dana, har È ta; h° iuan ò 3 28 USA ANTOLOGIA gate» selen 1021. TOMO SECONDO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXI. OARSITTTÀ SF Pa 7 ISO OI ATANNAI 19700 PRE ANTOLOGIA N. IV. Aprile 1821. SCIENZE MORALI e POLITICHE FILOSOFIA MORALE, DucaLo Stewart. Rudimenti di FrLosoria MoraLe per uso degli studenti dell’ Università d’ Edin- \ burgo. Ivi 1818. N on può essere nostro intendimento il dare un’e- stratto di questa operetta, perchè essa non contiene che pochi fondamentali principj distribuiti in quell’ ordine che il celebre A., seguendo il corso delle proprie idee, giudicò il più conveniente. Noi ci proponiamo soltanto di manifestare candidamente la nostra opinione intor- no a quelle cose, che in questo libretto ci sono sembrate lontane dal vero. A chi ne richiegga di qual misura ab- biamo fatto uso nei nostri giudicj, francamente rispon- deremo- di esserci attenuti ai pensamenti del Locke, del Condillac, e del più illustre fra i loro seguaci (1), peschè noi siamo colle debite restrizioni persuasi, ch’ essi me- glio d’ogni altro filosofo conobbero i fatti relativi al- l'umano intellettof. Non altrimenti adoprò il Professore di Edinburgo li cui asserti ci siamo prefissi di esamina- re. Egli nel dar sentenza di quei famosi, che dopo il ri- sorgimento delle lettere illustrarono le scienze morali , non si dipartì dalle norme della sua scuola, e parve che 4 tenesse un occhio fisso sui loro libri, e l’altro su quelli del Read e dell'Hutceson per non commettere la colpa più leggiera sia nel biasimo, sia nella lode (2). Or come la fiducia in quelle sue decisioni fu in noi proporzionata a quel grado di vero, che ci parve di scor- gere nei principj filosofici della scuola scozzese, così non dubitiamo che le opposizioni che anderemo di mano in mano facendo al sig. Dugald Stewart prenderanno nell’a- nimo dei nostri lettori qualità dal concetto che riguardo alle dottrine per noi seguite fermarono nella mente. In ogni caso l’istituire un confronto della maniera nella qua- le le facoltà dell’animo nostro vengono considerate dai, filosofi di due emule nazioni (3), non può essere riputa- to inutile che da coloro, i quali tratti dalla dolcezza d’al- tri studj vituperano questi più gravi, e da quei molti che dal pensare s'astengono come dalla maggiore delle fatiche . « Osserva il N. A. che come la cognizione degli og- « getti del mondo materiale posa sui fatti accertati dall’os- » servazione, così la scienza relativa allo spirito umano « s'appoggia ai fatti dei quali è testimone la nostra co- « scienza. Quindi sol riguardando ai subietti di questa , « conviene studiare l’animo nostro: nelle scienze natura- « lì poi pongasi mente agli oggetti delle nostre perce- « zioni ». A noi sembra certo, che prima d’aver sentito qualche cosa, non possiamoavere idea alcuna delle nostre potenze intellettuali. Questa esperienza non ha luogo sen- za l'impressione degli oggetti: e quantunque vi abbiano due cause generali delle nostre cognizioni, la mente nostra da un Jato, e dall’altroi corpi che ella mon conosce se non. per le sensazioni ch’essi producono in lei, non pensiamo per questo che vi sieno due scienze una figlia delle pu- re facoltà della mente nostra , e l’altra originata dall’ap-: 5 plicazione delle facoltà medesime agli oggetti. Ma for- se per-iscienza dell'anima il N.jA. non intese che quella che nasce dall’esaminare quello ch’essa fa - ma lo studio delle sue proprietà, delle sue leggi, dei suoi limiti non può neppure nell'ipotesi del Kant separar- si da quello degli oggetti esterniE convien sempre togliere quello che vi ha di moltiplice e di vario nel- le nostre cognizioni, per conoscere quello che appar- tiene alla materia, e quello ch’ è proprio soltanto del- la forma. Non intendiamo negare i fatti dei quali. la no- stra coscienza è il. mallevadore: ma conviene che que. sti sieno primitivi, e inesplicabili. Notò saviamente un. solenne filosofo a quanti pericoli. soggiacerebbe l'umano intelletto se ogni volta che in sè ritrova un idea estremamente complicata se ne rimanesse col di- re; io ne ho la coscienza, io ne ho il sentimento. Rintracciamo, per quanto è in noi, l'origine di quan to ci cade nel pensiero ; affatichiamoci nel separa- re il falso dal vero : se no altri impostori, ed. altri imbecilli erigeranno sulla nebbia ; che la stupidità converte in diamante, nuove moli d’errore , e sì ria- priranno quelli abissi nei quali la nostra ragione fu per tanto tempo inghiottita . Non ignoriamo, che questa indagine può distruggere molte illusioni care alla raz- za mortale. Ma dovremo noi’ rinunziare all’anatomia perchè ne rivela, che il volto di una bella donna è un composto di. muscoli di vene, di pinguedine. S’a- stengano dagli esami di questa fatta quelli, che bra- mano riposatamente viyere e godere, Seppure sull’ori- gliere dell’ altrui opinioni non hanno sogno; che. gli disturbi. | Questo difetto d’ indagine intorno al modo nel 6 quale si generano le nostre idee mi sembra ; che si pa+ lesi in tutta la teorica del N. A. rispetto alle sensazio- ni e alle percezioni. « Sensazione ei dice , è quel can- « giamento nello stato dell’animo, il quale è prodot- « to da un’ impressione sopra un organo del. senso. « Percezione poi vale la notizia, che noi acquistia- « mo col mezzo delle nostre sensazioni intorno alle « qualità della materia. Organi ministri di sensazio- « ne sono‘l’odorato, il gusto, l’ udito: le percezioni « derivano in noi dal tatto, e dalla vista: quello « che il secondo debba al primo, non può, stante la « rapidità delle percezioni, decidersi «. Chiunque s’ acè cordi col N. A. conviene, che dia a questi due. or- gani ‘il privilegio di darci ad un' tempo sensazione e cognizioni. E ammettendo nel tatto e nella vista la facoltà simultanea di farci sentire e percepire un giudizio, fa d’uopo rinunziare a quelle decomposizioni che ci conducono così felicemente ai primi elementi di tutte le sensazioni composte. Nè troviamo nel tatto istesso meramente passivo cosa che possa trarci a'cre- dere nell’ esistenza dei corpi. Questa sola credenza a noi pare separabile anche in questo caso dalla sen> sazione semplice; e pensiamo, che la proprietà di re- sistere nei corpi alla nostra . facoltà di moverci sia quello che ci riveli la loro esistenza. Quindi per noi le qualità primarie e inseparabili della materia sono la mobilità, l'inerzia, l’impulsione. E intorno a così delicato argomento basti ‘questo cenno. « Poscia VA. seguitando il suo tema asserisce che « noi abbiamo nozioni di esterne qualità perfettamente « differenti dalle nostre sensazioni, e da ogni cosa del« « la quale noi siamo immediatamente consapevoli ‘». Or qui: sì noti che le nostre sensazioni sono tut- , te, o idee o percezioni semplici: quindi in loro, spo- gliandole id’ ogni accessorio; :non avvi incertezza. ‘Basta pero soltanto :d’ unire. alla. modificazione che ha luogo in noi, il giudicio che questa deriva da ital’oggetto, da tal causa; da tale organo, perchè l’idea che noi ne abbiamo; e di questa modifica- zione, e di. questo giudicio: si componga.: Or. co- sì facciam tutti dall’ istante che. sappiamo esiste- re altri enti, ‘oltre quello che in noi pensa. In fat- ti noi non percepiamo l’idea d’ un uomo; d'un al- bero, d’una casa alla guisa stessa che si sente il cal- do ed il freddo. Noi sentiamo: soltanto le diverse im- pressioni che da questi corpi emanano, .e a poco. a poco. ne ifacciamo dell’.idee ;. composte al. certo, ma che poscia divengono rispetto alla nostra mente. per- cezioni uniche, siccome il minimo Nega elementi on- d’elleno si formarono. iayp ‘Come subietti di pemesicina Gua esistono in. noi tali; quali sono: nulladimeno.incerto rimane se queste, idee conformi sieno agli oggetti dei: quali. noi le credia-. mo le immagini perchè i in questo procedere: del nostro intelletto basta il minimo errore.; non ‘altrimenti che in un calcolo , perchè tutto sia falso. Qual. meraviglia dunque se fralle nozioni ; 0 idee composte, e le \sensa- zioni ; o idee semplici. corra differenza. Ma qualora per nozione lA. intendesse idee delle quali l’origine non possa rintracciarsi nella sensazione} noi siamo di tutt’ altro avviso, eci vaglia il Pao* a che 2A noi fu detto di sopra. Non può .l’ autorità. di tanto filosofo , qual si, è .il sig. Dugald Stewart, trarci a riguardare come semplici idee ;.le nozioni di numero, di tempo; d’identità perso= male (4). Udiamo già da quelli che strettamente s’atten- Pai 8 tengono al Locke ripeterci che fra tutte-le, nostre idee non avvene alcuna che per più vie in noi venga che, V idea dell’unità: non potersi in, conseguenza; ritrovar nozione più semplice di questa. i «i nol Potremmo rispondere; che. qualora Ss onbendi, per. numero una collezione d’unità, asserir non si può della seconda idea lo stesso che della primna.E il Locke mili- terebbe con noi, giacchè.egli nota che ripetendo, l’idea dell’ unità nel nostro spirito, e unendo insieme; que- ste ripetizioni perveniamo ai modi. 0 alle idee. ‘composte del numero. |: . -... Ma perchè a noi da tuléiza si iofppomiebbie! che pur l'unità è numero; mi piace d’investigare, come la nozio- mi di essa unità in noi si\geneti, onde. sia manifesto.che veramente idee semplici possono «dirsi, quelle soltanto che a noi dàseparatamente ciascuno dei. nostri seùsi; e quelle che dentro a noi hanno luogo; e. che chiamaf si dovrebbero sensazioniinterne. Noi esaminiamo in un corpo tutte le:sue qualità ,vale:a dire tutte le! impres- sioni che esso: fa smnoi, e noi modifichiamo; il suo .no- me con un aggettivo adiogni proprietà che in esso rav= . visiamo. Se queste qualità: cangiano d’intensitade senza cangiar'di:naturà, noi uniamo l’idea diquantità all’idea di ciascuna»di esse qualitadi : ma il.modo di misurare questa quantità ancora ci manca. Quindi osserviamo y che questo ‘corpo è da ‘ogni altro distinto: ed./è pure sen- za divisione in sè stesso, senza separazione fralle sue parti che ci obblighiva riguardarle siccome, enti fra loro diversi : allora noi creiamo un altro aggettivo, che' va- gliaad esprimere tal circostanza : allor:diciamo che que- sto corpo è ‘solo ; separato, unico , uno. Dopo questa ana- Hsi a noi sembra chiaro che l’idea di numero, ancor- chè per esso s'imtendesse unità, comprende più giudicj; 9 cioè quello dell’esistenza di corpi diversi dall’/o, e quello della loro divisione: laonde pur silvano : che nè ‘dall’odorato, nè dal gusto y'nè dall’ udito possa derivare nell’ animo nostro l’idea dell’unità , giacchè a questi sensi; anco'secondo il sig. Stewart , non dobbia- mo la notizia dell’esistenza dei corpi. E non men falso!ci pare il chiamare semplice nozione quella del tempo, se pur si definisca con Gio- vanni Locke per la misura della: duratà . In fattî di questa può solo il moto render’ percettibili le divi- sioni) perchè la successione delle mostre ‘idee. non è ‘abbastanza ‘uniforme: ; ev invariabile, onde valer ce ne possiamo come di misura: nè modo abbiamo per istabilire quanto separatamente duri ciascuna delle no- strie ‘percezioni. Or dunque noi portiamo opinione che la nozione di che si disputa da noi sì componga combi- nando l’ idea di già ‘astratta della durata con quella del moto. © j E qualora per tempo intender si. volesse il mero succedersi dell’idee, anche noi pensiamo che varrebbe a formar questa notizia la ‘mostra ‘esistenza a un senso solo ristretta. Ma non ne inferiremmo per questo } che tal'nozione fosse semplice riguardo a quello che in essa si contiene. Io ho la memoria di un'impressione passa- ta; riconosco giudicando che questa non.è muova; quindi ne induco che io di presente esisto; che io: esisteva al- lora ‘che la provai , e che ho continuato ad esistere in questo intervallo. Crediamo che debba affermarsi lo stes- so riguardo alla nozione dell'identità personale, che necessariamente si lega a quella della durata; e al pari di questa, dalle due facoltà » memoria e piaitizig viene originata nell’ animo nostro}: i al -:s Non dee reputarsi esalta nessuna ‘teorica riguar- IO / dante l'umano siietictio se! le sue facoltà, 0. potenze non sieno bene definite: ma tanta è a questo riguardo-la discordia dell’ opinioni , che si contende pure sul nome di questa così rilevante parte dell’umano sapere, e i,me- tafisici, o ideologisti'; non hanno ancora ;; siccome suole avvenire nell’altre scienze , un linguaggio comune. Sa- rebbe per tutti, e più per noi, temeraria;impresa il de- cidere chi sità con tanta esattezza fissato il numero, determinata la matura degl’ intellettuali poteri. da reu- der piena ragione di tutti i fenomeni, e. del. come dal suo primitivo stato giungesse a quel punto, ove noi. la crediamo, l’ umana ragione. Noi seguendo il nostro isti» tuto continueremo i nostri confronti, persuasi che la verità è non di rado figlia del paragone. « Il N, A. giu- « stamente osserva ‘esser necessario, alla nostra mente « un certo sforzo onde fissare nella memoria i pensieri « e le percezioni delle quali noi!siamo consapevoli. Or . « egli reputa che tale sforzo, chiamato attenzione, sia « la più semplice fra tutte le operazioni del nostro in- « telletto, e chea. ciò, non abbiano, gran fatto posto « mente gli scrittori di pneumatologia. | Cominciamo dal vedere se questa accusa sia vera non già coll’animo di biasimare!il sig. Stewart per que- sta lieve dimenticanza , ma collo scopo soltanto»di por- re i nostri lettori in grado .di giudicare se questa opera zione dell'animo nostro sia stata» meglio definita dal Condillac; che dal filosofo scozzese. Io chiamo atten- zione ( son parole del Condillac nel suo libro sull’ origi- ne dell’umane cognizioni ) quell’operazione deli ’intele letto, mercè della quale la. mostra coscienza riguardo a cerie percezioni tanto vivamente s’ accresce, ch’elleno sembrano le sole delle quali noi siamo consapevoli .,. E nella.sua logica pure egli pone l’attenzione al- Iî la testa di tutte le facoltà onde si compone l’intendimen- to. Ma , nè il Condillac, nè 1o'Stewart ci persuaderanno che l’attenzione sia una facoltà semplice, e consista in un'operazione dello spirito distinta da tutte l'altre A noi piace d’osservare col Tracy esser l’attenzio- ne lo stato d’un uomo che di vincere una difficoltà si proponga . ‘Or questo modo d’ esser non può aver per causa che l’ energia della volontà in quanto sia mossa da un giudizio che generi in noi il desiderio di conosce- re. Nè vaglia il rispondere che quando siamo. intenti ad um'oggetto, tutti gli altri ancorchè presenti, e dall’oc- chio e dalla mente si dileguano. Ciò vale lo stesso che dire: tu hai una forte sensazione: ‘e. nella guisa stessa l'animo tuo esser potrebbe dalla percezione di qualche giudizio 0 di qualche brama occupato. Or perchè l’attenzione in tutto questo successiva- mente si trasmuta, convien'dire; ch’ ella non sia una facoltà, ma una condizione particolare dell'animo no- stro, prodotta dalla forza dell’impressioni; condizione che non può simultaneamente aver luogo che. riguardo a una sola serie d'idee. In fatti ben di rado, e forse non mai, una sola percezione tutto a sè rivolge il nostro pen- siero: vi ha sempre tali idee colle quali questa necessa- riamente si collega. Ma qualunque sia 1’ opinione che a questo riguar- do si segua, nessuno potrà negarne che questo potere dell’anima; all’investigazione di tutti i filosofi abbia da- to argomento. Elvezio fra gli altri credette ‘che tanto l’attenzione valesse da non dubitar di chiamarla ma- dre del genio. re ii j/al ibi Osserva il sig. TORRI he « gli animali più bruti « sono, come si può: vedere , interamente occupati del « presente. Ma.l’uomo è fornito d’ una facoltà che può « (4 « 12 convenientemente chiamarsi concezione , e coll’ajuto « della quale egli può rappresentare la sè stesso , e le percezioni, e gli esterni oggetti dei que fu consa- pevole. A noi sembra che mal possa negarsi deine nel senso che offre la definizione dell'A.) questo intellet- tuale potere alle bestie ove si consideri che sognano pui esse: Conciossiachè sovente ancor che dorma Il feroce destrier steso fra l'erba Quasi a nobil vittoria avido aspiri Sbuffa, zappa, nitrisce, anela e suda, E per vincer pugnando opra ogni forza. E spesso immersi in placida quiete Corrono i bracchi all’improvviso e tutto Empion di grida , e di latrati il cielo. E qual se l’ orme di nemiche fiere Si vedessero innantiaure frequenti Spirano , e spesso ancor poichè son desti Seguon ‘dei cervi i simulacri vani Quasi.dati alla fuga, infinchè scosso Ogni inganno, primier tornino in loro. ‘Male .mandre sollecite dei cani Delle razze custodi e degli alberghi Quasi abbian visto di rapace lupo L’ odiata presenza, o di, notturno Ladro il sembiante sconosciuto , spesso S' affrettan! di cacciar dagli occhi i lievi Lor sonni incerti, e di rizzarsi in piedi: Quindi la plebe de’ minuti augelli Suol, repente fuggirsi, e paurosa Turbar coll’ali a ciel notturno i boschi Sacri; ai rustici Dei, qualor sepolta 13 In piacevole sonno a tergo avere Le par di smergo audace il rostro ingordo. ‘Se la mente de’bruti fosse priva del potere di con- cepire, essi non avrebbero questi sogni. E lA. alla vo- ce concezione dar non volle altro significato , giacchè poco dopo ne avverte che non sempre questa è dis- giunta dal credere alla realtà delle cose ch’ ella si figu- ra. In qualche caso, secondo lui il concepire è. sì for- te, ch'egli produce nell'animo nostro effetto pari a quello che fa la sensazione. Noi credemmo finora che ciò si operasse in noi dall’ immaginativa, e sempre ci stava nel pensiero questo bel verso di Dante. « Io lo immagino sì, che già lo sento. » Ma noi vedremo fra poco che l’ immaginazione «è in altro modo dal sig. Stewart definita . Ci sia concesso perora d’ osservare che qualora per concezione s’ inten- desse la possanza di riunire in un oggetto tutte le idee o percezioni parziali per formarne un idea totale , s’ errerebbe a parer nostro nel credere che ciò dipen- desse soltanto da una facoltà particolare: Essa po- tenza risulta dall’ uso di molte e distinte facoltà, e la maniera d’ adoprarle varia secondo la natura e la specie dei concetti che si formano. In fatti ora noi riu- niamo queste percezioni.per farne delle idee complesse, o concrete, ma particolari, e individuali : or noi .sepa- riamo le percezioni dall’ idee concrete , e individuali per farne delle idee generali, ed astratte che noi fis- siamo, e rendiamo sensibili col soccorso dei segni che le rappresentano . Piacque all’ A. di definire l’ immaginazione in mo- do poco diverso da quello col quale lo è stata or or da noi quella potenza mentale onde formiamo dei concetti. Vero è ch’ egli non omise di farne accorti che 14 quella facoltà creatrice, mercè di cui si sceglie qualche circostanza da varj oggetti, e componendo e disponen- do si dà vita agl’ idoli del nostro intelletto , non è una semplice facoltà ,, ma dall’ uso di molte risulta: e fra queste egli nomina l’ astrazione, che separa il giudizio, o.il gusto ch’elegge. Il sig. Stewart si è saviamente astenuto dal definire la memoria : e veramente io non saprei a che cosa il suo ufficio si riducesse seguendo la divisione ch’ egli dà dell’ umana intelligenza . Infatti che cosa è secondo il N. A. la concezione, se non la facoltà di rappresentare a se stesso gli oggetti lontani? 1 se a noi s’ obiettasse che la memoria riproduce talvolta nell’animo nostro sensazioni, ed idee sen- za che noi lo vogliamo , risponderemmo che tal circo- stanza non cangia l'indole generale di questa operazio- ne dell'intelletto. A ricordarsi una cosa non bastano talora tutti i nostri sforzi ; e sovente, mentre che noi meno lo pensiamo, un’ idea, a rintracciar la quale si stancò la mente , fa in essa, per servirsi d’ una frase di Dante , subito caso. Concludiamo dunque, che la concezione è una memoria unita alla volontà, com’ è una memoria unita al giudizio quella facoltà. detta reminiscenza, che consiste in rammentarsi ed accor- gersi che uno non sente, ma si sovviene . Il giudizio è definito dagli scrittori di logica « per un atto della nostra mente in vigor del qua- « le una cosa è affermata o megata da un’altra «. « Questa definizione sembra buona all’ A. per quan- a to lo soffre la matura del soggetto . Noi siamo d’ altro avviso, e ci sembra che il negare e l’ affermare sia una conseguenza del giudi- zio, piuttosto che il giudizio stesso . Pensiamo inoltre che consistendo il giudicare nel 15 percepire una relazione fra due idee, esser. non vi possano- giudizi negativi , e che nelle proposizioni di questo genere la! negazione si trovi nelle forme dell’ espressione, ma non nel pensiero. In fatti se giu- dicare ‘è sentire una relazione fra due idee, in qual guisa aver possiamo moi il. sentimento di ciò che non esiste (5) ? L'ordine, la verità, la precisione non possono abbastanza raccomandarsi in opere elementari ; nelle quali , e analizzando, e definendo proceder mai sempre conviene . Quindi non saremo tacciati di sofisticheria, notando che facea d’uopo mèttere innanzi all’ evidenza degli assiomi quella che nasce in noi dalla sensazio- ne e dalla memoria . In fatti egli è evidente che il fondamento. di ogni umana certezza sta in queste profonde parole di Cartesio. Zo penso; dunque esisto. E questo. esser consapevole della nostra esistenza si. genera in noi dal sentimento delle nostre percezioni le più sem- plici, dalle nostre sensazioni interne ed esterne . Ignoriamo inoltre , come la filosofia del sig. Ste- wart fondata sull’ esperienza e sulla cognizione della vera maniera di procedere del nostro intelletto, che dall’ idee particolari s’ innalza alle generali, chiamar possa intuitiva la verità degli assiomi (6). Se questi, come non vi ha dubbio; sono principj generali ; converrà ‘sempre paragonarli coi fatti dai quali emanano , 0 per dir meglio, coi fatti nei quali sono compresi . "E mai sempre riguardo agli assiomi dir: dovremo il perchè, il come son veri, e qual cagione, muova il nostro assenso . Quindi noi crediamo che siavi una sola evidenza : quella di sentimento. Essa!consiste nella coscienza che 16 i noi abbiamo d’ un’ impressione ricevuta, vale a dire in una verità di fatto: e il dedurre non è che un trar fuo= ri ciò che in essa è realmente contenuto . Il modo di procedere del giudizio è sempre lo stesso : e in. ciò mi sembra che il N. A. non discordi: da noi, poichè egli sì pensa’ che nei poteri dell’ intuizione, e della me- moria , sia compreso pur quello del raziocionio. « Saviamente ei nota che in quella spezie d’ argo- « mento chiamata ‘sillogismo, la mente dall’ univer- « sale al particolar discendendo, la verità della con- « clusione esser dee riconosciuta prima che la propo-, « sizione generale venga formata . Ciò:si riduce a dire che le proposizioni generali 11 quelle particolari sono racchiuse , e che l'attributo è compreso nel soggetto, e non il soggetto nell’ attributo. Ma come mai ciò si combina coll’ asserire. ch’ evi denti sono per loro stessi gli assiomi i quali, come Ba- cone avvertì; fa di mestiéri , che lentamente e grada- tamente sì nia e che tratti sieno dall’ osservazio- ne, e dall’ esperienza . E se condanniamo perchè futile la logica ‘antica , qual ragione ci tratterrà dal farne accorti , o dell’ inu- rilità, 0 almeno del pericolo di quella forma di razio» cinio che si chiama sillogismo ; forma così contraria! al modo che naturalmente in ogni investigazione seguito, sarebbe dal nostro intelletto .. Temiamo d’ incorrere la taccia d’arditi, ma l’amor del vero ci. costringe a dire dietro a questo ‘esame che la lingua filosofica va. noi non pare nè ben fatta, nè ben determinata in. Inghil- terra. Non solo le lor parole composte son tali che la. lot, derivazione con poca fedeltà rammemora la generazione dell’ idee ch’ esse ‘parole rappresentano : ma purle*idee annesse ‘alle voci sono ben ‘lungi dall’ esser chiare ; ‘e 97 precise. Preghiamo quelli dei nostri lettori. che della no- stra asserzione si scabdalizzassero a por mente all’ abuso che della parola evidence si fa dagli autori! inglesi . Ogni di si pubblicano appo loro:dei libri coi questo ti- tolo pomposo ; e intorno a cose che neglicanimi più: di sposti produr non possono quel profondo convincimento cui s’ addice il nome di evidenza. E talvolta;in alcune di queste opere, noi con:sommo dolore altro d’evidente non abbiamo trovato chel |’ imbecillità»di coloro che le habmo scritte . { Ma, tornando (in via, reputiamo (che sia prezzo dell’ opera l’avwvertire ; che queste così! moltiplici. divi- sioni di ciò:che si. chiama intelletto, creano talvolta , enti immaginar) ; e. poco giovano ea. rischiarare questo per sè stesso (così oscuro argomento;! Non ch’ io pensi che debbano sotto ilo. stesso nome , confondersi; le di- verse operazioni délla nostra mente; masconviene ram- mentarsi che queste dipendono da facoltà; che non so- ‘no in noi separaté , e che non è dato a noi; formare; un solo giudizio in:cuì tutte non abbiano parte . : « Inche può consistere la differenza’ fra: -1uomo « eil bruto? Diversificano le loro facoltà Yuna dall’al- « tra solamente, o.vi.è un ‘essenziale distinzione fralla «. natura razionale e animale? I. filosofi francesi, della » «scuola cartesiana, tennero tanto questa ultima. opi- «nione,;da,riguardare le. bestie come pure, macchine. « I loro:successori, sono andati generalmente parlando « in un opposto estremo,.e hanno adoprato.il-Joro.in- «igegno: in tentativi, per, render ragione. della. vantata «, superiorità dell’ uomo, con accidentali circostanze nei « suoi, organi, corporei s e nella sua situazione riguardo « ‘agli oggetti, esternij;. ibn ieri Opposizione a queste dotirine dei, moderni T. II Aprile © 2 18 i « matetialisti una! gran varietà di considerazioni pro- « và che riguardo ai nostri intellettuali. e morali prin- « cipj; la mostra: matura non ammette paragone con « quella:d’altri abitanti del nostro globo, stando fralle « bestie e noi/la differenza non nel grado,,ma nella «spezie vio) DIL LA Perfettamente d’ accordo in questa ultima conclu- sione col sig. Stewart} troppo gravi parole usar-dovrem- mio con lui , riguardo & quella parte. del suo discorso; nella quale indebitamente egli accusa di materialismo quasi tutti i filosofi. francesi | che dal Cartesio in poi allo studio sì volsero dell’’umano intelletto . Certamen- te il più solemne,tra'loro, ch’ è il Condillac; non sarà gravato‘ di questa taccia da chiunque sia onesto e di- screto, e ist ricordicche a lui dobbiamo la miglior di- mostrazione cheisivabbia dell’immaterialità dell’anima umana. Ci sia lecito inoltre di dimandare al sig. Stewart, se chiamare asragione si potrebbe materialista, tale che assumesse' di darci una spiegazione della superiorità no- stra sugli altri animali, prendendo in considerazione e la diversità dei nostri organi, e quella della nostra edu- cazione. Noi veramente crediamo che queste sieno le sole ricerche concesse‘ai filosofi perchè senza: il soccorso della rivelazione, che toglie di mezzo tutte le nostre in- certezze, la matura delle cause prime ci sarebbe ignota . In somma noi, senza renunziare ‘alla ‘vera sapienza che è quella del Vangelo,.crediamo che sia impossibile il'mostrare la'differeniza che corre tra Vl anima nostra e quella delle bestie; considerandola nel' suo principio. Qui pure è necessario partire dagli effetti per‘ giungere alle cause, e ‘investigare il principio nelle conseguenze . Nè crederemo di detrarre nella minima parte alla dignità dell’'umana natura asserendo quello cl’ è ‘Îmani- ia) festo; cioè che vi ha pure qualche analogia, e quindi qualche mezzo di paragone fralle intellettuali facoltà delle bestie, e. quelle-degli uomini. In fattiin qual guisa dato cisarebbe ammaestrarle, come si.fa; seda quello che noi sentiamo, e giudichiamo,, non potessimo, ragione- volmente inferiine ciò ch’ elleno sentono, e) giudicano? Quanto alla natura, e;ai destini del loro , principio pensante , noi confessiamo volentieri la nostra ignoran- ‘za, e crediamo che il professore di; Edinburgo mon ne sappia più di nòi.: Ma le considerazioni che a questo ri- 5 uardo fa il Condillac, sono piene di;tanta, saviezza e cn che non possiamo astenerci dal ripeterle . c Meraviglia non è ( egli dice ) che l’uomo di tan- «oto ngi ‘al bruto nell’ organizzazione, di, quanto d lò è mella natura dello spirito che lo anima, abbia so- « loril-dono della parola: ma crederemo noi per questo sica ‘chele bestie sieno macchine, 0 enti sensibili privi « d’ogni intelligenza ? No en «Noi dalibiioro selamente conchiudere, che, poi- «« chè ellenò hanno iuna lingua molto imperfetta, il sa- «per lovo si ristringe a quelle cognizioni che un’ indi- « viduo della loro spezie può da sè, stesso acquistare . « Le bestie vivono insieme, ma pensano quasi sempre “« a parte, e non potendo esse comunicarsi che un pic- «col numero «d'idee, si copiano poco . ««. Però debolmente contribuiscono-alla loro -reci- ‘proca. perfezione , e fanno sempre lo stesso e nella «stessa maniera :, a ciò s' aggiunga. che ognuna di loro «cia medesimi bisogni obbedisce... Ma se le bestie pen- ‘€ Sano; se fanno | conoscere; qualcuno; dei loro senti- « ioni 3/se-avvene tali che alcun poco intendono la «mostra lingua , in clie. differiranno, dall’ uomo ?, Ri- *«. spondo ,.ch' essendoci negato, il.comoscere la natura 20 degli enti, non possiamo di questi giudicare che dalle loro operazioni . « Il perchè vanamente tenteremmo determinare a ciascuno di essi i suoi limiti : la differenza che ve- drem correre fra loro sarà mai sempre del più e del meno . Così 1’ uomo diversificar ne sembra dall’ an- giolo , e l’angiolo da Dio: ma fra Vangiolo e Dio avvi Are infinita, mentre fra l’uomo e l’an- giolo essa è considerabilissima, e ben più grande àn- cora di quella che separa V uomo dal bruto . Nonostante a segnare queste differenze non ab- biamo che idee incerte , ed espressioni figurate , più, meno , distanza ec. « Quindi io non mi propongo di spiegar queste co- se, nè faccio un sistema intorno alla natura degli enti perchè 10 la ignoro : ben ne faccio uno riguardo all’ operazioni degli animali perchè conoscerle io mi penso . « Il loro differire nel più e nel meno non mi si ma- nifesta dal principio che costituisce la loro essenza, ma soltanto da quello ch’ essi fanno. Chi ha il meno, non ha certamente nella sua natura donde avere il più. Nè la bestia può diventar uomo, nè l’ angiolo può diventar Dio . Il sig. Stewart dopo avere ingiustameute accusato di materialismo i successori del Cartesio parla della rego- lar graduazione degli enti. Veramente 1 più assennati filosofi hanno omai rinunziato alla superba speranza di trovare questa scala per cui dallo zoofito si arriva fino alle potenze spirituali . In' fatti non solo nel passaggio dalla bestia all’uomo, ma pure in tutta la strada si tro- vano oggetti , che son fra loro disgiunti con ben grandi intervalli. La pretesa catena è rotta mille volte; ma 21 mercè del comodo, e sempre apparecchiato supposto d’enti intermedj, è facile di rassettarla . Non procederemo più oltre nell’ esame della prima parte di questo lavoro, per non recar noia maggiore ai nostri lettori a? qualidovremino ripetere le medesime co- se, e far presenti gli stessi errori che derivano da un'ana- lisi, a parer nostro imperfetta, non solo di alcune idee, ma pure di quelle facoltà onde la mente umana si compone (6). Nòn dobbiamo dissimulare quanto l’ ufficio di cri- tico divenga pericoloso , or che l’ À. a trattare sì rivol- ge due gravissimi subietti, l’ origine della morale , e i fondamenti della natural religione . Infatti ( poichè non vi fu mai penuria di calunniatori ) si. dirà da taluno, che noi revochiamo in dubbio le verità le più sante mentre sol combattiamo certe deboli prove colle quali si vuole stabilirle . Il sig. Stewart, quantunque sommo filosofo, non sì. astiene dall’ adoprare alcuni argomenti che non recano persuasione, e coi quali in conseguenza non s’ ottiene quel nobilissimo fine ch’ egli s’ è proposto . Or se alcun poco lo accenneremo, non sia tra voi re- ligiosi lettori chi ci riprenda , quasi disarmar tentassi- mo.chi pugna per causa così santa. Sia lungi pur dal nostro pensiero il minimo dubbio intorno, alle. verità ,. che sono base al cristianesimo : ma lo zelo di esse ci consiglia a dirvi quali armi possono nella guerra cogli increduli infrangersi al primo scontro, e quali sono così gravi che trattar non si debbono da destra mortale. Non vogliamo che l’ umana ragione si levi in orgoglio, e follemente si persuada poter fare a meno dei soccorsi della fede che ci guida colà, dove chiave di senso nor disserra (Dante Par. c. IL.). La questione intorno all’ori- Fa gine di quel sentimento che ad approvar ci muove. le: azioni che alla virtù sono conformi, fu dopo gli scritti. dell’ Hobbes e del Cudworth. particolarmente agitata dai filosofi inglesi. Quest’ ultimo e il Clarke credettero che le morali differenze tra vizio e virtù fossero per- cepite da quelle stesse facoltà , che distinguono il falso dal vero. L’ Hutceson fu il più grande oppugnatore di que: sto sistema , ed asserì esservi nelle umane azioni certe qualità , che non percepisce la ragione; ma il senti- mento; e chiamò senso morale quella, secondo lui, insi- tà proprietà dell’ animo nostro, onde l’ aspetto del vizio. ci contrista , e quello della virtù ci rallegra . L’ Hume e lo Smith convennero‘in generale | con lui; ma l Hutceson suppose che questo senso morale fosse uno di quei fatti ‘primi dei quali la ragione non va chiesta, perchè non può esser data; e gli altri due ten- tarono di trovarla L’ Hume la vide nell’ interesse; lo Smith nell»in- teresse e nella simpatia , cioè in°quel principio della nostra natura, onde siam tratti ad esser partecipi di quelle passioni che lo stato dei nostri simili è potente m eccitare . pi Ecco in poche parole la somma della sua dottrina. Quando noi approviamo d’ alcuno il carattere ol’ azio- ni, i sentimenti che in noi si destano nascono da quat- tro sorgenti diverse. I. Noi abbiamo simpatia colle ca- gioni, che lo hanno mosso'a fare un benefizio. II. Noi el figuriamo la gratitudine di chi lo riceve. INI. Noios- serviamo che la condotta del benefattore è stata con- forme alle leggi che regolano le due simpatie delle quali abbiamo parlato . IV. Finalmente quando si. considera. queste azioni come in armonia ad una condotta morale, 23 che tende a promuovere la. felicità degl’ individui o della società ,, e. ci sembra che queste azioni. medesime dalla loro utilità prendano pure bellezza. Così nell’ esa- minare una macchina, non tanto ci occupa il pensiero dei vantaggi ch’ essa reca; che si dimentichi di dar lode all’ ingegno dell’ inventore . I nostri lettori conoscono troppo 1’ indole, della filosofia del sig. Stewart, per sospettare. che la, teorica, dello Smith intorno ai. mo- rali sentimenti potesse appagarlo . Egli dunque rimette in campo il sesto senso dell’ Hutceson; e crede che sia un original principio della nostra natura . Il risuscitar questa ipotesi sembrerà a molti per certo un passo retrogrado nella carriera della ragione, un ricoprire in vece di scoprire: ma egli è nella naiura della mente umana che tutto in.;essa si colleghi; e quel filosofo, che non'deriva tutte le nostre idee dalle facol, tà del nostro animo; e dalle sensazioni, sarebbe con sè stesso inaperta contradizione, se ricorresse a questo fonte per ispiegar l’ origine di certi. sentimenti che per anto- mamasia si chiamano morali . Il supposto dell’ Hutceson ( che così dobbiam chiamar un’ opinione che non s’appoggia su fatti co- stanti: ) è difeso dal nostro autore con ragioni sl de- boli che non meritano d’ esser combattute . Però ci basti il considerare che con queste splen- dide menzogne compensar s° avvisano «alcuni il genere umano della perdita di beni reali, e. porgere un rimedio a quelle sventure delle quali; fu red. è in loro la sorgente. Difendono i sogni di Platone tra le profusioni d’ una cena, ove si. consuma ciò che sarebbe: sostegno di. fanciulli innocenti, e di madri pie, che cascano' in quel tempo di fame sulle porte inesorabili de’ possessori di tante improvvise e mal- 24 nate ricchezze . Noi crediamo alla virtà e alle certe ricompense che l’aspettano al finire « di questa vi- ta che alla morte vola «, ma ci sembra:che |l'am- mettere questo senso morale infuso, vaglia. lo stesso che il credere a delle percezioni ‘esistenti prima che sieno percepite è i Avendo noi manifestata la nostra opinione intor- no ai fondamenti della morale, giudichiamo inutile il discutere se l’amor di noi stessi sia la cagione che muova tutte le nostre azioni; verità intorno alla quale non può cader dubbio qualor bene si determini il senso delle parole . In fatti egli è certo che tutto è in noi, e che amar non possiamo cosa alcuna che relativa- mente a noi: ma qualcosa appartiene all’ uomo più del- le proprie idee e più de’ proprj sentimenti? E dall’ une e dagli altri noi siamo in siffatto modo talvolta signoreg> giati, da perdere di vista ogni materiale interesse . Le passioni in fatti ci portano più in là, di quello che pel nostro utile dovremmo andare ; e la. felicità, scopo di tutti , è mai sempre da noi ig veduta , seguita e non mai raggiunta . Spetta alla sapienza dei chiudo tieri dei popoli d’ istituirli in modo che i pensieri ge- nerosi non sieno una vana: speculazione della mente, ma regnino sul core , mercè dell’ efficace potere della educazione : allora l’ amor del buono e del vero diver- rà il primo degl’ interessi . Ove. ciò non avvenga, molti ipocriti ci parleranno ognora di virtù senza praticarla: e ancor nei pochi per- suasi di quello che dicono , i fatti mal si accorderanno all’intenzione: saranno essi peggiori del vecchio arti- sta, di cui Dante favella , perchè oltre alla mano tre- mante ,.niun abito avranno di magnanime imprese . LA. dopo aver disposte per classe le facoltà. mo- 25 rali dell’uomo , e analizzate tutte le percezioni e tutti i sentimenti ‘in queste facoltà contenuti, parla dei no- stri\doveri verso la Divinità, e verso i nostri simili. Ognun s’ accorge che dopo avere investigato quali della morale sieno i fondamenti; ragione volea che un simile esame ei facesse di quelli della natural religione. Il perchè il sig. Stewart nom:s’ astenne dal darci una bre- ve confutazione degli scettici raziocinj dell’ Hume sulla relazione fralla causa: e l’ effetto , raziocinj di tanta ef- ficacia: sull’ animo del Kant; che ruppero il suo sonno dommatico ; e diedero origine ad. un; sistema, ch' ebbe per seguaci o per oppositori i più preclari intelletti del- la Germania. È prezzo dell’ opera 1’ esporre i dubbj del principe dei moderni pirronisti . Tutte le nostre idee, egli dice , non sono che copie delle impressioni, 0., ciò che vale lo stesso , egli è impossibile di pensare ad, alcuna cosa che non abbiamo ‘antecedentemente sentita per. mezzo degli esterni o degli interni sensi. Quindi, indipenden- temente dall’ esperienza, la nozione di; ciò ch'è causa non contiene in verun modo quella dell’ effetto, come lo provano molte proprietà dei corpi , che ci .rimarreb- bero ignote , se rivelate non ci fossero or dall’ osserva- zione ; or dal caso . È perciò evidente, che noi non possiamo fondare 1’ idea della connessione reale di due avvenimenti che sull’ esperienza . Or da questa non può mascere nel nostro. spirito l’idea di tale unione fra un evento e un altro, che la mente nostra trovi contradizione nell’ ammettere l’ op- posto .. In somma tutti gli oggetti. non sono. connessi, ma congiunti ; e riguardo a quello ch’ esser ;dee. neces- sariamente, l’ esperienza è muta. La nostra immagina zione pone un legame reale e necessario in ciò che ve- 26 demmo unito ognora inisieme : essa aiutata dall’ abitu= dine mette gli eventi che si succedono nella. relazione di scambievole dipendenza, cioè di causa e d’ effetto . Il Kant in ciò discostandosi dall’ Hume opinò, che si manifesti in noi nella prima infanzia colla forza; e colla tenacità d’una vecchia opinione questo: princi+ pio: « tutto ciò che accade suppone di necessità una causa efficiente ». Però egli pensa che-questa.idea non derivi dall’ esperienza , ma. da quelle ch’ egli. chiama facoltà subiettive dell’ animo nostro (7). La scuola scoz- zese ammette il mentovato principio come un fattò primitivo , e quindi non si crede obbligata a rintrac- ciarne l’ origine. Rigetteremo, dice il sig. Stewart, la parola causa , che si trova in tutti i limguaggi , per- chè esprime un idea della quale non possiamo render ragione secondo un particolar sistema . La riflessione è giusta: ma una teorica qualunque non può esser seguita nelle premesse, e abbandonata nelle conseguenze; e sa- rebbe forza rigettar come falsa quella del Locke intorno all’ origine delle idee, se non bastasse a dar ragione di un fenomeno veramente primitivo , e attestato dalla coscienza . Inoltre perchè si nega d’esser seguaci del Kant, e si paragona la sua filosofia ad. Issione che abbraccia la nuvola, quando si riconoscono tanti principj inna- ti necessariamente congiunti colle nostre percezioni ? Or che. sono questi principj, se non facoltà su- biettive ? Non sarebbe meglio convenire ‘nel : sistema del filosofo di Conisberga , ‘ché ‘lasciare tante lagune nella promessa analisi ‘delle ‘facoltà umane, e non soddisfare alle condizioni che' uno s° è proposto» ‘di adempire? Ma ciò verrà da ‘noi meglio dimostrato in appresso . sm. In una disputa così difficile noi ci ristringeremo a manifestare quell’ opinione che risulta dalla filosofia che abbiamo seguita finora. Crediamo dover premettere che una verità tanto solenne quanto l’ esistenza di Dio, non ha mestieri d’ esser provata con queste sottigliezze . Seguasi riguardo alla disputa agitata ol’ Hume o il Read o il Kant, noi veggiamo nell’ universo tale e tanta combinazione di mezzi che cospirano a un fine, che a noi sembra la ‘più assurda delle follie il negare una suprema intelligenza. E conviene non aver mai ri- volti gli occhi al cielo; nè mai interrogata la pro- pria ‘coscienza per non esclamare coll’ Alighieri: | La gloria di colui che tutto move Per l’ universo penetra, erisplende . ‘Dopo questo , si noti che non è dato a noi mortali conoscere l’ essenza delle cose, o la causa di tutto: quindi più presto 0 più tardi nel libro del nostro sa- pere comincia la' contingenza. Uomo non havvi che abbia la certezza dell’impossibilità che il sole si levi all’occidente: ‘ma sente ognuno che non può esser falsa ‘questa proposizione ». Ogni corpo pesante ha bisogno d’ esser sostenuto per non cadere. E perchè ? La nozione di corpo pesante verrebbe annullata nel nostro intelletto ove non vi si compren- desse l’ attributo del cadere. Nel primo esempio sap- piamo'che la cosa è vera: ma non troviamo nella mente repugnanza ad un ipotesi diversa, perchè a.dimostrarla impossibile d’ uopo sarebbe il conoscere la causa prima dell’ universo . | ; ‘Quindi nessuna proposizione generale non è d’ una verità necessaria, che in quanto ella è una proposizione secondaria: dall’ invincibile ignoranza in cui noi siamo delle cause prime , ne viene questa inevitabile conse- 28 guenza: « tutte le nostre proposizioni prime sono con- tingenti «. Ecco la ragione onde il nostro spirito respin= ge ogni idea di possibilità, che un eccezione possa un giorno porre dei limiti all’applicazione universale delle proposizioni secondarie, e non a quella delle prime. Ignoriamo se in un corpo esistono altre qualità oltre quelle che ci sì manifestano : e però in tutte le ve- rità che hanno per base l’ esperienza non veggiamo che una certezza ipotetica e condizionale. Ma noi siamo certi della nostra esistenza, e dei suoi modi o percezioni; onde avviene che la contradizione sia sen- tita dal nostro spirito quando in un idea , o sempli- ce o composta , egli trova un’ elemento che escluda la nozione della quale egli va in traccia . Troviamo impossibile a. supporre, che un cangia- mento possa aver luogo senza una causa, perchè nella contraria ipotesi, non altrimenti che nell’ esempio ac- cennato di sopra, ogni corpo pesante ec. l' idea-stes- sa viene ad annullarsi. Quanto or da noi si. consi dera acquisterà maggior chiarezza, se ci rammentia- mo del modo col quale si formano dalla mente nostra le proposizioni generali . Noi le facciamo riguardando in un idea com- plessa a un solo elemento comune a molte altre idee, onde si guadagna in estensione quello che si ‘perde in comprensione. Il nostro spirito allor considera una qualità separata -da un’ oggetto, e l'attributo diviene il subietto della proposizione. Or, negando. |’ attri- buto, si nega l’intiera proposizione. Ricordiamoci inoltre che non vi sono giudizj negativi se non nelle forme, e che quindi tutte le proposizioni sono nella sostanza enunciative. Nell’ idea di causa vi è questo . 29 necessario elemento « una mutazione prodotta « se vel togliete, non'è più Vl istessa idea. Goncediamo al N. A. che si annette alla parola potere un senso diverso da quello «di mera. successio- ne. Ma sarà egli tanto difticile il. trovare |’ origine di questa idea? Abbiamo osservato di sopra che i corpi resistendo alla nostra volontà di moverci,,. ci rivelano la loro esistenza. ‘Allora 1 uomo non ‘ solo sente, ma pure. sa di agire; e in forza della mo- bilità e dell’inerzia, ( propietà senza le quali non possiamo concepire ‘ come potrebbe sussistere il no- stro corpo , . e ciò che sarebbe l’ esistenza: dell’ uni- verso ‘) egli s’ accorge d’ essere una ‘potenza, e che v'è una. potenza . Nate nella mente nostra le due idee dell’ 7o, e di corpi differenti dall’ /o;'noi veggiamo necessaria- mente derivarne la nozione di causa e’ d’effetto, stabilirsi fra luna e Valtra ‘idea ‘una ‘relazione in- ‘dissolubile:;, e l’uomo considerarsi ‘a seconda dei fe- momenti, or sotto. il primo; or sotto 1l secondo ‘aspetto. Se non avessimo; notizia che del puro /o, tutto ‘forse ci sembrerebbe congiunto, ma nulla ‘connesso: fa ‘d*uopo, ricordarsi ; ‘che riconosciamo nella. mate- ria propietà ad ‘essa ‘inerenti. L’ estensione soprat- tutto , qualità dei corpi dipendente dal. resistere di essi al‘ moto, e che a noiigli fa manifesti; produce ‘sull’’animo nostro tale effetto, ‘che non possiamo con- (di cosa alcuna che ne’ sia intieramente priva . ‘ Nell’infanzia della ragione s’ unisce sempre l’idea ‘di ‘volontà a quella di potere: l’uomo rozzo .è tratto ad immaginarè un volere in tutti gli oggetti che so> pra lui ‘esercitano idell’influenza . Non tutti! 1 feno- O) 30 meni della natura si presentano sempre colle . stesse circostanze: in quello che noi chiamiamo disordine; la razza ignara dei mortali’ vide una maggior pw tenza, e.quindi una. volontà più forte . Non pretendiamo di avere sciolto con queste deboli congetture il. nodo gordiano della metafisica: e non sen- za dolore siamo stati e saremo costretti a trattenerci so- pra a questioni che si trovano tra i confini di/due scien- ze, al parer nostro del tutto divise , l'ideologia; e la teo- logia . 1° Prima d’ abbandonare questo argomento, credia- mo dover; fare queste utili. avvertenze . Da. questa idea di possibilità, che .un’ eccezione possa limita- re o distruggere le verità esperimentali ,, son na- te e masceranno tutte le: speranze che c'ingannano , tutti gli. errori che ci tormentano, e non poche verità onde si dileguarono le tenebre dell'ignoranza ; fu vinto Verrore , e i miseri mortali trovarono nelle loro pene” inaspettati conforti. Qual’ esperienza avremmo mai. fat- ta, se il nostro spirito fosse rimasto. contento a quelle ragioni dei fenomeni che gli sì presentavano al primo aspetto, Ma è pur sublime specie di tormento questo. de- siderio d’ alzarsi sempre di ramo in.,ramo per.l,albero del sapere ; le cui radici e.la cui..cima stanno fra due abissi. Aggiungasi che quando non si possono allontanare colla scienza i limiti della mente; s'atterrano coll’imima- ginazione, perchè I’ esperienza rade volte appagai desider; dell’intelletto: Essa è per lui ciò. che il Dio Termine pei romani: non vi ha.loco in cui esso voglia porla per non esser!costretto a rispettare i. confini! ch’ ella prescrive alla sua curiosa ed irrequieta. fantasia. Quindi; è chella filosofia delle cause finali, quantunque:assurda e temera- ria, troverà sempre dei difensori, tra i quali sembra che 3i il N; A:debba annoverarsi. « Egli riflette che nella pre- «'senteretà in cui il vero metodo di filosofare è quasi « generalmente conosciuto, noi possiamo dalla conside- « razione delle cause finali, purchè si tengano ben se- «parate dalle fisiche , trarre qualche frutto ancor nel- | &lescienze naturali 1». Lascio ad'altri il considerare qual ventura sarebbe pei progressi del sapere se il sug- gerimento del sig. Stewart fosse seguito: ma ci consola l’ esser certi che ‘ogni naturalista farà a meno delle cau- se finali quando ha scoperto i.mezzi primitivi adoprati dalla natura } dai quali dipendono le cagioni «efficienti e formatrici ; che agiscono tante volte in un modo ben rèpugnante alla dottrina delle cause! finali. Nei corpi organici quello ch'è mezzo essendo pur fine, chi. non sente l’imutilità di simil ricerca? Il sig. Stewart, per mo- strare quanto accorgimento sia nel consiglio per lui da- to ai naturalisti, fa questa avvertenza. «'Egli è un comun modo di ragionare tra ali ana- « tomici, che niente dalla natura ;fu fatto invano; € « lasso essi trovano nel corpo d’ un’ animale. qual- «che parte della quale l’uso non sia noto; il lord ani- « mo non posa finchè almeno in parte nol a »i O noi ‘andiamo miolto errati; o questa non è considera- “zione che masca da ciò che:si chiama causa finale, ma bensi dall’ esperienza; e da un raziocinio che Pig que- sta si fonda. ui: ti o] E non Lugano a priori, mia‘ sol coll’ analisi dell’ intima struttura d’ un iorganò ;l’ranatomico saprà le condizioni dell’esistenza di ‘esso ;;exdedunrà ida que- ste l ufficio dl quale ‘è destinato:;,e le relazioni»ch’ egli ha col ‘complesso’ al quale: appattiene.:Notisi inoltre chié ai più sagaci osservatori non sarà sempre concesso giun- gere a questo scopo. Im.fatti sivdisputa’ ancora ta gli 32 anatomici sulle funzioni della milza. Vi sonò intòrnò a ciò molte ipotesi, perchè le spiegazioni d’ un fenomeno abbondano ‘sempre in proporzione. della sua oscurità ; nella guisa stessa che sono più numerosi gli specifici per Je malattie che il medico meno. comprende; Ma. per porre i miei lettori ih grado di giudicare qual valore nello stato. attuale dell’ anatomiche cognizioni. debba darsi ai pensamenti del sig. Stewart, riporteremo le con- siderazioni, alle quali ha dato origine un opera intito- lata, dilvioia anatomica la quale; e per la finezza del. l’osservazioni, e per la verità dei raziocinj ; ha riscosso 1 suffragj dei più rinnomati naturalisti francesi. Ni le plan ni le nombre des organes ne sont un’at- tribut genéral: il n'y a que les élemens primitifs,. ou les materiaux costituens. qui svient. invariablement donnés, ti Quant au groupement des ces materiaux d’ou. nais- sent les organes;vil. peut. se faire «de mille maniéres È selon les conditions ;que. M. Geoffroy a ‘determinées pour la plus part. La plus puissante est sans doute le principe méme des relations. Ainsi selon que deux. piéces connexées sont portées à une plus, ou moins grande distance; il en resulte du moins pour l’une d’elles la nécessité d’un alongement proportionnel. ; | Le développement des organes rudimefitaites est d’un autre còté toujours subordouné à celui des organes classiques qui s’enrichissent quelque fois de leurs per- tes. Enfin de ce que le nombre des matériaux. est. fixé il suit evidemment que l’un d’eux ne peut se dévelop- per aveciexcès qu'aux depens. des autres. J'insiste,sut ces conditions parceque elles sont materielles.. Depuis que Galilée a reduit l’horreur du! vuide. à métre plus. 33 que l’effet de la pesanteur de l’air, les physiciens mo- dernes ont secoue le joug des forces occultes. Les pro- grès de la physiologie dissiperont à leur tonr toutes ces loix vitales, réellement occultes, et. qui mieux con- nues se résoudront infailliblement dans des loix physi- ques. Je suis persuadé que l’ admission méme provisoi- re du mot force vitale est un mal; car il ne saurait di. spenser de la recherche des causes PRI et il peut fai re croire à l’inutilite de cette recherche. C'est un ri- deau qui couvre.un vide. M. Geoffroy n'a jamais eu re- cours à ce qu'on est, convenu d’appeller des cazses fina- les ;.et je pense qu'on doit lui cn savoir gré. Ces causes ne sont en depit de leur nom que les effets evidens, ou les conditions mémes de, l’existence de chaque objet; et sous ce' rapport on; auroit peut. étre mieux fait de les nomnier des causes nécessaires. Il est toujours cer- tain que on n'a jamais rien prouvé par elles, si non leur impuissance meme à rien prouver, Coll’ addotte riflessioni abbiamo avuto in animo soltanto di mostrare, che l'uomo non può stabilir limiti alla potenza della natura e alla volontà di Dio. Persuasi della sua esistenza «a. guisa del ver pri- «mo che l’ uom crede » non dubitiamo però d’asse- rire che Ja teologia o, scienza, de fini è posta in tal lo- co dove nè i sensi, nè la ragione, che. da, loro prende l’ali ci possono condurre. Mortali miseri e superbi, voi, credete prostrarvi davanti ai consigli dell’Eterno e ciecamente adorate i fantasmi del vostro intelletto. E, contro chi. gli revoca in dubbio v'adirate, come se le congetture dell’ uomo fossero i disegni dell Ounipotente, e la sua gloria di- pendesse dalla sorte delle vostre ipotesi or temerarie, or Maria Penserete voi sapere il (perchè dell’ opere del T. II. Aprile 34 divino Architetto mentre appena vi è dato di conoscer? ne il come. Ove la rivelazione non ti palesasse 1 tuoî sublimi destini, uomo, che penseresti tu d’essere? Un . atomo, ludibrio di tutti i venti ; condannato al dolore, e a una tormentosa ignoranza, chie dipl si sforza di usci: re dai limiti della sua sfera e ognor n'è respinto, men che un onda faggitiva nel grati mare dell’essere, la qua- le non sa donde giunga, nè dove ella muova. Non esamineremo le ragioni colle quali il NOA. assume di giustificare la Provvidenza riguardo all’ori- gine del ale: ne tampoco vogliamo discuta gli argo- menti coi quali egli imprende a dimostrare l immorta- lità dell’anima umana. Avremmo desiderato che a so- stegno di verità così rilevante il sig. Stewart non faces- se uso d’alcune prove delle quali la falsità ,0 la debolez: . za salta agli occhi di tutti. Così in un vago anello spia- ce il vedere poste'accantò a gemme preziose delle pie- tre di così poco valore, che inigannar non possono nep- pur gli occhi ineruditi . Confessiamo inoltre ‘credersi per noi che in siffatto genere di ricerche la filosofia noù debba andar mai dis giunta dalla rivelazione. Il peccato originale è è un fatto che l'orgoglio dei filosofi‘ ion ‘vorrebbe riconoscere, mà che solo può darci la chiave di tanti ‘misteri che sono nel nostro intelletto; e'nell’ordine della natura. Il sig, Stewart ha un bel dirci che le leggi generali di questa sono benefiche nel loro scopo: ma non vi ha mortale così savio, e così felice che ‘non sia stato qualche volta costretto ad esclamat col Petrarca Oh natura pietosa, e fera madre! ‘ E chi non sa che?tàtti gli enti sensibili non posso- no sussistere, che distruggendosi vicendevolmente, e son quindi DANA tutti, non solo alla morte, ma 35 pure al dolore. Le sottigliezze speculative non tolgono nulla alla realtà delle cose. La più sublime di tutte le umane filosofie, che fu quella degli stoici, non seppe alle pene dei mortali rispondere se non questo. Rassegna- tevi al male perchè egli è necessario. Questa idea avrà forse trattenuto il pianto sul ciglio di pochi magnanimi: ma néi più delia razza umana non può, nè potrà mai rasciugare una lacrima sola. Il Cristianesimo , che è la filosofia per eccellenza, rivelò la cagione dei nostri mali, e ci diede questa bella , e sublime consolazione: « sarà per voi, 0 mortali; meritorio quello che in conseguenza del primo fallo è divenuto necessario. Allora fu amato il dolore «e bella incominciò a farsi la morte ». Petr. Or siamo; nell’obbligo di soddisfare alla nostra promessa, edi rispondere ad una dimanda che debbo- no naturalmente farci i nostri lettori. Qual giudizio in generale noi formiamo della filo- sofia: della scuola scozzese e del sig. Dugald Stewart che ha illustrata ‘co’: suoi scritti? Prima di rispondere ram mentiamo quello che per noi fu annunziato nel princi- pio del nostro ragionamento; cioè che ci proponevamo, non di dare un giudizio, ma d'’istituire ;iun confronto. Nonostante, se da noi si richiegga quali idee siano nate nell’animo‘mostro da questo paragone, dalla lettura del presente libro, e da quella d’altre opere del celebre À., francamente. risponderemo. À. moi sembra, che la filo- sofia'della così detta scuola scozzese sia più sottile che profonda , e tormenti l’intelletto senza appagarlo. Essa proponendosi \di riguardare’ soltanto ai subietti della no- stra coscienza è inclinata a .contentarsi «d’alcune idee delle quali mon conosce la generazione, e a considerare come un ente'astratto lo spirito umano, ‘che certamente non può esser tale finchè non gli è aperta la prigione 36 nella quale è chiuso. Ingegnosamente Bacone osservò che, se trascuriamo di badare agli oggetti delle nostre percezioni, la nosira mente rivolta in sè stessa fa come il ragno. Essa crea certe interminabili tele di dottrine meravigliose per la tenuità del filo e dell’opera; ma quanto all'uso frivole, e vane; buone soltanto, aggiun- gerem noi, per chiappare certi ingegni che per la lor forza s' assomigliano alle mosche. Sarebbe ingiusto. chi rimproverasse ognora questo difetto alla scuola scozze- se : facendo essa al Locke non un aperta, ma tacita guerra, non vuol sempre osservare, ma di rado ardisce supporre. D’alcune idee, o non sa, o non vuol trovare l'origine; or fa uso dell’analisi, or se n’astiene: ma, per vero dire, paventa spesse volte di decomporre le nozio- ni generali, e di giuugere alle percezioni semplici dalle quali emanano (8). Però ha trovato un fonte misterioso a molte astra- zioni delle quali essa non rinviene gli elementi nella sensazione, nè vuole che derivino immediatamente dal- la nostra coscienza, ma che sono, dice ella, formate di necessità dalla mente nostra, mentre esercitiamo le no- . stre potenze su gli oggetti proprj soltanto di esse. A noi sembra che ciò sia un seguire l’ opinioni del Kant senza ridurle a sistema; e se le facoltà. originarie inerenti al nostro spirito ci danno in qualche circostan- za delle idee indipendenti dall’esperienza , non veggia- mo la ragione per la quale non debbano farlo sempre, e non vi sia in conseguenza qualche cosa d’innato ne- cessariamente congiunto a tutte le nostre percezioni. Se nell'anima nostra vhanno, per servirsi dei termini del Kant, delle nozioni pure, cioè derivanti solo dalle no- stre facoltà, esse nozioni debbono essere una forma pria mitiva, una legge fondamentale del nostro intelletto ; la 37 quale si estenda a tutti i fenomeni, e abbracci tutti i materiali delle nostre cognizioni. Nell’opere del sig. Ste- wart non abbiamo trovato, e sarà nostra colpa, nè pre- cisione d'idee, nè deduzione rigorosa, nè quell’analisi in somma fredda, severa ,inesorabile, che come la mor- te riduce tutte le cose ai suoi elementi. Egli ha ben di rado il coraggio di chiudere le strade che conducono al- 1’ errore. Scrittore elegante d’armoniosi periodi non si dà talvolta gran fatto cura delle cose: pare che debba la sottigliezza de’raziocinj alla sua estrema circospe- zione. . ‘ Questa è tanta in lui ch'egli applaude ai pro- gressi della ragione sì timidamente, come -chi assi- stesse alla mascosa recita d'un bel dramma proibito in mezzo a spettatori dei quali diffida. il core gli dice di batter le mani, e la paura di tacere. Non essendo il sig. Stewart uno di quei filosofi che di- cono tutto e non suppongono nulla, speravamo di trovare nei suoi scritti quei pensieri, che se non con- tentano la ragione, piacciono alla fantasia: non ab- biamo rinvenuti questi, e molto meno quelle parole di luce, quelle immagini splendide ed esatte, delle quali Bacone abbonda, e che chiameremmo volen- tieri la poesia della ragione. La diffidenza delle nostre forze, e la venerazio- ne alla fama della quale gode in tutta la colta Eu- ropa il sig. Stewart ci avrebbe consigliato a celare nell’animo nostro queste riflessioni, che a molti sem- breranno false. e a tutti ardite. Ma chiunque è vinto dall’ autorità d’ un gran nome non esamini, ma cre- da: la critica debbe esercitarsi con libertà maggiore sull’ opere degl’ ingegni eminenti, e la filosofia non vuole dei timidi amici. Ci è sembrato vero quanto 38 abbiam detto: ma siccome il dubbio, come notò Dan te, nasce sempre a piè del vero, termineremo coll’ os- servare che nelle questioni metafisiche, oltre ai tanti pericoli, v'è pur quello di non esser mai pienamente sicuri d’ aver compreso le idee che si combattono . Finchè i filosofi non cercheranno col coraggio degli antichi, e col metodo dei moderni, se tutti i fenome- ni dell’ intelletto provengono da un piccol numero di fatti primitivi, e se questi debbono ridursi ad un solo, l’ideolgia, ch'è pur la base del nostro sapere, non avrà mai lingua, perfezione, sistema , nè . potrà quindi meritare veramente il nome di scienza . NOTE sala Nota 1. Destutt Tracy. Nota 2. v. nell’ Encicloped. Britannica Vol. I. Part. I. Suppl. la Dis- sertazione del sig. SteWart intorno ai progressi delle scienze morali. Nota 3. Non par liamo delle dottrine ideplogiche insegnate pre- sentemente in Francia . Queste a parer nostro sono uno stra- no miscuglio nel quale si tenta di conciliare il Kant col Con dillac , o. pure col Cabanis.. L'esame di Yxuesta nuova Filosofia sichielleohbe un articolo a parte; e avevamo in animo di far- lo: ma poichè il traduttore italiano d’ un opera della nuova scuola ci avverti che tra i filosofi , coi quali il suo autore si era messo d’accordo, trovavasi pure il Bonald, non ci venne voglia di scrivere, ma di piangere sui destini della ragione umana. Nota 4. Ci riserbiamo a dire alcun chè intorno alla nozione di causa e d’ effetto, quando nigioneremo, di quegli argomenti coi quali l’ A. prova gela d’un ordine più sublime. Nota 5. Rimettiamo i nostri lettori al Tracy, il quale mnonlascia 39 secondo che a noi sembrà alcun dubbio a questo riguardo , prova pure che ogni giudizio consiste nel riconoscere che |’ dn totale dell'attributo è tutta compresa nell’idea del soggetto , e ne fa parte. È Nota 6. Veramente il N. A. non s’accorge talvolta delle conse guenze alle quali potrebbero condurre alcune sue idee . Per esempio egli dice , che l’ idealismo è un sistema meno pericoloso del materialismo ; e poi trae le sue prove dell’ esistenza, di Dio principalmente dall’ordine della natura. E che vaglion queste prove in un'ipotesi nella quale il mondo fisico è distrutto, e quindi ogni certezza svanisce. Spinosa, e Berklei arrivano allo stesso punto per una strada differente : la prima è più corta , la seconda è più lunga : pochi s’ accorgono dei pericoli dell’ ideali- smo , perchè sulle vie della ragione è molto facile il fermarsi . Nota 7. Ci sembra una proposizione interamente falsa quella dei seguaci del Kant, che asseriscono non trovarsi nell’ esperienza l'origine di questo assioma. ,, Tutto ciò che accade suppone di necessità una causa efficiente ,,. Oltre le addotte ragioni basti il considerare che la relazione di tempo, la simultaneità 0 successio- ne immediata legano fra loro gli avvenimenti nel nostro pensiero, come nell’ ordine della natura. Senza questa coincidenza , e questa armonia nessun’ animale, potrebbe sussistere , giacchè non sa- prebbe come provvedere alla propria sicurezza. Quelle leggi della natura che ci è necessario di conoscete percotono i nostri sensi in una maniera così immediata , che sembra quasi che. si manife- stino alla nostra esperienza prima che. alla nostra ragione . È impossibile risalire a un’ epoca in cui questa associazione d’idee mon abbia esistito , e questo accordo fra la natura, e fra i mostri pensieri non ci abbia servito di guida. Ma questa ybi- tudine, come ogn’ altra cosa dalla Gaale, si ricava dell’ utile, è sorgente di divolti errori. Ayvi alcuni fenomeni nei quali Pao suc- cedersi non è sì costante che basti a stabilire la retazione di causa e d'effetto : ed avvenne pure degli altri ai quali, mal- grado questa nnione apparente , l’esperienza ritrova un ori- gine diversa . Fra diverse circostanze che precedono un fatto osservato, quale fisseremo noi come costante, e quale sarà giudicata accidentale ? Se in una moltitudine di esperienze que- 4o ste circostanze ci si presentano sergpre combinate nella stessa maniera, qual mezzo ‘ci si presenta per iscoprir quella, dalla quale questo fenomeno dipende ? E se noi vogliamo ottenere l’ef- feito osservato, qual circostanza ci è permesso di trascurare ? Per giungere al nostro scopo, e riconoscer le circostaaze che de- terminano il fenomeno, bisogna con molti esperimenti sepa- rarle, variarle, sotto diverse forme. Così ci accertiamo dell’in- fluenza delle circostanze , si distingue nelle leggi della natura quello’ che è accessorio da quello che è principale , si allontana quello che non è nell’essenza dell’ oggetto che si studia , si giun- ge ad un fatto unico. Ma il nostro spirito si fermerebbe egli benchè questo fatto unico rendesse ragione di tutti i fenomeni ? Nol crediamo : siamo sempre in traccia ‘di una causa. Questa inclinazione è così inerente alla mente umana quanto l’immagine scolpita da Fidia sullo scudo di Minerva, che toglier non si ‘po- tea senza romper l’ intiera statua. Non vogliamo mai ricordarci che i corpi non sono per noi che l’ aggregato dei fenomeni os- servabili , che ci presentano. La lor natura, la loro essenza relati- vamente a noi è nel complesso di questi fenomeni. La spiegazio- ne di questi si deduce dalla relazione di rassomiglianza, o di successione con altri fenomeni conosciuti. Allorchè un fenomeno rassomiglia ad un altro, la nostra mente ad esso lo collega più o meno strettamente a seconda della maggiore , o minore rassomi- glianza E quando un fenomeno succede costantemente ad un altro si suppone che sia, o generato da esso, e si stabilisce fra ambedue la relazione espressa colle parole causa, ed effetto . Quindi è chiaro che i fatti generali non possono spiegarsi, nè può assegnarsene la cagione . Se questi avessero una relazione di rassomiglianza con un altro fatto cesserebbero d’ essere generali o subordinandosi ad esso, o confondendosi in esso. E molto ‘meno in questi fatti generali investigar ci è dato la relazione di causa ed effetto, poichè questi aver luogo non ‘possono che tra i fenomeni ugualmente noti che la natura presenta in un ordine generale di successione . Or l’ultimo fenomeno , o il fatto gene- rale cesserebbe d’ esser tale qualor si potesse subordinare ad nn altro che allor prenderebbe il suo posto . Riflettiamo finalmen- te che il collegar sempre l’idee colla relazione di tempo è pro- prio dell’ ignoranza e della debolezza: ma il filosofo al ter- minar delle sue indagini è costretto a far quello che da prin- cipio fa I’ ignorante. 4I N. B. Abbiamo in gran parte estratto questa nota dalle belle considerazioni che il sig. Stevvart fa riguardo all’ asso- ciazione dell’ idee. Questo subietto solo a noi sembra eminente- mente trattato nella sua opera intitolata Elemens of Philosophy of human mind . Nota 8. . Sappiamo che è impossibile di fare un istoria precisa dell’ intelligenza umana, perchè i materiali del pensiero e del raziocinio entrano nella nostra anima in epoca che la me- moria, e il giudizio sono quasi.senza attività. Come descri- vere quello che non si è potuto osservare? Ma per questo ci asterremo dall’esame , e dall’ analisi de’ resultati del nostro in- tendimento : Si è detto , che il trattato delle sensazioni scritto dal Condillac è un complesso di congetture, e non un qua- dro reale dello spirito umano. Non intendiamo negarlo: ciò non pertanto in questa opera eminente il Condillac ha prima di tutti dimostrato che in molte idee, che si credevano e sono credute tuttora semplici da chi non l’ha letto abbastanza, v’ era- no non poche parti distinte, e che molte, e diverse operazio- ni intellettuali dovevano aver avuto luogo per riunire queste ‘parti - Nè le sue ipotesi conducono, come viene senza alcuna ragione asserito, a conseguenze contradittorie e inconcepibili : anzi quando uno dei passaggi pei quali le percezioni entrano nell’ animo si è trovato chiuso, è venuta in luce maggiore la verità delle sue idee e la bontà del suo metodo. Ciò è tan- to palese a chiunque abbia esaminato e istruito i sordi e mu- ti, che non v'è bisogno per provarlo di ragionamenti . Del ri- manente il non analizzare, e quindi non ben determinare le idee, trae di necessità a fare dell’ ipotesi e a parlar di princi- pj innati necessariamente congiunti alle nostre percezioni. Que- ste ipotesi nella scuola del Read rimangono come in un edifi- zio delle parti che non hanno che far nulla, anzi discordano dal complesso dell’ edifizio medesimo . Nella scuola tedesca, la quale se assurda è nei principj è per certo molto rigorosa nelle conseguenze , si è tratto partito da queste idee non analizzate per formare delle supposizioni , e sulle supposizioni s° è fonda- to un sistema. Pare che l’ombre di Bacone, dell’ Hobbes e del Locke abbiano spaventato coloro che forse avevano la pia intenzione di fare altrettanto in Inghilterra. 4g SCIENZE MORALI x POLITICHE ECONOMIA, FINANZE. (dazio Golia Lera ono) Vedi dae Ti nti LeTtTERA XI S.'James, del 19 Dicembre 1819. £ L non vedrei che utile, o signore, che il EVER, «no desse un lavoro al popolo, e le egli. pure senz? al- cun frutto: purch’ei fosse istantaneo e potesse impiega- re fino a centomila operai, se possibil fosse di giungere a tanto. Il lusso necessario delle eccessive popolazioni | somministra questa sorta di lavori. L’ Inghilterra si tro- va sul limitare appunto di questo stato sociale, e non ha consumato nè le risorse nè gli effetti; non è ancora chiamata come l'Egitto ad erger piramidi; ella dee trovare i lavori da intraprendersi sulla superficie dei tre regni, grandissimi senza dubbio, poichè abbisogna che lo sieno, ma vantaggiosi più di un semplice ammasso di pietre . Di vari generi posson esser questi lavori, co- me per esempio il dissodare incolti terreni, il disseccar paludi, scavar canali, render piane le strade. Io quì non posso, o signore, entrare nei particolari, che gli economisti inglesi, se abbracciano un tal partito, sa- pranno meglio conoscere ; fuorchè additarvene le con seguenze altro non Miglio: v Tirano subito a sè sh operai più derelitti le Bottai rizzate all'improvviso per lavori che non richieggono al- cuno ammaestramento, e dove si ricevono apposta tutti So coloro che si presentano. Ho veduto nel 1817 in tempo della carestia che afflisse il continente, molte di que- ste botteghe messe su senz’ altra mira, che quella di far guadagnare il pane: ho veduto artigiani, vecchi, ragazzi maneggiar per la prima volta le vanghe; e quelle merce- di offerte all'improvviso hanno dato aiuto a quei non solo che le conseguivano, ma anco a coloro, che questa sola possibilità vi ravvisarono. Questo lavoro inatteso ha prodotto anco una inaspettata concorrenza a tutti .gli altri lavori, e molto sopra la vera-parte aliquota di questa frazione di lavoro gli ha cresciute le mercedì. Il primo; che dee prendere il governo inglese, è un compenso di questo genere , perch’ egli è il più spe- dito , ed il più facile; poich’egli può intraprendere quel- lo che vorrà, purchè queste intraprese non abbiano so- miglianza con alcuna di quelle industrie che si posso- no mettere in pratica dai particolari, si può scegliere tutto il resto. Tornerebbe più conto ch'egli erigesse del- le piramidi, che il metter su fabbriche che lavorino a scapito, come nelle botteghe del continente; poichè il lavoro libero della nazione vien ridotto al nulla per l’ef- fetto della gara di queste fabbriche filantropiche, Ma l'Inghilterra , o signore, ha inoltre da tentare molte in- traprese che, dopo di aver servito di un’impiego pas- seggiero al suo popolo, lascerebbero un resultato; poi- chè è ignoto per ogni dove il termine dei migliora- menti. . “Havvi un altro compenso, il di cui effetto non può esser così spedito, ma. sarebbe maggiore e di ‘certo anco più durevole. Questo compenso, avendo bi- sogno del consenso scambievole degli operai. e de’ fab- ‘bricanti, non si può prendere ad arbitrio del governo, nè a beneplacito delle leggi. Il qual consenso dai. loro ” 44 reciproci interessi} e dalla lor propria persuasione si può solamente ottenere; ma io credo che debba in- durli a prestarlo la riflessione. Questo compenso consi- ste nel far avere agli artigiani ‘vicino alle loro butteghe de’ pezzetti di terra, ch’eglino possan coltivare ne’ gior- ni in cui non sieno molto operosi, che vi tengano occu- pate le loro moglì ed i loro figli, e ne raccolgano patate e legumi. Questa giunta non è certamente di un gran Filiewo: ma l'occupazione, che richiede almeno per qualche ora richiama l’artigiano alla vita naturale del- l’uomo, ed ei si trova di tanto in tanto sotto |’ azzurra volta del cielo. Ei vimira quei frutti perle sue cure cre- sciuti e che son suoi; e gli fanno provare l’interno con- tento della proprietà ;. sentimenti condannati dal più eloquente tra gli uomini, e che non pertanto nelle so- cietà, in cui l'uomo ha rapito alla natura tutto il suo corredo; sono il primo incentivo alla moralità. Nell’ Alsazia vi sono alcune fabbriche, dove gli operai in questa guisa pigliano sopra di sè de’giardini da coltivare, e vengono a parte degl’interessi della proprie- tà per mezzo di questo piccolo avere; ed è questo un pegno molto scarso è vero che in questa maniera egli- no danno alla società; ma in somma egli n'è uno; e trattandosi di pegno, ui il poco ed il nulla vi sta l’infi- mito di mezzo. I maestri di bottega pigliano in affitto dei terreni vicini, se non ne hanno dei propri per dar- li in ricompensa della loro fatica ai suoi operai. Questo. metodo tiene il luogo dei vantaggi locali, che porgeva- rio le manifatture in casa degli artigiani , e che son ri- maste annichilate dall’apparato delle grandi macchine. L'interesse e l’ agiatezza dell’ artigiano in questa guisa sonosi stabiliti col dargli nella sua patria un avere gran- de abbastanza per affezionarvelo; ma troppo piccolo per > 45 distoglierlo da suoi lavori meccanici Sarebbe da de- siderarsi che nel giorno medesimo in cui costoro vanno ad arrolarsi ‘alla milizia , i fabbricanti inglesi met- tessero in pratica questo sistema. Le opere che s’impie- gano vicino:a Turino nelbello stabilimento rustico della mandria di Civasso, pigliano egualmente a parte un giardino , e questo interesse forma un vincolo di affetto tra il proprietario e l’ operaio, tra Y'operaio e la patria. Agevolissima cosa sarebbe e pei proprietari e pei ‘suoi affittuarj il. disporre in tal guisa di qualche arpento de’ suoi terreni a prò de’ giornalieri de’ suoi coutorni. Abbandonati per qualche stagione questi terreni alla col- tivazione senz alcun aumento di cultura acquisterebbe- ro l’ubertà de’ giardini ; ed il proprietario è. ricompen- sato della sua condiscendenza dal graduale migliora- mento che questo attaccamento alla terra arreca ai ai suoi fondi. percorrendoli. tatti successivamente. Ma qualunque siasi il prossimio vantaggio che l'Inghilterra troverebbe nel dare con questa partecipazione di poco momento all’ agricoltura ed alla. proprietà. una giunta alle sue opere giornaliere , ciò non basterebbe a staccar dalla lega dei proletarj il di più, che la fa. ora. versare dall’orlo del vaso ov’ è raechiusa, È di mestieri il ricon- giungere all’ ordine. sociale il. sovrappiù dei proletarj concedendo una iparte maggiore agl’interessi della pro- prietà.: Bisogna diminuire questa moltitudine di artigia- . giant che perla natura della loro esistenza metton con- tinuamente a pericolo un’ ordine sociale a cui non dan- no alcun pegno è,che non può, prometter nulla, per- chè nulla ei gli può mantenere; poich’egli è nelle mani del'caso e non nelle sue quel lavoro che loro dà il sosten- tamento. ( Ed uo po che l’ Inghilterra muti la social condi. 46 zione di seicentomila ‘proletarj , e. fino allora ‘ella: non avra quiete. Il che non:può farsi che per meézzo della reintegrazione della classe dei piccoli ‘affittuarj dalla gran divisione territoriale distrutta. To prego i gran pro= prietari a prestare a questo piano una seria, attenzione ; poicli’ è fatto per il loro vantaggio politico, sebben non lo sia per quello delle-loro entrate. Io. li prego a nota- re che'questo porge loro la sola maniera di accrescere a spese della contraria lega i loro partigiani. Io li prego ad osservare, ch’ è questo il solo espediente , che possa far - acquistare allo stato ‘una popolazione i di cui interessi l’ ascrivano all'ordine sociale ; che questo finalmente è it solo che possa darimano ad opporsi alla divisione:del3 la proprietà; poichè dividendo la ‘cultura ‘di queste ter: re produce nella popolazione un effetto equivalente. Un chiaro esempio ce ine addita ‘l’ Italia , dove gli affitti di piccole porzioni hanno: alla pioprietto interessati i due terzi della popolazione, è nelle politiche scosse che l'a gitarono non fuvvi proferita parola e nemmen conce- pito un pensiero che. al diritto di proprietà offesa. re- casse. ‘ Proponendo io di dare all'agricoltura; dell’ In ghilterra' ‘un superfluo di braccia , non pretendo! di accrescerne perciò i prodotti : io 50; al. pari. des gli economisti, che quella non abbisogna di. queste braccia, giacchè senza di Lessa sì ‘facevano tutti 4 lavori di quella ricca coltivazione . Io dunque; cono- . sco che il lavoro di queste braccia può esser consi: derato come infruttifero: dimanierachè , se. si'rdoves: sero toglier queste braccia ad un lavoro, ‘il di’ cui prodotto ammontasse a diciotto milioni; non sarebbé più nè ammissibile nè necessario il mio piano. Ap+ . punto perchè si è già fatto questo discapito io. pro- 47 pongo di applicar queste braccia oziose ad un lavoro per lo stato senza dubbio infruttifero, ma utile a co- loro che vorranno darvisi, poichè dal suolo che avran- no coltivato ritrarranno addirittura il proprio alimen- to. Alla economica e politica situazione dell’ Inghil- terra provvede . a un tempo medesimo questo com- penso. In tal frangente egli è il solo, e tuttavolta benchè semplice apparisca , io conosco che dee | tro- Vare una gran resistenza la sua esecuzione . L'economia in fatti non spetta alle leggi, ma bensì ai costumi, ed altra inolla' non ha che quella del miglior impiego che questi costumi possono of. frire al lavoro ed ai capitali. Ora l’impiego che io quì loro propongo da lungi soltanto adempie le con- dizioni volute dalla economia. Io propongo ‘adun- que, di far prendere un altra via ‘al, lavoro ed ai capitali, non perchè vadano a guisa di un canale derivato da rieco fiume a'rendere ubertose le. cam- pagne coll’ annaffiarle ; ma ‘propongo bensi’ d’aprire un canale, perchè ‘il fiume è respinto dalla ‘chiusa; ed è per sommergere le campagne . Giò ch’ 10 propon- go è di formare ‘un’ contratto tra i proprietari!) i pro= letatj e l'ordine sociale di tutto loto buon! grado; perchè io stimo che''tutti e tre a stipulatlo sieno ‘del pari interessati ; non già in virtù degl’ interessi della riproduzione ,, ma bensì di quelli del ‘loro ‘stato: Per potervi riuscire bisognerebbe che i gran proprietarj se ne potesser persuadere; affinchè compatibilmente al decoro ed a’ loro agi si desser la briga necessaria per mutare in ‘parte il sistema che per la cultura de’ loro terreni ‘eglino avevano usato. Basterebbe loro a produrre un grand’ effetto il togliere o dai terreni non affittati, (0) da quelli affittati due milioni d’ acri al più su i qua- 48 i rantasette che tutta la superficie dell’ Inghilterra ne con- tiene , cioè la ventesima terza parte di. questa; e non pertanto per la coltivazione delle gran tenute affittate ne rimarrebbe abbastanza . e A fare il patrimonio di centomila famiglie di pic- coli affittuarj questi due milioni d’ acri basterebbero : poichè prive di capitali, come son elleno , sarebbe sul bel principio disastrosa non poco la. coltivazione di venti acri ; éd io dubito inoltre che non potessero , e che il pagar di quelle terre un’ annuo canone fisso a loro non tornasse conto : non potrebbero ricevendo dal proprietario l’ anticipazione del capitale dei bestiami e degli edifizj appena addossarsi queste coltivazioni col dividerne a mezzo l’entrata. Dimodochè il proprie- tario dal canto suo avrebbe da dare qualche somma an- ticipata e qualche pensiero da prendersi: ma i gran proprietari inglesi a darsi qualche cura dell’ ammini- strazione dei loro beni avrebber forse repugnanza mag- giore dei signori italiani? Non voglio far loro il disonore di crederlo . Il solo esempio può essere. il motore di questa intrapresa : è da sperarsi che per mezzo di que- sto vedrem noi nel cuore istesso dell’ Inghilterra for- marsi questa rustica colonia i di cui coltivatori, dalla lega dei proletarj scostatisi, verranno nei campi. della patria loro a cercar novelli. aiuti per vivere, e i nuovi interessi un. altro spirito infonderannò . Dell’ ordine sociale diverranno essi i sostegni, perchè jin questo avranno un posto, e possederanno un’avere. Noi gli vedremo come i contadini del Val d’ Arno benedire il nome del padrone , al quale saranno tenuti a dare una parte di que’ doni che volle il Creatore tra tutto il genere umano divisi . LETTFRA XII Del 22. Dicembre Ma benchè la classe dei piccoli affittuari il novero accresca delle braccia che mette in opera l’ agricoltura, perchè le coltivazioni delle famiglie di quelli produ- cono meno opera dei grandi affitti, questo aumento per altro non può essere che di un quinto, e liberare la lega dei proletarj da tutto il suo superfluo , ammetten- do ancora che questo vuoto colla magia della concorrenza produca un’ effetto maggiore della sua causa. È d’uopo adunque cercar tuttavia altri espedienti che in realtà e in apparenza agiscano sul popolo ad un tempo mede- simo . L’ emigrazioni hanno questo doppio carattere, e più facilmente propor si possono ad un popolo marit- timo già usato a’ viaggi d’ oltremare . L’ Inghilterra fin, da gran tempo manda ogni anno coloni in America, e condannati a Botany Bay. Ma queste emigrazioni, o li- bere o forzate, alla presente situazione per averla pre- ceduta recar non possono alcun soccorso; nè altro dun- que vi riman d’ efficace, che le nuove emigrazioni . Con allestir la partenza d’alcuni coloni per il Capo di Buona Speranza il governo ha già tentata questa via, e ne ha colto a tempo il momento: perchè già offre allo sguardo i primi principi d’ una colonia. Gl’ inglesi per apparecchiarne gli elementi la sanno più lunga delle altre nazioni ; dimodochè è cosa probabile, che farà una buona riuscita, purchè si metta in pratica questo progetto . .Il miglior espediente che il governo inglese possa prendere è la fondazione di colonie, poichè per lei, il produttore della metropoli in consumator forestiero T. II. Aprile 4 50 vien di subito trasformato ; ed in questa maniera im- piega due uomini in un medesimo tempo; uno da cui libera l'industria, e l’altro che le dà per con- sumatore . Se fosse possibile il far uso più a lungo della emigrazione si rimedierebbe a ogni cosa: ma questa molla essendo di una forza ristretta non può agire a seconda del bisogno. Il trasporto di una co- Jonia richiede un'immenso apparecchio; e diecimila persone sono il massimo numero che le forze di un governo permettano ogni anno di far trasportare , e stabilire in remote contrade. Questo numero senza dubbio è già qualche cosa, se si tratti soprattut- to di' rinnovarne ogni anno il trasporto ; poichè allora , come una via sempre aperta davanti al po- polo si presenta alla sua immaginazione , e termina fi- nalmente con eccitare una emigrazione gratuita , allor- chè lo stabilimento coloniale è giunto a risvegliar le speranze degli uòmini intraprendenti. È di un gran rilievo per l'Inghilterra con una più vasta mira di con- durre le sue colonie del Capo e della nuova Galles a quest’ ultimo colmo. È cosa di sommo momento il fon- dare stati atti a farsi liberi, affinchè col volger degli anni ell’ abbia emuli da opporre agli Stati-Uniti; po- tenza che senza di questo verrebbe a trovarsi sola con lei sul mare . Nel trattenere al Brasile la corte di Por- togallo con questa mira, l’ Inghilterra ha fatto uso' di una prudente politica . L’ assenza di questa corte non solamente è utile all’ Inghilterra per il libero possesso del regno , che in Europa ell’ havxlasciato in sua balia ; ma ancora nel fondarle un nuovo stato di smisurata grandezza e ubertoso , le di cui forze coll’ andar del tempo accresciutesi, contro l’ America settentrionale daranno all’ Inghilterra un naturale alleato. Il simile 5I accaderà un giorno delle colonie spagnole ; questo gior- no può esser più o meno lontano ; ma poichè l’ impeto delle cose lo chiama, egli avrà il suo compimento. Non pertanto , essendo usciti da una cattiva scuola non corrisponderanno che a mezzo all'intento dell’ Inghil- terra i popoli discesi dalle trasmigrazioni della Spa- gna , e del Portogallo . Affinchè questi popoli merita- mente divengono emuli degli americani è mestieri che sieno nudriti dalla recente coltura, e fuorchè d’ Inghil- terra d’ altro luogo oriundi esser non possono .. Ell ha dunque di bisogno di gettarne ora i semi; poichè gli Stati-Uniti hanno già dieci milioni d’ abitanti, che ogni vent’ anni si raddoppiano . Finchè questa popolazione sarà inferiore a quella dell’ Inghilterra, finchè le mancheranno i capitali, l av- vicinamento e l’ organizzazione delle vecchie nazioni , ella non potrà gareggiare con esse che di speranze e di intrepidezza . Ma quando questa popolazione sarà mag- gior di quella dell’ Inghilterra , quando acquistato ella avrà quello di cui per anco ell’ è priva, allora una san- guinosa emulazione rinnoverà nella storia la vera. idea della gara tra Cartagine e Roma ; immagine alla lunga rivalità tra l’ Inghilterra e la Francia erroneamente ap- propriata , mentr' ell’aveva per causa agente, più de’ loro interessi , il nobile orgoglio d’ ambedue i popoli ; poichè dopo le loro duplicate vittorie si è smorzata la loro animosità . Ma il monopolio marittimo, perchè in- veste i loro interessi, dividerà eternamente 1’ America e l’ Inghilterra . É dunque necessario che: questa d’ ora . in poi s’ adatti a sostener coll’ America. una, perpetua lotta, e che a farsi ausiliarii apparecchisi . LertteRA xun Del 31 Dicembre Allorquando le pretensioni del popolo romano di- ventavano troppo importune , i patrizi ‘allora lo con- ducevano alla guerra , che tra gli. spettacoli è di fatti il maggiore che ‘a’ popoli dar si possa . I proprietari, i di cui interessi posson restarne intaccati, ne ponderano Y utile eil rischio ; ma la moltitudine che non ha in- teressi da calcolare, riceve schietti quegl’ interni mo- ti, che le sorti della guerra le svegliano ; poichè que- sti sono all’ incirca il solo bene che la patria le com- parta - Tra gli espedienti politici adunque il migliore è la guerra ; poichè mette in azione la giustizia e la glo- ria , che sono le due maggiori passioni dei popoli. Ma per esaltare queste passioni conviene irritarle ; le guer- re non son mai popolari senza di questo, e la’ molla na- zionale rallentandosi indebolisce i governi . Ora dopo avere sconfitto a Waterloo il maggior de’ guerrieri , il popolo inglese si è colmato di gloria; e col mantenere a suo prò il diritto del più forte s’ è messo al coperto da ogn’ ingiustizia. In Europa dun- que più emuli or non vi sono atti a svegliare in lui quelle passioni, che della guerra son la cagione. La Spagna in fatti non può più dar ombra ad alcuno nella sua agonìa . L’ Austria ha interessi troppo estra- nei a quelli dell’ Inghilterra, onde una popolar cau- sa di guerra tra di loro insorger mai possa . L° Olan- da, la Svezia, e la Danimarca un tanto onore non possono agognare. Il settentrione della Germania ha certamente qualche interesse marittimo ; ma que’ paesi son per darsi in braccio alle rivoluzioni , -le 53 vicende' delle quali stranieri alla esterna politica. per lungo tempo gli renderanno . ; Lia Francia si è saziata di gloria, e tutto il mondo il suo riposo rispetta , e del suo svegliarsi ha paura. La Russia dunque può solo col, tempo, insospettir 1’ In- ghilterra . Arriverà senza dubbio quest’ epoca, benchè assegnar non se ne possa il tempo prefisso: poichè impos- sibil cosa ell’ è , che la Russia, la quale da ogni banda involge l’ Europa, dalla sua Rim posizione a, Cer- care una marina sul mar nero , come sul. Baltico, in- dotta non venga ; e questa marina , di quelle provincie che ora posson chiuderle l’ Ellesponto, recherà dipoi la conquista. Una tale impresa fatta da un simile impero anderà a colpire gl’ interessi marittimi dell’ Inghilterra che le romperà la guerra per annichilare quella nascen- te marina. Tra l’ Inghilterra e l'America scoppierà più presto la Guerra; perchè sul monopolio dell’ Inghilterra l'America già sì dilata usurpando. Quella non ha, e co- me tutto accenna che in fatti visi apparecchia, , neppure un momento da perdere per prepararsi a distruggere la bandiera degli Stati-Uniti. Ma in queste guerre lontane ella non adoprerà che poca sua popolazione; giacchè a sostenerle basterà una piccola -parte della sua armata navale. Dimanierachè queste faranno più effetto sull’im- maginazione del popolo , che sopra il suo stato; e nel conservare ai capitali dell’ Inghilterra il saloni del commercio marittimo verranno a rinfrescarli. Sarà que- sto il più diretto resultato , ed è. cosa di assai gran ri- lievo da tentarne il conseguimento . In paragone della lotta gigantesca da lei sostenuta, 1’ Inghilterra dunque altro or, più non può fare, che guerre marittime di;una piccola estensione. Opa po- litico espediente non può per lungo tempo esserle. che 54 d’ un mediocre soccorso, ed agio non le concede di apri re al suo popolo un largo campo al'par dei romani; purchè però novelle rivolàzioni non mettano l’ Europa a soqquadro; rivoluzioni alle sr dà in vero molta pro- babilità 1’ aspetto‘dell’ avvenire ‘ Da queni scompigli muove combinazioni possono derivarne ; un’ altra volta sconvolgere tutte le forze politiche , e'tutti gl interessi | de’popoli: allora, ‘0 signore, tutto ciò ch'io vi lio seritto, come la ‘maggior ‘parte de’ libri, diverrebbe inutile, per- ‘chè darebbero luogo alle nuove tutte quelle vicende da me prevedute . ei NB. I lettori si ramménteranno che queste lettere furono scritte sul finire del 1819. . x n ” EDUCAZIONE Lertena del signor Mierere Cotomso parmigiano, intorno al regolamento degli studii d'un giova- netto di butta nascita. Pira 1817. SCUOLA DE’PADRI E DELLE MADRI DI FAMIGLIA , istitii- ta în Livorno dal signor FepeRICo DEL Rosso ‘#0- scano + | Opa giorno vediamo comparire nuovi trattati e sovente in grossi volumi; a fine di migliorare l’educa- zione degli uomini. Nè; ciò è moderna o particolare usanza, comune A quelli soli che abbiano con. somma atenziohie meditato della nostra'indole e matura. Im- perciocchè gl’Israeliti i Greci; i‘ Romani, gli Arabi, e quanti alti popoli vissero‘e vivono in sulla terra, tutti 55 ci hanno trasmesso consimili scritture: e chi non sarà stato esperto nello scrivere, avrà senza dubbio, come sogliono fare i nostri contemporanei, parlato e adopera- to contro le opinioni d’ altrui. Ma da questo gran nume- ro di pensieri , di discorsi , e di opere, ne è conseguita- to forse un’ utile e idonea istituzione, priva d’ errori è giovevole a tutti ? È uopo rispondere, no: e no debbe essere, poichè la nostra civiltà seguita gli umori delle generazioni presenti , i quali sono troppo più variabili che ammetter possano generali e costanti discipline. Inoltre debbono tre effetti resultare dall’educazione de- gli uomini : cioè , che sia ae a loro medesimi, alla loro famiglia, ed pliù stato. E se la prima parte sola do- vessimo adempire , poichè non riguarda che alla robu- stezza del corpo ed all'istruzione dell’ animo, così la po- tremmo forse regolare con uniformi ed universali dot- trine. Ma essa collegasi al tutto colle altre due parti, alle quali per conseguente e di necessità 5’ accomoda. Onde implicandosi in molti e varii accidenti, e non pendendo mai dalla volontà d’un ‘solo moderatore , è impossibile che si ordini, si misuri, e si regga con argo- menti a tutti comuni. La condizione dell’uomo è invero strana ed anche "compassionev ole. Il selvaggio procrea e vende i figliuo- li. Ma questi non sono pure schiavi, ancorchè nascano da padre incivilito ? Il mercante costringe la prole sua a navigare per l'Oceano, ed a sudare nella mercatura, sì presto che può, anzi l'età virile. Tragge l agricoltore il figlio dietro l’ aratro , nè concede riposo. Ed all’ in- contro è ne’ palazzi lunghissima quiete , obbligato 1’ uo- Îmo ad essere bambino finchè non abbia statura e petu- lanza da poter contendere cogli uomini ambiziosi. Tal- chè a niuno o a pechi è lecito seguire il proprio genio , 56 finchè adulti non sieno. Ed allora manca la giovanile schiettezza , e sopraggiunge la cupidigia; alla quale vo- ‘Jendo noi soddisfare , non più attendiamo a’ difetti del- ‘la nostra educazione. Sicchè tollerandogliin noi mede- simi, non li correggiamo neppure nella nuova progenie: ed il male nasce al tutto dalla diversità di pensare nel- le differenti età, per cui i vecchi sono contrarii a'gio- vani, e impediscono talvolta i buoni andamenti. delle umane istituzioni. È Quindi la censura del pubblico non è lieve freno a’ nostri modi del vivere: nè è eguale in tutti luoghi, nè sempre è onesta. Ciò che in una città si reputa buo- no costume, è in qualche altra ridicolo. Udirai qui dar lode, e colà dar biasimo alle medesime azioni. Al. che aggiungi la volontà di chi governa tutti i cittadini, e poi giudica da te medesimo, se con filosofici disegni e con pubblica educazione si possa ovviare a’ danni del priva- to insegnamento. L'uomo dee all’ altro uomo servire. E questa sentenza che non sarebbe perniciosa se mante- , nesse le reciproche ragioni, toglie via per l’ordinario la rettitudine e la concordia de’ nostri divisamenti. Tal- chè non è inutile il parlare , lo scrivere e l’ operare, af- finchè l uomo sia quanto può meglio educato: ma per- de il tempo colui che assegna generali precetti; e mo- stra di non averne fatto esperienza, allorchè si briga di fargli credere a tutti ed in tutto opportuni. Infatti noi abbiamo tre esempli utilissimi nella moderna storia, cioè di tre uomini sommi che diedero opera contipua all’ educazione del pubblico: Pietro, grande Imperatore della Russia; il filosofo Ginevrino , e l'Arcivescovo di Cambrè. Ma furono tutte buone le massime loro? Il primo cominciò dall’istruire sè mede-- simo , viaggiando per tutta l’ Europa: sicchè ritornato a 97 Mosca potè giovare al popolo suo, che era tuttavia gros- solano , rozzo , barbaro e selvaggio. Ma non procedè pe- rò con generali sentenze: essendo prova di ciò il vedere anch’oggi inviliti e schiavi gli agricoltori ed i plebei del russo impero. E quando Pietro volle educare tutti i ma- rinari in uno stesso modo, ordinando che i padri non dessero da bere a’figli se non acqua di mare; questi morirono. Il filosofo di Ginevra volendo insegnare all’univer- salità de’ giovani, s’ infinse egli stesso Aio e precettore. E seguitando le speculazioni metafisiche; non sempre allo stato nostro opportune, tenne Emilio per lungo tem- po in solitudine : talchè lo dovè poi condurre in mezzo degli uomini con un’opera del tutto nuova. Onde a me nasce dubbio, se le sue lezioni possano educare al tutto un giovane, quantunque sieno attissime ad istruire l’a- nimo ed ampliare la nostra intelligenza. Nè utile mag- giore potrebbe conseguitare alle misure prese dal filoso- fo di Cambrè, il quale condusse Telemaco per tutte le corti ed anche nella grotta di Calisso. Imperciocchè mi sembra erronea opinione , tanto il credere che si possa impedire il vizio con farlo ignorare , come con farlo co- noscere. Nel primo caso manca l’esperienza e perciò la fortezza contro le seduzioni , cui presto o tardi dobbia- mo essere esposti. E nel secondo caso è da presupporre che i sensi vincerebbero la ragione. Che se anche Li- curgo metteva giovani e giovanette insieme ed ignude , a fine di fortificare l’animo loro contro la lussuria ; do- vè altresì lasciare impunito e quasi lodare 1 adulterio purchè s’ingegnassero di tenerlo occulto. Bisogna pertanto moderare siffatte discipline con più dolci o più severi ordinamenti, secondo che sarà necessario. E questa necessità debbe misurarsi dall’ in- 58 dole particolare e propria di ciascun giovanetto, sicco- me scrive e giudica il signor Michele Colombo nella lettera sua , che noi abbiamo perciò ed a proposito an- nunziata nel principio di questo discorso. Ma tre cause concorrono a favorire 0 a contrariare Yindole degli uomini: cioè il loro stato, la loro. com- plessione , e gli usi de’ loro concittadini. Sicchè nemme- no la sopradetta sentenza non è generalmente vera, do- vendola noi modificare per rispetto alle tre cose ora men- tovate. La prima e la seconda delle quali richiedono che l'uomo s’'avvezzi a desiderare e a fare solamente ciò che le forze e la condizione sua gli consentono. E la terza ri- chiede ch'egli s' incammini per quella via, che già tro- va aperta nella patria sua dalla comune consuetudine, Onde i precettori non debbono dare ad un giovane tut- te quelle cognizioni , che esso potrebbe accogliere nella mente, se prima non abbia età, senno ed esercizio , da godersi de’ beni e non abbandonarsi; a’ mali; ma non, debbono nè anche indugiare quelle notizie che utili sie- no: perchè se nuoce il troppo affrettar 1’ educazione,, pregiudica eziandio il non assuefare e disporre l'animo degli alunni a quelle pratiche e discipline, da cui. non possiamo dilungarci nella vita sociale. Non mi pare dunque giusta l’ opinione di quelli), che non vorrebbero condurre i giovani, e massimamente le fanciulle, nè al teatro, nè al pubblico passeggio. Ed io mi convengo con essi in quanto alla frequenza di siffatta consuetudine. Ma essendo questa comune a noi ed a tutti i compagni, non è possibile che non invogli i giovani . E nato il desiderio , lo vorranno adempire: se non lo adempiano , diventeranno ritrosi: e non solo oppugne-,. ranno le lezioni del padre e:de’ maestri, ma saranno distratti e presi da’ nuovi divertimenti, subito che li 59 possano godere. Onde meglio ragiona il Colombo, dicen- do: « L’uomo non è un essere solitario; egli è fatto « per ‘vivere nella compagnia de’ suoi simili. — Dée es- « serci d’incentivo agli studii, non una vana curiosità, « ma un ragionevole desiderio d’istruirci di quello che « util cosa è a noi di sapere. » Oltrechè vediamo mol- tissimi tenuti dal precettore o dal padre sotto severo go- verno; che stupidi e imbecilli, o pazzi e oziosi diven- tano. © Nondimeno i fisicosi pedanti vanno eziandio più oltre , e biasimano il ballo. E pure hanno contro loro l'esempio delle donne di Germania e di Francia, che non pertanto sono benissimo educate. Ed io ho visto ne” giorni festivi della città di Napoli, tutto il popolo bal- lare da mattina a sera il voluttuosissimo ballo della ta- rantella , uomini e donne insieme , nelle case, per le vie, e dott le grotte , con degna serietà e niuna li- cenza. Ma il dissentire in questa parte è di lieve mo- mento. I pedagoghi vorrebbero altresì diminuire Vistru- zione delle femmine, come se non fossero le compagne dell’uomo. E bene adoperano i in quanto proibiscono i romanzi , la cui lettura è spesso dannosa, e può con- durci ad erroneo giudizio per rispetto all’indole umana; stantechè hanno l’ apparenza di seguire la verità e la na- tura, mentre esagerano tutti gli affetti del cuore e tutte le fadolta della mente. Ma perchè vietare a un tempo le poesie amorose e la musica! Mi rimembra d’aver sentito dire ad un uomo che non mancava d’inge- gno : essere la musica nociva, massime perchè i maestri possono con questo mezzo intenerire e sedurre le loro discepole. Faccia dunque costui le donne dalle donne istruire; e tanto più gentili diverranno i nostri costumi, quanto più le femmine ‘agguaglieranno all’intelligenza 60 dell’ uomo. Ma proibire ad esse lo studio dell’arte mu- sicale, onde viene l’ armonia che molce e tempera e rende l’ animo pietoso: proibire quest’arte salutare, che supplisce a molti inutili e perniciosi «passatempi , e dal- da quale pur si ritrae dolce sullievo nelle sventure; è.un pensiero simile a quello di certi filosofi, che non vole- ‘vano insegnare l’ eloquenza, perchè talvolta può nuo- cere; senza considerare che in tutte le cose nostre, quan- tanque ottime sieno, vi è sempre l’uso buono e l’abuso. {o tralascio volentieri molte congetture di simili insegnatori , perchè sono anche più inopportune e . fal- laci. Di fatto, a che giova mischiare l’ arte del medico con quella del precettore ? Ed anzi, non è questa una troppo gran presunzione, quasichè un uomo solo potes- se far giudizio di due sì difficili arti? Non sia. dunque nostro scopo il ragionare nè intorno alla vaccina , nè ‘per rispetto alla prima nutritura de’ bambini. Ubbi- ‘diamo a’ medici, dando loro a vaccinare i nostri figliuo- li; perchè quelli dimostrano che dove tale rimedio, .è bene adoperato , il popolo s’ accresce ed è più sano. La- sciamo alle madri il conoscere se giovi il latte. loro a’ proprii figli; della qual cosa è anche più inutile discor- rere , posciachè vediamo gli uomini acquistarsi tanto più robustezza, quanto meno dimorano appresso la nu- trice: ed in Germania usano adesso di dare a’? bambini, e non per lungo tempo , il solo latte di capra. Quindi passiamo a indagare i principali ostacoli , che impedi- scono la buona educazione del pubblico . Se io non m' inganno, debbe considerarsi ogni po- polo come diviso în tre classi : di troppo ; di poco, e di niuno ozio. Quelli che nascono provveduti di ricchez- ze , per l’ordinario vi si adagiano, e di natura tendono a non far cosa alcuna. Quelli che non sono ricchi e Gi nemmeno al tutto poveri , debbono adoperare alquanto per supplire ad alcuni loro bisogni. E quelli finalmente, cui nulla diede la fortuna, deggiono consumare la vita, lavorando . Sicchè i primi potendosi godere dell’ ozio beatissimo, non hanno alcuna necessità d’istruire l’ani- mo e la mente: i secondi hanno questa necessità in qualche parte : e gli ultimi non solo non l’ hanno, che neppure possono attendere allo studio. Onde per giova- re all’ educazione di tutti, è uopo allettare i primi, ina- nimare i secondi, e costringere i terzi: ossia bisogna da- re agli ultimi quell’ ozio che loro manca, accrescerlo pure a’ secondi , e toglierlo a’ primi. La qual cosa ri- guarda non solo a’ figli, ma anche a’ padri; siccome ora vedremo, disaminando partitamente la nostra opinione. L’ educazione dell’uomo consiste di due parti: mo- di del vivere , e istruzione intellettuale. Molti possono insegnare la prima, pochi la seconda: imperciocchè pertiene a quella il procedere urbano , la pulizia della persona , e l’ osservanza delle leggi dello stato; le quali cose a’ più son note in ogni civile nazione. Ma la se- conda debbe dare il mezzo a conoscere il bene ed il male di tutto ciò che gli uomini fanno; significando al- tresì, come si adempia, faciliti e migliori quella profes- sione , cui siamo destinati: onde è manifesto che ciò richiede più discernimento e ‘consiglio. Sicchè non tutti i genitori sapranno , ancorchè vogliano e possano am- maestrare i figliuoli . E l’ artefice, l'agricoltore, ‘e l’ope- raio , che se hanno figli, deggiono con lavoro continuo procacciare le vettovaglie , non possono essere maestri se non che indicando il proprio loro esempio . Il quale è pure necessario , e serve di ottima scuola in ciò che riguarda a’ loro mestieri ed alla loro condizione . Ma sarà utile e sufficiente, se non avranno essi avuto il 62 pi tempo di educar sè medesimi? Importa dunque a. que- sta classe del popolo, non sieno i padri tanto gravati che manchino d’ ozio al tatto . E importa poi che vi sia la buona consuetudine, come è in Toscana ed in altre pro- vincie, ove non possono quelli abusare delle ore oziose, perchè sono volentieri accolti da’ nobili , da’ cittadini, e dalle persone istruite ; colle quali conversando fami- liarmente , ne traggono buone dottrine , e le ripetono a’ figli. Questo insegnamento però non basta, e non sa- rebbe nè anche utile a’ giovani, se non vi fossero disposti con precedenti lezioni e con più ordinate discipline . Mai padri non possono spendere: la povertà è come la ricchezza, amendue fautrici dell’ ignoranza : i giovani debbono in questa classe aiutare alla loro famiglia , su- bito che le braccia sieno robuste : ed il Principe non potrebbe obbligargli ad un lungo studio, senza com- mettere ingiustizia : nè il pubblico erario potrebbe dar provvisione a molti maestri. Onde era necessario isti- tuire scuole gratuite , dilettevoli, e larghe di premio e d’ emulazione ; con breve e rapido modo d’ insegnare, con pochi maestri, e con poco dispendio. Il quale immenso beneficio abbiamo alfine ottenuto dal recipro- co o mutuo insegnamento: per cui un solo maestro so- pravvede sides giovani , che l’ uno all’ altro inse- segnano con buon costume e con moto celere, senza odiare la lezione perchè essi stessi la ricevono e la dan- no, e senza essere nemmeno divagati, perchè ogni eser- cizio è breve , ed in ciascuno intervallo debbono pas- seggiare e muoversi . T'antochè la loro scuola rassomi- glia a nuova ginnastica ,utile nel tempo stesso all’ ani- mo ed alla persona . i Ma questo nuovo metodo non si è finora adattato che alle prime lezioni di leggere, di scrivere, d’ aritme- G3 tica, e di morale. E dubito non si possa ampliare, stan- techè i giovani intromettendosi nello studio delle scen- ze hanno continuo bisogno di molti e sapienti precet- tori, che dichiarino i dubbii, e le difficoltà rimuovano. Onde giova a quelli che non richiedono molta istruzio- ne; ed è altresì opportuno a scoprire e aiutare i giovani di grande ingegno , che senza questa scuola rimarreb- ‘bero obliati e mascosi nella plebe. Mel rimanente è uopo cercare altre istituzioni . In molte parti d’Italia si aprono ora scuole parti- colari sotto il governo di più precettori; i quali colle- gando i loro insegnamenti , riducono i discepoli in ter- mini tali, che possano quindi all’ università trasferirsi, o da sè medesimi continuare lo studio: come è per esem- pio la scuola aperta in Firenze dagli ottimi maestri, dal Zuccagni, dal Borrini, dal Giuliani e dal Pieratti- ii. E simile vantaggio hanno pure le donne in Lucca, in Milano ed in Napoli; ove le Principesse e. le Regine istituirono e mantengono un liceo bene ordinato , in cui le femmine imparano le arti necessarie a governare la famiglia , ed i costumi e le qualità e gli usi della civile ed onesta conversazione. Ma nondimeno poche persone possono capire in siffatti edificii : e le donne e gli uomi- ni, benchè nati in civile stato , mancano spesso della facoltà di provvedere alle più tenui spese. Ond’ io me- ditando delle-difficoltà che s’interpongono a bene edu- care i cittadini, volgeva la mente a ritrovare un meto- do che a questi giovasse oltre i limiti del mutuo inse- gnamento: E parevami di potervi supplire con eleggere i padri stessi a maestri de’ figliuoli. Imperocchè diceva meco stesso ragionando : se il padre non insegna ei me- desimo al figlio, e non gli dà nemmeno altri maestri , ne è causa il non aver tempo, nè ricchezze : non essen- 64 dovi luogo a dubitare della sua ‘volontà, poichè ogni uomo della classe, di cui parlo , desidera quanto più può istruirsi , a fine di procacciare un migliore e più alto collocamento. Sicchè mi sembrava opportuno ‘rimedio il collegare più genitori insieme , acciocchè l’ umo dopo Y altro insegnassero a tutti i loro figliuoli ; per. la qual cosa ognuno avrebbe avuto ozio maggiore , non doven- « do in ciò passare che un breve intervallo del giorno, ed essendogli tolta via la cagione del più grave dispendio. Ma da altra parte mi si opponevano sì molti ostacoli, che quasi tralasciava cotali pensieri , quando nell’ esta- te scorsa andando io in Livorno , gli vidi già messi ad effetto per opera di Federigo del Rosso. Questi è ottimo avvocato, buon consorte, buon padre, buon cittadino , e dottissimo nelle scenze na- turali e nella metafisica. Sicchè risguardando la città in cui vive, e non veggendo promuovere se non. la mercatura , prese per partito di fare un liceo nella propria casa, denominandolo Scuola de’ padri e del- le madri di famiglia. Ed è il metodo suo con tanta saviezza e semplicità ordinato, che 10 non posso non palesarlo e diffonderlo ad esempio d’altrui; quantun- que debba dar dispiacere all’ avvocato del Rosso , che nasconde i suoi ritrovamenti con eccessiva modestia. Egli ha separato 1’ educazione dall’ istruzione . Affida quella. alle madri insieme riunite , cui dà pure l’incarico, d’ imprimere nell’animo a’giovani le prime, lezioni di morale, e di leggere e scrivere, facendo- gli ubbidienti e docili. Tutte le quali cose procedono con dolce e piacevole andamento , senza proibire a’ fanciulli che non si divertano allorchè sono infasti- diti, e richiamandogli poi senza sforzo all’ istruttivo colloquio. Sicchè giungono all’età di otto o nove anni 65 benissimo apparecchiati, e passano allora vin'partesot= to il governo de’ padri; i quali debbono dare quell’inse- gnamento , di che sono capaci: e quegli principia la le- zione, che sà la storia de minerali, de’ vegetabili, degli ani- mali, e dell’uomo.Costui mostra quell'oggetto di che vuole parlare; e ine dichiara gli accidenti e le correlazioni con preciso, ‘chiaro ed analitico discorso. Viene poi il padre che sà molte lingue, ed insegna i nomi delle medesime cose in varie favelle secondo-la grammatica. Quindi il maestro dello stile fa scrivere a'giovanetti l'udito. di- scorso con idonea eloquenza e.nel natio linguaggio. La quale scrittura debbono essi ricopiare sotto quel padre, che abbia bellissimo caratiere. l poscia sono invitati dal maestro di disegno a delineare quell’oggetto di tan: te lezioni che hanno prima veduto. Nè posso abbastan- za esprimere quanto sia celere e facile questo nuovo e reciprocò insegnamento de'padri. lo maravigliava, veden- done gli effetti; poichè interrogando i giovani, senza indugio ed a proposito rispondevano. Infatti è la. disci- plina cosìben collegata, che non può non fortificare la memoria. E l'emulazione è somma, ved il sutterfugio inutile ;, perchè.i discepoli son sempre al cospetto ‘di chi può loro concedere la pena o il premio. Nè mancano de- gli-esercizii utili alla persona, come è il ballo e la scher- ma, insegnata loro da’ medesimi padri; Crescendo poi l’età e l’uso del ragionamento, poichè i giovani sapran- mo ormai scrivere eon buon carattere, ed avranno sufii- ciente cognizione de’ linguaggi; così. progrediranno in più difficili studii,con modo altresì collegato ed unifor- me quanto sia possibile: seguitando pure la scuola delle belle arti, se tal genio avranno, 0 per diletto e. riposo dell’animo;o per acquistarsi con ciò le commodità del vi- vere. E solo a quattordici 0 quindici anni, prima che I°. II. Aprile 5 66 vadano all’ università , 0 che si. pongano a qualche professione , solo allora dovranno assumere la sto- ria generale de’ popoli , stantechè prima non l’ avreb- bero intesa , e deggiono studiarla con particolare scopo , traendone gli esempli e gli argomenti ido- nei a promuovere quella scienza, cui. essi. maggior- mente inclinano., Alle quali ragioni dobbiamo aggiun- gere pur questa: che se la storia insegnata fosse a’ giovani troppo presto, e senza alcun proponimento , ne ritrarrebbero forse lo stesso danno, come dalla lettura de’ romanzi. Imperciocchè gli storici non solo scrivono per essere letti dall’uomo adulto, che ingannano sovente i posteri, e pervertiscono gli esempli. Ed anche dalle semplici vite degli pomini illustri può venir danno a’ fanciulli; pula; mi è occorso più volte di domandare a quelli che leggevano in Cornelio Nepote, se bramas- sero di rassomigliare ad alcuno de’ greci capitani: sì, mi rispondevano , ad Alcibiade. Ma ritornando alle scuole de’padri di famiglia; al- cuno forse dirà non potersi quelle istituire fuorchè nelle città, ove sieno genitori capaci di supplire agl’indicati maestri: ed ancor quivi essere utili a bh ; imper- ciocchè molti padri, e forse.i più poveri non avranno cognizioni da trasmettere ne’figli. Il qual danno è vero, ma non irreparabile. Nelle grandi città, ove sono molti abitatori, si possono fare più compagnie e istituire più scuole: e se ad alcuna di queste manca tra’ padri un idoneo precettore , sarà volentieri supplito a spese de’ ricchi, i quali abbiano prole. Nè è da presupporre che le famiglie in questo modo collegate, ricusino d’ammet- tere tra’ loro figliuoli qualche giovanetto povero e di buo- ni costumi , che sia privo del padre o della commodità d’istruirsi. Quindi nelle piccolissime città e ne’ villaggi ‘97 non si potranno ordinare le suddette scuole con quel metodo che abbiamo significato. Ma ciò impedisce forse che i padri non si colleghino, per. insegnare almeno ciò che sanno ? Ed in ogni luogo imparar si possono la pro- pria lingua e l'agricoltura : amendue le quali sono uti- lissime e necessarie. RIVALI ‘ Resta ora a disaminare la terza classe del popolo; cioè. gli oziosi per causa delle loro ricchezze. Ma appres- so costoro è la buona educazione opera del caso e della fortuna, più che dell'umano consiglio. I padri non pos- sono la fatica d’ istruire i figliuoli. O li mandano in un collegio, che rare volte è buono: o comprano un pre- cettore che gli educhi e gl’istruisca, il quale spesso è di mediocre ingegno, ed a cui pur non concedono tutta l'autorità necessaria. Talchè diventano le voglie e le cose tanto implicate, che non si possono ad utile comu- ne ordinare. Ond’ io non conosco altro rimedio se non togliere a’padri l’ozio, e allettare i figli allo studio: l’una delle quali cose non può senza l’altra giovare. Impe- rocchè 1 giovani ricchi sono sempre adulati e guasti nel- la propria famiglia; nè ubbidiscono al precettore, se non vi sieno costretti: al che invero nou ne può consegui- tare buono e compiuto successo. Ma quando i genitori sieno essi medesimi occupati, non avranno il tempo d'’oppugnare i maestri j cui sarà facile pertanto istruire gli alunni con dolcezza e con buonissimo effetto. Ne a me, se citarlo volessi, non mancherebbe l'esempio d’un ottimo ed amoroso: padre, il cui figlio è per queste ra- gioni diventato il più caro e degno amico del suo pre- «cettore. Come poi si abbiano ad occupare gli uomini ricchi; non pertiene a me indicarlo. Se sono buoui, dotti e operosi, meritano al certo la stima de’ loro con- temporanei. Anroxio Benci. 68 LETTERATURA, ISTORIA : ISTORIA D'ITALIA di Messer Francesco GUICCIARDINI, alla miglior lezione ridotta dal Pro- fessor Clip prin Pisa, presso Niccolò Ca- purro ; co’ caratteri di F. Dido. MDCCCXX. N on'è sempre vero, che l'eccellenza degli ingegni si manifesti solo con opere originali, o con versioni di tal pregio, che pienamente suppliscano alla mancanza di ‘cognizione del testo. Per quel che concerne la parte letteraria degli umani studj., vi hanno certi lavori, i quali, perchè screditati forse dal mode con che son d’ ordinario eseguiti dalla fu- ligginosa turba de’ pedanti, hanno indotto a suppor- Te) non esser acconci se non a gente sì fatta, per non esiger eglino ( come generalmente si crede ) che una certa buona voglia e laboriosità, di cui, per mala sorte, quella razza non manca quasi mai . Ma diversamente la pensiam noi: e la nostra opi- nione è corroborata da continui e luminosissimi esem- pj; massime appo gli stranieri. Chi può in fatti in- terpretare i concepimenti de’ grandi scrittori meglio di chi è dotato di un somigliante lume di mente? Se dunque il più delle volte ciò non si fa, vuolsi ascrivere ad insofferenza della : fatica materiale, e all’idea ( forse in gran parte vera ), che sia più bello e più grato il frutto; che nasce dalla. propria lanta . Nulladimeno chi ponga per un momento da ban- 69 da sì fatta. considerazione ( oye non è piccola la pre- ponderanza, dell’amor proprio ),,e rivolga . l'animo ali vantaggio ?e piacere, che, nel secondo caso, può non; di rado ridondarne in altrui, troverà indubitata- mente, chie! la; compiacenza del beneficio doyrà essere in proporzione tanto più grande; e forse più liberale lintento..-Oltracciò , si, presenta da, una parte. la difficoltà di far gran colpo sul Pubblico per. mezzo di opere ; ‘nuove ji e dall’ altra, sta. la certezza .di otte- nerne il: suffragio, quando si tratti di, lavori che gli risparmino 0, noja 0, sforzo di mente. Perciocchè po- *chi:sono coloro che più amino la lettura quanto mag giormente ella mette in esercizio , ed impegna le for- ze intellettuali; e infinito il, numero degli. altri, che quella tralasciano 0 per l’ asprezza dolio stile ,, 0. per la faticosa orditura. del, discorso;,, od anco, per. una mal. calcolata ortografia: dai quali difetti è danneg- giata, più di quel che. si, estima, l’entità della mate- ria. Al che. se si aggiunga, esser noi venuti;in tempi, in cui la trascuranza della parte esteriore d’un’opera non è quasi più tollerata neppur dai lettori d’intendimento mediocre (.e.nell’istessa parte scientifica, ove la gen- tilezza! del dire*sembra, a prima vista; tanto, men necessaria ), si dovrà convenire, che grande è oggi piucchemai |’ utilità di somigliante occupazione, e cer- tamente. non senza gloria . ; Im queste vedute pare a, noi che sia. entrato: il sig.. Professor Rosini nel ridurre. a miglior. lezione J’ Istoria del, Guicciardini: e’l1 merito di esso per la riuscita è tanto più considerevole; quanto più dovet- te sgomentarlo la mole dell’ opera da lui sottoposta a scrutinio ., Nel qual lavoro. spicca. un’ acutezza, di 7°. criterio riob' ‘ordinaria, ‘ed una' tal diligenza; chie non era ‘per’ “avventtira ‘sperabile da ‘uno serittore, operoso bensi, tina d’i ingegno vivo, e inclinato, ‘forse più chie ac altro, ad opere di fantasia : Nè dl comodo ;' pro cacciato’ per ‘esso ‘ai lettori, è minor'!del servigio prestato a ‘quell’eloquentissimoi Istorico: Perocchè; se' andava innanzi per le mani di tutti, bruttàmente malconcio quae la ‘0 ‘dalla negligenza: de’ ‘“copisti; o dalla ‘goffaggine ‘degli editori, 6 dagli ‘arbitrj diqualt che ‘pròsumtuosò interprete, 0/fors’ anche da tutte que: ste. circostanze riunite , orà, mercè' le' cure deli sig: Rosini, è ricomparso in' una tal veste ;' che ne rag serititicte îe' forme, e 'alletta a’ sè anche) i più schivi. Fu chi accusò il Guicciardini di verbosità. Non essendo qui nostro “scopo ‘di dar ‘giudizio’ di’ quello scrittore, rna bensì di far conoscere’ il lavoro dell’ egregio Professore ‘Pisano , ci ‘asterremo dall’estens ‘derci ad esaminare se e ne a qual segno sia./fon> datò ‘un tal carico Diremò per altro , esser noi di parere } che a si fatto rimprovero ‘abbia’ dato non piccol ‘motivo! sitora' la materiale disposizione de? suoi- periodi ;' ‘alcuni de’ quali ( com'erano nelle pri- me edizioni ) ‘riuscivano non' di rado’ FARISLRROARI e quasi sémpire affaniosissimi . TIP ‘E se ‘chi Jesse îl'Guicciardini in quell’'antica fog- gia, e ne portò egual senteriza, vorrà rileggerlo adersò nella nuova‘, troverà , che in moltissimi luoghi, ora emendati, non potè aver ‘fatto diversamente egli me- dlesirno:” in pochi ' altri, ‘sè la ‘lezione ‘non! sarà assolul tamente la ‘vera, difficilmbinte se ne potrebbe ‘sosti: tuire' ‘una sbiili6ho e nessuno di essi ‘nîianca poi di salde ‘e beg dedotte ragioni; «che lo fiancheggino- Il ) 71 qual. genere di lavoro esigeva quell’ accurata analisi, di che pochi editori si. mostraron sinora capaci .tra noi; e di cui ebbe.al certo penuria quegli che con- temporaneamente al sig. Rosini pubblicò in Firenze una tal opera, colla scerta di un manoscritto , che, secondo ha:con. evidenza provato il. novello editore, non si potrebbe reputar autografo senz’ accusar d’ im- perizia coloro che presedettero all’ edizione del Torren- tino, il qual: pubblicò il primo le Istorie di cui fa- -velliamo.. Non sono, meno di 600 lè varie lezioni in- contrate néi ;corso di questo faticoso lavoro, termi- mato .con l'esame del Codice stesso , el’ intervento de’ dotti Bibliotecarj della Laurenziana. Intorno a che è da legger quel che il sig. Professor Rosini. ne scri- ve nel proemio del tomo X. (1). Sarebbe opera. troppo lunga e penosa il riprodur qui le annotazioni del sig. Rosini, dirette a porre in luce i gravi abbagli, ne’ quali incorse il recente edi- tor Fiorentino | Potrà vederli da sè chiunque apra uno di que’ volumi:ja; caso: tanta è la loro. farrag- gine! Nè si può supporre, che alcun sentimento di basso animo ‘abbia mosso il Professor. Pisano! a. ciò fare: stantechè non tutti confrontano : e per tal mo- do ha egli saviamente illuminato il Pubblico, il quale ha piacere e diritto di spendere il proprio danaro me- glio che può. Oltre di che l’ edizione medesima es- sendo riuscita elegaritissima ejassai corretta, non può anco per questo lato paventare il: paragone. E chec- chè si dica da taluno, il quale arrivò persino a tac- ciar d’ irriverente il sig. Rosini, per aver purgata Y accennata Istoria dalle etorogenee brutture ivi me- scolate, è accaduto a noi stessi, che avendo letto un dopo l’ altro un medesimo capitolo nelle due edizioni, ui 72 ne parverò quasi ‘di''due scrittori. diversi : ctanto’ ne sembrò il Guicciardini. ringiovanito in quest’ edizione del Sig. Rosinip e oscuro, vana evintralciato nell’ al- tra! DI Nè il suo lavoro sì è distri a ciò solo : siga chè, caldo la ‘mente’ di tutta quell’ opera: e de’ pen- samenti dell'autore, ha voluto chiuder l’ impresa con ‘un ragionamento intorno agli scritti e al carattere di lui: ragionamento , che, o si consideri la rapidità del la lavabi e la sana filosofia de’ concetti; 0 la 'ive- rità degli argomenti, e la spassionatezza del giudizio, merita di essere. annoverato fra le più robuste: e in un più disinvolte prose. del sig. Rosini (2). Il letto- re trova in esso il quadro. morale. di quell’ Istorico sommo , che mentre ‘è quivi per una ‘parte rivendi» cato da imputazioni o sciocche», 0; bugiarde, non è risparmiato ‘dall’ altra in quello ch’ ei, si mostrò ve- ramente , benchè sfuggito, per questo’ lato; alla corta veduta de biografi, o non sinceramente descritto, per un malinteso riguardo verso laspersona. Imperocchè pensiamo; esser cosa ràrissima il. non trovare infette - «d’adulazione odi malignità le scritture «di chi parla di un individuo ‘qualunque , essendo tacita; opinione di molti ( e. quanto sia falsa ed assurda, ognuno do ‘vede ), che la lode ;anco eccessiva y palesi una cer4 ta generosità d’ animo ,' e sì possa coprir l’ invidia col manto di un’imparziale austerità. Sennonchè .il. vero Înon risiede mai negli estremi (3) «| 000% 73 NOTE 1) Eccone le'avvertenze più importanti: ;, Dall’ ispezione > del Codice; dall’ esame de’ luoghi controversi, e. dall’ accu- sy rato confronto dei libri: 1, 2,13, 4,5, € 19) fatti sotto gli occhi de’ sigg. Del: Furia!e Bencini posso asserire: 1. Che il 3 codice Mediceo pare scritto nei tempì dell’ Istorico ; ma fu il .calligrafo così trascurato che non poche sono le corre- zioni fattevi da altra mano . Da ciò resulta chel’ autorità sua; valida quando 1 senso ‘corre, non può invocarsi. quan, do è storpiato: 2. La scorrézione ; che ‘incontrasi in. molti luoghi del testo, è quasi sempre continua nell’ ortografia: dal che deriva la stoltezza di. coloro ,, che dicono avere i ‘sommi scrittori voluto: far così ; e non altrimenti, come se so l’asinaggine de’ calligrafi fosse imputabile 14/72, volontà de- » gliautori ec. ;;. Ma: è da vedersi tutto intero quel proemio da coloro, che amano sì fatti: stud). 142) Per corroborar la nostra asserzione cogli esempj, éc- ‘cone ùno squarcio . Ù ‘33 Le gravezze straordinarie, a ‘cuì furono sottoposti i Fio- , rentini per tener:'viva quella guerra ; esacerbarono talmente »'gli animi loro contro i Medici:, che appena si presentò l’oc- $ casione.;. scoppiò 1’ odio universale ; e faron essi scacciati, per 5 la terza volta di Stato, con tanto rsu di volontà così ne’ 55 piccoli, come ne’ grandi, che non vi sarebber tornati forse 5 mai più, se avessero i Fiorentini usati saltri. modi, e se anche 3; in ultimo non avessero con meravigliosa pertinacia chiuse .le » orecchie. ai consigli ed alle preghiere dell” Alamanni , ed alle sofferte del Dieta ; ! In fime; il profondo sentimento di tanta Paco n a, di tanta ingiustizia; e di tanta empietà; che nelle violenze è mag- 5 ‘giore in chi ‘offende che negli offesi, dividendo per sempre. due sì possenti e gloriose famiglie ( una per grandezza, per. ricchez - s za e perg Cova altra per amor di popoli; per costanza, per 3 valore ). dcibebbrafo sempre più i danni della infelice Italia, che 3 mon!terminarono: ne. colle rapine, ed inaudite crudeltà di Mi- lano; nè col sacco efferatissino di Roma; ma che trarre do- 5 vevano la patria stessa del Pontefice in : comune alleanza sd’ inaudite miserie. 2 <>» 74 » Nè aggiungerò , che esausto, per la guerra di Urbi- » No, l’erario ,, non solo dei Fiorentini, ma quello ancor del » Pontefice, stente modi , onde restaurarlo, somministrassero » anch’ essi pretesto all’ eresia luterana ;; poichè bastano le so- 3» vra esposte cagioni ‘a dimostrare a chi. maturamente riflette, : che la: guerra di Pisa era uno degli avvenimenti più impor- 3) tanti .del primo periodo di questa Istoria‘, il quale comin ;; ciando dalla discesa di Carlo VIII .in; Italia, termina colla 3, morte di Ferdinando d’ Aragona: ela guerra d’ Urbino, uno 5 de’ più importanti del secondo ; che principiando dall’ avve- 5 nimento al trono di Spagna di Carlo d’ Austria, termina colla » pace d’ Italia dallo stesso Carlo fermata con papa Clemente » in Bologna 4 | »» Nè più solide per avventura appariranno le opposizioni 3; del Foscarini e dello Speroni + Lo accusano. ambedue d’ aver tradito la verità nella narrazione dei Veneti fatti, ed in ispe- » cie nelle ‘concioni politiche . Tostochè si ammetta , secondo » quello che fu discorso di sopra; che.in:Senofonte, in Livio, s, în Tucidide, 'ed.in Sallustio ne offrono esse.i più grandi esempj » dell’ eloquenza politica, cadono per sè stesse le accuse di-que’ 5 due Veneti scrittori» Che rileva sè il. discorso del Trevisano » contro le: proposizioni di papa Giulio non ha appoggio nelle 5 Venete memorie, quando .il Foscarini. medesimo confessa, 3 ch'è maneggiato dallo sérittore con. mirabile. sagacità è » forza oratoria»? La verisimiglianza, la convenienza eil de- » coro; ecco! gli obblighi dell’ Istoricò; in questa parte dell’ ope- » Ta sua e. se queste:qualità eminentemente rifulgono nel Guic- »» ciardini, non’ farà più gran. meraviglia se Bolingbroke lo.ane - 3» tepone a Tucididè . i sli ;: Aggiunge il Foscarini ( seguendo in ciò l’Ammirato ) che » în luogo di proporzionare ‘il discorso alle cose che. narra , » cerca di vincerle, e farle maggiori, e ( seguendo lo Spe. » roni ) che il genio di lui è inclinato alla ‘maldicenza; ‘ac- ;, cusa ; che diretta contro qualche, luogo particolare dell’ Isto- , ria; iatale esser soggetta ad esame:;ima che così gene- > ralmente esposta‘, non ha miglior difesa che nell’ Istoria me= ;, desima Imperocchè nom vi ha certamente: periodo di!tempo », Ove mostrassero gli.uomini. più grandezza, e dispiegassero » maggiori talenti di quello; in cui scoperti furono nuovi mon- » di; fondati nuovi regoi; aperte nuove strade; tentate nuove 95 »» e lontane navigazioni ; ove la terribile; arte della guerra fa- » cesse sì straordinarj progressi; ove comparissero i più insi- *,) gni capitani; si udissero più inaspettati avvenimenti; ove la » politica giungesse con maggior abilità a ristorare i danni del- »; le armi; ove salissero le Arti al più alto grado di splendore; 3» ed ove in somma quanto vi ha di bello, di grande, di uti- » le; e d’ammirabile tra gli womini , ricevesse un. maggiore , incremento . Qual istorico in conseguenza ‘potrebbe apparir 9 più g grande di quello , ch’ ei narra? L’ altezza della narra- » zione deriva dall’ altezza delle cose . ‘ » E per lo contrario, dopo l’ età de’ Romani Imperatori, 3» qual periodo mai presentò ‘più ‘nefandi delitti? Allorchè si 3} videro pontefici ministrar veleni a. cardinali; cardinali .co- »y Spirare contro alla vita, di pontefici: principi, far trucidare 3» capitani disarmati còlti al laccio delle lusinghe; vendersi la 3 sacra porpora/all’ incanto; e la tiara stessa patteggiata e com- », prà coll’ oro! Quindi ‘armi invocate în soccorso, che perfida- » mente si volgono in ruina; ospizj offerti dai potenti, conver- 37 titi fra: gli abbracciamenti in insidie; paiti giurati con sacra > mento nella guerra.,, imprudentemente violati nella pace; lo » scherno , che insulta ai vinti; la lussuria , che si fa bella del PE grado; l’ incesto, che non si nasconde ; la frode , che fa pom- ” pa di sè AMLTIR LA la virtù negletta, od oppressa ; la ra- "o gione minor della’ forza ; e gli Siipri) le violenze, gli assas- 3 Sinj quanto più noti ed impuniti, più rinascenti e maggiori, ;> offrono alla, penna dello storico un tal \colore di turpitudine, 3, che ha, bisogno d’ essere piuttosto ammorzato , che rinvigo- » rito , ‘ond’ esser prossimo al: vero ,, . ® In un giornale di Milano si notò , che nell’ accennato ‘discorso ‘non‘si fa' parola nè del tem po della nascita; né di quel della ‘morte’ del | Guicciardini : ma ciò si trova nella Vita; pre-” messa; al. I. tomo; mentre ; xquel, ragionamento. è soltanto ! de- stinato a compire il X. 76 BELLE ARTI IST FAZIO ] . C) Opere d' architettura in Firenze: anno 1820. Cio Federigo Barone di Rumohr, ed intelli-. gentissimo delle belle arti, ha in questo medesimo gior- “male e con buoni argomenti dimostrato : che i fiorentini ebbero una specie d architettura loro propria e .conve- nevole ; fin dal tempo in. cui riordinarono il viver civile «sotto n governo della repubblica: e'che dipoi n ? ebbero. ‘una seconda ancora più idonea, ritrovata dal Brunelle- schi, con qualità sue da ogni altra distinte. Sicchè na- pei, viene la he se i fiorentini adoperino sempre come gli avi loro facevano; o;se con nuove ma- ‘niere «sostengano il patrio onore ? cloitmiense riguardi alla città di Firenze, vedrà edificii di sua particolare: archi- tettura, e l’uno' all’altro’ differenti secondo i' secoli, ne” trim furono costruiti. Ma le variazioni successiva» mente introdotte non ;hanno tolta via la forma originà-” le, che ‘anzi le vediamo ‘esser. derivate. da’ medesimi. principii del Brunelleschi , il quale procurava: d’acco-: modare agli usi nuovi le regole degli antichi: nè gran parte dell'antichità era rig com'è adesso scoperta. Onde non è dubbio che i moderni artisti. non. abbiano anch'essi mutata alquanto la maniera degli avi: e mu- tarla dovevano, perchè le‘cognizioni sono accresciute: e forse la muteranno pure all’ avvenire, stantechè gli ornamenti della moderna architettura non sembrano ancora bene stabiliti; quantunque i fiorentini vi abbia- no molto studiato, e non senza qualche effetto. Rimane, dunque di considerare se le fatte mutazioni sieno op- portune: al che invero abbiamo una quasi certa misu- 77 ra , provando cioè come si fermi volentieri lo sguardo ne' nuovi edificii, dopo aver contemplato la piazza del Granduca; simile a cui non è forse alcun’altra in niuna città, perchè è piena di sole opere patrie, e tutte bellis- sime. til Una gran diversità è ora negli edifizii fiorentini dalla parte esteriore all’interiore. E ciò è non solo nelle case, ma pure ne’templi. Imperocchè vediamo spesso i muri di massiccie pietre 0 di marmo;bruno con ordine rustico: ed entrando nel loro recinto, scorgiamo lievi e lieti ornamenti. La quale contrarietà dipende da tre ca- gioni : da’ buoni materiali, di che le nostre montagne son piene: dall’averli saputo i nostri antichi bene , ado- perare , solidamente fabbricando: e dalla-lunga quiete, che la nostra città si è goduta. Talchè Firenze ha resi- stito al tempo, mentre i suoi cittadini mutavano costu- me. Onde è caso naturale che avendo essi viepiù ingen- tilito il modo del vivere, abbiano altresì fatto più gio. conde le loro abitazioni ; diminuendo l'ampiezza delle sale, dando maggior luce alle camere, e riparandosi dal freddo ed anche dalla malinconia con tappeti, cammi- ni, e colle altre masserizie ritrovate dalla moda. Il che non è al certo biasimevole , perchè si usa. tuttavia con parsimonia , dando sovente occasione agli artisti di ador- nare più nobilmente le stanze , come vedremo parlan- do della pittura. Bensì non è degno di lode il trasferire la medesima consuetudine ne'templi, che ogni dì si de- turpano per la troppa facilità dell’ ornarè, senzachè ciò sia utile o necessario, e senza riguardo nè al tempo, nè al luogo, nè alla storia, niè all’arte. Intorno al quale abuso io non fo più lungo discorso, perchè basta indi- carlo a chi bene inter:de: e molte parole non giovereb- bero a raffrenare chi lo seguita senza consiglio. Onde WiS) ritornando ne’ palazzi, vediamo spesso che la loro dis somiglianza dal di fuori al di dentro fa maravigliare i forestieri: nè questi.osano biasimare la parte interiore} perchè vi si adagiano meglio chie ne’saloni antichi: ma guai a noi! se trovano la minima innovazione nella par- te esterna , dichiarandoci allora colpevoli di lesa _ragio- ne architettonica. Ed in qualche caso bisogna loro con- sentire , perchè non sempre si collega bene coll’ antico il nuovo. Ma prima di biasimar Firenze, domandino a chi pertenga la casa o il palazzo. Non sono molti anni che un fornaio , non mai partitosi dalle rive dell’ arno, comprò una casuccia , nella cui facciata erano certe pit- ture di buonissima scuola e quasi rose dal tempo. Ma non- dimeno rifacendo egli, ed ampliando la prima, volle che fossero lasciate intatte le seconde. E nel medesimo tempo un uomo ricco , venuto d’ oltramonti, fece im- biancare una consimile facciata, benchè più meritevole e posta in luogo cospicuo , accanto alla casa dove morì l Alfieri. Del resto, bisogna confessare che la sopra detta dis- somiglianza non fa lo stesso effetto in noi come negli stranieri. Fermandosi questi poco tempo neila nostra città, guardano volentieri alle muraglie esteriori. delle case, in cui ritrovano le vestigie della nostra passa- ta grandezza . Noi all’ incontro stiamo volentieri in quelle moderne stanze , dove si gode la dolce conversa- zione degli amici: ed uscendo fuori, non ci dispiace veder nuove altresì le porte e le finestre, massime per- chè se volessimo conservare tutto il rustico, non po- tremmo nemmeno ripararci dal sole mediante le gelo- sìe che i nostri antichi non adoperavano, e che male si accomodano alle loro grandi e non rettangolari finestre. Talchè rispettando i palazzi storici, e tutti quelli che 79 abbiano ottimo e compiuto ‘ordinamento; si appiana talvolta il rustico negli altri, e si toglie via l antichità men buona a fine di procacciare o più bellezza o più commodità: il che non può essere di vitupero se non a quelli che potrebbero consone la medesima cosa; me- glio operando. ‘ Ma intorno agli antichi architetti è uopo. fare un’ altra considerazione. Se noi andiamo ne’ grandi palazzi da loro edificati, vi si trovano le scale commode e quasi sempre luminose. Ma queste non furono già da essi co- | struite, essendo state quasi tutte rifatte dopo il' secolo XVI. Ed anzi pare che que’ valenti maestri poco a ciò intendessero , come si vede nelle case tuttavia ben con- servate intorno all’arco de’ Peruzzi: le quali hanno di fuori bellissima apparenza; ma entrandovi noi, e passa- ta appena la porta; si rimane al buio. Quindi siamo co- stretti di salire con angoscia per ripidi scaglioni, che tanto più erti sono; quanto più in alto collocati. La qua- le negligenza non sarà, credo io, lodata neppure dagli antiquari: 0 almeno si conforteranno anch'essi, più commodamente salendo nelle moderne scale. Vero è che possono addure in favore degli antichi la ristrettez- za del luogo conceduto alle scale, per non diminuire lo spazio o il numero delle stanze. Ma perchè non'apporvi qualche utile compenso? Perchè indugiare fino al seco- lo decimo ottavo, in cui soltanto principiarono gli ar- chitetti, se io non m’inganno, a fare scale circolari 0 ellitiiche , pigliando il lume dalla sommità del tetto, e potendo di soglia in soglia digradare quanto volevano? questo esempio non era già nuovo poichè si vede in molte ‘colonne antichissime; ‘ed'‘in tulte'le torri che ab- biano forma rotonda. Sicchè potevasi con facilità imi- 8e tare dentro le case, supplendo all’interiore. e cilindri- ca parete delle torri con pilastri o verticali sostegni. col- ‘locati in opportuna distanza. Gli architetti moderni però hanno trovato un mo- do anche più semplice. Descrivono un quadrato o un rettangolo a pian terreno: lo cingono di quattro. mura inalzate ad. angolo retto: commettono gli scalini al- quanto dentro il muro; e fanno sì che l'uno regga l’al- tro, appoggiando sopra il primo il secondo, su questo il terzo, e così di mano in mano, senza pilastri o verticali sostegni. Talchè siffitte scale. non. guastanzo divero il luogo agli edificii , siccome l'architettura richiede; e ‘ sono ad un tempo agevolissime e belle, quantunque non facili ad essere costruite. E la difficoltà è principalmen- te ne’ pianerottoli, che hanno maggior larghezza, e. che sono tanto più frequenti, quanio più dolce è la salita: oltredichè bisogna congiungere bene gli scalini, e mi- surare idoneamente il peso o le forze, le quali non, se- guono in questo caso una medesima linea, ma si rivol+ gono ad ogni pianerottolo ne’lati successivi del qua- drato. | ln Non sarà pertanto inutile che io produca un esem- pio recentissimo. Il dottor del. Piatta ha voluto (una simile scala nella casa sua, posta in via degli archibu- sieri presso il ponte vecchio. E ftodolfo Castinelli, gio- vane ma prudente architetto, l’ha ora condotta a. fine. Il vestibulo è semplice e bene ordinato, contuttochè fosse difficile ad accomodarsi fra le vecchie mura. Gli scalini sono più alti da principio che nella sommità del- l’edificio, E ad ogni pianerottolo è uno scalino attaccato: cioè ogni volta che la scala gira , vi si trova una pietra rettangolare tutta d’un pezzo; la quale serve di piane- 8ì rottolo e di soglia. Onde la linea de’gradi incomincia dal più-basso luogo, e seguita fino al quarto piano sen- za interruzione. | Queste opere dunque, ed i sopradetti argomenti persuaderanno a’ leggitori , che l'architettura fiorentina è sempre, almeno in generale, ne’suoi buoni andamen- ti. Ed allorchè muta quasi al tutto l'indole sua, o vi è costretta da necessità locali, o il fa per ritrarre gli edi- fizii greci e romani: come è intervenuto a quella nuova parte della città, ove è adesso il teatro Goldoni. Erano quivi due monasteri:: dirimpetto ad. essi , una brutta porta metteva nel giardino di Boboli: ed un arco non necessario ristringeva la pubblica via. Ma ora è la strada aperta e piacevole: da una parte si entra in Boboli per un viale vaghissimo: e dall’ altra, ov’era- no i conventi , è una bella casa, da cui principiano le goldoniane delizie. Queste pertengono al signor Luigi Gargani , del quale è uopo fare onorevole menzione, perchè promuove, quanto ei può, le opere architettoni- che. Ed egli pure ha gran rispetto verso i nostri anti- chi, siccome ne ha dato prova nella costruzione della casa già mentovata. Imperciocchè imbattendosi nel co- ro del vecchio monastero, e vedendovi pitture a fresco di Giovanni da san Giovanni, le ha sì conservate che ornano al presente una bella sala destinata a'banchetti. Guarda la suddetta casa in un bel giardino, il cui recinto meritasi invero il nome di delizie, perchè non vi mancano se non pubblici bagni (i quali pure vi sa- ranno edificati ), a fine di poterle in qualche modo pa- ragonare colle terme de’ romani. E l’ averle consacrate all’immortale Goldoni è segno manifesto, che i fiorentini apprezzano tutti gli uomini d’ingegno, quantunque natî non sieno sulle rive dell'Arno ; dando giustissimo cam- T. II Aprile 6 32 bio di lode a chi n'è degno: poichè il Goldoni volle onorare il Macchiavelli col nome di suo maestro , avendo studiato nella di lui Mardragola: ed a noi gode l’ ani- mo di onorare il discepolo che in questa parte superò il maestro. Intorno al giardino, che è idoneo alle feste cam- pestri nell'estate, è un ampio giro di stanze, le quali terminano nella scuola di reciproco insegnamento. E ne’ più grandi spazii intermedii è una vasta sala da bal- lo, con-due teatri. Il primo fu disegnato nel 1817 dal professore Giuseppe del Rosso per servire alle rappre- sentazioni notturne: e chiamasi teatro Goldoni: e se non è in tutto bellissimo, non vi si vede almeno la co- mune negligenza di collocare il piero sul voto; poichè sopra il vano della porta non è alcun muro che divida i palchetti. Il secondo teatro fu fatto da Antorio Co- razzi, che è ora in Varsavia architetto dell’ imperatore di Russia. E questo è un modello perfettissimo del diur- no teatro de’romani; se non che ha l'orchestra più am- pia, simile a quella de’ greci. Ma nel tempo che lodia- mo il disegno dell’ architetto , per cui si ha viva rimem- branza della scena latina; non piace di vedere i gradi de’ cunei principiare troppo alti dall’orchestra , sicchè non possiamo di quivi ascendervi: e molto più dispiace il portico al di sopra de’cunei, perchè la parte inferio- re delle colonne è murata dentro il parapetto, cui gli spettatori appoggiano; ed ognuno sà quanto male sia impedire la rotondità delle colonne. Importa però sog- giungere, che una ringhiera di ferro vedesi dipinta nel parapetto : il che fa presupporre che questa sola, fosse dall’ architetto ordinata, ove poi contro le regole del- l’arte e forse per economia sì è inalzato un muro. La quale congettura sì rafferma, stantechè per simile ca- 83 gione è stata pur diminuita la bellezza della sala da bal- lo; cui io stesso ho veduto dar compimento nel passato mese di novembre. ‘ Questa è opera del sopramentovato Castizelli, il quale desideroso d’ammaestrarsi nell’architettura , ha viaggiato in molti luoghi dell'Europa; ed essendo stato in Roma compagno a quel Liemanr che si è meritato le lodi del Barone di humohr, volle pur. trasferirsi in Napoli per‘ascoltare i consigli del nostro grande archi- tetto, Antonio Niccolini . Ma dovendo costruire Ja sala da ballo, non ha già potuto dimostrare tutta la sua: va- lenzia, impedito dagli accidenti locali e dalla. scarsità del denaro. Nondimeno vi ha posta tanta dblagana, che il suo peluperzani è un utile esempio. La sala è alta 36 piedi, larga 32, e Tinga 112. Sic- chè non essendo opportune queste proporzioni, è stata ristretta l'ampiezza del luogo da due elevate tribune per commodo degli spettatori: le quali poste l'una di- rimpetto all’altra, e sostenute da quattro colonne d’or- dine corintio , ci sembrano lodevoli imitazioni di ciò che i romani facevano nelle terme., poichè le ricinge un ar- co grandioso di tutto sesto: e non manca l'architrave sopra le colonne: e presso il muro vedonsi i pilastri, 0s- sia gli anti secondo il nome latino, con che i romani solevano talvolta compiere la fila. delle colonne acco- standosi alla muraglia, e che sono necessarii dove ‘un arco si soprapone, perchè questo ha in essi allora forte e convenevole sostegiio; i Le colonne però sono per nove ‘volte la loro gros- sezza contro l’ opinione di molti architetti che le Biois più alte: e presente me fu Rodolfo intorno a ciò ‘ biasi» mato. Ma egli saviamente rispose: « Palladio usa in quest'ordine questa medesima misura ; e le colonne sue 34 hanno tutta la base compiuta , mentre le mie mancano di plinto. Ho veduto inoltre in tutte quelle opere de'’greci, che ancor si conservano, le colonne corintie più basse che le mie. E credo che allorquando si voglia dare a un edifizio qualità robuste, sieno più opportune le propor- zioni date a tutti gli condi da’ greci, che non la svel- tezza adoperata da’ romani, ed esagerata da’ moderni. » Dopo tale risposta ognuno tacque: ed io vorrei.che tutti gli artisti potessero così rendere ragione de’loro di- segni. { capitelli però degli anti non dikpesdonì all’uni- versale struttura. E non voglio già dar biasimo all’ ar- chitetto ,. perchè gli abbia fatti diversi a quelli delle co- lonne: imperciocchè i greci medesimi avevano questa consuetudine , non parendo loro che fossero idonei ad un corpo quadro gli ornamenti proprii d’un corpo ro- tondo. E nemmeno oserei biasimare il Castinélli, per- chè abbia preso in ciò qualche licenza: poichè, sem- brando oramai inutile il cercare nuovi ordini oltre quelli de’ greci che mirabilmente esprimono tutte le qualità semplici e magnifiche; ed essendo cosa difficile aggiun- gere vaghezza a’capitelli, massime nell’ordine corintio, in cui diventano tanto peggiori quanto più si discosta- no dalla forma originale ritrovata da Callimaco ; si può volentieri concedere agli artisti-la facoltà d’ornare gli anti in quel modo nuovo che giudichino opportuno . Ma biasimevole è .al certo il soverchio risparmiare; ancorchè provenga dal solo padrone dell’edifizio: poi- chè questi dovrebbe misurare le forze sue prima d’ado- perarle; € gli artisti dovrebbero aver più animo contro il di lui volere. Infatti vediamo perciò i capitelli degli anti sopradetti troppo piccoli e disadorni; e troppo al- tresì negletta la dipintura nella volta, nelle pareti, ed in particolare sotto le tribune, onde queste appariscono basse, quantunque sieno sfogate; e mancante infine 85 d’ euritmia la decorazione architettonica. Imperciocchè i due muri laterali sono bene scompartiti in tre grandi archi, ma dentro questi veggonsi da una parte. tre fine- stre semicircolari , e dall’altra sole due finestre ed una nicchia incavata nell’ arco di mezzo ad: uso d’orchestra. La quale invero è con molto senno ivi collocata , senza sporgere in fuori, e senza:guastar la sala come sogliono fare l’ orchestre: ma richiedeva una simile micchia nel lato opposto. Il recinto dunque delle RECITA delta benchè sia vasto e tutto nuovo, ha pochissimi difetti Lomdulis bellezze. La quale conclusione io dovrei; pur fare); se mi convenisse discorrere degli altri ‘edificii, che:sifan- no in questa città e ne'suoi contorni. Ma basti.ora quel- lo che si è percorso. Darò più notizie all’avvenire, quan- ‘do le cominciate opere sieno compiute. Nè. credano: i leggitori che io possa dar ragguaglio di tutti i buoni di- segni de’ nostri architetti; poichè molti di essi ‘abitano lungi dalla Toscana, richiesti da Principi forestieri; co- me per esempio il già mentovato Antonio Niccolini, che soggiorna in Napoli, e di cui mi piace: fare. adesso muova menzione per trarre ad. ottimo fine il discorso. Il Niccolini pertanto è in quel piccolo numero d’ar- tisti, che sono intelligenti di tutte le belle arti e delle lettere: amico senza invidia ‘a’suci compagni: fermo nell’ adoperare come l’arte richiede: non lusingando chi dà le opere; ma queste bene adempiendo : e libera- le quanto ei può verso ciascuno che: sia bisognoso ed onesto. Prima 'che egli si partisse dalla Toscana; aveva qui principiato a ‘ben dipingere.a fréseo led a condur- re opere architettoniche con sommo e. prospero! ‘ar+ dire. Trasferitosi quindi in Napoli, attese per molti an- ni a dipingere le scene del teatro di S. Carlo ; le quali 86 tutte differentissime l’una all’altra; benchè più di cento, ne facesse;ogni;anno, mettevano gioia e maraviglia nel- Yanimo agli;spettatori. E nel medesimo tempo non tra- scurava l'architettura; poichè riordinò imolte, case. e, lo stesso teatro; a cui facendo pure un vestibulo ma- gmifico, vi pose tali ornamenti che non lasciano. luo- go al .dubitare, se quello sia un teatro; ed: un. tea- tro. italiano. : Sicchè dipoi, quando fu arso quel’ mae- stoso edifizio, ei lo rifabbricò più bello nel breve inter- vallo di otto a/nove-meési. Dopo il quale arduo e stupen- dissimo lavoro non potendo più la, fatica di dipingere le scene, si rivolse del tutto all’architettura: e. compo nendo ora un; delizioso giardino sopra la collina del 770- mere, mella villa detta. La. Floridiana; ha con poca spesa e con semplice disegno appianata la.via dove pri- ma scendeva in un burrone , alzando.;ivi.un arco solo e solido, largo centoventi piedi. Questo arco pare gettato nell’aria a chilo riguarda:dalle rive del mare: nella sua struttura ha l’ architetto emulato alle opere de’ ro: mani: e nulla manca se mon un ampio fiume che sotto esso discorra: |; tfo9 Opere di, pittura in Firenze: anno 1820.. I forestieri che parlano degl’ italiani pittori, attri- buiscono ad essi tre principali difetti: non aver riguar: do alla storia nelle loro composizioni: empire le volte e le pareti ; ove dipingono a fresco, d’aria e dimuvole in iscambio di figure: ed. usare male a proposito, il sotto ir sù; che pare sempre che sfondi i piani delle soflitte ed i:concavi delle volte; Le. quali medesime cose ho io pur lette a biasimo nostro in questo giornale (1), dove (1) Cioè ‘nel Kunstblatt; per cui scrissi dapprima questi discorsi. LAN | 87 si soggiungeva: essere tali negligenze cominciate in Ita- lia sol da brevissimo tempo. Il che invero sembra sog- giunto per cortesia; volendo significare che noi siamo stati gli ultimi tra’ moderni popoli ad abusare l’arte del dipingere. Ma ì sopra notati difetti o. non si trovano nelle moderne pitture italiane (ed io parlo de’ buoni pittori, non già di quelli che dipingono per guadagnare la vita ), o sono eziandìo comuni agli antichi maestri, ‘ ne’ quali i giovani della nostra età incessantemente stu- diano . Infatti io domanderei volentieri , qual’ è la parte storica da’ nostri artisti abusata 0 negleita. Poichè il no- me di storia comprende, in quanto è alla dipintura, il fatto principale e gli accidenti : ossia lo scegliere e ben collocare le idonee figure, e dare ad esse tutte' le qua- lità relative agli usi, a’ costumi, ed all’indole de’ tem- pi, cui il dato argomento pertenga. Ma niuno, io credo, non vorrà fare un quadro in tale maniera che non sia intelligibile : ed anzi vediamo sempre lieti gli artisti, quando alcuno lor dica subito: io riconosco il fatto . Che se implicato fosse in non chiari attributi; e se il ‘principale divenisse accessorio ; udirebbesi allora una voce generale di scherno, come si è ora udita in Firen- ze nel proporre i disegni d’un nuovo monumento sacro alla memoria di Dante: poichè si è richiesto che la fi- gura dell’Alighieri vi sia tutta intiera e colla bella toga fiorentina, contro l’opinione d’ alcuni che volevano fa- re una tomba alle poesie ; piuttostochè alla persona del poeta . Quindi per rispe tto agli accidenti d’ un quadro io non so se vi sia e vi possa essere una regola determi- nata senza eccezioni . Imperciocchè nemmeno le com- medie e le:tragedie storiche non seguitano mai del tut- to la storia, benchè sieno in essa fondate: e certamente 88 è più facile ordinare una rappresentanza divisa ‘in più atti, che non una sola scena, o un sol punto di questa scena , com’ è la dipintura d’un quadro (1). Sicchè non possiamo negare agli artisti qualche licenza intorno alle parti subordinate delle loro dipinture. E se di ciò avran- no essi biasimo, rammenteranno a’ critici che Raffaello ritrasse molti uomini moderni nella scuola d’Atene, e fece ad Apollo sonare il violino. Oltredichè ognuno sà quanto ingegno si richieda per ben figurare gli. eroi (1) Il compilatore del giornale tedesco Kunstblatt, avendo già tradotto nella sua lingua e pubblicato ( nel num. 19. del mese di marzo 1821 ) questo mio discorso, ha creduto cosa :op- portuna qui dinotare: che sempre è diilicile paragone delle ope- re d’un’arte liberale coll’ altra. E quindi ha con somma ra- gione soggiunto, che tra un pittore ed un autore di comme. die e tragedie è questa gran differenza: che pertiene princi. palmente al primo ciò, che il secondo soltanto accenna e la- scia eseguire a’ commedianti : e che all’ incontro pertiene prin- cipalmente al secondo ciò, che il primo appena può far pre- sentire, l'origine e la fine del disegnato argomento. Ma que- sta giudiziosa considerazione rafferma la similitudine da me pro- posta, posciachè io non ho fatto se non quel paragone che pote- va; rassomigliando cioè un quadro dipinto ad un quadro, che il lettore si figuri nella mente, o che lo spettatore vegga in teatro, in un sol punto d’una scena. E niuno potrà, mi sembra, dimo- ‘strare chei gruppi ed il gesto de’ commedianti sieno del tutto in loro arbitrio senza che autore della commedia vi partecipi; essendo egli anzi il vero ordinatore di qualunque comico atteggia- mento. Nè ‘alcuno potrà negare, che il ben consigliato pittore non debba disaminare le cause e gli effettidi ciò che dipinge, prima di collocar le figure con quell’ espressione che lor si con- viene. Al che si conseguita quello che io aveva solo indicato: esser più facile ordinare più quadri insieme collegati, che non un solo; poichè nel primo caso l’ uno facilita 1’ intelligenza dell’ al- tro; e nel sécondo caso è-uopo' arte maggiore; affinchè il di- segno sia chiaro ed altresì piacevole a chi lo riguarda . 89 della moderna storia; i quali possono avere animo gran- de, ma non hanno qualità pittoresche . S'empiono poi sovente ,ed è vero, le pareti e le volte d’aria ‘e di nuvole . Ma ciò dipende dallo scarso premio conceduto agli artisti , 0 dal volergli obbligare a fipir presto il ci Ne? quali casi biasimerei piut- ' tosto l'abbondanza delle figure ; perchè i poveri artisti le debbono di necessità male effigiare , ‘quando, troppe sieno, a fine d’ aver: qualche compensazione alla. fatica ad al tempo . E perciò mi sembra degno di moltissima lode uno de’ nostri giovani pittori che è valente ed ama- bile, cioè Giuseppe Bezzoli, il quale ha in casa Pucci via de’ Pucci, e nella volta di non piccola stanza dipin- to un solo Amorino che porta una canestra di fiori, e V Aurora ( o Flora ) che piglia i fiori e gli sparge in un campo aereo : avendo così egli potuto essere dili- gente e sollecito, e fare una pittura sì fresca, viva e lieta che mette amore nell’animo a chi la contempla . E lo stesso Bezzoli meritasi pur lode maggiore e nel mede- simo tempo biasimo , per aver dipinto in:un altra sala della medesima casa le avventure d’ Arigelica e di Me- doro . Imperciocchè il primo quadro è tanto bello, che si vorrebbe avere ognora presente , Vedesi Angelica tutta pietosa al funesto caso di Medoro, che ferito e languente giace . E quella c’ inna- mora : a questo c’ interessiamo , con desiderio di veder nuovamente inanimato quel bellissimo corpo . Nè oltre queste figure che son perfette nel disegno, nel colorito e nell’ atteggiamento; non mancano di bellezza le altre parti del quadro, e non si discorda la loro composizione dalle parole dell’ Ariosto .. Sapendo il. Bezzoli dipinger bene anche i paesi, ha qui ritratto il bosco, dove Ange- lica trovò. il pastore che a cavallo veniva cercando una 90 sua giovenca . E già si vede il pastore sceso dal pala- freno , e curvato con un ginocchio a terra per. meglio aiutare all’ infermo ; tenendo in mano una tazza, ove Angelica ha spremuto il salutifero sugo dell’erbe. Quine di è Medoro sollevato alquanto in sul grembo d’ Ange- lica, mentre essa a lui fascia la ferita: e dolce è a. ri- guardare, come ella sia accesa di pietà, e come egli mostri amore negli occhi che verso lei riapre. Tanto- chè l'artista non poteva operare con più artifizio ; ;nè con maggiore naturalezza . : he Ma guardando agli altri suoi quadri sta seguitano la Videsinà storia, bench vi si veda di tanto in tanto pari maestria e bel colorito ; nondimeno si scorge che il pittore ha dovuto affr ‘ettarsi per secondare le voghie altrui. Della qual cosa io debbo dargli biasimo, stantechè niuno è scusabile con dire : 10 dovea far presto. Ed ‘allora è molto meglio empire gli spazii d’aria e di nuvole; le quali adombreranno le pareti, ma non mai la fama de) dipintori . Ge? Che diremo poi del terzo difetto attribuito a’ no- stri pittori, cioè del sotto insù ? Gli storici raccontane che primo ad usarlo fosse il Correggio. E Francesco Mi- lizia soggiunge : che Raffaello avrebbe saputo ciò fare, ma nol volle per non fare difformità. Il che, quanto sia vero, conosceranno tutti quelli che sieno stati in Ro- ma. Di fatto nel convito di Psiche dipinto nella Farne- sina vedesi Za tavola del banchetto di sotto insù . Che se opporranno : ‘essere stata quella dipinta da’ discepoli di Raffaello: non potranno negare che di lui non fosse il disegno, o come si suol dire il cartone. Sicchè pare che Raffaello stesso adoperasse ‘questa maniera di dipingere, credendola in qualche luogo necessaria. Ma comunque sia, ebbe quest’ uso-origine da nobilissimi pittori; e dipoi si è 91 sempre seguitato , quantunque difficilissimo a mettersi in opera . Tantochè questo solo argomento , cioè la sua difficoltà , basterebbe a dimostrarne 1 importanza; poi- chè una cosa malagevole, e non utile, volentieri si trala- scia. Vi‘ sono però altre ragioni. I quadri non rappre- sentano che gruppi di figure , le quali ; benchè in di- Verse posizioni , appariscono quasi sempre perpendico- larmente . E nella medesima linea perpendicolare sono altresì le figure che di sotto insù si dipingono, se, non che si védotib da un punto più basso. Onde questa ma- niera di dipingere non è irragionevole , che anzi è nel proseguimento naturale dell’ arte. Equi dobbiamo no- tare che lo stesso Milizia dice parlando della. prospetti- va :.che il gusto dee presiedere all’ altezza; in cui si stabilisce il punto di veduta. Sicchè non è dubbio che il punto di vista non abbia diversi gradì ; il cui medio e più naturale è per linea orizzontale, e gli altri ter- minano da una parte nel preciso sotto ins, e dall’ al- tra non hanno finora un limite perchè non vi è stata mai occasione’ di dipingere precisamente il sopra ingiù, quantunque vi si avvicinino moltissimo le pitture de’ Cosmorami e de’? Panorami . Pertiene dunque al giudi- zi0 dell’ artista lo scegliere quel grado che sia convene- ‘ vole. E brutte appariranno sempre le figure, quando sieno'tanto di sotto insù, che non:se ne veda le forme . E' male operarono in questo genere gli artisti del secolo scorso , per cui tali pitture sono diventate a molti odio» se. Ma quando vi sarà una giusta moderazione, ovvero quando saranno disegnate da uomini valénti ; non. solo sfuggiranno il biasimo, che daranno altresì diletto a chi le riguardi; siccome è piacevole a vedersi in Roma Vl 4s- sunzione dipinta :dal Domenichino nel piano della sof- fitta di Santa Maria in Trastevere 92 Inoltre in qualunque stanza piccola o grande, che abbia una soffitta piana o una volta, se quivi si dipinge un quadro come se fosse collocato sopra tappezzerie :, il che richiede il punto di vista per linea orizzontale: sembrano le figure cadere addosso a chi di sotto le guar- da . Onde per fuggire un male , si cade in un altro ;. e vi è pure questo inconveniente che :s° abbassano , non s'ingrandiscono gli spazii. Alla qual cosa non si può nemmeno riparare sempre collo scompartire la volta in più quadri, perchè si nocerebbe spesso all’ ordine ar- chitettonico. Talchè i buoni pittori non volendo dipin-. gere le stanze di sotto insù , pigliano però il punto di vista più o meno basso, secondo l’altezza e vastità della sala . E quando dipingono nelle chiese o ne’ teatri, al- lora si valgono del sotto insù con ragione, e come. co- sa indispensabile , sì per rendere l’ edificio più sfogato, e sì perchè immaginano che la volta sia aperta, e che gli angeli ed i bieoti scendano nel sagtuario , o di quivi salgano al.celo: il che ne’ teatri si riferisce alle divinità pagane. Dopo i quali ragionamenti bisogna concludere che male opinano alcuni in biasimare il sotto insù, per- chè pare che sfondi le volte: poichè si richiede appunte che faccia:questo effetio , immaginando quelle aperte .. Tu simili casi però importa moltissimo lo scegliere . soggetti idonei, e quanto è possibile aerei, o che si pre- suppongano potere stare in aria; per non essere costretti di porre in celo il mare, i bastimenti, le capanne e.le montagne, come si è visto fare da’cattivi pittori. E bi- sogna principalmente astenersi da’ disegni architettoni- ci: non essendo verisimile che la grossezza d’ una cor- nice possa sostenere una pesante mole, come sarebbe quella d’un tempio , d’un portico , d’un campanile: ed essendo tali pitture da far fuggire la gente, perchè. da \ 93 un solo punto possono vedersi bene ordinate, e da ogni altro minacciano rovina. La quale paura non si scema, ancorchè per arbitrio degli artisti abbiano leloro pitture due o maggior numero di punti di vista. Talchè non sa- prei in questo genere produrre se non un solo buono esempio; ed è quello del padre Pozzi, ottimo pittore di prospettiva benchè stravagante architetto, il quale in una chiesa d'Arezzo, detta la Badia, dipinse molto be- ne lo sfondo d’ uria cupola nel piano d’ una soffitta. Ma lasciando oramai di parlare dell’arte, ci volge- remo agli artisti, e noteremo le opere compiute adesso nella città di Firenze. Già si è detto che il Bezzoli ha dipinto in alcune stanze del marchese Emilio Pucci. È questo signore spende bene il denaro, seguitando di far dipingere il suo palazzo ad altri buoni artisti. Ma non è egli solo , che dia appresso noi questo utile esempio. In molte chiese richiedonsi nuovi ed ottimi quadri. Il nostro Sovrano è cortese e magnanimo agli artisti, aloperandoli negl’imperiali palazzi, di cui parleremo all’ avvenire. Ed il signor Michele Giuntini, che ha felicemente ac- quistate molte ricchezze, adorna la casa sua in modo convenientissimo alla sua condizione; avendo già molte stanze dipinte dal Bezzoli , dal Martellini, dai Menito- ni, dal Colignon , e dall’Angiolini; e facendo ora com- piere una sala da Francesco Nenci, nativo d’Anghiari presso la città d'Arezzo. Molti conoscono i pregii e la bontà di dista pilto- re. Egli è quel medesimo che ora fa i disegni per di- pingere la nuova cappella nella villa detta il poggio im- periale. E poichè vuol vivere utilmente anche nelle ore, in cui non si può dipingere ; così ha ‘impreso un altro egregio lavoro, disegnando i principali argomenti della divina dalai composta dall’A/ighieri. I quali di- 94 segni il Nenci comincerà 1a pubblicare in. brevissi- mo tempo : nè si può dubitare che mon sieno tut- ti buoni, stantechè ha egli già disegnato tutta la ‘ cantica del paradiso, per adornare una bella edizione di Dante compiuta ora in Firenze ; la qual parte del suo lavoro, che è bellissima , egli intende di replicare per distribuirla a chi vorrà le sue stampe. E del resto vediamo noi nella sala del Giuntini le pareti semplicemente ornate con specchi e bassirilie vi, e la volta bene scompartita, come l’architettura qui concedeva , in più quadri chiusi da cornici. Talchè il giudizioso pittore non ha in questo luogo, dove non era necessario, immaginata la volta aperta, dipingendovi aria, nuvole e figure di sotto insù: ma però nel quadra principale, dea lungo sette braccia e largo cinque, con tre figure d'animali e diciassette d’ uomo grandi, quasi al naturale, non ha già preso il punto di vista per linea orizzontale, ma un poco più basso, ed in modo si op- portuno che le figure sembrano proprio stare dove egli le ha collocate, senza avere apparenza: di cadere o di sfondare la volta. Questo quadro rappresenta il trionfo di Bacco : e fà maraviglia il vedere in sì piccolo spazio tanti gruppi di figure, e tutti ben collegati e bene distinti. Due ro- busti fauni sonando il corno, ed una baccante che sona il cembalo e che forse è l'effigie di Mete, appariscono i primi nella campagna.Essi vanno per la via con liete danze, precedendo il carro innanzi alle tigri. E qui vé- diamo subito la prima qualità della festa , cioè l’ebbrez- za. Imperciocchè due satiretti volendo cavalcar le tigri , uno è caduto, ed implica il piè caprino nelle redini e ne tralci; onde la tigre pur si ferma e volge a riguar- darlo con atto quasi compassionevole. Ma l’altro satiret- 95 to preso dal vino non cura del suo compagno, e mon- tato sull’altra tigre amendue le batte affinchè tirino il carro. La quale accidentale fermata è un piacevole ri- poso a chi mira il quadro, poichè si vede un general movimento, ma non fugge via dal cospetto: il che mi pare un ingegnoso artifizio del pittore, massime perchè non ha egli commesso l'errore di dipingere un carroin moto, quando non è possibile indicare il rivolgimen- to delle rote. E bel concetto è altresì aver dato aria giuliva. ma non ;ebbra ad Arianna-e a Bacco, i cui volti sereni fan luce alle facce altrui tutte piene di vino. Bacco è onestamente ignudo, poichè siede sopra una pelle di belva che gli cinge 1 fianchi: ed al- zando colla sinistra mano un vaso colmo di uva, guar- da i seguaci e gl’ inanima con ilare gesto; mentre nel- la destra tiene ed abbraccia la donna sua, che_sem- bra negletta dalle baccanti, perchè ciascuna attende a'giochi ed allo splendiente nume. Nè ‘a lei pure im- porta di quei che intorno festeggiano, avendo gli occhi fissi nel caro sposo, contro il cui seno mollemente s'appoggia. Ed ella sola ha nel viso la voluttà d’ amore unita con tenerezza: in lei pare trasmessa la deità del consorte. Sicchè primeggia nel quadro, ancorchè non presieda alla festa , e copre di manto verde le mem- bra, seduta anch'ella sul carro che è tutto d’oro. Di qui poi cominciano altri gruppi di figure, che di più in più all’ ebrietà s’ avvicinano. Giovane fau- no alla destra del carro tenta di baciare una bac- cante, la quale subito volge le guance, e lui ri- spinge per dargli maggiore desio. E dalla sinistra par- te sopra un faunetto, che sona la zampogna , vedesi Pane cercare appoggio, mettendogli sulle spalle il brac» cio; intantochè un satiretto malizioso è saltato sugli 96 omeri di Pane, e si regge alle corna di questo nu me boschereccio. Dopo i quali vengono una baccante ed un fauno, che abbracciati ballano, avendo questi un vaso, e quella sonando i crotali. Finalmente giun- ge Sileno ebrissimo , ed abbandonato sull’ asino . Egli è grosso e panciuto: ha un panno giallo buttato in- torno al corpo nudo e rosseggiante di vino: non ha moto negli occhi, non forza nelle membra: talchè sarebbe già caduto se di quà e di là non gli faces- sero due fauni puntello, mentre un altro. faunetto regge l’asino, che torcendo il muso vorrebbe levarsi il peso ed il freno. Nulla manca pertanto alla composizione di que- sto bellissimo quadro: ed ogni figura è ben disegna- ta: ogni gruppo esprime chiaramente ciò che debbe significare. Che se ad alcuni paresse il colorito 0 troppo delicato o troppo debole in qualche parte, non bia- simino perciò il pittore; stantechè egli non ha volu-.. to usare i colori alterati, che durano poco tempo, e che non sembrano idonei alla pittura delle piccole volte, poichè accrescendo la forza delle figure , fanno comparire queste e quelle più basse. Il rimanente della volta è con somma grazia de- corato, essendovi dipinti in una striscia rettangolare diciotto piccoli bassirilievi, con putti , satiri, fauni e baccanti, che sonano, scherzano , 0 ballano. Ed alle due estremità del quadro di Bacco sono ben collo- cati due bassirilievi di chiaroscuro verde, lunghi quanto è largo il quadro, e con figure quasi al mez- zo naturale. Il primo significa l'infanzia di Bacco. Sopra tre fusti d’albero vedesi gettato un panno, come ad uso di tenda: e quivi sotto giace in terra Sileno , corpu- ‘ 97: lento e barbuto, che inalza colle mani Bacco fan. ciullo. Questi all’ incontro scherza col balio suo, spre> mendogli sulle gote un grappo d’ uva. E due baccanti ed un satiro stanno da tergo: una baccante è innanzi prostesa , appoggiandosi alle ginocchia di Sileno: e molti poi rallegrano sè medesimi ed il nume, ballando, e so- nando ie tibie , le nacchere e le zampogne. Il secorido bassorilievo rappresenia sacrifizii a Bac- co. E subito si scorge che è il tempo della vendem- mia, poichè dagli alberi pendono grappi d’uva ma- tura e foglie d’ellera. Due alberi sono in principio del quadro: e sotto vi stanno le tigri sciolte con naturale di- segno; luna aggrappandosi a rami e mangiando l’ uva ; e l’altra già sazia e distesa per terra, con sonnifera ebrietà negli occhi, e con pampini ed uva restati a lei tra l’unghie. Quindi Arianna appoggia il dorso a’ me- desimi alberi, e sede sopra alte zolle , tenendo in mano il tirso che ha levato a Bacco. Questi giace dinanzi alla donna sua, e moliemente accostale il capo al seno, lei guardando amoroso, lei carezzando colla destra, mentre colla sinistra indica i sacrifizii che fanno a lui, e che egli a lei offerisce. Vedesi infatti a/piè del nume un am- pio vaso, e poi una baccante, la quale s'inginocchia al- zando una patera; intantochè un fauno porta un bigon- cio pieno d’uva. Dietro questi un satiro trae per le cor- na un capro: il quale non volendo seguir la via, è spin- to innanzi da un piccol fauno, mentre un altro fanciul- letto alza la frusta per batterlo. Nè voto è lo spazio so- pra del capro, poichè vi è opportunamente un albero , da’ cui rami pende una zampogna. Ed ultimo al solito , perchè vecchio ed ebro , giunge Sileno, camminando con lenti passi infra due fauni, sopra cui par che si sdrai. T. II Aprile 7 ? . 98 Ragionevole è dunque l'opinione di molti miei concittadini , che riguardano la sala del Nenci come una delle più vaghe stanze fiorentine. E da queste pitture fatte sopra intonaco io volentieri trasferivei il discorso a’ quadri dipinti sopra tela da’ nostri artisti nell’anno 1820; se fosse più spazio conceduto alle mie scritture . Ma nondimeno io soddisfarò quanto posso a’ ieggitori, descrivendo la più bella e nuova opera della nostra accademia. Questa pertiene a Pietro Benvenuti, il cui nome è tanto celebre che arreca onore alla patria. Ed il suo disegno rappresenta la morte di S. Pier Gri- sologo, Arcivescovo di Ravenna, con figure grandi più che al naturale . L’ Arcivescovo era nato in Imola: e come dicono la tradizione e la leggenda , egli antivide lora della morte sua . Sicchè avvicinandosi quel funereo giorno, diede ogni cosa a’ poveri fuorchè 1 sacri arredi: e questi volle offerire in dono alla patria chiesa, partendosi per- ciò dalla metropoli non ostante la vecchiezza. Onde ve- desi già pervenuto in Imola e dentro il tempio. Questo è d’ architettura antica, e si scorge prolungato fino alla tribuna, che è pur dipinta a guisa degli antichi mosaici; essendovi rappresentato Cristo con sei angeli in un fon- do d’oro. Ma i principali gruppi del quadro sono intorno ad un altare, che apparisce di fianco e a destra, e so- pra cui è l’ urna di S. Cassiano. Per tre scalini sorge la predella , e quivi è S. Pier Grisologo , il quale ha già diposto sulla mensa sacra le mitre ed il calice. Ma l’of- ferta è appena compiuta, che |’ Arcivescovo è preso da mortale apoplessia. Talchè lo veggiamo caduto di repente indietro sulle braccia d’ un sacerdote , che sbigottito lo sostiene con fatica, e par che domandi aiuto. Quindi un altro che gli sta dinanzi ed in ginocchio, stende sol- - 99 lecito le mari per rattenere il santo. Di quà dall’ altare due cherici impauriti accorrono ; ‘e l’ uno di. essi porta le ampolle per ristorare il moribondo ‘con acqua, 0 con vino . Dall’ opposto lato è il Crocifero , che, lasciatasi cader sul petto la croce, alza anch’ egli tutte e due Je mani per dare soccorso. Molti però conoscono essere inu- tile l’ assistenza degli uomini, poichè il pallore di mor- te è sulle guance del piò Grisologo . Etre figure, che una in piedi e due in ginocchio stanno nella parte an- teriore del quadro , mostrano opportunamente che non vi è speranza; imperciocchè la più vicina di esse in par- ticolare ha sì fiero atteggiamento che sembra provenire da disperazione piuttostochè dal desiderio d’ aiutare ‘a chi già quasi è morto . Forse è costui > che ha pur ma- gnifiche vesti, un parente dell’ Arcivescovo : e troppo forse godevasi del nuovo lustro conceduto alla sua fa- miglia, sicchè or gli duole, e non può ancor rassegnarsi all’ irreparabile perdita, Ne’ vicini dunque è spavento; e ne° lontani gruppi si distingue l’ansietà di farsi avanti per vedere e sapere il caso. Tantochè rion essendo in questo luogo alcunaletizia, bene adoperò il pittore, traen- do dal celo un vivo raggio di luce in sulla testa del santo, «e sopraponendovi due angeli che danno conforto; l’ uno de’ quali tiene una ghirlanda di fiori per coronare il beato Grisologo . Tutte le figure hanno puro disegno, vivace colorito , e volti sommamente espressivi. Ma la faccia del sacro pastore è sì patetica e. languente., che «ben dinota essere in. quell’ istante, che la vita colla morte s’ incontra, per mandare l’ anima alle celesti ‘sec di. Onde non potrebbe essere più naturale e commo- vente : e lo stato suo privo di forze viepiù si cono- sce guardando alla generale movenza di tutti gli val tri aspetti. Nè le parti subordinate della dipintura 100 A non sono contro la storia; poichè ogni cosa ed, ogni persona ha le qualità de’ suoi tempi. Sicchè.i pre- lati vestendosi allora o di rosso o di verde ne’ loro viaggi; e gli altri sacerdoti potendo qualunque. colo- re fuorchè quelli eleggere; benchè tutti del pari so» praponessero alla veste un bianeo camice e la stola; che mai non abbandonavano : così vediamo tale uso conservato nel quadro, dove i sacerdoti sono vestiti di nero, ed i cherici di celestino chiaro, mentre la veste rossa trasparisce di sotto al camice del santo, con buono e vario effetto. La quale varietà si scorge eziandio nelle stole, che ometter non si potevano, e che avrebbero senza ciò renduto il quadro troppo uni- forme . Questo quadro è alto braccia sette e tre quarti, largo cinque e mezzo, e debbe essere collocato nel coro del Duomo di Ravenna. Il Camuccini, il Co- lignon (1), ed il Serangeli, debbono fare tre altri quadri per adornare il medesimo coro, a spese del (1) Giuseppe Colignon ba pur fatto il quadro suo nel 1820, e lo ha esposto al pubblico nell’ accademia delle belle arti in Firenze ne’ primi giorni del mese di Febbraio 1821. Ma es- sendo io in Livorno, non l ho potuto vedere; e perciò sì con- tentino i lettori che io qui trascriva sole le parole, con cui fu dichiarato il quadro dal suo medesimo autore. ,, Il soggetto del quadro è S. Apollinare, discepolo di S. Pietro, che pre dica la legge di Gesù Cristo nel tempio di Apollo. Nel tem- po di questa predicazione viene un’ orribile scossa di terre- moto, dalle eui rovine rimangono oppressi gl’ idolatri, mentre i seguaci del santo sono miracolosamente liberati. Si vede nell’ara la statua d’ Apollo, che cade a pezzi. Nell’ alto della tribuna viene descritta la favola de’ figli di Niobe falminati da Apollo e da Diana: e dietro alle rovine del tempio si scorge l’ an- tica città di Classe ,. 410% presente arcivescovo Monsignor Cotronchi . In. breve poi compariranno al pubblico tutti i disegni del Ben- venuti, incisi in questa città da una compagnia d’ ar- tisti. E poichè mi è occorso di parlare d’ incisioni, non dispiacerà , credo, a’ leggitori che alcuna cosa V aggiunga riguardando all’ Inghirami ed al Gallesio . Il cavalier Francesco Inghirami , che è stato altra volta direttore del museo etrusco di Volterra, e che ora è sottobibliotecario della Marrucelliana in Firenze, dopo aver adempito l’ ufficio suo nella libreria, lascia la città, e si trasferisce in vicinità di Fiesole nell’ anti- ‘ ca Badia costruita dal Brunelleschi. Quivi ha l'Inghirami una calcografia ed una tipografia, i cui lavoranti sono suoi discepoli, incidendo, colorando, e stampando, sic- come egli insegna, î monumenti etruschi o di etrusco nome . Nè potrei esprimere quanto diletto arrechi il vedere in quel delizioso colle fiesolano un cavalier che sdegna il fasto e la mollezza per coprirsi col cappello d'artista: alla quale umiltà conseguita riputazione e fama . Nè potrei abbastanza lodare l’ opera sua, poichè dichiara, e interpetra la mitologia e la storia de’ nostri vetustissimi antenati, la quale rimaneva involta entro fallaci congetture. Egli rigwarda a’ bronzi, a’ vasi, agli vedifizii, alle urne, agli specchi mistici, ed’ a quanio sì ritrova degli etruschi: il che disegna, incide e ra- giona, per quanto a me sembra, con sano e retto con- siglio. Talchè si merita invero il favore del pubblico mediante opera siffatta, che egli distribuisce in fasci- coli; ognuno de’ quali costa paoli diciotto, e contie- ne dodici rami e quaranta pagine di scrittura . Il conte Giorgio Gallesio, nativo di Genova, è P altro personaggio, di cui mi resta a parlare. Simile all’ Inghirami nel desiderio di giovare alle arti ed. alle 102 iscenze, il Gallesio percorre le campagne ed i villag- ‘gi, compilando Za Pomona italica. Ed è quel mede- simo che stampò la teoria della riproduzione vege- tale; già tradotta in lingua germanica: e di lui si è già parlato in reolti giornali, e bene massimamente nelle effemeridi letterarie di Roma (1). Sicchè per” rispetto alla parte scentifica non è uopo aggiungere se non che egli ha ritrovata la vera maniera di spie- gare le operazioni della natura nel frutto de’ vegeta- bili, attendendo principalmente alle varietà ed a” mo- stri, ossia a ciò che egli chiama mulismo vegetale : per cui ne nasce un nuovo sistema chiaro e bene or-' dinato. E per rispetto alle incisioni, le vediamo tutte naturali e perfette; essendo state incise e colorite, al- cune in Parigi, altre in Genova da Vomenico del Pino, e le più recenti colorite in Firenze dalla signora /sabella Bozzolini, che è pure ottima. pit- irice di ritratti in miniatura . Antonio BEnGI . (1) Fascicolo 2. Novembre 1820. SCIENZE NATURALI AGRICOLTURA MEMORIA sopra le Assemblee Georgiche in Inghilterra, del Professore J. B. Hus4rp figlio, pubblicata a’ ordine del Governo di Francia, ed inserita nella seconda serie degli An- nali di Agricoltura Francese tomo IX. Il n Inghilterra un’ istituzione diffonde nella classe dei col- tivatori pratici, che non hanno mezzi di studiare, quelle noti- zie agrarie, che le nostre accademie di agricoltura con difficoltà possono spargere in un piccolo numero di coltivatori istruiti. Questa situazione è quella delle'Assemblee Georgiche . Risultando esse da alcune associazioni, per darne un’ idea precisa, fa d’ uopo cominciare dal far conoscere la loro natura. Associazioni , che danno luogo alle Assemblee Georgiche. I. In tutti i luoghi principali delle contee, ed anche in quasi tutte le città di qualche considerazione, stabilisconsi delle società formate da tutti i principali abitanti proprietarj, o negozianti, per occuparsi di tutti gli oggetti, che possono accrescere le ric- chezze del loro paese. Il perfezionamento dell’ agricoliura ovun- que forma lo scopo dei loro voti . ; Per occuparsene con esito felice, la società sceglie tra i propri membri i componenti il consiglio, o ufizio di. agricoltu- ra, molto spesso nel seguente modo : 1. Un presidente eletto tra le persone di un rango distinto per maggior lustro del detto ufizio : 2. Un vicepresidente, incaricato più particolarmente della | direzione. dell’ ufizio : 3. Un segretario e un tesoriere incaricato del registro. e conservazione degli assegnamenti spettanti all’ ufizio : 4. Tre o quattro giudici sceiti tra i coltivatori pratici, i più istruiti; - 5. I consiglieri in numero indefinito . Il presidente, il vicepresidente e ì giudici sono permutati, o rieletti in ciascun’ anno : il segretario e il tesoriere sono a 104 vita. Tutti i coltivatori che compongono la società godono la. qualità di consiglieri . Questo ufizio unicamente si occupa in esaminare, quali parti abbisognino di eccitamento in agricoltura, e in determi- nere i premj, da decretarsi a favore dei coltivatori, che pro- muovono di quella i progressi. Queste operazioni non esigen- do molto tempo, i congressi hanno luogo soltanto nell’ epoche convenute per la distribuzione dei premj stati antecedentemen- îe proposti, e in tal’ occasione stabilisce i premj da distribuirsi nell’ adunanza consecutiva. ] giudici sono particolarmente incaricati di esaminare al con- corso i meriti degli aspiranti, per assegnare i premj dovuti alle utili loro operazioni. . Vengono procurati gli assegnamenti per tali premj della so- cietà, e prelevati dall’ entrate della città, o della comune , ov= . vero sono formati da una sottoscrizione individuale dei soc]. Le distribuzioni dei premj generalmente hanno luogo due volte l’anno: in primavera, e in autunno. II. Oltre a queste società, sono state formate in molti luo- ghi delle adunanze di soli coltivatori, e il di cui unico scopo è l’incoraggimento dell’ agricoltura. Tali agrarj stabilimenti per la maggior parte sono stati fondati da personaggi distinti, © da coltivatori istruiti e ricchi, mossi ad agire da desiderio ar- dente di pubblica prosperità. Hanno avuto origine così quegli dei lord Bedford, e Somerville; e quello in Norfolkshire , diretto dal coltivatore Coke. Queste seconde società allorchè sono pervenute a merita- re la fiducia pubblica, hanno dato luogo a delle assemblee geor- giche, che tal volta sono state proseguite con maggior impegno di quelle stabilite dalle riunioni delle città. Queste in Inghilterra sono dette società d’ agricoltura ( agri- euliural socteties ), e non si occupano similmente, che delle di- stribuzioni dei premj. Sono raccolti i fondi per mezzo di sotto- scrizione volontaria, ed ogni individuo ammesso a pagarla. di- viene membro di tal compagnia. Questa sottoscrizione è per il meno d’una ghinea ( 25 franchi ) L’ ufizio è composto, come quello delle società sopra men- zionate, colla sola differenza che tutti i socj indistintamente so- no consiglieri. Le trattorie sono, molto spesso, i luoghi ove :si fanno le 105 riunioni generali, e le deliberazioni di queste compagnie. Le distribuzioni dei premj non differiscono dalle altre, che abbiamo accennate, e si esegniscono nelle stesse epoche . III. Una terza specie di riunione dà luogo altresì a delle as- semblee georgiche: ecco ciò, che accade: una persona conosciuta avvisa per mezzo dei fogli pubblici, o in qualunque altra ma- niera, che in un tal giorno, in una tal ora, tutti i coltivatori del circondario potranno riunirsi in un luogo ( ordinariamente in una trattoria ) per discutere sopra un soggetto di coltiva- zione, che viene indicato. Il risultato d’una tal riunione è molte spesso la fissazione d’ un premio da decretarsi a favor d’ un col- tivatore, che per mezzo di esperienze ben’ eseguite, darà la so- luzione del quesito proposte. Se la soscrizione è aperta, i fondi per il premio sono fatti nello stesso momento: è stabilito 1’ ufizio: è stabilito il tempo cecorrente ad eseguire le prove: ed allora la riunione si scio- glie fino all’ epoca. fissata per l’ ag ggiudicazione del premio. Tal- volta quegli che hanno firmato ( spesso tutti i coltivatori ) pos- sono presentarsi al concorso. L’ aggiudicazione del premio è or- dinariamente rimessa all’ epoca della distribuzione del premio di qualche altra società. Sebbene non sia che momentanea questa specie di riunio- ni, pure è stata l’ origine di alcune società agrarie atiualmente esistenti. Queste tre specie di società, non dissimilmente alle nostre in Francia , hanno per oggetto i progressi di questo ramo d’ in- dustria; i mezzi per altro, che impiegano, sono più efficaci, quanto più semplici, perchè consistono unicamente nelle distribuzioni dei premj fatti in tali pubbliche assemblee. Vediamo cio che in esse si pratica. Assemblee Georgiche . Nel primo dei giorni fissati. per la distribuzione dei premj proposti da una delle menzionate società, i giudici si riuniscono nel posto prefisso: il presidente, il vicepresidente, il segretario, il tesoriere, e la maggior parte dei membri, componenti la so- cietà , ivi con essi concorrono. Il luogo qualche volta è un campo, o una piazza di mercato dinanzi la casa di riunione dei compgnenti la società. 106 In questo campo, in questa piazza, i giudici fanno l'esame sui concorrenti, spesso senz’altra difesa contro le stagioni, che d’un> tettoja provvisoria, ed aperta da ogni parte. Ivi tutte le discu.:sioni sono pubbliche: ciascuno può dire liberamente il }. o- prio parere, ed esporre ai giudici le proprie osservazioni. Gli istrumenti nuovi sono esposti alla vista di tuiti ( gl’ inventori si sono innanzi situati opportunamente per poterli: nitere in attività ): i bestiami che devono esser’ esaminati per i p'emj dei concorrenti, vi sono condotti: è dimostrata la verità d gli attestati sopra la loro origine, e sopra il modo, con cui s>no stati allevati ec. In tal guisa non vi hanno lungo nè collusioni, nè ingiustizie: 1’ opinione generale decreta anticipatamente le ri- compense, e i giudici molto spesso non ne sono che gl inter- petri. i Questo è un agone, in cui discendono tutti quelli, che so- no eccitati dalla speranza di guadagno, o dal desiderio di. di- stinguersi; e tutti gli altri coltivatori banno interesse di inter- venirvi per aver notizia delle nuove scoperte, e per non restare indietro ai loro vicini, che aumentano le proprie cognizioni; e le proprie ricchezze. Per tali motivi tutti sono premurosi di recarsi nei tempi debiti a tali assemblee, e non raramente i siti, in vicinanza de’ quali\hanno luogo, non sono sufficienti ad al- loggiare il numero delle persone, che esse vi richiamano. Durante la loro permanenza gli alberghi divengono altret- tante scuole d’agricoltura ‘pratica, i di cui precetti riescono più aggradevoli, perchè non assumono la sembianza di lezioni, Ivi i coltivatori pranzando discutono il merito dei concorrenti ai premj: i vinti procurano di contrastar la vittoria; ma sono co- stretti a cedere all’ evidenza, o all’ opinione del maggior numero. Il coltivatore, testimone in tali assemblee dei successi degli altri, non può vederli senza emulazione: l’ interesse, l’ amor pro- prio, talvolta ancora la gelosia, sono altrettanti stimoli d’ indu- stria individuale, che inducono ciascheduno a trar partito da ciò ehe ha osservato. In due o tre giorni d'intervento ad una di queste assemblee, l’ affitiuario inglese ha molto meditato, molto appreso, ed ha trovato spesso da occuparsi in migliora- imenti per molti anni successivi. L'istituzione di tali assemblee esige qualche spesa per. le società, e per i particolari, che le compongono: ma se si riflette alla quantità di denaro, che attirano nei luoghi ove si tengono 107 per il consumo dei molti concorrenti, anche per le» operazioni commerciali da esse facilitate o prodotte: se si riflette in fine alla massa di pratiche fogzioni , che spargono sopra luno spazio tanto più estéso quanto è più grande il numero degli spetta- tori; si riconosceranno’ i sommi vantaggi che ne riciltane a que-, gli che. le istituiscono, a quegli che v° iùtervengono; e cesserà, lo stupore di vederle ‘frequentate e moltiplicatissime. Soggetti di premio. e Tutte le specie di miglioramenti agrarj divengono, succes- sivaménte nodivi di premio: ma i buoni metodi in, allevare ein :ammaestrare gli animali. domestiei, el. in nobilitarne le razze, esercitano un’ influenza sì distinta e sì vantaggiosa so- pra gli altri rami di agricoltura, che sempre una gran parte dei premj proposti è a tale scopo diretta. Citerò i premj per far conoscere le clausole analoghe a qualcuno di essi . 20 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario, del miglior polledro; atto a generar dei cavalli per la ‘caccia ,e da carrozza: i. 020 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario del miglior polledro, atto a procreare dei cavalli da tiro per. l' poco i. I premiati devono conservare i loro animali nel istsotid per ‘tutto il tempo della copritura, e non possono esigere per la mon- ta delle cavalle più del prezzo fissato negli articoli del concorso: 20 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario del mig slior tero : Il premiato è tenuto a custodire l’ animale nella sua co- mune per un tempo determinato; ed a non percipere per cia- scheduna monta, che il prezzo stabilito nei, suddeiti articoli : 20 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario del miglior montone: 20 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario del miglior lotto di cinque montoni, o di cinque pecore d’ un'anno, e della più bella lana : 20 lire sterline ( 480 franchi ) al proprietario del miglior lotto di cinque castrati grassi, di età prescritta , per uso dei macelli .: | 10 lire sterline ( 240 franchi ) al proprietario della miglior vacca , e più copiosa di latte, d’ un’ età indicata : 108 5 lire sterline ( 120 franchi ) al proprietario del miglior verro, coll’ obbligo di tenerlo per due anni, e d’impiegarlo alla monta per il prezzo fissato. In alcuni luoghi le società assegnano ancora dei premj ai proprietarj di animali, il di cui alimento è costato meno, e che dopo essere stati uccisi hanno dato insieme un prodotto mag- giore, e di maggior prezzo. Sono condotti tali animali al con- corso : con essi recasi un registro legalizzato di ciò, che è co- stato il loro nutrimento : sono pesati, uccisi, tagliati a pezzi, e si calcola comparativamente la valuta di tutti gli utili, che dà }’ animale.. Il più gran vantaggio della persona, che riporta il premio, non consiste in questo soltanto; ma nel dare il valore agli altri animali della stessa famiglia, che per la facilità che loro s’ attribuisce d’ ingrassare, sono venduti talvolta per som- me straordinarie . Gli altri premj sono relativi ai seguenti oggetti: Per il coltivatore che ha riportata la più bella raccolta di rape ottenuta col seminatore sopra uno spazio di terreno indicato , e d’ una qualità prescritta : Per quello che ha avuto la più bella raccolta di formen- to col mezzo del seminatore sopra un Vara precisato , e di qualità indicata . Per quello che avrà introdotta una nuova coltivazione, sia di canapa, sia di cavolo rapa, o di altro etc. Per quello, che sostituirà sopra una qualità di terreno all’usata, nuova e più vantaggiosa specie di cultura. Per un coltivatore ,,0 un meccanico che inventerà un nuo- vo seminatore , che perfezionerà gli aratri, i carri, i molini, le macchine per battere il grano etc. Per quello che si procurerà le più belle praterie artificiali : Per quell» che troverà il mezzo di accrescere i concimi, © di renderli migliori, o d’impiegarli con maggior profitto: Per quello che prosciugherà dei terreni paludosi, e gli renderà coltivabili : Per quello che dissoderà delle lande inculte, che esegui- rà delle piantazioni ec. Sarà inutile di aggiungere, che tali società non dispensano premj per tutti i menzionati oggetti in ciascuna delle adunanze; ma soltanto a misura, che sia loro permesso dai propri asse» 109 gnamenti ; e che preferiscono di un minor numero, ma di mag- gior valore, per dare un maggior’ eccitamento all’ industria. Conclusioni. Sarebbe desiderabile, che simili società si formassero in Francia, per dar vita a tali agrarie riunioni; e, certamente chi riuscisse in tale impresa molto meriterebbe dai propri concit- tadini. Per ciò eseguire, è essenziale di aver presente, che il solo mezzo di far’ adempire a queste assemblee lo scopo della loro isti- tuzione , è di rendere intieramente pubbliche le discussioni dei giudici incaricati di nominare i coltivatori che avranno riportati i premj; e a tal’ effetto bisogna , che le discussioni abbiano luogo in siti, ove ciascun possa avere ingresso, senza alcuna specie di ci- rimonie , in stivali, in camiciotti, in ghette: che il miglior posto è un campo, in mezzo agl’istrumenti , aglianimali, ed alla folla dei curiosi : che la fiducia nei giudici produrrà sola gli effetti i più felici, e che per stabilire una tal fiducia sarà necessario prima di ogni altra cosa, che i giudici siano istruiti,e poi; che ciascuna per- sona indistintamente possa dire il suo parere sopra i concorrenti ai premj, e possa per così dire ella stessa concederli. N. B. Nell’inviare ai Prefetti la partecipazione del sig. Hu- zard figlio sopra questa istituzione d’un popolo vicino, $ E. il Ministro dell’ Interno ha loro diretta la seguente lettera : Signor Prefetto. In queste specie di comizj, spontaneamente formati da soscri- venti di ogni grado, e principalmente da proprietar) e da coltiva- tori, eseguiti con ordine ma senza pompa sovente , a cielo sco- perto, o nei campi dei pubblici mercati; si fissano i veri interessi dell’ agricoltura, i migliori metodi da porre in pratica per otte- nere dei raccolti, e di ottime qualità; la scelta dei grani e delle piante più utili; la composizione e l’impiego delle ealorie ; le buone pratiche, sia per migliorare, quanto per ingrassare i bestia- mi. I concorrenti vi sono giudicati dai loro eguali, alla presenza di tutti, e le decisioni dei giudici sono l’espressione del sentimen- to generale. Nel di 9 dicembre prossimo passato un’ assemblea di io questo genere ebbe luogo nel gran mercato destinato per Ta prow» vista dei bestiami per, Londra. Fu distribuita in premj la somuna > di quattro mila franchi circa, e delle medaglie del valore di sei- cento franchi ai particolari, che recarono i ia icastrati, e i por- ei più grassi, resi tali col metodo il più economico. Nilo disde- gna di presentarsi a tali concorsi, e un pari d'Inghilterra s’e aserit- to a ‘onore d'aver’ ottenuto nella sopr’ accennata assemblea, un premio di 150 franchi per un bove di quattai anni nutrito nelle sue stalle. A : Ho creduto, che tali istituzioni potessero acclimatarsi in un pacse tanto favorevolmente situato come è la Francia; la no- stra. agricoltura ne riporterebbe dei preziosi fruiti: i nostri col- livatori, ponendo così in comune le loro cognizioni pratiche e la loro esperienza, sarebbero più valutati, e si affezionerebbe- ro sempre più al loro stato. L’emulazione si, accrescerebbe tra i proprietarj: essi meglio conoscerebbero tutto il partito che ritrar possono dalle loro possessioni, occupandosi da loro stessi nelle cure, ch’esige il loro miglioramento. Tutto ciò che serve d' pi Pen agli uomini si porfezione- rebbe in qualità, e si accrescerebbe in quantità. I nostri mer- cati più facilmente, e più abbondantemente sarebbero provve- duti, ed un aumento di generale prosperità sarebbe uno dei fe- lici risultati delle società agrarie, che avessimo avuto la saviez- za di prendere in prestito dai: nostri vicini. Queste riflessioni mi fanno desiderare, signor Prefetto, che esaminiate con attenzione fino a qual punto,. e con quali mezzi fe istituzioni agrarie, che sono l’oggetto di questa lettera , pos- sano introdursi nei paesi. che amministrate. Sarà opportuno il diffondere al possibile i dettagli che vi ho diretti, facendoli in- serire nei. Giornali del vostro Dipartimento, e distribuendone gli annessi esemplari nel modo il più conveniente. Gradite etc. Il Ministro Segretario di Stato dell’ interno , CONTE DECAZES. JIli GEOGRAFIA VIAGGI Viacci im Nuzia del defunto Giovanni Luici Burcx- narpT, pubblicati dalla Società per promuovere la scoperta delle parti interne dell’Affrica 1819. (1) Quarterly Review. Marzo 1820. (ri amici di Giovanni Burckhardt, ora estinto, riceveranno questa memoria di una parte delle sue fa- tiche, con soddisfazione insieme e cordogiio. Ogni pagi- na rammenterà loro quell’ansietà di ricerche, quella pazienza d’investigazione, quella passione per trovare la verità, per cui eminentemente si distinse. La sua maniera di dire e semplice e non studiata, richiamerà a memoria quell’animo placido, gioiale, e tranquillo, quella fermezza e serenità di naturale che mostrò nella vita sociale, e che nè le fatiche, nè le privazioni, nè gl’insulti a cui si frequentemente fu esposto nei suoi Ugighi e difficili viaggi, non poterono per un momento alterare o giuro SEgforo che non conoscevano il suo carattere, vedranno dal presente racconto di quale spe- cie d'uomini egli era, e si uniranno a deplorare l’im- (1) Benchè i giornali abbian data notizia del viaggio fatto da Gio. Luigi Burckhardt, pure abbiam creduto fare opera grata ai nostri lettori il dar per intero la versione dall’inglese della relazione di questi viaggi, traendola da una delle migliori ope- re periodiche inglesi, ove sono riportate molte particolarità, tra- scurate nelle relazioni che se ne sono pubblicate. 112 matura morte di un uomo, il di cui posto rimarrà forse vuoto per lungo tempo: sapranno che era un viaggiatore” * non comune, che nessun cibo era troppo vile per lui,. nessun vestito troppo basso, nessuna condizione troppo umile, mtessun trattamento troppo degradante, quando Yoggetto era l'acquisto di cognizioni. Nei deserti della Si- ria, dell'Arabia, e della Nubia, e nella casa ospitale del venerabile presidente della società reale, Burckhardt fu sempre lo stesso essere gioiale e contento. Gentiluomo di nascita, e educato in collegio, unì alle ordinarie cognizioni d'un viaggiatore, alcune prerogative da farsi amare da tutti. Ebbe ancora la bel- la dote di adattarsi a tutte le circostanze: si immedesi- mò con i greci, co sirj, con gli arabi, co'turchi, co’ nubi, e co negri, e fece sua la loro lingua e costumi, colla stessa facilità che faceva de loro vestiti. Le de- scrizioni dei paesi per cui viaggia, i racconti degl’ inci- denti, le confabulazioni con i nativi, tutto è delineato con chiarezza e semplicità. « Benchè ( dice il suo edi- « tore ) Burckhardt fosse dotato dalla natura di saga- « cità e di memoria per fare accurate osservazioni, € « di gusto e d’immaginazione per dare una vivace de- « scrizione di esse, non dobbiamo peraltro tralasciar di « dire, che scrisse in una lingua straniera, che comin- « ciò ad impararla di venticinque anni, e poco s° eser- « citò a scriverla ; finchè arrivato in quei paesi rade « volte l’udì parlare, e non ebbe mai opportunità di « modellarsi alla composizione inglese ». Burckhardt non conosceva la nomenclatura siste- matica degli oggetti della storia naturale, ma credette più utile d’inserire i nomi nativi, che ingombrare id viaggio di termini tecnici , o di empirlo di descri» zioni scientifiche o di discussioni filosofiche; il che se 113 se fosse stato creduto necessario, poteva aggiungersi in qualunque tempo. Humboldt e Burckhardt furono am- bidue eccellenti viaggiatori, ma affatto discordi ne’ loro principj: la scienza e la filosofia erano i principali og- getti del primo, mentre la principal mira dell’ ultimo erano gli uomini e i costumi, lo stato della società, i modi e le condizioni della vita, le lingue, e l’opinioni: dopo questo, la geografia dei paesi e le loro produzioni naturali; l’affiliazione delle varie nazioni e tribù, ed i mezzi a cui hanno ricorso per supplire ai loro bisogni, o per aumentare i loro comodi per mezzo del commer- cio: e sopra tutti questi punti le sue ricerche furo- no sì magistralmente condotte, e autenticato il resulta- to di esse sì chiaramente e distintamente, da lasciar poco campo ai futuri viaggiatori. Ma una breve rivista della sua vita e delle sue fatiche sarà il miglior panegirico del carattere e dei meriti di quest’ uomo straordinario. Giovanni Luigi Burckhardt nacque a Losanna, di- scendendo da un’ antica famiglia di Basilea. Fu l’otta- vo figlio di Giovanni Rodolfo Burckhardt di Kirshgar- ten, i di cui beni furono depredati nella rivoluzione francese, nei primi tempi della quale fu falsamente ac- cusato, esaminato , provato innocente, e liberato. L’in- nocenza e la liberazione sono per altro deboli salvaguar- die contro i demagoghi rivoluzionari. Il giovane Burck- hardt che continuamente era testimone del danno che recava alla sua patria la repubblica francese, di buon ora concepì un odio tale contro di essa, che si determi- nò di non sottomettersi mai al suo giogo. Nel 1800 avendo sedici anni entrò nell’università di Lipsia, dove dopo quasi quattro anni fu fatto passare a Gottinga. In ambedue ì luoghi si attirò generalmente stima e rispetto per la sua condotta esemplare, per gli alti sentimenti T. II. Aprile CI ir 4 d’onore, per i distinti talenti, e per l'ardente zelo di cognizioni; mentre la sua sincerità ilarità , gentilezza , e identità di naturale, lo resero particolarmente caro ai suoi più intimi amici. Nel 1806 lasciando Gottinga ri- tornò a Basilea da sua madre, dove gli fu offerto da una regia corte della Germania un impiego nella carriera diplomatica; ma siccome tutto il continente era sogget- to ai francesi, oppure in alleanza con loro, si determi- nò d’andare in Inghilterra. Nel luglio del 1806 arrivò a Londra, portando seco molte lettere di raccomanda- zione, e fra l'altre una del professor Blumenbach di Gottinga a sir Giuseppe Banks. Nella casa del presidente della società reale fu indotto dalla società affricana a fare un nuovo ten- tativo per scoprire l'interno dell’ Affrica dal setten- trione. Ad un animo coraggioso , pieno d’amor di scien- za e di spirito d'intrapresa, un tal tentativo offriva par- ticolari attrattive; e in fatti Burckhardt s’affrettò a pre- sentare i suoi servigi a sir Giuseppe Banks, e al Rev.do Dott. Hamilton segretario della società. Fu accettato vo- lentieri, e nel gennaio 1809 ricevette le ultime istru- zioni, avendo diligentemente impiegato questo inter- vallo in Londra e in Cambridge nello studio della lin- gua araba, e nell’intervenire alle lezioni di chimica, d’astronomia, di mineralogia, di medicina, e di chirur- gia. Si fece crescer la barba, si vestì alla foggia orien- tale , si esercitò facendo lunghi viaggi a piedi, a testa scoperta, dormendo in terra, e vivendo d’acqua e di vegetabili. Siccome la lingua araba era di somma importanza, pensò in primo luogo di portarsi in Siria, dove mentre s'occupava a studiare quella lingua in una delle più purgate scuole, potesse acquistare i costumi orientali , 115 lontano dall’istesso teatro delle sue ricerche, e senza il rischio d’ esser dipoi riconosciuto. Dopo una permanen- za di due anni in Siria, avea posto mente d’ andare al Cairo , dipoi con una caravana di Fezzan a Mourzouk per la via che passò Hornemann, e quindi profittare di quelle opportunità che gli si potessero offrire peri paesi più interni. Il di 2 di marzo 1809 Burckhardt fece vela da Co- wes, e arrivò a Malta verso la metà d’aprile; quindi s'indirizzò ad Aleppo col carattere di mercante india- no maomettano , e come il supposto latore dei dispacci della società indiana orientale al sig. Barker console bri- tanno , agente di essa in quella città. I suoi compagni di viaggio erano tre abitanti di Tripoli (1) e due schiavi negri. N el corso del viaggio le interrogarono più volte relativamente all’ India, ai suoi abitanti, e alla sua lin- gua « a cui risposi (dice Burckhardt) meglio che seppi: « ogni volta che m' era richiesto un esempio della lin- « gua dell’ Hindoo , io rispondeva col peggior dialetto « Svizzero-tedesco, quasi inintelligibile anche a un « tedesco, e che nella sua pronunzia gutturale, può « adattarsi alla più dura elocuzione della lingua, ara- « ba ». Continuamente aiutava i mercanti e dava mano ai marinari per distrarre la loro attenzione dalla .sua per sona e da’ suoi affari. A Suedieh, dove da prima prese terra, si unì ad una caravana che stava sul punto di partire per Alep- po; dopo una breve dimora ad Antakia , dove convisse per lo più con i mulattieri , arrivò a salvamento ad Alep- po ; e dimorò con Barker console britanno , come mus- sulmano indiano , ma tuttora portando il vestito turco, (1) Tripoli in Siria, e non in Barberia come si potrebbe eredere. — / Traduttore. 116 e conservando il nome che aveva assunto di Ibrahim, | per poter passare inosservato per le «strade. Il suo principale oggetto fu di provvedersi d’ un maestro che lo istruisse nell arabo volgare e letterale, per prepa- «rarsi ad una visita agli arabi beduini nel deserto, fra i quali avea intenzione di passare alcuni mesi. Ben- chè progredisse sì rapidamente, che nel/corso di un anno fosse capace quasi da sè solo di tradurre Ro- binson Crosoè in una novella araba, secondo il gu- sto ed i costumi orientali, col titolo di Dur el Ba- hur, la perla dei mari, pure son tante le minuzie e le difficoltà di questa lingua, che per esprimer vino » per esempio, non adopra meno di cento cinquanta differenti termini, onde stimò opportuno di rimaner due anni e mezzo in Siria per imparare sufficiente- mente la lingua, e per familiarizzarsi il carattere, i costumi, e le usanze dei maomettani. Non fu peraltro affatto sedentario in questo tem- po; nel 1810 fece un giro di sei mesi a Damasco, per l’Haouran e il monte Libano , la relazione del quale è in mano della società affricana: e nel 1811 fece vela per l'Eufrate, nei contorni del quale spese sette o ottu settimane. Tutte le notizie di questo viaggio son perdute, non essendo pervenute alla società le sue lettere. Le tribù degli arabi, che egli era ansio- so di visitare, le trovò affatto selvagge, e le prote- zioni di cui s’ era premunito furono insufficienti ; « la « conseguenza fu, (dice Barker ) che al povero Bur- « ckhardt rimase adusta la pelle, e ritornò a Sukhne « col corpo svescicato dai raggi del sole, e senza « avere ottenuto l’ intento del suo viaggio ». In que- sta corsa nel deserto ebbe una forte disputa con una signora araba, che gl’involò il solo vestito, che la 117 delicatezza o la compassione degli uomini gli avean lasciato. Poco prima gli era stato portato + via l’ orolo- gio e il compasso (1). Nel maggio del 1812 lo troviamo a Damasco, in procinto di fare un viaggio lungo le coste del mar ros- so nell’Arabia petrea per la via del Cairo. In questo viaggio , che durò dalla metà di giugno alla fine di set- tembre, dice di essersi considerabilmente annoiato per la fatica del cammino, e per l'intenso caldo della sta- gione. Per tradimento d’uno sheik, e per la villania d’un beduino a cui s'era raccomandato, Burckhardt incontrò molte difficoltà , e fu obbligato ad andare da un accampamento all’aliro, finchè trovò un altro be- duino che s' impegnò di condurlo in Egiito. La descri- zione della valle di Ghor o d’ Araba, contenuta in una lettera al segretario della società affricana, è si interes- sante #4 non doversi tralasciare. < La valle di Ghor è situata al mezzogiorno del « mar morto, circa sedici ore di distanza dall’ estre- « mità del mar morto: il suo nome vien cambiato in « quello d’Araba, e continua quasi in linea retta , de- «. clinando un poco all’occidente fino ad Akaba, all’ « estremità del lato orientale del mar rosso. L’esisten- (1) E prudenza viaggiando fra gli arabi di cedere alle loro imposizioni, nè questionare con essi. L’anno passato una socie- tà d’ufiziali inglesi entrarono in disputa con le loro guide ara- be andando a Palmira, dove uno de’ primi (il capitano Butler de’ dragoni ) rimase ferito; gli furon presi i cammelli, e furono obbligati ad andare a piedi dietro a loro. Disgraziatamente se ne lamentarono al pashà di Damasco, il quale mandò fuori le sue truppe, e quella stessa sera recarono le teste de’ dieci ara- bi. La conseguenza sarà, che presto o tardi i dieci viaggiatori per quella via saranno dti non essendo la retribuzione del sangue mai abbandonata dagli arabi beduini. 2 - 118 za di questa valle sembra essere stata sconosciuta agli antichi ed ai moderni geografi, benchè sia una parte notabile della geografia della Siria e dell’ Arabia Pe- trea, e ancor più interessante per le sue produzioni . In questa valle trovasi tuttora la manna, che cade dai rami di alcuni alberi, ma principalmente dal Gharrab; vien raccolta dagli arabi che ne fanno delle schiacciate, le quali mangiano col burro; essi la chia- mano assal beyrouk, o miele di beyrowk. In questa valle si trova l’indaco , la gomma arabica , 1 albero della seta chiamato asheyr, i di cui frutti racchiu- dono una bianca sostanza serica,, e di cui gli arabi formano le loro torce. Nell'estate è abitata vicino al mar morto da alcuni beduini solamente, ma nell’in- verno vi s'adunano da dodici potenti tribù arabe. È probabile che il commercio fra Gerusalemme e il mar rosso fosse praticato per questa valle: la ca- ravana caricata ad Eziongeber dei tesori d’ Ophir poteva depositare il suo carico nei magazzini di Sa- lomone dopo sei o sette giorni di viaggio. Questa valle meriterebbe accurate osservazioni, le quali con- durrebbero a molte interessanti scoperte, e dovrebbe essere uno dei più importanti oggetti d’ uno che viaggiasse per la Palestina. A due giorni di distanza al nord-est di Akaba , si trova un fiumicello e una valle nel Djebel Shera dalla parte orientale dell’Ara- ba, chiamata Wady Mousa. Questo luogo è molto interessante per le antichità, e per gli avanzi d’ un antica città, che io congetturo che fosse Petra capi- tale dell’ Arabia Petrea, il qual luogo io credo cer- tamente non sia stato visitato da nessun viaggiatore europeo. Vi si veggono più di dugento cinquanta sepolcri, tutti scavati nella pietra rossa, arenosa di 119 cui è composta questa valle, la maggior parte con ornamenti greci. V” è un mausoleo in forma di tem- pio di dimensione colossale , parimente tagliato nel masso, con tutti i suoi appartamenti, vestibolo , pe- ristilio ec.: è un bel modello d’ architettura greca, e in perfettissimo stato. Vi sono altri mausolei con obe- lischi apparentemente di stile egiziano, un intero anfiteatro tagliato nel masso, con .gli avanzi d’ un ‘palazzo e di diversi tempj. Su la sommità della mon- tagna, che chiude lo stretto della. valle dalla parte d’ oriente, vi è la tomba di Haroun ( Aaron fratello di Mosè.) che è tenuta in gran venerazione dagli arabi. Se ben mi ricordo, vi è un passo in Eusebio che dice , che la tomba d’ Aaron era situata presso Petra. Giò che dice Plinio e Strabone sul sito di Pe- tra combina colla posizione di Wady Mousa. Mi rincrebbe molto di non aver potuto osservare più minutamente quelle antichità , ma per la mia sal- vezza non doveva inspirare agli arabi il minimo so- spetto, il che probabilmente avrebbe. potuto impe- dire il progresso del mio viaggio, poichè io era un fo- restiere senza pr otezione , conosciuto per cittadino , e così oggetto di costante curiosità ai beduini ,, che Spiavano tutti i miei passi, per vedere perchè aveva ‘preferito quella via per andare in Egitto, alla più breve lungo la costa del mediterraneo ‘«. pag. 45 . La società possiede un ragguaglio minuto e inte- ressante di questo viaggio . Una caravana di Twatees stazionata nella gran via fra Fezzan e Tombuctoo, stava per porsi in viag- glo per ritornare , quando egli arrivò al Cairo; ma non avendo fondi: per equipaggiarsi., e troppo poca cogni- zione del carattere egiziano e affricano, che facilmente 120 poteva essere riconosciuto europeo, pensò di fare un viaggiò fino a Dongala, intanto per conoscere le na- zioni de’ negri, e quelle che fanno commercio degli schiavi, e così facilitare i suoi futuri viaggi nell'interno dell’ Affrica . Nel gennaio del 1813 si partì dal Cairo; indirizzandosi la prima volta verso la Nubia , (il qual viaggio forma parte del volume che ora esaminiamo ) e ritornò ad Assouan il dì 30 di marzo, trentacinque giorni dopo la sua partenza da quel luogo, durante la quale prese una sola mezza giornata di riposo a Decr. Non offrendosi opportunità di andare nell’ Affrica occidentale, progettò un secondo viaggio alle spiagge di Atbara o Astaboras , e quindi a Djidda o Moka per ri- tornare per terra, lungo la riva orientale del mar ros- so, al Cairo. Il minuto ragguaglio di questa spedizione, fino a Djidda su la costa arabica del. mar rosso, for- ma il soggetto della maggior parte del volume che ora esaminiamo: e dobbiamo notare, che la straordina- ria economia con cui viaggiò , e l’ onestà con cui spese i fondi della società , sono fra le preeminenti caratteri- stiche di Burckhardt. In una lettera a sir Giuseppe Banks da Djidda , dice: « quando partii dall’ Egitto, « aveva solamente sessanta dollari, e un asino che mi « portava; per andare a Shendy spesi venticinque dol- « lari, onde mi trovai molto scarso, e appena ebbi da- « nari abbastanza da comprare uno schiavo, un cam- « mello, e le necessarie provvisioni per il mio ‘viaggio « al mar rosso «. In questo viaggio attraversò quel de- serto dalla parte occidentale di Dongala, che Bruce dice d’ aver passato ritornando dall’ Abissinia , e che è stato descritto in sì orridi termini da questo intraprendente viaggiatore : ma i pericoli e le pene di Burckhardt non furono cagionate dalla solitudine del deserto; nè da’ suoi 12I venti velenosi, nè dalla sabbia agitata, ma dalla sua manifesta povertà, che lo esponeva a ricevere ogni spe- cie d’ insulto dai miserabili coi quali egli viaggiava. In questo luogo (Djidda ) fortunatamente fu soc- corso di denaro da Yahya Effendi medico di Tousoua pashà ; uomo educato in Europa, e che lo aveva cono- sciuto al Cairo. Scorse quasi un intero anno dopo la par- tenza da Djidda prima che la società ricevesse notizie di Burckhardt, essendo la sua prima lettera in data del Cairo dopo il ritorno dall’ Arabia; ma l'editore vi di- ce, che « nell’anno seguente trasmesse alla società il « più accurato e completo ragguaglio che si fosse ve- « duto.in Europa dell’ Hédjaz $ domgrendendi le città, « della Mecca e di Medina «: e che « risedette alla « Mecca durante il tempo del pellegrinaggio, e vide « tutte le ceremonie che si fanno in quell’ occasio- « ne, senza il minimo sospetto della sua persona; « « e che » il Pashà d’Egitto avendo stimato pro- « prio di mettere a prova i suoi talenti come mussul- « mano, lo diresse a due de’ più dotti professori in leg- « ge che fossero allora in Arabia, per esaminarlo su la « scienza dell’ Alcorano, e su i precetti in pratica e in « dottrina della loro fede; il resultato fu una completa « convinzione degli ascoltanti, o almeno dei due esa- « minatori, che egli non solo era un vero,;ma un dot- « tissimo mussulmano « + Benchè l’ esperienze e le cognizioni acquistate in questo viaggio in Arabia fossero importanti, sembrerà a taluno che fossero state comprate a troppo caro prezzo, poichè non potè mai ristabilirsi in salute; per gli effetti di quel clima fatale , che dirado risparmia i forestieri, che lo visitano, dalla sua perniciosa influenza. In una lettera di giugno del 1815 dal Cairo a sir Giuseppe 122 Banks, dice: « L’ approvazione de’ miei collaboratori è « stata per me la sorgente della più intima gioia, e l’in- « coraggiamento che ne ho avuto, ha bandito affatto dal « mio animo quell’ abbattimento che mi aveano cagio- « nato le malattie del corpo «. Dopo aver detto che avea passato tre mesi alla Mecca, aggiunge « . Il dì 25 « novembre eseguii il viaggio al monte Arafat, in com- « pagnia di sopra ottanta mila pellegrini «. Nel gen- naio dalla Mecca passò a Medina, viaggio di dieci o un- dici giorni, la maggior parte per deserti. Sei giorni dopo che arrivò a Medina fu assalito de una febbre sì forte; che l’ obbligò a stare sul suo tappeto fino ad aprile. Da Medina discese a Yembo per la costa marittima. Quivi la peste, flagello fin allora sconosciuto in Arabia, era ultimamente comparsa, e le sue stragi erano sì grandi , che gli abitanti erano fuggiti, e la città si trovava quasi deserta. Dopo una dimora di quindici giorni s’ imbarcò su d’un bastimento del paese, e prese terra sul promon- torio di Ras Mohammed nella penisola del monte Sinai; di lì arrivò a Tor, dove gli tornò la febbre che ve lo trattenne quindici giorni, dopo i quali prese la via di Suez, e il 19. di giugno 1815 arrivò al Cairo, dopo una assenza di quasi due anni e mezzo. Nel corso dei successivi nove mesì spesi in Egitto, aspettando ansiosamente una caravana per l’Affrica oc- cidentale, ebbe diverse ricadute di febbre. Nell’ aprile del 1816 sopraggiungendo la peste al Cairo, non volen- dosi chiuder dentro, e molto meno esporsi all’infezione, pensò meglio di ritirarsi, mentre ch’essa durava, presso i beduini che ne sono totalmente liberi. Infatti parti per la penisola del monte Sinai il di 20 d'aprile, e ritornò al Cairo il dì 18 di giugno . La relazione di questo viaggio unitamente alla sto- 123 ria de’ beduini, che egli dice di gran lunga superiori per qualunque rispetto ai turchi, sarà molto interes- sante, siccome quella che dà una perfetta. cognizione de’ loro costumi , leggi , e istituzioni, per mezzo delle quali ci troviamo in grado di apprezzare la verità della prima storia degli uomini; e dà soddisfazione il trovare in un sì abile osservatore come Burckhardt , il vendi- catore dell’autenticità della storia sacra:di Beni fsrael. Gon sì fatte cognizioni si sentì bastantemente ca- pace di recare la sua spedizione affricana ad un felice resultato: « Se non m'inganno (egli dice ) un mio « successore deve fare molti anni di pratica, prima x d’ esser capace di passare le porte della Nubia con « quella fidanza che avrò io «. Frai pellegrini adunati alla Mecca nell’ Hadji dell’ anno 1817, incontrò alcuni mogzebini ovvero affricani occidentali, che aspettavano di ritornare a casa secondo il solito per la via del Cairo e di Fezzan. Con questa caravana si messe in cammino alla volta di Fezzan, colla speranza non meno ardente che ragionevole , di penetrare nei paesi bagnati dal Ni- ger, e andando lungo le tracce del suo corso, raccoglier la ricompensa della sua lunga perseveranza, acquistan- do autentica nozione delle sconosciute regioni dell’ Af frica , attraversate da questo celebre ma misterioso fiu- me . La provvidenza ordinò altrimenti ; ai primi d’ ot- tobre fu di nuovo assalito dalla dissenteria, che nel corso di dieci giorni ce lo rap. — La descrizione della sua morte essendo nota, concluderemo il breve introdutto- rio abbozzo di questo grand’ uomo, colle parole del suo editore . __ «Come viaggiatore possedeva talenti e cognizioni, « che lo resero doppiamente utile per le sue qualità « come uomo. Alla fortezza e ardore d’ animo da cui 124 « era stato stimolato a dedicar la sua ‘vita al bene delle « scienze, nel sentiero delle scoperte geografiche, con- « giunse una prudenza ben ponderata , per assicurarsi « il trionfo sopra ogni difficoltà. La liberalità e gli alti « principj d'onore, l’ ammirazione di quelle generose « prerogative in altri, l’odio dell’ ingiustizia e della « frode, il disinteresse e il sincero sentimento di gra- « titudine (1), non eran meno da notarsi della cor- « dialità e attiva benevolenza che sovente esercitava « verso i miserabili a gran pregiudizio della sua pic- « cola entrata. Non si può trovar facilmente un esem- « pio più forte di sensibilità e di grandezza d’ animo , « che 1 sentimenti che dimostrò sul suo letto di morte, « quando il nome di madre, e il cattivo esito dell’ ulti- « mo viaggio che s’ era proposto di fare, furono i soli « soggetti di cui non potè parlare senza cordoglio. « Dalla società affricana la sua perdita fu sentita pro- « fondamente, la quale non può avere facile speranza « di rimpiazzare il luogo d’un uomo, la cui nascita, « educazione , genio ‘e industria sì unirono a renderlo (1) Il dono che fece all’ università di Cambridge della più scelta collezione di MSS. arabi che fosse in Europa, fu un at- testato di sua gratitudine per i benefizi letterarj e cortese, at- tenzione che ricevette a Cambridge quando si preparava ai suoi viaggi. Basterà un solo esempio per mostrare i suoi generosi sentimenti verso coloro che gli erano cari, e quanto poco ap- prezzasse il denaro. Suo padre avendo lasciato per testamento circa dieci mila lire sterline ( cioè intorno a quaranta mila scudi toscani ) da dividersi in cinque parti eguali, una alla moglie e l’ altre ai figli, Luigi Burckhardt subito cedette la sua porzione per aumentar quella della madre . ,, Se perisco, » ( egli disse ) nella presente intrapresa, il denaro anderà dove »» deve andare ; se ritorno in Inghilterra , i miei compagni mi 3) daranno senza dubbio qualche mezzo di sussistenza ,, - \ Va 125, e capace di qualunque gran cosa, che la sua costanza « e ambizione d'onore gli avessero posto in animo « d'intraprendere . La più forte testimonianza della % loro approvazione de’ suoi zelanti servigi è dovuta « da’ suoi colloboratori al loro ultimamente pianto viag- « giatore; ma dal pubblico e dalla posterità riceverà la « sua memoria la dovuta ricompensa e la fama; poi- « chè non v è dubbio che il suo nome sarà tenu- « to in onorevole memoria , fintanto che avranno « credito quelli che son morti in cerca della scien- « za — pag. 89. Nel ragguaglio che siamo per dare dei due viaggi in Nubia contenuti in questo volume, ci ristringeremo necessuriamente ad un limitato e imperfetto cenno, in cui peraltro avremo cura di usare le parole stesse del Viaggiatore ogni volta che sarà opportuno: e non ostante che siano parole d’ uno straniero, e come egli dice, una sola volta trascritte dagli appunti giorna- lieri notati in un angolo d’ una corte scoperta, accanto ai cammelli, sotto l’ influenza degli infuocati venti del deserto, e dei dolori d’ una penosa ottalmia, pure sono dettati colla semplice verità, e noi non altereremo nulla anche ciò che si potrebbe correggere. Burckhardt parti da Assovan, la più romanzesca parte dell’ Egitto, non degna per altro dell’ alte lodi che al- cuni viaggiatori gli hanno dato per le sue antichità, il dì 24 febbrajo 1813 con due dromedari e una guida araba : quest’ uomo era nativo della Nubia , e per aver ricevuto dei servigi da Burckhardt lo accompagnò fino a Decr, viaggio di cento quaranta miglia, ricevendo un pezzo duro spagnolo, che lo stimò ampia ricompensa . Alla sua partenza, i Nubi d’Assowar erano in guerra con Je nazioni meridionali, per cagione che i primi avevano intercettato un bastimento carico di datteriappartenente 126 a un mercante dell’ ultime : nella mischia una donna gravida rimase uccisa da una pietra ; la parte meridio- male donde era la vittima, domandava il riscatto col sangue, non solo per la donna, ma per il feto che por- tava nel seno; e questa disputa non era ancora stata ag- giustata alla partenza del nostro viaggiatore . Subito dopo 4ssowar , le montagne si avvicinano così di presso al Nilo , che lasciano appena uno spazio di cento jardi (1) di terra coltivata. Il nostro viaggia- tore passò la prima notte con lo Shikh di Wady De- bot. ( Notisi che il termine Wady benchè generalmen» te significhi fire , è usato lungo le rive del Nilo fino a Sennaar per palle ). « Quì, dice Burckhardt, gustai il « cibo favorito del paese, che durante il viaggio di cin- « que settimane divenne il mio giornaliero alimento , « consistente in schiacciate piccole, azime, e pochissi- « mo cotte, fatte di dhowrra ( Holcus arundinaceus ) « e asperse di latte «. Siccome continuamente occorre- rà di farne menzione , daremo qui la descrizione che ne fa di esso il nostro autore. Sembra quasi consimile ai feff; schiacciate degli abissini, e non molto dissi- mili dalle nostre inglesi crumpets. « {l cibo principale è il pane dhowrra : siccome « non hanno molini neppure a mano, macinano il « dhotrra stritolandolo sopra una pietra liscia , lunga « due piedi e larga uno, è che posta obliquamente alla « persona che lo dee maginare. AL’ estremità del- « la pietra v è una buca in terra, che contiene un « vaso di terra 0 di legno o di qualunque altra sor- « te, che riceve la farina del dhourra. La maci- « nazione ‘s' ottiene per via d’una piccola pietra piana al di sotto, che il macinatore stando in gi- 2%} (1) Un Jardo è tre piedi inglesi. I Trad. 127 nocchio, con ambe le mani striscia in giu sulla pietra obliqua. Se il pane deve esser di miglior qua- lità , il dhourra è ben lavato e quindi asciutto al sole , ma generalmente lo mettono sotto la macine senza darsi la pena di lavarlo. Il grano nel maci- narsi è tenuto continuamente umido, spruzzandovi sopra dell’ acqua da un vaso posto accanto, e così la farina che cade nel vaso sembra una pasta liqui- da e collosa , mista di paglia e polvere. Di questa pasta s' empie il vaso di terra quanto è necessario per il consumo del giorno, e vien lasciata dentro quanto tempo bisogna perchè fermenti leggermente e acquisti un gusto agretto. Il lievito non si co- stuma; la pasta liquida è versata in piccola quan- tità sopra una lastra di ferro posta sul fuoco , e in mancanza di essa, sopra una pietra ben li- scia : e se il ferro o la pietra è bene scaldata, la schiacciata è cotta in tre o quattro minuti. Siccome ogni schiacciata è piccola, e deve esser cotta separa- tamente , ci vuole lungo tempo per prepararne una sufficiente quantità; poich’ è costume di portarne in tavola diverse dozzine subito cotte in un gran piatto di legno ; allora vi si versa sopra della salsa di cipolla , o del brodo, o del latte; la salsa è chiamata mallah. Il pane non si sala mai, ma si sala la salsa. Questo piatto è il cibo comune e giornaliero a desi- nare e a cena. Benchè molto grossolano non è disgu- stoso, e il sapore agretto lo rende particolarmente gra- to al palato durante l’ardore dell’ore di mezzogiorno. E facile a digerirsi , ed è sempre stato confacente al mio temperamento; ma se si serba un giorno, diventa di cattivo sapore. Somiglianti schiacciate, ma an- cora più dozzinali e formate d’ una pasta lasciata due o tre giorni a diventare affatto agra, si fanno 128 « per le provvisioni da viaggio. Dopo che sono ben « tostate al fuoco , le lasciano seccar bene al sole, poi « rotte in piccoli pezzi le mettono in borse di pelle chia- « mate 4bra ; così le conservano molti mesi, e se ne « servono i viaggiatori all’ occasione , quando è impos- « sibile di preparar la cena col fuoco; si versa sopra « del burro strutto a poche manciate di questo cibo, e « l’appetito lo rende buono al palato : qualche volta i « minuzzoli si pongon nell’ acqua, e quando essa ha « acquistato un gusto agro, allora è bevuta ; si chiama « dai mercanti, Sharbet el Jellabe : bevanda di ca- « ravana — pag. 219. « Tutta la via infino a Decr su la riva orientale del fiume è sicurissima , purchè il viaggiatore si faccia ac- compagnare da un nativo . Per tutto il popolo era cu- rioso e vago di sapere . Da Assozwarn a Dehymt è inter- rotta la catena delle montagne. di granito : da Dehymt alla seconda cataratta a //ady Halfa, le mon- tagne vicine al fiume eran di pietra arenosa, eccettuate alcune roccie di granito sopra Tafa , che si estendono fino a Kalabshè . A Gyrshe, due giorni di viaggio da Assouan , il piano fra il fiume e le montagne ha un miglio circa di larghezza : vi è un misero mucchio di capanne, le quali furono quasi tutte abbandonate per l’oppressioni dei mamelucchi quando fuggirono dai turchi , e per l’arrivo degli ultimi. I mamelucchi fu- ron confinati a Dorgala dove rimangono ancora : dopo la loro espulsione dalla Nubia insorse una terribile ca- restia nella quale perì il terzo della popolazione , il re- sto si ritirò nell’ Egitto, e si stabilì nella valle sotto Assouan ed Esnè, dove molti di loro perirono di vaiolo. Gli abitanti che sopravvissero a questa terribile ma- lattia, erano appena ritornati , ( Sarà continuato ) 129 AVVISO AL LETTORE —00— FFal'epistole d’Ovidio quella che si finge scritta da Saffo a Faone, di poetiche doti in siffatta guisa ri- splende che alcuni critici sospettano che sia versione di perduto originale della poetessa di Mitilene. E certo noi sappiamo da Suida che la misera scrisse versi ele- giaci cercando così qualche conforto a quella passione cui trovò rimedio sol nella morte: ma questa amorosa poesia ci venne con molte altre di simil genere invi- diata dal tempo, o da’barbari di lui più feroci. In ogni modo rimane fuor di dubbio che se di questa epistola è autore il Sulmonese egli, riguardando alla grandezza del personaggio che introduce a scrivere, vi pose molta cura, e fu ispirato dagli scritti di quell’ altissima don- na che signoreggiata dal suo Dio, non altrimenti che la Pitia, movea nelle sue, odi infiammate parole simili a grandine di dardi, a pioggia di fuoco che tutto con- suma ( Barthelemy Voy d’Anach. ). E tanto ardore, di cui fanno testimonianza ancor quei pochi versi che di Saffo rimangono, riuscì Ovidio, sio non erro, a significa- re in questo componimento: sollecito di mantenergli per quanto era in me questo pregio ho creduto non do- verlo tradurre , ma imitare. Sotto questo aspetto, e È TIT ADI» 4 ‘130 non confrontandolo col testo io bramo , o lettore, che tu consideri il mio tenne lavoro; al quale m° indussi non per averne lode da pedanti accigliati, ma per far cosa che potesse esser grata a leggiadri giovani, a donne innamorate , e a tutti gli animi gentili. N. nn dd fn 153 SAFFO A FAONE. Csi , che detta il mio dolore insano, Dimmi sein te ravviserà Faone Le note impresse dalla dotta mano? Ah, se qui Saffo il nome ‘suo non pone Non sa, breve_lavor; donde tu movi, Tanto è l’ oblio dell’infedel garzone! Forse dirai: perchè numeri nuovi Scegli, e negletto è della lira il vanto? Ai versi alterni la ragion non trovi? Ah, l’amor mio lacrime vuole: ha canto Flebile l’elegia; muta è la lira Nè corda io trovo che risponda al pianto. Ardo siecome allor ch? Euro s° adira Arde in aride messi un suol fecondo, Ove fiamma volubile s’ aggira. Tu illustri i campi ove dell’ Etna il pondo Preme Tifeo: Saffo infelice, or senti Ardor che al fuoco etneo non è secondo. Ahi lassa! invano i'‘meditati accenti Sposo alle corde dell’ eolia cetra, Che il canto è l’opra di tranquille menti. E versi in van con sue lusinghe impetra Lesbia donzella: aggio Anattoria ‘a vile, E la candida Cidno è fatta tetra : E m’incresce alle dive Atte simile, . E ben mille ‘altre del femineo stuolo, Che più non veggo in donna atto gentile, 132 Quel che già fu di molte or hai tu solo In te il volto, e agli scherzi atta l’etate, O volto a questi lumi insidia, e duolo ! Oh a lui lira, faretra, arco donate, Fia tosto Apollo, e cederà Lieo Confuso al paragon di sua beltate. E Febo Dafne amava, e Bacco ardeo Per Arianna: eppur non colse alcuna L’ alloro onde s' illustra il monte ascreo. La musa mi dettò fin dalla cuna Modi soavi, e il canto mio s' aggira Per altre etadi ove non può fortuna. Consorte nella patria, e nella lira Grande è il suo Dio, ma pure Alceo mi cede, Perchè nume più grande amor m' ispira. Se difficil natura a me non diede Beltà di forme, io ne compenso i danni Coll’ alto ingegno , e il mio compenso eccede. Picciola sono: empie la terra e gli anni Il nome mio che in ogni lato ascolto, E so tendere a morte illustri inganni. Bruna son io, nè il bel dal bruno è tolto: L’Etlope donzella a Perseo piacque Pel nativo color del suo bel volto. E con augello che diverso nacque La candida colomba accoppia l’ale, E il cigno ‘del Caistro in riva all’ acque: Se cerchi a tua beltà beltade uguale Invan la cerchi, e di Faone i baci Non ardisca sperar donna mortale. Ma bella io ti sembrai quando i vivaci Carmi leggesti del gradito ardore, E tu sola, esclamasti, in dir mi piaci. 133 Cantava, oh Dio tutto rammenta amore , E tu coi baci interrompevi i canti, E la cetra percossa era dal core. Lodasti, e le tue lodi eran miei vanti In Saffo, tutto? ah, mi tornate in mente Dei cari giorni o fortunati istanti. Grata la mia mobilità frequente , Grati i lascivi scherzi, e un dir che geme, E i baci impressi sulla bocca ardente. Nel comune piacer confusi insieme Coll’alme i corpi, io di morir credea Morir nell’urto delle gioie estreme. È nuova: preda a chi per Saffo ardea Sicula donna: o Lesbo addio, 10° assido Già col pensiero nella valle Etnea. O progenie di Niso, o voi che il lido Di Megari calcate, all’ infelice Saffo rendete il pellegrino infido. A parole di lingua adulatrice Misere non credete. Ah, l’infedele Quello che'a me già disse, a voi ridice. Tu che plachi col riso il mar crudele Dal sacro monte ond’è vinto Peloro, Al duol. soccorri della tua fedele. Io si son tua che delle muse al coro Mista scendevi , 0 Dea, quando nel petto L’ amor mi nacque dell’ eterno alloro. AI ira degli Dei: misero oggetto Nel variar delle vicende eterne La fortuna per me non-cangia ‘aspetto. Sei volte il Dio delle stagioni. alterne Compiè suo giro, e lacrima immatura Bebber dal ciglio mio l’ossa ‘paterne. 134 Di puttavoscena per la voglia impura Arde il german, disperse il censo avito, E fu l’outa maggior della sventura . Or l’agil legno aggira in infinito, Flutto,.e dalle rapine ei mai non posa, Che povertà gli guida il remo ardito. E la nave per. furti ognor famosa Spinge a perigli infami, e prende a scherne Dei detti miei;la libertà. pietosa: Pur nuove cure aggiunge al cor. materno La pargoletta mia, come, sia poco Essere a parte del rossor fraterno. Ma tu fra i nostri affanni il primo loco Tieni, Faone , e la; mia nave oh come È di Pri venti orrido gioco! Sulla squallida veste erran le chiome; E pur sovente incresce al mio dolore La gemma. impressa dell’amato nome. Alle neglette chiome il mesto errore Arte non frena'di perita ancella, Nè spira dal mio crine arabo odore. A che ornarti infelice ,\ a ‘che d’anella Gravar le mani? il tuo Faone è lunge: Per chi t’ affanni di parer. più bella? Sempre amor l’ esca alle mie fiamme aggiunge Nel molle seno che non fa riparo, Sicchè lieve ‘saetta al cor:mi giunge. O tal legge le parche a ‘me dettaro Dal dì che posto sull’ eterno fuso Han .déi' miseri giorni il filo amaro; O che in natura si cangiasse l’uso, Figlio dell’‘arti che Talia .m’addita, Amo, e-di.si bel fuoco io. non mi, scuso. 135 Qual meraviglia se mi fu gradita La bella guancia che così m° accora, E il molle pelo dell'età fiorita? Lassa, io temei che a questo sen l’Aurora Non involasse il mio leggiadro amico, Ma il primo affetto la ritiene ancora, E se Cintia lo mira, il vel pudico Lacerando, dirà: dormi Faone Nella grotta di Latmo il sonno antico . E lui trarrebbe all’ immortal magione Vener, ma teme non diventi alfine Unica cura a Marte, o bel garzone. « Fra giovine e fanciullo età confine Utile etade, o al secol nostro onore, Che s’ orna delle tue forme divine, Vieni al mio seno, o bello; a questo core Pieno di te: non ti dirò d’ amarmi, Soffri, dirò piangendo, il nostro amore . Ah più scriver non posso ! e tu disarmi La man tremante dell’ usato. stile , E molto pianto mi cancella i carmi. Perfido, e tanto mi tenesti a vile, Che certo il dì della partenza amara Non mi dicesti: addio donna gentile. E non lacrime ardenti e. baci a. gara, Ultimi baci. io diedi al volto amato? Misera io fui di tante pene ignara ! Nulla ho di tuo se non l’ingiuria: il fato Pure un. conforto invidia al dolor mio : Non rechi un dono che ti dica: ingrato « E non ti diedi nell’ estremo addio Ricordo alcuno: io detto sol t’ avrei Tanto amore, o crudel, porre in oblio Y 136 Per le muse io ti giuro ai voti miéi Avvezze , e per lo Dio che il cor mi tiene, E or conosco maggior degli altri Dei. Quando mi si gridò : fugge il tuo bene; Allor non piansi , nè formai parola, Tanto l'eccesso fu delle mie pene. La voce si fermò dentro la gola, Gelido il sangue si ristrinse ‘al core Finchè l’uso ‘dei sensi il duol m’invola. Poichè una via trovò l’ alto dolore Mi svelgo i crini, e mi percuoto il petto ; E alla disperazion cede il rossore. Ahi, di Saffo infelice era l'aspetto Qual di madre che porti al rogo acceso Le membra esangui del figliol diletto . A crescer viene ai nostri affanni il peso, Presente ognor Carasso, e nel mio pianto L’ ira s’ allegra del fratello offeso. Pallida il volto, e lacerata il manto Ond’è costei? vive sua figlia, ei dice, Che mai le avvenne che si duol cotanto? E gli sguardi di turba ammiratrice Su me richiama : nè mi dolgo io meno, Che mal colla vergogna ‘amor s’aàddice. Sol di te penso. Ahi, nei miei sogni almeno Ti riveggo o Faone: 0 notte amica - Più cara a me di bel giorno sereno! Ivi se chiudo ‘i mesti occhi ‘a fatica Jo te lontan ritrovo, oh Dio , ma breve , : Breve è l’immago della gioia antica! Spesso mi sembra che la man di neve Sia fido appoggio della mia cervice , Or te sostengo : oh dolce peso , e leve! a ; 137 Io t’accarezzo intanto , e me felice Misera! io chiamo, e le parole vere Forse il vigil mio labbro, e forma e dice, E sento i baci a cui maggior piacere Dà delle lingue il cambio, e quello io sento Che donna asconde con un bel tacere. Poi quando l’aureo sol dal firmamento Sè mostra, e tutto; allor mi sveglio , e dico : Ratto fuggì col sonno il mio contento! E corro all’antro ai dolci scherzi amico, E fralle piante rapida m’aggiro Già testimoni del diletto antico. Là mi spinge il poter del mio deliro Qual s’ al fianco d’ Erinni abbia il flagello E spargo i crini, e verso il ciel sospiro. L'antro contemplo; un di soave ostello, Lo scabro'tufo , ove il mio ben m' attese, E d’ogni marmo mi sembrò più bello. Qui mi fu d’ ospitali ombre cortese Il folto bosco , e il praticel fiorito . Fu dolce campo per le tue contese. Signor del bosco, e mio , dove se’ gito? Ah, senza te vile quel loco è reso; E ogni loco con te divien gradito. L’ erba conobbi in sul meriggio acceso Grato ad ambo porgea letto e ristoro; E curva ancora era del nostro peso. Bacio i fior che toccasti; e-prego, e ploro, E di te chieggo all’ antro, al prato, all’ onde: Mi prostro, e il loco ove tu fosti adoro. Pure ogni pianta con vedove fronde Gemer mi sembra; nè sui mudi rami Alle note d’ amore augel risponde. 138 I Sol dolorosa per vendette infami Progne Iti invoca , e la tradita fede : Saffo infelice, e tu sospiri, e chiami ! Terrore, e muta oscurità possiede Tutta la selva, e impallidir mi sembra Quell’ erba che fiorì sotto il tuo piede. Sorge , e pur coi sospir me ne rimembra, Lucidissimo un fonte , onor dell’ acque, Ove por ti mirai le belle membra. Nel dolce loco che così ti piacque Saffo col suo dolor molto contese, E qui, di pianger stanca, alfin si giacque. Quando ecco agli occhi suoi pronta e palese Farsi una ninfa, deità del loco, E il mesto cor queste parole intese: Le tue pene il crudel si prende a gioco, E nel petto deluso ahi mal s’ asconde Credula speme di amoroso fuoco. Sorge di Teti per le vie profonde Leucade , e Febo vi rimira asceso La risonante immensità dell’onde. Quinci per Pirra in alta fiamma acceso Deucalion lanciossi, e al par di piume Ebbe 1’ onda soave al corpo illeso: E poi tosto cangiò mente , e costume, Pirra spregiando che nel cor di smalto Sentì gli strali del mutato nume. Questa legge han quell’ acque: or corri all’ alto. Scoglio, e del mar spumante il torvo aspetto Non ti ritenga di balzar d’un salto. Disse , e sparì : da quel gelido letto Tremando io sorgo , e lei ricerco invano, Sol trovo il pianto che m° inonda il petto. | 139 Quel sasso al'mio furor non è lontano ; Ninfa v’ andrò: già fuga il vil timore La fiamma che possiede il petto insano . E che avvenir mi può ? del mio dolore Tutto, sì tutto è meglio: oh, le leggiere Membra sostenga il signor nostro amore ! Ei colle molli piume al mio cadere L’impeto scemi , e placide e ridenti Sentan l’ onde materne il suo potere. O affaticato dal furor dei venti Gema il flutto ,.e la rupe ow'ei s° aggira Nome infamato in ogni età diventi . Poi se il libero cuor più non delira, . Io grata a Febo onde quel giogo è santo, Studio comun; gli appenderò la lira; E avrà tai carmi iscritti. O re del canto, Saffo , memoria di dolor, ti pose L’ Eolia cetra che suonò di pianto. Ahi me spinge Faone alle nembose Aziache spiagge ,. e non ritorce il piede Da quelle rive ‘ove il crudel s’ascose. Deh vieni! in te non in quell’onde ho fede: Tu sol rimedio al rio dolor che m’ange, E non Apollo che in beltà ti cede. Se puoi, nè al sol pensiero il cor ti piange, Di Saffo estinta sostener l'aspetto, Men duro è il sasso ove quel mar:si frange. Già m' appresenta, il veggo, orrido letto Rosseggian l’onde inorridite e chiuse Presso lo scoglio che m? aperse il petto . Deh che Faon lo miri! ei qui confuse Colle parole i baci; e disse: è degno, Sì di voi degno albergo, o sante muse. 140 Or più quello non è. Solo v'ha regno Amoroso pensier: vinto soggiace Al gran peso dei mali il sacro ingegno. Ov’ è lo stile che si fea seguace Agli alti voli della mente accesa? Ancor la lira per dolor si tace. Invano è a rallegrar le mense attesa La voce mia, di tormi in van si brama L’ acerbo lutto che sul cor mi pesa. Ite lungi da me: morte mi chiama Dall’alto scoglio dell’ Aziaco lito Si lungi, o Doune, a me rossore, e fama Quello che vi sembrò bello e preda Il mio Faon togliea; che dissi? oh Dio, Mio non è più dal di ch'egli è fuggito. Ch’ei rieda; e seco alto vigor natio Tornerà, spero, all’atterrita mente ; Ei la solleva sì ch'io son più ch'io. Ma che parlo, che prego? ah nulla ei sente Nel cor ‘selvaggio; o zeffiro crudele Sperde i miei prieghi per lo mar fremente: Apportatore delle mie querele , Poichè quel lento non si move ancora, Reca , o vento, il mio bene, e le sue vele. Oh se l’umide vie fenda la prora , Che di votivi doni io farò grave, Vieni, agli amanti è morte ogni dimora. Vieni, a Venere sacra è la tua nave .... Oh come'al mar, che già la Dea sostenne, Placa i torbidi flutti aura soave! Siede al governo delle liete antenne Amore, e se pietà di me lo move All’agil legno aggiungerà le penne. 141 Ma non parte il crudele, o fugge altrove, Saffo è degna di fuga ... Oimè che questa, Questa è l'estrema di cotante prove Che più spero, che prego, e che mi resta? Se non senti pietà dei miei furori, Oh almen scritta da te carta funesta Dica: a Leucade corri, e cadi, e muori. -——T =D od 142 i; GEOGRAFIA, VIAGGI, STATISTICA, © ’ COMMERCIO, EC. Viaggio di scoperte e di circum-navigazione esegulto ‘ nel 1818, 1819 e 1820 dal sig. Luigi pi FrerciveT capitano di fregata, comandante dell’ Urania corvetta del re di Francia. ( Moniteur Universel. 21 Decem. 1820 ) > |P oggetto principale di questa spedizione ‘era di fare delle osservazioni atte a determinare la figura della terra e Y intensità delle forze magnetiche nell’ emisfero australe; ma il sig. di Freycinet, nello scorrere una grande estensione di mare per più di due anni, doveva del pari trar profitto da tutte le occasioni, che se gli offrivano , per accrescere la ric- chezza delle nostre collezioni di storia naturale, e per aggiunge- re nuovi documenti idrografici a quelli posseduti già in gran quantità dal deposito delle carte e de’ piani della marina reale. La corvetta l Urania, armata a Tolone ne’ primi mesi de} 1817, fu provveduta di tutti gli 085 getti necessarj ad una lun- ga navigazione, ebbe un equipaggio scelto, ed uno stato mag- giore composto di ufiziali disgiati sì per lo zelo, che per Ù estensione delle cognizioni. Una raccolta dei migliori istru- menti di fisica e di astronomia nautica fu imbeiali per servi- re alle esperienze ed osservazioni , oggetto essenziale del pro- posto viaggio. L’ accademia reale delle scienze aveva diligente- mente compilate per il sig. di Freycinet alcune osservazioni at- te a guidarlo nelle ricerche relative alla fisica generale,.alla sto- ria naturale, alla geologia, alla mineralogia ec. ec. Dopo lunghi indugj prodotti dalla difficoltà di collocare a bordo varj oggetti destinati ad aleuni saggi, l Urania messe alla vela il 17 settembre 1817. I venti contrarj la costrinsero ad approdare il dì 11 ottobre a Gibilterra, nè giunse a S. Croce di Teneriffa , che il 22 dello stesso mese. Il qual porto sarebbe stato un luogo comodo per fare osservazioni di più ge- neri; ma l’ obbligo di sottoporsi subito ad una lunga quaran- tena determinò il sig. di Freycinet a fermarvisi soli sei giorni , ed il 28 ottobre a far vela per il Brasile. Il dì 6 decembre fu veduto il capo Frio , e la posizione geografica di esso fu veri- » 1 43 ficata : !" Urania entrò la stessa sera a Rio Janeiro , dove ri- mase fino ai 29 gennaio 1818. Non si potè far uso di questa dimora di quasi due mesi con tanto utile, quanto il sig. di Freycinet avrebbe voluto ; s° incontrarono da prima alcune difficoltà per stabilire un osser- vatorio a terra; quindi il cattivo tempo attraversò le osserva- zioni astronomiche ; ma quelle, che avevano per oggetto il ma- gnetismo e le oscillazioni del pendulo furono fatte con massi ma cura, mentre con numerosi pezzi di storia naturale e di disegni di ogni genere s’ incominciarono le preziose collezioni, Je quali dovevano essere il frutto della spedizione . Il passaggio da Rio Janeiro al Capo di Buona Speranza fu contrassegnato da un deplorabile accidente, il quale tolse al sis. di Freycinet uno de’ più abili colloboratori . Il sig. Labor- de, ufiziale di distinto merito , osservatore esatto, buon dise- gnatore ; il quale univa ancora a queste preziose qualità il più socievol carattere , morì nel fiore dell’ età sua; e la di lui per dita fu a bordo soggetto di lutto universale . L’ Urania fece dimora nella baia della Tavola dal dì 7 di marzo fino al 5 aprile 1818, e di là si rese a Porto Luigi nell’ Isola di Francia dove giunse il dì 5 maggio. Il sig. di Freycinet si trovò particolarmente sodisfatto dell’ accoglienza ricevuta in questi due luoghi, dove gettò 1 an- cora, da Lord Carlo Sommerset governatore del capo, e dal sig. Giorgio Smith gran giudice e commissario di giustizia a Porto Luigi, presso cui trovò la massima facilità, sia per stabilire il suo osservatorio a terra, sia per tutto ciò, che poteva contri- buire al buon esito della sua missione . Il Porto Luigi situato presso a poco nella medesima lati, tudine di Rio Janeiro, e ad una distanza da esso luogo di più di 100 gradi di longitudine, era favorevolmente posto per le os- servazioni del pendulo, le quali furono fatte con dettaglio, sic- come le sperienze, che avean per oggetto lo studio de’ feno= meni magnetici e metereologici , Un avaria assai grave , sofferta dalla fodera di rame della Urania non permise di rimettersi in mare che il dì 16 luglio. La corvetta non si fermò che alcuni giorni all’ isola di Borbo- ne, per prendervi dei viveri, e poi si diresse verso _le coste della Nuova Olanda, la di cui estremità situata al settentrione (7 SE Terra di Edels fa vedata nella giornata del dì rt set» fe 1818. L’ Urania navigò lungo questa costa ad una distanza me- dia, ed essendosi avvicinata alla terra di Endracht, la seguitò ancora fino all’ingresso della baia dei cani marini , donde dopo breve stazione si rese il di r3 settembre alla spiaggia dirimpet- to all’ isola di Peron. Fu subito stabilito a terra un osservatorio; poscia si ebbe eura di procurarsi l’ acqua potabile per mezzo della distillazio-. ne. Erano stati per quest’ uso imbarcati a Tolone due lambic- chi, ma numerose difticoltà provenienti da difetti di stabilimen- to, le quali sarebbero probabilmente facili ad evitarsi in altri armamenti, resero quasi nulli i prodotti dell’ apparato posto. a bordo della corvetta; quello però che fu messo a terra diede in abbondanza bastantemente grande dell’acqua gradevole a bere , in cui non si riconobbe alcuna nocevole qualità . L’ Urania messe di nuovo alla vela il di 26 settembre. Il sig. di Freycinet , prima di dirigersi verso. Timor, aveva in tenzione di verificare alcuni punti sulla posizione geografica, dei quali avea qualche dubbio. In conseguenza avvicinossi alle iso- le di Dorre e. di Bernier, lungo le quali andava in buona di- stanza all’oriente, e scandagliando lentamente, allor quando aven- do la corvetta toccato improvvisamente un banco di sabbia, bi» sognò lasciare l incominciato lavoro, e prendere il largo . Quest’ accidente non ebbe alcuna spiacevole conseguenza . Il tempo passato all’ ancora sul banco fu impiegato ad esplo- rarne i contorni e a scandagliarlo ; ed il sig. di Freycinet, gli ha dato il nome di Banco dell’ Urania . Il dì 9 ottobre 1318 la eorvetta gettò l’ ancora. nella baia di Coupang all’ isola di Timor, dopo esser passata all’ occi= dente lungo le isole .Simao, e Rotte, che appartengono all’ arcipelago medesimo . i Gli abitanti di Couparg erano allora tutti occupati dei pre- parativi per la guerra, che il governatore olandese si apparec- chiava a fare al Rajà Zuigi di Amanoebang . Questa circostanza rese difficile il comprare le. provisioni necessarie perle vettovaglie della corvetta; ma non nocque punto alle operazioni scientifiche , le quali furono eseguite col massimo zelo, non ostante l’ eccessiva elevazione della ‘tempe- 14D: ratura ; poichè alle volte essa era all’ osservatorio di 45! gradi: del termometro nel tempo che all’ ombra si manteneva a 33, e 35 gradi. L’Urania partì di Coupang il di 23 ottobre 1818, molto male. approvvisionata , e con più persone attaccate dalla dissenteria ; le;'calme ed i venti contrarj la trattennero molto tempo. fra Timor , ed Ombay. Questo impedimento fu messo a. profitto per mandare a visitare il villaggio di Bitocz, situato sulla co- sta meridionale dell’ ultima di queste isole finora poco frequen- tata dagli europei, ed abitata da popolazioni guerriere e fero- ci, aleune delle quali sono antropofaghe. Nulladimeno il numero dei malati di dissenteria cresceva a - bordo della corvetta , e tutta l’ abilità del sig. Quoy , chirurgo maggiore , non bastava a vincere l’ influenza di un clima non sano . L’ aver preso terra a Coupang non aveva procurato che pochi rinfreschi; e perciò bisognò decidersi a fare una' novella stazione a Timor, ed il dì 17 novembre Vl Urania diede fon- do a Diely, capoluogo degli stabilimenti portoghesi sulla costa settentrionale dell’ isola . Il governatore Don Josè ‘Pinto Alcoforado d’ Ageveda e Souza fece 1’ accoglimento il più obbligante alla spedizione: la: corvetta fu provveduta abbondantemente dalle di lui cure di tut- to quello, di cui poteva aver bisogno . Questa dimora non fu che di cinque giorni soltanto ; pas- sati i quali l’ Urania si diresse sempre lungo la costa di 77- mor , per uscire al largo all’ Oriente di Z/etter dal canale, che ‘ divide quest' ultima boa da quelle di Xr/fer , e di fonda SAD dì 29 novembre essa era in vista di Ceram , e di Amboina; ed avanzandosi nello stretto fra quest’ ultima isola e Bouron, si diresse sopra l’ isola Gasse , la quale oltrepassò all’ oriente, : a'poca distanza , nel tempo di una tempesta. Si osservò un gran numero d’ isole, le più notabili fra le quali furono quelle di Dammer ; di Gilolo, e di Guebè . i L’ Urania incontrò in questo tratto di mare più corocore armate , che appartenevano al Nima/aha di' Guebè . Questo principe venne a bordo: e vi passò una giornata intiera , men- ‘tre la corvetta rimorchiava: la di lui flottiglia. Egli diede al sig. di Freycinet. vari ragguagli sul suo paese, sulle sue spe- dizioni marittime, e gli fece le più vive istanze, per impe-. gnarlo a pigliar terra nella sua. isola. dove assicurava.esistere T. JI, Aprile . 10 146 nun porto comodo, un luogo facile per far acqua, e buoni rin- freschi. Non potendo questa proposizione essere accettata , ‘as- sicurò, che si sarebbe portato a Ubaigion con i suoi fratelli, per fargli un altra visita . Siccome altra volta il sig. Poivre mandò a prendere per il sig. Coetivi all’ isola di Guebè i piantoni di noci moscade, i quali si sono moltiplicati poi nelle nostre colonie dell’ India e dell’ America, così i guebesi si. ricordavano benissimo di questa circostanza, di cui furono i primi a parlare, ed il sig. di Freycinet attribuisce l’ amicizia tanto particolare , che gli di- mostrarono in quella occasione, alle loro antiche relazioni con i francesi, Un venticello assai fresco pose fine a queste amichevoli intrinsichezze : l’ Urania continuando il suo viaggio , passò nel 12 decembre lo stretto, che divide l’ isola Mohuor da Guebè , ed avanzossi all’ oriente; corse qualche pericolo nello stretto formato dalle isole Rowib e Batabalak, e dalle isole 7Vyag, dove in ‘tempo di una calma quelle correnti violente la tra- scinarono sopra alcuni bassi fondi; ma potè fortunatamente so- stenervisi all’ ancora, ed aspettare che i venti gli permettes- sero di. far cammino: per uscire da quella posizione pericolosa lasciò poi cader | ancora il dì 16 dicembre all’ isola di Rarak, dopo essere andata lungo la costa settentrionale di ZV&igion a poca distanza , ( Subito un osservatorio fu stabilito a terra , e la di lui po- sizione solamente di un minuto e mezzo a mezzogiorno era una delle più favorevoli all’ esperienze del pendulo., le quali. hiso- gnava fare sotto l’ equatore . Il tempo di questa stazione fu ugualmente impiegato in ricerche relative alla geografia ed alla istoria naturale . Due o tre giorni prima di partire, si udì all’ improvviso una musica guerriera di timballi e simili strumenti, ed; alcun momenti dopo apparve alla punta del largo dell’ isola la flottai del Rimelaha di Guebè , il quale fedele alla sua promessa ve- niva a far la visita annunziata; quella piccola squadra presen- tava uno spettacolo imponente, ed insieme bizzarro. Il principe guebese era accompagnato da suoi fratelli, e figli in numero di otto persone tutti di buon aspetto , com’ esso , e d’intelligenza notabile. Restarono a bordo fino all’ istante della partenza della corvetta , ed offerirono'al sig: Freycinet in regalo varie curio= 147 sità del paese loro, fra le quali dei cappelli di paglia, e di tal- co lavorati con arte ammirabile . L’ Urania partita da Ravvuk il dì 5 gennaio 1819 si portò sopra le isole Ayow, le quali riconobbe il di 6, ed 8 del mese medesimo. Allora la dissenteria continuava a tormentare |’ equi- paggio , nè tardarono ad aggiungervisi alcune febbri , delle quali restò vittima fra i primi il sig. Labiche secondo tenente, ufiziale pieno di merito, e di ottimo cazattere. Questa fu la seconda perdita di simil genere fatta dall’ equipaggio, e fu vivamente sentita . Visitate diverse isole delle Carolize, non notate punto sulle carte, e ricevuto da tutti gl’ isolani it-più amichevole acco- glimento , il sig. di Freycinet trovossi a vista dell’ isola di Guam il dì 17 marzo; e gettò l'ancora la sera del giorno medesimo alla spiaggia di Humata. Questa stazione, e l’altra, che la corvetta fece poscia nel porto di .S. Luigi dell’ isola stessa, resero la sanità all’ equipag- : gio, mercè la generosa premura con cui il Governatore D. Jose de Medinilla y Pineda prevenne tutti i bisogni della spedizione nel procurarle rinfreschi, e facilità di ogni genere. Sembra , che il sig. di Freycinet abbia raccolti sopra i po- poli delle isole Marianne dei dati più estesi di quelli, coi quali i viaggiatori precedenti hanno arricchite le loro relazioni, Egli annunzia curiosi dettagli sopra i loro costumi, la loro lingua, e le leggi; come pure sopra quel governo particolare ; di cui si è tanto parlato, nel quale le donne hanno una parte così importante : a riferisce nozioni importanti circa le arti de essi praticate; circa le loro monete, stabilite da essi sopra principj assolutamente differenti dai nostri, e circa la loro architettura, di cui veg- gonsi ancora a Tinian numerose reliquie. Due mesi furono impiegati in queste investigazioni e nel tempo medesimo nelle osservazioni, ed esperienze le quali for- mavano l'oggetto principale della spedizione. Intanto il sig. di Medinilla aveva avuta la gentilezza di far somministrare abbon- dantemente viveri freschì alla corvetta, e di aggiungervi provvi- sioni di campagna, di cui poscia ricusò di ricevere il paga- mento. La navigazione dell’ Urania da Guam fino alle isole Sarnd-. avich , mon presentò cosa alcuna notabile. Essa prese terra il dì 148; 5. agosto 1819 all’isola Ow-hy-hee, e. diede fondo tre giorni dopo nelle baia di Karakzkoua. Tamahama re delle isole Sandwich era morto di recente, ed: il suo palazzo era ridotto in cenere. Quasi tutti i maiali dell’ isola erano stati uccisi, in occasione dell’ esequie. di lui,. secondo l’uso del paese; il che fu un vero contrattempo, per approvvisionare di viveri la corvetta, . Urio Rio primogenito e successore di Tamahama non era ancora in. possesso, che d’un’ autorità mal stabilita; ed i capi soggiogati dalle armi di suo padre producendo pretensioni straor- dinarie, gli facevano temere una guerra vicina. Venn’egli con le sue donne, e con numeroso corteggio a ‘bordo dell’ Urania, in occasione del battesimo di uno de’ principali capi dell’ isola ; la qual cerimonia fu fatta con molta pompa dal sig. Abate di Quelen elemosiniere del bastimento. Le isole di Sandvvich furono, come le Marianne, l’ogget- to delle ricerche assidue del Sig. di Freycinet, e degli ufiziali; sotto i suoi ordini; furono fatte osservazioni in quantità per in-. vestigare l’ equatore magnetico, e le inflessioni di esso nel gran- de oceano. Il di 30. agosto l Urania parti per dirigersi verso il por- to Jackson, attraversando le isole della Polinesia australe. Cam- min facendo, fu rettificata .la posizione delle isole del pericolo di Byron, quella dell’ isola Py/start, la più meridionale del. l’isole degli Amici, e quella dell’isola Hovve. Fu scoperta un isola nuova, circondata da scogli sott’ acqua pericolosi , all’orien-. te di Tonga, ed il sig. di Freycinet la chiamò zsola Rosa. L’Urania diede fondo al porto Jackson il 13 Novembre 1819. vi restò fino al 25 dicembre; e questo intervallo fu impiega- to, come nelle stazioni precedenti, in ricerche scientifiche. In quanto a ciò, il sig. di Freycinet parla con gratitudine dell’assi- stenza prestatagli dal sig. Macquarie, governatore di quella colo-. nia. Nel lasciare il porto Jackson , il cammino della corvetta fu di- retto a passare fra la terra di Diemen e la Nuova Zelanda: e il giorno 7. gennaio 1820 la punta meridionale di queste ultime isole fu oltrepassata a vista dell’isola Campbell. I venti furono; costantemente favorevoli, da questo momento fino al luogo do- ve si ancorò alla Terra del fuoco. L’ Urania si avanzò verso il mezzodì fino al 5g.mo grado di latitudine, ed avea trovati dei ghiacci natanti fin dal grado 54. mo 149 Il dì 5 febbraio furono vedute, in vicinanza del capo della desolazione le coste della Terra del fuoco. Il tempo ‘era. spa- yentoso come le rive vicine. Non essendo possibile l’ arrivare | al porto di Nocl, bisognò incamminarsi alla Baia del buon suc- ‘cesso nello stretto di Le Maire; ma appena l’ancora vi era stata gettata, che un farioso uragano fece andare la corvetta in deriva; ‘e vi fu appena tempo di tagliar la gomena, e spiegare in gran fretta le vele per uscir dalla baia navigando costa costa, a piccola di- stanza dalle roccie e dagli scogli pericolosi, i quali giacciono ‘alla punta settentrionale di essa. Questa tempesta spaventevole durò due giorni, e fece de- clinar considerabilmente la corvetta dal suo cammino verso il set- tentrione ; il che determinò il sig. di Freycinet ad incamminarsi all’isole Malouine. Ma il di 14 febbrajo, che corrispondeva al di 13 del detto mese in Europa , mentre entrava nella Baia fran- cese, Urania diede in uno scoglio coperto, dell’esistenza del quale non si sospettava per verun indizio, e per a di questo accidente fece tant’acqua, che non fu più in stato di terminare il viaggio. Dopo tal perdita non restava al sig. di Freycinet altra ri- sorsa che d’inviare la sua scialuppa al Rio della Plata per cercarvi soccorso; ma un incidente inaspettato cambiò subita- mente la di lui situazione. L’arrivo di una barca pescareccia distaccata ‘dalla nave anglo-americana l'ammiraglio Knox, al- lora in stazione verso la ‘parte occidentale delle isole Ma/owine, ‘gli diede i mezzi ‘di far conoscere la sua disgrazia e i suoi bi- sogni al capitano di quel bastimento. Non era ancor giunta la risposta a questo messaggio, che un altra nave americana a tre alberi, detta il Mercurio, entrò nella baia per ristorarsi. Fu conchiuso un accordo poco tempo dopo con il capitano Galwin comandante di questo bastimento, per trasportare a Rio Ja- neiro l’equipaggio dell’ Urania, i di lei viveri, ed i prodotti della spedizione, i quali erano stati salvati tutti dal naufragio, ad eccezione soltanto di alcune casse, clie contenevano oggetti di storia naturale. Tutto fu prbnto per la partenza il di 27 aprile, il Mercurio era stato restaurato dai marinai, e con i ma- teriali dell’ Urania; ‘e tostò bisognò separarsi per sempre dagli avanzi di quella corvetta, cui missuno sforzo umano avrebbe po- tuto rimettere in stato di ritornare in Europa. Strada facendo, ilcapitano Galwin cambiò improvvisamente 150 idea, e propose al sig. di Freycinet di vendergli il Mercurio; - il cui carico ed equipaggio sarebbero allora stati sbarcati a Montevideo; ‘questo trattato fu concluso a condizioni recipro+ - camente vantaggiose. Così quel bastimento, dopo un riposo di tre mesi a Rio Janeiro ( dal 19 giugno al 15 settembre ) deco- rato del paviglione reale, sotto il nome della Fisica (1); entrò ad Havre il dì 13 novembre ultimo, riconducendo insieme con lo stato maggiore, e l'equipaggio dell’ Urania, anche le colle- zioni, che sono il frutto di questa spedizione. Finchè le relazioni più dettagliate non facciano conoscere tutta l’importanza di questi lavori, basterà qui darne un ra- pido cenno. . Le osservazioni del pendulo, che erano uno degli oggetti principali del viaggio, sono state fatte con la massima cura per tutti quei luoghi, dove è stato permesso dalla lunghezza delle fermate, e dalle situazioni. Le stazioni di questo genere sono state in numero di nove, cioè 1.° Rio Janeiro ; (prima fermata) 2.° il Capo di buona speranza ; 3° Porto Luigi all’ isola di Francia; 4.° l'isola di Ravvak; 5. l'isola di. Graham; 6.° l’iso- ta di Movve delle Sandvvich ; 7.° il porto Jackson; 8.° le isole Malouine; g: Rio Janeiro (seconda fermata ). 2. Ogni giorno durante la campagna, due ufiziali almeno hanno fatto per turno le osservazioni astronomiche necessarie per fissare la situazione del bastimento in mare,:o la posizione degli osservatorj in terra per regolare gli orioli marini ec. Tut- te queste osservazioni sono state trascritte sopra giornali desti- nati a tal uso. i 3. Il medesimo si è fatto riguardo ai fenomeni magnetici, i quali hanno formato il soggetto di studj costanti e moltipli- cati tanto in mare, quanto in tutte le stazioni: comprendono essi le osservazioni di declinazione, e di inclinazione magneti- ca; quelle d’ intensità fatte sia con gli aghi orizzontali, sia con quelli d’ inclinazione, finalmente le variazioni orarie e periodi- che della declinazione. 4. Le osservazioni comparate della temperatura dell’aria con quella del mare nella sua superficie sono state fatte, di due in due ore per tutta la durata del viaggio. Questa massa con- (1) Za Physicienne. 151 siderabile di resultati potrà essere utile per la determinazione delle linee isotermiche sul globo terrestre. 5. Più di sessanta mostre di acqua di mare, prese negli spazj di mare percorsi, sono state messe in altrettante boccette perfettamente sigillate per essere analizzate al ritorno. Ogni boccetta porta l'indicazione della longitudine e della latitudine del luogo, dove l’acqua è stata attinta. 6. Un giornale meteorologico, tenuto ora per ora, durante tutto il tempo del viaggio , mostrerà con ordine metodico tutte le osservazioni del termometro, del barometro , e dell’ igrometro, le quali sono state fatte così in mare, come in terra, le indi- cazioni dei venti regnanti , e il loro grado di forza, i fenomeni elettrici, ed aerei, ec. 7: Non si sono potute osservare con precisione le variazioni barometriche , che nelle stazioni , ed i risultati sono stati deposi- tati in un registro particolare. 8. Non è stato possibile di osservare le maree , che in un pic- colo numero di punti; ma i dati acquistati a Rio Janeiro, all’ Iso= la di francia, a Ravvah, a Guam non sono privi d'interesse. 9. Il numero delle carte levate durante il viaggio è di circa trenta; una parte n’ è stata già sindacata, ma il totale dei mate- riali raccolti su di questa materia, e classificati con premura, darà tutte le:desiderabili facilità per continuare questo lavoro. 10. Non ostante il naufragio fatto alle isole Ma/owine , 11 quale ha causato la perdita di diciotto casse d’ istoria naturale, ne resta- no ancora circa quaranta , e contengono un gran numero di pro- dotti dei tre regni, e segnatamente quasi tutti quelli, che sono stati raccolti alle Jsofe Marianne, poco ancor noti sotto questo rapporto ai naturalisti. 11. Il numero dei disegni fatti durante la campagna è di più centinaia , la maggior parte apprezzabili per la bellezza delle situa- zioni che rappresentano , per la verità dei ritratti, e per la grazia delle composizioni. 12. Finalmente le osservazioni relative ai costumi, e agli usi dei popoli visitati sono state raccolte. in grandissimo numero da tutti gli uffiziali impiegati nella spedizione ; tutte. sono compilate nello stesso spirito , e secondo il piano medesimo in modo da po- tersi unire insieme facilmente nella relazione generale del viaggio. 152 Essai historique ec. = Saggio ‘istorico sul commercio ela navigazione del mar nero; 0 sia viaggio, cd intraprese per stabilire relazioni di commercio e di mare fra î posti del mar nero, e del mediterraneo: del sig. Anthoine barone di S. Giuseppe ,, ufiziale della Legion d° Onore ec. ec. Paris 1820. da Treuttel e YWurtz. Un vol. in 8° Moniteur Universel. 14 Sept. 1820, Quest’ opera importante fu data alla luce per la prima volta nel 1805. La seconda edizione, che pubblica oggidì il pregevole autore , presenta molte aggiunte , ed aumenti atti a far .cono- scere i cambiamenti sopraggiunti nello stato del commercio .del mar nero, i progressi della di lui navigazione e le relazioni, che possiamo stabilire da Marsiglia colle. provincie meridionali del+ la Russia. Il rammentare i titoli del Saggio istorico alla riconoscenza del mondo commerciante e alla stima del pubblico sarebbe un ripetere ciò che abbiam. detto; frutto dei viaggi e delle inve- stigazioni dell’autore, scritto con eleganza e chiarezza , offre nel tempo medesimo una grata lettura, e numerose materie d’ istru- zione per qualunque classe di leggitori. Ma questo libro si rac- comanda particolarmente ai negozianti, agli agenti di commercio: me’ paesi stranieri, ed a coloro che son chiamati a dar giudizio sopra i nostri interessi politici al di fuori: l’analisi; che siam per farne, giustificherà questa opinione 4 Osservando la carta (1) si conoscerà meglio, di quanto po- tremmo dire, la situazione del mar nero, e delle seutrida da es- so bagnate , le quali aprono un vasto campo alle speculazioni di commercio. I Turchi dopo la conquista di Caffa, e dopo che bar- baramente distrussero in quelle acque i. belli pene pu dei greci del basso Impero, erano restati solo in possesso di. esso mare fino al trattato di Kainargì conchiuso il dì 21 luglio 1774 fra la Porta e la Russia. I porti del mar nero fino a quel tem- po non facevano commercio , che con Costantinopoli, e coll’ Ar- cipelago : la politica feroce del Divano n’ escludeva ogni altra (1) L’ autore ne ha posta alla fine dell’ opera una bel- lissima del mar nero ,‘del mar di Azof, delle coste adia- senti, e delle provincie meridionali della Russia. 153 nazione ; e fin la Russia medesima, la quale aveva più interessi di chiunque nello scuutere questo giogo . Il trattato , di cui par- liamo ne offerì ad essa il mezzo; il suo paviglione può farvisi vedere ; e passare lo stretto, per comunicare con il mediter- raneo; del qual vantaggio parteciparono spure i porti di Fran- cia dopo il trattato con la Russia del 1809 : trattato, che è di- venuto la sorgente d’un importantissimo commercio per le prov- viste di grani, allorquando i nostri mercati ne sono sforniti. I primi saggi fatti-per partecipare di questo commer- gio .si debbono al sig. Anthoine, il. quale craa Costantinopoli nel 1781, allor che il nostro governo lo fece viaggiare in Cri- mea; Russia , e Polonia, con la mira di gettarvi i fondamenti di relazioni di commercio con la Francia; nè egli lunitossi a rag- , guagli semplici raccolti per il ministero, ma spedì da se stesso ‘diversi carichi, e le di lui operazioni incominciarono nel 1783. Si leggerannò nell’ opera con il massimo interesse i detta- gli di questa negoziazione , siccome le osservazioni sopra diversi generi di coltivazione e di commercio, che fanno i popoli di questa parte della Russia. La cognizione delle vere basi della ricchezza e prosperità nazionale , essendo penetrata in quel va- sto impero, vi ha operati miglioramenti numerosi in tutti i'ra= mi dell’ economia politica , e dell’ amministrazione. Le pre- mure del governo furono principalmente dirette verso i porti del mar nero, e l'estensione da darsi al commercio, che vi si fa con gli stati del mezzogiorno . Questi porti sono presentemente in una grande attività, e dimostrano, che la libertà dell’ in- dustria e del lavoro resa agli uomini produce gli stessi risul- tati da per tutto dove si trova, vale a dire l'abbondanza , la ricchezza, ed una popolazione contenta. Popoli i quali venti ‘anni fa conoscevano appena l’ aratro; spediscono fuori oggidi quantità imrsense di grani. ,, Nel 1817, dice il sig. Anthoine, sono usciti da Gheusloff , o Kosoloff, porto della Crimea , più di 200 hastimenti carichi di frumento ; prodotto dallà coltivazione dei tartari nogaesi, e di alcuni coloni tedeschi fissati in quelle contrade ,,. ‘ E nota la fama del porto di Cherson; i dettagli del suo immenso commercio son quì presentati in modo} da renderli gio- vevoli a? negozianti, che rivolgessero da quel lato le loro mire . Questo motivo ha principalmente guidato il giudizioso e prege- vole autore, il di cui scopo è stato di rendersi utile a’ suoi 154 concittadiui , e moi c’ inganneremmo , se dicessimo , che non vi è riuscito . i | Odessa non è meno famosa per le esportazioni, che fa di varie mercanzie, principalmente di. grani; l’imperatore regnante si è data’ una cura particolare per farvi fiorire il commercio ,,. Nel disegnare questo porto per uno dei quat- tro principali del mar nero, dice l’autore, questo principe avea nominato il sig. Duca di Richelieu governatore eivile e militare di esso, e l’avea reso indipendente nel di lui uffi= zio, talmente che questo governatore non rendeva conto , che ai ministri di S.' M. Imperiale a Pietroburgo ;,. E’ assai noto tutto ciò, che Odessa deve al governo del sig. duca di Ri- chelieu . I grani di Polonia fanno il principale oggetto di commer- cio di questo porto ; e si troverà in quest’ opera un istruzione chiara è precisa del modo di farlo con la maggior utilità , pron- tezza, ed economia possibile ; delle quali notizie si ha pur trop- po assai spesso sfortunatamente occasione di sentire il .merito; ed il vantaggio . Sono poche le città marittime, o distinte per qualche og- getto interessante di commercio , di cui il sig. Anthoine non fac- cia conoscere l’importanza , e le risorse: egli s’istruisce nei luoghi medesimi di ciò che narra; e se il tempo ha recato qual- che cambiamento dal 1782 in poi, non trascura di farlo conoscere con aggiunte fuse nel testo della nuova edizione della sua opera. I passi fatti presso la corte di Caterina in favor dei. pro- getti, di cui egli avea l’incumbenza, ‘occupano in essa molti ca- pitoli, i quali non sono i meno onorevoli per. lo spirito ; il pa- triotismo , e i lumi dell’ autore. Durante un anno, in cui egli rimase a Pietroburgo, nulla trascurò onde conoscere i detta- gli, i regolamenti, le forme, gl’ incomodi del commercio dell’im- pero , e gl’ incoraggiamenti, di cui aveva bisogno per inalzarsi e per potersi sopra tutto unire a quello della Francia. Il sag- gio , ch’ ei ne fece nel 1782 a Cherson, con stabilirvi una ca- sa di commercio , indica quanto sieno state giudiziose le di lui osservazioni, e spianò, come abbiamo detto, la strada a coloro che vollero poscia tentare la carriera medesima. Noi rimandiamo il lettore al racconto, che occupa il capi- tolo XIV e i seguenti, del ritorno dell’ autore a Versailles, del conto che rese della sua missione, dei mezzi che egli propose 155 per animare il nostro commercio nel mezzodi della Russia. Nu- merosi fatti istruttivi, e curiosi rendono grata questa lettura ; yi si trovano dovunque mire utili, saggi progetti; e finalmente al- cune di quelle basi, le quali hanno pra al trattato del 1787 tra la Francia e la Russia. Pertanto bisogna ) come è evidente, distinguere due parti nel Saggio istorico sul mar nero , cioè quella” del commercio, e quella della diplomazia . Quest'ultima si confonde talmente al dì d’ oggi con la prima, quando si tratta dei rapporti esteri, che non debbe far meraviglia l’ estensione quivi datale dall’ au- tore. La tratta egli con queati cognizione degli affari, e degli interessi della nazione, che si vorrebbe incontrar sempre in coloro , i quali la dirigono, e che per mancanza di tal risultato bisogna applaudire ed onorar r sempre in quelli, i quali ne dan- no prove . Le considerazioni introdotte dal subbietto sono accompagnate da circostanze istoriche ben espresse, di modoche gli ultimi ca- pitoli del Saggio formano un corso vero di Rini di com- mercio fra la Russia, e gli altri stati, principalmente la Fran- cia , dal trattato di Kainargì nel 1774 che aprì ai Russi il mar hero , fino a quello del 25 giugno 1802, che accordò lo stesso favore ai nostri bastimenti. Perchè mai quest’ultimo non ha sti- pulato ancora la distruzione di tanti altri ostacoli, da essi pro- vati nel mediterraneo , i quali privano il nostro commercio dei risarcimenti , che questo avrebbe potuto trovare in levante, per le perdite fatte nelle isole dell'America ? Un capitolo de’ più interessanti è certamente quello , in cui sì tratta degli effetti del commercio del mar nero per. i. porti della Russia, e principalmente per quelli di Francia, siccome degl’ incoraggiamenti , i quali queste due potenze dovrebbero da- re alle relazioni di commercio , che.si stabiliscono fra le due na- zioni dal lato del mezzogiorno . Nè i progetti sviluppati dall’ autore sul modo stabilito , © da stabilirsi, onde aprire o. mantenere le comunicazioni di commercio con l’India per mezzo de’ porti asiatici sul mar ne- ro, sono oggetti di minor considerazione. Queste comunicazioni hanno esistito ne’ tempi andati, ed allora una gelosia ambiziosa non eccitava le nazioni europee a chiudersi il -passo a quelle ricche contrade , le quali erano aperte a tutti i popoli. Vi è stato un momento in cui l Europa ha potuto concepire, che 156 questi rapporti fra 1 India e l’ Europa erano per riaprirsi con la restaurazione della colonia più antica del mondo’, che le città altre volte celebri di Arsinoe e di Berenice erano per fiorire di nuovo, come in tempo dei Tolomei, che il Nilo vedrebbe di nuovo le sue acque coperte da ricche flotte, e le sue ri- ve ornate dalle arti della civilizzazione; ma questa prova di un gran popolo in favore del commercio del mondo ha ce- duto alla riunione degli sforzi, che le erano opposti ; e la parte occidentale dell’ Europa non può per lungo tempo sperare di comunicare con l'India, se non sotto gli auspicj della pace marittima. Le riflessioni ispirate al sig. Anthoine da un tale argomento, ciò ch’ egli dice sulle strade dell’ India ai porti del mar ca- spio, e del mar nero, meritano seria attenzione ; finchè il pas- so dell’ Egitto sarà chiuso, e quel bell’ adito abbandonato in preda alla barbarie, la Russia sola potrà mantenere un com- mercio lungo, ma sicuro con la più ricca parte della ter» ra per le vie dall’ autore indicate . i Egli termina la sua opera con osservazioni nautiche sul mar nero, l'esattezza delle quali gli è stata insegnata dalla esperienza: servigio importante reso ai naviganti di quel mar tempestoso , i cui pericoli erano generalmente sì poco finor + conosciuti, che si direbbe , che si è voluto lasciarli ignorare . Abbiam detto abbastanza per far considerare il Saggio sul mar nero, come una delle più utili ed interessanti pro- duzioni consacrate dallo zelo, dal talento, dai buoni lumi, a” pro» gressi delle: scienze, del commercio ) alla cognizione ‘degl’inte- ressi nazionali. i ANNALI MARITTIMI E COLONIALI ec. (1). Le scienze dopo aver vagato nel mare delle astrazioni, creati metodi tanto ingegnosi, fissati in fine limiti, i quali sembra oggidì, che non si possano ol trepassare, hanno cercato di confermare i princip) con le applica- zioni. Da quì a qualche anno, l’esperienza ogni dì più illuminata avrà sostituito ai ragionamenti della teoria una serie. numerosa di fatti, che la perfezioneranno. La scienza non considerata fin al di d’oggi, che come mezzo, ogni qual volta dirige le sue ricerche verso un oggetto speciale , fa acquistare ad esso una forza incegni- la, una possanza impossibile a calcolarsi. (1) Opera periodica pubblicata in Parigi. I 97 Ì progressi immensi, che l’idrografia ha fatti da alcuni anni presso tutti popoli navigatori, beati lasciati indietro a distanza incalcolabile i lavori de secoli, i quali hanno preceduta quest’epo- ca. Ufiziali abili, ingegneri intrepidi si dividono il globo, scorro- no lidi sconosciuti, e con lo scandaglio alla mano visitano le coste del mondo nuovo ed antico. Il sig. Gauttier capitano di vascello, dopo avere riconosciute tutte le coste della barberia, attraversato d’ogni lato il mediterraneo, e creati quasi di nuovo con una moltitudine di osservazioni tutti i materiali atti alla costruzione. d’una carta idrografica, la quale supererà tutto ciò che abbiamo in questo ge- nere di più perfetto, il sig. Gauttier termina in questa campagna la ricognizione del laioralo del mar nero, la cui carta non cederà punto a quella del mediterraneo. Il sig. Beautemps-Beaupré, ingegnere idrografico in capo, del- la lucio e membro dell’Accademia delle scienze ha continuato da Quiberon fino alla Loira le sue operazioni , utili più specialmente. alla Francia per il rilevamento nel maggior dettaglio delle coste del regno sull’oceano, nel tempo che in un altro emisfero il sig. Hedge Roussin capitano di vascello ha reso alle persone di mare di tutti i paesi un servigio il più importante, per avere esplorate più di go0 leghe della costa del Brasile, e sopra tutto il MazoeZ Ruiz scoglio così fecondo di naufragi. 4 La corvetta l Urania è perduta, ma la spedizione è salva; e tosto potremo goder il frutto di tre anni di navigazione eseguita intorno al globo per il solo interesse della scienza (1). Una dotta memoria del sig. cavalier de la Poix di Freminville ci ha dati dettagli diligentissimi intorno alle coste della Groenlan-. dia. Abbiamo ancor notate le istruzioni per i naviganti, costretti per qualunque siasi cagione a prender terra sulle coste di Barbe- ria, le quali indican loro la condotta da tenersi per evitare le mag- giori disgrazie su quelle inospite spiaggie. Non dimenticheremo il terzo articolo dell'istruzione sui viaggi di Cina a contro-mussone, di un ufiziale, di cui non si sà il nome, ma il lavoro è più esatto di quello di Honburg, più esteso di quello di Dupres, ed è la continuazione ed il compimento necessario di quest’ul- timo: L'istruzione sulla strada dell’ Europa a Rio della Plata, e sulla navigazione di questo fiume, del sig. Gicquel des Tou- (1) Vedi pag. 142. 158 ches, antico capitano di vascello, debb'esser raccomandata ai naviganti, che frequentano quei mari. E stato aperto per ordine del re di Francia un concorso per la soluzione delle questioni relative al miglior sistema di costruzione di legname da adottarsi per i vasteibio e per la formazione. di un albero con oggetti a commessura. Il problema proposto ver- so la metà dell’ultimo secolo da Duhamel intorno al sistema di commettitura delle fila che bisogna riunire, ed avvolgere insieme per formare una corda, è fibialinente sdivlto mercè i rari talenti e l’attività dei sig gg. Lair ed Hubert, uno direttore delle eostru- zioni navali a Brest, l’altro ingegnere della marina nel porto di Rochefort; e si sentirà tutta l’importanza del servigio reso a vantaggio de’ vascelli all’ancora, in un tempo burrascoso, vici- no a una costa quando si saprà, che il nuovo processo di coma- mettitura procura delle gomene più forti per tre quinti di quel- le, di cui si è fatt'uso fino al presente giorno. Nuova spedizione inglese ai mari polari. Il governo ingle- se ha presa la determinazione d’inviare una nuova spedizione di scoperta nei mari del polo artico, e vi saranno impiegati, come nell’ ultima, due vascelli. L’/7ec/a sarà esaminato e rim- palmato immediatamente a Deptford; ed al Griper, che era troppo piccolo , sarà surrogato il Fury bastimento bombar- diere . Il capitano Parry comanderà questa. spedizione . Non è stato ancora indicato il punto preciso. verso cui dovran- no dirigersi le ricerche, ne lo sarà probabilmente, che dopo ricevuti i ragguagli del tenente Franklin, il quale doveva an- dare con la spedizione per terra dalla baia d’Hudson al fiume, di Coppermine. Ma se il rapporto di Franklin non è contra- rio, il capitano Parry si propone di entrare per lo stretto di Hudson, e di girar poi verso il settentrione sulla strada segui- ta da Fox nel 1632. È cosa probabilissima , che il braccio di go di mare, di cui si ha cognizione colà, distendasi verso il fiume di Coppermine. Il capitano Lyon della marina reale, ri. tornato ultimamente da una spedizione nell’interno dell’ Affri- ca, è nominato comandante del vascello di S. Maestà l’ Hec/a, ed accompagnerà il sig. Parry nella spedizione. La somma di 5,000 lire sterline accordata dal parlamento è stata distri. buita agli equipaggi dell’ Hecla, e del Griper nella manie- ra seguente. Al capitano Parry, 1,000 lire sterline: al te- 159 nente Liddon del Griper 500 lire sterline: ai tenenti Bea- chy, ed Hoppner, al capitano Sabine e ai due maestri 200 lire sterline per ciascheduno: all’allievo superiore, 55 lire sterline - agli altri allievi 30 lire sterline per ciascheduno: ai marinai 10 lire sterline per ciascheduno. La relazione del capitano Parry è sotto il torchio, e sarà stata data alla luce verso il 1. di marzo: noi ne renderemo mi- nuto conto, più di quello che finora non abbiam fatto . Spedizione nella Bucaria. Si avvisa da Orenburg ( Russia asiatica ) nel 17. di ottobre, quanto segue: Il dì 10 di questo mese, la spedizione imperiale destinata per la Bucaria ha lasciata questa città sotta una scorta di 200 uomini di fanteria, duecento cosacchi di Ural, e di Orenburg, e dell’ artiglieria a cavallo con due pezzi di cannone. Il sig. Ne- gri, consigliere di stato attuale, noto per le sue profonde co- gnizioni delle lingue orientali, è il capo di questa spedizione. 1l sig. Zulkowski, aiutante di campo del generale d’ infanteria Essen, capitano nel reggimento della guardia Ismaidowski, co- manda la scorta della medesima spedizione, in cui si trovano attac- cati il baron di Meyendorft capitano dello stato maggiore della guardia , il tenente Walchowskoy, il tenente Timofieff, il diret- tore Evermann, e il naturalista Pander. La riunione di persone così istruite sarebbe notabile anche fuori delle steppe dei Rir- ghis. L’oggetto di tale spedizione è di stabilire con la Bucaria un commercio vantaggioso e sicuro, e di ottenere cognizioni più positive sopra un paese separato da noi da deserti. La caravania è composta di 30 carri e 473 cammelli cari- chi, iquali facean cammino a due a due fra i distaccamenti con- dotti dai Kirghis nel loro abito nazionale . È ordinato, par- ticolarmente ai soldati di osservar quella disciplina, che gi ha distinti in Europa. Società geografica in Vienna. — È stata stabilita a Vien- na una società geografica, lo scopo della quale si è di agevolare l esecuzione dei diversi lavori progettati nell'interno dell’impero ‘ustriaco , e di riconcentrare tutti i mezzi d’istruzione sulla geo- grafia, e sulla statistica di questo paese. Il sig. Barone di Schwit- zen consiglier di Stato è stato incaricato della formazione di que- sta societa, ch’ è sotto la immediata direzione del Consiglio di Stato , 1600 RAGGUAGLIO BIBLIOGRAFICO Nomotesia Penale di Giuseppe Raffaelli. Napoli dalla Tipografia Francese, e da Marotta, e Vaspandock vol. 1 e 2. © L'autore celebre avvocato nella sua gioventù, poi profes- sore di diritto pubblico nel regno italico, e uno dei deputati, ‘alla compilazione del nuovo codice penale che meditavasi dare à quel regno, del qual codice esiste il progetto accompagnato da un dottissimo rappofto: quindi procurator generale presso la gran Corte di Cassazione di Napoli, e successivamente Con- sigliere di Stato, e finalmente membro della suprema commis sione consultiva , ha profittato dell’ ozio che si permette nella sua attuale gravissima età per dare al pubblico i frutti della sua lunga esperienza in quest’ opera destinata a contenere le sue vedute sulla Scienza ‘che insegna ai Governi a dettare ai loro popoli le buone leggi sopra i delitti, e le pene. L'opera deve esser divisa in 4 vol. Nel prospetto presente l’ autore sviluppa il metodo che si propone di seguitare. Sono gia usciti i primi due volumi; noi non tarderemo a far conoscere al pubblico più, specialmente quest’ opera . 161 FoÙLa dl ANTOLOGIA N. V. Maggio 1821. LETTERATURA Volgarizzamenti antichi dell’ Enerime Di. VirciLio: traduzioni di essa fatte da AxnisaL Caro, da Vir- i torio ALFIERI; dal padre Sorart, e dia i to nuovo di MicaeLe Leoni. D appoichè Brunetto Latini ebbe promosso lo stu- ‘ dio della grammatica nella patria nostra, dando egli forse per primo l’utilissimo esempio di Fame ini re i clas- sici dell’antico Lazio nel materno suo volgare: molti toscani seguirono la cominciata impresa, per cui age- volavano a sè medesimi l’arte: dello scrivere, e conce- devano a tutti i coetanei un modo»pronto ed'opportuno , da potere in que’ volgarizzamenti imparare e diffondere il nuovo loro idioma; che per naturale accidente era! più leggiadro e puro d’ogni altro volgare latino, siccome re- fluito dal Tevere nell’Arno per mezzo le vicine sorgenti delle Balze e di Falterona. Quindi avendo sempre i to- ' scani atteso ad accrescere la soavità della favella , e po- tendo trarre gran copia di dolci, grate e gen tili Mlb zioni dal poema di Virgilio; questo principiarono a vol. garizzare fin dal secolo decimoterzo. Di che sia prova la seguente traduzione , senza ritmo, colla quale inco- mincia il quarto libro dell’ Eneide. T. II. Maggio II 162 « Ma la reina già ferita da amore di grave solleci- tudine, nutrisce la ferita per le vene, ed apprendesi di ceco fuoco . La molta virtù d’Enea, e l’onore molto della schiatta sua, spesso s’involle (1) per l’animo di lei: e sempre la figura d’Enea, e le parole sue erano in lei fisse nel cuore. I pensieri non danno piacevole ripo- so alle membra. L’alta aurora illuminava la terra dello splendore di Fébo, e aveva rimossa l’ umida ombra dal polo ; quando Dido, inferma dell'amore, parla così alla stia cara suora. O Anna suora mia, che visioni son quelle che mi spaventano nel sonno? che oste grande è rise- duto qui a casa nostra? Quale laudanido sè colla bocca sua, di quanto forte cuore e dell’armi! Certamente io il credo, e il mio.credere non è vano, elli essere della schiatta delli Dei: perciocchè la paura riprende li ani- mi vili. Oh! da che casi e fortune è elli perseguitato! Che battaglie finite e terminate narrava elli! Se a mé - non sedesse nell’animo fisso e fermo di non volermi ac- compagnare d’alcuno legame di matrimonio , poichè il primo amore m’ingannò per la morte: se non m'aves- se tediato il matrimonio: forse che io ho potuto (2) su- | biacere a questa sola colpa. Perciò confesserò a te, An- na, che dopo i fati del misero marito mio Sicheo, e do- po li Dei (3) dispersi per l’omicidio che fece il mio fra- tello; questi solo mosse i sentimenti miei, e l’animo mio inprese (4) e inchinollo. Conosco i segni dell’ anti- ca fiamma. Ma prima desidererei che ovvero la terra (1) S'involge, rivolge. (2) Cioè io avrei potuto. Ma il traduttore mantiene quasi sempre il tempo de’ verbi, come è nel testo latino; e quivi es- sendo potui, egli ha detto ko potuto. (3) Penates. (4) Prese. 103 profonda a me s’apra, ovvero il padre onnipotente mi trabocchi all’ombre colla sua folgore, dico all’ ombre pallide dello ’nferno ed alla notte profonda; anzi che, © castità mia, ti rompa e ti contamini, ovvero le tue ra- gioni resolva. Quelli, che ’1 primo mi giunse, mi tolse i miei amori e i miei diletti. Elli li abbia seco, e ser- bili nel sepolcro. — Poichè ebbe sì parlato, bagnossi tutto il viso di lacrime. » Jo ho tratto questo esempio da un codice della Lau- renziana (5), che l’intelligentissimo professore e biblio- tecario Francesco del Furia crede esser copia di quello che è in Siena, e che pertiene al secolo XIII, già illu- strato dal valente bibliotecario di quella città, Luigi de Angelis (6); in fine del quale si legge: qui si termi- na e si compie il libro dell’ Eneide di Virgilio volga- rizzato da Ciampolo di Meo degli Ugaruggieri della città di Siena. Ma chiunque sia l’autore della prece- dente traduzione , essa è certamente antica poichè non vi è la frequenza degli articoli: e debbe attribuirsi alla città di Siena perchè vi è l'ortografia senese, come per esempio credare in iscambio di credere. Inoltre si acco- sta essa tanto alle parole di Virgilio, che non muta nem- meno i tempi de’ verbi , usando le figure grammaticali latine più che le toscane. Onde vi è purissima ed urba- na locuzione, senza infievolire o torcere il senso origi- nale, E notisi quella ripetizione così espressiva adigat me ad umbras, pallentes umbras Erebi, la quale è negletta in quasi tutti i volgarizzamenti dell’ Eneide , e che qui vediamo ben conservata , mi trabocchi all’om- bre, dico all’ ombre pallide dello’nferno. Quella sola (5) Plut. 78. Cod. 23. (6) Nell’ opera intitolata + Capitoli de’ disciplinati ec. — pag. 168. - MR sentenza con che Virgilio dinota la‘ viltà dell’animo, cioè degeneres animos timor arguit , non mi pare ben significata ne’ vocaboli, Za paura riprende gli animi vili : stantechè arguit'è posto per segno, e dice che Za paura manifesta 0 fa conoscere gli animi che della virtù o valore tralignano. Nel rimanente però ci arre- ca maraviglia, come qui pur sia quel verso di Dante _ Conosco i segni dell'antica fiamma. ‘ Ciampolo di Meo degli Ugaruggieri nacque intorno al 1250; e fu contemporaneo, se non coetaneo dell’Alighie- ri. Ma ciò non dimostra che l’uno l’altro copiasse ; 0 bi- sognerebbe attribuir la copia a Dante, poichè il mentò- vato verso è nella canticà del Purgatorio, la quale. fu scritta nel secolo XIV. Quanto è a me, son di parere che amendue imitassero solo Virgilio: essendo più facile tra- durre in quel modo che non altrimenti le parole latine Agnosco veteris vestigia flammae. Ognuno poi sa che Dante riguardava Virgilio come suo maestro: tantochè se non tradusse ei medesimo tutta l Eneide, molte leggiadrie ne tolse per adornare le sue tre cantiche. E quindi un altro fiorentino si vol- se a meditare in Virgilio , dichiarandone i pensieri ‘con prosa latina: la quale fu nuovamente dichiarata in vol- gare, siccome leggesi nel seguente capitolo, preposto alla nuova traduzione. « Delle qualità di Virgilio, e dell’ordine di questo libro. « Conciosiacosachè Virgilio, uomo scenziatissimo, poeta ottimo, di nazione mantovano, di sangue non così come di virtà nobile, intendesse di compilare a onore e laude di Ottaviano Augusto secondo Imperatore di Roma, nipote di Iulio Cesare e suo figliuolo adotti- vo e erede, alcun libro della vita militare, cioè della 165 scenza delle battaglie: perocchè delle due altre vite, le quali furono innanzi che l’umana generazione ,costret- ta per cupidigia di potenza; con ferri spandesse sangue umano; cioè la georgica e la buccolica della vita pasto- rale e della vita agriculturale avea scritto: scrisse que- sto libro de’ magnifici fatti e felici opere d'Enea, del qua- le.il detto Ottaviano discese. Il quale libro a te, Coppo, frate Anastasio dell’ ordine de’ frati minori, uomo di- screto e letterato, con molta fatica recò di versi in pro- sa; lasciandone certa parte, senza la quale gli parve «che questo libro sufficientemente potesse stare. Ed io poi ad istanza di te, Coppo; non molto lievemente tra- slatai di:grammatica in lingua volgare. » ‘Questo volgarizzamento si conserva in due codici della Laurenziana ; l’ uno cartaceo e compiuto , che fu scritto alla fine.del secolo decimoquarto (7); e l'altro membranaceo ed imperfetto, che fu copiato nel princi- pio del secolo, medesimo (8). Amendue però comin- ciano come abbiamo già significato; se non che vi manca il nome di Coppo da noi aggiuntovi per le ra- gioni , che dipoi produrremo . Ma;nel primo, e nell’ ul- tima (sua. pagina, ritrovansi queste formali parole. Com- piuti sono i dodici libri del Virgilio , li quali frate Nastagio dell’.ordine de’ frati minori recò di versi in prosa. E la detta prosa della grammatica Ser Andrea di Ser Lancia traslatò in piacevole volgare assai adornatamente a priego d’ alcuno suo amico. Onde . non mi pare; che possa nascer dubbio intorno al nome del volgarizzatore . Andrea Lancia è noto siccome tra- dateora, di altre opere latine: egli viveva nella prima (7) Codice gaddiano 18. (8) Codice gaddiano 71. 106 metà del secolo XIV: il suo stile, com'è nell’ Eneide, ras» somiglia alla dicitura delle altre opere isue; ed a lui finalmente è attribuita questa traduzione anche dal Mehus . i Nondimeno abbiamo due codici nella Magliabe- chiana (9), in cui è quasi tutto il medesimo volgariz: zamento , con quelle sole variazioni che si trovano ne’ manoscritti , alterati sempre da’ copiatori. Ed in fine di questi due codici non è alcun indizio per rispetto al nome del volgarizzatore : ma in principio vi si legge il mome di Coppo, che noi abbiamo sopra aggiunto, ed’a cui pare che fosse intitolato il libro da Andrea. 'Oltredichè il capitolo già da noi trascritto finisce in questo modo: ed io Anastasio poi ad istanza di te, Coppo, non molto ‘lievemente traslatai di grammatica in lingua volga- re . Ma debbono questi due ‘codici, che pertengono ‘al decimoquinto secolo , anteporsi ‘a quello della Lauren- ziana sì prossimo a’ tempi del suo autore? To sarei di parere che questo secondo Anastasio fosse creato da chi ricopiava: la quale mia opinione si rafferma per questo accidente, cioè che il nome di Andrea ‘si trova indicato colla sola lettera A. în alcuni mamoscritti , i quali sono al certo opera ‘di Andrea di Ser Lancia. Onde i codici della Magliabechiana possono provenire da un mano- scritto che ‘avesse questo segno particolare : edi ‘copia- tori ignoranti possono aver ‘cambiato la lettera A nel nome ‘di Anastasio , vedendo che un ‘Anastasio aveva compendiato il medesimo libro in prosa latina. Per ri- (9) Plut. 2 Cod. 60, e Plut. 2 Cod. 62. Ve n’ è pure una parte nel God. 2189 della :Riccardiana . E tutti e tre questi manoscritti sono cartaceì , e pertengono al secolo XV. 167 spetto poi al nome di Coppo, egli può essere quello, cui Andrea intitolava il volgarizzamento dell’ Eneide : imperocchè nelle novelle di Franco Sacchetti nominasi un fiorentino Coppo che dilettavasi di leggere , e che era coetaneo del Lancia . Ma un altro codice di questa traduzione è indicato dal Paitoni (10) siccome esistente nella Zeniana in Ve- nezia; ove si dice nel capitolo già più volte mentovato: il qual libro el greco Atanagio deli greci dottore mai- ore, uomo discreto ..( con quel che segue nel luogo citato fino a )..... stare; et lui possia ad istanzia dicta non molto lievemente di grammatica in lingua volgare translatde . Sicchè ora vediamo il frate Ana- stasio dell’ordine de’ frati minori scambiato in un gre- co Atanagio delli greci dottore maiore. Ed inoltre si fa dal Paitoni e dall’ Argelati menzione di due volgarizza- menti stampati in Venezia nel 1471, e nel 1476, 1 quali si attribuiscono ad A4Atanagora greco, benchè sieno quegli stessi del Lancia, e quegli ‘attribuiti al greco Atanagio. Onde , ancorchè non sieno forse state mai fatte tali edizioni ,;come ‘il ‘Paitoni stesso :ne dubita ; certa cosa è che non potevano essere i nomi d’ Anasta- isio e d’ Andrea più male sovvertiti dal copiatoré vene- ziano. Imperciocchè bisognerebbe .mancare ‘di ;critica e di giudizio , prima che supporre un trecentista \greco atto a scrivere in lingua fiorentina «con tanto spirito, quanto ne è per entro ‘il volgarizzamento del Lancia . Ed il codice zeniano , se risponde tutto a ciò che ne pubblicò il Paitoni, è ‘una copia de’ codici fiorentini al- terati dal dialetto de’ veneziani . (Che se alcuno-dubitasse dell’ erroneità de’ copisti, (10) Pait. Volgariz, T. 4. pag. 158. 168 legga questa nota aggiunta in margine al codice ze- niano : « 0 voi periti, et anche voi non dotti, che le- giereti over ascoltareti la mobile opera già in verso componuda per lo famosissimo poeta laureato P. Maro- ne Virgilio mantuano ad onore e laude de Octaviano Augusto secondo imperadore de’ romani; et. dipuoi de verso in lingua vulgare reducta per lo litteratissimo greco Atanagio per consolazione de Costanzio figliuolo de Costoyitibò imperatore ; veramente senza dubbio al. cuno remanereti tutti lieti e contenti nelli animi vostri per la intelligentia deli excellenti et mirabili fatti de Enea, come nella presente opera si contiene, non me- no quanta altra vulgar. opera se potesse per. consolazione legiere et audire . La quale opera è stata impressa ec. » Bene pertanto dice Vincenzo Follini, biblioteca» - rio della Magliabechiana,; e giudizioso conoscitore delle cose patrie , che Anastasio, o Anastagio, 0 Nastagio, come si trova ne’ quattro si di Firenze, è nome fio- rentino, e non poteva scambiarsi ad Midpagia non che ad 4tanagora, per applicarlo ad un greco dottore. Sicchè noi concederemo volentieri ad Andrea Lancia il pre- mio delle sue fatiche, pubblicando cioè una parte della sua traduzione; affinchè si possa confrontare con quella già trascritta dell’ Ugaruggieri . « Ma la reina già lungamente ferita di grave solle- citudine da amore, la piaga d’amore nutrica; ed è presa da un occulto fuoco (11). E rivolgendo la notte, molte cose nel suo animo ; la mattina così favella alla siroc- chia. Anna , che cose me dubbiosa nelli sogni spauri- scono? Come grande oste venne qui alli nostri alberghi? Come si mostra egli nella faccia ! Come forte nell’ani- (11) In wn codice si legge: ur ceco foco . 169 mo a sofferire, e nelle battaglie! Io credo certamente ch’ egli sia hato della schiatta degl’ Iddi: la' paura mo- stra i cattivi animi . Oimè , in quante fortune fu colui gittato! Che battaglie smisurate raccontava egli! Se non fosse confitto nel mio animo e non istesse fermissimo #2 mori mi voler (12) congiungere con legame di matrimo- . nio ad alcun’ uomo; poichè il primo amore mi fallò, in- gannala , per la morte di Sicheo ; a questa sola colpa , . cioè d’amar Enea, potrei io forse inchinare. E certo dopo da morte di Sicleo costui piegò i miel sensi , e .il vario animo costrinse (13). Io riconosco ll’ orme della vecchia fiamma . Ma io desidero in prima , che la ‘terra m' in: ghiottisca , o che l’ onnipotente padre colla folgore : mi cacci infra le ombre d’ inferno ; che io te, 0 castità, corrompa , 0 le tue ragioni disciolga . Colui me‘ abbia seco, il quale mi si congiunse per li primi amori. — Così parlando , il seno empiè di lacrime. (1 4). i. «Questa fiorentina traduzione non si clava certo ‘anteporre a quella di Ciampolo senese, allorchè si vo- glia una perfetta rassomiglianza alle parole di Virgilio. Ma per rispetto alla lingua mi sembra questa migliore, avendo vocaboli più scelti, e locuzione più forte e spedi- (12) Ne’ manoscritti è 70 non mi vorrei : ma è un modo del dive, che non s’ intenderebbe nella. nostra favella. Nè è , errore del traduttore, ma ‘desiderio di seguire il testo latino ne me vellem. $ - (13) In altri SA è ristrinse . (14) In due manoscritti leggesi: eadde in grembole for bendo le ‘lacrime. Il che significa - cadde in grembo a lei, cioè ad Arianna ; asciugando, le lacrime; essendo questo modo del di- re, in igrembole, simile a molti di quelli che usano i fiorentini per vivace brevità ne’ colloquii ; benchè meglio si direbbe caddele in grembo . Nel codice 18 gaddiano leggesi: cadde in grembo alla si- rocchia forbendo fe lacrime. 170 ta. Vi mancano, è vero, tutti que’bellissimi ornamenti che la poetica fantasia di Virgilio dettava: ma Andrea Lan» cia traduceva, non i versi del mantovano scrittore, ben» sì la prosa latina d’un frate Anastasio, che dichiarò aver lasciato certa parte dell’ Eneide. Oltrechè se qui man- cano ornamenti, gli troveremo troppo più copiosi im quest’ altra traduzione. « Del dardo aureo dell’amore la detta reina più bella che’l sole, altamente ferita per amore d’Enea, la feri» ta porta per tutte le membra. La vertude d’ Enea, e la nobiltà della sua schiatta, e la bellezza del suo corpo, e’l suo bello parlare fu principalmente la cagione dello innamorare della misera Dido: e sì fortemen- te di subito la prese la virtù e possanza d’amo- . re; che amore la privò quella notte d’ ogni ripo- ‘so. L’aurora, che la mattina prossima si levava ed il- luminava le terre con le lampane del sole, avea già cacciata via la notte dal cielo; quando in quest'ora la detia Dido, così ferita, favella a Anna, sua sorella e seco unanime, in questo modo: 0 Anna sorella mia ca- rissima , che potrebbe esser quello che io sogno la not- te, e che così mi spaventa? Cui è costui che è arrivato a casa nostra novellamente? Non intendi tu, quale ello sì fa colle parole! e come forte d’animo e d'armi. Io credo, e per fermo orbè (15) che la mia credenza non ® vana, che ello è di schiatta delli Dei. I vili animi enno paurosi. Ahi per quanti e quali fati ello è stato gittato ; e quali e quante battaglie ave ello detto! Se non fosse che io ho diliberato nello animo mio, e fermato di mai non torre più marito, dappoichè l’amore primo del mie Sicheo, morendo, m’'abbandonò: se non fosse che m'è (15) Or bene: interiezione che rafferma 171 rincresciuto questo maritarsi, a una colpa ‘di questo Enea solo potrei cadere. O sorellina mia cara, Anna, io ti confesso che poi la morte del mio primo marito; mi- sero Sicheo, costui solo m’entrò nell'animo : ed hammi quasi ‘il suo amore vinti tutti i miei sentimenti e l’ani- mo. Io per lui risento le vie amorose dell'antica fiam- ma. Ma innanzi ch'io rompa fede alla cenere di Sicheo, ovvero corrompa la mia nominanza, e abbandoni la ragione della mia vergogna(16),aprasi la terra e surba- mi (17); ovvero il sommo Dio sì mi fulmini e mandimi all’ inferno fra le ombre pallide ed oscure. Colui, che ‘prima ‘ebbe il mio primo amore, colui sempre lo abbia e serbi infino alla sepoltura. — Questo detto, ella s'em- . piè gli occhi di lacrime. » ‘ ‘Chi sia questo traduttore, ignorasi. La sua parla- - tura sembra fiorentina. Ed un solo manoscritto ne ab- biamo nelle librerie pubbliche di Firenze icioè nella Magliabechiana (18); il quale pertiene al secolo decimo quarto. Ma erano in prosa tutte le prime traduzioni di Virgilio? Il Paitoni e l’Argelati, connumerando i vol- garizzatori italiani, affermano che Tommaso Cambia- tore nativo di Reggio fosse il primo poeta d’Italia, che traducesse in versi 1’ Eneide. Il:Cambiatore viveva nel secolo XV. La sua ‘traduzione, fatta intorno al 1430, fu poi pubblicata nell’anno ‘1532 in Venezia da Giovan Paolo Vasio. E questi così dice mella prefazione: ben- chè il Cambiatore fosse ‘coronato di lauro dall’ im- (16) Vergogna è qui ‘usata; come‘si legge in molti scritto- ri, nel senso di modestia, pudore. (17) Dal verbo latino sordere, che noi diciamo sorbire. Ma notisi con che grazia ha scambiato sorbiscami a surbami cioè m’ inghiottisca. (18) Plut. 4. cod. 33, 172 peratore Sigismondo di Lucemburgo in Parma, non- dimeno fu molto negligente osservatore delle regole della lingua tosca; sicchè il correggere della tradu- zione sua mi è stato di grandissima fatica. Impe- rocchè egli non ha osservato in suoi versi nè la quan- vità delle sillabe, nè le declinazioni de’ nomi e de’ ver- bi, nè l'ortografia, etc: Quindi Apostolo Zeno dife- se il Cambiatore, accusando il Vasio come plagiario: la quale accusa però fu dichiarata non vera da alcuni; ed eziandio dal Tiraboschi (19). Onde noi tralasceremo le inutili questioni, disaminando intanto come buono ‘sia questo volgarizzamento, che fu compilato in Lombar- dia un secolo e più dopo la morte dell’ Alighieri , e che fu migliorato e corretto dopo un altro isecolo nella città di Venezia. Esso è in terzine; ed. il quarto libro così principia. « Ma la reina innanzi già ferita, Nutricasi in le vene grave piaga, E da nascosto foco entro è rapita. E. della gran virtù del. Baron Vaga, El grandissimo onor di sua nazione, n In la mente di lei. pieno s’ inlaga. El volto ognor le sta nella intenzione, E le parole: e mai non ha riposo > Da tal pensier, nè a, sonno; sè dispone. Del di seguente avea ‘il ciel luminoso. Con la fiamma del Sol fatta l'aurora, E 1 scuro umor avea da-Paria ascoso; Quand’ella alla sorella parla allora: Anna sorella, qual sogno m'ha punto Di paura, dubbiosa, e’l cor m'accora? (19) Tirab. stor. lit. it. T, 6. par. 3. pag. 823. , all ANA geo. Qual è il peregriù a ‘noi qui giunto? Di qual aspetto? Edi qual cuor ed: arme? l’credo certo, e non m'inganno appunto, Ch'ei sia nato di Dei, che come parme, ‘Dimostra un cuor villan paura tosto: Costui d’ardir non par mai si disarme. A quanti casi l’ha fortuna apposto? Che battaglie son quelle ch’ ha compite? Ma se non:fusse ch’ ho nel cor proposto, Che mai non fia cagion ch'io mi marite Poi che del primo amor hammi ingaunata Morte, onde alcun a ciò mai non m'invite: Forse che pur i’ mi sarei inchinata A questa sola colpa, e a costui solo. Anna, mia mente non ti fia celata. Poichè ebbi per Sicheo l’acerbo duolo, Di cui fu dal fratello il sangue sparso, Macchiando dell’altar il sacro suolo; Il cuor m'ha stretto ad amar scarso: Conosco i segni dell'antica fiamma, ) Di che una fiata ne portai il cuor arso. Ma anzi lutta in un punto, e non a dramma, S'apra la terra e viva mi divori: O foco ardente, che le nubi infiamma, Mi spinga giuso agl' infernal pavori, Ove stan l’alme morte in scura notte: Che mai disonestade in me dimori, E le leggi d’onor da me sian rotte. Colui ch'ebbe il mio amor, sel portò via; E seco l’abbia alle tartaree grotte, E nel sepulcro a lui servato sia. Quando ebbe detto ciò, sì forte pianse, Che di lacrime calde il seno empia. » 174 . Un amico mio dottissimo e ben consigliato, ragio- nando un giorno con un traduttore d’ Orazio che van- tava l’opera sua, gli diede questa risposta: voi. tradut- tori non siete che mosaicisti, eleggendo le parole come questi fanno le pietruzze , a fine di riordinare con nuo- va materia un già fatto disegno. La quale similitudine è invero opportuna , benchè non se ne derivi biasimo alle buone traduzioni. Ma in quella sopramentovata non tro- vasi neppure idonea scelta di vocaboli. Niuno che fosse gentil parlatore, non mai direbbe gl’ infernal pavori , portarsi via l’amore, s apra la terra a dramma. Niu- no direbbe amar scarso, il scuro umore, ne’ quali mo- di è solecismo, e non proprio epiteto, massime nel pri- mo. Oltrechè la sintassi è talvolta erronea; come nel dire nutricasi in le vene grave piaga, dove sol per la misura del verso è nutricasi in iscambio di nutrica. Ed è parlatura pedestre il domandar con maraviglia Che battaglie son quelle che ha compite ? È sovente il verso senza poetica armonia, come Quand’ ella alla sorella parla allora. Che se in qualche terzina trovasi un verso armonico , siccome Costui d’ ardir non par mai si disarme : leggesi prima di questo l’altro Dimostra un cor villan paura tosto ; ove è locuzione ignobile, e sentenza non propria, stan- techè le pangle un cor villano non rispondono a quelle di Virgilio degereres animos, e perchè non è vero che un cor ani debba essere Sato O pauroso. Mi perdoni il lettore se gli ho arrecato fastidio, cri- ticando un opera , che sì è già dimenticata. Ma segli anni scorsi ho veduto, e veggo al presente i giornali d’Italia pieni di severe censure contro i dugentisti to- 175 scani. Onde mi è sembrato utile questo lieve contrac- cambio, non già per oscurare la fama d’un italiano, ed accrescere la malaugurata discordia che disunisce i nostri letterati; ma per significare quanto sia facile a noi rivolgere quelle medesime censure contro i quattro- centisti, che nati non sieno sulle rive dell’Arno:1 quali però noi che amiamo la pace e l’urbanità, non chia- meremo mai forestieri, quando abbiano tra le alpi ed il mare la patria. Ed ora disaminando se il Cambiatore sia il primo italiano che traducesse l’ Eneide in versi, mon dubito d’affermare che egli era stato già prevenuto da un tra- duttore fiorentino: poichè nella Laurenziana conservasi un manoscritto (20) del secolo decimoquarto, in cui si legge il Dittamondo di Fazio degli Uberti e poi l' Enei- de volgarizzata in terzine. Onde l’ Argelati e il Paitoni errarono, volendo indicare le prime traduzioni di Vir- gilio ; ed errarono sì per rispetto alla prosa , come al ver- so, stantechè non fecero nè anche menzione dell’ Uga- ruggieri prima del Lancia. Il qual errore debbesi però attribuire al non aver conosciuto i mentovati manoscrit- ti. E forse neppur questi non sono i primi, potendoue essere altri più antichi tuttavia ascosi nelle librerie. Quel volgarizzamento, che è nella Laurenziana; e che ha tutte le qualità del parlar fiorentino benchè non se ne indichi l’autore, principia nel libro quarto siccome segue . « Come Dido, d’ Enea innamorata, Palesa suo amore alla sorella Per trovar modo alla mente cangiata. Ma la regina Dido già ferita (20) Plut. 41. cod. 41. 176 i Di grave cura, la piaga d’amore ha Odio Notrica nelle vene sbigottita. i Occulto foco carpe (21) il suo ‘valore. 3 ‘Molta virtù d’Enea in sè raggira (22), È l’onor di sua schiatta nel suo cuore. E la sua faccia nel suo petto spira Ele parole offerte; ond’ella vampa (23), Nè quetar puote, sì. dentro martira (24). E la seguace (25) aurora colla lampa Chiara del Sole alluma la campagna, Privando il cel dell'ombra che lo’nciampa (26): Quando Dido trafitta sì compiagna (27) Con sua suora Anna, e tutta sì palesa, Per prender lo piacer alla sua ragna. E disse: o Anna, io sono stata sospesa Da nuovi sogni, e con aspra paura, Per lo grande oste che qui s'impaesa (28). ) (21) Voce latina, prende. (22) Rivolge, esamina colla mente. Raggirare in quiestò sen- so non è nel Vocabolario della Crusca: e forse non è da imi- tarsi, perchè questo. verbo ha nella comune consuetudine il si- guificato di traviare o ingannare alcuno. (23) Avvampa. Vampare non è nel vocabolario della Crusca. (24) Sente martirio. In questo senso non è nel Vocabolario della Crusca, ed è un bel modo del dire. (25 Susseguenie. Anche seguace in questo senso manca nel Vocabolario, ma non mi sembra imitabile. (26) Inciampare significa in questo luogo o/fendere , esse- re ostacolo alla chiarezza del celo. E manca nel vocabolario, e bisognerebbe forse ‘ mettervelo, perchè dà l'origine del voca- bolo inciampo; quando questo significa /2 cosa in cui s' inciam- pa, e quando si usa metaforicamente per. ostacolo, etc. (27) Cioè si compiagne. : (28) Impacsarsi, cioè venir nel paese, manca nel vocabo- lario; ed è tanto bello quanto inurdarsi, come dice Dante, ve- nire in città. i 177 Questi ragiona di sì alta eura Con forte petto e con asprezza d'armi, Che in somma credo ciò che mi figura. No, non vana credenza è dilettarmi, Che nato sia della schiatta reale; Pensando, quanto puote rinnovarmi (29). Gli animi vili hanno basse Vale: E però la paura li disegna, Di fuor mostrando il suo povero quale (30). Oh! in quanta fortuna d’ira pregna Travolto fu costui: e qua’ battaglie, Fornite già, con sua loquela segna. E se non mi mordesson le tanaglie Del non prender marito da quel punto, Ch’amor per morte mi messe travaglie (31), Quando misero Sicheo fu consunto Da nostro frate (32), e noi ad altri porse: Solo costui sarebbe a me coniunto. Li sensi miei questo soletio torse: Sicchè l’animo vago sì m' infiamma Per caldo amor, che nella mente porse. Conosco i segni dell'antica fiamma. Ma prima la bassa terra m'inghiotta, Che tal pensiero mi piegasse dramma; O Dio con sua saetta nella grotta D’inferno mi trabocchi all’ombre scure, (20) Mutarmi in altra donna, cambiare il mio animo; ed in questo luogo condurmi di nuovo ad amare. Ve n’ è un | solo esempio, e non sì chiaro ed espressivo come mato: ; nel vo- eabolario della Crusca ristampato in Verona. (30) Ze Zoro povere qualità. (31) In iscambio di travaglio, a cagione della rima. (32) Voce antica, cioè fratello. T. II, Maggio ‘2 TA 178 n n Che tu, o castità, sia da me rotta, O tua ragion dissolva e disfigure. Colui m’abbia, che me a sè legde Negli amor primi colle dolci cure.» Quali son questi versi , tale è il rimanente. della traduzione . E poichè vi è copia di bellissime locuzioni patrie , congiunte spesso coll’ armonia poetica, e. non mai di senso oscuro : così gioverebbe al nostro idioma chi pubblicasse tutta questa opera . Nè il lettore ha bi- sogno che io indugti il discorso per dinotare le partico- lari bellezze che in ogni terzina ritrovansi; poichè non può non conoscerle da sè medesimo , e prenderne diletto . Solo mi piace avvertire che quantunque sia in forma di parafrasi, e che vi manchi perciò la robustez- za e concisione latina ; non PERCIO non sì poteva con © maggiore chiarezza e con più spirito dichiarare la vir- giliana sentenza Degeneres animos timor arguit ; se non come si legge nella terzina che principia Gli animi vili ec. Che se alcun verso pare a noi contenere un mo- do basso o burlesco , come per esempio : E se non mi mordesson le tanaglie Del non prender marito ec. notisi che la traduzione pertiene a quel secolo, in cui ritrovansi tali modi anche ne’ più grandi scrittori ; im- perciocchè non sfuggivano mai un vocabolo, quando aveva l’ opportuno significato. Ed opportunissima ed espressiva , benchè sommamente metaforica , è la sud- - detta maniera del dire , significando : che l'animo di Didone era sì fermo in ricusare nuovo marito, come fer- ma è una cosa che morsa o stretta sia dalle tanaglie . Oltrediciò potrei aggiungere che siffatte maniere 179 provengono dalla necessità della rima. Ma questa scusa non soddisfarebbe ad alcuno, stantechè 1° Eneide può tradursi nel nostro volgare senza bisogno della rima: e male adopera chi non costretto implicasi, eleggendo ar- dui e strettî sentieri quando può vagare per facile e ° spazioso cammino. La quale cosa è tanto vera, che quan- tunque l'ottava rima sia propria del tutto all’eroico ver- poggiare in lingua italica ; nondimeno è stata essa inu- tile a” volgarizzatori di Vitalia, ed anzi gli ha'disviati. Infatti lo stesso Bartolommeo Beverini , che nel 1680 volgarizzò l’ Eneide con motta leggiadria , quante volte anch’ egli non dovè infievolire, se non alterare; le. lo- cuzioni latine, per condurre un’ ottava a fine. Di che sien.prova gli otto versi seguenti : «. Posa le membra in su le molli piume, Ma dagli occhi anco lassi il sonno fugge : Nè chiuder può l’ affaticato lume, ‘ Che se ben tace l'ombra in sen le rugge: | E come suol farfalla intorno al litrete © Scherza con quell’ ardor che la distrugge; E torna, e gira, e tante volte tenta, Che alfin vi resta incenerita e spenta. » To ho scelto questi versi, perchè pertengono al princi- pio del libro quarto : e se gli paragoniamo alla prece« ‘ dente traduzione , rispondono al solo vettso Nè quetar puote, sì dentro martira . E se gli confrontiamo colle parole latine, rispondono ad una parte d'un sol verso, cioè'a Nec placidam membri dat cura quietem cui, per formare il verso, manca verdbague in princi- pio . Ma oltre la ridondanza inutile e difettosa , i privi quattro versi dell’ ottava ripetono sempre la imbdlnibona cosa; e gli ultimi quattro, che indicano uu nuovo peu- / 180 siero del traduttore ; racchiudono una similitudine che: Virgilio non avrebbe saputo qui collocare . { Giova però soggiungere , che il Beverini ottima-. mente tradusse Degeneres animos timor arguit . dicendo Poichè segno è il timor d’ anima vile . Con che si prova che talvolta seppe conservare la bre- viloquenza latina . Molti altri quindi hanno tradotto Virgilio , innan- zi e dopo il Beverini, ed i più in verso sciolto. Ma io mi ristringerò a parlare di quattro volgarizzatori , che nati fuor di Toscana, e qui poi trasferiti, ebbero va- ghezza e facilità di studiare nella nostra favella, medi- tandola ne’ libri ,e udendola nelle conversazioni . Il primo de’ quali è Annibal Caro. Egli nacque nel 1807 in Civitanova nella Marca d’ Ancona: ed essendo sven- turato e povero nel suo natio paese, venne giovanetto a Firenze, dove si fermò lungamente . Sicchè per que- sto caso, e per la bontà dell'ingegno suo, conobbe al tutto la dolce naturalezza del nostro idioma ne’ fami- liari colloquii, e ne tolse quello stile puro e leggiadro con che dettò sue lettere. Dipoi favorito alquanto dalla fortuna, ebbe agio di veder parte dell’ Europa , andan- do ambasciatore a’ Principi, e mutando la sede sua da Firenze in Roma. Nella quale città sopraggiunto infine dalla vecchiezza , desiderò la quiete campestre : onde mosse da’ colli latini verso Frascati. E quivi non turbato da molesti pensieri, mentre le amene ville rinnovavano la sua fantasia, voleva comporre un poema. Talchè per ritemprar forse la cetra a' noti suoni, tradusse un canto di Virgilio. Il che facendo si accorse, esser quest’, opera all’ età sua , più che l’altra idonea . E perciò la 181 compiè senza indugio , ma con tale proponimento ;. di persuadere cioè a’ leggitori quanto. fosse abbondevole “ed armonica la nostra favella, contro l’ opinione d’al- cuni che. dicevano mancare essa .di ‘natura e. d’ arte per dichiarare i poetici concetti (33) . I progressi della nostra lingua sono invero meri- tevoli d’essere considerati. Già da tre secoli essa discor- reva le patrie storie, e volgarrizzava le antiche. Odi amo- “rose, inni sacri, e lirici carmi essa cantava: mirabile e sublime nella ‘vita e nella morte di Laura. A chi volesse raccontar novelle, o trovar motti piacevoli: a chi. godesse l’ animo di vagar ne’ campi, o penetrare alle verità scentifiche: essa porgeva i vocaboli. Con essa infine aveva l’ Alighieri discorso la terra, }in- ferno e il celo. E nondimeno avevano alcuni sempre sospetto che essa non rispondesse a’ pensieri. Tanto chè il Davanzati dovè mostrarne la breviloquenza , traducendo Tacito: ed il Caro ne indicò la magnilo- quenza; traducendo Virgilio. Infatti questo suo dai rizzamento ha cinquemila cinquecento versi più che l’ Eneide latina. Ond’ è in forma di parafrasi, ma giu- diziosa e vaga. E poichè il Caro lo scrisse ne’ tempi che la lingua e la poesia non erano corrotte; così non v'intromise dubbie o ardite metafore, nè 'torse mai gli argomenti: ed usando i. vocaboli nel vero significato, e collegandoli con buona sintassi e con. facile costru- zione, ha in ogni tempo dilettato e istruito il lettore, siccome l’ Alfieri racconta, che essendo egli giovanetto gli capitò V Eneide d’ Annibal Caro, e la lesse con avidità e furore più d’ una volta (34); quantunque (33) Seghezzi. Vita di Annibal Caro. (34) Alfieri. Vita ep. 2. c. 4. 182 non fosse ancora capace d’ intendere neppure per metà, quel che leggeva nell’ Ariosto (35) . L Abano è il secondo volgarizzatore, di cui in son proposto parlare. Egli venne in Firenze, quando, aveva diciotto anni. E quivi principiò a studiare nella lingua inglese , in iscambio d’ imparare , com) ei dice, dal vivo esempio de’ beati toscani a spiegarmi almeno senza barbarie nella loro divina lingua , ch’ io balbet- tante stroppiava ogui qual volta me ne dovea prevale» re: di che, aggiunge, mi toccherà di arrossire iù eter- z0.(36).Ma nondimeno cominciò a sentire nuova e dolce proferenza, onde ripurgò alquanto la sua pronuncia . E dopo un mese viaggiando a Siena , qui si sentì quasi- ehe un vivo raggio gli IRE ad un tratto la mente, e una MESBZIT lusinga agli orecchi e alcuo- re, nell’ udire le più infime persone così soavemente e con tanta eleganza, proprietà e brevità favella- re (37). Talchè si partì , è vero, ben presto di Siena e di Toscana: ma vi tornò dieci anni poi, degmandosi di studiare tra noi, per divenire quindi sommo maestro nell'arte tragica: Intorno alle quali cose mi sia permesso di notare, che all’ Alfieri piacque più dapprima la sene- se pronuncia, perchè si discosta meno che non la fioren- tina da quelle proferenze che esso aveva finallora sentite nella Lombardia. Nè voglio concludere che i fiorentini bene pronuncino, e che.i senesi male favellino: imper+ ciocchè gli uni e gli altri hanno melodiosi suoni, e quasi ‘una favella. Ma in Siena, come in Firenze, come in tutte le altre città, dee la buona educazione accomodar la (35) Idem ep. 2. c. 2. (36) Idem ep. 3.:€.' 1. (37) Idem. n | 183 pronuncia: Che se la fortuna è a noi tanto benigna, fa- gem doci nascere in Toscana ove la lingua delle nutrici non è diversa a quella de’ precettori; ne conseguita questo solo vantaggio , aver noi mezzo più facile a cor- reggere coll’ arte la natura. Sicchè dovendo ciascuno ripurgare la. natural proferenza, io non credo ingannar- mi dicendo: che la. pronuncia fiorentina ha, più che tutte le altre d’Italia; opportune qualità per divenire soave, chiara, maestosa , e regolare ; siccome Quinti- liano insegnava per rispetto all’ idioma del Lazio; e «come noi possiamo dimostrare coll’ esempio del mede- «simo Alfieri, Quando venne a Firenze nel 1766, vi stette un mese, e non frequentò che forestieri : essendo_venuto nuovo della cognizione degli uomini e.delle cose, e an- dandosene sciolto da legami d’amore e d'amicizia che ‘non ebbe opportunità, o non si curò allora di stringere co’ fiorentini. Passò quindi a Siena: non vide ivi fore- stieri : e fermandosi un giorno solo, non. potè. infa- stidirsi di quella città, egli, cui ogni luogo nella gio- ventù incresceva: diga qualche sog ggiorno . Sicchè lieto ne. partì colla sola rimembranza che i senesi bene par- lavano. Seguitò poi lungo viaggio ; e rivedendo la pa .tria inchinò allo studio. Ma perswadendosi finalmente che non avrebbe potuto mai dir bene italiano fin- chè traducesse sè stesso dal. francese, risolvè di tornare in Toscana > per avvezzarsi a parlare, udi- Te, ppsatie e sognare in toscano e non altrimenti mai più (38). ode nel 1776 fu nostro concittadi- no. Elesse dapprima la città di Pisa , perchè vi erano dotti professori. Ma intantochè si giovava della loro (38) Idem. ep. 4. c. 2. 154 dottrina ; niuno seppe insinuarglisi nell’ animo; e po-. chi o niuno poterono aiutarlo nella nuova opera. del nuovo stile ch’egli apparecchiava. Solo l’Alighieri avreb- be saputo inanimare e consigliare l Alfieri. Meglio dun- que istruito, ma non ancora esperto dell’idioma, tornò ‘in Firenze, ove ‘applicò moltissimo all’ impossessarsi della lingua parlabile , conversando giornalmente co fiorentini . E da quel tempo, siccome ei dice, princi- | piò a pensare quasi esclusivamente in quella dovizio- sissima ed elegante lingua: prima indispensabile base per bene scriverla . Nulladimeno ei:non ebbe: neppure - in Firenze nessun amico censore; e passando per Siena erasi invaghito d° una bella e nobile ‘signorina (39) - Onde non è maraviglia che l’anno dipoi si trasferisse in questa città, credendo che la lingua vi fosse migliore: posciachè:non ‘aveva ‘sentito :in Siena ‘la. conversazione de’ pedanti, e vi si godeva ‘in iscambio gli amorosi col- loquii, senza aver luogo di mutare favella per discor- ‘rere co’ forestieri.. E nuovo caso raffermò la sua opi- nione ; imperocchè la fortuna gli diede finalmente un amico legnissimo e toscano, cioè Francesco Gori Gan- dellini: sicchè all’ amore si aggiunse l'amicizia per rendere l’ Alfieri beatissimo in Siena . Ma io dubito ; sè questi accidenti gli fossero del. tutto. giovevoli per ri- spetto alle sue tragedie. Forse. m'inganno;, credendo che al poeta. sia necessaria la buona pronuncia oltre la cognizione della lingua . Forse m’ inganno , giudicando buone amendue le pronuncie di Siena e di Firenze, ma migliore la seconda purchè sia modificata dall’arte; e migliore e più utile poi a quei che vengono dal set- tentrione ; poichè i loro aspri suoni non si ammolli- (39) Idem ep. 4. c. 4. be, i 185 scono mai-sufficientemente , ed è lor facile evitare la troppo molle parlatura della cantante plebe fiorentina . Certo è che le prime tragedie dell’Alfieri, benchè ottime ed incomparabili , non hanno quella dolce ed affet- tuosa maniera del dire, come è nell’ Alceste: alla quale pure non manca la robustezza tragica. E certo è che quelle furono da lui sovente ripurgate, e. che 1’ ultima nacque spontanea dappoichè egli aveva fermato oramai la sede in Firenze. | Io ripeto che ho esposto solo come dubbio questo argomento . Mai non presumerò di giudicare della ‘vita e delle opere dell’Alfieri. Egli fu sì grande, che un uomo qual’ io sono ; misurarlo non può . E cara esser debbe a noi toscani, cara ‘a tutti gl’italiani, la sua memoria. Nel 1790 egli viveva in Parigi: ma quella famosa città non lo distolse dagli amati studii, che anzi ‘ei v' imparò di nuovo a.mente i versi di Dante, del: Petrarca ; dell’ Ariosto, e del Tasso. E comincian- do ivi altresì per bdalocco a tradurre V’ Eneide, e ve- dendo che gli riusciva utilissimo studio e dilettevole, per mantenersi anche nell’uso del verso sciolto (40); continuò questo | volgarizzamento , e ‘lo compiè in Firenze nel: 1798, senza reputarlo mai come cosa fi- rita (41). Il quale giudizio dell'autore medesimo deb- e esser norma al nostro. Infatti pare ch’ egli si ba- locasse , allorchè traduceva BI d' Entello con que- sti vensÌ: f : « Quai di grandine folta pregni nembi -. ‘Fan scoppiettare i. picchiettati tetti ; Tal I Eroe spesseggiando ripicchiava ) (40) Idem ep. 4. c. 20. (41) Idem ep. 4. c. 27. 186 Quà e là cacciava, e rivolgea Darete. ». ..._, Ma non perciò non debbe essere tutto riprovato,..co» me alcuni opinano ; essendo anzi. Buonissime quelle parti che si affacevano alle consuetudini sue. Nella medesima lotta di Entello con Darete è ben tradotto il dialogo tra Entello e Aceste. Buoni sono i discorsi de’ guerrieri, ed ottimo è quello d’ Ilioneo , fiero e supr plichevole a Didone, nel libro primo .. rertei pur si legge questa similitudine benissimo espressa: « Come fra immenso popolo, qualora Sedizion feroce i petti infiamma. D'ignobil volgo.; a chi il furor ministra . F iucodla e sassi, armi plebee ; se. a sini Uom d° alto affare , e meritevol,, grave S’ inoltra , tutti tacionsi e si stanno In orecchio ad udirlo: egli co’ detti Gli animi affrena,, ed. ammolcite ha lire. » E poco. dipoi, motisi com’ egli sfugge la bassezza,. di- cendo : da Altri le fere. monda; Altri ne affetta gli spiccati brani; Chi palpitanti quasi; in lunghi spiedi , Gl’imperna; chi sotto a’ stridenti bronzi Fiamme rattizza. » i Che se nel quarto libro non è la virgiliana dolcezza , ne fu causa l’indole dell’ Alfieri, il quale troppo più forte- mente sentiva l’amore, che non potesse teneramente esprimerlo. E credo che per vaghezza di novità sfug- gisse il verso di Dante, che è sì proprio alle parole di Virgilio , Conosco i segni dell’ antica fiamma: dicendo egli Raise (ahi! sì) del mio prim’ arder Laryao i 187 E non male tradusse la sentenza di Virgilio Degeneres animos timor arguit: Menchè la rendesse particolar e, per rispetto al soio Enea, dicendo A’ forti Non tralignanti di lui spirti, io l veggo Bensì arreca maraviglia ch'ei non peggiorasse la, fine del sesto libro , dappoichè aveva cotanto biasimato Vir- gilio della viltà di lodare i Marcelli più che gli Scipio- ni, soggiungendo: nè contento di ciò , Virgilio spende diciannove altri eccellenti e toccantissimi versi per far menzione d'un Marcellotto, nipotino d’' Augusto, morto nell’ adolescenza, il quale sarebbe affatto sco- nosciuto, se non era la vile sublimità di que’ versi (42). Ma per la loro sublimità e storica fama non dovevano essere negletti, e gli vedremo ora tradotti con sublimi- tà italiana dal padre Solari. ; Questi visse gran tempo nella città di Siena, inse- gnando utilmente le scenze. E poi tornando a Cia sua patria, si godè la vecchiezza, conîe aveva fatto il Caro, traducendo i classici dui ma. però non volle seguire la medesima via; ristringendosi a tradurre Vir- gilio verso per verso. Della qual cosa non possiamo lo- darlo, perchè l’ Eneide sua è riuscita perciò in qual- che parte non buona: e poteva egli farla perfetta , essendo intelligentissimo del nostro idioma e idell’anti- ea lingua del Lazio. Nondimeno il suo volgarizzamento non è sì cattivo, come alcuni presuppongono. Che'se per non oltrepassare il numero de’ versi latini; fu'costretto cli usar certi inodi che non possono ad preizie piacere; siccome i seguenti; {42) Alfieri, Princ. e let. 1. 2. c. 4. 188 Rompe in omei. — Dal cocchio scusso. — Poi boccon brontolò. — A presta torma infilano quest’uscio i ven- ti. — Chiotti veder l’arcano. Travi atteggiar, remi tosar ne’ boschi. In scorcio udir Vurto di Troia estremo. Smania, infuria , imperversa, e va linfatica. e traducendo sig) questo verso ‘Et summo cl ypei nequidquam umbone pependit a seguente mode; 1 non intelligibile o £ trema: Pendolo invan da sommi cuoi: non debbono pertanto i leggitori biasimare il rimanen-. te, ove si trovano modi bellissimi e poetici, simili a’ la- tini. Nel primo libro, per esempio, leggiamo questi versi; oltre molti altri, ottimamente tradotti. 3 « Disiecitque rates , evertitque aequora Ventis. signal venti, alzò flutti, i legni sperse. calblio vasto rex desio antro Luctantes ta tempestatesque sonoras Linperio premit, ac vinclis et carcere frenat. Eolo qui regna in vasto.» Speco, ei turbin sonanti, e i venti in' lotta Doma, e a gran lacci e in ria prigion gl’infrena. « Insequitur:clamorque virum, stridorque rudentum. Segue d’uomin iclamor, stridor di sarte. E nel.quarto libro, che il Solari più degli altri negles- se; ove è troppo abbreviata la sentenza degereres ani- mos.timor arguit con dire degenere animo è vil ; e do- ve pure si legge fiatar la prima fiamma or sento ‘in iscambio di conosco i segni dell’antica fiamma: non- dimeno ha ben conservata nel medesimo discorso. di Didone quella ripetizione espressiva, che i moderni traduttori omettevano, 189 Pria lo stral del gran Dio mi sbalzi all’ombre Pallid’ombre dell’orco, orror profondo. Nè con più forza poteva tradurre quelle parole di Dido furibonda « ite: Ferte citi flammas; date vela, impellite remos. Ite, volate, A’remi, a vele: ite con fiamme, ardete. E notisi come ben principia la descrizione della fama: Fama, ch'è un mal d’ogni altro mal più ratto, Nacque a vagar; forza le cresce il corso. Pria va timida umil, poi surge all’aure: Spazia pel suol, pon fra le nubi il capo. » Dipoi, è vero, la medesima descrizione non è ben so- stenuta : e tra le altre cose vi è tal bocia il ver. Questo verbo bociare è proprio del volgo toscano, e si sente spesso nelle nostre campagne, ove alcuni dicono altresì vociare. Nè è il solo .toscarismo usato in questa tradu- zione dai Solari; ed io lo dinoto, perchè egli disse nel proemio dell’ Eneide che si sarebbe a/fatto astenuto da’ toscanismi, che quasi vezzi o capricci usar gli | piacque così nell’egloghe in bocca a’ pastori che nel- le georgiche al parlar di campagna ; per ripigliar poi senza scrupolo i fiorentinismi, o almen sanesismi, nel- la versione d' epistole e satire. Onde non mantenne il suo proponimento; e forse parlò come si è detto nel suo proemio, per accomodarsi all'opinione d’alcuni, che - reputano la lingua italica diversa a quella de’ toscani. Ma il padre Solari sapeva benissimo che la parola #o- scanismo è troppo generale, sicchè non specifica i modi del dire proprii soltanto alle città o a’villaggi dell’Etru- ria: essendo anzi ottimi italianismi i più de’ toscanismi. E perciò non potè mai astenersene, quando gli parvere + 190! : idonei a significare i suoi pensieri; massime perchè gli erano familiari per causa del suo lungo soggiorno in Siena. Studino dunque i giovani qualche volta nell’Enei- de del Solari, lasciando con buon discernimento que” modi improprii ch'egli fu costretto d’usare per causa della brevità, e imitando quelli che senza sforzo e con pura sintassi discorrono. Quindi mi sia lecito trascrive- re i mentovati versi, quelli cioè del sesto libro che letti da Virgilio sì commossero Ottavia madre di Marcello, che per dolore svenne. E lascerò poi all’altrui giudizio , se il Solari gli abbia tradotti, massime gli ultimi , col ve- ro volgare illustre o cortigiano. Niuno per certo gli avea volgarizzati prima di lui con tanto vigor poetico. — An» chise parla ad Enea ne’ campi-elisi. « Mira qual vien d’opime spoglie onusto, E ogni altro avanza, il vincitor Marcello. Fia ch’ ei l’impero in scossa ria sostenga; Duce a corsier, Galli rubelli e Peni Sperga ; e a Quirin l’ armi anche terze appenda. Qui chiede Enea (giacchè vedeagli ir presso Garzon splendente e di belt«de e d’armi, Ma torbo in fronte, e i rai dimesso e’l volto ) Chi, o padre, è quei ch’appo l'eroe tal muove? (43) Figlio ? o de’ figli almo rampol (44)? Quai romba Lo stuol ch’ei trae! Quant’ ei simil! ma il capo Notte feral d’orrido vel gli avvolge. Anchise allor molle di pianta: Ah! figlio, Perch’ ami udir l aspro de’ tuoi gran lutto ? Sol fia costui mostro da” fati al mondo, (43) Sic comitatur. Era forse più chiaro, dicendo st muove. (44) Sarebbe più simile al latino, dicendo de’ figli almi ‘rd pollo. Ù V, Ù 191 Nè oltre sarà. Troppa vi par (45) di Roma La possa, o Dei, s' abbia qual suo tal dono. Quai fia che a’ Marzii afflitti colli il Campo Ruoti (46) gemiti e lai! Che inferie, o Tebro, Vedrai, novel surto il sepolcro al margo! (47) Nè altro gli avi latini iliaco germe Farà tanto sperar, nè il suol romano Fia tanto altier d’ altro augurato (48) alunno” Ahi la pietate! Ahi l’ alma (49) fet la destra ..Nell’armi invitta! ito del prode a fronte Niun fora impune, o entrasse fanté in lizza, O a spumoso destrier spronasse il fianco . Povero garzon! se il rio destin pur rompi, Marcel tu fia (50)! Deh! a piene man quà gigli, (45) Questo tempo presente vi pare non è opportuno, ed è una licenza poetica. Simile licenza però è quasi in tutti i tradutto- ri, benchè con tempo diverso: alcuni dicendo vi pareva, alcu- ni vi parve, ed altri vi parrà. Ma per ben rispondere ‘al sen so latino bisognerebbe dire vi sarebbe paruta o sembrata, cam- - biando anche nel secondo verso s’ abbia in s’' avesse avuto. I mità della traduzione. quali tempi del verbo sono però contrarii alla brevità poetica. (46) Questo verbo ruoti è del tutto improprio: è usato in iscambio di mandi. (47) Qui è troppa brevità pate benchè sia brevità an- che nel latino cum tumulum pariseser kabesre recentem. (45) L’ epiteto augurato è aggiunto dal Solari, ma con ot- timo giudizio, e con gue effetto. Di qui principia la subli- (49) In iscambio di 2/4 era meglio antica, o prisca sic- . come dice Virgilio. (50) Bia è pure una licenza poetica, ma utile in. que- sto luogo. Se avesse detto Marcel sarai, non diveniva la locu- zione sì espressiva, nè il verso tanto rapido e sonoro. Inoltre, poichè fia si usa in iscambio di sarò e di sarà, parmi scusa- bile un poeta, quando l’adoperi in luogo di sarai. Vedi Mastro- fini. Verbi italiani, 192 Quà giacinti, ch'io sparga; almen tal nemibo Versi proavo a quell’alma, e previa sfoghi Vana pietà. » Il Caro ed il Solari tradussero Eneide per lore diletto nella vecchiezza. L’Alfieri fece l’opera medesi- ma, quando era anch'egli attempato; ma. la principiò per suo diletto, e la compiè perchè gli parve utile stu- dio, e buono esercizio poetico. Ed ora vedremo che per questa seconda cagione è nata una nuova traduzione di Virgilio, per operà di Michele Leoni. Questi è il quarto volgarizzatore , di cui mi son proposto parlare, ed a cui concluderò il discorso, essendo l Eneide sua la più re- cente e non ancor pubblicata. Il Leoni pertanto incominciò le sue letterarie im- prese , recando l’Ossian in versi italici. Poi fece a noi conoscere l’ Eschilo britannico, ed altri poeti, e stori, ci, inglesi. Quindi sazio oramai degli oltramontani pen- sieri, e volendo con nuovi suoni temprare la cetra , si è rivolto con buono consiglio a’ poeti del Lazio, prima di essere egli medesimo al tutto originale poeta. Della qual cosa è uopo dargli invero grandissima lode, poichè ha scelto così la retta via, in cui ripurgarsi da que’ modi arditi e metaforici, o come alcuno li chiama romantici; i quali non poteva non usare nelle sue prime traduzio- ni, e che sarebbero inopportuni, anzi contrarii all’in- dole della nostra poesia e del nostro idioma, quando ei gli adoperasse all’avvenire come poeta ‘alieno . Per questa ragione dunque egli ha già volgarizzato la Geor- gica, notissima al pubblico; ed ora compie l’Eneide, parte della quale mi ha conceduto leggere. Sicchè farò di essa pure discorso , sblidadat nella modestia € cortesia del suo autore. Ma prima veglio indicare un altra qualità del medesimo Leoni. Imitando egli Al 193 fieri, si è trasferito da Parma sua patria in Firenze, ove da otto anni dimora. E qui attende alla parlatura del popolo fiorentino, quì si compiace: nella conversazione de’ nostri letterati, consigliando e consigliato a vicenda. Il qual esempio e gli altri sopramentovati valgono a di- mostrare come la Toscana sia stata. sempre piacevolis- sima sede a chi studia nelle lettere; mentre offre a quelli, che non vogliono errare, un mezzo facilissimo a ritrovare il -vivo tesoro della; lingua, come; diceva Alfieri (51). Il quale tesorò dobbiamo. però anche noi medesimi ora acquistarcelo collo studio ; noi. toscani leg- gitori, che trascuriama il nostro per attendere all’ al- trul. i Del resto, la nuova traduzione del Leoni ci sem- bra fatta con regolare disegno. Ei non ha voluto. emu- lare nè al Caro, nè al Solari, ma si è messo nella me- dia via, seguendo colla lingua sua quanto poteva Vir- gilio: sicchè avendo egli senno e pazienza, da giudica- re del suo manoscritto, e correggerlo quanto bisogni; riuscirà finalmente, io spero, a tradurre il poema latino con più accuratezza che non è stato finora fatto da altri. E veggasi intanto il principio del quarto libro , che quasi parola per parola esprime il senso latino. i « Ma la reina, già da grave cura Trafitta, la ferita entro le vene Nutre, e divampa di segreto foco. vi L'alto valor, d’ Enea le torna in mente, El grande onor della sua stirpe. Impresse Le stanno in petto le parole e il volto ; Nè dona a’ membri un tal pensier riposo. Colla lampa Febea la nova aurora (51) Alfieri vita ep. 4. c. 22. T. II. Maggio 13 194 [{ n Le terre.illuminava; e avea dal polo: | |... L’umid’ombra rimossa 5 allor. che inferma All’unanime suora ella sì parla. ‘Quai sogni me), suspesa; Anna sorella, Spaventan mai!:Qual novo ospite è questo; ‘Che ‘a nostre: sedi. giunse? E qual sembiante: Mostra! Quanto! di petto e in armi forte! Lui credo al' certo (nè la fede è vana). Stirpe di. numi. .I\tralignati spirti La tema scopre. Oimè, di quali fati Ludibrio fu! quai guerre a fin condotte Ne raccontò ! se fisso a me non fosse E immoto in cor, di non unirmi in nodo Maritale ad alcun, da che a me il primo Amor, delusa, feo con morte inganno: Se a me odioso il talamo e le tede Non fossero, cred’io, che in questa sola Colpa cader potrei: chè dopo il fato Del misero Sicheo; dopo i dispersi Penati, ocimè, per la fraterna strage; Anna, il confesso, a me piegò quest’uno I sensi, e all’ondeggiante alma fè forza. Conosco i segni dell’antica fiamma ». Ma pria mi:s'apra sott'i piè la terra, E me all’ ombre dell’Erebo, sì all’ombrée Pallide e all’ ima notte il sommo Padre Col fulmin cacci , pria che te, 0 pudore, Violar osi, e le tue leggi infranga. Colui, che a sè mi unì primier, si tolse Gli affetti miei. Dentro al sepolcro seco Quei gli abbia e serbi. E così detto, il seno Empiè di largo pianto. » Chiunque attentamente esamini questo discorso, e 195 lo paragoni al latino, dovrà lodarne il traduttote .. Che: se ad alcuno non piacesse il dire le tue leggi infranga, può questo verbo con facilità mutarsi. E due soli modi mi sembrano poco imitabili, quantunque non sieno for» se biasimevoli, perchè si detivano dal latino. Il primo riguarda alla costruzione, ove dice : da! ché a me il pri- mo amor, delusa, feo con morte inganno è essendo la parola deliri alquanto separata dal pronome; con cui si collega. Ma però è un-bel modo poético;\ed'io l’ho particolarmente notato per aver occasione di rammen- tare a giovani, che il nostro idioma ha di per sè qualità soavi ed armoniche, tantochè 1 versi come la prosa ci arrecano maggiore diletto, allorchè discorrono flui- di, chiari e semplici. L'altro modo è quello, con cui si dice: i Penati dispersi per la fraterna strage: ove non s'intende se il fratello fosse vittima, 0 promotor della strage. E so bene che si debbe intendere nel se- condo sigmificato , e che Virgilio stesso dice. fraterna caede. Ma non sarebbe meglio; che un libro tradotto nel nostro volgare, avesse le sole figure grammaticali di nostra consuetudine, le quali non si oppongono mai alla chiarezza? 1o mi congratulo moltissimo , vedendo che il Leoni si discosta dall uso nostro, meno fichi el può. E non è per certo opera facile potiorizane l’Eneide, senza usare alcuni modi proprii di Virgilio. Benissimo è poi tradotta la già ripetuta sentenza, degeneres animos timor arguit, con dire i tralignanti spirti la tema scopre. Nè qui pure è negletta, anzi è fortemente espressa’ la ripetizione, £ me all’ombre del- lV Erebo, sè all’ombre patlide ec. Quindi, poichè abbia- mo veduto il Leoni ben riuscire nella traduzione d’ un affettuoso discorso , giova disaminarlo nella robustezza del dire. Perciò trascriveremo la lotta di Entellò con 196 Darete. Rampognato il primo da. Aceste perchè allora non pugnasse col cesto, sorge finalmente ei vecchio con- tro l’altro. che è giovane; e biasimandolo dapprima, della sua iattanza , poi « Dagli omeri, ciò detto, Si trae la doppia veste; e le grandi ossa (E Je braccia disnuda e i vasti membri, Ed enorme si pianta in mezzo al. campo. ‘D’Anchise il figlio allor due cesti eguali Fuor tragge, e ad ambedue con arme pare Le palme accigne. In sulla punta eretto De’ piè; repente un contra l’altro stette, E impavido levò le braccia in alto. Da’ coipi ognun dell'avversario lungi L’arduo capo ritragge, ed alle mani Le mani mesce, e provoca la pugna. Per agil piè quegli preval, fidato Nella giovin etade: in membra questi | E in mole il vince ; ma tremanti e tardi Vacillano i silice , e l’ampio corpo Egro anelito scote. Invan frequenti Colpi tra lor vibran con forza: molti Ne raddoppian ancor nel cavo fianco, E un gran rimbombo ne tramanda il petto. Spesse alle tempie attorno ed agli orecchi Erran le mani, e sotto il duro colpo Scrosciano le mascelle. Immoto Entello . Sta nel medesimo sforzo; ed or col corpo, Ed or col vigil guardo i colpi schiva. Qual chi eccelsa città con moli oppugna, O montane castella armato cinge; L’ altro così con arte or questi or quelli Aditi esplora ed ogni loco, e indarno 197 ‘Con vartì assalti l'avversario incalza. La' man, sorgendo, Entello in alto mostra : El colpo ; che sul capo a lui scendea, Pronto l’altro previde, e col leggero Corpo a quel si sottrasse. Al vento Entello Così le forze sparse, e con gran pondo Grave per sè medesmo a terra cadde; ! “Al par di cavo pin dalle radici “ Sul’Erimanto o la grand’Ida svelto. La Siciliana gioventude e i Teucri ‘Con vario affetto surgono, ed al cielo Ne ascendono le grida: e primo Aceste Corre; e l’amico , a lui d’età simile, Pietoso alza dal suol. Ma nè dal caso Ritardato è l'eroe, nè dalla temà; .! E più ardente che pria torna alla pugna. L'ira il vigor ne desta; e la vergogna Edil conscio valor le forze accende: E nel campo il precipite Darete Preme; ed or colla destra le percosse Addoppia, or colla manca; nè respiro A lui lascia , nè posa: e come nembo Con grandin molta strepita su i tetti, Su darete così frequenti colpi Entello scaglia, e con le man lo aggira. Non soffre allora Enea , che oltre gli sdegni Entelloporti; e:con acerbi spirti Infierisca: e, alla pugna il fin prescritto, Lo spossato Darete a lui sottragge , E con parole il molce. » Questa lotta medesima fu descritta da Annibal Ca- ro con tanto vigoroso e leggiadro stile, che non si può non leggerla tutta con somma contentezza .dell’ animo, 198 Ma nondimeno sarà letta con piacere anche questa del Leoni, la quale pure si accosta più che l’ altra alla de- scrizione latina, ed in cui mi sembrano meritevoli di critica sole tre cose. In principio si dice che Entello erorme si pianta in mezzo al campo. Ma enorme non risponde in questo caso al latino vocabolo ir,ger:s. Ben si direbbe erorme un male, un serpente, ed altra cosa che grande ‘a un tempo e nefanda o turpe o difforme fosse : ma non mai chiamerei enorme ancorchè fosse immenso ; nè un be- ne, nè un uonio, nè un valoroso atleta com'era. Entel- lo. L’Alfierrusò in iscambio la parola colosso: altri dis- sero gigante: e questi vocaboli sono più opportuni, ma non ben qualificanti!, poichè Entello non era nè agita so, nè gigante. Il Caro disse; 0 lol detto; spogliossi : e sì com'era. , " Delle braccia, degli omeri e del. collo E di tutte le membra e d’ossa immane, Quasi un pilastro in su l’arena stette. » ove mi pare che il vocabolo pilastro oscuri alquanto le altre belle maniere del dire. Sicchè a’ mentovati tradut- tori è uopo in questo luogo anteporre il Solari ,chedisse : « Le grand’ ossa e i grand’ arti, e braccia e. terga Snuda , e in mezzo all’ arena ampio si pianta, » benchè |’ epiteto ampio si convenga più a cosa e a luo- go , che non ad uomo. Il Solari ha tradotto ancor meglio le susseguenti parole « vim)suscitat ira : Tum pudor incendit vires, et conscia virtus . ira l’'aizza : Pudor l afforza , e il ricordarsi Entello . Ma il Leoni ha voluto conservare la locuzione latina; 199 dicendo il conscio valor ; benchè non sia. modo del dire usato da’ inostri buoni scrittori. E credo ch’ egli abbia da. sè medesimo conosciuto , che poteva meglio tradurre, poichè nel decimo libro ha volgarizzato le parole stesse. e£ coriscia virtus in questo. modo : E coscienza del sentirsi prode. Quindi leggo:in Virgilio rec mora, nec requies. Il Leoni dice:rè respiro a lui lascia, nè posa. Ed il Caro disse ; senza posa mai Dargliy nè spazio di fuggirlo almeno . Io lascerò giudicare ‘al lettore } chi abbia megho inteso la parola nora”. Ed al suo giudizio rimetterò eziandio i seguenti versi che per due ragioni trascrivo: sì per dinotare , con:quanto animo il Leoni prosegua 1 opera sua : e sì per dar luogo ad un'confronto: di esso col So- lari. Questi versi ct dr sesto libro , ove si ra- giona di Marcello . « Ve’ come insigne per opime spoglie Ne vien Marcello, e vincitor soprasta A ogni ‘altro eroe ! Questi il romano: stato, Per tumulto ‘crudel sossopra volto; ‘Fia ‘che raffermi, e con equestre pugna I Tiri abbatta e i ribellanti Galli, Ed appenda a Quirin terzi ‘trofei. E qui Enea ( poichè gir vedeagli accanto Garzon per armi e per beltà splendente, Ma d’un‘aspettòpoco' lieto; ei lumi Al suol rivolti. con dimesso viso ) 4 Chi, o padre, gli domanda, è quei che i passi Di quel prode accompagna??%un figlio? ovvero Di sua gran stirpe alcun nepote ?0E! quale Strepito è quello del seguace stuolo ? 200 Quanto il garzon l'eroe somiglia! e quanto Ha in sè di grande! Ma con ombra trista Gli si avvolge atra notte al capo attorno. . Anchise allor piangendo dice: O figlio, Il lutto grande non cercar de' tuoi . Colui sol mostreranno i fati al mondo, Nè vorran che oltre sia. Troppa la possa Del roman popol vi sembrava, o Dei, S' egli qual suo s’ avea così bel dono. . Quanti gemiti d’ uomini alla grande Cittade apporterà di Marte il campo! O qual vedrai funerea pompa, 0 Tebro, Scorrendo appresso al tumulo recente! | Nè:a tanta speme alcun d’ Iliaco sangue | Rampollo ergerà mai gli avi latini, . Nè la Romulea terra unqua d' un tanto .. Alunno andrà. fastosa. Ahi la pietate ! Ahi la fè prisca! e destra invitta in guerra! Niun d’esso a fronte gito impune fora, O entrasse fante in campo, 0 di spumoso | Destrier. pungesse cogli sproni il fianco. Ahi povero fanciul! Se mai de’ fati.,..; . Per modo alcun 1’ asprezza a romper giungi, Tu Marcello sarai. Con piene mani Gigli mi date.e :porporini fiori , i Ch' io qui gli sparga,, e almen di questi doni L’anima del nipote appien ricolmi, E adempia ufficio pio, quantunque vano. . Antonio; BENCI . Si correggano questi due errori di stampa: ‘ Pag. 180, vw. 16. 1807 leggi: 1507, Pag. 191, v. 13. Povero .. Pover 201 hi LETTERATURA Pall literary history of the middle ages, ec. » PAL, Storia, letteraria de’ tempi di mezzo, da: ultimi . anni dell’ impero d’ dugusto , fino ‘al risorgimento delle lettere nel secolo XV. compilata: dal FA Giu- SEPPE BERINGTON . Londra presso Mawman. uesta storia fu con be’ caratteri, con bella carta, ed in ‘un volume in quarto di settecento ventisette pa- gine , stampata in Londra nel 1814. Tutti i quali acci- denti ho voluto i0 significare per più ragioni . ‘Dapprima egli è un danno ed una vergogna, che i nostri librai sì ristringano al crommercio solo di que’ libri, che nell’ Italia e nella Francia si stampano; qua- si che non fossero dagl’italiani richieste e studiate altresì le nuove 0 rinnuovate dottrine, che per Germania, In- ghilterra , e per altri paesi discorrono . La quale negli- genza è pur cagione , che tardi dobbiamo annunziare e disaminare tali opere ne’ giornali; aspettando che qual- che nostro concittadino , buono , ricco e dotto , le fac- cia a ‘noi conoscere , portandole seco da’ suoi viaggi di ritorno alla patria . Il che a noi ora interviene, avendo ricevuto solo: adesso ; e per bontà d’un nostro amico, la storia del Berington!'; benchè già da sei anni stampata. Quindi non posso non biasimare un’ altra consue- Wta molto più nociva , ed usata ora soltanto nella parte italica dell’ Hpiopaa Se. guardiamo. all’ edizione del sopradetto libro; non possiamo desiderarla migliore. Favellenemo poi dell’opera, e vedremo essere ella buona sì, ma molto inferiore a quelle del Gibbon, dell’ Hume, del Robertson. Onde è manifesto che i letterati inglesi hanno somma facilità nel pubblicare le loro. scritture , 20à aiutati e spesso arricchiti da’ librai. E ciò accade pure in Francia , accade in Germania, e negli altri paesi, purchè non sieno al di qua delle alpi. Sicchè questo ‘ confine, di che la natura ci ha provveduti, è per ri- spetto a’ librai ed agli stampatori il segno della sven- tura sopra tutti i letterati . Gli uni e gli altri sono, è vero, mercanti allorchè l’ opera è scritta: ma si com- piono forse gli edifici, senza dare premio agli archi- tetti ? Nè giova opporre, che gli scrittori e i librai non sono padroni assoluti delle loro produzioni, le quali ‘è lecito appresso noi ristampare nella medesima .città, non che nell’ estere contrade, e senza loro consenti mento ; imperciocchè. siffatto male è grandissimo ed irreparabile all’ avvenire, ma non pregiudica alle pri- me edizioni, e non dovrebbe impedire l’ amichevole e reciproco aiuto di chi stampa inverso chi scrive . Ed ora volgendo il discorso intorno al Berington} mi sia permesso dichiarare che la critica e la censura sono sempre ingiuste , inurbane e fallaci, allorchè sì giudica senza riguardo alla condizione degli scrittori. Infatti percorrendo la storia sopra mentovatay-nontsolo non vi ho letto alcuna notizia che;già data: mon» fosse; ma ho veduto mancare più volte i necessarii schiari+ menti . E dovrei io perciò.biasimarne: l’ autore: ;come se mì avesse ingannato, invitandomi ‘a leggere. una storia che appariva nel titolo; e che non è ih fattò ge- neralmente compiuta ? No invero : poichè da una»parte il modesto contegno del Berington, e dall’altra ‘i ‘suoi divisamenti piana il biasimo, e fanno di jmano lu mano conoscere a’ leggitori come debba essere egli giudicato . OS sn Belle arti) linguaggi, scenze, e metodo d inse» gnamente , sono le cose ; acui egli riguarda. Erper ri ». | | | : | | | 203 spetto alle prime non fa mai lungo discorso , rimetten- dosi volentieri e modestamente a chi ne abbia trattato: come per esempio nel secondo libro, allorchè ram- . menta, aver Teodorico restaurato gli edificii di Roma e preposto alcuni sopravveditori alle fabbriche nuove, ei domanda pure se queste ordinavansi con quell’ ar- chitettura, cui si è dato: il nome di gotica . Ma non ri- sponde affatto alla sua interrogazione; non produce il parere d’ altrui ; e chiede licenza al lettore di poterlo rimettere a quelle opere , che egli non nomina, ed in cui sia tal questione disaminata con buoni e sottili ar- gomenti . i «Per rispetto poi a’ linguaggi, ei manifesta (1): « non avere il gusto degli antiquarii: cioè, non saper discoprire eleganza di forme nelle vetuste opere delle arti, per- chè si trovino rugginose e guaste dal tempo ; nè parer- gli idoneo l' andar tracciando i lineamenti dell’ingegno nelle opere intellettuali, perchè sieno divenute rare, o perchè sieno piene di frasi e di termini obsoleti. » Anzi egli attende sì poco alla varia natura degl’ idiomi, che ragionando le prime poesie volgari sembragli inutile il considerarle appresso ciascuna nazione, e trae gli esempli solo da quella che più reputa secondo i casi opportuna : il che si riferisce a’ pensieri poetici , e non alle locuzioni , o a’, modi del dire . i Nel rimanente egli compendia i nostri ed i fore- stieri scrittori. E massime nel sesto; libro, in cui per- corre l'intervallo di tempo dal mille trecento. al. ritro- vamento, della stampa, egli, seguita al tutto l’ Alighieri, il Petrarca ; il Boccaccio , e gli altri toscani illustri, fa- cendone con breve discorso gli elogii e la vita. Sicchè (1) L. 5. pag. 391. 204 non ha da sè medesimo veduti gli archivii, nè consi- derate le originali scritture : e debbe , sei’ non m’ in- ganno , essere giudicato come: storico degli storici, è nemmeno in generale, ma solo in quelle parti , di che egli era intelligente , 0 a cui aveva inclinazione . Faremo dunque giudizio dell’ opera sua conside- rando esso come compilatore ; il quale ufficio richiede sole tre cose: aver chiara, facile ; concisa e pura elo- cuzione nel proprio idionin: sceg bue PRESE EA gli storici : e non essere parziale . Quanto è alla prima di queste tre cose, io mostre- rei troppa presunzione , se m’ intromettessi a giudicare de’ modi del dire in uno straniero linguaggio. Ma posso però discorrere intorno all’andamento de’ pensieri, poi- chè la loro bontà si prova e conosce, traducendogli in un’altra favella. Che se ciò far si possa bene e facil- mente , non rimane più alcun dubbio che l'originale scrittura benissimo ordinata non sia . Facendo dunque siffatto esperimento nell’ opera del Berington, riesce quasi sempre bene , dappoichè ha egli medesimo tra- dotti o compilati gli altrui pensieri. Nondimeno ha una' certa maniera di esprimere i suoi concetti che induce il leggitore a dubitare talvolta dell’intelligenza sua. Come per esempio nel libro primo (1) enumerando egli i pregi della poesia e dell’eloquenza de’ romani, soggiunige: « ma se la dolce protezione de” Mecenati’, o il timore del di- spotismo avevano viziato un animo sì puro, 0 deturpato un stigegno sì sublime, come era quello di Virgilio; non era ciò un malinconico presagio ;' che i romani erano pervenuti al più alto punto ‘dell’ intellettuale elevazio» ne ? » Le quali parole sembrano “indicare , che ‘il ‘più (1) L. 1. pag. 3. 205 alto stato dell’ uomo consista nell’ impurità dell’ animo, e nella corruzione dell’ ingegno : il che , se vero fosse , c’indurrebbe a desiderio di scendere jiiuttostoché di sa- lire, anteponendo l’ignoranza alla dottrina, ed il rozzo al ldvile costume. Ma questa interpetrazione è falsa, imperocchè seguitando di leggere troviamo (1): « che le cose. umane ondeggimio sempre; e che il progresso dell’ istruzione è stato'ingegnosamente rassomigliato ad una linea curva , la quale giunta alla sua più grande altezza , riscende al piano, da cui era inalzata. » Sic- chè collegando questo discorso col primo, appariscono i concetti del Berington: ottimi e giusti, quantunque enunciati per avventura con poca esattezza; facendo egli muovere il suo ragionamento , siccome |’ istruzione de- gli uomini in linea curva. E certo volle egli significare, che i romani erano ormai giunti alla massima aliezza, e che già principiavano a discendere . Questa seconda sentenza però, tuttochè raffermata dagli esempli delle passate istorie, non è sempre vera, o almeno bisogna ristringerla. Poichè non è dubbio che le cose umane debbano dicadere, essendo una volta pervenute al sommo; stantechè il loro moto'è continuo, . e sì può indugiarlo o affrettarlo , mentre il volerlo fer- mare in sull’ altezza della fortuna richiederebbe sforzi superiori alla potenza degli uomini. Ma è molto diversa una piccola declinazione da un totale abbassamento : e saremmo ingiusti contro tutto il genere umano, se volessimo ognora pesupporre esterminio di popoli, ro- vine di paesi, devastazioni di campagne, le quali cause son desse che riducono a vilissimi termini, o distrug- gono al tutto le nazioni. Non credo pertanto impossibile (1) L. 1. pag. 6. 206 ad un popolo il manteiier nome; riputazione e vigore’; con varie vicende bensì, ma senza mai cadere al fondo; purchè sia contento alle sue leggi ed a’ suoi costumi ; adagiandosi per così dire in un mediocre stato } come sappiamo essere e durare da molti secoli il popolo della: China . E facendo altre considerazioni dinoto, che i Fenicii e gli Egiziani ebbero anticamente un florido im- pero e, come dicesi, una grande ‘istruzione: la quale ‘poi dicadde , essi decadendo , perchè nelle contrade a loro vicine non era in quel tempo alcun altro popolo istrui= to, nè alcun altro dotto linguaggio . Dipoi gli abitatori della Grecia incominciarono a ingentilirsi , accendendo il fuoco sacro sull’ altare di Minerva colle ultime scin- tille dell’ asiatica luce : ed essi pure avendo acquistata tanta sapienza che non la maggiore , alfine dicaddero , perchè vollero sempre innovare e correre inverso l’ ot- timo , che fugge di continuo innanzi agli uomini. Giò nondimeno l’ istruzione del pubblico non fu spenta, imperocchè già era sorto un altro popolo fortissimo ed un altro dotto idioma, cioè la nazione e la lingua del Lazio. Sicchè i romani occuparono la sapienza greca, prima che al tutto cadesse, e l’ampliarono e divulgarono per la massima parte dell’ Europa . Quindi si sparse, è vero, una nebbia foltissima sopra tutti 1 luoghi , ove prima accampavano le legioni di Roma. Ma queste erano state consumate da’ loro medesimi sforzi; ed ogni buona disciplina rimase distrutta, peroc- chè i romani furono intolleranti verso gli altriti dialetti. Onde sopravvenendo i Goti e i Lombardi con buone spade e pugnali, ma senza lingua consueta alle scenze; non è maraviglia che lungo intervallo discorresse prima del risorgimento delle lettere : essendo a ciò necessario un nuovo linguaggio, dappoichè la buona latimità era | | 207 uscita fuori della comune: consuetudine. Ed il primo idiorna , che fece risorgere le scenze, fu quello' degli Arabi; i quali ebbero subito riputazione, ma non fe- cero grandi progressi, perchè temendo che la loro fa- vella s’.alterasse; mon vollero studiare nelle lingue dotte della Grecia e di Roma: il che nocque ad essi ed.a noi, stantechè avremmo potuto. risorgere più presto, ‘aiutati dal loro esempio. Ma non è questo luogo opportuno a continuare il discorso intorno a’ lin- guaggi: basti l’avere. indicato che in essi |’ istruzione degli uomini si fonda; la quale seguiti pure il moto suo per linea retta o curva, io credo che non possa ormai dicadere del tutto , perchè l’ Europa è divisa in molte nazioni , ciascuna delle quali ha un dotto linguaggio . Sicchè dicadendo in un luogo, si manterrà in un altro, per ritornare presto nel primo, con reciproco e durevole passaggio mediante la facilissima commodità della stam- pa - E questa è la restrizione da me proposta alla sen- teuza del Berington e degli altri scrittori: cioè che non siamo nel medesimo caso , in cui erano i greci ed i ro mani; avendo noi la possibilità , o almeno la speranza di poter rialzare le cose del pubblico, quando incomin- cino ‘a dicadere . Imperciocchè i buoni effetti si deriva- no o dalla propria esperienza , o dall’ esempio d'’ altrui : e quella o questo non ‘può ora mancarci , se moltissimi indipendenti popoli non sieno prima ridotti allo stato di barbarie . Passando ora alle altre due cose che dobbiamo con- siderare nell’ opera del Berington , è uopo fargli elogio di molta acutezza nello scegliere le storie e le cronache, e dargli anche lode maggiore perchè non è mai parziale. Nel primo libro egli propone la questione , se me- glio fosse che Roma e non Cartagine uscisse vittoriosa 208 : dalle guerre puniche . E quantunque egli sia nato tra; popolo mercantile, non però mon decide in. favore de’ cartaginesi, e soggiunge (1): « che le nazioni, le quali attendono alla mercatura, sono spesso meno dolci e benefiche, e più rapaci e mercenarie, che nom i popoli guerrieri. » Infatti molti beni conseguitaro- no dalla romana repubblica: e rimane in dubbio, se il medesimo utile sarebbe provenuto. da’ cartaginesi, poichè furono spenti prima di giungere al sommo della fortuna. Ma tutte le opinioni favorevoli agli. abitatori del Lazio, sembra a me, che si fondino nella congettu- ra, che l’una delle due città dovesse al tutto perire. Im- ‘perciocchè la felicità degli uomini sarebbe stata allora ed all’avvenire più certa e sicura, quando l’ Italia mon ‘ avesse vinto l’Affrica, nè questa quella; mantenendosi Yuna all'altra emula e forte, siccome ora interviene alla Gran-Brettagna verso gli stati-uniti d'America. E certo è, che la distruzione di Cartagine tolse la civiltà da’ li- di affricani, per cui noi al presente soffriamo le .sgor- rerie de’ pirati ed il contagio de’ pestiferi morbi. E cer- to è altresì che i romani furono infievoliti e vinti dal- le loro stesse vittorie; talchè volendo essere i soli do- minatori dell’ Universo, diedero sè medesimi ed i. po- steri in preda a’ barbari del settentrione. Nè i romani distrussero solo Cartagine. Dice il Be- rington, ed è vero, che il console Mummio atterrò Co- rinto, e che Silla arse Atene. Onde i romani ingrossa- rono la loro città coll’ esterminio delle altre; dando essi medesimi quel funesto esempio che poi fu contro loro rivolto: perchè la rovina delle arti e dell’istruzione del- la Grecia e di Roma principiò in quel giorno, che i lo- (1) L. 1. pag. 5 ile cn - . _ 209 ro nuovi nemici distrussero gran. parte della città di Efeso, insieme col tempio magnifico di Diana. La quale. rovina fu da altre seguita, finchè non venne pur quel- la del Campidoglio. ‘Quindi, non so perchè il Berington s’ingegni di di- mostrare, che poco utile venne a noi dalle Crociate. Im- perocchè l’Europa fu sì spopolata: ma la gente, che pas- sò nell’Asia; era divenuta un peso intollerabile nel co- mune servaggio. Onde que’ nostri antenati che non si dipartirono dalle loro abitazioni, ebbero perciò sollievo ed opportunità d’innovare le leggi ed i costumi: e quelli che ritornarono vittoriosi alla patria, non più nemici furono , ma bensì d’aiuto alle nuove e migliori istitu- zioni. Sicchè il discorso del Berington è vero soltanto ‘| per rispetto agl’inglesi; quali, ei dice, (1) fu assai più giovevole il. frequentare in Italia ed in Roma, che non l’andare viaggiando per tutta Y' Europa infino. all’ Asia nella Palestina: perchè l’ Inghilterra trasse da’moderni usi de’ romani quel miglioramento, che a tutti è noto. In.ogni luogo poi, dove il Berington parla della nostra letteratura; egli è tanto giusto , quanto cortese : e dobbiamo però amarlo e ringraziarlo. Nè è colpa sua , ma degl’italiani scrittori in cui egli si fonda, allorchè ragionando la traduzione di Tacito fatta dal Davanza- ti, soggiunge: esser questa, come dicono, inintelligibi- le (2). Che se avesse potuto da sè medesimo leggere nel traduttore fiorentino, avrebbe altrimenti giudicato: tro- vandovi alcuni medi non convenienti all’ eloquenza storica, ed alcuni periodi un poco oscuri o per la trop- pa loro brevità o pel difetto di chiarezza nell’originale (1) L. 4. pag. 271. (2) L. 1. pag. 45. . II. Maggio 210 latimio; ma non veggendovi mai mancare nè la purità del linguaggio, nè l’ottima' sintassi. E per le stesse ragioni, cioè per non avere il Be- rington studiato nella nostra favella, crediamo noi gli venisse nell’animo quella maraviglia, ch’ei ‘nel sesto libro dimostra (1): « come le poesie di Dante.e del Pe- trarca sieno sempre fresche e ‘comunemente intese ; mentre quelle del Chaucer e di altri poeti inglesi , ben* chè più moderne, sieno quasi fuori della comune in- telligenza! » Giatibezhe avrebbe ‘egli dovuto maravi- gliarsi, quando avesse visto il contrario accadere: es? sendo la nostra lingua fermata fino da’ tempi dell’ Ali- ghieri, del Petrarca, e' del Boccaccio , e fondata per ri- spetto a noi nelle los scritture; là dire il linguaggio inglese ha più recenti principii, ed il Chaucer ed 1suoi compagni ‘non sono stati così grandi scrittori, che ab- biano, come i tre fiorentini, prevenuta ed occupata la fama de’ posteri. Noi termineremo questo discorso, traducendo le seguenti parole del Berington , le quali non solo raffer- ‘mano che egli non è parziale, ma daranno pure avver- timento agl’ titani ; affinchè non sieno facili a giudica- re che le cose nostre venissero dall’estere nazioni, ed af- finchè non misurino la povertà della patria dalla’ pre- supposta ricchezza de’ forestieri: di che niuno sà lor grado. « ‘Percorrendo (2) le opere pregevoli del dotto Mu- ratori, io fui preso da maraviglia , quando lessi gli enco+ mii ch’ ei fa delle nostre scuole durante il secolo nono; essendo pur notissimo che erano del tutto in bassa con- (1) L. 6. pag. 455. (2) L. 3. pag. 180. # 215Î dizione anzi i tempi d’ Alfredo. Egli parla di Dungalo, presupposto nativo di Scozia, ed eletto dall'imperatore Lotario a sopravvedere gli MIRA in Pavia. E questo ac- cidente sembragli idoneo a dimostrare, quanto grande th la scarsità de’ maestri tra’ suoi proprii PIPA ti. Quindi soggiunge: — Ma qui taluno può chiedere, palihe non più tosto dalla ‘vicina Gallia, che dall’ Ir- “landa fu preso un maestro di lettere? Noi abbiamo ve- duto di sopra - che la stessa Gallia abbisognò di stranieri maestri. Nè si dee tacere una gloria dell’Inghilterra , Scozia ed Irlanda, perchè esse in que’ tempi nello sù. dio delle arti Libaat sopravanzavaho qualunque altro regno dell’ occidente; e ciò particolarmente per cura de’ monaci, i quali risuscitàrono e promovevano in que” paesi l’ onor delle lettere troppo abbattuto e languente nelle altre contrade. O sia che fosse chiamato dall’ In- ghilterra, o che accidentalmente ritornando da Roma fosse conosciuto da Carlo Magno Alcuino Albino: certo è almeno che egli divenne maestro di quel glorioso mo- narca ; fù, presidente delle scuole istituite nel regale pa- lazzo, ed a lui è dovuta la lode di aver fatto rifiorire le lettere nella Gallia, e che ne’ monisteri e nelle case de” Vescovi.si aprissero scuole si per li monaci, che per li cherici e regolari. Paptecipò di tal benefizio anche VIta- ha. Sul Questo discorso è è lusinghevole, e può essere an- che vero pe? rispetto a' pochi personaggi ch’ egli nomi- na. Ma la' sua generale opinione , che gli studii appresso noi fiorissero ; non può affatto ammettersi. Dalla parte meridionale del Tamigi, raccontava Alfredo, io non co- nobbi alcuno! ché sapesse interpetrare le scritture lati- ne de’ sacri ufficii: e pochi avevano li lieve istru- zione ne’ settentrionali paesi.» Si dinoti però che il Mergton non scrisse; che l’Ita> 212 lia ebbe obbligo cogl’inglesi, siccome il Berington ha tradotto ; ma solo che partecipò del benefizio. Ed inol- tre vi aggiunse. « Imperciocchè oltre a quel primo mo- naco, che Carlo magno inviò a Pavia, anche Dungalo fu poi spedito colà. Potrebbesi nondimeno sospettare che il solo Dungalo tenesse ivi scuola (1 ): » Ed Alcuino, e Dungalo erano uomini d’ingegno, che avevano pure studiato alquanto in Italia. Antonio BencI. (1) Muratori. Antiq. Med. aevi. Diss. 43. SCIENZE MORALI e POLITICHE STORIA ALI HISSAS DI TEPELENI Bass di Jannina . Prospetto storico e politico del sig. Mare Brun. ( Continuazione vedi vol. 1. pag: 4oo.) A tbiasno veduto con quai mezzi Ali ampliava il suo territorio, con i mezzi cioè usati dai conquistatori; e perchè ciò che anamirasi nei despoti. si avrebbe da biasimare in un bassà? Ma si dirà, che Alì non aveva, che la poco sublime mira di fondare un feudo: grande per la sua famiglia. Non è però provato che quello solo fosse il suo fine, sapeva almeno mostrare al governo ottomano un altro fine nazionale importantissimo. Esa- 213 miniamo sopra una carta la posizione dei luoghi, met- tiamoci nelle circostanze di un. musulmano; e giudi- chiamo le imprese di Ali, particolarmente quelle con- tro le possessioni ex-venete, e le popolazioni indipen- denti ; qual altra cosa scorgerassi in esse, se non lo zelo di un degno vassallo della Porta, di procurare cioè al- l’ impero ottomano utili circondarj , ed anche ne- cessarj sotto il rapporto militare e di commercio? Il de- siderio di Alì d’acquistare ancora le isole ioniche era quello di un uomo istruito : Pirro, e tutti gli abili re- gnanti di Epiro avevano pensato nel modo stesso. Que- sta intenzione era degna di un discendente di quel guer- riero, il quale morì tanto gloriosamente sulle mura di Corfù. Tuttavia con questa mira nazionale il Visir di Giannina combinava l' interesse della sua personale grandezza , e dell’inalzamento di sua famiglia, e si pre- figgeva, come molti altri bassà, non già di rendersi so- vrano affatto ed indipendente, ma di fondare un gran feudo simile presso a poco agli elettorati di Germania: cosa non nuova nell’ impero ottomano; poichè già i bas- sà di Mosul, i grandi Beì Turcomanni dell’ Asia mino- re, i Mammalucchi di Egitto, e più Agà della Mace- donia e dell’ Albania possedevano per dritto di eredità provincie e distretti in gran numero. ‘Forse la civiltà vi guadagnerebbe , se la monarchia ottomana fosse così trasformata in uno stato. federativo. Non può dunque rimproverarsi ad Ali l'ambizione di un ribelle. Egli può aver ricevuto un oriolo d’oro da Potemkin, che ne dava a tutti, senza essere entrato in veruna confederazione colpevole colla Russia. Pre- tendono alcuni scrittori esser vero, che nel 1791, la Porta avendo avute prove autentiche di una corrispon- 214 denza di Alì con una corte estranea; mandò a Gianni- na un capigi-bascì, con i documenti di accusa, muniti‘ del sigillo stesso del colpevole, isul ‘visto dei quali il car. dì della città dovea condannarlo: ma lo scaltro bas- sà indusse un greco a riconoscersi autore di quegli scrit- ti, ed a farsi tagliar la testa in sua vece. ll supplizio di quell’imbecille fu così rapido, che non ebbe neppure il tempo di ritrattarsi; ed il più indulgente di tutti i capigi-bascì riportò alla capitale alcuni sacchetti d’oro in cambio della testa di Alì. La storiella è dilettevole per chi può crederla. Egli è però più certo, che Alì in tutte le relazioni che ha avute con i governi francese, russo, ed inglese di Corfù, sebbene agisse da sovrano , tuttavia ha sempre servito agl’interessi dell’ impero ot- tomano. Egli ha avuta una brillante occasione di ordir tradimenti, a sè solo vantaggiosi, quando è stato per tutto un anno rome/y valicy , ed aveva! sotto i suoi or- dini i due terzi dei bassà della Turchia d’ Europa. An- dò alla testa di venti quattro mila uomini a Sofia luogo della sua residenza ; un intrigo segreto del divano aveva in mira d’indurlo ad una ribellione per disfarsene; ma non si lasciò cogliere al laccio, e il solo rimprovero, che gli si potè fare, fu quello, di aver saccheggiata la Romelia a profitto dell’ Albania. Il vizio principale, che l’istoria deve rimproverare ad Alì, è quello di non aver saputo amministrar con sa- viezza quei paesi, i quali con tanta abilità aveva acqui- stati; di aver preso per guida un principio , il quale por- ta seco la distruzione di qualunque forza interna di uno stato; di aver tutto ridotto ad un dispotismo regolare e ad una polizia vigilante: e non è questo il solo capo, in cui rassomiglia in certo modo a Napoleone. Così l’ ordi- ne e la pace regnano sulle strade maestre; i Alepti so» 215 no scomparsi: i bei prostesi avanti al trono del visir non osano più di guerreggiar fra di loro ;. ma la polizia entra pure fino nel santuario delle famiglie ; i discorsi , le parole, i pensieri medesimi sono soggetti ad accuse; le lettere sono aperte ; qualunque comunicazione con Costantinopoli è soggetta a vigilanza severa; i dispacci medesimi dei consoli non son rispettati; ed il visir ha fatti più d'una volta svaligiare ed anche trucidare i corrieri. Quando vedeva quei dispacci scritti in. cifre diplomatiche, malediceva l'incapacità de’suoi segretarj, i quali non potevano leggerle. Egli protegge il commer- cio, contro qualunque affronto particolare ; e Giannina. è diventata sotto il suo governo la città più importante e ricca della Turchia di Europa dopo Costantinopoli e Salonicchi; ma egli sì prende dei diritti arbitrarj: fa venire un mercante avanti a sè, e gli dice in tuon cor- tesissimo: « figlio mio, i0 compro da voiitali, ed i tali « oggetti a tal prezzo ». Non ignora quanto dî agricol- tura potrebbe migliorare }' entrate de’ suoi stati; ma pretende di far diventare fattori suoi tutti. gli abitanti della campagna; coglie i pretesti più frivoli per. confi- scare i terreni; le migliori possidenze diventano una dopo l’altra suo'ziftlick ; s'impadronisce principalmente dei monasterj con tutta l’attività di un Pombal, final- mente imita il Sultano nel dichiararsi erede dei più ric- chi sudditi suoi. Un giorno fece chiamare un greco , il cui padre di fresco era morto, ed ecco il colloquio che den tra ambedue: « Figlio mio, vostro padre era un brav’ uomo, ed il si de’ miei amici. La sua perdita mi o « Signor Visir, voi onorate molto la di lui memoria. < Oh! era uno de miei amici più intimi, faceva per me dati affari con la più rara fedeltà. 216 « Possano i figli di lui ereditare lo stesso favore presso l'altezza vostra! PA « Vostro padre si è ricordato della mostra amicizia sul suo letto di morte, e mi ha lasciata per legato in presenza di testimonj la sua casa, e i giardini. « Misericordia! ... io supplico.... « E che! amico mio, un buon figlio non pro- va forse piacere nell’eseguire la volontà di suo padre? « Ma io supplico la vostra clemenza di consi- derare che ciò è più di due terzi di tutta l’ eredità. « Andate figlio mio; non è possibile che voi sia- te uno di quei figliuoli snaturati, i quali non rispet tano le ultime volontà dei loro padri, ed io ne ho fatti appiccare parecchi. « Grazia! Signore, grazia! « Figlio mio caro, non abbiate paùura: io era creditore per un certo conto di vostro padre; ma io vi considero come se lo aveste saldato. Voi potete conservare il resto dell’eredità. | «— « Ah! quanto devo all’altezza vostra! viva, viva lungo tempo il nostro buon padrone. ' Il sistema di estorsioni e di rapine’ che costitui- sce tutta la scienza delle finanze dei Turchi, è il si- stema pure di Ali; egli ha saputo solamente aggiun- gervi dei diritti sul consumo, sull’esportazioni e sul- le vendite, diritti ignoti nel resto della Turchia, e che danno molta inquietudine al commercio. Però le sor- genti principali delle di lui entrate sono le sue innu- merabili gregge di bestiame minuto, ‘e le sue vaste tenute o ziftlick . Le sue entrate si valutano 12, 0 14 millioni di franchi. Due millioni ne paga in miry o sia tributo alla Porta, ed altrettanti in regali a’suoi amici ed agenti a Costantinopoli. Due million, 0 se- 217 condo altri quattro ;, sono assorbiti dalle spese della sua corte, e dal mantenimento di un corpo di sette mila uomini di truppe permanenti: ma questa spesa | debbe variare; perciocchè, secondo Vaudoncourt, egli ha tenuto nel 1807 quasi trenta mila uomini in ar- me senza contare quelle di suo figlio Veli, bassà in Morea. Il sig. Pouqueville afferma al contrario che ei non ha potuto mai far leva di più di quattordici mila uomini, sebbene la popolazione de’ suoi stati giungesse nel 1814 ad un millione e duecento mila abitanti. Il restio delle sue rendite di (circa 5, o 6 millioni stà dépositato in uno de’ suoi tre tesori: quello di Tepe- leni dicesi che contenga centocinquanta millioni, quel- lo di Giannina trenta, quello di Argiro-castro cinquan- ta, generalmente in oro coniato di Venezia. Compren- deranno da sè stessi i mostri lettori, quanto sien va- ghe e probabilmente esagerate queste valutazioni. Egli é certo però, che Ali conserva nelle vaste caverne del suo palazzo non solo dell’oro coniato riunito in enor- mi masse, ma ancora ogni specie di oggetti confiscati su gl’ laglividat che ha fatto perire, dalle gioie e dal- le pietre preziose fino alle caldaie ed alle tavole di legno. Vi si vedono pendoli ed orioli d’oro in fra i vasi sacri, e le scimitarre damaschine: e tai depositi hanno l'apparenza di una caverna di ladri, o di un | magazzino di usurai. Quando Alì vuol metter su una casa ad uno de’ suoi impiegati, va a scegliere i mo- bili ed utensili fra questa moltitudine di spoglie, ed allorchè nel 1807 volle far fondere dei cannoni, fece consegnare al capo della sua fonderia 600 dilata di rame in batteria da cucina. Alì non tiene verun registro in regola delle sue rendite e spese ; almeno fa vista di non fidarsi, 218 che alla sua straordibaria memoria. Ne ricava ‘però il vantaggio, di potersi far pagare la stessa somma più * volte; nè i suoi agenti hanno ardire di opporre i loro conti in scritto alla memoria del loro padrone. Il giu- deo direttore de’ suoi demanj particolari aveva. negato un giorno a Mouctar primogenito di Alì un imprestito del valore di 100,000 franchi: il padre avendo saputo tal negativa, fece venir l’intendente e gli domandò: « Non sei tu stato venti‘anni al mio servizio ? « Si Signore. « Ho calcolato nuovamente le rendite delle mie terre, ed ho trovato che mi hai rubato ogni anno la somma di 5000 franchi, ciò forma 100,000 franchi in tutto. Non è nulla, ma vedi che io so tutto. I miei registri, Signore .... . Taci! va’'a/ cercare 100,000 franchi nelle tue cassé, e restituiscimi ciò che mi hai rubato. Quindi porterai tu stesso questa somma a mio figlio Mouctar. Fa’ ciò che ti ordino, o il serpente negro ti mangerà gli occhi. Corro subito , signor mio cortese. L’ amministrazione della giustizia è nelle mani dei cadì turchi, e dei waiwodi e primati greci, ma Alì se ne mescola talvolta egli stesso nel modo ordinario dei bassà, e sotto il pretesto più leggiero fà avvelenare o decapitare coloro, cui le ricchezze o i talenti rendon | colpevoli agli occhi di lui. Le sue guardie della porta o kaiwassì vavno, come i centurioni di Nerone o di Tiberio, ad annunziare ai personaggi di distinzione, che l'ultima lor ora è giunta (w/timam necessitatem);, ma Ali non lascia a’ suoi sudditi la scelta del, genere di morte, ed il messaggiero è nel tempo stesso un car- nefice pratico. Altre volte Alì fa vista di vendicar le i : | : i } | Lal j 219 ingiurie del popolo: ‘gli abitanti di Metzovo avevano fatti replicati ricorsi contro il loro governatore, uomo avaro ed ingiusto. Alì visita la città: di popolo Dee gli chiede la morte del governatore : ‘egli chiama i preti, e gl’ incarica di chlagte il furor della moltitudine : le grida continuano : Alì cede dicendo: il suo sangue sia sulla vostra testa! poscia confisca a suo proprio profitto i tesori ammassati dal colpevole. Un’ altro tratto fa più onore al visir: i capi del distretto di Zagora, sotto il falso pretesto di esigere un tributo di 190,000 piastre per Ali, che non lo aveva domandato, avevano riscosse somme considerabili dal popolo soggetto ai loro ordini. Alì li fa chiamare, ed ordina loro di restituire a ciascu- no ciò, che hanno percepito; poscia indirizza ad essi un complimento ironico sul loro zelo per i suoi interes- si, e comanda che gli paghino dei lor proprj denari il tributo di 190,000 piastre, ch’ essi avevano voluto im: porre ai loro concittadini. Il divano di Alì è composto degli ufiziali della sua corte e de’ suoi fedeli. Fra quelli che vi figurano si no- tano i due segretarj greci Mantho e Costa, come i più astuti intriganti; Athanasi-Vaya come un generale abile, ma più sanguinario, e perfido del suo padrone; Mahomet Effendì astrologo, e presidente del consiglio in assenza del bassà ; Sechti Effendì musulmano devo- tissimo; molti dervis, e beì, i quali per una lunga fe- deltà hanno ottenuta la fiducia di Ali. Egli ascolta i loro pareri; ma son tutte persone imbevute delle sue massime tiranniche, ed in conseguenza incapaci d’ in- dicare al lor padrone i veri vizj del di lui governo . } greci hanno destrezza ed alquanto d’ istruzione, ma non carattere. Gli albanesi o arnauti, fedeli e bravi, non sono atti che ai posti militari . 1 turchi di Albania e di 220 Epiro tanto ignoranti quanto gli albanesi , sono nemici. di Ali, e di tutta la di lui nazione. Così Alì, privo di persone capaci di rettificare e nobilitar le sue mire, non ha mai imparato ad organizzare un dispotismo re- golare e legale, come Pietro I, il quale avrebbe dovuto essere il suo modello . Noi dovevamo finir quest’ abbozzo con una pittira ‘ generica del carattere di Alì; ma crediamo di mostrare maggior imparzialità citando quella, che ha fatta il sig: Hughes (1). « Il più assoluto egoismo forma la base del carat- tere di Alì; niuna considerazione giammai lo arresta , e non conosce neppure cosa sieno i riguardi dovuti agli altri. La giustizia e la buona fede non sono per lui che nomi vani, i quali servono ad uccellare un uomo nuo- vo che si fida. Ogni suo sforzo tende ad ingannare chiunque. Privo d’ istruzione, si è applicato allo stue dio del cuore umano, di cui conosce tutti i nascondigli. Dotato di uno spirito penetrante, e di un colpo d’ oc- chio giusto, di rado trascura il momento favorevole per agire : presa che abbia una soluzione, persiste in quel- la, nè perde mai di vista il fine propostosi. Dovunque la fortuna lo invita, ei la siegue . Sa esattamente a che cosa sia adattato ciascheduno de’ suoi. È superiore al cere- moniale ed ai pregiudizj dell’ Oriente. Dividendo le fatiche con le sue truppe, s’ assicura del loro attacca- mento, e se le cattiva icon l’ affabilità. Niuno cono- sce meglio di lui l’ arte di dissimulare: superiore in astuzia politica, si è fatto spesso beffe del proprio go- verno, e sempre dell’ altrui. La sua massima favorita è, dividere per dominare. Sparge sempre la discordia . (1) Abbiamo riuniti molti passi del viaggio del sig. Hughes, 221 Nell’ istante: medesimo, che conclude un trattato, si prepara a violarlo. Non si può mai dedurre cosa alcuna dal suo aspetto. Quando medita il più nero tradimento, allora affetta maggiore amabilità. Nulladimeno egli non è crudele per piacere, come era Djézzar bassà. Il primo suo motore è il desiderio smoderato di possanza, quindi la voglia di accumular tesori. La sua cupidigia supera ogni idea. Non possiede tanti talenti politici, onde com- prendere che il commercio e la pubblica prosperità contri uirebbero a riempiere il suo tesoro, più di qua- lunque concussione. Una somma enorme è tenuta da lui sempre pronta per casi impensati, e più di 50 mil- lioni di franchi in danaro contante si trovano in depo- | sito in un alta torre del suo giardino a Tepeleni ie Possiede ancora gioje preziose d’ immenso valore, come pure provvisioni grandi di mobili ed altri effetti, che sono il frutto delle sue ruberie. Per render-giustizia a chi si deve , è necessario il convenire, ch’ egli ha fatto anche del bene. Prima che Alì prendesse le redini del gover- no, non vi era sicurezza alcuna nel paese, ed il ladro- neccio era arrivato a tale eccesso, che non vi era più nè agricoltura, nè commercio, nè industria. Alì ha distrutti tutti i piccoli tiranni dell’ Albania, nè vi è presentemen- te altro despota che lui. Il turco, il greco, e l’ alba- nese vi godono un egual protezione. Vi regna la libertà più perfetta de’ culti, ed una tal sicurezza pubblica, quale non se ne può trovare in verun altra provincia dell’impero ottomano. E organizzata una buona poli- zia per il mantenimento dell’ ordine, e per reprimere il ladroneccio : le strade sono state restaurate, ed alcune (1) Ciò non è il terzo della somma notata dal sig. Pou- | queville } as | l 4 222 di esse fatte di ‘muovo: i fiumi resi navigabili, e dei canali scavati in modo, che il viaggiatore e il negoziante possono girare per il territorio albanese con sicurezza; ed anche comodamente . La coltivazione del terreno si accresce, il commercio si dilata, e la nazione forse senza accorgersene s' incammina all’ incivilimento. Alì con- siderato come amministratore non è meno insigne. Ge- losissimo del suo potere, rare volte chiama î suoi mini- stri, e sbriga da sè tutti gli affari del governo. Si alza di buonissim’ ora, prende una tazza di caffè, e fuma la sua pipa. Poi dà udienza ai diversi funzionar] pubblici, riceve delle petizioni, compone le liti, pronunzia sen- tenze, regola gli affari del suo esercito, della sua marina, e delle sue finanze fino a mezzodì. Pranza molto sobria: mente con alcune semplici pietanze: e beve poco vino. Uscito da tavola, dorme una o due ore, poscia fuma la sua zowka, e silenti le occupazioni della mattina fino a sei o sette ore della sera, ed anche più. Dopo cena se ne va nel suo harem . Fa spesso dei viaggi per le campa- gne dall’ una all’ altra banda, ed allora fa spesso il suo desinare in casa dei contadini, e dorme nelle lor capan- ne. Nissuno sa la mattina, in qual luogo và a dare udienza, o ad applicarsi alle cure dell’amministrazione : Nei contorni, dov ei sì trova, si vede una quantità di soldati albanesi con berrette bianche, i quali aspettano la di lui partenza . Egli ha'nei suoi giardini a Giannina, e nelle vicinanze, una trentina di kiosk, dove dimora@ | vicenda in tatto il giorno; nè già la paura, ma la mobi- lità dello,spiritò gli suggerisce tai cambiamenti; percioc- chè il suo nome inspira tanto timore, che passeggia col solo cor teggio di due servi senza che niuno abbia imma- ginato mai di assalirlo . In materia di religione Alì ds iutt’ altro che devoto: non va alla moschea che una 223 ‘volta 1 anno, cioè all’ epoca del ràmazan, per accompa- gnare la ‘processione. Allora vi si rende con tutta la pompa da sovrano : il selectar-agà porta la spada , il bairactar-agà la bandiera, quattro altri agà armati di alabarde marciano ai fianchi del suo cavallo: venti chiatis:muniti di bastoni con i pomi d’ argento lo pre- cedono ; ‘e due ufiziali della sua casa gli versano sul capo dei profumi. Ad esempio di molti spiriti forti, è inclinato alla superstizione, e vinto facilmente da tutto ciò, che è meraviglioso: ha gran paura dei fulmini e dei terremoti: crede ai sortilegj: è persuaso che uu giorno sarà scoperta una panacea contro tutte le malai- tie, ed i mezzi di arrivare alla lunga età dei patriarchi. Queste bizzarrie fanno spesso, che sia ingannato dagl’ impostori .. Sebbene sia stato altre volte dedito ai pia- ceri sensuali, e si vanti ancora delle sue buone fortune, tuttavia ‘affetta d’invigilar molto sui buoni costumi dei suoi stati, nè vie forse una città dove sia. più severa- mente Prestito l'amor venale, che a Giannina. All nella sua gioventù faceva rapire senza scrupolo nè com- passione qualunque ragazza, la cui bellezza l’avevarcol- pito. I suoi ‘agenti strapparono appiè dell’altare una giovanetta, la quale era per dar la, mano: al figlio del primate di Vonizza, e quello sposo infelice si bruciò il'cervello sulla‘soglia della chiesa . Oltre le cinquecen- to donne, che ornano ancora il suo harem, egli è cir- condato da giovani effemminati . La Silvani, sua favo- rita'è da qualche anno in qua una contadina greca al- levata nel serraglio fin dall’ infanzia. Yasiliki (così si chiama) dolce quanto bella trattiene talvolta il suo spi- rito vendicativo, ottiene la grazia di più d’uno infelice : influisce sulla distribuzione dei favori e degli. uliz). Ei 224 Y ha formalmente sposata nel 1816, e le ha permesso:di far celebrare il servizio cristiano nell’ interno del suo palazzo. Alì è graziosissimo nella conversazione, ed an- che ragiona benissimo: le sue dolci maniere, la barba veneranda, l’argenteo suon della voce annunziano un patriarca rispettabile; ma tosto un sorriso sardonico, uno scoppio di riso feroce, alcuni torbidi sguardi tradiscono il tiranno invecchiato nel delitto. Verso i forestieri, co- me ancora verso i suoi sudditi, è amabile e cortese. Per dare una prova della di lui forza d’ animo unita ad una presenza imperturbabile di spirito, basterà citare il'fatto seguente. Allorchè nel 1813 visitava le grandi restau- razioni intraprese al gran serraglio di Castron, fu stra- mazzato a terra da un gran sasso cadutogli dal ponte di legname sulle spalle. Fu creduto morto, e la voce se ne sparse per tutto; ma Alì, tuttochè gravemente ferito, fece subito metter la sella ad un cavallo, e passeggiò per tutta la città seguito da un solo albanese, e senza dar un segno di dolore. Tuttavia la contusione da lui ricevuta era assai grave da costringerlo a rimanere nel letto aleune settimane. Dopo di esser guarito, disse ad un console forestiero, ch'egli aveva fatto così per pro- vare, che stava sempre bene, e per togliere a’ suoi nemi- ci mortali il piacere che lor darebbe la sua morte. Gli rispose il console, che ognuno aveva nemici, ma non poteva creclere, che quelli di S. A. giungessero fino a desiderare la di lui morte: « Oh! in quanto a questo, ri- « spose Alì, pregano il cielo ogni momento perchè io « sia estirpato Come potrebbe essere altrimenti? Sono « quarant'anni, che io faccio a tutti ogni male possi. « bile: ho fatto appiccare, e giustiziare in varie manie- ,« re più di trenta mila persone, e sanno, che se prolun- 225 ga la mia vita, ne farà punire ancor degli altri. Come « posso immaginarmi, che non mi odiano? Però il loro « odio non altererà la mia salute . » , La corte di Alì è brillantissima all’uso orientale: tutti i giorni vi sono cibi preparati per mille cinque- cento persone: quando Ali riceve forestieri la sua tavola è imbandita con lusso, ed i paggi ed ufiziali di lui com- pariscono in abiti sontuosissimi. Le guardie albanesi, ed i cento tartari si mostrano in pompa militare. Ei mede- simo si veste semplicemente benchè abbia cura di por- tare qualche segno distintivo del suo rango. Siccome la sua statura è troppo alta in proporzione delle sue gambe, ei si presenta: meglio quando è a cavallo, o sul sofà del suo divano. Quando era giovine , era agile e svelto , ma crescendo in età è diventato troppo grasso, talmente che la pena che prova a muoversi ha influito in que- sti ultimi anni sul suo carattere, e lo ha reso più stizzoso di prima. Così in un accesso di umore atrabiliare sac- cheggiò nel 1816. senza veruu pretesto tutto il distretto di Kimasra, e ne bruciò talmente i villaggi, che i poveri abitanti privi di asilo sono stati glio a mettersi in balìa de’ loro vicini. L’anno dopo fece lasciare in preda ad un leopardo un giovine paggio albanese che aveva nascosto una bagattella; e poichè la bestia feroce non voleva gettarsi su quel fanciullo, lo fece tagliare a pezzi, ed in quel modo divorare. Tra i figli di AT il primoge- nito Mowkhtar non ha che della bravura ; del rimanente è libertino, perfido, e crudele, ed aborrito dai sudditi di suo padre. È libidinoso a tal eccesso, che è stato veduto as- salire delle donne in mezzo alla strada, ed immolarle ai suoi desiderj sugli occhi di tutti . I nh stessi parlano con orrore delle scene, che accadono nel suo harem. (1) (1) Holland, Vaudoncourt, Pouqueville parlano più favore- T. II. Maggio IÒ 226 I Wilih, (0 Velì) bassà, ch’ è il secondo, si distingue per le sue maniere molto belle, e passa per uno degli uomini più civili ed educati di tutta la Turchia. Quan- tunque maomettano zelante, ama singolarmente il lusso, gli usi, e le arti dell’ Europa civilizzata ; ma le sue dis-;. solutezze lo rendono inclinato alla rapina. Egli è sud- dito fedelissimo della Porta (2). Salih-Bei il più giovine, è manifestamente destinato da suo padre a succedergli: è nato da una schiava circassa, e' può avere adesso ven-. - tun anno. Ha delle maniere graziose e possiede la mag-. gior parte delle buone qualità di suo padre, ma ancora alcuni vizj di lui. Si presenta bene, e rassomiglia molto a suo padre. Si accerta , che la gran fortezza di Argiro-. Castro è stata fabbricata espressamente per lui, affinchè. abitando in mezzo alla tribù primitiva di Alì, possa cattivarsene gli animi. Alì con questa intenzione sì è applicato non solamente a coltivare il di lui spirito, ma ancora a fortificare il di lui corpo con nutrimenti sem-. plici, ed esercizi regolari. Egli è stato sottomesso alla più stretta ubbidienza verso i suoi istitutori e maestri (3).. Tutte le possessioni, di cui Alì ha fatto acquisto da volmente del carattere e dei costumi di Moukhtar e lo rappresen- tano eome amato dagli albanesi. Il sig. Pouqueville fa vista di - negare a lui ed a suo fratello Velì la bravura e il talento militare. (2) Un viaggiatore inglese ha veduto Velì bassà ad Atene che . leggeva Pausania in mezzo alle rovine, e faceva collezione di antichità come i lord inglesi. (3) Alì non solo ha fatto allevare Sal dei con tanta cura ; ma ancora Mahmud bei figliadlo di Veli ha ricevuto alla corte dell’avo un educazione eccellente. Lord Byron fu sorpreso di sentirsi parlare da questo fanciullo, allora in età di quattordici anni, della camera alta e bassa del parlamento, e dimostrare in genere una quantità di cognizioni fuori della sfera delle idee di an tura”, Il Sig. Hughes si maraviglia del grado d’istruzione di | 227 qualche anno in quà, sono scritte nel catastro sotto il nome di Salih-beì, ed i suoi immensi tesori sono uni- camente destinati a sostenere dopo la di lui mortela pretensione di questo figlio. Con questo scopo fa ancora morire tanti bassà e beì, cercando di distruggere succes- sivamente tutti i capi albanesi indipendenti, gli sforzi dei quali per riacquistare il loro antico potere nuocereb- bere al suo presunto erede. Siccome questi sono quasi tutti musulmani, così i turchi sono quelli fra i sudditi di Alì, che Vl hanno maggiormente in orrore ,,. Tale è co’ suoi talenti , con le sue grandi qualità , e co’ suoi vizi orribili , l’ uomo straordinario , il quale regnava poco fa da sovrano sull’ Epiro, ed ora disputa la sua vita'e quelle della sua famiglia ai ministri delle vendette della Porta Ottomana. Dicesi , ch’ egli li abbia provocati con una scelleraggine inaudita, avendo tentato di fare assassinare in mezzo a Costantinopoli da, alcuni de’ suoi arnauti un certo bei Pascho nativo di Giannina, il quale rifugiatosi nella capitale per salvarsi dalla pos- sanza di Alì, era diventato uno degli ufiziali del serra- glio. Un simile attentato in uno de’nostri stati moderni parrebbe indubitatamente il colmo dell’ audacia più rea ; ma in un impero, in cui l'anarchia feudale, e l’anar- chia militare bilancian sole il potere del despota , que- sl’azione, di cui noi non conosciamo altronde i dettagli, perde molto del suo carattere di stravaganza. Il vero motivo della Porta, per attaccare Alì, potrebb’ essere il desiderio di profittare della sua estrema vecchiezza, per impadronirsi de’suoi tesori, e spogliare i figli dell’ere- dità di lui. Se alcuni beì albanesi hanno offerti i loro quel giovine Principe. Alì con simili premure si è certamente mostrato degno dell'alta fortuna, alla quale è giunto. Ì 228 servigj alla Porta, se gli antichi X/epti ed i turchi di Albania prendono le armi contro il tiranno, che gli ha oppressi; se i giannizzeri dimenticando la loro ammira- zione per il vincitore di Nicopoli e di Souli, si decidono a marciare contro di lui, la sua posizione può diveniré pericolosa, non ostante le gole che proteggono l’Epiro dal lato di terra, e le fortezze che ne impediscono l’ ac- cesso per mare. S'egli è vinto, la Porta distruggerà fin la memoria della di lui famiglia e potenza ; i bei alba- nesi riprenderanno la loro antica autorità, i X/epti com- pariranno di nuovo, l’ anarchia succederà al dispotismo. Se si sostiene, egli o i suoi figli consumeranno ‘i loro stati con una lunga guerra. Misera Grecia se è vittorioso, più misera ancor se soccombe! Ma vincitore o vinto Alì Hissas di Tepeleni lascierà un nome nell’istoria, e me- riterà di trovare un Tacito. LETTERATURA The sketch Book By Grorrrey CraAvon (1) Gent. — Saggi diversi di GorrreDo Cravon vol. 2. in 8.° Londra 1819. 1820. ( Edimbourg Review. Aug.st 1820, ) Seipene sia questo un libro per se piacevolissi- mo, ed offra con rara unione accoppiata una non, ordi- (1) Crayon è nome supposto ed analogo al titolo ,, Li- »» bro di sbozzi ,, giacchè crayor in Inglese significa matita. Il vero nome dell’autore è Washington Irvine. 229 maria profondità di pensare ad una brillante immagi- nazione, non è per questo propriamente che intendia- mo adesso d’indicarlo come degno di particolare atten- zione, e di predire che farà epoca nella letteratura della nazione alla quale appartiene. Quest'opera , lavoro d'uno scrittore nato, ed educato in America , là vidde per la prima volta la luce, e per quel che sentiamo molto vi si diffuse, e vi fu molto ammirata. Egli è perciò singo- larmente notabile che ella sia tutta scritta con sommo ‘studio ,-ed accuratezza, e condotta con la maggior puri- tà ed eleganza di stile, sul gusto delli autori Inglesi più leggiadri, e più tersi. È questa a parer nostro forse la migliore fra le opere Americane; ma è poi per certo la prima fra le puramente letterarie cui possiamo dar quel- la lode, onde ci piace salutarla come foriera di un gu- sto più puro, e come principio d’una nuova scuola più castigata, e corretta per gli scrittori di quella grande, ed intelligente nazione. Il suo genio non è stato , come più volte osservam- mo, gran fatto sin qui rivolto alle lettere, e ciò che produsse in quella sfera fu al certo più mancante di gusto che di talento. La pubblicazione di poche opere simili a questa farà cessar pure un tal rimprovero, e confidiamo che il meritato successo ottenuto dall’autore tanto in patria che fuori ,inciterà i suoi compatriotti , a seguire il metodo per cui giunse ad ottenerlo, e che ac» coglieranno di buon grado, dall’ esempio di un loro di- stinto nazionale quell’insegnamento che i precetti delli stranieri sembrano aver sin qui non con troppo successo inculcato. (1) - (1) Parlando di letteratura Americana ci crediamo in dovere d’aggiungere che abbiamo ultimamente ricevuti i due numeri di 230 Ma benchè sia principalmente per lo stile, e perla locuzione che siamo indotti ad annunziare questo li bro, saremmo assolutamente ingiusti verso: l’ Autore se non aggiungessimo, che merita somma lode per qua- lità molto più solide, e che poche opere ci hanno fatta concepire una più, favorevole opinione del.carattere del- lo scrittore, o data una. più alta idea del suo discerni- mento, e del suo gusto. Vi è tanta ingenuità, ed indul- genza, tanta gentilezza , e filantropia naiuralmente dif- fuse per tutta l’opera, a temprare, ed armonizzare in modo così piacevole il serio, 0 lieto suo umore, da disarmare la severità di qualunque critico . per poco indulgente ch’ei sia, e da conciliargli per parte di ogni lettore imparziale quell’ amorevole discretezza, è quella benignità delle quali dà altrui sì lodevole esem- Gennaio, e di Aprile della ,, Rivista del Nord dell’ America ,, 0 Giornale di Miscellanee ,, che si pubblica ogni tre mesi a Boston, e che ci sembra la migliore fra le produzioni d’ingegno di quel | paese, che abbiamo vedute. I temi ne son molto variati; è scritta con grand’ arte, spirito, e dottrina, ed abbonda di profonde e nuove discussioni sopra soggetti interessantissimi . Sebbene molto patriottica, o piuttosto nazionale non ha nulla d’of- fensivo, e d’ assolutamente irragionevole nell’esame delle poli- tiche controversie, nè vi si scorge alcun reprensibile segno di parzialità, o d’ antipatia. Lo stile, meno alcune non rare eccez- zioni, è buono generalmente , e pecca piuttosto in affettazione che in mancanza d’ arte. Ma l’opera ha un carattere maschio , e vigo- roso , ed è sicuramente superiore a tutto ciò che di tal genere esisteva in Europa venti anni sono. Ell’è una segreta compiacenza, ed una specie di orgoglio per noi il vedere le Riviste trimestrali propagare arditamente la veri- tà, e le nuove speculazioni in ogni parte del mondo, c mentre diveldi iano noi vecchi, ed a tal’opra meno atti, ci conforta la speranza di raccogliere pur qualche onore dai talenti, e dal me- ‘rito delli eredi de’nostri principj, e de'{seguaci del nostro esempio. 231 pio. Se manca talvolta di forza nei ragionamenti, di ori- | ginalità nella parte speculativa, d’arditezza, e varietà ‘ d’incidenti nell’invenzione; al difeito di questi pregi superiori non mediocremente supplisce un’ animo libe- rale , un esquisito buon senso, un'abbondante vena di giovialità , ed una delicatezza , ed una grazia d’imma- ginazione non comune. Si è avuto però in generale , egli è vero, men cura del pensiero che del modo d'espri- merlo, e. lo studio necessario per. mantenere 1’ ar- monia, e la rotondità de’ periodi, ha qualche volta impedita la forza del ragionamento , o limitate, ed impoverite le illustrazioni che avrebbero altrimenti potuto darsi. Ma egli è tempo ormai d’informare il lettore della natura di questa opera. Essa è una serie di saggi stac- cati, e di racconti di vario genere , prima pubblicati se- paratamente in forma di periodiche miscellanee, per istruzione, e diletto dell’ America , ora raccolti in due volumi per sollievo del pubblico Inglese. Gli scrittori che l’autore ha specialmente imitati sono Addisson, e Goldsmith nella lepidezza , e nel discorrere ragionando varj soggetti, ed il nostro eccellente Mackenzie nel de- licato, e patetico. Non intendiamo con ciò di asserire che abbia eguagliati i suoi originali, nei meriti loro più grandi, e caratteristici, o di negare ch’ei non abbia ‘qualche volta caricati i loro difetti; ma la somiglianza è tale da far sommo onore a qualunqugf autore vivente; ed ha poi talora una giustezza di raziocinio alla quale i suoi modelli di rado son giunti. Per giustificare queste osservazioni, porremo sotto gli occhi dei nostri lettori uno, o due saggi di questo transatlantico scrittore , e principieremo da uno che può” 232 dar qualche idea del suo giocoso umore, e del suo mo do piacevole di raccontare , mentre offre la descrizione di alcune parti della sua terra natia, ed il ragguaglio d’alcune superstizioni in essa invalse. È questo il rac- conto di Rip Van Winkle che così incomincia. « Chiunque abbia navigato sull’ Hudson dee ram- mentarsi delle montagne Kaatskill. Sono esse una dira- mazione della gran famiglia dei monti Appalachian, e vedonsi in lontananza a ponente del fiume, inalzarsi maestose, e signoreggiare il circonvicino paese. Ogni cambiamento di stagione, o di tempo, anzi lo stesso variar dell’ore produce qualche magica variazione nelle tinte, e nell’aspetto di quelle montagne riguardate da ogni buona massaja di quei contorni come perfetti ba- rometri. Quando il tempo è sereno e tranquillo il loro colore è turchino, 0 porpora, ed i loro contorni. scor- gonsi distintamente delineati sul cielo chiaro della sera; ma talora mentre il resto dell’ orizzonte è sereno appa- rirà forse sulla loro cima una nube di bigio vapore che infuocandosi agli ultimi raggi del cadente sole, si farà a guisa d’ aurea corona splendente. , « Al piè di queste incantate montagne. il viaggia- tore può aver talvolta scorto un leggiero fumo. sorgere da un villaggio i di cui tetti di pulito legno biancheg- giano lucenti fra gli alberi, appunto là dove il turchi- no del monte si confonde sfumandosi col verde chiaro del terreno vicino. È questo un borghetto molto anti- co fondato da uno dei primi coloni Olandesi ver- so il principio del Governo del buon Pietro Stuy- vesand, di felice memoria. Vi si vedeano tutto- ra, non son molti anni, alcune delle case di quei pri- mi abitatori fabbricate di piccoli mattoni gialli por- —_ mar 233 tati d’ Olanda, con finestre a foggia di gelosie, e gronde con banderuole a ciascun angolo del tetto. » (1) « In questo villaggio, ed in una appunto di quelle casette (le quali a dir vero erano assai mal conce dal- l’ età, e dalle intemperie delle stagioni ) viveva, son già molti anni, mentre il paese era ancora provincia della Gran-Brettagna, un! semplice e buon uomo per nome Rip Van Winkle » pag. 57. - 59. » Tralasciamo un ragguaglio assai divertente delle tribolazioni cui era soggetto il povero Rip unito ad una moglie stizzosa, e dei varj passatempi coi quali cercava d’ingannar talvolta il tormento di quel suo misero nodo. « Le cose andavano per Rip col passar delli anni di male in peggio; un naturale aspro, mai coll’andar dell’età si addolcisce , ed una lingua pungente è il solo istrumento da taglio che si faccia con l’uso costante più acuto. Solea per consolarsi, fuggendo disperato di casa, ricovrarsi in una specie di CZb perpetuo di savj di filo- sofi, ed altri oziosi del villaggio , che tenevano le loro sessioni sulla porta d’un piccolo albergo cui servia d’in- segna la faccia rubiconda di. Sua. Maestà Giorgio 1IL Quiviravean costume di sedere spensierati nei lunghi giorni d'estate, chiacchierando su i pettegolezzi del vil- (1) Le case di quei vecehi coloni si distinguevano alle gronde che aveano agli angoli, perchè gli Americani imitando gl’ Inglesi hanno da gran tempo adottato il giudizioso costume d’ incanalare le acque dei tetti lungo le pareti delle case, dal che deriva che i disgraziati costretti a camminare al mal tempo, non sieno, come in Italia , esposti a sentirsi piombar sulla testa, dall’aitezza almeno di trenta o quaranta braccia , riunita in torrenti l’acqua che cade su i tetti, dalla quale se ‘possono per fortuna difendere il capo, e le spalle, non possono però salvar le gambe innaffiate di con- tinuo dalli spruzzi incomodissimi di quelle cascate. Nota del T. 23 4 . laggio, o cavando dal nulla cianiconi interminabili ; e Sono Non avrebbe un uomo di Stato male speso al certo il suo tempo , ascoltando le profonde discussioni che accadevano talvolta quando una vecchia gazzetta , lasciata da qualche viaggiatore, capitava loro tra mano. Era bello il vedere con quanta gravità allora ascoltavano attenti rilevarne, non senza sforzo, il contenuto da Der- rick Van Bummel, il maestro di scuola, dotto di piccola statura, ma traverso, a cui non avrebbe fatto paura la pa- rola più gigantesca del dizionario: e più bello ancora era il sentire con quanta saviezza deliberavand essi sulle ri- soluzioni da prendersi nei pubblici frangenti, diversi mesi dopo che a quelli era oramai stato provvisto » p. 65., e 66. Talvolta lasciando questo asilo, Rip soleva pren- dere il suo schioppo, e andare a caccia di scoiattoli per le montagne. « In un bel giorno d’Autunno avea egli quasi senz’ avvedersene ascesa una delle più alte cime dei monti Kaatskill, seguendo la favorita sua caccia delli scoiattoli, e facendo rimbombar più volte le mute solitudini allo strepito delle sue scariche. Ansante, ed affaticato si stese verso sera sopra un ver- de praticello, che giungea sino al ciglio di un borrone. Da un apertura ch’ era fra gli alberi ei. dominava per molte miglia il sottoposto paese coperto di folto bosco. Vedeasi in distanza il maestoso Hudson sten- dere nella lontana pianura il placido suo corso; riflet- tere nelle chiare sue onde ora una nuvoletta tinta di porpora, or la vela di qualche barca sparsa quà e là sul suo lucido seno; e confondersi, e perdersi final- mente nel turchino orizzonte. » Dall’altra parte la montagna spaccatasi, apriva una profonda gola selvaggia, deserta, ed ispida, il cui n ——__—_@< 235 : fondo ingombro dei rottami delle sovrastanti rocche, era Sischiikito appena dai riflessi raggi del sole ca- - dente. » « Rip stette per qualche tempo contemplando ‘ quel. grandioso spettacolo. La sera s’' andava a poco a poco avanzando ,/e le montagne cominciavano a stendere la lunga e cupa loro ‘ombra nelle valli. Si avvide allora che sarebbe stato notte molto prima ch’ei potesse giungere al villaggio, e sospirò dal pro- fondo nel pensare al turbinio che ne farebbe donna Van Winkle. » « Mentre era per discendere senti gridare in di- stanza « Rip! Rip! » guardò intorno, ma non potè vedere che un corvo stendere il solitario suo volo a traverso i monti. Pensò ‘che l’immaginazione l'avesse illuso, e si rivolse per discendere, quando senti lo stes- so grido risuonare di nuovo per il queto aere della sera. Guardò’ ansioso, e con maggiore attenzione verso la Stessa parte, e vidde salire a fatica, e lentamente per quei dirupi una strana figura curvata' sotto il peso di qualche cosa che portava sul dorso. Rip fù sor- preso d’incontrare un essere umano in quel luogo so- litario, e deserto, ma ‘supponendo che fosse alcuno dei suoi vicini bisognoso di aiuto corse a prestar- pur » r Avvicinandosi lo sorprese anche di più lo strano i ili dell’incognito. Era un vecchio piccolo, ma qua- drato ; ‘con folti capelli, e barba grigia. Il suo vestiario all'antica foggia Olandese era composto di un giubbetto di lana cinto alla vita, e di varie paradi calzoni; quel- li esteriori erano di ampio volume ornati con file late- rali di bottoni, e con fiocchi al ginocchio. Portava sulle spalle un barilotto che parea pieno di un liquido, e fece 236 cenno a Rip di avvicinarsi, e d’ajùtarlo a’ portar. quel suo peso. « pag. 68.-70. » Salgono insieme l’erta senza parlare, fin che giun- gono a un praticello posto nell’interno dei monti. « All’entrarvi nuovi oggetti di sorpresa s’offrono allo sguardo di Rip. Sopra un ripiano ch’ era nel centro del prato stava una compagnia di singolari personaggi che giocavano alle pallottole. Erano vestiti in una foggia affatto straniera; alcuni portavano corpetti, altri giub- boni, con lunghi coltelli alla cintura, e molti di loro larghissimi calzoni di forma simile a quelli di colui che gli avea servito di guida. Anche le loro faccie erano strane. Uno avea testa quadrata, e larghe gote con oc- chi porcini; il viso d’ un altro era tutto naso , e portava un cappello a pan di zucchero ornato di una piccola coda rossa di gallo. Aveano tutti la barba di varie forme, e colori. Un vecchio di nobile aspetto, robusto, con fac- cia imbrunita , pareva lor capo: portava un corpetto gallonato, larga cintura con zagaglia, cappello alto con penne, calze rosse, e scarpe con tacchi alti, e rosoni. Il gruppo totale rammentava a Rip un vecchio quadro Fiammingo che era nella sala di Don Van Schaich pa- roco del Villaggio, stato portato d'Olanda all’epoca della fondazione di quella colonia. » « Ciò che soprattutto parea straordinario a Rip era che sebbene questa gente stesse sollazzandosi, conservava però un aspetto grave, ed un silenzio misterioso , talche era quella, a ben considerarla , la più trista partita di divertimento che avesse mai vista. Il silenzio di quella scena non era interrotto che dal rumore delle palle, che qualunque volta eran dai giocatori scagliate, risuonar facevano quelle montagne di un fragor simile al cupo rimbombo del tuono. » 237 « Il gioco fù interrotto all’ avvicinarsi di Rip, e del suo compagno. Vuotò questi il contenuto del bari- lotto in fiaschi, e fè cenno a Rip d’ offrirne alla comitiva. Egli obbedì tremando; tracannarono allora gl'incogniti il liquore senza dir prolai e ritornarono al gioco. » ‘« A poco a poco la paura, ed il sospetto di Rip si calmarono. Si arrischiò ancora, quando credè di non esser visto, a gustar di quella bevanda, che gli parve somigliar molto ad una eccellente acquavite d’ Olanda. Essendo per natura piuttosto inclinato a bere, la tenta- zione lo spinse più volte a ripetere il saggio. Un bic- chiere chiama l’altro; e le visite al fiasco venner da lui tanto spesso reiterate , che alla fine i suoi sensi furono sopraffatti , la testa cominciò ad offuscarglisi, e cadde in un sonno profondo. » « Risvegliatosi, e stropicciati ben bene gli occhi si trovò essere in quel verde praticello donde avea da prima visto il vecchio sul dirupo. Era un chiaro, e bel mattino. Svolazzavano cantando gli augelli fra i cespu- gli, e l'aquila ruotava in alto, librandosi sul puro aere di quei monti « Certo, pensò Pip; non ho dormito qui tutta la notte. « Si ricordò allora dell’accaduto, e gli tornarono tosto alla mente, e la strana figura col barale, e l’erta, e il silvestre ritiro fra le rupi, e la trista par- tita alle pallottole, e il fiasco « Ah quel fiasco! quel fiasco traditore! » disse Rip, che scusa troverò io a don- na Van Winke? » « Cercò intorno il suo schioppo, ma invece di quello che vi avea recato lucido, e ben tenuto, ne trovò steso in terra presso di se uno vecchio, coperto di rug- gine, con l’acciarino cadente, e la bacchetta tarlata. So- spettò allora che i gravi giuocatori gli avessero fatto un bel tiro adescandolo a bere per rubarlo ». 238: « Il fido Lupo era anch’ esso sparito, ma pensò che si fosse allontanato inseguendo uno scoiattolo, @ una pernice. Fischiò, chiamò, ma invano, l’ eco. solo ripetè i suoi fischi, e la sua voce, e il cane non compat- ve » p.72.— 75. Impiega inutilmente qualche tempo in ricercare il luogo, ed i compagni della lieta festa della sera, e risolve alfine di tornarsene a casa. « Nell’ avvicinarsi al villaggio vidde molta gente, ma a lui ignota, il che lo sorprese non poco giacchè cre- deva di conoscer non solo tutti gli abitatori di esso, ma quelli ancora delle vicinanze. Il loro vestiario gli parve pure diversificare da quello cui era avvezzo. Tutti lo guardavano con sorpresa, e appena gettati gli occhi so- pra di lui si toccavano il mento. La ripetizione dello stesso gesto indusse Ripinvolontariamente a-far lo stesso, e si accorse allora con sua gran sorpresa che avea la - Me lunga un piede. » « Entrando nei sobborghi del villaggio una truppa di segale lo seguiva gridando, ed accennava la grigia sua barba. Anco i cani, dei quali non potè riconoscere un solo, abbajavano al suo passare. Tutto il villaggio avea variato aspetto; era più grande, e più popolato. Vi erano filari di case che non:v avea mai visto, e le abi- tazioni da lui frequentate più non v'erano. Nuovi nomi stavano scritti sulle porte (1), e visi nuovi erano alle fine- stre; tutto in somma era diverso per esso. Principiò allora a temere, ch'egli, o il paese; attorno di lui non fosse incantato ». | (1) In Inghilterra, ed in America vedesi generalmente sopra la porta d'ogni casa una placca di metallo col nome di chi l’abita. Nota del Trad. - 239 Cerca invano della sua moglie, e del suo cane, e sortendo dalla sua casa abbandonata. S’ affretta, e corre verso il. suo antico asilo , l’ albergo. del villaggio, ma anche questo era sparito. Eravi in quella vece un vasto casamento di legno in assai cattivo stato, con finestre grandi da aprirsi, alcune | sdrucite, e rattoppate con vecchi cenci, e leggevasi sulla porta « Albergo dell’unione di Gionata Fapoco ». Invece dell’ albero ramoso, che soleva esser d’ amica ombra cortese all’ antico umile alberghetto ,, era piantala una nuda antenna sulla cima della quale vedevasi una specie di berretto scarlatto, e sotto ad esso sventolava una ban- diera con mescuglio singolare di stelle, e di Jiste, che appariva a Rip del tutto strano, ed incomprensibile. Ri- conobbe però nell’insegna la faccia rubiconda del rè , Giorgio, sotto la quale avea fumato in pace tante pipe, ma anch’ essa era bizzarramente travestita. Avea la giubba non più rossa, ma turchina con mostre gialle ; impugnava una spada invece dello scettro, ed avea in testa un cappello a tre punte. Leggevasi sottoin caratteri. majuscoli — Il Generale Washington. — » “« V’ erano secondo il solito presso la porta molte. persone, ma nessuna che Rip riconoscesse. Il carattere stesso del popolo gli pareva cangiato. Invece della flem- ma, e dell’ordinaria sonnolenta placidezza , un tuono rumoroso,'affaccendato, e contenzioso regnava fra quella gente. Ei vi cercò invanola faccia piena, eil doppio mento del savio Niccola Wedder, solito a sbuffar nubi di fumo di tabacco in luogo di vane parole, o il maestro Van Bummel, occupato in rilevare a stento il contenuto d’una vecchia gazzetta. Invece loro un uomo magro, e di bi- lioso aspetto con le tasche piene di fogli, stava con impeto declamando sopra i diritti dei cittadini —le ele- 240 zioni —i membri del congresso — la libertà — Bunker _ s' hill, —(1) gli eroi del settantasei —(2), ed altre cose che per il povero stupefatto Vanwinkle erano pci gdo “un gergo inintelligibile. » L’ aspetto di Rip, la sua lunga barba , lo schioppo rugginoso, il suo rozzo e vecchio abito, e la schiera dei ragazzi, e delle donne che si era tici suisuoi passi, attirò tosto l’attenzione dei politici della taverna, che gli si affollarono intorno, squadrandolo da capo a piedi con molta curiosità. L’ oratore venne a lui in fretta, e tirandolo in disparte gli domandò a chi avrebbe dato il suo voto? Rip si ritrasse attonito senza saper che rispondere. Un omicciolo di piccola statura tutto af- faccendato, lo prese per un braccio, e alzatosi in punta (1) Luogo poco distante da Boston vicino al quale accadde nel 17 Giugno 1775 la prima battaglia fra gl’Inglesi, e gli Ameri- ricani nella gverra da questi ultimi gloriosamente sostenuta per l’indipendenza del loro paese. In questa battaglia una delle più sanguinose, di cui faccia menzione l’Istoria ( considerato il nu- mero dei combattenti) una banda di 1500 uomini di milizia na- zionale sotto il comando del Colonnello Prescot, dette alli Ameri cani sicuro presagio dell’esito di quella guerra, respingendo con sin- golare intrepidezza, e valore tre consecutivi attacchi d’un corpo di 3000 Inglesi scelti tra il fiore dall’ esercito del Generale Howe, e ritirandosi in buon ordine sotto il fuoco delle artiglierie, allor- chè gli mancarono le munizioni. La perdita delli Inglesi in tale incontro fu di 1054 uomini dei quali 19 Ufiziali morti e 70 feriti, quella delli Americani fu di 77 morti, e 278 feriti. It Generale Warren Americano perì in quest'azione combattendo come volontario. La nazione tutta pianse altamente la perdita di quest’ uomo sommo che univa al più caldo patriottismo, e ad un indomita bravura l’eloquenza d’un grande Oratore, e la saviezza di un abilissimo Uono di stato. Nota del Trad. (2) Generali, soldati, e cittadini, che si distinsero nella ESE ; ra delll'incdipiademzi, N. del T. - E 24r di piedi gli domandò» all’ orecchio se: era. Federale , o Democratico(1):Riptrovossi ‘egualmente in'imbroglio per comprendere :il significato di'tal questione; quanilo um uomo d'età, con un cappello a tre punte;:e gallonato;;; con aria d'importanza facendosi largo tra la follaa furia di gomitate venne a piantarsi dritto innanzi a Winkle. Postosi una man sul fianco, ed: appoggiata l’altra al ba- stone } fissandogli gli acuti suoi occhi addosso in modo da ‘scrutargli ‘nél cuore, e'nell’intimo'‘dei pensieri; gli domandò in tuono ‘severo ; qual . motivo il conducesse all’ elezioni .con uno ‘schioppo i in spalla, e con ‘quel se- guito, ‘ese ‘intendeva di porre a soqquadro il villaggio. ta Ah!!signore; esclamò: Rip impaurito; sono un pover momo, pacifico, nativo ‘di. questo | luogo; e! ‘suddito fedele del Rè, che: Dio ‘conservi. » “Allora un clamore generale: si alzò fra i circostanti. « cUnT ory.buita spia! un: fuoruscito!! si scacci! vada vial»\Fu a gran:pena che l’iwomo col) cappello: gallo» nato potè richiamarli all’ ordine, ed aggrottando le ici- glia ancor più severamente domandò all’ incognito ac- cusato che venisse a fare, e che cercasse. Il poveretto l’ assicurò con tutta cafe che, non venia per far». male; ma per cercare solamente alcuni suoi vicini soliti radu- narsi presso quella osteria. '« Ebbene, chi son essi? no: minateli, disse l’ incognito » . Rip stato alcun poco so- © (1) I governò degli’ Stati'Uniti, fu fritmebte stabilito in una repubblica ‘confederata. Ciascuno Stato ha una costituzione per il maneggio degli interni’ sitoi ‘affari, e sono poi riuniti'in'un sol corpo per mezzo' di ima federale costituzione, secondo la quale è investito del ‘ ‘potere legislativo il congresso dei deputati eletti dai diversi ‘Stati, diviso im due distinti ‘corpi cioè il Senato; e là Camera déi 'rapprèsentanti; è ‘del ‘Potere esecutivo è investito il Presidente elettò pure pi rappresentanti gli Stati MIU Nota del T. Ò T. II. Maggio ) 16 242 pra di sè soggiunse: « dov’ è Niccola Vedder? » Dopo un breve silenzio un vecchio con voce tremolante rispo- se: « Chi? Niccola Vedder? è. morto son già diciotto anni. V’era nel cimitero una.iscrizione in legno che ne dava conto, ma il legno, e l'iscrizione son da gran tempo marciti . « Dov è Brom Dutcher? »>-Oh ! andò all’ar- mata in principio della guerra; alcuni dicono che fosse. ucciso all'assalto di Stoney. Point (1); altri;che si som mergesse in una tempesta.a, piè d’ Antory's.INose; qui non sì è più visto » — « Doy è Van Bummel il maestro?» — «Andò anch’ egli alla guerra, fu generale della gran milizia, (2) ed è ora ‘al congresso » Rip tra- secolava ascoltando tante strane vicende accadute nel suo paese, ed. aì suoi amici, e..si attristava trovan- dosi così solo nel mondo. Ogni risposta. lo imbrogliava anche perchè appellava ad un enorme lasso di tempo, ed a cose che non intendeva; come guerra, congresso, Stoney Point, talchè non aveva più coraggio di doman» dar altro (3). | (1) Stoney Point è una fortezza posta in una piccola penisola del paèse d’ Orange nella nuova Jork, e ché si avanza dalla riva occidentale del fiume Hudson nella baja di Haverstraw. Il bravo general Wayne Americano si distinse molto prendendo d’ assalto questa fortezza nella guerra della rivoluzione. MWota del traduttore. (2) Corpo di truppa nazionale. (3) Potrebbe da questo e da alcuni passi precedenti congettu- rarsi, non senza qualche probabilità, che l’autore abbia avuto nel narrare questa novelletta il fine ascoso, di richiamare special= mente i suoi concittadini a riflettere al prodigioso cambiamento in pochi anni avvenuto per la conquista dell’indipendenza in AÀme- rica ; cangiamento che diviene ogni giorno più sorprendente, e che forma soggetto d’ ammirazione, e di meditazione profonda per chiunque s’ occupi alcun poco in osservare come influiscano i po- litici avvenimenti nella prosperità dei regni, e nella felicità delle De 243 In quel momento di dispiacevol sorpresa per esso, una donna fresca, e di bell’ aspetto cercava a farsi largo tra la folla per vedere anch’ essa un poco l’uomo dalla barba grigia. Teneva in collo un putto che impaurito a quella vista principiò a piangere; « zitto Rip, diss’ ella, zitto lì scioccarello, quel vecchio non ti vuol far male ». Il nome del fanciullo, le fattezze della madre, e il tuo- no della sua voce, gli risvegliarono nella mente ad un tratto molte rimembranze .. « Come vi chiamate buona donna? domandò Rip » — « Giuditta Gardenier disse ella » — E qual era il nome di vostro padre ? » — « Ah poveretto, sì chiamava Van Winkle, sono vent’ anni che partì da casa. per. andare a caccia, e non si è mai più saputo nulla di lui. Il suo cane ritornò solo, e s° ei si ammazzasse; 0 fosse preso dalli Indiani nessun lo sa. Jo era allora bambina. » Rip non aveva che un’ altra domanda a fare, ma l’emesse con voce tremante « Dov'è vostra madre? — Anch' essa era morta di poco per es- serglisi in una delle sue solite furie rotta un’ arteria, que- stionando con un merciajo della Nuova Inghilterra — V? era almeno una stilla di conforto in questa nuova, ed il pover’ uomo non potè più contenersi. « Son vostro padre, gridò egli, son Rip divenuto vecchio ad un tratto » pp. 80 87... | Assicurata l’ identità è condotto a casa della sua | figlia, eriprende le sue antiche abitudini. « Ad ogni forestiero che capitava all’ albergo di Gionata Fapoco, solea Rip narrare la sua istoria. Fu osservato in..principio ch’ei la variava in alcuni punti ogni volta che la raccontava; il che senza dubbio era nazioni. Ma questa è una semplice nostra congettura. Mota del traduttore. 244 effetto dell’ essersi così di fresco svegliato; ma la ridusse finalmente al racconto da noi riferito ; e non vi ‘era nel vicinato! omo, donna; o fanciullo che non l’ avesse im-' parato ‘a mente. ‘Alcuni ‘pretesero porne in dubbio ‘la. verità, e sostenevano che Rip era stato pazzo, e che questo ‘era un articolo | sul quale non era mai ritornato: berie in sè. I vecchi ‘abitanti Olandesi però gli dettero quasi universalmerite piena credenza. Anch' oggi e' non gli accade di sentire nei giorni d’ estate qualche burrasca! con ‘tuoni verso 1 Kaatschill ch'e non dicano, Hendrich Hudson, ed i suoilcompagni giocano alle pallottole; ed è desiderio comune dei matiti di quelle: parti tormentati dalle mogli; l'avere “a lor disposizione in :certi: giorni fantastici, neiquali è resa lor’ grave la vita, qualche; sorso del liquore di Rip Van Winkle » pp.91.92. ‘Abbiamo riportati squarci piuttosto lunghi di que-. sta faceta' novelletta, sebbene ci paia d’averla alquanto mutilata nell’ abbreviarla . Sarebbe stata scortesìa lo stringere in troppo angusti confini uno straniero al suo: primo comparire nelle nostre pagine, e crediamo che quel che ne abbiamo trascritto sia per giustificare abba- stanza tutto ciò che dicemmo in suofavore:(a). ‘Datemo ‘adesso 'un' lungo tratto 'd’ un articolo di carattere molto diverso, d’ un saggio.cioè sul modo col. quale i recenti scrittori: Inglesi hanno parlato dell’ A- merica . LL (a) Il conservare traducendo il brio, e la lepidezza d’un ràò- conto faceto, che dipendono in gran' parte. dall’ uso di certi modi comici di. dire propri di ciascuna lingua, è difficilissima, è quasi disperata impresa . Non dee perciò il lettore maravigliarsi se gli spuarci tolti dalla novella di Rip non hanno corrisposto nè alla sua aspettattiva, nè al giudizio che ne dà il giornalista. /Vota del tra= duttore + Si 245 Il tuono dell’ autore su questo. delicato». soggetto è ammirabile; e le sue osservazionisono così incotrasta- bilmente giuste, e ragionevoli, che non possiamo dubi- tare dei benefici effetti che son per produrre in ambi. i paesi ai quali si referiscono. Ei comincia dall’ osservare ‘che non ostante la gran comunicazione che esiste fra i ‘due Stati « non vi è popolo riguardo al quale la massi- ma parte del pubblico Inglese abbia meno sicure, e | giuste informazioni, o maggior numero di pregiudizj; e lo spiega soggiungendo: « È stato il destino del nostro paese d°’ esser visitato dalla peggior classe dei viaggiatori Inglesi. Mentre uo- mini di spirito filosofico, e di colta mente sono stati spediti dalla Gran-Brettagna a segnar presso ai poli muove vie, a penetrar nei deserti, ed a studiar le ma- mere, ed i costumi di nazioni barbare con le quali non può aver permanente commercio d'’ utile, o di piacere, si è affidato ai mercanti falliti, agli avventurieri intri- ganti, ai vaganti meccanici, agli agenti di Mancester, e di Birmingham l’ esser suoi oracoli rispetto all’ America. Da tai fonti ell’ è contenta attignere le informazioni riguardanti un paese ch’ è in uno stato prodigioso di fisico non men che di morale incremento ; paese nel quale sta ora facendosi uno dei più grandi politici espe- rimenti di cui si parli nell’ istoria del mondo, e che ‘offre vasto campo alli studj più profondi, e più impor- tanti d’ un uomo di Stato, e d’ un filosofo » pp. 99. 100. Ciò che segue però è di un interesse molto mag- giore, e non abbiamo alcuno scrupolo di copiare larga- mente da questa parte dell’ opera, poichè altrimenti avrebbamo sentito il dovere d’ inculcare, servendoci di frasi nostre, le stesse dottrine, probabilmente però con Î 246 minore autorità; almeno al di quà del mare, e certa- mente poi con minore eleganza, e robustezza di stile. « Non mi tratterrò per altro su questo tema incre- scevole , e tristo ; nè l’avrei forse toccato se non avessi conosciuto che i miei compatriotti vi annettono una non imeritata importanza, e non ne avessi temuto qualche sinistro effetto sui nazionali sentimenti. Troppo peso si dà veramente a questi attacchi che non possono farci alcun danno reale. La trama delle false relazioni che sì tenta d’ordirci intorno è come un ragnatelo tessuto alle braccia d’un gigante. Il nostro paese di continuo la rom- pe: una falsità cade dopo l’ altra da se stessa: basta vivere, e ciascun giorno offre un volume di confuta- zioni. Tutti gli scrittori d’ Inghilterra riuniti, quando potessimo per un momento supporre che i loro alti meriti volessero abbassarsi ad una sì poco lodevole con- spirazione, non potrebbero occultare la nostra grandezza ognor crescente, e la nostra incomparabile prosperità . Non potrebbero celare che l’ una, e l’ altra derivano non meramente da locali e fisiche cagioni, ma ben anche da cause morali; che son figlie in somma della politica libertà, della generale propagazione dei lumi, della efficacia delle sane massime di morale, e di reli- gione, che danno, e mantengono forza ed energia al ca- rattere d’un popolo, e che sono state in fatto i verì prodigiosi sostegni del potere dall’: Inghilterra stessa acquistato, e della sua gloria nazionale. « È però di poca conseguenza per noi ch’ ella ci renda, o nò giustizia; mentre per essa è di molto mag- giore importanza. Ella va stillando nel seno d’ una na- zione giovinetta l’ira, e il risentimento, che andran crescendo col crescer di lei, e che rinforzeranno coll’au- mentare di sue furze. Che s’ ella troverà nell’ America, “ J i do 247 come alcuni dei suoi scrittori si affaticano a persuaderle, una rivale, ed una potentissima nemica, potrà ringra- ziarne quelli scrittori medesimi che ne han provocata la rivalità; ed instigata l’inimicizia.. Ognun conosce qual sia ai dì nostri l’ influenza delle opere letterarie , e quanto le opinioni, e le passioni del genere umano sieno da esse dirette. Le contese della spada non son che ‘temporarie. Le sue ferite; come quelle che sul corpo s' imprimono ; pfesto cicatrizzano, ed è orgoglio d’ un animo generoso il perdonarle, ed obliarle: ma le propa- gate calunnie penetrano nel più vivo del cuore, eccitano lungo rancore in quei che hanno animo più nobile, son sempre presenti allo spirito , e lo rendono ad.ogni urto anche lieve più delicato, e sensibile. E raro che un atto d’ aperta inimicizia dia motivo alle ostilità fra due na- zioni; esiste generalmente fra loro un malanimo, una gelosia precedente, ed una predisposizione alle offese. Ricercatene l’origine, e oh! quanto spesso la rinverrete nelle maligne produzioni di mercenarj scrittori, che sicuri nel loro ritiro, per un vil guadagno preparano, e diffondono il veleno che scende poi ad infiammare il petto del generoso, e del prode » . « Non insisterò ulteriormente su tal soggetto, poi- chè quadra troppo al caso nostro. La stampa non ha sovr’ alcun altra nazione tanta influenza quanta ne ha sul popolo d'America, poichè secondo il suo sistema uni- versale d’ educazione, ogni individuo della più bassa classe è uso leggere. Non vi è cosa che si pubblichi in Inghilterra relativa del nostro paese, che non circoli per esso dovunque. Non vi è calunnia caduta dalla penna di uno scrittore Inglese, nè sarcasmo d’un ministro , che non vada direttamente a diminuire la buona armonia, e ad accrescere il cumulo dell’ occulto risentimento, 248 Possedendo d’Inghilterra la principal vena da cui la letteratura della lingua deriva, intieramente in suo po- tere sarebbe ;'come sarebbe veramente di suo interesse, il farla. strumento di amichevoli ' e ‘magnanime incli- nazioni, e sorgente avventurosa ove le due nazioni potes- sero insieme attinger pace; ed amorevolezza. Che s'ella però persistesse, ad asperger d’amarezza:quelle acque , verrà forse tempo»in' cui avrà ‘a pentirsi di sua’ follià. La presente alleanza dell’America può esser' per essa di piccol momento, ma i futuri destini di quel paese non son dubbiosi, mentre involve già quei d’ Inghilterra cupa'ombra d'incertezza. Se il giorno dell’ira giungessé, se le vicende. alle quali non han potuto sottrarsi i più grand’ imperi del mondo, la rovesciassero, ella potreblie volgersi con rammarico ‘a riguardare la passata sua ‘ca- parbietà nel respingere dal suo fianco una nazione che avrebbe dovuto stringersi al seno) e nel distrugger così 1] solo mezzo di mantenere ùna verace “amicizia oltre i limiti de suoi dominj ». c Sì tiene opinione ‘generalmente in Inglulterra che il popolo delli Stati Uniti .sia nemico della madre patria, ed è questo uno delli errori che sono stati con più cura propagati da male intenzionati scrittori. — Vi sono senza dubbio molti motivi politici d’ostilità , ed un mal’ umore universale per la condotta poco lodevole delli scrittori Inglesi, ma in generale la prevenzione del popolo è manifestamente in favore dell’ Inghilterra. In addietro egli è vero ell’era in molte parti delli Stati ‘Uniti portata ad un punto eccessivo di predilezione. Il solo nome d’ Inglese era una raccomandazione alla con- fidenza , ed alla ospitalità d’ ogni famiglia , che troppo spesso servia di passaporto all’ jtttmevitetoli , ed all’in- grato. V’ era.in tutto il paese una specie d’ entusiasmo » 249 per l’ Inghilterra: Noi la riguardavamo con sacro senti- “mento di tenerezza, e di venerazione come la terra delli avi nostri, come'l’ augusto deposito dei monumenti , e delle antichità della nostra progenie , come la cuna’, e la tomba dei savj,, e delli eroi della patria nostra istoria. Dopo il nostro paese niun altro ve n'era della gloria del quale avessimo maggibr desiderio. — Nessuno la di cui stima fossimo più bramosi sli possedere — Niuno per cui i mostri cuori si commovessero con tanto palpito di te- nera consanguinità. Fino nell’ ultima guerra ogni volta che sì presentò la minima opportunità di esprimere amorevoli sentimenti; formò il diletto dell’anime gene- rose di questo paese il mostrare che in mezzo alli atti ostili vive ognor mantenevansi le scintille della futura amistà ». « Dovrà tuttociò avere un fine? Dovrà quest’aureo legame d’ amorevole simpatia, così raro fra le nazioni, esser rotto per sempre? — Ma è forse meglio — Può di- struggersi così un illusione che ci avrebbe tenuti in una mentale schiavitù , che si sarebbe opposta ai veri nostri interessi, e che impedito avrebbe lo slancio del nazionale nostro orgoglio. Ma è duro rinunziare ad amorevoli lega- mi! Sentimenti vi sono più cari dell’interesse— più pros- simi al cuore dell’orgoglio—che ci faranno sempre rivol- gere lacrimosi gli sguardi a quella terra delli avi nostri dalla quale ogni di più ci allontaniamo, e che lamentare ci faranno la protervia di una madre, che ha voluto re- spingere dal proprio seno gli affettuosi suoi figli » . « Comunque però non guidata da retto pensare, ‘e priva di giudizioso accorgimento esser possa la con- dotta dell’ Inghilterra in questo sistema di diffamazio- ne, un sistema di recriminazione per parte nostra sa- ‘rebbe egualmente male inteso. — Io non parlo d'una 4. 250 pronta , ed energica difesa del nostro paese, o d’un se- vero gastigo dei suoi detrattori. — Parlo di quella dispo= sizione a rendere offesa per offesa, a ritorcere i sarca» smi, a inspirar male prevenzioni, cui veggo inclinar già molto i nostri scrittori. Guardiamoci con ogni cura da tale tentazione che raddoppierebbe il male in vece di rimediarvi. Nulla v'è di più facile, e di più alletta- tivo, quanto il ritorcere le ingiurie, e i sarcasmi; ma è una gara spregevole, e senza profitto. È il partito d’una mente inferma piuttosto stimolata dall’orgoglio, che accesa d’indignazione. Che se l’Inghilterra vuol permet- tere alle meschine gelosie di commercio, e alle invidio» se animosità della politica di corrompere la rettitudine delle produzioni che si fan di pubblica ragione con le stampe, e d’avvelenare i fonti della universale opinio- ne; fuggasi da noi tale esempio. Ella può creder di suo interesse il diffonder l’errore, ed eccitare l’antipatia per impedir l'emigrazione , ma noi non abbiamo alcun mo- tivo di tal sorte. Non abbiamo nemmeno a sodisfare lo spirito di nazional gelosia, poichè finora in tutte le no- stre rivalità con l'Inghilterra siamo la parte che s’inal- za, e che avvantaggia. Non vi può esser quindi nel ri- spondere altro scopo che quello di sodisfare al risenti- mento , e ad uno spirito di rappresaglia, che sarebbe anco inefficace. Le nostre confutazioni non son mai ri- stampate in Inghilterra, e perciò non ottengono il loro intento. Coltivano esse bensì una disposizione querula, e litigiosa fra i nostri scrittori; amareggiano la dolce ve- na della nascente nostra letteratura, e seminano tra i fiori gli aspri sterpi, e le spine. Ma quel che è anco peggio, circolando nel nostro paese eccitano violente nazionali prevenzioni, male che dobbiamo in special modo impedire. Intieramente governati come siamo dal- -& TRATTE mi ti Rena 251 la pubblica opinione, retta, e pura dee con ogni studio preservarsi la mente del popolo. 1 lumi che soli condu- cono alla potenza derivauo dalla verità; perciò chiun- que dita screntemente.un errore, nuna con anlmo deliberato i fondamenti della grandezza della sua pa- tria. » sm « Soprattutto non ci lasciamo acciecare è dallo sde- gno in modo da non conoscere ciò che vi è d’eccellente, e d’amabile nel carattere Inglese. Siamo un popolo giovi- ne, necessariamente imitatore, e dobbiamo in gran parte preridere i nostri modelli dalle Nazioni d’ Europa. Non vi è per | noi paese più degno di studio dell’ Inghilterra. Lo spirito della sua costituzione è più analogo a quello della nostra. Le maniere del popolo, la sua intellettua- le attività , la sua libertà di opinione, il suo modo di pensare su quei soggetti che riguardano i più cari inte- ressi, e le più sacre affezioni della vita privata, sono tutti in armonia col carattere Americano, e sono in fat- | to tutti intrinsecamente eccellenti; poichè egli è su i morali sentimenti del popolo che riposano i fondamenti della Brittannica prosperità ; e sebbene l’edifizio sovra essi inalzato, possa esser guasto dal tempo, e sovraccaricato d’abusi, dev’esservi pure qualche cosa di ben solido nel- le basi, d’ammirabile ne’ materiali, di stabile nella strut- | tura d’un edifizio, ch’ ha per si lungo tempo torreggiato incrollabile fra le tempeste del mondo. » « Sia dolce orgoglio perciò dei nostri scrittori, ab- bandonato ogni sentimento d’irritazione, e ciedegngto il gareggiare d’ ingenerosi modi con gli scrittori Inglesi, il parlare di quel popolo senza prevenzione, e con cando- re; e mentre riprenderanno il cieco fanatismo col quale actor de’ nostri concittadini ammirano, ed imitano ciò che vien d’ Inghilterra sol perchè è Tuglose, lodino con 252 ingenuità ciò che realmente è degno d’ approvazione . Potremo così;proporci 1’ Inghilterra quasi perpetuo li- bro da consultare, ove il senno, frutto dell’esperienza di tante età fu trasfuso, e mentre con ogni studio cerchere- mo di sfuggire gli errori, e le assurdità che si introdus- sero nelle sue pagine, trar ne potremo -auree. massime di pratica saviezza, per cui si renda il nazionale nostro carattere vie più vigoroso, e più bello. » Egli è consolante per un vero amico degli uomini, per un animo amante della pace, della libertà, e della ragione, l’ udire che tali sentimenti van prendendo ra- dice nel mondo, e soprattutto il sentirli inculcati con tanto calore; ed abilità da uno scrittore d’ un paese che è stato sì fortemente provocato a negarli, e che è oggi per noi importantissimo che gli conservi. N Ci sforzammo già di fare ciò che era in noi per promuovere la stessa ottima causa, e se le nostre fatiche sono secondate in America con una parte soltanto dello zelo, e dell’eloquenza che si spiega quì in loro sostegno, non ATA di vederli finalmente coronati dal suc- cesso. Egli è però impossibile di dissimulare che ciò molto più dipende dalli sforzi delli scrittori Americani che de’ nostri, tanto perchè hanno naturalmente mag- gior peso presso la parte che deve in special modo eatti- varsi, quanto - perchè i loro ragionamenti non sono respinti da-quel violento spirito di parte, che conduce in questo momento non piccol numero de'nostri a rigettare, ed avvilire tutto ciò che vien raccomandato da quelli che contrarj si son dichiarati ai loro piani d’ interna politica. Le circostanze dei tempi ci hanno astretto ad. opporci a molti progetti del partito che oggi per il po- tere primeggia in questo paese, e n° è derivato, che i più bassi suoi aderenti, si fanno un sacro dovere di vis 253 lipendere tutto ciò ‘che inculchiamo «sebbene affatto: estraneo a questioni di politica; 0 di partito, ed abbiamo acquistato così il potere. ‘singolare di far. dire ai nostri più: amimosi avversarj} ciò che vogliamo, tosto che dicia- mò il' contrario. Il numero però di coloro che son su- periori a questa meschina influenza, e che giudicano da se stessi sulle generali\questioni va quì ogni giorno cre- scendo, e non dubitiamo , che ad ogni nostra pubblica- zione sempre più s' aumenteranno i proseliti di quelle dottrine che giuste in.se stesse son da noi sostenute con moderazione; e'con solidità d’ argomenti. ‘ Una piccolissima parte soltanto dell’opera di cui parliamo tratta di politica, o di soggetti relativi all’ A- merica . Fra questi è una novella intitolata « la caverna delsonno » che forma un bel pendant a quella di Rip Van Winkle, con pochi altri articoli. di tema trans- atlantico: ma dei trentacinque di cui il libro è composto, sei, o sette al più son di tale specie ; gli altri trattano dell’ Inghilterra, e-sono descrizioni del paese , ed osser- Vazioni su i costumi; su i caratteri. che vissòn delineati con imano maestra , ed. amorevole; sulla letteratura e sopra altri soggetti, e delle quali nessuno può a'ragione offendersi. Per saggio: dello stile di queste osservazioni porremo quì il ragguaglio. d’una visita, fatta dall’ autore ad una delle chiese di Grtn di una parte aristocra- tica:dell’ Inghilterra . !l .0« La riunione era composta delle persone di qua- lità dimoranti nel'vicinato, che sedevano sopra panche riccamente coperte, e fornite di strapunti. Erano sull’in- ginocchiatojo davanti ad esse libri di preci riccamente dorati, e' vedeansi gli stemmi delle respettive famiglie sulli: sportelli del balaustro. I contadini, e gli abitanti ‘del villaggio occupavano sedili, ch’ erano dietro ,. ed 254 una loggetta presso all’ organo; i poveri della portato stavano sulle panche laterali . « Celebrava con voce nasarda l’ufficio un paroco host pasciuto, che aveva una comoda abitazione presso la chiesa. Commensale impreteribile di tutte le tavole del vicinato, era stato gran cacciatore fin che l'età, e la pinguedine l’avevan reso inabile ad ogmi altro esercizio, fuorchè a quello di cavalcare. sino al luogo ove si lan- ciavano i cani, ed a prendere valida. parte nella cena imbandita al ritorno dalla caccia. » « Il ministero di un tal pastore, mi rese imaphasie bile il volgere la mente a pensieri accomodati al luogo ed al tempo, perciò avendo, come molti altri deboli cristiani pg fare, transatto con la mia coscienza col gettar sovr’ altri la mia\colpa, mi occupai ad osservare i gruppi che m' erano intorno. » « Straniero in Inghilterra era curioso di conoscere le maniere della classe di buon tuono, e secondo.il so» lito trovai minor pretensione ove era dritto più incon» trastabile al rispetto. Mi colpì per esempio in special modo la famiglia di un gentiluomo di rango illustre composta di var} figli, e figlie. Vestiti con semplicità; e senza pretensione , veniano generalmente alla chiesa nell’ equipaggio più modesto, e spesso a piedi .. Le gio- vinette fermavansi cortesemente a conversare con Ja classe dei lavoratori, a carezzare i fanciulli, e ad ascol tare i racconti delli umili abitatori delle capanne . Il loro aspetto vago, ed ingenuo aveva una distinta, e no- bile espressione mista però ad una franca gentilezza ‘e ad un amabile affabilità. I loro fratelli erano ‘id’ alta statura, e.di ferme eleganti. Erano vestiti alla. moda con gran lindura, e proprietà, ma senza la minima ca» ricatura, 0 affettazione. Il loro contegno era sciolto, e x 255. maturale sparso di quella grazia dignitosa, e di quella nobile franchezza che annunziano un animo nato libero, e'che non fu mai compresso da un sentimento d’ infe- riorità. Vi è nella vera dignità una certa sicurezza che non teme il contatto, nè la comunione con altri comun- que inferiori, ed in basso stato, La sola finta grandezza, - e l'orgoglio mal conveniente son delicati, e sdegnosi. Era per me piacevole l’osservare il modo col quale con- versavano coi lavoratori intorno a quelle rurali faccende, ed.a quei passatempi campestri nei quali i gentiluomini di questo paese prendon tanto diletto. In quelle conver- sazioni non v’ era, nè alterigia per una parte; nè bas- sezza per l’altra, e potea conoscersi la differenza del rango solo dal rispetto abituale dei contadini. » « In contrapposto a questa vi era la famiglia di un ricco borghese , che accumulata una vasta fortuna, comprati i beni, e la dimora di un mobile di quei contorni impoverito, cercava d’assumer l’aria, e la dignità di un ereditario padrone di quella terra. La sua famiglia solea sempre recarsi alla chiesa en prince, tratta maestosamente in una carrozza tutta coperta d’ar- mi. Lo stemma principale brillava in argento in o- gni parte dei finimenti ove potea capirvi. Un grasso cocchiere con cappello a tre punte riccamente gallonato; e con una parrucca di canapa inanellata attorno alla rus biconda faccia, sedeva a cassetta avendo al fianco ‘un bel cane danese. Due servitori in magnifiche livree, con bei mazzetti di fiori, ed un bastone in mano con pomo dorato stavano dietro. La carrozza si alzava , ed abbas- sava cen particolare maestà di moto nel corso. Gli stessi cavalli mordevano il freno, inarcavano il collo, e gira» vano gli occhi in modo più altiero, che i cavalli comu» 256 nl, sia che partecipassero anch’ essi dell’ umoré della; famiglia, o che fossero più dell’ ordinario strettamerite: imbrigliati. » « Non potei che ammirare il modo cal quale q Hi sto splendido equipaggio venne ‘a fermarsi avanti all’in- gresso del cimitero della Chiesa. Un ibell’'effetto pro». clin la voltata maestra d’ un angolo del muro; lo scop- pio della frusta; il torcersi, ‘e lo:scalpitar dei cavalli; lo splendere dei finimenti, e lo strepitar delle ruote frai sassi. Fu quello il momento del trionfo; e della vana> ‘| gloria del cocchiere. 1 cavalli incitati ; e frenati nel tempo ‘stesso divennero spumanti; e si: misero al trotto saltando ; e gettando attorno» ghiaie ad ‘ogni passo. La gente pe villaggio» che andava ‘tranquillamente alla chiesa si ritrasse con precipitazione a destra e ‘a sinistra tutta attonita; arrivando all’i ingresso farono i cavalli arrestati così improvvisamente che fermatisi ad un tratto IR caddero‘indietro » . i Smontarono allora in gran fretta i servitori per' dui ‘gli sportelli, e preparar l'occorrente per la di- scesa in terra/dell’augusta famiglia. Il vecchio borghese messe îl primo ‘la pingue rubiconda faccia fuori. ‘dello sportello guardando attorno con ‘l’aria pomposa di un uomo avvezzo ‘a regolare il corso del cambiò, eda crollare il commercio de’ fondi pubblici con un cenno. « Ora che ho fatto il confronto delle due famiglie, convien‘dare qualche ragguaglio del loro contegno in chiesa. Quello della famiglia del gentiluomo era posato, grave, ed attento. Non che dasse segni di devozione, o di fervore, ma' mostrava quel rispetto per le cose} e per i ‘luoghi ‘sacri indivisibile dall’ uomo benì ‘edu- cato. Gli altri al contrario erano in un moto, ed in un marz mn ————@@ 257 bisbiglio continuo. Tutto svelava in loro la consapevo- lezza del bello abbigliamento, e la smania d'esser la meraviglia della rustica congregazione » « Il vecchio borghese era il solo realmente attento all’ ufizio. Ei si assumeva l’incarico della devozione di tutta la famiglia stando in piedi, e rispondendo alle preci con voce sì alta da empirne tutta la chiesa. Era evidente esser egli uno di quei devoti della chiesa, e del trono, che uniscono l’idea della pietà a quella della fedeltà; che considerano la divinità in certo modo come una parte della gerarchia governativa, e la religione unicamente come una cosa ottima per il buon ordine , e che dovrebbe perciò esser favorita , e sostenuta. « Unendosi a rispondere ad alta voce alle preci, vedeasi ch’ ei lo faceva per servir d'esempio alla bassa classe, e per mostrarle che sebben grande, e ricco era religioso ; in quella guisa appunto che ho visto un ben pasciuto Aldermano trangugiar pubblicamente una sco- della di minestra caritativa , assaporandone con com- piacenza ogni boccone, e ripetendo. » Che cibo eccel- lente per un povero! » « Terminato |’ ufizio volli osservare il fine della sce- na. I giovani gentiluomini, e le loro sorelle, essendo bel tempo preferirono di ritornarsene a casa vagando pe prati, e parlando con i lavoratori come al venire. Gli altri partirono pure, come giunsero, en grande pa- rade. La carrozza venne di nuovo all'ingresso; fuvvi lo stesso batter di frusta, e lo stesso scalpitar dei ca- valli, che si mossero quasi di slancio, obbligando la gente di nuovo a ritrarsi in fretta a destra, e a sinistra. Alzarono allora le ruote un nembo di polve in mezzo a cui rapita disparve l’eccelsa famiglia » p. 210. 212. Trovansi nei due volumi molte cose forse migliori T. 1I. Maggio 17 258 di queste, ma non possono facilmente estrarsi. Pet quanto era in noi abbiamo cercato di sodisfare al nostro debito verso il gentile, ed ingegnoso straniero che ci ‘ facciamo un pregio di avere presentato ai nostri letto- ri. È probabile però che alcuni di loro già il concedes- sero, giacchè sappiamo essere il suo libro per le mani di molti, ed abbiamo osservato ch’ egli stesso nel fine dell'ultimo volume parla in termini riconoscenti dell’in- coraggimento che ha ricevuto in Inghilterra . Ne godia- mo di cuore, tanto per amor suo che delle lettere. La maggior parte delle opere moderne, è troppo piena di contenzione, e di fiele; e poichè disgraziatamente si crede oggi impossibile il discuter questioni pratiche di grande interesse senza un certo grado di riscaldamento, e di personalità ; giacchè è divenuta opinione pur troppo predominante che sia quello il necessario corredo d'ogni vigorosa, ed energica discussione; e che nessuna opera possa esser ben ricevuta dal pubblico, o fare una gran- de impressione senza abbondarne; il successo di quella che esaminammo può servire a corregger questa falsa opinione, e ad insegnare agli altri scrittori che la gen- tilezza, e 1’ urbanità sono qualità che hanno attrattive almeno quante possono averne l’impetuosità, e l’ in- solenza, e che la verità non ha minor peso, nè meno persuasione , perchè non è spacciata con esagerazione; x e non è accompagnata da una disfida. T. N. B. A pag. 245 v. 32: avrebbamo, /eggi avremmo. SCIENZE NATURALI WIA:GGI SCLENTIEIGI ® Breve osservazione sull’ Isola di Madera fatta nel | tragitto da Livorno a Rio-Janeiro da Giusepre Rappr Fiorentino. L Brasile, quel vasto e poco conosciuto paese, avendo da qualche tempo richiamata l’ attenzione dei dotti europei, quindi è che varj di essi si sollecitarono a recarsi colà per raccogliervi prodotti d’ogni genere, ed arricchire la storia della natura con le loro osservazioni. Animato dallo zelo, e dal desiderio d’esser utile alla mia patria, nulla curando i rischj, e gl’incomodi, che un viaggio a si lontane regioni inevitabilmente ac- compagnano , mi recai io pure, mercè il favore segnala- to dell’Augustissimo nostro Imperiale e Reale Sovrano, a visitare e percorrere quelle ricche, deliziose e fertili contrade, le quali offrono al filosofo osservatore il più vasto campo di dotte indagini . Profittando adunque, sali favorevole occasione, che offrivami la partenza da Livorno di S. A. IL e R. I’ Arciduchessa Leopoldina d’ Austria pt Sposa di S.A. R. il Principe ereditario dei Regni del Por- togallo e del Brasile, m’ imbarcai il dì 13 agosto del 1817 sul vascello portoghese il S. Sebastiano, che faceva parte del convoglio che scortava la prefata Al- tezza Sua, e allo spuntar del successivo dì 15 si fece vela da liano con un vento di Nord-ovest. Il pri- mo di settembre si attraversò lo stretto di Gibilter. 260 ra, e agli 11 dello stesso mese si giunse a Madera, dove fù gettata l’ ancora per l’oggetto di rinfrescare i vascelli con, provvisioni da bocca e principalmente di carni, che già cominciavano a mancare; e la sera del successivo dì 13 ritornammo tuti a bordo per quindi proseguire il nostro viaggio all'opposto emisfero. Una sì breve e transitoria visita fatta in quell’iso- la non può, com'è nella natura delle cose, permettermi di dare una completa informazione della medesima, s0- rattutto rispetto ai suoi prodotti, al suo suolo o clima, e all'industria de’ suoi abitanti. Tutto questo allorchè contemplato da osservatori stazionar} , e in ogni possibi- le circostanza e variazione, se anche con una sagacità meno filosofica, deve tuttavia essere infinitamente me- glio conosciuto, e meno soggetto a quelli errori, che ine- vitabilmente accompagnano una frettolosa e momenta- nea osservazione; errori che solo dall’esperienza , e dalle replicate osservazioni possono essere corretti. Non è dun- que, che per indicare quelle poche piante raccoltevi, cammin facendo osservatevi, e far conoscere cai tal’ altra nuova, o non menzionata dai Botanici che vi hanno approdato, ch'io farò ora brevissima menzione della medesima. È noto che alcuni scrittori pretesero, che 1° Ame- rica fosse stata conosciuta dagl’antichi sotto il nome d’Isola atlantica, ed altri che quest’ultima . fosse un isola favolosa immaginata da Platone per rappresentare allegoricamente il governo d’ Atene; ed è noto altresì che i moderni tengono per verosimile, anzi da non met- tersi in dubbio l’antica esistenza dell'Isola atlantica nella parte occidentale del mare di questo nome dirim- petto alle così dette colonne d’Ercole, la quale, secondo ehe vien raccontato, spari, restando sommersa per un 2601 terremoto seguitato da una spaventosa pioggia, che , co- me narra Platone al Libro XXXII, durò un giorno e un'intera notte, e riguardano essi le isole Azzore egual- mente che le Canarie, come altrettanti frammenti di essa. Fra queste contasi Madera scoperta dai Portoghesi nel 1420, e dai medesimi denominata Madeira , per averla ritrovata interamente ricoperta di alberi, quasi che formando essi un solo ed unico bosco (d’ onde il suo nome), che nell’idioma portoghese dicesi Madeira. Volendo allora i Portoghesi diboscarla in parte all’ogget- to d’impiegare il meno tempo possibile, pensarono di appiccarvi il fuoco, il quale poi si estese tanto, e divenne tanto furioso, che incendiò l’intera isola, onde furono obbligati a refugiarsi su i loro vascelli per salvare la vi- ta. Dicono che quest’ incendio durasse per più di sette anni, e che le ceneri che ne risultarono resero in prin- cipio la terra oltremodo fertile. Esaminai, per quanto la brevità del tempo il permettevami, il suolo di quest’ isola, e lo ritrovai interamente vulcanico. Giudicando dagli strati basal- tici, che in parte formati sono di grosse colonne, 0 prismi a cinque o sei angoli disposti verticalmente quasi alla superficie di detto suolo, (come chiaramente si osserva in quella parte dell’ isola, che rimane al destro lato della città di Funchal , e precisamrnte die- tro il forte che difende il suo ingresso dal mare ) può veramente dirsi, secondo quello che pensa il sig. Pa- trin a riguardo della formazione di questa specie di basalte, esser 1’ intera isola nient'altro che il resul- tato d’una vera eruzione fargoso-pulcanica summari- na. Nella più gran parte delle lave vi si osservano presso a poco le stesse sostanze, che in quelle vesuviane 202! e dell’ Etna, delle quali l' Zdocrasio, o Vesuviano di? Werner è quello che più vi abbonda. È situata quest isola sotto. il 32" grado, minuti 37° 30” di latitudine settentrionale fra lo stretto di. Gibilterra e le Canarie, e sotto il 17°° grado e minuti: 05° 00° di longitudine O. di Greenwich. La sua forma: o figura è quasi triangolare; e allorchè è osservata ‘al di ‘fuori, essa non presenta che 1’ aspetto d’un ammasso di: colline e scoscese montagne. Ha per sua capitale Fr chal, residenza del VERO e del governatore, e capo- luogo di tutto il commercio che si fà da quelli isolani. Questa città è situata sul mare al mezzo-giorno dell’i- sola, ed ha il suo ingresso, o porto, se pur tale può chia- marsi, difeso da un forte fatto a guisa di torre quadran- solare, circondato dal mare, e distante circa un miglio dalla. spiaggia. Nelle vicinanze di detta città sonovi molte, ed amene case di piacere, nei di cui giardini coltivansi, mercè l’aria temperatissima di cui visi gode, molte piante statevi trasportate dalle Indie sì orientali che occidentali. Tali sono, per esempio l’ ana» nasso ( Bromelia ananas Lin.), il caffè (Coffea arabi- ca L.) la canna da zucchero, (Saccharum officina- rum L.) il Giambro (Eugenia jambos), la Murucuja, o Maracuja ( Pussiflora alata ), il Grispignolo ‘ameri- cano ESRRE pereskia), il Gua)ava (Psidium pyri- ferium Lin., Ps. Guajava NNob.)ec. ec. come pure mol- tissime altre piante da fiore, alcune delle quali vi sono ora cdlivenute spontanee, come il Nasturzio indiano ( ZYropaeo- lum majus Lin.), la Fuchsia magellanica (-Zchsia coccinea W. ) il Giglio bella dama ( Amaryllis bella- donna Lin.) ec. Di quest’ ultimo; vi se ne trova ora i sì gran quantità, particolarmente nelle siepi, che ira: = 205 gazzi ne fanno dei grossi mazzi per loro balocco, come appunto i nostri con i fiori dei prati in tempo di prima- ‘ vera. La Fuchsia vi si trova parimente nelle siepi, ed anche sui vecchi muri. Le vicine montagne sono altrettanto fertili quanto amena è la veduta, che le medesime offrono, essendo coltivate come le pianure. Da una di-detie montagne ha origine un sì precipitoso torrente, che sovente ca- giona delle inondazioni, le quali rovesciano e traspor- tano seco ponti , € case. La terra che le ricuopre è al- quanto ferrigna, ed è o interamente scura, o di un co- lore rosso-scuro; essa è il prodotto della naturale, e spontanea decomposizione della lava, e dei vegetabili che ivi si trovano. Sette, o otto sono i fiumi che ba- gnano l’ intera isola. Il suo prodotto principale è il vino; il quale ha la proprietà di divenir migliore, allorchè si espone al calore del sole: ed è principalmente quello, che forma la ricchezza di quelli abitanti. La vite vi è stata tra- sportata di Candia, e le vigne occupano la massima parte del terreno coltivato. Sono generalmente formate di pergolatidell’altezza di uno fino a tre braccia, secondo che lo riechiede la situazione, 0 esposizione delle mede- sime. Le viti che formano questi pergolati sono piantate alla distanza di circa due braccia l'una dall’ altra, e ‘ancor di vantaggio. Secondo le informazioni prese da quelli abitanti, vengono esse dai medesimi potate verso il mese di marzo, conformemente si pratica in Toscana. Dopo la fioritura tagliano tutti i tralci privi affatto di grappoli, ch’essi riguardano come inutili e piuttosto nocivi all’ingrossamento dei grappoli medesimi, facen- doli così subire una seconda potatura ; e allorquando i granelli dell’ uva cominciano a divenir grossi, e pros- 264 simi alla maturazione, lor tolgono ancora quasi la metà. delle foglie ad oggetto di mettere allo scoperto i grap-; poli suddetti, e per conseguenza in stato di liberamente ricevere l’ influsso dei raggi solari : così vengono a subire, ‘una specie di terza potatura. Tre, o quattro sono le sorte di vini, che queste viti somministrano . La vendemmia fassi ordinariamente da quegl’iso- lanì nei primi quindici giorni di settembre, quando però l’ uva sia ben matura. Il metodo che i medesimi tengono nel fare il vino è il seguente. Mettono l’ uva; già colta in un gran vaso o tino, dove la calcano tanto finchè ne sia interamente spremuto il sugo, il quale nel medesimo tempo passa da questo vaso in un’ altro, dove poi rimane finchè abbia avuto luogo la fermenta- zione, o, per servirsi della volgare espressione, la bolli- tura del vino. Questo vien di poi messo in otri formati ciascuno dell’ intera pelle d’ una capra, simili, presso a poco, a quelli usati dagli antichi Greci, ed in più luoghi d’ Italia per l’ olio : è in essi trasportato nei magazzini della città a quest’ uso destinati, dove il vino contenuto. vien versato in delle botti, che da quelli abitanti son chiamate pipe. Nel vino più debole sogliono allora ag- giungervi una piccolissima dose d’ acqua vite, affinchè regga alla navigazione, ed acquisti nel tempo medesimo una maggior forza . Vi si coltivano due specie di patate, una delle i quali è la zostra patata ordinaria, il più generalmente conosciuta sotto il nome di pomo terrestre ( Solanum tuberosum Lin.)la quale i tedeschi chiamano ancora con quello di Kartofel, che equivale a tartufo, per distinguerla dalla vera patata, 0 batata (Convolvulus batatas Lin.)da alcuni denominata Patata di Spagna, e da altri ancora Patata dolce. La prima fu trasportata 265. dalla Virginia in Europa nel 1584, e nel 1590 fu-de- scritta da Gaspero Baukino; la seconda, sebbene indi- gena in ambedue le Indie, vi si coltiva ancora per. mo- tivo del grand’ uso, che dai loro abitanti ne vien fatto, dalla quale preparano essi anche una farina per far pa- ne, ed una bevanda che chiamano Mobby. Questa stessa patata si coltiva ancora in Spagna, d’ onde il nome di patata di Spagna, e in altre parti dell’ Europa meridionale. Gl’ Indiani mangiano le foglie tenere di questa pianta cotte a guisa d’ insalata; e a Rio-janeiro fanno una specie di salsa densa, che nelle trattorie fan- no passare per spinaci ; Il Gichero egiziano o (Arum Micia Lin.) vi è pure coltivato, e piuttosto in abbondanza, per l’ uso ehe vi si fa delle sue radici, le quali vengono mangiate da quelli abitanti lessate, e condite con sale, e dai medesi- mi riguardate come un cibo sanissimo; /r/lame do Egipto è il nome con cui vi è conosciuta questa pianta . Tutte le cucurbitacee, leguminose, ed altre piante culi- narie ancora, che soglionsi coltivare in Italia, coltivansi pure in Madera, egualmente che la saggina, il majs e la maggior parte, o quasi tutti i nostri frutti; il paese somministra molti limoni, e arance. Il grano che vi si raccoglie non basta per il consumo delli abitanti, essen- do costretti per supplire alla mancanza di esso, e preve- nire la fame, di ricorrere alle isole Azzore, e all'Europa. Anche l’ America-ssettentrionale ne somministra loro. Fra le piante da fiori ivi coltivate V Mortensia merita particolar menzione sì per la quantità prodigiosa che vi è di questa bella pianta, come per il superbo color blù de’ suoi calici, color certamente dovuto alla qualità ferrigna di quel terreno. Le vie per le quali passar doveva l’ Imperiale e Reale Arciduchessa Sposa 266 erano coperte de’ suoi bei fiori, i quali vi erano stati sparsi in quella occasione . Ecco adesso una breve sistematica enumerazione di tutte quelle piante; che sono state da me ritrovate spontanee nella, per così dir, momentanea escursione fatta su quelle montagne, e che veramente come tali possono considerarsi, tacendo quelle che lo sono dive- nute dopo esservi state trasportate dall’ estero, è me- diante la loro propagata coltivazione, come di alcune abbiamo già sopra fatta menzione. Esse sono le se- guenti: CI. I. Monandria-Monogynia . Callitriche aestivalis. T'Wwuz//. P CI. II. Diandria-Monogynia . Veronica beccabunga. Lin. ———— Anagallis. L. Cl. III. Triandria—Monogynia. Cyperus longus. Tr. Digynia. i Piptatheram paradorum. Pal. de Beauv. Agrostis miliacea Gouan. Melica altissima. 7714. Holcus lanatus. Lin. Setaria glauca. Gaud. Panicum glaucum. Wi: «—— viridis. Roem. Panicum viride. Lin. ——— germanica. Roem. Panicum germanicum. 77. Echinochloa Crus Galli. Roe. Panicum Lin. Digitaria sanguinalis. Scop. ) glabra Roem. Dig. humifusa Pers. Briza media. Lin. Festuca bromoides. Lin: Glyceria fluitans. Roem. Festuca fluitans. Lin. Brachypodium pinnatum. Roéem: Bremus Lin. distachyon R., Bromus distachyos 2. polystachyoss Chaetaria adscensionis. P. de Beauv., Aristida Lin. Donax arundinacea: P. de B. AFaide donax. Lin; Arundo airaeformis. calycibus bifloris, panicula patente, floribus muticis, foliis inferioribus distichis laevis. /Vod. bi 267 Trovasi questa pianta lungo i torrenti, ed ha l' aspetto d'un Aira. Il suo culmo è sottile, leggiermente striato, scabro all’in- giù, e lungo circa due piedi. Le foglie inferiori del medesimo sono distiche, lineari, finamente striate, glabre .in ambe le parti, una linea larghe, con le loro guaine parimente glabre, le quali hanno all’ ingresso una brevissima linguetta ottusa appena visibile; le superiori sono un poco più tdehe;: e munite all’ ingresso della loro guaina d’ una linguettao membrana bianca minore di due linee, tronca, e alquanto lacera all’ estremità. Là pannocchia è lunga tre in quattro pollici ‘con rametti a metà verticillati, dei quali gl’ inferiori della lunghezza di un-pollice‘e mezzo fino a due. Le spighette comprendono costantemente due fiori circondati ciascuno da una peluria lunga, che nasee dalla loro base, e sono dette spighette sostenute da dei pedicelli conici, lunghi circa una mezza linea, e scabri egualmente che i rametti. Le plebe calicine sono ineguali, acuminate, trimervie;-e seabre all’ insù nella carina, o nervo medio. Le glume corolline esterne dei Horn sono perfetta- mente simili a quietio del calice. Andropogon hirtum. Lin. anima! Lolium tenue. Lin. Tr. Fryginia. Polycarpon tetraphyllum. Lir. CI. IV. Tetrandria—Monogynia. .Galinm lucidum. Allion. Plantago crispa Jacg., PI. crassa W. major. Lin. À ———— altissima. /2cg. sà ———— lanata. foliis lanceolatis “denticulatis, spica oblonga sca- poque a Vranig feo ira agri Nob.'aii PI irta ( ialis var ? - n ir K Questa CRESTA ‘pianta l’ ho trovata ancora sopra una'collinet- ta vicino a Firenze fra--il' monte de? Vecchi, e Careggi. Sembra differire dalla Piantagine del monte S. Vietor ( Plartago victor- talis) per avere te sue foglie interamente ricoperte da una lana piuttosto folta, lunga e NOR mentre in quest’ultima ‘esse sono lineari (SAFE e semplicemente pubestenti: Gli scirpirella nostra sono decisamente e costantemente angolati, g gli angoli dei quali il più delle volte non oltrepassano il'numero! ‘diiquatiro. Cl. V. i San Myosotis palustris. Roth. ® 268 Echium vulgare. Lin. Convolvulus arvensis. L. —— althaeoides. L. Physalis aristata. Ait. Solanum pseudo-capsicum. Lin: nigrum. Lin. pseudo-lycopersicum. Jacg: Hagea teneriffae. Pers., Polycarpea. Lam. Cynanchum vincetoxicum. Pers., Asclepias Lin. P. Digynia. Chaenopodium viride, Lin. ————————————< @botrys. Lin: —— lambrosioides. .L. —————— wulvaria. L. Anethum foeniculum. L. P. Trigynia. Rhus semialatum. Murr. Tamarix africana. Des Font. P.Pentagynia. Statice alliacea. Cavan. Cl. VI. Hexandria—Monogynia. Agave americana. Lin. Juncus effusus ZVi//d. aquaticus. Pers. bufonius. Li. _ Hex. Polygynia. Alisma Plantago. Lin. CI. VII. Heptandria—Monogynia. Epilobium montanum 5. pubescens. Nob. i Differisce dall’ Epilobio montano di Linneo per esser soltanto pubescente in tutte le sue parti. Cl. VIII. Hept. Trigynia. Polygonum aviculare. Lin. CI. IX, Enneandria--Monogynia . Laurus nobilis. Lin. —_—— indica. Lin. CI. X. Decandria-Monogynia . Trihulus terrestris. Lin. Arbutus unedo. Lin. Clethra arborea. Ait. EA I n — ——- 26 D. Digynia. Gypsophila perfoliata. Lin. ? Dianthus prolifer. Lin. : D: Trigynia. Cucubalus Behen. Lin, Arenaria verna. Lin. — alsinoides; foliis ovato—lanceolatis basi attenuatis cilia- tis, caulibus longissimisramosis prostratis glabris quadrangu- laribus, pedunculis axillaribus 1—-3 floris, floribus apetalis. Nob. 'Trovasi questa pianta in abbondanza sul letto arenoso dei fiumi non molto lungi da Funchal . Il suo caule sorpassa la lun- ghezza d’un piede, e non di rado giunge fino a un piede e mezzo, è quadrangolare, ramoso, glabro e quasi sempre prostrato a terra. Le sue foglie sono opposte, ovato—lanceolate, ciliate verso la base, cioè dalla metà in giù, dove spesse volte sono così ristret- te, che sembrano peziolate. Dalle ascelle delle foglie sortono i fiori, i quali or sono solitarj, or due sostenuti da un pedun- culo comune, e qualche volta ancora tre, ognuno dei quali è composto di un calice di cinque foglie lanceolato—acuminate , e quasi trasparenti, con tre nervi longitudinali dello stesso colore delle foglie, dieci stami dei quali i filamenti son piani, e allar- gati alla base o inserzione loro di maniera che compariscono quasi) formare un sol corpo; una cassula ovale, e liscia, sormontata da tre stili curvati esternamente, la quale poi si apre in sei valve, allor che è matura. I peduncoli che sostengono questi fiori son muniti ciascuno di due brattee quasi simili “alle foglie che com- pongono il calice . D. Pentagynia. x Sedum dasyphyllum Lin. Oxalis corniculata Lin. Spergula saginoides Lin. CI. XI. Dodecandria—Monogynia. Portulaca oleracea Lir. Lythrum hyssopifolia Lin. D. Disynia. Agrimonia Eupatoria Lin. D. Trigynia. Reseda luteola Lin. 27 Q Cl. XII. Icosandriz4Monogynia: Cactus opuntia Zin. i Myrtus communis Lin. v. lusitanica. Pers. mucronata. Pers; Punica granatum Lin. I. Pentagynia Aizoon canariense Lin. Pivs I. Pentagynia Rubus fruticosus Lin. B. tomentosus W: Geum urbanum Zir. } CI. XHI. Polyandria—Polygynia Clematis vitalba Lin? Ranunculus repens. Zi. CI. XIV. Didynamia-Gymnospermia Ajuga reptans Lin. Teucrium betonicum £.” 29 301 ‘stampe di Venezia? Non patrà certo tenersi in conto di buona ed accurata quella prima, che ivi fu fatta nel 1537. da Bartolommeo Zanetti Casterzagenze per opera di Jacomo Fasolo ; la quale sebben dicasi riveduta e corretta da Antonio Brucioli, è tuttavia scorrettissima, come ognuno al primo aspetto può rilevare. Nè dissimile da questa si è la seconda impressione fatta eseguire da Filippo ed Jacopo Giunti, parimente in Venezia nell’anno 1559., sebben si affermi, che fu rivista sopra antichi Testi, ed emendata da Remigio Fiorentino; poichè, se veramente così fosse avvenuto, non si sarebbero poi indotti i Giunti medesimi , quasi disgustati della stampa veneta, a procurarne una nuova edizione nella stessa loro Stamperìa in Firenze l’anno 1587. la qual dedica. rono al Senerissimo Granduca Francesco Medici, dichiarando solennemente nella loro Lettera, dedicatoria. che. se Toscano scrittore desideravasi puro’ e purgato, egli era Giovanni Villani, villanamente lacero dalle Stampe. Ebbero perciò ragione gli Accademici della Crusca .quando per l'uso del Vocabolario preferirono a qualunque altra 1’ Edizione surri- ferita del 1587, come quella che dal loro giusto discerni- - mento e profondo sapere fu riconosciuta la più emendata e corretta di quante fino allora erano uscite alla luce. Or dunque in questa edizione appunto si legge sempre Abao del popolo, e non balia del popolo. (1) Egli è poi ancor da notare; che nel secondo esempio, letto così come sta nell’Edizione Muratoriana ,, I Capitani di Genova, e la Balia del popolo, e la Podestà in pieno parlamento ri- nunziarono la loro balia, e signorìa.,; moltissima incon. gruenza si manifesta, perciocchè vi si trova, usata dopo brevissimo intervallo, la voce dala in due sensi affatto. diversi; voglio dire, la prima volta.in significato di Magi- strato ; 0 Congregazione d’uomini d’antorità , e di governo, e la seconda in senso di superiorità, e di possanza. Ma | prescindendo da tutto. questo, egli è da sapersi ancora, che la legittimità della voce Aba0 vien confermata egualmente dai seguenti autorevolissimi documenti. 302 Nel famoso Testo a penna che fu di Bernardo Davanzati } e che ora conservasi nella Libreria Riecardiana, il qual Testo ha il bel pregio d’essere stato fatto copiare nel 1377. da Matteo Villani, figlio del nostro storico, e probabilmente dal suo ori- ginale, siccome vien dichiarato in una Nota di mano di esso Matteo posta in fine dell'opera, ivi, dissi, in ambedue gli esempj soprallegati leggesi 4520. Così pure in cinque Testi a penna, che sono nella Libreria Laurenziana nel banco 62. segnati di numero 1. 2. 3. 4. 5. scritti nel secolo XIV., in alcuni si legge Abae, in altri 46au, o Abajo, ma più frequentemente 4da0. Nel solo Testo segnato di numero 3. che è di meno antica scrittura, soltanto nel primo esempio trovasi scritto Abar, e nel secondo Balìa, il che dimostra abbastanza che l’errore trasse origine dall’ ignoranza del co- piatore, che non intendendo il significato della voce 4600, la convertì in balia; e questo sbaglio per la stessa ragione sì propagò poi in altre Copie, e da alcuna di queste nell’Edi- zione del 1559. Ma oltre ai Codici surriferiti, è da aggiu- gnere ancora l'autorità di un preziosissimo esemplare delle medesime Storie di Giovanni Villani, stampate in Venezia nel suddetto anno 1559., i di cui margini sono pieni di Correzioni e Varianti tratte da più Testi a penna, e segnata> mente da uno assai antico, che fu compiuto di scrivere il dì 23. di Febbrajo dell’anno 1392. da Benedetto di Banco degli Albizi, e queste Correzioni e Varianti sono tutte di mano di Vincenzio. Borghini, il che basti aver detto per dimo- straré in quanto prezzo esse siano da tenersi. Or dunque, poichè in questa ‘edizione del 1559. si trova per la prima volta introdotto ‘l’errore balla del popolo, il Borghini ivi notò, che in alcuni dei Codici da lui confrontati era scritto Abai, ed in altri Aba0, e non mai daita. Ma senza ricercare più oltre le testimonianze delle migliori antiche scritture, il fatto stesso del Governo 'deî Genovesi, che in quei tempi reggevasi per mezzo del Podestà , de' Capitani, e di un Tribuno popolare, detto appresso di loro l Aba0, ol’ Abate del popolo, ( perciocchè Abao, j 1 i Ri. 303 in quel dialetto viene a. dir Jo stesso che Adaze ) dichiara legittimo e vero un tal vocabolo, dal nostro Villani assen- natamente adoperato , e scritto in quella guisa appunto , che nelle loro Terre si pronunziava, per indicare, che l_Adao det. popolo era grado ed ufficio proprio di quelle genti . (2) In conferma di ciò ecco alcuni passi tratti dagli annali di Genova , raccolti da Agostino Giustiniani Genovese , Vescovo di Nebio, e pubblicati in Genova stessa fino dell’anno 1537. In essi. a pag. 116. tergo si legge. ,, L’anno di mille trecento nove, il Capitano Bergamo. ( Dovia ) fu vitupe- rosamente lewato dal reggimento della terra, et detenuto prigione nel palazzo del comune, dove faceva residenza Vl Abbate del populo. Ed alla pag. 118. tergo, sì trova ,; gridando ad alta woce, morano , morano i traditori della Repubblica: e furono condannati per li Capitani, per lo Podestà, e per l’ Abbate, senza pietà alcuna a crudelis- sima morte. ed a pag. 124. tergo si trova quanto segue. ,, La terra quasi si divise in nobili et in populari, et malloni in la contrada di s. Giorgio alzorono la bandera, et bar- rorono le vie, et l Abbate del populo alzò la bandera in san Lorenzo con moltitudine di populari. Così pure alla pag. 128. si legge ,, // vigesimo giorno di settembre furono eletti vinti uomini di Genoa, ct delle tre valli per fare I° elezione dell’ Abbate. A queste sufficienti testi- monianze chi volesse altre aggiugnerne, veda il sopra citato Dizionario della Lingua Italiana, alla voce Abate, ove tro- verà confermata da diversi esempj, tratti da quei dotti Com- pilatori dal Volgarizzamento delle Storie di Genova di M. Uberto Foglietta, fatto dal Serdonati, la verità di quanto sopra fu esposto . Nè: presso i Genovesi soltanto il Vocabolo Abate ado- peravasi in significato di Capo ec. ; ma egli era in uso ancora in alcune parti della Toscana, siccome rilevasi da una bel- lissima testimonianza, somministrataci dal dottissimo nostro Cocchi nel suo Zyvattato de’? Bagni di Pisa. Riportando egli a pag. 382. in una lunga nota, i Capitoli degli ordini “ ) 304 da osservarsi alli bagni di Pisa, posti in piè del monte S. Giuliano, Comune d’ Asciano }' trascritti dal Libro di Bandi in corte del Commissario di Pisa, nel paragrafo V. dei medesimi leggesi quanto ‘appresso . ,; Che tutte'te per- sone piagate di brutte piaghe, ‘o altri brutti mali; nom possano entrare nelli bagni coperti, nè sotto. le coperture che sono in essi bagni, senza licenza dell’affittuario del bagno, o di quello che li bagnajoli faranno loro capo, che chiamano Abate, ma stiano separati dalli più sani ne’'mede- simi bagni, sotto la medesima pena applicata come’ sopra. Questo Bando è del 12. ‘Giugno 1597. ed ‘in esso il Gran- duca Ferdinando I. intese di rimettere in osservanza i vec- chi Statuti concernenti quelle celebri Terme allor decadute dall’ antichissima fama e splendore. Le quali cose tutte ‘assai chiaro dimostrano , che nei due esempj del Villani allegati dal Vocabolario della Crusca la voce 4840; è legittima ce sincera, nè debbe convertirsi; come altri opinarono ; nella voce Balìa. wi, NbO T.E (1) Quanto sia più corretto il testo del Villani nell’Edizione del 1587 di quel che sia in quella del Muratori, particolarmente nel primo dei due esempj che formano il soggetto di questa osser- vazione, può dedursi dal paragone. Ecco pertanto l’ intero passo del nostro Storico, riportato più distesamente ‘secondo il contesto di ambedue l’ Edizioni. Bidizibne:del Giunti del 1587 Lib. IX. cap. 89. . E pochi dì appresso que’ della casa d’ Oria con l’ajuto delli altri usciti, feciono un’ altra oste alla città del Bingane nella riviera di Genova, e quella heh- bono in pochi giorni a patti. Appresso stante la detta oste a Edizione del Muratori Lib. IX. Cap. 88. i Et pochi dì appresso quelli della casa d’ Oria con l’ aiuto delli altri usciti, feciono un’al- tra hoste alla città di Albignano nella riviera di Genova, et quel- la hebbono a pochi giorni a patti. Appresso stando la detta Er Genova, messer Adoardo d’O- ‘ ria tenne trattato con l’ Abao del popolo di Saona, e dentro (leggi ed entrò) nella detta città di Saona di notte celatamente e incontanente colla forza de’ Ghibellini, della terra, che la maggior parte erano Ghibellini si rubellarono la terra, al comu- 305 hoste a Genova, messer A doar- do d’Oria con la balìa del po- polo di Saona, di notte celata- mente, et incontanente con la forza dei Ghibellini della terra, che la maggior parte era di parte Imperiale, si rubellarono la detta terra al comune di Ge- nova del mese d'’ aprile. ne di Genova del mese d’aprile. (2) Ella è cosa degna d'osservazione, come il vocabolo Abate in senso di Capo, e simili siasi nel caso nostro ravvicinato a quello che ebbe nella sua antichissima origine. Nella Lingua-Ebraica in fatti, egualmentechè nell’Araba, ed in altre dell’ Oriente 48 signi- fica padre naturale. Lo stesso vale la parola 450 nella Siriaca, ed Abba nella Caldea, secondo la forma enfatica, perchè nella forma semplice dicesi Ab, Dal significato proprio passando in processo di tempo al figurato, dagli Scrittori evangelici si adoprò irì senso di padre spirituale, capo, guida, e simili; e dall’ 420 de’ Siri, o piut- tosto dall’ Abba dei Caldei (poichè al tempo di G. C. è sentenza dei dotti, che dominasse nella Palestina il dialetto Siro-caldeo) ven- ne l’ A667 dei Greci, e quindi l’ 4%bas dei Latini. CORRISPONDENZA. All’ Editore dell’ Antologia è stata in questi ultimi giorni indirizzata la seguente lettera, sottoscritta Druso . SIGNORE To porto opinione che non debba dispiacere al dotto autore dell’ Appendice critica riportata nel T. I. dell’ Antologia pag: 323 e seg. se io, al par di lui toscano, avvertirò una sua leggiera inesattezza, prima che altri di fuori ne lo incolpi come di grave fallo. Io penso questa esser carità fraterna; e oltre a ciò la vera via onde impedire, che per T. II. Maggio 20 306 malevoglienza e per gara altri accusi tutta una nazione per l’error di un solo, come avvenir può allorchè niuno dei snoi se ne mostri accorto . Alla pag. 337 in nota egli corregge il Raynouard ove dice, che i letterati italiani per scrittori del trecento inten- dono quelli che hanno scritto dal 1301 al 1400; ed aggiuna- ge: i che non è vero. Pel trecento (in questo senso) gl italiani intendono lo spazio che corre dal 1200 al 1300. Pure questa espressione, ch’ ei nota come viziosa nel Ray- nouard, tale non gli parve nella scrittura del conte Perti- cari intitolata: Degli scrittori del trecento, comecchè in quella non si parli se non di scrittori dal 1300 al 1400, cioè del secolo decimoquarto ; e senza notarvi errore cita due volte il conte Perticari, che parlando della Cronaca Or- vietana dice: scriveva nella metà del trecento: e parlando di Ugolino d’Azzo: dicono che vivesse prima della metà del dugento. Eppure è manifesto che in questi due casi per metà del dugento intendeva il 1250 o quel terno, cioè metà del se- colo decimoterzo; e per metà del trecento la metà del secolo decimoquarto, cioè intorno al. 1350: laddove l’autore dell’Appendice crede a torto che scrittori del.trecento sieno quelli che vissero dal 1200 al 1300, cioè nel secolo deci- moterzo. Infatti, a pag. 337 rammentando il Passavanti dice, che egli prese a ridurre in iscritto le dottrine da lui predicate in Firenze; argomento evidente che il popolo del decimoterzo secolo intendeva benissimo ec. Ma il Passa- vanti, scrittore del trecento nel senso in cui lo intendono il Raynouard, il conte Perticari e i letterati italiani, scrisse nel secolo decimoquarto; nè si poteva fare intendere al popo- lo del secolo antecedente. Dante, il Petrarca, il Boccaccio, il Passavanti, il Cavalca, il Sacchetti ec. e tanti altti che sono tutti chiamati Scrittori del trecento fino da’ tempi di Lionardo Salviati, che scrissero dal 1300 al 1400, cioè nel corso del secolo decimoquarto, giusta la correzione fatta dall’ autore dell’ Appendice al Raynouard, sarebbero tutti 307 scrittori del 400: laddove Fra Guittone, che fiorì verso il 1250, sarebbe scrittore del trecento . Ma di me medesimo quasi meco mi vergogno pér èssermi . occupato in sì lieve cosa, in dinotare cioè un piccol néo trovato in uno scritto ubi plurima nitent. Ma me ne scu- si, torno a ripeterlo, il desiderio che da altri nou si pen sasse che tutti i toscani, letterati è illetterati, accademici e non accademici, avessero la stessa erronea opinione dell’ ai- tore dell’ Appendice. DRUSO . L’autore dell’ Appendice critica, alla quale si allude, si dichiara gratissimo alla gentil persona, che stese quello scritto. E quantunque la contraddetta osservazione fosse da lui fondata sul riflettere: Che nella mente degli stranieri ed anche nostra s’ingenera confusione dallo annoverar che si fa, a cagion d’ esempio, indistintamente tra gli scrittori, detti Trecen- tisti, Fra Guittone d'Arezzo e Guido Cavalcanti, egual- mentechè Franco Sacchetti e Agnolo Pandolfini, venuti al mondo più di un secolo dopo ; ° Che il secolo XIII. incomincia còl 1201, e termina col 1300; e che, qualor si prescinda da un errore di con- venzione invalso , non si potrà addur mai una giusta ragione, onde chiamar si debba scrittore del 1300 ùno che nacque nel 1380, egualmentechè un altro che venne in luce nel 1220; 3.° Che per la ragione dell’ ptt trecentisti quégli scrittori che nacquero dal 1300 al 1400; si dovrebbono chiamar secentisti gli altri che vissero dal 1500 al 1600 ( come, per esempio, il Casa ed il Caro, nati nel 1503, e 1507 ); dovechè si conoscono in sable sotto il nome di cinquecentisti ; Tuttavolta, l’osservazione fatta con sì bel garbo e con tante autorità dal Sig. Druso aggiunta a simili altre; udite dalla bocca d’alcuni di non ispregevol giudizio e dottrina, 308 induce l’autore a. credere, che quella nota non coincida con ciò che letterariamente s'intende; e la riterrà per non fatta. Così quelle persone, le quali erano sì travagliate dal desiderio di saper chi fosse l’ autore dell’ accennata scrittura , saranno almen paghe di questo; cioè, esser egli un uomo, che quanto è lungi dal darsi affanno delle vili contrarietà, è altrettanto pieghevole a quello che ha sembianza di opi- nion generale, benchè forse non fiancheggiata da tutte le circostanze del vero. LETTERATURA POESIE DI LUIGI BORRINI Molti sono al presente, cui la poesia non piace se non è romantica. Il qual epiteto, benchè nol definiscano tutti ad un modo, pare a me che significhi persieri esa- gerati, ed espressi con esagerate locuzioni. Infatti se i nostri poeti traggono i loro pensieri dalla natura, e se gli esprimono come si conviene all’ indole dell’ idioma; le loro poesie chiamansi italiane. E non si darebbe ad esse un altro generico epiteto, se non si disviassero dalle nostre scuole per attendere a forestiere discipline. Il che, quando accada, e appresso quali poeti, non posso ora disaminare. Bensì dirò che non vi è tenero affetto o sublime sentimento, il quale non si possa naturalmen- te esprimere colla nostra poetica favella. Ed ecco in- tanto un nuovo esemplo di poesie grate ed affettuose, conceduteci dal Borrini; che essendo studioso de’ classici italiani e latini, sa ben moderare la sua fantasia, affinchè 309 Italia da’ romantici divide. farci simili doni, per offe- non passi quel confine che 1° Speriamo ch’ egli continui di rirgli noi a’ nostri lettori. * è. 0. In morte di . Perduta lei che alta M° era a soffrir la vita, Cessino i giorni miei, Deggio morir con lei. Non varca il pigro stagno Priva del suo compagho Alma d'amor soggetta ; Stà sulla ripa, e aspetta. Nella selva dei mirti . Sempre indivisi spirti Più libero tenore Eseguirem d’ amore . A quelle sedi ombrose Dell’ anime amorose Non fia discesa avanti Coppia simil d’ amanti . Perduta lei che aita M°era a soffrir la Vita, Cessino i giorni miei, Deggio morir con lei. Stesso argomento Dafne rividi sulla nuova erbetta Sedersi in ri Piegava 1 fior D’ amor pens pa d’ un ruscel, che umile coll’ onda al bel sedile 3 osa, e, come fea, soletta. 310 L’ aure e l’acque godea semplice e schietta, D' abito e di beltà così gentile, Come la rosa in sul mattin d' aprile, Che d’ esser colta dalle ninfe aspetta . M' appressai, mi conobbe, e tinta il viso D’amabil ostro, e di pietosi. rai Negli occhi ardendo, mi scoverse il riso . Tanto amorosa non la vidi mai; Deh che non fui del corpo allor diviso! E in sì soave sogno io non spirai! Stesso argomento Tu pur giungesti innanzi tempo a sera Chiesta dall’ orco, e non ti valse il pianto, Dafne, e sei tratta sulla barca nera Leve, e spedita del tuo, fragil manto; Sol per lui lamentando all’ empia e fera, Che gode e ride del crudel suo vanto, E per me, lasso, e per la fè sincera, Che mi giuravi nel morirmi accanto. Ma deh fa cor, ti sottometti al fato; E poichè il Ciel ne discompagna, addio; Varca tra l ombre a più tranquillo stato . Ivi attendi vicino il venir mio; Odo la morte col flagello allato; Non bever l’ onda dell’ eterno oblio . Al Geranio Dolce nella memoria Sempre mi fosti, e sei, Geranio; a te ritornano dii Teneri i pensier miei; Sol ch’ io ti veggia; Y animo Sento ringiovanir. Che t’ incontrai su mobile Petto spargendo odore, Congiurato ad accrescermi L’ acuta gioja al core, Gioja che il sen di Cipride Non può simile offrir ; Quando, l'alba fiorendomi Del quarto lustro in viso, La prima volta il bacio D’ un disiato riso Fecemi alfin' comprendere La meta dei sospir. Come poscia dall’ animo Lunge non t’ ebbi mai, Tal meco ognor sugli ultimi Dì cadenti sarai; Per ricordar, mirandoti, Quel bacio, e poi morir. Per malattia di. . .). Quella guancia gentil, che invidia fea Al fior che nasce a ghitlandar l’ aurora, Invidia ai giglî che la valle Idea Nodrisce ai baci, e al carezzar dell’ ora, Priva del suo vigor che la reggea, Languida, abbandonata or si scolora, E tuil vedi, e twil soffri, ingiusta Igea, E ancor tuo nome in Siclon s’ adora ? 312 Se di ridenti giorni aurea catena A tal non tessi ch’ ogni merto avanza; Qual mai sugli sentir cura terrena ? Placati; e l’ idol mio, com'è l’ usanza, Chioma offrirà che il santo lauro affrena; Tu sai ben che in altrui non ho speranza . VISIONE Ombra chi sei, che a fronte Mi surgi, e torva guati? Del povero orizzonte Notte ha i color velati; E tudi grembo ai tufi Emergi, ombra terribile, — Salutata dai gufi . Quanto coll’ ampie membra Prendi dell’ aer nero! Lenta procedi, e sembra Teco l’ inferno intero Quando, movendo il ciglio, Piovi l’ infausto raggio Come bragia vermiglio. Onde movesti? e quale Mi rechi atra ventura ? La forbice fatale | Già vuolmi ostia immatura ? A qual dei Stigj Dei Per voti non placabile Spiacciono i giorni miei ? Teco alla prora bruna Verrò così dolente ? Senza un conforto, e niuna Ù Y 313 Lacrima, e niun presente ? Tanto col Ciel peccai Che non abbia a cui volgere In sulla morte i rai? Sospendi, oimè, sospendi; Torna al dolor penace ! Ma tu non odi, e stendi L’adunca man rapace ...... Già mi ghermisci . ...oh Dio!... Stringesi il core, e gelasi . ... Scendo all’ eterno oblio . BELLE ARTI ‘Annuaire de l° école francoise, ec. Annuario della scuola di pittura, o lettere sull’ esposizione del 1819 del sig. Kerarry. Parigi 1820 un vol. 8.° presso Maradan. o L opera del sig. Keratry intitolata Annuario della scuo- la francese di pittura, o lettere sul salone del 1819, quan- do anche fosse priva delle bellezze che l’ adornano, merite- rebbe per la materia, della ama tratta, di sopravvivere all’ autore; ma quest’ onore più di ogni altra cosa glie lo assicura l’ eleganza dello stile, la sodezza dei ragionamenti e delle ili, e sopra tutto la filosofia che in essa pri- meggia. Non sarà pertanto discaro se in brevi tratti mi adoprerò di esprimerne i pregj, che maggior lustro ricevono dai pre- cetti concernenti le belle arti, dei quali 1’ opera abbonda. La somma erudizione ond’ è piena la prefazione, vor- rebbe che se ne offrisse 1’ intero volgarizzamento ; la qual prefazione tutta si rivolge a consolidare la verità di questo assioma . « Quando un popolo si occupa solamente di tenuità 314 deprime e snerva le arti, le quali influendo sopra î costumi, tutta corromporo e spengono la nazional dignità. » Il sig. Keratry incomincia l’ opera svolgendo assai dot- tamenté l’origine delle arti imitatrici, fra cui vuol egli, ed a buon dritto, che prima sia la composizione teatrale ; a cui pone d’appresso la pittura, ce per essere, come egli dice, più imperfetta, in quanto che si restringe ad un solo istante benchè si adoperi a farne divisar quanto e lo precede e lo se- guita. Le più volte l’azione non è che accennata ; e si compie dalla immaginazione o dalla memoria. » In seguito l’autore passa a narrare i progressi delle belle arti in Francia; ne segna esattamente le differenti età, e spiega accuratamente quelle ragioni, che dalla loro quasi total decadenza le hanno di volo portate alla presente grandezza. Sul finire di questa parte del suo libro il sig. Keratry annunziando l’ imparzialità dei suoi giudicj, accenna la ca- gione per cui farà cadere la lode, o il biasimo più sull’in- sieme, sull’espressione, e sul disegno, che sul colorito. c Un artista non è padrone di colorire com’ e’ desidera, ma quan- to glie lo consente la naturale disposizion de’ suoi occhi, È il colore per il pittore ciò che è la voce per il cantore, cioè un dono della natura, che solo ei può regolare». ce Se alcuna cosa può rassicurarmi sulle opinioni an- nunziate , ella è certo l'approvazione che s' ebbe da molti ragguardevoli artisti, ad onta della sevérità con la quale ho trattato qualche parte delle loro opere» così egli chiude la prefazione, della quale io non ho fatto che adombrare lo spirito DD. » To non conosco quasi alcuno dei nostri artisti: non appartengo a nessuna scuola: non ho gradi da distribuire. Non si conviene a me di far prevalere il David al Guerin, il Girard al Girodet. Non si desidera sapere, se il tal mae- stro è monarchico, se il tale altro è indipendente, ma se il quadro, che cercherò di presentare ai vostri occhi è bene immaginato, se il suo tuono è vero, se n'è puro il disegno, 315 se n’ è l’espressione nobile ed animata. Non mi brigo del resto: ove m' inganni avverrà per non aver saputo far me- glio ».. Con tali principj altamente nella prima lettera esposti si pone il nostro autore all'impresa. « Mia guida, altrove egli dice, sarà il sentimento. Ei che rivela non i segreti dell’ arte, ma i successi o gli errori suoi, ei che insegna al più oscuro operajo a fermarsi avanti a ciò che oflre un principio di vita, che brilla di verità, che parla il linguaggio del cuore, ei che gli ordina di trapassare là dove le con- venienze sono ‘obliate, che lo ammaestra a punire di uno spregiante sorriso l’ affettazione delle grazie. Le sue nozioni sono quasi sempre giuste, perchè inspirate, non meditate ». Parlando della Grecia, e del Lazio, rapito dalla subli- mità del soggetto, l’autore inalza il suo stile; ma con somma grazia si scusa di tal trasporto così per questo, come per altri argomenti dicendo: cin qualche circostanza trattando dei soggetti della nuova esposizione farò pure che il mio stile si animi non potendo esprimere freddamente le impres- sioni destatemi o dallo spirito dell’ artista, o dall’ impazienza prodotta dalle sue dimenticanze, e forse da’ suoi traviamenti». Tralasciando la seconda lettera, che sebbene piena di bellissimi tratti è totalmente estranea al soggetto, per con- tenere © rimproveri ad artisti che nulla esposero, o elogj a coloro che nelle opere esposte si sono segnalati, ed una rapida occhiata sulle produzioni delle arti, e dei mestieri, che sono state presentate al pubblico, passeremo alla terza in cui l’autore parla primieramente della statua in bronzo rappresentante Enrico IV. modellata dal sig. Raggi, e get- tata dal sig. Carbonneau. Egli tributa: alla medesima elogj che sembrano ben dovuti sì alla scelta della mossa, come. all'esecuzione, e quindi passa al quadro rappresentante il naufragio della fregata la Medusa, opera del sig. Gericault. ce Non basta, ei dice, ad un artista il saper comporre un soggetto, distribuirne le masse, disegnarne abilmente le fi- gure,, e variarne l’espressione, nè basta il mostrarsi abile 316 colorista; bisogna soprattutto che sappia sceglierlo. Io vi do-. mando, o amico, se una ventina di disgraziati abbandonati sopra una zattera in balìa della fame, di un cielo inclemente, e della discordia più ancora funesta, è un bell’ argomento per offrir al pennello l’ occasione di esercitare i suoi talenti ? Se lividi cadaveri, stesi su mal commessi travicelli; se la contrazione muscolare di altri esseri che non mostrano di avere più vita dei primi se non perchè stanno tuttavia in piedi; se le angoscie di qualche marinajo immerso nelle acque salse che lo corrodono, se la privazione del necessario alla vita sono soggetti da presentarsi ai nostri sguardi, e tali da cattivarsi la nostra attenzione? Al più mi sembrano motivi a qualche dotto studio, e bisogna confessare, che sotto que- sto rapporto il pittore di questa disastrosa scena merita elogj: ma come si è egli potuto darsi a credere, che muscoli cru- damente sentiti, ed attitudini disegnate con un arte, che non saprebbe nascondere la durezza, facessero superare il disgusto che deriva da una spiacevole uniformità di tinte, di forme, di gesti e fino a uncerto punto anco di espressione, perchè tutto nasce da uno stesso e solo dolore? Così egli non ci ha offerto che un tetro chiaroscuro, ove sembra che la morte abbia riunito in piccolo spazio alcune vittime che non se le possoo più torre ».. ce Il momento preso dall’ artista è quello appunto che bisognava evitare. Egli si è deciso a rappresentare la zat- tera dei naufragati della Medusa dopo il loro tristo abban- dono in mari deserti, nel tempo che aveva l’ arbitrio di pre- sentarceli, o quando l’accetta fatale troncava i cavi, che gli tenevano attaccati alla scialuppa della fregata francese, o quan- do l'equipaggio di un brigantino inglese venne a sollevarli dalla loro miseria. Una di queste due posizioni meritava al certo da lui la preferenza, ed il suo talento possedeva quanto abbisognava per cavarne un miglior partito; in quanto che nella prima lunghi tormenti non avendo impresse tracce uni- formi di dolore su i suoi personaggi avrebbe potuto meglio variarne le espressioni; nella seconda i marinari del brigan- 317 tino, che avrebbe mescolati con gli altri della zattera gli avrebbero fornito contrasti ed opposizioni sempre preziose nei quadri di questo genere ». Tali precetti, uniti ad alcune altre osservazioni, formano la critica di quest’ opera, l’autore della ‘quale viene però distinto col nome di eccellente disegnatore . Le Danaidi del sig. Mauzaisse, ed i cappuccini della piazza Barberini opera del sig. Granet, occupano con giuste lodi, e sagge osservazioni il resto della terza lettera . Gli elogj ad una quantità. di opere del sig. Orazio Vernet, fra le quali tiene il primo luogo il quadro rappre- sentante la strage dei Mammelucchi, riempiono la maggior parte della quarta lettera, nella quale rispetto all’ Abelardo del sig. Roberto le Fèvre leggesi: c Quanto all’ Abelardo il concetto n'è grave, ed il suo furore un poco teatrale an- nunzia troppo l’ uomo che non vuol rassegnarsi. Non sono questi i momenti che l'artista deve scegliere ...... Lo sventurato Abelardo deve presentarsi allora quando non resta in lui che una debole memoria di un amore sì crudelmente trat- tato. E allora l’ artista, sublimando la natura umana lo rappresenterà colpito da una profonda malinconia, addolcita però dalla religione, e dall'immagine della sua prima feli- cità. Nella sua meditazione passeggiando sotto gli alberi del Paracleto quasi involontariamente lo farà arrestare avanti alla cifra di Eloisa per metà distrutta dagli anni, e che egli solo ravvisa. Ecco il momento che avrà cura di cogliere: il re- sto non è degno nè di lui, nè del pubblico. Così concepito Abelardo può ancora esser messo in iscena ». Lezione im- pagabile, dalla quale si apprende quanto vale quella finezza di gusto, che rispetta la decenza, ed i costumi. Il resto della lettera è consecrato all’ esame delle opere dei sigg. Paolino Guerin, Kinson, Pagnert, e di moltì altri, le quali hanno meritato dal sig. Keratry uno sguardo or benigno, or severo. Come riportare in breve spazio il contenuto della quinta, sesta, e settima ‘lettera, se ogni pagina di ciascuna di esse 318 racchiude una lezione? Per farne conoscere tutto il merite bisognerebbe tradurle, ed allora non un estratto, ma una traduzione porrei sott'occhio al lettore. A me italiano sarà però perdonato se accenno di aver sentito con piacere sul principio della sesta lettera alcune osservazioni sulla virtà che il cielo di Roma sembra dare alla immaginazione de- gli artisti. ce Avrebbe ella dunque questa terra classica delle belle arti il privilegio di inspirare il talento? La sua atmo- sfera, la sua posizione, il suo cielo, i suoi alberi ombrosi avrebbero essi soli la facoltà di parlare all’animo, e di esal- tare la mente creatrice? . .... Nei suoi ruderi, nelle pro- duzioni alle quali i medesimi sono serviti di modello niente vi è di meschino, di manierato ; tombe, statue, obelischi, affreschi, archi trionfali, colonne, bassi-rilievi, presso lei tutto è sublime, perchè i suoi artisti nascendo si sono tro- vati in mezzo a capi d’opera ». Tralasciando ogni altro soggetto nelle medesime lettere trattato, mi porterò al principio della ottava lettera dedicata per la maggior parte all'esame del quadro del sig. David esprimente Amore e Psiche. Ecco con quanta erudizione egli spiega l'origine del culto di questi numi. «e Gli antichi divinizzavano tutta la natura: forse questo politeismo fu l’ effetto del sentimento, che nei più piccoli oggetti di questo vasto universo rivelava loro la presenza di un Dio. Il moto, e la vita hanno in sè stessi qualcosa di straordinario per cui doverono attirarsi gli omaggi ovunque si presentassero, ovunque si manifestas- sero i loro effetti. L’ uomo incominciò dall’ adorare, quin- di ragionò; ma il raziocinio non potè che confermare l’ado- razione, in quanto che questa traeva origine dai bisogni del cuore, come dalla cognizione della propria debolezza. Ogni ruscello conservò la sua ninfa, ed ogni boschetto la sua driade DD. « Dopo i poeti vetinero i filosofi, o piuttosto quelli si fecero i sacerdoti delle sparse famiglie e consacrarono in cantici religiosi il frutto delle loro meditazioni. I grandi 319 affetti che agitano la natura umana non poterono sfuggire ai loro sguardi. Essi vidéro l’odio tessere insidie, e la di- scordia mettere le armi in mano ai popoli: bisognò pagare ad ambidue un tributo di terrore. Trionfanti si impietosi- rono sulla sorte del vinto nemico: sfortunati loro stessi eb- bero ricorso alla clemenza: così ancora la pietà ebbe i suoi altari ». cc In mezzo di queste affezioni, un gran numero delle quali appartiene particolarmente alla nostra specie, fu rico- nosciuto che un sentimento tenero e terribile, dolce ed in- domabile strascina l’ universalità degli esseri in una mede- sima sfera di attività: si vide che esso regnava sulla terra come nell’ aria, nel seno delle onde come nelle viscere dello scoglio: l’uomo non potè non accorgersi che l'impero suo si esercita con tanta più violenza, quante più facoltà ha ricevuto in dono l'essere al quale si attacca l'unione; dei sessi nella specie umana lo svelò intieramente .* L'amore fu un Dio: pronto nei suoi effetti, fu armato di dardi: ardente, e vivificante di sua natura, traversò l’aria con una face ». ce Ma egli è sull’anima che nell’ uomo principalmente agisce: esso la domina, la invola a sè stessa per congiun- gerla all’oggetto amato. Bisognava personificare questa fa- coltà che gli è sommessa, e nacque Psiche. I platonici vi- dero in questa fusione il fascino per il quale ogni essere è invitato ad unirsi al suo principio. Ciò fu per essi un em- blema di perpetuità; e Psiche stessa, che non era ai loro occhi se non che un essere simbolico, fu semplificata nella sua immagine. In molte antichità del gabinetto del re, voi troverete il saggio Pittagora contemplando una farfalla ». _ Il sig. Keratry passa quindi a decifrare le bellezze di questo quadro, specialmente per ciò che riguarda Psiche. Dopo di avere con bellissima ipotiposi presentato agli occhi del lettore questa Dea su di un letto mollemente posata, con arte mirabile scende a rilevare i difetti che sì bella ope- ra alcun poco offuscano. Colpisce la sua immaginazione la grandezza delle ali di Amore, sopra una delle quali riposa 320 la testa dell’ addormentata Psiche * « come? domanda l’ auto re, questo Dio potrà egli ritirarla senza svegliare la sua compagna? Noi, in fine, ei soggiunge, non faremo osservare che nel torso del Nume vi è un grande studio; sarebbe l’istesso che parlare della morbidezza dell’ Ercole farnese. ce Da ciò resulta che non il pennello, ma l immagina- zione del sig. David si è smarrita. L’istorico della natura; il pittore di Montbar, ha avuto la disgrazia di scrivere, che in amore non vi è di buono che il fisico; il quadro che abbiamo sott'occhio proverebbe il contrario ». Così il nostro autore mesce l’ elogio alla critica, e ram- mentando all'artista i sommi suoi pregj, ove riscontra l'er- rore lo ascrive all'abbandono del di lui spirito. Molte altre lettere meriterebbero un accurato esame; se peraltro io trapasso! su i precetti che nelle medesime senza interruzione sì succedono , e sulle descrizioni che senza affaticare il lettore le adornano, non posso passare sotto silenzio ciò che nella decimaterza si legge rapporto al dipin- gere i paesi privi di alberi. i | Due quadri del Sig. Regnier uno rappresentante Gio- vanna d’ Arco in atto di consacrare su di un altare campe- stre la sua spada alla salute della francia, l’altro l’appari- zione a Macbetto delle tre streghe nella foresta di Birn-' ham, perchè difettosi in questo danno occasione à questa lezione . » Pensate egli dice, che gli alberi sono la chioma di Cibele, ed il più bello ornamento’ dell’ abitazione dell’uo- mo, non ci mostrate la nudità nè dell’una, nè dell’altra. Non ignoro che le vostre fabbriche sono imponenti; che il tocco ne è romantico; ma bisogna ancora che io sappia a qual natura di paese esse appartengono . Nulla m’ insegna’ se esse fanno parte di un villaggio, o di una fortezza in rovine, di un castello, o di un sobborgo abbandonato: anco gli alberi hanno la loro maestà, il loro orrore penetrante, e le loro idee malinconiche . Eloisa piange sotto ai boschetti del Paracleto. Leggete Rousseau, e voi vedrete, che egli. 321 non è giammai più dolcemente, o più eloquentemente in- spirato che quando ha percorso i dintorni di un bosco, e quando, si è riposato all'ombra di una querce. Cercate voi degli effetti? voi gli troverete nella religiosa profondità delle foreste, nei raggi di luce che le attraversano, nelle masse delle ombre, che esse projettano; voi situerete sotto queste le rovine di un tempio, e sugli scalini logori dalla preghiera inclinerete il modesto pellegrino, o la vedova sconsolata; o il. solitario che dolorosamente sopporta il peso della vita, e ciò perchè è necessaria l’azione, è-necessario il moto sulla rela destinata a rappresentare, le più, belle pro- spettive. La terra è il soggiorno ove ci aspettava la bontà del Creatore; se non volete attristare il mio animo guar- datevi dal mostrarmi la casa vuota di abitatori. In fine qua- lunque sia il vostro talento con sole pietre non vi riuscirà di comporre un paese; colla loro muta voce esse mi diranno, che l’uomo, questo viaggiatore di un giorno è passato di là; ma la passeggiata alle tombe, affinchè possa essere utile ailo spirito, bisogna che sia di breve durata .,, Quindi per far conoscere lo stile del Sig. Keratry in tutta la sua verità offrivemo al lettore alcuni squarci della decima quinta lettera come una delle più belle. »» Il Sig. Meynier ci offre una muova prova di talento nel quadro col quale adorna il Salone . , L’ingratitudine è nello spirito delle repubbliche, e se questa forma di governo, laddove è possibile ,, è vantaggiosa «al popolo; bisogna convenire che non cessa di essere minac- «iosa per gli uomini di stato. Atene ricompensava i suoi sa- vj; ed i suoi capitani con la cicuta, e se ne pentiva dopo qualche anno. Focione condannato ja questa fatale bevanda, fu anche più crudamente trattato di Socrate; poichè una sen- ‘tenza di morte igià eseguita non lo salvò dall’ esilio. Traspor- itato come, un avanzo impuro fuora dell’ Attica , il suo cada- were fu bruciato non lungi dal: territorio di Eleusi, con un .tizzo acceso sulle terre.di Megara. Così volle un decreto degli Ateniesi, perchè la collera del popolo ha come l'odio de de- T. JI. Maggio 21 322 spoti, le sue raffinatezze. Frattanto una megarese ‘piena di rispetto per la memoria di Focione, avendo raccolte in un lembo della sua tunica le ossa del condannato, le portò in sua casa, ed in mezzo alla sua famiglia riunita, loro diede reli- giosamente un asilo presso l’ara dei suoi dei familiari. ,» Trattando dei soggetti antichi, i mostri pittori godo- no del privilegio di potere. dare risalto a personaggi del popolo. Un bifolco dell’ Attica, o di Megara non è un sem- plice contadino ; la sua moglie e la sua figlia non sono pasto- relle: un panneggiato largo si modella sulle membra vigo- rose dell'uno; capelli leggiadramente intrecciati abbigliano - le teste delle altre. Le loro forme si sviluppano con facilità o si lasciano travedere con grazia sotto una veste favorevole alla bellezza, e l’espressione si nobilita per la natura stessa delle idee, che devono entrare in teste poco estranee ai grandi interessi del loro paese. ;, Il Sig. Meynier ha ciò in parte sentito: presso lui la pietosa megarese è in azione: La sua testa ben panneg: giata, e di stile grandioso, ha della malinconia. Il suo atteg- giamento è naturale. Inginocchiata, essa inclina il lembo della sua veste verso una fossa, che non è che un semplice scavo fatto nel suolo. In così tristo ufficio, forse con trop- pa attenzione si ajuta colle sue mani. Queste sono troppo studiate e le articolazioni le farebbero anche referire ad altro sesso: in faccia a lei suo marito in piedi osserva il depo- sito affidato alla terra con un interesse al certo mescolato di riflessioni sulla sorte che attende i cittadini i più affe- zionati alla loro patria: sembra che egli accenni ad un fan- ciullo, le cui forme secondo noi non appartengono nè all’in- fanzia nè all’ adolescenza, lo spazio nel quale furtivamente sono per celarsi i pochi avanzi di un grand’ uomo. Questo megarese è ben disegnato: qui il tocco del Sig. Meynier è fermo, vigoroso, ed il suo pennello ha saputo coprire di un tuono locale una parte della composizione, nella quale entrano ancora tre persone che cospirano più o meno all’ef- fetto. Si osserva in questo numero, una giovinetta, del na- 323 ri in ginocchio presso sua madre; la di lei testa di un felice profilo presenta i segni di un dolore, che non è senza bel- lezza. Io la preferisco alla sua sorella in piedi accanto del megarese, il colorito della quale ha minor verità. Quanto al giovine fra le mani del quale all’avvicinarsi del giorno una lampada si è spenta, se non sembrasse in osservazione alla porta, nella tema che l’arrivo di un straniero non li sturbi nelle cure funebri, noi ci sorprenderemmo del non vederlo direttamente compreso nell'azione principale. Avrem- mo, per esempio, avuto piacere, che avesse sostenuta la pietra pronta a coprire le ceneri, che con tanta crudeltà rigetta da sè la terra dell Attica. ‘ Quest’opera fa onore al Sig. Meynier; ciò non ostante gli domanderemo perchè il fanciullo megarese assiste nudo a questa cerimonia? Sarebbe egli stato strappato al. sonno per farlo intervenire a tale spettacolo? Ammettendo anco questa ipotesi, il più leggero panneggiamento sarebbe stato convenevolmente, ed ancora avvantaggiosamente applicato sulle sue membra. In questo, come in qualche altro parti- . colare abbiamo riconosciuto più del manierato , che del sen- tito. Il Sig. Meyuier dovrebbe riguardarsi dalla rapida facilità, che arditamente eseguisce ; ma che sovente resta straniera al vero gusto. ,s Il Sig. Fragonard non era fino ad ora conosciuto, che per soggetti graziosamente disegnati, e nei quali sem brava che seguisse le tracce di suo padre, piuttostochè pre- tendere di inalzarsi alle severe bellezze dello stile istorico; î suoi primi passi in questa carriera sì pericolosa meritano incoraggiamento, ;; Francesco I° in piedi, vicino ad un altare, la mano | posata su di un librg degli Evangelj giura di servire Dio, l’onore, e le dame. Dietro a lui un vescovo in abiti di offiziante: alla. sinistra Bajardo. in una sedia a bracciuoli ricevendo il reale giuramento nel tempo che dalla istessa parte, assise su degli sgabelletti, alcune donne della corte prendono parte alla cerimonia; e mentre alla diritta alquanti 324 paggi vestiti di velluto color violetto portano la spada, e gli. speroni d’oro del nuovo cavaliere. Altri personaggi cioè cantori e servitori del re, riempiono i vuoti di questa vasta composizione . ,;s Noi cominceremo dal biasimare la maniera colla quale il fatto istorico è presentato; ci sembra che avrebbe dovuto aver luogo sotto una tenda,.e non in una cappella. Crediamo ancora che l'istante del giuramento , poco suscet- tibile da per se stesso di spiegazione, non fosse quello che bisognava porre in iscena; ma bensì quello nel quale: il cavaliere senza timore e senza rimproveri, col piano della sua spada dà l'abbracciata al re, ovvero, quello in cui le dame gli calzano li speroni. Il principe è poco somigliante = il suo abito senza lusso; la sua statura bassa, e di poca dignità, sebbene la mano si stenda sul libro con franchezza . Il contegno del prelato nella sua gravità pontificale , merita elogj. Bajardo , se consultansi le cronache, troppo giovane, e di un portamento poco guerriero, si offre allo spettatore con un aspetto pacifico, e tranquillo. Ecco l’ inconveniente che nasce dal non averlo posto in azione; lo direste appena testimonio all’ atto, del quale egli è il principale ministro . Il Sig. Fragonard non ha evitato il difetto nel quale incor- rono tutti i giorni gli artisti, che dipingono, e situano i loro personaggi, più colla veduta di offrirgli agli sguardi del pubblico, che di occuparli semplicemente nell'oggetto pel quale sono chiamati sulla tela . ;»s Tre paggi di cui non si vede; che il dorso, sono perfettamente rappresentati: per l’effetto di un bene inteso chiaroscuro essi formano un innanzi il più vigoroso, ed il più naturale, che io abbia riscontrato in un quadro moder. no. I cantori vestiti di bianco, che precedono in faccia all'altare, sono di un aspetto piacevole, e le loro teste nom mancano, nè di attenzione, nè di naturalezza . Io accorderei uno stile largo, ed ancora delle grazie alle donne aggrup- pate alla sinistra dello spettatore, vi troverei ancora qual- cosa che risale ai buoni maestri della scuola italiana; ma 325 + sono forzato a dirvi, che i lumi tali quali sono distribuiti in questa parte del quadro, s'intendono poco, che non sì sa donde vengano, che per certi riguardì si attraversano , e che l’impiego delle mezze tinte non è qui regolato nell’in- teresse dell’ armonia generale . ,; Non vi lascerò ignorare, mio vecchio ‘amico, che dobbiamo all’ autore del giuramento di Francesco I il basso rilievo, che adorna il frontone del palazzo, ove risiedono i deputati dei dipartimenti. Quando la stessa mano, con egual dritto all’ elogio, tratta il mazzuolo ; ed il pennello, il genio delle arti ‘sorride a questa doppia gloria, e la patria ne sente una giusta vanità. sì Prima di parlarvi della lezione data dall’ eccellente Enrico IV a Gabbriella d’ Estrèes in faccia a Sully, non fosse che per sollevarvi dall’ esame dellé composizioni isto- riche, voglio dirvi due parole di un piccolo capo d° opera uscito di poco dal pennello del Sig. Orazio Vernet. ,3 Si tratta di una scena di guerra, tale come disgra- ziatamente molte se ne vedono: ma essa non ha niente di ributtante, ed è commoventissima. In uno spazio di quin- dici , o diciotto pollici, tre figare richiamano i vostri sguardi. Un trombetta steso a terra, il suo cavallo bianco leardo, dipinto come se uscisse dal pennello di Wouvermann, ed il suo can barbone, che voi in qualche parte avrete sicu- ramente riscontrato dietro di uno squadrone. Il povero corsie- ro, ei pure con una palla nel fianco; inchina la testa verso il padrone, e sembra che i di lui sguardi inquieti inter- roghino questi del suo lungo silenzio. Si direbbe , che, fosse tristamente occupato a rendervi conto di una immobilità che lo affligge; questa espressione di un occhiata interrogatrice ha qualcosa di sì sorprendente, che siamo storditi al vedere nel cervello di un quadrupede un pensiero umano. La mossa di uno dei piedi davanti piegato, e sollevato sul cadavere, annunzia nel medesimo tempo il timore di offendere , ed il desiderio di provocare un moto. Il barbone con le orecchie, e la coda bassa lambisce la fronte del guerriero, che noa ha guari eccitava il coraggio, e che più non risponderà alla chiamata, la di lui testa essendo fracassata da un colpo di fucile. Tutto ciò è reso con una verità , l' impressione della quale resta in fondo del cuore. ss Irritato dalla insolenza della sua amica, verso il suo primo ministro , Enrico IV in presenza del Sully diceva a Gabbriella ,, sarebbe più difficile il trovare un servitore ;, come lui, che dieci amiche come voi ,,. Tale è il soggetto trattato dal Sig. Fragonard. Questo quadro, che non è sprovvisto di un certo tal qual merito di espressione, ed anco di esecuzione pecca nell’essenziale. La figura di Gab- briella è poco piacevole: in quanto ai lineamenti del volto, essa rammenta troppo Maria dei Medici, per l'andamento dell’abito la Maddalena di Lebrun. Un rimprovero assai più grave colpirà gli altri due personaggi, che hanno lasciato delle memorie alle quali veruno artista saprebbe sottrarsi. Quando un pittore di insegne, non lascia di far somigliante un Enrico IV, il Sig. Fragonard non deve fare una sosti- tuzione della quale niuno spettatore. vorrà esser complice. Si crede ancora di trovare nell’ ordinamento , e nel tono di questo quadro uma intenzione troppo evidente di andare sulle tracce del celebre Van-dick: questo desiderio in se stesso è lodevole: noi ci porteremmo volentieri ad incoraggiarlo ; ma bisogna stare attenti, affinchè una troppo servile imi- tazione, non degeneri in pasticcio. Io ho veduti due T'e- niers composti sul. gusto del Pussino. Lo stile di questo famoso maestro, meno qualcosa, era assai ben preso, ciò non ostante avrei preferito ad essi una scena di taverna. Soprattutto bisogna modellarsi sulla natura, e se non si può arrivare a Quell’ altezza , bisogna almeno avere un modo tutto suo,, La Campaspe del Sig. Langlois, ed il Pigmalione del Sig. Girodet sono il soggetto della decimasesta lettera . Giusti elogj, sana critica, rilevano a vicenda il merito, ed i pic- coli nei che questo ultimo quadro adombrano: egli però finisce il suo articolo dicendo ,, abbia io torto o ragione 327 nelle mie ‘osservazioni , il mio sentimento particolare mi porta a dire che il Pigmalione è uno dei più bei quadri, che da molti anni siano usciti dalle mani dei nostri artisti ,,, Di tutti i quadri che sono passati in rivista nella de- cimasettima lettera; la morte di Zaffira del Sig. Picot; l’as- sunzione della Vergine del Sig. Prudhon nella quale sono lodatissime le teste degli angeli; e l’annunzio della vittoria di Maratona del Sig. Couder occupano più degli altri l’au- tore. Ciò non ostante egli non oblia, nè il Sig. Ponce- Camus, l’opera del quale, esprimente Alessandro alla visita dello studio di Apelle per alcune allusioni non è stata am- messa al Salone; nè i Sig. Schemtz, Bergeret, Blondel, ed altri che si sono nel corso dell’ anno 1819 prodotti. La ristrettezza di un estratto, ove pure non si volesse formare un indice, mi spiace che non permetta di far noto ì nomi di tutti gli artisti in queste lettere nominati. Volendo riportare tutto ciò che meritava di essere conosciuto, biso- gnava incominciare col primo, e terminare coll’ultimo verso, poichè in quest’ opera brilla da per tutto quell’ amore dell’ar- te, che può solo fare obliare qualche amarezza a coloro, le opere dei quali hanno eccitata la critica dell’ autore, che d’altronde ha saputo condursi con tal destrezza da non lasciare agli sferzati altra vendetta che quella di meglio fare per l’ avvenire. ‘ d PZ) 29 3) S. 328 RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI LIBRI PUBBLICATI IN TOSCANA, Racconti del vecchio Daniele, destinati a dilettare cd istruire la gioventù: prima traduzione dall’ inglese eseguita sulla settima edizione di Londra. 1 vol. in 12.° Pisa presso Seb, Nistri. I-buoni libri, che ad un tempo medesimo sieno atti ad istruire e a dilettare i fanciulli, son rari dovunque, ma soprattutto in Italia; però dobbiamo esser molto obbligati al traduttore di questo che noi annunziamo, per aver procurato a tutti i padri ed alle madri di famiglia la maniera di far gustare ai loro figli i racconti del buon EER IA Daniele. »» La maggior parte dei seguenti racconti, dice l’autore nella sua prefazione, sono stati composti a fine di appagare quella natu- rale inclinazione, che i giovanetti di qualunque età ed indole pro- vano per tutto ciò ch’ è meraviglioso, senza offendere le loro gio- vani menti con oggetti o soverchiamente spaventevoli o non natu- rali. Lo scopo principalmente propostomi, soggiunge l’ autore, nel pubblicare questi racconti, è quello d’inspirare nei ragazzi piacere alla lettura, il quale gradatamente cangiandosi in abitudine, può col crescere degli anni guidarli a stud; di maggior profitto : siccome ho poi osservato, che in proporzione dei Int: libri pubblicati in van- taggio della gioventù, scarsi sono quelli che dirigono l’ attenzione al LOR verso i paesi stranieri; e che così li pongano in caso di trarre giovamento dalle molte descrizioni di viaggi che possediamo, ho perciò preferito di ornare ‘di questa, quasi i dirò, novità i miei racconti: ho procurato, cioè, di offrire a’ miei giovani lettori a/cu- ni piccoli saggj precursori di quel sommo piacere che goderanno in più matura età quando, cioè sarà loro dato di realmente trasfe- rirsi nei paesi stranieri, ovvero che la brama d'’ istruirsi renderà loro gradita la lettura delle opere lasciateci dai viaggiatori. In una Virela il mio principal desiderio è quello di. promuovere, per quanto io possa quell’amore per la letteratura, il quale procura /4 più indipendente fra tutte le occupazioni , ed il più permanente fra tuttii piaceri ,,. IL CADMO poema eroico int &X canti del prof. PIETRO BA- GNOLI, accademico della Crusca. Tomi due in 8.° con un rame disegnato dal sig. Nenci ed inciso dal sig. Lasinio figlio. Pisa 1821 presso Sebast. Nistri. L. 12 incarta fine, e L. 24 in carta velina. 329 S. A.I. e R. avendo sempre a cuore di proteggere le lettere e i coltivatori di esse, si è degnato con suo veneratissimo rescritto di concedere al Prof. Bagnoli il privilegio per la stampa e vendita del suo poema, e ciò nei termini i più onorevoli e lusinghieri per l’autore. Nei seguenti numeri renderemo più esteso conto di que- sto poema. Memoria sopra il metodo di estrarre la pietra dalla vescica orinaria per la via dell’ intestino retto; di ANDREA VACCA BER- LINGHIERI prof. di clinica esterna nell’ I. e R. università di Pisa, cavaliere dell’ordine del merito sotto il titolo di S. Giuseppe, e socio di molte accademie europee; in 8.° paoli 2. Pisa 1821 presso Seb. Nistri. vEra già noto da qualche anno che Mr. Sanson di Parigi ave- va proposto di estrarre la pietra dalla vescica orinaria per la parte dell’intestino retto, metodo che secondo i principj teoretici del suo inventore dicevasi riunire molti vantaggi sopra tutti glivaltri pre- cedentemente conosciuti. Il pr. Nidi di Pisa nella memoria che abbiamo il piacere di annunziare convalidando col raziocinio e col fatto l opinione del chirargo francese dimostra doversi dare la | preferenza.a quella fra le due maniere di operare proposte dal me- desimo, colla quale s° incide il collo della vescica, e la prostrata, risparmiando però il basso fondo di questo viscere. La finezza di criterio di cui è sparsa questa memoria, e l’importanza somma delle osservazioni pratiche, che vi si contengono, lasciano incerto il lettore chi dei due abbia conseguito più lode se il professor pari- gino che l’ inventò, o l’ esimio operatore toscano che seppe sì util- mente illustrarlo . Geografia moderna universale, 0 descrizione fisica statistica topografica di tutti i paesi conosciuti della terra, tratta dai più accreditati geografi e statistici inglesi, tedeschi e francesi, e dalle relazioni dei viaggi pubblicati nell’ ultimo secolo, e nei primi 20 anni del secolo corrente in Inghilterra, in Francia ed in Italia. 10 volumi in 8.° di 18 a 20 fogli di G. R. PAGNOZZI. È pubblicato il primo volume col relativo manifesto. Costa per associazione 3 lire 12 soldi toscani per la Toscana, 3 lire e 60 cent. italiani per l’ estero. Le associazioni si ricevono al gabinetto scientifico e letterario di G. P. Vieusseux in Firenze, sa altrove presso i principali libra}. Dovremo nei successivi fascicoli tornare a parlare più a lungo di quest’ opera dandone un esatto ragguaglio. 330 LIBRI FRANCESI. Histoire des Francais ec. Istoria dei Francesi, di Si- smondo de’ Sismondi, che comprende l’ Istoria nazionale di Francia dal IV al X secolo sotto i Merovingj e i Carolingj. Parigi 1821 presso Treuttel e Wurtz prima distribuzione. Vol. I. I. III. in 8.° prezzo 21. franco. Le ricerche profonde dell’ infaticabile sig. Sismondi hanno sparso una luce nuova sull’ istoria di quei secoli, che furono a ragione chiamati da Muller i secoli del merito ignorato. La mae- stria colla quale egli ha trattata l’istoria delle repubbliche ita- liane del medio evo, è garante dell’ utilità e dei pregj che di- stingueranno sicuramente questa sua nuova opera , della quale speriamo di dar presto un ragguaglio distinto. Biographie nouvelle des contemporains ec. Biografia nuo- va de’ contemporanei, o dizionario storico e ragionato di tutti quelli uomini, che dopo la rivoluzione francese hanno acqui- stato nome colle loro azioni, co’ loro scritti, co’ loro errori, o co loro delitti tanto in Francia che fuori; de’ Sigg. A. V. Arnault antico membro dell’ Ìstituto; A Jay, e Jouy dell’ ac- cademia francese; I. Norvins, ed altri letterati, magistrati e militari. Adorna di 240 ritratti in rame ricavati dai quadri dei più gran maestri. Otto volumi in 8°. di 400 in 500 pagine a due colonne, il prezzo è 9 franchi il volume per gli associati, e 12 per gli altri. Parigi dalla stamperia di Plassan, via di Vaugirard, n°. 15. Avendo noi nel tomo I. p. 143. di questa raccolta fatto cono- scere la maniera con cui venne presentata al pubblico la XII dispensa della Biografia universale: crediamo bene trattandosi d’in- traprese letterarie e tipografiche di simile importanza, trascri- ver anche qui le ragioni degli editori della Biografia nuova dei contemporanei. Ecco come si esprimono nel loro manifesto. ,; Tra le molte Biografie, che fino ad ora son venute alla luce niuna ve n’ ha che abbia corrisposto alla espettazione degli amici della verità, della giustizia, e della gloria nazionale; ed in niuna di queste si scorge quella severa istorica probità., primo ed unico alimento della fede d’ogni savio lettore; che anzi son esse tutte lordate da odiose passioni, da opinioni intol- leranti, da interessi in collisione tra di loro, e da vendetta; son esse dettate dallo spirito di setta, e talor più sovente da ————__n 331 quello di partito. In tal guisa fu scritto sotto l’influenza dei gesuiti il dizionario di Feller; quelio di Barral fu dettato dal giansenismo; il dizionario di Prudhomme, ch'è pure difettosis- sissimo è venuto alla luce sotto |’ assidua vigilanza di una molto sospettosa censura ; la Brografia universale finalmente, e Za Bio- grafia degli uomini viventi stampate da Michaud, infamate sì sono colla più odiosa parzialità , ed altro in vero non sono che raccolte di libelli, di accuse , e di Lake di proscrizioni . È dunque tempo di vendicare la nostra patria delle calunnie, colle quali i pregiudiz), il fanatismo, la codardia tentano in faccia al mondo di macchiarne la fama . L’onore di quelli uomini, che meritamente agquusiamona nome, è una proprietà che ha ogni popolo colto. I più nobili interessi della Francia , quelli de’ "nodini , a cui ella dee la sua gloria non saran più impunemente immolati alle vergognose spe- culazioni d’un’ avidità mercantile, e d’ una criminosa parzialità . La difesa de’ nostri simili è una leg che la natura ha scolpito nel cuore di ogni uomo , ed il più bel precetto della religione gliene fa un dovere ; ed il grande interesse delle moderne società su nuove basi riordinate chiede un luminoso riparo a tutti gli oltrag- gi fatti al carattere nazionale ed alla verità. Il sentimento di un profondo sdegno, la voce imperiosa di una giustizia tutta francese hanno destato in una società di letterati, di dotti e di militari la nobile risoluzione di pubblicare questa nuova Biografia. Circa a quelli uomini che dopo la caduta dell’ impero son di nuovo dive n- tati estranei per la Francia, e i di cui fatti confusi si trovano tra quelli d’ una patria comune , ed hanno avuto luogo nei nostri an- nali, avranno un attestato dell’antica gratitudine, e d’una costante amicizia in quelli che noi ci siam prefissi di aprire alla Francia ed alla Europa dopo la rivoluzione. È ben dolce per noi il poter dire , che gli uomini celebri del Belgio, delle provincie del Reno, della Pollonia, della Spagna, della Vestfalia, dell’ Italia, della Svizzera , e dell’ Olanda , sono stati i compagni della nostra glo- ria, e saranno rimasti amici della nostra nuova fortuna . ,, »» Per assicurare giustamente e con franchezza l’ amore della Verità, con avvisi successivi si offrirà al pubblico la serie alfabetica di quelle persone, la vita delle quali fa parte di quest” opera ; ed in un tempo determinato il dureau della soscrizione riceverà, franchi di porto, tutti i documenti, che gli verranno diretti per provare le omissioni , gli errori, le accuse ardite o calunniose di quelle biografie in cui queste medesime persone itrovansi collocate. ‘336 Questi documenti saranno restituiti a loro richiesta a quelle perso> ne che gli avranno comunicati. I soli morti, noi torniamo a dirlo, sa- ranno soggetti ad un giudizio scevro d’odio e di passioni. I vivi non avranno altri;giudici che le loro azioni o i lor propri scritti; ma vivi o morti tutti coloro , che saranno stati il bersaglio della mal- dicenza , troveranno in quest’ opera il loro onor vendicato. Alieni del pari dalla parzialità e dalla debolezza nello scrivere, col fermo volere di esser giusti avremo il coraggio del magistrato, e quello dello storico . Noi vogliamo che nel leggere il nostro libro gli uo- mini dabbene vi trovino di che consolarsi , e gli scrittori senza co- scienza i rimorsi o che almeng conoscano la loro ignominia . La critica da noi professata è la probità . Ci sforzeremo in somma è mostrar la verità dell’ epigrafe presa da Voltaire : ,, On doit des égards aux viva ns ; on ne doit aux morts que la verite ,; . RAGGUAGLI SCIENTIFICI. AVVISO MEDICO. Sulle malattie conosciute col nome di GOZZO 0 STRUMA. Gli abitanti della Svizzera, e di alcune altre regioni mon- tuose, vanno come si sa soggetti a quella malattia conosciuta col nome di gozzo, o (struma ) più facilmente che quelli delle pianure. Sebbene però si incontri più, o méno frequentemente questo morbo per ogni dove, pure resta allo scuro la cognizione della causa che lo produce. Poteva ben prevedersi, che in, quelle regioni appunto nelle quali regna di preferenza questo male, si sarebbe scoperto un rimedio più efficace di tutti i così detti strumali per l’avanti impiegati, i quali sebbene proficui in di- verse malattie recenti, e di una molta entità, sono però seguiti di rado da un buon successo nei tumori voluminosi, e di an- tica data. È "Il Dott. Coindet di Ginevra, medico di molta esperienza, e favorevolmente conosciuto dopo la pubblicazione della sua memoria sull’idrocefalo, coronata dalla società medica di Bor- deaux, ha pubblicato non ha guari un metodo ingegnoso per ettenere la risoluzione di questi tumori, che non si debbono però confondere col cretenismo , e colle scrofole. Le sue ricer- ehg sulle funzioni, e sulle malattie della glandula tiroidea, 333 nella quale ha sede questo morbo, sulle preparazioni chimiche che costituiscono la base della cura che egli propone, non che gli straordinari felici resultamenti da lui ottenuti, serviranno di guida ai medici in questo nuovo sentiero. Avendo studiato profondamente il metodo del mio dotto concittadino , ed avendo fatto preparare i rimedj a seconda delle sue indicazioni io invito ad indirizzarsi a me tutti coloro che si tro- vano affetti da questo male; e che confidano in questa importante scoperta. Mio scopo è quello, come lo fu mai sempre, di soccorrere l'umanità, e di convalidare le asserzioni del medico ginevrino, cioè di determinare le varie cause individuali, e locali, che danno ori- gine a questi tumori; di distinguere le diverse specie di gozzo, che sono suscettibili di totale o di parziale guarigione ; a seconda dell’ età, del sesso, del genere di vita, della data, della durezza, e delle circostanze concomitanti la malattia, e di raccogliere tutto ciò, che può aver relazione con questo nuovo metodo curativo. Il Dott. Coindet ci assicura, che la preparazione chimica di cui costa questo rimedio, che non si trova nelle farmacopee, non produce quelle cardialgie, cui spesso da origine l’uso con- tinovato della spugna, e degli altri prodotti marini calcinati; e che non vi è quindi da temere verun pericolo: aggiungendo nel tempo stesso che in quei casi inveterati nei quali la malattia ha già prodotto qualche lesione organica della tiroide, o delle parti circonvicine, questo rimedio si è mostrato totalmente inattivo. i Siccome le più speciali illustrazioni di questo metodo, ecce- derebbero i limiti di un semplice avviso, e i medici, i quali vogliono esserne informati, possono ricorrere al trattato del suo inventore, così io mi limiterò a prendere l'impegno di dare a suo tempo un esatto ragguaglio delle sue operazioni, e de’ suoi resultamenti dalle mie esperienze. Io prego tutti coloro che vorranno farmi |’ onore d'’ indiriz- zarsi a me, non tanto su questo soggetto, quanto ancora sulla vaccinazione, e sui suffumigi sulfurei, a degnarsi di francare le loro lettere. Vienna 20 Novembre 1820. DE CARRO D. M. Wollzeil n.°. 857: I | SPEDIZIONE RUSSA IN BUKARIA. Abbiamo reso conto (pag. 159.) della partenza della legas zione Russa destinata per la Bukaria. Ne diamo qui notizie più recenti. Pietroburgo 1. Marzo 1831. Abbiamo ricevuto dal dottore Eversmann, che fa parte della spedizione in qualità di medico, due lettere, una delle quali è scritta dal Sir (I° Yaxarthes della geografia Greca, ed il Sihon dei Tatari) nel 3. dicembre, e l'altra dalle rive del Kuban nel 7- Eccone il contenuto. »° Partimmo da Oremburgo il 22, ottobre; la nostra cara- vana era, ed è tuttora composta di 500. cammelli, e di altret- tanti uomini in armi, i quali sono per metà soldati d’infanteria; e gli altri Cosacchi. Ci avanziamo con grand’ordine, e con molta regolarità. Si parte ordinariamente alle 8 della mattina, e si viag- gia senza interruzione fin verso le 4 ole 5 della sera. Il passo deì cammelli ci serve di norma. La sera piantiamo le nostre tende, prendiamo il the, mangiamo biscotto, e carne di pecora, e proseguiamo il viaggio al nuovo giorno. Ci arrestiamo ordi- nariamente per un giorno ogni: 4. o 5. Dopo aver fatto così 150. verste (116 miglia) abbiamo raggiunte le tende del sultano Arun- gasi, il quale ci ha accompagnati fino al Sir, e continuerà ad accompagnarci fino al Kuban. Siamo passati per varj deserti di sabbia; fra gli altri per quelli del grande, e del piccolo Bur- szuk , della sabbia nera, di Kul. Nelle lande di Kul abbiamo costeggiato il lago Aral, e abbiamo veduta una parte assai estesa della sua superficie ; tutto questo territorio, per quanto pare, è stato creato recentemente dall’ acque ; la marna, ond’ è co- perto, par composta di sole conchiglie) principalmente della piccola specie, che chiamano kardium, e la quale vive ancora nel lago Aral. Abbiamo trovato anche, sebben più di rado, qual- chè varietà della specie murex, di turbinite, e di serpule. Ci troviamo fin dal ro. dicembre sul Sir, che discende nel lago Aral; è grande come.il Kama in Russia, e come l’Elba in Alemagna. Le sue rive son nude, e sabbiose come in tutte le lande; mancano; di alberi, e son coperte sopra un tratto di più miglia d'una specie di folti giunchi, che son alti quanto tre uomini. 335 La riva ora è ingombra di dirupi, ora è piana; il letto è profondo. Vi sono. sulle rive molti laghi di diverse grandezze. Trovammo il fiume gelato, ma non per tutto; di maniera che non lo passeremo senza rischio, Siamo a 60. o 70. verste dalla foce del Sir, che ho veduta per 5. giorni. Dopo due giorni di viaggio siamosarrivati ad un golfo del Sir, o piuttosto ad un lago d’ acqua dolce, che comu- nica col fiume. E lungo 35. verste; varia per tutto di larghezza; si dirige dal N. E. al S. O. Ci eravamo accampati sulla riva settentrionale , e ci arrestammo per due giorni, onde attendere il ritorno d’una spedizione, che era andata ad esaminare il Sir alla sua foce nell’ Aral, a 50. verste di distanza. Vi andai an- ch'io, La foce del fiume è assai larga; tutti i contorni son coperti di canne, e la terra vi è tanto bassa, che non potemmo tro- vare un punto per vedere almeno in parte il lago, Le rive del golfo, e del fiume son popolate di Kirghi, i quali traggono una meschina sussistenza dall’agricoltura, e dalla pesca. Quest orda è assai numerosa, ma estremamente povera, e appena coperta di stracci, perchè è stata spogliata nel marzo decorso, e anche in parte massaerata dai Tatari di Khiva , e dai Kirghi, che obbediscono al principe Amanbai. Fra quelli che ho veduti, molti avevano qualche grossa cicatrice, e si lagnavano narrando le proprie sciagure. I tugurj di questi poveri womini son fatti di canne inaridite, e collocati gli uni accanto agli altri senz’ ordine. Per difenderli dai venti, e dal cattivo tempo, gli costruiscono quasi tutti in mezzo ai canneti. Coltivano quasi uni- camente orzo, e miglio; ogni altro vegetabile non riuscirebbe in quelle terre sabbiose; e neppur que’ due grani vi allignereb- bero, se i campi non fossero irrigati da una specie Pea canali, che ì coltivatori costruiscono come sanno, scegliendo per la cul, tura le sole terre basse che si trovano presso il fiume. Il Sul- tano Arungasi da qualche anno è principe dell’orda del Sir; lo ha riconosciuto il re della Bukaria, ma non la Russia, nè il «principe di Khiva. Oltre Arungasi vi son due altri principi in quest’ orda ; l’ uno che è stato nominato dalla Russia si chiama Ischergasi ; l’altro che domina dal Sir fino a Khiva si chiama Amanbai, ed ha ricevuto la sua nomina dal principe di Khiva. Questi principi son continuamente in guerra ; quindi han preso origine i massacri del mese di marzo, in cui Amanbhai attaccò colle truppe ausiliarie di Khiva il principe Arungasi; e gli tolse 336 una parte de’ suoi stati. Uno de’ suoi fratelli vi perdette la ivita; sua madre con un gran numero di parenti fu posta in catene. Si crede che i vincitori predassero più di 300,000. pecore. Per vendicare Arungasi, uno de’suoi fratelli ha riuniti segretamente. 2 o 3000. \Rirghi, ha assaliti i partigiani di Amanbai, che abitano tra il Sir ed il Kuban, gli ha posti in fuga; ne ha spogliati molti e'‘ha fatto un buon numero di prigionieri ;' tra. questi si trova il fratello di Amanbai con la moglie ed i figli. Jeri la caravana di Bukaria ci ha raggiunti; era partita da Oremburgo 15. giorni dopo di noi. Ha recata la nuova; che le caravane di Khiva tornando da Oremburgo sono state spogliato dai Kirghi d’ Arungasi, e che quasi tutti gli uomini sono stati massacrati. | Sono 42. giorni che siamo in viaggio; e abbiamo fatte 900. verste (520 miglia). L’infanteria con l’ artiglieria ha passato feli- cemente il fiume. La seguirema dimani. In un poscritto in dista del 25. dalle rive del Kuban, Ever- smann aggiunge: ,, Il 22. abbiamo varcato il Sir di buon mattino. Il passaggio durò due ore. Un cammello restò confitto tra i ghiacei col suo carico; ma salvarono l uno, e l’altro. Si viaggiò perg. verste sulla sinistra del Sir tra i folti canneti. Ci allontanam- mo in seguito dirigendoci al S. E. e giungemmo jerì al Kuban. L’abbiam passato oggi, e senza perderlo di vista per tutta la giornata; abbiamo posto il campo questa sera a poca distanza dalla sua riva. Il Sir nel punto in cui l’abbiamo varcato è largo 4oo. passi. Qualche ora dopo il passaggio, i ghiacci si ruppero. Il Kuban è largo solamente 30. passi, e poco profondo. Fine del V. fascicolo. ANTOLOGIA N. VI.Giugno 1821. LETTERATURA ELOGII Elogio di Lorenzo PicnorTI, scritto da AnronIO \ BencI. Ci vscinigue volte medito della condizione de- gli uomini, mi sembrano audaci se chiedono elogio , e stolti se presumono di fuggir sempre il biasimo ; im- perocchè niuno ha tanta rettitudine che mai non smarrisca il cammino , e di rado si congiunge la bontà dell’animo colla sublimità dell’ingegno: errando anzi 1 più con fallacissime opinioni , senza conoscere in che termini si ridurranno colle opere loro e co’ loro disegni. Ma benchè dobbiamo repugnare alle lodi, siccome cau- se sovente al fallire, e poco meritate da noi che breve ed angustamente viviamo per rispetto all’ universalità delle cose: nondimeno è a’ figli grato conforto il ram- mentare i padri e fermarli nella memoria con belle immagini. Onde la lode, che si disdice agli uomini mentre son vivi, può loro concedersi nel discorso de’ posteri; e da questi volentieri ascoltasi come esemplo. a T. II. Giugno 23 | 338 virtù, quando sia ricompensa de’ buoni costumi: oltre- chè non si ha più idoneo mezzo a disfogare la gratitudi- ne, che ogni spirito gentile sente e non può celare nel petto, solito a tacere que’soli beneficii che egli ad altrui comparte. Il quale motivo è pure sì possente , che ancora i pravi ministri, ed i feroci capitani trovano sempre al- cuno che i fatti loro magnifichi; stantechè tra le molte azioni, non tutte son laide o turpi, e le buone ricono- scenza e lode conseguono. Ma quanto studio, quanta di- ligenza richiedesi , affinchè la fama superi l’infamia! È agevole incarico il far emergere la virtù da’pochi travia- menti; ma rilevarla di mezzo gli empii costumi per ren- derla chiara nella storia è quasi impossibile : tanto- chè la fortuna dà incomportabile gravezza a chi da un malvagio benefizii riceve, non potendo senza vergogna sua occultarli, e mancandogli i modi a compiuto e non simulato elogio. Libero pertanto da questi mali, i0 di buon grado e senza sospetto favellerò intorno a Lo- renzo Pignotti , che in ogni tempo della vita sua ebbe nome purissimo: sona a tutti, e massimamente a me: egli mio maestro e moderatore in quell'età, ov’ è somma ventura aver l’aiuto di salutari consigli. Nè il Pignotti meritavasi il favore e la stima del pubblico, solo perchè egli fosse urbano , illibato e modesto: essendo pure dottissimo nelle filosofiche discipline e nella sto- ria de’ popoli e della natura; facile e profondo ne’ ra- gionamenti, lepido e grazioso poeta. La congiunzione de’ quali pregii era tanto più mirabile, rin, quanto che Lorenzo proveniva da misera stirpe, e quasi orfano dovè sè medesimo da per sè stesso inalzare. i Infatti, egli nacque nel territorio d’ Arezzo (1), e poco dipoi fu portato nella Romagna (2); dove il padre suo, infelice benchè onestissimo mercante, si riparò € 339 morì senza ig alcun bene a * figliuoli . Onde a Lo- renzo dovè provvedere il paterno zio, che era indul- gentissimo all’avarizia, quantunque pieno di ricchezze e senza prole sua: e costui lo fece tornare nella città d'Arezzo per destinarlo all’ ecclesiastico ufiicio, con che avrebbe dovuto il giovanetto guadagnarsi la vita, se l'ingegno suo non fosse stato di spontaneo proponi. mento, volgendosi fin d'allora alle muse. Quindi ina- nimato da'precettori (3) che facevano plauso allorquan- do egli verseggiava, poichè ebbe idoneo soccorso dall’amoroso cognato (4), lasciò la patria e il zio per andare nell’ etrusca Alfea, dove per molti anni stu- diò nelle lingue, nella poesia e nelle scenze; finchè da- tosi in particolare alla medicina ed alla fisica, venne a Firenze. Nè qui poteva con maggiore opportunità tra- sferirsi, perchè subito ebbe gran nome, rendendo sano e giocondo un cavaliere italiano , della cui salvezza ogni altro medico disperava . Tantochè allora poco mancò che il Pignotti non movesse ad estranee terre, invitato da ragguardevoli signori; ed incominciò pure il viaggio; abbandonando le toscane rive per desìo di gloria: ma quando giunse alle Alpi, così gl’increbbe la lontananza degli amici, che fermossi alquanto, poi la fatta via riprese. E quasi che l’esercizio della medicina potesse dargli cagione a nuove partenze : o perchè forse l’amimo suo travagliavasi ne’ morbi altrui: vedendo che la sanità sen fugge ove il medico apparisca (5), vol- le ritrarsi da sì dubbia scenza ed insegnare la fisica, eletto a professore in Firenze, e poi in Pisa: nella qua- le città crebbe cotanto la sua riputazione, che di grado in grado egli al massimo pervenne, costituito reggente degli scolari e de’ maestri. Questa dignità però non commosse il Pignotti ad 340 i alterare le sue consuetudini; poichè non fu mai. su- perbo , nè vano o ambizioso, quantunque s’inchinasse talvolta a chi si godeva ‘e non meritavasi gli onori . La qual cosa si guardino i posteri dall’ attribuirgliela a vitupero, stantechè egli perfetto conoscitore degli uo- mini vedeva pochissimi senza gravi difetti, e con que- sti conversava, questi ad amici suoi eleggeva: gli altri per debito civile rispettava, non abusando giammai la fede, nè rampognando inutilmente que’ viziù che non sempre nuociono, o che sola la benevolenza può raffre- nare. E perciò, e perchè mai non s’intromise negli - aggiramenti politici, sempre tenne il grado suo ne’dub- biosi tempi della guerra. Da’ quali, è vero, ebbe lieve disturbo : sopraggiunte le variazioni politiche, allorchè egli era in età non più sottostante alla volubile fortu- na. Ed anche prima che attempasse, egli era filosofo; disobbligata la mente sua da ogni timido riguardo: il che manifestamente vedremo, dichiarando. com’ egli vivesse. Poco dormiva, molto studiava, alquanto in conversare passava il tempo . Di giorno cogli scola ri, da sera co’ suoi compagni, e gli uni e gli altri acca - rezzando , sempre le discordie loro impediva. Che se non di rado godevasi di laute mense, invitato da Ma- gnati e da Principi, non perciò non era egli smoderato nel cibo, o i sensi suoi inebriava: che anzi pur qui fa- voriva il suo geniale costume, indicando agli ospiti ed a commensali quelle tenere piante che nel suo giardi- no crescevano , e di cultore abbisognavano. Sicchè. ne- gli stessi conviti, ove par che si abbandoni ogni pen- siero d’altrui, egli acquistava riputazione a’ suoi disce- poli, onde erano dipoi ben collocati. Le quali opere a lui tanto più facilmente riuscivano, in quanto che sa- peva insinuarsi con spiritose facezie. Nè prevalevasi 341 ne’ vani discorsi: ma diceva il motto suo, di che era celebre, allorchè s'imbatteva in chi raccontasse novel le (6). E non pertanto, mai non disse ingiurie: non falso, non cupo, temperato nell’ira, benigno al cor- reggere, sofferentissimo degli errori d’altrui. Chiunque seco parlava, ancorchè nuovo e timido fosse, godeva di piacevole riposo nell’animo; sì confidente era il suo vol- to, sì familiare l'accoglienza , sì dolce il colloquio: Ed alle donne, come agli uomini, la sua conversazione piaceva : grato a quelle stesse femmine, i cui vizii poetando ram pognava. Quindi il cantar femminile molceva tanto il suo cuore, che egli sovente ripeteva col fiauto la vocale can- zone, e poi sulla mandòla verseggiava. Col qual esercizio mantenendosi d’animo aperto e di fantasia svegliata , pas- sava agevolmente dalle facezie allo studio, e dal consiglio al soceorrere: tantochè scorgendo infelici persone, spes- so le sollevava senza voler contraccambio, ancorchè loro tornasse favorevole fortuna; troppo contento al soa- ve piacere che tutto inonda il seno, nel vedere il con- forto suo agli sventurati giovevole. Onde non ebbe in- grati: e l’invidia, che nel petto a lui non potè pene- trare, poco il morse, abbassata subito che commossa. Ma il suo continuo adoperare in utilità degli uomini e delle scenze, lo condusse alfine in tal condizione, che un amico suo non può ritrarla. Piangendo ancora mi rimembra; che dopo molti anni seco insieme vivuti, un dì mi rivide e non mi conobbe. Io, quale a padre, gli parlava: ei, come a straniero, mi rispondeva: uffi- cioso sempre nel contegno, urbanissimo ne’ modi, ma tutti i nomi posti in oblio, tutto il suo spirito perduto. Ed in tale stato per tre anni continuò la vita .... Ah! meglio è discorrere al presente delle opere sue, in cui non vedremo debolezza d’ingegno, nè di memoria. E 342 dapprima parlerò delle odi, perchè 1’ indole sua otti- mamente qualificano (7). 11. Un autorevole e cospicuo personaggio, amico al Pignotti, decadde per sua sventura del grado, e fu co- stretto a partirsi. Pochi lo seguirono: a molti sembrava oggetto di odio. Ma nel suo ritiro udì consolante voce che da Pindo risonava, presagio di più durevoli onori , o segno almeno di fama: ed era il poeta nostro che non infido alle amicizie, non rattenuto da soggezione , com- piangeva ed inanimava l’amico suo nelle sventure (8). Con perpetue preci le schiatte nobili chiedono prole: nasce il figlio: odi quale sarà tua vita, dice il ‘poeta. — Lungamente resterai nell'infanzia, per uscirne poi voluttuoso amante. Quindi a gelosia ti lascerai tra- sportare , a rabbia, a invidia; finchè spossato dalle la- scivie , volgerai la mente all’ambizione, di cui non mai sazio ti sopraggiungerà vecchiezza , senza speme, con molti fastidii. — Il qual esempio della vita umana nelle prosapie illustri, oh! quanto bene significa l’abuso che alcuni fanno di lor medesimi: mentre l’accorto leggi- tore incontro ad essi pone i fanciulli di stirpe non rag- guardevole, a'quali è breve infanzia, sollecitamente uomini, industri, operosi, di sostegno all’ universale, di gloria alla patria, felici nelle loro famiglie (9). A queste odi conseguita quella che a mio parere è la bellissima. Impedito il Pignotti dalle cure a lui com- messe, dopo l’età sua di trent'anni, non potè mai ritornare alla patria: sicchè per soddisfare all’ ardente desiderio finge il viaggio, e conduce ad Arezzo dentrola città. i pen- sieri. Saluta il dolce natio terreno, quelle spiaggie illu- 343 stri consacrate a Febo ed.a Minerva per l’ ingegno del Redi e del Cisalpino. Quindi volge intorno lo sguardo, e si duole di non trovare gli amici ed i maestri che per primi gl’indicarono le scenze: nè può di lunga gioia consolarsi , rivedendo l’ effigie loro \ne' figli, perocchè #’ accorge mancargli anche la musa, tenera compagna e guida del nascente animo suo. Onde abbassata la fan- tasia declina verso le cose della terra, che tutte cado- no: e visto il più grande intervallo di sua vita trascor- so, come stanco pellegrino (10) Adagia paziente, e aspetta il sonno. III Niuno per certo reputerà oscura o debole la ra- gione di queste odi; e nè anche potrà riprovarne il poetico linguaggio, perocchè massime nell’ultima è con facile armonia e non comuni pensieri dilette- vole e tenero. I quali pregi si trovano in tutte le poe- sie del Pignotti , sia che la mente sua tragga alle sponde del Tamigi per onorare i britannici poeti «a lui notissimi, o che per le patrie rive canti le prodezze degli avi. Che se il metro suo non mai s’inalza alla pin- darica canzone, umile e modesto fermandosi dove prin- cipia il carme eroico, non è difetto della fantasia, ma virtù dell’animo che non sapeva magnificare le passio- ni; troppo più filosofico ed umano che non si convenis- se ad immaginazione guerriera. E queste sue qualità erano sì naturali e costanti, che quantunque egli vene- rasse l’ Eschilo britanno , pur nondimeno gli preponepa il francese Euripide; ‘nelle cui dolcezze tanto s'interna- va, che, mi duole di dirlo, la grandezza dell’ Alfieri 34 agli occhi suoi abbassavasi. E ‘sì leggeva sempre. la ‘di- “vina commedia. Ma Dante era antico, e fino a’ moderni tempi senza emulo: quella sua fierezza e semplicità del dire pareva idonea allo studio, ma non per essere al'tutto imitata ; ed il rinnovare. lo stile , con'che la poesia nostra ebbe principio, sembrava sì audace e non tentabile im- presa ; che ancorquando la videro compiuta, molti opina- rono mancare tuttavia l'italiana tragedia, piuttosto che ritrarsi dall’erroneo lor pensamento: dispiacendo inoltre a’ contemporanei l’alterigia dell’ Alfieri, che.a guisa di Dante era tardo a lodare, prontissimo alle rampogne. Tra l’Alfieri ed il Pignotti è tanto intervallo , quan- to da Tacito a Fedro: e siccome questi sono cari amen- due agli amatori delle cose latine, così quelli debbono ; tutti e due ricevere dagl’italiani reverenza. Infatti l’Alfieri è il nostro tragico, ed il Pignotti ci ha dato. l’apologo. IV. Consueti gl’italiani a vivere con bene ordinate di- scipline, non ebbero uopo per molti secoli d’ ascondere i civili insegnamenti sotto allegoriche sembianze; tan- tochè le muse cantavano libertà o.amori; e la prosa di- scorreva filosofiche dottrine o piacevoli novelle. Riven- ne poi il tempo che bisognò cambiare costume: ma non pertanto non facilmente inchinarono gl’ italiani a men- tito o coperto linguaggio, e continuavano di vituperare i mali costumi, indicando le colpevoli persone. Onde, benchè l’ Alighieri componesse una ballata a guisa di apologo (11): e presupponendo ancora, chie altri si di- lettassero favoleggiando: sì rari e ‘spartiti sono questi esempli, che-it disegno di rinnovare tali composizioni p 345 pertiene ad Agnolo Firenzola, il quale nacque in sul principio del decimo sesto secolo, e mosse tra gli ani- mali eloquentissima conversazione: mettendo però que’ discorsi in bocca d’un filosofo che al Principe suo con- siglia. Nè importa che le sue narrazioni proseguano in continuo ragionamento, e che vi sieno commiste mol- te noveile: poichè vi si trovano eziandio alcune fa- vole esopiane , ed altri originali racconti che sono veri apologhi. & se in que tempi non avessero ignorate le favole di Fedro, il Firenzola avrebbe per avventura scritte poeticamente le sue, divenendo il primo favo- leggiatore anche tra’poeti, egli che innanzi la Fontaine ha composto l’apologo in elegante e correttissimo vol- gare (12). Ma posciachè ei mantenne la prosa, non imi- tato nemmeno da altri, se non che l’Ariosto inserì una favola nelle satire sue, ed il Crudeli scrisse due secoli poi cinque favolette in versi: così è grandissima lode al Pignotti aver adempito il vacuo della nostra letteratura; la quale aveva ormai degli ‘apologhi bisogno (13). Già da qualche tempo erasi la consuetudine per- vertita; non volendo i più, e massime i grandi, atten- dere alle buone discipline. Sicchè per togliere le pessi- me usanze era uopo esporre i consigli e le dottrine con senso allegorico, affinchè senza loro accorgimento l’ is- truzione ascoltassero. Nè a'tempi nostri , come a quelli di rozzo o bellicoso popolo, convenivasi l’ apologo sem- plice e breve; perciocchè se per molti effetti la troppa civiltà somiglia alla barbarie, questo le diversifica: nel primo stato maguificenza e lusinghe: nel secondo po- vertà e fierezza. E quindi, non perchè la lingua nostra atta non sia a’ poetici pensieri; concisi, semplici e for- ti, come alcuno presuppone; ma bensì per la qualità degli uomini e de’ tempi, il Pignotti si propose di scry- 346 vere favole eleganti, volendo che uscissero dalla classe media per andare infra gl’illustri personaggi. Nè verun suo apologo è troppo ornato , in guisa che l’intelligenza resti confusa : evidente il pensiero, naturale e chiaro l'ordinamento, bene adattata la moralità alle cose: on- de il leggitore trovando via dilettevole, a continuarla s'invoglia; e l’animo divagato è costretto a fermarsi nella meta. Ed è pur cosa lodevole aver divisato i con- cetti alle diverse età opportuni; imitando i poeti suoi favoriti, l’ Ariosto e il Metastasio, che a tutti univer- salmente piaciono, perchè ognuno vi trova di che pa- scere e migliorare le sue proprie inclinazioni. V. Infatti hanno le favole sue una gradazione giu- stissima, conforme a’ diversi umori che egli di cor- regger si propone. I giovani facilmente si svogliano delle splendienti cose, vedendole consimili a que’glo- betti lucidi che appena toccati diventano sordidi (14). I vecchi, non più indulgenti a’giovanili errori d’ al- trui, diventano benigni, temendo che sieno indicate le piume, che in gioventù vagheggiavano (15). L’uo- mo che senza fatica o merito pretende riputazione e sale in superbia, non può non sospettare che la -ve- rità discopra le dappocaggini sue, quando legga ciò che interviene alla lucciola dopo il levar del sole (16). Ognuno rimane a sua condizione contento, veggendo nascere nel medesimo campo la spiga ed il papave- ro, che pare gli dicano: non ti dolere, se non ti man- cano il pane ed il sonno (17). Ma dalle placide campagne mi conduce il poeta in riva della marina. Sorge l’ aurora; ed una rugia- 347 dosa gocciola cade per Varia, e vicina al sommer- gere invoca Febo ed i venti ‘mattutini, che aiutino dei piccola e non sensibile da’ vortici dell’ immenso P pelago. E da altra parte un gonfio torrente inonda nel- le valli, svelte le querci, abbattute le capanne, morti i greggi ed i pastori: sicchè riguardando gli argini distrutti e delle acque sue l’ampiezza , credesi forte contro l’ oceano, e gli contrasta e l’urta, finchè egli stesso debbe occultamente perire. Onde che fia della gocciola, se un fiume sì tumido ha perduto forze è no- me? Essa pur cade, ma sì trasforma im lucidissima per- la, de’ diademi ornamento. Dal che proviene ottimo consiglio: umiltà e la modestia condurre gli uomini a felice stato: la presunzione e la superbia inalzarli alquanto, perchè da più alto precipitino. Al quale con- siglio non avrebbero atteso gli uomini superbi delle ricchezze loro e degli avi, se il poeta non lo avesse ornato: di bellissimi versi, con nuova e gentile simi- litudine (18). VI. Queste favole, di che ho dato particolare indi- zio, sono del tutto originali; ma altre pure ne ha il Pignotti immaginate: ed i critici ingiustamente lo de- nigrano , attribuendo i pensieri suoi ad altrui. Nè io concludo, ch’esso non abbia mai imitato i patrii ed i forestieri scrittori: cosa inevitabile, dappoichè la fre- quenza de’ libri fa comuni i pensieri. Ma ciò è senza dubbio accaduto meno volte che non dicono. Tutti suoî quegli apologhi sono, che biasimano il costume de’ moderni. Dalla medesima antichissima sorgente, o dell’ Asia o della Grecia, derivano molti che sembra "RX 348 i pertengano a’ favoleggiatori nostri vicini. E que’ pochi finalmente d’ invenzione moderna ‘e non sua, gli ha così ben trasmutati che non possono, dirsi stranie- ri (19). Nè credo dover egli sottostare in alcun con- fronto con la Fontaine: imperocchè se questi è più semplice e spiritoso, quegli è più poetico , sempre na: turale, e non mai ignobile. Di che giova dare esempio. La Fontaine metteva tra le favole sue migliori quella che s'intitola la canna e la querce: e di vero è bellissima. Incomincia la querce, dileggiando la canna, cui natura fece sì debole, mentre essa inalza la fronte siccome il Caucaso, impenetrabile a’ raggi del sole, robustissima contro le tempeste: ed oh! sog- giugne, fossi tu nata almeno sotto le frondi mie , io ti potrei difendere. — Risponde ironicamente la can- na: la tua compassione è segno d’indole buona, ma non prender cura di me: mi piegano, non mì rom- pono i venti: tu finora hai con essi contrastato , aspet- tiamo il fine. — Ed in questo mentre levasi impetuo- so turbine, che sradica quell’albero, la cui testa era vicina al celo, ed i cui ‘piedi posavano nel regno de’ morti (20). In quest’ ultimo pensiero sembrerà forse troppo evidente l’antitesi; ma tutto ciò che pre- cede, è singolarissimo e perfetto. Nè il merito suo in niuna parte non si scema, considerando che la favola non è originale; stantechè Esopo racconta che l’ulivo insultava alla canna, e che per forte vento quello si ruppe; questa si Reforaio, ma non ci dà sì bel dia- logo con sì naturale descrizione. Vediamo ora come il Pignotti discorra, un simile tema. — La rosa, il gelsomino e la querce. — Incomin-. cia la rosa, vantando sè stessa ed il gelsomino, siccome . fiori diletti a Zeffiro , grati all'amore, di 349 ghirlanda alle spose, d’invidia pel suo colore a Fil- le. Sicchè il gelsomino, insuperbitosi addita la querce, e biasima la natura perchè produce alberi sì rozzi e duri ,, non dovendo creare se non gelsomini e rose. Al che la querce risponde: tacete arroganti, che for- se non perverrete alla nuova aurora: sì molti ho ve- duto di voi nascere e perire, che voi medesimi non mi ‘sembrate esistere; voi di pompa inutile, ad un tempo colti e obliati: mentre io da cento e cento anni do riparo alle greggi, e pascolo di me gli armenti, per vivere anche dopo la mia rovina, solcando il mare con dovizioso incarico. Le quali parole erano appena proferite, che i fiori odore e forma perdevano. — Ne” quali pensieri tanta è dignità che non la maggiore: essendo la querce come esser doveva incoutro a’ bel- lissimi fiori; questi cioè deboli e superbi, quella forte e magnanima. VIL Non è pertanto maraviglia , che il Pignotti acqui- stasse riputazione alle favole sue, tostochè le ebbe lette agli amici : ed incominciò a scriverle, quando da Pisa tornò la prima volta a Firenze , per diletto delle acca- demie fiorentine , ove uomini e donne si godevano one- stamente della sera, o poetando o cantando, non fre- quenti allora i Gestrali spettacoli. Talchè piacendo le favole sue moltissimo agli accademici, furono per essi stampate senza darne contezza ‘all’ autore, così come temessero della di lui modestia (21). Ed invero la sol- lecitudine loro dispiacque al Pignotti, che voleva nelle opere sue meglio studiare: Ma ciò lo costrinse a progre- dire nel principiato cammino, in cui dietro esso presto 350 si misero il Roberti, il Bertola, il Passeroni, ed il Cla» sio: invogliandosi eziandio altri poeti d’intitolare apo- loghi i lor versi. Tantochè basterebbe al Pignotti sola la gloria d’aver sì molti favoleggiatori promosso, quan- do anche non fosse a questi eguale o maggiore. Ma il Roberti sembra a molti grave e noioso. Il Passeroni usa talvolta maniere basse e proverbiali senza lepidezza. Il Clasio discorre con lingua più corretta, ma è altresì più difficile a’ giovani leggitori. Ed il Bertola che volle farsi emulo principale al Pignotti, è sovente dramma- tico, epigrammatico, anacreontico : alcune sue favole bel- lissime: altre consimili alle ariette da musica: e più che non dice, le ha da altri imitate, e per avventura anche dal Pignotti. Sicchè avendo ciascuno qualche leggiadro apologo; e più il Clasio ed il Bertola che non i due prima indicati (22): pur nondimeno il Pignotti, siccome favo- leggiatore, prevale ; stantechè fin dalle prime parole ma- nifesta il tema, e quindi seco ne conduce come per dirit- to fiume a spazioso lago, dove i rei costumi del secolo nostro vituperati sommergono. Le quali particolarità si trovano eziandio nelle altre sue composizioni, e. massi- me nel poemetto della treccia donata, di cui mi cons viene per varie cagioni discorrere. VIII. Dapprima è questo uno de’ pochi poemetti che vadano per l’Italia contro le male conversazioni, non disonesto, non politico , lepido senza campali batta- glie. In secondo luogo: è per alcuni troppo lodato , da altri troppo invilito. Quelli, cui non piace, dico- no essere tutta imitazione dal riccio rapito del Po- pe. Ed i fautori pretendono che sia tutto originale, e 351 bellissimo ancora negl’idiomi stranieri (23): il che invero all’ opinione di essi è forte argomento. Ma que- sta prova non era necessaria. Il Pignotti ha preso per certo il pensiero dal Pope, siccome da Omero si derivò Virgilio, e da questo il Tasso. Ma quindi lo ha rivol- to a più utile soggetto, delineandolo con differen- tissime forme. Imperciocchè il Pope si fonda. nel particolare avvenimento , che un ardito e presun- tuoso giovane toglie all’ amante sua, da’ capelli un riccio : ed il Pignotti vilipende la ridicola usanza delle galanti femmine, liberali delle treccie loro a biasimo della propria modestia. Dipoi, nell’ andamen- ‘to e negli episodii, sono anche più dissimili. Il Pope lascia: fare ogni cosa agli spiriti, o Silfi o Gnomi ; inanima ed onora la sua eroina: volando il riccio, novello astro, all’Olimpo. Il Pignotti poco si giova degli spiriti, vitupera più di proposito le .costuman- ze erronee, e non dà gloria alla sua eroina; la quale perde la riputazione ; perde la bellezza; e vede ardere la treccia sua nel rogo d’inettissimi libri. Onde ec- cettuato il primo pensiero , possono amendue siccome originali riguardarsi: più bello e più spiritoso il Po- pe, perchè è più conciso, e nella sua lingua più cor- retto: più naturale e più utile il Pignotti, perchè ha scelto tema migliore. In somma è questo nostro poe- metto un nuovo e leggiadro fiore ne’giardini,dell’Ita- lia; e sarebbe vaghissimo se fosse vil più bre- ve, o se l’autore non adoperava le sestine , che trop- po dilungano i burleschi e satirici soggetti. 352 IX. Avendo dunque il Pignotti cotanta virtù poeti- ca, perchè, alcuno domanderà, fu egli sì lungamente maestro delle fisiche scenze?. Se questi furono i. pri- mi suo! studii, per vaghezza di conoscere gli ordinî della natura: se l’incarico magistrale assunse per pro- cacciare le commodità del vivere: perchè poi, sue qualità manifestando, non fu egli tratto fuori di tali: impedimenti, aftibihè la fantasia non divagasse? Egli aveva studiato in ogni fisico teorema; avvertiva sem- \ pre a nuovi ritrovamenti, e non lasciandosi mai co- stringere ad alcun sistema; neppure nella ‘vecchiez- za non era indocile , quando sorgevano opinioni mi- gliori. delle antiche . Nulladimeno , benchè facesse eziandio un utile discorso intorno alle variazioni ba- rometriche (24); non era egli sì dedito alla fisica, che non potesse senza danno del pubblico abbando- narla. Ma le lezioni sue erano grate a’ discepoli ;\ Ad ogni giovanetto, che lodevole fosse per buoni. costu- mi, era il Pignotti maestro, amico e padre: e se scor- geva un ingegno utile alla patria, mai non riposava prima d’averlo condotto in termini tali che tralignar non potesse. Onde si molti uomini essendo per opera sua pervenuti in altezza di fama; e concorrendo an- che i forestieri a lui, piacevolissimo parlatore : sarebbe stata massima sventura aglione di Pisa il Pignotti, nè ivi era in quel tempo a’ meriti suoi più convene- vole seggio. Finalmente vacò 1’ ufficio di rettore nel pisano studio, ed il Pignotti subito l’ottenne : talchè trovandosi allora in più tranquilla condizione avrebbe potuto se- 353 guire il genio suo, dandosi tutto alle Muse. Ma la sua età era giunta a quel tempo in cui l’immaginazione in- contrasi con troppa maturità di giudizio, e per l’ ordi- nario ‘intiepidisce e cade: sicchè ognuno congetturava dovesse egli riposare , godendosi dell’ acquistata riputa- zione tra’ suoi discepoli. È questo intervenuto sarebbe, se egli non si fosse prima apparecchiato a nuova ed im- portantissima opera. Ancorquando la sua fantasia inal- zavasi per le fiorite sponde del Parnaso, ei sovente rivol- gevasi alle cronache ed alle leggende, per desio di cono- scere gli uomini antichi. Onde, bilanciate le opinioni d’ogni secolo, considerati i costumi, disaminate le usanze, e trascritti gli esempli; non si lasciando sbigottire alla gran fatica necessaria nel compilarli; prese per partito di vivere gli ultimi anni, ragguagliando i toscani della loro storia. Il quale disegno è veramente mirabile, dap- poichè nacque nell'animo d’ un poeta, che per lungo tempo aveva insegnato le scenze: e tanto è più maravi» glioso, in quanto che fu tardi divisato, e presto com- piuto. O grai dono della fortuna; aver mente istanca- bile, ingegnosa! Stare all’ aurora colle Muse, insegnare le scenze nel meriggio, e raccontare la storia nella sera, è il più bello effetto conseguibile dall’uomo. N: Il Pignotti comincia la sua narrazione dagli etru- schi anteriormente alla fondazione di Roma: ed intan- tochè ragiona gli argomenti degli altri storici, distin- guendo i fatti dalle conietture , non invilisce nè troppo inalza quel popolo, ma dimostra che tutti gli antichi lo apprezzavano siccome più civile che non le circostanti nazioni, e celebre particolarmente de’ vasi, la cui eccel- T. II. Giugno 23 354 lenza è provata con sì chiaro discorso, che invano ten= tano alcuni trasferirla tutta ne’ greci. Quindi prosegue la storia verso i gloriosissimi tempi dell’Italia, allorchè gli etruschi ebbero un secondo nome, partecipando nelle amicizie e nelle guerre del popolo latino. E queste cose brevemente discorse : e dato anche più breve sommario de’ susseguenti ferocissimi secoli : quando poi risorgono le arti, le civiltà e gli studii, allora il Pignotti assume i particolari, e di proposito attende al concepito disegno; governandosi però in questo modo, che mentre fonda l’unità dell’opera sua nelle notizie della città di Firenze, le quali dispone e seguita con ordine chiaro e sempre progressivo; come per necessità si. disvia talvolta per tutta Italia ed anche oltre le alpi, affinchè la storia non sia semplice cronica, ma soddisfaccia pure a que’ let- tori che vogliono conoscere gli andamenti reciproci di tutte le nazioni. Nè soffoga i fatti storici con politiche, economiche, o morali considerazioni; incorrendo piutto- sto nel contrario difetto, perchè alcuna volta non volle, o forse non ebbe il tempo a far meglio corrispondere colle cagioni gli effetti . E nemmeno si lasciò trasportare al vano desiderio di pompeggiare con massime, con sen- lenze, e con orazioni studiate; non prevenendo i tempi, non abusando l'occasione, secondochè altri storici inop- portunamente or fanno per dipingere i costumi moderni con colori antichi. Con modesto dunque e non parziale giudizio il Pignotti segue l’impresa, e la conclude ove i Medici principiano a signoreggiare del tutto la Toscana; essen- do già descritta gli Gan la storia di cui Gran- duchi. E perciocehè le pubbliche costituzioni d’ un popolo meglio s’ intendono allorquando si ha piena con- tezza del suo vivere privato; così il Pignotti piva I 355 altresì a questo nostro bisogno, aggiungendo al racconto storico particolari ragionamenti, per indicare le artì della pace e della guerra, gli usi civili, gli abiti, i co- stumi, l'origine ed il progredimento delle lettere, delle scenze, dell’ agricoltura e del commercio. In uno de? quali discorsi è pure significato il modo, come noi to- scani concludiamo la questione che da lungo tempo dura intorno all’ idioma italico : il che trovandosi descritto insieme colla storia della patria: nostra , e non potendo perciò essere disdetto, avrebbe dovuto, credo io, contentare a tutti, e levar via qualunque differenza, inanimando ogni abitatore dalle ‘alpi al mare a partecipare in questo almeno della grande ita- lica famiglia. Che se noi ci gloriamo di quegli altis- simi triumviri, che parlarono la nostra lingua e la raf- fermarono nelle scritture; non pertanto è nostro, desi. derio, e massimo onore reputiamo, essere figli comuni dell’Italia. Nè le nostre pretensioni sono talmente in- temperate, che attribuirci vogliamo l’ assoluta potestà di ben comporre e di far giudizio delle opere altrui; la qual cosa sarebbe del tutto incompatibile per rispetto al numero grande di vivi e di morti scrittori, che noi medesimi con entusiasmo leggiamo, quantunque na- ti sieno là dove il popolo con altri dialetti discorre, Ma nello stesso tempo che ci rallegriamo di qual- sivoglia italica prodezza, onorando tutti i nobili in- gegni, ed accogliendone volentieri gli ammaestramen- ti; con somma ragione, mi sembra, è dal Pignotti lodata la lingua mostra originale, lodati per primi gli autori nostri volgari, e lodato il disegno:che i soli to- scami dapprima concepirono di cornpilare il vocabolario della lingua . E bene altresì lo stesso Pignotti risponde a quelli che presuppongono non aver Dante scritto 356 fiorentinamente ; dicendo che il dialetto toscano fece una leggiadra fraude all’ Alighieri, insinuandosi ta- citamente ne’ suoi scritti e nell’ animo suo. Continuandosi poi alle medesime cose, egli dinota i pregi della nostra favella, più dulce, più espressiva, e di vocaboli più abbondante che'non le altre lingue dell’ Europa: e la giudicava idonea a’ familiari concetti, alla poesia, ed all’ eloquenza. Che se gli parve non op- portuna del tutto a significare i filosofici pensieri, diede altresì a conoscere che non era egli certo di questa sua opinione; stantechè soggiungeva, non mancare mai le parole necessarie all’ insegnamento di qualunque dot- tria, essere solo difficili a trovarsi in tanta copia di voci. Oltrechè aveva' egli pure affermato:che il Galilei, il Macchiavelli, il Redi, il Cocchi seppero toscanamente e senza difficoltà ragionare nella storia, nella politica, nella filosofia e nelle scenze. Ma questi, mi sia lecito dirlo, furono autori originali; e non andando dietro agli altrui pensieri, ebbero facile aiuto dal proprio linguag- gio. Noi all'incontro siamo ora discepoli e traduttori delle forestiere scritture; talchè usati essendo agl’ idio- mi stranieri, ci sembrano mancare le natie parole. Ma volendole, si trovano: e senza molto studio discorre- ranno per le opere ‘nostre, quando a noi pertengano eziandio l’ ordine e il disegno degli argomenti. Al che però bisogna fare alcune eccezioni; imperciocchè il Pi- gnotti medesimo non sempre adoperò la nostwa sintassi nè i modi nostri del dire, quantunque delineasse a ge- nio suo la storia della Toscana. Nè io voglio intorno a ciò scusarlo, benchè debba manifestare che la vita sua non fu sì lunga ch’ ei potesse correggere e stampare l’opera sua: poichè anzi indico questo fatto com’ esem- plo a’ giovani, affinchè studino alle prose, e si purghino 359 dalla corrotta loquela, prima di giungere a quell’ età, în cui l’ animo attende a’ pensieri e non alle parole. Il quale studio è a noi tanto più necessario, in quanto che trascurato ora l’idioma diventiamo al tutto forestieri, e si giudica, e si scrive intorno alla nostra letteratura come alcuno che mai non l’abbia conosciuta. Del rimanente, se il Pignotti fu alquanto imitatore del gallico stile, fuggì nondimeno le consuetudini d’ ol- tramonti. Infatti alcuni storici, che scrivono in lingua francese, chiamano l’ Italia terra de’ morti, morta da tre secoli. Ed ancorquando sembrano voler di lode inalzare gl’ italiani spiriti, sovente denigrano i fatti, gli eroi, i nostri costumi. Che se discorrono i singolari com- battimenti o le campali giornate, mostrano che gl’ ita- liani adoperano l’arte più che il valore. Il gran capi- tano della fiorentina repubblica, l’ intrepido e prudente Ferruccio appena si reputa meritevole degli onori da soldato. Dubbia la gloria de’ tredici campioni che l’ ita- liana virtù nella Puglia sostennero (25) . Lusinghevole a’ Principi, e vanagloriante il Petrarca, che a’ popoli in Europa è benemerito. Nè di alcuna grazia è degno il magnifico Lorenzo, grande uomo di stato a confronto degli antichi e de’ moderni; come la medesima storia manifesta, perocchè il consiglio suo mantenne pace e concordia tra’ potentati, e spento lui declinarono e cad- dero le cose d’Italia irreparabilmente . Le quali opinioni loro non ho io obbligo di dimostrare quanto sieno er- ronee, perchè false appariscono leggendo nel Pignotti . Nè egli le ha riprovate, RR agli stranieri: puro e candido l’ animo suo, da non poter vituperare gli uo- mini, se non quando era necessario l’ esempio contro le turpi azioni. Nè egli credeva vivere tra’ morti » quan- tunque nato nell’ Italia, e co” nostri modi educato . E 358. non pertanto, non dalla memoria sua erano svaniti gli antichi etruschi ed i romani, padri, signori, e maestri a tutte le moderne nazioni; tantochè egli pure riguardava le antiche reliquie a qualsivoglia monumento superiori. Ma se l’Italia può vantare questa grandezza, se ella sola può dire in Europa: io fui un di, senza contrasto, re- gina: debbesi perciò reputare al tutto vile e morta, or che non ha quel medesimo splendore? E per rispetto alle arti ed. alle scenze, finirono esse forse, come quegli storici dicono, a’ tempi dell’ Ariosto e del Tasso ? Certa- mente questi grandi ingegni procacciarono all’ Italia massimo onore. Ma dopo essi abbiamo avuto per la se- conda volta, e potrei dire la terza, con nuovo benchè no- stro ed originale idioma; caso fortunato di noi soli tra- ‘tutti i popoli: abbiamo avuto, dico, la commedia, la fa- vola, il dramma, la tragedia, l’antichità, la musica; guasto, non spento, ed ora reintegrato nelle belle arti il gusto: vivi sempre moltissimi uomini sommi: morti da pochi anni l’ Alfieri, il Visconti, ed il Pignotti. 359 NOTE (1) Lorenzo Pignotti nacque a dì 9g. di Agosto 1739 in Figli- ne, ricca, amena e popolata terra tra Firenze ed Arezzo. Questa ed. altre notizie\storiche si derivano dalla dottissima opera di Aldobrando Paolini, che ha compilato un lungo elogio storico filosofico di Lorenzo Pignotti. (2) In città di Castello. (3) Particolarmente dal pievano Landi. (4) Antonio Filippo Bonci, aretino. (5) Vedi la favola del Pignotti intitolata Za Sanità e la Medicina . i (6) Il Pignotti aveva animo prontissimo a dare risposte. Un giorno discorreva col famoso senator Gianni; e questi motteg- giando il Pignotti, perchè molti asini addottorati fossero nell’ uni- versità di Pisa, sentì posatamente rispondere, che Caligola aveva fatto senatore ‘il suo cavallo. (7) Il Pignotti fu preso da apoplessia nervosa nell’ anno 1809, e morì a di 5. di Agosto 1812. (8) Ode I. La sventura. (9) Ode II. La vita umana . (10) Ode III Il ritorno alla patria. (11) L’apologo dell’ Alighieri è il seguente , inserito tra le sue ballate. Quando il consiglio degli augei si tenne, Di nicistà convenne Che ciascun comparisse a tal novella . E la cornacchia maliziosa e fella Pensò mutar gonnella, E da molti altri augei accattò penne» E adornossi, er nel consiglio venne; Ma poco si sostenne . Perchè pareva sopra gli altri bella; Alcun domandò l’altro, chi è quella? Sicchè finalmente ella Fu conosciuta. Or odi che n’avvenne : Che tutti gli altri augei le fur d’intorno; Sicchè senza soggiorno La pelar sì, ch’ ella rimase ignuda, È l’un dicca: or vedi bella druda. Dicea l’altro: ella muda. . E così la lasciaro in grande scorno. Similemente addivien tutto giorno D’uomo che si fa adorno Di fama e di virtù ch’altrui dischiuda : Che spesse volte suda Dell’altrui caldo, talchè poi agghiaccia. Dunque beato chi per sè procaccia. (12) Il primo manoscritto delle favole di Fedro fu trovato in Reims, nella libreria di S. Remigio, e pubblicato colle stampe in Troyes, nell’anno 1596. Agnolo Firenzola nacque nel 1493, e morì nel 1595. (13) Il Clasio, nella sua lezione sopra l’apologo pubblicata nella scelta d’opuscoli letterari e morali , ossia nell’ Ape ( anno terzo. Firenze 1806), così ragiona. 3) L’apologo ebbe la sua nascita in oriente , e può vantare ‘una remotissima antichità. Il capitolo nono del libro de’ Giudici dà un esempio ben luminoso nell’apologo degli alberi che vogliono scegliersi un Re. Gl’ indiani hanno un antichissimo libro di favole attribuite a Pilpai, e intitolato ancora Calila e Dimna, il quale ha sempre goduto di tanta celebrità , che non vi è appena lingua, in cui non sia stato tradotto. Questo spirito di favoleggiare passò ben tosto nella Grecia, e vi è chi crede che Esiodo i primi saggi ne desse. Ma le favole esopiane, sull’autor delle quali ancor si contrasta, salirono in una fama incredibile, e servirono di modello così a Fedro, come agli altri favoleggiatori delle lingue moderne. L’ Italia nostra non ha tardato a coltivare un genere d’istruzione sì piacevole e fruttuoso; e fin nel secolo XV si videro cinque edizioni delle favole d’ Esopo ridotte in sonetti per Accio Zucco, e si vide pure la famosa ed ele gantissima edizione di Napoli del 1485 delle stesse favole ridotte in prosa ‘italiana con notabili illustrazioni da Francesco Tuppo . E qui non so come possa dire il Bertola nella sezione seconda del suo . viaggio sopra la favola : essere strano che gl’italiani non abbiano avuto favole in versi fino a'dì nostri, essi che traducevano Esopo in prosa: e facevano versi bellissimi. Ma dovea conside- rare il Bertola che anticamente non conoscevansi appena altre favole che l’esopiane scritte in prosa, e che Fedro fu pubbli- 361 cato la prima volta nel 1596 dal Pitheo: e contuttociò il Pavesi { Cesare Pavesi, sotto nome di Pietro Targa ) avea già pubblicato nel 1569 cento cinquanta favole in versi, e cento pure il Ver- dizotti nel 1570. Si aggiungano le favole del Capaccio rese pub- bliche nel secolo XVII, e gli apologhi di Bernardino Baldi abate di Guastalla ridotti in versi toscani dal Crescimbeni, e stampati in Roma nel 1702, come pure qualche altra favola» spicciolata del Buommattei pubblicata dal Manni: e dovrà confessare il Bertola, che l’Italia non solo ha posseduto delle buone favole in versi prima de’ nostri tempi, ma che ha preceduto ancora in questa carriera le altre nazioni d’ Europa. ,, E queste parole del Clasio sono vere senza contrasto. Anzi le favole d’ Esopo furono volgarizzate in Toscana fin dal 1300. Ma quasi tutte le favole dettate in prosa anteriormente al Fi- renzola , e quasi tutti gli apologhi dettati in versi prima che il Pignotti favoleggiasse, debbono riguardarsi o come traduzioni o come parafrasi delle favole già composte da’ latini o da’ greci. Sicchè a’ due sopra detti pertiene sempre la gloria di averci dato per primi favole originali, accomodandole a’ moderni costumi. (14) La favola intitolata: Ze bolle di sapone, ossia la vanità de’ desideriù umani. (19) Za piuma e la berretta. (16) La lucciola, (17) La spica e il papavero. Questa favola è bellissima, semplice e breve. i (18) La gocciola e il fiume. (19) La favola, Za morte e il medico, è imitazione di quella di Gay, the court of death, cioè la corte della morte. E la favola, l’uomo, il gatto, il cane e la mosca, si deriva da quella di Gay, dello stesso titolo. Ma nondimeno, se pongansi a con- fronto, vi si trova notabile cambiamento: meglio esposte dal Pignotti, e con moralità più idonea. Così la favola della Zucca può essere giudicata imitazione del seguente apologo , inserito nella satira settima dell’ Ariosto. Fu già una zucca, che montò sublime i In pochi giorni tanto, che coperse A un pero suo vicin l’ ultime cime. Il pero una mattina gli occhi aperse , Ch' avea dormito un lungo sonno, e visti I nuovi frutti sul capo sedere, | 362 Le disse: chi sei tu? come galisti Qua su? Dov eri dianzi , quando lasso AI sonno abbandonai questi occhi tristi ? Ella gli disse il nome, e dove al basso Fu piantata mostrògli, e che in tre mesi Quivi era giunta accelerando il passo . Ed io; l’ alber soggiunse, appena ascesi A questa altezza, poi che al caldo e al gelo Con tutti i venti trent’ anni :contesi . Ma tu, che a un volger d’ occhi arrivi in Celo, Renditi certa, che non meno in fretta Che sia cresciuto, mancherà il tuo stelo . Ed è probabil cosa, che il Pignotti dilettandosi spesso nella lettura dell’ Ariosto , ne abbia preso il pensiero: ma lo ha egli copiato? Affinchè il leggitore ne faccia da sè stesso il confronto , trascriverò qui eziandio la favola del Pignotti. Dolevasi una Zucca D’ esser dalla natura condannata A. gir serpendo sopra il suolo umìle . Io, dicea , calpestata Mi trovo ognor da ogni animal più vile ; E dentro il limo involta E nel crasso vapor sempre sepolta, Che denso sta sull’ umido terreno, Mai non respiro il dolce aer sereno . A cangiar sorte intenta, Volse e rivolse i rami serpeggianti Ora indietro, ora avanti, Strisciando sopra il suol con gran fatica , ‘Tantochè giunse a un'alta pianta antica . I pieghevoli rami avvolse allora Al tronco della pianta intorno intorno, Strisciando chetamente notte e giorno: Talchè fra pochi dì trovossi giunta Dell’ albero alla punta, E voltandosi in giù guardò superba Gli umil virgulti che giacean sull’ erba. Questi ripieni allor di meraviglia, Chi mai, dicean fra loro, Portò con lieve inaspettato salto 365 Quel frutice negletto tanto in alto? Rispose il giunco allora: Sapete con qual arte egli potèo Giungere all’ alta cima? Vilmente sopra il suolo strisciando prima. 3) La zucca degli onor la strada insegna » A chi gli onori a prezzo tal non sdegna. Dappoichéè ho messo la lucciola tra le favole originali del Pi- gnotti , è uopo che traduca dall’ inglese quella di Moor, affinché si conoscano essere due apologhi molto diversi . Il rosignolo e la lucciola. » Le prudenti ninfe, cui sulla guancia spuntano la rosa e il giglio, non vadano spesso ove concorre il popolo, e celino le bel- lezze loro alla vista del pubblico, mantenute savie da questa sem- plice e vera sentenza : le mosche trarre a’ bellissimi fiori. > Una lucciola vana e superba, mentre di notte contemplava la coda sua splendiente, esclamò: per certo la natura non produsse mai creatura sì elegante e bella! oh! quanto sono dispregevoli tutti gli altri insetti, e la frugale formica, e l’ ape industre, e il baco da seta, con tutta quella vilissima torma che servilmente adopera la vita, sempre lavorando, a’ piaceri nemica. Basso volgare armento, io ti disprezzo. Io nacqui soltanto alle grandezze, io progenie divina, collocata in terra per vivere e per risplendere. Quelle luci che lassù in così alto luogo scintillono , altra cosa non sono che le luc- ciole del Celo. Edi Re sulla terra ammirano lor gemme, perchè son queste al fuoco mio consimili. » Gosì ella parlò: ed un usignolo attento e taciturno stava sopra un piccol ramo. Sicchè vedendo vicino il risplendente» in- setto, subito volò a prenderlo, guidato dallo stesso suo splendore; e guardando poi con occhio sobrio, alla ‘tremante preda così rispo- ‘se: stolta orgogliosa , la bellezza tua ti dà la morte. Con meno splendore, da altrui negletta, avresti più lungamente vivuto ne’ dol- ci campi. La superbia o tosto o tardi abbassata piagne, e la bellezza rende miseri quelli, cui essa adornava.. ,, La sola rassomiglianza di questa favola a quella del Pignotti è nel discorso della lucciola. Tutto il resto è ditferentissimo. Ed af- finchè i pregii del Pignotti sieno viepiù manifesti, trascriverò ciò che fu stampato nelle novelle Zetterarie, allorquando egli compilò in un solo libro le favole sue, già note per piccoli e spartiti foglietti al pubblico. Ei le stampò così congiunte in Pisa nell’anno 1782, 364 > insieme con due novelle e con un poemetto intitolato a Maria Isa- bella di Sommerset, duchessa di Rutlandia. Ed il Proposto Marco Lastri, uomo eruditissimo e spiritoso, quantunque negligente della nostra favella; poichè seguitava di ragguagliare il pubblico intorno alle nuove letterarie, continuandosi' cioè a quelle che il dottor Giovanni Lami avea divulgate dal 1740 al 1770; così volle parlare ancora del Pignotti, e pubblicò il seguente discorso nel numero 26 delle mentovate novelle letterarie, anno 1782. 33 Il dottor Pignotti ha ben comosciuto il suo secolo : si è scusato di esser poeta. La propria difesa, le lodi della poesia, ed i sentimenti del romano autore su tal proposito, formano il soggetto primario della sua prefazione. Una questione interessante è quella ch’ei vi promuove, civè il perchè il mestier di poeta sia presente- mente sì vilipeso? Ne adduce diverse ragioni; ma la principale è quella ch’ egli leggiadramente accenna alla pag. 6, vale a dire la decadenza generale della vera virtù, e di tutte le belle arti, carat- teristiche le più certe per distinguere un secolo culto da un har- baro. Non senza ragione finsero gli antichi le Muse sorelle; il vin- colo, che passa tra di loro, è strettissimo : coniurant amice. I Greci che ebbero i maggiori poeti, furono insieme gran filosofi, gran po- litici, grandi oratori, e grandi artefici; di più, virtuosi cittadini, e valorosi soldati. E quando il secolo d’ Augusto in Roma fu termi- nato, non solo la poesia decadde ; ma la storia ancora, l’eloquenza, i marmi, i bronzi effigiati, e tutte le arti di gusto, e le scenze, diedero manifesti segni i dell’ iricominciata barbarie. Ben a ragione la fantasia del nostro fervido poeta nel poemetto dedicatorio a Mi- ledi Sommerset s° immagina di vedere adirate sulle antiche ruine le ombre de’ Fabii e de’ Cammilli : Ombre che fin di là dal nero lido Della pigra palude, i torvi lumi Volgon sdegnosi, e fremon sul destino Della misera Italia . Ma vw ha tutto il luogo di credere che or incominci un nuovo ordine di secoli. La verità, unica sorgente del Bello, è stata rimandata giù dalla celeste magione, dice il Pignotti nella favola proemiale, ed abita tra di noi: esule dalle nostre contrade, *se n’ andava lungi tanto più da’dorati liminari delle auguste corti. Nè più colà comparve infinchè il pio Leopoldo, spogliato il regio fasto, Lungi dal soglio a ricercarla gìo, 365 E vinto della frode ogni contrasto, Per man guidò di mille viva al suono La Diva, e fè sederla accanto al trono. Quindi il nostro signor Pignotti ha potuto moralizzar libera- mente col guasto costume de’ presenti tempi, ed esser poeta. Egli merita DER AISIOR questo titolo, ed il supremo posto tra i favoli- sti italiani. Tutte le volte che ci si è presentata l’ occasione, abbia- mo mostrato il nostro desiderio , perchè sorgesse sul Parnaso ita- liano un favolista originale, che andasse alla pari col classico de” francesi, signor la Fontaine. Eccolo finalmente. Noi contavamo tra le plausibili, sole cinque favole di Tommaso Crudeli, e poche altre del padre Roberti. Un saggio di 50 tra favole e novelle morali impresse in Napoli nel 1773, ed una centuria di favole di Ba- silio Grazigo in Torino 1778, appena si rammentavano. Si dichia- ra il signor Pignotti di aver tentato colla varietà dello stile di sod- disfare a’ diversi gusti. Quindi se ne osservano alcune delle semplici, alcune altre delle più fiorite, secondochèé gli è parso che richiedesse il soggetto. Quella, che qui riportiamo, è scelta tra le prime : ( ed è il giudice e i pescatori). Se la troppa lunghezza non ci vietasse dare un saggio ancora delle seconde, noi avremmo scelto sicura- mente o /2 rosa e lo spino, o la goccioli e il fiume. Le favole sono in numero di 34, le novelle 2. Tutta insieme considerata que- sta opera, ci sembra di poter dire , che il signor Pignotti ha arrio- chita l’italica poesia di un genere di stile affatto nuovo . ,; (20) Celui de qui la téte au Ciel était voisine , Et dont les pieds touchaient à l’'empire des morts . (21) Nelle notizie storiche intorno alla vita ed alle opere del Pignotti , inserite nel primo tomo della storia sua della Toscana , si legge: che le favole del Pignotti furono per la prima volta stam- pate in Pisa nell’anno 1782. Ma questo non può risguardare se non alla stampa fatta per opera dell’ autore. Infatti il Proposto Marco Lastri, indicando al pubblico il poemetto; intitolato Sha- kespear , e pubblicato dal Pignotti nel 1779; così si espresse nel n.° 42 delle novelle letterarie , nell’anno medesimo 1779. » Di tempo in tempo siamo rindennizzati, per così dire, delle tante poesie mediocri o cattive che inondan l’ Italia , per mezzo di altre che riuniscono insieme la sublimità, l’ eleganza, ed il buon senso . Tra queste bisogna distinguere la presente del signor Lo- renzo Pignotti, Lettore di Fisica nell’ università di Pisa, e noto per altre sue produzioni in verso; e singolarmente per alcune fa- volette morali, ,, 366 Quindi abbiamo la testimonianza dell’ abate Bertola, emulo principale al Pignotti , il quale nella settima sezione del suo sag- gio sopra le favole dice : i primo saggio delle mie favole compar- ve nel 1779: a quel tempo non erano ancora comparse le favole del signor Passeroni , poche del Signor Pignotti : quelle del Ro berti incominciavano allora a girar per l’Italia. Onde si dedu- ce essere alcune favole del Pignotti pubblicate anzi Vanno 1779; anteriormente a quelle del Pasgatohi , del Roberti , e del Bertola. Il Clasio è posteriore ad essi tutti. Oltre i saddetti favoleggiatori ne abbiamo altri eziandio, co- me per esempio il Decoureil, il Matteini, ed il gentile Giovan Gherardo de’ Rossi. Ma ancora questi sono più recenti del Pi- gnotti; e le favole di questo nostro poeta furono, siccome ho già notato , pubblicate in foglietti spartiti, e mandate per l’ Italia con . graride e subito applauso, anche prima del 1779, e forse parecchi anni prima. Quando poi egli ebbe fatta l'edizione di Pisa, ne vide tosto altre ristampe in molti luoghi : tantochè durante la sua vita furono gli apologhi suoi ristampati 25 volte: ed ora continuamente sì ristampano . (22) Clasio non è il nome vero dell’ autore. Egli volle trasla- tare in greco il suo cognome, appellandosi modestamente Clasio cioè fiacco . Ed è il signor abate Luigi Fiacchi, uomo illibato; degnissimo membro dell’ accademia della Crusca , e valente serit- tore nelle prose fiorentine. Egli giova tuttora alla patria , racco- gliendo il fiore delle antiche scritture, ed insegnando a noi la pura e natia favella. Nè solamente ora gode di sì grande ripu- tazione, poiché fin dal 1789 il Lastri lo encomiava colle seguenti parole nel n.° 43 delle novelle letterarie, annunziando il di lui saggio di toscane poesie. La semplicità de’ pensieri, e la mora- lità ch’ ei sa trarre dagli argomenti di qualunque genere , mo- strano la rettitudine del suo giudizio e la schiettezza del suo cuore . È (23) Questo poemetto del Pignotti è stato tradotto in fran- cese . (24) Intorno a questa operetta ne parla lungamente il Lastri nel n.° 44 delle novelle letterarie 1780. (25) Tutti gli storici, che raccontando questo particolar com- battimento vituperano gl’ italiani, s’ appoggiano al Sabellico, par- zialissimo scrittore , Ma i giudici diedero compiutamente ragione agl’italiani : ed ognuno sa quanto rigide fossero le-leggi delle sin- golari tenzoni . 367 LETTERATURA FILOLOGIA. Di Cennino Cennivi Trattato della pittura, pubbli- cato dal Cav. Giuseppe TamBronI. Roma 1821. da IRRRSI Monti, altissimo poeta e intelligente filologo, pubblicò nel 1820 due errata corrige sopra un testo di lingua recentemente stampato in Firen- ze; ed essendosi egli proposto di favellare coll’ onesta libertà che in sì fatte materie è necessario sempre concedere alla ricerca del vero (1), seguito poi di rampognare amaramente il copiatore e l’ interpetre di quell’ antico manoscritto. Il che fece, @/ solo fine di metterci ben addentro alla mente il principio che sì nelle stampe come nello spoglio de’ testi antichi, pria di concedere il nostro assenso a cio che si legge, fa d’uopo su le bilance del diritto giudizio attenta- mente pesarlo: senza la quale ponderazione veggia- mo sviarsi dal vero anche gl’ intelletti più sperimen- tati ed acuti (2). Questa sentenza del Monti è del tutto vera. E benchè egli la emanasse allora contro un toscano; crediamo ch'egli la, creda opportuna all’ universalità degl’ interpreti e de’ copiatori. Ma nondimeno pochi vi attendono: e quegli stessi, cui piace farsi di lui fau- tori nella. nuova setta letteraria, mentre muovono contro di noi le sopradette accuse, cadono in simili (1) Monti pag. 3. (2) Monti pag. 68. 368 ) e ‘orse più grossi errori. Nè io voglio con queste parole alludere all’ingegnoso discorso del Monti e del Perticari, uomo anch’ egli dottissimo, per rispetto alla favella italica; poichè tale argomento è sì ampio che non può trattarsi in un giornale contro womini tanto valenti che stampano volumi pieni d’ erudizione e ‘di dottrina. Riguardando dunque a’soli manoscritti che per Ita- lia sì cercano, sì copiano, si rinnovano, e si stampa- no; trovo generalmente la pessima usanza di pigliare un sol codice, ed in quello fermare la stampa. Sic- chè appena fatta un'edizione, se ne desidera un’ al- tra: e non di rado si prende per opera antica ciò che è restaurazione moderna , o per opera, d’uno scritto- re ciò che ad altri pertiene. Il quale danno si deri- va alcuna volta, è vero, dalla fortuna che troppo più ristringe le facoltà de’ letterati: ma sovente pure n'è causa la pigrizia , la diflidenza, o la presunzio- ne; non volendo la fatica di confrontare i codici, du- bitando di commetterla ad altrui, ed assicurandosi al tutto nella propria intelligenza. Sarebbe pertanto utilissima cosa che tutti quegli uomini, cui non, sbigottisce l'impresa di copiare i manoscritti, palesassero l'intenzione loro, o ne’ gior- nali, o per lettera a’ bibliotecarii dell’ Italia, signifi- cando a un tempo le qualità del codice che pusseg- gono. E così facendo prima retto giudizio de’ mano- scritti, compirebbero un’opera degna del plauso e del- la benemerenza del pubblico. Nè lieve utilità pur si ritrae dal solo manifestare e qualificare un codice , poichè tali indizi giovano a’ compilatori della storia. Ma anche in questo caso, allorchè si adopera un ce- | I 300 dice solo, bisogna ben guardarsi da. trarne generali conseguenze. Di che mi sia lecito produrre un esempio: Salvatore Betti trovò nella Vaticana un. codi- ce (3), il quale conteneva Za Fiorità, opera d’ Ar- mannino giudice di Bologna. E con ottimo giudizio lo esaminò, qualificò, e ne diede contezza al pub- blico (4). Ma poi non ricordandosi, o forse. non sa- pendo che in Firenze molti codici sono della Fiorità medesima; concluse il discorso in questo modo, rivol- gendosi al Perticari:voi ben vedete ch'egli (Armannino) in fatto di lingua , benchè nato fuor di Toscana ; non è di molto inferiore a’ più nobili autori toscani dell'età sua. I suoi versi non sono certo dell’alta scuola di Dante, di Cino, e del Guinicelli: ma posti a prova con quelli del Barberino, non anderebbero forse col peggio. E quindi, come se il codice vaticano raffermasse le opi- nioni del Perticari intorno alle origini della nostra fa- vella, è questi inanimato dal Betti a continuare l’ope- ra sua con dirgli, lasciate poi che si levino a mor- dervi a loro posta le cimici della letteratura. Ame dispiace di dover notare tali locuzioni: ma se le avesse proferite un toscano, già ne avrebbe critiche e forse rampogne. Sicchè non si offenda il Betti, se io mi ardi- sco di fare al suo stile questa lieve censura. Io la fo a viso scoperto, e non per ingiuriarlo , poichè anzi lo sti- mo ed apprezzo, essendo anch'egli un felicissimo re- stauratore della pura loquela d’ Italia , onde per le sue scritture si adorna il giornale arcadico. E la mede- sima protesta pur faccio a tutte quelle persone che deb- (3) N. 3336. (4) Giornale Arcadico. Quad. 22. mese d’Ottobre 1820 in Roma. T. II. Giugno i - 24 \ .370 bo mentovare, assicurando loro che niuno più ‘di mé non le ama e venera. Bensì debbo anche amare e ri spettare la patria mia: al che si conseguita l'obbligo di difendere ì miei concittadini, mostrando che nemmeno essi. non sono inferiori agli altri italiani, tutti abitatori d’una medesima nazione. E per certo non potrà il Betti. negare che egli non concludesse il mentovato di- scorso con un poco di rabbietta, infastidito di quella ceca superstizione, onde per lunga età non hanno avuto pregio di gentilezza se non le opere fiorenti» ne (5). Quanto è a me, gli confesserò ingenuamente che con un poco di vili ho scritto quanto precede, in- fastidito anch’ io di quella ceca superstizione , onde al- cuni dell’età presente non danno pregio di verità se non a que’ discorsi che procurano di raffermare un sistema non ancora dimostrato. In qualunque luogo, in qualun- que tempo, ogni assoluta dittatura incresce: ed incre- sce tanto più, quanto è più nuova, quanto più comanda a’ pensieri . Il patrimonio delle lettere è patrimonio co- mune, e non può essere governato se non con ragione- voli discipline e di universale consentimento. Alla qua» le sentenza io per primo ubbidirò, ascoltando volentieri tutto ciò che gli altri riproveranno nelle mie scritture. E do loro facile mezzo, poichè se vogliono, io medesimo inserirò le loro censure in questo medesimo giornale; purchè sieno fatte con quell’ urbanità che a loro ed a noi si conviene. Ma ritornando all'esame della Fiorità d’ Armamni» no, come mai si può concludere che i versi suoi stieno a prova di quelli del Barberino? Il Betti giudicava se- condo il codice della Vaticana, che è del secolo XV. (5) Loco citato del Giorn. Arc. | | | | 37t Noi all'incontro ne abbiamo molti del secolo XV, e del secolo XIV in cui visse Armannino: Ed in alcuni sono que’ versi che il Betti trascrisse; in altri mancano quei Versi, e vi risponde il medesimo sentimento con simili parole, ma in prosa. Io domanderò dunque al lettore , se crede questi versi essere d’Armannino? Anzi vado più oltre, e gli domando se crede quest'opera essere ne’codici presenti tale come Armannino la scrisse? Niun codice è ‘autografo. In tutti è la Z7orità commista di prosa e di versi: ma nell’uno è prosa ciò che nell’altro è verso: ed i copiatori non hanno obliato , in qualche codice, di ma- nifestare che lo hanno ricorretto meglio che potevano. Sicche non è possibile il determinare qual parte della Fiorità sia propria d’ Armannino: e perciò non può es- sere paragonato ad alcun altro scrittore. Simile conclusione dovremmo fare per rispetto a molte altre opere che si conservano manoscritte. E po- trei quì evidentemente mostrare la dubbia origine di molte antiche e italiane scritture; essendo state conser- vate e ricorrette nella massima parte da’toscani: cotanto è falsa Paccusa data agli avi nostri, d'aver cioè diligente- mente raccolto tutte le croniche e leggende che alla pa- tria appartenessero , e disprezzato le cose altrui. Ma que- ste prove, che ho già ritratte dagli Archivii e pubblici e privati, io le riserbo a più convenevole tempo. Basti per ora l'aver messo alcun dubbio nell'animo al lettore intorno a ciò, che vede scritto con bellissimo stile e con gravi sentenze a biasimo de’ toscani: e sia contento a seguirmi nel nuovo esame del 7’rattato di pittura com- posto da Cernino di Drea Cennini, del quale è uopo ch'io ragioni lungamente, perchè tale opera è stata ora pubblicata in Roma. Giuseppe Tambroni avendo letto nel Vasari, nel I 372 Baldinucci ; nel Bandini e nel Bottari , che Cennino di Drea Cennini aveva composto un trattato della pittura, utilissimo all’arte o almeno alla storia dell’ arte; prese per partito di cercarlo e pubblicarlo. Quindi si rivolse ad Angelo Mai, prefetto della libreria Vaticana: e me- diante la cortesia e diligenza di questo letterato, che tanto è urbano e modesto quanto è sapiente, trovò alfi- ne l’opera desiderata nel codice 2974 dell’Ottoboniana. Questo codice è una copia fatta nel 1737 da uno, straniero che non indica il suo nome se non colle lette- re iniziali P. A. W., e che non dà segno alcuno del co- dice più antico, d'onde trasse la copia. E il Tambroni aggiunge che forse era uomo di non molte lettere, e po- co pratico delle cose della pittura (6). Sicchè lo volle ricopiare tutto di sua mano, e meditarlo, e. raffrontar- lo: dopo di che per determinarne la lezione si giovò dell’ opera e del consiglio di Girolamo Amati, e di Sal- vatore Betti (7). Coll’aiuto de’ quali uomini dottissimi, e colla sua particolare dottrina, avrebbe potuto il Tam- broni raffermare le parole del Perticari: saggio consi- glio di molti nobili ingegni diremo quello ch'ora in Firenze, in Milano ed in Roma alcuni hanno tolto e tolgono, onde purgare e sanare con accurate edizio- ni i migliori testi di lingua (3). Ma cen sommo dolore dell’animo nostro dobbiamo dichiarare, che a tanto ze- lo non corrispose l’effetto. — L’Amati, che ha tanta erudizione e dottrina, quanta ne può l’uomo avere, non ha in ciò avuta la pazienza | necessaria a bene aiutare il Tambroni. Questi per con- siglio del primo (e l’ Amati è stato pur consigliere, del (6) Pref. pag. XV. (7) Pref. pag. XVI. (8) Pert. Scrit. Trec. pag. 110. i 3979 Perticari ne’ sui discorsi intorno alla favella italica) ha dato l'etimologia delle parole ancona e triare, fa- cendo provenire ancora dal greco icon; cioè immagine, e triare dal provenzale triar, cioè scegliere. Ma io dubito se la parola ancona si derivi da icon, o da ancor che il Forcellini dice essere parola greca, significante il gomito; 0 piuttosto la curvatura del gomito. Certa cosa è che il vocabolo ancora si trova usato per indicare tavole di qualunque figura, ove fossero immagini dipinte. E forse ebbe anche più generico significato, poichè in un decreto della repubblica di Venezia del 1441 si legge. « Conciosicosachè 1’ arte e mestiere delle carte e figure stampide che si fanno in Venezia è vegnudo in tal de- fettiva e questo sia per la gran quantità de carte da zu- gar e figure depente stampide le quali vien fatte da fuora de Venezia .... sia ordinado e statuito che da mo in avanti non possa vegnir, over'esser condutto in questa terra alcun lavoriero della predicta arte, che sia stampi- do e depento in tela o in carta, come sono ancone e carte da zugare, e cadaun altro lavoriero de la so arte fatto a pennello o stampido (9). » Ma certo è altresì che nel medesimo tempo sole- vano i pittori chiamare arcore certe tavole che fossero . nella parte superiore di figura angolare a guisa di go- mito, Ed il vocabolo arcore è pure in uso appresso i medici per significare la flessione del gomito, ed ap- presso gli architetti per significare î cantoni delle mu- raglie e le ripiegature delle travi(10).Oltrechè la città d’Ancona ha questo nome, perchè è fatta appunto a guisa di gomito . (9) Gandellini. Not. intagl. T. 4. pag. 66. nota 6. (10) Chambers. Diz. univ. 374 Onde si può presupporre che quando principiò la persecuzione degl’ Imperatori d’ oriente contro le imma- gini, queste sì chiamassero icone e per sincope cone; dal che, aggiungendovi az, proverrebbero le azzcone . Ma si può altresì presupporre con più semplice etimo- logia che le arcore, di cui parla il Cennini, traessero il nome dal greco ancor, il quale corrisponde in alcuna parte alla loro figura. E molte di queste tavole si con- servano nella galleria di Firenze, le quali comunemente si chiamano ancone: e tutte quelle, cui diamo tal nome, son fatte a gomito nella parte superiore. Nè ancona è sinonimo di favola, come nella massima parte non si- gnificano una cosa medesima que’ raddoppiamenti di voce che s'incontrano ad ogni passo nell’ opera del Cennini, e che il Betti ha giudicato sinonimi, quasichè fossero dichiarazioni interpolate nel testo dagli ama- nuensi (11). Il Cennini opportunamente diceva tapole, ovvero ancore, per indicare che gli stessi modi del di- pingere applicarsi potevano alle une ed alle altre; sa- pendo ben egli quanto fossero differenti, imperciocchè le ancone erano sovente piene d’ intagli . Infatti il Lanzi - dice: si lavoravano prima di legno ì dittici, o sia gli altarini che in più pavsi d’ Italia si nominavano an- cone ; e operosamente si ornavano d’ intagli. IL dise- gno delle ancone si conformava all’ architettura tede- sca, o come dicono gotica, che vedesi nelle facciate delle chiese fatte in quel secolo (12). L’ altra parola, cioè triare, non pertiene al nostro. idioma, ma bensì a que’ tristi copiatori che il Perticari vilipende con somma ragione, perchè harno sovente (11) Tambr. Pref. pag XVI. {12) Lanzi. Stor. pit. T. 1. pag. 35. Pisa 1815. tgp 375 riempito i nostri giardini di fango, d’ ortiche, di sassi, e di mille ribalderìe (13). Che se triare è in qualche pagina del codice citato, non è però in tutte, e vi è spesso tritare, che è parola tutta natia . to loin alla qual cosa giova ricordare l’ esempio del Salviati nel correggere i manoscritti delle opere del Boccaccio: poi- chè trovando alcune voci scritte or bene eor male, le seguitò solamente nel bene, scrivendo ognora ad un modo (14). E questo esempio che pure fu seguito dal Perticari, non debbe essere norma a tuttii pubblicatori de’ manoscritti? E più che non credesi, importa il libro del Cennini anche per rispetto alla lingua, poichè traen- done le parole senza discernimento, potrebbero queste essere inserite nel vocabolario per accrescere la dovizia ridevole de’ pedanti. Triare ovvero macinare, dice il copiatore del Cennini. Triare è dunque preso per ma- cinare, dice il Tambroni. Zriare viene dal provenzale triar, dice l’ Amati (15). Zriare viene dal latino terere,. dice altrove il medesimo Tambroni con più sano con- siglio (16). Ma zriare, o scrivendo con buona ortografia x tritare non è per certo quel medesimo che macina- re (17): non è quel medesimo che il provenzale #ria7, {13) Pert. Scrit. trec. pag. 10 (14) Salv. Avv. Dec. l. 1. cap. 7. (15) Cen. pag. 5. I francesi hanno tuttavia il verbo ?rier, scegliere, ed il nome triage, scelta. Si potrebbe dunque far provenire il riare anche dal francese trier ! (16) Idem pag. 29. (17) quantunque vi possa esser forse piccola differenza dall’uno all’ altro vocabolo in ciò che dice il Cennini; massime perchè egli era di Colle di Val d’ Elsa, ove si dice spesso tritare in iscambio di macinare: non però mai vi si dice triare. 376 che significa scegliere: e benchè possa provenire dal bbibo terere, 0 credo che derivi dal latino triturare, nella qual voce vi è tutto intiero il nostro tritare; e tritura; e triturazione, parole registrate nel PR ii della Crusca, altro non significano che tritare . » Non sia dunque mai imtredbtio nel nostro linguaggio il verbo zriare; e lasciamolo a quel favellare che. non fu mai italiano, come diceva il Monti parlando delle locuzioni pataffiane (che però non sono di Brunetto Latini), e del verbo tritillare in iscambio di titilla- re (18). Ed al medesimo favellare lasciamo il profo> rito in luogo di porfido, che quasi è per entrare anche esso nel vocabolario sotto l’ autorità; del Betti che lo ha trovato in un codice della Vaticana (19): come se già non fosse poco l’ aver già registrato nel medesimo voca- bolario e con molti esempli e con pari significato la pa- parola profferito. Co’ consigli dunque del Betti e dell’ Amati, il Tam- broni copiò e. corresse il codice vaticano. La quale ope- ra sua sarebbe stata utilissima, quando non l’avesse con. tanta sollecitudine pubblicata. Infatti egli si era accorto, essere il moderno manoscritto della Vaticana oltremodo difettoso: sapeva che noi abbiamo nella Laurenziana un codice del medesimo Cennini e del secolo XV: e nondi- meno non ha neppure verificato se il codice vaticano fosse una copia di quello che è nella Laurenziana. Udendo il lettore nominare questo codice antico della Laureziana (20), sarà forse preso da maraviglia, perchè miun toscano lo abbia pubblicato. Ed il lettore ha ben ragione di farci questo rimprovero ed altri si- (18) Monti. Prop. pref. pag. XX. (19) Cen. pag. 8. in nota. (20) Trovasi nel Piuteo 78. n.° 24. 377 mili, poichè siamo come gli avari che nascondono le loro ricchezze in ferrati scrigni. Bensì fu il codice della Laurenziana ricopiato dal Lessi, or non è gran tempo, a fine di pubblicarlo. La quale copia, ove sia, e perchè stampata non fosse, io del tutto ignoro. Quindi un ri- spetta bile accademico della Crusca ha già principiato a disaminare le voci del medesimo codice, per usarle con discernimento nella nuova compilazione del. vocabola- rio. Ed alcuni altri hanno di recente meditato nell’ o- pera del Cennini, e manifesteranno i loro pensieri al pubblico. Ma intanto io, che ho paragonato il codice nostro con quello datoci dal Tambroni, posso certificare che la copia della Laurenziana è molto più corretta che non quella che è in Roma. E la nostra è pur copia: ed anch’ essa è oltremodo difettosa. Di che ho avuto io certezza , ritrovando un ‘altro codice del medesimo Cennini . Jo ho trovato questo codice nella Riccardiana (21): ed è una copia anonima fatta nel secolo XVI, e forse poco dopo il 1500. Ma essa non proviene certamente dal codice della Laurenziana, perchè non ha i medesimi errori, ed ha varie aggiunte, come vedremo appresso . Nè potrei affermare che fosse tratta dal codice autografo posseduto una volta dal Beltramini; poichè non mi è riuscito di verificare se questo codice esista, e dove sia. In fine del codice riccardiano leggonsi questi quat- tro versi: Concorda il tuo voler con quel di Dio, Verratti compiuto ogni disìo. Se povertà ti strigne, o doglia senti, Va in sulla croce a Cristo per unguenti. x (21) E indicato coi numero 2190. 378 e vi mancano le seguenti parole, che si leggono in fine degli altri due manoscritti sopra citati : Finito libro referamus gratia Christi 1437 a dì 31 di Luglio ex stincarum f. (22). . La mancanza delle quali parole non è di sì poco rilievo, come alcuno congetturare potrebbe . Imperocchè fa subito nascere il dubbio che tanto queste parole, come i versi del codice Riccardiano, pertengano, non al Cenni- ni, ma al copiatore dell’ opera sua: nè mai non si potran- no attribuire al primo, finchè non si trovino nel codice autografo, o che non s’ abbia almeno qualche altra noti- zia dell’ essere stata quell’ opera composta nel luogo e nel tempo indicato . Che se volessi annoiare il lettore più che non farò con questo discorso , potrei addurre mol- tissimi esempli di consimili parole scritte da’ copiatori ne’ codici; le quali altro non indicano che il luogo e il tempo della copia. Onde non mi pare ben dimostrato il discorso del Tambroni intorno alla nascita ed alla morte di Cennino, poichè presuppone che questi finisse di scrivere il suo libro dell’arte il dì 31 luglio dell’anno 1437 (23), com’ è indicato nelle sopradette copie senz’ al- cuna certezza per rispetto al testo originale (24). E nep- pure mi sembra giusta l’ opinione del Baldinucci, aver Cennino composto il trattato della pittura nelle carceri delle stinche. Poichè i più degli scrittori che sieno stati afflitti da qualche sventura, ne hanno dato indizio, an- corchè non scrivessero nel tempo della vita loro infe- (22) Nel Codice della Laurenziana non è scritto f., ma vi è un segno che pare significhi ec. 23 Tam. Pref. pag. XVIII. (24) Anche il Lanzi disse che Cennino aveva disteso un li- bro su la pittura nel 1437 : ma egli pure fondò questa sua con- gettura nel manoscritto della Laurenziana . 379 lice . Onde se Cennino avesse dettata l’ opera sua, men- tre era prigione , avrebbe in qualche luogo detto che sì faceva per conforto dell’ animo. Ma egli disse solamente che il faceva per confortare. quelli che all’ arte vo- gliono venire: e non il Vasari, non alcun’ altro ci ha trasmesso tali notizie; sole si traggono dal codice della Laurenziana ; e debbono, io ripeto, attribuirsi al copia- tore, essendo più verisimile che la copia e non l’ opera fosse fatta da alcuno che era in prigione. Oltrechè non è nemmeno certo che il nome di stinche, inserito nel codice, pertenga alle carceri di Firenze; potendo pur significare un castello del medesimo nome che è in Val di Greve. Pertanto, finchè non si abbia migliore contezza della vita di Cennino, altro non si può da noi affermare se non che egli aveva già scritta l’ opera sua nel 1437. ‘Ed ora incominceremo a disaminare gli errori del codi- ce della Vaticana, ristringendomi a’ soli più importanti della sola prima parte del libro. pag. 1. Nel principio che Iddio onnipotente creò il cielo e la terra, sopra tutti animali e ALIMENTI creò ? uomo e la donna ec. Anche ne’ codici di Firenze leg- gesi alimenti: ma dobbiamo nel secolo XIX. mantenere le pronuncie del secolo XV? E difetto di pronuncia era dire e scrivere alimenti in iscambio di elementi, poichè questa seconda parola ritrovasi pur come la prima ne’ più antichi manoscritti. Potevasi al più notare che nel codice era alimenti, voce antica ed erronea; ma biso- gnava correggerla nella stampa, per fuggire quel danno giustamente minacciato dal Perticari, cioè ché i savi e i filosofi presto si saziano di sì guaste e non intellette scritture (25). E il medesimo consiglio doveva esser (25) Pert. Scrit. trec. pag. 129. | 330 seguito in tutti’ gli altri luoghi, ove l’ ortografia è scor retta , e che io per brevità qui non dinoto. Ma forse il Tambroni non ha voluto fare queste correzioni, a fine di non alterare il codice: essendo egli troppo più mode- sto, che non volesse di.copiatore divenire autore. Il qual esempio altri pure imitano, quantunque. possa a noi to- scani increscere ; perchè tutte le opere degli altri italiani si pubblicano ora con emendatissimo discorso . pag. 1. Onde cognoscendo Adam il difetto per lui commesso, e sendo dotato da Dio sì nobilmente, siccome radice principio e padre di tutti_noi, rinvenne di sua scienza e di bisogno orA trovar modo da vivere manualmente. Questo periodo è sì oscuro, che il Tam- broni ha creduto dover. notare 1a parola ora, dicendo che significa forse onde, ove, o subito. Ma l'oscurità non dipende dal significato di'ora: leggasi bene il.co- dice, e sopraggiunge la chiarezza. Bisogna infatti leg- gere era: cioè, rinvenne di sua scienza che di bisogno era trovar modo ec. pag. 2. L’ ultimo punto di questa pagina fu indi- cato come oscurissimo dal medesimo Tambroni. Noi dunque lo trascriveremo com’ è ne’ codici di Firenze, e notisi che l’ errore principale proviene dal prendere o per ho. « Adunque, o per cortesia o per amore (26) a tutte quelle persone che in. loro si sentono via di sapere , o modo di potere adornare (27) queste principali scienze con qualche gioiello, che realmente (28) senza alcuna (26) Il Cod. Laur. dice: o per gran coriesia a tutte ec. Nella stampa è o invece di 0. (27) Il Cod. Rie. dice: viag o modo di sapere 0 di potere aiutare e ordinare. (28) Non valmente com) è nella stampa. 381 peritezza (20)si mettono innanzi: offerendo alle predette scenze quel poco sapere che'gli (30) ha Iddio dato, sic- come piccolo membro esercitante (31 ) nell'arte di di- pingere (32); » Il quale punto così, come ognun vede, resterebbe sospeso : ma si congiunge, a me sembra, con ciò che se- gue: « Cennino di Andrea Cennini (cor una lunga pa- rentesi in mezzo) per confortare tutti quelli che all’ ar- te vogliono venire, di quello che mi fu insegnato. . . . nota farò ec. » pag: 4. Alcuni sono, che per povertà e necessità dell’ arte. Correggasi così: alcuni sono che per povertà e necessità del vivere seguitano sì per guadagno e an- che per V' amor dell’ arte. pag. 5. Granare ovvero carucciare . Il primo ver- bo è altresì ne’ codici nostri: ma in luogo del secondo è camucciare: e significano granire ovvero camosciare . Guardando questi due verbi nel vocabolario ‘dell’ arte del disegno, ciascuno scorgerà che non sono sinonimi; poichè camosciare e corrottamente dicendo camzccia- re (33), significa dare grana più sottile . pag. 6. £ questa si è la regola de’ GRANDI predetti; sopra i quali, con quel poco sapere che io ho impara- to, dichiarerò di parte in parte. In questo luogo è un errore tanto più grosso, in quanto che n'è nata una conseguenza tutta nuova. Il Tambroni dice nella pre- fazione (pag xxvi.): Gli fa però grande onore la rive- (29) Cioè perizia, e non peritanza com’ è nella stampa. (30) Credo che g/ sia idiotismo,, ‘invece di mi. (31) Non dice, esservi tante, com’ è nella: stampa. (32) Il Cod, Laur. dice, com'è nella stampa, di dipintoria. (33) Potrebbe essere che camucciare non si fosse mai detto da nessuno: è ben facile scrivere uc in vece di 05, per sbaglia o per far presto. 332 i renza con Che parla di Giotto, di Taddeo e d' Agnolo Gaddi, de’ quali ripete le lodi in altri più luoghi, sic- come al cap. IV dicendo : e questa si è la regola de’ grandi predetti , sopra i quali ec. Ma questi grandi non sono altro che tritare, incollare, impannare ec. cioè i gradi, come dicono i nostri codici; ossia tutte quelle gradazioni di cose che sono necessarie ad impa- rarsi da chi vuol dipingere. pag: 7: Macina bene in su proferito , che ica di sopra; e adopralo. Correggi così: macina bene in su proferito, e adoperalo secondo che dico di sopra. pag. 8. Più volte ritornando per fare V ombre. Nelle stremità vuoi fare più scure, tanto ritorna più volte . Il codice della Riccardiina dice: più volte ritornando per fare l’ ombre: et quanto V ombre nell’ estremità vuoi fare più scure, tanto ritorna più volte . E, per il timone e la guida di questo poter vedere, si è la luce ec. Correggi così: £ il timone e la guidaec. pag: 9. Qui sono due errori grossissimi. Il primo insegna le cose in modo contrario, perchè ove dice: dà al tuo rilievo l'oscuro, secondo la ragione detta: deb- be dire: dà il tuo rilievo e lo scuro secondo la ra» gione detta: e forse ne’ codici nostri tnancx: put chia- ro, cioè il rilievo chiaro, e lo scuro, come si legge dipoi ripetuto. Ii secondo errore somiglia a quello di molti codici, ove è mestiero in luogo di mistero; poichè nel codice della Vaticana è mestiero, in iscambio di magi- stero che è nel codice della Riccardiana, e di maestero che è nel codice della Laurenziana. Levisi dunque me- stiero, e si ponga magistero, ove dice: perchè , di ciò mancando, non sarebbe tuo lavoro con nessun rilievo, e verrebbe cosa semplice, e con poco mestiero . 383 pag. 10. Molti piccoli errori si potrebbero qui cor- reggere mediante il codice della Riccardiana, ma io no-- terò solo il più grosso, a fine d’ indicare quanto sia que- sto codice più che gli altri purgato. Quello della Vatica-. na dice, con chiara albume d’ ovo. Quello della Lauren- ziana, con chiaro albume d’ ovo. E quello della Riccar- diana, con chiara, e albume d’ ovo. pag. 12. Facendo che la tagliatura eguagli per mezzo la penna. Correggasi secondo il codice della Ric- cardiana: facendo che la tagliatura sia eguale e per. mezzo la penna. E correggasi ove è in sul lato manco ch’ è in verso te. Guarda e scarnala; dicendo: in sul lato manco che inverso te guarda: e scarnala. E cor- reggasi, 2° altra sponda taglia a tondo, e a ridurla, di- cendo: l’altra sponda taglia a tondo e riducila. pag. 14‘ Si corregga subito il verbo aridesse, poichè altrimenti dovremmo arricchire il vocabolario del ver- bo aridere . I nostri codici dicono aridisse. Ed aridire può mettersi senza scandolo nel vocabolario, perchè già vi fu messo aridore e inaridire. | pag. 15. Molliccica e morbida. 11 codice della Ric- cardiana dice con più grazia mollicina e morbida. Così. questo codice non dice; le dà la tinta a tempo; ma bensì le dà la tinta a tempo a tempo: il che è regola molto di- versa. Quindi tralasciando molti errori, correggasi alme- no l’ ultimo, per cui il Tambroni fu costretto di dire: tutte le volte che Cennino ha voluto servirsi di frasi latine, lo ha fatto a modo della plebe, cioè errando. Ma in questo luogo almeno l’ errore è de’ copisti. Se nella Vaticana si legge sit nihil hominibus : nella Riccardiana leggiamo sed nihilominus . pag. 16. Se nel codice della Vaticana è indaco mac- cabeo, siccome in quello della Laurenziana , non però 334 si trova nel Riccardiano , ove dicesi indaco: macalice . Gl’ intelligenti della chimica e delle belle arti giudi- cheranno quale di questi tre epiteti, maccabdeo, dacca= deo, e macalico (34), pertengano all’indaco; e giudiche- ranno pure se l’indaco si facesse di perle o bacche di vetro azzuro, come dice il Tambroni in nota . pag. 18. £ per aver bene i contorni, o dichiarata ogni tavola o muro. Correggasi secondo il Riccardiano: E per aver bene i contorni, o in tavola; 0 di muro, o di carta. E non pennello sottile di vaio sottile, ma piennel» lo di vaio sottile dice il codice nostro. E non gerial- mente, ma gentilmente. pag. 19. Dalla a un cartolaro.: Nel vocabolario della Crusca leggesi che cartolaro e cartolare signifi- cano un libro di memorie, un diario, ec. Onde ba- stava questo indizio per correggere il codice , e scrivere cartolaio, poichè nel luogo citato v' era Hisosui d'uno che facese la carta, e non d’un diario. Benst noto che nel Riccardiano è cartaio: e questa voce, che manca nel vocabolario , si usa pure in Toscana, ed è più pura, es- sendo più prossima all'origine latina; cioè a chartarius. Poi la fa bollire. Aggiungi: tanto che sia di- strutta. pag. 20, e 22. Se il Monti avesse letto queste pa- gine nel'codice della Vaticana, avrebbe pur ripetuto (34) Questo vocabolo macalico sarebbe forse un alterazione della voce mogolico ?- L’indaco prese il nome suo dall’ Indie di dove fu portato in Europa. Ed il Pivati nel suo diziona» rio seentifico dice che il migliore indaco si è quello, a cui vien dato il nome di Sirches, da un villaggio situato ottanta leghe lungi da Surate, e vino ad Amadabad, città importante dell’ impero del Gran Mogol. ile - gp i a sn ce — 385 contro il copiatore P. A. W. quelle parole dette a’ to- scani: che guardo si leggono ‘ircodici senza la lucer- na della critica'sul tavolino ) non bisogna più stupi- re di‘nulla (35). Vedì infatti che in iscambio di se- guitare il viaggio della scenza, P. A. W. seguitò' i4 maggio: e in luogo di ben augurare, dicendo faratti eccellente prò , mutò il prò in però. pag.:23. I precedenti errori del eopiatore , ancorchè grossi , non superano il seguente. Piglia l'una delle tre misure che ha il viso, che ne ha in tutto tre , cioè la testa, il ‘viso, e’l mento colla bocca. Ognun vede ehe il secondo viso è un raso. E per un ‘naso è stato riconosciuto a pagina GI, ed a pag. 66. pag. ‘24. Ma dopo tanti sbagli ‘troveremo alfine la luce. Eccolaima convertita in tenebre. Il codice della Laurenziana dice ad un giovane che impara a disegna- re, quando hai la pratica nellano d’ aombrare, togli un pennello: mozzetto. Il copiatore P. A. W.ha mu- tato nellano in nell’animo, quasi (0 squasi com’ ei di- ee talvolta ) che l’animo e non la mano dovesse «aver la pratica dell’ombrare. Nella Riccardiana però si leg- ge: quando hai la pratica entro la mano d’ ombra- re, togli un pennello mezzetto. E. notisi quanto è più idoneo questo epiteto mezzetto invece di mozzetto. E così non;diremo, questa tale acquerella sì vuo- le essere squasi con acqua poco tinta, ma bensì quasi come acqua poco tinta. Il codice riccardiano sì vuole. RA: pag. 25. Il Riccardiano vuole pure che si tolga via quel verbo dislinguare che non si sa d’onde venga , e che si muti in dissolvere. Ù (35) Monti. eri ‘cor. pag. dI. i T. II. Giugno 25 386 Nè vuole la diacca ricca, ma la diacea risecca. E neppure vuole che.si dica: fiella concia in. su il sodo della mano del dito grosso: ma bensì: te l’ac- concia (cioè ti acconcia il pennello ) in sulla mano in sul dosso del dito grosso. pag. 26. Spelanze, o spelature, o svolazzature,, barbe di quelli, o cosa simile di capelli. Tutto ciò pertiene al solo copiatore P. A. W., che non intenden- ‘ do la parola spelaura nel codice della Laurenziana; volle interpetrarla. Ma nel codice della Riccardiana si legge : spelature di capelli e di barbe. E spelatura è vocabolo buonissimo, e debbe essere inserito nel vo. cabolario, dove si trova il solo verbo spelare. Terminata la prima parte, giova vedere almeno qualche altra pagina più innanzi, per mostrare che evunque si apra il libro, è per tutto un errore. pag. 32. Vi sono le voci impiglia, e impresa, e s’in- terpetrano accendi,e accesa. Il codice della Riccardiana fa conoscere che non si debbe dire impresa, ma piena; e che impiglia è una ripetizione male intesa dal copia- tore, poichè dice: ed empi la detta lucerna del detto olio, ed empila (io credo che debba dire empita ) la detta lucerna, poi la metti così piena sotto una teglia. Dipoi si riparla di riempir più volte la detta, Rigoni ast ed era già piena, quando fu empita la prima volta. On- de siamo certi che non si dee usare il verbo impigliare per accendere, ma vi restano sempre inutili ripetizioni, pag. 93. Rote d’agugiare,o ver d’arrotare, o mole da macinare, Ognun vede che agugiare significa aguz- gare: e pure è dichiarato sinonimo d’ arrotare (36). pag. 137. Zstruccali ( cioè istrucca gli aglii) core (36) Vedi nell’ Zndice, dato dal Tambroni, pag. 158. —————@@" rt 387 pezza lina due 0 tre volte. Che significhi questo ver- bo, io nol so davvero. Ma il codice riccardiano ha pre- mili, ed ognuno intende il verbo premere. È n Inoltre il Riccardiano non ha il verbo asunare, co- m'è in detta pagina stampato. E non l’ha nella pagina 32, ove non è asurasi con corpo, il che sarebbe un pleonasmo; ma vi è a/fumasi con corpo , cioè il fumo si condensa: E non l’ha neppure nella pagina 55, ove è acconciagli in iscambio di asuraze. Talchè bisogna in- dugiare, prima di mettere nell'indice asurare in luo- go di adunare. Era pure inutile mettere nell’indice la voce teglia, e dichiararla colla voce teg ghia: poichè se l'indice è stato fatto per uso de’ beta essi intendono l’una pa- rola e l’altra, e comunemente dicono teglia: e se è stato fatto per uso de’ non toscani, doveva altrimenti proce- dere, dichiarando piuttosto la voce tegghia per mezzo della conosciutissima teglia. Nè sono parole nuove, poi- chè si trovano iù ogni vocabolario. Ma il lettore debbe essersi ormai infastidito di sì molte correzioni. Onde egli ed io ringrazieremo il Tam- broni , perchè ci ha dato! il mezzo a pole con facilità paragonare il codice della Vaticana co’ nostri. Quindi non cesseremo di desiderare che egli medesimo, o al- cun’altro se ei non può, faccia questo paragone com- piutamente e con intelligenza, affinchè si possa leggere l’opera del Cennini con purgata dicitura, e senza cose contrarie a’ precetti ch'egli dava intorno all'arte del di- segnare e dipingere. E la nuova ‘edizione crediamo noi che debba essere ordinata secondo il codice riccardia- no, se pure non se ne scopre un ‘altro migliore di esso. Questo è compiuto , e procede con ordine regolare nell’esposizione degli argomenti. Il codice della Lau- 388 renziana potrebbe credersi compiuto, ma vi manca pur qualche cosa. Ed il manoscritto della Vaticana ha sedici pagine meno che i codici di Firenze. La qual cosa però: non oppugna ciò che abbiamo detto di sopra, essere tal codice copia di quello della Laurenziana;; poichè «ora vedremo la cagione di questa mancanza, disaminando le qualità de’ manoscritti. . Io non credo, come il Tambroni presuppone (37); che il Bandini avesse minutamente considerato il codi- ce della Laurenziana; perchè avrebbe in tal caso. mo- strato la maniera di collegare insieme le pagine, e cià egli non fece, e niuno avrebbe saputo farlo senza V’aiu- to del codice riccardiano, Egli indicò soltanto che il co- dice è male legato; e non ne fece grande elogio , impe- rocchè altro non disse che vi erano molti segreti. non dispregevoli. Ma questi segreti diventano palesi a chiun- que gli legge; ed il còdice contiene prima la traduzio- ne di Boezio, poi con altri caratteri il trattato del Cen- nini, e quindi il poema l° acerba, ed infine quel volga- rizzamento di Virgilio, di cui ho parlato nel quinto fa- scicolo di questo medesimo giornale. i Quelle pagine, in cui si legge il trattato della pit- tura, non solo si trovano male ordinate , che non si po- trebbero nemmeno riordinare. Ed eccone la ragione. Il copiatore trascrisse l’opera di Cennino, omettendo più pagine in quattro luoghi. Sicchè tali omissioni doveva- no ricopiarsi dopo la fine del trattato , di, mano in mano che si avvedevano dell’ errore. E ciò fu fatto per rispet» to a tre omissioni, con altro carattere benchè del me, desimo tempo, e con questo disordine. La prima omissione principia nel capitolo XXVII: avendo il copiatore tralasciato una parte di questo ca- (37) Pref pago XII 389 pitolo, e tutti i seguenti fino. al capitolo XLV. E que- sta omissione fu conosciuta dopo le altre, e si trova perciò dopo esse ricopiata da quell’altra mano di che si è parlato. Ma nello stesso tempo fu indicata nel margine là dove mancava, sicchè il copiatore P. A. W. ne fu avvertito, e la trascrisse nel codice della Vaticana. La seconda omissione comincia al fine del capitolo XCV, e finisce al capitolo CXVIII. Ed essendo stata ‘conosciuta prima delle altre, fu perciò prima di esse ricopiata; e poichè anch’ essa è indicata nel margine come la precedente, così non manca nel: codice della Vaticana. La terza omissione è piteglai e debbe essere ag- giunta al capitolo CXL. Ma non essendo stata conosciu- ta da chi correggeva il codice della Laurenziana, non fu ricopiata nè in questo codice, nè in quello della Va- ticana:leggesi però nel manoscritto della Riccardiana, e contiene altri precetti del granire. Incomincia: Questo granare ch’ io ti dico; e finisce con stile d’argento, ovver d’ ottone. La quarta omissione è la più grande, e principia nel capitolo CLX prima che cominci il paragrafo 7ro- verai alcuni che ti faranno fare in tavole ec. Essa fu la seconda che il correttore conobbe, e però la trascris- se tra la seconda e la prima. Ma obliò d’indicare nel margine il luogo, dove mancava; sicchè il copiatore del codice della Vaticana non se ne accorse, e la omise del tutto. Inoltre anche l’aggiunta fatta dal correttore è di- fettosa nel principio e nel fine. Onde io medesimo che esaminava il codice con somma attenzione, m’ avvidi che queste pagine indicavano una quarta aggiunta, ma non avrei. mai saputo dove collocarla. Biagrsi figa al codice della Riccardiana, e la trovai subito nel men- ® 390 tovato capitolo. Incomincia Zi è verità che di tutti i colori che adoperi in tavola , puoi adoperare in car- ta: e finisce il verde terra vorrà così la vernice come vogliono gli altri colori: continuando dalla pag. 72 fino alla pagina 88 di esso codice riccardiano. E vi si ragio- nano molte cose importanti, come il modo di lavo-. rare in tela, il disegnare per uso de’ricamatori , il la- vorare in velluto e in lana, il far divise per torneamenti e per giostre, il lavorare i cofani e 1 forzieri, ed il la-, vorare in vetro, ed in mosaico. i Il codice della Riccardiana fu dapprima copiato. senza divisione di capitoli: ma' poi vi furono di questi aggiunti gli argomenti in margine dal medesimo copia- tore. E nel codice della Laurenziana è l’opera del Cen- nini divisa in parti e in capitoli, come nel codice della Vaticana; ein amendue si trovano gli argomenti de’ca- pitoli fino al capitolo CXLI: il che mi sembra un’altra prova della derivazione del secondo codice dal primo. . APPENDICE Io aveva compiuto il precedente discorso , quando mi pervenne il fascicolo sesto delle £femeridi lette» rarie di Roma, ove si parla dell’opera suddetta. Chi scrisse quell’ articolo non volle palesare il suo nome; ma egli è certamente uomo giudizioso ed urbano. E mi arrecò sommo diletto il veder da lui raffermate alcune mie opinioni intorno all’ origine de’ vocaboli che sono nel maroscritto della Vaticana: dubitando anch' egli che la parola ancora non sì derivi da icorz. Quindi ha ei pur detto che saria stato ben fat- to di raffrontare il codice ottoboniano con quelli di Firenze; poichè n07 si può mai pretendere che con = 3g un solo manoscritto, e di tal fatta, possa ridursi a perfezione un testo. Le quali parole ei sarà viepiù con- tento d’ aver proferite, quando si degni di leggere le mie annotazioni. Ed allora si avvedrà eziandio, che mon tutti gl’idiotismi e i modi volgari deggiono attri» buirsi, com'ei dice, alla poca coltura dello scritto- re, ed al luogo della nascita sua, cioè di Colle di Fal d’ Elsa, ma bensì all’ignoranza de’ copiatori. Tal- chè dovrà pur ricorreggere quel par&grafa dell’ ope- ra di Cennino, che recò trascritto per mostrare la candidezza del suo grafico stile e la inarrivabile proprietà della lingua natìa che adoperava. Que- sto paragrafo è quello, di cui abbiamo notato i più grossi errori, discorrendo la pag. 12 dell’edizione di Roma. Del rimanente giova indicare, che quel dotto scrittore dell’Effemeridi soggiunge: se î fiorentini ri- valeggiando svolgeranno i codici loro, forse di molti più dritti significati potranno arricchir l’opera per maggior utilità degli artefici. Il che ho io adempito quanto poteva, dichiarando i codici, manifestando un nuovo manoscritto , e facendo quel numero di corre- zioni, che poteva inserire dentro un giornale . Ed avrei forse assunto l’incarico di ripubblicare l’opera del Cenninìi, se non mi ritenevano due cose: la difficoltà ad accomodarmi cogli stampatori: e la ripugnanza mia naturale ad occupare ciò che è d’ altrui. Infatti per- tiene al Tambroni il condurre quest’ opera a fine: ed io spero che egli abbia opportunità di venire a Fi- | renze, per onorarci della sua conversazione, e per di- saminare î mentovati codici coll’ingegno suo che è molto migliore del mio. ‘Il medesimo scrittore dell’Effemeridinon ha oblia- 392 to di fare a’ toscani quel rimprovero, che. noi. pur ci, facciamo, di non pubblicare le antiche nostre :scrit- ture. Della qual cosa noi lo ringraziamo , poichè, il suo discorso nasce dal lodevole desiderio di veder, ac- cresciuta per opera nostra Ja bontà del nostro volga- re. Ma per rispetto al Cennini- ha ‘egli tratto alcune conseguenze, cui, ei mi perdoni, io:non posso .con- sentire . Dice dapprima che noi; abbiamo trascurato di pubblicare il trattato della pittura , forse perchè essendo stato ‘scritto dopo il.1400, crediamo che non appartenga al buon: secolo della lingua. Ma come mai si è indotto a credere che noi possiamo. rinunziare a’ mostri scrittori di qualunque età essi sieno? Si an-, tepongono , ‘è vero, .i.libri del buon secolo a’ poste- riori per rispetto all’idioma; e ciò facciamo, e. dob- biamo fare, perchè la nostra favella. fu scritta nel trecento da’ più de’ dotti fiorentini, e nel quattrocen- to da pochi dotti e da molti idioti. Nondimeno non sì dispregiano le opere del quattrocento, che anzi so- no esse pure con diligenza esaminate dagli accademici della Crusca; a: fine di. ritrarne que’ vocaboli nativi e buoni che manchino nelle opere anteriori: non essen- do possibile che tutta la lingua; parlata nel trecen- to, sia a noi pervenuta. co’ soli manoscritti di quel se- colo. Quindi mi si permetta aggiungere che benchè il trecento finisca »secondo l’aritmetica all'anno 1400, non però. giunge tant’oltre il buon secolo della lin- gua. Ognuno sa qual danno arrecasse agli studji, alla favella, ed a’ costumi, la formidabile peste del 1348. Ognuno sa qual altra peste avesse quella preceduta, cioè la tirannide del -Duca d’ Atene. E nel 1378 eb- bero i ciompi la signoria. Sicchè non è dubbio che -dalla metà ‘di quel secolo in poi non fosse l’idioma 393 in qualche .parte variato: e se la mutazione fosse pic- cola o grande, non è qui luogo a poterne fare giu- ‘ dizio. Bensì possiamo inferire che. l’opera del Cenni- ni, quantunque buona sia, non può essere compresa nel buon: secolo della lingua. Ed allorchè si studia la favella in siffatti libri, bisogna aver molto discerni- mento per separare i vocaboli nativi da’ forestieri. Lo stesso scrittore dell’Effemeridi non ba potuto non ricono- scere alcuni vocaboli del dialetto veneziano tra le lo- cuzioni del trattato di pittura che è nella Vaticana, e che è simile a quello della Laurenziana. In quanto po a quelle parole dell’ Effemeridi, che dicono: aversi miglior grado di bontà il parlar volgare de’ fiorentini idioti nel 1400, che l’artificioso di molti altri scrittori loro, antichi e moderni ; per- chè quelli non erano dalle straniere lingue inqui- nati: io credo che sieno state dette solamente per dar pregio a'ciompi, cui era riuscito ottener la signoria di Firenze pochi anni. prima. Non credo almeno che ‘ sì possa bene scrivere senz’arte; nè che la lingua no- stra fosse più corrotta innanzi la venuta che non. do- po la partenza del Duca d’ Atene. Per rispetto alle moderne scritture. di noi toscani, io non posso con- cedere che sieno inferiori a quelle de’ ciompi se non sole le mie. A questo io volentieri consento. Ma nel medesimo fascicolo dell’ Effemeridi lette- rarie di Roma ho trovato una seconda annotazione intorno: all’ opera del Perticari, la’ quale mi sembra dettata da quello stesso che ivi parla di Cennino. E con sommo dispiacere ho letto in principio queste pa- role. [Non piacevami di proseguire-a manifestare le mie» opinioni. sopra l’opera del conte Giulio Perti- eari: perchè alcuni se V'ebbero a male; quasichè di 349 bi tai cose non potesse parlare che un solo. Questa in- genua confessione rafferma che vi è contro noi una letteraria alleanza con dittatura assoluta: e ciò, ri- peto', incresce a noi sommamente; non perchè ci man- chino validissime ragioni, antiche e recenti; ma per> chè non sì vorrebbe propugnarle contro noi medesimi, cioè contro gl’italiàni. - Io vo gridando: pace, pace; pace. Antonio BencI. GEOGRAFIA VIAGGI Viacci in Nusia del defunto Giovanni Lurci Burcx- nanor, pubblicati dalla Società per promuovere la scoperta delle parti interne dell’ Affrica 1819. Quarterly Review. Marzo 1820. {( Continuazione, vedi Tom. II. pag. 111.) I mameluechi quando giunsero ad 4rgo, una delle primarie città appartenenti al re di Dongala, potevano appena mettere insieme trecento uomini, e altrettanti schiavi armati, miserabili avanzi di sopr’a quattro mila uomini, contro i quali Maometto Aly intraprese la con- quista dell’ Egitto. La strage di mille dugento , che col 395 loro capo Shalim Beg furono a tradimento massacrati nel castello del Cairo è stata più d’una volta descritta , ma un somigliante massacro, accaduto ad Esnè è po- chissimo conosciuto; e come Burckhardt osserva, le circostanze che l’ accompagnarono danno un’altra pro- va dell’ostinazione de’ mamelucchi. « Questi feroci cavalieri si erano rifugiati nelle montagne abitate dagli arabi di Ababde e di Bisha- rye; tutti i loro cavalli morirono per mancanza d’ali- mento, e infino i più riechi Beg furono obbligati a spendere tutti i loro denari per mantenere le truppe dovendo comprare Je provvisioni dagli arabi a prezzi eccessivi. Lontani in tal guisa dai comodi e dal lusso dell’ Egitto, a cui erano stati assuefatti fin dall’infan- zia, Zbrahim Beg colse il momento propizio di di- sfarsi di loro, come avea fatto suo padre al Cairo dei loro fratelli. Con questo disegno mandò loro le più solenni promesse di salvocondotto, s? discendessero dalla montagna, e assicurò che sarebbero tutti posti sotto il governo di Maometto Aly, mantenendo il gra- do stesso che ciascuno aveva. Pare incredibile, che informati com’erano del massacro fatto al Cairo nel- l’anno scorso, più di quattrocento mamelucchi con- dotti da diversi Zeg accettassero l’illusoria offerta , pure discesero dalla montagna divisi in più corpi, Furono ingannati per la via da perfide guide; cosic- chè, eccettuati soli trenta, tutti gli altri arrivarono al campo d’ Zbrhaim Beg allora presso Esrè, in uno stato ‘(di nudità. Subito che i differenti corpi furono insieme ‘adunati, e assicurato /brahim non esserci restato verun’ altro indietro, fu dato il segno della strage, e tutti, unitamente a dugento schiavi negri, furono spietatamente massacrati in una notte. Ne 396 scamparono ‘due soli mamelucchi francesi per mezzo del medico d’/brhaim Beg. Simili ‘esempi di . per- fidlia seguono giornalmente fra i turchi, e reca stupore come. sl trovino ancora: uomini tanto. stu- pidi, che si lascino in tal guisa massacrare. ». — Pag. 18. A Korosko la spiaggia è più ampia ; e.un boschet- to di datteri rallegra le rive del Nilo per tutta: la stra- da di lì ad /brim. Ogni cento jardi si trovano dei grup- pi di case; e iufino a Derr i campi son ben coltivati come in qualunque altra parte dell’ Egitto. A_Derr, Burckhardt si fermò, come fanno tutti i viaggiatori, alla casa di Hassan kashef, che gli domando la ca- gione del suo viaggio. Incoraggito dal felice successo di Zegh e Sdenai rispose. ch'era venuto meramente per piacere, e per fare un giro per la Nubia, come avean fitto i due gentiluomini ch’erano stati a Derr poco prima di lui; ma il vestito turco, i cosiumi, e la perfetta cognizione dell’arabo, fecero sospettare che macchinasse tradimento . Il regalo al kashef, benchè bello. secondo l’ ordinario, messo a confronto ton quel- lo che sveva avuto da dagil; di valuta di circa mil- % piastre, apparve molto insignificante e non inglese. « Ma (disse Hassan ) questo gentiluomo andò sola- « mente fino ad /brim; voi mi date una bagattella « e volete andare fino ‘alla seconda cataratta?» Il Kashef peraltro aveva appunto una caravana che an- va’ con mercanzie in Egitto, e Burckhardt gli ac- cennò, che se lo mandava indietro ad Esnè, e se il Beg era informato del. poco riguardo portato alla sua lettera di raccomandazione , ( che Burckardt gli aveva presentata ) avrebbe posto un dazio su la mercanzia. Il Kashef vi pensò seriamente, e poco dopo gli dis- 397 se: « Chiunque voi siate, o inglese come le due al»: « tre persone che passarono di quì, o un agente-del « Pascià, non vi voglio rimandare scontento; prose- « guite pure, ma vi avverto che passato Sukkot la « strada non è sicura per voi,\e perciò quando. sa- « rele arrivato li, ritornerete indietro. » Fissato così, andò innanzi dalla parte meridionale , accompagnato da ‘una guida beduina. Fino a Derr la spiaggia orientale del Nilo"è più atta alla coltivazione della occidentale, essendo’ rico- perta del ricco deposito del fiume; là dove dal lato occidentale la sabbia del deserto è impetuosamente spinta su la riva stessa del fiume dai venti. z20rd-0vess, che durano tutto l’inverno e la primavera; ed ammet- tono coltivazione soltanto quei luoghi, dove il torrente arenoso viene trattenuto dalle montagne: in conse- guenza la parte orientale è più popolata della occiden- tale; benchè è cosa singolare che tutti i principali avanzi, di antichità sono nell'ultima: forse, dice Bur- ekhardt, gli antichi egiziani adoravano le loro libe- rali, deità più particolarmente in quei luoghi, dove avevano più da temere la loro nemica deità Zifone, cioè il deserto in persona, che si vede continuamente posto in faccia al benefico Osiride , o siano I’ acque del Nilo. Non lungi da Derr, il nostro viaggiatore ci dà notizia d’ un tempio della più remota antichità , tagliato affatto nel masso con i. suoi proza4os, sekos ovvero cella, e adyton. Gli dei dell’ Egitto , egli osser- va, sembra che fossero adorati quì molto prima che venissero posti nei Lempj giganteschi di Karnac e Gor- n€ , che sono apparentemente i più. antichi dell'Egitto. Il beduino che accompagnava il nostro viaggia- tore era della stirpe di quegli d’° 4babd ,. i quali pa; 398 scolano i greggi su le rive del fiume e sue isole, da Derr a Dongala: sono poverissimi, e le loro tende son tessute di foglie di palma. Alle donne non è permesso di maritarsi co’ nubj, ed hanno lungamente conservata la purità della loro origine. Vanno orgogliosi, e giusta- mente, dice il nostro viaggiatore, della bellezza delle loro giovani. È un popolo onesto e ospitale, e di cor- tese natura più di qualunque altra tribù della Nubia. Gli abitanti d’una piccola isola presso il villaggio Kee- ta, sono così descritti. « Questi abitanti che tutti parlano arabo col dis letto di /Vowba, sono affatto neri, ma non hanno le fat- tezze del negro. Gli uomini generalmente vanno nudi, con un guarnello soltanto alla metà del corpo; ie donne portano una grossa camicia . Ambi i sessi sì lasciano cre- scere i capelli, gli dividono sopra il collo , e gl’intrec- ciano in piccoli anelli sopra la testa, come l’arabo di Sowakin , il di cui ritratto è dato da Salt nei viaggi di Lord Valenzia. I loro capelli son foltissimi ma non la- nosi; gli uomini non si pettinano mai fe donne qualche volta; esse portano dietro al collo degli anelli o piccoli ornamenti fatti di madreperla, o dei chicchi di vetro alla veneziana: Gli uomini e le donne s’ungono la testa e il coilo con burro, quando ne possono avere: questo costume serve a due fini, rinfresca la pelle adusta dal sole, e tien lontano il fastidio. Pag 31. » Il castello d° /brim e gli abitanti del suo territorio, hanno un agà che è indipendente dai governatori ‘della Nubia, coù i quali sono sovente in guerra: son bianchi quasi come i nubj, e ancora ritengono le fattezze dei loro antenati, che furono soldati bosni mandati in guar- nigione ad Zbrim dal sultano Selym . « In nessuna parte del mondo orientale (dice Burckhardt) ho trovata mai 999 tanta sicurezza quanta in /brim. Gli abitanti lasciano nella notte il dhourra ammassato nei campi, senza guardia veruna; i greggi pascolano su le rive del fiume senza custode ; e tutti i migliori mobili son lasciati an- che la notte, sotto le palme presso l’ abitazione. « Ma, egli soggiunge, che i nubj in generale non hanno il vizio di rubare ; e quel che più importa, i viaggiatori nella Nubia hanno poco da temere la mala volontà dei paesani; ma è da temersi molto il rapace spirito dei governatori. » Presso Wady Halfa v'è la seconda cataratta del Nilo, il di cui strepito si sente nella notte da una di- stanza considerabile. Questa parte del fiume è descritta in tnodo romanzesco: le rive ricoperte d’ alti tamarischi, fanno una pittoresca comparsa fra i neri e verdi scogli, che formgndo stagni e laghi, estendono la larghezza del fiume a più di due miglia. Da questo luogo a Sukkot, la navigazione è interrotta per circa cento miglia, a cas gione della grande rapidità delle acque come ad 4s- souan: in alcuni luoghi peraltro il fiume è passabil- mente libero dagli scogli e dall’isole; ivi il letto è stretto e le rive son alte; « presso Marshed, dice Burckhardt, io potei gettare una pietra alla riva opposta. » A Wady Seras Burckhardt passò la notte in una capanna d’arabi Kerrarish che facevan guardia a pochi campi di cotone e di fave. Essi non avevano da mangiar pane per gl’ultimi due mesi. Burckhardt dette loro un poco di dhourra, colla condizione di farne parte alle donne, a cui di rado è permesso di godere questo lusso; gli arabi subito si messero a macinarlo fra due pietre di granito , e le ragazze si posero a sedere, mangiando e cantando tutta la notte. I monti che fino a //ady Halfa erano stati sem- 40® pre di pietra arenosa, alla seconda cataratta cambiarono în pietra verde (grunstein) e in pietra forte grigia’ (granwache): La montagna passata dal: nostro viaggia- tore al mezzoggiorno di Seras era di granito e di quar- zo. Gli arabi che servon di guida in queste deserte montagne ‘hanno inventato un costume, singolare per aver regali dal viaggiatore. Prima chiedono un regalo ; se vien loro negato, mettono insieme un monticello di sabbia ; e ponendo una pietra a ciascuna estremità di esso , dicono al viaggiatore che la sua tomba è fatta. Prima di porsi in viaggio per questa montagna; Burck- hardt ebbe un esempio in pratica di questo costume. Avendo ricusato ‘di fare il regalo ad uno di questi scavatori di tombe, l’ arabo si pose a fare il suo monte di sabbia, allora Burckkardt scese.in terra e ne comin- ciò un altro , dicendo che siccome erano fratelli} era giusto che fossero sepolti insieme. Il compagno rise, e mutuamente s’ accordarono 1’ uno a distruggere le fati- che dell’ altro. Burckhardt rimontando a cavallo, il de> luso arabo esclamò coll’ alcorano « nessun mortale ‘co- mosce: il luogo sopra la terra dove gli sarà scavata la tomba ».!. 7 9 TOI 198 A Wady Okame cominciano i ‘dominj del gover- natore di Sukkot che sono da ambe le parti del fiume . Avendo una lettera di raccomandazione da Hassan Kas> hef al governatore di Swkkot, che risiede a Kolbe isola del Nilo, Burckhardt attraversò il fiume su una specie di chiatta, chiamata ‘ramosa, e formata di rami di dat- teri radamente legati insieme, e guidato da un ramo di circa quattro piedi di lunghezza , forcato da capo, e le: gato alla chiatta con funi di paglia. La stretta rassomi- glianza a quelle rappresentate su le mura dei tempj egiziani, mostra che l’ uomo qui almeno non è stato ani- 4oy male industrioso. Il governatore che lo ricevette fred+ dissimamente, gli disse : « questo non è paese da viag- giarsi per una persona come voi, senza essere accompa- gnato da caravane ». Gli dette peraltro una lettera per suog' glio ch'era allora a Ferk. Il regalo di un pezzo di sapone gli procurò il permesso di andare avanti. Il distretto di Say. comincia ad 4amara, sul piano della quale son le rovine di un bel tempio egiziano, Ri- mangono ancora sei grandi colonne di pietra calcaria, le sole di questa pietra che siano in Egitto, essendo tutte l'altre di pietra arenosa. Hamilton ha osservato che non apparisce che gli antichi egiziani impiegassero granito in veruna fabbrica dell’ Egitto superiore , eccet- tuato negli obelischi e in pochi loro propili. Il castello di Say è fabbricato di strati di pietra e di mattoni, so- pra un’ isola del Nilo; e come /brim ed Assouan ha un | agà indipendente dai governatori della Nubia; come le. sopraddette città il suo territorio è abitato dai discen- denti dei soldati bosni. Al di là di S«y, folti boschi di datteri e numerose abitazioni adornano ambe le rive del fiume. 1 datteri di SwAkot e di Say son preferiti a quelli d’ /brim, e son considerati superiori a tutti gli altri delle spiagge del Nilo, da Sennaar fino ad Alessan- dria: sono grandissimi, e comunemente lunghi tre pol- lici . Il di 13 marzo Burckhardt giunse nel territorio di Mahass, e passò per diversi villaggi, le case dei quali erano costruite di stoie tessute con foglie di palma. Il ca- stello di Zinareh occupato già da un ribelle cugino del re di Mahass,e quindi assediato, per più settimane dai "due fratelli Kashefi Hosseyn e Maometto, aveva capi- tolato la sera precedente al suo arrivo. Visitò il campo | degli ultimi, guidato da uno schiavo di Darfowr, «il qua- T. II Giugno 26 403 le mi guardò come un pazzo, dice Burckhardt, e aven- do bevuto in gran copia del vino di palme, èra così ubriaco, che appena poteva reggersi in piedi » . Fu por- tato del vino di palme in borse di pelle di capra, e in mezz’ ora tutto il campo fu ubriaco come il capo: e fu acceso un fuoco di gioja nella capanna ove tutti sta- vano a sedere ». Devo confessare’; dice Burckhardt, che in quel momento mi pentii d’ essere entrato nel campo. » Finalmente tutti s° addormentarono, e poche ore dopo il Kashef ritornò in se, onde potè parlare ra- gionevolmente : ma la situazione di Burckhardt non.era molto migliorata; si sospettava che fosse un agente del pascià d'Egitto, e il segretario del Kashef disse: « a Mahass noi sputammo sulla barba di Maometto Aly, e tagliammo le teste dei nemici de' mamelucchi. « Di questo destino fu minacciato tutta la notte, e se non fosse sopraggiunto il nipote del governatore di Sukkot, che riconobbe la sua condizione, l'avrebbero senza dub- bio messo a morte. « To era allora, egli dice, senza ami- ci o protettori, in un paese distante solo due giorni e mezzo dai confini settentrionali di Dorga/a, in un regno allora conquistato dai mamelucchi i quali sospettavano che io agissi contro 1 loro interessi, mentre eran protetti dai governatori di Mahass » . In queste circostanze sti- mò prudenza il ritornare indietro; ma il Kushef gli ordinò di rimanere fino al giorno seguente. Burckhardt espresse con ansietà il desiderio di arrivare a Derr più presto che fosse possibile, e allora fu rilasciato con i so- liti insulti e disprezzi. La sua intenzione era d’ attraver- | sare la parte occidentale del Nilo, ma ivi non gli conve- niva in nessun modo; il che gli dispiacque assai, e mol- to più perchè in faccia a Soleb v era un bel villaggio e le rovine d'un tempio, che gli parve il più grande che 403 fosse in tutto PE Egitto, ed avea ragione di crederlo il più bell’ avanzo meridionale d° architettura egiziana. Nel villaggio di Kolbe trovò una ramosa per portare il bagaglio, ed egli e la guida passarono il fiume attenen=: dosi alle code de’loro cammelli; avendo ciascun cammel- lo una pelle di capra gonfiata al collo . Allora si prevalse dell’opportunità d’esaminare il tempio d’ Ebsanbul fin qui sconosciuto; la cui facciata tutta scolpita e intagliata riella roccia, posta affatto sula riva del fiume, è ancora conservata per fettamente. In questa facciata vi sono sei figure colossali rappresentanti persone giovani; sono poste tre per parte all'ingresso: da terra al ginocchio sono alte sei piedi e mezzo circa . Gli spazi da una nicchia all’ altra son coperti di geroglifici , come sono le mura degli ap- partamenti . Burckhardt crede che questo tempio sia servito di modello a quello di Derr, ma in tempo ad esso molto posteriore , poichè 1’ esecuzione e lo stile delle sculture d’ £bsambul rimontano a una grande antichità. Dal lato della montagna in faccia al settentrione, dove” era un grandissimo cumulo di sabbia, in distanza di circa dugento jarde dal tempio, furono scopeite le parti superiori di quattro immense statue colossali tagliate nel vivo masso; tutte l’ altre parti erano sepolte nella * sabbia, ch'è trasportata quì a torrenti dal deserto . « La testa d’ una statua che rimaneva scoperta , dice il nostro viaggiatore, aveva il più espressivo contegno | giovanile, e per la bellezza aprossimavasi alla maniera greca più di qualunque altra figura egiziana da me ve- duta ; e se non avesse avuta una folta barba al mento, poteva benissimo passare per una testa di Pallade. » ‘— « Questa statua (egli aggiunge) ha le spalle larghe sette jarde, onde tutta la figura non può aver meno di sessantacinque o settanta piedi d’ altezza : 1° orecchio fo ! è lungo un jard.e quattro pollici. » Burckhardt con- gettura, che se si potesse scavare, si scoprirebbe un in- menso tempio alla cui porta servivano d’ ornamento le ‘quattro figure colossali, nella stessa maniera delle sei appartenenti al vicino tempio d’ Iside: e questo tempio sepolto, giudicò che fosse dedicato ad Osiride, da una fi- guva con la testa di sparviero e un globo sopra, situata nel mezzo alle quattro statue, Questa congettura indusse Belzoni all’ ardita intrapresa di scuoprirlo fino all’in- gresso principale, il che effettuò con l'assistenza dei capitani Mangles e Jrby della flotta reale. Burckhardt non dubita che le opere d’ Ebsambul non appartengano al più bel periodo della scultura egiziana. La relazione data da ‘Belzoni e da’ suoi compagni di questa straordinaria scavazione di un tempio tutto ta- gliato nel masso, indusse il si g. Bankes,il quale spesso ab» biamo avuto occasione di mentovare, a fare una seconda visita in compagnia di Salt, per esplorarne più minuta mente i segreti recessi. La fatica e la spesa di questa in- tra presa, per le scavazioni d’un mese per rimuovere la sab- bia, le rovine ec. furono ampiamente ricompensate da molte nuove e brillanti.scoperte : fra le prime dobbiamo rammemorar quella di una greca iscrizione sulla coscia di una delle statue colossali che guarda l'ingresso, eche ram- menta la visita di Psammetico; (scritto YAMMATIXOI in dativo in antichissime lettere) che apparentemente si giudicò che fosse stata incisa quando il tempio era già ingombrato dalla sabbia. Questa probabilmente è la più antica iscrizione che esista in qualunque lingua intelligibile, siccome Psammetico morì più di seicento anni avanti Cristo, più di cento anni innanzi la conqui- sta dell’ Egitto di Cambise persiano, e presso dugento anni ‘avanti che Erodoto visitasse quel paese. Questa 405 scoperta ci assicura maggiormente della verità e dell’ac- curatezza del padre della storia profana; da cui sappiamo che quel Psammetico fu uno dei dodici principi chè go- vernavano 1’ Egitto, e che coll’ aiuto dl’ alcuni jonj e ca-. riani zomini di bronzo, soggiogò i suoi undici compagni; e divenne il solo sovrano del paese; che in premio dei loro servigi assegnò loro delle terre, e che insegnò la lingua greca alla gioventù egiziana; circostanza che dà una spiegazione soddisfacente dell’ esistenza d’ una i- scrizione greca in quell’ antico periodo. Questo sia detto per coloro, se pur ve ne sono, che fingono; o dubitano, o negano l’ esistenza delle lettere greche in questo tem- po; ma senza la cognizione di esse; sarebbe difficile il capire su qual fondamento Erodoto potesse affermare, che « noi certamente conosciamo tutte le cose che av- vennero in Egitto dal regno di Psammetico fino a noi» Come Pisistrato in men d’ un secolo dopo; poteva ‘aver raccolto in Atene una grandissima libreria? .. ‘Questa’ iscrizione è molto ‘pregevole, perchè può aiutare a decifrare i misteriosi geroglifici, che stanno in faccia alle inscrizioni greche; ed è particolarmente pre- gevole, per essere una prova sicura; dell’ incivilimento degli antichi egiziani ; poichè si dice che il tempio d’Eb- sambul contiene i più bei modelli di scultura; di pittu- ra e di'‘disegno; ora esistenti in Nubia e in Egitto. Per mezzo d’ una nuova e ingegnosa ‘maniera d’ illuminare il tempio, Bankes ha fatto tutto il disegno storico delle mura d’ una delle camere, in cui oltre i soliti geroglifici sotto forme di fortezze; carri da: guerra ec. osserva tre cavalieri montati senza sella; ma colle loro briglie. Le scoperte di Bankes non si limitano ad £bsam- bul. Ha esaminato minutamente tutte le rovine fra-que- sta città e Tebe, ed: il resultato delle sue scoperte e di 406 quelle di Salt, ha pienamente stabilito il valore e Vim- portanza della iscrizioni greche e latine ( aggiunte ed ampliate nell’eccellente opera d’ Hamilton sull’ Egitto ) determinando le date di molti tempj, e distinguendo quelli fabbricati dai greci e dai romani da quelli degli antichi egiziani. Gosì a Philae, oltre la scoperta di tre nuove camere nel gran tempio, un iscrizione del tem- po di Tolomeo e d’Arsinoe sopra un altare fabbricato nel- la parte più bassa del muro della lunga colonnata presso il fiume; ed una parte dei materiali provano senza dubbio che tutta la fabbrica è posteriore a quel regno, e probabilmente alla dinastia dei Tolomei. Nel mede- simo tempio furono scoperte sotto lastre’ dipinte diver» se iscrizioni greche del tempo di. Toloméo F ilopatore > e una di esse che rimaneva coperta dalla lastra, rimon- ta a/tempi de’ Cesari; onde si provà Adler 5 che le pitture di sì vivi colori come quelle delle camere egiziane, sono di data posteriore alla fabbricazione» del tempio. La scultura del primo profilo del gran. tempio era di data più antica, ma i mostri viaggiatori hanno sufficienti prove, che le sculture. sù l’ali 0,.su'le parti laterali erano posteriori al.tempo:di Tiberio; Dall’altre iscrizioni copiate da Hamilton; si ricava ‘ché, i greci aggiunsero molto all'antico tempio egiziano di Philae, e Particv]siomata un tempietto in cui; dalle volute nei capitelli, e dall’ eleganza e sveltezza dela disegno, vi sì conosce la maniera greca: « poichè!(.come osserva Ha- «milton ) se la sua origine deve riferirsi ad età ante- « riorivall’incivilimentò greco, bisogna confessare che « quando i greci. avean.veduto e studiato questo Item « pio, dovevan far. poco più per produrre i più bei mo- « delli d'architettura. » Abbiamo: un’ altra prova delle fatiche de’ Tolomei iel conservare e aumentare gli. an- | 407 tichi tempj dell’ Egitto. La seguente iscrizione su una lamina d’oro fu recentemente trovata sopra una colon- na accanto alla porta del gran tempio di Canopo dili- gentemente: posta fra due pezzi di terra cotta curiosa» mente coloriti. BACIAEVC . ITOAEMATIOC . IITOAEMAIOV . KAI. APCINOHC.®EON. AAFADAN . KAI.BACIAICCA. BEPENIKH.H. AAFA®H . KAI. TVNH . AVTOV . TO. TEMENOC. OCIPEI. « Il re. Tolomeo ( figlio di Tolomeo e d’ Arsinoe adelfi- « ‘ci dei ) e la regina Berenice sua sorella e moglia. « (hanno dedicato ) questo tempio ad Osiride. » La scoperta di molte altre iscrizioni greche, e di alcuni di quei misteriosi caratteri conosciuti sotto il nome di geroglifici, possono essere di grande utilità al dottore Young nel suo lodevole e. perseverante studio per decifrargli, e può fargli piacere il sentire che sul ‘tempio di Vukke in Nubia sono state scoperte delle iscri- zioni greche dei Tolomei sopra la porta paia ; in fac- cia alle quali vi è una tavola di corrispondenti gerogli- fici, e ciascuna presso. a poco della stessa lunghezza del- la iscrizione greca. Il significato delle due lingue fu per- ciò considerato da Salt essere somigliante; e seguendo la spiegazione del Dot. Young i due viaggiatori trova- rono che'i geroglifici dell’immortal Tolomeo in un ova- lle, erano seguiti da corrispondenti iscrizioni da una parte di Erme, e d’/side dall’altra; e tutte le iscrizioni greche Ssebiadino essere il tempio a loro dedicato. In varie altre parti del tempio si trovava scritto il nome di Tolomeo sopra alcune figure in atteggiamento di fare offerte, nia senza l’epiteto d’immortale . Bankes ha suf- ficienti prove che la scultura e i geroglifici del piccolo 408 tempio presso Esnè lo fanno credere del regno d’ Anto- nino, e dedicato da persone'i di cui nomi eran greci. Queste scoperte provano indubitatamente ciò che Hamilton ha mostrato ad evidenza, che dopo la conqui- sta dell'Egitto fatta da Alessandro, gli egiziani mativi e i greci domiciliati, non avevano scrupolo d’ usare il medesimo santuario, ed eseguirvi le ceremonie del loro culto; e che iscrizioni greche accanto a’ gerogli- fici, confermano la precisione di Diodoro e degli altri scrittori greci, i quali asseriscono che molii ricchi e magnifici tempj furono fabbricati dai Tolomei in Egit- to; e che il numero di quelli avanti la loro ‘dinastia non era tauto grande, quante sono le rovine che si vedono presentemente. Questa affinità dei due linguaggi; prova indubita- tamente che i geroglifici continuarono ad usarsi e ad essere intesi sotto la dinastia de’ Tolomei; e sì spera che si potranno ancora scuoprire nelle rovine de’tem- pj altri monumenti simili a quelli della. pietra di Rosetta, che aiuteranno il Dot. Young nell’ardua im- presa di decifrare questi misteriosi caratteri. Tanto gli edifizi greci che egizi, non differiscono punto nel merito e nel genio dell’ artista ; che concepì ed esegui siffatte ‘opere gigantesche , come quelle di Carnac, Luxor, Dendera, ed. Ebsambul, che sono indubitatamente lavori ‘egiziani, superiori e di gran lunga più sublimi di quelli che sono stati.imalzati so- pra le loro rovine. — Ritorniamo a Burckhardt. In faccia a Derr s'incontrò con Hassan kashef, il quale gli disse che non sapeva cosa dovesse fare in Mahass; e sì maravigliò che i suoi fratelli l'avessero lasciato andare innanzi. Quivi fece il Kashef unaidi quelle azioni despotiche comunissime im oriente. 499 « Passeggiando in un gran campo, col seguito « di trenta compagni e altri schiavi, Massan. disse « al proprietario, che aveva fatto male a seminare il campo d'orzo, e che i cocomeri vi sarebbero cre- « sciuti meglio: allora cavò di tasca del seme di « cocomero, e dandolo al proprietario disse : è meglio « che spiantiate l'orzo, e seminiate questo seme. « Siccome l’orzo era quasi maturo, egli naturalmente « Sì #cusò con dire, che non poteva compiacere al co- « niando del Kashef: allora egli disse: dere, lo se- «minerò io per voi ; ‘e ordinò a’ suoi di ‘tagliar subito « la raccolta, e cavarla dal campo per seminare i co- « comeri. Allora un vascello fu caricato d'orzo; e per- « chè il governatore alimentasse con esso i suoi cavalli « ei suoi cammelli per tre giorni, un'intera famiglia « fu ridotta alla miseria. » — Pag. 94. Burckhardt ritornando dalla riva occidentale del Nilo, osservò minutamente tutt’ i tempj e tutte le loro iscrizioni. Quelli di Dakke, di Gyrshe, di Dondour, di Kalabshe, di Tafa, di Kardassy, e di Debot, son tutti particolarmente descritti, e confrontate le bellez- ze di ciascheduno; ma noi ometteremo di renderne con-. to, come pure delie giudiziose osservazioni che fa su quegli antichissimi avanzi. I nativi gli riguardano colla massima indifferenza, e se si danno ad esaminargli , lo fanno,soltanto coll’idea di scuoprire tesori nascosi. Per- ciò lo Shikh di Gyrshe corse dietro a Burckhardt, per aver metà di quell’oro ch’aveva trovato nel tempio , 0 almeno porzione ; e gli disse, che i due inglesi Legh e Smelt avean trovato un immenso tesoro , del quale ave- vano caricato il loro vascello; e che aveva saputo ciò da un Arabo che aveva veduto l'oro. L’enormi masse di rottami e di frammenti di ter- fa x 4io re cotte che si osservano ‘ad £7 Meharraka, e che. si vedono.in varie parti dell’ Egitto, suggeriscono la pre» sente spiegazione, che la crediamo del tutto muova. « Diversi viaggiatori son rimasti sorpresi degl’im- « mensì monti di rottami, particolarmente di terre cotte, che si trovano presso le antiche. città egizia- « ne: se attribuiamo la formazione di essi, ai fram» « menti de’vasi di terra di uso domestico degli abitanti « a dir vero sarebbero troppi; ma io attribuisco la loro « origine ad un’altra causa. Nell’ Egitto superiore, le « mura delle case comuni sono spesso costratte in par- « te di vasi di terra, posti l’uno sopra Valtro, e ce- « mentati colla mota; ‘le mura interne, e quelle che « hanno-il tetto basso, la parte superiore di esse è quasi « sempre formata degli stessi materiali: i parapetti au- « cora delle case basse, hanno due 0 ire file di ‘vasi « rossì posti l'uno sopra l'altro, i quali comunemente « girano attorno il terrazzo, per nascondere le donne « quando vi passeggiano. 1 vasi son preferiti ai matto- « ni, perchè le mura sono più leggiere, fabbricate più « presto, e son’più belle ‘alla vista. Queste mura han- « no parimente un altro .vantaggio, cioè che i ladri « non'le possono sfondare nella notte senza fur romo- « re, perchè i vasi cadendo giù svegliano chi sta in « casi; mentre i mattoni possono: esser cavatitacita- « mente uno per volta, come fanno sovente ivladri « notturni, che s' introducono nelle case in questa ma- « niera: Se dunque supponiamo che queste mura di va « si, fossero comunementein'uso presso gli antichi, a « grandi ammassi di vasi rotti: possono avere un’appa- « rente cagione. La pietra sembra ‘essere stata sempre « poco in uso nelle abitazioni private degli antichi egi- « ziani, come lo è al presemte:.— Pag: 102.» 4uI , «Nella sera del 30 marzo dopo un rischioso viaggio di trentacinque giorni, nel qual tempo erasi riposato un sol giorno ;: Burckhardt ritornò ad 4ssowar, avendo viaggiato ragguagliatamente dieci ore il giorno. « Io « messi (egli dice ) otto dollari spagnoli nella mia bor- « sa; secondo il principio che ho costantemente segui- « t0; cioè, che quanto meno spende per viaggio, e me- « ‘no denaro porta seco il viaggiatore, tanto più è sicu- « ro di effettuare i viaggi che si è proposto di fare: e « ritornai dopo un viaggio di novecento miglia, trovan- «:domi avere speso soli cinque dollari, comprendendo « tutte le spese, eccettuato il regalo fatto ad Massar «Kashef. » Abbiamo brevemente toccato ciò che può chiamarsi narrativa personale di questa importantissi- ma spedizione, per dar poi una nozione più estesa delle osservazioni fatte dal nostro autore su i paesi ed i suoi abitanti. La Nubia è divisa in due parti chiamate /7ady «Kenous, e Wady Nouba ; la prima si estende da 4s- soun a Wady:Lebowa, e Vultima di livalla frontiera di Dongala. Gli abitanti di queste due divisioni hanno diverso linguaggio; ma i’ costumi presso a ‘poco simili. Gli arabi di Kezows traggono la loro origine dai deserti di Nedjed, e secondo la loro tradizione, si stabilirono in quelle regioni, quando le grandi tribù beduine dal- l'oriente si.sparsero sull’Egitto; adottarono la lingua dei nativi, che non ha punta analogia con l’araba, ma che si .è estesa nell’Egitto superiore fino ed £dfow: « è « cosà singolare (dice il nostro autore ) che due lingue « estere siano vissute. sì lungo tempo ad esclusione « dell’araba , in un paese che da ‘una parte confina con * Dongala, e dall’altra con l’Egitto, dove la lingua ‘ ‘araba è parlata esclusivamente, » -_ SS. e 412 Profittando delle discordie ‘di varie tribù arabe stabilite in Nubia, il sultano SeZym vi mandò un nu- mero di soldati bosni, che fabbricarono o restaurarono i tre castelli di 4ssowar, Ibrim e Say. I discendenti di questi soldati continuano a godere l'immunità da tutte le tasse e contribuzioni. I nubi gli chiamano Osmanli (Turchi). La loro pelle è brunotta, mentre che quella dei nubi è quasi nera . I reggenti al presente sono tre fratelli /Zosseyn, Hassan,e Maometto. Invece del miri ossia tassa rurale, ciascuno paga al pascià un tributo annuo di circa cento venti lire sterline ( quattrocento ottunta scudi toscani ) e da' loro sudditi nubi e dalle caravane; estorcono ciascun di loro da tremila lire ster- line (dodici mila scudi toscani ) delle quali non ispen- dono la decima parte. La loro ricchezza consiste in dol- lari e in schiavi. Le rendite della Nubia son tratte principalmente dai Sakies o-rote a ‘acqua per irrigare il terreno, il nu- mero delle quali fra Assovan e Wady-Halfa ,.0 dalla prima alla seconda cataratta, si crede di sei in settecento: per ogni ruota vi è il tributo d'una pecora grassa, e d’ una misura di dhowrra ; e per ogni pianta di datteri son presi due rami di frutti a loro piacimento; ma il si- stema è arbitrario e irregolare, i poveri villaggi sono fre- quentemente devastati, mentre i più ricchi rimangono immuni; e se. gliabitanti vengono ad aperta ostilità, i tre Kashef sono i giudici; e 1’ amministrazione della giustizia è un articolo di mercanzia. Se un nubio ucci- de un altro della sua tribù il debito del sangue deve es- ser pagato alla famiglia del morto, e un’ ammenda al Kashef di sei cammelli, una vacca, e sette pecore; ma se un nubio viene ucciso da uno della tribù del Kashef, non si esige debito di sangue, ma il capo domanda la 413 sua ammenda. Quei di Kerous e di Nouba sono quasi sempre in liti, e in azioni sanguinarie; e quando uno muore, la famiglia del morto elegge o di ricevere ana somma, 0 pretende il diritto di rivalsa: in tal caso il fratello, il figlio, o il primo cugino solamente, possono | supplire nel luogo dell’ uccisore, il che spesso è cagione, che tutta una famiglia fugga dal paese. Se un nubio ricco ha una figlia, il Kashef gene- ralmente la chiede per moglie ; il padre non osa ricusare; ima egli di rado si sottrae dal suo potente genero, che gli toglie ogni sua proprietà, sotto pretesto di regalare la propria sua figlia: onde, dice Burkhardt, i governa- tori sono sposi delle primarie donne di quasi ogni vil- laggio considerabile. //ossein Kashef ha più di qua- ranta mogli, venti delle quali son così maritate . Il Nilo dalla prima cateratta alle frontiere di Do7- gala non straripa mai, perciò i campi sono tutti innaf- ‘fiati dai sakies. Il grano che si semina comunemente è il dhowrra, dopo il quale hanno una raccolta d’ orzo, di fave francesi, di lenti, e qualche volta di cocomeri. Il tabacco è coltivato per tutto; questo è il lusso principale di tutte le classi, che o to fumano o lo mischiano col ni- tro, e lo succhiano fra le gengive inferiori e i labbri . Il cibo animale è raro; anche i Kashef non mangiano carne tutti i giorni. Nei gran villaggi il vino di palma è la bevanda comune ; è fatto di datteri maturi ben bol- liti nell’acqua, filtrati, messi in vasi di terra, e sepolti nel terreno fino alla fermentazione: questo liquore si man- tiene dolce un anno intero, quando è ben fatto. Si ottie- ne anche uno spirito dai datteri; e vi è un altro liquore fatto di dhowrra e d’orzo, che chiamano douza, simile in parte alla birra, lo zithzm probabilmente degli an- tichi egiziani. Tutto ciò si vende in botteghe, e parti- 414 colarmente a Derr dove le classi più facoltose s’ ubria- cano ogni sera . Si estrae ancora dal dattero una gelati- na o specie di miele, che serve di confettura. Ìccet- tuate le palme e poche viti che Burckhardt vide a Derr, non sì trovano altri alberi fruttiferi nella Nubia, benchè quasi ogni specie di frutto vi potesse essere col- tivata . i Le case dei nubj son di terra o di pietre murate a secco; quelle di pietra hanno comunemente due piani, uno per gli uomini |’ altro per le donne. Le capanne di terra son coperte con i gambi del dhowrra , e quando essi son mangiati dai greggi. vi pongono delle foglie di palma. Gli utensili di una nobile famiglia mubia son questi; una mezza dozzina di vasi di terra ordinarj d’ uno o due piedi di diametro e alti cinque, in cui si conservano le provvisioni della famiglia; pochi piatti di terra; un molino a mano, ossia due pietre separate; una scure, e pochi bastoni tondi dei quali si compone il te- laio; un mantello di lana, e un cappello di tela e po- chi cenci per formare una foggia di turbante. 1 ragazzi e le ragazze vanno nudi; le donne si cingono di nere gonnelle di lana, e fanno cader la chioma in anelli. AI mezzogiorno di Derr, e particolarmente a Sukkot e a Mahass, anche gli adulii vanno affatto nudi, se non che gli uomini portano una cintura con un sacchettino da- vanti, e all’ orecchio destro un anello d’ argento o di rame . I nubj sono in generale ben fatti, forti, nerboruti; e di belle fattezze. Burckhardt dice, che « passando lungo i /Vady della Nubia, sovente gli vennevosservato che la statura e la figura degli abitanti, era proporzionata. alla larghezza del loro terreno coltivabile » . Curiosa partico- larità, ma non del tutto vera. Le donne di questo paese 415 non son belle, ma son benississimo fatte, e posseggono in generale un dolce contegno e piacevoli costumi; inoltre son modeste è riservate, e tutte osservano rigorosamente la fede coniugale. S’ impiegano per lo più in casa a tes- sere dei grossi mantelli di lana e delle tele di cotone, che servono per camicie; intrecciano pure delle stoie di fo- glie di datteri, delle piccole tazze da bere, e dei piatti per porvi il pane di dhourra; tutto fatto a mano e pu- litamente. Le giovani si dilettano del canto, e le ariette mubie son molto melodiose. i 1 nubj non vanno mai disarmati: la prima compra che fa un ragazzo è un piccolo coltello adunco, che lega- no sopra il gomito sinistro sotto la camicia, e lo traggon fuori alla più piccola contesa. Gli uomini comunemente portano una lancia e una targa, fatta dagli arabi di Skey- gya della pelle dell’ippopotamo, che resiste alle frecce e alle sciabole. L° armi da fuoco non son’ comuni, e la munizione è rara e di gran valuta. Il nipote di Huo- metto Kashef corse dietro a Buckhardt due miglia per averne una sola cartuccia, dicendo che aveva consumata i unica che aveva, nelle feste del giorno antecedente. 11 clima della Nubia, benchè. estremamente caldo nell’ estate, è moltissimo sano forse per l'estrema’ ari- dità dell’ atmosfera. Ma il vaiolo fa di tanto iù tavito delle terribili stragi fra loro, e la vaccina; benchè una volta introdotta, è stata sfortunatamente perdutà. La peste non si propaga in Nubia più là della seconda ca- taratta, e per tutta la via fino a Serziaar. Benchè molti nubj vadano al Cairo, dove fanno il mestiere di facchini, stimati per la loro onestà, sempre ritornano ai loro na- tivi villaggi con quel poco che possono aver guadagnato in una servitù di sei o otto anni, senza portare’ nè le malattie, nè i vizj degli egiziani, sapendo: bene che il - 416 lusso che possono aspettarsi in casa loro in cambio di quello del Cairo, è un poco di pane di dhowrra, e una camicia di tela. ‘ Il saggio che abbiamo dato non offre un’ idea favo- revole dello stato dei nubj, ma gli troveremo ancor peg- giori, seguitando il nostro autore nel secondo yiaggio verso il mezzogiorno. (Sarà continuato .) FILOLOGIA Discorso recitato nella Società Colombaria ‘dal Prof. G. GAZZERI. A nori vi piacque, Colleghi ornatissimi, ascri- vermi a vostro consocio, due affetti ben diversi in me si destarono; per lun dei quali se io sentiva il pre- gio del favor vostro, e l’ onore che a me ne deriva, io mi vedeva per l’ altro non senza apprensione nella spia- cevole alternativa, o di restarmi fra voi in sembianza d’ uomo che nulla dà e molto. riceve, o di rispondere con troppo inegual ricambio alle molte ed utili cogni- zioni delle quali potea far tesoro intervenendo alle men- suali vostre adunanze. Se non che la bontà ela cortesia d’ alcuni fra voi avendomi in seguito stimolato ad assumer l’incarico di trattenervi in questa sera colla lettura di qualche mio lavoro, cedei di buon grado all’ invito cortese, che tolsi anzi come caparra di quel benigno compatimento che non sapreste ora negarmi. Mi restava a scegliere un argomento; e sentendomi in qualunque genere egualmente incapace di far cosa 417 che vaglia, volli almeno appigliarmi a tale. che meno si discostasse dai vostri studj, che non i soggetti delle mie occupazioni ordinarie. Mi parve che potrebbe essere di questa sorte qualunque concernesse alla lingua mostra, ampia in oggi e più che altra mai feconda. materia di discussioni. E siccome in seguito al rumore che da qualche tempo-ie correva dovunque, ebbi vaghezza nelle ultime ferie autunnali di leggere la Paepodhai d’ alcune ag- giunte e correzioni “i svanabalagià della Crusca, e sic- come in leggendola mi venne fatto di notarvi non po- che ne’ lievi mende, così intorno a queste interido ora esporvi alcune mie osservazioni, invocata prima la: vo- stra indulgenza, troppo necessaria ad uomo non uso a trattare sì fatte materie. Ricordo che dei due volumi fin qui comparsi dell’o- pera nominata ciascuno è diviso in due parti; che la prima. del primo. consiste principalmente in un.trattato del.conte Perticari intorno agli scrittori.del.300, di. cui , «per ora non, parlo, mentre la seconda e gran porzione delle due parti del secondo véiume contengono |’ Esame d’ alcune voci poste nel vocabolario . Poco pago di varie fra le conclusioni alle quali quest’ esame ha condotto il suo celebre autore, voglio comunicarvi Je mie osservazioni relative, cominciando da quelle clie si rapportano alla voce aZezzo; nè cesse- rò dal tediarvi con questo mio discorso. senza farvi pvi- ma consapevoli del perchè io abbia scelto questo punto di partenza... Alcuno. La Crusca prende, con è naturale, questa voce in senso di qualcuno, citando fra Pa altri esempi quel. di Dante nell’ Inf. 12. Che da cima del monte onde si mosse x Giugna 97 418 Al piano è sì la roccia discoscesa Ché alcuna via darebbe a chi su fosse. L'autore della Proposta pensa al contrario che Dante in questo luogo per alcura via abbia voluto si- gnificare ria via . Ma anzichè addurre direttamente e quivi stesso i fondamenti di tal sua opinione, egli ast sicura che ciò. rimarrà chiaro nell’ interpretazione d’ un’ altro passo consimile dello stesso Dante; la quale egli dice di aggiungere in modo d’ appendice. Il passo che egli prende ad interpretare è quello dell’ Inferno canto 3. v. 40, ove parlandosi degli angeli che nella gran giornata fra Michele e Lucifero restarono indiffe- renti, e che ilpoeta pone insieme ai poltroni al di fuori dell’ Inferno si dice : 4 Cacciarli i ciel, per non esser men belli, ©! Nè lo profondo inferno li riceve, Che alcuna gloria i rei avrebber delli . Crede l’autore della Proposta che anche qui alcuna gloria significhi 'riuna gloria, e promette dimostrarlo splendidamente contro l’ avviso di tutti quanti gl’ in- terpreti. 9 b To all’ opposto persuaso che inambedue questi passi Dante abbia impiegata la voce a/cura nel suo natural senso di qualcuna , in addurre i fondamenti di questa opinione, ed in risolvere gli argomenti prodotti in con- trario, non seguirò il sistema dell’autore della Proposta, sul quale mi riservo alcune riflessioni, ma:trattando se» paratamente ed uno alla volta i due passi di Dante, ri- vendicherò il senso loro naturale, il solo inteso dal loro autore. E cominciando da quello citato dalla Crusca, a pro» vare che alcuna via nel luogo indicato 707 può averne attro senso ‘che quello di niuna via, il solo argomento 419 che si adduca è questo: che /o scoscendimeato d’ un monte non dà, ma toglie a chi v'è sopra la via di discendere. La qual proposizione espressa in termini così gene- rali, tendenti a stabilire che il solo e necessario effetto dello scoscendimento d’ un monte sia quello di togliere ogni via alla discesa di chi sù fosse, può dimostrarsi er- ronea col ragionamento e col fatto . E a dir vero, quando per una causa qualunque una parte d’ un monte distac- candosi dal rimanente ruini, ognuno agevolmente com- prende che i rottami d’essa cadendo, o rotolandosi dalla cima al basso sù i lati di lui, possano disporsi in fogge così diverse per la quantità, per il luogo, e per il modo, che in alcuni casi sia per essi impedita ogni via alla di- scesa, mentre in altri casi la disposizione che i rottami , prendano per lo stesso scoscendimento offra una via sufficiente a discenderne. Attestano l’ esattezza di questo ragionamento mille fatti geologici, fra i quali bastà citare i fianchi di tanti monti, che nudi un tempo ed inaccessibili, si sono, mercè di successivi seoscendimenti, e dell’ azione d’ al- tre cause naturali, formati in dolci ed amene pendici, atte non solo a dare alcuna via a chi su vi fosse, ma ad essere anco passeggiate da’ buoi coll’ aratro, ed a rispon- dere cortesi alle cure del cultore industrioso. con ogni maniera di produzioni vegetali . Egli è dunque da vedere quale di questi due con- trarii effetti avesse avuto luogo nel monte di cui parla Dante, cioè se fosse discosceso in modo che togliesse ogni via, o se permettesse il discenderne. Si tratta d’un monte del Tirolo, cui l’ Adige bagna il fianco di qua da ‘Trento. Io non conosco cotal paese, non so quanto sa- 420 rebbe facile determinare senza equivoco di qual monte precisamente abbia Dante voluto parlare, e sono poi persuaso che per successivi scoscendimenti , e per l’a- zione d’ altre cause naturali, egli potrebbe essere. dopo cinque e più secoli in uno stato assai diverso da quello in che era allorchè Dante osservollo . Ma senza bisogno d’accesso o di verificazione lo- cale, Dante stesso col suo dire e col suo fare risolverà la questione. Convien ricordarsi (nè sò come altri abbia potuto obliarlo) che Dante non parla quì unicamente e princi- palmente di cotal monte, sicchè nel monte stesso biso- gni cercare l’ intelligenza delle sue parole. Egli descri- ve un monte dell'inferno, a cui paragona uno dei monti del Tirolo. Se noi crediamo Dante incapace di proporre una similitudine mostruosa, paragonando fra loro ‘cose diverse o contrarie, dovremo trovare nel monte dell’ in. ferno l’ imagine di quello del Tirolo . Il poeta stesso è con Virgilio sopra quel monte, donde convieu loro scendere a basso, ed il monte è sco- sceso dal lato appunto onde eglino dovrebbero. discen- dere. Ova si tratta di sapere se lo scoscendimento sia tale che dia o tolga ed impedisca loro il mezzo alla di- scesa . Noi lo saprem tosto, trascorrendo una sola: pagina in cui il poeta si ferma a descrivere il minotauro. Se la roccia è così discoscesa che tolga a chi vi è sopra ogni via, Dante non potrà discenderne naturalmente; il savio suo duce dovrà ‘ricorrerè ad alcuno di. quelli espedienti , di cui si trovano diversi esempj nel seguito della prima cantica, come nel canto XII. di fargli pas- sare la riviera di sangue bollente sulla groppa di Nesso centauro; nel XVII. di farlo discendere all’ ottavo cer- è ; 42 hi chio trasportato seco per aria sul dosso di Gerione, nel XVIII. di portarlo egli stesso per alcun tratto, e nel XXXI. di farsi portare egli e Dante da Anteo . Ma ecco che al contrario senza alcuno di tali o si- mili aiuti Dante e Virgilio scendono il monte, mo- strando col fatto che chi su vi fosse poteva trovarvi una via. Oltre il fatto meritano particolare attenzione le pa- role colle quali descrive la sua discesa ; eccole : Così prendemmo via giù per lo scarco Di quelle pietre . .... Parole delle quali non potrebbero desiderarsi altre più acconce a definire la questione nel senso da noi inteso, e per le quali siamo assicurati che da cima del monte al piano la roccia era sì discoscesa che dava alcuna via, cioè qualcuna via, a chi su fosse. Siccome il monte dava alcuna via, Dante e Virgilio la presero, prendem- mo via, e la presero giù per lo scarco di quelle pietre, cioè dove la roccia era discoscesa, ed appunto perchè era discoscesa sì fattamente che poteva dare alcuna via. Mi sembra poi appropriatissima l’espressione alcu- na, trattandosi non già di via spaziosa, comoda, e faci- le, ma di tale per cui si potesse appena discendere in qualche modo (*). i Vediamo se più della precedente “sia stata felice l’interpretazione dell’altra terzina, che ripeto. (*) Dopo aver scritto e recitato questo discorso , un lette- rato insigne , parlandone coù bontà , mi ha comunicato il se- condo fascicolo d’ un’ operetta che si pubblica in Modena sotto il titolo di — Sagg io d’annotazioni al dizionario della lingua italiana che si stampa in Bologna ,— facendomi avvertire ‘ché l’ autore di esso non solo pensa come me relativamente al valore della voce alcuno, ma ‘produce. alcune delle’ osservazioni ed alcuni degli argomenti da me pure prodotti; circostanza che mi 422: Cacciarli i ciel per non esser men belli, Nè lo profondo inferno li riceve, Che alcuna gloria i rei avrebber d’ elli. L'autore della proposta pensa che per la voce ir- ferno non debba quivi intendersi il materiale del luo- go, che, secondo esso, sarebbe chiosa da stolto, ma i suoi abitatori, e crede che l’altra voce riceve stia in senso di ammettere volontariamente e deliberatamente. Però, a parer suo, il significato degli ultimi due versi di quella terzina è questo, cioè che i dannati escludono dalla società loro i poltroni e gli angeli indifferenti, e ciò perchè dalla compagnia di questi niuna gloria ver- rebbe loro. Le quali cose tutte io credo doversi intendere in un senso affatto contrario. i E a dir vero, sebbene tutto ciò che Dante dice dell’inferno sia mero parto della sua fantasia , pure non bisogna attribuirgli la stoltezza d’aver supposto quel luogo senza alcun reggimento , e di aver lasciato agli stessi dannati l’arbitrio di ammettere nella compagnia loro o di escluderne chi loro piaccia. Oltrechè niun luo- go della prima cantica giustifica questo pensiero , molti tratti lo escludono positivamente. Noi vi vediamo in Minos un comoscitor delle pec- cata, che ogni qual volta laggiù discenda un'anima reproba Vede qual luogo d'inferno è da essa Cingesi colla coda tante volte Quantunque gradi vuol che giù sia messa. Nè giovi il dire che Minos giudica e destina li spi- ha cagionato sodisfazione , rendendomi semprepiù persuaso di non avere in tal proposito errato . 4233 riti che entrano nel secondo cerchio e non già quelli che si fermano nel primo, cioè nel limbo, e molto me- no i poltroni e gl’indifferenti, che restano al di là d’esso fra la porta d’averno ed il fiume Acheronte, giacchè basta sapere ‘che primi non hanno arbitrio di scegliere a loro stessi la sede, per esser certi che non possano as- segnarla o contenderla ad altri. Che se quivi Dante parla da poeta imaginoso è fantastico, l’udrem fra poco porre in bocca a Virgilio un linguaggio assai più grave e più sensato, che servirà mirabilmente al nostro scopo. Osservo frattanto che sebbene per lo più egli pon- ga raccolti in un luogo stesso i rei d’uno stesso delitto, non è da pensare ch’ ei li supponga ivi convenuti per loro scelta, ma costrettivi da chi ne ha potestà per sog- giacervi ad uno stesso gastigo. Anzi talvolta è piaciuto al poeta di porre insieme rei di delitti diversi per l’ op- portunità d’ una pena comune e combinata. Così nel canto 7.° sono i prodighi commisti agli avari per farsi onta scambievole , così nei 32, e 33 il traditore Ugoli- no è orrendo vicino al troppo crndele arcivescovo, reo mon tanto della morte di lui, quanto di quella dei quat- tro innocenti suoi figli. Ora se non appartiene ai dannati ammettere o escludere altri dal loro consorzio , la voce riceve non può prendersi in senso d’ ammissione volontaria, la voce inferno non può indicare i dannati stessi, ma il luogo di questo nome, ed il senso naturalissimo di quel secondo verso deve esser questo, che i poltroni e gli angeli indifferenti non sono destinati da chi ne ha il potere ad entrare nel profondo inferno. La causa poi di questa disposizione nel concetto del poeta è espressa in quel terzo verso 424 Che alcuna gloria i rei avrebber d' elli Ma l'intelligenza che, cambiando il senso naturale del- la voce alcuna, dà l'autore della proposta a questo verso è così strana, che ‘include necessariamente il seguente stranissimo supposto, cioè che il fine a cui l'inferno è ordinato sia la glorificazione dei dannati, sicchè non debba nè possa supporsi colaggiù disposizione alcuna che non conduca a questo fine. Quindi assai più ragionevole è l’intendere con tutti gli espositori di Dante che i poltroni ed i supposti an- geli indifferenti non sono destinati ad entrare nell’ in- ferno, perchè la loro compagnia potrebbe porgere argo- mento di gloria agli empi che vi albergano. Nè ad escludere questa semplicissima e nataralis- sima spiegazione può giovare tutto ciò che raccolto non solo dallo stesso Dante, ma anche altronde , adduce l’au- tore della proposta per stabilire clie coloro i quali nou fanno nè ben nè male, gl’indifferenti, i poltroni, sono ciò che vi ha di più spregevole nel sozzo ammasso dei vizj e degli eccessi d’ogni genere, ai rei dei quali asse- gnò il poeta sede e pena condegna nel suo fantastico inferno! Senza dire che non vi è morale cui tal dottrina consoni, senza discutere le allusioni che gratuitamente sì attribuiscono a Daute (il quale, quantunque rampo- gni aspramente in più luoghi i suoi concittadini per le funeste loro divisioni, pur si vuole che riguardasse co- me i più vituperevoli fra essi quegli che scevri da ogni spirito di parte se ne stassero tranquilli ) proverò piut- tosto come nel concetto del poeta, il quale nella prima cantica presenta i reprobi sempre nell’ordine progressi- vo della respettiva loro reità, condannandoli a pene gra- datamente più gravi, son tenuti grado a grado più lon- 425 . tani dal profondo inferno quelli nei quali manchi, non già merito vero e pregevole, ma sufliciente reità per discendervi. | Che tale sia a senso di Dante la norma di questa distribuzione , che escluso ogni concorso della volontà dei dannati, ei la faccia unicamente dipendere dalla divina giustizia, emerge fra gli altri ad evidenza da quel passo del canto XI, ove Virgilio a sciogliere alcu- ni dubbj di Dante, distinguendo coll’ autorità d’Aristo- tele nell’Etica varj gradi di reità nelle malvagie azio- -——— mi degli uomini, secondochè sono consigliate o da in» continenza; 0 di malizia, o da ferocia cn dopo aver detto a RIIIEA IMA comen incontinenza) Men Dio offende e men biasimo accatta soggiunge: Se tu riguardi ben questa sentenza, E rechiti alla mente chi son quelli Che sù di fuor sostengon penitenza, Tu vedrai ben perchè da questi felli Sien dipartiti, e perchè men crucciata La divina giustizia li martelli. Le quali cose se sono dette anche riguardo a rei di vizii positivi, quali sono i lussoriosi, i golosi, i prodi- ghi; gl’iracondi collocati nel secondo, nel terzo, nel quarto, e nel quinto cerchio d’inferno, a più forte ra- gione dovranno applicarsi agli oziosi ed agl’indifferenti, non rei che d’omissioni, e quindi posti più lontani’ di ogni altro dal baratro profondo. Concluderemo però che essi son dipartiti dai felli abitatori del profondo inferno, perchè men rei, e quin- di meno spregevoli, e meno abominevoli d’essi, e che ne sono dipartiti, non già per volontà di'quelli che ri- i A 426 cusino riceverli, ma per disposizione della divina gi» stizia, la quale, giudicandone assai diversamente dal. l’autore della proposta è mer crucciata con essi. Ma il concetto di Dante in quel luogo è egli vera- mente questo che i poltroni e gl’indifferenti non sono destinati a stare nel profondo inferno commisti ai rei più insigni, onde non derivi a questi gloria ed onoran- za dalla compagnia d’ uomini meno perversi ? Nol sò; anzi nol credo; e tenendo per fermo che il poeta può tutto avere inteso, eccetto ciò che suppone .V autore della proposta, mi farò lecito in soggetto dub- bio ed incerto proporre una mia congettura. Quando la prima cantica non offerisse altri eroi infernali che Vanni Fucci e Capaneo, l'indole delle be- stemmie che pone in bocca ed essi il poeta, e l’orgo- gliosa compiacenza con che essi le proferiscono, baste- rebbero a mostrarci quanto il senso di gloria di cui i dannati debbono reputarsi capaci sia diverso da quello che provano gli onesti uomini su questa terra, ed in coerenza al quale sembra ragionare l’autore della pro- posta. Se a questo sì aggiunga qualche altro riflesso su i sentimenti insignemente perversi che alcuni mostri dell’umana specie hanno potuto accogliere ancor viven- li, sì potrà per avventura riguardare come non inveri- simile l’interpretazione che di preferenza ad ogni altra io darei al contemplato verso dantesco. Malfattori insigni per il numero e per l’atrocità dei commessi delitti, che una singolare ferocia assisti- ta da particolari combinazioni aveva potuto lungamente serbare impuniti; caduti finalmente in potere della giu» stizia vendicatrice, e trovatisi ad aver stanza comune con altri rei di minori delitti, e talvolta d’un solo gof- famente commesso, si sono uditi prenderne argomento ne pur, © “e 427 d’ orrenda gloria, paragonando con feroce iattanza gli atroci loro eroismi alle per essi ‘meschine gesta di quest’inetti. Se non è questo o altro simile il concetto di Dan- te, non è poi sicuramente quello che gli presta l’autore della proposta , concetto il quale suppone , come ho ac- cennato di sopra, che il fine a cui è ordinato l’ inferno sia la glorificazione dei dannati. Dimostrato, come confido, essere erronea l’inter- pretazione che dei due citati luoghi di Dante si fa nella proposta ;e dimostratolo senza guari dipartirmi da quel- la moderazione e da quella decenza, che dovrebbero sempre osservarsi nelle controversie letterarie e scien- tifiche, giova ora, imitando in qualche modo il sistema della Proposta ( non già per garrire, ma per un fine morale ) tornare a percorrere con più minuta indagine lo stesso articolo alcuno. Il nostro autore assumendo a provare che alcuna via nel passo citato dal vocabolario significa rina via , anzi che produrre argomenti diretti, dice che dovrà aversi per provato tale essere il senso della voce alcu- na in quel luogo, quando egli mostri averla Dante usata nello stesso senso in un'altro passo consimile. A me sembra primieramente che sia questo uno strano argomento, e che sarebbe assai più valido quel- lo di cli concludesse l’ opposto dall’ aver Dante fatto uso della voce a/cuzo in senso di qualcuno non in due o tre luoghi e dubbiamente , ma in un gran nu- mero e senza alcun dubbio. Ho già detto che Y' altro passo su cui piace al nostro autore trasportare la questione è quello in cui pretende che alcuna gloria significhi niuna gloria. Il primo dei fondamenti ai quali egli appoggia tale 428 opinione è l’uso che della voce alcuno in senso di niuno apparisce fatto talvolta da qualche scrittore classico, e dallo stesso Dante in tre luoghi, che si citano, e dei quali uno (il credereste? ) è quello stes- so « Che alcuna via darebbe a chi sù fosse » Così egli viene a fare in qualche modo il seguente ragio- namento. Io sarò autorizzato a concludere che alcw- na via vale per Dante rina via, quando dimostri che per esso alcuna gloria vale niuna gloria. Ora io vi provo questa seconda asserzione con mostrarvi che Dante fra le altre cose ha detto alcuna via in senso di riuna via. i Se ben mi ricordo, un tal metodo di ragionare si chiamava una volta dai logici circolo vizioso, pe- tizione di principio, idem per idem, ed avevasi in conto di fallo gravissimo. Quanto agli altri due luoghi di Dante, sì trova- no questi nel Convivio trattato 3., e sono i seguen- ti: c. 15. « ZI desiderio è difettiva cosa, che alcu- no desidera quello che ha, ma quello che non ha. Ed al c. 14. Alcuno sensibile in tutto il mondo è più de- gno di farsi esempio di Dio che il sole. Ma nemmeno in questi due luoghi io penso che Dante abbia usato della voce alcuno in significato di niuno. Credo bensì che il non senso di questi passi ove la voce alcuno si prenda nel suo natural signi- ficato debba attribuirsi ad: incuria dei copisti, che abbiano omesso sì nell’uno come nell’altro una par- ticella negativa, sicchè debba leggersi « che alcuzo non desidera quello che ha ma quello che non ha » e nell’ altro « alcuno sensibile in tutto il mondo non è più degno di farsi esempio di Dio che il sole. » 429 La quale omissione talmente facile ad accadere , che non vi è forse alcuno cui non sia sfuggita alcu- na volta scrivendo, potrebb' ella sembrare strana al- l’autore della Proposta, o anche al figlio dell’amor suo, che un grandissimo numero di mende hanno attribuito ai copisti ovunque sembrasse lor necessario supporle onde ridurre a ragionevole e sensata lezione le antiche scritture, e ciò non solo con togliere. o ‘aggiungere un monosillabo, come nel, caso . nostro, ma con trasformare molte voci in altre grandemente diverse, come a cagion d’esempio « ferreo in frisseo, toccare in troncare, fimbria in fibra, tifece in Tifeo, Dedalo in Talete, Giacchetto in Giapeto, scurgere in stagirita, fanciulla in facella, colore in core, fronzu- to in feruto » e tant’ altre? E tanto più a me piace supporre avvenuta l’omis- sione d’una distinta particella negativa necessaria al senso di quei due luoghi, quantochè supponendola inclusa nella voce alcuno cui si voglia accordare il significato di niuno, si stabilirebbe nel primo di detti luoghi un cattivo modo di dire, un modo indegno di Dante. i In fatti ovunque la particella ma sia usata, come ivi, qual.disgiuntiva; a separare cioè due: proposizioni delle quali una affermi ciò che l’altra nega, è indispen- sabilmeute necessario che la particella negativa si trovi in una di esse e manchi nell’ altra. Vi si vogliono poi due voci notabilmente diverse fra loro ‘0 contrarie, una delle quali sia in una delle proposizioni, l’ altra nell’ al- tra, restando le altre vocie le altre parti del discorso ordi- nariamente le stesse nelle due proposizioni. Bensì il | più delle volte per brevità ed anche per vezzo, una o più d’ esse espresse nelle prima proposizione sono taciute 430 ma sottintese nella seconda, e sempre nel senso e col valore stesso che avevano nella prima. Così se alcuno dica : il sole non illumina il nostro emisfero nella notte, ma nel giorno; la neve non cade nell'estate, ma nell’in- verno; non si acquista l'amicizia altrui con i cattivi uffici, ma con i buoni, egli è come se dicesse: il sole non illumina il nostro emisfero nella notte, ma il sole illumina il nostro emisfero nel giorno; la neve non ca- de nell’ estate, ma la neve cade nell’ inverno; non si acquista l’ amicizia altrui con i cattivi uffici, ma si ac- quista l’ amicizia altrui con i buoni uffici. Dei quali di- scorsi regolarmente costrutti, la particella negativa è nella prima proposizione , non nella seconda; una in questa ed una in quella sono due voci diverse ed in qualche modo contrarie, come giorno e notte, estate ed inverno, buoni uffici e cattivi uffici; e le voci espresse solo in una delle due proposizioni si hanno per ripetute o si sottintendono nell’ altra esattamemente nel senso stesso. Che se la particella negativa necessaria in una del- le due proposizioni, in vece di esservi espressa e distin- ta, sia inclusa in una voce di senso negativo, questa vo- ce non potrà essere nè ripetuta nè sottintesa nell’ altra proposizione , giacchè nell’ un caso e nell’ altro le due proposizioni avrebbero uno stesso senso negativo; contro la natura di questo modo di discorso. Converrà bensì che alla voce di significato negativo contenuta in suna delle due proposizioni separate dalla disgiuntiva m4@ corrisponda nell’ altra una voce diversa, anzi contraria, e questa non sottintesa, che non potrebbe esserlo, ma proferita ed espressa. Così nel passo contemplato se la voce alcune contenuta nella prima proposizione avesse valore di nessuno, o meglio se in vece di alcuno vi sì - 431 leggesse di fatto nessuno, bisognerebbe far entrare nella seconda, in luogo del caso retto, chè-+î manca, la voce ognuno o altra simile, e dire: nessuno desidera ciò che ha, ma ognuno desidera ciò che non ha. Senza di che sottintendendosi, o avendosi per ripetuta la stessa voce alcuno in significato di niuno, ne ‘risulterebbe un non senso; anzi un’ aperta e sciocca contradizione, come di chi dicesse « niuno desidera ciò che ha, ma niuno desi- dera ciò che non ha ».. All’ opposto lasciando, come a noi piace, alla voce alcuno il:suo natural significato, e restituendo la parti- cella negativa che supponiamo omessa dai copisti, si ha il più esatto modo di dire, cioè: alcuno non desidera quello che ha, ma quello:che non ha; ovvero: alcuno desidera non quello che ha, ma quello che non ha. In somma ogni qual volta incontreremo l’ alternativa di dovere attribuire 0.ad un sommo scrittore un: cattivo modo di dire, 0a copisti riconosciuti inesatti e scorretti qualche errore facile a commettersi, come 1’ omissione d’ un monosillabo , quella sana critica che è si spesso invocata, e sì coraggiosamente usata nella Zroposta , mon: ci permetterà d’ esitare , ‘inonNeè con miglior ragione a sostenere! il suò assunto cerca l’ autore della Proposta un appoggio nell’ uso che fanno i francesi della voce azcuz im significato di nes- suno. Di fatti non indistintamente ed' in tutti i casì usano essi d’ una tal voce in questo ‘senso, ma solo in alcuni pochi e determinati . Intorno a;che è principal- mente da avvertire come manca nella ‘lor !lingua una voce atta per sè sola ad esprimere ressnò; sicchè sono costretti a servirsi della voce aucuz associata ad una particella negativa. E sempre una particella negativa * vi associano ovunque la struttura del: discorso sia rego- ‘432 x lare e completa, nè alcuna sùa parte sia tralasciata @ sottimtesa.. BbUO0: Bensì in alcuni casì partibolapil e quasi unicamente, ove l’ espressione ressuzo debba proferirsi in risposta adi un? interrogazione , essi tralasciando la particella nega- tiva ed il verbo che sono sottintesi, pronunziano la sola, voce aucun, la quale (siccome l’ altra personne) ha allo- ra un significato negativo, ed equivale a r.essuzo. Così a chi domandi qui y at-il? qui y avoit-it ? rispondono semplicemente axcur, voce che in questo caso significa nessuno, € che sola equivale , nella. comuna-accezione, autenticata dall’ an: alle risposte regolari e complete Db n yaaucun; il n y avoit aucun. i Nè vi è fra questi due un terzo modo i mtsombicio) in cui tralasciata la sola particella negativa; e ritenuta col verbo e colle altre parti del discorso la voce azcw7; possa questa usarsi in senso negativo; giacchè se alcuno dicesse il y a aucun ; il y avoit aucun terrebbe un moi do nè usato nè lodevole, ma che in ogni caso sarebbe inteso in senso affermativo, e non mai negativo .: Vedansi i migliori dizionarj francesi , e special- mente quello dell’ Accademia, ove si citano in esempio var] modi di dire fra i quali 1 seguenti : Ce fait raconte par aucuns ; D’ aucuns croiront que j° en. suis amou- reuwx, e si aggiunge. il signifie alors quelques-uns. © Non è dunque vero, come si pretende, ché nella lingua francese la:voce azur abbia per sè sola unisen> so negativo e significhi nessuno ; essa. acquista questo significato da una! particella negativa, che in alcuni casi l’ uso permette di tralasciare ,, 1ma che è sempre sottin- tesa . Sebbene Y.esame d’ un solo ‘articolo della Propo- sta, per avventura non anco esausto, mi abbia già of- acacia tac 433 ferto ùna messe anche più eopiosa che non: mi fosse mestieri, pure non voglio lasciarlo senza rilevarne una rara singolarità. A metterla in evidenza, basterà ripor- tare i primi quattro versi di.tale articolo, che seguono immediatamente la citata terzina del canto 12 dell’ in- ferno, allegata dal vocabolario in esempio della voce al- cuna presa nel suo naturale significato. Ecco questi versi . Odesibalziorio ‘« Che alcuna via qui valga niuna via rimarrà chiaro «nella seguente interpretazione, che a modo d'appendi- «ce aggiungiamo d’ un’ altro passo di Dante al Lutto «consimile, e mal’ inteso finora da tutti gli espositori » . Il tema che l’autore si propone è espresso nei soli tre quarti ‘del. primo verso; la dimostrazione n’ è pro- messa in qualche cosa meno d’ un’ altro verso; ogni ri manente è dichiarato un’ Appendice (di ben trecento. versi) aggiunta ...a che? non sicuramente alla dimo- strazione * divétta che si desidera; non ad alcun’ altra co- sa ‘poichè nulla la precede. Egli è un singolar modo di provare l’'addurre il poco che si può dire come un’ ap- pendice aggiunta a prove dirette che non esistono, ed è una singolare appendice quella che non è preceduta da cosa alcuna. Sarebbe come se taluno cominciasse un poema con quelle parole colle quali Dante cominciò il canto 8. dell’ inferno. I° dico seguitando ec. Risusidanido poc'anzi al numero degli errori è delle inesattezze incontrate nell’esàme d’ un solo arti- colo della Proposta , io diceva esser questi troppo più che ron mi fosse mestieri. Intorno a che io duveva fare una distinzione relativa al doppio oggetto propostomi. Di fatti chi‘non abbia altro: fine che quello di ‘6cuoprire e rettificare l’ errore, non impiega altri argo- T°. II. Giugno 28 434 i menti che quali e quanti bastino a metterlo in evi> denza, e si astiene da tutti quelli che, non necessarj ad assicurare il trionfo della verità, non possono esser diretti che a render più palese il torto, più intiera l’ umiliazio- ne di chi la perdette di vista . - Se io non avesse mirato che a scolpare la Crusca dall’ errore imputatole, a me bastava provare che Dante per alcuna via intese qualche via, ed al più io poteva estendermi a mostrare, contro l’opinione del critico, che lo stesso sommo poeta anche per alcuna gloria aveva inteso qualche gloria. | Ma dopo la disgustosa impressione provata nella lettura della Proposta era per me divenuto un bisogno il porre in stato di accusa gli accusatori, | per sottoporli almeno un momento ad una forma di processo, che seb- bene immensamente distante da quella che piace ad essi di praticare , facesse, se è pur possibile, sentir loro per propria esperienza che mentre gli animi anco più altieri, purchè ingenui e devoti al vero, riconoscono senza disdegno gli errori, onde altri urbanamente li av- verta, non vi è all’opposto uomo sì docile e si mansueto, che non senta dispetto ove errori anche non suoi siano propalati e derisi in modo inurbano e scortese . \ Io debbo qui dichiarare che il numero degli errori incontrati, e la gravità d’ alcuni fra essi mi hanno in- dotto nell’ opinione che l’ articolo fin qui contemplato non sia opera dell’ uomo celebre, il quale ponendo il suo nome in fronte alla Proposta, si è fatto il mallevadore di tutto ciò che vi sia incluso. Se la debolezza di tale articolo svegliava in me questo pensiero, mi confermava in esso la circostanza di vederlo collocato l’ultimo fra quelli attenenti alla lettera A, e però fuori dell’ ordine alfabetico osservato 435 mel rimanente dell’ Esame d’alcune voci; la qual circe- stanza togliendomi ogni scrupolo intorno ‘al deviare da quest” ordine, mi ha indottà a far primo soggetto ‘delle mie osservazioni quest’ articolo, che me ne offriva im qualunque ipotesi sì comoda e sì ampia occasione . E cominciando dalla supposizione che io preferi- sco, cioè che il conosciuto autore della Proposta non lo sia di fatto dell’ articolo a/cuzo, io ragiono così. Sebbe- ne l’imprendere una minuta disamina di tutto il gran vocabolario ‘della Crusca con animo di. scuoprirvi ogni più lieve difetto (prescindendo anche dall’ assunto‘ di apporvene molti che non vi sono) debba aversi per opera non lieve , ella fu senza dubbio maggiore e più ardua impresa la prima compilazione di tal dizionario : Or se, non dirò a compiere, che ne siamo ben lungi, ma ad incominciare un'impresa di tanto minore, il suo cele- bre campione comunque forte, valoroso, ed ardente, ha pur sentito bisogno di giovarsi dell’ aiuto e dell’opera altrui, e se un tal sistema lo ha esposto a produrre commiste ad alcune giuste e ragionevoli osservazioni, altre difettose ed erronee, come ha egli potuto in chi concepì, intraprese , e compiè opra tanto maggiore , e senza precedente esempio nel suo genere, riguardare non solo come indegno di perdono e di scusa qualunque più lieve errore, ma addebitare di quelli propr] ad alcuni individui un’ intiero rispettabile corpo accademico, e segnalare al disprezzo ed al ludibrio universale esso non meno che l’ opera sua, fin qui ‘'ammirata e venerata come-sommamente benemerita della patria favella? Che se poi, contro l’enyînziata opînione, siccome il progetto e gran parte dell’opera, così fosse dell’ autore della Proposta anche l'articolo sopra di cui ho diaiizi di- | ‘scorso; e come mai (domaniderei io a me stesso; ed a se 436 stesso domanderebbe chiunque dalla lettura delle insigni. sue produzioni,discenda a quella della Proposta) ecome mai un tant.uomo, intorno a cui, in. fatto. di sapere, non vi ha che un’ opinione, e gloriosa ; quegli fra i poeti ita- liani yiventi, sulla cui fronte un’ assenso rispettoso. ed. unanime pose già da gran tempo la prima corona, come, mai potè farsi tanto minor di se stesso ; quanto apparisce in cotal opera malaugurata? Alla qual domanda non saprei trovare. sodisfa- ciente risposta ,;se non cercandola nei più 4milianti fra gli attributi della umana natura, per i quali ve- diamo talvolta meschine passioni signoreggiare uomini altronde grandi, ed i più alti ingegni perdersi in mi- serabili gare letterarie Ra a di odiosissime con- seguenze, specialmente. ove affettandosi di connetterle coll’interesse o coll’onor nazionale, si giunga ad. ani- marle del funesto spirito di fazione o di parte. .. Di fatti chi potrebbe illudersi intorno al. vero oggetto della Proposta; chi crederla ispirata dal solo amore del patrio sermone, e dall’ onesta brama di pur; garne il codice primario da qualche errore; vedendo il suo chiaro autore, quasi impotente ad esalare per la sola sua bocca, comecchè spalancata, } immensa bile che ne gonfia l’epa e ne offusea il giudicio, con- giurare, sarei per dire, tutto il creato, evocando estinti, dando vita e parola ad esseri inanimati, e tutti in- ducendo a dialogizzare, e far con lui coro, 0 frastuo- no, a vilipendio e dispregio di questo codice , stesso e dei suoi rispettabili autori, che pur si. giacciono .da più secoli nella tomba ? E senza parlare dei molti errori supposti 0 indebi- tamente:imputati;, e limitando la considerazione a quelli che sono di fatto nel vocaholario; chi è sì poca veggen» 437 te, che nel modo di denunziarli non scorga aperto il disegno di provocare contro essi, non già l’onesta cene sura dei pochi saggi fra i letterati, ma il riso e lo scher= no della lor plebe? Sù di che per ventura; non in Toscana sola o nella sola Italia, ma presso altre culte nazioni, ove ne giunse la fama, una e comune è stata l’impressione che ne han ricevuta e l’opinione che ne han formata i. buoni e gl’imparziali, gridando concordemente « allo scar- dalo ». Che sebbene si alleghi modestamente nella Propo- sta il plauso che ella ha riscosso da molti, è da cre- dere che i buoni lo abbian fatto al progetto offerto in sembianza onesta, non al modo ben diverso della sua esecuzione. E quanto a quei pochi che ne lodino indi- stintamente ogni parte ed ogni maniera, non ne farem maraviglia, sapendo che vi han sempre ammiratori e lodatori sì generosi, che tutto encomiano indistintamen- te checchè discenda da una penna o da una bocca ve- nerata, per non dir col poeta anche altronde, facendo essi festa e tripudio « Quod bene ructavit, quod re- « ctum minxit amicus ». | Pago di questo sfogo che mi era necessario > ripren- do con piena calma l’ esame d’altre osservazioni conte- nute nella Proposta. SCIENZE MORALI e POLITICHE Storia critica, e ragionata della situazione dell’ In- ghilterra nel 1 gennajo 1816, in rapporto alle finanze, all’agricoltura, alle manifatture , al com» mercio; alla navigazione, alla costituzione, alle ‘leggi e alla politica esteriore « Opera del Sigve Mofpend®}: con l epigrafe seguente. n Cavendnm sit, ne exhausto aerario repentina calamitate respublica deseratur ,, Bodin de repub. lib. 6. cap. 11. Traduzione dal Francese. E l’Imghilterra il paese dell'Europa, ove il siste- . ma rappresentativo trovisi stabilito da più lunga età, e dove ancora questo sistema sia prima, che altrove, pervenuto al più alto grado di solidità e di perfezione. Per il corso di 130 anni è andato egli sviluppandosi, e vi agisce ancora, senza avere, almeno in apparenza, ; sofferto mutamenti importanti. La settennalità sostitui- ta alla triennalità dei parlamenti; le decisioni, che nel 1788, e 1811 hanno fissato il modo della reggenza del trono, sono quasi le sole innovazioni costituzionali , meritevoli d’attenzione in così lungo intervallo. In con- seguenza di ciò , dopo che in Francia sono stati tanti sforzi diretti allo stabilimento del governo rappresenta- tivo, e specialmente dopo che questo governo fi consa- crato dalla carta, invocaronsi da tutte le parti , e invo- cansi giornalmente, l'esempio, le leggi e le consue- tudini dell’ Inghilter ra. 439 Cosa avvi dunque più interessante oggi giorno per la Francia e per l'Europa, che un'esame imparziale della condotta dell'Inghilterra nel periodo degli ultimi trent'anni, e di un quadro fedele della sua presente situazione. Quando un tal quadro ed esame fossero esatti, conosceremo noi , se la costituzione dell’ Inghilterra è tuttavia quella di cui il nostro immortale Montesquieu fece sì magnifico elogio, o se numerose e radicali alte- razioni hanno minato quel bello edifizio, che fu |’ og- getto dell’ammirazione di quel grand’ uomo, e potremo fissare così il vero senso, in cui si può citare l’ esempio dell’Inghilterra, come modello da imitarsi, o come se- gnale di pericolo da fuggirsi; se mediante i di lei sfor- zi, l’enormi spese, i combattimenti, e la politica siasi ella condotta a uno stato brillante di reale' prosperità , meritevole d’emulazione , o se piuttosto la di lei appa- rente prosperità sia perfino inabile a sottrarre èlla vista l'effettiva miseria di una moltitudine immensa. Final- mente, se l Inghilterra in faticando per difendersi dal giogo di un conquistatore, e liberarne l'Europa, abbia veramente operato tanto per l’interesse dei popoli suoi alleati, quanto per il suo proprio; o se i di lei bisogni, rendendo la sua industria ostile a tutte le industrie, e il suo commercio nimico d’ogni commercio, abbia ella nel fatto sostituito un giogo ad un'altro. L’Autore dell’opera di cui rendiamo conto si è proposto di preparare in essa e facilitare lo scioglimen- to delle enunziate questioni, e di tutte le altre, che vi sono connesse. Avea di già il pubblico favorevolmente accolto uno scritto del signor Mont veran stampato nel 1817. col titolo della legislazione inglese sui bibelli, la. 440 stampa, e i giornali, ed era stato quello scritto nota- bile per verità di lean e solidità d’istruzione. Per la stessa specie di merito ci è paruta commen- devole la storia critica, e ragionata, poichè in essa l’autore comparisce uomo saggio , istruito , francamente attaccato al: sistema rappresentativo, esente da ‘ogni’ spirito di partito, e illuminato da studj serj, e profondi in tuito ciò, che concerne il paese di cui ci presenta la prospettiva. Il sig. J/ortveran si mostra lontano da ‘ tutte le opinioni intolleranti, come lo è ogni uomo di- sinteressato, e fornito di cognizioni positive, solide, ed estese; ed è pur buon francese; ma superiore a quelle prevenzioni d'odio, e di gelosia , che il sig. Turgot chia- mava patriottismo d’anticamera, e con tali disposizio- ni, crediamo noi, che abbia avuta l’intenzione costànte di essere imparziale , e se qualche volta sì fosse ingan- nato; pagando il tributo alla umanità, dovrebbero i suoi errori essere imputati piuttosto al difetto di lumi, che alla mala fede, o ad altra passione. Noi procureremo di comprendere nel più stretto quadro i principali lineamenti, di cui si è giovato per dipingere l’ Inghilterra , e dietro il suo disegno ne dare- mo la miniatura. Ci asterremo dalle soverchie riflessio- ni, lasciando farle al lettore, a cui pure spetterà il ri- solvere le questioni poste da noi, il che mon riuscirà difficile, se i fotti esposti dal signor Montveran, com- pariratino esatti, e giudiziose le di lui induzioni. Ed ec- co un'idea della divisione adottata dall’ autore. Il primo libro dell’ opera è consacrato alle finan- ze del regno-unito della Gran-Brettagna, ed Irlanda, alla di lui agricoltura , alle manifatture, al commercio, ed alla navigazione. 1l libro secondo tratta della costi- 44% tuzione inglese, e delle sue alterazioni, della legislazio- ne, e dell’applicazione delle leggi, nel che contiensi la procedura, e il sistema dei tribunali a cui ella è .com- messa. Nel libro terzo si occupa l’autore della naviga- zione dell'Inghilterra, e delle sue pretensioni maritti- me. I cinque libri susseguenti sono quasi intierameute impiegati nella narrativa degli avvenimenti politici in- terni, ed esterni, e nell’epilogo delle discussioni parla- mentarie, e operazioni ministeriali nel periodo degli ul- timi trent’ anni. Il nono libro dee presentare la storia degl’incrementi della potenza inglese nell’Indie, e il decimo, ed ultimo, in esponendo i caratteri principali del secolo decimo-ottavo, indicherà la loro azione su- gli avvenimenti, i loro resultati, e le presumibili con- seguenze. Questi due libri, unitamente all'ottavo, e all'ultima parte del settimo formeranno il sesto. volu- me dell’opera, non ancora pubblicato, nel tempo in cui facciamo il presente estratto. Da questo colpo d'occhio si scuopre nell’opera il difetto di un piano uniforme, e regolare: era 1’ autore nella libertà di scegliere, 0 la formazione di un quadro dell'Inghilterra resultante da fatti brevemente dise- gnati, oppure un racconto storico rischiarato dai detta- gli di costumi, e d' istituti; ma egli confondendo que- sti due modi di composizione, si è tolto il mezzo di stabilire nella sua opera l'ordine reale, e la chiarezza resultante dal metodo, e sì è trovato nella necessità di usare ripetizioni frequenti, o di rimandare indietro. il lettore. Ed è spiacevol cosa, che un’uomo provvisto di materiali così interessanti , e di altissima capacità, non abbia concepito in maniera più semplice, e chiara ‘il piano dell’opera, e meglio ordinatane la distribuzione. Quindi è che senza obbligarci a seguitarlo nel me- 442 todo , noi riuniremo i tratti più rilevanti del suo vasto quadro; per dare con essi un'idea della situazione «del- YInghilterra. Lo spirito pubblico di una nazione deriva dagli sta- bilimenti civili, religiosi e politici, e dalle leggi, ed: + usanze, che governano la proprietà, il culto, e l’indu- stria; e gli stabilimenti civili e religiosi, mediante la direzione che ne ricevono la proprietà e l'industria , esercitano dopo lungo tempo la più forte influenza sulla costituzione e politica nazionale: lo stato attuale dell’Inghilterra è una nuova prova di questa verità. Generalmente si giudica questo paese consideran- do soltanto la sua costituzione rappresentativa, e sup-. ponendo in armonia con essa tutte le altre istituzioni .: Comunemente ignorasi, che la di lui legislazione civi- le e religiosa, rimasta superstite all’ antico governo po- litico, è spesse volte, e nelle disposizioni le più essen- ziali, in dieleciorede formale, ed in perpetua ostilità col nuovo governo. Il principio feudale del dominio del monarca, come gran signore ( Suzerain) di tutto il territo- rio dell’ Inghilterra, conserva ancor’ oggi l’intiero suo vigore vibale nella opinione della maggior parte dei giureconsulti brettoni. In conseguenza di questo prin- cipio sussiste tuttora nella piena sua forza la classi ficazione, benchè modificata negli effetti dal tempo, delle proprietà fondiarie in terre nobili e ignobili; e da questa divisione hanno causa le sostituzioni per- petue delle terre nobili, che le tolgono alla circola- zione, il diritto esclusivo dei censisti-affrancati (frare- Holders) di nominare i deputati al parlamento, la di cui scelta appartiene agli elettori della contèa, e la esclusione dei « non affrancati ( Copy-Holders) da 443 quella classe di elettori; la preferenza concessa ai più ricchi fra i censisti-affrancati nella composizione dei gran-jurii; che sono nel medesimo tempo giudici delle accuse criminali, e membri ne’ consigli generali del- l’amministrazione provinciale, e fanno parte pur’ anco dei piccoli Juriî, che sono i giudici in definitivo quan- do trattasi di misfatti che diconsi d’alto tradimento. Dalla stessa sorgente provengono tutte le conseguenze politiche ed’ economiche che attaccano la costituzio- ne, la rappresentanza nazionale, il sistema daziario ee.; e finalmente le difficoltà quasi invincibili che si sono incontrate, o l’incuranza manifesta in creare un siste- ma di leggi civili, una organizzazione giudiciaria, e un regolamento amministrativo, che fosse d’accordo col sistema costituzionale. Nessuna di queste tre specie d’istituzioni presenta nella Gran Brettagna una collezione di regolamenti me- todicamente coordinati fra loro, e componenti un cor- po sistematico, e ben connesso. Tutto, in questi rami del pubblico potere è stato fatto a caso, ed occasional- mente. Un’amalgama di leggi sassoni, danesi, norman- de, romane e recenziori regola nella maniera la più discordante la successione alle proprietà, gli acquisti di esse ; le questioni dei litiganti, le forme ed i giudizi dei processi. Lo stesso principio feudale di lesa-fedeltà verso il gran signore ( Suzerain), o sia il tradimento, e la fel- lonìa, presiede alle leggi criminali, e alla classificazione e punizione delle trisgressioni, e dei delitti. Da un tal principio ebbe vita il diritto di confiscazione, riservato alla corona sulle terre affrancate ( Zree-Z7olds ) posse- dute dai colpevoli; e benchè l’esercizio di un tal diritto sia stato negli ultimi tempi limitato ad un’annata, 444, egli è, nonostante la modicità del prodotto, uno fra i motivi più potenti d’ opposizione alla riforma delle leg- gi penali. Dallo stesso principio feudale sono mantenu- te le giustizie, o i tribunali signoriali , le corti delle cit- tà di primo, e second’ ordine (citès, et villes ) delle università, e corporazioni ec. che ivi sussistono, e forse in maggior numero di quelle soppresse in Francia dal- l'assemblea costituente. Dal principio feudale nacque Yeccessivo rigore di molte leggi penali, che ne. impe- disce la esecuzione, e finalmente l'irregolarità; la con- fusione nelle competenze , e l’arbitrio ancora nelle al- te corti di giustizia, che si compongono come appres-. so. Dodici gran giudici preseduti da lord capo della giustizia, nominati dal rè, una volta amovibili , ed. oggi a vita, formano l'alta giudicatura, e si dividono secondo la natura delle competenze in quattro corti superiori, che diconsi le corti di Westminster, cioè la corte del banco del rè, quella delle udienze co- muni , l’ altra dello scacchiere, e la corte della camera dello scacchiere, che vien composta da tutti i dodici gran giudici insieme uniti. E neppure le competenze delle corti inferiori, quali sono i tribunali delle contee formati dai giudi- ci di pace, eletti, e destituibili dalla corona, e i tri- bunali composti dagli scherifs assistiti dai loro asses- sori, non sono determinate con chiarezza. Ma chi lo, crederebbe? Il gran Cancelliere d'Inghilterra è il solo magistrato costituito nel fatto per regolare i giudizj, e non solo in ciò, che risguarda } osservanza delle forme legali, ma eziandio sul merito delle liti, che arbitrariamente avoca a se stesso, e giudica definiti- vamente in modo sommario ( surreferì ). È facile V’os- servare in questo sistema qual vasto campo può 459 scorrere l’arbitrio del tribunale supremo, quanta incer- tezza tenga sospesi i giudizj, e l’ estrema difficoltà, o la quasi impossibilità di riformare un’ abuso, che ar- ricchisce il ministro che ne profitta . Si valuta iu fatto più di un millione, e 200 mila franchi circa l’‘annua rendita della corte straordinaria di cancel- leria. E questa bob delle funzioni amministrative, e giudiciarie è imputabile: all’ impero delle antiche abi- tudini, imperocchè i giudici di pace, costituenti i tribu- nali inferiori, godono di attribuzioni d’ origine ben di- versa da quella dei magistrati, che hanno presso di noi il medesimo titolo, e di una importanza molto superiore, cumulando in parte l’ amministrazione municipale con la giudiciaria. Al Juri d’ accusa in una contea, che di- cesi ilgran Jurì è composto di 24 grandi proprietarj domiciliati nella contea, ed è incaricato dell’ammini strazione provinciale: alla testa di quest’ amministra- zione siede uno scherif, o sia un magistrato annuale, che la corona elegge da una terna presentatale dal corpo dei 12 gran giudici dell’ Inghilterra, e che necessaria» mente: è composta dei più ricchi proprietarj:del luogo, stantechè le spese annesse a quest’ impiego, che eserci> tasi gratuitamente sono di tale estensione, che chiunque non gode una proprietà in terreni valutata diecimila lire isterline, ha il diritto di rifiutarlo. Lo scherif riuni- | sce alki attribati dei nostri prefetti, anche quelli di ma- gistratura giudiciaria, e di polizia, e la qualità di presi dente della corte della contea, di ricevitore del dema- mio reale ‘ec. Le ricchezze, e la nascita attaccano natu- ralmente lo.scherif, e i tieni del gran Jurì agl’ inte- ‘ ressi dell’alte classi della società, abbenchè il rînnuova» ‘amento annuale di queste magistrature lasci speranza di 466 favorevoli eventi alle classi inferiori. Hanno i scherifs nella loro dependenza i sotto scherifs,i quali rappresen terebbero assai bene i nostri sotto-prefetti , se i loro. at- tributi non fossero molto più estesi, e sono ancora assi» stiti da ufiziali ministeriali, e giudici, che suppliscono ad essi in caso d’ impedimento ec. Spetta allo scherif di nominare i membri del Jwrì in una lista di censisti- affrancati, o altri proprietarj; e abitanti che pagano tasse di parrocchia, e la qual lista viene dal constabile affissa in ciascuna comunità. I casi di scusa sono previsti dalle leggi, e lo scherif non può levare; nè aggiungere nomi alle liste pubblicate; e nel caso di assenza sì scelgono i giurati supplenti, o sulle liste medesime, o ancora tra gli assistenti alle assise, lo che si reputa sfavorevole evento, e per evitarlo si chiedono dei giurati speciali a carico delle parti. Gli opera} delle chiese, detti santesi, esercitano nei piccoli comuni le funzioni municipali, e tengono da per tutto i registri dello stato civile. Le cit- tà di primo ordine hanno i maires, e i consigli comunali: quelle di second’ ordine gli scherifs, e i dbalivi, e un :cor- po di rappresentanza . In quanto all’ istruzione pubblica, le università. di Oxford; e di Cambridge sono quasi i soli grandi stabili- menti generali, che le vengono consacrati. Tutte le isuituzioni inferiori sono l’opera della beneficenza, e particolarmente! della carità religiosa. Le scuole di Lan- castet. appartengono alle comunioni dissidenti, e sono perciò riprovate:dalla chiesa anglicana . È questa chiesa la più riccamente dotata fra tutte le chiese cristiane : possiéde ella una rendita di trecento venticinque \millioni di franchi (13 millioni sterlini) divisibile in undici o dodici mila benefiziati, lo che ragguaglia a 27,100 lire sterline per testa, supponendo 447 la divisione da farsi pel maggior numero di 12,000. Si può quindi giudicare della ricchezza dei grossi benefì- ziati, la di cui porzione si aumenta delle privazioni fatte alla massa dei pastori, tra i quali un terzo ha una ren- dita inferiore a 150 lire sterline, o siano 3750 franchi. E questa rendita enorme è quasi intieramente il prodot- to della decima pagata da tutti i proprietarj terrieri di qualunque culto. essisieno, è che consiste nella decima parte di ogni specie di raccolta . In conseguenza nell’In- ghilterra i dissidenti più numerosi degli ortodossi, pa- gano insieme una contribuzione enorme, per un cul- to alieno, e un altra contribuzione: per il manteni> mento del proprio culto. L'interesse del clero anglicano combinato col timore di un mutamento nell’ordine della successione è.la causa di tutte le leggi di eccezio» ne contro i non conformisti, e specialmente contro i. cattolici, ed. è l'ostacolo il ‘più formidabile alla loro emancipazione da quelle leggi, che gli ‘escludono ancora dagli.alti impieghi della: corte, dai civili. e militari, e dalle elezioni al parlamento. Temesi, che ammettendo- veli, pervenissero a ristabilire V eguaglianza dei diritti tra i culti, e a sottrarsi al pagamento della decima per la chiesa anglicana; e temesi ancora, ‘che. facessero revo- care la esclusione dal trono già decretata contro i catto- lici, e: che venendo un giorno a cessare la supremazia religiosa, che vi esercita il rene resultasse.la decadenza completa di questa chiesa,:che la:legge fino al presente ha considerata come la sola chiesa nazionale. «Nel 1810 contavansi in Inghilterra tremila cinque- cento chiese addette al culto nazionale, e ognuna delle quali era capace di più che mille persone;: ei quelle dei non conformisti , esclusi i cattolici; valutavansi tremila ottocento! Siffatta sproporzione e decadenza del culto 448 anglicano ue spaventano il sacerdozio, in risguardo ai dî lui interessi, ed una gran parte della nazione, credendo - che il sistema politico sia intimamente connesso col predominio della religione episcopale, partecipa dei timori del clero; e rigetta ‘con ‘tutte le sue forze " e- guaglianza dei culti . Tra le numerose anomalie della brittanica legisla- zione ella è certamente una delle più notabili la cru- deltà di una pena recentemente introdotta nell’ armata. In forza del Musing-bill (legge penale contro gli am- mutinamenti e le diserzioni) che fu adottato nel prins cipio della guerra della successione al trono di Spagna; e che sussiste tuttora, può il re di. motu-proprio pro* mulgare delle ordinanze :militari, creare delle corti marziali, e autorizzarle :a giudicate di tutti i delitti espressi nelle sue ordinanze, e per l’ organo di queste corti può infligere quelle pene ch’ egli crede conve- nienti, e riunendo così la corona in questo caso |’ au- torità legislativa e-giudiciaria alla esecutiva. Sono ora- mai 115 anni che una tal legge rinnuovasi annualmente; e il diritto di rinnuovarla si risolve in una pura forma- lità, mentre che i poteri concessi al governo son fatti perpetui. Dal 1807 in poi sono stati inflitti alle truppe inglesi supplizj crudeli, e inusitati, come per: esempio quello delle staffilate, e fino a:mille, dell’ altro ,,( Vas. Tom. I.) .To per me non saprei cavarne costrutto: nè mi fa maraviglia dopo di ciò, che certe pratiche, nelle quali gli antichi ebber lode, non sieno più conosciuti ai dì nostri, se di tal fatta sono i docuinenti e le memorie che ne. han tramandate i Maestri dell’ arte, SCIENZE NATURALI Lettera del sig. Marchese Cosimo Rinotri relativa alle recenti esperienze elettrico-magnetiche. Sic. EpITORE i Firenze 15 Maggio 1821, IR sig. Berzelio sommo chimico di Stocolma nel- l’investigare con delicati istromenti le proprietà ma- gnetiche dell’elettrico si avvide, che potevano ottenersi dei resultati considerabili anche da elettromotori di te- nuissima forza. Egli giunse persino a dare a ‘due sole placche di dissimil metallo, e della superficie ciascuna T. II. Giugno 31 432 di un pollice quadrato, una tale attività da produrre le più forti declinazioni Oerstediane, che siansi potute produrre fin quì. Ecco il di lui processo. In un bicchie- re di cristallo cilindrico pose una placca di zinco in mo- do che si mantenesse parallela al fondo del vaso, e di» scosta poche linee da esso , un filo metallico saldato a quella piastra saliva lungo le pareti del bicchiere, e giunto al suo orlo si ritorceva in basso dalla parte ester- na del vaso, e quindi nuovamente in alto. Questa pie- gatura del filo serviva a dare una solida posizione alla piastra di zinco. Ad una discreta distanza da quella placca un’altra di rame era egualmente disposta , ed al filo che da questa avea origine erasi data una tal lun- ghezza che oltre al far Ia solita circumflessione potesse toccare l'estremità del filo che comunicava collo zinco. Dell’acido muriatico erasi versato nel vaso ed avea quel liquido una tal colonna da giungere fino alla metà del- lo spazio che separava lo zinco dal rame; allora si fece scendere un imbuto capillare fino al fondo del bicchie- re e per quello s'infuse della soluzione di potassa cau- stica di un peso specifico maggiore dell’ acido impiega- to; la potassa occupò il fondo del vaso, e l’acido gal- leggiando sovr’ essa guadagnò la parte superiore. Con tale artifizio si venne ad immergere lo zinco nell’alca- li, e il rame nell’acido. Allora riuniti i fili metallici pei loro estremi, e costituito così il filo congiuntivo di Oers- ted, ebbero luogo le più forti declinazioni dell'ago ma- gnetico ora all’ est ora all’ovest secondo che sopra 0 sotto al filo si sperimentava. Tutti coloro che conoscono le dottrine di Berzelio sullo stato elettrico dei corpi debbon riconoscere i principj che hanno guidato quel chimico nell’ esperimento, come nell’ esito felice di questo deb. bon trovare un valido appoggio di quella dottrina me- 483 desima. Questa notizia ricavata da una lettera del sig. Berzelio, e non ancora pubblicata colle stampe, che io sappia, mi suggerì l’idea d’applicare i principj stessi alla pila ordinaria, e felicemente vi riuscii nel modo seguente. Presi una serie della mia pila a cassetta di rame e lame di zinco, immaginata dal sig. Novelluc- ci (1) e considerando che in quell’apparato conveniva sempre impedire il diretto contatto dei metalli dissi- mili con dei sacchetti di tela o di carta, coi quali ve- stivansi le lame di zinco; non feci che costruire di que- sti sacchetti con carta bene incollata , e di tal dimen- sione da contenere la metà del liquido che contiene la cassetta di rame, valutando lo spazio che occupa la la- ma di zinco. Disposto quindi il tutto come all’ordina- rio versava contemporaneamente con ampolle eguali della potassa caustica, e liquida fra la carta e lo zinco, dell’acido muriatico diluto fra la carta ed il rame, av- vertendo che la soluzione alcalina fosse di un peso spe- cifico poco maggiore dell’acido. Ho trovato quindi ché sei cassette così disposte danno un resultato corrispon- dente per effetti elettrici a quello di 16 cassette mon- tate all’ordinaria maniera, impiegandovi un conduttore umido simile a quello arido adoprato, come ho detto di sopra. Gli effetti magnetici per altro sono di ben lun- ga più forti, e corrispondenti presso a poco a quelli di due cassette di superficie tripla di quelle delle sei som- mate insieme. Questo resultato sembrandomi alquanto interessante ho creduto di darvene contezza con questa mia, o Signore, onde vogliate inserirla nella vostra Antologia. Gasimo RipoLri. (1) Vedi Biblioteque prrrealle Vol. an. 1820. 484 | ARCHEOLOGIA NUMISMATICA Classes generales, seu moneta vetrs Vrbium, Populo- rum, et Regum, ordine geographico et chronologico descripta. Editio secunda emendatior et lochple: tior. Florentiae 1821 in 4. Grandi accrescimenti han dato i tempi nostri, e i prossimi a questi, ad ogni ramo dell’ antichità figurata e della scritta. Ebbe il Winchelmann la gloria di por- re la prima in sistema, ed in bella concordia colle arti del disegno: e nel sentiero da questo aperto, entrato po- scia il Visconti, quasi per ogni palma di lui, dieci egli ne colse. Se nel comento delle Iscrizioni domestiche aveva il Fabretti, mercè della diligenza e sagacità sua, vinto ogni altro, che illustrò lapidi innanzi a lui; Monsignor Marini nell’ opera su’ fratelli Arvali parve toccar l’ api- ce di questo genere d’ antichità (1). Il Lami colle lettere Gualfondiane, il Passeri coi Paralipomeni al Dempstero, l’ Accademia Cortonese con varie e dotte dissertazioni dei suoi, e il Gori coll’ Alfa- beto, avevano dato luce ai monumenti degli Etruschi; ma il Lanzi andò loro avanti di sì gran tratto; che vin- se fino la comune espettazione, formando dagli scarsi avanzi della scritta antichità di quei popoli, e gramma- (1) Vi si esercitano oggi eon molta lode i Ch. Labus e Bor» ghese, i quali ne riconfortano della perdita del lodato Monsignor Marini, 485 tica e dizionario; e spiegando or con evidenza, or con plausibile congettura, le iscrizioni ed ogni altro monu- mento di loro fino a sè pervenuto (2). Non sitenea, e si aveva ragione, se non per so- gno di menti inferme, pressochè tutto quello ch’ erasi stampato sulle vetuste memorie dell’Egitto, quando Zoega nell’ illustrazione. delle monete Alessandrine, e nel libro su gli Obelischi, dichiarò con plauso ciò che suscettivo era di spiegazione ; di buon grado lasciando il restante di questa misteriosa antichità a quelli, cui prendesse vaghezza di disputare su cose le quali per av- ventura rimarran sempre avvolte in quella caligine, che or le circonda. E se ne afilisse i dotti la perdita di quell’ antiquario eruditissimo, questa perdita più dolo- rosa si sperimenta nel nostro tempo, in cui i molti scavi fatti in Egitto han renduto tanti e sì bei monumenti, scolpiti e dipinti; mercè dei quali si potranno, quando che sia, stabilir con fiducia nuove dottrine sulle arti e le opinioni mitologiche di quel beato paese, che quasi fu cuna della Religione e della sapienza dei Greci . Se i vasi dipinti incontrarono non propizia la for- tuna sotto la penna del Passeri, il Lanzi, che tre disser- tazioni su di essi compose, il Millin, il Millingen, ed altri eruditi, che parecchi presero ad interpretarne, o colser nel segno o vi andarono vicini. E se un giorno (2) Ha seguito le traccie di sì gran masstro il Sig. Vermiglioli nel bel libro delle Iscrizioni Perugine, ed in altre sue opere, alle quali hanno i dotti del pari applaudito. Il Sig. Cav. Inghirami ha incontrato a buon dritto la sodisfazione dei medesimi co’ primi fascicoli della sua grand’ opera su’ Monumenti Etruschi, o di Etru- sco nome : opera per ogni conto pregevole, e specialmente per la straordinaria esattezza e verità, con cui essi monumenti da lui che è Antiquario ed Artista, si rappresentano nelle tavole in rame, 486 verrà, nel quale pubblicati si veggano quanti or ne hanno le belle e ricche collezioni d’ Italia e di fuori, questo giorno sarà all’ antiquaria sommamente avyen- turoso, perchè potranno essi vasi allora da alcun dot- ©’ uomo ridursi in sistema. Vi furono già poste le antiche medaglie, e n° ebbe il merito il dottissimo Eckhel. Altri antiquarj avevano ciò medesimo tentato innanzi a lui; ma pari all’ ardi- mento non avendo essi le forze, desiderarono invano l’ onorata meta, cui quel grand’uomo pervenne. Usci- to alia luce della stampa nel 1794 il quarto tomo della insigne opera di lui: Doctrina numorum veterum, col qual tomo compiesi il sistema delle greche medaglie, il Ch. Sig. Professore Domenico Sestini pubblicò in Li- psia nell’anno 1797 un libro, che, quasi avesse preso norma dal sistema delle piante, intitolò: Classes gene- rales geographiae numismaticae, seu monetae Urbium, Populorum, et Regum. Questo libro, diviso in due parti, contiene nella prima la geografia numismatica certa; nella seconda, la incerta od errata: e se il dotto autore lo diè come compendio del sistema Eckheliano, seppe renderlo più importante coll’ aggiugnere le me- daglie di var} Musei, da sè nel precedente annoin parti- colar libro descritte ed ilinstrate. Nè egli già si avvisò di aver fatta opera, che di agumenti non fosse capace; che anzi chiuse la prefazione col preveder questi sommi- nistrati ad essa dal tempo. Glieli dà oggi, e grandissimi, egli medesimo, colla ristampa della prima parte; e gli deriva massimamen- te, ciò che più debbe apprezzarsi, dalle molte sue ope- re numismatiche , che frutto sono di pertiniace studio, di lunghi e continovi viaggi, e dell’ esame diligentissi- d0° 7 mo dei varj Musei d’ Europa, sì pubblici e sì privati: 487 delle quali opere può affermarsi senza pericolo d’ erro= Te, non esser pagina in esse, che muove cose non ab- bia; perocchè o vi si illustrano monete inedite , o le già edite più correttamente si leggono, o si restituiscono alle città, cui spettano , e cui le tolsero o le sviste A l’imperizia di quelli, che innanzi presero a dichiararle, Il perchè è il Sig. Sestini, per consentimento di tutti i viventi antiquarj, salutato principe dei Numismatici odierni. E questo onorevol titolo gli è confermato dal pregio del libro che annunziamo , e che viene a luce sotto gli auspicj di personaggi ragguardevoli, coltivatori e favoreggiatori amplissimi di questi studj. Prima lode di esso libro, è l’avere il catalogo dei Regi, e il novero delle città numismatiche ; alle quali si appone il corri- spondente nome moderno, di non poco accresciuti . Nulla poi manca in esso di quello, che necessario è per riconoscere sènza equivoco ogni medaglia. Si nota il numero e la qualità dei Magistrati, si accenna quali medaglie sien ovvie, quali rare, quali rarissime > quali uniche; e alcune di somma importanza sono per intero descritte. Onde prendano guardia i collettori , si dà lo- ro contezza delle medaglie false, e di quelle pure , in che è sospetto di falsità. Somma cura si è adoperata nelle iscrizioni, riferendole quali sono negli originali, interpretando le abbreviature, e dichiarando , ove sia mestieri, la lingua, il modo della scrittura, ela forma delle lettere: al che sono di bel soccorso quattro tavole in rame poste alla fine del libro; le quali esibiscono con verità quelle leggende, che non potevano col mez- zo degli ordinarj caratteri fedelmente rappresentarsi. Non appariscono in queste tavole le iscrizioni delle me- daglie Celtibere » perchè si recano ai loro luoghi co’pro- pr) tipi, che sono quei medesimi, dei quali fece uso, \ 488 x non ha guari tempo, il N. A. per la sua Descrizione delle medaglie ispane appartenenti alla Lusitania, alla Betica, e alla Tarragonese, che si conservano nel Museo Hederveriano. Nella qual Descrizione si accinse il Sig. Sestini dietro agli sforzi di Velasquez e di altri autori Spagnuoli, a interpretare differenti medaglie Celtibere prendendo per norma il greco alfabeto , come il più affine, e più corrispondente ai caratteri, con che sono scritte: e il suo tentativo fu da buon esi- to coronato. I tanti argomenti, che del suo valore nella Numi- smatica ha dato al Pubblico il Sig. Sestini, destano in quei, che danno opera a questi stud}, ardentissimo il de- . siderio, che egli un giorno intraprenda la stampa dì quella sua grand’opera, che in 14 volumi in foglio custodisce ancor manoscritta: nella quale si descrivono secondo l’ ordine geografico le medaglie tutte fin quì conosciute: della qual opera è estratto *giudiziossimo il magistral libro, di che si è dato breve ragguaglio , e di cui debbe servirsi chiunque dar voglia bella disposizione ad alcun Museo numismatico. | 489 PA CORRISPONDENZA Sig. Editore dell’ Antologia. Ex ungue leonem. Dalla benevolenza colla quale 1’ an- tore dell’appendice critica, tom. 1. dell’ Antologia, accettò il mio povero avviso, tom. 2. pag. $05,, chiaro si mani- festa l’ animo suo: dalla piccolezza della mia osservazione si arguirà la meschinità del mio talento. A dare un’ altra riprova. di quest’ ultima ardirò modestamente. desiderare , che nella stessa guisa ch’ ei riterrà per non fatta la nota, che servì di soggetto alla mia osservazione, ritenga pure per non scritta la sua terza riflessione, cioè : che se devona appellarsi trecentis!i gli scrittori dal 1300 al 1400, si debbono chiamare secentisti gli altri dal 1500 al. 1600 Prendendo i primi la denominazione di trecentisti dal prin- cipio del secolo , cioè dal 1300, per la stessa. ragione e colla stessa regola si dovrebbero chiamare, e si chiamano infatti, cinquecentisti, prendendo sempre la loro denomi- nazione dal principio del secolu, cioè dal 1500; e si chia, mano secentisti gli scrittori del secolo posteriore che co- mincia dal 1600, e termina al 1700. Ma lasciamo di grazia siffatte miserie Druso P. S. Direte forse che io aguzzi le ciglia nella vostra Anto- logia i Come vecchio sartor fà nella cruna, per trovare il pel nell’ uovo; ma io so altronde che ciò, non vi dispiace . Dunque non vi dispiacerà neppure se io noterò tre coserelle nel. vostro breve prefazio alle poesie del Borrini, pag. 308. t. 2, . 1-° Voi dite che /’ epiteto romantica significa pensieri esagerati esposti con esagerate locuzioni: ma io credo che un epiteto non possa mai si- gnificare un sustantivo , ma solo alcun suo accidente , non 490 una cosa ma una sua qualità, Quindi romantica, aggiunto a poesia , non può significar pensieri , e locuzioni esage- rate, ma esagerata nei pensieri, nelle locuzioni ec. La- sciando starel’ opinione vostra sulla natura della poesia ro- mantica, mon vorrei che alcuni serupolosi trovassero que» sta vostra espressione un poco irreligiosa in grammatica. 2. Pare che in contrapposto della poesia romantica ponghiate la poesia italiana, considerando la prima come esagerata nei pensieri e nelle locuzioni; mentre al contrario Ia seconda trae dalla natura i pensieri , e gli esprime” come si conviene all’ indole dell’ idioma . Io avrei cre- duto che il vero contrapposto della poesia romantica fosse la poesia classica o sia essa latina, o greca, o italiana, € non mai solamente quest’ ultima. In fatti il vostro bravo - Borrini non è romantico perchè ha studiato su i classici ita- liani e latini ; ma niuno di questi ultimi è italiano per i- dioma , e alcuni non lo sono per patria. Aggiungerò che all’indole dell’idioma parmi che si convengano tanto le lo- cnzioni esagerate , quanto le naturali; e tutte quelle di Lucano riconosciute per tali, non sono da veruno tacciate come sconvenienti all’indole della lingua latina. 3, A taluno sembrerà forse strana l’espressione che ur confine divide l’ Italia da’ romantici, non potendo essere l’ Italia divisa che geograficamente da un’altra provincia , non mai moralmente da persone distinte per una sola qua» lità letteraria. i Compatitemi se apparisco alcun poco inclinato alla pe» danteria:il vostro giornale è generalmente buono, e le pie- cole inavvertenze agevolmente vi si scorgono anco da chi ha vista non tanto penetrante . N 28. Maggio 1821. 49 LETTERATURA POESIE DI LUIGI BOR RINEI Quel medesimo Druso, di cui abbiamo inserito una lettera nel numero precedente pag. 305, ci ha ora mandato una nuova critica intorno alla prefazione posta innanzi alle poesie del Bor- rini . Druso vi critica più cose e dapprima: non esser buona lo- cuzione il dire, l'epiteto romantico significa pensieri esagerati ed espressi con esagerate locuzioni ; imperciocchè un epiteto non si può definire con un nome sostantivo. La qual cosa è vera, ma dentro certi limiti: poichè sovente occorre, che non si può bene indicare il significato d’un nome aggiuntivo senza usare no- mi sostantivi. E senza questi non si potrebbe al certo dichiarare che cosa significhi l’ epiteto romantico. Bensì la suddetta defi nizione doveva essere espressa con più esattezza . Io la scrissi celeremente, e coll’animo afflitto da altri mali non lievi, né ri- vidi è» stampe. Correggasi dunque, dicendo: ‘3 Molti sono al presente, cui la poesia non piace se non è romantica. Il qual epiteto, benchè nol definiscano tutti ad un modo , pare a me che aggiunto a poesia significhi, aver essa pensieri esagerati, ed espressi con esagerate locuzioni. ,, Druso quindi soggiunge: lasciando stare l’ opinione vostra sulla natura della poesia romantica; non vorrei che alcuni scrupolosi trovassero questa vostra espressione un poco irreli- giosa in grammatica .lIo non intendo quale sia il vero signifi- cato di queste parole di Druso. Inclinerebbe egli forse al ro- manticismo? Quanto è a me, non posso non raffermare ciò che ho detto; e ora spiegherò più largamente i miei pensieri. Quel nostro fiorentino e gran letterato, che tutti in Italia riveriscono, cioè Urbano Lampredi , scriveva le seguenti cose nel giornale Enciclopedico di Napoli 1819 per rispetto alle diverse maniere o scuole della poesia lirica italiana. 3) Noi crediamo che debbasi distinguere: I.° la lirica Dan tesca : II. la Petrarchesca : ambedue eccellenti , come ognun sa; ma l’ una respettivamente più ruvida e più nervosa, e |’ altra più graziosa e più elegante. Quindi risulta una terza specie, ot- tima a parer nostro , dell’una mescolata o attemperata coll’altra. Ta PoiIV: la Marinesca: V. la Chiabreresca, perfezionata dal Guidi, dal Filicaia, dal Redi ec. VI. la n VII. la Pari niana: VIII. la Cesarottiana . Di tutte queste otto specie diamo la preferenza alla terza; e rigettiamo la quarta , come mostruosa superfetazione della fica ; e rigettiamo l’ottava , come su perfetazione delle precedenti . ,, — di un altro articolo poi sog- giunse . — ,, Abbiamo notato , che come la poesia Marinesca è una superfetazione della Petrarchesca ; così questa (1), che a noi piace chiamar Euganea , è un altra più mostruosa supera fetazione della secentistica , o piuttosto della Frugoniana, e di quella specialmente usata negli sciolti di quel genovese altero | ingegno. E non a torto certamente più mostruosa l’ appelliamo, Imperocchè leggendo le poesie del Marini e d’alcuni altri di questa scuola , talora , è vero, c’ incontriamo in isforzi o gio chi d’ingegno, in ardite e matte metafore , in ridicoli concetti» in improprie e strane similitudini ec., ma la dizione è sempre poctica , il linguaggio è sempre rispettato , e se talvolta manca il buon giudizio nella scelta de’ modi e delle immagini, non manca però nell’ ordine delle idee , nella perspicuità e nella sen- tenza. In quei componimenti si potranno talora notare ini sagini troppo ardite , abuso d’ ingegno, ed ornamenti ambiziosi; ma ne moderni di questa specie immagini vuote ed inani; siccome le abbracciava il favoloso Issione, mancanza ‘di buon giudizio , e falsi inorpellati ornamenti ,, . A questo discorso del Lampredi han fatto plauso tutti i buo- ni letterati dell’ Italia : ed io l’ ho voluto trascrivere perchè non avrei potuto meglio indicare le varie scuole , ossia le sùc- cessive mutazioni della nostra lirica poesia . Ella ebbe dunque ottimi principii intorno al 1300: ebbe aumento e perfezione nel secolo XIV: e seguitò il retto cammino fin verso il 1600. Allora si divise in due scuole : in quella del Chiabrera si mantenne re- golare , con locuzioni quasi sempre buone , e con naturali pen- sieri : in quella del Marini:divenne mostruosa per rispetto a’pen- sieri , ma senza che fossero alterati i modi del dire italicì . Quindi il Marini ebbe molti seguaci; perchè , dice il Tiraboschi (2), @ imitare il Chiabrera richiedevasi vivo ingegno , fervida fan- tasia, ampia erudizione , forza di sentimenti , maestà di es= (1) Cioè la Cesarottiana , e massime quella degl’imitatori del Cesarotti, (2) Tir. Stor. Let. it. T. 8. par. 2, 1, 3, c» 3, a i erM= one 493 pressione, sceltezza di voci : a imitare in qualche modo il Ma- rini, bastava abbandonare le redini alla fantasia , e senza studiar la natura, lasciarsi trasportare dalla immaginazione, ovunque ella sconsigliatamente giidasse. Onde la poesia nostra che fu sovvertita in parte fin dal 1600, durò per molti anni in con- tinuato abuso, finchè nel secolo XVIII, mentre pareva vicina a reintegrarsi nelle sue prime e buone istituzioni, fu di repente so- pratfatta dalla licenziosa musa scandinava , la quale ha indotto una insoffribile corruzione di stile e di pensieri . Anche queste parole sono del Lampredi , e chiaramente dimostrano che questa scuola di poesia non è italiana : poichè non solo non ba pen- sieri naturali e convenientisi alla nostra classica letteratura, che le manca eziandio la purità ed il sapore urbano della favella. Pervertiti i pensieri, e pervertito il linguaggio ; falso disegno con falsi delineamenti : e mai non discorrendo per le amenità dell’ Italia, ma andando per vie inaccessibili , tra le nubi del settentrinne , o negli abissi e nelle spelonche dell’ Oceano . In- torno alla qual cosa potrei addurre moltissimi esempli, se già noti non fossero a tutti i lettori. Bensì ne voglio produrre uno e breve. Tutti i buoni poeti italiani che volessero dimostrare la letizia d’ alcuno, direbbero ( se ciò ha luogo ) egli ride o rideva , e vi aggiungerebbero secondo i casi , egli rideva con grazia , o smoderatamente , o altri convenevoli attributi del riso. ] poeti seguaci del Marini direbbero forse, egli rideva come l’ Iride: \a quale similitudine è inutile e troppo ardita ; ma le parole , con che viene espressa , non sono contrarie all’in- dole del nostro idioma. La Musa Scandinava però , condotta in Italia per opera del Cesarotti , dice : egli era ridente come l’arco piovoso : ove il pensiero è ardito , e la locuzione è falsa , imper- ciocchè il vocabolo piovoso , che sarebbe più idoneo a indicar le lacrime , diventa simbolo del riso . Bene pertanto disse Guglielmo Schlegel, (e forse senza vo- Jerlo dire, perchè egli ama e difende questa muova specie di poe- sia ) che if romanticismo è l’ unione d’ idce disparate . Esso è infatti una continua antitesi , come si vede nel suddetto esempio, in cui è paragonato al riso il pianto . Al che aggiungasi che molti poeti romantici non solamente collocano male i vocaboli, ma danno spesso a questi un significato che non è italiano : e quindi giudi- chi Druso da per sè medesimo , se io feci male contrapponendo la poesia italiana alla poesia romantica Egli vorrebbe che ia 494 chiamassi classica quella che non è romantica. Ma la romantica è pur classica appresso gli scandinavi ; e se non è classica in molti altri luoghi dell’ Europa al di là delle Alpi, vi è però in consue- tudine , senza disdirsi del tutto a’ moderni linguaggi che ivi si pala: appresso nei all’incontro, non è né classica , nè italia» na. Paragonarla non posso alla poesia de’ greci e de’ latini , per- ché è di natura totalmente) diversa , sì nell’idioma , come nelle immagini poetiche . Paragonarla non posso alla buona poesia degl’ Italiani , perchè se fu tradotta nel nostro linguaggio, non- alal ha sole le desinenze della nostra favella , edé è in tutte le altre qualità dissimile . Onde mi pare d’ averla han denominata , - chiamandola ron italiana: e per le medesime ragioni dissi che era piena di pensieri esagerati ed espressi eon esagerate locuzio- ni ; avendo usato , nol niego , il vocabolo esagerato in un senso improprio piuttosto che in buon toscano (3), perchè allora non mi venne subito nell’ animo un altro verbo che esprimesse i miei concetti. Sicchè mi lasciai trasportare anch’ io all’ uso corrotto del parlare : e se Druso volle ciò significare , dicendo che alcuni. troverebbero questa mia espressione un poco irreligiosa in grammatica , egli ha del tutto ragione, benchè non sia difettosa per rispetto alla grammatica, ma solo per ciò che riguarda alla bontà e purità dell’ idioma . Io ringrazio dunque il mio Druso, perchè mi sì è fatto amico, credendomi degno delle sue correzioni: e lo prego di non rima- nersi all’ avvenire da sì utile ufficio (4). Non so poi se egli concor- (3) Esagerare significa amplificare , ingrandire ; e si prende sempre în mala parte , per cuì differisce dal verbo magnificare . Corrottamente poi è adoperato da alcuni nel senso francese , significando allora ingrandire , o diminuire , magnificare , o invilire le cose più che realmente non sono. Quindi mi parve idoneo a significare 11 pervertimento de’ pensieri e delle locuzioni, e sbagliai : perché il verbo esagerare non indicava che una pic» cola parte di quell’ abuso , contro cui io moveva il discorso . (4) Druso ha criticato pure la pagina 307 del precedente fascicolo , ove ei dice, dovrebbe omettersi la terza considerazione intorno a’ cinquecenti= sti. Ed anche in ciò ha egli ragione : sapendo noi altresì ; che il modesto e valente scrittore dell’ Appendice critica aveva quelle parole da sè medesime riprovate . Ma poichè ho avuto opportunità di fare alcune correzioni , mi sia lecito aggiungere che quei, che scrisse intorno a’volgarizzamenti di Virgilio, vuole sia tolta dalla pagina 177 la nota 31, ove sì dice che trawaglie è in iscambio di travaglio a cagione della rima . Imperoce! è travaglia in singo- lare, e travaglie iu plurale, erano nomi usati dagli antichi , come pur si vede nel vocabolario della Crusca . 495 rerà nella mia opinione intorno al romanticismo : nè ignoro che molti procurano d’ usare questa nuova specie di poesia in siffatta maniera che non si disdica al nostro linguaggio. Ma questi sono romantici moderati, o piuttosto italiani desiderosi di nuova gloria, la quale sperano acquistare con ornamenti stranieri. Io ho parlato soltanto contro gli abusatori della poesia : e le opinioni sopra es- poste non sono mie particolarmente , ma comuni a tutti i buoni . Segua il lettore la via che più gli piace . E Druso intanto si riposi dalla noia di queste annotazioni , leggendo le nuove poesie del Bor- rinì , che egli, spero , gradirà come ha gradito le prime , AD ESCULAPIO Per invocare la salute dell’ Ornatissima Gentildon- na MarIA CARLI. Vi. Esculapio; i torbidi Giorni che Fille mena Mi fan pietà; sì ianguida La riconosco appena; Quando è stagion che veggasi Ritratta a sanità. Or or molli di lacrime Movea le luci in giro, E colla muta e' fervida Favella del sospiro Mi parea dir: quest’anima Resister più non sa. 496 Deh! se puoi solo i pallidi” Morbi frenar col ciglio, Vieni, il dimostra, e facile Soccorri al suo periglio: Fugga la febbre, e destisi Conforto al suo dolor. Se non li muove il gemito Dell’amistà pietosa, Se non ti muove il piangere Di giovinetta sposa, Se non di madre i palpiti, Ben hai di selce il cor. Vè, sua perfetta immagine, Di quattro figli il viso; Cerchi indarno più rosee Gote, più amabil riso; Desìo di baci spirano Gli occhi, la bocca, il crim Tutti dicean, che esempio Si tolse ai bei pensieri Le volubili Grazie, I parvoletti Arcieri: Or sì maligna insidia S'ordisce al suo destin. E tal poter s’ arrogano Nel nido degli amori Rie febbri, e sì l’ inondano Di tosco, e di dolori? Nè veggonsi, onde vennero, A Stige rifuggir ? 497 Natura a te querelasi; Solo cagion tu sei, Che altrove i morbi torcere Puoi dal bel grembo, e dei, Dal grembo in cui si deggiano Novelle vite ordir. Ben mille a te verdeggiano Erbe benigne in Ida, E versa Lidia il medico Fonte che morte sfida, Cui l’inflessibil Atropo. Ritrosa ognor non è. I redivivi, e incolumi Tolti dell’urna al gelo Sono, ad enta dell’ Erebo, Più che le stelle in cielo: E terribili accendono L’ire al Tenario Rè. L) Ma non temer; Proserpina Di lei ragion non chiede; Quando che sia, l’aspettano Altr'aure, altra mercede Dov'è compagna, e premio Delle madri Giunon. Odi Esculapio , e piegati , Rendile i dì sereni: D'Inni che il cor lusingano La lingua e il petto ho pieni: Finchè la musa arridemi Ti sacro il canto e il suon. TII. Giugno 32 498 . Della bocca di . . è... Mi scuote, amici, amabilmente il seno La danza e il canto con Ciprigna e Bacco, E nella mente mi disdegna il freno L’estro di Flacco. Desta è la cetra; celebrata e chiara, Qual è per vanto d’invidiati amori, Fia per la musa la vezzosa e rara Bocca di Clori; Ove le forme dell'idea più bella, Che il cielo adorni, alto disegno pone; E ogni suo dolce dalla terza stella Piove Dione: Bocca il cui riso li più rei martiri Dissipa all’ alma come il Sol le brine; A cui le Grazie architettando i giri Stan sul confine: La cui favella ha d’ogni sen la chiave, E l’apre e serra: a suo piacer vi fiocca” Pace e tumulto, e sempre amor. Soave Magica bocca! ‘ Beato, amici, chi mercè n’acquista! Chi n’ha sospiri, e in amorose paci . Cambio di nomi affettuosi, e mista Aura di baci! Giovin poeta, fra le danze e Bacco, Io sarò segno d’invidiati amori, Io che la bocca con lo stil di Flacco Canto di Clori. 499 RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI LIBRI FRANCESI __ Les Pandectes de Justinien mises dans un nouvel ordre ec. Le Pandette di Giustiniano messe in un nuovo ordine con le leggi del Codice, e le Novelle che confermano, spiegano, o annullano quelle delle Pandette; da R. J. Pothier: e la tra- duzione a fronte del testo del Sig. de Breard-Neuville , già Consigliere della Corte Sovrana ec. 25. volumi in 8°. Parigi, presso Dondey-Dupré stampatore dell’opera, in via St-Louis, n°. 46 Prezzo 7 franchi e 50 centesimi il volume. La stampa di quest’ opera che per cause non facili a pre- vedersi dall’editore era qualche tempo rimasta interrotta, è stata ricominciata nel mese di ottobre p. p. ed ogni due mesi me vien dato alla luce un volume; cosicchè la memoria del suo autore non sarà defraudatà di questo perenne monumento ono- revole per lui non meno, che per la patria sua. Superfluo si rende il mostrar di muovo l'utilità di una traduzione delle | Pandette di Pothier, poichè può bastare il rammentarsi dei varii articoli inseriti a tal uopo in diversi giornali che ne hanno reso conto, come nel Monitore del 14 luglio 1818 e del 16 febbraio 1819; negli Annali politici bi ec. del 17 febbraio 1819; nella Raccolta delle leggi e decreti dell’anno 1818. fasci colo 5 e 6, tomo 18; nel Giornale delle udienze della corte di cassazione dell’anno 1819. 5°. fascicolo ec. A questi lusin- ghieri attestati, che chiaramente dimostrano l’importanza di un così ampio lavoro, potrebbe unirsi una osservazione di qualche rilievo; ed è che ora che le leggi romane non fanno più. parte integrale del diritto pubblico beni come leggi positive, ma però sempre necessarie a sapersi, come legg rg ptt una traduzione così chiara come questa di Bréard Neuville debbe particolarmente agevolar le ricerche, e diradare quelle molte difficoltà che inseparabili sono dalla: lingua delle leggi, e che senza di quella richiederebbero un profondo studio. Dimaniera che quest’ opera rendesi utile non solamente a coloro che si danno allo studio del diritto, ma ancora a tutti i magistrati od altri pubblici funzionar) chiamati a deliberar sulle a che deb- bono regger lo stato, i quali hanno di bisogno d’ internarsi nel 500 disposto del diritto romano, ove trovansi i fondamenti di ognî legislazione. Exposition raisonnée de la legislation commerciale ec. Spo* sizione ragionata della Iediaila commerciale, cd esame critico del Codice di Commercio, del Sig: Vincens, già nego= ziante, capo di divisione aggiunto e capo dell’ufizio di cominer- cio al ministero dell'interno. Tre volumi in 8° di circa a 600, pagine l’uno. A presso RIGORE, via de’ Francs-Buurgeois- Saint-Michel, n°. 8. Quest’ oh destinata alla sposizione del codice ‘di com- mercio ha per principale scopo di presentarne le' disposizioni raccolte con un metodo che mostri il vincolo che le unisce ai generali principj del comune diritto. Un codice di commercio infatti è una legge speciale non già sostituita al codice civile quanto ai idoli , ma che racchiude le applicazioni o le dero- ghe loro proprie. Queste due leggi sono di necessità unite tra loro: come legge d’applicazione-una serve di supplimento all'altra: come legge d eccezione, ella si riporta alle regole generali da essa confermate in quello, a cui ella non ha fatto eccezione. Questo vincolo, che meglio apparirebbe se la prima compilazione del codice di commercio non avesse preceduto quella del codice civile , sussiste in forza delle cose, e quest'opera è fatta appunto colla mira di dimostrarlo. Col far risalire il mercante da ciascuna regola prescrittagli dal codice ad un tutto facile ad intendersi, e col rammentare ai giureconsulti il vero luogo che ogni opera» zione del commercio dee avere tra le convenzioni regolate dalle leggi, il Sig. Vincens si è studiato a render famigliare ad uno il linguaggio dell’altro; poichè il commercio, come l'altre pro- fessioni, ha la sua propria lingua. L’autore ha cercato di porre în quest opera gli schiarimenti ricavati dalla pratica, i rapporti d’ applicazione usuale, la concordanza di ciò che i libri conten- gono con quello che veramente si fa nel commercio; il che manca generalmente nei libri di diritto. Ecco qui la divisione di quest’ opera. Lib. 1. Dell’ amministrazione commerciale. 2. Della legislazione e della giurisprudenza commerciale 3. Dispo- sizioni ed obbligazioni generali intorno ai negozianti. 4. Delle società. 5. De’ fallimenti. 6. Degli ausiliarj de’ negozianti . 7. Fon- damenti generali de’ contratti per uso de’ negozianti . 8. Della cambiale e degli altri effetti di commercio. 9. Del commercio di banca. ro. Del commercio delle mercanzie. 11. Delle manifatture. 501 a2. Del commercio marittimo ( e delle assicurazioni) . Siccòme in questo piano entra non solo la esposizirne delle leggi , ma anco il far menzione degli usi , e generalmente delle principali operazioni di ogni:ramo di commercio , sonosi da se stesse affacciate parec- chie questinni d’ economia commerciale , che non sono state tra- scurate. L’ Opera sarà terminata con una tavola che racchiuderà tutti gli articoli del codice di commercio per ordine di numeri col richiamo a quel luogo dell’ opera dove son discussi o citati; questa tavola rimanderà pure a que’ passi nei quali sono allegati o paragonati gli articoli degli altri codici. Quei decreti che si ri- feriscono a questioni controverse, o che ne fanno nascere , son ivi accennati per quanto è possibile , come pure le altre leggi,e gli atti del governo e delle amministrazioni , che hanno rapporto al commercio . Dictionnaire historique et critique de Pierre Bayle.- Dizio= mario storico e critico di Pietro Bayle, nuova edizione, con note estratte da Chauffepiè , Joly } la Monnoie, Leduchat, L. J. Leclere , Prospero Marchand ec. 16. volumi in 8.° Il prezzo per gli associati è dig franchi l’ uno. Parigi, presso Desoer libraio in via Christine N. 2. Son già pubblicati i quattro primi volumi . Il Dizionario storico e critico , come dice l’ istesso Bayle, è composto di due parti ; una puramente istorica, cioè una succinta narrazione dei fatti; l’ altra è un gran commentario , un mescu- glio di prove , e di controversie , in cui pone la censura di molti abbagli , e talvolta anco un tratto di riflessioni filosofiche ; in una parola assai varietà per poter credere che per una parte o per l’ altra i lettori trovino quel che loro piace . Questa .divisione ac- cenna la maniera con cui Bayle debb’ esser letto , cioè leggendo prima di tutto il testo d’un articolo , quindi dopo di averlo finito passare alle osservazioni su quello . In questa nuova edizione sono conservate le note marginali che vanno unite o al testo o alle os- servazioni , e che accennano le sorgenti da cui Bayle le ha pre se; ed è ora un dovere indispensabile per gli editori di uno scrittore che ha detto che la mancanza delle citazioni è un vizio capitale in quasi tutti i. libri. Tuttavia son messe in piè di pagina quelle citazioni colle quali Bayle lascia la responsabilità dei fatti ch'ei riporta agli autori su i quali si appoggia . In un opera vasta come la sua era impossibile , che non si lasciasse talvolta indurre in er- rore , e così egli è stato l’ oggetto di molte critiche , che non tutte son giuste . Gli editori hanno fatto il sommario delle principali , 502 e ne hanno dato 1 epilogo . Questa nuova edizione è dunque cor. redata di note estratte principalmente da Chauffepiòè , Joly ; la , Monnoie , Leduchat , L.J. Leclerc , Prospero Marchand. Gl’edi / tori dichiidivand che non volendo ag ggiungere una confutazione di Bayle, ma alcani schiarimenti e CSI hanno tralasciato e tralasceranno tutte le critiche che s’ aggirano sulle dottrine dell’ autore . Brevissime sono le note aggiunte , e le indicazioni che contengono; suppliscono alla brevità. Del rimanente le prefazioni, e gli altri preliminari premessi al primo volume sono ristampati ; come nda tutti i diversi scritti che sono alla fine del quarto . La tavola sarà rivista ed accresciuta in qualche parte . I medesimi editori hanno credato che una edizione in 8.° sarebbe più gradita dal pubblico , e vi si sono determinati dopo tre anni di mature riflessioni . ‘Manuel del’ Amateur d’ Estampes ec.Manuale del dilettante di stampe in rame, che fa seguito al manuale del libraio; ed in cui si troveranno dall’ origine dell’ intaglio : 1.° le osservazioni che fissano il merito , e anteriorità delle prove ; 2.° i caratteri dai quali si distinguono gli originali dalle copie ; 3-° i prezzi che i capi principali possono avere nel commercio per la rarità e per l’ opinione dei dilettanti ; 4.° Dei quadri d’ ogni secolo che pre- sentano gli artisti contemporanei sopra linee annuali, ed in qua> lunque vogliasi epoca; al che precede un saggio sul genio consià derato come principio delle belle arti; alcune ricerche sulla sco- perta e sull’ epoca della impressione delle stampe ; un colpo d’oc4 chio generale sullo stato dell’ intaglio in Europa ; alcune avver- tenze sulla impressione litografica nei suoi rapporti coll’ intaglio inrame ; di E. Joubert ue , incisore, antico membro dell’ A4 teneo delle arti . 3. Volumi in 8° in bella carta al prezzo di 25, franchi per gli associati ; e di 30. per ‘gli altri. Parigi, presso Dondey - Duprè stampatore dell’ ‘Oper e libraio in via St- Louis, N° 46. ( Estratto dal manifesto ) L’ intaglio, ora coltivato dappertutto , ma ‘probabilmente nato in Italia , che fula cuna delle arti della moderna Europa fece dapprima molti progressi in Germania sotto la storta di Albertò Duro o Durero ( impéerocché ivi esercitavasi molto tempo innan- zi ); ed una ventina d’ anni dopo in Olanda sotto Lucas di Leida. Tornò quindi quest’ arte a ricevere un miglior gusto nel disegno nell’ antica sua patria sotto Marcantonio Raimondi, che seppe inalzarla ad una perfezione finallor sconosciuta. La Fiandra sotto 503 I’ influenza del Rubens dal canto suo ne riportò la palma ; ma la Francia , sotto il celebre ministero di Colbert le tolse il primato, in cui per circa ad un mezzo secolo erasi mantenuta : e se il nome di Scuola poteva generalmente darsi all’ intaglio , senza dubbio toccherebbe alla Francia, se non per diritto di anteriorità , alme- No per la moltitudine dei suoi artisti , come per quella de’ fore- stieri istruiti , sotto la. disciplina dei suoi ; ed inoltre per la bel- Jezza delle opere , di cni ella può vantarsi . Abbiamo reputato più convenevole l’ accennate in un quadro di bastante grandezza ;} ma limitata , la maniera di fare una scelta pregevole in ogni genere ; d’ istruirsi prima sopra gli oggetti di questa scelta per-quindi con sicurezza farne l acquisto . Abbiamo finalmente voluto far trovar raccolte delle notizie sparse, che -per anche non era ad alcuno venuto in pensiero di raccorre in un opera . Le più mature rifles- sioni sulle molte difficoltà , che ci si sono affacciate nel compilar ‘quest’ opera , ci hanno fatto prescegliere 1’ ordine alfabetico .. E vero che un dizionario mon può divider le materie ed i generi ; lo che qui sarebbe inutile , poichè ogni parte è affatto distinta e in- dipendente dall’ altre ; ma dà ad ogni articolo un posto fisso e fa- cile a trovarsi . In questi articoli noi diamo diligentemente Vepoca ed illuogo di nascita dell’ artista , e della sua dimora più lunga ; diamo un’ idea del carattere del suo talento; la notizia ragionata delle sue principali opere , e della loro maggiore o minor rarità ; l’avviso delle copie, quando ve ne sono , e la maniera di distin- guerle dagli originali ; Y anno ed il luogo della sua morte, quando si abbia notizia dell’ una e dell’ altro . Il nome di quei pittori, sù quadri de’ quali sono stati fatti gl’intagli, vien sempre inesso in fondo a quella linea che chiudel indicazione di ogni soggetto per . mon aver a cercarlo in mezzo al discorso . Finalmente i’ ultima ‘pagina di ogni volume conterrà le cifre , i contrassegni ed i mo- Nogrammi di quelli artisti , che saranno in quello compresi. Gli artisti forestieri che temessero d’ esser dimenticati son pregaii a rimetterci subito in iscritto franco di porto , e giusta il piano da noi adottato: 1.° i loro nomi ; 29 l’anno ed il luogo della loro na- scita ; 3.° il nome degli artisti loro maestri ; 4.° il titolo e I’ .indi- cazione delle principali loro opere ; 5.° la misura di esse in altezza e in larghezza ; 6. ilnome de’ pittori.o disegnatori , sù quali sono state intagliate ;7.° le differenze che possono caratterizzar le prove , come con lettere ‘0 senza , armi ; dediche , contorni , er- rori ne’ titoli , o scritture , ed altri sontrassegni., che accrescono 504 i Milo un valore d’ opinione a quello che dà il vero talento ; 8.° accen: nare se faccian parte di qualche raccolta ; 9.° i prezzi finalmente di ciascuna in moneta francese . In quest’ opera si troveranno i prezzi dell’ opere principali. Era impossibile it non parlare della Litografia in'ur opera sull’ intaglio , colla quale si sono dati a quest’ arte nuova tanti rapporti più o meno esatti e diretti . Noi slimiamo di aver richiamata }l attenzione particolare degli artisti, de’ dilettanti, e del commerci.) su questa scoperta , e crediamo di averla esaminata sotto il su) vero aspetto . La stretta unione dell’ intaglio. colla tipografia è tale, che inutile reputasi da noi il mostrare l’ accordo della nostra opera col Manuale del libraio , di cui egli è il vero compimento , che anzi diremo ‘quasi neces- sario . Faune Francaise - ou Histoire naturelle ec. Il Fauno Francese , o Storia naturale generale e particolare degli ani mali , che si trovano in Francia di continuo , 0 di passo ; sulla «superficie del suolo , nell’ acque che la bagnano , e sul littorale dei mari che la circondano . Con figure fatte con diligenza e co- lorite al naturale . Da una Società di Zoologi . L’ opera sarà di- visa in cinque tomi, ed ogni tomo in volumi, che pure saranno suddivisi in parti in maniera che ognuna sia indipendente dall’al- tre . Essa avrà 35. in 4o. dispense composte di sei fogli di testo in grande 8.° stampato in caratteri nuovi d’ Enrico Didot , e di venti tavole in grande 8.° Le dispense si fanno regolarmente ogni mese dal 1. gennaio 1821. Il prezzo d’ ogni dispensa con le figure in nero è di 10. franchi, e fr. 18. colle figure colorite . Parigi presso Rapet , in via Saint-André-des-Arcs , n.° 4T. La botanica in Francia è stata assai più coltivata della zoolo- gia, poichè abbiamo la Flora francese che comprende la storia generale delle piante , che crescono sul suo suolo , opera di cui n’ è stata fatta la seconda edizione; come pure diverse altre Aore particolari , di provincie , di dipartimenti , ed anco di parecchie città principali : ima non avvi opera alcuna che abbracci la de- scrizione e la figura di tutte le specie che vivono sulla superficie del suolo francese , nelle acque che l’ intersecano , o nei mari che ne bagnano i lidi . Gli zoologi in Francia son dunque più indietro de’ botanici , ed anco degli zoologi forestieri, come gl’ inglesi , i tedeschi, i danesi, i russi, che non solo hanno de’ Fauni par- ticolari di molte loro provincie , ma anco generali per render noti tutti gli animali della loro patria . 505 Il fortunato e ri'evante sostegno che da pochi anni in quà la geognosia presta alla zoologia per la soluzione delle questioni più importanti , vale a dire per la cognizione del composto e delle rivoluzioni del globo in generale , e del suolo della Francia in particolare, non può acquistare solidità, e non esser esposta alle obiezioni fino a tantoche non saranno stati riconosciuti e chiara- mente distinti tutti gli animali che in quella ritrovansi . Il geologo altresi è costretto a considerare come spettanti ad animali di cui siasi perduta la razza gli scheletri fossili, simili ai quali posson sotto ai suoi occhi trovarsi tuttora. I caratteri distintivi degli animali , che abitano continuamente o in tempi determinati, le varie parti della Francia , la cognizione della loro indole e delle loro abitudini hanno una così frequente applicazione per gli agri- coltorì e per i medici , che ci basterà l’ accennare questo vantag- gioso fine di un Fauno Francese per farne conoscere tutta l’ im- portanza . Come mai in fatti si può ragionevolmente arrivare a propagare una specie utile, o a distruggere una sp ecie nociva , ed'a rimediare agli accidenti che questa può produrre , se non sieno last aretina conosciute ? Al che si può aggiungere il com- pimento della istruzione , ed anco il piacere . Cosicchè il riempire una laguna poco onorevole per. la nazione , come ancora per la zoologia ; 1 esser utile all’ agricoltore , al medico, al naturalista ; ‘porgere argomenti d’ istruzione , di meditazione , ed anco d’ utile ed amena distrazioue al filosofo del pari che all’ uomo di mondo , alla gioventù come all’ età matura , ed anco alla vecchiezza : son questi i principali motivi che hanno indotto alcuni zoclogi già noti pe’ loro antecedenti lavori a ideare, e ad dimpivadin sotto il titolo di Fauno francese una storia generale e particolare di tutti gli animali che sono in Francia , accompagnata di figure fatte e iglacità colla maggior diligenza . L'applicazione di un sistema pia, e compiuto di zoologia non potendo farsi alla descrizione dei. soli animali, proprj della Francia , gli autori sono andati tra loro d’ accordo , che le basi del sistema sarebbero prese in Linneo ,e che per agevolare la cognizione delle specie , le divisioni secondarie stabilite nelle divisioni grandi di quel celebre zoologo , sarebbero inoltre ca- ratterizzate e denominate ; ma che per tutte le altre suddivisioni spartite che gli entomologi forestieri hanno i primi introdotte nella loro parte , ed i quali minacciano d’ invadere tatte P’ altre, verrebbero esse indicate alla maniera di Linneo e di G:nelin ; 506 dimodochè ognuno a suo piacimento potrà fermarsi a quel grado che gli sembrerà conveniente , e frattanto farsi un idea appresso a poco completa dello stato attuale della scienza . Con una mira analoga gli autori hanno in animo di pubblicare separatamente i mammiferi , gli uccelli , i rettili, i pesci, le differenti classi d’insetti , di molluschi, ed anco di zoofiti, e di far ciò necessa= riamente con una diversa impaginatura, dimanierachè ognuno possa disporgli in quell’ ordine, ch’ei crederà di dover tenere, ed anco limitarsi a non prendere , che una certa parte dell’operà, talchè coloro , per esempio, che hanno le edizioni di Buffon fatte da Rapet, potranno del Fauno francese prender soltanto la storia degli animali senza vertebre . Gli autori useranno tutta la dili= genza , perchè tutte le figure sieno originali, e fatte per quantò è possibile sopra gli animali freschi, e sotto i loro occhi, e'da scelti artisti, ma che ancora faccian conoscere le differenze d'età e di sesso, quando si potrà far questo. Ma, siccome non bisogna moltiplicar troppo le figure per non render |’ opera troppo dispendiosa , è stato convenuto di non dar le figure di quelle specie, le di cui differenze di grandezza o di colore si possono esprimere in poche parole ; comparativamente ad una specie di cui vi sia la figura ; e nella distinzione dei sessi o dell’ età, di non dar la figura che delle parti caratteristiche . Del rimanente per dar un idea generale delle tavole del Fauno fran- cese, gl’editori accennano quelle del Dizionario delle Scienze Na- tonali del Sig. Levrault , aggiungendo che la loro opera dive- nuta speciale , gli cbiigherd: anche di più alla precisione negli organi che mostrano. i caratteri . Nel testo che serve a spiegar lc figure gli autori si terranno concisi per quanto potrà permet» terlo il numero delle specie da paragonarsi tra loro, e saranno più diffusi sulla storia di quelle , che offriranno qualche vantaggio , 0 qualche svantaggio , in guisa da adempiere una delle mire prin- cipali roppitesi ; quella cioè dell’ utilità, e del’ applicazione . Sebbene gli autori abbiano intenzione di limitarsi alla storia na- turale degli animali di Francia, hanno in pensiero per altro di Bran in questa categoria non solo quelli , che 1° abitano di continuo , ma anco quelli he vi dimorano solamente una parte dell’anno , o che altro non fanno che passarvi , come certe specie di uccelli, e soprattutto di pesci , che a ragione per tal motivo, sono generalmente meno noti . Gli autori di quest’ opera sono i Sigg. £. P. Vicillot , autore di varie opere d'ornitologia , ed uno ©) 507 «dei collaboratori delle due edizioni del nuovo Dizionario di Sto- ria naturale ; A. Desmarest , professore di zoologia alla scuola reale vote mtaaotà d’Alfort , autore della Storia naturale de’ Van garas , collaboratore delle due edizioni del muovo Dizionario di Storia naturale del Sig. Déterville, dell’ Enciclopedia meto- dica ec.; e H.M. Ducrotay de Blainville, D. M. P., profes- sore di zoologia alla facoltà delle Scienze , all Ateneo di Parigi, uno dei ladro ratosi della nuova bliaini del nuovo Dizionario di Storia naturale del Sig. Déterville, e di quello delle Sciezze naturali del Sig. Levrault ec. Il primo è incaricato della classe degli uccelli , il secondo del resto degli animali vertebrati , fuor- chè de’ pesci , de’ quali farà la storia il Sig. Costante Prevost.; ed il terzo , degli animali senza vertebre in generale : il Sig. S. A. Auidinet. Serville trattando specialm ente degl’ insetti coleotteri , imenotteri , ditteri , e d’ una parte dei lepidotteri, degli ortotteri, ‘dei nevrotteri ed emitteri . L’ editore dal canto suo nulla ba tra- scurito di quanto può assicurare il buon esito di un impresa così rilevante, e ch’ ei considera come nazionale . La scelta dei dise- gnatori i Sigg: Prétre e Meunier , degl incisori i più abili della capitale, dello stam patore ‘Sig. Plagiait , della carta, dee torre ‘ogni dubbio sulla perfetta esecuzione di quest’ opera . Voyages , recherches , et decouvertes en Egypte ee. Viaggi, ricerche e scoperte in Pgitto e nella Nubia , seguiti da una corsa sulle rive del mar-ros so per cercar la città di Berenice , e da un viaggio all’ Oasi di Giove Ammone , di G. Belzoni , tradotti dall’ inglese, e corredati di note da G. B. Depping . Due vol. in 8.° con una carta ed un ritratto dell’ autore . Prezzo 15. fran chi in carta fine. Parigi 1821. presso Galignani. Accompagna quest’ opera un atlante in foglio grande composto di 44. tavole a franchi 120. Riportiamo qui semplicemente il titolo di quest’ opera del nostro celebre Belzoni, giacchè ci proponghiamo di parlarne più à lungo nei successivi fascicoli . Voyage al’Oasis de Thebes ec. Viaggio all’ Oasi di Te- be, e nei deserti situati a levante e a ponente della Tebaide , fatto negli anni 1815. , r816., 1817., e 1818., dal Sig. Federigo Caillaud di Nantes , pubblicato sotto gli auspicj di S. E. il Mi. mistro Segretario di Stato dell’ Itersio dal Sig. Jomard membro dell’ ie i delie iscrizioni e belle lettere ; seguito da alcune icerche sull’ Oasi, sulle miniere di smeraldo , e sull’ antica strada 508 di commercio tra il Nilo ed il Mar rosso ; con una raccolta d’iscri< zioni. Due volumi grande in foglio , uno del testo e l’ altro dei rami ; ; opera divisa in due dispense ; ognuna di 25 tavole . Il prezzo di ogni dispensa testo e tavole è di Gu franchi . Qubdto viaggio merita il pubblico aggradime nto per le mol» tiplici scoperte fi tte dall’ instancabile Sig. Caillaud che prima d’ inoltrarsi nei deserti dell’ Oasi trovò deli inonte Zabara h le fa- mose miniere di Smeraldo note soltanto peri passi deg li autori , e pe’ racconti degli arabi, e per un lungo corso d’ anni lasciate af- fatto in dimenticanza: ei le ha ritrovate quasi come le lasciarono gl’ ingegneri dei re Tolo mei . Ardito inoltrasi per molti scavi e "ni; sotterranei aperti ad una gran profondità , in cui quattro- cont’ uomini potevano lavorare ad un tempo me desimo . Quivi ei ravvisa gli argini ed i lavori grandi ; ei vede nelle miniere le funi, i panieri , le leve , gli strumenti, le macini , i vasi, le lu- cerne abbandonate ; egli osserva le maniere di far lo scavo in antico , maniere all’ incirca ignote fino allora ; egli alfine prosegue lo scavo , e porta a Mohammed-Aly-Pacha fino in dieci libbre di smeraldo. Dipoi egli trova vicino a questo luogo tra i tempj greco-egiziani , ed iscrizioni molto antiche ; le ro vine d’ una pic- cola città probabilmente abitata dai minatori degli antichi tempi ; ed ecco una scoperta d’ antichità , di geografia e di storia natu= rale , degna di fissar lo sguardo degli e ruditi , e d’ ogni curioso lettore. Egli ha scoperto una delle ant iche strade dell’ Indie per l’ Egitto , 9, egli attraversò per due volte andando alle mmiere di stendo vi scorse le antiche stazioni , i recinti des tinati a rac= cogliere ed a proteggere le caravane , e delle antic he conserve d’ acqua per dissetarle . Quivi egli seppe dagli arabi della tribù degli Ababdeh, e della tribù dei Bycharyn, che la: medesima strada andava ad una città molto grande edificata sulle rive del Mar rosso ed ora distrutta , sotto il ventiquattresimo grado di latitudine all’incirca , vicino alla montagna, d’ Elbé . Il Sig. Cail- laud finalmente scopre sulle rive del Mar rosso una montagna di zolfo, ch’ è stata scavata, e le adiacenze della quale hanno del le tracce vulcaniche ; poichè ivi trovasi la pozzolana , ed altri pro- dotti del fuoco. Egli usa una gran diligenza nell’ osservare le montagne in questa parte del deserto ché separa il Nilo dal Golfo arabico , e che spettano al suolo primitivo ; tutti questi dirupi mostrano deile notabili varietà, e delle particolari circostanze nella loro composizione. Coll’ attenzione medesima ei percorre le terre calcarie, e le catene delle montagne , che separano il Nilo | 5og Ball Oasi, ed esamina le diverse strutture di questa contrada , le une degli antichi tempi egiziani, le altre più moderne ; egli trova delle volte molto antiche, ma la data delle quali è tuttor problematica ; egli osserva finalmente le acque termali, lo stato del suolo , gli alberi, i vegetabili ed i prodotti del paese . Ei non trascura di osservare e di accuratamente descrivere i costumi, e gli usi delle tribù arabe da esso incontrate nel suo viaggio, egli vive seco loro, e si assuefa ai loro usi. Ei si concilia la benevo- lenza dei cheykhs coll’essere a parte delle loro corse, del loro grossolano alimento, de’ loro travagli, e de’ loro pericoli, in- durato .al par di loro alle privazioni, ed alle più gravose fa- tiche, egli acquista la stima e la confidenza di essi, e mette in esecuzione senza correre alcun pericolo quello che per altri viaggiatori meno coraggiosi e meno perseveranti non sarebbe stato che una temerità . Egli scrive un diligente itinerario di tutte le strade da lui battute. Egli va quasi volando a visitare pella Nubia le sponde del Nilo, come pure quei mmnunenti che ivi si trovano tra le due ultime cateratte . Egli copia con diligenza tutte le iscrizioni greche e latine ch’ei ritrova ne’suoi viaggi; e reputasi fortunato per averne trovata una di sessan- tasei yersi, che contiene novemila lettere in circa, più lunga almeno di un quinto della iscrizione greca della pietra di Ro- setta, e con una pazienza veramente tutta sua, con una fatica non ordinaria egli arriva nello spazio di tre giorni a farne la copia. Questa iscrizione sebben sia di data receute in paragone del monumento di Rosetta, poich' ell’ è de’ tempi di Galba , racchiude però de’ fatti curiosi sull’ interna anm:ninistrazione dell’ Egitto. Mal pago però di tutte queste ricerche il Sig. Federizo Caillaud va raccogliendo da ogni banda delle preziose antichità, la maggior parte delle qua!i serve ad illustrare le costumenze degli antichi. Essendo andato nove volte a Tebe egli ha potuto fare acquisto di molte cose rare, conservatesi negl’ipogèi di quella gran città; ed è stato valutato il merito della sua collezione . Dopo di essere stato esaminato da molti membri della commissione d'Egitto , atti a distinguere quanto di nuovo e d’importante vi fusse circa alle arti ed alle costa- manze dell’antico Egitto, è stata finalmente comprata per ar- ricchire la biblioteca del re. Il Sig. Caillaud nel cedere tutti i suoi materiali ha dato pure nel tempo medesimo un giornale del suo viaggio, nel quale apparisce il sincero carattere della veracità e della ingenuità . 510 LIBRI ITALIANI IL Capmo. Poema epico in XX. canti di Pierro BAcno- LI Professore di lettere grech: e latine nell’ Uni- versità di Pisa. volumi 2 di 800 circa pagine, con un rame disegnato da Merci, e inciso da Lusinio figlio. ( Prezzo lire dodici: presso Sebastiano Nistri di Pisa editore, e al gabinetto scientifico e letterario di Vieus- seux in Firenze. ) Un poema in ottava rima, e continuato per XX. canti, è lavoro di tanta importanza, che non puo giudi- carsi con fretta. Diciamo di più, essendo questo genere di poetica composizione il più grande sforzo dell’ uma- no ingegno, ed opera essendo di un Toscano, diflicil- mente chiunque abbia gentilezza d’animo potrebbe aste- nersi da una certa favorevole parzialità; o almeno dal desiderio che gli sforzi e le vigilie di 25 e più anni sieno coronati di gloria. Quindi, unitamenie al poema pub- blicatosi in questi giorni, è andato vagando per le mani degli amici dell’ Autore il seguente a lui scritto da un suo collega, che fu già suo condiscepolo. ALL'AUTORE DEL CADMO © Animoso Cantor, che dalla prima Età meco volgesti in Ascra i piedi; Là dov’ echeggian dalla doppia cima Le imprese degli Orlandi e dei Goffredi: Or che al raggio del Bel che ti sublima, La tromba impugni, al rio livor non cedi; E pel cammin della sonante rima Maestoso t’ inoltri, e me precedì : SU ica d'eiininnant u e en 511 To primo un serto oso di carmi offrirti, Non ingrato compenso a’ tuoi sudori; Chè alto premio è la lode agli alti spirti. E giunto al fin di questi brevi errori, Ti accolga il bosco degli Elisii mirti, Se anche in morte il livor niega gli allori. G. R. Limitandoci adunque al semplice annunzio di que- sto poema, aggiungeremo che fu intendimento del poe- ta di cantare l’ introduzione della cultura e della civiltà in Europa: e sotto questo aspetto osiamo credere che l'argomento debba apparire in sommo grado interes-. sante. Le Muse, figlie di Giove, formano quindi natu- ralmente la macchina principale del poema; e per mez- zo del dono di vaticinare possono giungere fin dove più loro aggrada col canto: onde pascer la fantasia de’ let- tori con belle imagini, e ammaestrarne |’ intelletto con quelle nozioni, che cominciarono in prima, e quiudi fondarono la cultura Europea. Dei delitti e delle pene del Marchese Cesare Beccaria. Nuo- vaedizione. (MANIFESTO) Il libro dei delitti e delle pene del Marchese Cesare Becca- ria comparso in Italia circa la metà del secolo XVIII. è uno di quei grandi avvenimenti, che fanno epoca nella storia dello spi- rito umano, perciocchè imprimono al secolo un carattere nuovo, e allo spirito un moto straordinario verso la civiltà. Il nuovo carattere che dopo quell’ epoca sviluppossi nel secolo, fu quello della più stretta associazione fra la giustizia, e l'umanità, e da questo felicissnno accoppiamento si vidde nascere l'Europa nuova, che volle, e seppe sostituire alle attrocità di Dracone, le dol- cezze di Numa, e ai codici delle passioni, e delle turbolenze della natura, interpetrato dalla ragione. Debbesi dunque all’ Italia pur anco la gloria di avere uma- 512 nizzata, per la voce della Filosofia, la legislazione, e giurisprt denza criminale dei popoli colti; debbesi al Beccaria il primato nella scola dei dogmi legislativi, v0n appropriati a un paese esclu= sivamente, ma comuni a tutto il genere umano. Un libro ricchissimo d’ idee madri, capaci di moltissime filiazioni, doveva eccitare tutti li spiriti ben pensanti a meditarlo profondamente, ande svilupparne le dottrine, estenderne le con- seguenze, e indicarne le varie, e felici applicazioni. Quindi una lunga, e moltiplice serie di Note, Commentarj, e Osservazioni sul testo del Beccarìa ebbero vita al di dentro, e al di fuorî d’Italia, e viemaggiormente illustrarono la scienza delle leggi, e dei giudizj criminali. Gli stessi enciclopedisti trancesi , avarì di ledi, o per gelosia, o per orgoglio, di ogni moderna produzione straniera, e specialmente! Italiana, Mera omaggio alla filo- sofia dell’ avvocato della natura , e l'estratto della di lui dottrina fu da essi inserito in quel gran dizionario, che risguarda | eco- nomia, è la politica sotto la rubrica delle pene. «E mentre la voce del secolo filosofico salutava lo scrittore filantropo, mescolavasi il grido della barbarie fuggitiva con gli applausi dell’ umanità trionfante. Fuvvi un malevolo del Becca- ria, che avventurossi a farne l’ accusatore, come i-sofisti di Ate- ne calunniarono Soerate per avere appresa dal cielo , e rivelata alla terra la morale della Divinità. Ma le note del censore, in= vece di oscurare la gloria italiana, dettero occasione all’autore di sviluppare più largamente lè proprie idee, e di comporre di per sè stesso il commentario del proprio codice. Di tutti questi opuscoli di filosofica giurisprudeuza, e cor- relativi al sistema del Beccaria, ne fu fatta diligente collezione nel 1789 dal tipografo Remondini di Venezia, e vennero pubblicati in quattro tomi in Bassano con pienissima approvazione dei Rifor- matori dello studio di Padova, che formavaro il Magistrato di Revisione e di Polizia sulla stampa. Questa edizione preziosa per la sua sostanza, ebbe il rapido spaccio che meritava, ma fu in- sufficiente a soddisfare il desiderio delle colte persone, che ama- vano di possedere quelle produzioni sublimi. A questo desiderio imprenderebbe a corrispondere una so- cietà composta, non già di tipografi speculatori, ma di persone intelligenti delle materie da riprodursi con la stampa, € volen- terose di acerescere il.numero, e la circolazione dei libri, che dimostrano, ed abbelliscono i veri principj della giustizia , e 513. dell’ umanità. E per coopérare a questo nobile scopo, invitano esse lo spirito di associazione letteraria a unirsi con loro, per assicurare ‘i fondi necessarj alla nuova edizione della menzionata raccolta, in cui si propongono di riprodurla sotto forme tipo- grafiche più corrette e più degne di lei. Questo spirito di associa- zione letteraria non può esser invocato senza frutto in Toscana;dopo le chiarissime prove, che egli vi ha dato del suo buon volere in tante recenti imprese librarie, che hanno renduto omaggio ai Machiavelli, Guicciardini, e Filangieri. Ed è anzi più sperabile il di lui soccorso a favore. del Beccaria ; perciocchè onorando egli questo scrittore, viene ad onorare la criminale legislazione toscana, motivata da lui, e a benedire gli umanissimi Principi sotto i quali nacque, ed è conservata . La presente edizione, oltre il contenere tuttociò che trovasi in quella di Bassano del 1789 sarà accresciuta. dell’ elogio del Beccaria estratto dalle vite degli uomini illustri stampate in Milano nel 1816 per Batelli, e Fanfani ; (delle annotazioni del sig: avvocato Massa, e di altri opuscoli inediti del; sig. avvocato Al- dobrando Paolini, concernenti? delitti, le pene, e le forme giu- :diciarie; e fimalmente del ritratto del Beccaria eseguito da non volgare bulino . Tutta l’ opera sarà divisa in einque; volumi, non minori di venti fogli per volume. La stampa si promette corretta in tutti i rapporti dell’ ortografia, e della composizione: Ogni volume sarà rilasciato. ai sigg. associati per il prezzo di lire quattro toscane, venendo, essi assicurati, che non essendo la presente edizione una speculazione mercantile, non saranno stampate che le sole copie corrispondenti al numero degli associati medesimi. "ilo" Le associazioni si riceveranno dal sig. Luigi Pezzati stampatore silla piazza di S. Spirito N° 1919 e dal sig. Giuseppe Becherini li- brajo in Borgo SS. Apostoli; e dai smi sarà. ancora ese- sguita la distribuzione dell’ opera. ) L’ Italia avanti il dominio dei Romani. Seconda edizione, riveduta ed accresciuta dall’. autore sig. (GrusePPE MICALI. 4 ‘volumi in 8.° Firenze presso Pagani. } Fino dall’ anno 1810 fu pubblicata per la prima volta in Fi- renze quest’ opera, l esito rapido della quale fu tale, che essendo esaurita la prima edizione-sì pensò: a supplîré a questa mancanza con una nuova. edizione, che in niente invidiasse la prima , ed T. II. Giugno 33 (o) 514 ‘ anzi la superasse: per lo che ha ottenuto l’ editore sig. Pagani dal. l’autore, non solo un nuovo esemplare dell’opera considerabilmente aumentato e corretto, ma ancora nuove incisioni di singolari monumenti, ch’ egli ha fatto eseguire con molta diligenza ; au mentando |’ atlante di altri dieci tavole interamente nuove, ed accrescendo monumenti a quelle che n’ erano suscettibili: di mo- do che l’atlante avrà 71 tavole invece di 61 che ne conteneva la prima edizione. L’opera, divisa come la prima edizione in 4 volumi in ottavo grande, sarà impressa in carta reale velina, e con caratteri nuovi di Francia, e verrà pubblicata tutta. insieme ai primi di luglio: del corrente anno. Per facilitarne |’ acquisto, si venderanno aleumi esemplari senza l’ atlante, ma con la sola carta geografica dell’ Italia antica di d’ Anville, egregiamente in- cisa dal sig. Tardieu. Il prezzo è di paoli go l’opera con l’ a- tlante, e di paoli 45 con da sola carta geografica. Di questo modico prezzo non goderanno però che i soli associati, e 1’ as- sociazione sarà chiusa a'tutto il mese d’ agosto del corrente anno: dopo di che l’opera varrà cinque zecchini, e due e mezzo senza l’ atlante. 3 Noi ci limitiamo (per \ora ad annunziare la ristampa di quest’ opera importante, la quale potrà dar luvugo in appresso nell’Antologia ad un articolo di non poco interesse per gli ama- tori di simili stud]. Storia pittorica dell’ Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso alla fine del XVIHI secolo; dell’ ABATE LMGI LANZI: nuova edizione in 8.° grande in05 volumi. Prezzo paoli 6 per volume. Firenze, stimati di Leonardo Ciardetti. : Alessandro Kindt, e compagno me intraprendono coi torchj - di Leonardo Ciardetti la ristampa, e promettono che la carta ed i caratteri non lasceranno nulla da desiderare: seguono l’ e- dizione di Bassano del 1809, come la più corretta, e da ripur tarsi come originale, per essere stata diretta dall’ autore mede- simo . Il primo volume vedrà la luce alla fine del prossimo mese di luglio , e gli altri successivamente senza interruzione. Le molte edizioni che si sono fatte di quest’ opera. e il ‘rapido smercio ché hanno avuto ne confermano viepiù il merito. Simili intraprese tipografiche saranno sempre "ragion dal . colto pubblico, e dobhiamo applaudire a chi gps ed a chi eseguisce questa. 515 Associazione alla Biblioteca italiana portatile, ossia Rac- éolta d’ opere scelte sì in verso che in prosa: în 12.° piccolo ta- scabile. Firenze, presso GIUSEPPE MOLINI all’ insegna di Dante, edizione correttissima, impressa in ‘carta detta genovese velina, pressata due volte, con una figura ed una vignetta, elegantemente disegnate ed incise, in ciaschedun volume. Il tutto a imitazione dell’ elegante raccolta di autori inglesi eseguita nel medesimo sesto da Walker. I volumi già pubblicati potranno servir di norma per l’ esecuzione tipografica, per l’ eleganza dei rami, per la qualità della carta, e per il prezzo, il quale verrà calcolato in. proporzione del numero dei fogli. La presente associazione vien fissata per ora per soli 33 volumi. In essi saranno compresi i principali classici, ed a suo tempo verrà pubblicato un nuovo manifesto per una continuazione a questa prima raccolta. Sono già pubblicate le seguenti: = Boccaccio il Decameron, volume di pag. 920, il quale Pei anche legarsi in due; paoli 15. «_—PIGNOTTI le poesie complete, volume di pag. 740 il quale può dividersi in due. Contiene tutte le poesie dell’ autore già pubblicate in Pisa in 6 volumi; paoli 12. LUCREZIO tradotto dal Marchetti, vol. di 330 pag. paoli 6. ALFIERI le tragedie, con le prose che ad esse appartengono secondo l’ edizione di Parigi, più le tragedie postume in due volumi. E pubblicato il primo di pag. 620; paoli ro. Non'tarderà ad esser pubblicato il secondo ed ultimo vo- lume, al quale succederà tosto il canzoniere del Petrarca. Ciascheduna opera si venderà separatamente, ma le persone che si obbligheranno ad acquistare 1’ intera raccolta, riceveranno gratis un volume di giusta ‘mole per ogni dieci che avranno rice- vuti e pagati. >. La presente associazione ha principio dal volume delle poesie del Pignotti. Per il Decameron fu fattà'una soscrizione a parte, ma chi si associerà ai detti 33 volumi, in vece di paoli 15, lo pa- gherà paoli 12 come lo pagarono gli associati al medesimo. Dalla Stamperia d’ Alba in Piemonte fu pubblicata nel 1818 un’Opera in 4.° col titolo della Villa di Marte, Casa, e Lari del- V Imperator*de’ Romani P. Elvio ‘ Pértinace ne’ Celto-Liguri- Tanarei; Itustrazione del Conté ‘Vincenzo Deabbate Patrizio d’ Alba-Pompea. Oltre ad una breve Prefazione, l'Autore divide 510 questo suo lavoro in tre Parti; suddivide la prima in tre Articoli, la seconda in dodici, |’ ultima in sette, cosicchè l’intiero Volume contiene XXII Articoli, ai quali s° aggiungono L'E pilogo o Conclu- sione, due Indici, ed una Lettera sulle Acito hi di Trezzo pres- so Alba nella Valle del Tanaro. L'argomento o subietto di tutta l'Opera si è di provare coi lumi della Storia, per mezzo di Docu- menti estratti da pubblici e privati Archiv], e mediante l’aiuto d’alcune Medaglie, Medaglioni, Catenelle, Anelli in oro, ed altre Anticaglie sepolcrali, e Statuette trovatesi nello scavare il terreno per le agrarie faccende, essere la Murtinenga, così volgarmente oggi detta, e posseduta dal Sig. Deabbate nel luogo stesso del- l’antica 7i/la Martis (Casa 0 Tempio di Marte), ed esservi nato l’Au- gusto Pertinace da un Padre fornaciajo nel Territorio Ligure, ove abitavano i Celti parlando il loro linguaggio, e segnatamente in quella parte del Monferrato ora Alba ed Asti disegnata in due picco- le Tavole incise o Carte Topografiche poste al termine del Voluine. Non poca erudizione Celtica, e pratica somma della veechia Liguria e'dei suoi contorni dimostra l’ A., ma rimpetto alla Filosofia della Critica non tutte sembrano egualmente forbite le illustrazioni e le conghiettur e, che egli Reali come zelantissimo della sua Patria, portare insieme a concludere quant’ esso conclude (pag. 330) ,, Oh me più felice! Oh Martinerga ben degna di risorgere, a nuova luce, e d’ essere dai posteri conosciuta; mentre altre vani a ca- der vanno sotterra! ,, Miramur periisse Lobo ! Monimenta fatiscunt: Mors etiam saxis nominibusque venit . Auguriamo al Tomo, di cui si dà conto, miglior fortuna dell’in- dicata da questi due versi d’ Ausonio; distico ripetuto, non senza qualche motivo di tema, in cima ed in fondo dell'Opera. P. FERRONI RAGGUAGLI SCIENTIFICI E LETTERARI REALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE, ED ARTI DI MODENA Esperienze elettro-magnetiche Rapporto dell’ adunanza tenutasi dalla Sezione di scienze la sera del giorno 28 del prossimo scorso mese di aprile Nel giorno 29 di detto mese di aprile il socio ordinario sig. 517 prof. Baccelli comunicò al segretario della sezione sig. prof. Ric- cardi i resultati degli sperimenti da lui intrapresi nel comunale gabinetto fisico di Correggio intorno all’ azione, che esercita il filo congiuntivo di un apparato Voltiano sugli aghi calamitati, perchè ne facesse parte all'accademia. E siccome di questi risultati impor- tanti già e per sè stessi e perchè riguardano un argomento, il quale per la sua novità forma'oggigiorno il soggetto delle indagini e de- gli stud} dei più rinomati fisici dell’ Europa; il sig. Baccelli ne ac- cenna anche una cagione, così si è creduto bene di farli conoscere per istampa prima di tenere l’ adunanza del corrente mese. Ecco pertanto il ragguaglio comunieato dal sig. prof. Baccelli. Supponendo che l’ osservatore postosi all’ estremità del filo congiuntivo che si unisce al polo negativo o resinoso dell'elemento o piliere del Volta si metta in situazione da vedere l’ ago tra sè ed il filo, riduce egli i varj movimenti dell’ ago ai seguenti, I. “ Filo congiuntivo dirimpetto al mezzo dell'ago, e posto in modo che il suo braccio resinoso faccia col braccio boreale del- l’ago, diretto alla sinistra dell’osservatore, un angolo poco men che retto; l’ ago nè declina, nè inclina dal suo meridiano, ma si accosta parallelamente al filo sino che giunga col suo mezzo a toccarlo . Permutati i poli elettrici, l'ago parallelamente si allontana; e se la forza elettromotrice è potente, permuta egli pure i suoi poli ,,. Manifestano questi fenomeni gli aghi corti e sottili, galleg- gianti sull’ acqua, o sospesi a tenue e lungo filo di seta, nelle po- sizioni del filo congiuntivo un po’ distanti dalle orizzontali, nelle quali non si osserva che la permutazione . II. “ Filo congiuntivo come sopra, girato da destra a sinistra nel piano parallelo all’ ago, gira per lo stesso verso anche l'ago, Se la forza elettromotrice è potente, l’ ago mantiensi al filo presso che perpendicolare: allorchè i poli elettrici sono permutati, son pur permutati i magnetici. Che se la forza elettromotrice è debole, l’ ago prende posizioni d’ equilibrio tra la perpendicolare al filo ed il meridiano magnetico ,,. L’ ago galleggiante e il declinatorio si muovono così, girando il filo rizzontalmente: l’ inclinatorio, in qualsivoglia azimut sia il piano di sua rotazione, girando il filo verticalmente: il piccolo ago sospeso, in tutte le posizioni del filo per quanto glielo permette la sua sospensione . II “ Filo parallelo ad un ago, comunque di questo sia la po- sizione 0 naturale o forzata: il polo nord declina a sinistra, il sud 518‘ a destra secondochè a quello 0 a questo si presenta il polo resinos so» La declinazione corrispondente al filo situato nel meridiano magnetico non è mai maggiore di un retto. Questo risultato è un caso particolare del:-precedente. Di più, i piccoli aghi galleggiante e sospeso nelle-posizioni laterali del filo, a questo si accostano; e per= venutogli il secondo col suo mezzo da ppresso, se avviene che il filo ne tocchi un punto del braccio australe o boreale; l’ estremità di questo gira da destra a sinistra, di quello da sinistra a destra at» torno al filo,,. IV. Filo congiuntivo perpendicolare ad un braccio dell’ ago declinatorio o PA tra il mezzo dell’ago ed il centro d’ a- zione il braccio si accosta al filo : tra il centro d’ azione e |’ estre- mità se ne discosta : il contrario dal lato opposto, 0 nel medesimo lato, invertendo i poli elettrici ,,. : “ Se l’ ago è il galleggiante, nelle posizioni perpendicolari del filo un po’ distanti dalle orizzontali, tra il mezzo e l'estremità l’ago scorre, avvicinandosi al filo, giunto col suo mezzo a toccarlo, se.il sollevamento dell’acqua non osta, quivi rimane equilibrato col braccio boreale a sinistra ; nel lato opposto, tra il mezzo e l’ estre- mità si allontana dal filo, gli gira attorno, passa di qua di esso, e prende la detta situazione di equilibrio. Nelle posizioni orizzontali del filo, se nella superiore scorre perpendicolarmente ad esso, ac+ costando o discostando il suo mezzo, nell’ inferiore lo discosta 0 l’accosta. Lo stesso tenta di fare, quanto può, il piccol ago sospeso,,» V. « In generale, qualunque sia la posizione, la porzione, e la faccia del filo congiuntivo lungo o corto che si presenta isolato o nò ad,un ago calamitato, i movimenti, che in questo si osservano, sono diretti o tendono a portare il mezzo di esso a contatto col filo, e il suo braccio boreale poco men che perpendicolare al brac= cio resinoso del medesimo, ed a sinistra dell’ osservatore ;;. VI. « Spezzato il filo, interposta alle sue estremità una la- stra di metallo, e tirata sulla superficie di questa una linea retta ’ tra i due estremi del filo che primi la toccano, questa linea muove l’ago non quanto il filo, ma similmente,,. Provano questi risultati, non una ma due esser le forze che producono i movimenti dell’ ago, e queste eguali, contrarie, spar- se egualmente all’ intorno, e per tutta la lunghezza del filo congiuntivo, e delle quali la risultante è è fifbisochè al medesimo perpendicolare i A spiegarsi s’ attiene perciò il professore Baccelli all’ opi- ; 519 nione di quelli, che l’ agire degli apparati voltiani attribuiscono a due correnti. Comincia dall’ osservare che, essendo esse ecci= tate da due forze, l’elettromotrice de’ metalli, e la conduttrice del liquido, le quali operano incessantemente, non è possibile che nè si.combinino, nè restino dallo scorrere allorchè obbli- ‘| gate vengono a passare raccolte e concentrate per lo stretto ca- nale che loro offerisce o un tenue filo metallico, o pochi punti di contatto tra i due metalli elettromotori. Riflettendo quindi che l’ azione loro eguale e contraria impedisce. di andare esse diritto dall’ uno all’altro metallo, pensa che la fluidità e cede- volezza, che hanno naturale, possa loro permettere di prendere direzioni oblique. ‘E poichè di tutte le oblique vie quelle deb- bono di necessità prendere che alla loro rapidità, eguaglianza, e contrarietà convengono, così immagina che per altro modo non possano esse propagarsi che per due eguali e contrarie spire, pres- socchè circolari e parallele. Crede pertanto che, al primo incon- trarsi che fanno per lo stretto canale, comincino ad avvolgersi l’una contro l’ altra, appunto cone fanno, confusamente però, l’ acqua ed il mercurio, quella nel salire, questo nel discendere per una canna barometrica che s’ apra sott’ acqua. Stradate poi una volta per cotal tortuosa via, giacchè essa diviene di tutte la più breve, non vede perchè non abbiano perla medesima a proseguire a scor= rere velocemente non solo per tutta la lunghezza del filo congiun- tivo, ma su d’ ogni altro corpo conduttore di prima classe, che ad una porzione del medesimo si sostituisca . Ammesso .l’attortigliamento delle due correnti elettriche o qual conseguente dell’ opinione Simmeriana, 0, se così non aggra= da, qual principio ipotetico; supposto col fisico danese Oersted scuopritore di siffatti fenomeni, che la corrente vitrea sia impe- netrabile al magnetico boreale (a quello del braccio nord dell’ago) e non all’ australe, ed a questo e non a quello la corrente resinosa; conosciuto per esperienza che, in tal supposizione, la prima cor- rente si fa da destra a sinistra, e quella della seconda per contra- rio, e l’ una e l’altra quasi perpendicolarmente al filo congiuntivo; applicato il principio del Venturi, che i fluidi in moto traggono seco loro i fluidi vicini: di tutti gli osservati fenomeni ne dà ri+ stretta in brevi cenni questa spiegazione. Avvicinato il filo congiuntivo all’ago, tosto le materie boreale ed australe di questo, le quali più dense che altrove son attorno all’ estremità di esso distribuite, per movimento laterale delle cor- renti vitrea e resinosa vengono smosse, rapite, e strascinate per 520 bio le direzioni delle medesime; e poichè le dette materie magnetiche sono aderenti all’ago, i moviinenti loro si trasmettono ad esso. Ma egli inerte, rigido di necessità in alcun modo sospeso e chiamato mai sempre dalle forze terrestri al suo meridiano, non potendo torcersi attorno al filo, prende movimenti particolari, dipendenti però dal generale e tortuoso delle correnti, Quindi il braccio di di un ago a perno o ad asse deve sembrare attratto o respinto se- condochè la corrente. elettrica tende ad. allontanare 0. ad avvici=. nare al medesimo il magnetico che lo circonda; e quello di un ago sospeso per un filo , potendo in alcun modo concepire movimento circolare, deve attorno al filo congiuntivo girare, se è il boreale da destra a sinistra, e se è l’ australe da sinistra a destra. Si deve poi lago fermare in situazione d’ equilibrio, «allorchè si avverano Yuna e l’altra di queste condizioni: che le azioni delle due cor- renti (la cui risultante si può chiamare direttrice elettrica) su i due magnetici dell’ ago si eguagliano: che si eguaglino pure delle due direttrici elettrica e magnetica terrestre le azioni. La prima. esige che all’ appressamento del filo congiuntivo l’ ago si muova 0 tenda a muoversi sin che col suo centro arrivi a toccare il filo, ed il suo braccio boreale divenga quasi perpendicolare al medesimo, ed alla sinistra dell’ osservatore. Esige la seconda che l’ ago, con- forme ai principj della composizione delle forze, prenda situazioni intermedie alle due direttrici, caso che queste non cospirino; e però nelle posizioni del filo parallele all’ ago, il polo nord declini a sinistra, il sud a destra non più di novanta gradi tutte le volte che loro si affaccia il polo elettrico resinoso. Queste deduzioni conten- gono, come si scorge, la spiegazione dei riferiti fenomeni. In questa opinione non fa maraviglia che si calamitino gli aghi di acciajo posti perpendicolarmente ad un filo elettrizzato, ed assai presto e bene collocati di traverso a più fili in cui le cor- renti dello stesso nome abbiano la stessa direzione, come appunto i’ hanno quelle che scorrono entro la spirale di un filo che compie il circolo elettrico. Lo stesso professore è pervenuto a calamitare i più grossi agbi da cucire, valendosi di un sol elemento alla Wol= laston, la cui lastra di zinco è 16 pollici quadrati e di spirali fatte con fili di rame e di ottone del diametro intorno a mezza linea . Non una, ma tutte le volte, che ha sperimentato, gli è avvenuto di osservare che diviene polo nord quell’ estremità dell’ ago che è volta al polo elettrico resinoso, la quale è, giusta i suoi principj» I ultima ad essere dalle correnti vitree cospiranti attraversata . 5a1 Lettera del Dottor GIMBERANT relativa alla morte d’ un viag- | giator francese caduto nel cratere del Vesuvio. The Literary Gazette, 24. Febbr. 1821. Napoli 23. Gennaio 1821. Le ultime eruzioni del Vesuvio che accaddero al principio di quest’ anno aveano fatto concorrere nella vallata che lo separa dal monte Somma un grandissimo numero di curiosi e di viag- giatori ad ‘esaminare le straordinarie sorgenti di quegl’infuocati fiumi di lava. Il dì :6 di questo mese un tal Luigi Pautret, francese, morì nel nuovo cratere apertosi ultimamente a piè del Vesuvio poco lungo dal romitorio. Il giorno avanti aveva costui esaminato attentamente il cratere, e il torrente di lava da quello scaturito. Passò la notte del 15 nel romitorio a scrivere e ad imballare alcune pietre che aveva raccolte. Allo spuntar del giorno se ne partì, accompagnato da una guida, e salì sopra un monticello fatto a pan di zucchero, formato della stessa lava sulla quale eransi accumulate delle scorie. La guida lo vedde avvicinarsi all'orlo di un apertura che trovasi sali cima del monticello donde vedevasi un abisso spaventevole, in mezzo al quale evvi un torrente infuocato. A un tratto l’ intrepido viaggiatore sparì; cadendo in quell’ immensa voragine i soffo- canti vapori della quale devono avergli tolta la cognizione ancor prima che fosse arso il suo corpo, benchè debba essere stato immediatamente consunto dal torrente della lava. Giunta notizia a Resina di un tale avvenimento, fu arre- stata la guida per grave sospetto contro quella concepito. Ma tosto. si venne in chiaro che lo sventurato Pautret aveva lasciato al romitorio una dichiarazione di proprio pugno, la quale dis- sipò ogni ombra di sospetto contro chicchessia, ed era concepita nè seguenti termini. 3» Prima d’intraprendere un secondo esame de! cratere del Vesuvio credo necessario far la seguente dichiarazione perchè nè la mia guida, nè altri cada in sospetto, essendo io determi nato di esaminare secretamente i terribili fenomeni di questo monte, senza timore di perdervi il resto della mia vita, della quale già da lungo tempo non ha provato che gli affanni. Gen- nmaio 15. 1821. Luigi Pautret di Clisson presso Nismes in Fran- cia ,,. 522 Interrogai il romito chiedendogli quali osservazioni fattè avesse sul defunto; ed egli mi assicurò che in due giorni e una notte passati da Pautret sul Vesuvio nel raccogliere mate» riali e nel fare osservazioni, egli mostrò sempre un sano giudizio, ed una mente assennata, senza dar segno veruno d’alienazione mentale, nè di malinconia. Nel lasciare il romitorio gli consegnò il suo orivolo, e un involto sigillato, con diverse pietre ed alcune lettere per la sua famiglia, cina raccomandandogli talì oggetti; esaminate le lettere non contenevano ombra di turba» mento intellettuale , nè d’ intenzione di commettere un suici» dio; cosicchè resta dubbio se MIR infelice si geltasse 0 ca- desse nel cratere. Io aveva visitato quattro giorni avanti quella spaventevole apertura; e due giorni dopo sì funesto avvenimento tornai a visitarla in compagnia del duca della Torre, il quale ha spesso preso parte alle fatiche, a’ pericoli e all’ istruzione che offre questo terribil valcano-. Ad oggetto di conoscere in qual modo po» tesse essere avvenuto sì tristo accidente mi portai fino all’orlo di quell’abisso, e rimasi convinto che chiunque sia di tanto animo da avvicinarsi a quell’orribil fornace, senza avere. abito ed esperienza di affacciarsi alle aperture vulcaniche, corre gran rischio di ca» dervi dentro. Questo pericolo è tanto maggiore per coloro, che la curiosità sprona ad esaminare tritamente tutte le particolarità, Una tal passione aliena. probabilmente l'intelletto a segno da divenir fatale, trovandosi alla bocca d’un ardente cratere . Fra le altre concrezioni saline ho raccolto il. muriato di rame, rarissimo fra i prodotti somministrati dal Vesuvio fin da molti anni addietro, e che non mi è mai sortito di trovar prima. Forse anco il Pautret osservò la stessa sostanza salina; e. cadde mentre procurava raccoglierla. Questa è secondo me la più pro» babile: poichè il muriato di rame non trovasi altrove fuorchè sull’ orlo dell’aperture, da cui sboccano le esalazioni del vulcano. Se mi è riuscito di ottenere questo raro prodotto senza incor- rere in un sinistro evento, lo ascrivo all'essere io più pratico 0 eno sventurato di quel moderno Empedocle. ParIGI. Maniera per imitare i manoscritti orientali. Dai Sigg. Demanne e Gauttier, segretario aggiunto alla scuola delle lingue orientali, è stata: fatta una scoperta, che dee avere la maggiore influenza sulla civilizzazione dell’ oriente, Quer sti signori hanno presentato all’ultima sessione dell’Accademia delle 523 Iscrizioni e belle lettere i resultati di un metodo per mezzo del quale son essi arrivati ad imitare i manoscritti orientali in ma- miera da ingannare l'occhio il più esercitato. Eglino hanno otte- muto alcuni attestati sottoscritti da molti ragguardevoli profes- sori, e da alcuni eruditi orientali, che provano l’ importanza del loro ritrovato per lo studio delle linghe e per l avanzamento delle cognizioni in levante. Essi hanno pubblicato un programma; mel quale annunziano le opere scelte del più ingegnoso tra poeti persiani, cioè di Saadi. Gli amici delle lettere non potrebbero troppo esser solleciti a favorire una così bella impresa. Monaco. Socieià per l'imitazione dei manoscritti orientali. In questa città si è fatta una società che è per far'eseguire in litografia, sopra ai migliori manoscritti, le opere le più stimate in turco; in arabo, in persiano, ed in lingua tartara per ispar- gerle per tutto l’ Oriente per mezzo di Trieste. Gli ostacoli, che sonosi frapposti alla introduzione della stampa appresso gli ‘orientali, sono state prima le segrete trame di coloro che fanno il mestiero del copista; ma anco assai più la impossibilità di rappresentare per mezzo dei caratteri fusi i varii ornamenti, dai quali i turchi e gli arabi sono avvezzi a vedere accompa- gnato ogni carattere scritto. La litografia fornisce molti espe- dienti intorno a questo, e si stà per imitare perfettamente non solo la calligrafia, ma la legatura dei manoscritti. V’ è luogo a eredere, che il tenue prezzo a cui si potranno dare gli esemplari litografici, procurerà un gran smercio, e che il nuovo stabili- mento coopererà molto a diffondere le cognizioni per l'oriente . PreTtROBURGO. — Rimedio contro l idrofobia. —Il Signor Salvatori, che ora è qui, assicura che è stato scoperto un rime- dio contro la rabbia. Sembra che nelle persone o negli animali attaccati da questa orribile malattia appariscano vicino al liga- mento della lingua alcune piccole pustule bianchiccie, e che scoppino da sè il tredicesimo giorno dopo la morsicatura , epoca nella quale si manifestano i primi sintomi della vera idrofobia. Con una lancettata sbuzzando queste pustule nove giorni dopo la morsicatura, facendone uscire tutto l'umore, e lavando bene Ja bocca coll’acqua salata si arriva, secondo il Sig. Salvatori, a «prevenire i funesti effetti della ‘rabbia. Questo metodo ha di già guarite parecchie persone. Nuova yvoRE. —Rimedio contro l’idrofobia. Il dottor Liman Spalding, uno dei più dotti medici di questa città, annunzia in 524 un suo opuscolo, che da più di So. anni in quà la Scutellaria Lateriflora di Linn. volgarmente detta Sculleap adoperasi per prevenire o guarire l’idrofobìa, nè si è veduto giammai mancare il suo effetto. Val meglio l’adoperarla quando è secca ed in polvere, che quando è fresca. L'attestato di molti medici si unisce; a. quello del Signor Spalding per raccomandare l’ uso di questa pianta. Non si sa il nome di chi |’ ha usata la prima volta; ma |’ obbligazione di averla messa in uso generalmente dobbiamo averla ai Sigg. Deweer padre e figlio. . Estratto della gazzetta di Calcutta intitolata il Times del 9 novembre 1819. L’ India-gazzetta fa menzione di una nuova opera perio- dica francese, pubblicata sotto il nome di Rivista enciclopedica ed il primo fascicolo della quale è stato dato alla luce nello scorso gennajo. E molto tempo che noi ne abbiamo ricevuta una copia, e che n’ è arrivata un’altra all’ editore del Govern- ment-gazette. E molto grande il numero delle persone accen- nate per cooperare alla compilazione di questa nuova rivista; ed alcuna non havvene che non abbia possa sulla fiducia del pubblico. Frattanto, malgrado la stima ed i riguardi che noi dobbiamo a questi sigg., alcuni dei quali ci son noti partico- larmente, noi non possiamo a meno di non manifestare il nostro rincrescimento perchè il piano, lo spirito, e lo scopo di una impresa scientifica e letteraria abbiano avuto il titolo di Wa- zionali per eccellenza, mentre nel tempo medesimo ci viene offerta quest’ opera come quella ch’ esser deve una analitica biblioteca europea. Noi ci diamo a credere che questa rivistà sia fotta per esser messa a livello di quella d’ Edinburgo co- tanto meritamente famosa, ed anco a far nascere alcune di quelle pretensioni nazionali che questa troppo spesso deformano; ma noi vorremmo piuttosto vedere i francesi gareggiare coi loro vicini in una maniera più nobile e più conforme a quel che sappia- mo della loro socialità, e della loro cortesia . Possono certamente le due nazioni con pari vantaggio eternar sofistiche controversie e affettate allusioni. Nondimemo abbiam fondamento di sperare qualcosa di meglio da persone, che generosamente s’ inoltrano nel seritiero della verità. Atti di ostilità simili a quelli, de’ quali abbiamo parlato, dovunque si usano, altro non fanno che man- tenere i miserabili pregiudizi, e le ingiuste antipatie, senza re- 525 care alcan piacevole resultato. Quello che ottengono di più vero si è il disprezzo e lo sdegno di ogni lettore che rispetta sè stesso, lo spirito del quale non è limitato dalle divisioni geografiche, che separano le diverse contrade; nè ha il cuore ammorbato dalla sanguinaria ambizione dei potentati. Nò! che piuttosto i francesi alla politica speciale oppongano la filosotia; ch’ eglino irrevoca- bilmente assicurino il trionfo della filantropia sul patriottismo esclusivo! Possano essi accuratamente conservare quel medesimo genio che produsse lo spirito ‘delle leggi; il contratto sociale; l’ enciclopedia, il codice civile, ed altre opere del medesimo ge- nere, che abbracciano l’ intera umanità! Soprattutto, ch’ gtlino non abbiano invidia della. sorte di alcun popolo della iaia Ohimè! Se eglino tollerato, non avessero, che questo. spirito si fosse pervertito con un insaziabile bisogno di conquistare; se non avessero deviato dal primitivo scopo ‘della loro rivolazione in eterno memorabile nei fasti dell’ uman genere; s’eglino si | fosser preservati da quel ciarlatanismo politico negli ‘andati tempi funesto cotanto alla plebe d’Atene, alla quale lungi dal suol natio egli additava la felicità ; s’ eglino non si fossero lasciati strasci. nare dietro a quello instancabile cacciator di nazioni, insaziabile di caccia e di bottino, se alla perfine fosse loro venuto in mente, che il difender Parigi era una gloria infinitamente maggiore che l’ insignorirsi di Moseni dea noi non diciàmo;che adésso l'Eu- ropa sarebbe genuflessa a’ loro piedi (e sia pur lungi da noi questo pensiero ); ma non abbiamo alcuna difficoltà:di affermare, che il mondo intero avrebbe salutati i francesi col nome di 2 beratori del genere umano; che il rispetto ‘delle nazioni loro garantirebbe oggidì l’ inviolabilità del territorio, quanto può es- ser; essa garantita dalla energia dei suoi abitanti, e che le rela- zioni dei francesi collo straniero principalmente consisterebbero in un felice cambio di beneficenza e di gratitudine. Risposta dei compilatori della Rivista ‘enciclopedica. Noi ringraziamo. gli onorevoli estensori della gazzetta di Calcutta di quanto essi dicono di lusinghiero per noi; ma con rammarico noi vediamo quanto eglino vadano errati sullo scopo della Rivista enciclopedica. La mostra intrapresa è nazionale, poichè, se i nostri talenti corrispondessero alle nostre mire, ella farebbe onore alla Francia ; ma ben lungi dall’ avere quel patriot- tismo esclusivo e cieco, che' differisce dal patriottismo illumi- 526 nato quanto l'egoismo è differente da un giusto amor di sè ‘stesso; ‘ noi siamo ai principj della filantropia invariabilmente fedeli, Do- vunque sì trovi un uomo occupato del bene dell’ umanità, noî ravvisiamo in quello un amico; noî cerchiamo di conoscere i suoi travagli per propagarne i resultati, e per richiamare sopra di Iui quella gratitudine ch’ egli merita. N n v'è forestiero per il filantropo ; non vi sono che due-sole specie d’ uomini, gli amici ed i nemici della civilizzazione. Tali son sempre stati, e tali sempre saranno i nostri principj: felici se i nostri sforzi affret= tassero di qualche istante quell’ epoca, nella quale queste grandi famiglie del genere umano, che popoli appellansi, tra di loro pacificamente cambieranno i frutti dei loro lumi e della loro industria . Ampurco. Stabilimento di beneficenza, Il magistrato e la cittadinanza della città d’ Amburgo si son tassati ad una somma di 800,000 talleri moneta corrente (3,200,000 franchi all’ incirca) destinata alla fabbrica di un nuovo spedale per i poveri amma- lati. Gli abitanti di Amburgo sonosi in ogni tempo segnalati con veramente affettuose prove di carità; ed in quest’ ultima. occa- sione hanno mostrato tanta premura, che merita d’ esser citato il nobile esempio dei loro generosi e benefici sentimenti. Ap presso di loro quasi non trovansi poveri senza pane, senza vestì e senza fuoco, nè malati senza soccorso: l'estrema povertà è sconosciuta nella città, ed ogni uomo capace di lavorare, vi tro- va da occuparsi. Ma non v' ha forse nulla di più perfetto della ‘organizzazione della ‘casa degli orfani, nella quale più di $oo «fanciulli dei. due sessi sono allevati ed ‘istruiti con tanta dili- genza, che la miglior raccomandazione, ch’ glino possano avere per trovar da impiegarsi nell’ uscire da questo istituto; è quella d’ esser ivi-stati allevati. Gl’ impieghi ch’ essi debbono occupare son quasi sempre fissati anticipatamente, o sia nel banco d’ un mercante, o nella bottega d’un artigiano, o per servitore di una riguardevol famiglia; ognuno entra nella sua nuova carriera con un corredo abbastanza completo, ed una piccola somma; fruttò dei risparmi che per esso hanno fatti gli amministratori: Que- sti son presi nella prima classe degli abitanti, e non harino per ricompensa dei loro servigi che la gratitudine degli orfani, e la stima dei loro concittadini. Nell’ anno 1597 fu fondato questo benefico istituto; ma dopo circa due secoli lu casa minacciando 527 ovina, fa costrutto nell’ anno 185 un nuovo edifizio, più vasto «@ più comodo, Da quell'epoca in poi gli amburghesi hanno rad- doppiate le premure onde perfezionar sempre più un così bello stabilimento, che oggi può servir di modello. MUNICH. /nstruction publique. Istruzione pubblica. Il gior- male. tedesco intitolato Morgenblatt dà 1 appresso sommario dell’ attuale statò delle saugio pubbliche a Monaco. Il collegio «ed il liceo, dedicati ambedue alla istruzione classica, sul principio .di quest’ anno avevano circa a mille scolari. Le scuole elemen- tari e popolari erano frequentate da 5,200 fanciulli .. Le scuole gratuite della domenica e dei giorni di festa, fondate da venti- cinque anni in qua per le serve e per le altre fanciulle, le quali non hanno avuto nè istruzione elementare, nè imparato a lavo- «rar d’ago, queste scuole di una utilità morale così grande avè- vano ioltre a mille allieve. Le. scuole gratuite del ‘medesimo genere fondate da venticinque anni in poi per i giovani che im- parano non solamente a leggere, a scrivere, el’ ‘abbicò, ma al cora gli elementi del ila, e della meccanica pratica, erano frequentate da 1,380 garzoni di bottega principianti, e da 350 «lavoranti di ogni arte.- A norma di questo sommario non riman quasi persona a Monaco, che non abbia ricevuta e non riceva . qualche istruzione, poichè in una popolazione di circa a 40,000 individui, vicino a 9,000 vanno alle pubbliche scuole . SvizzeRA. Educazione.de’ poveri. Se la scuola-dei poveri d’ Hoffwyl prova in grande l’ influenza di una educazione mo- rale, è cosa di fatto, che si potrebbe ottenere i medesimi risul- tati in piccoli stabilimenti. Esiste una povera donna, che sì è dedicata ad allevare degli orfani infelici, non avendo altra ri- sorsa che le carità pubbliche e private. Ella ne tiene otto, e gli mantiene tutti; come pure mantien sè stessa, con ventinove franchi il mese; la pizione le costa quattro franchi il mese; nè gli resta un dats il giorno perdil nutrimento di ciaschedun in- :dividuo; tuttavia i fanciulli stanno ottimamente, e nulla annun- zia la miseria nel loro esteriore. Questo miracolo d’économia è superato ancora dall’abilità, con cui questa donna rispettabile si fa ubbidire, e giunge a dare ai suoi allievi 1’ abitutline all’ or- dine, alla pulizia, come pure il’ gusto al lavoro: essa agisce per istinto alla maniera di Lancastro, facendo ‘esercitare i più pic- 528 coli dai più. grandi. Sarebbe forse difficile il trovare in ogni di» stretto qualche istitutrice di tal genere, che servirebbe per due o tre villaggi, e a cui si somministrerebbe un alloggio, delle legna, ed un poco di terreno che i fanciulli aiuterebbero a col tivare? Il governo potrebbe animare simili stabilimenti, accor= dando w premio alle comuni che li formassero. Ecco alcuni dettagli sullo stesso soggetto. La vedova Rumph'in età di 70 anni, che dimora presso Bethusy, mantiene con meno di 30 fr. il mese cinque ragazzi, e tre bambine . Questi fanciulli sono no= tabili per la loro aria svelta, la loro cera allegra, la loro aggiu- statezza, e la lor pulizia . La vedova Rumph bha fatti 15, figli, e ne ha allattati dani LonpRra. Modo di'conservare le preparazioni anatomiche. Il sig. Cook ha scoperto che all’ alkool, di cui sì fa nso per cone servare degli oggetti di anatomia, può sostituirsi una soluzione saturata di muriato di soda ‘o sal comune; prendendo circa tre libbre di sale per quattro pinte d’ acqua. Questa scoperta è importantissima ; Rertitlatointo per l’ Inghilterra, e per i paesi in cui lo spirito di vino è è più caro che in Francia; così per essa il sig. Cook ha meritato la medaglia di argento dalla. .s0- cietà delle arti. Fine del VI. fascicolo € del tomo II, Si correggano i seguenti errori . Pag.370 v. 6 nazione . | corregasi —regione 460 v..19.., Zanurio Lanuvio 454 not. f. .. de’ primi wi e primi 468 v. 4 dal prin- L11009 cipio del discorso fattura... ©... ; “pittura Ù. 474 v.'24,:25 questa scrittura queste scritture 479 v. 4 » € oggimai } | è oggimai fe N Dil Bo DB: L L'E» MA:T ERE: CONTENUTE NEL TOMO SECONDO. (RIDE: i : Dolphin 3 LI If } ) 4 / È è Pi É ì i\igrar) Ù Avviso ai lettori che annunzia un cambiamento “di sistema nell’ ordinamento dell’ Antologia . PATTANTENOII SCIENZE MORALI, E POLITICHE. $ DIDBIARIYU04Z9N i; wi ; ; : FILOSOFIA MoRÀLE. Rudimenti! di Filosofia morale per uso © degli studenti dell’ Università di Edinburgo {' Articolo originale del’ Professor Pai led: "i uortissx Dopo 73 Ecoxomia. Lettere di S. Yàmes, sulla situazione» &ednomico» politica dell’Inghilterrà ( traduzione i eatipaiile - ‘Storia critica , e ragionata della situazione dell'Inghilterra nel 1815. del Sig. Montveran ( traduzione dal‘Francese). 438 STORIA. Aly Hissas di Tepelehî' Bassà di Jannina + Pro- o spetto storico., e politito "di Maltebrun (traduzione). 219 EDUCAZIONE . Lettera di Michele Colombo parmigiano, int ‘* torno ‘al regolamento degli stadjd’un’gibvanetto. di buona: nascita -- ‘Scuola ‘dei padri, e ‘delle >» madrivdi Famiglia istituite a/Livorno dal Sig. Federigo' del Rosso » { (articoli originali di Antonio Benci ). 54 'Gasa degli Orfani in Amburgo. ; mat 52.6 Educazione ‘dei ‘poveri (Svizzera Ji Het olo) ) Sh7 | Istruzione pubblica (‘Monaco ); > mush. wator 527. Ot ) oi toa loj Hoh sr for Sara T A » | GEOGRAFIA ,' VIAGGI EC!» dl O 0 LAc L) ours i IO, 4) VIAGGI IN NUBIA del defunto Burkhardt: pubblicati dalla ‘ ‘‘’ Società pér promuovere le scoperte “delle ‘parti interne | dell’ Affrica' ( traduzione dall’ Inglese ')}v iu trr. 349 "VIAGGIO di scoperte; e dî circum navigazione eseguito» dal» È Sig. Cap. Freycinet, comandante dell’ Urania, corvetta del Re di Francia ( traduzione dal Francese )). rrascia r 2 di a: SAGGIO ISTORICO\SU/ commercio se la navigazione del mar nero; ossia vi aggio, ed intraprese per stabilire relazioni di commercio fra i porti del mar nero, ed il mediter- . raneo; del Sig. Anthoine, Barone di S. Giuseppe ( tradu- zione dial ‘Francese ). . 152 Annali marittimi e coloniali, opera fortodizal francese . 156 Nuova spedizione Inglese ai mari polari. dg. 158 Spedizione russa nella Bucaria. 159. 334 Societa geografica di Vienna. , Jas imocabelhio LETTERATURA. I Dell’istoria d’Italia di n Francesco Guicciardini alla * miglior lezione titotta dal DPR G. Rosini di Pisa ( ar- ticolo originale ) rob ‘è Volgarizzamenti ef dell E neiafe di Bityitio, tradnadini di essa fatte da Annibal Caro, da Vittorio Alfieri, dal CI Padre Solari, e volgarizzamento. nuovo di M. Leoni ( articolo, originale di A: Benci ).. 164 Storìa lei dei; tempi di mezzo, degli; ultimi anni delli impero d’Augusto, fino al risorgimento delle lettere nel secolo XV. , compilato dal Rev. friysenpe Berington ( articolo: originale. di 4. Bencz Vi; 201 Saggi diversi di. ‘Goffredo Crayon ( Trad. dall’ Inglese )e 228 Elogio di Lorenzo Pignotti scritto (da. A. Benci (1) . 337 POESIA. Epistola di Sa/fo a Faone (: Maaduzione libera del Prof. Niccolini ). ; 131 Poesie di Luigi Borrini. 308. 491 - + FiLoLoGIA. Articolo relativo al. Focabolario siti. Crusca È comunicato da un Accademico fiorentino. lic dci Lettere all’ Editore dell’Antologia ( sottoscritto Druso). 305. 489 Di Cennino Cennini: Trattato della pittura, pubblicato dal Cav. Giuseppe e di Roma ( Ara originale edi A. iBenei )a stili 1367 Discorso; recitato nella i E] Cunlunbazié dl Prof. farti 416 Maniera per imitare i Manoscritti. orientali , in Parigi. 522 Società per J imitazione dei manoscritti orientali in Monaco, 1593 (1) Alla pag. 345: v.\a: principio del deeimo sesto correggasi finito del de- cimo quinto. E pag. 365 v. ult. sedere correggasi se derse BELLE ARTI. Opere d’ architettura in Firenze . Anno s6an. ( articolo originale di 4. Benci. ). 76 "Opere di pittura in' Firenze . Anno 1820. ( lit originale di Ant. Benci. ) ‘86 Annuario della scuola di pittura , o lettere sull’ esposizione . di Parigi del 1819. di Keraz,y (traduz. dal Francese ). 313 Gonsiderazioni sulle opere che restano dell’ antica pittura e delle prime età dell’ arti risorte in Italia ; discorso L del professor Petrini. Ì 458 Di Vitruvio , e di Plinio, e dei documenti relativi all'antica pratica di dipingere, conosciuti per le memorie degli Scrittori del medio evo , e dei primi tempi dell’ arti ri- sorte : discorso II. del prof. Petrini. | 468 SCIENZE NATURALI, ‘Brevi osservazioni sull’ isola di Madera , fatta nel tragitto da Livorno a Rio-Janeiro da Giuseppe Raddi (articolo originale ). 259 “Veduta dei progressi della scienza Chimica dalle prime età fino alla fine. del secolo XVIII. dissertazione del Sig. Tommaso Brandi, posta in fronte della prima parte del 3. Vol. dell’ Encielopedìa britannica ( estratto del prof. Gazzeri ). 275 Lettera del Sig. Marchese Cosimo Ridolfi relativa alle re» ol. centi esperienze elettrico-magnetiche.. i 481 Esperienze elettrico-magnetiche fatte in Modena. 516. AGRICOLTURA. i Memoria sopra le assemblee georgiche in Inghilterra : del «i Prof. Husard (traduzione dal francese ). i 103 i MEDICINA. "Sulla malattia conosciuta col nome di Gozzo, o Struma : av- viso medico del D. de Carro di Vienna. 332 { 4 Rimedi contro l’ /4rofobia ( Londra ). 523 Modo di conservare le preparazioni anatomiche . 5,8 ARCHEOLOGIA. x n sii 415 i o NumISMATICA. Opera del prof. Sestini ( sottoscritto Z. )» 4946 | VARIETÀ”. Morte d’un Viaggiatore Francese, caduto nel’ cratere del Vesuvio, lettera del Bots. Gimberant; 5 Estratto della gazzetta di Calcutta. | |" © ° 524 | RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI. LIBRI ITALIANI . omostesia Penale di Raffaelli ( Napoli ) 160 Racconti del vecchio Daniele, tradotti dail’ Inglese ( Pisa ) 328 Il Cadmo. Poema del prof. Bagnoli ( Pisa ). 328. 510 Memoria sopra il metodo di estrarre la pietra dalla vescica, di Vacca Berlinghieri ( Pisa ). 329 Geografia moderna universale di G. R. Pagnozzi (Firenze). 329 Dei Delitti, e delle pene di Beccaria - manifesto di. una nuova ediziona ( Firenze ). Sur L’Italia avanti il dominio dei Romani,di Micali ( Firenze). 513 Storia pittorica dell’Italia, dell’ Abate L. Lanzi. 514 Biblioteca Italiana portatile ‘(Firenze ).. 515 Della Villa di Marte , casa, e lari dell’ /mperatore Perti- © nace; del Cav. Sig. Deabbate ( Alba in Piemonte ). 515 LIBRI FRANCESI. Zstoria dei Francesi di Sismondi . 330 Nuova Biografia dei contemporanei, di Arnault, Jay, Jouy. 330 Le Pandette di Giustiniano messe in un nuovo ordine: di. Pothier . 499 Esposizione ragionata della /egislazione commerciale di Vincent . 500 Dizionario storico critico di Bayle. Sor Manuale del dilettante di stampe in rame, di Joubert. 502 Il Fauno francese, o storia naturale degli (imali che si trovano in Francia. 504 Viaggi in Egitto, e in Nubia , di Belzoni. 507 Viaggio nella plain e ol ida di Caillaud . 507 bi È Y È È RA % LI À Coi È i ri DI Ù à: È 12 è Ù DO? È MID “n * v se Ù è È wi. î ‘ 4 ate di "Ba . 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