vamente i femminei esistono al loro posto normale, ma o gli uni o gli altri sono inattivi per aborto più o meno completo degli elementi sessuali. Da questi casì si passa alle numerose spighe tutte maschili o tutte femminee ed agli individui a sessi completa- mente separati, dei quali però io non osservai che quelli femminei (!). INK Anche per quanto riguarda le spighe, non sono d'accordo i descrittori. Boissier le dice più o meno peduncolate od anche sessili, terminali; Bertoloni le dà per soli- tarie. Per quanto riguarda la fo:ma, sono lineari, oblunghe od ovate secondo Moris, cilindriche od oblunghe per Gussone; subglobose per Bertoloni. In fine mentre Gussone e Boissier le dicono piuttosto lassiflore, il. Moris le dà lassiflore o densiflore. Da quanto si è detto sopra, è facile comprende-e, che le indicate divergenze provengono sopratutto dall’ esame di una sola o di pochissime spighe, e che il Moris, come quello che ebbe sottomano materiale fresco ed abbondante, è il più esatto. Nelle infiorescenze terminali spesso il fiore inferiore della spiga è lontano dagli altri e sostenuto da una brattea fogliforme; nelle spighe monoiche poi i fiori inferiori, (1) Secondo Spach (Revisio generis Poterium, Ann. Se. natur. 3° sér. t. V, 1846, p. 31), sa- rebbe decisamente monvico. OSS maschili, sono staccati dai femminei per un piccolo tratto ed auche slontanati fra di loro in confronto ai femminei, cosicchè possono occupare nella spiga altrettanto od anche mag- gior posto che i fiori femminei, che sono assai più numerosi. A questo fatto accennano semplicemente tutti i descrittori colla frase « spighe interrotte alla base ». I fiori femminei, specialmente nella porzione superiore della spiga sono molto più ravvici- nati e compatti. — I fiori dell’ apice dell'asse della infiorescenza sono non di rado abortiti, cosichè esso si presenta come una breve punticina. Ciascun fiore presenta tre brattee, tutte piccole; di esse la mediana è un po’ più grande, ovale lanceolata, sco- lorita, con molti peli. Il calice del Poterium spinosum è inserito sopra una cupola ricettacolare mani- festa e sviluppata nei fiori femminei, ridotta assai nei fiori maschili, nei quali forma una specie di orlo sporgente, da cui si staccano i lembi. Ordinariamente il calice è tetra- mero; però nei fiori che stanno al sommo della spiga spessissimo è trimero. I suoi lembi o lacinie più grandi nel fiore maschile che nel femmineo, sono ovali, ot- tuse, con tre nervature manifestissime, e portano all’ estremità anteriore un piccolo mucroncino ottuso. Nel bottone essi si coprono coi margini loro, ma per pochissimo tratto. Allo sbocciare del fiore, i lembi sì rovesciano in fuori nel fiore femmineo; restano invece quasi patenti nel maschile. Essi non sono così caduchi, come indicano i sistematici, ma nel fiore femmineo persistono anche a completa maturanza del frutto, benchè sec- cate e scolorate, e nel maschile si trovano aderenti all’ asse della spiga anche quando i frutti sono quasi maturi, colle lacinie secche e scolorite. La struttura del lembo è però simile nelle due sorta di fiori. Consta di una epidermide superiore a cellule assai grandi, di un epidermide inferiore a cellule assai più piccole, con stomi manifesti e numerosi sulle due facce; di un mesofillo a poche serie di cellule verdi, simili, isodiametriche, percorso dai fasci vascolari. Il falso frutto, trasformazione principalmente della cupola ricettacolare, comincia ben presto a svilupparsi, raggiungendo rapidamente le sue dimensioni definitive e tro- vandosi già completamente maturo verso la fine di giugno. Durante lo sviluppo esso passa per diversi stadii di forma, di colore, di-consistenza. Dapprincipio è subsferico o glohoso, verdiecio; ben presto, già quando ancora gli stigmi sono turgidi, aumenta di volume ed ha forma di una pallottolina minuta sormontata dai lembi del calice, che sono verdi, distesi ed applicati contro la porzione ingrossata, cosichè somigliano una stelletta. In questo stadio il falso frutto ha color roseo nella parte esterna, bianchiccio 0 gialliccio nelle parti interna ed inferiore. Raggiunta la sua massima dimensione è sfe- rico di color rosso più o meno vivo nella parte esposta (superiore-esterna), giallo nel resto. Più tardi diventa di color bruno dapprima pallido, poi mano mano più intenso, mentre i lobi calicini si scolorano, si sollevano ed accartoceiano, ma non si staccano, come asserisce p. e. il Moris. In tutti gli stadii precedenti, cioè quando hanno color rosso o bianco, od anche nei primi stadii del bruno, i falsi frutti sono a superficie liscia, distesa; poi col pren- dere il color bruno sì fanno mano mano flosci, s' increspano e presentano delle pie- ghettine nel senso longitudinale ('). (1) N colore del falso frutto sarebbe rosco (Moris), rosso (Gussone), ranciato (Ber‘oloni). er Tutti gli autori consultati, senza eccezione, attribuiscono al Poterium spinosum un falso frutto (!) baccato o subbaccato e persino polposo, succulento; Bertoloni lo dice rivestito da una corteccia polposa ed infine De Candolle lo rassomiglia a quello della Rosa daccata (2). Ma in verità nè nello stadio a color rosa, nè in quello a color bianco o giallo non sono mai carnosi nè succulenti; sono anzi poco resistenti e solo schiacciandoli fortemente fra le dita, se ne può spremere una traccia di liquido. Hanno invece sotto l' epidermide un tessuto ampio, spugnoso, bianco, abbastanza asciutto, che ravvolge î veri frutti od achenii, allora di color verde. La poca resi- stenza ed il pochissimo liquido sono scomparsi affatto, quando il falso frutto ha color bruno, nel qual caso anche il tessuto spugnoso interno imbrunisce. Per la presenza del tessuto spugnoso i falsi frutti sono pieni di aria, leggerissimi, cosicchè in ogni stadio galleggiano facilmente sull'acqua anche per molti giorni. Il falso frutto consta di due parti, il vero frutto e la cupola ricettacolare ingros- sata. Questa cresce e raggiunge dimensioni eguali spesso a quelle dei falsi frutti normali, anche quando i semi sono completamente abortiti. La cupola consta di tre parti; una esterna fatta dall’ epidermide esterna, sottile, di color giallo bruno, e di una serie di cellule sottoepidermiche quasi scolorate, più grandi ed a pareti più sottili; una interna formata dall’ epidermide interna, al disotto della quale sta uno strato di color giallognolo costituito da due a quattro serie di cellule parenchimatiche piccole. Imme- diatamente all’ esterno di queste stanno isolati e disposti in una cerchia i fasci vasco- lari del ricettacolo. La porzione mediana consta di cellule ramose, a corpo piccolo, con rami diretti in tutti i sensi, lunghi sottili, cilindrici, direi quasi a forma di mice- lio, scolorati, a pareti sottili ma finamente punteggiate. Queste cellule, partendo in numero considerevole e piuttosto fitte dallo strato sottoepidermico interno, si dirigono obliquamente verso l’ esterno, andando ad attaccarsi alla serie sottoepidermica esterna, diventando mano mano più lasche, cioè lasciando ampie lacune, alle quali si deve la leggerezza del falso frutto. Nel fiore femmineo maturo, il ricettacolo, benchè già rigonfio, è meno spesso, colle cellule del parenchima mediano già ramose, ma più fitte e più brevi, con corpo grande e rami corti e grossi, con cavità aeree più strette assai. Cosicchè parrebbe quasi che durante lo sviluppo del falso frutto il numero delle cellule ramose non aumen- tasse; ma solo avesse luogo un considerevole accrescimento intercalare nei rami. I veri frutti sono achenii: tipicamente in numero di quattro provenienti dai quat* tro carpelli, se ne trova di solito da uno a tre, abortendone quasi sempre qualcuno; di rado mancano tutti. Occupano la parte centrale della metà superiore del falso frutto, (!) Senza toccare la questione della natura morfologica dell’ organo nel quale stanno i pistilli, ricordo soltanto, che Moris, Gussone, Spach, Grenier e Godron, De Candolle e Boissier ritengono il ‘falso frutto come il tubo del calice ingrossato; Baillon, Cesati, Gibelli e Passerini e Eichler lo chia- mano una modificazione del ricettacolo; per Bentham ed Hooker sarebbe il tubo del calice rive- stito dal ricettacolo fino alla fauce. (£) Gussone (1. e.) dice nella diagnosi che il falso frutto è drupaceo; però più sotto nella descrizione lo chiama quasi daccato difeso da una corteccia grossetta rubiconda; Bertoloni usa la parola achenio. sotto ai lembi del calice. Sono ovali-allungati, con quattro leggere costoline, che li fanno apparire subquadrati in sezione, ristretti all’ apice, verdi per lungo tempo, infine bruni, rivestiti alla superficie dalla porzione interna del ricettacolo, che loro aderisce. Il pericarpio in sezione trasversale si vede costituito da una epidermide a cel- lule poco ispessite, subquadrate, da un pajo di serie di cellule sottoepidermiche a reti sottili, da una serie regolare di cellule meccaniche a pareti grosse e colorate in giallo, contenenti ciascuna un grosso cristallo di ossalato di calce; segue infine uno strato consi- derevole di cellule selerose, allungate, sottili, punteggiato-canalicolate, intrecciate a pa- formare un robusto tessuto meccanico. Nel fiore femmineo maturo i carpelli sono liberi fra loro e non contraggono aderenze colle pareti del ricettacolo. Soltanto più tardi le cellule epidermiche dei carpelli crescono e si accollano fra loro, saldandosi anche; cosicchè nei frutti le epidermidi dei varî pericarpii sono a contatto dovunque, meno che nel centro, che in parte è cavo, in parte occupato da cellule epidermiche, la cui parete esterna in seguito a forte accrescimento vi ha fatto protuberanza, ispessendosi anche assai. JUVE I caratteri biologici essenziali del fiore del Po/er/um spinosum L., lo fanno senza esitazione collocare fra le piante anemofile. Gli stami sono numerosi, circa 40) nei fiori maschili, ad antere gialle, fornite di filamenti sottili, flessuosi e raccorciati nel bottone, lunghi, distesi, pendenti all’epoca dello sbocciamento. Il polline è giallo, abbondante, asciutto, a granelli con parete liscia, poliedrici se osservati a secco, sfe- rici se visti nell'acqua. Toccando i fiori maschili aperti e maturi, il polline cade spontaneamente. Gli stili sono gracili, gli stigmi lunghetti a pennello o meglio for- niti di papille e di uncinetti rivolti all'indietro. 1 fiori maschili, un po’ più grandi dei femminei, sono i primi a formarsi, ma non maturano e non si aprono che molto tardi. I femminei si schiudono prima, co- minciando da quelli inferiori e procedendo verso i superiori con successione piuttosto rapida. Qualche giorno dopo aperti i fiori femminei, cominciano a sbocciare i ma- schili, e qui pure per i primi gli inferiori; cosicchè si hanno nelle spighe monoiche due punti di partenza per la fioritura: uno pei fiori femminei, l’altro pei maschili. Soltanto qualche rara volta i fiori maschili mediani si aprono dopo i superiori e gli inferiori. E quando in queste spighe i fiori sono aperti e maturi, i femminei pre- sentano già i loro stigmi appassiti o disseccati. Il fiore del Poterzum spinosum è inodoro, non presenta organi o tessuti nettariferi, e non lo vidi visitato da insetti. Questa pianta adunque per l'apparecchio di impollinazione longistamineo, lo stigma a pennello, la caduta spontanea del polline, la mancanza di nettare e di odori, il tempo di maturazione degli stimmi e delle antere, è anemofila e proterogina brachi- biostimmica, e l'anemofilia è del tipo di quella delle Graminacee ecc. Ma l'esame biologico del fiore del Poterium spinosum, ci appalesa alcuni altri caratteri secondarii, ma degni di nota. Gli stimmi ed i filamenti degli stami sono di un color rosso vivo o vinoso: i lembi del calice dei fiori femminei superiori sono pure spesso tinti vivamente in rosso; quelli degli altri femminei spesso e dei ma- schili sempre sono verdi con strisce rosse al margine del terzo anteriore e lungo le nervature principali. Infine l’'ingrossamento del ricettacolo, che porta i lobi del = (89 calice nel fiore femmineo, sopratutto nelle piante spontanee, è di un bel rosso vivace nella parte superiore ed esterna, gialliccio nel resto. Questi ultimi caratteri non hanno valore biologico per le piante anemofile. Qual'è dunque il loro significato? Il Del- pino dichiara di non sapersi rendere ragione di questa singolare coincidenza di ca- ratteri biologici fiorali delle piante entomofile con quelli preponderanti delle anemofile, fatto che si riscontra, oltrechè nei Po/erium poligami, anche in altre piante ad im- pollinazione per opera dei movimenti dell’aria, benchè non sia frequente (!). Darwin (2) ed H. Miiller (*) ritengono il caso dei Pozerzum citati come un raro esempio di piante che, anemofile in origine, dopo essersi adattate alla entomofilia, sono ritornate anemofile. Essi ricordano a questo riguardo il genere 7halictrum anemofilo fra le Ranuncolacee. Giova però osservare, che tra questo genere ed i Po/er/wn poligami corrono, dal punto di vista che ci occupa, differenze di qualche valore. Nei 7%a- lictrum infatti lo stigma poco disteso ed il polline ancora vischioso accennano evi- dentemente ad una precedente entomotilia, come vi accennano, ma in grado minore, i filamenti degli stami colorati vivamente in alcune specie, tantochè attirano ancora la visita degli insetti (che possono asportare del polline), benchè la funzione netta- rogena sia scomparsa. Nulla o quasi nulla di questo troviamo nei Poter/um poligami anemofili. In essi i veri caratteri della supposta precedente entomofilia mancano af- fatto, troppo poco essendo il valore da attribuirsi alla colorazione. Conviene inoltre ricordare che, secondo lo stesso H. Miller (4), nelle Alpi le Rosiflore rimasero quasi tutte nei gradi inferiori di adattamento alla fecondazione incrociata per opera degli insetti. Questi fatti e queste considerazioni rendono, mi pare, titubanti.ad ammet- tere la recisa opinione di Darwin e di H. Miiller, per quanto riguarda i Poteriwn relativamente alle altre Rosacee. Tuttavia a me pare che soltanto lo studio compa- rativo di quanto avviene nei generi affini, possa valere a risolvere la questione. Questo studio richiede un esame lungo e coscienzioso, che io non ho fatto e per mancanza di materiale opportuno e per non uscire dai limiti di questa breve Nota. Però da un primo studio sui generi compresi nel gruppo delle Poteriee, ho trovato che essi si possono riunire, dal punto di vista della biologia fiorale, in tre gruppi, e cioè: A) Fiori ermafroditi, a corolla di regola appariscente, stami di solito pochi, a filamenti brevi o se lunghi eretti, a stigma capitato o bilobo: prettamente ento- mofili. — Zevcosidea Eckl. et Zeyh. — Agrimonia L. (cum Aremonia Neck.). — Poteridium Spach. B) Fiori ermafroditi o di rado poligamo-dioici; a corolla nulla 0 non appari- scente, stami variabili di numero, a filamenti brevi, a stigma di rado capitato, spa- tulato, peltato, più o meno fimbriato o penicillato: entomofili con tendenza ed adda- menti incipienti all'anemofilia. — Brayera Kunth. — Margyricarpus Ruiz. et Pav. — Polylepis Ruiz et Pav. — Sanguisorba L. — Acaena L. (1) Delpino F., Ulteriori osservazioni sulla Dicogamia vegetale. Parte II, fase. I. Atti Soc. ital. Sc. natur. Vol. XVIII, 1870, p. 41. (?) Darwin Ch., Des effects de la fecondation croisée ete. trad. frane. Paris, 1877, p. 416-17. (8) Miller H., Alpendlumen. Leipzig, 1881, p. 228. — Id., Die IWechselbeziehung. awisch. d. Blumen u. ihr. Kreuzung vermitt. Insekten, in Schenk, Handb. d. Botanik, B. I. Breslau, 1884, p. 74. (4) H. Miller, Alpenblumen, 1. c. p. 228. Ann, Ist. Bor, — Von. III. 12 = 90 = C) Fiori poligami, monoici o dioici; corolla nulla; stami numerosi con fila- menti Innghi e flessuosi, pendenti; stimma penicillato: prettamente anemofili. — Poterium L. s. str. — Bencomia Webb. — Cliffortia L. Fra l'uno e l’altro di questi gruppi si riscontrano delle forme di passaggio. Mi limito a citare il genere Sanguisorba, che da una parte con specie a pochi stami, a filamenti brevi, a stioma capitato si collega col primo gruppo, dall'altra con specie a molti stami, altre con stami eserti e lunghi, altre ancora poligamo-dioiche con stigma penicillato, dà la mano al terzo gruppo. Dall'altra parte, considerando soltanto i Poter/um, possiamo alla loro volta rag- grupparli nel modo seguente: A) Poterii ermafroditi: entomofili. — Poteridium Spach (Poterium annuum Torr. et Gray). — Sanguisorba L. s. str. B) Poterii poligami: anemofili. — Poterium L. s. str. C) Poterii monoici, con tendenza al dioicismo, per eccezione poligami: ane- mofili. — Sarcopoteriwum Spach (Poterium spinosum L.). D) Poterii dioici: anemofili. — Bercomia Webb. (Poterium caudatum Ait.). Anche in questo caso troviamo forme di passaggio da un gruppo all’altro. Sopra tutto merita di essere ricordata la Bezcomza, che si collega strettamente al Poterzum spinosumi; in essa l anemofilia raggiunge il suo massimo grado per questo gruppo, essendo nettamente dioica, ed avendo .delle infiorescenze ascellari, lunghe, flaccide, amentiformi, stami infiniti a filamenti lunghi, filiformi, contorti, e stimma a pennello. La diretta parentela è anche dimostrata dalla forma del falso frutto globoso, bacci- forme, e dall'essere anche la Bercomia un piccolo frutice. Da questo primo tentativo di aggruppamento, fatto colla scorta di pochissime osservazioni e ricerche, mi pare tuttavia si possa trarre la conclusione, che tanto fia i generi del gruppo delle Poteriee, quanto fra le specie del genere Polerzmm (sensu latissimo) sì trovano delle forme di passaggio, che collegano i lignaggi ane- mofili con quelli entomofili, che costituiscono la grande maggioranza del gruppo delle Rosacee. Lage Contribuzione allo studio delle anomalie di struttura nelle radici delle Dicotiledoni del dott. GC. AVETTA. (Tav. IX, X). L'idea che ci si fa ordinariamente di una radice quanto alla sua struttura, è quella di un organo il cui asse è occupato dai fasci conduttori, di tipo raggiati, cir- condati esternamente dal periciclo, semplice per lo più ed omogeneo, che forma con essi il cilindro centrale dell'organo, sempre nettamente distinto dall'astuccio corticale parenchimatoso, perchè questo è limitato al suo interno dalla endodermide caratte- ristica. Ciò per la struttura primaria. Quanto all’ulteriore accrescimento esso avviene per due processi concomitanti : 1° per attività del cambio che si forma tutt’attorno nel tessuto congiuntivo dei fasci primari e di una cerchia continua di fasci collaterali, interrotta di tratto in tratto dai raggi parenchimatosi detti, per analogia, midollari; 2° per attività del periciclo che diventa zona generatrice suberocorticale, cioè che produce sughero all'esterno e parenchima secondario all'interno, cui si suol dare impropriamente il nome di corteccia secondaria. l Questa la struttura di una radice normale. Ma non tutte le radici sono cosifatte. Spesso accade di trovare nelle radici delle deviazioni più o meno grandi dal tipo ora descritto, delle modificazioni talora così pronunciate nella forma, nella disposizione, nello sviluppo dei tessuti, che la struttura ne diventa complicatissima. Sempre il tessuto conduttore è quello che si modifica di più, e fornisce colle sue trasformazioni la maggior parte delle anomalie conosciute. Le anomalie, di qualunque sorta esse siano, interessano solo la struttura secon- daria, mai la primaria, ed è perciò che s'incontrano sempre soltanto nelle radici adulte. Per lo più l'anomalia per essere scorta ha bisogno dell'esame microscopico, talora invece basta l'ispezione macroscopica di una semplice fettolina, ovvero può essere tanto grande da tradirsi persino all'esterno. Molte delle anomalie radicali sono note da lunga pezza e sono entrate nel do- minio dei trattati di botanica, specialmente quelle di piante il cui fusto è palese- mente anomalo. Era naturale che si sospettasse la presenza di anomalie anche nelle radici di tali piante e che quindi venissero studiate sotto questo riguardo, benchè, come vedremo, non sempre l'anomalia del caule in una pianta porti con sè per neces- saria conseguenza l'anomalia della radice e viceversa. Liga E Molte altre anomalie poi vennero in luce, perchè comunissime ed estese ad intiere famiglie di piante, di cui formano una caratteristica. È indubitato che il maggior contributo alle anomalie caulinari lo danno le piante rampicanti, le così dette liane; mentre per le radicali o non c'è differenza 0, se c'è, va in favore delle piante non rampicanti. Ad es. delle 41 piante che formano oggetto di questo studio sole 6 sono scandenti. Ciò non pertanto molto ancor resta a fare su questo argomento, per parecchie ragioni dovute alla natura dell'argomento stesso. Anzitutto le radici essendo sotterranee e perciò meno facilmente raggiungibili delle parti aeree della pianta, sfuggono molto più facilmente all'osservazione di chi non si occupi espressamente di esse. Poi perchè sovente le anomalie di piante esotiche si studiarono su campioni secchi di erbario, e negli erbari purtroppo il più delle volte le radici fanno difetto. Giova pure notare che quantunque le anomalie non siano ben definite che nelle radici adulte, pure conviene studiarle anche nelle loro origini, perchè a sviluppo completo sono tante le apparenze diverse sotto cui si presentano, da non ritrovarcisi più. È per queste ragioni che sono molto incomplete le nostre conoscenze in propo- sito e che nei trattati, anche più recenti, di botanica, questo interessante capitolo di anatomia vegetale si riduce alla esposizione di fatti isolati, non coordinati a tipi come si è potuto fare pel fusto. Così il trattato del Van Thieghem (!), per citare uno dei più recenti, che rias- sume quanto si sapeva di certo sino a quell'epoca, distingue anzitutto due sorta di radici anormali, cioè: 1° per produzione di fasci secondari in cerchia nella corteccia secondaria (tipo Mirabilis) e li chiama secondari perchè provenienti direttamente dalle segmentazioni e differenziazioni che hanno luogo sul lato interno della zona generatrice subero corticale ; 2° per produzione di fasci terziari in cerchia nella corteccia secondaria (tipo Beta), e li chiama terziari perchè provenienti da una zona generatrice di terzo ordine, for- matasi nel parenchima già differenziato della corteccia secondaria. In entrambi i casì l'attività del cambio normale cessa e cessa pure quella di ciascun cambio anormale, quando compare il successivo. Fa un caso particolare della anomalia delle Convolvulacee in cui si formano pure fasci terziari nella corteccia secondaria, colla differenza che il cambio primario continua a funzionare dopo la comparsa dei fasci soprannumerari, e ciascuno di questi cresce pure un certo tempo per mezzo del suo cambio. Infine ricorda la produzione di fasci terziari nel parenchima del legno secondario, orientati regolarmente (/Zpomaea Purga, Convolvulus Scammonia) ovvero rovesciati, col legno esterno e il libro interno (Myrrhis odorata). Parlando poi delle anomalie del fusto, cita qua e là pure la radice, con grandi incertezze. Morot (*) nel suo recente studio sul pericielo, parla anche naturalmente della for- mazione di fasci fibrovascolari nel pericielo della radice, che è il caso più frequente (1) Van Thieghem Ph., Y'raité de Botanique. Faris, 1884, pp. 721-724. (*) Morot L., Recherches sur le péricycle. Ann. des se. nat. bot. 6° sér., t. XX, n. 4, 5, 6, pp. 217-304, pl. 9-14. — OR di anomalia radicale, e passa in esame un gran numero di piante delle famiglie più svariate: Mictaginee, Chenopodiacee, Amarantacee, Aizoacee, Stilidiee, Convol- vulacee, Giliacee, Cucurbitacee, Cariofillee. Ma contrariamente a de Bary (') e Van Thieghem (?), i quali hanno creduto doversi attribuire a modi di formazione ben distinti l'origine dei fasci soprannume- rari nel pericielo, egli ritiene che l'origine sia una sola e che le differenze a prima vista grandissime presentate dalla struttura di queste radici anomale, non siano che differenze di dettaglio. Egli ammette (*) che i fasci soprannumerari hanno tutti ori- sine da meristemi terziari, che compaiono successivamente nel parenchima corticale proveniente dalla attività generatrice del periciclo, meristemi che danno origine a cerchie successive di fasci collaterali sia isolati, sia riuniti in vario modo per sele- rosi parziale o totale del parenchima interfasciale. Nonostante questi lavori ed altri che ricorderò a proposito dei singoli casi, molto rimane a fare per la conoscenza completa delle anomalie radicali. Nè io ho la pretesa di completarla con questo studio sulle anomalie radicali delle Dicotiledoni, ma soltanto di colmare qualche lacuna e di portare un contributo di osservazioni a chi voglia più tardi tentare un lavoro generale sulle anomalie della radice. Le anomalie che ho trovato nella struttura delle radici di Dicotiledoni da me studiate, possono ridursi tutte quante a due tipi, cioè: 1° Anomalie prodotte dalla zona generatrice, 2° Anomalie prodotte dal periciclo. I. Anomalie prodotte dalla zona generatrice. Le anomalie prodotte dalla zona generatrice, sono dovute ad una irregolarità nel modo di funzionare di questa e consistono propriamente in ciò, che la produzione dei ‘tessuti secondari da parte di essa, non è uguale in tutti i suoi punti. Questa non uguaglianza nella produzione dei tessuti secondari, può verificarsi nella quantità o nella qualità. A. Disuguaglianza nella quantità di tessuti secondari prodotti dalla ciba nr ciba Itlamprnva vbrialiva babi velfedi nb ghe talia ni sd sl deteticitin amotk Ana miniato Ri trlotrnog fe col e "i ab 'abolotrog 9: lafleribotas bas NP di det (20) è ari rage ped UD C] i ali sò PREOPE pa]; dre anita tito sima) Ly aprano vinta n «evo è luo 6a "Bian Co sa è : dee viali) ctr Qie Ssnevali oniler seo Matatanttla stri — a uma vAgintt. Ù) n° 3 " , TREIA ai adige Da aaa si « atudvet’lad Lal WA rattatu atmonibar si f 96: da * t . . spet ar “ita onde dl comin ta niali@i +" par anizioali pprtendicogzdetnn Pa N è ant Hate al au llrenaba Mat ro ac tum. 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Così se tutti oramai ammettono costituire l’ossalato di calcio nel maggior numero dei casi un materiale d’escrezione, le opinioni non sono concordi intorno alla questione della sua origine e a quella dell'ufficio dell'acido ossalico. Basterà qui il rammen- tare che, seguendo Emmerling (!) ed Holzner (?) alcuni credono che l'acido ossalico sia prodotto allo scopo di scomporre i nitrati, i solfati, ed i fosfati di calcio ; altri invece, ritenendo più probabili le idee sostenute principalmente dal De-Vries (*) ammettono che l'acido ossalico sia un prodotto di metamorfosi degli albuminoidi, abbia origine nelle cellule turgescenti e quivi si combini con la calce, formando l'ossalato di una tal base, il quale si porterebbe per diffusione nei luoghi nei quali cristallizza. Quale fondamento della prima teoria sta l'ipotesi della insolubilità dell'ossalato di calcio nel succo cellulare, per cui l'ossalato precipiterebbe nelle stesse cellule nelle quali fu formato; parte integrale della seconda è invece il concetto della sua solubilità, per la quale il sale, formato nelle cellule turgescenti, emigrerebbe per andare a ceri- stallizzare in luoghi a tale uopo determinati. Naturalmente non posso qui estendermi nè sugli argomenti favorevoli e contrarî di ciascuna di queste teorie, nè sulle altre ipotesi che furono emesse da diversi autori; ho voluto soltanto accennare alle idee di Holzner e di De-Vries e alla ipotesi della solubilità dell’ossalato di calcio nel succo cellulare, perchè in seguito avremo occasione di oc- cuparci di un tale argomento. Ma veniamo ora allo scopo del presente lavoro. Da tempo rivolsi l’atten- zione alla grandissima quantità di rafidi che sono accumulati nei tessuti della Pi7-eun/4 dioica (Lin.). Chi non ha mai avuta occasione di studiare una tal pianta, difficilmente (1) Beitrige sur Kenntniss der chemischen Vorginge in der Pflanze. Die landwirth. Versuchs- stationen Bd. XVII, 1874. (*) Veber die physiologische Bedeutung des oralsaueren Kalkes. Flora 1867 p. 497. (3) Veber die Bedeutung der Kalkablagerungen in der Pflanzen. Landwirth. Jahrbiicher Bd. X; Heft. 1 u. 2. Ann. Ist. Bor. — Voc. III. 14 — 110 — può farsi un concetto degli enormi depositi di ossalato di calcio proprî di questa specie. Su di essa adunque compii parecchie osservazioni e qualche esperienza, diretta principalmente allo scopo di sapere, se in date’ condizioni potesse aver luogo quel riassorbimento dei cristalli, che qualche autore ha creduto constatare in più casi. Inoltre procurai di trattare anche qualche questione d'indole più generale, e in questo caso non mancai di trarre vantaggio dalle principali pubblicazioni fatte sul- l'argomento. Il presente lavoro adunque, lungi dall'essere uno studio generale, non è che l’espo- sizione di un certo numero di osservazioni e di poche esperienze, le quali non toccano che qualche punto isolato di un vastissimo campo, quale è lo studio dell’ ossalato di calcio. Io per brevità e chiarezza divido questo lavoro in due parti. Nella prima parte sarà esposta la distribuzione dei cristalli nella Pireuzia 0 Phytholacca dioica, il loro modo di prodursi, la sorte che alcune volte subiscono durante la vita della pianta, in una parola si tratterà dello studio speciale dei cristalli nella suddetta specie. In seguito sarà preso di mira un argomento diverso. Abbiamo già sopra veduto che come fondamento della teoria di Holzner sta l'ipotesi dell'insolubilità dell’ os- salato di calcio nel succo cellulare. Contro di essa il De-Vries porta numerosi ar- gomenti e giunge infine alla conclusione opposta, che cioè il sale è in piecola parte solubile nel succo cellulare e va a cristallizzare in luoghi lontani da quelli di sua formazione. Di queste due diverse ipotesi io tratterò nella seconda parte. I° PARTE. Studio speciale dei cristalli nella Pircunia dioica (Zix.). L'ossalato di calcio in questa specie cristallizza quasi esclusivamente in forma di rafidi, i quali riempiono completamente la cavità della cellula. Essi sono frequentissimi e si riscontrano più o meno in tutti gli organi. Nelle foglie i cristalli sono di due sorta : si riscontrano cioè alcuni fasci di rafidi che sono simili a quelli del fusto e che occu- pano generalmente il tessuto spugnoso, altri invece più corti, grossi, ottusi alle estre- mità, inviluppati da gelatina e che occupano il palizzata. Ma dove l'accumulo dell'ossalato di calcio raggiunge proporzioni grandissime è in vicinanza delle gemme, tanto di quelle poste all'ascella delle foglie, come di quelle che si trovano alla base dei rami. Quivi le cellule cristallofore spesseggiano in modo tale da far credere che i rafidi in esse contenute possano quasi costituire un mate- riale di riserva ch» si accumula in vicinanza degli organi in via di sviluppo, come suol fare l'amido o gli altri idrati di carbonio. Però se ad una osservazione superfi- ciale lo studio della P;rcuzia sembrerebbe venire a conforto della teoria che Arnò Aè (') aveva concepita sull’ufficio dell'ossalato di calcio come materiale di riserva, in seguito (1) Veber physiologische Bedeutung des in der Pflanzen vorkommenden oralsaueren Kalks. Flora 1869 p. 177. — 111 — a ricerche più accurate non mancano al contrario di mostrarsi altri fatti, altre leggi, che confermano in un modo deciso le opinioni di coloro che, contro le idee dell'Aè, ritennero costituire l'ossalato di calcio nel maggior numero dei casi un materiale di escrezione. Il primo punto interessante a studiare nella Pircunia dioica è la eliminazione dei cristalli. Dalungo tempo fu avvertito il fatto che le foglie, le quali cadono in autunno, trasci- nano sempre nel terreno una grossa quantità di ossalato, ed io qui non intendo di portare la conferma ad un fatto che è ampiamente dimostrato e da gran tempo conosciuto. Però oltre alle foglie che cadono in autunno, la pianta ricorre spesso ad altri mezzi speciali per espel- lere dal suo corpo una parte del sale che essa contiene. Già il Vesque (!) nel suo lavoro sull'anatomia della corteccia nota che i cristalli in alcune piante cadono con le placche ri- tidomatiche e mediante formazioni suberose locali. Tutti questi fatti, egli dice, sono gene- rali, eccetto l’ultimo che il Vesque afferma non aver mai visto prodursi regolarmente in una specie determinata. Ora la Pireunia divica non solo conferma quanto in altre piante fu più volte osservato, ma offre ancora un bell'esempio del come la eliminazione dei cristalli mediante formazioni suberose locali prenda in questa specie il carattere di una legge determinata e costante. Nella radice adulta i cristalli possono riscontrarsi in tutti i tessuti, ma però si accumulano di preferenza nella corteccia, costituendo una serie di cellule quasi tutte ripiene di cristalli disposta al di dentro dello strato fel- logenico. Ma a un dato punto un nuovo meristema si manifesta all’interno della zona cristallofora e questo produce da una parte sughero, dall'altra nuovo parenchima. Per tal modo tutti i cristalli che si erano accumulati nella corteccia vengono eliminati dal corpo del vegetale. In seguito nei nuovi strati corticali posti sotto il fellogeno rin- comincia l'accumulo dei rafidi, e quando questo ha raggiunto un certo limite riap- parisce alla sua volta il processo ora descritto, per il quale anche il nuovo ossalato segue la sorte del primo. Così due fatti simultaneamente sono in giuoco nel corpo della pianta; da un lato la formazione e l'accumulo dell’ossalato di calcio in luoghi determinati, dall'altro il rigetto del materiale formato, come un corpo inutile, operato dall'economia vegetale. La eliminazione dei cristalli mediante formazioni suberose locali avviene in vici- nanza delle gemme. Quando queste incominciano a svilupparsi, si forma in prossi- mità di esse una serie di strati fellogenici, i quali finiscono per fare cadere con le lamine di desquammazione la enorme quantità di cristalli che quivi si trovava accu- mulata. Basta prendere un frammento di sughero in vicinanza di una gemma già sviluppata ed agitarlo in una goccia d'acqua sul porta-oggetti del microscopio per scorgere in essa una quantità veramente straordinaria di rafidi. Nella fitolacca adunque, dove la quantità dei cristalli è così rilevante si trova anche una accentuazione corrispondente nella costanza e nell’ efficacia di quelle leggi, per le quali il vegetale viene ad escludere dal suo corpo un materiale superfluo. Ma oltre a ciò un altro processo consimile esiste in questa specie, e che, a saper mio, non è stato descritto per alcun’altra pianta. Il primo organo (1) Ann. de sc. natur. 6° série, Botanique t. II, 1875. — 12 — che nella germinazione del seme presenti cristalli è la cuffia. Quando la radi- chetta ha raggiunto la lunghezza di 2-3 millimetri, lo strato più esterno delle cellule della cuftia si riempie di cristalli. Questo fatto si riscontra anche nelle radici secondarie. Ora si sa che nel terreno dalla supeficie della cuffia sì staccano conti- nuamente delle esfogliazioni, mentre il meristema sottostante compensa la perdita con la produzione di nuovi strati di cellule. Per tal modo si comprende facilmente come nella regione più esterna della cuffia possa aver luogo continuamente una formazione ed una eliminazione successiva dei cristalli di ossalato di calcio. Certamente questo processo è per la sua attività molto inferiore agli altri sopra descritti; però esso dimostra come il vegetale non trascuri anche le più piccole occasioni, purchè favo- revoli, per l'adempimento di un fatto che nel complesso deve essere di grande vantaggio. Circa la distribuzione dei cristalli nelle diverse parti della pianta è anche a notare quanto segue. Le muove produzioni ramose provenienti dalle gemme poste nella zona d'inserzione dei vecchi rami raggiungono ben presto grandi proporzioni di sviluppo, mentre le altre produzioni, derivanti dalle gemme poste all'ascella delle foglie, si limitano a proporzioni ben più modeste. Se osserviamo la quantità dei eristalli con- tenuti in queste due specie di rami, scorgiamo che nei primi, non ostante le maggiori proporzioni di sviluppo, il sale scarseggia in tutti i tessuti, mentre invece nei secondi le cellule cristallofore si ritrovano spessissime ed abbondano principalmente in vici- nanza delle gemme. Per quanto riguarda la formazione dei cristalli nei diversi stadî germinativi del seme poco vi è a dire. L'embrione non contiene rafidi. Quando la radichetta ha rag- giunto qualche millimetro di lunghezza, i primi depositi di ossalato di calcio si ma- nifestano, come si è detto, nello strato più esterno delle cellule della cuffia; negli stadî successivi tali depositi si estendono subito al periblema ed in seguito al ple- roma. Nelle foglie cotiledonari non si riscontrano che ad uno stadio più avanzato, cioè quando la pianticina ha raggiunto qualche centimetro di lunghezza. Le cellule cristallofore giovanissime sono ripiene di una sostanza densa, gelatinosa e non con- tengono i rafidi, che si mostrano in seguito riempiendo subito la cellula. La questione adunque se i cristalli si formino prima o dopo della gelatina, alla quale questione il Poli (') non ha potuto rispondere nello studio del MNarcissus dntermedius, può nel nostro caso essere facilmente risolta. Visto così: la distribuzione dei cristalli nella P;7cwzia, le vicende alle quali vanno soggetti ed il modo con cui si presentano nella germinazione del seme, ci rimane an- cora a rispondere ad alcuni quesiti, con i quali possiamo chiudere lo studio spe- ciale dei cristalli in questa pianta. E dapprima sorge la domanda: può avvenire in questa specie quel riassorbimento di cristalli, che in date condizioni è stato in più casi constatato? Secondariamente si chiede: quando un seme germogliante si trovi nella impossibilità di assorbire sali di calcio, la giovine pianta può per qualche tempo resistere al danno derivante dall'impossibilità in cui si trova di depositare cristalli di ossalato di calcio? Questa ultima questione ne involge però un’altra. Poichè (1) Contribuzione alla istologia vegetale. Nuovo giorn. bot. it. vol. XVI, n. 1, 1884. — 113 — quando ad una pianta siano tolti i sali di calcio, essa ne soffre un serio danno non soltanto perchè s'impedisce la formazione dell'ossalato di una tal base, ma perchè il calcio è una delle sostanze necessarie per date funzioni della pianta. Tuttavia, rammentando i risultati ottenuti dal Libenberg (') nelle sue esperienze su tale ar- gomento, che cioè alcuni semi di piante possono compiere il normale cielo di sviluppo anche quando loro non siano stati somministrati sali di calcio, volli tentare l'espe- rienza sulla P/reuzia ed ottenni, come vedremo in seguito, un esito soddisfacente. Le esperienze furono condotte nel modo che segue. Nell'inverno dello scorso anno 1887 alcune piantine con sole foglie cotiledonari, della lunghezza media di cm. 5, furono tolte dal terreno. lavate con cura mediante acqua distillata e poste in una soluzione nutritizia priva di sali di calcio. Per con- trollo un corrispondente numero di piante furono poste invece in una soluzione com- pleta, contenente cioè anche sali di calcio. Le coltivazioni vennero fatte col sistema indi- cato dal Sachs. Delle due soluzioni l’una, quella data nelle « Vorlesungen » dello stesso Sachs (parte 1%, p. 342), conteneva i seguenti sali per ogni litro d'acqua distillata: Nitratoxdigpotassioni he elio aa cato peri Cloruroxmidissodiola:t: alta banda, 0319 baceva 105 Solfatondigcalcion. tetti acari Stlilalon 22105 TA St anima pesto eee e aa done 0 Fiosfato, dittealeiontage fari «esenti. att ao any 49200:5 L'altra invece fu modificata nel modo seguente: NitratoN dim potassio tisi ce eee deri Clorurogdiusadiohe anogri secdacila-olaleo db cielaz00:5 Solfato fdienagnesion ie ei alc ee Fosfato di sodio . . . . ret alate gd Furono poi aggiunte traccie di ferro. Le piante, poste in serra con una tempe- ratura media di 18-20 cent. il giorno 18 gennaio, furono tolte il 3 marzo. In questo tempo esse svilupparono un ampio sistema radicale e giunsero a possedere 5 o 6 fo- glioline. In quanto allo sviluppo, le piantine poste in soluzione modificata non pre- sentarono diversità dalle altre che si trovavano in una soluzione completa. All'esame microscopico delle prime, nei tessuti formati dopochè le piante furono portate nella soluzione modificata, non si riscontrarono traccie di nuove produzioni cristalline, mentre nei vecchi tessuti i rafidi rimasero inalterati, non presentando alcun riassorbimento. Le seconde invece produssero rafidi normalmente in tutti i tessuti, come se esse fossero state coltivate nel terreno in condizioni normali (*). Presi poi dei semi appena germogliati, cioè quando la radichetta ha raggiunto pochi millimetri di lun- ghezza. In questo stadio i cristalli formatisi nel corpo della pianta si riducono a pochi gruppi disposti verso l'apice della radichetta. Se allora si pongono questi semi in una soluzione senza sali di calcio, essi non solo compiono normalmente il cielo di (1) Untersuchungen ber die Rolle des Kalkes bei Keimung der Samen. Sitzungherichte d. Akad. d. Wiss. zu Wien. 1 Abth. Bd. 84. (2) L'esperienza qui descritta venne fatta con 12 piante, sei delle quali furono portate in so- luzione modificata, e sei in una completa. In seguito ripetei l’esperienza con altre 30 piante nelle stesse condizioni della prima ed ottenni identico risultato. — lld — sviluppo, ma continuano a crescere producendo un sistema radicale molto abbondante e mettendo cinque o sei foglioline. Sottoponendole allora ad un esame diligente, si riesce a scorgere ancora quei pochi gruppi di cristalli, che esistevano in principio e che quindi non sì sono ridisciolti. Si noti inoltre che in alcune esperienze, anzichè prendere le piantine dal terreno e lavarle in acqua distillata, preferii far germogliare i semi in una camera umida, e ciò per evitare il pericolo che qualche particella terrosa possa, non ostante la lavatura con acqua distillata, rimanere aderente alla gio- vane radice. Altre esperienze vennero pure fatte allo stesso modo nell'estate succes- siva, ed eguale risultato si ebbe dalle coltivazioni in terreni artificiali. Da ciò risulta che nella Pireunza dioica i cristalli una volta formati non più sì ridisciolgono, nei limiti sempre, dentro i quali furono condotte le nostre esperienze, cosicchè portando una pianta, già contenente dei cristalli, in una soluzione nutritizia senza sali di calcio, i nuovi tessuti che si formano sono del tutto privi di ossalato di calcio, non potendo il sale precedentemente formato, emigrare in alcun modo dai vecchi ai nuovi tessuti (!). Noi vedremo in seguito che questo fatto può avere una certa importanza, e ce ne serviremo nella seconda parte, trattando della ipotesi, sostenuta principalmente dal De-Vries, della solubilità dell’ossalato di calcio nel succo cellulare. Per rispondere al secondo quesito, cioè se le giovani piante di /77°cuzza possano vivere e svilupparsi per un dato tempo, essendo stata esclusa fin dal principio la calce, l’esperienza venne fatta nel modo che segue: dei semi di fitolacca vennero lavati con cura, poi immersi in una soluzione di acido cloridrico, per liberarli da ogni traccia di ossalato di calcio, che fosse ancora aderente con qualche frammento della polpa del frutto. Essendo il guscio di tali semi molto spesso, l'embrione non viene a soffrire per un tale trattamento. Dopo ciò ì semi vengono rilavati abbondan- temente con acqua distillata e messi a germogliare su cotone di vetro in una ca- mera umida. Non ostante queste precauzioni, si mostrano sempre nello strato più esterno della cuffia poche cellule contenenti qualche gruppo di cristalli, benchè tutto si arresti qui. Appena i semi germogliano, alcuni vengono posti nella solita soluzione senza sali di calcio, altri invece sono posti per controllo nella soluzione completa, cioè contenente anche sali di calcio. I due lotti di piante non presentano differenze di sviluppo; l’esperienza continua per poco più di un mese, nel qual tempo esse arri- vano a possedere numerose radici e parecchie foglioline. L'esame microscopico dà i seguenti risultati: nelle piante poste in soluzione completa i rafidi abbondano in tutti i tessuti, nelle altre invece i cristalli mancano del tutto, non ostante come si è detto, la nessuna differenza di sviluppo. Questo curioso fatto, del quale non saprei (1) Avendo lo Tschirch in un lavoro recente (Die Aulkocalatkrystalle in den Aleuron- kòrnern der Samen und ihre Function, Bot. Centr. v. 81, p. 228) parlato del riassorbimento dei cristalli nelle Begonie, volli ripetere l’esperienza servendomi di terreni artificiali composti di silice, come già feci per la fitolacea. Ottenni in tal modo risultati soddisfacenti, quantunque l’esperienza non potesse essere condotta fino al completo riassorbimento dei cristalli, essendo stata la pianta attaccata in fine dai funghi. Ciò non ostante il riassorbimento ebbe luogo in gran parte, e questo dimostra che i risultati negativi, avutisi nella fitolacea non debbono essere ascritti a difetto di metodo nello esperimentare. -- 115 — dare una soddisfacente spiegazione, verrebbe quasi a provare che la produzione del- l'ossalato di calcio non è, dentro certi limiti, necessaria per la vita di questa specie, ma che una pianta, anche se sia stata sempre nella impossibilità di depositare cri- stalli, può compiere per qualche tempo tutti i suoi fenomeni vitali al pari di un altro individuo, che, per aver avuto a sua disposizione sali di calcio, abbia potuto accumulare l'ossalato di una tal base normalmente in tutti i suoi tessuti. Con ciò noi abbiamo terminato lo studio speciale dei cristalli nella Pireunzia dioica; procureremo in seguito di trarre profitto di alcuni fatti ricordati in questa prima parte per quelle questioni che ora verremo a trattare. II° PARTE. In quali cellule ha origine l'ossalato di calcio ? Come sopra si è detto, parte fondamentale della teoria sostenuta principalmente dal De-Vries, è l'ipotesi della solubilità dell’ossalato di calcio nel sueco cellulare. Poichè partendo dal concetto che l'acido ossalico sia un prodotto secondario degli al- buminoidi, il quale si forma in tutte o quasi le cellule turgescenti e si combina tosto con la calce, bisogna anche pensare che questo ossalato emigri dal luogo dove fu formato, per portarsi nelle cellule, dove noi lo troviamo accumulato. Di qui adunque la necessità di ammettere la sua solubilità; epperò il De-Vries giunge alla seguente conclusione « che l’ossalato di calcio è in piccola parte solubile nel succo cellulare e si porta per diffusione fino al luogo dove esso cristallizza. I luoghi quindi di de- posito non ci rivelano il luogo di origine dell'acido ossalico » (1. c. p. 82). Ora vediamo di quali argomenti egli si serve per combattere l’opinione opposta, che cioè l'ossalato di calcio si formi nelle stesse cellule nelle quali cristallizza e che perciò esso sia insolubile nel succo cellulare. « In prima linea, egli dice, parla in favore di ciò (cioè della ipotesi che egli sostiene) la natura stessa delle cellule cristallofore. Esse non presentano mai, anche nella loro giovinezza, una notevole quantità di materiali organici inclusi, almeno non sono stati fin qui constatati amido e zucchero, i quali possono essere considerati come un materiale di formazione di acidi organici. Anche il loro protoplasma evidente- mente non è che assai poco attivo e non adatto per una energica metamorfosi. An- che la posizione delle guaine cristallofore, al limite dei cordoni meccanici, cioè in compagnia di cellule prodottesi assai presto dallo scambio dei succhi, parla maggior- mente in favore di una debole attività limitata al depositarsi di sostanze ivi giunte, già formate, di quellochè in favore di un'attiva nuova formazione di un prodotto speciale ». A questi argomenti si può obbiettare che le cellule, le quali divengono secre- trici di acido ossalico, non sono più generalmente destinate per verun altro ufficio, il che è evidentissimo per le cellule a rafidi, e che quindi esse concentrano tutta la loro attività nella produzione di un tale acido, nel quale processo anzi consumano spesso la propria energia e si esauriscono. La relativa scarsezza adunque in materiali — 116 — ternarî ed in albuminoidi non è un argomento sufficiente per dimostrare che le cel- lule cristallofore non sono atte ad una energica secrezione, poichè questo processo, per quanto attivo diviene di facile adempimento per una cellula anche debole, quando questa rinunci a tutti gli altri processi che compie normalmente per concentrare in esso solo tutta la propria forza. « Un argomento molto forte, prosegue il De-Vries, è dato dai cristalli che si depositano nella membrana cellulare. Ciò venne già constatato dal Pfitzer, il quale specialmente dimostra che nella corteccia di 20/4 i cristalli si trovano nella lamella mediana della membrana comune di due cellule, la quale ultima nell'atto della for- mazione dei primi, ha già un notevole spessore, che quindi i cristalli debbono ossersi formati nella membrana stessa, perchè quella parte della membrana nella quale si presentano i cristalli non sta più in contatto col protoplasma. Similmente hanno origine i cristalli nella parete cellulare delle radici di Junzperus virginiana senza contatto col protoplasma. Ad ogni modo, serive lo Pfitzer, dobbiamo sempre am- mettere in questo caso, che le molecole di ossalato di calcio in forma di una soluzione nell'acqua diffuse tra le molecole della cellulosi, giungano fino al luogo delle for- mazioni cristalline, e quivi si raccolgano in cristalli ». Anche contro questo argomento possono portarsi parecchie obbiezioni. In primo luogo noteremo che per ciò che riguarda in generale i cristalli inclusi nella membrana oggi si conosce che nel maggior numero dei casì tali cristalli si formano in contatto col protoplasma e sono inclusi dappoi nella membrana stessa in seguito all’apposi- zione di nuovi strati di cellulosi. Ma ritenendo anche pienamente giuste le osservazioni del Pfitzer, che cioè i cristalli sì formino direttamente nella lamella mediana della membrana di due cellule consecutive, può sempre spiegarsi tal fatto senza ricorrere all'ipotesi della solubilità dell’ossalato di calcio nel succo cellulare. Infatti quanto maggiormente si estendono oggi le ricerche sulla costituzione della membrana tanto più si scopre esteso il fatto che essa è quasi sempre attraversata da sottili filamenti proto- plasmatici, e nei casi nei quali ciò non si potè ancora accertare, non è ancor detto che ricerche più accurate non ve lo possano constatare. Ora, ciò essendo, la forma- mazione dell'ossalato di calcio in seno alla membrana può essere spiegata in un modo molto facile e plausibile. Rispondendo poi alla proposizione che segue, io accennerò ad un altro modo di spiegazione, che può secondo me, avere anch'esso il suo valore. Questa proposizione è la seguente: « ma il migliore argomento è dato dai funghi e dai licheni, nei quali l'ossalato di calcio cristallizza al difuori delle cellule. Qui è del tutto chiaro che esso deve prodursi nelle cellule e allo stato di soluzione traversare la membrana per poi cristallizzare sulla sua superficie al di fuori. Poichè, nessuno può ammettere che l'acido ossalico possa prodursi al di fuori delle cellule ». Osserveremo in questo caso che se la presenza dell’ossalato di calcio fuori delle cellule è un fatto innegabile, ciò non basta per concludere che il sale debba essere solubile nel succo cellulare e così attraversare la membrana. Infatti la presenza dell'acido ossalico libero disciolto nel succo cellulare potè essere più volte constatata, ed è pure un fatto frequente la presenza nella cellula di ossalati solubili, come quelli di sodio o di potassio. Ora niuno può negare la possibilità in questi casi che, formandosi nelle cellule tali ossalati, questi attraversando la membrana si incontrino fuori di essa con i — 117 — sali di calcio, scambino le proprie basi e diano luogo per tal modo ai depositi di ossalato di calcio al di fuori delle cellule medesime. Anzi il De-Bary (') ha ciò consta- tato nella Peziza selerotiorum; infatti dopo estesi studî compiuti su questa specie, i cui fili micelici sono incrostati di ossalato di calcio, giunge a concludere essere probabile che l'acido ossalico, il quale si trova nei filamenti del micelio legato al po- tassio, possa portarsi fuori della cellula e che quindi il deposito dell'ossalato di calcio sul micelio tragga la propria origine da una trasformazione del sale di potassio, uscito fuori, nella soluzione nutritizia contenente calcio. Non è quindi impro- babile che anche negli altri casi trattisi di un fatto analogo; ad ogni modo mi basta l'aver dimostrato che dalla presenza del sale fuori della cellula non deriva doversi senz’ altro ammettere l'ipotesi della sua solubilità nel succo cellulare, poichè anche senza di essa può altrimenti trovarsi una sufficiente spiegazione del fatto. Ciò può dirsi anche peri cristalli inclusi nella membrana cellulare. Oltre quanto sopra si è detto su questo argomento, può anche sempre ammettersi che, formandosi nell'interno della cellula un ossalato solubile, questo nell'attraversare la membrana, che generalmente è assai ricca in sali di calcio, possa dar luogo, combinandosi con essi, alla produzione di cristalli. In conclusione siamo anche qui in presenza di un fatto che può prestarsi a molteplici interpretazioni e che perciò non credo sia sufficiente a ri- solvere la questione. Dopo ciò il De-Vries si estende a dimostrare come la chimica non si opponga al concetto della solubilità dell’ossalato di calcio, ed in seguito porta altri argomenti in favore della sua tesi. Egli continua: « anche la osservazione delle cellule cristal- lofore sparse nel parenchima ricco di acido ossalico di talune piante porta alla stessa conclusione. Nel picciuolo delle Begonie, si trovano delle cellule, le quali contengono druse cristalline; frequentemente sono circondate da cellule parenchimatiche il di cui contenuto è molto acido e ricco in acido ossalico. Ora è chiaro che il calcio soltanto a traverso queste cellule parenchimatiche può giungere fino alle druse, e che quindi nel suo tragitto deve essersi già combinato con l'acido ossalico. Se fosse l’ossalato di calcio del tutto insolubile, il sale non potrebbe giungere alle cellule con druse e sarebbe im- possibile la sua formazione nei luoghi indicati ». In questo caso si può obbiettare che la conclusione è forse più ampia delle premesse. Dal fatto che le cellule cristallofore si trovano in tessuti, i quali sono ricchi di acido ossalico, a me non pare possa stabilirsi che esse debbano essere circon- date in guisa tale dalle altre cellule contenenti questo acido, da non potere ricevere da nessuna via i sali di calcio. Poi resta sempre a vedersi se nel periodo nel quale ha luogo la formazione delle druse, l'acido ossalico esista già nei tessuti vicini e cir- condi perfettamente le cellule cristallofore. L'acido ossalico è contenuto nell’ interno delle cellule e probabilmente nei tonoplasti; le soluzioni provenienti dal terreno si diffondono invece attraverso le molecole di cellulosi; esse possono quindi attraversare cellule ricche di acido ossalico, senza che questo si combini coi sali di calcio, che esse tengono disciolti. In conclusione anche questo argomento è di dubbio valore, e non ha a mio credere gran peso nella questione. (1) Veber einige Sclerotinien und Sclerotienkrankheiten. Bot. Zeit. 44, 1886 p. 347. Ann. Ist. Bor. — Vor. II. 15 — 118 — Da ultimo il De-Vries conclude: « Inoltre io cito il fatto che l'ossalato di calcio nei tuberi di patata e di Orchis in un certo periodo viene disciolto, quindi è solubile. E « Infine è da osservare che la forma cristallina dei depositi e la grandezza spesso significante dei cristalli non potrebbe spiegarsi senza ammettere per lo meno una pic- cola solubilità del sale ». Perciò che riguarda il ridiscioglimento dei cristalli in talune specie, io noterò che il fatto si restringe ad un numero limitato di casi, ed in questi casi noi non sappiamo se veramente trattasi di un puro e semplice discioglimento dell'ossalato di calcio, o non piuttosto di una sua scomposizione. Anzi pensando a quanto avviene nei cistoliti che in dati periodi si liberano dei loro sali di calcio (') può forse ri- tenersi per analogia più probabile quest'ultima ipotesi. In quanto poi alla forma cristallina dei depositi ed alla grandezza spesso signi- ficante dei cristalli, che, secondo il De-Vries, non potrebbe spiegarsi senza ammettere una certa solubilità del sale, io mi limiterò a ricordare due cose: la prima è che il Vesque artificialmente ha ottenuto dei cristalli di considerevoli dimensioni, come dei grandi prismi obliqui a base di parallelogramma; la seconda è che lo stesso Vesque ammette nel suo lavoro sulla riproduzione artificiale dei cristalli (?), che l'ossalato di calcio possa esser tenuto disciolto dal protoplasma, il quale in seguito lo deposite- rebbe in forma cristallina.Egli quindi considera il lavoro delle cellule cristallofore come una secrezione di ossalato di calcio, e non come un incontro dei due reattivi. Giunti a questo punto è opportuno fermarsi un istante e fare brevi conside- razioni. Da quanto fin qui sono andato esponendo risulta che nessun argomento può essere portato efficacemente contro l'ipotesi che l’ossalato di calcio, per essere insolubile del tutto o quasi nel succo cellulare, cristallizzi nelle stesse cellule nelle quali fu formato. Tutti quei fatti, per la spiegazione dei quali si credette essere necessario ammettere le idee opposte, io ho dimostrato che possono tutti spiegarsi in diverso modo e che quindi si prestano a molteplici interpretazioni. Anzi per ciò che ri- guarda il fatto creduto di maggiore importanza, cioè la presenza dell'ossalato di calcio fuori della cellula, le osservazioni compiute dal De-Bary confermano il modo di spie- gazione che io ho proposto al riguardo. D'altra parte è innegabile che nel gran- dissimo numero dei casi l'ossalato di calcio, una volta formato, mai più si ridiscioglie, restando spesso invariato anche per l’intera vita della pianta. Dunque l'ipotesi la più probabile, la più semplice, la più diretta è che l'ossalato di calcio sia insolubile del tutto o quasi nel succo cellulare e che si produca nelle stesse cellule nelle quali lo troviamo cristallizzato. Ma io voglio inoltre citare dei fatti i quali ci conducono direttamente a conelu- dere contro le idee opposte. (1) Per ciò che riguarda il riassorbimento dei cistoliti in generale vedasi: Haberlandt, Phy- siologische Pflanzenanatomie, p. 341. (2) Observations sur les cristaur d'oralate de chaux contenus dan les plantes et sur leur nroduction artificielle. Ann. d. se. natur. 5° serie, Bot. t. XIX, p. 300. — 119 — Primieramente, ammettendo queste idee, non sappiamo spiegarci perchè il sale, il quale si forma in dati tessuti, debba andare a cristallizzare lontano da essi, racco- gliendosi soltanto in luoghi circoscritti e determinati. Invero supponiamo un complesso di cellule, le quali a un dato punto comincino a secernere dell'acido ossalico. Questo, incontrandosi con i sali di calcio, si combinerà con essi e l'ossalato così prodotto re- sterà disciolto nel succo cellulare. Ma, continuando il processo, la soluzione ben presto diventerà satura, e allora il nuovo ossalato che si formerà, non potendosi più discio- gliere, dovrà tosto precipitare, accumulandosi nelle stesse cellule nelle quali fu formato. Volendo pure ad ogni modo dare una spiegazione soddisfacente, bisognerebbe ammettere che allorquando la soluzione salina, diffondendosi tra i tessuti del vegetale, giunge in contatto con le cellule destinate per serbatoi dell’ossalato di calcio, queste, per speciali proprietà a tale scopo acquisite, fossero atte ad accumulare il sale che loro arriva per diffusione, depositandolo in forma cristallina. Senza di ciò non si può assolutamente spiegare perchè il sale vada a cristallizzare in cellule lontane da quelle dove esso si forma. Ma questa ipotesi, oltre ad essere per se stessa improbabile, ha anche contro di sè il risultato di una esperienza descritta nella prima parte. Ammettiamo infatti per un istante che le cose vadano realmente come si è supposto. Quando in questo caso prendiamo una piantina cresciuta in contatto con i sali di calcio, e che per conseguenza contenga numerosi cristalli in tutti i suoi tessuti, e la portiamo in una soluzione modi- ficata, nei nuovi tessuti che si formeranno non sì dovranno produrre direttamente cri- stalli di ossalato, perchè i sali provenienti dal terreno sono privi di calcio, e fin qui la supposizione corrisponde con la realtà. Ma, continuando l’esperienza, il vecchio ossa- lato dovrebbe cominciare a ridisciogliersi ed arrivare per diffusione tra i nuovi tessuti, fino a giungere in contatto con le cellule cristallofore di questi. Ma allora, come appunto si è supposto, tali cellule dovrebbero essere in grado di accumulare il sale nel loro interno, epperò continuando a disciogliersi l'antico ossalato, si dovrebbe avverare per lo meno un parziale trasporto di questo dai vecchi ai nuovi tessuti. Invece l'esperienza dimostrò il contrario; quando io portai delle piantine di fitolacca in soluzioni modificate, nei nuovi tessuti non pote’ essere mai accertata la presenza di depositi cristallini. Inoltre, quando anche si fece uso nelle esperienze di semi appena germogliati, non contenenti quindi che pochissimi gruppi di cristalli, e si portarono in soluzioni prive di sali di calcio, il riassorbimento non pote’ mai essere constatato, non ostante che l'espe- rienza si prolungasse per più di un mese, e infine la piantina avesse raggiunto no- tevoli proporzioni di sviluppo. Ora in questioni di tal natura anche un solo fatto può avere un valore certo. Se veramente l’ossalato di calcio dovesse sempre disciogliersi nel succo cellulare per portarsi nei luoghi nei quali cristallizza, il fenomeno del ridiscio- glimento dei cristalli già formati dovrebbe essere un fatto d’indole generale, e che do- vrebbe manifestarsi tutte le volte che noi portiamo una pianta contenente cristalli in soluzione priva di sali di calcio, il che, come abbiamo visto nel nostro caso, non avviene. Dopo ciò che si è detto in questa seconda parte è opportuno giungere ad una conclusione. L'ipotesi che l’ossalato di calcio sia insolubile nel succo cellulare e sia quindi prodotto nelle stesse cellule, nelle quali si riscontra depositato, non solo non ha contro — 120 — di sè alcun argomento, ma rappresenta anche l'idea la più semplice e la prima che spontaneamente ci si presenti d'innanzi; ha poi in favore il fatto che nel grandissimo numero dei casi il sale, una volta formato, mai più si discioglie. L'altra ipotesi invece, non solo non può vantare argomenti a suo favore, non solo è per se stessa meno sem- plice, meno diretta, ma urta anche in obbiezioni, che non possiamo eliminare se non ricorrendo a supposizioni e ad altre ipotesi, che sono anch'esse del tutto immaginarie, e che non posano sopra alcuna base sperimentale. Allo stato attuale delle cose, senza respingere 4 priori la possibilità che domani possa essere con la scorta dei fatti dimostrato giusto quanto oggi non siamo ancora auto- rizzati ad ammettere, io credo che dobbiamo inclinare a concludere, il che è possibi- lissimo : che l'ossalato di calcio è generalmente insolubile nel succo cellulare e st accumula nelle stesse cellule nelle quali fu formato (1). Anche il Kny (*), studiando la questione sotto un altro punto di vista, cioè dal lato della riproduzione artificiale dei cristalli, è portato a concludere nello stesso senso. (1) Era già in via di stampa il presente lavoro quando venne a luce una pubblicazione dello Schimper: Veder Kalkomalatbildung in den Laubblittern (Bot. Zeit. 46 Jahr. n. 5). Tra le molte questioni, su le quali l’autore espone delle idee del tutto nuove e interessantissime, vi è anche quella della solubilità dell’ossalato di calcio nel succo cellulare. Egli nota che in più specie l’os- salato di calcio, dopo essersi depositato in alcune cellule, in seguito scompare per emigrare in altre. Così nelle foglie di Symphoricarpus racemosus nel mesofillo si contengono durante il Maggio delle piccole druse, le quali nel Luglio emigrano nei serbatoi cristallini delle nervature, mentre nelle giovani foglie si trova lo stesso fatto come nel Maggio. E parimenti al Symphoricarpus si com- porterebbero anche l’Alnus glutinosa e specialmente il Crataegus Oxyacantha. Da tutti questi e da altri fatti l’autore giunge a concludere che dal luogo in cui si trova l’ossalato di calcio non pos- siamo in alcun modo conoscere il luogo della sua origine. Ora anche su questi fatti, esposti dallo Schimper si possono portare le stesse osservazioni che sopra sono state fatte rispondendo ad una proposizione del De-Vries sul riassorbimento dei cri- stalli in talune piante. Noi, in tutti questi casi, nei quali i cristalli scompaiono da una cellula, non sappiamo assolutamente se si tratti di un loro discioglimento nel succo cellulare o non piut- tosto di una loro scomposizione. Nei tessuti del vegetale possono esistere delle sostanze atte ad ope- rare questa scomposizione. L'acido cloridrico per esempio è abbastanza diffuso ; ora se una piccola quantità di questo acido verrà in date condizioni in contatto con un cristallo di ossalato di calcio dovrà scomporlo, il cloruro di calcio che ne deriva potrà facilmente, emigrando in forma di solu- zione, incontrarsi in altre cellule ricche di acido ossalico, dove di bel nuovo potrà dar luogo alla produzione di ossalato di calcio. Oltre a ciò bisogna anche riflettere che il vegetale può essere in possesso di altri molteplici mezzi, anche a noi incogniti, per compiere tale processo ; perciò dalla semplice osservazione che i cristalli talvolta scompaiono dalle cellule in cui sono contenuti io credo non possa trarsi alcun giudizio sulla natura di questo processo. Anche l’amido, per servirmi di un paragone, ha facoltà di emigrare da un tessuto ad un altro, può abbandonare i serbatoi, e i suoi granuli ad una osservazione superficiale presentano gli stessi fenomeni di corrosione come i cri- stalli in via di riassorbimento; eppure chi vorrebbe da ciò concludere che esso sia solubile nel succo cellulare ? Bisogna infine notare che nei casi citati dallo Schimper resta sempre dubbio il decidere se la scomparsa dell’ossalato di calcio in alcuni tessuti e la successiva ricomparsa in altri non siano due fatti del tutto distinti e indipendenti, i quali soltanto fortuitamente si trovino in correlazione di tempo. , (2) Veber Krystalbildung beim Kalkoxalat (Berichte der deutschen Botanischer Gesellschaft. Fiinfter Jahrgang, Heft. 8, 1887). — RI — Con quanto si è detto non s'intende negare che il succo cellulare in date con- dizioni possa disciogliere una piccola quantità di ossalato di calcio ('), ma si vuole invece combattere l'opinione che un tal fatto costituisca una regola generale, per la quale il sale, prima di depositarsi in forma cristallina dovrebbe sempre disciogliersi, emigrando per tal modo da una regione ad un'altra nel corpo del vegetale. La questione che ora ci ha occupati, non può essere presa isolatamente. Se l'os- salato di calcio -si origina in quei medesimi luoghi nei quali precipita, l’acido ossa- lico, può chiedersi, ha parimenti origine nelle stesse cellule o non piuttosto vi arriva dalle altre cellule turgescenti del parenchima in cui sì formerebbe ? Questa ed altre questioni, delle quali ho intrapreso lo studio, conto poter trat- tare in un prossimo lavoro, che spero condurre a termine in un tempo non lungo. (1) Che l’ossalato di calcio nei tessuti vegetali in speciali condizioni possa essere in piccola parte disciolto, è cosa certamente assai probabile. Un eccesso di acido ossalico, la presenza di un sale di magnesio, sono condizioni a ciò favorevoli, e la sua dissoluzione fu constatata nel succo ricco di zucchero della barbabietola (Wurtz e Scheibler, dal De-Vries p. 81). Nell’attiva vegeta- zione, secondo Schmidt, l’ossalato di calcio può essere completamente disciolto nel contenuto cel- lulare per mezzo dell’albumina, e cristallizzerebbe in parte alla fine del periodo di vegetazione (Huseman-Hilger. Pflanzen-Stoffe vol. 1, p. 193). — 122 — Le gemme della Pircunia dioica Moq. del dott. T. A. BALDINI (Tav. XI, XII). Nella Pereunia dioica Moq. della famiglia delle Fitolaccacee, che nel clima di Roma raggiunge considerevoli dimensioni, si presentano tre sorta di gemme: apicali, ascellari e avventizie. Le ascellari possono trovarsi all'ascella delle foglie normali, ovvero all’ascella delle squame protettrici delle gemme ascellari; chiameremo le prime ascellari fogliari, le seconde ascellari squamali. Le avventizie alla loro volta possono originare o dallo strato corticale, in corrispondenza di una troncatura di un ramo, ovvero anche alla superficie di una troncatura, ma, da una delle zone parenchimatose, interposte fra una cerchia vascolare e l'altra del fusto anomalo. Per distinguerle chia- meremo le prime corzieali, le seconde inferfaseiali. Tutte poi meno l'apicale, possono rinvenirsi allo stato preventivo. Le gemme apicali, quelle di origine ascellare fogliare e le veramente avventizie hanno un'attività minore dell’altre. Si può infatti ritenere, che in una pianta di parecchi anni quasi tutti i rami, o almeno tutti i più grandi, siano di origine ascellare squamale, cioè provenienti dall'ascella delle squame protet- trici di altre gemme. Per quanto sappiamo questi rami furono fino ad ora ritenuti di origine avventizia. Per avere un'idea chiara del modo e del luogo d'origine delle gemme, soggetto del presente lavoro, ed anche per evitare ripetizioni inutili, crediamo indispensabile Jar precedere una breve descrizione della struttura del caule, del resto ben nota, di questa pianta. Il fusto della P/reurzia divica Moq., procedendo dall'esterno all'interno, presenta la seguente struttura. Sotto una epidermide semplice, sostituita più tardi da una scarsa produzione peridermica, sta il corpo corticale, costituito all'esterno da parecchie serie di elementi collenchimatici, più o meno allungati nella direzione dell'asse di sviluppo, funzionanti da apparato meccanico ed assimilatore in via secondaria, intramezzati da cellule sele- rose di forma piuttosto irregolare, isolate o più spesso a gruppetti. È dalla serie esterna di questo tessuto ipodermico, in corrispondenza delle gemme ascellari, che si genera un fellogeno che produce pochi strati di cellule suberose, il quale nei rami di due anni, ed anche alquanto più giovani, lo sì vede estendersi a tutta la superficie dell'asse. — 123 — Agli elementi collenchimatici fa seguito un parenchima assimilatore che a com- pleto sviluppo ha gli elementi rotondeggianti, isodiametrici. Segue poi il sistema mec- canico liberiano, il quale si dispone in un cercine più o meno interrotto di gruppi di pochi elementi, per lo più disposti in una sola serie tangenziale. Il corpo legnoso è costituito essenzialmente da zone di fasci secondarî disposti a cilindri concentrici e alternanti con zone di parenchima secondario d'origine peri- ciclica, dovute allo speciale modo di formazione di cambî secondarî successivi è alternanti nella loro funzione. Segue infine la zona dei fasci primarî colle relative produzioni secondarie dal cambio normale ed infine il cilindro midollare, attraversato dai fasci fogliari midollari. La gemma apicale si presenta di forma conica, alquanto depressa, costituita per la massima parte da un meristema ad elementi piccoli, ricchissimi di plasma, nel quale la sola epidermide è ben differenziata, e che presenta nelle parti discoste dall’apice alcune cellule a rafidi. Essa è sempre protetta da parecchie foglie, che, per questa funzione protettiva, assumono nelle gemme in via di sviluppo un particolare aspetto (Tav. XI, fig. 3, /4, f4, fg —). La prima parte che in esse si forma è l'apice dapprima rappresentato da un breve mammellone di parenchima formativo nel quale si mostra in differenza- zione la sola epidermide. Questo mammellone si ripiega sul meristema apicale e ben presto si conforma a cappuccio includente l'apice vegetativo della gemma. Sotto questo cono difensivo si formano successivamente gli altri, rappresentanti gli apici sovrapposti di altrettante foglie, dei quali i più esterni difendono i sotto- posti, e tutti la gemma. Un accenno di quest'organo, ma del tutto atrofizzato, pieno di polviscolo e più tardi anche secco, si trova ancora nelle foglie adulte. Comprendiamo sotto il nome di gemme ascellari tanto quelle che originano all'ascella di una foglia normale (Tav. XI, fig. 4,9 —), e che abbiamo chiamate ascellari fogliari, quanto le altre che si sviluppano all’ascella di una squama protettrice di una gemma allo stato preventivo o di riposo e che abbiamo designato col nome di ascellari squamali. Le prime furono già soggetto di studio da parte del prof. N. A. Pedicino (!). Egli ne osservò una o due per ascella; se ne possono però trovare anche tre, sovrapposte, delle quali la superiore è sempre la più grande e più facilmente delle inferiori può svolgersi in un nuovo ramo. Essa, già allo stato di riposo può presentare all'ascella delle sue squame protettrici più esterne, altre gemme, più piccole, che, cessando per una causa qualunque l’attività della gemma terminale del germoglio al quale appartengono, escono dallo stato preventivo ed assumono uno sviluppo spesso più vigo- roso di quello del germoglio principale (Tav. XII, fig. 17, 59,59). (1) Pedicino N. A., Studi sulla struttura e sulla maniera di accrescersi di alcuni fusti di piante dicotiledoni. Annuario della r. Scuola superiore d’agricoltura di Portici. Anno I, 1876. — 124 — Seguendo i principali fenomeni di sviluppo delle gemme ascellari fogliari, dal mo- mento della loro prima differenzazione fino alla forma che assumono allo stato di riposo, sopra i rami anche di più anni, possono osservarsi facilmente due serie di fatti, gli uni risguardanti il modo e gli altri il luogo d'origine delle gemme. Devesi anzitutto notare che la prima gemma a formarsi delle due o tre è sempre la superiore, che la seconda apparisce poco al di sotto della prima, quando questa sia già ben conformata, che la terza, quante volte si formi, si comporta ugualmente rispetto alla seconda. Per ciò che riguarda il luogo d'origine, esso è sempre per tutte due o tre le gemme il fondo dell'angolo ascellare. Di esse la prima, o superiore, origina dagli strati più esterni del periblema, mentre le altre si generano nella parte esterna del cilindro corticale, a sviluppo più avanzato quando esse principiano ad apparire e sem- pie in rapporto colla parte inferiore della cupola cambiale della gemma sovrapposta (Tav. XII, fig. 12, g—-14,9,9 —16,9,9 ,9"—). Per ciò che riguarda il modo di sviluppo di queste gemme sovrapposte ecco quanto osservammo. In prossimità deli'apice vegetativo di un ramo in via di svi- luppo, dapprima in corrispondenza dell'ascella della terza o quart'ultima fogliolina nei primi stadî di sua differenzazione, si osserva una gemma unica, sotto forma di un mammellonceino emisferico, costituito da elementi piccoli, isodiametrici, ricchissimi di plasma e protetto dal dermatogeno in via di differenziazione (Tav. XII, fig. 12, 9g). In uno stadio un poco più avanzato, quando cioè il legno primario del ramo nel punto ove essa è inserita, presenta ben differenziate le trachee, e la foglia all'ascella della quale è posta abbia raggiunto la metà circa della sua grandezza media nor- male, allora essa si presenta sotto forma di una cupola di tessuto meristemale, pro- tetta da squame imbricate, la quale è in diretta comunicazione col cambio secondario del fusto. Nei luoghi ove si formò una gemma, cessa la formazione delle zone legnose. Tanto il parenchima delle squame protettrici che quello interno ed esterno ai tessuti della gemma stessa, eccettuati i cambiali, sono ricchissimi di cellule a rafidi, alquanto più grandi delle circostanti e colme di questi elementi cristallini. L'apparato difen- sivo è rappresentato da qualche strato di cellule suberificate, all’esterno delle squame bratteali in diretto rapporto coll’ambiente e dallo strato collenchimatico subepider- mico. Questa gemma è impiantata sul fusto in modo da lasciare libero appena l'an- golo ascellare nel quale si può vedere il primo indizio di formazione di una seconda gemma sottoposta. Le gemme fogliari che si osservano sopra un ramo in corrispondenza di tratti nei quali il legno sia rappresentato da due o tre cilindri concentrici, possono raggiun- gere il numero di tre. Di queste la più grande è la superiore, mentre l'inferiore è nei primi stadî di formazione e la intermedia alquanto meno sviluppata della supe- riore. Il parenchima fondamentale della corteccia, nel quale sorgono, come quello delle squame che le coprono si presenta ancora ricchissimo di cellule a rafidi, in tutto simili alle sovraccennate, cresciute in volume e nel contenuto. Lo strato di tessuto formativo, che pone in rapporto le due gemme superiori, giù ben conformate, collo strato cambiale del fusto, sì presenta aumentato in lunghezza ed in ispessore. A questo stadio di sviluppo, in corrispondenza delle gemme, appaiono due forme — 125 — di tessuti meccanici. Uno si trova nel parenchima fondamentale della corteccia ed è rappresentato da gruppi di elementi sclerosi, irregolari per forma e distribuzione, a pareti canalicolate, gruppi che si addensano ai lati dell'impianto delle gemme e più in corrispondenza dell’ascella, nel parenchima corticale del picciolo fogliare. L'altro tessuto si sviluppa al di dietro dell'impianto delle gemme. Già sopra accennammo che alla base delle gemme, verso l'interno non si formava più legno. Quivi troviamo invece un tessuto lignificato (Tav. XII, fig. 17, 4), che forma una larga zona in corri- spondenza del posto ove dovrebbe stendersi il cilindro legnoso più interno e comincia a differenziarsi contemporaneamente ad esso. È costituito da elementi di forma roton- deggiante, allungata, a parete uniformemente ispessita e punteggiata. All'esterno poi tanto nelle squame protettrici quanto nei tessuti ipodermici assili si differenzia un fel- logeno dalla prima serie di cellule sottoepidermiche, che va producendo parecchie serie di elementi suberosi (Tav. XII, fig. 17, sx). Degni di nota sono ancora i rapporti che mostrano i cilindri parenchimatici e vascolari alterni del fusto colle gemme ascellari fogliari a questo stesso grado di diffe- renziazione. Quando la prima zona dei fasci è ancora allo stato procambiale, allora sì nota una semplice incavatura verso l'alto. Più tardi, quando il primo cilindro le- gnoso è formato, e gli elementi corticali in differenziazione, vi si scorge un cilindro i cui elementi, non ancora ben differenziati all'esterno, lo sono sempre più verso l'in- terno, mettendosi in comunicazione con quelli corrispondenti del fusto (Tav. XII, fig. 17, x, ci—). Quando infine in corrispondenza delle gemme il meristema secondario ha già formato nel ramo parecchi o molti cilindri parenchimatici e vascolari, i rapporti sono un po' più complicati. Quando la gemma è ancora allo stato di riposo i cilindri più esterni legnosi e parenchimatici, la zona cambiale, il libro, il parenchima corticale e il fellogenico presentano in corrispondenza di essa una rientranza o depressione, al centro della quale sono situate le produzioni gemmali (Tav. XII, fig. 17), e che si deve probabilmente alla diminuzione dell'attività de' tessuti generatori, caulinari, in corrispondenza del luogo di formazione delle gemme. Dietro la cupola meristemale di queste si trova il cilindro dei tessuti più diffe- renziati, che dalla gemma va al cilindro midollare principale, e che rappresenta l’im- pianto di un nuovo ramo. La zona di tessuto formativo, che mette in rapporto i tes- suti dei due rami, continua lungo il detto cilindro e si diffonde anche nel parenchima situato fra gli strati legnosi più esterni. Ad esso si deve la proliferazione ed aumento che in certe circostanze si osserva alla base dei giovani rami, dal che risulta che i tessuti periferici alla base della gemma invece di avvallarsi verso l'interno del fusto, come quando le gemme erano allo stato preventivo, emergono, ed assumono forme coniche, più o meno sviluppate, con scanalature esterne circolari, interrotte, ultimi accenni della parte apicale delle squame protettrici (Tav. XI, fig. 5, s,s 59,89...) Per ciò che riguarda la struttura si osserva aumento di spessore delle zone parenchima- tiche interposte alle regioni legnose, e queste aumentate di numero per seguìta pro- liferazione del cambio secondario esterno (Tav. I, fig. 9, 2/,5p.). La sovrapposizione delle gemme ascellari fogliari avviene nel modo seguente. Ann. Isr, Bor. — Vor. II. 16 — 126 — La prima, come abbiamo detto, si forma nel fondo dell'angolo ascellare, ma mentre va differenziandosi e circondandosi di squame protettrici, cangia di posizione. Questo spostamento è dovuto al successivo accrescimento intercalare del fusto, ed avviene dal fondo dell'angolo ascellare verso il vertice del fusto, in modo che si arriva ad uno stadio nel quale l'angolo ascellare non è più completamente occupato dalla prima gemma e questa invece mostra il proprio impianto nel lato costituito dal fusto. A questo periodo di sviluppo, all'ascella della stessa foglia nello spazio compreso fra la gemma prima formatasi ed il picciolo, si differenzia una nuova gemma (Tav. XII, fig. 14, s, s, 4, 9, 9°). Questa seconda gemma subisce uno spostamento nella stessa direzione della prima e al di sotto di essa nello stesso modo ora descritto si può formare una terza gemma (Tav. XII, fig. 16, 9,9,9°). La cosa riesce manifesta durante i primi periodi di differenziazione tanto della seconda che della terza gemma; ma in stadî di sviluppo alquanto avanzati riesce difficile scorgere le traccie di tale origine ascel- lare successiva; tanto più che i tessuti formativi delle seconde terminano col porsi in rapporto diretto con quelli cambiali del fusto in punti diversi. Oltre le gemme ascellari fogliari sopra questa pianta sono frequentissime quelle ascellari di squame che circondano e coprono le gemme in riposo proteggendone l'apice vegetativo. È Tanto l'Hétet (') quanto il Pedicino chiamacono la loro attenzione sopra alcuni fatti morfologici risguardanti tali gemme, non ispiegate dal primo e credute dal secondo di origine avventizia. Ecco come egli ne scrive: « Intorno poi alle ferite o alle tron- « cature si formano molte gemme avventizie, le quali si sviluppano con una prodigiosa « rapidità di accrescimento, la quale è tanto grande, che, troncato un fusto di un anno «0 due, il ramo avventizio che nasce accanto alla troncatura in uno o due anni arriva « a ricoprire tutta la ferita, e a mettersi in continuazione col moncherino del vecchio « tronco, in modo da non lasciar vedere tutto questo processo, se non spaccando l’asse « e vedendo i resti dell'antica troncatura. In generale questi rami avventizî che nascono < poco più giù della troncatura crescono massimamente in grossezza dal lato opposto «a quello che guarda il lato troncato, ..... ». È vero che, come osservò l’Hétet, si sviluppano delle gemme e al di sotto delle troncature e intorno alle ferite, ma quando la troncatura sia fatta vicino alla base del ramo o poco al disopra di un nodo o in generale quando i margini della ferita sì trovino vicino a delle gemme. In questi casi i rami che si sviluppano provengono da gemme ascellari squamali e soltanto casualmente vi si possono trovare mescolate delle avventizie. È impossibile distinguere morfologicamente le une dalle altre. anche allo stato preventivo; soltanto colla struttura possiamo farlo. Il carattere differenziale anatomico fra una gemma formatasi in un'ascella, sia di foglia che di squama, ed una avventizia è che nella prima al di dietro del cono meristemale le produzioni legnose (1) M. Hetet, Recherches erpérimentales sur la formation des couches ligneuses dans le Pir- cunia. Annales des sciences naturelles, 1862. — 127 — normali sono interrotte, così da rammentare la forma già sopra descritta nelle gemme fogliari, mentre questa nota anatomica manca nelle avventizie (Tav. XI, fig. 9, «. TavaniW7at)! Le gemme che originano all'ascella di squame principiano a differenziarsi fin da quando la gemma principale, dalla quale provengono, è ancora allo stato di riposo. In questo periodo non ne appaiono molte, e solo all'ascella delle squame più esterne (Tav. XII, fig. 17, se. sg); ma quando la gemma principale si va svolgendo in ramo, intorno alla sua base se ne possono rinvenir parecchie, una per ascella di squama, le quali se sviluppano, sono pure fornite all’ascella delle rispettive squame protettrici di altre gemme preventive (Tav. XI, fig. 5, sg....). Queste squame basali dei rami non godono di ulteriore ingrandimento, dopo aver compiuto l'ufficio protettivo delle gemme che le produssero, ed all'esterno si presentano sotto forma di rialzi, disposti a cerchio, confluenti fra loro e sovrapposti. In questo periodo fra i tessuti di una squama e l'altra non sì osservano più interruzioni di strati epidermici, come nelle gemme preventive, ma invece una fusione completa, fin quasi alla superficie della base del ramo, in modo che le gemme originate nell'ascella delle squame si presentano immerse nel parenchima corticale, quasi fossero di origine endogena, mentre sono ridotte apparentemente tali a causa della suddetta fusione di tessuti, avvenuta intorno e al di sopra di esse dopo la loro prima differenziazione (Tav. II, fig. 15.). Si devono all'irregolare modo di svilupparsi di queste gemme le forme a prima vista strane e inesplicabili che si presentano nella ramificazione di questa pianta. Così ad esempio in corrispondenza di una foglia, già caduta, possono rinvenirsi escrescenze mammellonari, circondate da parecchie piccole gemme in via di sviluppo, mammel- loni o escrescenze prodotte e dalle basi di parecchi ramoscelli deperiti o troncati vicino al loro impianto e da nuove gemme allo stato preventivo, talora però morte (Tav. XI, fio. 1, 7,7, r, sg. sg....), Così ancora in corrispondenza di una foglia possono rinvenirsi quattro o cinque rametti in via di formazione. Anche non è raro che un ramo, pro- dotto da una di queste gemme, vada a surrogare il ramo più piccolo dal quale ebbe origine, per avventura deteriorato o troncato. In questo caso il ramo secondario può assumere un enorme sviluppo, rialzarsi, fondendo alla base i proprî tessuti con quelli di rimarginamento già formatisi sul piano di troncatura del ramo principale, finchè termina coll'occuparne completamente il posto. Questa forma fu anche osservata dal Pedicino; essa del resto può presentare varie complicazioni, sia pel numero dei rami secondarî che si formano vicino alla rimarginatura, sia per la varia origine che hanno, poichè possono provenire o da gemme ascellari delle squame basali del fusto troncato. o da gemme di second'ordine, provenienti da queste. Le vere gemme avventizie sono quelle che emergono dalla superficie di un ramo troncato (Tav. XII, fig. 10, 13 eg, cg.....) Esse possono però confondersi con gemme ascellari squamali quante volte la troncatura sia fatta in corrispondenza della base di un ramo, a pochi millimetri di distanza da una squama (Tav. XI, fig. 2, sg. s9). In questo caso la gemma differenziatasi antecedentemente all'ascella di essa invece di — 128 — raggiungere per svilupparsi all'esterno lo strato epidermico o fellogenico, può uscire, traversando i tessuti di rimarginamento, dalla superficie di troncatura (Tav. XI, fig. 2, eg, 9’). _ Le gemme però che hanno questa origine si distinguono dalle vere avventizie, perchè, come dicemmo, gli strati legnosi al di dietro del loro impianto presentano una soluzione di continuità, la quale si estende fino a raggiungere il cilindro midol- lare del fusto o del ramo che le diede origine. Però questo carattere anatomico è evi- dente, finchè la gemma che si osserva è allo stato preventivo, ovvero si è sviluppata in un buon ramo; talvolta però in uno spazio ristretto si sviluppano parecchie gemme, vicinissime, ascellari di squame, le quali alla loro volta portano altre gemme all'ascella delle loro squame. Se allora ha luogo un forte sviluppo di due o tre di esse, alla loro base avviene uno spostamento di tessuti che rende difficile lo scorgere il suddetto carattere anatomico delle gemme ascellari. Il primo che osservò ed accennò a gemme di vera origine avventizia fu il signor Hétet nel 1861. Egli, studiando i tessuti di rimarginamento della Pireunia dioica Mog., vide in essi la formazione di una gemma che produsse un piccolo ramo: « A la lèvre supérieure et è l'infériure de la plaie les zones utriculaires ont aussi produit des bourrelets, mais peu développés; du bord inférieur est sorti un bourgeon qui a produit un rameau très vigoureux, quoiqu'un peu étiolé à cause de sa position dans un machon de verre, presque privé de lumiére ». Più tardi, nel 1876, il Pedicino descrisse e figurò un ramo che, per quanto egli scrive, ci sembra evidentemente avere la stesso origine: « Un ramo avventizio, grosso « circa 30 centimetri, a midollo molto eccentrico, era stato l'anno innanzi troncato ed aveva già intorno tre grossi rami avventizî. Dalla superficie di troncatura, alla distanza « di circa 80 strati legnosi dalla corteccia, sorgeva un rametto abbastanza vigoroso. Dagli studî potuti fare su questo pezzo ho potuto concludere, che la gemma la quale «aveva dato origine al rametto erasi formata sul posto in cui questo erasìi sviluppato. « Infatti i fasci fibro - vascolari di questo rametto non facevano che mettersi in comuni- cazione con quelli delle due zone legnose più vicine. Il fenomeno era già troppo inol- « trato per potere arguire d'onde provenisse la cellula originaria di detta gemma. Dalla descrizione dell'Hétet credo poter ricavare che il ramo or ora descritto possa avere lo stesso origine che il ramo prodottosi nell'interno del suo apparecchio. Ad ogni modo « ammesso che, come dice l'Hétet, gli strati cellulari interposti fra le zone legnose « possono, in certe condizioni speciali, proliferare, e produrre non solamente parenchima, ma anche fasci fibrosi, non è strano il concepire che a spese dello stesso tessuto possa « generarsi un meristema avventizio ». Ecco qual'è, secondo le nostre ricerche l'origine di questa sorta di gemme. Troncato un ramo con un taglio netto, specialmente se la stagione non è secca, i tessuti tagliati per la profondità di parecchi millimetri muoiono e si disseccano ; ma al di sotto di essi il parenchima corticale e quello frapposto tra i cilindri vascolari si mantiene vivo, e dopo un tempo più o meno lungo, accenna ad una certa attività formativa. Le cellule al di sotto dello strato più esterno, già secco, principiano a divi- dersi nel senso tangenziale al piano del taglio, e in pari tempo molte cellule del » (a La fa (I — 129 — parenchima sottostante si riempiono di fasci di rafidi. Questa proliferazione è più intensa per regola nella cerchia del parenchima corticale; cosicchè allora al di sopra di esso sì può osservare una specie di prominenza annulare (Tav. XII, fig. 10; 42, 42, 42; Tav. XI, fig. 7, 4). Nella parte più esterna di questo parenchima in proliferazione ben presto si differenzia un fellogeno, che provvede alla formazione di uno strato di poche cellule suberificate. Col continuare di questo accrescimento dei parenchimi corti- cali ed interfasciali, i tessuti finiscono col sollevarsi intorno e sopra agli anelli legnosi che poco tempo dopo il taglio del ramo potevano osservarsi emergenti alla superficie di troncatura, finchè tutti restano coperti (Tav. XII, fig. 10). In seguito a che avviene che gli elementi morti delle zone legnose e parenchimatiche vengono per lo più spinti verso l'esterno, rimanendo al di sotto del nuovo parenchima in formazione. In uno stato di sviluppo più avanzato, nel nuovo parenchima si differenziano dei fasci fibro- vascolari, e verso l'esterno delle cellule scelerose in piccoli ammassi (Tav. XII, fig. 11. fi9). I fasci si pongono in rapporto con quelli dell'estremità troncata delramo; essi non hanno una distribuzione regolare nel parenchima dal quale hanno origine. Occupano la parte centrale di esso, confluiscono fra loro e terminano poco al di sotto dello strato fel- logenico. È sempre in questo parenchima che appaiono le gemme avventizie. La loro prima differenziazione può precedere o seguire l'apparizione della rete dei fasci fibro-vascolari ovvero avvenire durante la formazione di essi. Queste gemme appaiono dapprima poco al di sotto dello strato fellogenico, colla apparenza di ammassi di cellule piccole, ricche di plasma differenziantesi dal parenchima fondamentale, i quali ben presto assu- mono la forma di cupola colla parte convessa rivolta verso lo strato fellogenico od anche lateralmente, verso l'asse o la periferia del fusto. Ben presto il nuovo cono vegetativo sviluppa le squame protettrici sfornite di gemme secondarie alla loro ascella, fatto che spiega il numero predominante delle gemme ascellari su quelle avventizie e quindi si mette in rapporto coi vecchi fasci fibro-vascolari del ramo col mezzo di nuovi cordoni vascolari (Tav. XII, fig. 11, c, g.). Queste gemme possono rimanere per un. tempo più o meno lungo allo stato preventivo. In questo caso in seguito allo sviluppo ulteriore dei tessuti periferici alle gemme, queste sembrano trasportate in una posi- zione più interna di quella della loro prima formazione; mentre di fatto sono i tessuti vicini che seguono a proliferare perifericamente ad esse, spostando così il primitivo decorso dei fasci fib-o-vascolari, i quali fanno una curva intorno alle gemme avventizie allo stato preventivo (Tav. XI, fig. 8, /, /.). Quando poi la gemma si sviluppa in un nuovo ramo, i fasci continuando allora a differenziarsi, formano una seconda ansa dal basso all'alto. Se invece la gemma, non passa per uno stato preventivo, ovvero non avviene attiva proliferazione dei tessuti periferici ad essa, le indicate curve non si osservano, ed i fasci di nuova formazione partendo da quelli troncati vanno a terminare direttamente nell'apice vegetativo della gemma (Tav. XI, fig 13, /, c9). I rapporti si vanno facendo sempre più stretti a sviluppo avanzato tra il ramo di origine avventizia ed il tronco sul quale si è sviluppato, operandosi una specie di congiungimento e saldatura tra i tessuti di nuova e vecchia formazione (Tav. XI, fig. 6, 7) — 1590 — Lasi Riassumendo, possiamo concludere: 1° Che nella Pireunia divica Moq. esistono tre sorta di gemme: apicali, ascellari ed avventizie. n 2° Che le gemme ascellari possono nascere all'ascella delle foglie normali, (gemme ascellari fogliari) ovvero all’ascella delle squame che ricoprono le gemme (ascellari squamali). 3° Che le gemme ascellari fogliari si sviluppano in tempi successivi la seconda sotto la prima e la terza sotto la seconda, sempre per origine ascellare. 4° Che le gemme fino ad ora descritte di origine avventizia, nel maggior numero dei casi si formano all’ascella delle squame delle gemme, fin da quando le gemme si trovano allo stato preventivo o di riposo. 5° Che le vere gemme avventizie sono quelle sole, che si differenziano dai parenchimi di rimarginamento alla superficie di rami troncati o in generale delle ferite. ic 2. i We) 10 13 14 n D) _ DI 17. — 131 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XI. Rametto con cinque produzioni di origine ascellare squamale, differenziatesi all’ascella di una foglia. Superficie di due rami connati, stati troncati; tm, tm.. tessuti di rimarginamento; sy, 59’... gemme ascellari di squame; cy, gemme avventizie, provenienti dal parenchima corticale. . Figura schematica di un apice vegetativo in sviluppo; cg, cono gemmale con foglie; fg; /4,... in formazione. Ramo con gemme ascellari normali sovrapposte. Impianto di un ramo circondato alla base da squame; s,s, e piccole gemme di origine ascellare squamale; 59,59... — Troncatura di un vecchio ramo morto, portante un rametto originato da una gemma avventizia interfasciale; 1, zone di fasci vascolari; 27, zone interfasciali parenchimatose; m, midollo; r, rametto avventizio. . Produzioni rameali a disposizione irregolare, originate da gemme squamali; 7,7... rami di origine squamale; #72, tessuto di rimarginamento; sy, sy... gemme di origine squamale. Figura schematica di una sezione di gemma avventizia, differenziatasi poco al disopra dei tessuti costituenti le zone fasciali, sotto al parenchima di rimarginamento; #2, tm, tessuti di rimargi- namento; cg, cono della gemma; ff, fasci; s,5, squame protettrici; su, sughero. . Figura schematica di sezione eseguita alla base di un ramo, in corrispondenza delle squame tra- sformate in rilievi circolari, come nella figura 5, rappresentante il principio di sdoppiamento delle zone dei fasci; su, sughero; sy, gemma squamale; /,z/... zone vascolari; zp, zone paren- chimatose interfasciali; #, interruzione delle zone fasciali e parenchimatose dietro le gemme ascellari, Tav. XII. . Ramo tagliato, ricoperto dai tessuti di rimarginamento, portanti gemme; #72, tm, ... tessuti di rimar- ginamento; cg,c9,... gemme avventizie. . Figura schematica di una sezione eseguita nei tessuti di rimarginamento; su, sughero; #2, tes- suti di rimarginamento; f, produzioni irregolari di fasci; cg, gemma avventizia. . Figura schematica di una sezione longitudinale radiale, passante per una gemma ascellare di foglia; 9, gemma; f, fascio; /g, foglia. . Figura schematica di una gemma avventizia; su, sughero; tm2,tm, tessuti di rimarginamento; f, fasci; s,s, squame; cg, gemma avventizia. . Figura schematica di una sezione rappresentante due gemme normali ascellari sovrapposte, la inferiore di formazione più recente. 5. Figura schematica di una gemma di origine squamale, preventiva, con saldatura dei tessuti squa- mali al disopra di essa. . Figura schematica eseguita sopra una sezione radiale, mostrante tre gemme sovrapposte ascel- lari; 5,5°,5%, squame; fg, foglia; 9,99", gemme. Figura schematica di una sezione trasversale passante per una gemma ascellare di foglia; 0, parenchima lignificato; 27, zone parenchimatose interfasciali; 27, porzioni vascolari dei fasci; li, porzione cribrosa; #, asse centrale del futuro ramo; xi, zona periferica del medesimo asse; sY, gemme preventive di origine squamale; 9g, gemma apicale; sv, sughero. — 132 — Intorno ad una Sensitiva dell'Argentina. Nota del prof. R. PIROTTA (Tav. XIII) Nell'inverno del 1885 l'egregio amico e chiaro botanico prof. Carlo Spegaz- zini mi inviava da La Plata un certo numero di semi da lui raccolti alla rinfusa nel percorrere rapidamente la regione delle Missioni dell'Argentina. Fra le piante nate da quei semi vi fu anche una Mimosa a foglie sensibili in unico esemplare, che messo in piena terra si sviluppò rapidamente e portò fiori per la prima volta nel novembre del 1886. La pianta morì nell'estate successivo dopo aver passato l'inverno senza molto soffrire, ma alcune margotte facilmente ottenute in autunno e coltivate in serra valsero a conservarla, e rifiorirono abbondantemente nell'estate e nell’ autunno dello scorso anno. Le ricerche da me fatte per determinare questo grazioso arbustello sono riescite vane, non avendo trovata alcuna delle Mimose finora descritte, che offra caratteri con- cordanti con quelli della pianta nata dal seme inviatomi dallo Spegazzini. La pianta pare dunque nuova ed io, riconoscendo le difficoltà che s'incontrano nello studio di questo difficile genere, nel descriverla, propongo di chiamarla provvisoriamente col nome dell'egregio amico tanto benemerito dello studio della flora dell'Argentina. Mimosa Spegazzinii ad int. Frutex 2-3 metralis, erectus, a basi ramosus, ramis herbaceis strigillosis; foliis unijugis, foliolis sensi- tivis 25-35 jugis v. ultra, lineari-oblongis, obtusis, mucronulatis, obscure trinerviis, supra gla- bris, subtus apicem versus breviter adpresse pilosis, margine spinis validiusculis adpressis praedi- tis, stipulis ovato-lanceolatis acutis, striatis, ciliatis; aculeis infrastipularibus binis, recurvis, num- quam sparsis; pedunculis arillaribus, solitariis v.-geminis, peduncolo foliorum subaequantibus v. subbrevioribus; capitulis globosis multifloris, staminibus dilute violaceis; bracteis subobova- tis, longe mucronatis, superne ciliatis, corolla brevioribus; legumine (immaturo) leviter contorto, articulato, articulis 2-1, margine spinis validiusculis undique directis armuto, ceterum sparse et parce piloso. Hab. Missiones Argentinae; floret autumno. Semina legit et misit cl, C. Spegazzini. Tab. XIII. Descrizione. È un piccolo arbusto di 1-3 metri di altezza, che ramifica abbon- dantemente fin dalla base, a rami graciletti, diritti, eretti, forniti, se giovani, di peli brevi, rigidi, della forma e struttura rappresentata nella fig. 3 della tavola XIII, rivolti in alto ed addossati al fusto, più abbondanti verso l'apice del ramo, — 133 — Le foglie unijughe portano alla base del picciolo comune due stipole lunghe circa la metà del picciolo stesso, erette, simmetriche, ovali-lanceolate, acutissime, lunga- mente cigliate sui margini per ciglia bianche, più lunghe verso il mezzo della stipola ed in parte caduche, d'aspetto striato alla superficie per la presenza di cinque nerva- ture, delle quali tre mediane sporgenti. Al disotto di ciascuna stipola ed in continua- zione con essa si trova un aculeo duro, gialliecio, poco più lungo di quella, disposto orizzontalmente, colla base larga, l'apice curvato in basso, acuto. Mancano aculei sul resto dell'internodio. Il picciolo comune è sottile, lungo da 15-18 mm., terminato da un mueroncino a setola, solcato lievemente nel lato superiore, fornito di peli appressati, più nume- rosi alla base ed all'apice, dove stanno anche altri più grossi e rigidi. Le pinne sono più lunghe del picciolo, misurando circa 60 mm. Le foglioline piuttosto stipate, ma non toccantesi a foglia distesa, sono lunghe circa 10mm., cent. larghe 2-3 mm., in numero variabile da 14 nelle foglie dei rametti brevi, a 25-30-35 per lato nelle foglie ordinarie, col pajo inferiore un po’ più piccolo: sono a margine piano verso l'alto, lievemente curvo nel basso, ottuse ma lievemente mu- cronate, colla nervatura mediana molto eccentrica e due laterali inferiori brevi e poco manifeste; il margine non inspessito è fornito di spine appressate, robuste relativamente, acute, bianche. Sono di color verde, glabre sulla faccia superiore, con pochi peli appres- sati e brevi nel terzo anteriore della inferiore e qualche breve ciglio alla base (fig. 2). Il rachide di ciascuna pinna è fornito al di dietro dell'inserzione di ogni laminetta fogliare di un aculeo rigido, breve, bianco, acuto, accompagnato di solito da un secondo un po’ più piccolo (fig. 2). I fiori a capolino globoso, moltifloro, del diametro di circa 2,5 cm. a fiori sboc- ciati, di colore nel complesso lilla pallido se la pianta è coltivata all'aperto, bianco se in serra, sono portati da peduncoli ascellari solitarî od a coppia, subeguali o di poco più lunghi del picciolo fiorale, che eguagliano presso a poco in grossezza, coperti di brevi peli bianchi orizzontali e appressati, eretti da principio, poi dopo la fioritura mano mano volgentisi in basso finchè si fanno riflessi nel frutto. Fiori quasi sessili, numerosi, forniti ciascuno alla base di una brattea minuta, verde, lunga all'incirca quanto la corolla, concava ed abbracciante in parte la corolla stessa. È quasi obovata, più stretta alla base, che è tronca, più larga alla sommità, fornita di una nervatura unica, mediana, grossa, rilevata, prolungata in una punta subu- lata lunga circa metà dell'intera brattea, di color bruno; il quarto superiore di essa è fran- giato sul margine, con quattro a otto lacinie per lato, delle quali alcune maggiori, semplici o divise, fine; altri minutissimi peli sono sparsi sul resto e talora ingrossati a ghiandola all'estremità (fig. 4). Il calice minuto, campanulato, ha il margine fornito di piccoli denti ottusi, cosicchè lo si direbbe appena ondulato. (fig. 5). Corolla lunga cirea 3 mill., tubulosa fino verso la metà oi due terzi, poi divisa in quattro lobi ovali-allungati, piuttosto acuti, con seno ottuso rotondato, convessi alquanto verso l'esterno, piuttosto conniventi fra loro e lievemente cucullati all'apice, con una nervatura mediana distinta sul lato esterno in corrispondenza della quale e all’estremità del lembo si trovano dei peli fini, corti, unicellulari. Il tubo e la parte inferiore del Ann. Ist. Bor. — Vor III. 17 — 154 — lembo della corolla è di color bianco giallognolo, il resto è picchiettato, macchiato o colorato di rosso violaceo (fig. 5). Gli stami (f. 5) hanno filamenti lunghi, graciliz un po'assottigliati alla sommità, glabri, tipicamente in numero di quattro, quasi tutti di eguale lunghezza, di color lilla 0 violaceo pallido all'aperto, bianco nella serra. Le antere sono piccole e mediifisse, giallo- pallide, subsferiche nel loro insieme. Il polline è minutissimo, a granelli sferici nel secco, tetragoni o meglio con quattro bozze nell'acqua, lisci. L'ovario brevemente pedicellato è sormontato da uno stilo divitto 0 flessuoso, più breve degli stami, glabro (fig. 6). I frutti (immaturi) si trovano all'estremità superiore del peduncolo riflesso, 3-4 per capolino, piatti, brevi, compressi, quasi sessili, un po'ravvolti a spira, con mucrone stimmatico lunghetto e curvo. Constano di 2-4 articoli, con lieve restringimento in corrispondenza dell’articolazione, con un rialzo o sporgenza centrale corrispondente al seme. I margini sono forniti di lunghe spine, rigide, dirette in tutte le direzioni; la superficie porta piccoli e rari peluzzi, più numerosi sul rialzo corrispondente al seme (fig. 7,8). Osservazioni. Appartiene alla sezione eumimosae di Bentham ed alla serie pecti- natae dello stesso (!) per le pinne unijughe, le foglioline multijughe e gli aculei infra- stipolari. Delle poche specie appartenenti a questo gruppo e date dal Bentham (1. e. p. 396) nessuna concorda colla nostra, una sola le si avvicina alquanto ed è la M7m0s4 polycarpa Knth., che ha anche un'area di distribuzione geografica vasta assai. Diffe- risce però dalla nostra per avere gli aculei infrastipulari diritti, altri pochi sparsi sull’internodio, le foglioline con 20-70 gioghi, lunghe 8-5 linee, pelose d'ambo i lati ece. Nulla ho trovato anche nei lavori più recenti relativi alla flora dell'Argentina e delle regioni vicine, come in quello di Bentham nella lora braséliensis; nelle opere e nelle memorie di Grisebach, Schnyder, Niederlein e Parodi che mi fu dato di con- sultare. Anche nel recente lavoro del Micheli (?) nel quale sono registrate 70 Mimosee e molte //720s4, non ho rinvenuta alcuna specie, che possa corrispondere alla nostra. La M. Balansae per la prima volta descritta dal Micheli (1. e. p. 52, pl. 18), (che però sta tra la pudicae quantunque abbia foglie unijughe) e che parrebbe avvicinarsi alquanto alla nostra, ne differisce e per essere pianta erbacea, decombente e perchè le foglioline sono 8-10 jughe, per la diversità dei frutti ecc. (1) Bentham G. Revision of the Suborder Mimoscae. Trans. Linn. Soc. London V. XXX, p. 388. (2) Micheli M., Contridutions a la flore du Paraguay. Léqumineuses. Mém. Soc. Phys. Hist. nat. Genève, t. XXVIII, 1883, n. 7. — 135 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII. Fig. 1 — Ramo fiorito di Mimosa Spegazzinii. » 2 — Picciolo secondario e fogliolina: ingranditi. » 3 — Pelo del fusto e dei rami: ingrandito. » 4 — Due brattee ascellanti dei fiori: ingrandite. > 5 — Un fiore: ingrandito: » 6 — Ovario: ingrandito. » 7 — Peduncolo frattifero con quattro frutti immaturi: alquanto ingrandito. » 8 — Porzione superiore del frutto: ingrandita. — 136 — Sullo sviluppo del frutto del Paliurus australis (Gaert.) del prof. E. MARTEL. (Tav. XIV, XV). A maturanza, il frutto del Paliurus australis presenta osservato dall'alto la forma di una cupola depressa, i cui lati si prolungano all'intorno in ala membranosa disere- tamente estesa. Questa prima parte, che è la superiore, si connette con un'altra infe- riore avente la forma di tronco di cono rovesciato, la cui base inferiore s'inserisce su di un sostegno circolare sporgente a mo’ di cercine che a sua volta s'inserisce sul peduncolo. All’apice della cupola talora rimangono distinte tre piccole protuberanze. In sezione longitudinale il frutto maturo presenta all'osservazione alcune parti ben distinte. Al centro vi troviamo le cavità seminali tappezzate da un tessuto mec- canico a elementi fibrosi compattissimo. All'infuori di questo primo strato ne osser- viamo un altro assai più spesso del precedente a cellule sclerose su quasi tutti i punti, di piccolo diametro, fitte e che lasciano qua e là delle lacune irregolari di origine lisi- genica. A questo strato segue all'infuori una rete di fasci fibro-vascolari, della cui origine sì tratterà in appresso. Le parti di cui abbiamo parlato sinora appartengono al frutto propriamente detto, ma questo è immerso nel tessuto del ricettacolo, pure parenchimatoso con numerose lacune ed è attraversato nella sua lunghezza da numerosi fasci fibrovascolari, che provengono dal peduncolo, uscendo dal quale divergono nella massa del ricettacolo a guisa di rami maestri di una cesta. Il ricettacolo è ricoperto da una epidermide fortemente cuticularizzata. In sezione trasversale, il frutto del Pa/iurus presenta nel mezzo le tre cavità seminali separate l'una dall'altra da tramezzi parenchimatosi, che van gradatamente aumentando di spes- sore dalla periferia al centro. In ciascuno di questi tramezzi verso il limite centrale si scorge l’esistenza di un robusto fascio fibro-vascolare. Lo strato fibroso che limita la cavità è fittissimo ad elementi allungati; lo scleroso che segue si mostra come nella sezione longitudinale, e così pure il tessuto lacunare del ricettacolo in cui sì scorge una corona di grossi fasci fibro-vascolari (fig. 2, tav. XV). Seguendo il frutto nel suo sviluppo si osserva che i tramezzi, i quali a maturità compiuta si congiun- gono al centro, non si toccano punto quando l'ovario è giovane (fig. 5, tav. XIV). È solo dopo un certo tempo, che noi vediamo le cellule dell'epidermide che tap- pezza l'apice dei tramezzi rivolto verso il centro, allungarsi, farsi papillose, indi mol- tiplicarsi per segmentazione sino a toccarsi (fig. 1, tav. XIV). In questo modo si compie l'unione dei tre setti, che dividono l'una dall'altra le cavità ovariche. — 137 — È da osservarsi ancora che mentre nell’ovario stesso il tessuto, di cui i tramezzi son formati, è in perfetta continuazione con quello che limita le cavità: più tardi questo tessuto si separa da quello che forma le cavità ovariche, rimanendo sempre in contatto con esso. La causa di questa separazione è facile a capirsi, se si osserva, che mentre il tessuto dei tramezzi interloculari rimane cellulare, quello delle pareti ovariche invece col tempo e in seguito a varie segmentazioni diventa fibroso ed acquista una robu- stezza che non si trova nei tramezzi interloculari. Le figure 3 e 4 della tav. XIV, ci presentano una sezione longitudinale condotta in un bottone giovanissimo. Da questa figura si scorge che il ricettacolo del fiore costi- tuisce da sè la massima parte del bottone e su di esso reca tutti i verticilli fiorali all'infuori del gineceo appena in via di formazione. Alla superficie del ricettacolo e propriamente al centro di esso si scorgono due protuberanze di forma pressapoco conica; fra queste protuberanze spicca una cavità la quale al livello del ricettacolo si continua in una fessura da principio ristretta, ma che poi va graduatamente allargandosi a misura che s'inoltra nella massa del ricettacolo stesso. Quei due corpi che nella se- zione longitudinale han forma di protuberanza conica sono i rudimenti di una ghian- dola che verrà a circondare lo stilo, e la fessura che si sprofonda nel ricettacolo ci rappresenta la cavità ovarica incipiente. La ghiandola, di cui è parola sopra, da principio è costituita da un parenchima relativamente fitto, ma poi siccome la moltiplicazione cui vanno soggetti i suoi ele- menti non procede proporzionatamente coll'accrescimento della ghiandola stessa, acere- scimento che non si produce con la medesima intensità in tutti i sensi, ne deriva che gli elementi in alcuni punti si lacerano ed ha luogo la formazione di un tessuto lacu- noso e di facile distruzione. La cavità ovarica, quale ce la presenta la fig. 4, tav. XV, è tappezzata da una fila di cellule relativamente lunghe. Queste cellule nel punto ove la cavità ovarica sbocca nello spazio limitato dalla ghiandola conica, proliferano straordinariamente e giungono così a colmare questo spazio, salvo la sua parte centrale, ove rimane una via di comunicazione fra la cavità ovarica e l'esterno. Ulteriori osservazioni ci dimostrano (fig. 2, tav. XIV) che la proliferazione oltre al prodursi dal basso all'alto nella cavità lasciata dalla ghiandola conica, si verifica anche dall'alto al basso e lateralmente. Col protrarsi così lateralmente è chiaro che il tessuto di nuova formazione deve incontrarsi e premere contro quelli del ricettacolo, i quali da ogni parte avviluppano le cavità ovariche. La pressione è reciproca, cosicchè il tessuto di nuova formazione per la resistenza che incontra nell’inoltrarsi, si foggia a mo’ di cuneo. Mentre il tessuto scende e si espande lateralmente, gli ovoli e le cavità ovariche si accrescono e da ciò risulta una forte pressione dall'in giù al- l'in su, la quale tende a spingere il tessuto di nuova formazione al disopra del ricet- tacolo (fis. 5, tav. XV). La resistenza che oppone il tessuto del ricettacolo allo sviluppo del nuovo tes- suto discendente, ci spiega quale è la causa del ritardo considerevole che si nota nella formazione dell'ala membranosa o cappello che avvolge il frutto alla sua periferia. È infatti soltanto dopo compiuta la fecondazione che noi vediamo accennarsi la sporgenza di cui è parola sopra, e dalla quale prende origine l'ala membranosa (fig. 6, tav. XV). — 1398 — Appena il tessuto discendente, spinto all'infuori in seguito allo sviluppo delle cavità ovariche, si trova nelle condizioni da poter svolgersi in libertà, lo vediamo in un tempo relativamente ristretto acquistare delle dimensioni considerevoli in seguito alle pres- sioni laterali e verticali esercitate la prima dal tessuto discendente. la seconda dallo sviluppo delle cavità ovariche, i canali di comunicazione fra le cavità ovariche stesse e l'esterno finiscono per obliterarsi. Dal che risulta, che la parte superiore dello stimma finisce per trovarsi isolata in conseguenza della compattezza che i tessuti che si trovano al disotto di essa acquistano, e non potendo essere nutrita ulteriormente si dissecca. Coll’andare del tempo di questo stimma rimangono sole tre piccole spor- genze appena visibili, site all'apice del cappello del frutto maturo. Le pareti della cavità ovarica, come già si disse poc'anzi, sono nel principio tappezzate da una sola fila di cellule dappoichè le altre che si trovano all'infuori di questa fila appartengono senza contrasto al ricettacolo. Poco tempo dopo quest'unica fila di cellule si scinde in due parallelamente all'asse del frutto. Di queste due file la più interna in seguito ad ulteriori segmentazioni, di cui le une sono dirette in senso radiale ossia nel senso dello spessore del frutto, le altre perpendicolarmente a questa direzione, finisce col costituire un tessuto di aspetto fibroso, il quale lignificandosi acquista un alto grado di resistenza. La fila più esterna si segmenta ugualmente, ma siccome le segmentazioni procedono nelle tre direzioni dello spazio, gli elementi non assumono l'aspetto fibroso che assunsero gli elementi derivanti dalla segmentazione della prima fila. Col tempo questo tessuto esterno diventa scleroso notevolmente. Si noti sin d'ora che lo sviluppo di questo tessuto si trova limitato all'infuori da una rete di fasci fibro-vascolari; d'altronde il suo procedere all’avanti incontra un osta- colo nella resistenza che gli oppone il tessuto del ricettacolo. Poco ho da dire intorno a quest'ultimo. Dapprincipio gli elementi che lo formano sono molto appressati e la massa di esso è compatta. Presto però si formano delle lacune, che vanno sempre allargandosi e che hanno origine da un accrescimento peri- ferico troppo veloce relativamente alla moltiplicazione delle cellule. La presenza di queste lacune fa sì che il ricettacolo alla maturazione formi una massa spugnosa che poi si dissecca del tutto. La innervazione del frutto del Pa//urus è complicatissima e molto interessante. Dal peduncolo del frutto e dalla base di esso si dipartono numerosi tronchi fibro-vascolari, i quali sin da quel punto divergono per portarsi infuori e col ramificarsi successivamente formano nel loro insieme un reticolo, le cui parti servono da armatura al ricettacolo e lo limitano alla periferia (fig. 1 4, tav. XV). Nella sezione trasversale questi fascì si presentano come tante isolette circolari disposte su di una circonferenza (fig. 2 tav. XV). Le estremità superiori di questi fasci, come anche quelle delle loro ramificazioni, s'inerociano coi fasci, che derivano dal centro. Ancora dal peduncolo si dipartono altri fasci di minor potenza i quali giunti alla base del frutto, divergendo al pari dei precedenti, e ramificandosi a loro volta ven- sono a formare una rete concentrica alla prima che, come già si disse sopra, limita all'infuori il tessuto cellulare, che poggia immediatamente sulle pareti delle loggie ovariche (fig. 1 %, tav. XV). Le ramificazioni di questa rete secondaria giunte alla parte superiore del frutto, s'incurvano e si dirigono all'infuori suddividendosi — 139 — assai regolarmente a guisa di dicotomia. Questa impalcatura fibro-vascolare fa da volta destinata a sorreggere tutto quanto le sta sopra, cioè il tessuto della ghiandola conica e dello stilo (fig. 1, tav. XV). Dai fasci periferici alle loggie ovariche, come anche dai fasci della rete esterna si dipartono ramificazioni, che s'inerociano le une colle altre nello spessore del frutto. Da ciò facilmente si scorge quale curioso intreccio deve presentare il ricettacolo quando sia del tutto spogliato del parenchima che colma i vuoti. Dal peduncolo finalmente hanno origine tre fasci di media grossezza i quali diri- gendosi verticalmente si trovano collocati ciascuno in uno dei tramezzi che separano le cavità ovariche. Giunti nella parte superiore di questa i fasci in parola, al pari di quelli che appartengono alla rete interna s'ineurvano all'infuori e come questi si ramificano per recarsi alla periferia. Da questi stessi fasci hanno origine varî rami che si recano nello stilo (tav. XV, fig. 1 e fig. 30). Riassumendo diremo che nello sviluppo del frutto del Pa/;urws si possono distin- guere due periodi bastantemente bene definiti. Nel primo, che è anteriore all'atto della fecondazione, l’intero organo è costituito dal ricettacolo e dalle sue dipendenze. Nel secondo periodo lo sviluppo del ricettacolo si rallenta e ad esso si sostituisce quello di una parte sino allora nulla cioè del cappello. I progressi compiuti da questa parte del frutto, nei primordî lentissimi, diventano poi rapidi tosto che la fecondazione è compiuta e vediamo il cappello sin da quel momento stendersi tanto da coprire non solo ma da oltrepassare notevolmente il diametro del ricettacolo. Curiosa sembra a noi l'origine di questo cappello dal tessuto che limita nella parte superiore le cavità ovariche. — 140 — - SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XIV. Fig. 1. Sezione trasversale dei setti ovarici, parte inferiore, stadio giovanissimo: @, unione dei 3 setti; 4, cordoni procambiali dei setti — */s Hartnack. Fig, 2. Sezione longit. della ghiandola sovrastante: p, cellule in proliferazione del tessuto che formerà il cappello — */ Hart. Fig. 3. Come nella fig. precedente; taglio in ovario più giovane: 4, ghiandola; 0, cavità ova- rica; », ricettacolo fiorale — */s Hart. Fig. 4. Come nelle due figure precedenti; ovario giovanissimo: 4, ghiandola; », ricettacolo — ? Hartnack. Fig. 5. Sezione trasversale della cavità ovarica e del ricettacolo: d, fasci procambiali dei setti; o, cavità ovarica; c, fasci procambiali del ricettacolo; /, lacune del ricettacolo. Tav. XV. Fig. 1. Sezione longitudinale condotta nel frutto per mostrare il decorso dei fasci fibro-vasco- lari — ?/ Hart. Fig. 2. Sezione trasversale per mostrare la disposizione dei grossi tronchi fibro-vascolari alla periferia — */s Hart. Fig. 3. Sezione trasversale condotta nel tessuto sovrastante alla cavità ovarica —?/ Hart. Fig. 4. Sezione longitudinale condotta nella ghiandola sovrastante all’ovario in modo da in- dicare la proliferazione del tessuto destinato a formare il cappello: 4, ghiandola; p, cellula in pro- liferazione dell'interno del canale formato dalle ghiandole — ?/, Hart. Fig. 5. Come la precedente, ma più sviluppata. Mostra la proliferazione che si compie al di- sotto della ghiandola per la formazione del cappello: 4, ghiandola; pe, cellule proliferanti. Fig. 6. La parte che ha prolificato è già sollevata al: disopra della protuberanza laterale: a, ghiandola; pc, cappello sollevato al disopra dei tessuti vicini — */. Hart. Pig. 6 lett. 4, ghiandola; pc, il cappello è sollevato al disopra dei tessuti vicini. — dl — Ricerche anatomo-istologiche sul fusto e sulla radice dell'Atraphaxis spinosa L. del dott. G. AVETTA. (Tav. XVI). Studiando ultimamente la struttura anomala di alcune radici di piante Dicoti- ledoni, mi venne fatto di osservare anche nel fusto di due poligonacee esotiche, certe particolarità di struttura che attirarono la mia attenzione. Le piante in questione sono l'Afrapharis spinosa L. e V'Antigonon leptopus Hook. ed avendone io ripreso lo studio, anche della radice, con qualche maggior dettaglio, espongo in questa breve nota i risultati delle mie ricerche sulla prima di esse, cioè sull'A/rapharis. Premetto che non vennero a mia conoscenza antecedenti lavori anatomici su questa pianta, nè tampoco sulla anatomia in generale delle poligonacee. Qualche autore segnalò bensì la.struttura anomala di certi rabarbari. Sanio (!) descrisse pel primo il fusto anormale del Rumex crispus, in cui si formerebbero dei fasci secondarî ad orientazione rovesciata di fronte al legno primario dei fasci nor- mali. Regnault (?) disse una sola parola sulla struttura del fusto di certi Po/ygonum rassomigliandola a quella delle piante monocotiledoni. Qualche cosa di simile all’anomalia del Rumex trovarono Sechmitz e Dutailly (3) nel fusto di Rhewm. De-Bary (4) e Van Thieghem (?) non fanno che ricordare l'anomalia indicata da Sanio pel Rumex crispus, accennando al bisogno di nuove ricerche a questo riguardo. Nessuno dei citati autori estese le osservazioni ad altri generi della stessa fami- glia, come sarebbe stato pur naturale per vedere se presentassero o no struttura anomala. Ultimamente Hérail (°) descrivendo con maggiori dettagli la struttura anomala (1) Sanio, Einige Bemerkungen in Betreff meiner diber Geftissbindelbildung gelusserten An- sichten. Bot. Zeit., 1865, p. 179. (2) Regnault, Recherches sur les affinitées de structure des tiges des plantes du groupe des Cyclospermées. Ann. des Sc. nat. Bot. 4° ser., t. X1V, p. 133. (3) Schmitz, Sitzungsberichte der naturf. gesellschaft su Halle,1874; secondo la citazione di Herail (9). — Dutailly, Sur quelques phénomènes déterminés par Vapparition tardive d’éléments nouveaua dans les tiges et les racînes des Dicotylédones. Bordeaux, 1879, p. 70. (4) De Bary, Vergleich. Anat. 1877, p. 598. (>) Van Tieghem, 7raité de Botanique. 1884, p. 797. (6) Hérail J. Recherches sur l'anatomie compare de la tige des dicotylédones. Ann. se. nat. Bot., ser. 7°, t. II, p. 283. Ann. Ist, Bor. — Vou II, 18 — 142 — del fusto del Rumez crispus, che ritrovò pure in molte altre specie dello stesso genere e nel Rheum Ribes, dice di non aver trovato nessuna traccia di anomalia negli altri generi di poligonacee da lui esaminati, che sono: alefine specie di Polygonum, Ozyria elatior, Ampeligonum chinense, Fagopyrum cymosum, Brunnichia cirrhosa, Muhlen- beckia complera. Rapice. — L'Atrapharis spinosa è un arbusto ramosissimo, dai rami lunghi e gracili ma rigidi, con rametti spesso terminanti in spine. Insieme a poche altre specie dello stesso genere, non ancora ben distinte l'una dall'altra, vive quasi esclusiva- mente nell'Asia media ed occidentale. Il sistema radicale di questa pianta, assai ridotto, consiste in poche radici, non molte grosse ma durissime, che si dipartono dalla base del tronco, ingrossato a mo' di ceppo e sì dirigono obliquamente nel terreno ove non raggiungono una grande pro- fondità. Le radici laterali sono scarse e sottilissime e presentano tutte quante una corteccia bruna e friabile che si distacca colla massima facilità. La prima cosa che colpisce l'occhio di chi le esamini anche superficialmente, è la loro forma irregolarmente prismatica, visibile talora distintamente anche in radici di un diametro non superiore ai 2 0 3 mm. Le radici laterali della pianta adulta, poichè non ebbi occasione di esaminare la radice primaria non avendo a mia disposizione piantine nate da seme, devono presen- tare la struttura primaria schietta per brevissimo tratto, poichè anche nelle più sot- tili di esse ho sempro trovato i prodotti dell'attività generatrice del cambio e del periciclo. È certo però che la struttura primaria di esse è del tutto normale e solo più tardi la struttura successiva si viene complicando, in seguito ad un particolar modo di comportarsi della zona cambiale. Intanto legno e corteccia secondaria presentano una caratteristica compattezza e, nonostante la loro precocità, un lentissimo sviluppo, per cui le radici stesse crescono pochissimo in diametro. Il legno secondario si addossa talmente ai quattro raggi vascolari primarî, che forma ben presto con essi una massa compatta assile, in cui questi raggi non sono più distinguibili affatto. Questo legno secondario è composto in prevalenza da cellule libriformi, piuttosto corte, a parete robustissima, ad estremità semplice o biforcata, ma sempre solidamente unite tra di loro. Sono esse che danno al legno di questa pianta la caratteristica compattezza cui ho accennato (Tav. XVI, fig. 5). Sparse con una certa parsimonia entro a questa massa di libriforme si vengono formando delle trachee a lume piut- tosto piccolo, a parete areolata, in cui le areolature sono due piccole ellissi inseritte l'una nell'altra. Scarsissimo il parenchima legnoso attorno alle trachee. Benchè non ci sia traccia di midollo, questa massa legnosa è percorsa tratto tratto da sottilis- simi raggi parenchimatosi, detti per analogia con quelli del fusto midollari. Per un certo periodo di tempo la formazione del legno secondario per opera del cambio è regolare, cioè avviene con uguale intensità in tutti i punti della zona gene- ratrice stessa. Ma quando la radice ha raggiunto un diametro di circa due millimetri, per il che non occorrono certamente meno di due periodi di vegetazione, la forma- zione degli elementi legnosi non si mantiene più uniforme tutt'all’ingiro, ma diventa — 143 — maggiore in certi punti che non in altri. Questi punti di maggiore incremento legnoso non hanno una disposizione regolare, come non sono in numero costante. Nelle radici della pianta da me studiata sono però preferibilmente in mumero di tre, quasi tra loro equidistanti. cosicchè in seguito al maggiore sviluppo preso in questi punti dalla massa legnosa, si vengono a formare tre grosse costole che danno alla radice la forma a un dipresso di prisma a tre lati. Le costole sono in generale larghe alla loro base dove confluiscono colla massa cilindrica del legno e diminuiscono gradatamente verso l'esterno. Ciò non impedisce che qualche volta una di queste costole si presenti come sepa- rata dal rimanente del legno, cui aderisce soltanto in un punto, per un istmo più o meno ristretto. Nella corteccia due cose colpiscono di più l'occhio di chi la osserva : la grande regolarità con cui si succede la formazione di numerosi peridermi concentrici, e la quantità di ossalato calcico, che sotto forma di aggregato cristallino ne rimpinza quasi tutte le cellule del parenchima. Il primo periderma è di formazione precocissima, al punto che esso è giù comple- tamente formato nelle giovani radici di diametro non superiore a !/; di mm., le quali lasciano scorgere ancora quanto agli altri tessuti, la struttura primaria. Questo primo periderma suppongo che si formi, come nella maggioranza delle radici, a spese del pericielo, ma dichiaro di non averne visto lo sviluppo non avendo potuto trovare una radice tanto piccola in cui non fosse già completamente formato. I peridermi successivi si organizzano concentricamente e press'a poco a ugual distanza l'uno dall'altro, nella corteccia secondaria (Tav. XVI, fig. 1 per), talora a tanta profondità da giungere in qualche punto a lambire la zona cambiale. Le zone di corteccia cui resta così precluso l'accesso degli alimenti, muoiono ma restano unite per qualche tempo l'una all'altra, cosicchè nella sezione è facilissimo l’averne 3 0 4 sovrapposte coi relativi straterelli sugherosi intercalati. La facilità con cui perdurano queste zone di tessuto morto aderenti l’una all'altra, è forse da ascriversi al grande numero di macle di ossalato calcico che rimangono come impaniate nel prodotto della degenerazione delle pareti cellulari (Tav. XVI, fig. 1). Questa ganga di color castagno, dovuta alla degenerazione degli elementi cribrosi in special modo, dà leggermente la reazione del tannino coi sali di ferro. Ho accennato alla grande quantità di ossalato calcico che contribuisce a dar consistenza alla corteccia. Esso si presenta sotto forma di tanti minuti prismetti aggregati dentro ciascuna cellula in una massa unica allungata in direzione verticale, cui si può dare benissimo il nome di macla cristallina benchè s'allontani un po’ dal tipo di queste (Tav. XVI, fig. 1, 2,3 pe). Qualunque sia l’età della radice che si considera, sono ben poche le cellule del parenchima corticale che ne sono sprovviste, ed esse danno un valido aiuto al sistema meccanico della radice formando come delle spranghe interposte tra una porzione ceri- brosa e l’altra e coniluenti in una fascia che limita esternamente le cellule meccaniche delle regioni cribrose stesse (Tav. XVI, fig. 1 pe). Invero il tessuto cribroso della corteccia secondaria, piuttosto abbondante, forma dei cordoni equidistanti, molto sviluppati in direzione radiale (Tav. XVI, fig. 1 er) — 144 — che decorrono sinuosi anastomizzandosi a reticolo regolare, protetti ciascuno al suo dorso da un cordoncino di fibre liberiane che vi è intimamente accollato (Tav. XVI, A CSA, GIL Le maglie e lo spazio che rimane tra i cordorî di fibre e l'ultimo periderma formatosi sono occupati da parenchima cristalloforo ad eccezione delle cellule dei raggi midollari che non ne presentano mai contenendo invece amido (Tav. XVI, fig. 2, 3). I cordoni cribrosi sono fatti esclusivamente da tubi cribrosi corti, coi eribri sulle sole pareti trasversali e senza cellule annesse, per quanto ho potuto vedere. I cor- doni di cellule liberiane sono sempre ed esclusivamente di origine cambiale. Anche le prime cellule liberiane che si formano nella corteccia primaria appaiono sempre limitate esternamente da qualche elemento eribroso. Alla formazione di ciascun periderma e conseguente morte dei tessuti che esso isola fuori di sè, segue pure la nuova formazione di corteccia, identica in tutto e per tutto a quella che muore. In una sola radice trovai una struttura anomala diversa da quella che ho ora descritta, in condizioni tali che non saprei davvero a che cosa attribuirla. Infatti una radice laterale del diametro di poco più di 1 mm. appariva esternamente un po’ ri- gonfiata per un tratto di circa 1 cm. di lunghezza. Al di sopra e al disotto del rigon- fiamento. la radice suddetta presentava l’accennata anomalia dovuta alla zona cam- biale, senza nessuna diversità dalle altre radici. Nel tratto in cui essa appariva ri- gonfiata la struttura non era più quella, ma diversa. Le differenze sono sostanzialmente due, cioè: la zona cambiale totalmente esau- rita per lignificazione delle membrane delle sue cellule ; la presenza di fasci vasco- lari in cerchia nel parenchima proveniente dall'attività generatrice del periciclo. Le cellule della zona cambiale, in tre o quattro strati, hanno conservato l'aspetto e le dimensioni delle ordinarie cellule cambiformi, soltanto le loro pareti, del resto molto sottili, sono perfettamente lignificate. Nella sezione trasversale questa zona ha l'aspetto di una zona sugherosa e spicca distintamente dal cilindro legnoso che circonda, perchè gli elementi di questo sono in prevalenza libriforme, cioè cellule piccole a lume ridottissimo e parete molto inspessita. I cordoni fibro-vascolari nel parenchima del periciclo sono di dimensioni diverse ma perfettamente collaterali e identici per la struttura ai fasci fibro-vascolari normali. Non credo che si debba attribuire grande importanza a questo caso particolare di struttura che mi si offtà una sola volta fra le numerose radici che passai in esame. E se anche sotto l'influenza di cause, a me ignote, potesse presentarsi più spesso, non modifica però il tipo generale di anomalia di questa radice, da me descritto. Fusto. — Tranne le differenze inerenti alla diversa natura dell'organo, il tipo di struttura del fusto è uguale a quello della radice, anche per quel che riguarda l'anomalia. Come ho detto dianzi questo arbusto presenta un tronco tutto angoloso, ramoso fin dalla base, con moltissimi e intricatissimi rami sparpagliati e terminanti spesso in punta aguzza, spinosa. I piccoli germogli che vengono fuori col riprendere della vegetazione danno ori- gine ad esili rametti che presentano la seguente struttura. Sotto l'epidermide semplice e senza traccia di peli, seguono tre o quattro strati — 145 — di cellule parenchimatiche tondeggianti, prive di clorofilla, per cui questi rametti da giovani hanno un colore biancastro che contrasta vivamente col verde intenso delle foglioline. L'endodermide non è molto discernibile specialmente nella sezione trasver- sale. Essa è fatta da una serie ondulata di cellule cilindriche a lume un tantino più grande che le cellule circostanti. Il periciclo ha limiti poco definiti. Ad ogni modo esso, allo stato primario, non può essere rappresentato da più di due o tre serie di cellule poichè subito dopo se- guono i fasci conduttori. In numero di 9, equidistanti, essi lasciano tra loro dei larghi spazi occupati dal parenchima dei raggi midollari primarî che mettono in comunicazione il pericielo col piccolo midollo, limitato dalla cerchia dei fasci. Adroma e leptoma non presen- tano nulla di particolare nella struttura. L'adroma è fatto da poche trachee esilissime, a spirale semplice, che formano nel loro complesso un cordoncino largamente cuneato. Il leptoma molto scarso è fatto da cordoncini di vasi cribrosi a lume piccolissimo in cui, al pari della radice, non ho trovato cellule annesse. Nel parenchima della corteccia sono già abbondanti le macle cristalline d'ossalato calcico come quelle della radice. Stabilitasi la zona cambiale ed entrata in funzione, prima ancora che siano ben visibili i prodotti della sua attività, si scorse che avvengono delle modificazioni nel midollo e nel periciclo, allo scopo di provvedere alla robustezza del fusto. Le cellule del midollo, allungate e strette tanto più quanto più sono vicine alla cerchia vascolare, inspessiscono e lignificano rapidamente la loro parete, che presenta anche delle grosse punteggiature incrociate, in modo da prendere tutto l'aspetto del parenchima legnoso (Tav. XVI, tig. 6, 72). Contemporaneamente nel periciclo, alcuni gruppi di poche cellule che stanno sulle linee radiali dei fasci, al dorso dei gruppi cribrosi, ma non in contatto immediato con essi, si allungano, si inspessiscono e si definiscono in fibre liberiane. Tutto ciò ha luogo a breve distanza dall’apice a un centimetro o due al più, per modo che il ramo benchè sottilissimo, del diametro non superiore al mezzo milli- metro, acquista prestissimo una certa rigidità caratteristica. Poi per un tratto considerevole in lunghezza non troviamo altre modificazioni importanti. Procede con lentezza la formazione di corteccia e di legno secondario; scompaiono quasi tocalmente i raggi midollari primarî, per lignificazione progressiva dei loro elementi, si forma ancora qualche fibra liberiana che si aggiunge alle altre poche di ciascun gruppo meccanico, ma ben presto la cosa cambia d'aspetto colla comparsa di un periderma profondo. Invero nel periciclo, uno straterello di cellule compreso tra i cordoni meccanici e i gruppi cribrosi, entra in attiva divisione tangenziale e forma un meristema fel- logenico, che dà origine a pochi strati di cellule suberificate. Colla caduta di questa prima zona di corteccia scompare ogni traccia di fibre liberiane, poichè a differenza di quanto ho detto avvenire nella radice, qui nella corteccia secondaria del fusto esse non si riformano più, almeno per ora. Più tardi le ritroveremo ancora. Il legno secondario molto compatto ed uniforme ancora più che nella radice, è costituito in grande prevalenza da cellule libriformi, che formano come la ganga in — 146 — cui sono disseminati dei gruppi di vasi a pareti areolate come quelli della radice (Tav. XVI, fig. 4, 22, v). Solo di tratto in tratto qualche gruppo di questi vasi è accom- pagnato da una piccola quantità di parenchima legnoso che li circonda. I raggi midol- lari secondarî esilissimi sono formati appena di due © tre file di cellule sovrapposte, contenenti amido (Tav. XVI, fig. 6, 7). Questo legno secondario, come pure quello della radice quando sono perfettamente formati, si colorano in rosso colla sola azione degli acidi (solforico, cloridrico) a freddo, il che dimostra in esso la presenza di una certa quantità di floroglucina o coniferina. La corteccia secondaria, astrazion fatta delle fibre liberiane, è identica nella struttura a quella radicale. Numerosi cordoni cribrosi equidistanti, separati tra di loro da altrettanti raggi di parenchima cristalloforo, decorrono sinuosamente a for- mare un reticolo cavo, molto regolare. I vasi eribrosi che li compongono sono corti e piccoli come quelli radicali, e senza cellule annesse. Prima che si produca nell’accrescimento alcuna traccia di ano- malia, possono formarsi nella corteccia secondaria più di un periderma che ne fanno cadere la parete più esterna, lasciandole sempre la stessa struttura. Poi, dopo un certo tempo, in generale, credo, al terzo periodo di vegetazione, la produzione di legno secondario per parte del cambio non si fa più uniformemente in tutti i punti di questo, ma in alcuni punti più, in altri meno. Ecco incominciata l’anormale struttura come per la radice. Ci sono però delle differenze di dettaglio a questo riguardo tra fusto e radice, che conviene ricordare. i Intanto i punti di massimo accrescimento legnoso sono nel fusto molto più nu- merosi, cosicchè si formano numerose costole che percorrono la superficie del fusto stesso più o meno sinuosamente. Queste costole legnose, fatte del resto dagli stessi elementi xilematici dello xilema normale, o sono uguali in larghezza tanto alla base che all'apice, ovvero più spesso si vengono gradatamente allargando man mano che crescono. Inoltre presentano un più regolare succedersi di strati a parenchima legnoso e trachee, e di strati di libriforme (Tav. XVI, fig. 4. 7). Nè qui si arrestano le loro note distintive da quelle della radice, poichè mentre in quella erano solidamente unite in continuità col cilindro legnoso normale, in modo da fare un sol tutto nè potersene facilmente staccare, nel fusto invece sono facilmente asportabili, pel fatto che alla loro base come pure a livelli diversi della loro altezza sono solcate da straterelli concentrici non lignificati che permettono il distacco. Colla formazione di queste costole xilematiche, ricompaiono nella corteccia i gruppi meccanici di fibre liberiane, meno frequenti e meno regolarmente distribuiti che nella radice. Concludendo: La radice ed il fusto di Atraphaxis spinosa hanno struttura pri- maria normale. Invece la loro struttura secondaria è complicata da un modo anormale di fun- zionare della zona cambiale, comnne ad entrambi, che consiste nella produzione mag- giore di xilema in punti indeterminati, la quale dà luogo alla formazione di costole legnose evidenti anche sulla superficie esterna dei due organi. A questo riguardo radice e fusto presentano pochissima differenza. Quella ha — 147 — costole poco numerose, che si impiantano con larga base sul cilindro legnoso normale col quale formano un tutto indissolubile e vengono man mano assottigliandosi. Il fusto ha costole in numero maggiore; larghe all'apice tanto quanto alla base ed anche più, interrotte tratto tratto da straterelli di parenchima non lignificato, che ne favorisce il distacco. Gli elementi istologici che compongono legno e corteccia sia nella radice che nel fusto sono gli ordinarî elementi istologici di questi tessuti, con prevalenza palese degli elementi più robusti, quali sarebbero il libriforme e le fibre liberiane, che danno a questi organi una compattezza e solidità grandi. Rimarchevoli sono pure, in ambo gli organi, per la loro frequenza, certi aggre- gati cristallini o macle di ossalato calcico che occupano quasi tutte le cellule del parenchima corticale ed i peridermi regolarissimi che si producono a profondità sempre maggiori nella corteccia secondaria, in modo da rivestire questi organi di vera e propria scorza. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVI. Fig. 1. Porzione di taglio trasversale in una radice adulta. per. peridermi, li. cordoni di cellule libe- riane, cr. cordoni cribrosi, pr. parenchima cristalloforo, c. zona cambiale, /. legno. » 2. Porzione di taglio tangenziale nella corteccia di una radice adulta. li. cellule liberiane, pax. parenchima cristalloforo, r. raggi midollari. » 5. Porzione di taglio tangenziale nella corteccia della stessa radice, ma in un piano imme- diatamente sottostante al precedente. cr. tubi cribrosi in cordoni intrecciantisi a reticolo, pax. parenchima ceristalloforo nelle maglie lasciate dai detti cordoni, pr, parenchima liberato artificialmente dalle macle cristalline, r. raggi midollari. » 4. Porzione di taglio trasversale in un ramo adulto di 1 cm. di diametro. p/. parenchima legnoso, v. vasi areolati, /2. libriforme, sc. scorza contenente i cordoni di cellule liberiane li e macle cristalline. . Porzione di taglio radiale nel legno secondario del fusto. v. vasi punteggiati, /d. libriforme. » 6. Porzione di taglio radiale in un giovane ramo. m. cellule midollari lignificate, v. vasi spi- rale e rigato, v1 vaso areolato, 74. libriforme, ». raggio midollare. Dì — 148 — Contribuzione all'anatomia ed istologia della radice e del fusto dell''Antigonon leptopus Hook pel dott. CARLO AVETTA (Tav. XVII e XVIII) Avendo studiata questa pianta contemporaneamente all'Araphazis (!), non ho nulla da aggiungere a quanto dissi in proposito di quella sulla bibliografia dell'argomento, poichè non è comparso, che io mi sappia, alcun nuovo lavoro sulla anatomia ed istologia delle Poligonacee (?). Il genere Antigono, della tribù delle Coccolobee o Brunnichiee, comprende appena tre o quattro specie, difticilissime da distinguere l'una dall'altra, indigene del Messico e dell'America centrale, e coltivate nelle regioni calde per or- namento. Sono frutici altamente scandenti, dai rami angolosi, con foglie alterne, pic- ciolate, cordate, integerrime e con fiori in eleganti racemi opposti alle foglie e ter- minanti in cirri. Hanno radici abbondantemente ramificate, di due sorta: le une sot- tili, cilindriche o leggermente angolose per tutta la loro lunghezza, le altre ingros- sate per certi tratti in tubercoli carnosi, di forma tra la cilindrica e la sferica, della grossezza delle ordinarie patate. RADICE. La maggior quantità di materiale per lo studio delle radici di questa pianta me lo porsero alcuni individui nati da seme e collocati il secondo anno in piena terra. Lo sviluppo tanto dei fusti come delle radici ne fu abbondantissimo. Esaminai pure le radici della pianta madre, da cui provenivano le altre, la quale presenta invece un sistema di radici ridottissimo, e i risultati sommarî delle mie os- servazioni su di queste, consegnai già in un mio studio sulla struttura anormale delle radici delle Dicotiledoni (8). Ora essendoci delle differenze tra la struttura delle prime e quella delle seconde, nè per la scarsità di queste ultime avendo io potuto estendere le mie osservazioni (1) Avetta C., Ricerche anatomo-istologiche sulla radice e sul fusto dellAtraphawis spi nosa L. Ann. Ist. Bot. di Roma, III, p. 141, tav. XVI. (2) In questi ultimi giorni è comparso sul Botaniska Notiser 1888, hf. 3, p. 118, un breve studio anatomico comparativo del sig. A. Y. Grevillius, Sul. fusto di alcune forme di Polygonum aviculare; esso però nulla contiene che riguardi davvicino 1’ argomento da me trattato. (3) Avetta C., Contribuzione allo studio delle anomalie di struttura nelle radici delle Dico- tiledoni. Ann. Ist. Bot. di Roma, III, p. 103, tav. IX. — 149 — su di esse, mi rimane il dubbio se esistano realmente due tipi di struttura radicale nell’An/igonon, cioè se le radici che hanno origine da una pianta adulta siano diverse da quelle che hanno origine da una pianta giovane. In ogni modo io descriverò an- zitutto la struttura generale, quale l'ho osservata nelle piante da seme, ricordando poi quella un po' diversa della pianta madre. La struttura primaria, sia della radice principale, sia delle radici laterali, non si allontana per niente dalla struttura normale delle radici delle Dicotiledoni. Epi- dermide, strati corticali di parenchima a cellule tondeggianti, endodermide chiaris- sima coi tipici ripiegamenti sulle pareti radiali, periciclo semplice, cordone vascolare a 4 raggi (Tav. XVIII, fig. 2). I primi segni di attività li dà il pericielo, nel quale incominciano prestissimo le divisioni tangenziali delle sue cellule regolarmente tutto all’iugiro (Tav. XVIH, fig. 2, per.). «La segmentazione continua specialmente nella parte periferica di questo tessuto, dove si organizza ben presto un meristema fellogenico che ricopre la radice di uno straterello di sughero. Contemporaneamente si forma ed entra in funzione la zona generatrice cambiale. Essa continua a funzionare regolarmente per tutto il primo anno di vegetazione e produce legno secondario e corteccia secondaria che hanno la seguente disposizione e struttura. Il legno secondario circonda completamente il cordone vascolare primario, i cui 4 raggi possono rimanere uniti al centro della radice o essere alquanto lontani l’uno dall'altro lasciando tra di loro una piccola quantità di parenchima non lignificato (Tav. XVIIT, fig. 3), come un piccolo midollo. Quasi sempre però la produzione di legno secondario è maggiore negli interraggi del cordone vascolare primario, di modo che il cilindro legnoso assile della radice ha super- ficie ondulata. Raggi midollari più o meno scarsi dividono in minore o maggior grado questo cilindro in tanti spicchi. Gli elementi costitutivi del legno secondario sono in prevalenza il parenchima legnoso e i vasi, meno abbondante il libriforme. Le cellule del parenchima legnoso (Tav. XVIII, fig. 6) colla parete a punteg- giature semplici elissoidali, hanno una forma intermedia tra le tipiche cellule pa- renchimatiche e le tracheidi, in quantochè all'una o ad entrambe le estremità ter- minano bruscamente ed irregolarmente in punta. Le fibre del libriforme (Tav. XVIII, fig. 7) hanno la forma tipica di questo tessuto. Sono però piuttosto brevi, non concamerate, e terminano in punta semplice. I vasi, grandi, ma schiacciati dal reciproco contatto in quantochè sono quasi sempre aggruppati a 3 0 4 o più assieme, hanno le punteggiature semplici come quelle del parenchima legnoso da cui sono circondati. La corteccia è formata dai gruppi cribrosi e dal parenchima corticale interposto, più dal parenchima del periciclo, che ne forma col sughero il limite esterno. I gruppi cribrosi al dorso di ciascuno spicchio del cilindro legnoso centrale; sono fatti in prevalenza da piccoli tubi cribrosi, accompagnati da cellule annesse ben visi- bili specialmente nelle porzioni cribrose primarie. Il parenchima interposto ai gruppi cribrosi è formato da cellule piuttosto allungate Anx. Ist. Bor. — Vor II. 19 — 150 — secondo l'asse della radice, contenenti una gran quantità di prismi a base rombica è di macle di ossalato calcico. Manca un sistema meccanico specifico dei gruppi ceribrosi. Questa la struttura regolarissima, alla fine del primo anno. Col riprendere della vegetazione mentre continua a funzionare la zona cambiale normale, ha luogo contemporaneamente la formazione di muovi cordoni fibrovascolari nel parenchima proveniente dalle segmentazioni del periciclo. Questi cordoni in numero variabile, qualche volta incominciano coll'essere 4, secondo il tipo tetrarco della radice, poi per ramificazione diventano molti, disposti grossolanamente in cerchia, più vicina alla periferia che alle formazioni normali. I singoli cordoni non hanno tutti uguali dimensioni, nè contorno regolare (tav. XVIII, tig. 4, fa.). Hanno struttura collaterale con evidente predominio delle formazioni legnose. La porzione legnosa e cribrosa sono formate dagli stessi elementi del legno e della corteccia secondaria. Tuttavia si distingue la prima per esser fatta quasi esclusiva- mente di cellule libriformi. La scarsità e in taluni casi Ja mancanza assoluta di vasi e di parenchima legnoso danno a questi cordoni fibrovascolari tutto l'aspetto di cordoni puramente meccanici, tanto più che la porzione cribrosa è ridottissima. Quando questi cordoni hanno raggiunto un certo sviluppo e cessano di crescere, all'esterno di essi negli strati del parenchima del periciclo che si sono intanto mol- tiplicati (Tav. XVIII, fig. 5), ne compaiono dei nuovi, identici per disposizione e strut- tura ai precedenti, ma che rimangono in generale più piccoli. Così si formano parecchie zone di questi cordoni fibrovasali, che col successivo per quanto scarso accrescimento del parenchima in cui sono immersi, si scostano l'uno dall'altro e perdono la primitiva disposizione a cerchia. Il sughero cresce pochissimo, nè vi ha formazione di alcun periderma nella eor- teccia secondaria. La tuberizzazione delle radici può avvenire in modi diversi. O tutta la radice, compreso il suo apice, sì ingrossano e si tuberizzano, ovvero, ciò che accade più spesso, alcuni tratti della radice si ingrossano, mentre altri rimangono sottili. Allora accade ordinariamente che uno di questi ingrossamenti prende il sopravvento e rag- giunge quelle dimensioni e quella forma cui ho accennato sin da principio e che sono rappresentate dalla fig. 8 della tav. XVIIL La struttura interna corrisponde a quella delle altre radici, solamente il paren- chima della corteccia e del periciclo prendono un grande sviluppo in confronto di quello che raggiungono i cordoni fibrovascolari, sia normali, sia pericieliei. Questi invero sono scarsi di numero e poveri di elementi, molto lontani l'uno dall'altro, per cui perdono la disposizione a cerchia tranne che alla periferia del tubero dove, dovendo compiere evidentemente una funzione essenzialmente di sostegno, si trova a poca distanza dal sughero un anello robusto formato da un gran numero di questi cordoni ridotti quasi affatto alla loro porzione meceanica. Le cellule del parenchima sono ripiene di minuti granelli d’amido. Le radici della pianta madre differiscono nella struttura da quelle che ho pre- — Il — cedentemente descritto, perchè formatasi una prima cerchia di cordoni fibrovascolari periciclici immediatamente al di sotto della zona sugherosa, quelli che si formano in seguito hanno origine all'interno dei precedenti, cioè nel parenchima del periciclo che sta tra essi e i fasci normali. Sarebbero quindi di formazione centripeta anzichè centrifuga, e costituirebbero una eccezione al caso generale che sarebbe interessante il poter ritrovare in altre radici di questa o di altre piante. Astrazion fatta da questo particolare modo di accrescersi sono identiche per strut- tura alle radici delle piante figlie. FusTo. Anche il fusto di questa pianta è anomalo; di una anomalia che a prima vista, esaminando un fusto adulto, può parere molto complicata (Tav. XVII, fig, 5), ma che rientra invece nella categoria più comune di anomalie del fusto, come vedremo seguen- done lo sviluppo. Premetto che nella struttura caulinare non trovai differenza di sorta tra la pianta, madre e le piante nate dai semi di essa. I giovani rami che hanno uno sviluppo in lunghezza rapidissimo ed enormemente superiore a quello in grossezza, sono da principio nettamente prismatici con 5 spigoli ottusi e 5 faccie piane leggermente avvallate nel mezzo. Sono quasi glabri. L'intima struttura corrisponde naturalmente alla forma esterna. I fasci condut- tori, in numero di 10, sono disposti, allorchè si formano, in due cerchie concentriche di 5 ciascuna, simmetricamente equidistanti, in modo che i 5 esterni corrispondono ciascuno ad uno spigolo ed i 5 interni ad un avvallamento della superficie del fusto. Lo sviluppo di questi 10 cordoni è simultaneo, cosicchè almeno in principio sono di uguale grossezza. Gli altri tessuti hanno una disposizione analoga a quella dei fasci che delimi- tano, cioè l'epidermide, la corteccia, l’endodermide e il periciclo sono altrettante zone regolarmente ondulate all'esterno dei fasci; il midollo appare come una massa stel- lata a 5 rami in causa della disposizione dei fasci. La struttura primaria del fusto è la seguente : L'epidermide, semplice, quasi omogenea cioè con pochissimi peli brevi, semplici, papilliformi è formata di cellule parallelopipede strette ed allungate, col diametro radiale maggiore del trasversale (Tav. XVII, fig. 7, e.). La corteccia primaria è rappresentata da 3 0 4 strati di cellule cilindriche pro- senchimatose, che lasciano tra di loro dei piccoli meati e sono le iniziali di una robusta zona di collenchima che si differenzierà in appresso (Tav. XVII, fig. 7, pr.). La endodermide che limita la corteccia dal suo lato interno, è spiccatissima sia per la forma delle sue cellule che pel loro contenuto. Di forma tra la cilindrica e la pri- smatica, grandi, col diametro radiale maggiore del trasversale e le pareti uniforme- mente inspessite e di colore brunastro, le celluie dell'endodermide contengono nume- rosi granuletti d'amido e frequenti cristalli di ossalato calcico sotto la forma prevalente di piccoli prismi e tavolette a base rombica (Tav. XVII, fig. 6, 7, end.) Il pericielo che segue all'endodermide è una fascia omogenea e continua di cellule 22 [BON poliedriche, strette ed allungate, colle pareti a perfetto contatto tra di loro (Tav. XVII, fig. 7, per.). Questa fascia non ha dappertutto la stessa larghezza. Essa comprende un maggior numero di strati di cellule in corrispondenza dei fasci della cerchia interna, è più stretta a ridosso dei fasci esterni, di larghezza intermedia negli spazi tra un fascio e l’altro. Già durante la struttura primaria, negli strati cellulari più esterni del periciclo, a incominciare da quello che sta a immediato contatto colla endodermide, avvengono in direzione centripeta delle modificazioni importanti. Le cellule di questo tessuto si allungano, prendono la tipica forma di fibra ad estremità obliquamente assottigliate, quindi tornano a segmentarsi ripetutamente nel senso del minor diametro, ed incominciano ad inspessire uniformemente la loro parete, preludiando alle cellule liberiane concamerate che troveremo in seguito in questa regione del fusto. I fasci conduttori presentano un disuguale sviluppo delle loro parti costitutive adroma e leptoma. Mentre l’adroma è rappresentato da 10 piccoli gruppetti di trachee a spirale semplice, lontani l'uno dall'altro (Tav. XVII, fig. 7, v.), il leptoma consta di numerosi gruppi allineati l'uno accanto all'altro, non solo al dorso dei primi ma anche negli spazi compresi tra di essi, in modo da formare nel loro complesso una zona cribrosa continua sinuosa (Tav. XVII, fig. 7, cr.) Difatto questi 10 fasci che sembrano appartenenti a 2 cerchie distinte vengono tosto collegati da una zona generatrice cambiale unica, che gira sinuosamente tra l'un fascio è l’altro. Il midollo è formato da grandi cellule sferoidali a parete sottile. L'attività generatrice della zona cambiale e del periciclo, modificano ben presto la struttura descritta. Intanto, come ho già detto, gli strati più esterni del periciclo vengono centripetamente differenziandosi in cellule liberiane che formano tutt'attorno una regolarissima e robustissima guaina meccanica al di sotto della endodermide ancora ben visibile (Tav. XVII, fig. 1 e 4, /.). Questa guaina meccanica non interrotta, che ha press’ a poco lo stesso spessore in tutti i suoi punti e quindi non può facilmente essere spezzata dai tessuti in via di accrescimento che sono racchiusi entro di essa, esercita una grande influenza sul modo di distribuirsi dei tessuti stessi, ed è la causa principale di quella struttura curiosa che presenta il fusto a completo sviluppo. Gli elementi che la compongono sono fibre lunghe da !/, a */3 di millim. conca- merate, cioè formate da parecchie cellule (da 6 a 10) sovrapposte capo a capo, di cui le due estreme terminano obliquamente assottigliate. La parete verticale e i setti trasversali sono molto inspessiti con frequenti pun- tesgiature (Tav. XVII, fig. 4 e 6, /., e fig. 8). Non tutti gli elementi del periciclo si definiscono in fibre meccaniche. Le cel- lule degli strati più interni restano vive, piene di plasma e capaci di ulteriore acere- seimento come vedremo tra poco. Il cambio produce legno e corteccia secondari abbondanti. Dapprima questa produzione è press' a poco uguale sia pei 5 fasci esterni che als pei 5 interni che conservano a un dipresso le stesse dimensioni (Tav. XVII, fig. 1, /x.); ma poi questi ultimi prendono il sopravvento e giungono quasi a toccare coi loro margini le punte dei fasci esteriori come è schematicamente rappresentato dalla fig. 2 della tav. XVII. Se non esistesse la cerchia meccanica, esterna ai fasci, che lo impedisce, il risul- tato immediato di questo maggiore sviluppo dei fasci interni, sarebbe che essi rag- giungerebbero il livello degli esterni e formerebbero poco per volta una cerchia unica vascolare continua. Invece non potendo espandersi verso l'esterno lo fanno verso l'interno e i risul tati di questo fatto sono due, cioè che il midollo viene poco a poco compresso e final- mente schiacciato del tutto, e che i fasci rimangono indipendenti l’uno dall'altro. Continuando questo modo di accrescimento, noi veniamo ad avere alla fine del primo periodo di vegetazione, nel fusto che ancora conserva la forma prismatica, 5 grossi cordoni fibrovascolari che si toccano quasi al centro colle loro punte, separati appena dai residui meschinissimi del grosso midollo e dei larghi raggi midollari ; esterna- mente ed alternamente ad essi 5 altri cordoni fibrovascolari un po’ meno sviluppati che s’ incastrano, a guisa di cunei, negli spazi lasciati dai primi. Il legno secondario di questi cordoni come quello delle liane in genere, è ricco di vasi molto ampi, isolati o raggruppati a due o più. Essi sono d'una sorta sola, cioè tutti con parete punteggiata e sono formati da elementi molto corti. Il parenchima legnoso da cui sono circondati è come quello della radice, cioè formato da cellule prismatiche allungate, a parete punteggiata o reticolata, terminanti irregolarmente e bruscamente in punta ad una o ad entrambe le estremità (Tav. XVIII, fio. 6). Le cellule libriformi sono molto scarse, ma del tipo di quelle radicali. La regione eribrosa secondaria del fascio, molto sviluppata ancor essa, è fatta quasi esclusiva- mente da tubi cribrosi. brevi, coi cribri limitati alle sole pareti trasversali, accompa- gnati da piccolissime cellule annesse. Sparse tra i tubi cribrosi stanno alcune serie verticali di piccole cellule paren- chimatiche in cui si è deposto dell'ossalato calcico, sotto forma di cristallini isolati o di piccole macle. Mentre si vengono formando al di dentro della guaina meccanica tutte queste produzioni secondarie la struttura della corteccia primaria varia pochissimo. Al disotto dell'epidermide che ancora persiste, si è formato una zona continua di collenchima a cellule allungate e tra esso e l'endodermide, tuttora manifestissima, stanno due 0 tre strati di cellule contenenti clorofilla. A questo punto ritorna a manifestarsi l'attività del periciclo, cioè di quegli strati parenchimatosi di esso che stanno al di dentro della guaina meccanica. Frequenti divisioni tangenziali, specialmente al dorso dei 5 grandi cordoni centrali, producono in questi punti un parenchima abbondante. _ In esso si differenziano dei muovi cordoni fibrovascolari, a struttura collaterale, come quelli che già ci sono, ma di origine, come sì vede, tutta diversa. Questi cor- doni in generale sono pure in numero di 5, ma se anche sono più, formano sempre 5 gruppi di cordoni regolarmente collocati al dorso dei 5 cordoni centrali, come si — bi — vede nella fig. 3, fa. della tav. XVII. Essi non hanno forma tanto regolarmente cunei- forme come 1 10 fasci normali, ma sono costituiti dagli stessi elementi istologici che formano tanto la regione vascolare come la eribrosa secondaria di quelli. La loro formazione e il loro accrescimento consecutivo in questi punti del fusto, fanno sì che esso di prismatico che era diventa cilindrico. La guaina meccanica, in seguito alla distensione operata dai nuovi tessuti che crescono rapidamente al disotto di essa, si rompe in più punti e gli archi meccanici che ne risultano formano press’ a poco una cerchia regolare interrotta in più punti. Ma ben tosto nei punti d' interruzione, dove vengono a terminare le estremità di due archi meccanici contigui, il parenchima d’unione trasforma le sue cellule in altri elementi meccanici di natura diversa dai primi, cioè in cellule sclerose prismatiche isodiametriche (tav. XVIII, fig. 1, cs.). Siccome questa formazione di cellule sclerose avviene in quasi tutti i punti in cui si era interrotta la guaina meccanica primitiva, si ha di nuovo una guaina mec- canica continua tutt'attorno ma mista (Tav. XVII, fig. 3, cs/.). Nel contempo appare un meristema fellogenico, molto tardivo, immediatamente al disotto della zona collenchimatosa periferica, la quale cade poi insieme alla epi- dermide (Tav, XVII, fig. 4, fe.). L'acerescimento successivo del fusto ha luogo e per comparsa di nuovi fasci nel periciclo e per accrescimento dei fasci preesistenti. I 10 fasci normali continuano a crescere per opera del loro cambio anche dopo la comparsa dei primi 5 fasci peri- ciclici, come si vede dalle loro rispettive dimensioni nelle figure 3 e 5 della tav. XVII. E continuano ancora e gli uni e gli altri a crescere, benchè molto più lentamente, anche dopo la comparsa di nuovi fasci periciclici. Questi hanno origine come i precedenti nel parenchima che proviene dalle segmen- tazioni di quegli strati che stanno tra la guaina meccanica e i primi fasci periciclici formatisi, Sono co'laterali anch'essi ed hanno la medesima struttura dei primi, colla differenza che invece di formarsi in punti press’ a poco determinati, si formano tutt'al’ in- giro dando origine ad una vera cerchia di fasci, che è però molto irregolare, sia per la posizione che per le dimensioni relative dei fasci che la costituiscono (Tav. XVII, fig. 5). Anche i fasci di origine periciclica, come i normali, mano a mano che crescono comprimono e finiscono per schiacciare, quasi totalmente, il parenchima molle che sta tra di essi, il quale rimane tuttavia come limite netto tra gli uni e gli altri sotto forma di striscioline raggianti dal centro, dapprima regolarmente biforcate e poi irre- golarmente ramificate tra un fascio e l'altro. Lo stadio di struttura raffigurato schematicamente nella fig. 5 della tav, XVII è quello del fusto più grosso che ho potuto esaminare, il quale misurava poco meno di 1 cent. di diametro. E probabile che l'accrescimento ulteriore continui con questo processo (!). (1) Essendo morta in questi giorni la pianta più grossa di Antigonon che ci fosse nell'Orto Botanico di Roma, ho potuto esaminare il fusto che misura alla base un diametro di 2 centim. press’ a poco e mi sono persuaso che realmente esso ha continuato a crescere per la formazione di cerchie irregolari successive di fasci nel periciclo. — 155 — Conclusioni : J. La radice ed il fusto di Axtigonor leptopus sono entrambi a struttura ano- mala per produzione di fasci fibrovascolari nel parenchima proveniente dalla attività generatrice del periciclo. 2. Nella radice, a tipo di struttura primaria tetrarco, i cordoni fibrovasali nor- mali formano un cilindro compatto assile; i cordoni fibrovasali periciclici formano delle cerchie successive irregolarissime, tra lo strato sugheroso e il cilindro assile. 5. Nella maggioranza dei casi queste cerchie si succedono nella formazione in ordine centrifugo, in un caso solo le trovai di formazione centripeta. 4. La struttura istologica di questi cordoni è la solita, con grande predominio del libriforme nella regione legnosa e dei tubi cribrosi nella regione eribrosa del fascio. Manca un sistema meccanico specifico delle regioni cribrose. 5. La disposizione e la struttura di questi cordoni sono fondamentalmente le stesse tanto nelle radici sottili, quanto in quelle tuberizzate. 6. Nel fusto la struttura appare più complicata per la disposizione particolare che prendono fin da principio i fasci normali. In numero di 10 simmetricamente collocati 5 più interni e 5 più esterni, col crescere del fusto finiscono i primi per venirsi a toccare al centro sopprimendo o quasi il midollo e i secondi esternamente ed alternamente ad essi s' incastrano a guisa di cunei negli spazi lasciati dai primi. Dei fasci periciclici, i primi compaiono in numero anch'essi di 5 al dorso dei fasci normali interni, i successivi si formano tutt’'attorno in numero indeterminato ma sempre vengono ad avvicinarsi e ad incastrarsi tra di loro colle loro punte in modo da formare una specie di scacchiera che occupa la massima parte della sezione trasver- sale del fusto. | 7. La struttura di tutti questi fasci è identica. La porzione vascolare o legnosa è poco compatta, perchè è fatta in prevalenza da grossi vasi punteggiati, circondati da parenchima legnoso. Manca il libriforme. La porzione molle o cribrosa è abbondante poco meno della vascolare, di strut- tura ordinaria, e manca di elementi meccanici suoi proprî. 8. Invece c'è una robusta guaina meccanica, dapprima di sole cellule liberiane, poi di cellule liberiane e sclerose miste, che hanno origine dagli strati più esterni del periciclo. La robustezza e la continuità di questa zona meccanica influiscono grandemente sulla disposizione che prendono i fasci nell'interno del fusto, in quautochè non potendo espandersi verso l'esterno si avvicinano al centro dando luogo a quella struttura, in apparenza complicata che presenta il fusto adulto. » pia invece che semplice. do ID (1) Gli elementi delle porzioni cribrose in questa figura, per sbaglio del litografo vennero rappresentate con parete dop- SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XVII. Figura schematica della sezione trasversale in un giovane ramo a breve distanza dall’apice — fn. cordoni fibrovasali normali, cr. porzioni eribrose di essi, lî. guaina meccanica formata dalle cellule liberiane. IA. Id. in una porzione di ramo più adulta — le stesse lettere. Id. Id. in una porzione di ramo più adulta della precedente — /@. cordoni fibrovasali nor- mali, /a. cordoni fibrovasali anormali, cs. cellule selerose, li. cellule liberiane. Porzione di taglio trasversale nella corteccia esterna del ramo precedente — e. epidermide, cl. collenchima, fe. fellogeno, p. parenchima corticale, end. endodermide, Vi. cellule liberiane. Figura schematica della sezione trasversale in un ramo più adulto di quello rappresentato dalla fig. 3 — le stesse lettere. Porzione di taglio radiale nella corteccia esterna di un giovane ramo — e. epidermide, pr. prosenchima della corteccia, end. endodermide, /7. cellule liberiane. Porzione di taglio trasversale in un giovanissimo ramo — e. epidermide, pr. prosenchima, end. endodermide, per. periciclo, cr. porzioni cribrose primarie (*), v. porzioni vascolari pri marie, c. cambio, 72. midollo. Cellula liberiana concamerata. Tav. XVIII. Porzione di sezione trasversale nella corteccia del ramo rappresentato dalla fig. 3 della tav. precedente : end. endodermide, 27. fibre liberiane, cs. cellule sclerose. Sezione trasversale nella radice primaria della piantina: e. epidermide, end. endodermide, per. pericielo, 4. adroma, /. leptoma del cordone conduttore. Sezione trasversale in una radice adulta: /n. fasci normali, fa. fasci anormali, s sughero, schematicamente rappresentati. Sezione trasversale in una radice più adulta della precedente: stesse lettere. Porzione di taglio trasversale nella zona periferica della radice precedente, s. sughero p. parenchima proveniente dal pericielo, /4. fascio nel pericielo, /p. fasci procambiali nel pe- riciclo. Elementi del parenchima legnoso del fusto e della radice. p Elementi del libriforme del fusto e della radice. Radice tuberizzata. è da Osservazioni critiche sulle specie e varietà di epatiche italiane create dal De Notaris. Del dott. G. MASSALONGO. Tav: XIX. Delle numerose specie e varietà di epatiche italiane dall’ illustre G. De Notaris introdotte nella scienza e da questo descritte ed illustrate in epoche differenti nelle Memorie della Reale Accademia di Torino, e nel Commentario della Società eritto- gamologica italiana, come ancora di alcune altre che solamente dallo stesso vengono indicate siccome spettanti alla flora italica, se eccettuansi quelle pochissime di cui vennero distribuiti esemplari nell'Erbario crittogamico italiano, fino ad ora non mi sì offerse mai l'opportunità di esaminare esemplari autentici. Per queste ragioni ogni mio apprezzamento sulle stesse in rapporto alle analogie e differenze con altre specie non poteva essere che relativo, siccome quello che si basava soltanto sulle descrizioni e figure forniteci dal celebre De Notaris, le quali, quantunque generalmente esatte, tuttavia sia riguardo alla distribuzione dei sessi, sia per altri caratteri non potevano certamente, senza il controllo degli esemplari tipici, dileguare ogni dubbio che fosse sorto vuoi in riguardo alla loro autonomia, vuoi alla loro identificazione con altri esemplari posteriormente da altri raccolti in differenti regioni. Per tali motivi debbo perciò essere oltremodo riconoscente all'egregio prof. R. Pirotta dell’Università di Roma, ove conservasi l'erbario del compianto De Notaris, se col suo consenso, ottenni, in quest'ultimi mesi, il permesso di studiare le suddette specie e varietà di epatiche sugli esemplari archetipici. Nel pubblicare, in questo Periodico, il risultato dei miei studi credo di fare cosa gradita non solo ai botanici connazionali, ma ancora stranieri, essendo convinto che sono pochissimi gli epatologi viventi i quali abbiano avuto a loro disposizione saggi di tutte le specie e varietà di epatiche italiane create dal De Notaris. Nelle linee seguenti, riguardo all'ordine da me tenuto nel riferire delle singole specie, queste furono distribuite conformemente al mio Repertorio dell’epaticologia italica. 1. Nardia emarginata (Ehrh.) B. et Gr. f. minor C. Massal. et Carest. in £p. Alp. Pen. Le forme descritte ed illustrate del celebre De Notaris in Sunto di osservo. sul gen. Sarcoscyph., e dallo stesso distinte coi nomi di Sarcoscyph. Ehrharti Ans. Isr. Bor. — Vor. III - 20 — 158 — v. micranthus, S. Mulleri v. ligurica, S. Mulleri v. intermedia, come fu da me già altre volte indicato (vedi £p. Alp. Penn.), spettarebbero a semplici modificazioni locali della presente varietà. y. aquatica (Nees). — Sarcoseyphus Bhrharti aquaticus De Not. in Sunto osservo. gen. Sarcoscyph. Non posso condividere l'opinione del Limpricht e Lindberg, i quali identificarebbero questa varietà colla Nardia robusta (De Not.) Trevis., quest'ultima essendo fornita di cauli più corti (14 centim. circa) ed inoltre di foglie fra loro molto densamente imbricate, mentre nella vera v. aquatica è il caule molto più allungato e sempre con foglie lasse. Riguardo alla forma dal De Notaris segnalata nel Sunto di osservo. sul gen. Sarcoscyph., colla frase seguente: S. Ehrharti Erb. critt. it. n. 321 (an S. den- sifolius?), dessa differirebbe dalla v. aquatica per minori dimensioni, maggiore gracilità, nonchè per le foglie meno lasse e per i suoi caratteri dovrebbe considerarsi siecome une forma quasi intermedia alla specie tipica ed alla sua varietà aquatica. 2. N. robusta (De Not.) Trevis. — Sarcoscyphus Ehrharti robustus De Not., Suzto osservo. gen. Sarcoscyph. in Comm. Soc. critt. it. vol. I, fase. II, p. 80, fig. IV. Questa specie distinguesi dalla forma tipica dell’affinissima N. emarginata, essenzialmente per ilobi della colesula raggiungenti l'altezza dei segmenti delle foglie dell’urceolo pericheziale. 3. N. sphacelata (Giesecke) Carringt. f. media (G. et R.) C. Massal. Reper/. ep. it. — Sarcoseyphus sphace- latus var. medius G. et R. Zep. Zur. cos n. 137: De Not. Osservo. gen. Sar- coscyph. in 1. s.c. p. 91, fig. IX. — Sarcoseyphus piceus De Not. in herb. et in litt. ad Le Jol.! — Sarcoseyphus sphacelatus v. erytrorhizus Limpricht in Cohn FI. Krypt. Sehles. I, p. 452. Negli esemplari dell’ erbario De Notaris osservansi le radichette quà e là colo- rate in rosso vinoso; ricorderò inoltre che a questa varietà devonsi riferire gli esem- plari citati nel Repertorio ep. it., raccolti dal Carestia nelle Alpi Pennine. — Il Car- rington, a p. 14 delle sue 27/4 Zep., cita il Sarcoseyphus piceus De Not. (ex errore in Comm. critt. it.) fra i sinonimi del Sarcoseyphus alpinus G,, col quale ultimo non può in veruna maniera venire identificato. 4. N. compressa (Hook.) B. et Gr. 8. pachyphylla (De Not.). — Alicularia pachyphylla De Not. App. nuovo cens. ep. it. in Mem. Ace. Tor. ser. II, vol. XVIII, p. 487, fig. IV. — Minuta rubella, caespitosa examphigastriata, caulibus fragilibus subinnovante-ramosis, inferne subrhyzomatoideo-denudatis sursum inerescenti-foliosis, foliis subaccumbenti- imbricatis rigidis, siccitate subimmutatis, concaviusculis, oblique caule insertis suborbi- culato-reniformibus, carnosulis: cellulis fol. subrotundo-polygonis, seziei marginalis parum minoribus, intercalaribus trigonis optime conspicuis (aoreola trigona pallidiore saepe notatis), cuticula laevi. Quantunque gli esemplari conservati nell'erbario del De Notaris sieno molto im- perfetti e sterili, tuttavia un accurato esame degli stessi ci ha persuasi che la — 159 — Alicularia pachyphylla non può considerarsi senonchè una semplice varietà della N. compressa. Il De Notaris basavasi specialmente per distinguere la sua specie dalla N. compressa, sulla mancanza di anfigastri, sulle minori dimensioni, nonchè sugli inspessimenti angolari delle pareti delle cellule delle foglie marcatissimi. Sul- l'importanza di questi caratteri devesi però notare, ch'essi ci si palesano di ben poco momento per contrassegnare la supposta specie in questione rispetto alla N. com- pressa. Quest'ultima infatti va soggetta a numerose modificazioni tanto riguardo alla lunghezza dei cauli, grandezza e colore delle foglie, quanto relativamente agli anfigastri i quali ultimi, spesso, nei rami sterili, sono evanidi od anche affatto man- canti; perciò infine che spetta agli inspessimenti delle pareti delle cellule delle foglie essi variano secondochè vengano esaminate foglie giovani o vecchie. — Fra gli esem- plari di Nardia compressa del mio erbario fornitici dal Jack, e provenienti dalla stessa località di quelli pubblicati al n. 579 delle Zepaticae Eur. essiccatae (auf der Fluela Passhòle), ho trovato qualche cespuglietto che presenterebbe quasi perfetta somiglianza colla Alicularia pachypylla De Not. 5. N. scalaris (Hook.) B. et Gr. emend. Carringt. — Alicularia Rotaeana De Not. in Mem. Ace. Tor. ser. II, vol. XVIII, p. 484, fig. II. Nel riassumere le differenze per cui dovrebbesi distinguere la A. Rotaeana dalla Nardia (Alicularia) scalaris, il De Notaris dice (in 1. s. c. p. 485): « Questa specie di Alicularia io credo bastantemente distinta dalla scalaris, così per il perianzio (colesula) trilobo che per la tessitura delle foglie, le quali nella A. sca- laris presentano le loro cellule distinte da interstizi sensibilmente jmaggiori, atte- nuati agli angoli e come cinti da un orlo apparentissimo risultante dalla parete delle cellule onde gli interstizii medesimi sono costituiti ». Relativamente ai quali caratteri devo confessare, che avendo colla massima attenzione confrontato la Alicularia Rotaeana con numerosi esemplari di Alicularia (Nardia) scalaris tipica non solo d'Italia, ma ancora d'altre regioni d' Europa, rispetto a quest'ultima non potei rilevare la benchè minima differenza, constatando che ancora nella Alicularia (Nardia) scalaris i segmenti della colesula non di raro sono in numero di tre, sebbene più spesso per ulteriore lacerazione degli stessi rinvengansi in numero di 4-5. In riguardo poi agli interstizii od intercalari frapposti alle cellule, considerati nelle foglie vecchie e giovani, dessi presentano troppe variazioni per poter venire utilizzati come un carattere differenziale. 6. N. geoscyphus (De Not.) Lindb. — Alicularia geoscyphus De Not. App. nuov. cens. ep. it. in Mem. Ac. Tor. ser. II, vol. XVIII, p. 486, fig. III — Geoscyphus alpinus De Not. in litt. ad Le Jol.! Perfettamente corrisponde agli esemplari da noi anteriormente (£p. A/p. Penn.) con questo nome indicati. 7. Southbya stillicidiorum (Raddi) Lindbg.; C. Massal. Repert. ep. it. p. 12, tab. VII, fig. 1. — Jung. scalaris $ stillicidiorum Raddi. — Junger- mannia Alicularia De Not. App. nuov. cens. ep. it. in Mem. Ace. Tor. ser. II. vol. XVIII, p. 489, fig. V (inexacta). — Southbya Alicularia (De Not.) C. Massal. Repert. ep. it. p. 12, tab. VII, fig. II, et tav. VIII, fig. III (optima!). — Southbya tophacea R. Spr. — 160 — Le foglie superiori dei cauli fertili e più spesso ancora quelle involuerali sono più o meno dentate. Fra le specie europee è affine soltanto alla Southbya ni- grella (De Not.) R. Spr.! c Adotto per questa specie l'epiteto di stillicidiorum perchè sotto quest'ultima appellazione venne per la prima volta distinta dal Raddi, che però erroneamente la considerava siccome una semplice varietà della sua /urgermannia scalaris. Debbo però osservare a tale riguardo, che se si volesse più scrupolosamente essere ligi alle consuete norme della nomenclatura botanica, forse questa specie dovrebbesi indicare col nome di Southbya tophacea col quale dallo Spruce venne dapprima distinta come specie autonoma, senza però sospettarne l'identità colla forma descritta dal Raddi. 8. S. nigrella (De Not.) R. Spr. in litt—Jungermannia nigrella De Not. Prim. hep. it. in Mem. Ace. Tor. ser. II, vol. I, p. 315, n. 44 ic. 41-05; C. Massal. Repert. ep. it. p. 18, tab. VIII, fig. IV. 9. Scapania undulata (L.) Dmrt. a. proliga De Not. in Mem. Ace. Tor. ser. II, vol. XXII, p. 358, tab. I, fig. 2. A questa varietà, distinta dalla Scapania undulata v. rivularis Hùbn. et Genth. Hep. Germ. exsice. n. 17, specialmente per la lunghezza ben maggiore dei caudiculi (di un decimetro circa), nonchè per il colore delle foglie, abbiamo nelle Epatiche delle Alpi Pennine (Biellese fra il paese di Favaro ed il Santuario d'Oropa), prima di avere esaminati gli esemplari autentici dell'erbario del De Notaris, riferito una forma che certamente per il profilo delle sue foglie ad essa corrisponderebbe pressochè esattamente, tuttavia per essere precisi dobbiamo dire che la pianta della suddetta località, non sarebbe però assolutamente identica alla forma descritta dal De Notaris per alcune leggere modificazioni, forse del tutto locali, e cioè per il colore delle foglie che sarebbe verde con sfumature rossastre, come pure per le dimensioni del caule un poco minori: ragion per cui gli esemplari del Biellese piuttosto accen- nerebbero alla Scapania undulata v. rivularis. Posteriormente alla pubbli cazione delle Zpatiche delle Alpi Pennine ulter. osserv. ed agg., dall'illustre A. Ca- restia provenienti dalla località: « Alagna (Valsesia) acquitrini dell'Alpe Olen » ottenni esemplari di Scaparza undulata i quali perfettamente corrispondono alla va- rietà proliza del De Notaris. f. ambigua De Not. in l. s. c. p. 359, tab. I, fig. 3. Questa interessante varietà rappresenterebbe una forma intermedia alla Sca- pania undulata e S. uliginosa, da quest'ultima distinta per il lobo superiore delle foglie la metà circa soltanto più piccolo dell'inferiore (nè tre o quattro volte più piccolo) ed inoltre per il margine delle stesse foglie minutamente dentellato (nè quasi sempre integerrimo). — Nel dominio delle Alpi Pennine suddetta varietà sembrerebbe abbastanza comune e ad essa spettano gli esemplari delle località da noi per quella regione precedentemente (£p. A/p. Penn.) indicate. y. aequataeformis De Not. 1. s. c. p. 360, tab. I, fig. 4. Secondo il De Notaris sarebbe questa varietà molto affine alla Sca p. undulata v. aequata Syn. Hep.; Hibn. et Genth. Hep. Germ. ezs. n. 18, dalla quale scosterebbesi per le foglie nel margine intere. Sebbene riconosciamo l'esattezza di un tale ragguaglio, tuttavia noi dubitiamo se debba questa varietà ascriversi alla ae Scapania undulata o forse più giustamente, ad una modificazione della Scapania subalpina; questo dubbio verrebbe giustificato dall'esame di esemplari di S. subal- pina da noi posseduti dell'erbario dal prof. S. 0. Lindberg (Fennia « Ladoga » Julii 74), nei quali il margine delle foglie sarebbe pressochè intero, come pure dal con- fronto delle figure di S. subalpina v. undulifolia fornitici dal Géttsche (in G. et R. Hep. Eur. ees.ic. ad n. 465), che corrisponderebbero abbastanza coi saggi dell'erbario notarisiano.— Dobbiamo inoltre in questo luogo far osservare che della var. aequatae- formis i disegni del De Notaris (in ]. s. c.), in cui il lobo superiore delle foglie apparisce di molto più piccolo (due volte circa) dell'inferiore, non sarebbero esatti che per le foglie che occupano la metà circa della lunghezza del caule, mentre per quelle superiori e terminali le differenze in grandezza fra i due suoi lobi diventerebbe ben minore. A queste considerazioni ci preme in questa occasione di dire che se la serie A della Scapania undulata della Synopsis Hepaticarum comprende delle forme che gli autori recenti giustamente ascrivono alla Scap. resupinata (L), tuttavia la varietà o forma aequata di detta serie (fide H. et Gi. //ep. Germ. exs. n. 18) non può sicuramente riferirsi alla S. resupinata, dessa, a nostro avviso, accennando piuttosto ad una forma di transizione alla Scap. subalpina. — Gli esemplari da noi anteriormente in £p. Alp. Penn., ascritti alla var. aequataeformis s'attagliano a quelli del De Notaris perfettamente. 10. S. irrisua (Nees) Dmrt. e. luzurians De Not. in l. s. c. p. 362, tab. I, fig. 6. Di questa varietà, non avendone esaminati esemplari autentici, debbo limitarmi, sulle indicazioni del De Notaris (in 1. s. c.), a dire ch'essa scosterebbesi dal tipo per i cauli più allungati ed i lobi delle foglie all'apice arrotondati (nè apiculati). 11. S. Carestiae De Not. in Mem. Acc. Tor. ser. IT, vol. XXII, p. 373, tab. III, fi. 17. — Scap. Bartlingii auct. p. m. p. B. minor C. Massal. et Carest. Zp. Alp. Penn. Ult. osserv. ed. agg. in Giorn. bot. it. vol. XIV, p. 227. — Scap. Bartlingii Nees et auct. pl. ex. p.; De Not. l. s. c. p. 374, tab. III, fis. 18. — Propogulifera statura minore lobis fol., dorsale praesertim, saepe apiculatis. La forma più comune e robusta, nonchè più spesso perfettamente sviluppata, che la massima parte degli autori riferiscono alla Scap. Bartlingii, è certamente iden- tica alla Scap. Carestiae De Not., caratterizzata inoltre per i lobi delle foglie tipicamente arrotondato-ottusi. — Gli esemplari pubblicati dal Gottsche e Rabenhorst nelle Zep. Zur. exsice. al n. 483, corrispondono alla Scap. Bartlingii De Not. (=S. Carestiae v. minor nob.), fattane solo astrazione della mancanza di propa- guli e dalla maggiore gracilità dei cauli. 12. $. Franzoniana De Not. in Mem. Ace. Tor. I. s. e. p. 370, tab. III, fig. 14 — Caespitosa aeneo-rubella, vel punicea, caulibus centimetrum vix superantibus; foliis imbricatis distichis inaequaliter conduplicato-bilobis, plica subarcuata, lobis rotun- dato-obtusis adpressis, ventrale subcultriformi-oblongo subintegerrimo dorsale subtertia parte minore sublunulato-reniforme ultra caulem haud protracto; cellulis fol. polygo- nalibus leptodermibus inferne ad fol. plicam majoribus, interstitiis evanidis, cuticula laevigata. — 162 — Specie di autonomia molto dubbia, forse affine alla Scapania compacta v. Biroliana C. Massal. et Carest,, da cui distinguerebbesi oltre che per il colore rosso dei cespuglietti, per il caule un poco più allungato e le foglie più flaccide, le quali non offrirebbero dalla base all'apice dei cauli un aumento di dimensione così evidente come in S. compacta v. Biroliana. 13. S. nemorosa (L.) Dmrt. y. densa De Not. in Mem. Ace. Tor. l. s. c. p. 365, tab. II, fig. 9. — Dense caespitosa, caulibus duo centimetra longitudine plerumque adaequentibus, subdicho- tomo-innovante-ramosis. d. acoriensis (De Not.); Scapania De Not. in Mem. Ace. Tor. l. s. e. p. 368, tab. II, fig. 13. — Minor aeneo-nitidula, caulibus centimetri longitudinem vix exce- dentibus, subflexuosis; foliis disticho-patentissimis inaequaliter conduplicato-bilobis, lobo dorsale convexo subdimidiato-cordato cuspidato subintegro obiterve dentato, ven- trale subtriplo majore oblongo cochleariformi-recurvato margine inferne repando in- tegrove superne denticulato dentibus parvis utplurimum unicellulosis. 14. Jungermannia riperia Tayl. var. minor Carringt. et Pears. B7/t. Hep. ces. n. 168 et n. 169. — Junger- mannia sphaerocarpoidea De Not. App. Nuov. Cens. Ep. It. in Mem. Ace. Tor. ser. II, tom. XVIII, p. 493, fig. 8. Nel Repertorio Ep. It. p. 20, basandomi sopra alcuni frammenti fornitemi dal- l'illustre prof. O. Beccari, ho riferito la Jung. sphaerocorpoidea del De Not., ad una modificazione della J. pumila With.; ora però che ho esaminato esemplari numerosi e perfetti dell’erbario notarisiano, mi avvidi del mio errore riconoscendo che la Jung. sphaerocorpoidea deve ascriversi alla var. minor della affine J. ri- paria Tayl. — Gli anteridii non esistono all'ascella delle foglie preinvoluerali, ma su rami speciali di individui distinti. La forma della colesula oscilla fra la subpi- riforme e la fusiforme e talvolta è molto allungata quasi come nella var. bactro- calix. 15. J. Hornschuchiana Nees. — Jung. Bantriensis Hook.; C. Massal. e- pert. Ep. It. p. 21. 8. Milleri (Nees) — Jungermannia Laurentiana De Not. in Mem. Ace. Tor. ser. II, tom. XVIII, p. 497, fio. X. 16. J. collaris Nees in praef. ad Mart. 77. Crypt. Erl.—J.Naumanni De Not. Prim. Hep. It. n. 24 excl. syn. et ie. Mart. — Jung. barbata v. collaris Sy. hep. p. 125. — Caulibus subsemplicibus (long. 2 cent. circiter) gracilibus inter mu- scos serpentine-repentibus subtus crebre radicantibus; foliis subrotundis dense imbri- catis oblique amplexicaulibus 3-4-plicato-lobatis, lobis, sinubus subobtusis sejunctis, ovatis acutis incurvis antico utplurimum inflexo, margine ventrali ima basi saepe 1-2-ciliis vel saltem denticulis exerentibus; amphigastriis parvis vulgo profunde bifidis sesmentis. varie lacero-ciliatis (fide spec. her. De Not.). Se gli esemplari di Jungermannia Naumanni De Not., della località: « in monte Sempronio loco dicto Lrassinone supra Gondo » citata dal Nees per la sua J. collaris (=J. barbata v. collaris) corrispondono veramente a questa ultima, credo che non si possa serbare verun dubbio nel ritenere la suddetta J. collaris — 163 — se non una varietà minore e ad anfigastri meno sviluppati della Jung. Floerkii (J. barbata v. Floerkii), forse non molto dissimile dalla modificazione Jung. barbata v. Floerkii I, B della Syx. hep. — D'altre regioni d'Italia esemplari identici a quelli dell’erbario del De Notaris furono recentemente raccolti dal ch. Ca- restia, sulle pendici rocciose presso l'Ospizio di Valdobbia (12 sett. 1887), e vi cor- risponderebbe sufficientemente ancora la massima parte delle piante da noi nelle £p. Alp. Penn., precedentemente indicate sotto l'appellazione: Jung. lycopodioides * formae ad J. Floerkianam transeuntes (ex p.) le quali perciò più esatta- mente rientrerebbero nel ciclo delle modificazioni della Jung. Floerkii. Non essendo stata ancora, come sembra, illustrata con disegni la forma corri- spondente alla J. collaris Nees, abbiamo creduto opportuno onde meglio farla cono- scere, di quì pubblicare alcune figure della stessa, in parte tratte dagli esemplari notarisiani ed in parte da quelli raccolti dal ch. Carestia nel dominio delle Alpi Pennine. — Tav. XIX, fig. 1. 17. Lophocolea heterophylla (Schrad.) Dmrt. v. erosa Nees Sy. hep. et Eur. Leberm. — Lophocolea cerocata (De Not.) Nees Sy. hep. p. 160. — Jungermannia crocata De Not. Prin. Hep. it. n. 54, tab. I, fig. 0, 1-4. Gli esemplari archetipici dell'erbario De Notaris spettanti alla Jung. crocata essendo tutti sterili, non mi riusciva certamente facile il decidere se la suddetta forma dovevasi ascrivere alla varietà erosa della L. heterophylla, ovvero alla omonima varietà della L. minor, a l'una od all'altra delle quali certamente doveva riferirsi. A togliere ogni mio dubbio a tale riguardo, volle fortuna che nel mio erbario rinvenissi esemplari colesuliferi della L. heterophylla v. erosa (mt. Rosso, colli Euganei 4 febbr. 1887) i quali nelle loro ramificazioni sterili perfettamente corrispon- devano alla forma descritta dal De Notaris. La varità erosa della L. minor se ne distingue per le cellule delle foglie forse un poco più grande, ma specialmente per gli anfigastri tipicamente divisi in due lacinie intere (nè generalmente bifide od almeno alla loro base esterna unidentate). 18. L. fragrans Moris et De Not. Sy. hep. p. 167. — Jungermannia Moris et De Not. N Capr. p. 177, tab. 6, fig. 1-7 (haud bona). — Dioica, caule ramoso subtus ad insertionem amphigastriorum radiculas subfasciculatas edente; foliis subex- planato-distichis, imbricatis, subovatis inferioribus subtruncato-emarginatis, bi-tridenti- culatis subrepandisve, superioribus majoribus profundius bidentatis apice subserrulato- denticulatis; cellulis fol. subpolygonalibus parietibus cireum circa aequaliter ineras- satis, cuticula laeve; amphigastris caulinis sinu obtuso bilobis segmentis extrorsum umni-bidentatis, bifidisve raro (in ramealibus) integris, ima basi ex uno latere evanide in foliis subdecwrrentibus; fol. perichaetialibus ampliatis ablongis emarginatò-bidentatis margine superne subserrato-dentatis; amphigastrio involueri ovale bilobo margine den- tato; colesula trigona angulis exalata ore laciniis hifidis dentatis; perigoniis dense spicatis ovalibus retuso-bidentatis inferne saccato-concavis antice lobulo-dentiforme inflexo antheridium solitarium tegente, auctis. La figura della Flora Caprariae di questa distintissima specie, essendo molto imperfetta, abbiamo stimato opportuno di aggiungere, alla descrizione dettagliata della — 164 — stessa, alcuni disegni illustrativi calcati sugli esemplari colesuliferi che conservansi nell'erbario del celebre De Notaris. — Tav. XIX fig. 2. 19. Porella platyphylla (L.) Lindbg. i f.- auriculis fol. utplurimum margine minus recurvo.—Jung. Cordaeana De Not. Prim. Hep. It. n. 4 ex p. (sp. ex agro romano). — Porella Notarisii Trevis. Ad una semplice e leggera modificazione di questa veramente polimorfa specie, devonsi riferire gli esemplari dell'erbario De Not. (Jung. Cardaeana ex agro romano ad truncos arborum, leg. Fiorini-Mazzanti, ann. 1837), nè varrebbe perciò certamente la pena di farne speciale menzione se il ch. Trevisan su di essi non avesse creduto di stabilire la sua P. Notarisii. Il carattere ritenuto più importante offerto dagli esemplari in questione, cioè quello delle orecchiette o lobuli delle foglie a mar- gini un poco più appianati (nè col loro margine esteriore specialmente patente e re- voluto), è ben poca cosa poichè va soggetto a variare per sino sulle defferenti rami- ficazioni di uno stesso individuo. In tutto il resto non trovasi alcuna differenza apprez- zabile rispetto alla P. platyphylla, alla quale ultima il De Notaris stesso (App. Cens. Ep. it. in Mem. Ace. Tor. ser. II, tom. 18, p. 468, obs. ad Modothecam ri- vularem), sospettava dovessero ascriversi i suddetti esemplari dell'agro romano. Alla qui indicata moditicazione corrisponderebbero i saggi da me posseduti raccolti a Piove di Sacco nel padovano dall'illustre mio padre. A complemento del suesposto unisco alcuni disegni degli esemplari originali. — Tav. XIX, fig. 3. 20. P. Thuja Lindbg. B. torva (De Not. > > > Co Ut 00 o 00 o D Lophocolea crocata Nees . ” fragrans M. et De Not. ” heterophylla Dmrt. . ” — crocata (De Not,). Madotheca torva De Not. . Nardia compressa B. et Gr. ° ” — pachyphylla (De Not.) . ” emarginata B. et Gr. ” — aquatica (Nees) . D) — minor Massal et Carest. . » geoseyphus Lindbg. . ” robusta Trevis ” scalaris B. et Gr. ” sphacelata Carringt . » — media (G. et at Plagiochasma italicum De Not. . Porella Notarisii Trevis platyphylla Lindbg. . ” — var. : ” Thuja Lindbg. ” — torva (De Not). Radula Aquilegia? De Not. ” Notarisii Steph. ” ovata Jack. Riccia paradoxa De Not. . Riella Notarisii Mont . Rupinia italica Trevis . Sarcoscyphus densifolius De N ” Ehrharti Cda . ” — aquatica Nees Sarcoscyphus Ehrharti Cda. ”» — micranthus Not. ” — robustus De Not. b) — Mulleri Nees ”» — intermedia De Not. DO DD dI Do JIHDON hi i i di pd pd ia Sarcosciphus Mulleri Nees. ” — ligurica De Not. . ” piceus De Not. in herb. ” sphacelatus Nees. ” — erytrorhyzus Limp. ” — medius G. et R. Scapania aconiensis De Not. ” Bartlingii auct. ex p. ” Carestiae De Not. ” — minor Cia ” Franzoniana De Not. ” irrigua Dmrt. . E) — luxurians De Not. — 169 — SENE 1 1 3 3 3 Scapania nemorosa Dmrt. . . . . . N. 18 ” — aconienssis (De Not.) . . . 183 ” — densifolia De Not. . . . . 183 ” undulata Dmrt. 9 ” — aequataeformis De Not. 9 0) — ambigua De Not. 9 ” -— prolixa De Not. 9 Southbya Alicularia C. Massal. 7 » nigrella R. Spr. 8 ” stillicidiorum Lindbg. . UY n tophacea R. Spr. 7 [so] D Sphaerocarpos Notarisii Mont. . SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIX. Fig.I-Jungermannia collaris Nees.— n°1, alcuni esemplari in grandezza naturale ; 2-3 foglie cauline; 6-10 foglie dei cauli più gracili; 11-13 anfigastri. — (n° 1 grandezza nat., 2-13 ingr. ottanta volte circa). Fig. I. — Lophocolea fragrans M. et De Not. — n° 1 sommità colesulifera vista dal lato ventrale; 2-4 frammenti di ramoscelli visti dal lato dorsale e 8 altro frammento veduto dal lato ventrale; 5, foglia perigoniale; 6-10 anfigastri caulini; 11-12 anfigastri rameali; 13 areo- lazione delle foglie (1-12 ingr. 89/1, 18 ingr. 259/1). Fig. IIL — Porella platyphylla Lindbg. var. (= P. Notarisii Trevis.). — n° 1-3 tre fram- menti caulini con foglie, visti dal lato ventrale. (1-3 ingr. 9/1). Fig. IV. — Porella Thuja v. torva De Not. — n° 1-2 due frammenti del caule con foglie ve- duti dal lato ventrale (1-2 ingr. 89/1). Fig. V.— Radula ovata Jack. — n° 1 frammento di caule con foglie veduto dal lato ventrale (da esemplari provenienti dal mt. S. Barbara presso Cagliari); 2 idem (da esemplari provenienti dalla villa Rostan); 3-4, sommità colesulifere (da esemplari dell’isola di Madera dell’erbario Jack.). (1-4 ingr. 4/1). Fig. VI — Frullania calcarifera Steph. — n° 1, foglie pericheziali ed anfigastrio involucrale; 2 anfigastrio e foglie pericheziali spianate; 3 foglia ed anfigastrio dell'involucro; 4-8 anfiga- stri caulini isolati. (1-8 ingr. 19/1). Fig. VII — Riccia paradoxa De Not. — n° 1, aspetto degli esemplari custoditi nell’erbario De No- taris; 2 un esemplare dieci volte circa ingrandito; 3-8 lacinie del tallo molto più ingrandite; m 7 due spore. (1 grand. nat.; 2 ingr. 29/1; 3 ingr. 9°/,; 4-6 ingr. 19/,; 7 ingr. 25/1). = Wi = Sulla struttura delle foglie dei Dasylirion del prof. R. PIROTTA. (Tav. XX, XXI) I Dasylirion sono Gigliacee americane rizomatose, legnose, fruticose od arborescenti, fornite di foglie abbondanti, lunghe, semplici, la cui forma variabile si può ridurre a tre tipi: foglie piatte larghe che sono quando flaccide, pendenti, quando e più spesso, ri- gide e rette; foglie tetragone, strette assai, rigide; foglie cilindriche pure assai strette e rigide. Il margine è quando intiero, quando più o meno seghettato-spinoso; il co- lore è verde più o meno intenso, qualche volta glauco per un rivestimento ceroso abbondante. Le foglie nascono sul fusto e sul ramo strettamente avvicinate fra loro in serie spirali, d'onde l’elegantissimo aspetto della pianta altamente ornamentale. Ogni foglia consta di una base largamente inserita sul fusto, guainante, più o meno fortemente concava dal lato interno, bianca e carnosa in parte, che è ricoperta dalle basi delle foglie che precedono e ricopre la base di quelle che seguono immediatamente. In alto questa guaina si restringe di solito considerevolmente e nettamente, e si continua allora nella lamina, che diverge più o meno verso l'esterno. Secondo Baker (') si conoscono ben 22 specie, alle quali botanici ed orticoltori assegnarono molti nomi generici e specifici (Dasylirzon Zuce., Nolina S. Wats., Beaucarnea Lem., Pincinectitia, Roulinia, Barbacenia, Bonapartea). Egli am- mette due soli generi (anch'essi distinti secondo me da caratteri di ben poco valore), cioè: Beaucarnea Lem. con 12 specie e Dasylirion Zuce. p. p. con. 12 specie. Di esse non ho potuto studiare che un piccolo numero di forme che appartengono però ai due gruppi ed offrono varia conformazione di foglie e sono: Beaucarnea recurvata Lem. (Pincinectitia tuberculata Hort.) ” ” var. stricta Lem. (P. glauca Hort.) ” longifolia Bak. B. Bigelowit Bak. B. Palmeri Bak. (1) Baker J. G. A Synopsis of Aloineae and Yuccoideae. Journ. of Linn. Soc. Bot. XVIII, p. 233 (1880). — 171 — B. Hartwegiana Bak. B. texana Bak. Dasylirion texanum Schul. Wheeleri S. Wats. acrothrichum Zucc. (Bonapartea gracilis Hort.) glaucophyllum Hook. serratifolium Karw. et Zucc. quadrangulatum Wats. bEbEBD Esaminai inoltre alcune forme ben distinte dalle precedenti, avute da orticoltori con nomi dei quali non mi è stato possibile stabilire l'identità ed il valore, non avendo ancora le piante fiorito, e sono: Dasylirion viride Hort. Villa D. hybridum Hort. Villa (glaucophyllum X quadranqulatum 22) D. robustum Hort. D. madagascariense?? Nolina Parrii Villa. Intorno alla struttura delle foglie di queste piante quasi nulla ancora è stato detto. Si accenna da qualcuno agli stomi alle disposizioni del sistema meccanico (!); ma questi cenni oltrechè per loro natura incompletissimi, sono dal nostro punto di vista di poca importanza non avendo essi valore comparativo. È mio intento esporre in questo breve lavoro l'anatomia comparata della foglia dei Dasylirion, cercando di stabilirne il tipo od i tipi di struttura sulla base dello studio dei principali sistemi anatomo-fisiologici. Sistema cutaneo. — La forma, la disposizione e la struttura della epidermide nelle foglie dei Dasyli7ion offrono due tipi differenti, a ciascuno dei quali va ascritto un certo numero di specie. Le differenze però non cominciano a manifestarsi che in quella parte superiore della guaina fogliare, nella quale il colore è verde; nella rima- nente porzione scolorata l'epidermide è press'a poco similmente costituita in tutte le specie. La diversità di struttura è infatti in rapporto diretto col modo di presen- tarsi dell'apparecchio stomatico. Nella parte inferiore della porzione guainante della foglia l'epidermide è formata da cellule simili sulle due facce, che viste dalla superficie sono di regola quasi eguali, press'a poco esagonali, brevi, coll'asse maggiore nel senso della lunghezza, di rado quasi quadrate (2. glaucophyllum). Ben presto però, appena cominciano le guaine a colorarsi in verde, si manifesta (1) Oltre alle indicazioni sparse nei noti trattati del De Bary, dell’Haberlandt e del Van Tieghem vedasi: Haberlandt, Veber das Assimilationssystem Ber. deut. Bot. Gesellsch. B.IV, 1886 p. 223.— Grevillius A. Y., Undersòkningar bfver det mekaniska systemet hos hingande vixtdelar. Bot. No tiser, 1887 p. 140. — In un lavoro di Cederval sull’anatomia fisiologica delle Bromeliacee si trova secondo una recensione seritta nel Just (Bot. Jahrb. XII, I. 1. p. 8326-27) anche uno studio di confronto su certe specie di Dasylirion. Mi duole di non aver potuto vedere questo lavoro: dalla recensione però sembra, che l’autore accenni soltanto ad uno dei tipi di struttura da me stabiliti. — 172 — una prima differenziazione, comune del resto nelle foglie delle Monocotiledoni a tipo lineare, vale a dire si presentano delle zone longitudinali alterne di cellule epider- miche, delle quali le une sono sempre prive di stemi (zone astome), le altre sono fornite di questi apparecchi (zone stomatifere). Ora in alcuni casi le zone epidermiche che portano gli stomi si mantengono allo stesso livello o press'a poco di quelle che ne sono prive (2. glaucophyllum, glaucum, Hartwegiunum, robustum, quadrangu- latum, Wheeleri, recurvatum, hybridum, viride, madagascariense); in altri casì invece le zone stomatifere si deprimono mano mano sotto il livello di quelle che non portano stomi e costituiscono dei solchi, delle doccie o delle cripte stomatifere più o meno profonde: (D. longifolium, teranum, Bigelowii, Parrii, Palmeri). Le cellule epidermiche, nell’uno o nell'altro caso, come le intere serie, sono però disposte nel senso della lunghezza della foglie. Nel primo caso il numero delle zone delle due sorta è variabile secondo l'am- piezza della lamina fogliare e secondo le specie. Però le zone astome sono di regola a dimensioni meno variabili delle stomatifere. Constano di parecchie serie di cellule (3-5-7), sempre in numero minore di quelle delle zone con stomi (5-10-14). Le cellule delle prime sono strette, brevi, parallelogrammiche viste dalla super- ficie, a pareti longitudinali diritte; quelle delle seconde sono simili ma un po' più grandi e brevi, più ricche di contenuto, per cui spiccano sul resto (tav. XX, f. 8). Nel tipo con cripte stomatifere le cellule epidermiche della zona con stomi si distinguono tosto, perchè sulla loro faccia esterna fanno delle sporgenze o protube- ranze, leggere e ottuse all'origine delle cripte, poi mano mano più marcate e più acute e dirette verso l'interno del canale. Le protuberanze raggiungono il loro mas- simo sviluppo nelle cellule superiori del canale; diminuiscono fino a scomparire af- fatto nelle inferiori (tav. XXI, f. 6, 7, e). Quando il canale è fatto da poche serie di cellule, quindi è stretto, possono quelle di un lato e quelle dell'altro giungere a toccarsi e ad incrociarsi chiudendo il canale; cosicchè l’aria penetra nella cripta attraverso gli spazi lasciati dalla rete formata dalle sporgenze. Spesso però l'incontro delle prominenze non avviene e nel mezzo del canale rimane una fessura libera più o meno ampia, che permette anche di vedere gli stomi. La forma e la disposizione delle cellule è del resto simile a quella delle cellule dell'altro tipo; soltanto il numero che costituisce le zone è sempre maggiore (tav. XXI, 6, ep). Le cellule epidermiche della porzione inferiore della guaina sono a lume pic- colo, quasi ovale in sezione trasversa, rettangolare nella longitudinale con una parete esterna cuticularizzata assai grossa, talvolta quanto lo spessore del resto della cellula od anche più, soprattutto nelle faccie superiori e nelle specie a epidermide senza cripte. È sempre ben manifesto uno strato cuticolare. Nella lamina le cellule sono un po più brevi, a lume stretto in quelle che si trovano sopra le masse meccaniche ipodermiche, con membrana esterna fortemente cuticularizzata, grossa talora anche il doppio del lume della cellula (tav. XX, f. 4, ep., XXI, f. 7, ep). Sistema meccanico. —1l sistema meccanico delle foglie dei Dasylirion è es- senzialmente costituito da un ipoderma, da spranghe di libro sottoepidermico e dal libro dei fasci. Vi si deve poi aggiungere uno speciale sistema formato dai cristalli di ossalato di calcio. I veri apparecchi meccanici sono tutti in rapporto colla disposizione — 173 — ed il decorso dei fasci conduttori. Alla base della guaina, dove i tessuti sono an- cora scoloriti e molli l'ipoderma è collenchimatoso, ed ha origine dalla serie di cel- lule parenchimatiche sottoepidermiche, le quali ben presto ispessiscono le loro pareti. Queste cellule sono lunghe più di quelle epidermiche, prismatiche, colle pareti ra- diali più o meno oblique; la loro cavità è dapprima ampia e le pareti presentano delle fine sculture. Ben presto però alcune cellule di questo collenchima ipodermico aumentano lo spessore delle loro pareti, si lignificano prima qua e là, poi di regola tutto lungo le epidermidi, formando un ipoderma seleroso a cellule allungate, fibrose, punteggiate dapprima, poi canalicolate, a cavità sempre più piccola. Durante questo processo le cellule della serie di parenchima immediatamente sottostanti si lignificano (D. quadrangulatum) 0 tutte o in parte e talora anche quelle della terza (2. 27- gelowîi) e persino della quinta (2. g/aucophylum). In questi casì le cellule esterne sono più piccole. Mano mano che i fasci conduttori si avvicinano alla epidermide nel loro decorso dalla base della foglia, comincia nell'ipoderma e nelle cellule sottostanti del paren- chima la formazione delle spranghe meccaniche sottocutanee. A tale scopo le cellule dell'’ipoderma in corrispondenza dei fasci vascolari ancora lontani ispessiscono sempre più le loro pareti, mentre centripetamente vanno ispessendo e lignificando le pareti anche le cellule corrispondenti del parenchima sottostante, in numero variabile se- condo i casi (tav. XXI, f. 1, fm). Per tal modo tutto all’ ingiro sotto l'epidermide si differenziano delle lamine o spranghe laminari meccaniche, alle quali aderiscono in fine le porzioni meccaniche dei fasci, che si avvicinano man mano all’epidermide, formandosi un tutto unico. E siccome di regola i fasci sono, almeno per un certo tratto della foglia, alternativamente grandi e piccoli, e quelli aderiscono prima ai cordoni meccanici ipodermici, così si ha anche una serie regolare di cordoni mec- canici alternativamente piccoli e grandi, prima staccati, poi man mano uniti ai fasci conduttori. Però la forma dei fasci e conseguentemente quella dei cordoni meccanici è diversa nelle due faccie, cosicchè non abbiamo in queste foglie una struttura tipi- camente centrica, bensì un modo intermediario tra essa e la bifaciale o dorsiventrale (tav. XX, f. 3, 5, 6, 7 em, XXI, f. 1, 2, 3, 4, /m). Gli elementi di questi cordoni mec- canici hanno la tipica struttura delle cellule liberiane, come nel sistema meccanico dei fasci. Formatesi le spranghe meccaniche, il sistema ipodermico scompare più o meno presto da tutta l'epidermide, meno in quei tratti sui quali si appoggiano i cordoni stessi, di cui vengono a formareparte; e la scomparsa comincia di solito verso il mezzo della foglia e procede verso i margini, nell'angolo dei quali però resta di solito un cordone meccanico robusto di rado isolato, di regola aderente al libro dei fasci più esterni (tav. XX, f. 3). La scomparsa totale dell’ipoderma dal resto delle foglie ha luogo ordinariamente verso il terzo inferiore della lamina fogliare. Solo in qualche caso al- l'apice della lamina stessa si ripresenta tra i cordoni meccanici un ipoderma seleroso ad una o due serie di cellule, che collega quindi i fasci là dove il tessuto assimi- latore è quasi scomparso. La scomparsa dell’ipoderma è infatti in rapporto col sistema assimilatore e cogli stomi. Appena cominciano a presentarsi le prime cellule verdi attorno agli stomi già nella guaina della foglia. l’ipoderma si interrompe in corri- Ann. Isr. Bor. — Vot. III. 22 Le spondenza degli stomi stessi; e più tardi differenziatosi nettamente il tessuto assimi- latore, l'ipoderma scompare da tutto il tratto d'epidermide, che porta gli stomi. Come vedremo più innanzi, in alcune specie i.fasci conduttori si dispongono in modo da formare una cerchia interrotta tutt'all'ingiro all'epidermide e da lasciare nel mezzo una massa più o meno abbondante di parenchima seolorato; in altre in- vece man mano che i fasci conduttori si avvicinano all'epidermide si accostano anche fra loro quelli del lato inferiore e del superiore e finiscono col toccarsi. È evidente al- lora che anche la disposizione del sistema meccanico sarà diversa nei due casì, aven- dosi nel primo delle spranghe isolate, libere verso l'interno (tav. XX, f. 3, 5, 6, 7), nel secondo delle spranghe che vanno da una epidermide all'altra (tav. XXI, f. 3, 4, 5). Alla base delle guaine fogliari tra le cellule della prima serie dell'ipoderma si trova quasi regolarmente ogni due cellule un grosso cristallo prismatico di ossalato di calcio che occupa completamente una piccola cellula: non di rado sono due, tre, più spesso quattro in fascio. È evidente la funzione meccanica di questi cristalli, che si trovano anche nel parenchima scolorato, che sta immediatamente sotto, benchè siano ivi più rari. Ma nella parte infima della foglia, in quella più molle, dove manca un vero sistema specifico meccanico, le cellule cristallofore descritte sono ab- bondantissime, e costituiscono un vero tessuto. Se pertanto questa grande produzione di cristalli di ossalato di calcio è in rapporto coll’attività grande di accrescimento che ha luogo in quella regione della foglia, è certo che essi eseguiscono ivi anche una funzione secondaria meccanica, deponendosi in prismi robusti, allungati secondo l'asse maggiore delle cellule e in quasi tutte le cellule. Sistema assimilatore. — La prima differenziazione del tessuto assimilatore ha luogo poco sopra la base della guaina, quando, comparse le spranghe meccaniche sottoepidermiche, i fasci vascolari cominciano ad avvicinarsi per poi farvi adesione. Allora le cellule del parenchima sottoepidermico poste fra i grossi fasci cominciano a colorarsi in verde ed a differenziarsi in tessuto assimilatore, un po' prima dalla faccia inferiore. Le cellule simili ancora, benchè più piccole, a quelle del resto del parenchima hanno forma tra il tondeggiante e l'ovale, sono a pareti sottili e lasciano dei piccoli spazî intercellulari. Costituiscono allora poche serie tutte simili lungo tutta la superficie di sezione. Ben presto però, in seguito alla differenziazione dell'apparecchio stomatico, la di- sposizione del sistema assimilatore si presenta in modo diverso a seconda delle diverse specie e si possono distinguere a tale riguardo due tipi differenti. Nel primo tipo (D. quadrangulatum, glaucophyllum, acrothriche, Wheeleri ecc.) le cellule verdi diventano più grandi e ricche di clorofilla, le esterne si allungano in senso radiale costituendo il primo accenno del tessuto a palizzata e formano nel com- plesso una zona interrotta costituita da lamine di cellule verdi ehe corrono parallele alla lunghezza della foglia, in corrispondenza della zona stomatifera dell'epidermide e limitata dai cordoni liberiani e dai fasci vascolari. La differenziazione continua rapi- damente ed abbiamo in fine la zona assimilatrice costituita da poche serie di cellule, delle quali le più esterne sono ovali-allungate o quasi cilindriche e formano il tessuto a palizzata, le altre in numero minore sono ovali, subsferiche o poligonali meno ricche di clorofilla ed appoggiano direttamente sulle cellule del tessuto asportatore disposte — 105 — in senso notmale a quelle del tessuto verde (tav. XX, f. 8, 4, 5, 6, 7, a). In questo tipo pertanto il sistema assimilatore forma sempre una zona periferica che occupa gran parte dello spazio lasciato tra le masse meccaniche-conduttrici; essa zona limita un'ampio parenchima centrale scolorata. Nel secondo tipo invece (D. Bigelowzi, longifolium, teranum, Parrii) appena com- pariscono le cripte stomatifere, cioè già verso la parte superiore della guaina, le cel- lule verdi, che stanno sotto l'epidermide tra un cordone vascolare e l’altro, si vanno disponendo in serie regolari concave verso il canale stesso, diventano poligonali in sezione trasversale, a pareti un po’ flessuose, sottili ma spesso con punteggiature e la- sciano degli spazî intercellulari irregolari (tav. XXI, f. 1, 7, s4). Mano mano poi, che i fasci vascolari di un lato della foglia si avvicinano a quelli dell'altro lato finchè si riuniscono, le cellule del parenchima interno interposto tra le due zone verdi delle facce fogliari, si colorano poco a poco in verde in senso centripeto, cosicchè in fine si costi- tuiscono delle zone verdi complete, che vanno da una epidermide all'altra, ed alternano regolarmente colla lamina fatta dai cordoni meccanico-vascolari riuniti (tav. XXI, f. 4,5, sa). Però le cellule esterne, quelle che girano attorno alla cripta stomatifera sono molto più colorate delle interne, che eseguiscono l'assimilazione come funzione se- condaria. Le cellule tipiche assimilatrici sono disposte parallelamente alle superfici fogliari, in senso normale alla direzione dei fasci, hanno forma ovale allungata e la- sciano numerose lacune. In questo tipo pertanto non si ha un parenchima centrale scolorato; ma l’intera lamina è divisa dai cordoni meccanico-conduttori in tante con- camerazioni longitudinali occupate dal tessuto assimilatore. Sistema conduttore. — I fasci conduttori entrano numerosi dal fusto nella foglia ed alla base di essa costituiscono una serie regolare distesa per tutta la lunghezza della foglia. Quasi subito però, mentre la serie si porta verso il lato superiore, questi fasci ne staccano altri, che si dirigono rapidamente verso il lato inferiore della guaina e vi formano una seconda serie che non giunge fino ai margini. Spesso in seguito a divisione rapida e successiva dei fasci principali un'altra o due o più serie (D. B/- gelowii, longifolium, acrothriche ecc.) di fasci si dispongono fra le prime nella parte mediana più dilatata della guaina in ordine però sempre meno regolare quanto più grande è il loro numero, di solito in linee spezzate o flessuose (tav. XX, f. 1, XXI, f. 1). Anche tra i grossi fasci delle due serie principali o più di rado all'esterno di essi si trovano dei fasciolini; e di regola poi durante il percorso, sopratutto nella guaina, i fasci si mandano delle anastomosi dirette in tutti i sensi, in numero più o meno considerevole a seconda dello spessore della foglia. I fasci numerosi nel parenchima fondamentale si mantengono dapprima conside- volmente lontani dalle epidermidi, poi quelli della serie esterna, e prima dal lato inferiore, si avvicinano man mano all'epidermide stessa, finchè verso la base della lamina cominciano a toccare e ad aderire alle lamine o cordoni meccanici ipodermici, e la fusione avviene poi per tutti più o meno rapidamente. Intanto il numero dei fasci, quanto più si procede verso la lamina, va diminuendo, perchè i più piccoli di essi intercalati ai grossi o sparsi nel parenchima interno, si assottigliano e si fondono poco a poco coi grandi del lato al quale corrispondono. Questi grossi cordoni composti si veggono allora costituiti da due o più gruppi di ele- — 176 — menti vascolari tenuti insieme dalle rispettive masse meccaniche riunite. Epperò verso la base della lamina di regola troviamo una serie di grossi fasci sotto l'epidermide inferiore più o meno aderenti ai cordoni meccanici #podermici, un'altra pure di grossi fasci sotto l'epidermide superiore ed una serie interna che occupa più o meno rego- larmente la linea mediana (tav. XX, f. 5, XXI, f. 2). Nella lamina fogliare, a seconda del modo con cui procedono queste fusioni di fasci si possono distinguere due tipi principali diversi per quanto riguarda la loro distribuzione. Nel primo tipo (D. Wheeleri, viride, hybridum ecc.) procedendo dai margini verso il mezzo della foglia, i fasci isolati interni si uniscono mano mano ai grossi sotto epidermici specialmente dal lato superiore, finchè verso la metà o i due terzi della lunghezza della lamina fogliare essi sono scomparsi affatto. Allora le sezione trasver- sale della foglia presenta in questo tipo una zona completa interrotta sottoepidermica di cordoni fibro-vascolari uniti alle masse meccaniche e nel mezzo una più o meno abbondante massa di parenchima centrale (tav. XX, f. 3, 6, 7). Nel D. glucophyUuwm però la serie dei fasci mediani della lamina si eonserva anche verso l'apice. Nel secondo tipo (D. Bigelowii, longifolium, acrothriche, texanum, Parrii ecc.) mentre avviene la fusione dei fasci interni con quelli esterni nello stesso modo ora indicato, più o meno presto, talora fin dalla base della lamina, i cordoni meccanico- vascolari dei due lati superiore ed inferiore, liberi dapprima colla loro estremità interna, sì avvicinano e si toccano, costituendo una spranga unica. Questa unione comincia ai margini e procede lentamente verso l'interno della foglia; cosicchè in una sezione trasver- sale della lamina fogliare non si vede una massa centrale parenchimatosa priva di fasci, bensì delle spranghe costituite dai fasci vascolari e dai cordoni meccanici riu- niti che vanno dall'epidermide superiore all’inferiore e che alternano con lamine di parenchima in gran parte colorato in verde (tav. XXI, f. 3, 4, 5, /m). Sistema aereatore. — L'apparecchio stomatico merita in questo sistema la nostra attenzione. Per quanto riguarda lasua differenziatesi come ho accennato più sopra, esso si presenta secondo due modi o tipi. Nel primo tipo che racchiude le specie nelle quali mancano le cripte stomatifere, gli stomi non si riscontrano nella parte inferiore della guaina. Compaiono però poco più sopra sulle zone stomatifere dell'epidermide numerosi, isolati, disposti nel com- plesso in 2 o 3 serie longitudinali interrotte, irregolari. Stanno a livello dell'epidermide od appena sollevati sulla sua superficie; sono grandi, ovali nel contorno, forniti di due cellule laterali più grandi assai delle cellule epidermiche vicine (tav. XX, f. 2, 4,8, st). L'apertura esterna è, nella lamina, rettangolare, breve e circoscritta dalle cellule laterali, i cui margini sono un po’ sollevati (tav. XX, f. 2). La struttura degli stomi è identica sulle due pagine della foglia. Consta di una camera anteriore ampia, quasi cilindrica, limitata dalle cellule laterali dello stoma, con una apertura esterna limitata da un cercine slabbrato formato da una leggera sporgenza della parete esterna delle cellule laterali. Le cellule stomatiche sono piccole, a pareti poco ispessite, limitanti un dotto stomatico strettissimo e un po' flessuoso, sotto il quale si allarga una camera — 177 — posteriore breve, conica, che si continua poi con una camera respiratrice di solito ampia e penetrante profondamente nel tessuto assimilatore (tav. XX, f. 4, sf.). In certi casi (D. Wheeleri) la camera anteriore presenta verso la metà della sua lunghezza una leggera sporgenza a modo di cercine che la divide in due metà. Questa divisione è poi molto più manifesta nei ). «crothriche e glaucophyllum, nei quali il cercine sporge molto verso l'interno e lascia una piccolissima fessura di passaggio dalla metà superiore più larga a quella inferiore più stretta. Nel secondo tipo, che comprende le specie fornite di cripte o doccie stomatifere, gli stomi cominciano a presentarsi colle comparsa delle doccie stesse. Le quali si pre- sentano poco sopra la base della guaina e sono allora poco profonde, si deprimono ben presto però per buona parte della lunghezza della lamina, per ritornare poco profonde verso l'apice della foglia (tav. XXI, f. 1-6, e). Sulla lamina, specialmente nella parte mediana, le doccie sono di solito più larghe e in forma di U nella pagina inferiore, più ristrette ed in forma di V nella superiore. Gli stomi si trovano sulla porzione di cripta che non è occupata dalle sporgenze delle pareti delle cellule epidermiche, cioè di solito sulla metà o sul terzo inferiore della doccia stessa (tav. XXI, f. 7, e). La loro struttura, salvo le minori dimensioni, è simile a quella descritta per l'altro tipo. Dal punto di vista delle scopo di questa Nota nulla mi resterebbe a dire degli altri sistemi di tessuti. Accennerò soltanto alla presenza di cellule speciali contenenti rafidi disposte spesso in serie regolari nei parenchimi della foglia, ed alle altre cel- lule con cristalli prismatici di ossalato di calcio, alle quali ho accennato più sopra. I margini delle foglie portano spesso delle emergenze più o meno sensibili e talvolta in forma di aculei uncinati più o meno forti. Non di rado queste emergenze, e di regola le più piccole, sono veri organi escretori probabilmente acquiferi, presentando alla loro estremità un poro limitato da cellule epidermiche modificate. Riassumendo pertanto: le foglie dei Dasylizion da me studiati si pessono dire a tipo centrico, benchè un accenno a quello bifaciale sia dato sopratutto dalla diversa forma e struttura dei cordoni meccanico-conduttori (formati dall'unione dei fasci fibro- vascolari colle masse meccaniche ipodermiche) delle due pagine della foglia. Per quanto però riguarda l'insieme della loro struttura anatomica si distinguono in esse nettamente due tipi. Nel primo gli stomi occupano delle zone longitudinali dell'epidermide fogliare alterne con altre prive di stomi, ma che si trovano allo stesso livello. In corrispon- denza con questa disposizione abbiamo i cordoni meccanico-vascolari distribuiti in una serie interrotta regolare tutt'all'ingiro sotto l'epidermide, alla quale aderiscono rima- mendo liberi verso l'interno, dove limitano una massa centrale di parenchima scolo- rato. Il tessuto assimilatore forma dei cordoni in corrispondenza delle zone stomati- fere dell'epidermide, che occupano gli spazî interposti fra un fascio meccanico vascolare e l’altro. 3 Nel secondo tipo gli stomi si trovano entro depressioni in forma di doccie o cripte stomatifere pure alternanti con zone di epidermide prive di stomi. Queste depressioni sono rivestite, difese od anche in parte chiuse da sporgenze a punta, coniche o cilin- driche dirette verso l'interno e che sono produzioni della parete esterna delle cellule — 178 — epidermiche. In rapporto con questa disposizione dell'apparecchio stomatico i fasci mec- canico-vascolari disposti sempre sotto l'epidermide, cui aderiscono, non sono liberi al- l'interno, ma quelli di un lato aderiscono e si fondoro con quelli dell'altro, cosicchè manca una massa centrale di parenchima scolorato e la foglia resta come divisa in concamerazioni longitudinali parallele, limitate dai cordoni continui meccanico-vasco- lari. Queste concamerazioni sono occupate dal tessuto assimilatore, che forma pertanto delle lamine in corrispondenza delle eripte stomatifere, alterne con quelle meccanico- vascolari (!). Fic. Fic. (1) Anche lo studio anatomico delle foglie dei Dasylirion mostra, come in moltissimi altri casi, che i caratteri di struttura possono venire in sussidio della sistematica. Do =] S gr go ro SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XX. . Dasylirion glaucophyllum. Figura schematica della sezione trasversale della guaina fogliare poco sopra la sua base d’inserzione. . IA. — Porzione di zona stomatifera dell’epidermide della lamina (verso la metà della sua lunghezza) per mostrare uno stoma st. . Id. — Figura schematica di sezione trasversale della lamina fogliare a circa un terzo della sua lunghezza: ta, tessuto assimilatore : cm, cordoni meccanico-vascolari. . IA. — Sezione verticale di uno stoma: ep, epidermide: st, stoma: cm, cordone meccanico : ta, tessuto assimilatore. . Dasylirion quadrangqulatum. Figura schematica di sezione trasversale della lamina fogliare verso il terzo della sua lunghezza. . Dasylirion glaucophyUlum. Figura schematica di sezione trasversale della lamina fogliare presso l'apice: le lettere come sopra. . Id. — Id. id. a due terzi della lunghezza della foglia:p, parenchima centrale scolorato: le altre lettere come sopra. . IA. — Porzione di epidermide presa verso la metà della foglia per mostrare la disposizione degli stomi: st, stomi: ce, cellule epidermiche. Tav. XXI. . Dasylirion longifoglium. Figura schematica di sezione trasversale della guaina fogliare a metà circa della sua lunghezza: ep, epidermide: /m, cordori meccanici o meccanico-vasco- lari: c, cripte stomatifere: sa, tessuto assimilatore. . IA. — Id. id. alla base della lamina della foglia. IA. — Id. id. verso la metà della lunghezza della foglia. Id. — Id. id. verso i due terzi della lunghezza della lamina. Id. -- Id. id. sotto l'apice. . Dasylirion Bigelowii. Porzione di epidermide verso la metà della lunghezza della lamina per mostrare le cripte stomatifere e la loro disposizione. . Dasylirion longifolium. Sezione verticale di porzione della lamina fogliare della pagina supe- riore in corrispondenza di una cripta stomatifera. pun? PA : I fai n È bo NAÎ pa 86 Ri) sea Da hl isa 190 - du nl sso Ger4 psi A sii , ‘Ada Dali È: MATO ve Dr) »: funi ® SORT mb’ È 1a | : alta vu, SVRCTI PES, d» aj ‘ v È Di ò : CORI A DC) Mi. ee LOVEI Ann. Ist Boi. Roma II Tav. XII si LIL LL. SUOI romo-Lit Spithover : Ann. Ist Bo? Roma. II 3 av N AVER SI SUD VI È YO? EIA RSI Cromo-Lit Spithover \ as 44 R, . Di n x di “ La 4 = ii Pi ‘ ro & È) I, - Li DOnLes I « 7 ) U È = eh n È È Ù - è hi o ti E} si ti ' > . ì Li - a “ ie CD i] "i . ) - Ò T] "ia »r _ rs, Pi vec = i ° 5 - oli Re ta; Na Pt | 4 € d ì i * 4) » “ D me f È & bea } « È pa a bale: METTESSE + Va CA DI è a È A » . 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