n se (i an? _ © da. i w i eee a E° ana TIT. tai e > L'% "A Pi Te i, vi A’ aser” n . a i 430 A Po 7. I 1 "assi ‘Na sa Le Xe ni Pa è» î — iS - w AI dr i aa, A REATI Ri rr SIOE è sE È fi i Tasti È a - I . E l dl di i ui l'as, si MI cd INTESI i, 4 ade ye È ‘a ‘0 T8/ Be nr i 2" - a e A tal SU . : i 4 fa to CC nia cet : ll Pa , GIORNALE. vi. (ca 0° DEE Sagl O SOLENZE, LETTERE E ARTI. . da %, 58 : 2. Ottobre ) do . - Se "Ario to Val 3° Di ci ima d) P. VIEUSSEUX | o ii ©. Dirertore x Epirons. x “TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI |». La ANTOLOGIA si. pula a ogni. mese, per fascicolo’. ‘non minore, di 10 fogli. Tre fascicoli compongono un volume, ed ogni. volume, ‘è accompagnato da un indice generale o ‘materie. Le SORA si SIT So In Frenze, dal Direttore- Editore G.. P, PIGsvcat: dalla Spedizione delle Cassetta in Miavo, per tutto il regno. Lombardo Veneto. gr VI.e R. Direz. delle Poste. in Torino o-GENOVA Spedizioni delle Gazzette, presso la .R. Direz. delle. Poste presso Gem. Vincenzi e C+ libr. resso il sig. Derviè sotto direttore delle. Poste r tutto lo Stato Pontificio , presso il sig. Pietro Capo bianchi, impieg. nell’Ammini straz, gen. delle Poste Pontif in NapoLi; 5. presso i sigg. MW. L sa nholds, e C.° — — resso il sig. £. Grudsi 5 ‘028 dei sig. Lensiti eCo. 3 in GivevrA presso J J.Paschoud. | in Parigi presso Barrois e di Rue Seine N.° sa “ presso Cc. F. Uol N; 41 Paternoster no per tutti. li Stati Sardi, ‘alle respettive Direzioni: delle in MopENA in PARMA in Roma pe in PALERMO, per tutta la Sicilia in LONDRA Sari E ACTA ANTOLOGIA OTTOBRE, NOVEMBRE, DICEMBRE 1025. TOMO VIGESIMO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI, MDCCCXXy ML Mi 4 " MACRO 7 : rd ghe PRE id fo TLT PO I ì Mateo OA ATA TROPEZ » Sg We r, CNC" i x / vu } i! ì earn leg N RIO Pu NE LAVA da i ire MALI “ LARTO I PARERI LO TASSI BRA LÀ x * ANTOLOGIA N.° LVII. Ottobre, 1825. [1 —s-;----<*«’—’P—’‘’’@———@ Intorno àd una lettera di Pietro Giordani. Ad un amico suo in Toscana GIUSEPPE BIANCHETTI. IL rivolgo da qualehe tempo ed agito nell’animo una sen- tenza di Pietro Giordani. Vorrei acquetarmi all’autorità di tanto scrittore : ma confesso liberamente di non averlo ancora potuto. E però desidero venir ragionando alcun poco con voi, ottimo amico; questi miei dubbi, affinchè vediamo se mercè il vostro sapere io trovi modo da sciogliere la mente e riposarla nell’ una o nell’ altra delle contrarie opinioni. In questa lettera che Giordani scrisse non è guari al March. Gino Capponi, stampata nell’ Antologia di Firenze, egli disegnando l’ immagine di un perfetto scrittor italiano, toccò brevemente le condizioni da lui credute necessarie a comporla. Per alcune di esse domandava il fayor della natura, per alcune dell’ar- te, per alcune della fortuna ; e a quest'ultima chiese specialmente la nobiltà e la ricchezza. Io non fui mai tanto stoltamente avverso . a’ beati posseditori di tali benefizi del caso per darmi a pensare, che ad un nobile e ricco fosse assolutamente disdetta l’ eccellenza dello scrivere. Ma fra le cose delle quali avessi creduto convenevole di pregar la fortuna , perchè mi rendesse meno scabra ad un futuro la via di acquistarsi la potenza di ottimo scrittore; confesso che non wi sarei mai prima d’ ora immaginato di doverla richiedere di que- ste due. Stimava che l’alto grado e il molto denaro potendo ficilmen- te preoccupare gli affetti di un giovane , facilmente potessero infas- tidirlo della fatica , e distoglierlo dal grave peso di meditar il vero , e da quello forse più grave di trovar modi addetti per imprimerlo nelle menti altrui. Stimava che la natura dell’uomo , troppo già per sè medesima pieghevole ai presenti diletti ed ai sensibili piaceri, quando per giunta ne foss’ eccitata dalle pronte occasioni , difficilis- simamente potesse sciogliersi da’ loro legami e resistere alle loro lu- singhe per affaticarsi di giungere tra infiniti travagli al godimento 4 di un bene, ch’ è tutto proprio dell’ anima. Stimava che il più age- vole partito ad abbracciar sicuramente il vero stesse racchiuso in quel consiglio , che davano a’ giovani alcuni antichi, di liberarsi quanto più presto era loro possibile da tutti gl’inciampi delle umane fortune , affinchè potessero così sciolti da ogni impedimento cammi- nar meno disagiatamente il faticoso cammino della sapienza. Vedeva nella grandezza e nella ricchezza due cose , le quali congiungendosi alla fragile natura dell’uomo , ed allargando, per così dire, e dif- fondendo la sua persona, troppo facilmente ne avrebbero ingom- brato l’animo con infiniti desiderii, con infiniti timori , e troppo facilmente distoltolo dai pericoli di scrivere l’odiato vero. Vedeva per contrario che non tanto penosamente avria potuto farsi corag- gioso a questa grande impresa , quegli il quale possede la sua vita tutta ristretta in sè medesimo, e non presenta che brevissimo lo spazio dove possa colpirlo lo strale della sventura. Vedeva che la grandezza e la ricchezza si attengono a’luoghi, a tempi, a circostan- ze, a persone dalle quali l’ nomo con immensa fatica sarebbesi po- tuto superare. Vedeva per l’ opposto in un sommo scrittore una certa necessità di trovarsi sempre in tali condizioni che il faces- sero prontissimo a trasportar la sua vita nel faturo, a veder la sua patria nel mondo , la sua fortuna nell’’indipendenza, i suoi compagni negli amici del vero. Queste cose io stimava e vedeva , o pregiatissimo amico, per- chè ho pur sempre veduto e stimato , che l’ eccellenza dello scrivere non fosse nei canori suoni di misurate parole , o nelle leggiadre cian- cie di forbite prose; ma in quelle carte , che in liberi o legati discor- si, registrano alti pensieri utili agli uomini. Onde parevami che ad un giovane uscito di grande e ricca famiglia fosse necessario che si dicesse:—La fortuna ti collocò inluogo bastantemente difeso da mol- te miserie che percuotono le umili turbe. Tu potresti non toglierti. alcuna fatica, alcun travaglio al mondo ; e tuttavia godere assai di quelle cose, che sono maggiormente bramate ed invidiate dalle gen- ti. Ella. ti diede già di che condur comoda e tranquilla la vita : ti diede grado che con pochissime e facili arti verrai a conservare e ad accrescere : ti diede arbitrio di quel divino metallo , al cui fal- gore abbagliata la magra e studiosa plebe, s’ inchinerà al tuo nome, correrà al tuo cenno prontissima ad effettuare ogni tuo desiderio. Per giunta'avrai di leggeri, volendo, anche la fama di sapienza e di virtù ; perchè i mediocri scrittori da te protetti, a buon mercato ti celebreranno per sapientissimo e virtuosissimo : e il volgo peco- rone a’ mediocri scrittori (e perciò quasi sempre imbroglianti) batte le palme, e ad essi unicamente crede. Ma non è questo a cui ti chia- de d ma il mio consiglio. O giovane ! calca con sicuro animo tutt’i favori della sorte : contrasta al potente invito delle passioni , e ai facili modi di secondarle : resisti alle lusinghe del mondo, agli esempi dei tuoi simili, a quelli della tua famiglia : disprezza le superbe ripren- sioni; i maligni sorrisi che ti si faranno d’ intorno : disprezza ogni più bramato diletto:, ogni più ambito onore della gioventi : ritirati nella solitudine, e là con diurna e notturna fatica medita senza posa le grandigrerità utili al genere umano. Quindi fatto destro per lun- ghe e sudate prove a trattar le difficili armi , esci in campo, e com- batti la battaglia degli innumerevoli errori. Ti verranno di fronte assai di quelli che sono cari alla moltitudine , assai di quelli che sono cari ai forti: contro di questi tu dei specialmente renderti co- raggioso , e menar a tondo la spada senz’ alcuno rispetto. Ti appa- recchia poi in premio del tuo santo ardire e del tuo generoso trava- glio a sostener la seconda guerra che facilmente avrai cogl’infiniti odii dei tristi , colle infinite persecuzioni de’ potenti, colle infinite brighe delle privilegiate classi. Ti apparecchia a sostener anche la terza e forse più cruda , la quale ti presenteranno continui i non voluti e pronti diletti , gli obliati e vicini onori, e tutti i vilipesi doni della tua condizione; perchè se agli scritti non consuona il tuo vivere , ti ricorda che avrai fatto opera vana', giustamente derisa e disprezzata. — In questa 0 somigliante forma mi sembrava necessario che dovesse parlare un precettore ad un ricco e nobile giovanetto , di cui non volesse farne nè un verseggiante, od un novelliere per graziose donne , nè un 'orator da accademie, nè un magro racco- glitor di sterili erudizioni , nè un disputator di parole, nè altra cosa simile da donare all’Italia , che già troppo a sua vergogna ( per non dir a suo vitupero) abbonda di tali meschinissime ricchezze. Or io domando : quanti de’ giovani nati in larga fortuna di grado e di danaro , udiranno volentieri un sì fatto discorso ? quanti si mette- ranno nello scabro sentiero da esso predicato? quanti dureranno alla fatica ed ai pericoli di quel lungo cammino ? Certo se io consi- dero la natura dell’uomo, e il potere che hanno sopra di lui le circostanze, e gli accidenti delle cose, credo che pochissimi; e a questa considerazione dà una forza incontrastabile la storia, la quale dal risorgimento delle lettere e delle scienze fino a questi giorni, appena cinque nomi potrebbe forse ricordare di eccellenti scrittori che si trovassero nelle condizioni delle quali parliamo. Al contrario non mi pareva, e le storie non mi davano per tanto difficile ad ascoltarsi il discorso che si potrebbe tenere ad un giovinetto di oscura e povera nazione. Diciamogli: colei che tiene tra le sue branche tutti i beni del mondo , ti negò ogni 6 modo di giungere a possederne alcuno. Ella ti confinò in luogo dove piombano tutti gli strali che le grandi e le ricche ignavie scagliano contro alle operose , alle umili, e però disprezzate sor- ti ; in quel luogo dov’ è mestieri che un'infinita gente vada stri- sciando affaticata in cento guise diverse per sostenere la sua tra- vagliosa ed oscnra vita. Forte è certo il danno che costei ti fe- ce nell’ opinione degli sciocchi ; ma più forte in quella de’ savi è la vendetta che tu puoi prenderne. Coraggio o giovane. I di- letti de’ quali ti è concesso godere sono pochi, i più scarsi, i più ‘fagaci : riuncia anche a questi. Le fatiche e i travagli che do- vrai durare saranno pur sempre molti e continui: abbiti il corag- gio di accrescerli alcun poco.' Disprezza quel sorriso che lunga - mente sospirato ti potrebbe dar forse la stolta Dea: disprezza le vili arti mercè le quali potresti forse guadagnarlo : combatti arditamente con lei. Avesti dalla natura alto e potente ingegno: ti adopera con ogni studio intorno ad esso. La fortuna ti fece povero di denaro; e tu verrai ricchissimo di sapienza : ella ti confuse colle umili ed inonorate turbe delle genti ; e tu, ti farai superiore a quelli stessi che furono da lei maggiormente predi- letti: ella ti negò le compiacenze delle passioni ; e tu ti procac- cierai i sublimi conforti dell’anima : ella ti tolse il potere di signoreggiare lo stolto e timido volgo; e tu acquisterai quello più umano di farti utile a lui. Questi splendori della fortuna che or vedi aggirartisi d’ intorno superbi della lor fatua luce , si dilegueranno in brevissima ora senza che di essi rimanga al- tra memoria che un poco di fumo ; e tu potrai prolungarti eter- na ed onorata la vita negli avvenire, e far che i figliuoli di co- loro stessi ch’ ora ti disprezzano, benedicano un giorno il tuo nome, e s’ inchinino alla tua immagine. Coraggio dunque o giova- ne. Il misero, lo sventurato Dante è nelle bocche , ne’ cuori , nelle menti di tutti gli uomini: chi ricorda or più i grandi e i ric- chi di quel tempo, se ne togli i pochi ch’ egli si è degnato di nominare nel suo poema? ,, Queste o simile parole , ch’ altri fa- ceva ai poveri ed oscuri giovani , o pur essi fecero a sè medesi- mi, ebbero potenza di dare ad ogni secolo e ad ogni popolo più che un qualcheduno , in cui si adanassero tutte le qualità di un sommo scrittore. E certo se noi vogliamo, o pregiatissimo amico, correre tutte l’ età e le provincie d’ Europa , noi potremo cer- tificarsi che non alla forza del primo , ma a quella del secondo discorso , si composero tatt’i più grandi uomini che istruirono il genere umano, ed onorarono il loro tempo e la loro patria. L'uomo si adagia volentieri nelle condizioni credate felici , e vo- 7 lentieri si riposa ; poichè dalla natura egli ebbe di esser nemico della fatica, Ma nelle povere e sventurate condizioni nelle quali il faticarsi è pur sempre necessario , non è sì malagevole che fra i tantissimi nasca di tratto in tratto chi' voglia mettere ogni suo sudore nella grande impresa di meditare il vero , e chi senta nel- l’ animo il coraggio di pronunziarlo. Il qual coraggio io penso che tanto meno djfficilmente possa essere nell’ uomo , quanto più egli è libero dai legami che ‘incatenano l’ universale degli uomini. Nè perciò mi sottoscrivo alla dura sentenza degli stoici, o a quel- la durissima di Epiteto. Consenta pure qualche cosa il sapiente agli affetti che gli sono inspirati dalla natura: ma vorrei che nulla fosse obbligato di consentire a quelli che gli potessero essere gettati nel cuore dalla fortuna. Perdono agli scrittori greci , i quali sotto alla tirannide de’ governanti romani si tacquero per timore de’ figliuoli o de’ parenti : ma non posso perdonare a co- loro che si tacevano per timor del grado o della roba. E pure ( 0 cosa incredibile ! ) questi furono i più : tanto le immagini crea- te dalle abitudini civili , vantaggiano i sentimenti naturali, e tanto è raro di trovare chi valga a resistere alle lusinghe e alla potenza di quelle ! Quanto più medito questa materia , o stimatissimo amico , tanto più mi riesce di quas’ impossibile effetto la speranza di ave- re ottimi scrittori da giovani nati in fortuna di grandezza\e di ricchezza. Non vorrei che mi traviasse il troppo amore della mia opinione , e fors’ anche un poco l’ orgoglio di contradire a quel- la di un eccellente e lodatissimo. Ma certo io veggo la povertà e la sventura , che pur valgono ad avvilire il massimo numero degli uomini ; io le veggo a mettere in alcun’ ingegni un non ‘so che di straordinario e di divino. Innalzano l'intelletto a sublimi concetti non offesi da alcuna mescolanza di terreni pensieri : com- muovono il cuore a magnanimi sentimenti non macchiati da ve- run basso affetto : eccitano le alte passioni produttrici delle opere immortali ; tolgono l’ uomo al desiderio delle cose che contentano i sensi , e lo pongono tutto in quello dei diletti dell’ anima : lo allontanano dagli uomini che gli stanno d’ intorno , e lo mettono iv mezzo al genere umano: lo rapiscono ai suoi contemporanei, e lo trasportano vivo nella posterità. Non presuma di toccar l’,ec- cellenza dello scrivere chi non prova in sè medesimo questa forza. Concederò ch’ egli possa dettare scritture anche più leg- giadre s’egli vuole delle vite del Cavalca ,' delle novelle del Boccaccio , delle storie del Bartoli, del Galateo del Casa , degli animali del Firenzuola ; ma potrà egli mai comporre alcuna di 8 quelle opere che si leggono avidamente da ogni classe di perso- ne , che sopravivono alle infinite vicende dei tempi, e che re- cano un perpetuo beneficio a tutti gli uomini ? Già troppo si è. predicato agl’ italiani l’ arte di piacere agli orecchi ; predichia- mo loro un poco anche quella di piacere alle menti. Già d’ inu- tili versi, e d’ inatili prose abbiamo una traboccante, una nauseante abbondanza. Noi stoltameate ce ne congratuliamo ; e gli stranieri giustissimamente ce ne deridono. Noi destiniamo i primi saggi del- l’italica sapienza, e poniamo sul capo la corona dell’alloro a quanti sanno con più arte ricopiare nei loro scritti i modi del trecento e del cinquecento ; e glistranieri non conoscono, e ragionevolmente non vogliono conoscere nè leggere de’ nostri scrittori se non quei pochissimi i quali pensavano alti concetti di buona filosofia. Alle sole opere di questi fu dato poter valicar i mari, passar le alpi, e conservar in diverse parole la medesima potenza: e di que- ste opere veramente ha più necessità che bisogno la gloria italia- na nel cospetto del mondo. Lodo che s° invitino le maggiori fortu- ne a depor dall’ animo le superbie , le avarizie, le tirannidi ; lodo che si persuadano a vestirlo di alcuna gentilezza di lettere ; ammiro il C. Vittorio Alfieri, e più dilui il Principe Gaetano Filangeri , e il March, Beccaria ( casi unici e singolarissimi ! ) ma ripeto che una ragionevole speranza di aver un buon numero d’italiani, i quali rialzino la lor patria nel perduto onore di scrivere alti e generosi pensieri non, può fondarsi che sopra le minori condizioni. Esse tra il fervor delle guerre , tra le discordie de’ grandi che lacerarono ed oppressarono la repubblica , tra le brighe de’ cortigiani nel mal succeduto impero , fecero che l’ an- tica Roma non dovesse portar più alcuna invidia alla greca sapienza. Esse poterono rompere talvolta le sopravvenute tene- bre della barbarie , che oscurarono quindi tutta Italia , e dar pure qualche prova anche in sì avviliti secoli che ogni forza di pensare non era spenta negl’intelletti italiani. Esse quando i nobili rinforzati ne’ loro castelli , non rivolgevano per l’ animo che atroci idee di oppressione e di vendetta , e disertavano con al- legro cuore le città e le provincie italiche ; esse destarono le prime scintille di quel fuoco che mercè le loro fatiche crebbe poi sì forte e luminoso sotto al puro cielo della beata Toscana. Non so quante e quali cose pel vero bene d’ Italia operasse il patriziato nel sesto e nel settimo secolo: ma so di certo che la gloria degli stadi ci venne tutta anche allora dalle povere ed os- cure genti. Queste avanzarono le arti d’ imitazione sì vicine al perfetto che tolsero ad ogni altro popolo fin’ anche il desiderio 9 di poterle sorpassare giammai : queste fondarono la nuova scuola della filosofia europea, e ne piantarono i semi in tutte quelle ope- re maravigliose , che noi abbiamo da tanto tempo vergognosa- mente obbliate , e nelle quali molti stranieri trovarono di che farsi gloriosi ed immortali. Delle presgoti italiane grandezze e ricchezze volentiggi mi taccio. Ma sarà lecito a dire che da es- se certamente non ci viene nè una minima parte del coraggio che pur ancora sentiamo di sostenere la contesa colle altre na- zioni nelle gare dell’ ingegno. Onde se da questo mal vilipeso popolo italiano , sempre quà e là balestrato da interminabili ca- pricci di fortuna , non fosse sorto di quando in quando chi fa- ticosamente si adoperasse a vincere i.tanti e duri impedimenti ; forse, e senza forse le condizioni dell’ Italia nelle cose degli stu- di non sarebbero gran fatto diverse da quelle dell’ imbarbarita Grecia, Giordani scrive che in Francia , in Germania , ed in Inghil- terra sono frequenti i nobili ad onorare cogli studi e coll’ingegno la nazione. Non posso negar questa cosa : desidererei che così facesse. anche la nobiltà italiana; e penso che non difficilmente potrebbe farlo. Ma le sudate opere che si sparsero e. si spargono per il mon- do, e sopra le quali riposa veramente la fama di quelle genti, non uscirono certo dalla penna de’ grandi! e de’ ricchi nè in Francia, nè in Germania , nè in Inghilterra. Non istimo che alcuno vorrà con- trapporsi ai fatti : bensì m’ immagino di udire un’obbiezione intorno ai ragionamenti ; e diranno: Tu contendi la probabilità di poter avere in Italia de’ figliuoli de’ grandi e de’ ricchi il desiderato numero di eccellenti scrittori. Or entrasti tu dunque nello strano pensiero del Nicole , il quale poneva che Iddio mettesse alcuna dif- ferenza tra gl’ intelletti degli uomini nati in isplendida ed agiata fortuna, e gl' intelletti di coloro che nacquero in povera ed oscura, quasi a compensare questi ultimi dei danni recati ad essi dal caso? Pochissimo sarei stato inteso da quelli che mi promuovessero questa difficoltà. Tuttavia aggiungo: non credo che Iddio ponga altra differenza tra gli uomini oltre quella ch'è prodotta dalle cause natarali ; e credo che gl’ ingegni capaci a diventare sovrani scrit- tori possano uscire da qualunque condizion di persone. Ma dico che l’ uomo nell’ infanzia è piccolissimo ‘indizio di ciò che il for- meranno quindi le circostanze , l’ educazione , le passioni. Dico che il sommo dello scrivere si acquista solamente con vita tan- to ardua e difficile , che a volerlo raggiungere è mestieri rinun- ziar a fina: tutti i vantaggi della grandezza e della ricchezza. Dico però esser tanto foga gevole che dalle alte fortune escano 10 n gli ottimi scrittori; quanto è malagevole che la corrotta natu- ra umana si compiaccia di mettere in incredibili disagi quella giovanezza , che potrebbe spendere in invidiati piaceri ; si com- piaccia di aggiungere alle fatiche anche i pericoli in quella vi- rilità, che potrebbe condurre in allegri e sicuri ozi : si com- piaccia di rendere fastidiosa e forse derisa alla stolta moltitudine quella vecchiezza , che potrebbe far riverire ed inchinare,intor-” niandola cogli onori e colla potenza del mondo. 7 Mi accorgo , o pregiatissimo amico, che questa materia si allarga ip tante parti che a ben trattarla richiederebbe discorso an- cora molto lungo. Vorrei aver detto quanto bastasse a .far cre- dere che non mi fosse stato impossibile, nè forse difficile a di- re qualche cosa di più. Toccherò un altro solo punto. Si teme che lo scrittor ignobile e povero possa esser facilmente oppresso. Credo in generale che non tanto la grandezza ela ricchezza salvino gli scrittori posti in alta fortuna , quanto la loro mediocrità. Gior- dani nomina ad esempio del contrario il sig. di Voltaire, il Co. Vittorio Alfieri, e il Bar. di Zach. Ii sig. di Voltaire, non nato ma fatto ricco colle opere dell’ ingegno, non amò con passione alcuna specie di vero cui andasse unito qualche pericolo , scher- zò con tutte le opinioni , scherzò con tutti i vizi, sì tenne cari i forti, e tanto fu pauroso di essere oppresso che si pose nel novero degli oppressori (*). Il Co. Vittorio Alfieri visse e scrisse in tempi nei quali le verità e le generose idee non erano gran fat- to nuocenti a chi le diceva; perchè ( o cosa maravigliosa !) usci- vano alla luce con quella stessa licenza che si era data a tutte le bugie , e a tutti gli strani ed empi concetti. Il Barone di Zach trattò materie assai lontane dalle passioni degli uomini, e però quasi sicure. Sappiamo d’ altra parte che l’ esser nato da una delle prime quattro famiglie del regno , l’esser costituito in uffi- zio, e carissimo al Re , non valse a preservare da’ grande sventura quell’ alto e coraggioso ingegno di Gaetano Filangeri. Ogni uo- mo è debole verso un più forte , ed anche verso molti più de- boli che si credano offesi, e vogliano vendicarsi ; perchè se l'oppres- sione ha tante vie manifeste e da potenti , ne ha seco tantissime di secrete e da vili, dalle quali difficilmente può salvare la grandezza e la ricchezza. Non credo poi , o amatissimo amico , che opprimere uno scrittore tal quale lo disegnammo sia cosa di tanto facile ries- (*) E questa e qualch’altra asserzione , che trovasi nel presente scritto, e powebbe sembrare non ben conforme alla storia , i nostri lettori, speriamo 3 sapranno convenientemente interpetrarla. n 1I cimento. Le paurose e malaccorte turbe delle genti guardano l’ op- pressione solamente nei mezzi che altri usa ad effettuarla,e perciò ne vivono spaventate. La filosofia vuole invece che noi l’ osserviamo e la giudichiamo secondo gli effetti prodotti nell’ animo di colui so- vra il quale è scagliata. Ed ivi guardandola, la vedremo a romperele sua potenza ogni qual volta si ardisca di cimentarla con quella del nostro scrittore. Nov piò essere oppresso dalla povertà chi è nato nella medesima, chi è vissuto con essa, e non ba altri desiderii da contentare che quanti glien diedero i bisogni della natura.Non può essere oppres- so dall’ esilio chi non lascia nè onori , né palagi , nè terre, nè mandre, nè merci, e può facilmente credersi nato in quel luogo ov’ è man- dato. Non può essere oppresso dall’ ingiusto carcere chi è usato a faggire gli strepiti della moltitudine , a godersi le proprie idee , ed a bastare a sè stesso. Non può essere oppresso dal timor della morte chi mise ogni suo studio nell’avvezzarsi ad incontrarla, ed aspetta if vero ed unico suo bene fuori di questa vita. Dirò di più : non può esser oppresso dal disprezzo de’ suoi contemporanei quelli che ha riposto tutti i suoi conforti nel testimoniojdella propria coscienza , nella secreta approvazione dei pochi, e nella speranza della gloria fatura. Occupavi te fortuna atque coepi , omnesque aditus tuos in- terclusi ut ad me aspirare non posses (Cic, Tus. v. ) Se da questi pochi cenni che feci ragionando in pubblico con . voi, ottimo amico; potrò ottenere che qualche sventurato giovane italiano mettendovi sopra gli occhi , non si avvilisca nella sua dura fortuna , o non travii il suo ingegno per amor dei subiti guadagni, ma prenda alcun poco di coraggio a contivuarsi povero ed obbliato nello scabro sentiero che lo condurrà alla gloriosa altezza del pen- sare e dello scrivere ; io avrò avuto quell’ effetto che veramente mi proponeva , e unicamente desiderava, -_—_—__r__—_—_—_—_—_—_—_—_—_—_r___—ttsmsm-—t——t—@—@—@t—@t@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@—@t€@t—@—@—@—@—@—@—@—@tm@ LETTERE DALLA GERMANIA. LETTERA HI. Libri di educazione — Discorso alle donne sull’amo- re per la vita domestica. Stetten 30. luglio 1825. Grave è il soggetto , colleghi ornatissimi , sul quale imprendo ora a scrivervi ; breve è il tempo che posso a me stesso concedere, e però soffrite che senza i soliti preliminari, io entri addirittura 12 in materia parlandovi di alcune opere pedagogiche , che da qual- che tempo mi hanno tenuto occupato. 1 libri di educazione, o considerano l’ educazione privata , o la pubblica , o l’ una e l’altra. — Gli ultimi possono soli dirsi completi, perchè l’ educar )’ uomo per la sua famiglia senza edu- carlo per la società , e viceversa , è un lasciar l’ opera a mezzo ; ma tuttavia i due primi possono essere ottimi per sè stessi, e tali da non lasciare all’ educatore generale altro merito che di saperne ben combinare i principii. Or vediamo se la bontà di queste opere e il merito di averle bene applicate , sì manifes- tino nella società. — Non temo di asserire che l’ educazione pubblica ha ricevuto dai nuovi metodi maggior impulso che la. privata , nè credo difficile assegnarne la causa. L’ educazione privata è dalla natura confidata dapprima alla madre, e quindi ai genitori congiuntamente : la madre ha un di- ritto esclusivo sul primo periodo della vita dei figli ; al padre non può appartenere esclusivamente che qualche parte dell’ istruzio- ne, ma per ciò che riguarda la formazione del cuore, dee sem- pre avervi la madre gran parte, qualunque sia l’ età de’ figli. Supponiamo dunque i genitori occupati del sacro dovere di educa- re i loro figli; qual metodo dovranno essi seguire ? quale. dovrem loro proporre ? Voglia il cielo che non ne abbisognino di alcuno. Il vero metodo è di obbedire alle voci del cuore, l’ unico prin- cipio d'ogni educazione privata è l’ amore. Qual madre tenera e intelligente, vorrà educar dietro un libro gli amati figli ? Quale non crederà poter meglio riuscirvi seguendo i liberi impulsi del- l’ animo suo, senza incepparli negli altrui sistemi ? e se fermamen- te lo creda ed unisca costanza d' animo a spirito coltivato, vi riu- scirà senza dubbio. Ciò che dico per la madre, deve egualmente al padre applicarsi , non facendo io parola de’ libri d’ istruzione , perchè istruzione e educazione sono due cose distinte. Ove dun- que i genitori obbedienti alla voce della natura si facciano gli educatori dei propri figli, ogni metodo di educazione si riduce al principio onde deve emanare, cioè all’ amore. — Ma pur iroppo, o per incapacità ,,0 per indifferenza , o per colpa de’ rap- porti sociali , è raro il vedere che chi diede vita ai figli assuma l’ incarico di coltivarne il cuore e lo spirito. I fanciulli sono affi- dati a mani straniere, e secondo le varie classi della società , o sono mandati alla scuola appena sanno camminare , o istitutori succedono al padre e alla madre. Nel primo caso , i fanciulli par- tecipano dell'educazione pubblica, e la privata è per lo più di / ‘ 13 poco momento per essi : nel secondo, chi succede al padre o alla madre, non solo deve adempirne i doveri, ma anche per quanto è possibile assumerne il cuore. S’ egli si sente capace di farlo, s° egli vede nel fanciullo affidatogli un essere che tutto attende da lui e del qualg dovrà render conto ai genitori , alla società e a Dio, se sente di poter amarlo qual figlio ; allora egli pure può abbandonarsi sicuro agli impulsi del cuore , e seguir quelle leggi che gli detta l’ «more. Ma non da tutti può questo sperarsi : vi saranno ottimi istitutori che vivamente penetrati della grandezza degli obblighi loro, temeranno di confidarsi intie- ramente alle proprie forze , e stimeranno loro dovere di farsi propri que” metodi che sono giudicati i migliori , onde poi farne l’ applicazione sui proprii alunni. — Ecce il caso il più generale in cui sieno letti e ridotti in pratica i precetti contenuti ne’ li- bri che trattano di educazione privata : se ancora aleuni genito- ri ne facciano studio , essi alla fine si atterrano a quel solo che più sia conforme ai proprii pensieri , onde sarà quel libro piutto- sto un amichevole approvatore, o un autorevole difensore del metodo che già senza di esso avrebbero egualmente seguito , che non an rigido riformatore che faccia ad essi cangiar idea sul mo- do di educare i loro figli. Se non vi è errore nel mio ragionamento, credo che possa servire a spiegare perchè sì poco estesa sia l’ influenza di tanti e tanti libri di edacazione privata. — Ma non è così di quelli che hanno di mira la pubblica. E quì parlando di pubblica edu- cazione, vi prego di non comprendere sotto un tal nome che quella ricevuta dal massimo numero de’ fanciulli di una nazione ip pubblici istituti, essendo questa sola meritevole del nome di educazione nazionale. Per decidere dell’ influenza che i nuovi metodi hanno avuto su questi istituti, bisogna fare una distin- zione fra i varii paesi : perchè alcuni si mostrano contrarii ad ogni innovazione , altri seguono la massima di esaminar tutto e ritenere il meglio. Non è certo fra i primi che possono ricer- carsì i frutti dell’ influenza di cui parlo, ma il trovare che in essi o la pubblica educazione è nuila , o riducesi a un’ istruzio- ne elementare limitata a piccolissima parte del popolo, basta a far preferire la sorte di quegli altri paesi, quantunque siano talvolta esposti a un contrario danno dal voler troppo variare ed estendere i loro istituti. E evidente che dove molti devono essere educati ad un tempo, un metodo è necessario ; 1’ amore dell’ istitutore pe’ suoi scolari , e l’idea ch’ egli può contribuire alla, felicità di tanti esseri e renderli utili ai loro simili e alla 14 patria , lo animeranno senza dubbio a ben riempire i suoi doveri, ma appunto per farlo , sarà suo ardente desiderio o di ritrovare o di seguire quel metodo che gli sembri il migliore. Il governo seconderà il suo desiderio, e delle persone ottime per virtù e per dottrina , alle quali è dato il presiedere alla pubblica istra- zione, esamineranno i vari metodi , e senza lasciarsi né incep- pare da quelli che il pregiudizio sembra volere eternare , nè ab- bagliare da quelli che la moda o uno spirito di partito vorrebbe propagare dovunque , adotteranno e faranno severamente se- guire nelle scuole quello che più risponda ai bisogni della na- zione. Lo studio della pubblica educazione a fine di estenderla e di migliorarla , sarà dunque sempre in onore presso ogni na- zione incivilita, e però i consigli frutti dell’ esperienza , i pen- sieri figli dell’ osservazione, 0 i nuovi suggerimenti parti del ge- nio, o dettati dall’ amor della patria, dovranno sempre essere ben accolti e meditati. Ma prima di tutto, come io diceva più sopra, parmi che debba avvertirsi ai bisogni della nazione . Credo che mi conce- derete qual vera sentenza , esser l’ educazione del popolo la sua prima istituzione politica , e se così è debbe essere essenzial- mente nazionale. Io vorrei andar tardo e guardingo nell’ adot- tare qualunque istituzione che venisse da cielo straniero , nè mai dovrebbe riceversi senza modificazioni. Il successo appunto ot- tenuto presso un altro popolo , sarebbe quello che mi convin- cerebbe essere impossibile ch’ essa possa convenire nella sua in- tegrità alla mia nazione. E più ancora che un metodo affatto nuovo vorrei che si temesse una riforma del vecchio appoggiata all’ esempio di altra nazione. Ciò che non rinvigorisce per forza interna non può aver ferma radice , e i palliativi prolungano e non sanano il male. — Fatal dono può riuscir per un popolo quello di un istituto morale, che gli provenga da altro popolo d’ indole diversa , perchè tutto ciò che snatura ‘il carattere na- zionale è cagione di rovina. E perchè dunque (parmi sentirvi richiedermi) perchè dan- que vi siete voi proposto di scriverci sopra libri tedeschi di eda- cazione? perchè far conoscere agli italiani i pensieri e i metodi di un popolo straniero, e tanto disgiunto da essi per natura , per lingua , per costumi , per religione ?. . .. Non mi è diffi- cile il rispondervi: — Vi sono fra gli nomini, sotto qualunque cielo essi vivano , de’ rapporti comuni a tutti; vi è un tratto di cammino sul quale possono progredire concordi come cittadi- ni ‘del mondo; vi è uno spazio determinato sul quale possono 13 tutti abbracciarsi come fratelli e figli di Dio, e in questi limiti possono tutti reciprocamente giovarsi, anzi è loro dovere di far- lo. Or io non so qual oggetto sia meritevole degli sforzi con- giunti di tutti gli uomini, se non è quello del perfezionamento della propria specie : in ogni page ove si educano fanciulli, de- ve riconoscersi in essi la speranza di migliore avvenire, e deb- bono farsi voti che non vada fallita quella speranza , e ai voti debbono unirsi i più costanti sforzi per vederla realizzata. Molti uomini di genio e di virtù si sono ne! nostro secolo occupati della nascente generazione , e senza attenersi soltanto a belle teo- rie, hanno consacrata la loro vita al nobile scopo di ridurle in pratica. Vi sono de’ metodi che sotto ogni clima e in ogni parte del mondo , nelle Indie come nel nord dell’ Enropa e dell’ Ame- rica hanno mantenuta egualmente la loro eccellenza ; essi sem- brano. appartenere al mondo intiero , ed atti a naturalizzarsi presso a ogni popolo che sappia opportunamente modificarli. Eppure questi metodi sono poco curati in Germania, e questa sola circostanza dovrebbe chiamar la nostra attenzione sugli isti- tuti di educazione de’ tedeschi, e sui principii pedagogici sparsi fra:di essi. Certo non è per ignoranza di que’ metodi, ch’ essi m.0- strano poco ardore nell’ adottarli, perchè un gran numero di opere d’ illustri scrittori fanno fede ch' essi pienamente li cono- scono , e che non pochi ancora li apprezzano : anzi non man- cano istituti in cui sono seguiti, ma in generale sembra che i tedeschi stimino l’ edacazione del loro popolo già pervenuta a un grado troppo elevato, e troppo universalmente diffusa , da più abbisognarle. Io non esaminerò se jabbiano ragione o nò , ma certo non posso ritenere la mia ammirazione quando consi- dero quanto si faccia in Germania a prò dell’ educazione ; quan- to i governi la incoraggiscano, e quanti scrittori lavorino con- tinuamente a perfezionarla e ad estenderla. — E alcuni s’ indriz - zano particolarmente alla propria provincia, altri prendono di mira l’ intiera Germania , altri infine parlano non meno che ai loro compatriotti anche agli altri uomini, e in modo che ben do- vrebbero esserne uditi. — Or è di quest’ ultimi ch’io procurerò farmi interprete , e a poco a poco cercherò di farvi conoscere le loro opere migliori, non dandovene una fredda analisi, ma estraendone squarci opportuni, e scegliendone qualche pensiero che possa offrir materia ad utili considerazioni. Nè mi limiterò ai libri, ma più mi sarà grato il condurvi meco negli istituti me- desimi ove que’ principii sono applicati, perehè ivi soltanto può 16 farsi la prova della loro bontà , e giudicare con fondamento del loro merito reale. Non sarà facilmente per mancar materia al mio dire , perchè oltre alle opere già assai universalmente note di Campe, di Salz- mann e di Pestalozzi , quanto non danno a meditare gli scritti di Paul, di Schawrz, di Niemeyer, di Wagner, di Ewald, di Graser, di Ehrenberg , tutti autori viventi, ai quali non pochi altri potrei aggiungere le cui opere sono generalmente apprezzate in Germa- nia. Vi mando con questa lettera alcuni saggi de’due ultimi scrittori da me nominati. ll primo è un pensatore profondo , il secondo è tutto cuore ; il primo abbonda d' idee originali , il secondo non esce dalla sfera di quei teneri sentimenti che resteranno sempre gli stessi; il primo contempla tutte le condizioni umane, e a tutte estende i suoi principii , il secondo gode di trattenersi fra scene di famiglia ; il primo finalmente non solo parla agli uo- mini come a individui, ma s’indrizza agli stati, e stabilisce i suo1 principii sulle basi della filosofia e della politica, mentre il secondo si volge al sesso gentile’, e lo invita all’ esercizio d’ ogni virtù, non usando altro mezzo di persuasione che quello del- l’intima convinzione , che sa far nascere in ogni cuore. Educazione generale. GRASER. La religione , o il principio dell’ unica vera educazione dell’uomo, con una speciale applicazione a un nuovo metodo d'istruzione elementare. Seconda ediz. Bayreuth 1813. pag. XX. e 524. in 8°. Sotto questo titolo ha il sig. G. B. Gràser, consigliere del re di Baviera, pubblicato un libro, che ha per oggetto di concen- trare in un punto tutti gli sforzi fatti finora per migliorare la specie umana. Egli desidera che tutto tenda a richiamar |’ uomo all'immagine della Divinità, e però Divinita: ha egli chiamato il suo principio, che io ho creduto poter tradurre col nome di Re- ligione, perchè è pur questa l’unica via aperta al conseguimento del sublime scopo che l’ autore si propone. È inutile il dire‘con quanta profondità di pensieri l’ autore vada svolgendo non solo le dottrine pedagogiche, ma quelle ancora della piu alta filoso- fia, nè solo guardando all’uomo come a individuo; ma ancora nei suoi rapporti con la sua nazione, anzi con l’ universo , mostrando la successiva gradazione di que' rapporti cominciando dalla casa paterna. Ogui istituto di educazione dalle scuole elementari fino 4 alle università è preso ad esame; e sottoposto al piano dell’ auto- re. Nè alla sola teoria si è egli limitato, ma ancora ha esposto un nuovo metodo d’ istruzione appoggiato ai suoi principii, dal quale afferma non solo aver egli stesso ottenuti ottimi risulta- menti, ma altri ancora che lo hanno adottato : del che non dubito , perchè parmi incontrastabile dover’ esser la religione base d'ogni vera educazione, e solo mi duole che l’autore creda annunziare cosa nuova mostrando questa verità , e lo faccia con ampio ap- parato filosofico che allontanerà molti lettori, mentre un libro di sì salutare dottrina dovrebbe essere scritto in poche pagine e in modo da essere inteso non solo da tutti gl’ istitutori ma ancora da tutti i padri, e più da tutte le madri di famiglia; perchè a queste@sono per natura affidati i fanciulli ne’ loro primi anni, e i labbri amorevoli d’una madre sono i più atti a inculcare in quei teneri petti i precetti d’ una religione che è tutta amore. La scuola elementare per la vita sociale, esposta ne’ suoi prin- cipii da G. B. Gréser. Bayreuth 1821. 8. p. XX. e 434. terza edizione. Non meno della precedente vorrei raccomandarvi questa opera inspirata all’ autore dal più nobile sentimento che possa riempir l’animo d’un buon cittadino, quello di voler migliorare la sorte della sua nazione , riformando le scuole del popolo , e mostrando come debbano averle a cuore i governi. Ma voglio lasciar parlare lo stesso autore, e le generose parole che sono per citarne, vi servino di saggio per giudicare della sua opera. »» L’istrazione pubblica deve presentarsi come uno de’rami » più importanti dell’ amministrazione degli stati , e mostrare a 3) un tempo la sua intima unione con tutti gli altri, non meno che » la sua grande influenza su tatti. Il gov:rno dee veder nella 3» scuola il germe di quel popolo che ha da reggere, e nella scuola »» dee preparare tutte le parti della sua amministrazione, necessarie » alla guida d’an popolo maturo ,,. »» La felice esistenza d’un popolo in uno stato bene ordinato; »» l’attività ugualmente repartita e congiunta in armonica coope- ») razione ; il sempre più vivo fiorire dell’ agricoltura ; il sempre » crescente perfezionamento de’ mestieri ; il commercio sempre ss più florido ; il sempre più bello sviluppo del sentimento delle », arti; l’ ordinarsi con spirito sempre migliore la costituzione » sociale ; l'interesse ognor più forte dei singoli per il diritto e » per la giustizia , e però il desiderio sempre più ardente di con- T. XX. Ottobre. 2 13 ;s tribuire co’ proprii sforzi a far cessar l’ingiustizia ; il sempre »» più energico destarsi d’ uno spirito di associazione; il sempre più ,» fervido patriottismo , e l’amore pel principe che da quello de- ,; riva; la ferma fiducia nel suo governo; la stima e la sommis- ,; sione verso i ministri dello stato; lo spontaneo consacrar di sè ,) stesso alla conservazione del tutto ; finalmente (ciò che è la base ;; degli stati), la fede sempre più viva in Dio, fondatore degli stati, », padre degli uomini, sorgente dell’esistenza . .,. , Una tale esistenza del popolo, come e quando potrà un ,; governo desiderarla, esigerla, realizzarla, se non viene prepa- ,, rata nelle scuole, e secondata, come tutto nella natura, dal »» germe fino al fiore? D’onde mai provengono le difficoltà che », sovente stancano e paralizzano l’ amministrazione del governo », anche il più vigoroso, se non da ciò, che ha da fare con un po- 3» polo che non è preparato ad alcun governo, vale a dire ineducato? »» L'ignoranza, la rozzezza , l’ostinazione del basso popolo, 3» di che si muovono tante e sì frequenti querele , il suo irremovi- ,3 bile attaccamento a ciò che gli deriva dalla tradizione, la sua ,» pigrizia nel migliorare i propri mestieri, il suo malizioso resistere ,, ad ogni innovazione, il suo istinto di distruzione contro tutto ,» ciò che la cultura e l’arte producono, la sua indifferenza per »» gl’ istituti d’ istrazione e di beneficenza , la sua diffidenza verso 3» il governo e i suoi ministri, la sua dannosa superstizione nella ;) religione, il suo fanatismo spinto fino all’inumanità...... questi », tristi difetti non sono essi principalmente la sorgente delle dif- 3, ficoltà , contro le quali ha il governo il più da combattere ? »» Quanto più agevole diverrebbe l’ andamento d’ una reggenza, » quanto meglio ancora sortirebbero il loro effetto le premure della 7 Chiesa, se avessero ambedue da dirigere un popolo educato! Ma », come può ciò conseguirsi con l’istruzione adottata fin qui? Un », abbiccì, un imparare a sillabare e a leggere non può gittarne la 1» base. Uno scritto bello e corretto, un far di conto e misurare, sì non formano un cittadino, e l’ apprendere un catechismo non ,» fa un cristiano. — L'educazione sola può produrre il desiderato » effetto. E però la scuola dee diventare un altro istituto: Ciò che è , il governo per il popolo adulto , la scuola deve esserlo per il » popolo fanciullo (*). L’ ispettore e direttore delle scuole deve » (*) Questo principio non è nuovo in Italia, ove Filangieri nel suo piano di educazione non ha perduto di vista la sentenza di Aristotile da lui citata , che: Il più efficace dei mezzi per conservare le costituzioni dei governi ferme e stabili,è di educare la gioventù a tenore della costituzione. Ejlangieri, scienza €c. Lib. IV. cap. II. 19 » avere davanti agli occhi l’immagine della vita del popolo nello 3» Stato, e la sua vocazione deve essere d’ indicare |’ andamento so del naturale sviluppo della pianta umana all’ istitutore , come a »» colui che dee coltivarla , e curare ghe questo andamento sia fe- » delmente osservato ,,. Altro non aggiungerò su queste due opere, perchè le credo tali, che se a me domandaste di farvele pienamente conoscere , non potrei farlo altrimenti che con mandarvele. Educazione delle donne. Discorsi alle donne , di FEDERIGO EHRENBERG, Predicatore della corte di Berlino. — ( Berlino 1817. 3. ediz. 2 vol. 8. ) E’ questo veramente un bel monumento eretto alle virtù fem- minili da un uomo che mostrasi degno di annunziare ai principi la parola di Dio. Egli ha attentamente studiata la società , e pesata la grande influenza che vi esercitano le donne. Egli ha veduti i bene- fizi grandissimi di questa influenza, quando abbia la virtà per base, e i danni più grandi ancora quando quell’ influenza sìa sorgente di corruzione. Nel primo caso la virtù pubblica, e però la felicità degli stati; nel secondo il vizio dominatore , e però la dissoluzione d’ ogni nodo sociale. E questi son tratti generali ; ma chi senza or- rore potrebbe farsi a visitare ad una ad una le sciagurate famiglie , dalle quali la corruzione de’ costumi bandì la pace ? le dissenzioni fra i coniugi, i malvagi esempi pei figli, gli odii fraterni » la viola- zione de’ più sacri doveri, la distruzione de’ più teneri vincoli.... sono questi alcuni elementi della più misera d’ogni esistenza — Ne rifugge con ribrezzo l’ animo , e si rivolge ai lieti quadri della dome- stica felicità e delle virtù femminili , che l’autore si è compiaciuto ritrarre. Egli ora ci mostra la dignità della donna quando questa rimane nelle vie prescrittele dalla natura; ora ci dipinge le tante doti che debbono adornare il suo spirito e il suo cuore; la pietà, la purità dell’ animo , la debolezza stessa che nella donna può an- dar unità a singolare fortezza , questi ed altri argomenti sono trat- tati con una profondità di sentimento e una dolcezza di linguaggio , che palesano un cuor sensibile , che altro non brama che di essere inteso da altri cuori sensibili, sicuro che dove la virtù è intesa, deve essere ancora adorata. ; Io per me non ho potuto resistere al piacere di mandarvi libe- ramente tradotti alcuni frammenti di uno di questi discorsi, che si aggira intorno alla disposizione per la vita domestica ; due altri lo seguono , nel primo de’ quali si ragiona de’ principali] ostacoli che 20 a’ dì nostri si oppongono a una tale dispozione , e nell’ altimo del modo d’ incoraggiare le virtù domestiche, Io mi limito al primo , e sarò fortunato se mi direte che; non fà di mestieri ch’ io traduca i due altri. Discorso sulla disposizione per la vita domestica. ( Che è il discorso riu del 1. Vol.) 3» Non è opera soltanto delle nostre leggi sociali, che alla donna sia stata assegnata la casa per sfera del suo intimo vivere, per cir- colo del suo tranquillo operare , e per centro de’ suoi più puri pia- ceri. La costituzione sociale ha con ciò adempito il piano della natu- ra, e però è in ciò la medesima presso tutti i popoli colti. La natura destinò la donna alla casa; tutte le doti distintive dello spirito e del cuore , che le compartì , ne fanno testimonianza. La donna non può mancare a questa destinazione , senza che si manifestino nell’ esser suo le più triste mostruosità , mentre per contro ove procuri di se- condarla , è sicuramente condotta a una perfetta armonia con sè medesima. La debolezza fisica della donna è calcolata per le occu- pazioni domestiche; il suo intelletto è principalmente adatto a comprendere , ad abbracciare , e ad ordinare gli affari della casa ; la sua fantasia , ove non sia stata traviata , mostrasi nel modo il più amabile in quelle immagini che rendon più vago il mondo dome. stico ; il suo tenero cuore vuol esser coinmosso da dolci scene di famiglia ; i suoi più ardenti desiderii sono appagati dai beni della vita domestica ; il bisogno che prova di abbandonarsi altrui, di amare , di comunicare, è sodisfatto nella tenera riunione de’ cuori , che qui solamente ha luogo ; le sue più belle virtù si manifestano quando provvede, soffre e si affatica per la sua famiglia, e quando ne forma la gioia ,,. »» Che può dunque desiderarsi a una donna , che più l’onori e l’adorni , se non che abbia sempre innanzi agli occhi e nel cuore questa sua destinazione ? che si dedichi intieramente alla casa , che per essa unicamente viva, che diriga le sue forze, i suoi sentimenti e le sue inclinazioni in modo conforme agli affari, al benessere e alla felicità della famiglia , in una parola, che si consacri alla vita dome- stica Rig; | 3, Di questa inclinazione propria di gentil animo femminile faccia- mo soggetto del nostro discorso. Noi vogliamo per ora esporre l'essenza e i principati fenomeni della vita domestica, e poi diri- gere la nostra attenzione sui pregi che vi si debbono riconoscere. — In seguito parleremo degli ostacoli che vi si oppongono , e de’ mezzi d’ incoraggiarla ,,. 2I I. ;, Noi diciamo essere una donna amante della vita domestica, quando sta volentieri in casa , tra faccende domestiche e nel circolo d’ un’amata famiglia ; quando vi si trova più che in ogni altro luogo felice ; qnando si attacca con la più viva tenerezza ai cari individui, da’ quali qui trovasi circondata con dolce nodo ; quando ogni suo desiderio , ogni scopo, ogni speranza, o è limitata ‘alla sua: famiglia, o vi ba relazione; quando finalmente la sua casa diviene per lei un mondo, nel quale agisce come nel suo pro- prio dominio, e nel quale diffonde tutta la piena della sua vita , de’suoi sentimenti; dei suoi pensieri, del suo operare ,,. » Quanto poco adunque è dovuto questo nome onorevole a quelle per le quali è una vera pena di rimanere in casa nella loro famiglia, e cercano fuggirne il più spesso e il più presto possibile; che abbandonano altrui, non solo le occupazioni con- suete, ma quelle ancora che interessano il cuore e ne toccano i sentimenti più puri e più nobili; contente, come esse dicono , di non esserne tormentate; che non sono mai più liete che quan - do possono allontanarsi dal circolo ad esse prescritto, e non sanno concepire come possa alcuno trovar piacere in restarvi; che non conoscendo i tranquilli godimenti del cuore , non trovano diletto che in variate dissipazioni , in romorosi divertimenti , in costose feste, e in società dri/lanti comunque insipide ; che stimano sopra ogni altra cosa l’ appagare la loro vanità , nè considerano somma alcuna troppo grande onde ottener quell’ intento; che ove ne trovino occasione , pongono in non cale le sciagure che attraggono sopra sè stesse e sui loro congiunti; che hanno per prima cura d’ imitare quelle persone che hanno grido d’ essere di mondo ; e vogliono emalarle, o almeno presentarsi ad esse in modo vantaggioso! ,,. ») O come potrebbero pretender di aver nome di donne da casa quelle ancora che per vero dire non sono intieramente occupate da questo spirito di corruzione , nè sacrificano allo spirito di mon- do tutti i. loro doveri domestici; ma alle quali tuttavia riesce penoso il dover rimaner lungo tempo in casa : che sospirando at- tendono l’ ora che le invita alle loro conversazioni, nè trovano pazienza da terminare le loro faccende se non nell’ idea d’ esserne presto sbrigate; che per vero fanno assai nella casa , ma niente completamente e bene , niente con ardore, con interesse , niente in modo da trovarvi piacere ? Queste sono forse il più da com- piangersi. Esse conoscono ov’ è il male, e non sanno rimediarvi. La vista del disordine e della confasione, che non possono dis- simulare a sè stesse, che si fa loro incontro da ogni parte, ama- 22 reggia ad esse, appena rientrano in casa, ogni piacere che hanno avuto al di fuori ;e se il loro spirito non è affatto leggiero , il solo pensarvi deve già in mezzo ai loro godimenti turbare e an- gosciare il loro animo ,,. IT- ,» La donna da casa si distingue prima di tatto per il suo te- nero attaccamento a quelle persone, con le quali vive congiunta nella più intima unione. Questa è la sorgente dalla quale deriva tutto ciò che appartiene alle virtù domestiche. E qual cosa mai potrebbe maggiormente interessarci che quegli esseri che la natura o la propria scelta ha per tutta la nostra vita tenacemente a noi congiunti , con i quali già abbiamo superati tanti avvenimenti, e divise tante gioie e tante pene ; dai quali abbiam sì sovente nell’ ora dell’afflizione ricevuto forza e sostegno ;i cui amichevoli discorsi ci hanno sì sovente rasserenato l’ animo ; il cui amore ci ha sì so- vente rallegrati , e con i quali dobbiam però più che con chiunque altro aver simpatia ? La famiglia forma la casa , e quanto in questa avviene non ci riesce importante che in quanto che ha rapporto con quella. Gli affari e le cure domestiche hanno il loro principale in- teresse in ciò che riguardano persone amate, e che però influi- scono sulla loro felicità. Vorremmo noi far con gioia tante cose moleste , e sostener volentieri tante fatiche, se non fosse per colo - ro, che amiamo sopra tutti gli altri, e la cui sorte ci sta a cuore come la nostra? — Sono dunque incapaci di vero amore per la vita domestica quelle donne insensibili, nel cui petto angusto non sorse mai un sentimento di amicizia per altri, le quali trasci- nando la loro esistenza in pigra uniformità , trattano con l’istessa indifferenza i famigliari e gli stranieri; che non hanno neppur l'idea d'un forte attaccamento , e delle dolcezze di una vita che si confonde con quella di persone amate. Esse amano forse la casa , perchè lo strepito del mondo deve essere in opposizione con la loro flemma, o perchè non possono trovarvi alcun allettamento a cagione della loro cortezza d’ ingegno; forse adempiono con molta puntua- lità varie faccende domestiche, perchè hanno bisogno di far qualche cosa, perchè la loro avarizia vi è interessata , perchè vi sono state tenute fin dalla gioventù, e perchè così possono continuare a vege- tare comodamente. Ma dove è quello spirito lieto e vivace che emana dal vero amore per la vita domestica ? dov’ è la pace di cui gode e che sparge a sè d’ intorno colei che lo prova ? dove è quel sacro ardore per cui diffondesi in essa quella celeste esistenza pro- pria d’ un cuore pietoso ? ,,. »» Nel profondo del cuore sta la radice della vera virtù do- mestica , e vi riceve vita e alimento dai sentimenti e dalle in- 23 clinazioni più nobili, La donna trovasi come inceppata alla ca- sa, perchè ivi sono le care persone che tutto possgggono il suo cuore ; le persone, le cui premure, la {cui sola vista già la rallegrano , con le quali trovasi in dolce famigliarità , e la cui esistenza è per essa una sorgente di conforto e di conten- tezza ; e perchè ivi si appaga quel bisogno di comunicazione e di reciproco interesse , che non è quasi mai sodisfatto nel freddo commercio che regna generalmente nel mondo. Tenerezza di spo- sa, amor di madre, di sorella e di figlia, questi sono i bei sentimenti che regnando nell’ animo della donna ne formano tutti i pensieri, tutte le sensazioni , tutti i voti, e danno legge ai suoi lavori e ai suoi piaceri. — Ove questi sentimenti non sono che deboli e incapaci d’influire sull’ animo , ove non si conosce il bisogno di versare il proprio cuore nell’ altrui, ove non trovasi nel circolo de’ suoi alcuno di quelli oggetti ne’ quali si cerca la propria felicità , ed ove forse pur anche un’ avversione personale allontana l’ uno dall’ altro gli spiriti : ivi non dee far maraviglia , se si sfugge la trista casa cercando il piacere solo fra gli stra - nieri ; e se quegli affari che non hanno più alcun interesse di fa- miglia, o sono abbandonati, oppur fatti sì macchinalmente , e con tanto disgusto , da non scorgersi più nemmen l'ombra d'’ incli- nazione domestica ,,. E quì si fa l’autore a parlare delle cure che occupar deb- bono la donna nel circolo della sua famiglia, e s’ egli concede che alcune faccende possano essere abbandonate ad altre mani, pure si lagna che a’ tempi nostri il pregiudizio, la moda, la mollezza e la vanità ne rendano il numero sempre maggiore , ed egli dimostra come ciò sia contrario alla dignità e ai doveri della donna, non meno che alla felicità della famiglia. Dopo averci mostrato una sposa e una madre premurosa per tutto ciò che può contribuire al ben essere di quanto la circonda , e so- pra tutto occupata della sacra cura de’ figli , egli trova per essa nelle gioie domestiche la più dolce ricompensa. », Non sarebbe possibile ( dice l’autore) di vivere intieramente per gli affari della casa, e conservar sempre in mezzo ad essi uno spirito sereno, e un coraggio ognor rinascente , se de’ piace- ri non vi fossero uniti ; ma questi sono intrecciati in gran nume- ro nella corona della vita domestica. . . . . Essi non possono es- sere indifferenti per una donna ardentemente attaccata ai suoi con- «giunti. Come non desterà in essa le più liete emozioni ogni o0g- getto che queili rallegri? Come non gioirà d’ ogni sollievo prodotto dalle sue voci di consolazione , del felice successo delle sue premure 24 ‘economiche, della benedizione che corona ì suoi sforzi, de’ giorni memorabili che spuntano ora per l’ uno ora per l’altro membro della famiglia, e delle feste con cui si celebrano, delle ore di riposo che scorrono in cordiali conversazioni ; della tenerezza che tutti provano l’uno per l’altro? Come non dovrà rallegrarsi d’ un avvenimento per cui un male temuto sia stato allontanato; della guarigione d’un caro infermo; del ritorno d’ un assente ; della sal- vezza di chi fu estimato perduto? Non dovrà, infine rallegrarsi del successivo sviluppo della ragione e del cuore de’ suoi figli ; del loro crescere in intelligenza e in sincerità; d’ogni baon sentimento , d’ogni bel tratto di carattere , d’ ogni retto giudizio, d’ ogni notabil pensiero che in essi discuopra ; dell'amore che altri lor portano; e della felicità che il mondo ad essi promette? ,,. HI. ,, Attaccamento ai congiunti, amore per gli affari do- mestici, e sentimento per le gioie di famiglia in cuor pietoso, costituiscono l’ essenza delle virtù domestiche, e conservano nel cuore della donna quella disposizione, per cui la casa divien per essa la più lieta dimora e il più piacevol circolo d’azione, e la famiglia la sua più cara società ,,. Felice la donna animata da questo spirito! da esso sostenuta e protetta essa sfugge molti gravi pericoli, e rimane intatta da molte fonti di corruzione , che attaccano quelle che sempre vi- vono nel gran mondo. — Come è egli possibile, di viver ogni giorno fuor di sè stesse , e pure di rimanere in armonia con sè stesse? di occuparsi ogni giorno unicamente di cose vane, di ac- conciamenti , di ginochi, eppure di non perdere il sentimento del serio e del grande? d’ immergersi ogni giorno nelle dissipa - zioni, eppure di conservare la necessaria presenza di spirito? di ascoltare ogni giorno le molte parole dell’ adulazione , eppure non trovarsene inebbriate? di servire ogni giorno alla vanità , e ri- maner con ciò schiette, semplici e buone? d’impacciarsi ogni giorno d’intrighi, senza sacrificare la verità, l’innocenza, e la sincerità dell’animo? d'esser ogni giorno circondate di seduttori nascosti e palesi, eccittate da tutti gli allettamenti del vizio , irraggiate da tutto il suo splendore, eppure riposar fermameute sopra sè stesse, e sostenere la purità del proprio cuore? di ve- dere ogni giorno presso di sè una corruzione vagamente velata , senza che questa si appenda insensibilmente al cuore innocente? — Ah! chi numera le misere vittime d’una vita mondana che sem- pre abbaglia e stordisce! Chi conta le lagrime sparse sopra la quì perduta innocenza! Quanto è rara la forza che vi resiste, e raro il senno che non vi dimentica la sua alta destinazione ! ,). 25 » Degna d’ invidia è veramente sotto questo rapporto la sorte d’ una donna da casa. Conoscendo le contentezze domestifhe ,» ben può rinunziare a quelle vane, per le quali tante sacrificano ciò che hanno di più prezioso. Bastando a sè stessa , e beata nell’ ar- monia della propria vita, essa non si cura dell’approvazione al- trui, e molto meno di quella che si ottiene per mezzo di cose esterne, accidentali e di niun valore. Nella sua lieta e utile at- tività restano lungi da lei le follie , che altre sì sovente commet- tono, e quei studiati bisogni che sono un frutto dell’ ozio e della noia, e alimentano tante fatali passioni. Nella sua tranquilla ri- tiratezza la sua virtù trova pochi ammiratori, ma anche pochi nemici. Nel gran mondo, nella schiera di quelle, che sempre hanno sete di piaceri , e il cui cuore gode ad ogni stimolo, sce- glie la seduzione le sue vittime; ma un sentimento proprio al- l’uomo , un rispetto irresistibile per la virtù, e la certezza di non riuscire, allontanano il malvagio dai tranquilli circoli di fa- miglia, ove l’amore e la gioia uniscono i cuori in modo indi- visibile, e li difendono da ogni perniciosa influenza ,;. Prosegue l’autore a compire il bel quadro della felicità domestica , che assicura alla donna la pace del cuore, che le fa trovare nelle sue pene le più dolci consolazioni, che le dà cam- po a coltivare le più nobili facoltà dello spirito e del cuore? che rare volte possono svilupparsi fralle dissipazioni del mondo. Io ben vorrei seguire passo a passo l’autore, ma per non riuscire soverchiamente lungo, mi affretto di giungere all’ultima parte del discorso , in cui mostra che una donna, qual egli la dipinge, è non solamente felice per sè medesima, ma che tutta la sua vita è una sorgente inesauribile di contentezza per altri, e prin- cipalmente per quelli che le sono più strettamente congiunti. Così conchiude l’autore le sue belle considerazioni ,,. », Felici figli che crescete sotto la cura tenera e vigilante d’una tal madre! Come caro vi diviene già dai primi anni il dolce nome di madre, e come dee rimaner per voi venerabile finchè viviate! Non può esprimersi con parole ciò che da lei ri- cevete, con quanto amore essa vi porge tutto ciò che può gio- varvi, come vi concede ogni piacere innocente, come spande sopra di voi la piena della sua affezione. Come a voi si comunica il suo dolce e placido spirito! come vi penetrano addentro nel cuore le sue istruzioni! quai bei sentimenti sa destare in voi, a quai nobili pensieri s' innalza, come gaida i vostri animi teneri, come modera il vostro impeto giavanile, come sa interessarvi per tutto ciò che è eccellente! Ah voi dovete divenir virtuosi, ‘4 26 e contribuire al perfezionamento altrui, se questi sentimenti non vi abbandonano, se non si scancellano queste impressioni. ;, Una delle più sante unioni sulla terra è quella di una fa- miglia. La famiglia è in piccolo l’immagine dell’ umanità. Di fa- miglie si compone il genere umano, e questo si mostra sempre sotto la forma che quelle gl’ imprimono. Dal seno delle famiglie egli riceve i suoi animosi patriotti , i suoi ardenti difensori , i suoi saggi isruttori , i suoi valorosi campioni della verità e della giustizia. Il suo ben essere dipende dal ben essere delle famiglie; ed uno stato è tanto più felice, quanto è maggiore il numero delle famiglie felici che vi si trovano. Se è vero , ciò che dicono alcuni, che l’ umanità decada , bisognerà posare nelle famiglie la base del suo risorgi- mento , ivi dovranno riaccendersi le virtù spente nel mondo; da quelle dovranno attendersi i nobili individui, che con le parole e con le azioni operino la bramata riforma, E voi, o donne, siete l’anima di questa sacra unione di famiglie; a voi ne sono affidate le più importanti dispozioni; vo- stra ne è la maggiore influenza. Qual sublime vocazione vi è stata con ciò destinata, qual opera importante vi è stata imposta! Qual vasto campo è aperto alle vostre premure , qual onorevole posto occupate nell’ umana società! Ciò che fate nella vostra famiglia , lo fate per il mondo, e nel mondo se ne vedranno i frutti bene- detti. Ogni benefica istituzione che ivi stabiliate contribuirà al mi- glioramento dello spirito del vostro secolo; e mentre consacrate la vita ai domestici affari, e anteponete ad ogni altra la felicità do- mestica , vi acquistate dei meriti durevoli, e che si estendono alla società. ,, »» Non si esige già che cessiate da ogni consorzio col mon- do. Nò, il mondo deve vedervi, e di voi rallegrarsi ; ma fa lode del mondo non deve essere la vostra ricompensa ; il mondo non deve dominarvi e incepparvi, e non deve riuscirvi duro l’al- lontanarvene. Il mondo deve anch’esso contribuire a formarvi, deve accrescere le vostre vedute della società , e darvi quell’ e- sterna grazia, che pur dee ridundare all’ abbellimento della vostra esistenza domestica. Ma non mai penetri in voi il suo spi- rito, e vi renda men cara la vostra tranquillità. Voi dovete uscir dalla casa nel mondo, come dal suol natio in una terra straniera. Nella casa rimanga sempre per voi quanto avete di più caro, co- sicchè sempre un vivo desiderio vi spinga a tornarvi. Così con- serverete nella vita vostra l'innocenza e la dignità, e tutto ciò che può render beata la vostra esistenza e l’altrui. ,, E. MAYER. an Delle cause d'’ incremento della manifattura dei cappelli LA pa- glia in Toscana, e quanto sia, come a tutte le altre cose, dan- noso il vincolarla o favorirla. Memoria letta all’Accademia dei Georgofili il dì 14 agosto 1825. dal Commend. Lapo DE Ricci. La mania di regolare e dirigere è così potente in noi, mossi piuttosto dal desiderio d’insegnare agli altri ciò che devono fare che da quello di far bene noi medesimi, che ad onta delle verità tutto giorno sotto i nostri occhi, e delle quali l’evidenza è incontrastabile, corriamo prodivi a proporre direzioni ed inceppamenti per di- sturbare l’andamento naturale ed ordinario delle cose per quanto felice egli sia. Nè vi sembri strano , accademici valorosi , se tutte le volte che io imprendo a parlar in mezzo a voi, scelgo per argomento il danno delle limitazioni, e vi eccito ad alzare attenti e solleciti la voce vostra , che è quella dei sapienti, contro ogni ombra di innovazione e di attacco a quei santi principii di libertà economica, dei quali foste sempre zelanti fautori ; giacchè credete per certo che questa mania si riproduce sotto tanti aspetti, sotto tante larvate forme da potere qualche volta giungere a sedurci, tanto più che non sempre, anzi giammai si mostra spaventosa come la belva che la muove, e della quale disse l’ altissimo nostro poeta: Ha natura sì malvagia e ria Che mai non empie la bramosa voglia E dopo il pasto ha più fame che pria! Inutile nulladimeno parmi, e noioso sarebbe il riprodurvi quelle teorie delle quali siete sovrani maestri , ma non discaro saravvi, lo spero , il mettervi al fatto di alcane particolari opinioni che serpeg- giano inosservate fra i più inaccorti , in opposizione dei severi prin- cipii che professate in queste materie. Grazie per altro si rendano ai lumi del secolo, che hanno impe- dito che si adoprassero regole, che si unissero corpi d’ arte , che si inventassero privilegi a favore di una manifattura , che tanto rapidi e felici progressi ha fatto fra noi toscani. Voglio dirvi della mani- fattura dei cappelli di paglia, della quale troppo lungo sarebbe l'enumerare i vantaggi apportatici negli ultimi anni, e che ci arreca tuttora. Voi o Signori siete testimoni come questa, senza soccorso governativo , senza privilegio , senza vincolo, abbia progredito fra noi. Fede ne fanno le grandiose borgate novamente costruite, l’ agia- tezza dei campaguoli lavoranti , l’ aumento della popolazione rivolta @ questa industria , e tutti gl’ immensi utili che da queste circos- 28 tanze derivano. Eppure ad onta di tanta felicità così spontaneamen- te"e facilmente prodotta , vi sono alcuni che pensando andare in traccia del meglio , vanno immaginando che bene sarebbe il proibi- resl’ esportazione della paglia da cappelli, per il timore dicono essi ‘che questa manifattura si trasporti all’ estero. Vano e ridicolo sembrerà il timore a voi che avete gl’intelletti sani , e ben sapete che Temer si dee di sole quelle cose Che hanno poter di fare altrui male Delle altre nò , che non son paurose. Ma non vano sembrerà a quelli che il dissero, e che spargono insidiosi queste voci fra i più creduli , onde contro la vanità di quel timore, e contro l’ ingiustizia di una proibita estrazione , permette- temi che io favelli alcun poco. E prima di favellarne siatemi cortesi di ascoltare alcune osservazioni sulla natura e l'indole di questa manifattura , ciò che da alcuno fin qui a mia conoscenza non è stato fatto. Dopo di che io vi accennerò le ragioni per le quali poco timo- re ne sorge che l’arte sia trasportata lungi da noia detrimento del nostro paese. Ed in ultimo io vi parlerò dell’ ingiustizia e del danno di proibire 1’ estrazione della paglia greggia. La massima parte dei capitali toscani, dopo le felici leggi leo- poldine, fu rivolta all’ agricoltura, e trovò impiego sufficiente, se non sempre proporzionato, al frutto che si sperava dai capitali medesi- mi. La libertà del commercio dei cereali , la libera estrazione della seta greggia, l’ abolizione della regia del tabacco, e mille vin - coli tolti eccitarono i capitalisti a rivolger sulla terra le loro specu- lazioni , nè fu questa ingrata agli sforzi che essi fecero. La quiete che potè mantenere più lungamente degli altri il nostro paese in mezzo alle agitazioni revoluzionarie , continuò ad esser favorevole all’ agricoltura; e se le disposizioni governative consigliarono il ta- glio dei gelsi novellamente piantati, ed ordinarono l’ abolizione della cultura del tabacco , l’ agricoltore ed il proprietario furono larga- mente ricompensati delle fatiche impiegate e dei capitali spesi , dai prezzi eccedenti che ebbero per straordinarie cagioni i cereali e le derrate tatte negli anni successivi. Le manifatture della seta e della lana, quantunque favorite . grandemente dalle leggi, e per la proibita estrazione del genere greggio , e per i dazi sopra i generi manifatturati , erano ben lungi dal presentare risultanze vistose, giacchè i maggiori eapitali che gli esteri impiegavano in quelle fabbriche, la maggiore intelligenza 29 e l’attenzione che prestavano alle scoperte degli scienziati;applicag- dole alle arti, l’uso santissimo delle macchine', lasciavano tanto addietro i nostri stabilimenti da togliere perfino l’ ombra della con- correnza fra i prodotti delle fabbriche loro e le nostre, ad onta io diceva dei grandiosi sacrifizi fatti da una parte della popolazione in loro favore. Intanto la manifattura dei cappelli di paglia sorgeva inosser- vata, e per questo più felice, richiedendo piccolo sforzo d’inge- gno per esercitarla , nessuni o miseri capitali per attivarla , senza esser tributaria di altri paesi per generi che gli abbisognassero onde condurla a perfezione , e sopra i quali il sistema doganale avesse esercitato la sua influenza. Il genere greggio si raccoglieva nel nostro paese, e ne era facile la produzione, come l’ acquisto. L’arte fondata su questi principii andò naturalmente, e senza sforzo megliorando , nè più limitata al solo uso dei campagnuoli toscani, giunse a far conoscere ed apprezzare agli esteri la va- ghezza e la utilità dei suoi prodotti. Era da primo genere di mo- da soltanto , e la Francia e la Germania furono i primi paesi dove se ne cominciò lo smercio. La fiera di Lipsia era il mercato più rag- guardevole per la vendita dei cappelli di paglia, e finchè la sola moda ne determinò l’ uso, per quanto camminasse sempre pro- gressivamente , nonostante l’ arte restò oscillante fra il maggiore ed il minor consumo . Ma riconosciutane |’ utilità ed il comodo in Europa , non restò ristretta dai confini di quella , ma varcati i mari formò soggetto d’ importazione vistosa nel nuovo mondo. Sdegnarono gli esteri di essere del tutto per questo lato tribu- tari nostri, ed inventarono delle macchine per megliorare la ma- nifattura , e vi riuscirono. Furono attenti singolarmente in Fran cia che queste macchine, questi mezzi di raffinamento fossero rin- chiusi nel proprio territorio , e quindi leggi se vere, confisca, galera, morte a colui che avesse osato toglierle da quel suolo. Ma siccome l’ioteresse particolare vince ogni più acuto raffiinamento di do- ganale vessazione, così presto si trovò il modo di trasportare in Toscana le macchine istesse, per quanto complicate e difficili al trasporto. potessero essere. Un solo strettoio , o pressa, siami per» messo chiamarlo col nome usato dai fabbricanti, portato da Francia, bastò per modello a molti altri che ben presto furono costruiti in Toscana , e così quel meglioramento con tanta cura custodito , con tanto interesse dei particolari trattenuto , con tanta severità di leg- gi rinchiuso , si propagò rapidamente fra noi, dando anche in que- sto caso nuova conferma della inutilità di proibizioni sì fatte. Al- lora la manifattura andò progredendo con passi di gigante, e molti 30 degli esteri vedendo inutile ogni tentativo per rendere I’ arte loro tributaria , con più savio accorgimento si decisero di trasportare la loro industria , ed anche qualche piccolo capitale per esercitar- la in mezzo a noi; imitando così quel re di Daminarca, che non po- tendo più riscuotere pedaggi dai navigatori resi esperti nel pas- saggio del Surd, si vidde in ultimo costretto di accendere dei grandi fuochi per il più sicuro passaggio dei bastimenti. Estesa così la manifattura in Toscana , e mantenuta sotto sì floride apparenze , non vi ha timore che lafgiandola libera al pro- prio andamento , possa soffrire diminuzione sollecita, e maggiore di quella che soffrirebbe se il governo se ne interessasse. Parmi vedere giusta causa di allontanamento di timore nell’ e- stesissimo uso introdotto dei cappelli di paglia anche per gli uomini, ciò che dimostra che l’arte ha incontrato |’ universale gradimento , ed anche una prova ne emerge dal conoscere gli sforzi fatti in al- tri paesi per fabbricare cappelli simili ai nostri. Accertati di que- sto uso, possiamo francamente asserire che presso di noi la mani- fattura è molto lungi dall’ essere adulta non che decrepita , come dovrebbe essere se fosse vicina al suo termine. L'esercizio delle arti sì paga tanto maggiormente quanto ha più costato l’ apprenderle , ed il salario è sempre proporzionato allo sforzo, alla cura che s’ im- piega in esercitarle : questo è l'andamento naturale, ed ogni altro è figlio di ciscostanze straordinarie e poco durevoli. Seguendo questa elementare teoria di tutti gli economisti, osserveremo che è spro- porzionato il salario di tre o quattro paoli il giorno per una buona lavorante , la quale non ha impiegato che pochi mesi per appren- dere quest’ arte , e che subito ha cominciato a guadagnare, non spiegando maggiore abilità ed ingegno nell’ intrecciar la paglia che nel far la calza ; nè vi ha ragione per la quale una tessitrice di pa- glia deva guadagnare assai superiormente ad una tessitrice di tela e di panno , ed a qualunque altra donna esercitata nei più fini la- vori, e così essendo parmi che siamo lontani dal poter chiamare adulta l’arte. E passando ad osservare l’ indole economica dei toscani, ve- dremo che questa non si presta al sistema di associazione , ed è pe- rò mancante del vantaggio della riunione di molti capitali, ciò che rende ipeseguibile ogni impresa grande e costosa., Ed infatti nessun vasto locale, nessun edifizio importante , non grande apparato di macchine, ma scarsi preparativi di genere greggio ; minori ancora di genere manifatturato esistono nelle fabbriche principali, e molti pure vi sono che acquistano i cappelli greggi, e trovano il modo di condurli a perfezione senza avere in proprio locali, nè macchine» 3I nè attrezzi , ed in somma nessuno di quei capitali morti o infrut-4 tiferi che occorrono in gran copia in ogni altra manifattura. E continuando questa analisi potremo con tutta franchezza asserire , che poche fabbriche hanno in loro potere un capitale fisso di scu- di quindicimila , e che questo capitale è bastante per mettere in moto sopra scudi dugentomila che s’ impiegano nella lavorazione, ed oltre a ciò di dare qualche volta un utile eguale al capitale primitivo o fisso, che così parmi che deva chiamarsi, Ora questo rapido muovimento di capitale non può appar- tenere che ad un paese di singolari qualità , e per la natura del- la propria industria, e per i pochi mezzi che è in grado d’ im- piegare, e per quel bisogno che abbiamo di rivedere spesso il proprio capitale, e far credere ricchezza dove non ve ne è che l’ apparenza. Tale singolarità di circostanze proprie del nostro paese è anche aumentata da altre particolari cause che giova il rammentare. Il popolo, e particolarmente i campagnoli che esercitano quest’ arte, non vivono in sozzi e luridi abituri, mal conci di abiti, mancanti di suppellettili, ma al contrario sempre decen- temente vestiti e bene alloggiati conservano la massima pro- prietà nelle loro case , ciò che è tanto più necessario in. quanto che il lavoro non.si eseguisce in locali riuniti , e sotto l’ attenta ispezione d’ un capo di fabbrica. Sfugge il campagnolo toscano quella sferza rigida e servile che obbliga il lavorante degli al- tri paesi a seguire meccanicamente e senza interruzione il lavo- ro che dal capo della manifattura gli viene imposto. Ed è anche osservabile come per l’ indole del paese , subito che i lavoranti sono riusciti ad economizzare qualche piccola somma , cercano di sottrarsi alla stretta dipendendenza del fabbricante , e mentre prima ricevevano da quello la paglia per lavorare, divenuti più agiati la comprano del proprio, e giungono per fino , quando sono industriosi ed economi , a farne la sementa per non dover com- prar la paglia da alcuno. Ed in ultimo il manifattore preferisce ad ogni altra pena la diminuzione del pagamento nell’ opera pro- pria, purchè libero ed indipendente possa venderla al miglior com- pratore. Nè si dica che ciò potrebbe accadere nei paesi ove esisto- no grandi manifatture , giacchè in qual altra inanifattara sareb- be eseguibile, quale fabbricante di altri paesi permetterebbe di lasciarla esercitare affatto lontana dalla propria ispezione! Sareb- be egli forse nell’ indole di quel fabbricante di panni , il quale 32 per aver tutta la sua manifattura vicino a sè ha immaginato le macchine per cardare , per filare, per tessere la lana nello stesso stabilimento e sotto i proprii occhi, di fidare denari e somme vistose a otto o dieci idioti, che vanno correndo venticinque o tren- ta miglia lontano per riunire il genere greggio , valutarlo a loro talento, e consegnarlo ‘al fabbricante, il quale dopo brevissima preparazione dee spedirgli all’ estero ? Nò che senza lunga abitudine ciò non può ottenersi. Il cielo ha dato nei diversi climi diverse disposizioni a diversi popoli ; le circostanze politiche e le leggi gli hanno portati in differenti di- rezioni, nelle quali quando si sono incamminati e vi hanno porta- to i loro capitali, non è così facile far cambiare strada ; e quando ciò succeda , sarà quando l’ arte avrà finito di estendersi il più possibile in Toscana , e dopo qualche anno. E vi ha di più, che quella abituale tendenza che eccita gli uomini a provvedersi ciò che desiderano nei luoghi dove ne cominciarono l’ acquisto , e do- ve ne fu conosciuta la prima produzione , dà luogo a credere che per lungo tratto di tempo i cappelli di ‘Toscana saranno preferiti a quelli degli altri paesi. Parmi dunque avervi provato che la manifattara dei cap- pelli di paglia non sia ancora adalta fra noi, e che sia difficile che ella si perda sollecitamente, ma che anzi vi ha luogo di estenderla assai in ‘Toscana, e tanto si dee finchè il salario dei lavoranti di cappelli resti livellato con quello delle arti analoghe , ed a questa diminuzione di salario si deve immancabilmente giungere. E però, piuttosto che immaginare privilegi e vincoli , alzate accademici colleghi la vostra voce autorevole ai fabbricatori , ai lavoranti, alle tessitrici di paglia, eccitandoli alla economia ed all’ ordine domestico. Ecco li soli mezzi con i quali può impe- dirsi che non si dissipino quei capitali che il caso fortunato di una manifattura nascente, ricercata e di facile esercizio farebbe loro riunire, e che il lusso sproporzionato gli farà disperdere. Si avvederanno essi tardi, ma inutilmente’, che quel fiume d° oro che gli ha inondati trova nel mare dell’ intemperanza e del di- sordine ampio vuoto per assorbirlo, senza speranze che nuove auree sorgenti risorgano per alimentarlo. Ma allontanando da noi questo sospetto , e restando nella spe- ranza che i nostri toscani addetti a quest’ arte, ammaestrati dal faunesto esempio dei proprietari di terre , che modeliarono le loro spese sulle rendite ricavate dai prezzi eccedenti delle derrate 33 negli anni scorsi, previdenti per l’acutezza dell’ingegno loro, e 4 dalli vostri consigli resi più saggi, non vadano neghittosi a tro- varsi neljcaso di — Quei che volentieri acquista E giunto il tempo che perder lo face In tutti i suoi pensier piange, e s’attrista, ma che al contrario uniscano quella dolce urbanità che è loro propria alla severa economia degli svizzeri, passiamo ad, osser- vare l’ingiustizia ed il danno che proverrebbe dalla proibita estrazione della paglia greggia. Sostengono alcuni che non si può in altri paesi raccogliere questa paglia per cagione del clima, e per la qualità del terreno, appoggiando questo loro detto alla osservazione che nei climi freddi non vi ha tempo per soleggiare ed imbianchire la paglia dopo la raccolta, sopravenendo i geli e le brine che lo impedi- scono, e nei climi caldi la paglia troppo sollecitamente resta disseccata, onde per condurla alla necessaria perfezione occorre un clima temperato e rugiadoso come il nostro. Se questa as- serzione non fosse vera, la proibizione sarebbe per certo inutile e di più dannosa, perchè ecciterebbe gli esteri a fare tutti i pos- sibili tentativi per megliorarne la produzione, ridendosi della legge proibitiva toscana , che non può avere influenza molto estesa sugli altri paesi, e così toglierà il vantaggio di vender loro le paglie. Ma sia pur vero che senza le nostre paglie non si pos- sano fabbricare cappelli altrove; domanderò agli amici del progetto con quale giustizia si può impedire al proprietario di vendere li prodotti dei proprii campi, la propria paglia allo straniero quando la paga più del manifattore toscano? E come mai°%il possessore terriero, che vede sopra i suoi mercati abbondare i prodotti esteri, e vendersi in concorrenza dei proprii, deve esser vincolato in que- sto ramo d’industria , in questa parte di sua proprietà ? Quando parliamo , o signori , di libertà economica, bisogna che questa sia generale ed estesa a tutti i prodotti del suolo e della industria; ogni proibizione, ogni impedimento, per quanto piccolo possa ‘essere, è un attentato al diritto di proprietà, diritto che quanto è più rispettato, tanto maggiormente forma la ricchezza dei regni, e la tranquillità dei ‘popoli. Lo scrittore filosofo della lettera di un professore della Università di Pavia sopra i vincoli commer- ciali, definì con tratto arguto e brillante i ragionamenti di coloro, i quali fautori acerrimi della libertà del commercio per tutti gli altri oggetti, sostennero che la seta sola dovea soggiacere al vin- ‘colo, dicendo che questi non provenivano da lunghe e ragionate T. XX. Ottobre. 3 meditazioni ,, ma solo dal trovare nei loro privati libri di ammi nistrazione registrato grano da vendere e denari impiegati nei fondachi degl’ indrappatori. E così solo, principio di privato in- teresse muove ed eccita il progetto di proibizione della estra- zione della paglia greggia. Non stò quì a ripetervi la serie delle RIMA le vessazioni inutili, le disobbedienze , procurate, alla egge , sempre nocive in quanto che abituano l’ uomo.a non farsi oe del disobbedire all’autorità superiore , e lo conducono passo a passo al delitto, giacchè tutte queste pestifere conse- guenze che nascerebbero da simile proibizione sono le stesse che provengono dagli altri analoghi impedimenti, e dal Viziosissimo sistema dei vincoli. Nè mi prolungo in farvi osservare , quanto sia dannoso per uno stato il porre per legislativa disposizione, ”» forzatamente una classe di società in opposizione coll’altra ,;e come convenga togliere ogni muro di separazione fra ‘quelle, e fare piuttosto in E, che il libero interesse degli uni coinci- dendo con quello degli altri se ne ottenga I’ utile generale. tà Ed ora temerei di stancare la pazienza vostra, ripetendovi delle teorie ,, delle massime già impresse negli animi vostri ,,€ da’ vostri detti, dai vostri scritti ripetutamente sostenute ; solo permettete - mi che vi faccia osservare per ultimo , che anche nella circostanza della nostra manifattura, l’interesse particolare della medesima ver- rebbe danneggiato, se con male augurato accorgimento si cercasse di prevenire la sognata perdita dell arte con privative e. con vin- coli. Cesserebbe allora in noi.subito quella attività industriosa che ha eccitato fin qui a megliorarla , ed allora veramente si cor- rerebbe rischio di perderla , ia Bir declinare si aggra- verebbe il male con nuove proibizioni e nuovi vincoli , che finireb- bero per portare un colpo mortale a quest’ arte. L° agricoltore vincolato in questo prodotto lascerebbe d’ occuparsi della sementa della paglia, e si abbandonerebbe. con danno deìl’ arte la cultura di quella, come fu. abbandonata l’ altra dei gelsi. iasnp D'altronde i nostri toscani, per l’attitudine dimostrata a questa sorte di manifattura ,.e per avere fin qui il genere greggio megliore degli altri paesi, sono in caso di sostenere la concorrenza al dirs0- pra degli altri, giacchè se tornerà conto agli esteri far trasportare la paglia e poi lavorarla, tornerà molto più conto ai toscani avan- zati nella cognizione dell’ arte ,e che hanno, sopra di, quelli tutti i vantaggi che ho enumerati di sopra, Serva dunque pernoi anche in questo caso l’esperienza i mae- stra e di guida. Nacque quest’ arte in Toscana senza privilegio e senza vincolo, progredì senza di quelli ,e. fece i passi gigante- 35 schi dei quali abbiamo luogo di applandirci ; nè si tema che las- ciata libera a' sè stessa possa perire , se non per l'andamento gene - tale delle cose umane che tutte hanno un termine. Se questo succede per naturale decrepitezza, è lento e poco dannoso, giacchè una industria succede all’ altra placidamente e senza sforzo ; niuno più si avvede in Toscana che sia perduta la manifattura dei broc- cati. Guai però se con qualche rimedio creduto sempre preservati- vo, ma sempre inopportuno, si affrettasse la sua distruzione! Non sarebbe egli lo stesso che un padre il quale avesse veduto cresce- re sano e vigoroso il proprio figlio fino all’ età di 24. anni, lo consegnasse ai medici perchè lo empissero di medicamenti , e lo ‘circondassero di prescrizioni colla falsa idea di conservargli la sa- lute? Ma giacchè questo empirismo economico , siami permesso chiamarlo così, grazie ai lumi del secolo ed alli vostri studi li- ‘berali va a sparire , corriamo pronti ad opporvisi , subitochéè se ne può temere il rinascimento. E qui, prima di finire, siami permesso ripetervi l’ osservazione ‘che io vi faceva in principio sul progresso della ‘scienza economica , Ha quale tanto deve a voi Signori ‘in Toscana s giacchè una volta l’ eccitamento al privilegio al vincolo sarebbe stato | oggetto di meditazioni governative eccitate dal grido popolare ed universale , ed oggi non è figlio che di. voci vaghe di oziosi parlatori , che ‘poco basta per far tacere ; e quantunque sia destro ed ingegnoso l’interesse patticolare , nonostante teme presentarsi ‘a faccia sco- perta per promuoverne la risoluzione. E però , sia dolce per noi "l’augurarci che le idee di privative , di privilegio, di vincolo, di- verranno ' per i nostri posteri oggetto di sorpresa ,e saranno ri- guardate con quel'riso compassionevole che eccitano in noi le don- | bicciole quando fanno gl’incantesimi per le streghe, mentre una ‘volta ‘ gravi magistrati , unendo all’ eccesso dell’ ignoranza l’ ec- cesso della ferocia, hanno dato alle fiamme migliaia d innocenti che Pipevano aver convinti di sortilegio. Essai sur l'éducation des femmes part mad: la comtesse de REMUSAT. Paris, Ladvocat ;'2.'edit: REGIA in 8.° ‘| Donne care, che brava dario aveva ad essere questa contessa! "Una i grande i imaginazione o un gran sentimento non sono le doti che sì ammirino di più nelle persone del vostro sesso , poichè non sono le più rare. Una ragione tanto solida come quella della nostra au- 36 trice è cosa particolarissima , e tanto più ammirabile quanto meno dovuta al favore delle circortanze. Voi vi ricordate forse come la Staél ancor giovane si compiaceva nel suo libro della letteratura a presagirvi un nuovo destino. Migliorate , ella pensava , le istituzioni sociali, perchè non si migliorerebbe la vostra condizione ? Se qual- che timore le occupava l'animo era per le donne d’ un talento stra- ordinario; la gioria , ella diceva, può costar loro la felicità. Ma questo , come vi accorgete , era un timore assai personale , ch’ ella generalizzava per modestia , o estendeva per benevoletiza, Rispetto alle donne, cu: nulla spinge a gareggiare col sesso più ambizioso e più intelligente , non potea che sperar bene. Ella si figurava, non ne dubitiamo, di vederle tanto più contente, qaanto più il posto assegnato loro nella società dai costumi e dalle opinioni sarebbe vicino a quello assegnato loro dalla natura. Un quarto di secolo ha fatto a questo riguardo ciò che nel corso ordinario degli avvenimenti un secolo intero non avrebbe potuto. Le donne dovrebbero adun- que essere più soddisfatte che non erano; eppure si lagnano, dice l'editore del saggio , e mosirano credere che il presente non valga per loro il passato. Mia madre, ei prosegue ( dichiarandosi con ciò figlio dell’ autrice) vide ben presto il loro malcontento , forse ne provò ella medesima uno somigliante, e prese parte a doglianze che, quando fossero senza ragione , non sarebbero senza scusa. Ma , sia amore della verità , sia desiderio illuminato del proprio ben essere, volle pesare queste doglianze , volle esaminare se l’ at- tuale condizione delle donne, e quella a cui sembrano andare incon- tro, sia loro così sfavorevole come pensano, e quest’ esame la con- dusse a comporre l’opera, di cui oggi io pubblico ciò ch’ essa ha lasciato. — Noi ignoriamo i particolari della vita di questa signora. È difficile ch’ ell’ abbia passati i primi anni ( da cui pare che dipen- da sempre quella maniera di vedere che si manifesta ne’più maturi ) fra circostanze così propizie come li passò la Staél. L’ avere per genitori un Necker e una donna poco meno eccellente di lui negli studj morali; il trovarsi ogni giorno familarmente fra Grimm e Tho- mas, fra Raynal e Gibbon dovea far volare non che progredire il pen- siero d’ una fanciulla per sè medesima perspicacissima. Il pensiero di mad. Remusat, per ciò che sembra indicarne suo figlio, non fu a principio così stimolato dalla conoscenza della verità , che non fosse ad un tempo rattenuto dalle abitudini e dai pregiudizi do- minanti. La Staél altronde fece i suoi presagi sul nuovo destino delle donne, quando il suo cuore era naturalmente aperto alle più dolci speranze. La Rémusat ne scrisse , e con più sicurezza di lei, dopo molte spiacevoli esperienze. Quella si abbandonava al giovani- Lo; le entusiasmo , che sorpassa alle difficoltà. Questa nella maturità delle sue considerazioni chiamava ad esame le difficoltà medesime, nè certo le impiccoliva per averne più facile vittoria. Mia madre (è ancora suo figlio che parla) conobbe il mondo, la corte, il ritiro. Ciò che soggioga quasi tutti gli spiriti , 1’ esperienza delle cose , rese libero il suo. La vita , prolungandosi , non fece che convincerla vie- maggiormente di quelle idee , che d’ ordinario si abbandonano come belle illusioni all’ Tape dell’ardente gioventà. — Ci sembra perciò di avere non gratuitamente asserito. che la solidità della sua ragione fu quasi tutta opera sua. Ma d’ onde sorge il maggiore ar- gomento del-suo merito, sorge pure, donne mie, il principale mo- tivo della fiducia che potete avere nelle sue parole. Già siete av- vezze a riguardare la capitale di cui ella si fa centro nelle sue 0s- servazioni { Parigi ) come la capitale del mondo femminino. Gli av- venimenti, che hanno in essa modificata la condizione del sesso a cui appartenete ,si sono fatti sentire in tutte le parti d’ Europa , è vi hanno avuto per voi non dissimili risultati. Può anche dirsi che l’ Europa non è mai stata così una com’ oggi , se non per istituzio- ni, almeno per opinioni e per costumi. Le donne italiane sono cer- tamente sulla via del miglioramento come le francesi : ove si trovi- no qualche passo addietro , la scrittrice , di cui siamo per ispiegare almeno le principali intenzioni , può servire a farle inoltrare. Delle donne , ella dice , non si è quasi mai parlato senza esa- gerazione. Ciò significa, per avventura , che non se ne è quasi mai parlato senza passione; e questa , già lo sapete , non cono- sce nulla di mezzo fra gl’inni e le satire. Ma significa pure che non se ne è quasi mai parlato con vera cognizione, qualunque sia la causa di questo fatto. In un’ epoca » prosegue l’ autrice , in cui tutti gli oggetti del nostro pensiero si assoggettano a nuovo esame , in cui l’uomo più non si accontenta di supposizioni ri- guardo al proprio essere , ma per ben conoscersi va diligentemen- te osservandosi , una donna può certo imitare il suo esempio , in- terrogare la propria esperienza intorno alle facoltà delle persone del proprio sesso , e cercar di determinare meglio che ancora non siasi fatto ciò ch’ esse sono , e ciò che possono divenire. — Que- sta ricerca per lei fondamentale dovea precedere l’ esame della loro attuale situazione , onde chiarire se abbiana motivo di lagnarse- ne , e di sospirare verso il passato. Un’ organizza z ione così fragile che delicata, un bisogno continuo di soccorso materiale e di vin- colo morale, i nostri difetti come le nostre buone quanta , tut- to ci prova, ella dice , che la solitudine la quale non è buona pel- l’uomo , sarebbe fatale per la donna ; e questa nostra dipendenza 38 da un essere che ci guidi e ci protegga è un segno sicuro della nostra inferiorità, Rousseau, il quale nel ragionare di noi non si è tenuto lontano, da nessun eccesso , mentre celebra con entusias- mo i nostri pregi , crede , Snardango a ciò che ne manca, di po- terci vietare ogui parte un po’ seria nell’ azione della vita, L edu. cazione , ch'ei consiglia per le donne, non è che l’arte laboriosa di allontanarle costantemente da cose ; verso di cui un’ anima emanata dal cielo si sente portata costantemente. E nondimeno, com’ egli ama meglio correre il rischio de’ paradossi che raffred- darsi coll’ osservazione , fa tra esse e gli uomini uo riparto di doni intellettuali, niente compatibile coll’inazione a cui le condanna. Perocchè , se agli uomini attribuisce il genio che inventa , dice che le donne hanno più spirito , cioè più sagacia, effetto, al parer suo , del loro desiderio di piacere. Ma le prove ch’ ei ne reca altro non dimostrano se non ch’ esse applicano sempre quanta forza d° inten- dere è in loro al sentimento presente, e pongono una cura parti- colare nelle minime relazioni della vita; che sono per loro di un grande interesse. L’ uomo è padrone e può trascurare le partico- larità senz’ essere perciò meno sagace. Ma, come alle volte ei si abbassa a frivolezze meschine, deve allora peer ade che le donne abbiano un vantaggio sopra ii lui, e di qui è nato un giudizio erroneo in loro favore. Quand’ anche però egli manchi per così dire alla propria superiorità, mai non può perderla, Ed è sem- pre vero che, mentre le donne sono incapaci d’ un’ attenzione so- stenuta , ove non le animi la speranza di qualche straordinario successo , un uomo per suo solo diletto può applicarsi a cose le più *ifciti e disparate. L’ estenzione delle sue idee è la misura di quel grado ch’ egli occupa nell’ umana società come ente mo- rale. Solo nell’ epoche di raffinamento e di mollezza , ella prosegue, quando cioè la grazia fu preferita alla forza, la destrezza che schiva i colpi della fortuna alla fermezza che li respinge , le don- ne, usurpando un potere offerto loro dall’ inerzia o dalla moda, con- fusero le cose in maniera che fa difficile decidere da qual parte fosse la preminenza. Ma la prova , ch’ esse non si trovarono allora nel posto assegnato loro dalla natura, si è che, lungi dal produrre al- cun morale perfezionamento, esse non servirono che a snervare i ca- ratteri e a rendere più difficile la virtù. Per ciò che concerne gli inte- ressi generali della società , quando noi pretendiamo a qualche sorta d’impero , tutto degenera. Dotate di molta vivacità noi intendia- mo , indoviniamo le cose all’ istante , e spesso egualmente bene che gli uomini ; ma siamo troppo facili a commoverci per rima- 39 nere imparziali od essere capaci di una lunga attenzione. Oggi per esempio veggonsi non poche donne prender parte assai facile alle serie questioni della politica. Esse fanno talvolta riflessioni egualmente fine che giuste, egualmente sagaci che luminose. E nondimeno la più piccola ingerenza che avessero nella RIapica amministrazione le RNA Enia , richiedendo se non altro un’ | attenzione continuata , che riesce loro impossibile. L’ ispirazione goin: lor rivela talvolta delle verità di cui non veggono I’ applicazione, Quindi ne’ pubblici affari potrebbe talvolta giovare il loro consiglio , ma la loro opera non mai. Dove questa non solo giova ma necessita è nella vita domestica ; e ciò ristabilisce una specie d’eguaglianza fra esse e l’ uomo , da cui le loro buone qualità come i loro difetti le mostrano dipendenti. Quelle cause infatti che nell’ uomo eccitano l’ orgoglio, sentimento d’una poten- za che giudica sé stessa , in loro non eccitano che la vanità , sen- timento della debolezza che si compiace dell’ effetto prodotto in quelli di cui le abbisognano i riguardi. L’ uomo provain sè me- desimo una specie d’egoismo , che potrebbe chiamarsi il sentimen- to della sua indipendenza ; le donne sono sì lontane da questo sentimento , che per determinarle ad un’ azione qualunque biso- gna quasi sempre proporre loro il bene d’ un altro. La più parte delle nostre virtù , prosegue l’ autrice , non si esercitano senza certa esaltazione , la quale esclude ogni idea d’ interesse. E certo questa esaltazione è necessaria per legarci costantemente ad un al- tro essere , poichè spesso la ricompensa del nostro attaccamento si riduce all’emozione, che |’ anima ne riceve. Quindi noi posse- diamo il secreto di crearci facilmente delle illusioni, le quali o ci incoraggiscono o ci consolano , e suppliscono a quella forza di riflessione , che ci fa negata, e ue non era molto necessaria , poichè quasi non abbiamo diritto ad alcuna decisione importante. Così ci è stato dato piuttosto il coraggio che sopporta che quello che vince, piuttosto l’ arte di schivare la sventura, che la virtù di affrontarla. Rousseau dice che le donne sono per natura scal- tre e lusinghiere, nè debb’ essere altrimenti, poichè per loro il bisogno di riuscire in ciò che si propongono è un bisogno così forte come quello di piacere. Ma non sarebbe dunque possibile il vol- gere a bene questi bisogni della loro debolezza? La società , pren- dendoli quasi in ischerzo, non ha forse da rimproverarsi di avere disviate le donne , e accresciuti i loro difetti ? Non è dessa forse ‘che ha sviluppato in loro il gusto della pompa , il desiderio del dominio ? Non è dessa , che per l’eccesso de’ suoi omaggi o la leggerezza del suo disprezzo ha promosse le loro DI CHEUAIGHT, 4o o giustificata in certo mòdo la loro frivolezza ? Se gli uomini si accordassero una volta ad interdir loro ogni speranza ambiziosa, senza condannarle alla futilità , se cessassero di trattarle o come idoli o come trastulli , esse prenderebbero in società il vero posto che loro conviene , più non si metterebbero in mostra che nelle oc- casioni in cui il dovere ne fa loro una legge , e la loro modestia acerescerebbe la loro amabilità, e gli altri loro pregi reali. Ciò è del loro interesse non meno che dell’ interesse degli uomini, e ciò debb' essere lo scopo della loro educazione. Ma l’ educazione come potrà ottenerlo , se non rialzando la loro naturale dignità , se non coltivando inesse tutti i doni che loro ha fatto il Creatore ? A meno di crederle incapaci d’ ogni sentimento morale, a meno di pretendere ch’ esse non hanno nè ragione , nè volontà‘, nè libertà, insomma a meno di negar loro tutto ciò ch’ è proprio dell’ umana natura , non si può trattarle meno seriamente degli uomini ,ira- visar loro la verità sotto le apparenze del pregiudizio , il dovere sotto quelle della superstizione. Esse hanno diritto di conoscere chiaramente l’ uno e l’ altra, (cioè il dovere e la verità ) poichè sono fatte per l’unoe per l’altra; e il trattarle, come se non avessero questo diritto , è un opporsi alla volontà del Creatore e un avvilire l’ opera sua. Ora 10 non temo di aggiugnere (compendiamo sempre o in- terpretiamo le sue parole ) che i tempi, i quali furono più favo- revoli a mantenere le donne nel loro stato naturale, facendo ad esse conoscere il dovere e la verità per mezzo della cultura della lor ragione, furono itempi migliori per l’umana società. Ma questi tempi chi ce li addita ? Dobbiamo noi crederli già pas- sati o figurarceli in un lontano avvenire? Dobbiamo noi prestar fede a qualche filosofo malinconico, il quale ci assicura che le donne si trovarono assai meglio in uno stato selvaggio, o a qual- che galante, che ce le dipinge beate in un’ epoca di civiltà raf- finata? Ma nello stato selvaggio , che non rappresenta se non la vita fisica, le loro facoltà morali non poteano che giacere inerti ; in uno stato di società raffinata , cioè tra uomini divenuti femmine giusta l’espressione di Rousseau, quando la debolezza avea preso il luogo della forza} le loro facoltà per questa usurpazione non poteano essere che deformate. Indi la loro mala contentezza in inezzo alle apparenze del piacere e quasi del trionfo ; di che 1’ au- trice reca più volte in testimonio le parole di donne celebri de’ tempi famosi della moderna galanteria, Certo, ella aggiunge, per ogui essere umano la miglior situazione sociale è quella , in cui può mostrare ciò che vale realmente e tutto ciò che vale. 4t È vero che non avvi situazione alcana, in cui gli sia impedito di conservare le sue naturali inclinazioni, e praticare i suoi do- ‘ veri. Nondimeno la società è tanto migliore, quanto più per le sue istituzioni promove lo sviluppo delle migliori facoltà che il Creatore ha poste in ciascuno degli esseri. Che se queste istitu- zioni sembrano fatte per gli uomini particolarmente, le donne non ne approfittano meno. Il loro destino , la loro virtù no non è indipendente dallo stato politico del loro paese. I costumi pri- vati prendon norma dai publici , e i publici la prendono dalle leggi. Allorchè un popolo generoso , istruito dall'esperienza , sem- bra pronto ad adottare istituzioni veramente gravi e morali, chi ha senno e desiderio det bene approfitta di questa disposi- zione, per dare nuove basi alle regole de’ costumi. Quindi l'epoca de’ miglioramenti politici è 1’ epoca de’ miglioramenti dell’ educa - zione, Queste idee, come accenna l’ autrice medesima, fanno sen- tire abbastanza con quali vedute è) composta l’opera sua. La po- litica, giusta le sue espressioni , va formando uomini nuovi; e l'educazione dee formare per essi nuove donne. Ma queste , os- serva l’ editore del saggio , si adattano meno facilmente degli uo- mini ad un nuovo destino ; si meravigliano, s’ impauriscono dello stato della società , qual l’ hanno successivamente modificato gli avvenimenti e le cangiate opinioni. Come però i principali ca- ratteri di questo stato sono la dolcezza e l’eguaglianza , non si vede per qual ragione esse possano lagnarsene. Sarebbe mai la pittura o la rimembranza de’ piaceri e de’ trionfi , che il tempo antecedente permetteva alle donne , ciò che eccita le doglianze d’ alcune ? Ma quelle, che hanno veduto un tempo al dir loro sì avventurato , non sospirano in realtà che la loro gioventù, cui nulla può ad esse restituire, Se altre si lagnano sull’ altrui parola, sono probabilmente ingannate dalla loro imaginazione , o sedotte dalle loro inclinazioni men ragionevoli, e non bisogna ascoltarle. Bisogna però ascoltar quelle più illuminate, che sepa- rano, parlandovi del passato, il bene dal male, gli usi dagli abu- si, Ciò ch’ esse sospirano è un’ armonia di costumi e d’ opinioni , che piace alla lor ragione egualmente che alla loro debolezza ; un certo ordine fra le relazioni dei sessi e delle persone, che sembra loro un pegno così della privata che della publica feli- cità. L'amore dell’ ordine per vero dire ha in sè un non so che di morale e di sacro, che, anche quando porta a qualche giudizio meno giusto , bisogua rispettarlo. E sarebbe pur forza , favellando alle donne ; rinunziare ad ogni giustificazione del nostro tempo, ove 42 non fosse tempo che di rilassamento e di disordine.Ma fortunatamente la cosa non è così, Questo tempo da alcuni sì calunniato richiede una morale più elevata, più delicata , più severa che mon si crede ne se è vero che molti migliora menti già siansi veduti a questo ri- guardo, le donne dovrebbero essere le prime a renderne testi- monianza , poichè furono le prime a darne l’ esempio. Ma le prove di questi i fritta ove sono? Come si manifestano essi ? Come sì può farli maggiori ? A tutte queste domande l’ opera di mad. Rémusat può assai bene sodisfare. Per tutto vi si trova quest’ ‘idea dominante che gl’individui della specie umana, e le donne in par- ticolare, meritano oggi che si aspetti da loro maggiore virtù che in altr’ epoca qualunque; e questo è già un grande omaggio pel empo in cui viviamo. Quindi, non per aver giudicato severa- mente, ma piuttosto per aver giudicato onorevolmente del suo sesso e del suo tempo, ella sentì la necessità di perfezionare l’ edu- cazione delle donne , onde riescano quali debbono essere pel bene proprio e della società. Parve a lei che quanto poteva ancora biso- gnare alla loro contentezza e alla loro uenità fo sse impedito da pregiudizii e da abitudini, che non sono più in armonia coi nuo- vi destini sociali, e bramò liberare le più giovani da questi pre- giudizii e da queste abitudini, come da un’incomoda eredità. D'altronde l’ educazione non è giovevole soltanto pel faturo, ma arreca all'istante parte dei beni che promette, e migliora le per- sone stesse che la porgono. Dacchè mia madre (è sempre il figlio dell’autrice che parla) ebbe concepita l’idea d’un per- fezionamento nell’ educazione , si diede con tutto 1’ ardore allo stu - dio di un soggetto così importante. Richiamò tutte le sue ri- membranze , interrogò la propria e l'altrui esperienza, fece ser- vire allo scopo che aveva in veduta le sue meditazioni , le sue let- ture, le sue conversazioni giornaliere, quasi tutte le relazioni della sua vita. A misura che il suo lavoro ( frutto di tanto stadio ) si avan- zava, pareva ingrandirsene a’ suoi occhi l’utilità e l’importanza, e, per usare un’espressione divenotale famigliare , ella finì col ri- guardarlo uno dei doveri del la sua missione. Ella non potè com- pire che la metà circa del piano che avea concepito. Come però trovansi in questa prima parte, oltre le considerazioni generali che motivano un cangiamento nell’ educazione delle donne, l’e- sposizione de’ principii che debbono dirigerla , essa basterà per gli spinti riflessivi, onde giudichino se il cangiamento sia necessario, e i principii siano buoni. Ciò egli dice modestamente , sembrandogli che in bocca d’un figlio ogni altro linguaggio sarebbe sconveniente , e imitando la 43 ritenutezza, della madre sua, la quale sebbene scriva, con tutta la forza dell'interno convincimento, pure non sentenzia, ma propo- ne e ricerca se le. opinioni altrui non fossero conciliabili colle sue. Il merito della sua opera doveva. avere de’ giudici in cui non potesse cader sospetto di parzialità; e il suffragio conosciuto di questi giudici (vedi quasi tutti i giornali di Francia più ri- nomati ), che ci mosse a cercarla , ci dispensa dal parlarne qui dav- vantaggio. E al loro suffragio, per così dire privato, se né ag- giunse uno solenne, quello dell’ accademia francese , che congre- gata il 25 agosto di quest'anno, per premiare, secondo il lascio del benemerito barone di Monthyon, le opere più utili alla mo- rale ultimamente pubblicate, decretò all'opera di cui si parla uno de’ secondi onori. Uno de’ maggiori fu da lei asseguato ad altra opera sull’educazione scritta da mad. Campan anch’ essa defupta; ma questa preferenza si deve per avventura alla com- pitezza dell’opera medesima , o a qualch’altra cagione estranea al merito filosofico e letterario che la distingue. Non so qual fo- glio periodico, rendendo conto della decisione accademica, ha detto che non poteva per essa credersi adempita l’ intenzione del testatore , il quale voleva probabilmente premiati altri scritti, (de’ nuovi Fedoni per esempio , o de’ nuovi Studi della natura) che de’ trattati generali sull’ educazione, di cui abbiamo abbondanza. Veramente quello di mad. Campan tutto pratico può credersi non molto differente digli altri, quanto alle principali vedute ; ma per Je cose particolari che racchiude ci sembra molto im por- tante. L’ editore di quello di mad. Rémusat pensa che, ove que- st’ egregia donna avesse potuto ridurlo a compimento, non ne avrebbe probabilmente consecrata la parte che si desidera se non a consigli riguardanti l’esecuzione. E noi pure pensiamo che si sarebbe limitata a de’ consigli, come quella che, giusta la sua di- chiarazione, la quale può leggersi in uno degli ultimi capitoli, nonsi sentiva molto-inclinata a sistemi propriarrente detti, o a certi me- todi artificiali di educazione , oppostissimi al suo grande principio di sviluppare la libertà morale per dare una solidaj base alla virtù. Ma il trattato di mad. Campan, per essere più positivo, non è però nien- te dogmatico o niente meccanico. Noi possiamo considerarlo come una raccolta delle osservazioni particolari di questa celebre istitu- trice ; nè di osservazioni come le sue la copia potrà mai dirsi so- verchia. Del resto non oseremino asserire che |’ accademia francese, premiandolo, non abbia avuti presenti e quasi persuasori l’eroico at- taccamento dell’autrice alla sventurata Maria Antonietta (di cui scris- se la vita), il suo coraggio nella fondazione dell’istituto di Saint Ger 44 main; chediede eccellenti donne alla Francia nel tempo d’ogni sov- versione di principii, e lo zelo, con cui in quello di Ecouen si era de- dicata alle figlie degli officiali d'una legione , il cui nome faceva alle loro famiglie un debito della virtù, su cui si fonda il vero onore.Quanto a grandezza di vedate e a forza di ragionamento, il saggio di mad. Ré- musat, im perfetto com’è,cisembra infinitamente superiore a quel trat- tato. Anche mad. Campan; come può vedersi nell’opera sua, si-era ele- vata fino a quest’ idea , che nello stato presente della società l’ educa- zione delle donne debb’esser rivolta ad uno scopo più utile e più lode- vole che in passato ; che se i lumi del secolo più loro non permettono di fare gran conto sul potere della bellezza, è d’uopo che cerchino il’ loro compenso in una solida istruzione , la quaie le renda atte ad apprezzare i talenti e le virtù de’ loro mariti , a conservare le loro’ fortune con una saggia economia , a prender parte alla loro eleva- zione senza un ridicolo fasto , a consolarli nelle loro digrazie, a di- rigere i primi anni de’ loro figli, ad allevarne le figlie in tutte le virtù proprie del loro sesso. L’ istesso pensiero si è presentato con- temporaneamente a mad. Rémusat, che lo ha largamente sviluppatu, come potrà argomentarsi dal passo che citeremo. Noi ci avvicinia- mo, ella dice, al tempo, in cui ogni uomo fra noi sarà veramente cit- tadino, cioè unirà il sentimento delle sue obbligazioni verso la patria a quello che deve dirigerlo in tutte le azioni importanti della suajvita. Queste obbligazioni lasciavano in passato la maggior parte de’ citta- dini quasi indifferenti agli atti dell’ autorità , da cui vivevano sepa- rati. Oggi non è più così. Nuovi bisogni fecero nascere un po’ alla volta nuove indagini. Si volle tutto conoscere, tutto giudicare; e da quel punto ogni legge, ogni costumanza , di cui non potesse mostrarsi la ragione, fu screditata, e destinata a sparire per sempre, Questa ricerca dei perchè lù a vero dire portata oltre ogni debito confine, Si osò assalire con essa fino l’arbitro supremo delle cose ; il quale rispose lanciando il disordine per tutto dove l’ incredulità volle arrogarsi un diritto. La regale dignità fu per un momento ro- vesciata, ma sirialzò resa più forte dalle prove stesse a cui era stata posta con tanta violenza. Il rispetto,che quind’innanzi si avrà per es- sa, quantunque di natura diversa dal passato, non sarà meno sicuro © meno affettuoso. Si è appreso a riguardarla come il pernio dell’edi- ficio ricostruito ; e il comune interesse, ormai chiaro per tutti, rin- forzerà quel sentimento ch’ è necessario alla sua stabilità. Intanto ogni cittadino, attivo senza agitazione , ritroverà nell’ esercizio de’ suoi diritti, e nel suo attaccamento alla suprema autorità, occa- sioni sempre rinascenti di concorrere alla vita della patria. Oggi dun- que la qualità di cittadino deve riguardarsi come l’anima dell’ esi- 45 stenza sociale dell’uomo. Il destino della donna è a vicenda compreso in questi due titoli non meno nobili di sposa e madre d'un cittadino, Se in grazia di essi l’ opinione pubblica le accorda tutta la considera - zione, a cui essa ha diritto; se la sua educazione è; diretta in modo da fargliela ottenere, essa non avrà più a lagnarsi della parte che le è toccata in sulla terra ,,. Ma i caratteri essenziali di quest’educazione quali propriamente dovranno essere ? Dalle ultime. parole citate parrebbe che l’ autrice tendesse a fare delle donne tante Cornelie , il che varrebbe assai meglio che farne delle Dubarry o delle Pompadour, ma sarebbe ancora un trarle dalla semplicità delle domestiche occupazioni per farle partecipare a cose, da cui dice più sopra che la natura le vuol lontane. — Certo ella non è dell’ opinione di madamigella Co- ligny, la quale ne’ suoi ricordi epistolari (ossia la società nel decimo- nono secolo) vieta loro, sotto pena di ridicolezza, il parlare di politica lo) d’altre gravi materie, Non credo per vero dire che questa signora darebbe per modello di conversazioni muliebri il dialogo fra mada- ma.;de Rully e la principessa d' Hénin su certo, arnese parfait de ressemblance , che ponevasi dalle donne au bas de la taille , e che noi non osiamo chiamare col proprio nome , come fa mad. Genlis, riportandolo nelle sue memorie. Ma questo non basta. Madama Ré- musat, persuasa che le donne possono oggi fortunatamente innalzarsi ad altri soggetti di discorso ,, brama che all’ uopo sappiano, mettere qualche buona parola ne’ ragionamenti che interessano il pubblico bene, Quindi non può escludere dalla loro educazione quel genere di rudimenti , che faccia loro conoscere la storia e le istituzioni del proprio paese ; la cui prosperità è raccomandata ai loro sposi e ai loro figli. Destinate per altro non a disputare con loro , ma a so- .stenere od eccitare la loro virtù, esse hanno particolarmente bisogno ‘di morale dignità, e affine che se ne adornino ella raccomanda che si coltivi la lor ragione. Imporre loro de’ doveri convenzionali è gran danno ; imporne de’ veri e naturali non è cosa molto miglio- re ; fare che conoscano i fondamenti di questi doveri, e ne amino I’ esecuzione, come necessaria alla loro e all’ altrui felicità , è que- sto , secondo l’ autrice , il grande scopo dell’ educazione. Religio- sissima ne’ suoi principii,e coerente nelle sue vedute, ella spesso contrasta coll’ autore dell’ Emilio, che vorrebbe ritardare di trop- po alla mente umana la cognizione di quelle verità elevate , onde sublimansi tutti i sentimenti morali , e ‘quasi ci lascia incerti se tratti di allevare esseri della nostra o d'altra specie non esistente che nel suo pensiero. Ma sagacissima egualmente che imparziale ella chiama pure ad esame le censure fatte ai ragionamenti di quel 6lo- sofo da una dorina di molta celebrità pur dianzi nominata 3 cioè r ma: dama Genlis, la quale sarebbe forse andata più riteauta')'se lo aves se meglio compreso. “ Il difetto dell’ Emilio , ella dice , f tutto nel: la sua parte romanzesca. Rousseau pretende riconidutre luomo alla natura coll’ artificio , alli verità col paradosso ; e per renderlo one- ‘ sto lo rende incapace di tutto. In questo pinto io mi diparto da lui, ed ho dovuto spiegarmi , poichè vi vorrebbe una grande confidenza nelle proprie idee per condannare d’un tratto di penna un tale serit- tore. Ma egli non si è ingannato né ‘flà sua intenzione generale , non ha avuto torto di cercare fuori dellé convenzioni sociali e nella‘na- tura medesima la ragione e l’ onestà ; non ha avuto torto di credere che per istruire il suo allievo dovesse moverlo ed illùminarlo, Ecco l’idea che mi è comune con lui , e séparandola dagli errori brillan- ti, ch'egli vi ha mescolati , ho creduto di poter rispondere ‘alle. ob- biezioni dirette contro P'operà sua!) Questa ‘sagacia nel discoprire le vere intenzioni d’'uno scrittore ci fà Fisovvenire di quella con cdi giudica la Delfina di rnadama Stael , intorno a cui non è qui inutile di riferire alcune sue parole. “ Delfina'è è più che un *avventara’inte! ressanté o una pittura di caratteri; è, se così posso esprimermi; unà pittura disvcietà! L'autrice ne dimostra) per mezzo d’una serie d’av- venimienti che discopre una grande intenzione , il pericolo de’ senti- ‘ménti più elevati quando si sollevarfo troppo avventàtamente con- tro i costumi è le opinioni regnanti. Interi popoli ‘potrebbero appro- fittare' della ‘lezione ‘ch’ èssa porge , esponendoci Quella che unà semplice donna riceve dal inondo e dall’ esperiénizà. Ma sembra che ‘un sentimento di generosità le’ispirasse di mostrarsi più severa ver- ‘so'sè tiiédesima e il proprio sesso, di ‘quello”che lo sarebbe stata ‘verso'tina nazione. Delfina sbccombe vittiina del suo ‘audace en- tasiasmno; delle sue impradenti virtù; ma'gli uomini; ina i popoli, me- ‘mo deboli e meno dipendenti, sono avvertiti che possono ‘conservarsi de prosperare , ove ‘sappiano'trar lume dai mali sofferti, e liberandosi dai pregiudizi sostituirvi de’ verì principii. ,, Se la vita de’ popoli e «degli individui si rassomiglia , se le cause de’ loro mali e de’ loro be- ni differiscono piuttosto'per misura che per natura , se il loto stato non è'senza reciproca influenza ; bisognerà dunque ‘mettere in ar- monia'le‘loro istituzioni, e inentre i popoli si educano a nuovi ‘de- stini fare che simile educazione non manchi pià individui. A‘ uomi- ‘ni'migliori donne migliori , ha detto come già si accennava la nostra autrice, e il principio che presiede al miglioramento degli uni pre- ‘sieda'al miglioramento dell’ altre. Malgrado la somma circospezione ‘usata nel suo scritto ella ben s’ aspettava forti obiezioni , ed ha cer- cato di prevenirle mostrando all’ uopo (giacchè la novità suol pren- I o et, 47 dersi per argonniehto d’ errore ) di non essere né la sola nè la prima a “pensare ciò ch' ella pensò. Se lo stato della società , dice |’ edi- tore di questo scritto , mai non ha permesso com’ oggi di abbrac- ciare nel suo insieme, e di seguire nelle sue conseguenze il si- stema d’educazione che mia ladra presenta, nondimeno le idee fon- amentali su. Cui esso riposa possono dirsi idee già da gran tem- po n manifestate , e da chi ben potea renderle degne di grande ri- guardo, Il carattere morale di questa educazione è in fatti di s0s- tituire la vatara «all'uso, i principii che gover nano Ja libertà morale alle convenienze che l’ apnullano , di fare insomma che ne’ primi anni , come, nel resto della vita, il supremo regime appartenga alla ragione ,» ove in passato parea darsi tutto quanto all’ autorità. Ora una tale dottrina non è tutta racchiusa in queste semplici parole di un trattato sull’ educazione delle fanciulle s pubblicato or saranno due 3 secoli: bisogna condarle colia ragione quanto sì può ? 2% Lo. sco- po, di questo saggio è di mostrare, che si può spesso , che sì puo in gran parte , e che si deve ogni volta che si può. Madama Campan, piena anch’ essa di tenerezza e di rispetto per l \’ autore di quel trattato, l'ottimo Fénelun, a cui il cuore e l’ in- igegno suggerirono quasì tutti i principii rigeneratori della società , ricorre a lui sovente, come la nostra autrice, quasi per assicurare la propria ragione contro le altrui prevenzioni. La;sua autorità è pur grande,, Posi l’editore del saggio, e fatta per dare. nuovo peso alla verità, Ove si legga bene il, suo piccolo ed eccellente scritto vi si troveranno esposti franchissimamente.ed appropriati al suo secolo.i _rimproveri.che, possono farsi in ogni tempo alla frivolezza, all’ igno- danza ,, all’ affettazione; vi si vedrà dipinta d’ una maniera così pic- seantef, che giustar l’ insufficienza d’ un’ educazione superficiale e .seryile.,; qual soleva darsi alle fanciulle. Ben più vi si vedrà (cosa ‘degna d'esser notata )l’ amor del bello e del semplice ,,così caratte- Mistico in quell'uomo, egregio, combattere il falso gusto e la ricerca- «tezza fin nelle toletta del suo. tempo, e, proporre per. modelli le vesti _ondeggianti a lunghe, pieghe; e i capelli. neglettamente annodati delle .greche figure. Certo la PFOPOSIFIOnS era ardita; e non, so qual do -xesse sembrare novità , più chimerica e più temeraria,, la, nuova inoda. suggerita.alle dame di, Versailles,; o la politica del 'Tpleiio sofferta alla corte di Luigi il grande, Mad. Rémusat aveva, una, par- ticolar ragione,d’ essergli affezionata, come quella. che poteva, farsi sua interprete ,. e, a.certi passi APRAr Fe veramente.:da lui ispirata. "Ne recheremo, uno in, prova tanto più volentieri che servirà a spiegar meglio, io,sue idee sull’ educazione, ‘ Una. madre illuminata rappre- senta riguardo a sua figlia una di quelle divinità tutelari che gli 48 antichi ponevano a’ fianchi de’mortali. È la sapienza, è la prudenza sotto sembianze più dolci e più care che quelle di Mentore. Essa deve secondare la coscienza della figlia sua senza sostituirvi la pro- pria; deve condiscendere alla sua giovinezza per essere da lei ascol- tata ; deve saper intendere la sua ingenua alterezza , la sua amabile vivacità, e pensare che non può condurla se non simpatizzando con lei. Quali mezzi di direzione e di persuasione non avrà una madre, che armandosi della sola verità , riconoscendo le prerogative e i di- titti dell’età più bella, insegnerà ad una figlia a conoscere, nel tempo stesso, e la sua libertà e i suoi doveri! Poichè, per un’arcana armonia posta dal Creatore nel nostro essere, allo svilupparsi di una forza la morale ci detta un dovere; al manifestarsi di una potenza (e la giovinezza invero è potente } la morale ci detta un’ obbligazione, A questa parola di potere, trattandosi di donne, l'immaginazione richiama tosto quello dato ad alcune, e sì poco contrastato , che bastò per far credere che tutte ne avessere uno somigliante. Io dicea della giovinezza, e mi parea difficile il trovare preserva- tivi contro l'abuso di questo dono che non è negato ad alcuna. Ma qual altra circostanza (mì si permetta la frase ) qual altro accidente è mai la bellezza! Che diverranno i miei principi dinanzi al suo impero! Non saranno essi come quelle leggi che cadono dinanzi ad un conquistatore ? Io credo peraltro che si possa trarre dalla bel- lezza un gran vantaggio per la morale ,,, E qui seguono molte ri- flessioni in questo proposito, le quali non possiamo dir bene se ci siano sembrate più nuove o più giuste, più graziose e più vere. L’ autrice si è fatta strada a queste riflessioni , osservando ch’ è così inutile occultare ad una bella fanciulia i suoi pregi esteriori e i van- taggi che questi le daranno nel mondo , come l’occultare ad un giovane principe ch’ egli è destinato a regnare. Ella richiama più oltre siffatte parole, e dice: “ Io parlava pocanzi dell’educazione d’ un principe. Ove questa mi fosse affidata , cercherei continuamente di fargli comprendere, quanto siano rigidi i doveri che nascono dalla sua dignità, e gli ripeterei ad ogni occasione (ciò ne ricorda Maman Chiou e il piccolo Napoleone a Versailles ) : se non foste re , esige - rei meno da voi. Così bisogna trattare la bellezza , annuoziarle l'ammirazione e l'esame di cui sarà ad un tempo l’oggetto, gli omag- gi e l'invidia, a cui andrà incontro; e mostrarle ( poichè ogni privile- gio è accompagnato da una morale servitù) i particolari doveri d’ogni persona destinata in qualche modo a regnare. Qui |’ autrice si mostra donna veramente , e le persone del suo sesso, che si sentono così lusingate, avranno in lei maggior fede. Ma avvi, può dire taluna , una specie di contradizione fra quest'idea 49 di regno, e la domestica sommissione per cui 1’ autrice vuol che le donne siano fatte. Eila, che riprova la galanteria come una frivo- lezza o una depravazione, può forse risponderci col poeta : ‘* siete serve ma regnate — nella vostra servitù ? ,, — Le parole , che ag- giugoeremo, serviranno a spiegare in che ella faccia consistere il re- gno della bellezza. “ Rappresentate vivamente ad una fanciulla ciò che avvi di nobile e di attraente nell’unione della bellezza dell’anima con quella delle forme ; ditele che nel mondo l'invidia si ostina a crederle sempre separate ; eccitate in essa il desiderio di posse- dere ad un tempo ogni specie di merito , di far servire le grazie , di cui è adorna, a vantaggio della virtù; infine tem perando destramente le lodi coi consigli , i rimproveri cogli incoraggimenti , allontanatela dalla frivolezza e dalle arti lusingatrici, eccitando 1a lei una tenden - za abituale alla perfezione. Così le avrete preparati de’ trionfi meno perigliosi, e messe per così dire in serbo delle consolazioni pel tem- po ; in cui la sua bellezza dovrà pur dileguarsi colla sua gioventù , doppia perdita che fa doppio il dolore. ‘ Questa sola considerazione basterebbe a far pensare alle donne quanto loro importi di fondare il lor regno su qualche cosa di più stabile, cioè sulla bellezza morale. Ma non bisogna che dimentichiamo ciò che debb’ essere, secondo la nostra autrice, il nuovo stato domestico, per ben sentire quarto im- portino alla donna i lumi dello spirito e la bontà del cuore: Da lungo tempo le donne non fondavano il loro im pero che su quello deli’amore, e di qual amore, buon Dio, quando il più indipendente dei sentimenti era soggetto alla tiraunia del costume , al capriccio della moda! Ma suppostolo pure sciolto da tutto ciò che lo avvilisce , bisogna con- venire ch'esso non può occupare che una breve porzione della vita , ch’ è soggetto a mille inganni, e mantiene in noi una specie d’ egoismo, nascosto sotto le apparenze della tenerezza per un solo oggetto. Sarebbe dunque sì nal concepito un piano d’ educazione , che, senza spogliarci dell’ impero dell’ amore, ci assicurasse i mezzi di conoscere e d’ispirare un sentimento meno tempestoso, naturale a tutte l’età , onorevole in tutte le circostanze, poichè fondato sulla morale, e accompagnato dalla virtù! Questo sentimento permette anzi vuole che ie dovue non siano affatto straniere ai serj interessi di cui si compone la vita d’ un uomo. Una sposa dee compiacersi di ragionare col proprio marito, di poter manifestare un’ opinione sopra il suo parere s’ egli è inembro d’un’ assemblea, sul suo libro , s’egli è serittore, sulla sua scienza se ne coltiva alcuna ; sulla sua. arte, se alcuna ei ne professa. Illuminata insieme e sensitiva , affettuosa e prudente, ella farà quasi sempre che la ragione si applaudisca d’averla consultata, e l’amore godrà di T. XX. Ouobre. 4 50 riconoscere la parte ch’ ell’ ebbe in ogni felice "successo. La sua affettuosa approvazione diminuirà |’ effetto de’ giudizii' severi o leggieri degli uomini , e talvolta il suo giusto entusiasmo anticipe- rà, per così esprimermi, quella stima necessaria che anche i più degni mai non ottengono appena l’hanno meritata. All’aopo (comela donna è sagacissima nel discoprire i caratteri delle persone ) saprà calmare l’impeto di un marito o stimolare la sua indolenza ; saprà ispirargli, bisognando, quelle virtù che non gli mancano se non per cagione di lei ; saprà almeno preservarlo dal pentimento , consecrando antici- patamente con un generoso consenso il sagrificio d’ una situazione brillante, sagrificio che spesso non aflligge un uomo che a cagione della consorte e de’ figli.... Ma per avere questo diritto bisognerà che la vita intera d'una donna abbia corrisposto ad un cuore, il quale non temeva se non per lei; che il suo giudizio sì sia mostrato costan- temente saggio;ch’ella abbia saputo resistere alle inclinazioni perico- lose della vanità, e alle seduzioni dell’ imaginazione; che per l’ abitu- dine dell’ ordine, e l’intelligenza delle cose domestiche, si sia data a conoscere capace di riparar le perdite fortuite, ma già da lei prevedute, e di regolare le riforme che debbono seguirle. Io non conosco spetta- colo più toccante, o che meglio discopra ciò che avvi di più bello nel- l’uman cuore, che quello di un cittadino, ondeggiante fra il suo senti- mento patriotico e gli interessi d’ una famiglia degna di tutto il suo affetto , e deciso dalle parole coraggiose della sua compagna a fare che il primo trionfi. O il potere della virtù non è che un sogno, o in simile momento ella darà a due esseri che s’ intendono sì alti senti- menti, li collocherà per così dire in una regione sì elevata , che la sventura non giugnerà a toccarli. Le situazioni imaginate dall’au- trice possono sembrar rare, e quindi, com?’ ella riflette, potrebbe in- ferirsene che le qualità necessarie per tali situazioni non debbano ri- chiedersi che nelle donne d’alcune classi particolari. Ma oltrechè, posti i continui progressi della civiltà, quelle situazioni possono diventare frequenti, qualunque sia, ella osserva, la condizione di un uomo, s’e- gli è capace di qualche industria, egli è pure di qualche importanza pel suo paese, e la sua compagna avrà ad adempire de’ doveri gravi o commoventi , per cui le sarà d’ nopo senno di veroe di vera virtà. Così i principii del suo saggio d’educazione vengono'ad essere appli- cabili alle donne di tutte le classi, nessuna delle quali può essere trascurata senza danno della società, Veramente avrei bramato di trovarvi alcune speciali considerazioni ( quelle sparsevi qua e là mi sembrano troppo generali ) relative alle donne delle classi povere; e non dubito che se l'opera fosse compita, nulla resterebbe nemme- no per questo riguardo a desiderarvisi. Mad. Campan, attorniata 51 nei due istituti, che nominammo, da fanciulle appartenenti a fa- miglie di gran nome o di grande ricchezza, mai non cessò di pensare a quelle, a cui la sorte non permettendo una splendida educazione, la società non ne procurava nessuna. Ridottasi alfine nella quiete del ritiro dettò per esse i suoi consigli, che vanno uniti al suo trattato, e ne formano a certo riguardo la parte più importante. Se mai |’ ac- cademia francese ha voluto in esso premiare particolarmente l’in- tenzione umanissima che glieli ha ispirati, ce ne consoliamo gran- dissimamente , come se ne consolerebbe vivendo la contessa di Re. musat. M. ane——__ktK]KktkKkkk:i:-:::::-:''-c‘‘’i.ii.r..a. Colpo d’occhio sopra lo studio della lingua e delle antichità etrusche in Italia. Le ricerche sopra la lingua, e le antichità degli Etruschi ( per non parlare de’ tempi da noi più lontani ) furono argomento di ca- lorose dispute tra gli archeologi che specialmente fiorirono dalla metà dello scorso secolo sino al suo termine. Sono nomi celebri in questa classe di studj i Dempsteri, i Maffei, i Mazzocchi, i Lamì , i Gori, i Guarnacci , gli Antonioli , gli accademici cortonesi, i Vinkel_ mann, Heyne, Visconti, Lanzi. Come suole spesso accadere nelle ri- cerche sopra cose oscure, anzi oscurissime , quali sono le antichità etrusche, impazienti gli eruditi di presto gridare, come Archimede inveni inveni, si rifecero dall’immaginario e dall’ipotetico,ed è quan- to dire dall’ uscire subito fuori di strada, invece di far passo verso la verità lentamente, ma con sicurezza, incominciandosi dall’ analisi e dal confronto delle cose inote per discuoprire quelle ignote. Pur ciò non ostante avvenne a costoro lo stesso che a molti degli antichi filosofi, i quali sforzandosi d’ immaginare sistemi spiegazioni di molti fenomeni naturali , percorsero tutti gli stadj dall’ impossibile al possibile ed al probabile, e così brancolando fra le incertezze s’ in- topparono alle volte in qualche cosa di vero; ma perchè non erano in grado di dimostrarlo come vero se lo lasciarono fuggir di mano, per dar dietro a nuovi sogni, o non ne dedussero le conseguenze che avrebber potuto cavarne per farsi strada ad altre verità. Non altri- menti, io dissi, avvenne ai ricercatori ed illustratori delle antichità etrusche. Misero a contribuzione tutte le nazioni antiche Ebrei, Fe- nicj , Lidj, Egiziani, Greci. Chi volle derivati gli Etruschi dagli uni, e chi dagli altri, e tutti si confasero in ricercare etimologie, ed auto- 5a rità d' antichi scrittori, nel dare interpetrazioni a capriccio, nel con- tradirsi, guerreggiarsi, volendo ciascheduno trionfare dell’altro. In ul- timo venne l’ ab, Luigi Lanzi antiquario regio del museo fiorentino. Egli richiamò ad esame il detto dagli altri su gli antichi linguaggi italici, ed in particolare sull’etrusco; e si avvide che bisognava in- cominciare dallo stabilire con certezza almeno il valore dell'alfabe- to. Lo migliorò dunque moltissimo senon lo perfezionò. Si rifece dal paragonare vocaboli iguoti co’ noti, e trovando spesso dell’ analogia con l’antico greco e latino argomentò dal particolare all’ universale, e conchiuse che questi due idiomi poteano dar molto lume per la, dichiarazione dell’ etrusco linguaggio e d’altri antichi d’Italia. Ma quantunque ei non mal si apponesse in parte, estese forse troppo la sua induzione, e non sì accorse che alle volte l'analogia non era pri- mitiva, ma derivata, cioè non scuopritiva la vera primitiva radice , ma soltanto accennava la derivazione da sorgenti comuni al greco ed al latino, e ad altri antichi idiomi d’ Italia. Di quando in quando mostrò qualche dubbiezza , ma nondimeno persistè ad attenersi al suo prediletto sistema, come a base fondamentale. Quantunque il sistema lanziano abbia fatto muovere de’ passi con successo non in- grato; pure il non aversi potuto andare più innanzi mostra o la sua insufficienza per servirsene esclusivamente a facilitare l’avanzamen=, to, o la mancanza di monumepti, ed ajuti che ci aprano la via ad istituire un maggior numero di confronti. A queste difficoltà se ne aggiunge una terza, ed è che in pochissimi (almeno in Italia ) essen- dosi ristrette queste archeologiche indagini; di questi pochi i più giurano in verba magrstri ; hanno a scrupolo di scostarsi dalle dot- trine lanziane, e, come succede degli imitatori e settarj, peggiorano il sistema del capo-scuola , ed aggiungono oscurità all’ oscuro. Ma chiunque a’ dì nostri prende penna in mano per trattare di qua- lunque siasi argomento bisogna che domandi a sé stesso: che cosa dirò io di più? o almeno dirò io più chiaro, più convincentemen- te il detto da altri? L’ argomento di che prendo a trattare può egli ricevere miglioramento? Se gliscrittori facessero a sè medesimi que- ste domande, se spassionatamevte giudicassero de’ loro scritti quanti libri inutili di meno non inonderebbero il mondo culto? Quante tra- duzioni inutili di classici greci e latini, quanti sistemi di medicina e di scienze naturali, quante poesie, quante ricerche teologiche non avrebbero risparmiato a’loro autori la {vergogna d’essere obliate pri- ma che conosciute ? Applicando queste riflessioni in particolare alle ricerche sulla lingua etrusca chi oggi scrive di leio debbe portarla più in là de’con - 53 fini lanziani o almeno mostrar più chiaro il dabbiamente detto da esso ; e se non si può nè l’ uno, né l’ altro, debbe mostrare la causa della impossibilità. Che quest’ argomento sia d’ un difficilissimo assunto l’ ha con- fessato e mostrato col proprio esempio il chiaris. Lanzi, e molto più que’ che vennerodopo col non averne fatto progredire la conoscenza, direi quasi, un jota. ,, Il Lanzi, scrive il ch. sig. conte Vermiglioli, professore di archeologia nella università di Perugia, quante volte dovette istituire ragionamento su di tali lunghe iscrizioni oscurissi- me degli Itali antichi, alla piena intelligenza delle quali manca so- ventemente ogni chiave, ed ogni modo, delibò, dirò così, poche voci da esse, le meno dubbi», ed equivoche, o che almeno tali sembrava- no, ora sul paragone d’ altri monumenti nazionali,e bene spesso sul- l’ analogia del vecchio greco e latino. Rigettando egli a buon diritto in queste ricerche gli idiomi orientali, e settentrionali, a’ quali siste- mi da qualcuno meno istruito oggi si vorrebbe malamente fare ritor- no, discorse que’ monumenti sin dove gli era permesso, non mai abu- sando della congettura, e quanto che fosse bastante a conoscerne l’in- dole ed il carattere; per esempio : se sacro, pubblico, funebre, do- mestico e via discorrendo. Nè potrebbesi peravventura cercare dav- vantaggio da chi non ama pascersi di chimere, e di sogni .. ... Fa- vellando egli del suo Saggio di lingua etrusca . . scrive: con esso non potrà farsi agevolmente una versione di un lungo monumento parola per parola ; anzi converrà a tratto tratto imitare chi spiega lapidi danneggiate dal tempo, che ove non legge, tace ; o al più dubbiosa - mente congettura; ma di molti vocaboli, se non altro, si potrà ren- der ragione, che appaghi a sufficienza. In un’ altra opera sua favel- lando appunto di altro celebre monumento perugino . . così scrivea:,, io non esposi di questa epigrafe se non i nomi proprj e qualche altro vocabolo che facilmente riducesia greco e latino antico. Questa è la mia massima inculcata in tutti i tre volumi ( del Saggio di lingua e- trusca ec. ) e specialmente nel secondo per tutta la classe terza, della quale massima tanto io non mi pento che vorrei ora averla messa in pratica anche più che non feci ,,. Che se, continua il sig. Veriniglioli, mi avverrà di scuoprire qualche cosa con sicurezza , ciò non porge poi alcun diritto a giudicare sul dubbio ed incerto che vi rimane, che pure è molto. Il vero si scuopre a gradi, e questi si allentano talvolta ove, come nel caso nostro, mancano paragoni e confronti. Che se dalle mie, semplici congetture questistudj piuttosto che perdere lucreran- no qualche piccola cosa, potrò chiamarmi lieto delle intraprese ri- cerche ,,. Così il sig. Vermiglioli.L’iscrizione che egli prende ad illu- strare fu scoperta nell’ anno 1822 ; è riposta nel gabinetto de’ mo- 94 numenti antichi della università di Perugia. È scolpita in asmai belli caratteri etruschi, ed in ben compatto travertino del paese; di figura quadrata in forma di cippo, le di cui dimensioni sono nell’altezza un metro e 57 centimetri; nella larghezza 55 centimetri, e nella profon- dità 23 centimetri. Le lettere, che sono conservatissime , nè alcuna cen’ ha che sia di dubbia lezione, sebbene nel primo verso per alcuni scheggiamenti del marmo alcune poche abbiano sofferto, sono alte 3 centimetri, ben ritondate, e non mostrano vestigio di quella an- gulosità, che sempre è indizio di antichità grande. Tale è la descri- zione che ci dà di questo monumento il sig. Vermiglioli nel Saggio di congetture sulla grande iscrizione ec. Perugia 1824. F. Quello di cui'si protesta il sig. Vermiglioli intorno all’oscurità ed infanzia della spiegazione delle antiche lingue d’Italia lo conferma , in quanto all’ etrusco principalmente , egli stesso nel citato Sag gio non sempre felicemente avendo ridotto le sue lezioni , e congetture all'antico greco, e latino. Questo ingenuamente confessiamo esserci sembrato di riconoscere nella lettura di quella erudita illustrazione» Ma un dotto antiquario della medesima scuola del sig. Vermi- gioli dando conto di quel Saggio di congetture ( Vedi Antologia n.° XLIII. Luglio 1824.), dichiara che ,, il sig. Vermighioli cor- regge spesso la scrittura, e spesso pure l’ interpunzione ; che il confronto cui và facendo de’ titoli mortuarj è utilissimo alla iseri- zione che illustra , la quale molti nomi contiene ; che vis’ incon- trano nomi appellativi e verbi , ed altre parti dell’ orazione su’ qua- li vocaboli cadono specialmente le congettare del sig. Vermiglioli ; che queste congetture son sempre savie , moderatissime , e spesso sì vede preferito il silenzio ,ove non potrebbero farsene che di stra- ne e capricciose ; finalmente pare al suddetto sig. antiquario che dal Saggio del sig. Vermiglioli si possa stabilire a qual grado sia în oggi la conoscenza dell’ etrusco linguaggio. Questa decisione ci invogliò a prendere in esame il detto Sag- gio con maggior diligenza per metterci in grado di conoscere in qual punto si trovi al presente questo ramo di archeologia ; ma con no- stra sorpresa nulla più ci trovammo , che la ripetizione di quello che già in altri monumenti parve al Lanzi , tranne alcune congettu- re così incerte da non potersene far gran conto. Egli crede quella iscrizione esser della classe delle agrarie; ma soli nomi di famiglie quali più quali meno probabili, ce ne presenta l’eraditissimo signor Vermiglioli. I verbi e le parti dell’ orazione non altro sono che in- certezze ; niun canone ermeneatico nuovo stabilito sopra buon fon- damento ci incontrammo; niente che c’ induca con qualche proba- bilità a ravvisarlo per un monumento terminale ag rario, Una delle 59 maggiori difficoltà per poter venire a capo d’ un resultato nella rico- gnizione de’ verbi , ed altri vocaboli consiste nella soppressione del- le vocali , e nel non essersi scoperta sin ad ora la regola costante per poterle supplire. Di questa soppressione si sono accorti il Lanzi ed il Vermiglioli , ma il primo nulla ne stabilì ; nemmeno il secondo accrebbe il detto del Lanzi con darne più ampio sistema ; e si contenta solamente di dire ,, mostrerò intanto come questa sop- pressione della lettera V. che ricorre anche nell’altre volte ricor- date medaglie di Populonia , e Vetulonia fu omessa dal Lanzi nel- la dottissima sua tavola del dialetto etrusco , ove si potrebbero ag- giangere altri accidenti che ivi nonsi notano ,,. Or supposto che queste omissioni cadano spesso non per accidente ,ma per sistema ortografico , chi non vede quanto sarebbe necessario di rintracciare la regola generale , e se questa trovar non si possa, quanta, ed insu- perabile difficoltà non esiste ne’ confronti , e per la dichiarazione ! E perchè molto quì da me si asserisce, e nulla si prova , per le angustie di quest’ articolo , in proposito delle congetture del ch, sig. Vermiglioli ; serva a mia discolpa , ed a indurre in sospetto , un solo de’ moltissimi esempii che potrei quì riferire : sia preso dalla il- lustrazione dei versi 17. 18.della iscrizione pag. 66. e seg. dove così parla il sig. Vermiglioli. ,, Io però credo che I’ Ackni tronco per Achnis sia il primitivo di quel nostro diminutivo : come primitivo , credo ancora quell’ Ancs d’ un’ urna volterrana pubblicata dal cav. Inghirami. Ivi quel dotto espositore supponendo per un momen- to, che quella epigrafe avesse pure qualche relazione colle figure dell’Anaglifo che orna l’urnetta, vi vide nominato un soggetto mito- logico , e propriamente il figlio di Idomeneo fatto larva infesta al genitore. Io peraltro non sapendo allontanarmi da quelle dottrine ormai dall’ esperienza, e dai monumenti stessi confermate, che nei titoletti de’ cinerarii etruschi non sono che nomi dei defonti, le di cui ceneri ivi si nascondevano , rivolgerei quel nome , che il sig. Inghirami confessa d’ ignorare come render si debba , in Aci- nius gentilizio forse nuovo in Etruria, come in Acinius o Acinia l’Achni dell’ urnetta riferita dal Lanzi. L’ Acns dell’urnetta vol- terrana, che intiero dovea esser Acnis per me è come C/odis, Re- mis, Octavis tolti da lapidi, ec. Ma qui l’autore del Saggio di congetture si è abbandonato veramente senza freno alla più chi- merica congettura. Ognuno distingue che i nomi delle figure so- no scritti parte sopra , e parte sotto di esse; dal che si debbe ‘stabilire che sieno i nomi delle figure ivi rappresentate. Il sig. Ver- miglioli vuole che ia parola Acns sia titoletto del defonto sepolto nell’ urna! ma come mai si può credere che ul titoletto del defonto 56 sia scritto nella parle laterale in un cantaccio , e quasi invisibile, e sotto una figura, mentre sotto, e sopra le altre chiaramente vi si leggono i nomi delle figure come Cluzmsta Clitemnestra sotto una figura muliebre ee. Siavverta di più chein 580 e più urne volterrane non sen’ è trovata neppur una sola col titolo del defonto nel corpo dell’ urna, ma trovasi scritto nel coperchio staccato sempre dall’ur- na , e sopra il quale riposa il ritratto del morto. Una sola eccezione s’ incontra in an’ urnetta pubblicata dal cav. Inghirami alle pag. 208. della serie IV. spiegaz. della Tav. XXIII. de’ Monumenti etruschi, o di etrusco nome ; ma un’ eccezione non fa regola , e perciò si può stabilire esser fuori d’ ogni consuetudine , che un titoletto mortuario sia scritto nell’ urne di Volterra nel cor- po ; non mai peraltro nella parte laterale , e molto meno sotto una o più figure ; anzi quest’ urna c’ insegna che invece visi scriveano i nomi delle figure dei bassi rilievi , leggendovisi chiaramente Oreste, Pilade , Clitennestra , Caronte ec. Poco o niente può aggiungersi per mostrare l’ inganno del sig Vermiglioli nel volere che la parola Acns scritta nella parte laterale in fondo all’ urna sotto una figura ,. che stà accanto ad altra iscrizione letta Priumznes, (forse Priamus ) nel voler io dissi, che sia il nome del defonto , di cui le ceneri furono chiuse nell’ urna. Nella qualeipotesi per tanti nomi di defonti biso- gnerebbe prendere egualmente anche gli altri, e credere che vi fos- sero state sepolte le ceneri non del sulo Acns, o Acinius, ma d’ Ore- ste, Pilade cc. tutte dentro un’ urna d’ un palmo. Se il nome Acns fu ignoto al Cav. Inghirami , se non parvegli di ravvisarvi nome del defonto , altro non propose che una congettura analoga all’ insieme di tutta la rappresentazione , e forse fu un'altro de’ figli di Priamo de’quali tutti i nomi non son ben conosciuti, o almeno non ne con- vengono concordemente gli antichi. Ora da tutto l’ esposto mi sembra doversi raccogliere che tra gli a noi più vicini dopo il Lanzi, niuno più del sig. Vermiglioli essendosi occupato di questi studii , ed egli non osando allontanarsi dai canoni lanziani col successo che egli stesso confessa, e noi mo- strammo , forza è stabilire niente aver progredito lo studio della lingua etrusca dal Lanzi in poi, e trovarsi tuttora inceppato tra gravissimi ostacoli, ed immerso in foltissime tenebre. Il chiaris. sig. Orioli professore nella Università di Bologna, del quale sebbene principale attribuzione sia l’insegnare le scienze fisiche, ciò non ostante dedica il suo ozio agli stadii di filologia , e d’archeologia (1); (1) Dal ch. sig. cav. Inghirami sarà pubblicato nella sua opera de’ Monument Etruschi ec. una iuteressantissima dissertazione del ch, prof, Orioli ; nella qual© 57 tiene opinione , che nell’ etrusco , tranne |’ alfabeto , ormai posto in piena luce dal Lanzi, e dalle conferme posteriori , e tranne vari nomi appellativi e di famiglie , poco più se ne sappia. Ed infatti quali regole sicure abbiamo, non per la lezione letterale, ma per la grammaticale ? È certo che le vocali spesso son tralasciate ; ma ciò facevasi egli a capriccio degli scarpellini, o per seguitare la pro- nunzia , ovvero per qualche regola stenografica od ortografica » come la scrittura massoretica degli Ebrei ? Nulla ne sappiamo; e molto meno sappiamo in qual modo s’ abbiano da supplire: or senza questa chiave com’ è possibile decifrare voci incomplete e mozze, distinguerne i verbi, le declinazioni, ed ogni altra parte dell’ ora- zione? Le sole analogie di suono, le sole congetture da poche voci note , specialmente in qualche iscrizione bilingue , non bastano per supplire alla mancanza dei confronti, massime nell’ etrusco lin- guaggio ; e quali monumenti abbiamo in maggior copia, fuori dei titoli sepolcrali? e nella spiegazione di tutti questi titoletti siamo poi tanto sicuri quanto può credersi da qualcuno? Perciò le tavole um- bre dì Gubbio , le tre o quattro lunghe iscrizioni etrusche , fra le quali è la ‘principale l’ ultimamente illustrata dal sig. Vermiglioli, mancano d'’ aiuti per istituire confronti , e verificare fuor d'ogni dubbio tutte le congetture fatte sul greco e sul latino antichi ; li quali soli non esser sufficienti è bastanternente provato dai resulta- menti. Di que’ che in tali ricerche precedettero il Lanzi, altri die- dero la preferenza all’ebraico, al fenicio, ed in generale alle lingue orientali ; altri al celtico , ed ai linguaggi settentrionali. Le lingue orientali , e settentrionali, come ur si conoscono , non danno che delle tracce sconnesse e disperse; poco utili per trovare generali e costanti analogie tra esse, ed altre lingue che ebbero la prima origine da una madre a tutte comune, nondimeno troviamo utile il confronto del greco e del latino coll’ etrusco ; o perchè questo idioma ebbe sorgenti comuni con quegli, o perchè in certi tempi con essi più o meno si mescolò ; ma poi dalle comuni prime sorgenti il greco, il latino, l’ etrusco allontanandosi ritennero in parte alcune comuni vestigia di parentela, in parte le lasciarono, restandone in uno le abbandonate dall’ altro, ed associandone ciaschednno delle straniere secondo le politiche circostanze di comunicazioni , ed invasioni d’al- tri stranieri. In questo stato di cose adunque che altro mai resta da tentare se non che dilatare sempre piu i confronti, specialmente con le lingue sono illustrati alcuni movumenti di antichissima architettura etrusca , che daranno delle nuove idee su questo particolare. 58 asiatiche antiche ; ed anche con le settentrionali moderne, che molto ritengono di quelle lingue per essere o antichissimamente venute dall’ Asia con l’ emigrazioni di popoli nomadi , come le con- getture, e le anologie confermate dalle testimonianze storiche ci persuadano, ovvero per altre mescolanze e comunicazioni che la storia non ci manifesta. Forse anche questi confronti nella scarsità de’ momumenti scritti delle antiche lingue d’Italia e molto più dell’ etrusco , poco aggiungeranno ; ma anche il poco sarà valutabile , al- meno per tentare se qualche cosa profittasi dove il Greco ed il La- tino ci abbandonano ; e per vedere se oltre a queste due lingue vene siano altre che abbi:no affinità coll’ antiche italiane. Ma questo ap- punto è quello che ricusano di fare i Lanziani, avendo il Lanzi (co- me c’intuonano ) rigettazo a buon diritto în queste ricerche gli ido- mi orientali e seitentrionali, a’ quali sistemi da qualcuno meno istruito oggi si vorrebbe malamente far ritorno. ( Vermiglioli 1. c. ) Dicon pure che Lidj erano gli Etruschi; usciron dunque di, Lidia muti senza lingua veruna ? Se n’ ebber’ una fu certamente quella di Lidia, ed è quanto dire, ebbero una lingua asiatica (1). Qual fosse la comunione di usi, e di altre somiglianze tra i Lidj, i Greci ed i Tirreni o Etruschi l’ hanno dichiarato molti antichi e moderni scrittori , ed anche recentemente se ne dà una conferma nelle Osservazioni in- torno i moderni sistemi ‘sopra le antichità etrusche. Poligrafia Fiesolana 1824. In quest’ operetta si propone l’autore , fra le al- tre cose, di mostrare a’ lanziani l'opportunità di estendere i confronti (tra le altre) con le lingue illirica e slava, come diramazioni d’anti - chissime lingue d’Asia. Lasciando di produrre i molti esempj che nella citata operetta ed in altre sono in abbondanza portati per dimostrare l’analogia della lingua latina antica e d’altre antichissime d’ Italia coi dialetti illirci e slavi; vediamo se nella iscrizione etrusca illastrata dal sig. Vermiglioli, si potessero trovare alcune voci le quali, almeno con diritto uguale a quello con cui egli vuol tirarle dal greco , si po- tessero dedurre, o ravvicinare allo slavo. Al V. XIII. nota 1, pag. 59 sospetta , coll’ autorità di Servio, che la voce Phales sia lo stesso che Pales e Palilia dei Latini ; onde per lui questa voce etrusca o verrebbe dal latino, o dall’ Etrusco sa- rebbe passato al latino. Ma perchè nel latino e nell’etrusco non potè (1) Qui per sostenere il loro assunto nou mancarodi sforzarsi a persuadere che i Lidj parlavan greco; che la lingua di Lidia abbia avuto parte nella formazione del greco, come madre , o per qualche mescolamento , potrà credersi; che nei tempi posteriori anche i Lidj abbiano parlato i! greco, barbaramente come ci dice qual- s che antico scrittore, è molto più da ammettersi; ma che ne viene da tutto ciò? che la lingua de’ Lidj e dei Greci fosse la stessa ? non mai. 59 venire dall'antica lingua, da cui derivan l’ illirca e slava? in queste lingue o dialetti Paliti significa bruciare, ma la Dea Pale era la stessa che Vesta dea del fuoco, e palzilia farono feste pastorali con baldorie, o braciamento di paglie , stipe o altre legna minute. Nel verso XVIII. il sig. Vermiglioli legge Zerxrnia e così glossa: ,, Forse taluno su qualche non ispregevole analogia di titoletto etrusco dato dal Lanzi, e togliendolo dal Dempstero, ove è Lescini, e che il Poli- glotto dell’antica Italia rende per Le scinia, potrebbesi anco , stando alla lettera, tradurre nel nostro sasso Lercinia, Larcinia, Lescina cambiando la R. in S. Io non farò opposizione, come non ometterò di proporre qualche nuova congettura, sempre dubitativamente però, senza dipartirmi dalle antiche costumanze agrarie , e da’ vocaboli dell’antica agronomia , la quale presso i Romani istituzioni e ter- mini potea avere tolti dai vicini Etruschi. ..... Che se mi si conce- desse di spogliare quella voce della R. che epitetticamente può starvi come in Marspedis per Maspedis presso Festo, sarebbe Le- xinia Lacinia con un nuovo eolicismo della X. per la C, e di cui ri- mane qualche vestigio ne’ pochi versi di Archilocho .... Aggiungerò che se Zacinia fa termine dell’ antico vestiario, e di altri meta fo- rici oggetti, siccome osserva Vossio', fu termine agrario puranche , e come tale lo adoperò più volte Frontino nel suo libro delle Colo- nie ,;° Or qui mi permetta il ch. autore di fargli osservare che Las nel dialetto slavo significa luogo selvoso , Lesny uomo agreste, Le- sniezy impiegato nelle foreste; ed anche riflettasi che nella pro- nunzia dicesi /escinizy. In Varsavia è una strada chiamata /ésno (lescino ) dove anticamente era una foresta che poi ha dato no- me a tutta la contrada. Alla pag 82 del Saggio di congetture ec. si legge riferita la parola Zecne che per Licinius otrima- mente si spiega (dice il sig. Vermiglioli ); ma non potrò dire an- ch'io che per /ésno ottimamente si spiega (1); e molto più in un (1) Giacchè i Lanziani si abbandonano elle congetture mi perdoneranno se ne fo uso, forse un pocv troppo, ancor io. La voce lignum latina , e legno italiana non può ella dedursi dallo slavo Zas o lesno voci relative a selva e fo- Festa , come i francesi chiamano il legno dois da bosco? Ma qualunque sia il conto che voglia farsi delle analogie da me indicate , è un fatto che tra le lingue settentrionali , e le greca e latina si trovano dei ravvicinamenti vistosi, ed è notabilissima la somiglianza di non poche lettere dell'alfabeto Runico antico, Celtibero, Etrusco, e Greco antico. E per aggiungere un’ esempio, tra le migliaia che ne sarebbero in pronto, chi negherà che dal sar- matico fosse chiamata la selva Herciyuia rammentata da Cesare ( lib. 6 bell. Gall.) mequè quisquam est qui se aut audivisse aut vidisse initium ejus sylvae dicat sum illa dierum iter sexaginta processerit. Per la sua grande estensione fu detta 60 monumento agrario. Alla pag. 72 del saggio dicesi che in alcuni. monumenti perugini da marcnas si fece marcanisa ; ma non po- trebbe anche in questo caso sospettarsi che tali voci avessero una analogia colla celtica voce marca , la quale da Pausania sappiamo che nella lingua dei Celti significava cavallo? Dunque concludasi che se si defalchino le congetture ideali, le analogie stiracchiate o false, poco rimane di probabile ; e pochissimo di certo nella co- gnizione della lingua etrusca ; e che questo studio nello stato pre- sente non dà grandi speranze di avanzamento se non si accrescone i monumenti seritti, e non si estendono i confronti più oltre del greco e latino. Quantunque io abbia mostrato che anche dal confronto con la lingua illirica , o slava può trarsi qualche probabile congettura del senso agrario d’alcune voci della iscrizione illustrata dal sig. Ve:miglioli, n tutto ciò non saprei persuadermi per queste qua- la vasta dall’autico sarmatico o slavo verbo Rerciti Rerceno diffundere s diffusum extensum (appendini de’ praestantia et vetustate linguae illiricae. Ragusi 1806. a P. 91.). Può francamente sostenersi che non vi è lingua antica e moderna d'Europa, in cui non si trovino sparsi indubitati vestigj, tanto nei nomi geografici, quanto nei vocabili delle cose, derivati dalla lingua conosciuta in antico col nome di Tracica e Celtica, e poi Illirica,e Sarmatica. Che l’Italia fosse abitata prima che dalle Colonie Lidie,e Tirreniche, e Greche dai Siculi non v'è da farne questione; che que’Siculi fos- sero d’origine asiatica , € parlassero una lingua affine della tracica, molti sono gli ar- gomenti che lo confermano; a’quali può aggiungersi che i siculi transilvani tuttora esi- stenti usano un linguaggio affine del moderno iltirico e slavo. Or tutte queste asserzio- ni fondate sopra quello che hanno scritto e confermato dottissimi nomini Italiani , Francesi, Tedeschi, Polacchi e Russi dovranno essere riguardate per ciancie , e non serviranno almeno a mettere in curiosità per far confronti tra esse e le antiche lingue d’Italia,almeno dove non apparisce altro barlume? Saranno tutti meno istruiti quelli che visi rivolgono? Eppure gliscuolari del Lauzi non dovrebbero ignorare che nel suo Saggio rammentando il Lessico della lingua russa fatto compilare dalla imperatrice Caterina ne preude argomento di sperare che da quello studio se ne possaungiorno trar qualche giovamento anche pe confronti colle lingue antiche d’Italia. Chiuderò questa nota col far sapere che nell'inverno decorso avendo intrapreso un’esercizio nel Classici col mio amico sig. Alessandro Certkoft colonnello maggiore nelle I. Ar- mate di S. M. l’Imp. di Russia , fui sorpreso dal trovare una messe incredibile di voci radicali della lingua russa ( slava ) comuni alla lingua latina; voci che mentre nel latino hanno una ristretta, e spesso isolata significazione, tengono vasta famiglia nello slavo; lo che dimostra che nel }atino non sono originarie, ma adscitizie. Nè per questo vuolsi dedurre che il latino sia una derivazione dell’antico slavo; ma che si è formato dalle reliquie dei linguaggi degli antichissimi popolatori d’Italia, fra i quali non può dubitarsi essere stati popoli asiatici che dall’oriente si diffusero in varj tempi e con varie vicende per tutta Europa ; nsando lingua, o lingue affini a quella da’cui derivarono le poi conosciute co’nomi d’ illirca e slava, e modernamente) sparse nei dialetti slavi dall’ Adriatico sino in Moravia, Boemia , Polonia, Russia, Sibe- ria ec, per tacere delle provincie a mezzo giorno e levante verso il Danubio. 61 lanque siansi congetture, e molto meno per quelle prodotte dal ch. illustratore , che debba questa iscrizione ascriversi al numero delle agrarie. . SEB. CIAMPI. Dell’ urna con bassorilievo ed epigrafe di Lare trionfatore Etru- sco — Dissertazione di VINCENZO CAMPANARI — Roma presso il De Romanis 18625. Una bell’ urna di £rachite, adorna con bassi rilievi , lunga palmi nove romani ed oncie tre, larga palmi tre ed oncie dieci, recante innanzi una iscrizione di caratteri etruschi delle più prolisse che sopra urne si veggano , è il monumento che il ch. autore ha preso ad illustrare colla dotta dissertazione , La cui titolo recammo in fronte di questo articolo. Rappresenta una di quelle pompe allegoriche le quali con poca diversità non radamente ci sono offerte da’ bassi rilievi di questo ge- nere. Vi si vede un uomo levato in piedi sopra una biga. Tre lo precedono , armato l’ uno di picca , e due recandosi in ispalla non si sa bene se due rami od altro. Un ultimo lo seguita portan- dogli dietro una specie di fardello o forziere, che stringe colle due braccia. _Il sig. C. allontanandosi dalle dottrine comuni , non dubita di asserire che questo ci figura un antico trionfo riportato, quand’ era in vita, dall’eroe sepolto nella cassa , ed ei trova che |’ iscrizione conferma la sua sentenza , e il bassorilievo conferma l’ iscrizione ; la quale nel modo ch’ egli la offre scolpita così suona nelle nostre lettere : ai vlanisat i. dear at he sddra . pn... upithasa eisneve.. eperthevce . macstreve. ... pi .. «+. exnchvale . tamera. xelaru . . . . . uixivasavils XXXVI. Lupu . se non che usando della licenza di leggere la C finale come un sigma lunato, e che più è, il va, o vogliam dire il digamma, come u tutte le volte che gli cade in acconcio, e tal altra fiata a modo di com pensa- zione rendendo l’u vocale per vau, e il 4 per <, l’epigrafe gli diventa di quest’ altra forma (dove per brevità ripeto solo le parole che variano dalla lezione esposta di sopra ) einni è US, è (e) 0080. « Upitasa cisneus. eprihneus. macstreus. . . . exnchuals. . . vixi pas 00 VE fa e dopo così fatte metamorfosi non esita pur un momento a spie- garla in corrente latino ; Aruns Laris filius . . . . Vesca natus. . . urbi, . | . depo- SUL. è +0» Eximius vastator in bello constans . . . . occisus tempore illu- stris ( pugnae). . . vixi vitae annos XXXVI. Cinerarium. Il fondamento della spiegazione è per lui ben saldo. In A4.. nth mancano due lettere r ed u , che fanno la parola intera Arunth , cioè Aruns. Larisa è forse tronco dall’ usato Larisa! , e vale Laris filius. Viscl è Visca 0 Vesca natus , ed appartener potrebbe all’ avola materna o paterna d’ Arunte. Pusli , gettata via la s, è il greco ToA;, urdi o urbe. Upitasa è la pri:na persona dell’ Aoristo di urofgo verbo composto di uTo € bew, cangiato in Bad , e vale deposui. Eisneus è come dire l’ eolico 05v0s, equivalente del comune 1 od £vos , e si spiega unicus , eximius , excellens. Eprtneus è quanto eraphyeos verbale da erpabov , aoristo di Tepro, vasto depopulor, e significa depopulator. Macstreus è machestereos , composto di pen pugna e Sspeds constans , rigidus , ec. cioè firmus in pugna. Tamera è chiaramente l'amepa lo stesso che 0'upuspa,die,tem- pore col suo articolo etrusco. Xelaru è da 0eÀ4s lumen splendor , e vale illustri, in illu- stri ,dove bisogna sottintendere pugna. Vixi è il latino vixz senza cangiamento. Phas, contratto da 406 o da Pesos, è il genitivo luminis, 0 lucis , cioè vitae. Avils, come già vide presso a poco il Lanzi con altri, è annos. La cifra che seguita è senza controversia un 36. scritto alla toscana. Finalmente Zupusi sa dallo stesso Lanzi che significa Cinerarium: cosicchè tutta quanta l’ iscrizione , tranne i due frammenti di voce ura ,pi, è fatta manifesta a chianque legge , e ci conferma che il bassorilievo rappresenta , come si disse , uno de’ trionfi passati del nostro Eroe, il quale comecchè infine fosse ucciso in battaglia , pur altre volte fu più favorito dalla incostante fortuna. Impariamo per giunta dal sig C. che tale trionfo non potè ac- 63 cadere più tardi della prima metà del secondo secolo di Roma che è dire a un di presso nel tempo de’ primi Re , e se al ciel piaccia innanzi l’ evo Romuleo , giacchè non si saprebbe trovare ( dice l’A) dopo la cacciata degli Etruschi dalla Etruria circompadana per l’ arrivo de’ Galli, un tempo a proposito per questa grande vittoria. Or ci permetterà egli, alla cui molta erudizione e perspicacia go- diamo di far giusto plauso , che a tutte queste congetture contrap- poniamo alcune nostre considerazioni critiche , le quali non saranno forse giudicate inutili anco per tutti gli altri che oggi occupano l’ animo in tali studi. Certo chi ponesse mente alla sicurezza con che queste cose ed altre somiglianti in tutta l’operetta si affermano , dovrebbe giudica- re che il dare spiegazione dell’ epigrafi etrusche fosse al tutto spedi- ta e facile impresa. Così leggendo l’autore presso il Lanzi ed altri la lunga iscrizione della famosa torre di S. Manno nel suolo Perugi- no, ugualmente la traduce stars pede in uno ,, Pro salute Quintii ( ovvero Egnatii ) sacrificia pura annali ( 0 vo- tivo ) tauro. Lautniolus Carerius A. f. Larthia ndtus praeco sacer- dos. Lautniolus Caesia natus Clenarasi aedituus fani. Lautnius praeco ad libamenta myrtata porricienda. Creatori Numini honor, gloria , splendor omnis ,y. | E quasi tutto ciò poco fosse , promette di tradurre quando che sia, da un capo all’altro , tutta intera |’ altra grande iscrizione trovata a Perugia recentemente , ed illustrata poscia con parche e modeste congetture dal dotto Vermiglioli , la quale comincia colle parole — Eulat thanna larexul ec. Ma e’ mi dispiace di dovervi dire su tal proposito, carissimo e rispettabile signor C., che molti saranno costretti a rispondervi con Orazio. Quodcumque ostendis mihi sic incredulus odi. Già fu tempo vel quale gli uomini si contentavano più di leggieri d’ una qualche probabilità per divenire persuasi d’ aver afferrato il vero , quando non avevano stretto colla mano che una vana larva di esso. Allora si permetteva ai Bourguet ed ai Passeri di spaziare a loro grado nell’ infinito regno delle congetture , e diciamolo pure , de’ sogni. Oggi siè più difficili. Oggi si comincia a dubitare che non sia ben dimostrata la pret- ta grecità dell’ etrusco. Si tien per fermo che troppo poco sappiamo intorno il sistema grammaticale di questa lingua. Si stima che le dieci , o venti iscrizioni note dove si trovano verbi , non bastino a far conoscere l’ indole di essa . . . . . Ma lasciamo da lato queste considerazioni che ci guiderebbero troppo lontano, e facciamone al- 64 cune più particolari , le quali nel caso nostro meglio dimostreranno la vanità de’ tentativi ermeneutici a questo modo diretti. Io comincerò dunque col chiedervi , sig. C. degnissimo : siete voi certo d’ aver ben letto , voi che così bene spiegate ? — Di que- sta vostra iscrizione avevasi già la stampa, insieme col disegno del- l urna, nella lodata opera del sig. Inghirami ( Monumenti etruschi ecc. ) alla serie VI. T. F. 3.; edun altro apografo io ne posseggo tratto da me stesso pochi mesi dopo la scoperta fattane. La copia del signore Inghirami posta in lettere latine così suona: Arnth Larisa. . . .il . . cheilisc. pesli. . . ura . apithasa. Eisneve. eprthnevcppacstreve. piu. . . exnchvale. tamera xe- larusa ..... iwixivasavil. sXXXVI. lupu. La mia poco diversamente ci fa leggere : Arnth. Larisa . « + iL. . +cheilise. pesli . . di.;- MIR 0 ia apithasa” Eisneve. eprihneve. pnacstreve . . piu. . . exnchvalc.tasiera. relarvsitliuixiva. s avils XXXVI. lupu. dove il carattere tondo significa lettere dubbie ed incerte. Ecco dun- que tre copie della stessa epigrafe sufficientemente varianti l’ una dall’altra, le quali mostrano per lo meno che l’ epigrafe è insigne- mente mal trattata dal tempo. Or se il cattivo stato di uno scritto è sempre un grande difficoltà da vincere per gl’ interpreti nelle lingue note, quanto nol dovrà essere più per una favella così sconosciuta come l’etrusca (a) ? Nondimeno chi abbia un poco di pratica della paleografia tu- scanica s’ accorgerà di leggieri che la lezione Inghiramiana non dif- ferisce dalla mia che in apparenza. Ambidue leggiamo allo stesso modo il primo verso , tranne che per me vi è un po dubbio |’ i in #2; l’altro nell’ ultima sillaba di cheilise, el’ a primo in apithasa ; e che aggiungo un, misero, avanzo d’ una parola perduta , tra peslz ed ura. Rispetto al secondo verso io veramente leggo ezsneve , dov’ egli ha eisnvve ; ma quel suo ultimo c, chi ben guardi, ha un piccolo tagliettoin mezzo, che lo fa essere appunto quell’ e, ch'io leggo dubbiamente in suo luogo; e quel suo primo v è in forma d’ un e etrusco al quale solo manchi quello de’ tre tagli che sta in mez- (aYMo dimenticava che questo è anzi un vantaggio per gl’ indovini. Ciò dà la libertà di vedere nello scritto que’ supplementi e quelle sostituzioni che più con- vengono , e la divinazione diventa allora evidentemente più facile, e più spedita. 65 ze agli altri due , il qual taglio può dal copiatore del sig. Inghira- mi essere stato lasciato perincuria , 0 non bene scorto. Parimente egli legge ppacstreve dov’ io leggo pnacstreve : ma il suo secondo p è di questa forma JI, dove solo che s’inclini un po a sinistra la sbar - ra, nasce lo ch’ io credei di vedervi — E il suo tamera diventa di leggieri il mio tasiera, se in quel suo 72, al quale ha dato la figura prima tra quelle che si veggono nell’ alfabeto Lanziano (Saggio ec. T. 1. Tav. 3. ) dividasi un poco l’ appendice della gamba sinistra dal resto. E finalmente il suo xe/arvsa , che nella finale tanto differisce dal mio xe/arsit! ne differisce , perchè la parola è appunto nella fine somma mente ambigua e di difficilissima lettura. Or io concederò di buona voglia, che poste dall’ una parte la lezione del sig. Inghirami e la mia , e dall’ altra quella del sig. C', ragion vorrebbe che la preferenza fosse data alla lezione di quest’ul - timo, come quegli il quale essendo di Toscanella ha da supporsi che abbia potuto studiare lo scritto meglio d’ ognialtro ; tuttavia con- fesso che mi dà molto da dubitare lo scorgere che insomma noi sia- mo due , senza sapere l’uno dell’ altro , a copiare quasi nello stesso modo la medesima epigrafe , e tale accordo non potendo esse- re casuale fa gran prova e quasi verificazione reciproca de’ due no- stri apografi. Oltre di ciò nella mia copia ricordo d’ avere imitato esattamente la vera figura de’ caratteri che sono nel sasso , e veggo che questa pure è precisamente o con pochissimo divario quale fu data dal sig. Inghirami ; al contrario osservo che moltissimo ella dif- ferisce dalla copia dell’ A. ;e da ciò ancora , me lo perdoni egli, so- no condotto ‘a trarre argomento di qualche maggiore diligenza usata da noi. . Che se realmente la scrittura del sasso è quale noi 1’ abbiamo data , che cosa diventano allora le spiegazioni del sig. C. ? Passi pur l'.frnthed il Larisal nomie prenomi, intorno a’ quali soltanto si ristringe pur troppo tutta la nostra scienza dell’ etrusco: ma quale cosa diventa il suo esca natus, traduzione di Viscl, se la pa- rola della iscrizione non è Ziîsc! ma Cheilise ? Che diventa il suo poli voltato da pusti, se il sasso ha pesli e non pusli? Che sarà del suo deposui, o vogliam dire del suo urolgra ove abbiasi a leggere non upotasa, ma apothasa? Che diverrà |’ eisneus (unicus,exinius) dove sia scritto realmente eisneve od eisnvve? E dove andrà il suo machestercus. se la parola non è macstreus, ma pnacstreve ? dove il suo l'auepa s' egli è scritto asierz e non tamera 2 dove il suo viri se si ha ‘uxi e non vixi ,..? Appresso, a che si riducono, io considero, tutte queste spiegazioni € la loro grande apparenza di verità tratta da certe identità di lettere ". XX. Ottobre biden! G6 e di sillabe, se si tolgano alcune licenze un po troppo forti e frequenti che l’ A. si prende? Ei si permette per es. indistintamente di rendere il vau, o vogliam dire il digamma, per « vocale, e l’u vocale per di- gamma : ma chi gli darà l’uso continuato di questo permesso ? Lanzi gli dirà che il digamma o vale quanto un’ aspirazione, o s’egli è lettera , è la consonante ph,f, 0 che si trassero per ausiliare ordi- nariamente la e. Danque stando alle regole dì questo gramatico il suo puslt quando anche fosse scritto com’ egli vuole, dovrebbe leggersi Puvesti o pivesli, o infine se s’ ba da gittar via la 5, come a lui piace, sarebbe puveli o piveli, lontano sempre le mille.miglia da 7045. Così il suo vpithasa non sarà più urodara ma vepithasa, o pithasa, e il suo. eisreve, datogli ancora che il c sia un sigma lunato sarà eisneves , non ezsneus, e così eperthnéve sarà eperthneves, e il mdestreve sarà macstreves ecc. per non dir qui delle altre libertà, che se non fosser , tante più facilmente gli potrebbero esser concesse. Chi vorrà poi credere che alcuno faccia incidere sul proprio se-; polcro questo singolare elogio di se, eximius vastator o depopulator, fosse anche della nazione de’ lestrigoni o di que’ terribili telchini; più presto che della civilissima Etruria ? Chi si persuaderà di quello, strano exnechualis in senso d’interfectus? Chi stimerà che una lin gua la quale un momento innanzi si voleva tanto greca da possedere senza mutazione lo upotasa;s'abbia un momento dopo a credere tan= to latina, che la prima persona del preterito perfetto abbia tal quale il latino vixz, mutata affatto l’ indole della conjugazione ? Chi terrà senz’altra regola di decisa analogia pel genitivo De06 il vasdella iscri- zione ? Chi sarà disposto a spiegare 4mnos quell’avil/s , che il Lanzi attenendosi all’ indole della terminazione stimò un nominativo in qua!che modo simile ad aevilis? Ecco difficoltà molto serie, le quali ci vietano di prestar fede all’ ingegnosa, ma troppo franca spiegazione dell’ A. E che dir poi di tante nuove sentenze sì debolmente provate? Si convien ella quella tal quale movenza e natura delle figure al primo secolo di Roia, od al principio del secondo, che è dire ad un tempo, nel quale anche in Grecia le arti belle non erano venute a quella morbidezza che poscia ottennero? Si può egli dire tuscanico, cioè della nazione non ancora infetta d’esoticismi quello stile , nel quale nessuno è de' caratteri datici da Strabone, quando ci dice ( lib. XVII ) che le figure etrusche eran similia quelle scolpite ne” tempj antichi di Tebe e dell'Egitto, ed alle più vecchie de’ greci? e da Quintilliano (Instit. Orat. 12, 10.) quando chiama le statue tuscaniche di più dara maniera che quelle di Calone e d’ Egesia ? e notate ch'egli 67 parla in generale di tutte le statue tuscaniche , nondi quelle d’ una data epoca, quasi ammettendo come cosa conosciuta, che già piùnoa sono tuscaniche le altre, le quali si trovano con altra fisionomia, cer- tamente perchè quelle appartengono ad un tempo in che la Toscana non era più nazione serbante un nome, Notate di più, che sino a’ tem- pi di Demarato questo antico stile tuscanico sicuramente si conser vava, e si conservava segnatamente nella regione dove s'è trovata la presenta urna, poichè s’ ebbe quivi bisogno degli artefici che De- marato condusse da Corinto a fine di migliorare lo stile, il che vero o falso che sia, mostra però che l’ opinione comune degli antichi si era che i miglioramenti eran posteriori al primo secolo di Roma. Queste ed altre cose numerosissime che volentieri tralascio per brevità, io son tratto, mio malgrado, ad opporre contro la operetta di che ho preso a dare contezza. Ora egli è tempo di chiudere i’ ar- ticolo omai troppo ‘ungo. Concluderò dunque affermando che l'A, ha ben dato prova d’acume e d’ ingegno, ma non di cnitica severa. Che di tutta la epigrafe solamente può dirsi conqualche sicurezza che si trae da essa come nell’urna si seppellì un Arunzio od un Arunzia, figliuolo,o figlia di Lare, d'anni XXXVI. Che la scultura, ossia il bas- sorilievo rappresenta una di quelle solite allegorie colle quali si volle figurato in generale il trionfo dell’anima che viaggia all’altra vita, così bene spiegato dal sig. Inghirami : e che per ultimo egli è ora d’abbandonare negli studi di questo genere la tanta intem peranza di vanissime congetture, alle quali i nostri padri si diedero, e di con- fessare, quando necessità lo comanda, la nostra ignoranza , ciocchè, se non è più glorivso , è almeno più conforme alle leggi della buona fede letteraria. I Disia _—TT,.t/TPiè ]]]î]]îìè|. <«--ttemeteeeéeo Adunanza solenne dell Accademia della Crusca. La pubblica adunanza tenuta dall’ Accademia della Crusca il dì 13. del mese di settembre nella galleria del palazzo Riccardi, ebbe incominciamento da una prosa del professor Filippo Nesti , nel- la quale prese egli a trattare della influenza delle scienze sulla lin- gua. Al primo sguardo che diasi alle scienze e alle lettere, appaion esse d’ indole al tutto opposta. Le scienze al vero unicamente van dietro ; le lettere cercano quello che è atto a recar dilelto , a per- suadere , ed a muovere. Male perciò i canoni delle une alle altre si applicherebbero ; e un’ ardita immaginazione confondirebbe nelle 68 scienze l’ errore colla verità , e il probabile col certo, come sterile diverrebbe la fantasia, gosaaò SOMIERE si volesse al rigore dei ra+ gionamenti scientifici. S: però l’ occhio nelle lettere e nelle scienze più addentro si porti, vedremo aver esse un comun nascimento, e darsi aiuti scambievoli. Delle une è scopo il bello; delle altre, il vero. Ma nulla è bello, se insieme non sia vero ; e il vero disadorno a sè non invita sempre, ma spesso ne fa ritrosi. Fine altresì delle scienze è l’ osservazione ; e da questa inesausta sorgente molto hanno attinto.i ‘sovrani scrittori d’ogni lingua , affine di ornare le loro scritture. Onero tra’ Greci e Dante tra noi ne porgono i principali esempi. Anzi ne’ primordi stessi della società la natura col suo maraviglioso spettacolo destò le scintille prime del genio; e ne sembra che ie scienze e le lettere comuni avessero in rozza cunai natali. Nè quelle han perduto nulla delle molte loro relazioni con queste, mas- sime in ciò che riguarda la lingua. Infatti le scienze fisiche , peroc- chè considerano gli obietti presso che infiniti della natura, fonti esser debbono alla mente umana d’assai raziocinj ed idee ; cui è d’ uopo corrispondano altrettanti segni : d’ onde conseguita , dover essere abbondantissimo il linguaggio delle scienze , quantunque es- cludasi quello che vien dai sistemi , che per esser sempre variabile, non può aver luogo mel vocabolario, in cui dee, rispetto a questa materia , inserirsi solamente ciò ch’ è d’ uso comune. Se poi le scienze più si rendano popolari , la lor lingua mesco- landosi con quella della nazione , ne prenderà la fisonomia , e ne sa- rà insieme arricchita dal popolo ; il quale senza prendersi briga dei nomi scientifici appella le cose a seconda delle qualità e rassomi- pliamse, che più lo colpiscono. E questo linguaggio è più copioso e più pittoresco dello scientifico, Nè si pretende con questo d° inalzar tanto il linguaggio del po- polo , che quel delle scienze ne resti depresso. Il primo arricchisce la favella di parole e frasi ‘espressive ; il secondo osserva metodo ed esattezza , considerando le sostanziali differenze delle cose, non le apparenti : ciò a che van debitrici le scienze dei loro rapidiavanza- menti, e di quella semplicità, onde più agevolmente si apprendono, ed hanno evidenza e verità , senza la quale crolla ogni filosofico edi- fizio , e cui ci eleviamo per via del linguaggio» Infatti se le lingue analiticamente si riguardino , altro esse non sono che metodi , onde siam condotti alla ricerca del vero. Ma il lin- guaggio , che agli usi serve della vita , sebbene a ciò prestisi , come stromente d’ analisi, pur tuttavia non basta alle ricerche scientifi- che , massime quando sono esse rivolte a considerar le cagioni delle 69 tose. Perciò l’ inventore di scientifiche verità toglie dalla lingua del popo!o ciò che in essa trova utile all’ uopo ; nel resto , 0 modifica , o corregge ; 0 forma di nuovo. Finchè s’ ignorò la stretta relazione , che è tra il linguaggio e l’ idee , finché le scienze trattaronsi per via d’ indovinamento , sì ri- putò indegno dell’ uomo sapiente l’occuparsi dell’ augumento del linguaggio. Ma poichè si conobbe che era inutile l’aver esatte idee, se anche esatto non era il linguaggio che dovea rappresentarle ; e poichè tante nozioni , e tanto nuove si sono acquistate , per le quali niun segno avea la lingua, si conobbe del pari, che al solo scienziato apparteneva il creare una gran parte della lingua delle sue discipli- ne ; la qual lingua se dal popolo modificata sia per renderla più ar- moniosa , nulla vien essa a perdere della sta prima precisione , per- chè non cangiata punto nell’ indole e nella sostanza. Perfezionate ed aumentate le scienze, e perciò arricchita la litigua di esse, sentir ne dee benigno influsso il general carattere della fa- vella. Ed è così intervenuto; e negli scritti pur d’altro genere han le scienze introdotto esattezza maggiore di voci e di modi , ordin più retto d’ idee, e migliore scelta di prove. Noi ‘Toscani abbiam la glo ria di avere i primi recato questi vantaggi merce delle scoperte del Galileo , e dei lavori dei suoi discepoli e dell’Accademia del Cimen - to : ciò che avvenne fortunatamente nei tempi medesimi, nei quali molto s’ intese alla cultura di nostra favella ; sicchè gli scritti di quei sommi uomini lasciano in dubbio , se essi delle scienze o delle lettere meritassero meglio. .. Che se le scienze non si mostraron ritrose al poetico ornamen- to in Lucrezio , ch’ ebbe materia arida ed astrusa , tanto meno il saranno ai dì nostri , in che loro recati si sono considerabilissimi ac- crescimenti. A ciò ne dee altresì confortare la copia e pieghevolez- za di nostra lingua ; onde le parole delle scienze rendate più elegan, ti per opera della poesia , più e più sempre |’ arricchiranno. Da quest’ analisi compendiosa del ragionamento , di per sè ap- palesasi la dottrina del suo autore, il quale, scelto grandioso tema ed importante , afforzar seppe le sue proposizioni con numerose prove , dedotte tutte con acutezza d’ ingegno e severità di criterio, A mano a mano sparse nel suo dire giudiziose ed erudite osservazioni, ed i culti uditori goderono che dai suoi divisamenti conseguitasse per luminosissimi esempi l’ attitudine di nostra favella a trattare di ogni sorte di filosofiche discipline , contro l’ opinione di taluni , che vorrebbero più adatto straniero linguaggio. Dopo la lettura della prelodata prosa , il segretario sig. G. B. 79 Zannoni compie le parti dell’ ufficio suo facendo il consuete rappor- to dei lavori de’ suoi colleghi nel presente anno accademico. Quando (ha egli cominciato ) scoppiò all’ improviso suono d’autoreval voce, che il possesso contendea alla Toscana del linguag- gio tra noi nato e cresciuto , molti furon d’ avviso che l’ Accademia della Crusca sarebbe uscita in campo per difendersi, e sostenere il privilegio ; essa però non già per timore o viltà fermò di rimanersi in silenzio , na perchè le nemiche saette avean punta rintuzzata , e perché grande non era il numero di quelli , che avean preso a lan- ciarle. Armi spuntate difatti sono il por la sede d'una lingua nella regia corte di città che in diverso modo favella , e il farla ricovrare in luogo vicino alla Toscana , da cui potè agevolmente passarvi , e finalmente l'addur sempre gli argomenti medesimi sebben confu- tati le mille volte , e il non attaccar di fronte la massima che niuna lingua venir può in iscrittura , se non sia stata prima nella bocca del popolo , signore, ed arbitro delle favelle. Non è poi grande il novero degli avversari , giacchè a chi valica l’ Appennino non è difficile imbattersi in uomini di nostra lingua studiosi , che di buon grado sè a noi confessano in questa inferiori. E se a loro piaccia di recarsi ai nostri paesi , presi restano da grande maraviglia in udir favellare il nostro popolo. All’ Accademia inoltre s’ inviano libri e lettere cor- tesissime in cui il giudizio a lei chiedesi della dettatura, ed ogni au- torità sulla lingua si concede ai Toscani. Da ogni parte d’ Italia egualmente le 5’ inviano opere all’ occasione dei quinquennali con- corsi , nelle quali il merito della materia si richiede , e quello ancor della lingua. E qui il Segretario prese motivo di render conto del- l’ ultimo concorso, cui non meno di quaranta quattro opere perven+ nero , per la maggior parte di non Toscani. Nè le occupazioni del concorso rallentar fecero gli accademici ne’ consueti lavori. La deputazione creata per porre in ordine per Ja stampa le aggiunte e le correzioni fu accresciuta di due colleghi', € per accelerarne l’ esecuzione si è partita in due consulte , che nel tempo medesimo operano separatamente. Oltre a questo ordinamere to l’ accademia dà sempre opera a nuovi spogli , sì di libri antichi nuovamente esaminati , come di quelli citati or per la prima volta , di cui il ricco tesoro adunato fu sparsamente fatto palese agli ascol- tanti. Analizzò quindi le memorie , che su vari temi lette furono in quest’ anno nelle adunanze. Con argomento al tutto pertinente alla lingua intertenne i colleghi 1’ accademico Bencini. Confuso nel Sen- naar il primitivo linguaggio fu di mestieri che si dispergesser le genti e giusta il lor proprio nelle varie regioni. E questo proprio linguaggio seguì le vicende de’ popoli. La lingua del Lazio difatti estesissima nella felicità dell’ Impero , si trasfuse in altre , figlie sì , ma d’ in- dole diversa. Questa diversità meno apparve in principio , comeè chiaro nelle antiche traduzioni nel volgar nostro dal francese , e dal provenzale , nelle quali vedesi e la derivazione delle voci dall’ origi- nale, ela loro forina. AI di lei perfezionamento però i volgarizza- menti si fecer men servili. Il Salvini peraltro deferì troppa alla gui- sa degli antichi all’ originale francese nel tradur la vita di S. Fran- cesco di Sales, e l’idea della perfezione della pittura del Freart; laonde non dovranno adoperarsi per lo spoglio. Più utile sarà |’ inedita traduzione del trattato della locuzione attribuito a Demetrio Falereo opera dell’ elegante Giacomini , di cui parlò il collega Gelli, contentandosi in questa prima prosa di provare non appartener quello al Falereo , ma probabilmente a De- metrio Alessandrivo. Non appartiene al Falereo, perché l’ autorità del Casa che lo afferma è troppo recente , e la lettera di Teofilatto in cui si asserisce è sospetta ; unici fondamenti al Vettori per soste- nerlo: e finalmente perchè nel trattato vi si nomina chi fu a lui molto posteriore, e si chiamano antichi, scrittori suoi contem poranei. Proha- bile è poi ,come pensarono anco Gerardo Vossio , e il Fabricio , che sia stato scritto dal nominato Demetrio Alessandrino, perchè Dios gene Laerzio afferma che egli dettò le arti rettoriche. Il Prof. Targioni seguitando |’ argomento su cui altra volta fa- vellò , diè in questo ragionamento ragguaglio delle opere scientifiche più importanti dettate per lo più in volgare regnando Cosimo primo» Fe noti gli scritti originali , o le traduzioni di molti cultori della na- tura : di Luca Ghivi, d’ Andrea Cesalpino, del Montigiani , di Luigi Alamanni , e di tant’ altri che troppo lungo sarebbe l’ annove- rare , mostrando quanto profitto a un tempo da questi traessero e la lingua , e le scienze. . Dietro la traccia di un valente oltramontano prese ad esamina- re in una sua lezione l’ accademico Collini quale influenza aver pos- sa la legislazione nella morale , e quanto e quale soccorso debba quella prestare a questa. Venne egli a determinare i loro confini, i qua? li son fra loro ben diversi, sebbene ambedue intendano egualmente a dirigere le umane azioni alla felicità pubblica. Di ciò espose le ca- gioni , e rammentando la più consueta divisione dei doveri , mostrò come e quando la morale basti senza la legge , e come e quando questa sostenga l’ altra per aggiugnere al bramato intento. |. Del sublime di Michelangiolo parlò il collega Niccolini. Incul- eando egli che avanti di giudicare di un artista , o di un letterata 72 conviene esaminare il suo intendimento , e i mezzi di cui si valse , disse che il sublime del Bonarroti è quello che vien dal terrore e dalla forza , avente origine dai fenomeni naturali , i quali offerendo immagini contrarie alla legge costante della gravità ognor presente ai nostri sensi , ci riempiono di lieta maraviglia. Accennate quindi le doti principali del sublime , mostrò che Michelangiolo ne toccò ’ apice nelle pitture della Sistina , massimamente in quella della creazion dell’ uomo ; e dello stesso sublime ebbe pure ogni parte. l’ indole morale di quel grande» Avea l’ accademico Rigoli celebrate le lodi del Consiglier Leo- nardo Frullani , nel cui posto è egli succeduto , ma il segretario di- spensossi dal renderne conto e perchè avea pagato questo tristo tri- buto nel rapporto dell’ anno decorso , e perchè dovea in questo ono- rar la memoria di due valorosi accademici , cioè d’ Angiolo Maria d’ Elci , e di Luigi Fiacchi mancati di vita non ha guari di tempo con danno dei buoni , e delle lettere. Angiolo Maria d’ Elci nacque in Firenze il 7. di Dicembre 1754. Colle virtù della mente e |’ amor di patria procacciò egli rive- renza alla nobiltà dei natali: degno dei più felici tempi degli avi , nei quali non parean questi pregi ascriversi a merito, ma riputarsi do- veri dell’ ordin primo de’ cittadini ; sì frequenti erano allora i lau- devoli esempi. Istratto ne’ primi studi dal sacerdote Ant. Arrigoni 4 e nelle severe discipline dal sacerdote Angiolo Sgrilli, apprese le lingue della Francia e dell’ Inghilterra, ma tosto tornò a far sua delizia degli scritti della Grecia e del Lazio che avea in pria assa- porati , come l’upe vola al fiore , e corre al ramo verde l’ agnella. Son testimonio della sua seria applicazione i suoi estratti , le osser- vazioni ed i letterali volgarizzamenti, Ne’ quali esercizi amò di af- tinar l’ intelletto interpretandone i concetti senza la scorta di com- menti , per lo che giunse il d’ Elci al sommo possesso de’ vetusti scrittori , massime de’ latini. E se amò più quei del secol d’ argento, nov ebbe in animo di preferirli ai più sicuri modelli, ma obbedì so- lo all’ inclinazione , come un pittore che grandemente ammiri con gli altri il soave penvello dell’ Urbinate e del Vinci , e segua poi , mosso da natural talento , l’ombreggiar fiero del Caravaggio e del Guercino. Di questa perizia de’ classici diè prova nelle sue poesie latine , in cui al concetto va unita sempre la proprietà , e |’ elegan- za. Maggiore ancor l’ esibì nelle poesie toscane , tranne però le due giovanili tragedie , che parve egli stesso rifiutasse col suo rigoroso silenzio. E se punto da mordace critica ingegnossi di estenuare i me- riti e del Alfieri e del Pignotti , ciò è da escusare coll’ umana gene- rale fralezza , e con itanti simili esempi , di che è maechiata la sto. 73 ria delle’lettere , la quale imparziale mostra poi gl’ingegnosi uomi- ni che tra sè contesero , quali furono veramente , e non quali si es- timarono nell’ asprezza della vicendevole censura; documento a molti eruditi Italiani dell’ età nostra che tanto si affaticario in gara municipale per avvilirsi scambievolmente , e i meriti menomarsi , e la nominanza. Le poesie toscane pertanto che meritano più d’essere rammen - ta te sono gli epigrammi, e le satire in ottava rima. Nei primi che aspettano la luce della stampa, se non seppe sempre evitar la fred- dezza e l’oscurità, in generale però alla varia materia fe’ corrispon- der l’ opportuno metro, e coerentemente all’ argomento adoperò con sagacità o la delicatezza, o la gravità, o il motto spiritoso, Per le seconde recò bel decoro all’ Italia, Nel renderne ragguaglio espose brevemente il segretario l’ origine e le vicende di questo componi- mento presso i latini e gl’ italiani , e fra gli ultimi disse che il Men- zini è il primo de' satirici che all’ età nostra più vicini fiorirono, ma non dissimulò che or fu basso di soverchio nelle parole e nei modi, or ne usò dei disconvenienti, ed or sì in particolare censurò i costu- mi dei viventi, che tacendone solo il nome, o fingendolo diverso, altro quasi non fece che por loro in dosso tenue veste di Coo , onde cinte, apparian nude le lascive donne di Roma. Questirimproveri tutti non solo scansò nelle sue satire il d’ Elci, ma le scrisse con somma pa- rezza di lingua, constile conciso, vibrato, robusto, che secondo l’ uo - po or s’ innalza, or s' abbassa, e pieno è di spiritosi concetti, e di frizzantissimi sali. E tratti quasi in ognana riscontransi luminosi, e vivissimi da contrappor con fiducia ai non pochi de’ più belli de’ sa- tirici latini. Non tacque dei difetti che gli si appongono, e disse che all’oscurità prodotta talvolta dalla concisione pensava di apportar j uce con annotazioni in una seconda edizione. Non negò che il ter- zetto sia più acconcio dell’ ottava , e che per questa la satira può sembrare una slegata seguenza d’epigrammi, ma sostenne che la mae- stria dell’ autore fa che non si pensi al primo, e che di rado intervie- ne il secondo, specialmente quando con più ottave contra alcun vi- zio generalmente declama. Conclude finalmente che sono le di lui satire bella gloria del nostro Parnaso sì per le lodi di sopra tributa - te, come per la molta cognizion del costume , frutto de’ suoi spessi e lunghi viaggi. Parlò finalmente della pregevole raccolta delle edizioni princi- pi degli antichi serittori, che ancor vivo donò alla città nostra , per cui verrà pur lode dalla gratitudine dei tardi nipoti; non tanto per- chè di difficile acquisto e dispendiosissimo, ma sì eziandio perchè di manoscritti tengon vece, giacchè da un sol manoscritto si trassera , 74 che per avventura or più non esiste ; essendosi di codici fatto gran guasto nei primordi della stampa, per avergli dopo sì meinorabile sco- perta riputati inutili al tutto: cotanto s’inebria l’ uomo ed eccede nel primo godimento di un bene impensato. A questa splendida colle- zione , e di ornamenti ricchissimi fornita eresse la munificenza del sovrano magnifica tribuna, la quale il d’Elci non potè vedere com- piuta, che morte lo rapì in Vienna il 20. Novembre del 1824; lascian. do in doglia i colleghi della Crusca , cui appartenne come accade- mico corrispondente. Rinnovossi il lutto ai medesimi per la perdita di Luigi Fiacchi. Nacque egli nella terra di Scarperia il dì 4. Giugno del 1754. Sceso giovinetto in Firenze, ed ascritto tra’ cherici del collegio eugeniano, vi apparò le dottrine d’ umanità sotto il sacerdote Pietro Orlando Cinganelli, e ne’ severi studi della filosofia e delle scienze fu disce4 polo di quei che avean cattedra nel seminario fiorentino, Ma il Fiac- chi ebbe in sorte di essere del bel numero di quegli, in che l’illustre Arcivescovo Gaetano Incontri era solito istillare l'affetto alle filo- sofiche discipline. Vide il dotto Prelato con sommo diletto il nostro Fiacchi tutto inteso ad investigare le leggi della natura; nè temè!già che lo studio di essa il facesse ribelle al sapientissimo che la creò , e scolpì in lei i segni manifesti del suo potentissimo braccio , e di sua eterna esistenza. Questo stolto timore riserbato era alla compassione ed al riso del tempo, che venne dopo, nel quale anzi , più che in ogni altro doveasi il clero eccitare agli studi naturali, affine di ren- derlo atto a combatter validamente quei, che d’essi abusando, mae- stri si fecero d’ errore, e non ridurlo alla dura necessità di dover lora oppor solamente l’ asprezza del volto, e l’ ingiuria delle parole, che Je beffe si attirano e il dispregio, e d’ avversa e men retta opinione non trionfano mai. Fatto appena sacerdote recossi il Fiacchi a Bologna , ed in quella famosa università diè quasi l’ultimo puli- mento all’ apprese dottrine. Tornato in Firenze ebbe dal mnede- simo prelato Incontri e impiego e stanza nel seminario fiorentino, ove poscia insegnò filosofia , finchè il Granduca Pietro Leopoldo nol de- stinò al magistero medesimo nelle scuole, che si chiamaron dal suo nome. Testimonian'!poi il suo possesso delle filosofiche discipline il profitto degli scolari, e la riverenza in che lo tennero , e più d’ogni altro gli scritti, che tutti han pregio di lucido ordine d’idee, e di fi- nissimo discernimento, sebbene tema di per sè filosofico non trattino. Molti di essi riguardano la nostra favella, in che fa peritissimo, come lo mostrano le sue annotazioni alla scelta di antiche rime inedite, e all’antico inedito volgarizzamento del trattato di Tullio sull’ amici- zia. À queste conviene aggiangnere il viaggio al Sinaidel Sigoli, che 7Ò preparò per la stampa, e le due commedie del Cr:cchi, e i proverbi da questo spiegati, che già per Jui la prima volta vider la luce ; del quale autore medesimo diè piena notizia della vita, ed a lui restituì la burlesca lezione di maestro Bartolino. Pubblicò inoltre il Fiacchi un saggio di emendazioni giustissime di Dante, e preparò la via a chi avesse talento di dare una nuova edizione del Decamerone, me- diante sue ingegnosissime osservazioni, e con indicarne il metodo, of- frendone egli stesso l'esempio; ed egli ben esibir lo potea, chè gran- dissimo possesso ebbe delle opere tutte del Certaldese, non meno che degli altri scrittori del buon secolo. Al Lasca altresì crebbe decoro il Fiacchi, mostrandolo autore del commento di un suo stesso capitolo burlesco, e più ancora mandando in luce importantissime varianze alle novelle della cena seconda. Giova inoltre qui ricordar le sue poesie in idioma latino e italiano , le quali presentan sempre l'aspetto della novità, e son vestite d'immagini semplici e delicate , ossiano esse volgarizzamenti , oppure originali , ossivvero imitazioni, come i dae idilli rusticali, che la materia seguitano di quello celebre del Baldovini, e come la tragedia di Polidoro e Zelmira , nella quale ebbe l’ intendimento di tradur quella del Belloy , ma gliene venne composta una in molte parti alquanto diversa. Tragedia che per quanto fosse recitata con plauso nel 1789. or non avrebbe effetto sui nostri teatri , atteso il suo far macchinoso escluso adesso dalla semplicità di condotta dell’ immortale Alfieri. Ma la maggior lode venne al Fiacchi dalle favole, e dai sonetti pastorali , il di cui merito ben comprovano le dieci edizioni, che in breve tempo ne furon fatte. E nel vero riguardo a questi per la semplicità , l’ eleganza , e il costume lo pongon primo tra’ moderni , e riguardo a quelle gli si assegna il secondo seggio, concesso il primo al Pignotti. Sono esse tanto raccomandate dalla purezza della lingua, dall’ ordine, e la semplicità dell’ idee, e dal modo, onde s'’ istillano le pratiche massi-' me dell’ onesto, che formano la delizia delle famiglie , nelle quali per tutta Italia si fanno apprendere ai teneri fanciulli. Fornito il Fiacchi di tanto merito unì alla somma capacità il più schietto candore e molta modestia, e l’animo ebbe adorno di tutte le morali virtù. Perciò fu spesso invitato ad istruir nobili giovani, i quali incarichi o egli ricusò , o gli sostenne col miglior successo. Onore- wolissimo fu quello affidatogli dall’I. e R. Altezza del Granduca Leo - PoLDo II che il chiamò in aiuto per preparare la splendida ed emen- datissima edizione delle opere del magnifico Lorenzo, edizione che mentre è gloria al sapientissimo principe, innalza le lettere alla speranza di veder rinnovellato il patrocinio mediceo. E che il Fiac - chi bene adempiesse le parti tutte dell’ ufficio commesso ne è prova 76 l’ umanissima lettera con cui il sovrano accompagnò il largo dono che generoso vi aggiunse. Ma il Fiacchi non potè andar lungamente lieto del segnalato onore, che nel 25. del trascorso Maggio passò agli estinti: in tanta infelicità si ravvolgono le umane cose, che sovente è breve passo dal soumo gaudio al sommo lutto. Così terminò il segretario l’egregio rapporto, che fu per me nel miglior modo compendiato. Fornito come egli è di molta dot- trina ed ingegno, e dell’ una, e dell’altro fe’ mostra nel riunire le molte e disparate materie di che ebbe a trattare , e rinnovossegli quella lode, che sempre gli fa tributata nel disim pegnare simile in- carico negli anni decorsi. Al criterio poi e all'eleganza dello stile aggiunse non di rado gravi sentenze e tratti di spirito , che manten- nero assai vivace il suo favellare, per lo che ben sovente s’ udirono i più sinceri applausi per parte della colta e numerosa udienza che lo ascoltava. P. rieti TIT TTTT,TT, Lettera del sig. JoMARD al sig. Redattore del Giornale di educa- zione , pubblicato dalla Società d’Insegnamento elementare di Parigi. Havvi taluno prevenuto contro il modo d’ insegnamento in- trodotto o recato in Francia nel 1814, vale a dire nell’anno me- desimo della restaurazione, mentre non può nè altrui nè a sè stesso render conto del motivo della sua avversione; come se l’ insegnare in un modo o in un altro l’ alfabeto e le cifre non fosse cosa del tutto estranea alla morale , alla religione ed alla politica, e come se per iscegliere fra tutti i metodi già noti potesse alcuno decidersi per altro motivo fuori di quello della perfezione o del difetto di questi! Che direbbesi di una nazione che non volesse far uso del carretto trovato da Pascal, solamente perchè i pesi si posson por- tare in capo o in ispalla? Per quanto ingegno usar si possa in sostenere ana tesi così strana, sarà sempre impossibile il far com- prendere ad un aomo di buon senso , e non prevenuto , ciò che può esservi da non approvarsi in una maniera d’ insegnare a leggere ed a contare. Si attacca a dir vero questa maniera fin nella sua sorgente ; si accusa la sua origine come contraria alla Chiesa ro- mana, e si pretende ch’ella sia una novità pericolosa introdotta di recente dagli anglicani. Sono state già fatte mille risposte a questa obiezione; ed eccone una nuova, che par che chiuda la bocca. Io l’ attingo da opere date alla Ince nel 1541 e nel 1594. Le “br. 77 Nello scorrere un libro assai curioso , il di cui finto autore è Ste- fano Tabourot (le varietà e i tocchi del signore degli Accordi ), io ho trovato il passo seguente , che riporto parola per parola. ,3 Poichè io mi son tanto inoltrato , di nuovo i0 ripeterò l’uti- » lità e la dignitosa maniera d’ insegnare che usano nelle loro 3» scuole quelli del Collegio di Clermont, volgarmente chiamati », è Gesuiti , per consigliare tutti i precettori della gioventù ad es- » serne particolari imitatori. Essi dunque insegnano per mezzo di », una gentile emulazione, della quale si servono in questa guisa ; .) dividono tutti i loro scolari in tante schiere composte ognuna » di dieci; e nominano un decurione ad ogni diecina , il quale »» ba l’incarico di far ripetere e recitare la lezione a quelli che 3; sono sotto di loro. Ed ogni decuria è messa in un ordine certo , 3) cioè prima, seconda , terza, ec. finchè vi sono scolari da for- ,; inarne. Quando talvolta accade che uno scolare della quarta de- 3; curia provochi un altro della prima per disputare , se questo ;» è superato , si fa scendere nel posto del vincitore , il quale si fa » salire nella stessa maniera nel posto del vinto. Il che partorisce » gloria all'uno, e disonore all’? altro ; il qual disonore è per lui 3) una pena più aspra , che se gli venissero date delle staffilate. Per 3) rimaner superiore in questa disputa si fanno loro scambievolmente » proporre l’uno all’altro cinque o sei domande. Vi sono dei de- 3; curioni vicini a questi, i quali contano gli errori per non ri- » manere ingannati. La cosa più graziosa si è, che quando si trova ,) che alcuno sia troppo asino, per ignominia si fa tornare indietro >; alla decuria degli asini, dalla quale non esce senz’aver prima pro- 3, vocato e superato qualcheduno de’ suoi condiscepoli per recu - 3) perare il suo posto perduto (1) ,;. (1) Les Bigarrures et Touches du seigneur des Accords. Paris, Est. Mau- croy , 1662, pag. 436; In 12°. Quest'ultima edizione è perfettamente conforme nel testo alle sei precedenti, cioè Parigi 1595, n.12, t..2, p. 10; Parigi 1608, in 12, t.2, p.10,; Rouen, 1611, in 8°, t. 2, p.18; Rouen, 1620, in 12, t. 2, p. 10; Rouen, 1640, in 8°, t. 2, p. 18; e Rouen, 1648, in 8°, t. 2, p. 18. Ma vi sono altre due edizioni anche più antiche ; una del 1583 , Parigi, Gio. Richer, în 8° che non contiene questo passo; 1’ altra del'1594 , Lione > Ben. Rigaud , in 12, 2 vol. , contiene questa variante in principio. Ripeterò 3, io di nuovo l’onesta e graziosa maniera d’insegnare che tengono nelle loro 3» scuole quei dotti personaggi dell'ordine commendevolissimo dei Gesuiti , per- 3» chè io consigli....( tom. 2, pag. 23) ,;. ]l resto è conforme. In questa edi- zione del 1594, il titolo del capitolo, dal quale è stato preso questo frammento dice così: ‘ Alcuni cenni utili per l’ educazione dei fanciulli alla onesta e vir- so tuosa donzella Carlotta Noblet , moglie del sig. presidente di Montculot ,,. 78 La divisione in classi, il contrasto delle classi tra loro, I’ inse- gnamento per via di monitori, il cambiamento di posto, tutte que- ste caratteristiche del metodo son fedelmente rappresentate nello squarcio antecedente. È da notarsi quella divisione in decuria: pro- babilmente ella è stata tolta dal sistema d’ insegnamento tenuto da- gli ebrei , che si trova accennato nel Deuteronomio (2). È cosa as- sai verisimile che gl’indiani e gli egiziani abbiano attinto alla sor- gente medesima, alla quale i Gesuiti hanno attinto nel secolo deci- mosesto, ed il sig. Giuseppe Lancaster nel decimonono, Circa al dot- © tor Bell , il nome medesimo che porta il suo metodo di sistema di Madras, dimostra qual sia la sua origine. Passiamo ad un secondo esempio non meno piccante , e che ri- sale ad un’ epoca anche più remota. 3» Jo vado a scuola, nella quale entrato ch’io sono , io dico : 3» Maestro vi saluto. Questi mi rende il saluto e m’ abbraccia, Il mio 3» servo mi consegna le mie tavolette, il imio astuccio per iscrivere , 3, io cavo fuori il mio stilo; dipoi messomi a sedere al mio posto, mi :, servo della mia stecca e scrivo a norma dell’ esemplare ; appena » che ho scritto, mostro al maestro l’opera mia; egli corregge e fa »» l'esempio. Dipoi egli mi ordina di leggere; dopo che ho ricevuto 3» questo comando, io lo ripeto ad un altro. [o aveva imparata una 3) Spiegazione, io la recito; subito dopo egli mi detta (3); uno de’ miei 3; condiscepoli mi detta e dice : A te. — Io gli dico : spiega prima. », — Egli risponde; Non hai tu veduto che io ho spiegato innanzi » a te?....(4). Allora io ripeto. In questo mentre, il maestro or- » dina, ed i più piccoli si alzano per esercitarsi sul sillabario. Uno » dei più grandi gli espone le sillabe ad una ad una; altri per ordi- ;»; ne recitano d’ avanti al sottomaestro; essi scrivono de’ nomi, »» delle frasi; ed io messo nel primo rango, risveglio la emulazione (5). » Dipoi, appena appena che ci siamo messi a sedere, io scorro il 3) tema , lo stile (6), e l’analisi grammaticale : chiamato alla let- » tura, io odo la spiegazione, il senso, la persona (7) della frase. 33 Interrogato sull’ analisi grammaticale, io rispondo sopra a que- (2) Cap. 1., v. 13. e 15, e nell’Esodo, cap. 18, v. 25. Vedasi ancora 1’ Abrégé de la Méthode des écoles élémeotaires, in 12, Parigi, 1816, pag. XXX. (3) Poi pare che vi sia di più nel testo. (4) Il dialogo tra i due scolari continua così: — Tu t’inganni, tu non hai spiegato. — Se tu dici la verità, io non mentisco, (5) O io comincio la lotta. (6) O Le parole. (7) O il soggetta. PINE E i e 79 ;; ste domande : în quanto a che? qual parte del discorso? lo de- »» clino il genere dei nomi, io decompongo la frase. Appena che noi » abbiamo finito tutti gli esercizi, siamo mandati a casa a desi- 3, Dare ,;. Questo frammento , che contiene una quasi perfetta descri- zione delle maniere d’ agire dell’insegnamento reciproco, è tradotto alla lettera dal testo greco di un volume in 12, stampato a Basilea nel 1541. Egli è cavato da un monologo scritto in greco e in latino ; l’autore fa dire quelle parole ‘ad un giovane scolare. Il titolo è que- sto, Cottidiani Colloquii libellus; dopo di che v'è la tavola di Cebete , la Batracomiomachia , la Galeomiomachia, la guerra grammaticale , e gli scolii di Melantone sulla Batracomiomachia. Il volume manca de” numeri delle pagise. L’ autore del libellus (il quale è scritto ad un certo Claudio Canziuncala consigliere dell’ Imperatore e cancel- liere dell’ alta-Alsazia )è un medico di Basilea per nome Albano Torino: morto nel 1549 0 hel 1550. Egli dette alla luce le opere di Apuleio nel 1533, e parecchie opere di medicina molto volumino- se (8). Ecco qui la lettera e le giustissime riflessioni che mi scrive in proposito di questo curiosò frammento ‘il rispettabil filantropo che il primo, nel 1814, ha fatto conoscere in Francia l’opera di Lancaster, come quindici anni innanzi aveva egli regalato al suo paese il benefizio della vaccina. ;» I tecchi vecchi talvolta son buoni a qualcosa; eccone qui »» uno trovato per istrada , il quale , impresso nel 1542 , prova che , il modo d’ insegnamento reciproco , attaccato dai suoi antago- »; Nisti particolarmente perchè lo reputano d’ origine ugonotta , era ,» noto e messo in pratica fin da’ tempi della stampa di questo libro ,; Scritto in greco e in latino ,,. ,, Io ho fatto tradurre quel passo dove mi par che sia im- »; possibile di non riconoscere il metodo d° insegnamento reciproco, (8) Il volume stampato a'Basilea nel, 1541 non è nella Biblioteca del re4 Ecco quì la notizia delle altre opere attribuite a questo Albano Torino: 1°. Epi- phanii historia de vita prophetarum; 2°. Apuleit opera edita. Basileae 1533, in 8.° 3.° Hippocratis progiostica et de natura hominis gr. 1536, in 8.° 4° Apologia contra J. Guinterium Andernacum ... Basil. 153g;in 8,° 5.° Para- phrases in libros Alexandri Tràliani, super 'singularum corporis partium morbis ec. Basileae 1541. in fol. 6. P. Aeginetae de alimentorum fucultatibus iractatus, latine versus, Lugd. et Basil. 1521;in:8,°7,° In J. Damasceni librum de febricem curatione diagema ... Basil. 1542, in 8.° 8.° Familiarium collo= quiorum formulae, gr. et lut. Basil. 1542. 9.° Polybi med. opuscula aliquot., Alb, Torino interprete Basil. 1544; in 8°, LI 471 A MO PP AUITI Stab ei baie So 3, nel racconto di un giovane, il quale rende conto delle occupa- ,; zioni di quella scuola in cui egli è stato ,,. desio » lo mando il libro e la traduzione al sig. J..., ;che ne. farà » quell’ uso ch’ ei si stimerà conveniente (9) ,,. :», Sebbene Albano Torino, autore di questo monologo , scri- » vesse pei figli del governatore dell’ alta Alsazia , egli non, ha Pi daudiriniinano passo sennonchè fare allusione ad un metodo a 1» Que’ tempi in uso nelle scuole ; nè si dirà , che l’opera di Albano 3» Torino essendo comparsa alla luce verso il tempo della riforma: 3 di Lutero ; fosse questa una innovazione , poichè 1’ autore mede- 33 Simo parla dei Papi con molto rispetto ;). E cosa certa adunque che da circa a tre secoli addietro non lun- gi dalle rive del Reno , per insegnare a leggere, a scrivere e la gram- matica si tenevano dei metodi analoghi a quelli delle nuove; scuole. Mi pare, o signore, che documenti di tal sorta non abbian bisogno di chiosa. Ogni lettore imparziale saprà tirarne quelle conseguenze che ne vengono naturalmente. (g) Facendo un maturo esame del testo ; vi.si trovano dei tratti di somi- glianza anche più chiari che nella traduzione che mi aveva mandato il sig, Duca de la Rochefoucauld. DEL SUBLIME E DI MICHELANGIOLO. Discorso di GIO. BATISTA NiccOLINI, letto in occasione della solenne distribuzione dei premi ad nella R. Accademia delle Belle Arti in Firenze il dì 9g ottobre 1825. . Le regole sono i freni dell’arte ; ma non di rado impediscono all’ ingegno più il corso che la caduta. Quando si considerasse che la natura con varietà infinita gli animi quanto i corpi distinse , chi oserebbe di queste regole farne ai grandi inteiletti quella PST misùra che ) secondo.la favola , fu al viandante il letto di Procuste ? Essi pure talvolta impunemente non furono audaci : ma spesso av- viene che gli pensiamo smarriti, mentre così alto si sollevano che 1’ occhio non v° arriva. La natura , e l’ arte di tanto privilegiò il Buonarroti, che i suoi contemporanei presi d’ ammirazione non osarono giudicarlo. Or tutto par lieve al freddo secolo ed arrogante , e nel far giudicio dei sommi ogni modestia è perduta, Potrebbe per avventura frutto di filosofia reputarsi questo ardimento , se la fede che ottengono i tanti prestigiatori della letteratura , accorti non ci | 8: facesse che nella mente degli uomini dell’'età nostra è. congiunta a superbi fastidi credulità coraggiosa. Il filosofo , entrando nel tem- pio dell’ immortalità , non debbe , inmemore dell’ umana fragilità di coloro che vi sono venerati , credere , e adorare : ma l’ idolo ei non atterri , nè calpesti l’ altare coll’ ira paurosa dei servi. S° inda - ghino tranquillamente le origini d'ogni superstizione , si pensi che nella repubblica delle lettere, e dell’arti sorgono i suoi tiranni, e che pur essi lasciano , morendo , delle catene. Nei rivolgimenti , ai quali queste repubbliche ancora soccombono , gli ereditari ceppi non s' infrangono che per le mutazioni di servitù : e non altrimenti che nelle guerre civili, cambiato giudice, il delitto si chiama innocenza, I più che nell’arti non veggono oltre i greci portenti, ruppero guerra al divin Michelangiolo , nella guisa medesima che l’ autorità di quel nome sgomentava coloro che dalle sue norme osavano allontanarsi. Se vogliamo giudicar rettamente d’ un artefice, e d’ uno scrittore , parmi necessità conoscere a qual fine mirassero, e se tutte vi consu- marono le forze del loro ingegno. L’ imitazione della natura è il pri- mo intendimento dell’ arti : ma con improvido consiglio a quelle massime non serviamo che nella loro generalità si fanno pericolose. La natura si offre a noi tutti sotto varie sembianze ; e degli umani concepimenti è più vasta. Ad ogni raro intelletto dice il suo genio » seguimi , intatta è la via nella quale entreremo ; ove la fortuna ci neghi superarne gli ostacoli , il cadere sull’orme proprie a noi sarà gloria e conforto. ,, Questo genio , s’ io ben m’ avviso , è quella forte volontà che presto el‘gge uno scopo , e adesso rivolge tutte le po- tenze deli’ intelletto. Se al di là di questo scopo trasporta i somini l’ impeto dell’ ingegno , è da maravigliare , come di generoso de- striero che nell’ ardore del corso oltrepassa la meta. Il Buonarroti intese nell’ arti al sublime , e singolarmente a quello che vien dal terrore : ond’io mi penso che brevi considerazioni sopra questo ar- gomento (1) , le qualiandrò poi accomodando all’opere dell’Artista, vagliano a ben comprenderlo , e giudicarlo. Quindi è ragione ch’ io dica dell’indole di tanto uomo, e della condizione dei tempi , perchè nei pochissimi , che sdegnata i’ imitazione si funno singolari da tutti gli altri , le arti , e le lettere presero forine convenienti al secolo 4 ed all’ ingegno. Non di rado chi troppo nella definizione delle cose 5’ affretta , (1) Parlando del sublime io mi sono giovato dell’opere di Longino, del Burke, del Kant, dello Stuart: questa ingenua confessione mi sciolga dall’ obbligo di frequenti citazioni. Nè tacerò che il celebre sig. Migliarini mi lia soccorso dei suoi scritti e dei euoi consigli: pei suoi conforti mi sono indotto a scrivere la vita dî Michelangiglo , della quale fa parte il presente discorso. T. XX. Ottobre, 6 Sa rende immagine d’ un losco ch’ esser creda orizzonte per tutti la sua corta veduta. Ad evitare , secondo |’ umana possibilità , il pericolo di stringere la natura entro i limiti delle nostre idee , io reputo che ogni definizione debba all’ indagini non precedere , ma seguitare. Vergogna molti ritiene dal rompere le leggi che diedero a loro stessi, e in quel cerchio , ore spontanei si chiusero , il più delle volte ri- mangono prigionieri pentiti. Scrittori signoreggiati da questa fatale impazienza , ad una sola ipotesi s ‘appigliavano per cercare l’ origi- ne del sublime. La tedesca filosofia, vaga di ciò che all’esperienza re- pugna , e che nella sua rigida sterilità non mai coi sensi maritasi al mondo, s’avvisò trovare il sublime nel solo intelletto. A me giova te- nere altra via , e investigar nel vocabolo l’ origine dell’idea, e quella di essa in un fatto che al guardo ci rechi 1’ universale natura. Po- nendo mente alla parola sublime , è prezzo dell’ opera il ricordare ; che d’ogni vocabolo il primitivo significato si riferì a quelle cose che i sensi percotono, e poi col volger dei tempi si adoperò a signi. ficare le qualità cui percepir non è dato che all’intelletto. Or con- siderando le idee congiunte alla voce sublime, certamente la prima che si offra all’ animo nostro, è quella d’una tendenza opposta alla gravità, legge della natara. Ogni movimento che tenda all'alto , ei riempie di lieta maraviglia. Chi nel sommo d’una montagna non è tratto da involontario senso di vanità, a quei dispregiare che nella soggetta valle appena ravvisa ? L’ umana imbecillità sperò a Dio av- vicinarsi.alzandogli altari sui monti. Più nobil simbolo non trovam. mo all’ ingegno che l’ aquila, quando le vie del sole tenta con auda- cissimo volo, Ogni età, ogni gente esprimeva coll’ali glienti sopra I’ umana natura, lo che per certo deriva da condizioni all’ animo no- stro comuni. Sarebbe lungo a riferire tutti i fenomeni ai quali recar si potrebbe l’ idea del sublime. Ma poichè ogni vero pel suo contra - rio si manifesta, io ricorderò che sempre verso la terra ci chiama la paura, e la servitù, che con nome opposto al sublime umili farono inai sempre debitamente chiamate. Esse le ginocchia docili e rive- renti ci fanno, e la faccia nata a mirar le bellezze del cielo condan - nano nel fango. Ma poichè l’ uomo tanto compiacesi in quelle cose, che nella sua mente, e nella natura intendono al sublime, sovente lo cerca nel dolore, nei pericoli, nelle paure, A questi sentimenti-le idee di vigore, e di violenza si collegano facilmente, e la difficoltà mede- sima è fonte di grandezza. L’ animo al pari del corpo negli ostacoli s'invigorisce, e la malagevolezza fu mai sempre materia di forza; onde i magnanimi cercano le sventure, perchè siano di loro virtà esperimento. La natura medesima non e’ insegna che resistendo al nostro volere ; e l'ignoranza si farebbe necessità in uomo cui tutto 83 &ubbidisse, finchè la forza e il dolore non sorgessero ad ammaestarlo, Nulladimeno il sublime non sempre nasce, come il Burke opinò, dal pericolo, o dal terrore. Certamente per l'oscurità, per la solitudine, pel silenzio, e per tutto quello che s’accosta al terribile, cresce il su- blime; main molti obietti veramente solenni il terrore non ha parte alcuna, ed è fuor di ragione il confundere il fremito delle no- stre fibre con uno dei più gran movimenti dello spirito umano. Il filosofo di Conisberga notando per via d’esempio la differenza dal bello al sublime, chiamò Dello il giorno, e sublime la notte. Ma tale può sembrarci il firmamento stellato senza che ne proviamo ter- rore. Pure, qualor si voglia concedere che a tal vista il sentimen- to dell'infinito ci opprima, e quasi annichilandoci a noi ricordi la miseria della mortal condizione, la natura offre vari obietti, la storia dell’uomo molte azioni , nelle quali il sublime dal ter- rore si discompagna. Non altrimenti io dirò del dolore: pur trop- po e pene e sventare nate dalla viltà non son capaci d’alcuna grandezza. Immensa forza adoprata a ‘sicurezza, o terrore, a mio giudizio, è del sublime il principale elemento. Se giungerà ina- spettata sarem vinti da quella maraviglia, che traendo fortemente a se l'animo, sembra per qualche tempo estinguerne ogni altra potenza. Ma l'estremo del sublime si toccherà, quando il perchè d’una cosa che abbia terrore, e praudezza , \invano sarà tentato dall'inferina ragione, e quindi rimarrà nell’ arbitrio dell’ imma - ginativa scoterne tutti i freni. Però bene a dritto chiamò il Bar- ke sublimi le tenebre, perchè nei loro spazi interminabili è con- cesso alla fantasia crear pericoli ignoti. L’ arcano sentimento , del quale io m' affitico ad investigar le cagioni, è sempre o tolto o scemato quando si conoscono i limiti delle cose. Il senso del- l'infinito così agevolmente s’ unisce a quello del sublime, che un’azione stessa non compita partecipa delle sue qualità, O ar- tisti, o letterati, l'immaginazione darà compimento all’ opere vostre, qualora assai più di quello che avete rappresentato , o scrit- to, lascino da considerare alla mente. Iperide coll’ azione aivtan- do l’eloquenza, non tolse con mano officiosa all’ accasata Frine che poco di quella veste che la copriva ; i segreti di più riposte bellezze descrisse a corrotti giudici il desiderio. Non per istudio. di modestia velò parte del volto colei, che abbandonando il tala- mo d’ Ottone, spinse dalle libidini al sangue quel Cesare, il coi nome divenne pei tiranni più crudeli un’ingiuvia : essa volle, nou saziando gli occhi dell’aspetto, accender brama di sue bellezze, gioia dei felici, e voto di tutti. Ma il timore è più credalo del desiderio : però chiunque cerca il sublime , sia contento apparecchiar l’ animo nostro al terrore. Esso n’ è avido per natura, e ne sarà tatto invaso senza pompa sterile di parole. L’ Alighieri nel magnifico episodio del conte Ugolino più d’ orrore ci riempie col verso , Poscia più che il dolor potè il digiuno che se avesse narrato distesamente come il misero padre divorò le membra dei figli. Il poeta lasciò figararlo alla fantasia, nè al-' cuna reticenza fu mai più sublime. Gli artisti conoscitori dei no- stri affetti seppero anch'essi trar molta lode da simili reticenze , alle quali gli obbligava la natura delle loro discipline, che non bastano a tutto significare. Salvator Rosa espresse in an ‘paese due pastori che il guardo rivolgono con inquieta curiosità ad una foce posta fra due colline : ivi un cavallo con ogni guarnimento disor- dinato fugge in verso la strada vicina. Così più disse i casi del misero viandante che se l'avesse mostrato sotto il ferro dell’ as- sassino. Ben assai più coll’ animo che coll’ occhio si vede. Un cen - no, una parola, il silenzio medesimo possono dar cagione al su- blime, che sempre nasce da moltitudine di pensieri, e di senti- menti ai quali è centro un sol tratto ond’ essi derivano , qual da povere sorgenti ricchissimi fumi. 6 Si richiamino ad esame gli antichi detti illustrati dalla cri- tica di Longino, e quelli pur anco che all’ opere dei moderni ot- tennero fama. Sarà agevol cosa |’ accorgersi che possono queste efficaci parole esser celeremente discorse dall’ intelletto , potente per tal guisa a seguir nelsuo volo lo scrittore fino ai limiti del possibile, o negl’ immensi campi dell’ immaginazione, Toccai la cagione del sublime , or ne accenno le qualità principali. Non è vera sublimità in ciò che oltre l’udito , e la vista non si’ conser- va, e dove più non si comprende di quel che si dice. Il sublime desterà nella mente molte idee , indelebili ricordanze , sarà simile all’ ingiuria che altamente discende nei cor del tiranno , e là si serba custodita da quell’ odio che mai non perdona. Allor nasce- ranno in noi gagliarde passioni , ci avvezzeremo coll’ artista , e col poeta a salir seco per entro le cose eroiche; non sarem persuasi, ma rapiti; e l'animo quasi da se medesimo riconoscesse quello che ascoltò , o vide, s’ empierà d’ una gioia superba. ‘Tutti natural- mente per fuggire il sospetto di viltà siam vaghi della grandez- za: ma in faccia all’ opere degli artisti e degli scrittori che ag- giunsero al sublime, noi sentiremo ciò che l’Alighieri alla vista degli spiriti magni significò con quel verso : Ù i i ‘ 1.3 bi e e € he di vedergli in me stesso m’ esalto. Qual uomo in mezzo a Catone, ed a Bruto oserebbe esser vile ? Questi sommi non saranno diligenti in ogni cosa , perchè la di- ligenza \porta rischio di picciolezza. In lor troverai più di quello che dimanda necessità ; che proprio è del sublime, come d’una grande ricchezza, mai scompagnarsi' da profasione. Essi, come i grandi imperi, saranno affaticati dalle loro forze, e sarà loro pe- ricolo il proprio peso: chi salì a tanta altezza, sol può cadendo discendere. Vero è che l’ingrata natura dei mortali dimentica i loro pregi per quei difetti dai quali poco si guardano , o per caso, o per non curanza propria della loro indole , che a tenui cose un afto animo non attende. Ma gli errori e i vizi di coloro che sono per core , o per ingegno eminenti, vagliono meglio che le infin- garde virtù, e le timide bellezze dei pusillanimi. Sapientemente un grande che s1 può riprendere, ma non dimenticare , notò clie breve intervallo parte il ridicolo dal sublime , code a questi primi dell’uman genere non è data mediocrità di fama, e di fortuna. Si ammirano, o si disprezzano, si collocano su gli altari, o son travolti nel fango. Di questo vero ci son testimoni nelle lettere, e nell’arti le invereconde critiche del Bettinelli contro Dante, del Milizia contro il Buonarruoti. In quelle cose ove può maggior- mente la fortuna, non è penuria di recenti esempi a mostrare che gli uomini studiano vendicarsi col dispregio di chi gli costrinse al terrore, e all’ ammirazione. Però non faremo a noi vano pe- ricolo favellando di vicende passate, ma così grandi, che gli ani- mi possono essere infiammati ancor dalle ricordanze. A se ne chia- ma quell’ unico artista: ma prima ch'io rammenti alcune di quel- l’ opere ov’ egli nel concetto colse la palma del sublime, intendo combattere le opinioni del Mengs intorno allo stile. Il tedesco pit - tore avvolgendo i suoi pensamenti di molta nebbia metafisica , è d’avviso che l’ artificio dello stile sublime, “ consista nel formare una quasi unità d’idee del possibile , e dell’ impossibile nel me- desimo obietto. Quindi l’artifice , scelte ed unite forme ed appa- renze, note a fare un tutto che ha vita soltanto nella sua fan- tasia, debbe in quelle parti, che prenderà ad imitare dalla na. tura , fare astrazione da tutti i segni del suo meccanismo ,,. E fermate queste teoriche il Mengs non trova esempi di su- blime che nell’Apollo del Vaticano: Raffaello a suo credere non | arrivò che al grandioso ; Michelangiolo non ci diede che il ter. | ribile: il solo Caracci, delle statue antiche imitando le forme, | potè al sublime accostarsi. Non è qui luogo a investigare quanto 86 d’ ideale debba aver la pittura , come sia pericolosa questa ele- zione delle parti che non si tolgono dalla natura, ma dalle sta- tue: pur se lo stile è il modo d’ essere d’ un’ opera , chiunque pensa non poterne esistere che un solo, ciscoscrive la natura con un cerchio non diverso da quello col quale dal Romano ambasciatore il Re di Sitia fa chiuso. E poi questi Popil; dell’ arti , e delle lettere si vanno lagnando ch’ esse non movan più oltre, mentre in quel loco ove stanno , le arresta il rigore dei loro precetti. Se gli antichi soli offrono esempio di sublime , perchè non di- remo altrettanto del bello? Or qual gentile persona frenerebbe lo sdegno, od il riso, udendo che senza tener perfetta simiglianza coi simulacri dell’arte greca è negato ad ogni donna aver pregio di bellezza ? In quanto danno tornino queste massime alla pittara , il sa chiunque ha di essa alcun sentimento: l’arti in mezzo agli ap- plausi di questi adoratori dell’antico ideale potrebbero in processo di tempo ridursi a formule algebriche, e gli artisti farsi turba mec- canica non altrimenti che gli operai Egiziani. Sente col volgo qua- lunque igoora che Michelangiolo fu tra i moderni | inventore d’un ideale a cui lo innalzò il vigor nativo dell’ intelletto, non l’ imi- tazione degli antichi; impossibile a quell’animo ardente. Ma il su- blime è meno nello stile, che nell' invenzione ; in questa Miche- langiolo è maraviglioso. Vedi nella Sistina com?’ egli effigiando l'Eterno pone in piccolo spazio figura grandissima in iscorcio , e non mette in grande evidenza che la testa , e le mani significando così che tutto è in Dio intelletto e potenza. Ma chi mirà fra quelle pitture la creazione dell’uomo senza esclamare “ ad artista non imai venne nell’ animo più alto concetto ? ,, Adamo già formato ; ma giacente all’ accostarsi del dito di Dio; come sospinto da forza attrattiva , sollevasi, e nello stesso atto la sua mano a quella dell’ Eterno avvicina. L’ immagine dell’ Onnipotente riflette nel- l’uomo non altrimenti che nello specchio: nel campo una sola li- nea indica la sommità d’una collina, e quanto giovi questa quiete più d’ogni altro accessorio a crescere solennità al subietto , si può piuttosto considerar colla mente ch’esprimere colla parola. Era negato agli antichi involti fralle abominazioni dell’ idolatria giun- ger a tant'altezza , quantunque nella favola di Prometeo essi per avventura serbassero dell’ antica tradizione i vestigi. La lettura sola di Mosè potea tanto sublimar Michelangiolo ch’ ei, per quanto è concesso ad uomo non divinamente ispirato , osasse coll’ Ebreo Legislatore, contendere dello stile, ‘quasi presente egli fosse a tanto mistero dell’ Onnipotenza, E nella possa dell’ alta fantasia vide il Creatore cinto della sua gloria volgersi a poco fango he- 57 nignamente , e chiamarlo alla vita. Odo ripetersi : ah se tanta opera avessero i colori di Tiziano animata, essa non avrebbe pa- ragone nell’ Universo! Or questo desiderio' può nascere in coloro che ignorano le massime alle quali in particolar modo fa volto il nostro ragionamento. Dal colorito verrebbe gran danno a quell’ ope- ra: essa più non sarebbe una visione mentale d’ un fatto ch’ è sopra gli umani concetti ; e l’ artista per avvicinarsi a quella il- lusione che tiene del reale , s’ allontanerebbe da quella dell’ in- telletto che di tanto è più sublime. Se fate di quel lavoro una pittura compita , prendendo dal Veneziano artefice 1’ eccellenza ‘del colorito, voi tosto l’ ali troncate alla fantasia , la quale tanto più comprende in un’ opera quanto meno vi ha di determinato. Questo errore , e forse assai più che ragion non volea , fu evitato dal Buonarroti , che intento al principale dell’arte , lasciò agli altri i colori, i capricci, la novità dell’ idee. Nelle sue cose in- vano tu cerchi paesaggi, alberi, fabbriche, certe gentilezze alle quali non degnò d’abbassare l'ingegno. Egli è severo pur sacri- ficando alle Grazie, come fa detto del padre della greca tragedia col quale egli tiene molta conformità nell’ingegno. Eschilo infat- ti, e il Buonarroti un fiero stile eleggendo , segnarono nuova strada all’ imitazione. L’ uomo per essi ritratto ha proporzioni gigante- sche - in ambo tu vedi ugual dispregio della piacevolezza, pericoli cercati per vaghezza di gloria. Ambo 'scossero |’ animo dei con- temporanei, si compiacquero del terrore, fecero argomento all’opere loro le minacce , non le speranze delle religioni, e a grandi movi- menti dell'animo gli uomini assuefacendo , prepararono le nuove generazioni a gustare immagini più dolci , affetti più delicati. Ad entrambi con riverenza mista di timore noi ci accostiamo ; essi meno ai discepoli insegnano che ai maestri, i quali ad "to cose son da loro ispirati. E a più crescere lor simiglianza si noti che la posterità ,. non mancando d’ avere in grande onore le loro virtù , manifestò desiderio di maggior finitezza. In questa perchè più fa- cile ad ottenersi, furon vinti; ma nel sublime terranno il prin- cipato dell’arte: Pur se (2) follemente io sentissi di Michelangiolo con un critico oltrainontano, alle figare della Sistina moto , e non pensiero egli diede. Ma la gloria delle sue fatiche non può venir meno pel biasimo di coloro , che nati sono a conoscere più l’ ele- ganza, che il vigore dell’ arti, e fanno concetto dei pittori secondo la maggiore, o minor rassomiglianza che tengono colla bellezza peo (3A greca scultura. Costoro curvi sotto il peso dell’ au- *— (2) Quatremère de Quincy, Vie de Raphael, 88 torità mon possena rimirare in faccia il Buonarroti , e son fatti a sostenere la luce di quel terribile ingegno, quanto gli Ebreî quella che splendeva sulla fronte dell’ austero legislatore. Nondi- meno le parole del Censore francese non potranno ascoltarsi sen- 2’ ira da chi pose mente alle stupende fantasie figurate nella Sistina. Ho ricordato la creazione dell’ uomo: ma chi mirò i profeti e le sibille di Michelangiolo senza ‘dire a se stesso? Al- l audacia, alla forza espressa in quelle sembianze, alla gravità delle attitudini, al disprezzo che mostrano per ogni cosa morta- le, io m’accorgo che a costoro Geova parlò ;} e la lor bocca de- gnamente altissimi decreti significava, Non pensa quell’ Isaia che in maestà tremenda , e quasi perduto negli abissi del divino con- siglio, si rimane dal meditare il libro della legge , vi pone la mano a segnarne la carta, e chiamato da un’ angiolo, appena cangia at- titadine , e quasi guardargli sdegnasse , la testa verso lui lenta mente rivolge? Geremia di dolore atteggiato non ti annunzia quali sventure sovrastino alle sue genti ? Non vedi tu in quella figura colui, che un giorno sul fiume di Babilonia , mentre i do- minatori chiederanno agli schiavi i cantici che rallegravano |’ ebree donzelle , starà seduto all’ ombra dei salici ai quali è appesa la cetra muta da lungo tempo, e ricorderà piangendo Gerusalemme ? E nella storia delle serpi di Mosè quanta è da un lato diversità di morte fra spasimi, paure e disperate grida, mentre dall’ altro vedesi in quelli che fisamente riguardano nel serpente di bronzo , entrar la vita , e la speranza , e la pietà che fugge dagli umani petti nelle grandi sventure, tornare, e manifestarsi in quella fi- gura che sostiene una donna, ove tu scorgi quale aita le si por- ga, e quanto la misera ne abbisognasse in quella subita paura. Mille pensieri ed affetti mostrar potrei in ogni parte di quel ma- raviglioso dipinto, e tutte dichiararne le fantasie. Poscia traendo l’audace Critico al cospetto del Giudicio universale, gli chiederei se fu un mero disegnator di notomie quell’ immenso artefice che accumulò sulle pareti del Vaticano tante immagini di terrore. Ma non invidio ai Retori le inefficaci descrizioni di quelle cose nelle quali, quando non sono offerte alla vista, mal si riposa la fede dell’ intelletto. Soltanto |’ argomento proposto al mio dire vuol ch'io ricordi avere il pittore della Sistina manifestato che il su- blime è tanto nella possanza della volontà, che dell’ingegno. Re- catevi alla memoria, che Michelangiolo non aveva esperienza dei colori a fresco, quando l’ impetuoso Giulio II , consigliato dall’ac- corta invidia di Bramante, gravollo d’ un peso sotto il quale ogni altro omero avrebbe tremato. Nondimeno ei non atterito dalla grane itinere 89 + dezza dell'impresa, vincitore di quelti ostacoli ghe gli opponeva nella pratica Ja pittura , condusse in men di due anni a compi- mento un’ opera che non ebbe esempi, che non può avere imi- tatori; e tennè così il campo in un’ arte nella quale egli entrò sospinto dalla necessità, non condotto dall’ elezione. E pur nella scultura niostrava il Buonarroti sublimità di concetti: e prova quanto sia fuor d’ogni senno l'opinione del Francese quel simu- lacro che unico fu chiamato il pensiero dal pubblico grido , al sen- tire dei più, certissimo testimone. Ma niuno finora osservò qual fosse in quella statua l’intendimento del generoso propugnator di Firenze. Egli scolpivala fremendo e pieno dell’ira che dettò gli alti versi: M° è gra to il sonno, e p'ù l’esser di sasso Infin che il danno, e la vergogna dura; Non udir, non veder m’ è gran ventura; Però non mi destar : deh parla basso. Non ebbe in animo d’ onorare quel Lorenzo tanto dissimile dal- l’ avo , quell’ ingrato che con aperta iniquità toglieva Urbino ai del- la Rovere che gli furono d’ospizio cortesi nella sventura , quel vio- lento che sdegnando pur l’ apparenze di cittadino stimò la Repub- blica suo retaggio. Ma fra gli esigli, ele morti dei suoi vendicar tentava coll’ ingegno quella patria che non potea più difender col- l’ armi , e fare in quel marmo la sua vendetta immortale. Effigiò Lo- renzo che siede , e medita profondamente presso il sepolcro: ma i pensieri del tiranno vicino alla tomba son de’ rimorsi. Io gli leggo in quella fronte piena di vita ; e parmi che dall’ aperto avello la mor- te gli gridi “ Scendi ove comincia pei potenti la giustizia degli uo- mini , e quella di Dio,,. E coll’ Aurora , e col Crepuscolo indicava a Lorenzo che fu breve , e non suo lo splendore di quell’ infausta potenza. Infatti nell’ estinto Duca d’ Urbino ogni fondamento ai di- segni del decimo Leone tosto mancò ; e di frequenti morti il dome- stico lutto ricordava al Pontefice la fugace vanità dell’ umane gran- dezze. Mi basti avere accennato |’ alto divisamento dell’ artista cittadino : pur nel Mosè non dubiterò chiamarlo scultore sublime , o niente sgomentato dal villano romor degl’ improperj che il Mili- zia avea letto nei critici francesi , ed alla stolta Italia gli ripeteva. La testa dell’ Ebreo legislatore è nobilitata dalla più forte espressione della potenza , e scorgi in lui tanto eccesso d’ energia , e di fermez- za che prende l'aspetto della minaccia (3) , e par che ei voglia alzar- (3) Cicognara , Storia della Scultnra T. 2. 90 si dal seggio ove posa. Chiedeva il subietto quei particolari che al Cinico dell’ arti dettarono l’ inverecondo paragone. E qui notate che i critici assalgono mai sempre i grandi ingegni in quel lato ove le necessità imposte loro dall’ arte gli lasciano senza difesa. Estingue - il calore dell’ animo; fa timido ogni intelletto quel sagace livore ; che coll’ arme onnipotente del ridicolo tisgomenta , e sa misurar le cadute , e non i voli dell’ ingegno. La malignità di sì fatti censori. ad arte dimenticò che questo simulacro , il quale malgrado |’ umil- tà del loco e la picciolezza della base pur sempre grandeggia , aver dovea seggio più elevato , e distinto in un con altre immagini delle quali impedì l’ esecazione quell’ antica nimistà ch’ è fra la virtù , e la fortuna. Il Mosè locato su quell’ altezza meglio avrebbe risposto all’ intendimento dell’ artefice , e virtù sarebbero tenute molte di quelle cose che gli son reputate a difetto. L’ energia che v’ impresse il Buonarroti, dall’ aria frapposta verrebbe a mitigarsi, e le parti ri- sentite avrebbero fatto sull’ occhio quel giusto effetto cui sempre ei mirava. Ma che bramavano gli Aristarchi? una testa di vecchio, quel- le eterne sembianze di Giove, o di Laocoonte , che dalla lieta me- diocrità si vanno fra tanta pubblica noia ogni giorno moltiplicando ? Voleasi nel legislatore degli Ebrei , cui ben s’ addice abbigliamento barbarico , il magnifico panneggiato dello Zenone ? Ma su qual bi- lancia si librò tutto ciò che all’ arti conviene ? Donde nei censori notizia così universale delle teoriche le quali agli artefici antichi gui- darono l’ intelletto , e la mano ? Chi diede loro intiera certezza che nell’ accordare l’ effetto delle carni a quello delle vesti, |’ uno 0 l’ altro da loro sacrificato mon fosse , e quindi ora il nudo , ora il panneggiamento non primeggiasse nei vetusti simulacri? Con saggio avviso Michelangiolo non diede alle vesti la ricchezza per alcuni de- siderata : diversamente adoprando ei lo facea in ampio abito male avviluppato , o senza inovitmento. Ma perchè col mio dire sui parti colari di questo simulacro più lungamente io dimoro ? Basti al mio scopo che lo storico della scultura , parco) lodatore del Buonarroti , confessi ch’ ei nel Mosè mostrava l’ impetuosa copia di quell’ inge- guo tremendo , che lo fè dissimile dagli antichi, per cui venne con loro a contesa , suscitò nell’arti un rivolgimento , e per lungo tem- po le signoreggiò. Chiunque ha fermato nell’ animo che la figara del bello sia unica ed eterna , che una sola via alla gloria conduca , non giudichi l’ uomo sulla cui bocca frequenti suonavano queste parole: “ Chi va dietro agli altri , mai non gli passa innanzi ,, + Ma voi po- chi magnanimi , ai quali la gentil codardia dei nostri tempi lasciò nel cuore qualche maschio pensiero , non per filosofici argomenti , non per classica autorità, non per accademico pregiudizio vi asterrete dal gi | dire “ Solo a Michelangiolo fa dato d’ essere ammesso al giudizio di | Dio, elùstrascinarci collo spavento : iniziato all’ arcana sapienza del Sinai ci fa tremare davanti al suointerpetre. Gridi il freddo criti- coîcontro i difetti del gusto , condanni i muscoli risentiti , gli scorci moltiplicati , ma percosso di maraviglia in faccia alle sue opere cor- fessi ch’ei strappò dalle mani, che pur vorrebbero negargliela , la palma dell’ arti , e quasi tirannoregna col terrore ,,. Mi giovi fra l’ opere del Buonarroti aver eletto sol queste a so- stegno del mio subietto : favellerò dell’ uomo e dei teinpi. Egli ebbe natura malinconica ed acre , qual suol essere in quelli cui |’ ingegno balena in acutezze , mentre la profondità del senno gli ritragge dal falso. È morte il riposo a coloro che sortirono questa naturaie dis- posizione : amano difficoltà e pericoli a far prova di forze , e sola- mente allora senton la vita. Questi doni s’ accrebbero per l’ educa - zione in Michelangiolo giovinetto : egli non potea tener modi rimes- si e servili nella casa del Magnifico , che nella somina potenza ebbe costumi di cittadino. Però serbando nell’ animo l’ ardor dell’ inge- gno , s’ infiammò or d’ altissimo amore , or di nobile indignazione, e prese ; come tutti i generosi , ardir dalla coscienza , che pur lo sostenne in quei miseri tempi che sono gran paragone alle umane virtù. Intrepido ei corre a chiudersi nellecombattute mura della sua patria , e trovando nuovi argomenti ad offender lo straniero nemico, le differisce coll’ingegno quella servitù che il tradimento prepara, Nella presa città ritiene animo inespugnabile : potè nascondendosi cedere al desiderio degli amici , e risparmiare un delitto alla tiran- nide , ma ben seppe sfidarne ]’ ire quando essa volea che fossero is- tramento di pubblica servitù quell’ arti che solamente in lui meri- tarono il nome di liberali. Chiedeva il feroce Alessandro che Miche- langiolo eleggesse seco lui loco opportuno a fondare una fortezza ; sostegno della nuova potenza, e terrore dei cittadini. Negò quel grande: i savi dell’ età corrotte diranno che questo ardire a lui ca- usa di pericolo , non fa agli altri principio di libertà : ma io prego che non vi sia posterità così immemore , lettere tanto ingrate che copran d’oblio questo magnanimo rifiuto. Per la qualità dell’animo, e dei tempi quell’ alto Fiorentino si com piacque della solitudine. Ma tu non eri solo , o Michelangiolo ; teco le sublimi fantasie dell’ arte, teco l’ immagine della tua patria nella cui espugnazione Italia finì teco il nobil dolore di non aver alzato la tomba a quel Giulio II. (4) che d’ animo vasto , e di smisurati concetti nella sua grande ira (4) Se nunquam conquietur umdonec, expulsis omnibus barbaris , Italiae libe- rator, vero inde parto coguomine, dici mereretura Pauli Jovii, Vit, Jul, II qa i esclamava; ‘ Io non avrò mai pace, finchè , cacciati tutti i nemici, ‘ d’ Italia, non meriterò veramente esserne chiamato liberatore ,,. Quantanque Michelangiolo fosse d’ anino austero, come il Pon- tefice cui tanto egli piacque, pur ebbe quelle virtù che non sen- — za lacrime si ricordano, e la tenera amicizia mise in quel nobi-. lissimo petto profonde radici. Vecchio ed infermo vegliò al letto del suo Urbino, e perdendo questo sostegno e riposo di sua vec- chiezza gli parve che la maggior parte di se n’ andasse con lui, e sentì desiderio di morte, Nato veramente al sublime, mal del- l’opere sue s’appagò, nè gli parve che la mano tanto rispondesse all’intelletto da giungere a quel concepimento ch’ ei nella mente si formava dell’arte, Non però freddamente eseguiva i suoi im- mortali lavori, e veggendo trattar lo scalpello all’ animoso Buonar- roti, detto avresti: ei colla sua forte immaginazione vede la fi- gura, e s’ adira col marmo che gliela contende. I tempi nei quali visse, felici non furono, ma grandi, e cinsero per così dire la sua anima d’una fierezza nobile e generosa. Può dirsi degli artisti della tempra di Michelangiolo quello che Longino affermò degli oratori terribili nell’ eloquenza : “ Vogliono età capace a nu- trire, e allevare spiriti grandi, e come pianta che non alligui ,) in umil terreno , mal crescono laddove gli uomini son poco men » che in culla fasciati dei costumi e degl’ istituti di legittima ;» servitù : a questi è dato soltanto esser magnifici adulatori ,,. Toccò a Michelangiolo secolo diverso : per trovare il sublime non gli era forza cercarlo , e la sua anima risponder dovea a senti- menti generosi, come l’eco alla voce. Fu detto che per la gloria delle vostre discipline ei troppo visse. Ma fosse stato simile a Raf- faello medesimo nella brevità della vita, ei dopo aver dipinto la Sistina avrebbe con tanto esempio tratti a seguirlo gli artisti del- l’età sua, e sempre di quello stile, che movea da un animo in- fiammato, sarebbe stata piena di pericolo l'imitazione. Quei pochi mortali, che colla singolarità dell’ ingegno la natura separò vera- mente dall’uman gregge, non pur primi rimangono, ma soli. Io di sì lunga vita lo compiango quando penso i tempi che a ve- dere lo serbò la vecchiezza. Gl’ Italiani costretti da tatti i pesi della Signoria spagnola, dimenticarono ogni avito costume, tutto impararono da’nuovi dominatori, di suo non ritennero neppure i vizi. Pur le domestiche dolcezze vennero meno fra le pompe d’ un fasto senza ricchezza, fra le superbie della viltà nascosa con nomi magnifici , fra costumi corrotti da una mobil dottrina che sgo- menta i deboli, adula i potenti, e inganna col vero. Ebbe l’Italia inerzia, e non riposo, sventure senza gloria, delitti atroci , virtù NI } 4 r- 93 | eodarde, tutti in somma i turpi dolori d’ una servità faticosa . | Allora in vanissimi studi si tentò consumare l’ ingegno, far peri- re la vera eloquenza all’ ombra delle scuole; ingannar la coscien- za del genere umano, impedirgli quei destini che porta il corso dei secoli, e dell’idee. Tanto imparò a servire lo stesso pensiero che in quella età che vide nuove colpe, tu non trovi scrittore Italiano che lasciasse documenti di quell’ ira magnanima della qua- le, come ci fanno fede Tacito e Giovenale, possono vivere le vere lettere anche in secoli corrotti. Nell’ arti medesime il gusto mancò: Michelangiolo restò senza nemici, ma senza giadici: re, ma d’un popolo di schiavi. Molto avanti negli anni della trista vecchiezza ei giunse final- — mente al comun porte. La patria ebbe le sue travagliate ossa, il cielo il suo spirito: ma Dio volendo che un ingegno non men grande attestasse anche allora la dignità dell’ umana ragione, e que- sta avesse fra noi nuovi trionfi, e nuove sventure, avea due giorni innanzi al morire del Buonarroti mandato sulla terra l’anima di Galileo. cc ———ttiIi1@««ebkbkh/!*/ot@@ò0 Lettere d'un socio dell’ Accademia Archeologica in Roma, ad altro socio della medesima in Firenze. LETTERA IV. Roma 31. Agosto 1825. — Ti aveva di già in altra lettera annunziato l’arrivo in Roma del dotto Champollion. La lace che questo erudito archeologo ha sparso con la sua fortunata scoperta intorno all’ interpreta- zione ed alla lettura de’ geroglifici egiziani , l'interesse per la sto - ria, per la teogonia, pe’ costumi, e per tutt'altro che a quella classica terra appartiene, e che ora più vivo rinnovasi nel cuore de letterati, ed amatori di simili studi; e sopra tutto il suo ine- spugnabile sistema sulla lettura di que’ segni che furono un dì reputati mistici dalla mostra ignoranza, tutto ciò ha fatto sì che il suo giuvgere in Roma sia stato dai letterati d’ ogni genere, e dagli studiosi applaudito e festeggiato. E questa spontanea esul- tanza mi fa argomentare, quanta sia già la fama di che riempie la singolarissima invenzione, e la conoscenza dell’ utilità somma che da quella può trarsi. E veramente chi avrebbe mai sperato i spigolare, nou che di mietere sù quell’arduo campo già iu- 94 vano precorso dai Kircher, dai Zoega, dai Jablonski, dai ‘War- burton. Questa gloria era riserbata ad un letterato francese gio- vane d'anni, ma di provetta dottrina, di aggiungere colà dove tanti altri valentissimi ingegni avevano invano sudato a pervenire, E pur vero che la discoperta della famosa pietra di Rossetta , fu il mezzo principale, e la chiave che aprì la porta di quell’in- tricatissimo labirinto, ma questa pur videro e contemplarono a’ giorni nostri Young, Ackerblad, de-Sacy, Pallins ed altri, e tutti i loro sforzi per uscirne furono inutili, perchè mancanti de’ prin- cipii fondamentali. Lo studio dell’Egizio idioma richiedevasi al- l’intelligenza di quelli oscuri caratteri, e questo fù appreso dallo Champollion , ed in modo tale da divenirne ben presto maestro, Nè ti starò quì a ricordare, qual iminenso numero di pre- ziose scoperte , possano sperarsi da questo studio, e molto più dai viaggi che dotti uomini potranno intraprendere a quelle veneran- de contrade. Già ben sai che quella grande, e potente nazione, la prima a mio credere che sia stata capace di una civilizazione, ha costantemente sin da’primi suoi tempi registrate le pubbliche, € private cose, e queste non furono già sempre consegnate a fra- gili papiri, ma spesso a monumenti sorprendenti per la loro mole e stabilità quasi eterna, come sono i tempi di Tebe, di Carnack , di Lougusor, Ipsambull ec. Le pareti interne ed esterne, le volte, e sin le colonne di que’ superbi edifici, sono tutte rico- perte della triplice scrittura del Nilo, e siccome colà religione e trono erano trà loro talmente legati, che talvolta quasi una sola cosa formavano, così mi dò ad argomeotare, che non pochi saranno i monumenti pregievolissimi per la storia di quel popolo sapiente, che potranno discoprirsi dagli ulteriori viaggi. Quali ar- gomenti bellissimi intorno la teogonìa, la storia, i costumi di quella impareggiabile nazione? Già molto abbiamo dallo stesso Champollion, e dal suo Pantheon Egyptien che viene pubblican- do, per la classificazione , e genealogia delle divinità. Molto ha la storia dalle sue lettere al duca di Blacas intorno alle dinastie reali, le quali dal tempo di Abramo, si ponno condurre sino ai tempi degli ultimi Tolomei. Niuna cosa però potrà uguagliare l’im- portanza delle oculari inspezioni, e de’disegni fatti da mani esperte sul luogo stesso ove ritrovansi i monumenti, mentre pochissimi sono stati sino ad ora quelli che a noi sieno giunti esattamente deli- neati dalle regioni del Nilo. Ma ciò ti basti per avere un'idea di quanto in ciò si possiede, e di quanto ci è dato sperare. Ora siccome una favorevole sorte mi ha concesso di stringere amici- zia con questo dotto, così della sua famigliarità giovandomi, il 95 pregai, che il pregio, e le epoche de’ monumenti egizi, che ri- trovansi non pochi in questa nostra Roma volesse mostrarmi ; di che egli con la cortesia propria del suo animo, e della nazione di cui fa parte, mi fù largo promettitore; ed‘adesso il frutto delle sue promesse posso a te narrare con brevi parole, volendo che tu intenda, che quanto sono per dirti frutto è soltanto delle fre- quenti conversazioni con esso avute, essendo io incapace ancora di mover passo in quest’ arduo cammino. Dividerò la materia del mio ragionare per maggior facilità a seconda de’ luoghi ove trovansi collocati i momumenti , dando la precedenza al vaticano. Circa 500 sono gli oggetti egizi ivi col- locati, tutti acquistati sotto il pontificato di Pio VII., e provenienti dai viaggi fatti in quelle contrade dai sig. Guidi, Gavazzi, e Bas- seggio, ed in particolare a Tebe. Nè di tutti intendo parlarti, ma dei più interessanti. Sei colossi in granito nero tatti uguali nelle forme , e nelle di- mensioni, rappresentano la dea /Vezzk sedente, con la testa di lione. Dall’ iscrizione geroglifica posta sui lati anteriori dei troni di questa dea , rilevasi essere state erette queste stalue dal re Amenofi Il. del- la XVIII° dinastia, detto dai Greci Mennone. Erano queste destina- te a fiancheggiare la strada che conduceva al tempio di questa dea, Simili strade al dinanzi de’ tempi dicevansi Spopsos dai Greci. I co- lossi sedenti erano framezzati da altre statue della stessa dea erette, ed al pari delle altre /eonto-cefale , e quattro ne sono al vaticano, Non mancano gii altri musei egizii di Europa di statue del tutto si- mili à queste del vaticano, ciò che dimostra che grande doveva es- serne il numero. Merita d’ essere osservata una, tavola di libazioni in diaspro durissimo dedicata dal re Toutmosis II. il famoso Meri- de de’ Greci, della XV.? dinastìa. Sù questa ponevansi dei pani sacri offerti alle divinità , e la figura di questi pani è scolpita sulla superficie dell’ara. Facevansi sù queste tavole ancora ie libazioni di vino, il quale scorreva per aleani canaletti praticati al dinanzi del marmo. Considerabile è un bassorilievo o sia stelo rappresen- tante un adorazione del re Psammo della XXIII. dinastia ad 412. mon-ra principale divinità dell’ Egitto, ed insieme al re Meride sopra nominato. Questo monumento serve di conferma alla opinio- me dello Champollion, che l'Egitto divinizasse come poi fecero li Greci ed i Romani, que’ sovrani che eransi procacciati l’amore dei sudditi con le loro virtù. Un piccolo quadretto in legno dà conto della morte d'un figlio del re Takellothi della XXIII, dinastia. È da compiangersi la rottura di uno statua del re Ramses VI. detto il Grande Sesostri capo della XIX. dinastia. Questa statua sedente è 96 dî basalte , del più bel lavoro ; ma per sommo. infortunio è rotta al-' la cintura, e mancante della parte superiore , la quale se ci fosse restata avremmo una delle più belle statue di questo re conquista- tore. Un sarcofago in basalte ha attorno una fascia di bellissimi ge- roglifici, dai quali apprendesi aver servito a contenere il corpo di un sspoy pijuaros o scriba sacro sacerdote incaricato delle offerte, e delle preci per la casa del re Psammetico I. chiamato Neith-mai, Quest’ urna altra volta creduta di Sesostri, non ha ancora ottenuta PF PERSIA collocazione, ma quanto pritma dai magazzini vaticani passerà ad ornare il museo Egizio. Oltre una quantità grande di piccole figurine, ed altri oggetti, in terra cotta , in bronzo, in le- gno ed in Hlte materie, tutti brevemente descritti dall’ avv. Carlo Fea nella sua opera intitolata Varietà di notizie (p. 149 ) 35000 da considerarsi uno scarabeo in diaspro durissimo con inscrizione in un- dici linee, portante la data dell’anno XI.° del regno del re Amenofi II. (Mennone), e di sua moglie Tizia, giorno secondo nella neomenia del mese Achir: ed una bellissima mummia. Rendesi questa, singolare non tanto per le sue pitture belle ancor esse , ma molto più per non trovarsi frà tanti segni geroglifici che vi sono dipinti neppur uno che indichi il nome proprio del dèfonto, cosa nuovissima per quanto si sà. Apprendesi però essere stato il defonto un sacerdote di Ammon - ra, ed aver appartenuto alla XVIII.® dinastia reale, avendo al petto in caratteri d’oro scritto il nome del re Amenoftèp capo della me- desima , sospeso ad un nastro che gli scende dal collo. Fra gli og- getti egizii che già trovavansi da prima al Vaticano, molti de’ quali sono stati illustrati da Ennio Quirino Visconti, da Winckelmann , e da altri, trovasi una statuettta di Ammon-ra in granito verde dedicata dal re Mandouei detto Achencheres della XVIIL® dinastia , pregiabilissima per il lavoro; e molte altre statue, che contano I’ epoca del regno del re Psammetico I. , e di quello del secondo di questo nome, ambo della XXV! dinastia. Dal museo passando alla biblioteca , pregievolissimi sono i momumenti egizii scritti che vi si conservano. Molti papiri formano una bella collezione ed interessante. Abbiamo ora alle stampe il catalogo scritto dal dotto Champollion, e dal ch. mons. Mai re - cato in nostra favella. Trentacinque sono i papiri egizii ivi descritti , non essendosi voluto contare degli altri in altre lingue, fra i quali uno fenicio il maggiore che si conosca, contenente una specie di registro di computisteria, con numeri ugualissimi a quelli che vedonsi nelle monete fenicie. I papiri egizii con data certa sono tre. Quello segnato E. Quadro XI. , è in scrittura demotica. Vi si legge un atto pubblico fra tre individui, uno de’ quali detto 97 "Amenosor figliuolo di Oro e di Takci cede unterreno posto ne’con- torni di Tebe ai due nominati Psenamun figliuolo di Tsenamun , e ad Oro figliuolo di Fabi e di Tsencus. Il contratto fu scritto da Psencosis l’uno dei sacerdoti di Ammone e degli Dei evergeti filopatori. Il principio del contratto nel quale sì contiene la data è questo : nell’ anno terzo, del mese di tobi il sette, sotto il re Tolomeo figliuolo di Tolomeo , e della regina Berenice , Dei ever- geti; essendo Demetrio figliuolo di Apella sacerdote di Alessandro, e degli Dei adelfi, e degli Dei evergeti, e degli Dei filopatori ; e sotto la canefora di Arsinoc filadelfa, ha detto ec. Questo adun- que come chiaro apparisce è del terzo anno del regno del quarto Tolomeo sopranomato filopatore , e risale con la sua data all’ an- no 219 avanti Gesù Cristo, ed è in conseguenza il più antico atto pubblico originale che si possieda dei tempi dei re Lagidi. Il se- condo papiro segnato in catalogo quadro XII. A. è an frammento di scrittura demotica portante un atto pubblico con la data del- l’anno XII. del mese Mechir il 12, di Psammetico , certamente secondo, mentre il suo avolo regnò pochissimo. Questa data corri- sponde secondo la cronica d’ Eusebio all’ anno 646 avanti Gesù Cri- sto , il XXVII. di Tullo Ostilio re di Roma. Il terzo papiro di data certa segnato nello stesso quadro lettera C, contiene in scrittura jeratica una parte di un registro di computisteria , nel quale le somme sono segnate in rosso , ed i nomi delle persone in nero. E una lista di riscossioni, tenuta e fatta in Tebe da uno scrivano detto Tutmosis sotto il regno di Ramses V. della XVIII.® dinastia. Il rima- nente di questo papiro conservasi nel museo reale egizio di ‘Torino, Benchè non vi sia 1’ anno preciso in cui fu scritto questo papiro, sappiamo però che la XVIII.® dinastia ebbe fine nel secolo decimo quinto avanti |’ era volgare. Gli altri papiri scritti nelle tre differenti scritture contengono per lo più gran parti del rituale funebre , uno de’ quali fu scelto dallo Champollion , ed illustrato , massimamente nella parte figurativa e simbolica, dove viene rappresentata la scena del giadizio di una donna chiamata /sdejer , fatto nel vesti- bolo dell’ amzenti , o sia inferno egizio, rappresentanza con la quale costantemente chiudonsi quasi tutti i papiri fanebri , che accompa- gnano le mammie. Dal museo Vaticano facendo ora passaggio al Capitolino, ti noterò le cose più importanti che ivi già da lunghissimo tem- po esistevano. Nel cortile del palazzo de’ Conservatori avrai tu stesso osservati i due colossi di granito rosso, che sono collocati nell’atrio in fondo al medesimo. Ora ti fia grato il conoscere esser uno di questi la statua del re Tolomeo Filadelfo, e l’ altro quella di T. XX. Ottobre. 7 98 sua moglie Arsinoe Filadelfe. Il più bel monumento però che eststa al museo Capitolino, è quello che vedesi a sinistra di chi entra nell’ atrio che precede la corte del detto museo. È questa una bel- lissima statua colossale in granito nerissimo, portante il ritratto ed il nome in geroglifico della Regina Tan detta madre dei re, moglie del re Ramses V. ultimo re della XVIII.® dinastia , ed in conseguenza madre del gran Sesostri. Alla bellezza del lavoro e del marmo , si unisce la novità interessante del soggetto , essendo ora la prima volta che apprendiamo il nome di questa regina. Sul fianco del piccolo obelisco che le serve di sostegno è scolpita a bas- so rilievo la figura di sua figlia , sorella del gran Sesostri . Di questo importantissimo monumento ho fatto non ha guari delineare un ac- curato disegno , il quale passato all’ incisione sarà , unitamente ad una illustrazione dello stesso Champollion, inserito nelle nostre Memorie Romane di Antichità e Belle Arti, che vanno tuttora pubblicandosi, ed è perciò che mi risparmio di descrivertela, poten- done leggere frà poco la descrizione in quel libro a tuo bell’ agio. Quattro sono i monumenti Egizii della Villa Albani, che meri- tino osservazione, Un bel colosso della Dea NVeith Leontocefala, dedi- cato ed inalzato dal Rè Sesostri, o Ramses VI. il grande. Altro colosso rappresentante il Rè Tolomeo Filadelfo , maggiore del Capi- tolino , ma noncosì ben conservato. Una statua frammentata del Rè Amasis della XXVI.® dinastia. La più interessante però si è una bellis- sima statuetta di plasma di smeraldo del Rè Sabucone Etiope con- quistatore dell’ Egitto , capo della XXV.® dinastia. Venendo ora ai più pregevoli dei monumenti romani , voglio dire degli obelischi , di quelle maravigliose moli testimoni della grandezza Egizia , e della potenza Romana , ti sarà curioso il co- noscere come all’ apparire della nuova scoperta siano sparite le antiche nomenclature. Nè ti starò qui a renderti ragione del come e del quando gli antichi autori errarono talvolta nell’ attribuire un obelisco ad un re più tosto che ad un altro, attendendo che ciò sia fatto da chi in queste materie siede maestro; ma ti dirò sol- tanto quanto possa esser bastevole ad appagare la tua curiosità. Il più antico di questi è sicuramente il lateranense, che eretto dal- l’imperatore Costanzo nel Circo Massimo, fù quindi da Sisto V. collocato incontro alla Basilica, che ora gli dà il nome. Questo fù fatto scolpire ed erigere dal Re Toutmosis II°. il famoso Me- ride dei Greci, quinto re della XVIII.® dinastia , nel propileo del tempio di Ammon-rd a Tebe. Ciò si apprende da due faccie del detto obelisco, mentre le iscrizioni delle altre due faccie laterali portano il nome del rè Zoutmosis III. suo nepote, che avrà 99 probabilmente fatti eseguire dei restauri o addizioni al detto tempio. Così nella parte estrema dell’ obelisco gira attorno al medesimo un’ inscrizione del rè Sesostri. L'altro obelisco da Augusto inal- zato nel Circo Massimo, e quindi dallo stesso Sisto V. sulla piazza del popolo, fù eretto avanti il Tempio det sole, o sia del Dio Ré, o Phré, in Eliopoli dal re Mandouei secondo delli due Achenchgres di Manetone ; della XVUI.® dinastia decimoterzo re. Questo obelisco, come, quasi tutti gli altri di gran mole, ba in ogni faccia tre co- lonne d’inscrizioni geroglifiche che leggonsi dall’ alto al basso. Di queste colonne di scrittura, le tre di mezzo di tre faccie sono del nominato faraone Mandouei, mentre le laterali sono di Ram- ses VI. il gran Sesostri, come pure ad esso appartengono le iscrizioni delle tre colonne della quarta faccia. Erasi creduto, per detto di Plinio, che l’obelisco solare inalzato da Augusto ad uso di gno- mone nel campo Marzio fosse opera di Sesostri. Ora conla nuo- va scoperta., si legge chiaramente in quello il nome e prenome del re Psammetico I. della XXVI.? dinastia, Come ciò vada è chia- ro il conoscerlo, mentre a chi non è notala trascuranza di Plinio nelle nomenclature, e massimamente in quello che riguarda i nomi dei faraoni, poichè tutti quelli ch’egli nomina nel libro XXXVI. dove parla del Egitto, tranne pochissimi sono nomi incoguiti, e di re mon mai esistiti , poichè i loro nomi non leggonsi in Erodoto, Diodoro, Manetone, Eusebio ed altri scrittori, E fuvvi un nostro archeologo, che dal passo di Plinio tratto in errore, trovando l’ istesso cartello reale dell’ obelisco del Campo Marzio, ora di monte Citorio , nell’ urna di basalte che ti ho disopra nomina- ta, scambiò il re Psammetico I. con Ramses VI, Sesostri, e credè che quell’urna che aveva racchiuse soltanto le ceneri di un îerogrammate, avesse contenute quelle del grande conquistatore. Dedicò il re Psammetico II. della XXVI.® dinastia , alla dea Neith il piccolo obelisco che ora si vede eretto sulla piazza della Minerva , curioso incontro frà la Minerva greca o romana , e la Neith egizia che perfettamente le corrisponde. I due piccoli obe- lischi che miransi eretti l’ uno sopra il fonte della piazza del Pan- theon , e l’altro simile della villa Mattei ora del principe della Pace, furono eretti dal gran Sesostri in Eliopoli- Dae sono gli obelischi d’epoca romana, di fabbrica però egizia. L’ Aureliano così detto, e che dall’ immortale Pio VII. fù fatto erigere sull’amena som- mità del Pincio, contiene un iscrizione fanebre in onore di An- tinoo il favorito di Adriano, e gli fù eretto da quest’ imperatore unitamente ‘a Sabina sua moglie. Quello che dal circo di Cara- calla, ora di Massenzio sull’ Appia, adorna in oggi il fonte priu- 100 eipale della piazza Navona , porta il nome dell’ imperatore Do- miziano, ed un tempo fù creduto di fabbrica romana con falsi geroglifici. Di questo genere è quello che da Pio VI. fù fatto inalzare sul colle Pincio avanti la Chiesa della Trinità de’ monti. Questo obelisco, venuto dall’ Egitto senza alcuna inscrizione , fù da’ Romani artisti lavorato ad imitazione di quello del popolo, con tale inesattezza però , e cattiva maniera, che fa riconoscer- si al primo sguardo, Non posso nasconderti ancora la mia sor- presa ; nell’avere osservato come la moderna scoperta della vera nomenclatura di questi sorprendenti monumenti, perfettamente concordi con le opinioni di già esternate dal dotto Zoega , al qua- le se fù nascosta l’intelligenza dei segni geroglifici, non fù però re- condita l’ epoca di quei marmi, da lui considerati sotto il sem- plice rapporto dell’,arte e dello stile della scultura. Ciò che a mio credere ridonda in maggior lode del danese scrittore, e com- prova sempre più la celebre scoperta dello Champollion. Dei monu- menti pubblici Egizii non mi resta a ricordarti che i due bellissi— mi lioni, che rinvenuti nelle Terme di Agrippa , ora adornano la fontana dell’acqua felice, e furono fatti scolpire dal re Achori della XXIX.® dinastia. Passando dai monumenti pubblici a quelli che sono tuttora in potere di privati negoziatori, non ti tacerò del gran colosso in arenaria durissima rappresentante il re Maridouei I., o sia del famoso Osimandias della XV.% o XVI.® dinastia, e compagno del- l’ altro bellissimo, che forma il principale adornamento del mu- seo reale di Torino. Questo colosso; la di cui illustrazione fatta dal dotto Champollion , e pubblicata dal conservatore del real Museo egizio di Torino, già leggesi alle stampe sotto il modesto titolo di lezioni archeologiche, se cede al torinese per la conser-. vazione, offre all’ erudizione un pregio che supera ogn’altro. Fù osservato dallo Champollion, che nel cartello contenente il nome reale di Osimandia eravi sempre rasato un carattere che egli suppliva con la figura del dio Mandd, e con le stesse lettere che ne compongono il nome ; e questa osservazione dell’ archeo- logo francese erasi estesa a tutti i monumenti portanti il nome di questo re, ne’ quali costantemente questo carattere è raso. Ora nel colosso del sig. Gavazzi , trovansi interi i cartelli, e non mai raso il detto carattere , il che ha comprovato quanto aveva lo stesso Champollion opinato per il. supplemento, È inutile che ti parli dell’ antichità di questo monumento, il più antico che esista, giac- chè risale ai tempi di Abramo, Ta già il sai), avendo letto a que- st’ora l'illustrazione del colosso Torinese. 10I . . Sono da considerarsi come pregevoli molti monumenti che tut- t’ora esistono invenduti presso il negoziante sig. Basseggio, da luì rac- colti ne’ vari suoi viaggi alla terra del Nilo. Un grande stelo con- tiene una bella iscrizione geroglifica reale con la data dell’anno IV.°, giorno I.° del mese di koiak , del regno di un faraone , il cui nome è ripetutamente cancellato a colpi di scarpello. Lo stesso danno ha sofferto il cartello reale di altro stelo contenente un catalogo di offerte e donativi. Una statua fanebre di una re- «gina merita considerazione per esser mancante del nome proprio. Il prenome geroglifico, vuol significare sole graziosissimo. Dal segno però che ha al petto rilevasi appartenere alla XXIII.? dina- stia. Sono da vedersi una bella figurina funebre in bronzo del re Ramses IV° detto Meiamoun avo di Sesostri, e 16.° re della XVIII dinastia; una statua sedente di un sacerdote di Ammon-rà } chiamato Sonmuti,sottoil regno del faraone Psamuzo della XXIII.® dinastia. In una piccola edicola di basalte era scolpita l’imma- gine del re Sesostri, come apprendesi dall’ inscrizione geroglifi- ca che gli gira attorno. La figura del re è stata a colpi di scar- pello cambiata nella figura di un santo, o di un vescovo cofto. Avendoti fin qui parlato dei monumenti , non ti sia discaro che ti trattenga alcun poco intorno agli scritti diversi che sù questi argomenti hanno qui avuto luogo in questi mesi scorsi. E primiera- mente devi sapere come giunse appena a Roma l’ illustre archeolo- go, che avendo molti letterati ed eruditi mostrato il desiderio di ascoltare dall'autore medesimo qualche lezione intorno alle sue fe - lici scoperte, onde venire più in chiaro delle sue dottrine, corte- semente egli condiscese , ed a ciò prestando impulso e convenevole luogo in sua-easa l'eccellenza del Conte di Funchal ambasciatore straordinario di Portogallo presso la corte di Roma , e proteggitore amplissimo d'ogni genere di buoni stadi, per molte sere consecu- tive parlando ad un numeroso consesso di personaggi ragguardevol] sì per le loro diplomatiche rappresentanze; che per la loro dottrina sviluppò all’ intelligenza di tutti quei mezzi , che aveva egli adope- rati, onde pervenire alla fortunata scoperta. Unitamente alle quali cose prese ad esporre in suceinto , ma chiaro modo, le nozioni pre- liminari ed elementari di questo bellissimo studio, soddisfacendo agli animi degli uditori in modo tale da renderli persuasissimi. Non di meno la discoperta del Champollion è andata ancor essa sogget- ta a quelle controversie e contradizioni , che sonosi sempre mani- festate contro gl’ inventori di alcan grande e nuovo sistema ; e per- ciò anche in Roma non sono mancati oppositori. Come da questi sia- si tenuto il campo della questione non è qui mio assunto il dimq- r02 strartelo , nè mi sento forza sufficente per tentarlo ; solo ti dirò degli scritti che produsse di nuovo la letteraria contesa. Prima ad uscire alla luce si fù l’opera del Abate D. Michelangiolo Lanci, interpe- tre delle lingue orientali nella biblioteca Vaticana, e professore di arabo nella università della sapienza. Il suo titolo è il seguente: di un egiziano monumento con iscrizione fenicia : e di un egizio Ki- lanaglifo con cifre numeriche. Il primo monumento è il famoso basso rilievo di Carpentrasso ) già da molti illustrato , ed in partico- lare dal dotto Barthelemy. Siegue la dichiarazione delle due iscri- zioni Palmirene esistenti nel Museo Capitolino. ‘Termina il volame l'illustrazione di un bassorilievo egizio, che al Lanci piacque chiamare con nuovo vocabolo Kilanaglifo je che trovato presso la gran piramide di Gize , rappresenta un rendiconto fatto dai gastal- di dei bestiami al proprio padrone. Non ti voglio già analizzare l’ope - ra del Lanci; ti dirò solo che a tutti i buoni dispiacquero i modi che esso tenne contro del nostro Mons. Mai, e contro dello Champollion. Rispose ben tosto a questa opera , in quella parte che lo riguarda, lo Champollion in una lettera, che mi diedi io stesso premura di far inserire nella sua lingua originale nelle nostre Memorie Romane di Antichità e belle Arti , in appendice al I. volume. Ora poi il Ch. Mai , nel pubbblicare il catalogo dei Papiri Vaticani compilato dal- lo Campollion ; e da lui tradotto in nostra favella , aggiunse alcune riflessioni critiche sopra l’ opera medesima, e rispose colla dignità, Ja quale è propria dell’ uom d’onore, e colla forza , che poteva e doveva aspettarsi da un così gran dotto qual egli è. Del resto ogui nuovo giorno aggiunge argomenti nuovi della veracità del sistema difeso da cotesto celebre straniero, e gli uomini cominciano final- mente a persuadersi che la lingua de’ geroglifici è omai nota in mol- tissime sue parti. G. M. @0re—6+TT++++FFPFmtE__TTcT-TF.-rT L€Òl«=<=<=—*"m== LA MITOLOGIA sermone del cav, VincENZO MONTI. Genova e Milano 1325. Che vollero dire gli editori di questo sermone colle prime pa- role del loro proemio : “ l’ audace scuola boreale, che ha dannato a morte tuttt gli Dei della mitologia, ha trovato nel principe de' poeti viventi an tal e/assico da ridurre lei stessa a mal partito? » Sarà questo, a parer loro, l’effetto della vaghezza del componimento presentatoci ( degno del cedro e del bronzo com’ essi ci assicurano eutusiasticamente)) ovvero della sua forza? La domanda può sembrar 103 vana eppure non deve, ove si consideri che, se la vaghezza del com- ponimento è molta, la forza non è tale che sembri prudente il porre in essa troppa fiducia. Il cav. Monti, pieno delle sue classiche ri- membranze , ha riprodotti in iscena quanti Dei fanno più brillante il favoloso Olimpo, adornandoli de’più graziosi o de’più magpifici at- tributi, di cui vadano debitori alla fantasia d’Omero e d’ Esiodo, e ha pensato che il ridestarne in noi l’ ammirazione basterebbe a persua- dercene la poetica necessità. Siffatto artificio è simile a quello d’ un prosatore famoso , che sul principio del nostro secolo ci fece un quadro or seducente or patetico di molte usanze o di molte istitu - zioni , qualî da maggiore e quali da minor tempo abolite, e da ciò che disse di vero intorno a loro, guardandole nel passato, volle trarne pel presente più ampia conseguenza che la logica non per- mettesse. Non tutto ciò , che fu riputato bello , ( sentenza trita ma utile a rieordarsi) può esserlo sempre nel medesimo grado; non tutto ciò , che fu giudicato buono, può essere sempre egualmente opportano. Qual è lo scopo della poesia e d’ ogni specie d’amena let- teratura ? Quella forse di blandire gli orecchi e lusingare l’ immagi- nazione, senza curarsi de’bisogni o più urgentio più nobilidella nostra natura morale? Ciò nessuno vorrà asserire, benché molti col fatto ab- biano mostrato e ancor mostrino di crederlo , tanto la nostra mala ventura ci avea tratti fuori dalle vie della ragione, e avvezzati a con - tentarci d’ aggradevoli vanità. — Ma il cav. Monti, in cui il senti- mento della convenienza è proporzionato all’elevatezza dell’ingegno, si querela che siano ormai spenti gli Dei, che del piacere ai dolci — fonti i mortali conducean , velando — di vaghe forme amabil- mente il vero. — Poi ch’ egli adunque considera la mitologia come veste leggiadra di ciò che più necessita all'uomo, la conoscenza della verità , e non le dà pregio che a questo riguardo ; tutta la quistione si ridurrà ad esaminare se una tal veste servir possa all’ uopo de’ mo- derni, come servì già a quello degli antichi , ed ove sia provato che no , sarà provato che manca il j|motivo di usarne, e molto più di gridare contro chi vi abbia rinanciato. Qualunque siasi la vera storia della mitologia , di cui gli elleni ricevettero gli elementi dai pelasgi, e questi dai barbari ( per ciò che ne scrive il primo relatore di tali cose, Erodoto nell’ Euterpe ) la'sua storia , per così dir naturale, non può essere dubbia , e il ri- cordarla non sarà inutile al nostro intendimento. Senza impegnarci in una questione difficile , che divide fra loro l’ autore dell’Origine e de’ progressi delle religioni (B. Constant) e quello famoso del Simbolico (F. Creuzer), se le idee fondamentali cioè di questa mitologia sieno state sempre le stesse, o come sembra più ragione- 104 vole, raffinandosi progressivamente , abbiano alfine cangiata natu- ra, limitiamoci/ad alcane considerazioni in cui non sembra che l'uno possa disseutire dall’ altro. Fra la primitiva semplicità de’ pelasgi i quali, per testimonianza di Erodoto, non aveano pure i nomi delle divività , sicchè dovettero domandare all’oracolo di Dodona se li accetterebbero dai barbari , e il tempo di quelle favole brillanti , di cui, secondo lo storico , furono inventori Esiodo ed Omero ; passò certamente uno spazio non breve , in cui gli spiriti vi sì andarono preparando. I saggi antichi della Grecia , ne dice Pausania nell’ ot- tavo degli arcadici , volendo istruire il popolo sulle leggi fonda- mentali della natura ( quali già s’ intende essi puteano concepirle ) avtiluppavano il loro pensiero sotto forme enigmatiche , nè mai lo annuuciavano apertamente. Ciò non era in essi elezione, ma neces- sità, obbligaudoveli così le proprie disposizioni come quelle di co- loro che li ascoltavano. L’ opinione, che tutto ha vita nel moudo materiale sembra antichissima fra gli uomini. Su questa la loro immaginazione fondò assai di buon’ ora un rozzo panteismo , po- polando il mondo stesso d'esseri potenti che lo animassero , ossia facendo di tutti i corpi , di tutti gli agenti della natura altrettanti Dei. Così può dirsi che la dottrina filosofica , la quale d’ astrazioni in astrazioni giunse fra i greci fino a quest’ assioma : tutto è l’ im- magine della divinità, ebbe il suo germe nella loro prima credenza, di cui il politeismo fu l’espressione. I saggi imbevuti essi medesimi di tale credenza e inclinati , in tanta rozzezza degli spiriti, piuttosto all’ entusiasino che al ragionamento , doveano esprimersi per mezzo di forme brevi e misteriose , ossia di simboli rappresentanti gli Dei, de’ quali favellavano, e le loro secrete operazioni. Fra i popoli stessi che rendevano un culto agli astri (il sistema di Dupuis , ch’ ebbe in Francia tanto seguito , ora come ognun sa non è quasi più accettato da alcuno se non in quella parte che si conforma alla storia ) noi vediamo qualche cosa di somigliante. Quando gli uomini colpiti vi- vamente in quella giovinezza primitiva della loro iminaginazione dal movimento che vedevano in tutta la natura fisica , cercavano di rappresentarsi le forze occulte che lo producono , i saggi, o gli in- terpreti delle cose sacre , per giustificare innanzi ad essi la propria missione, doveano , personificando quelle forze medesime , farsi in ualche modo creatori, La grotta cosmica di Zoroastro nella Persia , quella forse de’Bracmani nell'India, gli apologhi di Vichnou-Sarma e di Pilpai, egualmente che gli oracoli de’ greci, ne attestano come nell’ antichità gli oggetti sensibili erano adoperati a dipingere pos- sibilmente le lezioni delia sapienza. E come allora l’immagine e la parola , la pittura e il discorso non erano ancora ben distinte le une rn 0 = are ge dia Tani Arp t n IL è Me Ù " 105 dalle altre (di che le più antiche lingue portano traccie indelebili ) i saggi, per istruire la moltitudine, indarno forse avrebbero voluto usare d’ altro mezzo che d’ espressioni emblematiche , o di simboli che vogliamo chiamarli. Questi sicuramente furono a principio assai rozzi, poi si andarono appoco appoco raffinando fra gli egizii e gli orientali più antichi ; finchè i greci, loro allievi, se ne impadroni- rono per ripulirli e illeggiadrirli viemaggiormente , indirizzandosi anch’ essi nelle loro lezioni piuttosto ai sensi che all’ intelligenza, Come questa però ebbe fatti sufficienti progressi, cominciarono alcuni simboli a diversificarsi intrinsecamente dagli altri, onde poi nacque la distinzione fra i simboli e i miti, che alcuni confondono ; ma che , siccome osserva Guignaut (il riordinatore del Simbolico di Creuzer ) differiscono fra loro come la percezione e il discorso. Il proprio e comune carattere de’ simboli è di raccogliere sotto un solo punto di veduta, di esprimere con una sola parola o una sola frase più proprietà d’ un medesimo oggetto, in modo che l’ anima le vegga, come le concepisce, quasi d’uno sguardo istantaneo. Sono i simboli il mezzo più breve possibile d’istruzione, ben differente da quello, per cui, raccolti prima i diversi elementi d’ un’ idea , si separano di nuovo onde esprimerli , andando prima dall’ analisi alla sintesi e poi dalla sintesi all’ analisi. Essi per la loro concisione potrebbero chia- marsi una rivelazione improvvisa ; e tal concisione , unita ad un’ al- tra qualità, che diremo, dava loro una gran forza sopra gli spi- riti. Finchè questi si contentarono di semplici credenze, finché fu- rono inclinati piuttosto a particolareggiare che a generalizzare le loro idee , non vi fu bisogno di alterare la forma primitiva de’ simboli , dacchè questa bastava ad ogni rappresentazione. Ma dacchè si volle salire più alto, e giugnere in qualche ruodo a concepir l’infinito, ecco manifestarsi fra l’ idee e le imagini scelte ad esprimerle una grande opposizione. Come potevano mai le imagini sensibili rappresentare ciò che sfugge ai sensi ; le forme corporee ecircoscritte rappresentar l’essere nella sua pura astrazione? Quindi l’altra caratteristica de’ simboli che si accennava pur dianzi , cioè una certa indecisione , che potrebbe assomigliarsi alla luce arrestata e rifratta in mezzo alle nubi. Questa indecisione , secondo Demetrio Falereo , pareva accrescere il loro effetto nelle dottrine segrete particolarmente , in cui si faceva di essi un uso quasi esclusivo. I grec1, per vero dire , guidati da un istinto felice seppero renderli chiari quanto più si poteva , ben intendendo che senza chiarezza, non avrebbero potuto dar loro nè bellezza nè grazia. Ma è pur sempre vero che anche ne’loro simboli più leggiadri non si ha che un erepuscolo di quella lu. ce che vi è racchiuso, e ne è quasi sempre inseparabile certa enigma- 106 tica oscarità. Anzi, come 1 simboli usati nelle dottrine segrete erano oggetto di troppa riverenza, perchè alcuno si arrischiasse di cangiarli menomamente affine d'illeggiadrirli , riuscivano pei greci medesimi tanti enigmi figurati, il cui senso profondo non poteva intendersi senza antecedente istruzione , onde si è spesso perduto nel corso de’ secoli. Invano però si sarebbero in molte occasioni voluti adope- rare de’ simboli, comunque oscuri , che è quanto dire personificare o rendere in qualche maniera sensibili le idee. L’arte non potea giugnere che a trovare espressioni che le indicassero, e di qui nac- quero i mzî, il secondo dei due mezzi più sopra accennati di signi - ficare i varj elementi che sono compresi in un concetto della mente. I simboli e i miti hanno ciò di comune , che nascondono sotto un velo più o meno denso verità importanti e spesso profonde. Ma men- tre gli uni , come si disse, hanno |’ aria d’ana rivelazione istantanea, gli altri manifestano nel complesso delle imagini, onde sono compo- sti, l’opera della riflessione , o le combinazioni successive dello spi- rito. Ai simboli appartengono le sentenze misteriose , i grifi , gli enigmi, i geroglifici, le imagini propriamente dette; ai miti le alle- gorie , le parabole, gli apologhi, e tutte quelle che chiamiamo col generico nome di favole. Questi miti (epici di lor natura ) destinati per lo più a rappresentare fatti o fenomeni memorabili furono pure adoperati per interpretazione de’ simboli, che passando colle lingue da popoli a popoli riuscivano inesplicabili. Altri perciò sono storici o tradizionali, altri religiosi, altri filosofici ossia riguardanti la natura fisica e la morale. È ben raro però ch’ essi ci si presentino così di- stinti , e penetrandosi gli uni gli altri non si confondano tra loro. La mitologia fu quindi paragonata ad un grand’albero, il cui ceppo è uni- co, ma i cui rami e ramoscelli, senza numero, sporgono e s’intralciano per ogni verso,adornandosi conlusso quasi selvaggio di fiori e di frutta, I miti nella loro forma più antica dovevano molto avvicinarsi ai sim- boli, e serbarne in qualche modo la precisione Ma appoco appoco se ne scostarono, e quanto si accrebbe loro di bellezza , tanto venne loro a mancare di verità. Ne siano d'esempio i miti storici o piutto- sto eroici, i primi probabilinente che spogliassero le forme severe de’ simboli. L’ epopea adottandoli certo li investì d’ uno spirito no- vello e tutto poetico, li rese più compiti, più lucidi, più trasparenti. Ma ciò non fece che sacrificando alla bellezza, al piacere per fcosì di re degli occhi, quel senso religioso e profondo, di cui erano pieni i simboli da cui derivavano. Fra la concisione simbolica de’miti , e l'amplificazione epica da noi accennata , vi hanno alcuni gradi in- termedj, che ci è d’ uopo notare. Come sono rari i simboli, che non partecipino alquanto della natura de’ miti, così sono rari i miti, che 107 mon ritengano alquanto della natura de’ simboli. Ad ogni modo ove i cultori della severa filosofia vengano chiamati a pruaienes saran- rio costretti a portar sentenza ben differente da quella de’ cultori dell’ amena letteratura. Se questi, infatti, poco guardando al senso ; pregiano in essi particolarmente Ja bellezza delle forme; gli altri non possono non dolersi, che il genio de’ greci abbia fatto spesso degene- rare in un puro giuoco d’imaginazione i pensieri sublimi dell’ anti- chità . Perchè la mitologia ( supposta pure sapientissima in tutti i suoi concetti originali) servisse oggi all'espressione del vero, come il cav. Monti sembra pro metterci, bisognerebbe dunque studiarla a più altre fonti che alle greche , le quali non ce ne offrono intatta che una par- te. I miti, che si riferiscono a verità generali, pare che dovessero essere i meno soggetti ad alterazione, e perchè meno antichi degli idolatrici, e perchè di forme più auguste, eppure la cosa non è così. Ne sia d’ esempio la famosa catena d’oro dell’ ottavo dell’ Iliade- L’ idea sostanziale del passo che da lei s’ intitola , e che noi crediamo inutile di citare come troppo conosciuto, è certamente la somma po- tenza del supremo degli esseri, Ma come quest’ idea è più chiara ; più semplice, più sublime in un poema indiano, citato da Creuzer, ove il Dio Vichnou, sotto il nome di Bhagavan, consolando un eroe, e rivelandogli la dottrina dell’ eterna ed immutabile unità , conchiu- de col dirgli “ nulla è più grande di me: questo mondo invisibile è sospeso alla mia potenza , come le perle d’ una collana al filo che le rattiene! ,, Che se dai miti di questo genere si passa ad altri per sè stessi meno lucidi , quale possibilità di farne uso , ove per ispiegarli non si risalga alle loro alte origini ! Creuzer cita quel passo del pri- mo dell’ {liade , in cui è narrato che Giove si recò in compagnia di tutti gli Dei a prender parte al banchetto degli etiopi in riva all’Ocea- no , e il dodicesimo giorno ritornò all’ Olimpo. Questo e due passi analoghi del poema formano, al dir suo ,la disperazione de’ com- mentatori che vogliono interpetrarli. Pure è difficile, egli osserva , il vedervi altro che una breve e semplice descrizione d’ un quadro ge- roglifico o simbolico , d'un zodiaco per esempio o d’ una nave sacra spedita pel Nilo gute; imagini degli Deì. Forse le scoperte di Cham- pollion , € le ricerchi: de’ viaggiatori ci ajuteranno un giorno a chia- rirne il propio significato. Intanto ci è uopo accontentarci di conget- ture, e questa forzata incertezza, che si rinnova in mille occasioni, ac- cusa troppo d’ insufficienza la greca mitologia. Del resto , supposta pure la scienza più compita de’ sistemi e delle tradizioni ond’ essa de- riva (scienza da cui siamo assai lontani, tanto finora i nostri studi fa. rono ristretti); supposta gran parte della mitologia medesima sì tras- 108 parente, che ci dispensi dal ricorrere ad origini lontane, quanto pen- siamo noi che i poeti possano ancora'giovarsene per vestire di conve- nienti imagini il vero ? Quello , a cui noi diamo oggi un tal nome, è quello precisamente che tale riputavano gli antichi ? Ma che dico io gli antichi? I miti rappresentatici colle stesse parole ebbero forse tra essi un costante significato ? Le loro idee religiose (e tutte le idee espresse con forme mitologiche si riferivano in fondo alla religione ) si andarono, come già notammo, gradatamente modificando,che è quan- to dire seguirono i progressi continui di tutte le altre. L’ A pollo ;, che saetta il campo dei greci, nota B. Constant, non è più nell’Odissea quel che era nell’ Iliade ; osservazione, io penso, che non sarà sfuggita ai dotti alemanni , i quali provarono con argomenti troppo superiori alla volgare erudizione che i due poemi non possono appartenere al medesimo autore , poichè non possono appartenere alla medesima età. Molti lettori anche istruiti , egli dice , pensano che le idee di Omero e quelle di Pindaro , perchè sono talvolta vestite delle mede- sime forme , siano affatto simili ; e, ritrovando in riva al Tebro gli stessi attori celesti che in riva al Simoenta , s’ imaginano che il can- tore d’ Achille e quello d’ Enea non differiscano punto fra Joro nelle idee che a quelli si riferiscono. Ma il fatto sta bene altrimenti. Gli Dei dell’ Iliade , lungi dall’ essere quelli de’ latini poeti o dei lirici e tragici greci , non sono pur quelli dell’ Odissea. Gli uni non hanno di comune cogli altri, che il nome e alcune favole, il cui senso anch’es- so è diverso, Ma chi impedisce, opporrà taluno, che i moderni poe- ti, sull’ esempio degli antichi , facciano operare in nuova guisa gli stessi Dei, e creino nuove favole , conciliando così i piaceri dell’ ima - ginazione coi bisogni della ragione ? — Chi lo impedisce? L° assoluto cangiamento fattosi nelle idee religiose e morali degli uomini, dopo la totale estinzione del politeisimo. Idee progressivamente de- purate ma analoghe possono ricevere le stesse forme ; idee lon- tanissime e contrarie assolutamente nol possono. Taccio delle disso- navze, che lo sforzo di comporre insieme forme nuove ed antiche produce talvolta nell’ opere \moderne. Voglio credere che tutti avranno oggi il buon senno di schivare le troppo sconvenienti, come quelle che furono più volte notate ne’ due maggiori poemi del Sannazaro e del Vida. Voglio supporre negli odierni poeti più ac- corgimento e più destrezza che talvolta non ne mostrino a questo riguardo o Dante od il Tasso. L’ unità di colore tutto antico ne'nua- vi poemi offenderebbe meno il gusto, senza soddisfare maggiormente la ragione, anzi neppure la stessa imaginazione. Non avvi per questa vero diletto nelle finzioni che le si presentano, ove man- chi loro il fondamento delle credenze o delle opinioni attuali. Pa 109 Le forme mitologiche , riferendosi a credenze ed opinioni riget- tate, non possono essere da lei accolte che freddamente, poichè non può risguardarle che come un composto affatto chimerico o come un vano trastullo. Che dirò di quelle relative ad idee scien - tifiche, allo studio della universale natura? Nell’età di Bentham e di Tracy, di Laplace e di Cuvier, di Davy e di Candolle è ben chiaro che più non possono servire a veste del vero le finzioni che servirono a ciò che riputavasi tale nell’ infanzia dell’ umano sapere. Non è quindi una meraviglia l’ adire dal cav. Monti in suono di tanto sdegno , che tutte chieggono vendetta le create cose spogliate de’ loro Iddj, e /a chiede dal ciel la luna, il sole — e le stelle non più mosse da dive— intelligenze, ma dannate al freno — della legge ‘che tira al centro i pest; — potente legge di Sofia, ma nulla — ne’ liberi d° Apollo immensi regni, — ove il diletto è prima legge e mille — mondi il pensiero a suo piacer si crea ? Egli, il quale ha detto che la mitologia è destinata a dipingerci amabilmente il vero ,or sembra dichiararla a ciò impotente, dac- chè nulla di più contrario al vero che quelle sue dive intelligenze e quei nvndi creati a piacer del pensiero. Perchè dunque ridoman- darla , come primario ornamento anzi come vera -essenza d’ ogni poesia? Perchè ne usarono ( qui non c’ è altra ragione ) i greci tanto ammirati, e i latini che andarono sulle loro pedate. Tempo già fù che, dilettando, i prischi — del poetico impero archimandriti — di quanti la natura in cielo ein terra — e nell’ aere e nel mar produce effetti , — tanti numi crearo; onde per tutta — la celeste materia e la terrestre — uno spirto, una mente, una divina — fiamma scorrea che l’ alma era del modo. lo non voglio disputare se quegli archimandriti tendessero o non ten- dessero tutti ad esprimere colle loro personificazioni quest’ ultima idea.Quello ch’io credo di poter negare si è che preferissero tali per- sonificazioni alle verità naturali come cosa di maggiore diletto. Essi personificarono gli effetti o piuttosto le forze della natura, e diletta - rono perchè quello che dicevano in bei versi era creduto il vero. Se oggi altre personificazioni, più convenienti alle idee che noi pos- siamo formarci di un mondo superiore e invisibile, saranno adoperate ad animare il quadro della natura quale noi la conosciamo , sicchè ci riescano verisimili , certo non le sdegneremo. Del resto, a misu- ra che si allarga 1’ impero della ragione , quello dell’imaginazione si restringe , e il voler supporre come nullo un fatto sì importante è un condannare sè stesso a parlare per chi non può ascoltarci. Chi lo ha riconosciuto e valutato quanto merita, ha pur sentito che alle TIO finzioni favolose era tempo di sostituire le descrizioni del vero; e non credo che se ne sia trovato malcontento. Quantunque a’ tem- pi di Lucrezio la scienza della natura fosse ancora bambina, pure si vede ch’ egli aveva pensato alla sostituzione che pur dianzi si accennava. E Virgilio nelle Georgiche gliene fece applauso ; ben- ché poi allettato dalla facilità o sedotto dall’ esempio si lasciasse condurre per l’antica via, cioè la via de’greci o. la mitologica. Ma quello , ch'era plausibile a’ suoi giorni , più non lo può essere ai nostri. Qualche didascalico moderno, prendendolo felicemente a modello nel verseggiare , ha pur voluto prenderlo nell’ uso degli or- namenti somministrati dalle favole, ma non con pari felicità, poi- chè gli uomini si domandano s’ egli sia un poeta” dell’ età nostra. Delille, perchè non si facesse di lui simile domanda, lasciò da parte se non i nomi , certo ì racconti della mitologia , e studiò più pro- fondamente che potè i libri de’ naturalisti. Egli pure si fece di- scepolo di Virgilio, per impararne le grazie poetiche dello stile. L’ esempio delle poetiche invenzioni, quali oggi si desiderano da chi vuol cantare la natura , ei lo prese piuttosto da Milton ove. ci dipinge la novella creazione , e da Thompson , che descrivendo le stagioni gettò un guardo su tutte le vie del sole e parve dire ai poeti : entrate per queste ed ardite esser veri,se volete narrare sempre nuovi portenti. Si è gridato e si grida contro il genere des- crittivo , a cui non si dà l’appellativo di romantico , poichè l’ uno è stato trovato assai prima. dell’ altro. Ma intendiamoci, dice Delille nella sua prefazione ai Tre regni della natura: descrivere per descri- vere è una scipitezza: descrivere per rendere più sensibili i fenomeni dell’ universo non solo è permesso ma è necessario , e ciò ch' è ne- cessario è sempre irreprevsibile. La gran legge della natura , l’at- trazione universale , che Dante parve indovinare, esprimendola co- sì bene, e che il cav. Monti chiama legge antipoetica, ricompare ad ogni istante nel poema de’ Tre regni, poi ch’ essa è provata da tutti i fenomeni che si manifestano e vell’ aria, e sulla terra e nel- l’acqua , nè per essere legge vera ci riesce meno meravigliosa, Lo studio della natura delle cose ha detto una donna di gran giudizio (mad. Rémusat nel saggio sulla femminile educazione di cui abbia- mo dato conto pochi fogli innanzi ) apre allo spirito un campo non meno vasto che quello dell’ immaginazione, poichè non è vero che l’ invenzione , come suol dirsi, non si manifesti che per mezzo di finzioni chimeriche o favolose ; la realtà è la sorgente perenne della novità. Questa sentenza applicabile alle descrizioni della natu- ra fisica lo è egualmente a quelle della natura morale, tanto più conosciuta dai moderni che dagli antichi, e quindi fonte di maggio- IIS ri bellezze poetiche nell’ età nostra che nelle andate. E già gli anti- chi, circoscrivendola quasi sempre tra i limiti della mitologia , non poteano soddisfare che imperfettamente al desiderio che ha l’ uomo di vederla rappresentata. I moderni, prendendune l’ espressione dalla storia, o fondando sulla storia le loro finzioni , possono dipinger- ne tutte le modificazioni, rivelarcene tutti i secreti. Non credo che sia necessario ch’io spieghi qual senso ampio do quì alla parola storia» intendendo ognuno che sotto di essa io comprendo così i fatti tra- mandatici dalla storia propriamente detta , come l’ infinita varietà di quelli che compongono la vita esteriore degli uomini, e quella del loro spirito. Dalla quale infinita varietà viene alla poesia tanta ricchezza, che mai gli antichi non avrebbero potuto prevederla. Quindi, mentre essi ne’ loro poemi didascalici mescolavano, per va- rietà o per ornamento, alle finzioni riguardanti la natura fisica quelle riguardanti la vatura morale ,i moderni possono fare di ques- te sole interi poemi. I due troppo noti del già citato Delille , che. hanno per titolo la Pietà e l’ Imaginazione ; quello di Campbell so- pra i piaceri della speranza; quelo più recente di Rogers sui pia- ceri della memoria ed altri parecchi ne sono una prova, Che se pure i moderni si accontentino di fare cone i pittori di paesetti, di accennare cioè sein plicemente ne’loro quadri alcune figure, qual van- taggio non dà loro la storia sopra gli antichi, i quali ci trattengono nel mondo fantastico della mitologia! L’ incantesimo dello stile e della verseggiatura certo ci fa correre con certa ansietà i campi della terra e dell’ onde in compagnia di Cerere a cui è stata rapita la figlia , e discendere con Orfeo all’averno in cerca della perdata Euridice. Ma tale sentimento non è paragonabile a quello con cui per esempio ne’ Giardini di Delille (noto apposta de’ cenni sem- plicissimi in confronto di grandi rappresentazioni ) si torna e ri- torna alla bella Rosamonda tenero e fragil fiore il qual non visse che un giorno e fu giorno di tempesta ; o al giovane Putaveri che tristo fra le parigine delizie si Zarcia, nel giardino delle piante, abbraccia e irriga di lagrime l'albero che gli ricorda le foreste della sua Otaiti; o a quello con cui nell'Uomo campestre sì guarda a quel Riguet che vinse i monti, i campi, le onde, e unì i due ma- ri che uniscono i due mondi; o al malinconico Rousseu , che erboriz- zando per l’ alpi grida a un tratto quasi fuor di sè /a pervinca! la pervinca! e corre a lei con maggior trasporto che un tenero amante alla diletta del cuor suo lungo tempo sospirata. Il paragonare, peraltro , l’ effetto che in noi producono le nar- razioni o le allusioni mitologiche degli antichi, e le narrazioni o le allusioni istoriche de’ moderni non è ciò che decida interamente la 112 nostra questione. Leggendo i poemi de’ primi , noi ci facciamo in qualche modo loro contemporanei , e prestiamo per un istante alla mitologia quella credenza ch’ essi mostrano di prestarle come a vera istoria. Per ben chiarirci dell’effetto, di cui si parla , convien fer- marci alle poesie de’ secondi ,e quelle dell’ istesso cav. Monti basta- no a dissipare ogni prevenzione. Certo se mai apparvero amabili o risplendenti , dopo l’età d’Omero e di Virgilio ,i beati cittadini del- l' Olimpo, diremo che tali ci si mostrino nel sermone che dà motivo a queste nostre parole. Ma che è mai pei nostri cuori la loro appari - zione in confronto di quella d’ alcuni grandi cittadini, quasi tutti da noi conosciuti mentre vivevano , Mascheroni e Parini, Verri e Beccaria in quella cantica ,il cui interrompimento fa per Italia una vera sciagura ? Sublime quel Giove o quella Bellona , che ri- com pajono spesso nelle sue liriche ancor cinti de’fulmini che misero in Flegra sì alto spavento. Ma non è colpa nostra se ricordiamo più spesso quel suo venerando ghibellino, che fuggendo il vincitor crudele per /’ itale vagò guaste contrade , quel suo gran vate eontro cui stette il fato avverso , e contro il fato Morello Malaspina. Di- vine , se mai \furono, quelle Muse , ond’egli intitola un suo canto famoso, tutto spirante greca fraganza. Ma dopo tanta delizia no ritorniaino con più trasporto che mai a quell’ odi per sempre me- morabili, ove si celebrano i nuovi destini della patria, e si evocano l’ombre de’ suoi magnanimi ad esserne spettatrici. Ed è notabile pel nostro argomento che la mitologia, sotto la penna del cav. Monti , quasi sempre acquista nùova vita per ie applicazioni ch’ ei sa farne , e i concetti tutti moderni che sa trarne ( merito comune anche al saggio Parini) tanto la sua anima consuona col suo secolo , e prova un bisogno di parlargli il linguaggio che gli conviene. Pure la nostra imaginazione è ben lungi dal compiacersi di questa sua mitologia ringiovanita, come delle sue allusioni istoriche di cui ab- biamo parlato, anzi neppure come di quelle sue finzioni tutte fan - tastiche , foggiate visibilmente sopra antichi modelli, ma pure d’ in- dole sì diversa , che si darebbero per modelli agli odierni poeti. Chi rammenta quegli esseri celesti personificati pelle sue cantiche, quegli esseri di opposta origine personificati in alcuni suoi capitoli , quelle virtù , quei geni dell’arti , quella confortatrice della terra, da lui chiamata dolce dell’ alme universal sospiro, che brillano vestite delle più belle forme in tanti suoi componimenti , intende abbastan- za il mio pensiero. Or come avviene che il cav. Monti ,a cui furono aperti ogni volta che il volle tatti i poetici tesori , pensi che, per- duto quello della mitologia , non ne resti agli uomini alcun altro! Come avviene ch’ei diseredi sè stesso della propria ricchezza , e —_ Ù Be f 113 éreda , non presentandosi alle nozze di una nobile fanciulla col so- lito corteggio de’ numi, che ogni povero verseggiature saprebbe farvi assistere, d’ essere inabile ad intuonare un carme che le rallegri ? Nessuno , che conosca l’ alto grado ch’ei tiene fra i nostri poeti, vorrà stare questa volta alle sue parole. Nessuno | potrà persuadersi ch'ei non avesse a dir nulla di più peregrino a quella sua diva Antonietta che chiamarla del ligure Olimpo astro diletto , che ricordarle i giorni, quando novella Venere di sua — folgorante beltà nel caro aprile — d’amor l’alme rapiva, e mancò poco — che lungo il mar di Giano a lei devoti — non fumassero altari e sagrifici. Queste immagini (per non toccarne che un solo particolare)sono troppo discordanti dalle nostre idee, e se stanno bene nell’antica favola di Psiche o nel romanzo d’Abrocome e d’Anzia, oggi non si riesce a comprendere qual serio significato possano più avere. Potrei aggiugnere, che l’essere già state usate tante volte basterebbe perchè un gran poeta , com’ è il cav. Monti, ricusasse di usarle di nuovo. Ma di questa considerazione non vogiio valermi, perchè il mio scopo si è di mostrare che la mitologia ba orinai per- duto ogni valore, non già pel troppo uso che se n’ è fatto, ma per l'impossibilità di farne un uso diretto , di cui possa compiacersi la ragione. Dico diretto, perchè quello che non è tale, non contrastando alle nostre idee o alle nostre opinioni attuali , può aggiugnere oppor- tuna varietà a’ moderni componimenti e servire talvolta alla ragione medesima. Taccio delle semplici espressioni, derivate dalla mitolo- gia , e divenute per noi traslati usuali e quasi abbreviazionì di pen_ siero. Ne ho parlato altra volta in questo giornale, nè voglio ora mostrarmi loro più avverso di quello che allora mi sia mostrato. Aggiungo soltanto che non veggo la necessità di usare quell’ espres- sioni nell’ istesso modo che gli antichi, facendo supporre una cre- denza , che in noi. non è più, Alcuni simboli, onde tali espressioni ordinariamerte derivano, sono (1° intendo bene) o possono riuscire facilmente chiarissimi e bellissimi: Saturno, per esempio, incate- nato da Giove, Marte disarmato da Venere. Ci vuol l’ingegno più leggiero che lepido del Bracciolini, per non trovare in tutte le inven- zioni della greca antichità se non oggetti di scherno. Ma i sunboli più filosofici nulla perderebbero rappresentati con altri nomi o mo- dificati secondo la nostra attuale maniera di sentire. Saturno chia- mato il Tempo, e Giove il supremo Ordinatore delle cose; Marte appellato il Furore, e Venere la Beltà , esprimerebbero sempre il primitivo concetto de’ simboli che li riguardano , e l’ esprimereb- bero senza equivoco, Solo a tal uopo Losgirchbe prescindere da alcuni accessori troppo noti, in cui non saprebbe trovarsi nulla di T. XX. Otcobre. 8 114 sensato. Bisognerebbe. far ben capire, come nel primo simbolo si tratta veramente del tempo assoggettato al corso de’ pianeti, e non del padre snaturato d’un nume niente migliore, non del vorace marito della buona Rea, che gli diede già a mangiare un sasso per un figliuolo. Bisognerebbe far bene intendere come nell’ altro s1 tratta propriamente della bellezza vincitrice della forza , non della moglie infida del povero zoppo, che intanto medita forse la ven, detta della rete contro di lei e del suo vigoroso soldato. Ma ec- comi , in grazia di queste osservazioni, tornato ai miti o alle fa- vole, a cui voglio restringere il discorso. Perchè , volendo prose- guire quello de’ simboli, dovrei pur aggiugnere non essere niente più ragionevole per noi il rappresentare nudi e crudi e coi propri nomi i simboli greci di quello che gli indiani oi persiani. E dirò di più che, facendoci addietro nella rimota antichità, onde la Grecia derivò, e spesso guastò come si disse, le prime figure simboliche ; cioè le prime lezioni della sapienza, si trovano rappresentazioni d’una mirabile lucidezza e di un senso profondo. Prendiamone ad esempio il Brama-Maya o il Brama-Virad}, la grande apparizione ; la prima rivelazione dell’essere sotto la figura d’ androgino, ossia del primo uomo e della donna primiera formanti un sol corpo. E questo, secondo la religione dell’ Indie, il tipo divino del privcipio delle cose unito alla propria forza creatrice. La catena degli esseri , figu- rata in una collana di perle, sta sospesa alla mano ed al piede di Brama, che sembra ripiegarsi sopra sé stesso, mentre Maya nell’ at- titudine della danza spiega quasi scherzando un velo magico (analogo alla famosa cintura di Venere Afrodite) ove sono tracciati i proto- tipi delle umane creature. Supponete un tale concetto espresso coi versi non dico d’Omero ma di qualcuno de’ greci innografi, e pensate se in tuite le poesie che chiamiamo orfliche si troverebbe nulla di più bello. Potrei citare altri simboli indiani, di cui ho sotto gli occhi i disegni fra quelli che accompagnano il Simdolico di Creuzer, e il cui significato anche senza spiegazione non può quasi esser dub- bio per alcuno. Tali sono la più parte di quelli, che si riferiscono alla famosa Zrimurti, di cui Platone probabilmente ebbe notizia, quelli che riguardano l’universale generazione, quelli che si riferisco- no alla providenza o alla conservazione. Lascio stare i simboli astrono- mici o mitriaci de’ persiani, fra i quali non ricorderò che quello di villa Albani pubblicato dal Zoega, e quello di villa Borghese pub- blicato dal Montfaucon, che tutti conoscono e sanno interpetrare, Dei simboli degli egiziani, che si potrebbero sì spesso confondere con quelli de’ greci , non voglio neppur dire parola, aspettando che il Panteon egizio dello scopritore dell’ alfabeto geroglifico sia tutto 115 posto in luce , e che gli studiosi, sinor ristretti generalmente alla ‘greca mitologia , comincino ad allargarsi anche fuori di essa; e ad ‘attingere alla principale sua fonte. Vengo dunque alle greche favo- le, e concedo volentieri che possano esser riprodotte come antiche ‘credenze, come allegorie di verità anticamente conosciute, o sotto cui se ne intendano agevolmente altre nuove. Forse ne’ poemi scher- | zevoli, ove chi scrive non è preso in parola , perchè chi legge non vi cerca altra verità che quella dell’ istruzion morale che ne deriva, le favole troveranno ancor luogo senza tante precauzioni. Dico forse, poichè so che molti ne dubitano, e il Parini nel Giorno mi si mostra arch’ egli un po incerto, non solo col parco uso che fa di quelle | autiche finzioni , ma altresì con certe frasi prudenti che di quando in quando adopera per offerircele col bel garbo. Ma egli forse presso alcuni non avrà autorità, egli tanto amatore delle cose moderne, ì quanto studioso delle antiche, egli autore d'una lirica nuova e d’una satira ancor più nuova , egli infine primo introduttore fra noi d’una grande romanticheria, oggi sì derisa dagli ammiratori esclusivi delle greche tradizioni , voglio dire la moda di ricorrere poetando alle memorie degli avi e ai loro gotici castelli. Se nelle poesie non scherzevoli egli usa talvolta a man salva le greche favole, come hanno pur fatto e Foscolo e il buon Pindemonte, alunni degli in- ì glesi o piuttosto del loro secolo, e capi di un’era novella nella nostra poetica italiana, io non so attribuirlo che ad un inveterato costume , che ha vinta la lor riflessione. Per chiunque non ascolti | che questa è chiaro che, ove le favole non siano oggi poste in bocca | di qualche antico, il qual le narri credendole, hanno d’uopo d’ es- sere presentate come rimembranze di cose un tempo credute, come lezioni misteriose di sapienza ancora giovevoli, o di cui possa farsi qualche non pensata applicazione. Allora il poeta, rinfrescan- dole , assume le parti di filosofo, e senza togliere nulla al di- letto mira dignitosamente all’ utilità. Così Platone , così Cicerone, ì quali credettero fino dal loro tempo di doversi fare non ripetitori ma interpreti delle favole; così altri saggi, ne’ secoli specialmente della moderna erudizione, unirono, se così posso esprimermi, con ragionevol legame il passato al presente , le antiche finzioni alle più moderne verità. Ciò che fecero quei filosofi poeti fu pur fatto recen- temente da alcuni poeti filosoli , e tra questi dall’istesso cav. Mon- | i, a cai nessun ingegnoso ripiego può essere, nuovo , ma a cui piace talvolta di contrastare in teoria ciò che ii SAR di più conveniente nella sua*pratica. Di questo modo può forse spiegarsi quelia sua conversazione con Byron in un palchetto de! povero Lo- dovico de Bréme alla Scala, riferita da Beyle a mad. Belloc (l’ au- 116 trice di un libro delizioso sull’ illustre poeta inglese ) in una lettera che il cav. Dallas ha pubblicata. Veramente è il solito de’ grandi ‘ poeti e de’ grandi artisti l’ operare cose belle quasi per istinto ( ciò che Byron secondo quella lettera disse di Monti è parola per parola ciò che Sofocle avea detto d’Eschilo) e lasciare che altri spieghi me- glio di loro il secreto per cui le operano. Ma l'istinto poetico del cav. Monti è accompagnato da tanto raziocinio, che quando ci favella | dell’arte sua come chi vi abbia riflettuto meno di lui, deve cre- dersi che il faccia quasi per ischerzo o per semplice esercizio del- l’ ingegno. Egli scherza almeno allorchè domanda in sembianza di sde- gnoso alla personificata mitologia ; e qual bizzarro — consiglio di Maron chiude e d’ Omero—a te la scuola) e ti consente poi— libera entrar d’ Apelle e di Lisippo — nell’officina? Non è for- se ingiusto — anzi villan proponimento all'arte — che con forte parlar scu’pe e colora — negar lo dritto delle sue sorelle? Per- ciocchè egli sa bene che , se il diritto nasce dalla convenienza , noi non pussiamo essere punto inclinati a concederlo maggiore alla pittura o alla scultura che alla poesia. Anzi noi saremmo volen- tieri più rigidi verso di quelle che verso di questa, non essendo agevole all’ une come all’ altra quell’uso indiretto delle favole che solo, come si disse, può soddisfare la ragione. Se contro l’uso | ch’ esse ne fanno direttamente si è parlato meno o con minor for- za che contro quello che seguita a farne la poesia, ciò si attri- buisca non a parzialità o a contradizione di principj, ma a ne- cessità di riformare prima quell’arte da cui esse usano prendere norma, e che ha speciale obbligo di servire al bisogno morale degli uomini. La poesia, come ogni arte della parola, volgendosi immediatamente al loro intelletto deve seguire i cangiamenti e i progressi delle idee più premurosamente dell’ altre, che non avendo mezzi a ciò adattati hanno anche un posto subordinato. Nella gioventù de’ popoli, dominando l’imaginazione, la parola avea grandi affinità coll’arti del disegno , si volgeva quasi nel- l’istesso modo al pensiero per la via de’ sensi; nè vi sarebbe stato motivo di pretendere da lei qualche cosa prima che dalle altre. Nella virilità de’ popoli, la cosa non può più andare alla stessa ma- niera; e poichè domina la ragione, la parola ch’ è fatta per comunicar seco immediatamente, deve affrettarsi a volgere in beneficio diquesta i piaceri dell’ immaginazione. Nè vaglia il dire che la poesia è quasi un’ antica lingua destinata a parlare colla facoltà un tempo do- minante, onde può ancora occuparla colle antiche imagini e le antiche finzioni; perchè una tale facoltà sì lascia pur regolare Ii 7 dalla ragione, e più non trova l’istesso diletto in ciò che una volta glielo cagionava grandissimo. Del resto la pittura e la scul- tura ( sebbene come ad arti di minore importanza nel mondo, e costrette a non parlare che agli occhi sembri loro concedersi provi- | soriamente di seguitar ad asare le forme mitoligiche ) anch’ esse dagli uomini sensati sono pregate a scegliere forme nuove, così | per rendersi più utili che per piacere maggiormente. Poichè ( lo intendano una volta i loro cultori ) quando la natura morale è | giunta a quel grado di perfezionamento , a cui oggi non può ne- | garsi che sia, il pare la principal cura nel presentarle la bellez- za fisica non è più la via di produrre un gran diletto ; quando | le nostre idee e i nostri sentimenti più vivi ci fanno di dalle arti soggetti che vi si riferiscano , il non offerirci che quelli i quali si riferivano ai sentimenti e alle idee ond’ erano occupati | gli uomini d’ altre età, è un indebolire il valore dell’ arti mede- i sime, ed esporle a certa non curanza. Gli uomini stessi fatti par- ticolarmente per sentire i pregi d’una bella esecuzione o d’ una i bella composizione, rimangono quasi freddi se l'invenzione è di un genere puramente fantastico (e tale è ogni invenzione mitologi- ca , se ne eccettui qualche simbolo ben preciso, o qualche fatto de’ tempi eroici ristretto a ciò che avvi in esso di puramente i @mano ) dacchè non si giunge al cuore che per la via della ra- | gione. Ciò volle forse farci intendere Winkelmann quando avvertì ! che le antiche statue, da lui tanto lodate, erano fatte per pro- | durre impressioni troppo diverse da culla che oggi si deside- rano. Sono stati messi in vendita due o tre settimane fa a Pa- | rigi i disegni del bravo Girodet, così immaturamente rapitocì , ai quali si dà il titolo d’Amori degli Dei. La loro grazia , di cui ci è buon pegno il nome dell’autore , li farà cercare, non ne dubito , | con molto desiderio, tosto che la facile litografia ne abbia mol- tiplicate le copie. Ma da chi non ha occhi soltanto , ma ba pur | sentimento ; si cercheranno sempre con desiderio maggiore le co- pie incise del suo quadro d’Atala, o del suo Ippocrate che calpesta i doni d’ Artaserse. Vediamo esposte ogni giorno più stampe delle | pitture di Gerad suo amico e suo rivale nell’ arte. Si vagheggia , ‘a cagion d’esempio, la sua Diana con Endimione contrapposto \leggiadrissimo dell'Amore e Psiche di Girodet, ma si torna al suo Belisario o alle sue Quattro età della vita per avere una grave 9 una veramente dolce commozione. Si vanno a vedere e ad ap- | plaudire assai spesso le Fatiche d'Ercole, ultima ni opera del nostro Benvenuti, ma credo che si andrebbe ancor più spesso, | ove se ne avesse eguale comodità , a contemplare il suo Giura- 118 mento de’ Sassoni , o vi si starebbe innanzi più a lungo e con più profondo pensiero. Cos' è che dà oggi a’ piccoli quadri d’ Hayez tanta attrattiva? La loro grazia,si dirà da talano, e la magia del loro colorito. Non voglio negarlo; ma bisogna aggiugnere , parmi , la qualità dei soggetti che vi sono trattati : il Carmagnola ; Piero de Rossi; Romeo e Giulietta. Cosa attira la folla dinanzi ai quadretti del Migliara o del nostro Fini? I soli effetti della luce in quei loro gotici interni? Io debbo credere anche le scene che visi rappre- sentano ,poichè ho sentito la folla vantarne con calore ora il senti- mento ora la verità, Appiani certamente maneggiò i pennelli con al- tro prestigio che Bossi. Pureentrate, per esempio, in una sala della villa Sommariva sul lago di Como, ove sì fanno riscontro l’Achille rattenuto da Minerva nella sua ira contro Agamennone, opera del primo, e il Popolo ateniese, che riceve le ceneri di Temistocle, opera del secondo. Per quanto l’ uno vi seduca , il vostro occhio si, volge ogni mo- mento all’altro, ove si volge il vostro cuore. Non parlo della fa- mosa volta del palazzo reale di Milano: essa non è mitologica se non per metà, e serba tutto l’ interesse della storia. Ma guar- diamo a quella non men famosa lunetta del palazzo medesimo, ove Appiani ha rappresentato |’ Olimpo: guardiamo a quella sua storia di Psiche nella real villa di Monza. Dopo averle bene ammirate, so che si torna più volentieri che mai al cartone di *Bossi ch'è in Brera, e non per quelle Muse sì belle o per quella Memnosine così sublime , ima per que’ nostri poeti magni, per quel Michelangelo e quella Vittoria Colonna ; come si torna volentieri a quell’altro suo cartone della Pace di Costanza , che poco tem- po fa, per quello che mi si disse , era ancora nel suo studio de- serto. Ho qui veduto intorno ad una sala un Baccanale superbo del nostro Nenci. Ma non so pensarvi con uguale diletto come a quel suo ‘Tempo trattenuto dai Piaceri, di cui non vidi che il primo concetto , o ad alcune di quelle scene della divina Comme- dia, ch'egli ha espresse in disegni. Moltiplicherei i confronti al- l’ infinito , se volessi discorrere l’opere di tutti i pittori nostri con- temporanei, di cui per accidente ho notizia. Di quelle degli scul- tori io non posso sentire differentemente, benchè intenda , come la scultura avendo minori mezzi che la pittura per sviluppare un pensiero, sia ancor meno fatta per parlare all'anima. Pure io credo che troverà sempre maggiori mezzi nella storia e nella filosofia che nella mitologia; e ne giudico dall’ effetto. [o mi diportava giorni sono per la Lizza di Siena e vedeva degli Ercoli , dei Marti , delle Veneri biancheggiare graziosamente fra il verde degli olmi o delle acacie ond’è velato l’aspetto del già odiatissimo castello. Quelle iaia 1 19 figure, nol nego, mi davano all’occhio certo piacere; ma il mio pensiero correva al Pra della Valle di Padova, ove sorgono le sta- tue di tanti uomini insigni. Ho qui sul tavolino le opere di Ca- nova , descritte dalla contessa Albrizzi e incise a’ contorni dal no- stro giovane Lasinio. Guardo volentieri questa danza delle Grazie; non rimango insensitivo a questa morte di Adone. Ma mi fermo, sospirando, al Socrate in carcere fra’ suoi discepoli, e alle figure commoventi del monumento di Cristina. L’ imitazione degli an- tichi ha prodotto nell’ arti un gran bene e un gran male. Ha pro- dotto un gran bene perchè ha perfezionato il gusto, e insegnato a rappresentare la vera bellezza; ha prodotto un gran male, per- chè ha raffreddato il sentimento e pregiudicato all’originalità. Io facea per la millesima volta questa riflessione nella città pocanzi nominata (quella ove scorre Fontebranda, desiderio degli assetati nel 30 dell’ Inferno), trovandomi in faccia alla bella fonte, che sta di rincontro al già palazzo della repubblica, ed ha dato un secondo cognome al suo autore. Quelle Virtù , che 1’ adornano, così mutilatecomesono, mi toccavano grandemente: il loro atteggiamento» la loro aria le dimostra per Virtù, quali noi le intendiamo, o come le intendevano gli uomini del secolo decimoquarto, che pensavano e sentivano certo alla nostra maniera un po'più che gli antichi. E aggiun. g0 questinzendevano col mio perchè. Fra le Virtù di quella fonte (ciò spiegherà il mio concetto senza ch’ io abbia d’ uopo di metafisica ) è una Carità col putto in collo, e credo anche un altro per ma- no: Carità umana insieme e religiosa, che dà altrui la vita del corpo, aspettandone dal cielo il guiderdone. La Carità del nostro Bartolini, descrittaci l’anno scorso di questo tempo dal nostro Giordani, è una Carità;che dà insieme la vita dell’ intelletto, e pensa visibilmente ad una strada del cielo,a cui non si pensava. Così i progressi della ragione si manifestano in rappresentazioni quasi identiche, ma di un genere ben diverso dall’ antico. Qaesto gene- re, a cuì si ritorna da alcuni pochi per riflessione , era stato ab- bracciato da’ nostri vecchi artisti come per istinto. Quindi si era- no essi aperta la via a nuove cose, che in un’epoca di gusto perfezionato avrebbero prodotto ben altro effetto sui nostri ani- mi che le ripetizioni de’ soggetti mitologici trattati dai greci. An- che i nostri poeti, nel risorgimento delle lettere, erano entrati per una via novella, indicata loro dalla natura , cioè dallo stato mo- rale e sociale in cui si trovavano. I poeti posteriori, divenati più greci o più latini, sono divenuti meno moderni e meno ita- liani. E la cosa è andata tant’ oltre (poichè l’ attingere saggiamen- te alle fonti mitologiche, siccome vorrebbe il cav. Monti, fu di 120 pochissimi). che la poesia si convertì in puerilissime fole ,, onde 1 saggi, che vorrebbero in tatto qualche ragione e qualche uti- lità, la guardarono con disprezzo. Se la poesia non è, come dice Wa Bos e tanti nostri poeti parvero assumersi di provare, se non, f arte di lusingar i sensi e l’imaginazione , la sentenza del disce- yolo di Socrate, che la chiama snervatrice degli animi e nemi- ca del pensiero , è giustissima e inevitabile, Ma quel critico eb- be pure il buon senno d’ avvertire ch’ essa ne diletta in propor-, zione dell'importanza di ciò che rappresenta, e in questo modo la restituì alle leggi della sapienza, la qual vuole che dilettando giovi. E divenuta celebre, e può quasi riguardarsi come impre- sa della scuola romantica, la definizione che De Bonald ha data della letteratura , chiamandola |’ espressione della società. Per- chè meriti veramente questo nome, essa deve esprimere non so- lo le idee e i sentimenti degli uomini di ciascun’ epoca, ma , co- me già si disse, anche i loro bisogni. A. tanto, per vero dire , non possono giungere facilmente le arti del disegno; ma le arti della parola, potendolo insignemente , debbono farsene un obbligo tutto speciale. Or come la poesia , che tiene fra queste sì alto gra- do, adempirà un tale obbligo colle finzioni mitologiche, le quali ci riportano verso |’ infanzia della società, anzichè portarci verso il suo perfezionamento? Quindi non alla mitologia, ma alla poe- tica invenzione crediamo che fosse giusto rivolgere questi bei versi: la verità, che timida non osa — tutta nuda mostrarsi, il traspa- rente — mistico vel di tue figure implora— onde mezzo nascosa in più desio — pungere i cuori e innamorar le menti. Ove infatti questa invenzione sia fondata sulle nostre attuali idee, presterà sicu- ramente alia verità l’ utile ufficio, che qui si accenna, La mitologia , sistema d'idee già da lungo tempo rigettato, nol può assolutamente, perchè la verità non ,s' insegna coll’ inverosimiglianza ; perchè i progressi della ragione mal si promovono facendo retrocedere la ragione medesima, Nè queste considerazioni son nuove per l’ autore della Mas- cheroniana e d’ altri insigni componimenti , fatti veramente per l'età nostra, e che hanno sì fortemente contribuito in Italia ad ispirarci il desiderio d’altro che di poesia mitologica. Or come chiama egli audace ( gli editori del sermone cominciano il loro proemio colle prime parole del sermone medesimo ) quella scuola che mette in teoria ciò ch'egli già ne insegnò colla pratica; quella scuola , che potrebbe vantarlo tra’ suoi fondatori o piuttosto tra? suoi restauratori, poichè alfine è la scuola di Dante e del Pe- trarca , dell’ Ariosto e del Tasso,; la scuola infine , che gli ha data 125 più fama, e nella quale sarebbe giunto chi sa a qual grado di glo- ria, se gli avvenimenti, che hanno disposto di tanti destini, non l'avessero arrestato nella sua carriera ? Essa, ei lo sa bene, è la scuola non del capriccio ma delia convenienza , la scuola formata dal progresso delle idee, la scuola che potrà cedere il campo. ad una nuova, ma che non può più cederlo a quella che si arroga il nome di classica.Certo è scuola coraggiosa, dacchè per sostenersi le è d’uopo combattere e affrontare le accuse o i dispregi di chi ha ragione di odiarla , e di chi avrebbe ragione di amarla ; di chi mai non sarà in grado d°’ intendere le sue dottrine, e di chi le ha già mezzo in- tese, e domani forse si dichiarerà suo partigiano. Non per questo ella è scuola audace, come non è, rigorosamente parlando, niente più bo- reale che meridionale o occidentale. La scuola di Galileo 3 la scuola di Cartesio, la scuola di Locke, la scuola di Newton si trovarono tutte nell’istesso suo caso. E ne fo volentieri paragone colle scuole dei filosofi , perchè a’ miei occhi il romanticismo è la filosofia delle lettere, la revisione de’ principj che debbono guidare gli scrittori, come quelle lo erano de’ principj che debbono guidare i pensatori. Quando un sistema di dottrine o di opinioni, sebben poco ragionevoli, ha lungamente dominato, l’introdurne uno diverso deve riuscire dif- ficile, e incontrare molti oppositori. Tatti quelli ,. che pel corso di una vita non breve hanno pensato secondo il vecchio sistema; tatti quelli , che mai non hanno pensato nè pensano, ma per adot- tare un’ opinione hanno d’ uopo d’ un’ autorità ; tutti quelli , che mancano di coraggio o di forza per chiamare ugualmente ad esa- me le opinioni avverse , e decidersi per le più fondate quantunque le meno approvate; tutti quelli, nella cui mente un nome basta a discreditare una cosa , un dubbio od una inesattezza ad oscu- rare una dimostrazione; tutti quelli in ispecie ché hanno qualche interesse perchè l’impero dell’errore si prolunghi e il trionfo della verità si ritardi, è naturale che si uniscano e ° impegnino a resistere. Ma alfine l’ opposizione va diminuendo ; la verità appoco appoco si fa strada. Parecchi, i quali gridavano sull’ al- trui parola o impauriti dalla movità, cominciano ad esaminare ; e l’ esaminare li conduce presto a volgere in affetto la loro passata avversione. Altri, che vedono diradarsi il numero degli oppositori d’ un sistema e crescere quello de’ fautori, soliti correre ove cor- rono i più, si trovano, senza volerlo, frai secondi come si tro- vano fra i primi. Altri, che esitavano a dichiararsi , non perchè dubitassero della verità , ma perchè la vedevano male accolta , sono hen paghi di dividere gli onori con quelli che da un pezzo 122 la professano senza averne divise le molestie. Tale è la storia di tutte le riforme filosofiche; e tale sarà in breve quella del ro- manticismo , a cui già più non resta la metà de’ nemici , che po- chi anni sono lo combatteva o lo derideva ; e questa scarsa metà comincia a trovarlo ragionevole in molte parti. Quindi è veramente pernoi una sorpresa, quando le altrui voci si acquietano o si raddol- ciscono ; il sentire suonar alta esevera quella d'un Monti, in difesa spe- cialmente di cosa, che quasi nessunodegli antiromantici più pensa adi- fendere contro la scuola che l'ha abbandonata.— Ma è lozelo del gusto, dirà taluno, è il desiderio di conservare l’ antico patrimonio poeti- co quello che accende l’ ira dell’ illustre poeta. — Ma quand’ egli scriveva , sotto altra ispirazione che quella dell’ idee mitologiche, i bellissimi componimenti di cui sì è fatto cenno ; quand’ egli scriveva la Bellezza dell’ universo, il Globo areostatico o la Spada di Fede- rigo, temeva forse di offendere il gusto , credeva d’ impoverire il nostro patrimonio poetico, obliando o quasi obliando l’ antico, il quale non è più nostro , e accrescendoci il nuovo? E l’ avrebbe egli impoverito , se cantando le nozze d’un figlio della marchesa Costa ( a cui dirige il sermone ) colla geutile Durazzo , avesse fon- data la sua invenzione poetica piuttosto sulla storia di Genova che sulla storia mitologica , se invece di passare a rassegna gli Dei del- l’ Olimpo, che già conosciamo quanto basta, e che non servono niente più alla nostra curiosità che al nostro bisogno, si fosse creati de’ fantasmi, in cui gli awici dell'umanità e della civiltà avessero po- tuto compiacersi? Jo mi figuro un romantico , dieci volte meno poe- ta che il cav. Monti, il quale avesse avuto a far versi sopra il suo argomento. Privo del comodo sussidio della mitologia, povero di quella imaginazione , che si applaudisce nelle accademie, inetto a parlar d’ altari e di sagrifici alla divina Antonietta, avrebbe forse preso il partito di fare con questa signora un giro ipotetico per la città qualche oretta innanzi al banchetto nunziale , e di esprimerle ( cogliendone occasione da quello che si presenterebbe alla loro vis- ta ) qualche voto amichevole, o di rallegrarla con qualche felice presagio. Io lo suppongo, a cagion d’ esempio, sulla piazza di cui non ricordo il nome in faccia all'antico palagio de’ Dogi, ove sedettero parecchi antenati di quella che stava per unire i suoi destini al figlio della marchesa. Egli avrebbe ricordato quel Iacopo Durazzo, che sulia fine del secolo decimosesto fu pacificatore dei nobili parteg- gianti (come parmi di aver letto in uno degli ultimi libri delle re- pubbliche del Sismondi ) e quindi salvatore della patria indipen- denza. Lodandolo , avrebbe associato il suo nome a quello di Andrea 123 Doria, chiamato giustamante secondo fondatore della repubblica, il qual l’avea pocanzi salvata dal giogo della grande aristocrazia, di- venuta , dopo la congiura di Fieschi , sì minacciosa. Ma forse , rap- presentandoseli ambidue, avrebbe loro posta in bocca qualche do- glianza di non avere fatto nulla per la vera libertà , equilibrando i diritti di tutti i cittadini; e felici, avrebbe aggiunto, i vostri futuri nipoti, o marchesa , i quali conoscendo meglio i fondamenti del patto sociale, potranno più che i loro maggiori contribuire alla pro- sperità della patria! — Seguitando la passeggiata, 10 suppongo il nostro romantico in faccia alla scuola de’ sordi-muti, la cui celebrità ben vale per noi quella delle nostre accademie di musica o d’ arti, se il donar la ragione a chi pareva diseredato dalla natura di que sto dono prezioso, che forma il nostro patrimonio comune, non è meno importante che l’insegnar a produrre accordi lusinghieri, o graziose figure. Egli avrebbe Cere fatta allusione ad alcuni Erbidote commoventi e notissimi riguardanti gli allievi di questa scuola ; s sarebbe rappresentato il buon Assarotti fra l’ ombre venerabili di Sicard e di L’Epée in atto di compire negli allievi medesimi l’ opera della natura ; e avrebbe detto alla marchesa: appena i figli del fi- glio vostro potranno conoscere che vi è qualche cosa sulla terra su- periore alla ricchezza e allo splendor de’ natali, condaceteli a quel- l’ uomo benemerito, onde imparino a venerare la virtù, e ac- colgano nel tenero loro animo i primi sentimenti di umanità. — Suppongo questo romantico (di cuii lettori discreti si saran- no a quest’ ora fatta altra idea che di un pazzo) in faccia ai magaz- zini e agli opifici, che hanno maggior nome nella città, Egli avreb- be forse rammentata l’ antica industria da lungo tempo venuta me- no ; € fatto plauso alla nuova che va crescendo. Ella è ben giovane, avrebbe forse aggiunto, e par quasi spaventata dalla grande ima- gine di quella sì adulta , che da un'isola dell’ Atlantico provvede ai due mondi , e ancor pocanzi gridava : voglio esser sola. Convien so- stenere questa creatura nostra, a cui crescono a lato l’ agiatezza e la morale. Vedete , marchesa ANT stende la mano alla scienza e al- la ricchezza , pel cui favore lived gigante quella famosa albione- se , che ancor non era nata, quando l’industria di questa e dell’ al- tre italiane repubbliche teneva il primato ch’ora essa tiene. Ma la scienza e la ricchezza individuale non è che di piccola virtù. /Vel- l’unione la forza sta scritto sopra una delle vostre patrie monete di maggior pregio. La scienza e la ricchezza unita di molti rese così facili e così prodigiose le imprese varie dell’ industria nell’ Inghil- terra, La scienza e la ricchezza unita di molti può restituire all’ in- dustria di questa città laboriosa l'importanza dell’antica , e spero 124 che quest’ anione sarà una delle cure de’ vostri discendenti. = Sup- pongo ancora il nostro romantico sul molo o nel porto , animatis- simo da qualche anno , mercé le liberali franchigie , che la saggezza del governo vi concede al commercio. Mirate, egli avrebbe forse detto alla sua dama, tutte queste bandiere varie di colore e di nome sventolare dall’ alto delle navi , e alternarsi fra loro , qual simbolo della fratellanza de’ popoli, cui tristi rivalità dividono così spesso, e un vero interesse ricovgiunge. Il genio del commercio e quello del- la civiltà volano uniti sopra di esse , e par che additino in lonta- nanza un genio novello , da cui ricevono improvviso incoraggi- mento. Esso, non dubitiamone , è il genio di Canning, il quale pro- clamò pocanzi da Bristol ! siano liberi i traffici fra tutte le genti , poichè la ricchezza di ciascuna si accresce della ricchezza di tutte» Quattro mila navi mercantili già percorrono col genovese vessillo tutto il Mediterraneo e si avventurano in altri mari. Altre se ne lavorano con assidua fatica in tutti gli arsenali , onde udite risuo-. nare per ogni dove la profumata e verdeggiante riviera. Oh qual lieto spettacolo si prepara ai figli del figlio vostro, se , cessati i timori dell’armi, le nazioni del mondo cessino di temere |’ una nell’ altra quella prosperità a cui ciascana diloro aspira! Ma ve- dete nuova mole inoltrarsi per l’onde, non portata da venti , che gonfino le sue vele, ma dei venti assai più possente. E la nave cui anima la macchina stessa onde son oggi animate le più celebri offi- cine, e per cui vedemmo pocanzi il più potente scettro del mon- do inchinarsi alla tomba di Wat. I vostri nipoti , visitando un gior- no la superba Albione, vedranno questa tomba dell’umile figlio dell’industria, sorgere fra quelle dei sommi scienziati e dei re, e apprenderanno che la vera grandezza consiste nel meritare la gra- titudine de’ popoli con grandi benefizi. Ma perchè non avvì storia d’ alcuna umana invenzione, di cui qualche pagina non sia mac- chiata di sangue? Altri canti, se vuole, quella nave a vapore, che ruppe , or sono pochi mesi, o precipitò negl’ abissi delli onde più di trenta navi de’ birmani, armate per disacciare da Rangon gli inglesi occupatori. Io non celebrerò se non quelle, che per tutti i fiumi e i mari del mondo portano i frutti dell’ industria all’ uomo incivilito come al selvaggio , e colle rapide loro comunicazioni affrettano il giorno dell’ universale fratellanza. Oh Colombo, se Wat fosse stato tao contemporaneo, tu con poche navi , spinte dalla forza ch’ egli creò , avresti accelerato tu medesimo un sì bel giorno, o almeno, potendo prevenire le triste arti de’'tuoi nemici, risparmiate alla terra molte lagrime. Abbi pace però o nobilissima ombra! Colà ove cominciarono le lagrime , in quella già sì misera Haiti, ove sì formò 125 la prima delle tue colonie , oggi alfine tutto è sorriso. Le altre Autille, ele spiagge tutte ove approdarono Cortez e Pizzarro, aspet- tano anch’ esse giorni sereni , quali da molt’ anni risplendono al fe- lice paese , ove fermossi Penn e si stese il genio benefico di Wasin- gton. E questo il genio tutelare dell’umanità e della libertà, L'uomo, che prepara al mezzogiorno dell'America i destini che Wasington diede al settentrione, lo invoca ad ogpi istante e se ne sente inve- stito. Ma egli invoca pure il tuo genio, la cui luce non è oscurata ai suoi occhi dai delitti de’ tuoi compagni o de’ tuoi successori ; e dal tuo nome ha intitolata la prima delle nuove repubbliche ch'egli fondò. Ove i nipoti vostri, o marchesa , vi approdino un giorno, vi troveranno tanti concittadini al solo dichiararsi concittadini di Co- lombo. — Suppongo ancora (e finirò con questa le mie supposizio- ni) che il nostro romantico si sentisse inclinato a quelle fine ironie ; per cui ci sono sì cari Orazio , l’Ariosto e specialmente il Parini. Quante occasiuvi di adoprarle , dacchè non avvi sentimento umano o idea filosofica, contro cui non s’ alzi e non ci assordi ad ogni istante la voce del pregiudizio! In faccia alla scuola de’ sordi- muti , a cagion d’ esempio, gli sarebbe tornato al pensiero l’ argo- mento che De Bonald già trasse da loro nella sua Legislazione primi- tiva, e riprodusse recentissimamente nell’ Etozle , per negare agli uomini la possibilità di formarsi un linguaggio. Fortissimo argo. mento , avrebbe forse detto! Perchè quelli , nel cui organo dell’udi- to non si formano suoni, sono inetti a prodarne degli articolati e farli servire all’espressione di ciò che hanno nell’ animo, tutti quelli che odono vi saranno inetti egualmente! Meno male il noto sofisma di Rousseau, a cui il nuovo ragionatore sembra ignorare come Dege- rando, Tracy ed altri abbiano risposto. Almeno quel sofisma aveva in sè una parte di vero, poichè il linguaggio d’azione è istrada mento al lin- guaggio parlato.Ma egli vorrebbe forse che gli uomini potessero nulla per loro natura, perché alcuni pochi, annunciandosi investiti d'un’al- ta autorità, potessero tutto! — Al rammentarsi Haiti, per esempio, il nostro romantico avrebbe pensato a quella singolar prova dell’in- feriorità de’ negri, che il principe degli odierni zoologi, Cuvier, in un’opera molto recente , si argomentò di dedurre dalla compres- sione e dalla brevità delle loro fronti. Se non vi persnadono , avreb - be forse detto all’ illustre naturalista , le prove contrarie raccolte in più libri dal vostro Gregoire, vi persuadano gli accordi de’ vostri mini- tri col presidente Boyer. La libertà, non ne dubitate, rotonderà e rialzerà anche le fronti de’negri; e voi ne farete, se il cielo vi conceda lunghi anni, una nuova descrizione —. Queste cose , per lo meno sì convenienti in un carme nuziale come le satira del romanticismo e la 126 difesa della mitologia , dette come si debbono da un poeta, non veg- go in qual modo offenderebbero il gusto o impoverirebbero il nostro patrimonio poetico. Impoverirebbero forse questo patrimonio perchè più nuove ; offenderebbero forse il gusto perché più utili delle mito- logiche? L’offendere o il rispettare il gusto credo che dipenderà sempre dall’ ingegno e dall’abilità degli scrittori, i quali, ove ab- biano poco dell’ uno e dell’altra , possono ripeterci le cose più belle già cantate dai classici antichi, e quando non le copino letteralmen- te, sempre le guasteranno. L' impoverire o l’accrescere il nostro pa- trimonio poetico sarà sempre , nol niegu , l’effetto e delle doti già accennate e del sistema adottato dagli scrittori medesimi; ma qual sistema , di grazia, promette maggior ricchezza , quello che rinun- zia al poco pel molto, o quello che , volendo Nene il poco , è co- stretto rinunciare al molto, a cui l’altro ripugna ? Lessi ultima- mente in un giornale , che stampasi a Parma , la frase sprezzante di piccoli romantici di Milano. Potrei pronunziare alcuni de’ loro no- mi, e domandare se dopo quello di Monti , supposto antiromantico, ve ne siano altri, che oggi sostengano maggiormente presso gli stra- nieri l’ onore della nostra poesia ? Potrei chiedere se quando un pometo è appena piantato, e vi è passata sopra una tempesta impre- veduta, schiantandone rami e sbarbicandone arboscelli , sia il tem- po di farne scherno perchè non sia gianto a maggiore altezza o non abbia date più belle frutta? Ma o piccoli o grandi che siano in Italia gli attuali romantici (e dico in Italia , poichè per tutta la sua esten- sione il loro numero va crescendo ogni giorno ) che fa questo alla ragionevolezza del loro sistema ? Perchè quello che hanno fatto è poco , 0 non bello in ogni sua parte, ne viene forse di conseguenza che non possano fare di più e di meglio ? Di meglio no, risponderanno francamente gli avversi , poichè i romavtici, come canta il cav. Monti, hanno bandite le Grazie, sen- za cui nulla cosa ha leggiadria. Parrà una specie di scipitezza ma- ligna ch’ io pongaloro in bocca , invece di un ragionamento , un equivoco ( poichè I’ aver bandito il simbolo materiale delle Grazie non vuol già dire aver bandite le qualità dello scrivere significate col loro nome ), eppure non fo che ripetere quel ch’ io medesimo ho udito. Ma non ci occupiamo di ridicole interpretazioni , e stiamo al più semplice significato delle parole che leggonsi nel sermone. È egli secondo la verità il dire che le Grazie citate al tribunale dei romantici cesser proscritte e fuggitive il campo — ai lemuri e alle streghe ? È egli secondo la verità il caratterizzare il romanticismo cantando che nato sotto povero sole e fra i muggiti — delle rauche burrasche , ei sol di meste — idce si pasce e le ridenti aborre, — e I 27 abitar gode ne’ sepolcri , e tutte — in lugubre color pinger le cose ? Certo sarebbe così giusto il tacciare il classicismo di bizzarria e di mostruosità , perchè la mitologia , che sembra il suo gran fondo po- etico , è piena di strani esseri , capripedi, anguipedi , di cento oc- chi , di cento braccia , colle corna in fronte, cogli angui per crine , mezzi uomini e mezzi cavalli , mezzi donne e mezzi pesci; e feconda di stranissime immagini (la loro enumerazione sarebbe intinita ) che la Grecia per avvevtura ereditò dall’ Oriente , e che si pena a conciliare colla semplicità e colla bellezza , di cui i suoi poeti furono maestri. Perchè i romantici , volendo dir cose , le quali siano gustate o sentite da tutti , oggi piuttosto che ricantarvi per la ducento mil- lionesima volta , la morte del grande Ettorre o quella del caro d’Achille amico , vi canteranno più volentieri quella dell’ intrepido Marco Botzaris, il Leonida della Grecia moderna, già fatta sogget- to d’ una tragedia in questa patria risorgente della poesia e del- l’arti; perchè invece di divertirsi a dipingervi di nuovo , dopo le cento e più mila pitture che già ne avete , quel /ettuno che rapido da Samo — muove tre passi e al quarto è giunto in Ega, vi dipinge - ranno più volentieri il portentoso Canaris, che mentre il figlio del pascià d'Egitto minaccia con poderoso esercito Ja Morea , corre con tre brulotti per incendiargli il porto d’ Alessandria , e scoperto si ritira fra le palle di cannone, che gli sono scagliate contro d’ogni parte , cosa che narrata dalla storia avrà |’ aria di poetica finzione ; potrà dirsi che agli splendidi trovati della fantasia degli antichi essi non sostituiscano che una trista realtà ? Che significano, di grazia , questi ironici versi in proposito della preferenza ch’ essi danno al ve- ro : di fé quindi più degno e più gentile — pensier vi torna il com- parir d’ orrendo — spettro sul dorso di corsier morello — venuto a via portar nel pianto eterno — disperata d'amor cieca donzella, — che abbracciar si credendo il suo diletto — stringe uno scheltro spa- ventoso, armato — d’un oriuolo a polve e d’una ronca — mentre a raggio di luna immonde larve — danzano a tondo e orribilmente urlando — gridano pazienza pazienza ? Non so dire quante volte, dacchè fervono queste dispute del romanticismo e del classicismo ; }’ Eleonora di Biirger sia stata citata per provare il pazzo gusto del- l’uno in covfronto di quello saggissimo dell’ altro. Lascerò di notare che quest’ Eleonora è il perfetto riscontro dell’ Oreste agitato dalle Furie, non solo descrittoci tante volte dai greci, ma messo per fino sulle scene , benchè fosse facile pensare che avrebbe fatto abor- tire o scappare spaventate le donne. Io auguro ai romantici migliori invenzioni che i’ Eleonora presa in groppa dal fantasma a cavallo ; “come auguro ai classici migliori invenzioni che l’ Oreste battato dai 198 flagelli serpentini delle Farie ; niente più graziose a vedersi che uno scheletro. L’ Eleonora intanto è divenuta fra tutti i canti popolari e vecchi e nuovi della Germania il più popolare di tutti ; e ciò per una ragione similissima a quella per cui a’ tempi di Dante le sue terzine si cantavano anche dal volgo. Questo fatto meritava d’ esser notato , poichè ci dice più di tutte le teorie , che se la poesia è fatta per commovere , quella sola, che parla agli uomini di ciascuna età il linguaggio che possono intendere, e presenta loro le immagini che possono fare sovr’ essì una grande impressione, ottiene il suo fine. Di ciò si mostrarono persuasi tutti i poeti veramente originali di ciascun popolo ; e di ciò gli odierni romantici vorrebbero che il fos- se ogni poeta contemporaneo. Chi peraltro si assume le parti di cri- tico deve sapere che nè tutte le composizioni romantiche sono del co- lore dell'Eleonora , né questa appartiene al sistema romantico se non per un solo riguardo. Essa cioè vi appartiene più per l’intenzione che per l’ argomento , poichè questo sistema, per ciò stesso che prefe- risce l’espressione delle idee presenti a quella delle passate , mostra di proporsi l’ avanzamento della ragione anzichè la perpetuazione de' pregiudizi. Biirger , può dirsi , componendo la sua Eleonora da romantico ha commesso un vero sbaglio da classicista. Egli ha sentito che bisognava cantare ai moderni altre cose che quelle che si canta- vano agli antichi ; ma non ha sentito abbastanza che queste cose non solo doveano riferirsi ad idee di data posteriore , ma alle migliori fra le attuali.;Egli ha commosso fortemente il volgo , poichè la leg- genda o tradizione su cui è fondato il suo componimento otteneva e forse ottiene ancora fra esso molta credenza. Ma nongli ha saputo giovare , poichè non ha pensato a nobilitarne o raggentilirne gli af- fetti, poichè si è separato dai saggi , i quali non pregiano la com- mozione se non qual mezzo di perfezionamento. Egli si è lasciato condurre da quel romanticismo d’ istinto , che troviamo più 0 meno in tutti i poeti che stanno a capo delle moderne letterature ; ma per esser romantico veramente dovea attenersi al romanticismo filosofico, a quello cioè che segue esattamente i progressi della società. Questo romanticismo avea prodotto in Germania qual primo frutto de’suoi princip) ( ciò leggiamo nelle memorie di Goethe ) de’ canti patriot- tici per le guerre di Federico , 1’ eroe della nazione che tutta si as- sociava generosamente alla sua gloria, bench’egli impiegasse le forze d’ una parte di essa a combattere l’ altra. Questo fa sentire abba- stanza se il tipo de’componimenti romantici debba cercarsi nell’Eleo- nora di Birger, e se da essa possa giudicarsi dello spirito del nuovo sistema , che gli ha fatti nascere. Ma questa maniera di giudicare è pur troppo comune a tutti i ne- 1209 mici del romanticismo; e la famosa epistola alle Muse del sig. Viennet, una delle cose più spiritose che siano state scritte contro di esso , è tutta fondata sopra una veduta parziale , onde nasce la sua esagera- zione e la sua poca giustizia. Il poeta francese , come l italiano ; accusa il romanticismo di non compiacersi che di orrori, e tende col- le sue ironie a farlo credere un delirio del pensiero , una stravaganza Ja più contraria alla ragione ed al gusto. È peraltro impossibile il defi nirlo, egli dichiara, poi ch’ è impossibile d’ intenderlo; ed io ne dirò quello , che presso a poco ho potuto indovinarne. Il romanticismo adunque ( la promessa fatta a pag. 100. del numero antecedente del. l’Antologia mi obbliga almeno a questa citazione) c’est une vérité qui n’est point la nature — un art qui n'est point l’art, des grands mots sans enflure ; — c'est la mélancolie et la mysticité , — c'est l’affectation de la naivetè — c'est un monde idéal qu’on voit dans les nuages ; in somma, per farla breve, c'est un je ne sais quoi dont on est transporté , — et moins on le comprend , plus on est enchanté. Questi sono , per così dire , i lineamenti del ritratto , che poi nell’ epistola è colorito e finito, Vediamo ora quanto siano corrispondenti all’originale, e se mai ingegni tanto meno esercitati del sig. Viennet sono riusciti a tracciarseli più o meno precisi , sa- rà chiaro che la sua incertezza è l’effetto della sua prevenzione. Credo che sia inutile pei nostri lettori il far loro distinguere primieramente il romanticismo pratico dal romanticismo teorico , ossia la pratica del romanticismo dalla sua teoria. Alla prima si applica la definizio- ne da noi citata più sopra di espressione della società , ed è ben chiaro che questa espressione dipende così dal talento degli scrittori, come dallo stato della società medesima în cui vivono. Quindi posso. no trovarsi in molti com ponimenti romaptici le nebbie, le affettazio- ni e quant’ altro il sig. Viennet si compiace di attribuire al romanti- cismo ; senza che questo in sè medesimo sia meno ragionevole. Per portarne giusta sentenza è d’ uopo guardare alla sua teoria, la quale, siccome ho già dichiarato , non è per me che /a filososofia delle lettere ; e come chi dice filosofia dice indipendenza da tutte le norme non mostrate necessarie al vero fine d’ ogni letteraria com- posizione , quello cioè di servir dilettando ai bisogni attuali de- gli uomini , è d’ uopo considerare ciò che intendasi realmente per questa indipendenza. Dopo essersi chiamate ad esame tutte le umane opinioni , tutte le regole , tutte le istituzioni, per vedere in che giovassero o non giovassero all’ oggetto a cui si riferivano, era ben naturale che si chiamassero ad esame anche quelle riguardanti la letteratura; per non essere in essa più servili, che in altro'qualunque genere di cose. Il romanticismo pratico era già vecchio in Europa; gli T XX. Ueodre. 9 130 scrittori provenzali , i primi scrittori italiani, molti scrittori francesi dello scorso secolo , quasi tuttii. principali scrittori inglesi erano romantici in questo senso che aveano preferita una poesia d’ ispira+ zione ad una poesia d’ imitazione , aveano cercato di esprimere fe- delmente le impressioni che ricevevano dalla natura e dalla società ; senza legarsi a forme e ad idee , di cui loro si offrivano gli esempi nell’opere antiche. I romantici teorici sono più recenti : essi contano poco più di un mezzo secoloinGermania; appena un quarto di secolo in Francia e assai meno in Italia. Come ‘non v’ è nuova teoria j mas& sime quand’ è combattuta, che non presenti alcune divergenze, o non vada soggetta a successive modificazioni , è sembrato che i ro- mantici non s’ intendesserò bene fra foro ; e che il sistema onde prendono il nome fosse impossibile a definirsi. In fatti chi di essi lo dichiarò a principio una specie d’anticlassicismo ; e fece consistere ia sua essenza ( vedi su. questo particolare un bellissimo articolo nel n,89del Globo) nel separarsi interamente dalla greca e dalla romana antichità , per non prendere le sue ispirazioni che dal cristianesimo e da’fatti memorabili del inedio evo; chi non vide nella sua poesia ; che la poesia de’ popoli del settentrione diversa affatto da quella dei popoli del mezzogiorno , la poesia della lingua romanza e, per così esprimerci ;s la continuazione de’ canti de’ trovatori ; chi in seguito pensò che il suo oggetto fosse l’ imitazione di ciò ch’ è reale e quindi la pittura de’caratteri, mentre il classicismo sembra compiacersi,del- Videale, e quindi più particolarmente della pittura delle passioni; chi dividendo ogni letteratura in originale ‘e imitativa, disse che il roman- ticismo era precisamente sinonimo della prima, e il classicismo della seconda. Quanto a quelli , che trasformarono praticamente il roman - ticismo in una scuola di neologismo, di falso entusiasmo, di malinco- nia senza verità, di affetto senza calore, non è a parlarsi , poi ch’ essi non formano una classe. Ma poste le distinzioni indicate più sopra, e altre che forse potrebbero aggiungersi, è facile vedere in tutti i romantici uno scopo comune che gli unisce , l’ indipendenza delle lettere , indipendenza ch’essi intendono secondo’ la maggiore o minor forza, il maggiore o minor acume delle,loro menti, ma di cui presso a poco hanno tatti la medesima idea. Chi nell’indipendenza non sa o non vuol vedere che la licenza, ha ragione difgridare contro di loro. Chi vuol che le regole sieno osservate per la loro antichità , e non per la loro convenienza, ha ragione di adirarsi contro l’esame ch’essi vo- gliono farne prima di sottomettervisi. Ed è giusto il dire sottomet- tervisi , poich’ essi amano l’ordine, senza di cui non avvi bellezza. Ma, se l’ ordine è contrario all’ anarchia; è egualmente contrario al dispotismo : l'ordine è fra le cose spontanee ; fra quelle date a ripe- 131 tere o ad imitare inon'vi è che un meccanismo. La società progre- disce osi muta y esi vorrebbe che da letteratura, destinata ad espri- merne le idee e i bisogni, fosse immobile, od immutabile ? Ma le regole del bello , oppongono i zelatori del classicismo, sono eterne; le leggi del gusto non possono cangiarsi. — Le vere leggi è verissimo: ciò si concede assai:volentieri. Quali e,quante però sono queste ? E meritano forse un tal nome tante regole di convenzione , il cui nu- mero basterebbe a renderle sospette? Corruptissima republica plu- rimae leges ricordava poc’ anzi con ‘Tacito in proposito d’altre leggi che letterarie un dotto napoletano, il:cav. Bozzelli , in un suo libro ( sur les rapports primitifs de la philosophie et de la morale) di cui ‘non credo che l’ Italia abbia in.tal genere il più bello. La moltipli- cità delle regole non è ai suoi occhi se non la prova delia loro impo- tenza o della loro assurdità. Ma anche le più giuste e le più fondate, egli osserva , possono divenire praticamente ridicole, ove non siano applicate secondo il vero scopo della loro istituzione. Così è delle ‘regole che riguardano la letteratura. Il bello è il loro scopo comune; ma chi può fissare il tipo invariabile di questo bello , o limitarne le ‘mecessarie modificazioni ? Il compendiatore delle memorie di Goethe si è quasi scandalizzato che questo poeta pevsatore definisca il gusto ‘un’'equa estimazione di ciò che deve piacere in tal paese o tal epoca secondo lo stato morale degli spiriti ; ed ha creduto ch’ egli ‘venga ‘così a dichiararlo una cosa di circostanza. Il gusto ; al parer suo , deve avere in sè un carattere d’ universalità , debb’ essere l’ arte di discernere ciò che può piacere generalmente in tutti i paesi e in .tut- te le epoche : Omero , Virgilio , gli altri grandi scrittori della Gre- ‘cia ‘e di Roma gliene somministrano una prova. ’— In verità io du- ‘bito che Omero con quella sua antica semplicità, di cui non è neces- ‘sario ch’io qui spieghii caratteri, potesse piacere ai latini come già ai greci; e molto più che Virgilio con tanta filosofia,tanta politezza, tan- ta tenerezza potesse piacere agli uomini de’ tempi omerici, i quali ‘non vi erano punto preparati, Quanto a noi , mi par chiaro che, per gustare interamente le opere degli antichi, bisogna che ci facciamo in qualche modo loro contemporanei. E malgrado ciò , semon siamo superstiziosi;e vogliamo essere sinceri, confesseremo, che troppo spes- so cambieremmo volentieri le loro bellezze con altre che fossero me- glio adattate allo ‘stato presente della società . La definizione , che ‘più sopra si è recata del romanticismo pratico, per quanto ad alcu- ‘ni possa sembrar singolare , concorda perfettamente con quella che in tutti i libri suol darsi dell’ arti belle, chiamandole un’imitazione della; natura. Nessun filosofo oggi,si argomenta più di parlarci d’ uno stato naturale opposto o anteriore allo stato sociale. Se l’uomo è fatto 132 - per la società, lo stato che da questa prende il nome è per lai il vero stato di natura. Come dunque la società è varia eiprogressiva, così lo è la natura morale dell’uomo, anzi, per parlare con esattezza, le va- riazioni e i progressi di quella non sono che un effetto delle varia- zioni e dei progressi di questa. Ora se le regole del gusto debbono essere fondate sulla natura , debbono riferirsi necessariamente allo stato della società, faori della quale invano si ricercherebbe la natura medesima. La società, potrebbe dirsi, è un’espressione della natura, e le arti belle , fra cui le lettere tengono il primo luogo , non posso- no essere un’ imitazione di questa, ove non siano un'espressione del- la società. Ma chi dice società , dice un complesso di relazioni , di costumi , di bisogni , di sentimenti , che legano gli uomini gli uni agli altri. Se questo varia da luogo a luogo e si raffina d’ età in età, le regole del gusto , immutabili in sè medesime, dovranno pur es- sere diversamente applicate, poichè applicate uniformemente non produrrebbero l’ effetto che da loro si aspetta. Quindi torna giustis- sima la definizione , che Goethe ha data del gusto ; poichè a uomini non egualmente modificati, cioè a uomini che non vivono in una stes- sa epoca , in uno stesso paese, e colle stesse istituzioni, non possono, rigorosamente parlando, piacere le medesime cose. E come nessuno scrittore può farsi realmente nè più antico nè più moderno di quello che il destino ha voluto che sia, così non potrà mai indovinare le co- se atte a piacere in qualunque epoca , onde la definizione del gasto sostituita dal critico francese a quella dell’illustre alemanno esprime una cosa che almeno per metà sembra impossibile. Per l’altra me- tà , cioè per quello che riguarda il piacere in ogni paese, io vo pen- sando ch’essa divenga ogni giorno meno difficile, in grazia delle com- municazioni dei popoli fra loro, onde nasce una maniera di sentire quanto meno particolare tanto più giusta , e dello studio delle loro diverse letteratare , onde viene a formarsi appoco appoco una let- teratura universale , una letteratura filosofica , che alcuni credono proscrivere denominandola romantica, ma che alfine si troverà aver preso il luogo di una letteratura esclusiva e di convenzione. Il cav. Monti, egualmente che il sig. Viennet, appartiene per troppi riguardi a questa nuova letteratura , la quale non è che una ampliazione ragionata di quel romanticismo d’ istinto , onde comin- ciarono tutte le moderne letterature d’ Europa , e di cui già si par- lo, I critici , che ne derivano i principii da società più antiche delle nostre, pongono a capo di esso i Bardi e gli Scaldi , che veramente formano un anello fra gli antichi e i moderni poeti, segnano per così dire un passaggio fra la poesia in cui dominano le sensazioni e quella la cui dominano i sentimenti, fra la poesia in cui si fa oggetto 133. di particolare ammirazione la forza fisica , e quella in cui se ne fa oggetto la forza morale, ch’ è la forza della nostra età. Io mi sono sempre meravigliato, leggendo il Laocoonte di Lessing, d’ una singolar proposizione, per cui quella forza fisica dovreb- be credersi la. sola vera forza, e l’altra non sarebbe che una forza negativa e un distintivo della barbarie. Gli eror omerici » egli dice, sono per le loro azioni al disopra dell’ umana natu- ra, ma si mostrano veri uomini per la loro maniera di sentire, Vedete come si adirano delle ingiurie , come piangono , come si la- guano altamente ne’ loro dolori. Gli odierni europei raffinati e pra- denti comandano ai loro occhi e alla loro bocca , simili in ciò ai no- stri barbari antenati ( parla de’ settentrionali) per cui era legge il non mostrare alcuna apprensione, per cui era prova d’ieroismo il non dareftra dolori alcun segno di commozione. Così al na lot attivo di quei primi abitatori del mondo si è sostituito fra noi un valore pas- sivo, e che non ha in sè nulla di umano. Ho ridotto ai minimi termini il suo discorso, per fare sentir meglio le ragioni della mia sorpresa. Seneca ed Epitteto certo non si sarebbero figurati che la costanza. dell’animo , apice della loro filosofia , sarebbe trasformata in virtù barbarica. Ma cosa mai potè far credere a Lessing che tutta la virtù de’ moderni si riduca ad uno stoicismo affettato, o ch’ essi siano meno uomini de’ greci antichi perché sagrificano le passioni al ca- rattere , o la veeinenza alla decenza? E proprio della nostra natura il sentire le stesse passioni in tutti i paesi ein tutte le età ; ma non il sentirle all’ istessa maniera, o il darne i medesimi segni. Le idee certamente hanno sopra di noi un grande inapero, e come lo stesso individuo, giunto a matura gioventù, riceve dai medesimi oggetti altre impressioni e se ne mostra diversamente commosso che nella prima adolescenza ; così gli uomini in generale, giunti ad un pe- riodo di società , ricco d’ esperienza e di riflessione ; più non provano e più non esprimono le passioni come quelli che viveano nelle società primitive. Queste società, già si è detto più volte, appartengono quasi esclusivamente alla vita fisica , siccome le moder- ne appartengono più particolarmente alla vita morale. Ora di quel- la guisa che i forti e continui esercizi del corpo sviluppavano un tempo quel vigore, quella destrezza, quell’agilità, di cui i greci poeti più antichi ci presentano l’ ideale , così i nobili e continui eser- cizi dell’;anima sviluppano oggi quelle qualità che più si ammirano nell'anima stessa , e di cui i romantici tendono ad esprimere il ve- ro. Di questa poesia dell’anima, incapace sicuramente di forme co- sì precise come l’ antica , e che perciò potrebbe credersi più 'fanta- stica o men naturale , alcuni , come già si accennò , ritrovano i pri- Ù 134 mi esempi nella poesia scaldica e bardita j che è quanto dire nella poesia d'uomini più simili ai moderni, più riflessivi, e quindi più inoderati e più delicati che gli antichi. Non perciò questi uomini ; di cui abbiamo in Ossian un tipo sì bello , sono meno uomini di quelli rappresentatici da Omero; non perchè si accostino a certa morale perfezione si vorrà dire che escano della natura. Fu di stile fra i letterati, che si credevano i difensori nati del sacro palladio del gusto , il declamare contro il gran poeta della Caledonia ; e quando questo poeta , in grazia del seducente traduttore che ce lo avea fatto conoscere , avea tanti ridicoli imitatori, la declamazione poteva es- sere così opportuna , come oggi ripetata è senza scopo. Quei signori peraltro, notando minutamente le imagini e le maniere , che tra- sportate dai poemi del figliuolo di Fingal nei nostri non parrebbero che bizzarrie o affettazioni, poteano non obbliare le cose che sono par- ticolarmente fatte per piacerci, e che il Cesarotti aveva indicate. Ba- sti ricordare che i poemi , di cui si parla , furono creduti quasi uni- versalmente ( finchè le ricerche della società scozzese di Londra non ci diedero mezzo di chiarire la questione ) opera originale di Mac- pherson, tanto la delicatezza de’sentimenti che vi sono espressi, e la dolce malinconia che quasi sempre li accompagna ci pareva moderna e affatto nostra. Il cav. Monti,ne son certo,mai non equivocò nel giu- dicare le diverse qualità de'poemi medesimi. Ed è ben lecito‘ opporre ai celebri versi, con cui enumerandole nel suo Bardo parve obliare le migliori, il tacito encomio che ei fece di queste nel' Bardo stesso e in altre composizioni prendendole ad esempio. Perocchè non allu- dendo al solo Bardo poteva cantare nella sua Palingenesi :'io la grave frattanto arpa d’ Ullino — venia toccando. I suoni dell’ ar- pa bardita a me sembra di udirli talvolta anche fra quelli della sua lira omerica o pindarica, poichè sono i suoni di un sentimento profon- do, e mi si fanno conoscere alla commozione che mi destano in cuore. Egli ba troppo ingegno per poter mai essere stato d’un gusto esclusi- vo. Quindi crediamo facilmente ad Hobhouse , il quale nel suo sag- gio sopra lo stato attuale della nostra letteratura narra di avergli sentito, celebrare come principi supremi di tutto il regno poet'co Omero, Dante e quel Shakespeare , contro cui ancor si lanciano di qua e di là in Italia e fuori i più puerili sarcasmi. Nella notissima lettera al Bettinelli, il nostro Monti ci insegnava ad apprezzare il' gran tragico inglese , dicendoci di avere imparato da lui a dipin- gere le astrazioni della fantasia. E già parecchie delle sue composizio- ni, fra cui nomineremo particolarmente il C. Gracco , ci attestavanoÈ ch’ ei |’ avea creduto degno del suo studio. Ma ne avea pur creduti degni altri poeti minori dell’istessa nazione, in quell’età specialmente 133 in cui îl cuore è aperto alle impressioni. più delicate, e si pasce delle più pure commozioni , di che non recheremo in prova che Invito d’un solitario. Se non possono citarsi poeti alemanni, con cui il nostro abbia qualche affinità, ciò si deve semplicemente alle circo- stanze che non banno rivolta verso di essi la sua particolare atten- zione, Ma già que’ poeti da più d'an mezzo secolo vanno sulle stesse vie degli inglesi ; e chi è amico di questi è amico di loro. Che se ta- luno mal si appagasse di questa prova indiretta, possiamo recar- ne un’altra , che lo è un po’ meno. Goéthe si trovò in Roma nel gen- najo del 1787 alla prima rappresentazione dell’Aristodemo, che fu una vera festa per quell’urbe dell’ orbe. Scrivendone a’suoi amici di Francfort dicea Joro scherzevolmente , per temperare così un sen- timento di compiacenza che potea sembrare poco modesto : “ l’ au- tore di ‘Werther non potea dolersi di vedere imitati dal poeta alcuni passi d’ opera sì bella ,,; e aggiugnea che. la tragedia, € improntata com’ era dal sigillo del genio ottenne del pari i voti della moltitudine e degli intelligenti , quantunque composta contro il gusto dominante ,, vale a dire composta secondo un gu- sto più alemanno che italiano , poichè fra gli spettatori gli alemanni furono quelli che mostrarono maggiore trasporto. Or com’ è che il cavaliere si avventi contro la scuola, in cui trovò modelli pre- diletti, e ammiratori tanto sinceri ? E com’è che lo faccia in favore particolarmente di antiche finzioni, le quali da lui'ripro- ‘dotte non gli hanno ottenuta la metà degli‘applausi , di cui va"debi- tore alle moderne ispirazioni, ch’ io non ricuserò di chiamar boreali, ove per quest’ epiteto s’intenda ciò che Kant, Schelling , Reid, Jeffiers, Bulbe; Scott, Makintosh, la Stael, Schlegel , Sismondi e’ in- segnano ad intendere , cioè tratte dall’ anima, posta sotto 1’ impero ‘delle idee religiose e delle istituzioni sociali , derivate in origine dal settentrione ? Il sig. Viennet, zelando il classicismo , non curò punto di mostrar zelo per la mitologia, di cui oggi nella sua nazione, così piena di nuove idee, a nessuno più importa. I classicisti francesi sono a questo riguardo affatto. romantici , e più non mandano voce in favore. dell’antico sistema , che per salvare alcune poche regole, da loro credute essenziali al gusto. Essi ne ricordano i classicisti germanici, a capo dei quali porremo il filosofo Herder, all’epoca che si cominciava fra loro la riforma letteraria che ci ha dato Schiller e Goethe. Que’ valentuomini bramavano una riforma par- ziale e non totale che avesse Varia d’una rivoluzione. Volevano che si prendesse il gusto classico per guida d’ un estro creatore; che ‘sì vedesse l'impronta degli studi greci e latini in composizioni in- ‘digene ; che i nuovi scrittori si educassero fra gli antichi, ma cer- 136. cassero la loro aura-ispiratrice nelle tradizioni moderne , ne’ sen= timenti religiosi , nelle abitudini morali della loro nazione. Ove si tuona oggi più solennemente e più giuridicamente contro il roman- ticismo che nell’ accademia francese? Pure quali poesie vi si leg- gono , quali argomenti di poetico concorso vi si propongono se non romantici ? Un anno il conte Daru vi legge un epistola sui benefici della scienza, un altro il sig. Andrieux un sermone sull’ umana perfettibilità. Oggi vi si propone per tema di canto l’ operoso coraggio de’ francesi nella peste di Barcellona , l’ incendio di Sa- lins, l'insegnamento reciproco; domani il lascio del barone di Montbyon in favore degli ospizi e delle accademie ; I° abolizione della tratta de’ negri, Byron e i Greci. Nè fuori di quel con- sesso , in cui veggo entrare un po’alla volta tuttii principali ro- mantlici , io so che più si tocchino i soggetti mitologici se non per ischerzo. Questo posso almeno asserire , che i veri poeti si considerano investiti d’ una missione troppo importante, per im- piegare i loro versi in finzioni che nulla profittino all’ umanità e alla civiltà. Ne citerò in testimonio Viennet medesimo, di cui si conoscono venti o venticinque epistole, piene quasi tutte di filo- sofia e di calda eloquenza , Delavigue di cui tutto il mondo ha lette le messeniche, Beranger il più originale de’ lirici dell’ età nostra. Gli stessi poeti minori oggi cercano le ispirazioni dal loro cuore e dagli avvenimenti contemporanei, ben più atti a commo- vere che tutti i racconti della mitologia : il Golfo di Napoli ; il Co- liseo di Roma ; il Campanile di S. Marco in Venezia ; la Partenza di Miaouli da Psara, ed altri componimenti in buon numero, che si sono veduti ne’giornali, e di cui non saprei in questo momento nominare gli autori, ne sono una prova. Che più? Anche le giovani donne, che qui si condannano a trastullarsi invariabilmente colle Grazie e cogli Amo- ri, ivi sanno poetando mostrarsi insieme amabili e pensatrici, piene di care lusinghe e di elevati sentimenti. Chi non ha letto il canto di madama Tastu per la consecrazione del re, e non ricorda quei versi squisiti, di cui non saprebbero indicarsi nè i più teneri nè i più filosofici , ispiratigli dalla vista di quegli augellini, stretti in carcere secondo il rito, e quindi posti in libertà ? Madamigella Gay è stata rimproverata d’ essersi in una composizione sul mede- simo argomento alzata a suoni per lei troppo magnifici e chiamata con certo fasto (a musa della patria. Ma quest’ istesso rimprovero ci manifesta a che sono oggi rivolti i pensieri dell’ età più fiorita e del sesso più delicato. Del resto ell’è tornata subito a quel ge- nere modesto insieme e soavissimo di comporre, per cui ebbe già tante lodi ;e vi è tornata per cantare, cooperando ad una società 137 filantropica troppo conosciuta: aux nobles fils des Grecs faites la charite. — Nè mi farà meraviglia il trovare i nomi d’ altre gentili donzelle in fronte a nuovi componimenti , che spesso escono in Francia contemporanei alle notizie, come potrebbero esser questi : Lancastre invitato da Bolivar a Caracca ; il Ritratto di Wasin- gton mandato dal congresso degli Stati-Uniti a Bolivar medesimo, e consegnato in suo nome da La Fayette ai legati colombiani ; il Congresso di Panama; /@a Squadra Sarda a Tripoli, 0 il risor- gimento della marina italiana. Le differenze tra i classicisti e i romantici in Francia si ri- ducono tutte al solo teatro. Non parlo del teatro comico, il quale è sempre stato semiromantico per necessità. Le spiritose commidie, che vanno sotto il nome di Clara Gazul, allargano piuttosto la strada ai poeti, di quello che ne aprano una nuova. Riguardo al teatro tragico , quelli che non hanno il coraggio di emanciparsi dalle re- gole classiche, vogliono però colla scelta degli argomenti, la pit- tura de’ caratteri, e la gravità dello scopo accostarsi al genere, a cui si dà per eccellenza il titolo di storico , vale a dire al ro- mantico. Il sig. Viennet ce ne ha recentemente fornita una prova col suo Sigismondo di Borgogna. Se questo non ha pienamente soddisfatto la publica aspettativa (ne parlo sulla relazione di tutti i giornali ) ciò si deve forse all’essere scritto fra due opposti si- stemi, l’uno dei quali vuole un non so che d’ideale e |’ altro vuole il vero. So che se n’è data la.principal colpa alla qualità dell'argomento oscuro e feroce, e per sè medesimo incapace di nobiltà. Nel sistema romantico peraltro sarebbe stato meno dif- ficile il renderlo interessante, per quell’ attrattiva che ha il vero fedelmente rappresentato, giacchè il conoscerlo è il primo biso- gno della nostra natura morale. Gli abbellimenti dell’ irmaginazio- ne, nella tragedia del sig. Viennet, non hanno potuto supplire a quest’ attrattiva, anzi hanno impedito che il poeta ottenesse il fine a cui mirava. Per poter trarre, gli è stato detto, una conseguenza morale da un fatto storico , vestito drammaticamente, bisogna pre- sentarlo cogli esatti colori della storia; e ciò glielo ha detto'non il Globo ma il Debats, gran sostenitore del classicismo. L’importanza di questa massima si sentirà più vivamente che mai, ove si leggano i Martiri di Souli, ultima tragedia di Lemercier,che ci giunge, per così dire, in que- st’istante. La storia della greca rigenerazione di Pouqueville, che me l’ha fatta trovare piena di verità, me l’ ha pur fatta trovare piena di ‘cominozione e d'istruzione. L’ autore , nella sua qualità di mem- bro dell’ accademia francese , ha sibibaa di dover fare qualche sagrificio all'unità di luogo e a quella di tempo, restringendosi 138 ; per l’uno a trentasei ore, e per l’altro al campo di Alì e alle cir- costanti montagne della Selleide. Ma questo sagrificio è} fatto a gran stento e, per ciò che riguarda il tempo, con pochissimo vantaggio. Hlargo intreccio e le pitture di genere shakesperiano, in cui l’autoresi compiace, urtano si può dire ad ogni istante contro i limiti ch'egli si è imposti. Questa osservazione, che non_può sfuggire nemmeno al volgo dei lettori, e le eminenti bellezze del suo componimento acquisteranno , non ne dubito, de’ nuovi partigiani al romantici- smo, ch'egli sostanzialmente professa. I redattori del Globo, i quali promettono che fra vent’anni tutti in Francia saranno ro- mantici ( e avvertiamo che possono esserlo senza confessarlo ) non promettono nulla d’ inverosimile. Indarno alcuni vorrebbero. co- prire di ridicolo questa questione del romanticismo e del classi- cismo , gravissima in sè stessa, se mai lo fu alcuna questione let- teraria : essa seguita ad aver vita, e chi voglia nuovo lume sopra il probabile suo esito, guardi da qual parte i combattenti mostrano maggiore o minor ira , che è quanto dire minore'o maggiore sicurez- za. A principio in Francia , scrivono i già citati redattori ( v. il Glo- bo n. 136. ) il romanticismo fa, secondo l’uso immemorabile del pa- ese , ricevuto con de’ quolibeti e degli epigrammi. Anche in Italia , anni sono, fu messo in farsa negli almanacchi , e l’ aggettivo , che ne deriva, applicato (mî ricordo) a sorbetti, che si denominavano, e ancor si denominano arlecchini. Oggi in Francia la cosa si è fatta più seria. Il romanticismo è tratto sulle scene (nella commedia delle due scuole ) non ad intendimento di far ridere, come in passato, ma di far associare (chilo immaginerebbe ? ) l’ idea di romantico a quella di malfattore. In Italia parimenti si cominciano a stampar libri ( ciò mi assicura chi ha letto ;non so qual trattato sulla trage- dia uscito in luce da pochi mesì ) ove si asserisce che un romantico non può essere che un uomo torbido , e nemico del buon ordine so- ciale. Ora quest’ accanimento che prova se non il sentimento della debolezza ? Possiamo dunque prenderlo per una specie di confessio- ne; che i nemici del romanticismo ci fanno essi medesimi che la sua causa è ormai vinta, Ma ciò sia detto a rallegramento della materia piuttosto che ad altro fine, non mancandoci , per formare presagi sopra la sorte vicina di un sistema sì corroborato dalla ragione troppo migliori argomenti. Dell» abhandono della mitologia già non parlo: si riguarderà come un vero fenomeno che un poeta come ‘il cav. Monti sia oggi sorto a lamentarsene così fortemente. Il secolo vi ci costringe; i nostri ultimi poeti di maggior grido, fra i quali egli ha grado sì luminoso, vi ci avevano preparati. La sentenza del 'Tas- so ; che un’altra volta hocitata in questo giornale , doveva alfin es- 139 sere lu sentenza di tutti, Più essa verrà approfondita (poichè non riguarda soltanto 1’ uso‘delle finzioni mitologiche , ma abbraccia in tutta la sua estensione |’ officio della letteratura.) più questa acqui- sterà un carattere grave, più tenderà ad uno scopo veramente ci- vile, più saprà scegliere i mezzi atti a conseguirlo. Tale pro- gresso ; già sensibilissimo in Francia, deve condurla a quella piena riforma teatrale, per cui tuttavia contendono fra loro alcunì.sag- gi; ma intorno alla quale già cominciano ad intendersi. L'autore dell’ articolo sul Carmagnola del Manzoni, che diede motivo alla lettera di questo scrittore , della quale si è parlato nel n.° 56 del- l’Aritologia ; il sig. Chauvet ; dopo aver detto nell’ ultimo fasci- colo della ‘Rivista Enciclopedica ciò che il suo ingegno ancora una volta gli suggeriva in favore del sistema a lui caro , finisce col con- fessare che la tragedia romantica gli sembra un bisogno intellet- tuale della nostr’ epoca , siecome la pittura che nella sua nazio- ne chiamasi de genre ; che ov’ essa mai nel suo insieme avesse minor bellezza della classica , ne’ suoi particolari ha sicuramen- te più verità e più importanza; e che invano le si opporreb- bero le leggi del. gusto , poichè quelle della necessità sono più forti. Invero nessun romantico potrebbe dire nè di più nè di me- glio ; ove non fosse riguardo alla. bellezza ed al gusto ; cose con- ciliabili in sommo grado col nuovo sistema egualmente che coll’ an- tico. Conchiudiamo intanto: chiunque riguarda la letteratura co- me una cosa seria, non come un vano trastullo dello spirito ; chiun- que dice a sè stesso ciò che il sig. Droz, amabile moralista, di- ceva il'7 luglio di quest'anno all’ accademia francese a cui fu ag- gregato : il faut écriré avec sa conscience, dans l’intéréi de l’hu- manité , è irresistibilmente portato al romanticismo, vale a dire ad un sistema filosofico, il quale non per capriccio o per amore di novità rinuncia alla mitologia e alla servile imitazione degli antichi, ma perchè nella mitologia e nella servile imitazione non trova più nulla che serva ai bisogni presenti. Tutta la gran que- stione del classicismo e del romanticismo si riduce dunque a de- cidere se debba aversi una letteratara vana o .una letteratura utile, ùna letteratura di tradizione o una letteratura d’ ispirazione, una letteratura antica e straniera o moderna .e nostra , una letteratura vincolata ad arbitrari e spesso dannosi precetti, o una letteratura non soggetta che alle vere leggi del gusto. Infatti il rigettare i primi è ben diverso, come già si disse, dal rigettare le seconde ; | eman- ciparsi dalla servitù è tutt’ altro che un abbandonarsi alla licenza, I classici più antichi, come osserva il già citato sig. Chauvet nel fascicolo pur citato della Rivista (in proposito del saggio sul ro- r4o manticismo , opera assai recente d’autore anonimo) furono liberi e nazionali. I romantici , a chi ben guardi, non fanno che sostenere il diritto d’esserlo essi pure. Nel che si mostrano assai più clas- sici de’ classicisti, i quali a forza di riprodurre le idee e le forme degli antichi, se non sono romantici!, sono spesse volte romanze- schi. La moltitudine , incerta sul significato della parola roman- ticismo, che pure a quest’ ora dovrebb’ essere chiaro , immagina ch’ essa esprima una cosa ben strana, mentre esprime la cosa più naturale e più ragionevole del mondo. Se si fosse a tempo di dare alla cosa altro nome, amerei che si facesse , onde prevenire molti pregiudizi, e mettere più d’accordo fra loro anche i meno pre- giudicati. Ma poi che il nome è gia dato , resta che si spieghi nettamente , finchè, cessati i contrasti , cessi la necessità di farne uso , e si possa abbandonarlo con quello del classicismo e con tanti altri nomi di parte ai dizionari e alla storia. Quello ch’io ne ho detto forse ad alcuni sembrerà soverchio , come ad altri sembrerà insuf- ficiente ; e credo che ambidue gli epiteti possano convenirgli, ben- chè a diverso riguardo. Dell’insufficienza mi scusi la qualità di que- sto scritto destinato ad una collezione periodica , e il particolare suo scopo che si annunzia nel suo titolo ; della sovrabbondanza il pensare alle prevenzioni d’alcuni, di che non ho bisogno d’ altra prova dopo il sermone del cav. Monti e il proemio de’suoi editori. Se la quistione del romanticismo non fosse a’ miei occhi la quistione dell’ indipendenza e della dignità delle lettere , io mi sarei compia- ciato di applaudire con essi ai bei versi del sermone, senza dispu- tare salle idee che racchiude. Ma poichè la questione è tanto grave, io ho dovuto superare tatti i piccioli riguardi, e dire almeno tante parole che bastino perchè gli uomini riflessivi siano eccitati a cercare la verità. Del resto la mia opposizione qualunque è assai minore di quella che può apparire; e mi è dolce appellarmi, dinanzi al senno del cav. Monti, dalle sentenze del suo sermone allo spirito delle sue più applaudite composizioni. L'Italia aspetta da più anni con impa- zienza la sua Feroniade, il cui originale concetto appartiene alla sua età più fiorita, e l’ eseguimento alla più matura. Sarà per noi quel poema il vero canto del cigno : i saggi che se ne sono veduti ce ne assicurano abbastanza. Se esso celebra il culto d’una divinità mi- tologica, la spartana Feronia divenuta latina, è pur consegrato ad una divinità filosofica , da cui non prende il titolo ma a cui il cav. Monti si mostrò sempre altamente devoto, la Civiltà italiana. M. 141 BULLETTINO SCIENTIFICO N.° XXV. Ottobre 1825. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Gli Stati Uniti hanno sofferto nella decorsa estate un calore anche più ardente di quello che hanno provato i diversi stati d’ Eu- ropa. Lo che sembra prestare appoggio all’ opinione di quelli astro- nomi che credono trovare la causa delle stagioni straordinarìa- mente calde nella maggior copia di macchie osservate alla superfi- cie del sole , come appunto è accaduto nel luglio decorso. I giornali degli Stati- Uniti annunziano che per quasi due mesi il termometro di Fabrenheit si è mantenuto presso a poco a roo gradi, che corrispondono a 30 Réaumaur. In tutto questo tempo non è disceso al di sotto di 28 ; in alcuni luoghi è salito anche più alto, e il di 16 di luglio segnava a Filadelfia 45 R. al sole. Secondo le osservazioni del sig. Arag», un termometro immerso nella terra che ricuopre il giardino dell’ Osservatorio a Parigi , se- gnava presso a poco verso la stessa epoca 42 R. ; per altro a stabilire una comparazione fra le due osservazioni, bisognerebbe che fosse stato indicato a quale altezza al di sopra del terreno erano posti i termometri che hanno segnato a Filadelfia 45 R. AI Senegal il ter- reno non si riscalda ordinariamente al di là di 42 R. Però l’ eccesso di calore soffertovi nella scorsa estate ha cagionati dei mali, dei quali i giornali americani danno qualche cenno. Si assicura che a Fila- delfia in una sola settimana sono morte in conseguenza del calore eccessivo 180 persone, e che a Nuova Yorck nello stesso spazio di tempo ne sono perite 184 per la stessa causa; e si aggiunge perfino che nella prima di queste città gli uccelli cadevano asfissi per il gran calore. Anche le raccolte hanno sofferto notabilmente. Fisica e Chimica. A malgrado delle contrarie asserzioni di alcune gazzette, nuovi fatti confermano giornalmente la verità e l’ importanza della sin- golare scoperta, o piuttosto invenzione, del cav. Davy risguardante il mezzo di preservare dall’ alterazione cui naturalmente vanno 142 soggette le lastre di rame che ricuoprono la parte immersa dei ba- stimenti. Ecco alcuni di questi fatti. — Il Carnebrea castle, vascello della con pagnia delle Indie, pro- tetto con un 100.° o un rto.° di ferro nella prunavera del 1824, dopo un viaggio all’ Indie, ed un notabile soggiorno nel Gange , è tornato col rame netto e lucido, senza che vi si fosse attaccata sostanza al- cuna. Il ferro, sebbene notabilmente consumato, era in grado di ser- vire ad un secondo, ed anche ad un terzo viaggio. L’ Yacht /° £lisubetta, appartenente alla Contea di Darnley, protetto nel maggio 1824 con ferro inalleabile, equivalente in su- perficie a un 125. dei rame, e rimasto in mare tutta l’estate di que+ sto stesso anno, esaminato nel novembre, è stato trovato assoluta» mente intatto nel fondo, col:rame e la testa dei chiodi :tuttora lu+ cidi. Nel corso dell’ estate si erano attaccate alla ruggine del ferrro alcune conchiglie di piccola specie, che ne sono state distaccate fa> cilissimamente ; ma niuna alga o conchiglia sì era do pap ae rame. IL vascello: /? Hinata attenente al sig. Horstoll!, ‘è entrato nel giugno 1825 in un bacino, dopo un viaggio a Pivigicati ove ‘si è trattenuto più setttimane in un fiume, nel quale i vascelli si ricuo + prono ordinariamente d’ alghe e d’ animali parasiti. ‘Tatto il rame di questo bastimento era perfettamente netto. Era protetto da due barre di ferro dolce fissate lungo Ja chiglia con' chiodi di rame, la superficie delle quali equivaleva a un g0.° di quella del rame. L’ Elisabetta, vascello protetto egualinente e con una stessa proporzione di ferro che Vl’ Huskisson,' partito com’ èsso da Liver pool, dopo aver fatto lo stesso viaggio , fu trovato nel pn stato. Il Dee, gran bopuscolbe; foderato di ratne nuovamente, fu protet- to con due striscie di ferro dolce, iunghe 3 pollici, alte sette ottavi, fissate ai due lati della chiglia con chiodi di ferro. Questo ‘metallo occupaya un 90. “ circa della superficie del rame. Dopo due viaggi fatti a Démérara, questo vascello esaminato sul'cantiere, ha mostral to il rame libero da agni attacco» Bensì ichiodi erano talmente cor+ rosi, che non servivano quasi più all’ uso cui erano destinati , lo che prova doversi preferire i chiodi di rame. Il vascello /a Dorotea , foderato di rame già da un anno, era tornato da Bombay a Liverpool. Siccome è raro che possa farsi con sicurezza un secondo viaggio all’ Indie collo stesso bastimento, senza rinnuovare il rame di cui è foderato, in vece di ‘rinnuo- vare quello della Dorotea , si volle provare il nuovo:sistema protet- tore. Però nel maggio 1824 vi furono fissate lungo la chigl'a con 143 chiodi dî rame delle striscie di ferro: dolce larghe 4 pollici ; alte 1; {a superficie delle quali era un settantesimo di quella del rame. La Dorotea salpò per Bombay nel mese di giugno, ed è tornata a Li- verpool nel mese d’aprile 1825. Un mese dopo; esaminata sul cantie- re allorchè l’acqua se n’ era ritirata, è stato niconosciuto che il ra- me nonaveva sofferto alcuna alterazione nell’ ultimo viaggio. Ben- sì la parte piena della carena era ricoperta di molluschi. L’ armatu- fa di ferro, sebbene notabilmente corrosa ; fu' giudicata sufficiente a difendere il rame nel corso d’ un altro viaggio all’ Indie. Questi 6 esempi , mentre dimostrano vittoriosamente l’effica> cia del mezzo protettore (imaginato del cav. Davy; sembrano con- fermare ancora le ‘conclusioni che egli aveva dedotto dalle sue espe> rienze intorno alla proporzione del ferro da iinpiegarvi , e che egli aveva fissato ad un 150.° della superficie del rame. L’ importante fenomeno osservatò dal sig. Arago ( vedi Antolo- log. N.° 53; maggio 1825, pag. 135) richiamando l’attenzione dei fisici, ne Bia impegnato un gran numero ad occuparsene. Ecco le prin- psp osservazioni relative d’alcuni fisici inglesi. I sigg. Babbage ed Herschel hanno rovesciato l’esperienza del sig. Arago, Mabrtepado un moto rapido di.rotazione ad una calami- ta a ferro di cavallo , sospendendovi sopra dischi’ di rame, zinco, piombo ; ec, che hanno seguitato con più o meno prontezza il moto della calamita, Hanno dato segni di magnetismo il rame lo zinco, l'argento’, lo stagno , il piombo ; l’ antimonio , il mercurio; loro , il bismuto , ed il carbonio in quello stato particolare e metalloidale in cui si precipita dall’ idrogene carbonato nelle manifatture di gas, L’ acido solforico ; la resina, il vetro ; ed altri corpi non'conduttori o conduttori lapegieri dell’ oleterisitàs non hanno dato indizio di magnetismo. Il sig. Barlow , sul principio di dicembre 1824; e però alcuni mesi avanti la scoperta del sig. Arago , aveva fatto col sig. Marsh dell’ esperienze dirette a riconoscere se il moto di rotazione impres- so ad uns massa di ferro inducesse cambiamento nel suo stato ma- gnetico , o nel tempo dell’ operazione ; o dopo. Impresso un moto rapido di rotazione ad una bomba di ferro fuso, un ago calamitato che vi si avvicinasse era fortemente: deviato dalla sua natural dire- zione , e la riprendeva col cessare del moto. Fu osservato che in certe posizioni dell’ago l’influenza era nulla ; in alcune la deviazione aveva luogo in un'senso, in altre nel senso contrario. I limiti della deviazione variavano fra o e 180, secondo la situazione dell’ago.; restando costanti la sua distanza dall’apparato, e la velocità del mo- 144 vimento di questo; Finchè durava la rotazione , la deviazione era fis- sa e senza oscillazione , cessato il moto tornava al suo posto primiti- vo. Danque l’effetto era temporario, e dipendente interamente dalla velocità della rotazione. Alzato |’ ago al livello della bomba, ed avvicinata questa in posizioni diverse, presentò fenomeni diversi. Qualunque fosse l’ azi- mut dell’ ago ( messo al coperto dall’influenza terrestre ) il suo polo nord si avvicinava alla bomba quando la parte superiore di questa, scendeva verso l’ago, ed il polo sud quando il moto era in senso contrario. Portando l’ago attorno alla bomba in un cerchio verticale , elevandolo di dieci gradi a ciascheduna esperienza (l’ago essendo parallelo all’asse di rotazione, e l'influenza terrestre neutraliz- zata) si ottennero i risultamenti seguenti, A 50 gradi circa sopra l’orizzonte della bomba, l'ago si diresse perpendicolarmente al- l’asse, prendendo il suo polo nord una direzione contraria a quella della rotazione della bomba. Dai 54 ai 90, o allo zenith, l’ ago si pose pure perpendicolarmente all’ asse, ma in una direzione op- posta alla prima, giacchè il polo nord prese la direzione del moto rotatorio della bomba. Questa direzione si conservò dall’ altro lato della verticale fino a 54, ove l’ago riprese la posizione che aveva prima. Al di sotto dell’ orizzonte l'ago conservò la stessa direzione finchè fu giunto a 54; arrivato là, fu modificato come lo era stato al di sopra. Dunque il moto della bomba restando lo stesso , vi furono quattro punti ove l'ago cangiò direzione, cioè quelli corrispon- denti ai 54 gradi sopra e sotto l’orizzonte della bomba dai due lati della verticale. Gli effetti erano li stessi qualunque fosse la direzione dell’ asse di rotazione. Durque il solo moto di rotazione dà ad una bomba un’ azione magnetica, la quale sparisce coll’ar- restarsi la bomba. Avuta notizia dell’ esperienze del sig. Arago, il sig. Barlow prese a ripeterle col suddetto sig. Marsh, e ne ottennero i risul- tamentì seguenti. Confermata la rotazione dell'ago magnetico operata da quella d’ un disco di rame, osservarono che una lama di ferro interpo- sta intercettava l’azione , e l’ago non si moveva. Dando:al disco la forma d’una stella, con farvi più divisioni nel senso di più diametri, l’azione era minore. Un disco di zinco produsse minore effetto, uno di ferro molto maggiore che uno di rame. Questo non agì sopra un ago fatto del rame stesso. Il disco di rame rotante fece rotare una calamita a ferra » 146 di cavallo assai pesante, sospesa ad un filo. Una lastra di rame, sospesa prima sopra un disco di rame, poi sopra uno di ferro, posti in moto ; non ne risentì alcun effetto. Fatta rotare una verga: magnetica, un: disco di rame sospesovi sopra rotò anch’ esso. Fatto rotare un disco di rame verticalmente , un ago calamitato avvicinato ad esso non si mosse, se non dopo essere stato neu- tralizzato , o. reso indipendente dall’influenza terrestre. Questi risultamenti inducendo il sig. Barlow ad ammettere nel rame e negli altri metalli che fanno muover l’ ago un leg- giero potere magnetico, egli tentò di riconoscerlo indipendente- mente dalla rotazione. Neutralizzato colla più gran cura un ago magnetico, portò vicinissima ai suoi poli |’ estremità d’ un cilin- dro di rame, che mostrò un’ azione attrattiva evidente ; facendo muover l’ago di alcuni gradi; ritirando il cilindro e. presentan- dolo di nuovo all’ ago quando l’oscillazione lo riconduceva ; lo fece muovere d’ un maggior numero di gradi, e finì con farlo ruotare rapidamente. Diversi altri pezzi di rame produssero lo stesso ef fetto, ma altri, sebbene della stessa forma e grandezza , non po- terono produrlo. Il sig. Sturgeon di IVoolwick, librato delicatamente sul suo asse un disco di rame, cui aveva adattato un piccol peso in un punto della circonferenza , elevato questo peso al livello dell’as- se, e lasciatolo cadere , contò il numero delle oscillazioni che il disco faceva fino a mettersi in quiete. Ripetuta l’esperienza con far passare la parte del disco, cui era annesso il peso, fra i due poli d'una calamita a ferro di cavallo, il numero delle oscil- lazioni fa più che doppio ; la quale esperienza è l’ inversa di quella del sig. Arago. I due poli opposti di due barre distanti produ- cono lo stesso effetto, i poli stessi quasi niuno. Il sig. Christie, appoggiato a questi esperimenti e ad altri suoi proprii, inclina a credere che il sole e gli altri pianeti sieno dotati come la terra della proprietà magnetica, e che causa di questa sia il loro movimento di rotazione. Anche i sigga Prevost e Colladon hanno raccolto da varie esperienze li stessi ed altri risultamenti, fra i quali questo, che un ago calamitato in modo da avere alle sue due estremità i poli dello stesso nome, è l'apparato più sensibile ai movimenti dei dischi rotanti. Il sig. Girard, per mezzo di delicate esperienze , eseguite con un apparato ingegnoso ha riconosciuto, che delle superficie solide interamente immerse in un liquido suscettibile di bagnarle, .-T. XX. Ottobre. 10 % 146 avvicinate fra loro di tanto, che li strati liquidi onde sono ba- gnate si penetrino scambievolmente , esercitano una sull’ altra, pet mezzo del liquido interposto , a distanze sensibili e rigorosamente apprezzabili, un’ attrazione tanto maggiore , quanto è minore la loro distanza. Si sa quanto contribuisce a mantenere la salute dei marinari la circolazione ed il rinnuovamento dell’ aria nelle parti più basse dei bastimenti. Fra i mezzi proposti e praticati per ottenere que- st’oggetto importante, è reputato il più efficace ed il più opportuno il ventilatore del dott. ZVuettig. Esso consiste in un fornello di lamiera di ferro, nel quale si pone una sfera vuota , di rame la- minato, dalla quale partono due tubi aspiratori ed un canale d’eva- cuazione. Acceso il fuoco nel fornello, quest’ultimo canale co- mincia a soffiare per la sortita dell’aria rarefatta, a cui ne sot- tentra per gli aspiratori altra, che rarefatta egualmente è in simil modo espulsa. Mantenendo acceso questo fornello per una o due ore, sì può rinnuovare due volte per giorno l’aria in uno spazio di 300 a 4oo tese cube. La semplicità di quest’ apparato , la so- lidità delle materie onde si compone, per cui non è soggetto a guasti, l’agire da per sè stesso senza forza estranea motrice, la continuità della sua azione, lo rendono superiore ad ogni altro, e debbono raccomandarne l'applicazione agli spedali, alle miniere , e. ad altri luoghi ove si prova il bisogno di rinnuovar l’aria. Da lungo tempo era stato riconosciuto, ed è generalmente noto che le acque stagnanti indacono assai maggiore insalubrità ed infezione nell’ aria quando si mescola ad esse l’acqua salsa del mare. Il sig. Gaetano Giorgini di Lucca, avendo esposti recente- mente in una sua memoria alcuni fatti accaduti nel suo paese ; e che dimostrano ad evidenza quella verità, gli estensori degli Annali di chimica e di fisica di Parigi, avuto riguardo all’ impor- tanza del soggetto, hanno inserito una tal memoria nel fascicolo per il mese d’ agosto della loro pregevolissima raccolta. Eccone un breve cenno. Nel territorio lucchese!tre bacini o stagni d’acqua dolce, alla quale in tempo di flusso o di burrasca si mescolava più o meno l’acqua del mare, spandevano all’intorno sopra una certa esten- sione di terreno una tale infezione, che gli scarsi ed infelici abi- tatori dei contorni ne risentivano i più funesti effetti. Già fino dal 1814 Geminiano Rondelli ingegnere bolognese, 147 e nel 1730 il celebre Eustachio Manfredi avevano proposto d’ im- pedire l'ingresso delle acque del mare nei detti stagni. Nel 1736 la Repubblica di Lucca , chiamato da Venezia per tale oggetto il matematico Bernardino Zendrini, questi propose la costruzione di chiuse o cateratte , le di cui porte mobili fossero serrate a guisa di valvule dall’ acqua del mare spinta dal flusso o dalle tempeste, e fossero aperte dall’acqua degli stagni o marazzi, allorchè il livello di queste superasse quello del mare. Questo lavoro ordinato nel 1740 fu compito nel 1741, e se- guitato da successo completamente felice, non essendo più com- parse in quei contorni le terribili malattie che prima li desolavano. Sebbene questo risultamento rendesse evidente |’ utilità e 1’ ef- ficacia del rimedio; un disgraziato avvenimento concorse a met- terla fuori di dubbio. Nelle due successive stagioni estive 1768 e 1769, Viareggio e le parrocchie vicine al lago di Massaciuc- coli farono di nuovo devastate dalle malattie. Fu riconosciuto esserne causa il guasto delle cateratte, che avevano permesso alle acque del mare d’ insinuarsi nel lago. Risarcite le cateratte , il flagello cessò, cosicchè la mortalità , che nei due anni 1768 e 1769 era stata di 1 sopra 15 abitanti, non fu nell’ anno se- guente che di 1 sopra 40. j Negli anni 1784 e 1785, per la trascuranza delle necessarie riparazioni tornate ad introdursi l’ acque del mare nel lago, le malattie tornarono a dominare, e la mortalità fu nel primo di detti anni di 1 sopra zo abitanti, nel secondo di 1 sopra 18. Ristaurate le cateratte , disparvero di nuovo le malattie. Gli stessi felici effetti prodotti per il risanamento dell’ aria di Viareggio e suoi contorni dall’ apposizione e buona conserva- zione delle cateratte alla Bur/amacca , onde impedire l’ ingresso dell’acqua del mare nel lago di Massaciuccoli, si sono posterior- mente ottenuti a favore di Montignoso e delle altre parti ,del territorio soggette all’ insalubrità dell’aria, applicando simili cate- ratte ai fossi denominati Cinquale, Motrone, e Tonfalo. Questi stessi fatti, e più altri argomenti e considerazioni re- lative ai funesti effetti del mescuglio delle acque salse alle dolci stagnanti, e l'indicazione delle stesse cateratte a bilico vantag- giosamente impiegate per impedirlo, erano già stati offerti al pub- blico fino dal mese d’ agosto 1823 nel corrispondente fascicolo di questo giornale, ove si trova un’ interessante memoria del sig. Emanuele Repetti sopra questo soggetto. Allorché il sig. Zernry figlio pubblicò |’ analisi da sè fatta 148 delle acque solforose d’Enghien , avendo asserito che _l’idrogene solforato il quale se ne sprigiona proviene dalla scomposizione de- gl’idrosolfati per mezzo dell’acido carbonico libero contenuto, vi incontrò molte obiezioni, benchè il sig. Chevreul avesse già an- nunziata Ja scomposizione degl’idrosolfati per mezzo dell’ acido carbonico. Per rispondere a queste obiezioni, e schiarire i fatti avanzati, il sig. Henry ha intrapreso nuove ricerche dirette a de - terminare l’azione dell’acido crrbonico sopra gl’idrosolfati, e quella dell’ acido idrosolforico sui carbonati. Egli ha pubblicato intanto la prima parte del suo lavoro, nella quale, appoggiandosi alle nuove esperienze da sè fatte, conclude : 1.° Che l’acido carbonico decompone completamente gl’idro- solfati alcalini e di magnesia , purchè la sua azione sia bastante- mente prolungata ; ‘2.° Che la scomposizione può operarsi a caldo, facendo bollire un idrosolfato nell’ acqua carica «d’ acido carbonico, o a freddo esponendo la mescolanza nel vuoto della macchina pneumatica, per facilitare la separazione del gas acido idrosolforico , o final- mente facendo passare una corrente di gas acido carbonico nella soluzione dell’ idrosolfato ; i 3.° Che gl’idrosolfati provenienti dalla trasformazione dei sol- fati per mezzo del carbone col processo del sig. Berthier sono molto più difficili a scomporsi ; 4.° Finalmente che il resultato della scomposizione di tutti que. sti sali è la produzione di carbonati, o piuttosto di bicarbonati, e che la quantità di gas acido idrosolforico scacciata è sempre pro-. porzionale a quella del carbonato formato , sicchè la base si trova nello stesso rapporto che già neil’idrosolfato. Questa nuova teoria rovescia in gran parte quella che si aveva intorno alla natura delle acque solforose. Il sig. Dul/ong, per mezzo d’esperienze diligenti, ha riconosciuto che il bicarbonato di potassa precipita solo ana parte della calce da una dissoluzione calcare o magnesio-calcare, e che per conse- guenza può indurre in errore impiegandosi, come si suole, per sepa- rare la calce dalla magnesia. Egli si è anche assicurato che nemmeno il sottocarbonato d' ammoniaca opera esattamente questa separazio- ne , la quale bensì è ottenuta con molta esattezza ove s’ impieghi in vece l’ ossalato d’ammoniaca. Il sig. Stokes , esaminati col microscopio 26 precipitati chimici diversi , ne trovò 15 visibilmente cristallizzati , 10 la cristallizzazio- 149 ne dei quali era dubbia, 1 che non ne aveva apparenza alcuna. Tut- ti i precipitati cristallizzati sono sensibilmente solubili in qualche agente ; al contrario il solfato di barite, assolutamente insolubile nell’ acqua e negli acidi, non dà alcuna apparenza di cristallizza- zione. I precipitati cristallizzati che egli ba osservato sono i seguenti * solfato di calce , benzoato di mercurio, ossalato di harite, detto di manganese, solfato di piombo, arseniato e cloruro d’ argento , fosfa - to di barite, sottocarbonato di magnesia, detto di calce , fosfato di zinco , borato di piombo, fosfato di calce , detto di piombo. Qualche volta si precipitano dei cristalli voluminosi ben for- mati, che potrebbero indurre in errore, se non si aggiungesse ai li- quidi impiegati dell’ acqua, che ridiscioglie i precipitati non veri , ma occasionati dalla mancanza d’una sufficiente quantità di li- quido. Negli Annals of philosophy si riferiscono i due fatti seguenti. Una persona, servendosi del carbone animale per dentifricio, volendo purificare con una nuova calcinazione del nero d’avorio , lo espose al fuoco in un crogiuolo di rame coperto con una lastra di ferro fuso, che aveva un foro in mezzo per lasciare uscire i gas o le sostanze vaporose che si sprigionassero. il fuoco non era fortissimo, ma per . tale da infuocare il crogiuolo , il gas ardeva con fiamma all’apertu- ra del coperchio. L’ operatore essendosi allontanato per circa 10 mi- nuti , trovò, tornando , il solo coperchio, essendo disparso il crogio- lo di rame. Ricercando nel cinerario , vi trovò diversi piccoli fram- menti di metallo conformati ad angoli, e due grandi masse di brace agglutinate da uno strato di metallo ossidato. Siccome la temperatu- ra a cui il crogiuolo era stato esposto era evidentemente molto infe- riore a quella che è necessaria a fondere il rame, l’ operatore prese un filo di questo stesso metallo di un decimo di pollice di diametro , ed espostolo al fuoco stesso per una mezz'ora, lo vide ossidarsi, rom- persi in pezzi, senza provare un principio di fusione. Allora ripetè l’ esperienza sostituendo a quello di rame un cro- giuolo di ferro fuso , pieno egualmente di nero d’ avorio , il quale, sebbene fosse esposto ad una temperatura di gran langa inferiore a quella che è necessaria a fondere una tal materia, e per un tempo breve , fu trovato fuso in parte, e precisamente nel fondo e nelle parti vicine, ove era rimasta una porzione della materia , essendo consumata l’altra per avervi avuto accesso l’aria. Questi fatti hanno persuaso taluni che il carbone animale abbia la proprietà di servire di fondente ai metalli. Sembra per 1509 altro assai più verisimile che la presenza: del metallo sia concorsa colla materia carbonosa a determinare la scomposizione del fo- sfato di calce, anzi dell’acido che lo costituiva , formando un fo- «sfuro metallico assui più fusibile del metallo da cui è provenato. Il sig. Dupuy, allievo della scuola di farmacia di Parigi, ha recentemente fatto noti i risultamenti d’ una serie d’ esperienze im- portanti da sè eseguite fino dal 1823 sopra i corpi grassi, e per le quali è stato condotto a riconoscere che nella distillazione delle materie grasse la diversa temperatura applicata loro influisce no- tabilmente sulla natura dei prodotti che se ne ricavano. O perando ‘col contatto dell’aria ad una temperatura insufficiente a portare questi corpi all’ebollizione , si ottiene un prodotto liquido ed uno solido, ancorchè si trattino olii che contengano poca stearina. In questo caso il peso dei prodotti sopra impiegati è a cagione del- l’ossigene assorbito. Se poi la temperatura sia sufficientemente elevata per far bollire i corpi grassi, non si ottiene prodotto so- lido, quantunque si operi sopra grassi che abondino di stearina, ed anclie sopra il sego stesso. In questo caso , all’ opposto del primo, vi è perdita anzichè aumento ; il peso dei prodotti distil - lati e del residuo carbonoso è minore di quello della materia grassa scomposta. Oltre il carbone, che rimane nella storta, i prodotti di questa distillazione sono : l’acido margarico o stearico , l'acido oleico , l’aci- do sebacico , un acido volatile congenere agli acidi butirico e foce- nico; una materia odorante volatile non acida, una materia che divien bruna per il contatto dell’ ossigene , ed una materia grassa non acida, Il sig. Braconnot, abile chimico di Nancy, aveva avuto l’oc- casione d’osservare l’ orina d’una giovane fanciulla di (5 anni soggetta a mali di stomaco, ma sana d’ ogni rimanente , orina di color giallo-scuro, da cui si era separata per deposito una ma- teria di color tarchino ; quando gli fu trasmessa dal dott. Co- stara di Luneville una boccetta contenente dell’ orina di color turchino così intenso, che sembrava nero. La malata che aveva reso quest’orina aveva avuto dei vomiti d’uno stesso colore, ed aveva avuto simili evacuazioni due anni prima. Il sig. Braconnot, esaminata colla solita sua diligenza que- st’orina, riguarda il deposito di color tarchino come una materia particolare, ma alla quale si trova unita una piccola quantità d’una sostanza grassa agglutinante, un poco di fosfato di calee, e forse del 151 mucco e dell’ossido di ferro. La pura materia turchina essendo poco solubile nell’acqua e negli alcali, non unendosi a questi ultimi, ed all’ opposto combinandosi agli acidi , è da lui riguardata come analoga alle basi salificabili organiche. Bensì ella non forma, come queste ultime, dei sali neutri, ma delle combinazioni acide so- lubili. Egli propone di chiamare questa sostanza singolare cia- nourina. L’orina separata dal sedimento era di color giallo-brunastro, arros- siva la carta tinta colla laccamuffa. Esposta al calore si è scolorata in parte, depositando un sedimentodi color nero cupo, solubile negli aci- di deboli , e su cui gli alcali hanno poca azione. Sebbene questo se- dimento abbia qualche analogia colla cianourina , pure ne differisce per il colore proprio , e per quello delle sue dissoluzioni negli acidi che sono di color bruno cupo, mentre quelle della cianourina sono d’ un bel color rosso. Il sig. Braconnot propone il nome di melanou- rina per la materia di questo secondo deposito , a cui attribuisce il color nero di certe orine. i Estratto di lettera al, Direttore dell’ Antologia. « Non sono nuove le ricerche del sig. Marcet di Ginevra sull’azio- ne che i veleni di natura vegetabile esercitano sulle piante. (1) Il Dot. Giovacchino Carradori se n’ è occupato da molti anni a questa par- te, e ne fanno fede , non solo vari giornali d’ Italia , e gli atti del- l’ Accademia de’4o , ma ben anche l’ultimo volume pubblicato de- gli atti della vostra Accademia dei Georgofili — Alla pag. 181. tro- verete una memoria postama del Carradori letta fin dal dì 8 settem- bre 1816 ; la qual dimostra come l’acqua di Lauro Ceraso spenga la vitalità delle piante in virtù della sua azione deprimente, e spieghi la sua energia fino al punto di distruggere questa vita, anche laddo- ve più energicamente attiva si mostra , come per esempio nei frutti matori della Momordica Elaterium. E tutti coloro che in ricerche di simil fatto si stanno occupando non trascurino di leggere le mol- te e disseminate opere del Carradori ,,. Osservazioni sopra il suddetto articolo. Il dot. Giovacchino Carradori , ingegnosissimo e diligentissimo sperimentatore, intento, fra le altre cose, a provare che molti feno- meni i quali si osservano nelle piante , anzichè effetti di semplice (1) Avtolo, N,° 59, settembre 1825, pag. 127. 152 meccanismo , come i più credevano , sono risultamenti:di vere fun- zioni vitali analoghe a quelle degli animali, dopo avere in varie sue’ memorie dimostrato che i vegetabili godono d’ una vera irritabilità; nè solo di quella che negli animali è propria del cuore e dei vasi della circolazione , ma anche di quella che appartiene ai muscoli, espose nella memoria allegata nell’ articolo quì sopra riferito ,, aver. rico- nosciuto nei vegetabili un’altra forza vitale comune, come le precedenti , agli animali , cioè la contrattilità. Lo che a dimostrare, si appoggiò specialmente ai movimenti che si osservano nella Ba/samina impatiens e nella Momordica elaterium, movimenti a produrre i quali concorrono parti che , se- condo esso , fanno in ciò funzione di muscoli. E tenendo in pregio e come suo proprio questo modo di vedere, fece osservare che, sebbene l’illustre Tournefort abbia detto potersi il frutto e la cassula della Ba/samina riguardare come composta di tanti pezzi che facciano le funzioni di muscoli, pure non ha con- siderato i movimenti che fanno contrarre o accartocciare le valve componenti la detta cassula , se non come effetto meccanico, dipen- dente dall’ elasticità d’ esse valve, sicchè conclude sè essere stato il primo a riconoscere in quei movimenti l’ esercizio d'una forza vita- le, d’ una vera contrattilità. Ed a meglio provare che alla vitalità, non ad una forza mecca- nica, si deve ascrivere la cagione di quei movimenti , il Carradori pensò a trovare un mezzo che togliesse la vita al vegetabile senza offendere l’organizzazione , argomentando anticipatamente che se, estinta la vita ma salvo il tessuto organico, cessasse la contrazione, bisognerebbe necessariamente inferirne essere ella dovuta ad una delle forze della vita. E reputando mezzi non opportuni l’ acqua bol- lente e gli acidi, che avrebbero ammortito l'organismo, preferì l’acqua di lauro ceraso , come una di quelle sostanze che to/gono Za vita con annientare la vitalità. Però, immersi in essa alcuni pezzi di cassula della Balsamina, e comparativamente altri in acqua pura, trovò dopo qualche giorno che , sebbene l’ organismo fosse intatto sì negli uni che negli altri, i primi avevano perduto aftatto la con- trattilità , mentre gli ultimi l'avevano conservata. Indicato con precisione l’ oggetto del Carradori, i suoi mezzi d’ esperimento, e la sua conclusione, vediamo ciò che abbia di co- mune col suo lavoro quello del signor Marcet da noi annunziato nel precedente bullettino. Il sig. Marcet ebbe in animo di riconoscere quale azione eser- citassero sopra i vegetabili viventi diverse sostanze venefiche. Co- minciando dalle minerali, che. uccidono gli animali corrodendo, irri_ 153 ‘tando, o in altro modo che alteri e-distrugga l’ organismo, le trovò, ‘come presumeva , egualmente micidiali per i vegetabili. Passò quindi a sperimentare i veleni vegetabili , e spabratitetve quelli detti non irritanti o narcotici, i quali estinguono la vita animale portando la funesta loro azione sopra gli organi della sensibilità centrale e sul sistema nervoso. Ed avendo veduto che tali sostanze uccidevano co- me gli animali, così anche i vegetabili, si mostra disposto ad am- mettere , contro la più comune opinione , qualche sistema organico hei vegetabili , che rappresenti il nervoso degli animali. Il lavoro del sig. Marcet è dunque totalmente diverso da quello del dot. Carradori. Questi intese a dimostrare nelle piante una for- za vitale di contrattalità , il sig. Marcet prese a riconoscere quale azione esercitasse sui vegetabili viventi un gran numero di sostanze venefiche , fra le quali era accidentalmente l’acqua dilauro ceraso, sola sostanza venefica applicata alle piante dal Carradori, per sapere non già se estinguesse la vita, ma se colla vita estinguesse la con- trattilità. La principale e più importante conclusione del dot. Mar- cet, alla quale sembra diretto ilsuo lavoro , è che esiste nell’ orga- nismo vegetabile qualche cosa che corrisponde al sistema nervoso degli animali. Ora il dot. Carradori non solo non ha diretto le sue ri- cerche a questo scopo, non solo non ne ha dedotto questa conclusione» ma si può dire che tenesse un opinione contraria, e che ben conten- to di provare nei vegetabili l’esistenza d’organi che fanno le funzioni di muscoli , non ve ne ammettesse alcuno che rappresenti il nervoso o senziente. Tanto almeno lasciano supporre alcune di lui espressio- ni, e specialmente quelle ove , parlando della Mimosa pudica , dice — la sua pretesa sensibilità, Mineralogia. Il valore che i mineralogisti dettero ai caratteri esterni fino a fon- dare sopra essi soli il criterio della distinzione delle specie, non di rado fece dividere in ispecie ed anco in generi differenti alcune sos- tanze della stessa composizione , mentre altre di dissimili elementi furono riunite in una specie sola. Per togliere di mezzo tanta con- fusione si ricorse alla idea fondamentale, alla natura cioè della mo- lecola , i di cui elementi componenti essendo la chimica composi- zione , e la forma che è come la rappresentante dell’ equili brio delle forze dei principj , si stabilì il canone che la specie mine ralogica è composta degli stessi elementi combinati nelle medesime pr oporzio- ni , colle stesse forme limiti cristalline. Ma la scoperta del sig. Mit- 154 scherlich che la stessa forma cristallina si prende da certi composti di elementi differenti, ma di atomi in egual numero , e similmente combinati , ha mostrato che si possono mostrare e si mostrano di fat- to sotto il medesimo aspetto sostanze di dissimile composizione ; sic- chè il sistema medesimo di Hauy, col quale si erano, voluti corregge- re gli errori della scuola Verneriana si è trovato da vari accurati mineralogisti chimici affetto di quei medesimi inconvenienti ch’ ei prometteva di eliminare. In fatti le tre specie Pirosseno , Amfibolo e Granato, quali sono stabilite dall’Hauy ed ammesse dai mineralogi= sti della scuola francese comprendono un gran numero di composto differenti formati in un modo analogo , talchè un gran numero di specie da queste sole tre verrebbero a formarsi, quando ben se ne consideri la loro chimica composizione. Per ovviare a siffatto incon- veniente il sig. Berzelius propone nuovamente di classare i minerali «secondo il loro elemento negativo , conservando la divisione in due classi di minerali cioè di composizione inorganica , e di composizione organica. Siccome la maggior difficoltà su tal proposito viene dai minerali di sostituizione isonmorfa, quali sono quelli osservati dal sig, Mitscherlich, il sig. B. propone di collocargli gli uni dopo gli altri,su di che egli osserva ,, che importa meno che si separino o nò i mine- yo rali in specie differenti , purché si sappia ciò che non è perfetta- 3» mente identico , e che nella descrizione speciale del sistema si ac- ;» cennino i limiti, e si mostri che queste specie possono variare al- l’ infinito ,,, Egli ha dato unsaggio di questa classazione , al quale ha aggiunto alcune osservazioni critiche sopra il sistema del sig, Beu- dant, che per essere stabilito sopra un punto di vista più artificiale che naturale, presenta certe riunioni mostruose di sostanze fra loro differentissime , e nonostante collocate l’ una presso dell’altra. Il sig. Bonnard ha trovato la calce fosfata terrosa o fosforite nel- la Valle di S. Tebaldo a due leghe a Ponente di Vitteaux in noduli irregolari dentro un'argilla brunastra con minerale di ferro granula- re, per la quale comunicazione coll’ argilla la fosforite ha uh tatto dolce ed untuoso, mentre che il ferro le comunica qualche macchia ‘e. yvenolina bruna. Una sostanza consimile si trova mescolata alla maggior parte dei minerali di ferro della Cote-d’Or. Il sig. Rose di Berlino ha scoperto in diversi minerali dell’Hartz il Selenio , il quale non era stato trovato se non nella Scozia , in una miniera abbandonata. Uno di questi Seleniuri del sig. Rose è co- stituito dal Selenio e dal piombo , ed è in un filone di dolomia, an altro è un Seleniuro di piombo e di mercurio , 1’ altro è un Selenia- 155 ro di piombo aurifero. Inoltre.il sig. Stromeyer ha trovato il Selenio nello Zolfo rossastro di Lipari, ed il sig. Humboldt presume , che gli Zolfi pesanti di Giava e degli altri paesi vulcanici oftrano questo metallo. Sulle rive della Loira il sig. O/livier ha trovato una cava ferro. titanifera, assai abbondante, la quale contiene più di 10 e un quarto di ossido di titano , e nella quale non vi è traccia nè di cromio nè di niccolo, Fralle arene aurifere di Kuschwa a 250. versti da Eckaterin- burgo, si è trovato del platino, di cui esaminata una pepite contene- va un 20° di ferro , e leggerissima traccia di rame , di iridio e di os” mio. Di alcuni graai dell’Oural presso Ekaterinburgo del volume di un grosso capo di spillo alcuni grigi, altri grigi nerastri, ed altri bianchi, deiqualiun ro* separabile colla verga calamitata,il residuo era compo- sto di ferro con qualche atomo di Platino in lega coll’ Iridio e col- l’ Osmio , i grigi contenevano più della metà del ferro con gli altri tre metalli, i bianchi erano una lega d’ iridio o d’ osmio con un poco di platino e di ferro , ma in nessuno non esisteva il Palladio né il Rodio. L’ Eudialite secondo le osservazioni del sig. Z/Veis sembrava avere un romboedro per forma primitiva acuto di 173°, 23', 54, nel quale le diagonali stanno come #3 : #7. Il sig. Levy con maggio- re esattezza ha trovato però che gli angoli del romboedro son 73° 40. L’ eucroite, secondo i Sig, Lemau è una varietà di rame fosfato in cristalli ottaedri come pure la Libeterite, la quale però è in cristalli più piccoli e verdibruni bottiglia. La Goetite o Pirrosiderite, è secon- do il medesimo, un ferro oligisto lamelliforme ; la Periclina una varietà bruna di Condrodite ; la leucite o Amfigeno di Kaiserstul è, secondo le analisi del Sig. Gmelin, una sodalite ; la Rodomite chia- mata ancora Poticite ed Ollagite una varietà mista di manganese siliciato ; le parti bianche e gialle sono di Tomsonite, le nere d’Idro- pite. Una sostanza in cristalli , le di cui forme derivano dal prisma romboidale retto di cui la base stà all’altezza :: 30 : 11 e proveniente . da Snowdon , di color rosso pallido o rosso ranciato cupo , talvol- ta associata colla Craitonire lamellare è stata esaminata dal Sig. Levy, riconosciuta come nuova, e chiamata Brooke. Farimente 156 il sig. Brevvester ha chiamato Levina una sostanza di Ferroe , la di cai cristallizzazione deriva da un romboedro di 79° 29 , a rot- tura concoidale, a lustro ceroso , bianca semitrasparente , con dop- pia refrazione negativa , che non fa gelatina negli acidi, che bolle col cannello , e che col sale di fosforo dà un globulo trasparente, che col calore diventa opaco. La sarcolite di Tomson, aggregata finora all’analcimo, era stata dal sig. Vauquelin trovata un po’ differente nella sua compo- sizione, ed il sig. Brevvester avendone esaminati i caratteri ottici, gli trovò differenti da quegli dell’ analcimo, e della Cabasia , sicchè avendone il sig. Lenan trovata la cristallizzazione differente, il detto sig. Brevvester ne ha fatta"una nuova specie sotto il nome di Gmeliri- te. La sua forma primitiva è un prisma esagonale regolare sormontato da una piramide a 6 facee troncate. Il medesimo sig. Brevvester ha dato il nome di Vitenite ad un minerale che si trova nella rocce trappee in cristalli raggianti rossi al centro, e di rosso sanguigno alla circonferenza, la figura primitiva dei quali è un prisma irregolare a sei facce , il peso specifico 3,137 astrazione doppia, al cannello si diporta come l’epidoto di Arendale, alla qual sostanza il sig. Haidinger ed il sig. Brevvester l’ hanno riunita facendone una varietà rimarchevole di e pidoto. Pare , secondo le osservazioni del sig. Rose fatte sopra un pez- zetto di farcolite caduta ad Juveuas , che da dei componenti di essa fossero il pirosseno e l’ albita , poichè egli è giunto a superarne que- sti due minerali dalla massa. Di questi due medesimi minerali egli ha trovato che in parte sono formate la pendici delle Ande. Inoltre egli ha trovato perfettamente cristallizzata l’ olivina che riempie le caveruosità del ferro meteorico. Il topazo è stato trovato a Goshen nel Connecticut in un granito, ov'è associato alla tormalina verde, alla clevolandite, allo spodumene in grossa massa , all’indicolite , alla mica rosea, ed alla pirofisalite. Esso è perfettamente limpido. A Franklin, nella N. Jersey si trovano cristalli di zinco ossidato siticifero di 3 poll. di diametro, che mostrano l’andamento della loro natural divisione secondo le facce del cubo. Questo minerale è’ accompagnato dallo zinco ossidato ferrifero lamellare bruno rossa- stro di Huuy, considerato da esso come una varietà dell’ altro so- tai A 197 praindicato , nel quale però il sig. Trorse ha osservato che la sua forma primitiva è un prisma retto romboidale con gli angoli di 80° e 100°, sicchè questa sostanza dee formare una specie a parte. A Munroea, 18 0 20 miglia da Newburgh s1 trovan delle rocce di coccolite verde, e di salite in cristalli impastati nella calce carbonata; a 4 miglia da Greenvood trovasi lo spirello nero in ottaedri. Il ser- pentino , la grafite , la coccolite , la laumonite sono stati trovati a Philipstran, la scapolite a Coldspring, il rutilo a Pittsfeld, a Dalton il pirosseno, a Worcester l’idocraso, a New-Marlbourough la grafi- te, a Wisachioncreek il ferro cromato, a Rode-Island il berillo , a Lancaster-Mass la pinite. E non solo nell'America si vanno ritrovan- do gli stessi minerali, ma inoltre le medesime rocce delle formazioni dell’ antico continente. Geologia. Il sig. dott Schow di Berlino prendendo estesamente in esame la questione se la temperatura dell’ atmosfera sia mutata , dalla in- dole di quei fossili medesimi , che sono invece stati creduti da altri troppo leggermente i documenti di un’ abbassamento notabile, egli rileva che il calore non è probabilmente diminuito nè cangiato sulla terra, e che non è andato cangiando certamente dalla formazione dello stato attuale della terra in quà. Che se volessimo ammettere un qualche raffreddamento, al più, dic egli , potrà concedersi che esso sia accaduto dupo le formazioni secondarie , perchè in queste si ravvisano dei resti di corpi organici consimili a quei de’ tropici. Presso Avalon nella Borgogna il sig. Bonnard ha trovato un calcario secondario dei meno antichi a contatto quasi immediato col grapito più antico. Partendo infatti dalla cima , vi si trova un cal- cario composto analogo al litografico di Francia , quindi un terreno colitico colle conchiglie che ordinariamente lo accompagnano, e colle marne bianche, quindi un calcario ad entrodei, sotto il quale sono dei letti di calcario marnoso con ammoniti e colla gryphdea cmabium , a cui succede il vero calcario a grifiti, che riposa sopra un calcario più fine , più grigio, meno marnoso che comprende il muschel. Kalk de’ contorni di Gottinga, ed il calcario alpino che i Tedeschi chia- mano Zechstein. Fra queste rocce ed il granito non v ha ad Avalon altra formazione intermediaria , se non che una specie di psamnite . | Pare il sig. B.. a forza di ricerche ha ritrovato che se quella manca nel suo stato ordinario e distinto, se ne incontra , per così dire , il 158 germe e la sostanza, poichè nelle parti inferiori dello psamnite s’ in- contrano confusi gli elementi di quelle rocce medesime che mari- cano. Il sig. St. Hichot osserva che nella contea d’ York dentro un deposito di argilla turchina si trovano molti massi primitivi venuti dalla Norvegia, e che al settentrione di Manchester , presso Stran- gewayshall, in un deposito di argilla rossa o bruna, esistono dei massi ‘di granito ec. di cui i banchi originari s1 trovano in posto a Westa- moreland , e forse anco presso Dufton , vale a dire che hanno fatto 80 miglia di tragitto. _ Botanica e Agricoltura. Nel fascicolo dell’Antologia per il mese di agosto scorso alla pa- gina 146. si è reso conto di una prima parte della memoria del meri- tissimo prof. di Botanica Gaetano Savi sulle piante da foraggio spon- tanee in Toscana. Ora essendo venuta alla luce la continuazione di quella memoria, nel giornale di /°isa per il bimestre di luglio e ago- sto , noi ne daremo una breve analisi , raccomandando però la me- moria intiera , ed invitando i possidenti a procurarsela. Le piavte delle quali si occupa il Prof. di Pisa in questa parte sono le bienni e perenni. Il loro numero completo è di 191. delle quali 38. appartengono alle Graminacee, 17. alle Ciperoidee, 3. alle» Tife, 4o. alle Leguminose, 9. alle Ombrellate, 3. alle Cariofille; 6. alle Campanule, 2. ai Rinanti , alle Siliquose , 5. alle Zabiate ; 6. alle Borraginee , 2. alle Malve , 4. alle Robbie , altrettante alle Piantaggini , 7. aì Poligoni , 5. alle Ortiche, 4. alle Rosacee , 6. al- le Cicoriacee, e fiinalmente 6. alle Cinarocefale. Dopo aver dato nota di tutte queste piante, riconosciute più o meno buone al cibo del be- stiame, l’autore passa ad indicare quelle alle quali dovrebbe darsi la preferenza» Incomincia dall’ Antorantum odoratum, detto volgar- mente Pa/eino ; questa pianta vive bene tanto nei luoghi montuosi secchi, quanto ancora nei prati bassi e umidi , ed essendo molto fe- race, può segarsi anche tre volte nel corso di un estate. Due Festuche , cioè l’ ovina e la duriuscula vivono nei Jratigi i più aridi, e vegetano fra i sassi ; si mantengono verdi nell’ inver- no, e danno un ottimo cibo per le pecore Fra le diverse altre graminacee rammentate dal nostro Profes. egli nota il Varduus stricta, e varie specie d’Aira, le quali ha trovate assai vigorose e che avevano formato un ‘buon palmo di terriccio, per la decomposizione delle loro foglie ; nei luoghi i più alti del- i ‘ 159 I”Appennino , sulla cima più elevata del Monteamiata , ec. vale a dire in luoghi oltre ogni credere aridissimi. Anche il Bromus aspes, la Festuca glomerata e arundinacea vivono bene nelle aridissime colline di Galestro ec. delle quali la Festuca glomerata, conosciuta in Inghilterra col nome di Orchard — grass , edi Rough Cocks — fo-' ots grass è riguardata dal Dot. Richardson come la migliore per li prati di monte, L’ Avena elatior è molto usata dagli oltramontani per i prati artificiali, ed il nostro autore rammenta che il Prof. Rè la dichiara ottimo foraggio tanto sola che mista ad altre. Anche la Poa trivia- lis e la Poa pratensi sono indicate come ottime per pastura, e ven- gono riguardate come buonissime a formare vasti prati , potendosi esse segare sei e otto volte |’ anno. | La Loglierella , Zolium perenne, Ray gras degl’ inglesi è da tutti lodata per cibo dei bestiami, e secondo il Prof. Rè da antepor- si a tutta specie di erba nella'formazione dei prati artificiali. Av- verte il professor Savi che questa graminacea non prospera nei ter- reni secchi nè in quelli inondati , ma in tutti gli altri alligna bene ed è fra noi comunissima. Gli agronomi inglesi fanno grandi elogi dell’ Erba Fiorino , Fiorin — grass, che credevasi essere la sola Agrostis Stolonifera ; ‘ma attualmente è stato riconosciuto che con tal nome è stato parla - to non di una sola ma di tre specie, che sono l’Agrostis Stolonifera, Alba, e Vulgaris. Le due prime sono le migliori, e si trovano comu- ni fra noi , tanto nei luoghi palustri , umidi , asciutti , ed aridi ; ed il Prof. Savi dice di averle viste vivere perfino nei muri a secco. Si può incominciare a segare questa pianta nel mese di ottobre , e con- tinuare fino ai primi di marzo, di maniera che può esser dato cibo fresco ai bestiami per tutto l’ inverno. La facoltà nutritiva del Fio- rino paragonata al migliore foraggio sta come 54 : 35., e le vacche nutrite col fiorino hanno il latte più denso di quelle nutrite con qual - sivoglia altra erba nel rapporto di 4 : 3. Non essendo a notizia del Prof. Savi, nè nostra ; che in Toscana sia stata fatta alcuna prova sulla coltura di questa tanto decantata pianta , vien desiderato che | qualche intelligente proprietario ne intraprenda la coltura , e per | facilitarne la conoscenza e farne acquistare la specie, il sig. Savi ne esi- . bisce dei pollonie del seme ; egli aggiunge che una volta conosciuta 3 è facilissimo il procurarsene molte piante , ed il seme, trovandosi | essa dappertutto. Le Ciperacee non danno alimento così buono come le gramina- | ce, pure le bestie bovine le mangiano. Fra le ZLe&uminose , due sono fra noi coltivate ; la Medicago 160 Sativa, o Erba medica, e l’Hedysarum Onobrychis, o Lupinella, Al- la prima fa alcune volte un danno considerabile la pianta parasita Cuscuta europea, conosciuta volgarmente sotto il nome di Pittima;' Granchierella , Tarpigna e Lino ginestrino ; sono proposti due metodi per estirparla , dei quali il migliore e più spedito è quello di bruciarla sul terreno , avanti che abbia fruttificato. Oltre queste due specie leguminose, sarebbe interessante il pro- vare in Toscana la cultura delle due indigene Medicago lupulina e prostrata. La prima è stata coltivata con profitto in Francia e in In- ghilterra , e gli agricoltori di Norfolck 1’ hanno chiamata one such o senza pari. L'altra specie la prostrata, non è ancora stata coltiva» ta, ma pare che debba riescir bene, Fra i Trifogli perenni vien rammentato vantaggiosamente il Trif. pratense repens, elegans, ochroleucon ec. e fra i Meliloti l’Of-. ficinalis , e l Officinalis Alba . Trai Latyrus il pratensis è da Young preferito a tutti gli altri foraggi di leguminose , sì perla qualità ; che per la quantità del prodotto. Delle Ombrellate il Pastinaccino , o Daucus Carota Sylvestris ha credito di accrescere il latte alle pecore ed alle vacche, e di dar- gli buon sapore. Fra le Rosacee il Poterium Sanguisorba o Salvastrella, Erba stella, Volg. potrebbe in qualche circostanza esserne: utilmente coltivato, e fra le Cicoriacee il Radicchio, Cycorium intibus me- rita particolar riguardo , nascendo ovunque , e potendo esser taglia- to più volte. Termina la memoria il Prof. Savi con accennare le piante esotiche coltivate per pastura, e rammenta le Patate, Solanum tuberosum ; i Tartufi di canna o Topinambur, Helianthus tuberosus, e indica V'Er- ba di Guinea, Paricum maximum, stata proposta per introdursene la coltivazione; ma conclude che quantunque sia cosa utilissima acquistare nuove piante per i nostri bisogni , è prima necessario di trarre tutto il partito possibile dalle nostre indigene. Da ciò che abbiamo ora accennato e da quello che dicemmo al- tra volta resulta , che il totale delle piante da foraggio toscane in- dicate dal Prof. Savi ammonta al considerabile numero di 319. ; e. se si considera che molte di esse vivono in terre ed esposizioni diver- se , facilmente si conoscerà , che fatte prima alcune prove, noi po-. tremmo estendere considerabilmente i prati artificiali , dei quali : certamente vi è scarsezza in Toscana. Il sig. Desfontaines aveva rilevato, nella sua bella memoria sull’ irritabilità degli organi sessuali delle piante, the i moti dei 161 pistilli son meno comuni e meno apparenti di quelli delle stami- gne , quasi che, dic'egli, la legge che porta in generale i maschi degli animali a cercare le femmine, si estenda anche alle piante. In fatti non pare che fin quì fosse noto potersi destare a piacere dei movimenti di contrazione negli stili e negli stiymi. Ma recentemente il sig. Braconnot, facendo le lezioni di ho- tanica nel Giardino delle Piante di Parigi, osservò con sorpresa dei moti distintissimi negli stigmi del Minz/us glutinosa Wild. Mimulus aurantiacus Curtis Mag. Questo stigma è formato di due lame orbicolari, bianche , assai lontane una dall’altra. ‘Toccando leggermente con una punta il labbro superiore di questo stigma, si ripiega sensibilmente in basso. Determinando la stessa irrita- zione sul labbro inferiore, tosto si scuote, descrive più di un quarto di cerchio, e va ad applicarsi esattamente al labbro su- periore , presso a poco come i due lobi della Dionaea muscipula, Siccome ordinariamente si trovano degl’insetti nel fiore dei Mi- mulus, è da credere che restino presi allorché irritano il suo or- gano esterno femminino, Anche gli stigmi del Mimulus guttatus. Decandol. presentano i fenomeni stessi, Il sig. Braconnot si è assi- curato che l’irritabilità è indipendente dal resto del pistillo. In- fatti lo stigma del Mimulus reciso sotto l'inserzione dello stilo, ha conservato l’attitudine a contrarsi per li stimoli meccanici ed anche chimici. Il sig. Boussingault ha analizzato la materia infiammabile che si raccoglie nelle Ande di Quindiu sul tronco d’una specie di palma, che i sigg. Humboldt e Bompland hanno fatto conoscere sotto il nome di Ceroxilon andicola, materia che nel paese è chiamata Cera de palma. Già una piccolissima quantità di que- sta materia, portata a Parigi dai lodati viaggiatori naturalisti, era stata esaminata dal sig. Vauquelin, cui era sembrato riconoscervi della vera cera, simile a quella delle api. Ora il sig. Boussin- gault si è assicurato che la Cera-de-palma non contiene vera cera, ma è una specie di resina, a cui nel paese che la produce si me- scolano dei grassi animali, o della cera vegetabile, per farne una mestura atta a formarne candele. Forse era così mescolata quella che il sig. Vauquelin potè esaminare, altronde in quantità picco- lissima, Il sig. Fischer, farmacista a Frohbourg, raccomanda l’uso del carbon fussile come ingrasso , stato già proposto, ed anche impiegato. T. XX. Ottobre. II 162 Il sig. Menni di Lecce nel Regno di Napoli, membro corri- spondente di quel R. Istituto, hà fatto conoscere alcune partico- larità intorno all’ Hypericum crispum L. detto nel paese Fumolo , di cui è generalmente nota in quella provincia , ed era stata fino dal 1787 annunziata dal prof. Cirillo nel suo libro intitolato Fun- damenta botanicae , la singolar proprietà di avvelenare le pecore bianche. Secondo il sig. Menni, il Fumolo comincia a divenir ve- lenoso verso la fine d’ aprile. Se le pecore che si mandano la mat- tina alla pastura , nel mangiare altre erbe, toccano colle labbra il fumolo coperto ancora di rugiada, vi provano nel momento una sensazione penosa, che le porta a fregar le labbra e le mascelle contro tutte le parti del loro corpo , ove diffondono il male così rapidamente, che in pochi giorni la loro lana è corrosa, la loro fac- cia si gonfia e si pela , e questi accidenti si ripetono su tutte le parti toccate dalle labbra. Ben presto si manifesta in questi animali un mal’ essere generale , perdono la vista e l’appetlito, i più muo- iono in due settimane in mezzo alle convulsioni, e gli altri non si ri- stabiliscono se non dopo aver languito più mesi. Anche altri scrittori concordano la circostanza singolare che le pecore nere non risentono lo stesso danno dal faumolo, e alcuni soggiungono che vi sono soggette soltanto quelle di razza perfe- zionata. Sembra che la materia velenosa esista nel fiore, e che abbia bisogno di mescolarsi alla rugiada per potere insinuarsi nella super- ficie esterna delle mascelle e delle labbra degli animali. Però vien consigliato di lavar immediatamente la faccia, ove sieno attaccate da quel male. Si afferma ancora l’Hypericum non esser nocivo dovunque nasca, ma solo nei campi bassi ed umidi, Un giornale tedesco riferisce che ad un proprietario coltiva- tore , il quale aveva tentato inutilmente tutti i mezzi imagina- bili per esterminare un’ immensa quantità di puntarol, che in- festavano i suoi granai, danneggiando il grano che vi era conte- nuto, il caso ne ha segnato uno efficacissimo. Una certa quan- tità di foglie di tabacco essendo stata riposta cinque anni addie- tro in quel granaio per asciugarsi, l’odore di questa pianta ne scacciò quegli animali in modo, che da quel tempo non vi sono più ricomparsi. Il giornalista deplora l'impossibilità d' applicare generalmente questo rimedio , aggiungendo che i puntarolî hanno molta obbligazione al sistema proibitivo del tabacco. Il sig. Staél ba importato dall'Inghilterra nella Svizzera un nuovo strumento agrario ebiamato aratro-ta/pa , destinato a for- 163 mare dei condotti sottérranei , capaci di procurare nei terreni bassi ed umidi uno scolo alle acque; e di render sane le praterie so- verchianiente umide. Il Coinitato d’agricoltura di Ginevra, cui era stato fatto un rapporto intorno a questo strumento , e pre- sentatone un disegno con note esplicative, ha desiderato di ve- derlo mettere in opera. Il sig. Staél avendolo messo a disposi- zione del Comitato, ne è stato fatto l’ esperimento a Bel-air, in un prato appartenente al Consigl. Naville, ed il successo ha sor- passato l’aspettazione in terreni prativi. L'acqua è scolata in ab- bondanza e lungamente per i canali che l’aratro aveva formati. Nelle stoppie l’ esperimento non ha avuto lo stesso successo , per essersi i canali prontamente ostruiti. Frattanto il Comitato ha de- cretato la costruzione d’ uno di tali aratri come modello, ed an- che per uso dei membri, differendone bensi l'esecuzione dopo un rapporto più circostanziato che attendeva dal consiglier Naville, ed in seguito delle ulteriori operazioni che avranno luogo fino al giorno di quel rapporto. Plantarum Brasiliensium Nova Genera et species novae, vel minus cognitae. Collegit , et descripsit Iosephus Raddius. Pars I. Florentiae 1825. Annunziamo con piacere ai nostri lettori la pubblicazione della prima parte di questa interessante opera , la quale , oltre le speci@ affatto nuove alla scienza, ne contiene molte altre già da vari bota- nici alquanto imperfettamente o troppo brevemente descritte. L’ au- tore ha di più illustrate e corredate d’una esatta figura quelle , che ne mancavano interamente , o le figure delle quali state dai Botanici fin qui esibite erano in qualche maniera difettose. .In questa prima parte il nostro Autore ci presenta le descrizioni di 156. specie di piante , compresevi nove varietà , appartenenti tutte a quella fami- glia , che i botanici chiamarono già col nome di felci , e che l’ Auto- re medesimo , ad esempio dei celeberrimi De Candolle, Swarz e Willdenow, divide in tre distinte famiglie , cioè: , in Rizosperme, in Felci propriamente dette, e Licopodine. 97 tavole litografiche espri- menti le nuove specie, egualmente che quelle sopra enunciate, servo- no di corredo a queste descrizioni, dalle quali si rileva , che due so- noi generi nuovi , e ottantanove le specie, con più le varietà ap- partenenti alle medesime. Nè il libro annunziato riuscirà di grande interesse ai soli bota- nici ; moi speriamo che tutti i toscani vi riconoscano una prova-lu-, minosa dei buoni effetti di quello spirito d’ associazione che svilup- 164 i patosi finalmente tra noi potrebbe dar vita a grandiosi e mirabili ri- sultati. Rammentiamo a tale effetto che l’opera del sig. Raddi si pub- blica a benefizio dell’ Autore ed a spese d° ottimi suoi concittadi, nè vogliam tacere del valido aiuto che questi riceveranno dall’ opra gratuita che alcuni dilettanti dell’arte del disegno impiegarono in vantaggio dell’intrapresa patriottica ehe abbiamo con plauso an- nunziato. i; Zoologia. Nello stesso sopra citato bimestre del Giornale pisano il prof. Paolo Savi , figlio del lodato prof. Gaetano ha pubblicato nuove illustrazioni dei prodotti Toscani. Riguardano esse alcani uccelli del gen Sylvia, che il giovane professore ba esaminati tanto dal lato delle descrizioni che da quello dei loro costumi. La prima specie della quale parla è la Sy/via subalpina Tem. e Sylvia Leucopogon Meyer. Il Prof. Bonelli di Torino fu il pri- mo a descrivere nel 1820 la Suba/pina , che fu figurata da Tem- minck nel primo fascicolo delle sue Planches cotoriées d'Oisceaux. In seguito il sig. Meyer descrisse e figurò una Sylvia Leucopogon che il sig. Temmink riguarda come identica con la Sy/wa subalpina, attribuendo le differenze di colore che presentano all’ esser consu- matele penne del petto nella leucopogon. Il Sig. Savi, possessore d’in- dividui toscani dell’una e dell’altra , tiene diversa opinione da Tem- minck , ed appoggia questa a delle osservazioni innegabili: onde egli piuttosto crede, o che siano due specie distinte, ovvero che questa specie di Sylvia sia soggetta ad una doppia muta , come si osserva in uccelli di altri generi. In una gita de sé fatta al Golfo della Spezia , nel giugno passato, il prof. Savi trovò in quelle parti molte Sylvie leucopogon , che dagl’ indigeni vengono chiamate Sterpole, ed ebbe luogo di osservarne le abitudini, il fischio, e la nidificazio- ne , quali cose tutte descrive minulamente nella sua memoria. Oltre questa specie interessante , trovò alla Spezia altre specie d’ uccelli rari altrove , come per es. la Saxicola chachinnans, Cypselus alpi=" nus ec. L’ altra specie di Sy/via presa ad illustrare è la Sylvia Bonelli Vieill. (Sylvia Nattereri Tem.). Fu dal Sig. Vieillot chiamata Bonelli in onore dello scuopritore , giacchè il primo a distinguerla dalle altre congeneri fu il sig. Prof. Bonelli nel suo Catalogo degli uccelli del Piemonte : Temminck le diede il nome di Mattereri in riguardo al viaggiatore naturalista Natterer, che la trovò nelle vi- civanze di Algeziras in Spagna. Ambedue gli autori mentovati de- 165 scrivono questa specie, ma niuno ne fa conoscere 1 costumi. Il prof. Savi, oltre una dettagliata descrizione dell’uccello , si trat- tiene a notare le osservazioni da lui fatte , fa conoscere che questa specie è comune nell’ estate in Toscana, che nidifica sulle monta- gne nostre , quindi nell’ autunno scende in pianora , e dipoi s’ in- cammina verso il mezzogiorno: pare che vada a passare l’ inverno in Affrica, avendo il prof Savi ricevuto un individuo di questa specie dall’ Egitto, ucciso appunto in tale epoca : ritorna in Toscana in aprile , e va a nidificare principalmente sotto le felci. Essendosi procurati altri individui della Sy/via luscinioides, nuova specie da lui descritta , ed intorno alla quale abbiamo tratte- nuto i nostri lettori, torna a descriverla dettagliatamente, ne dà anche una Figura sufficientemente esatta, e novera le differenze che passano fra questa e la Sy/via fMuviatilis, altra specie non sta- ta ancor trovata in Toscana. Quantanque rara, la Sylvia lusci- nioides nidifica fra noi , avendone il prof. Savi avuto un individuo poco prima sortito dal nido. La Fauna francese, che si pubblica attoalmente in. Parigi, ri- scuote a giusto titolo |’ approvazione degli scienziati, e solo duole ad essi di non vederla pubblicata ad epoche fisse, e 1’ une all’altre più vicine. Fino ad ora non sono pubblicate che 140 tavole ( delle 800 e più che sono promesse a opera finita ), e soli sette fascicoli*di de- scrizioni. Esporremo francamente la nostra opinione tanto su quelle che su questi. i Le Tavole degl’ Insetti Coleotteri, Imenotteri, Araneidi , quelle delle Conchiglie, Pesci, e Rettili ci sono;sembrate oltremodo esatte, e bene eseguite, ma quelle dei Lepidotteri e degli uccelli ci paiono in- feriori alle altre : i colori ordinariamente sono troppo oscuri, e gli esemplari dai quali sono state copiate non ben preparati: eppure gli editori aveano dei buoni modelli da imitare — Les Lepidoptéres de France del sig. Godart, e les Planches coloriées des Oiseaux dei sigg. Temmink e Laugier. Se noi abbiamo esternato questo non fa- vorevole parere su quelle, ci compiacciamo di dichiarare che abbia- mo riconosciute perfettamente eseguite ‘quelle degli Imenoteeri ; Ortopteri , Arancidi ec. tanto per l’ esecuzione , che per la scelta e preparazione degl’ individui modelli. Noi desideriamo che ricono- sciute esatte le nostre osservazioni sopra le tavole degli uccelli , e soprattutto dei Zepidotteri , siano emendate quelle inperfezioni, e le tavole successive di questi animali siano simili in perfezione alle altre. Dei sette fascicoli di descrizione già pubblicati, due riguardano 166 gli Uccelli, uno i Pesci, uno gli Araneidi e tre gl’ Insetti. I due fa- scicoli degli uccelli sono del sig. Vieillot, autore di altre contempo - ranee opere ornitologiche. Ci duole di vedere che la formazione dei generi non è denbina, con quella dei generi dell’ ornitologia france - se , di cui è autore lo stesso sig. Vieillot ; noi credevamo o uno il sil pubblica contemporaneamente due opere , in sostanza simili , dovesse avere bastantemente fissate le basi del suo sistema , da non variarlo a ciascuna ; non vi è cosa che trattenga e scoraggisca tanto nello studio delle scienze naturali, quanto.il veder cambiati con tan- la facilità i nomi di genere e di specie. Del sig. de Blainville sono le descrizioni dei Pesci; ci sembra che egli abbia benissimo corrisposto all’ aspettativa del pubblico con le sue chiare e dettagliate descrizioni. Il fascicolo che riguarda gli Araneidi è del sig. Walknaer , il più istruito che si conosca in questa parte d’ entomologia , ed è per- ciò trattata questa branca magistralmente da esso. Le descrizioni de Lepidotteri sono del sig. Lepelletier Saint Fargeau, e ci paiono bastantemente ben fatte, ma ci troviamo alcune omissioni ; p. e. ci mancano le /’apilio Alexanor, Phocbus, Rumina, lassius, specie tut- te che si trovano sul suolo francese. Crediamo ancora che non saran- no ammesse le tante varietà dell’ Iris date dal sig. Lepelletier per specie distinte, 1 due fascicoli che riguardano gl’ insetti Coleotteri e Imenotteri lavoro del sig. Serville, sono assai ben fatti, e le divisioni da esso indicate per la facilitazione dello studio delle Z'entredinee sono as- sai comode ; pure sembra che abbiano dato luogo ad alcuni sbagli : p. e. noi abbiamo veduto che la Tenthredo rustica fem. è in una di- visione, ed il maschio sotto nome di Tenthredo carbonaria in un altra: tutte due appartengono certamente alla stessa specie, nono- stante che dica il contrario Fabricio, essendo state molte volte tro- vate accoppiate dal sig. Spinola ; e noi stessi ogni anno ne abbiamo vedute moltissime così unite. Questa fauna , per il suo sesto in ottavo’, per la vastità degli oggetti che abbraccia , per la mediocrità del prezzo, e per l’accu- ratezza colla quale è in generale eseguita, è sicuramente una delle opere più adatte a far progredire le scienze naturali in Europa: per questo noi desideriamo maggior sollecitudine nella sua pubblicazio- ne successiva. / i 167 INVENZIONI E NOVITÀ. Si dice che un vascello farà il tragitto dall’ Inghilterra alle rive del Gange in meno di tre mesi. Questo è un bastimento a va- pore , nominato l’/ntrapresa, che è partito da Falmouth il dì 16 d’agosto ultimo , con un gran numero di passeggieri. Il suo ca- rico è di 500 tonnellate. La macchina a vapore che lo fa muovere è della forza di 62 cavalli. Le caldaie sono di rame e si estendono ‘în tutta la larghezza del vascello ; vi sono 7 fornelli di ) piedi di. profondità. Il meccanico, che si chiama Maudslay , ba inventato un processo ingegnoso per cambiar l’ acqua delle caldaie , onde preve- nire qualunque deposito di sale e di sabbia : egli ha anche costruito una tromba , che per gli usi diversi ai quali serve può dirsi uni- versale : finalmente una specie di carro mobile serve a portare il carbone dovunque bisogni. Questo bastimento impiegherà le sue vele quando il vento lo permetterà , ma si muoverà principalmente per l’ azione del vapore. Per fare il viaggio dell’ Indie non gli bi- sogna meno di 300 tonnellate di carbone. Una parte di questo combustibile è contenuta in stanze disposte sui fianchi del vascello , e difisa da una copertura di ferro, il resto è nel fondo del ba- stimento in grandi vasi , che saranno riempiti d’ acqua a misura che se ne caverà il carbone , e ciò per non indurre cambiamento nel carico. Vi sono 20 camerini, ma non rimane posto per prendere del carico. L’ arrivo al Canadà di due bastimenti che venivano diretta- mente dalla China farà epoca negli annali del commercio , essendo essi i primi che abbiano fatto questo tragitto in un modo così di- retto. Partiti dall’ Inghilterra il dì 24 agosto 1824, hanno fatto il viaggio di Canton in cinque mesi , ed altrettanto tempo hanno im- piegato per portarsi da Canton al Canadà. Il loro carico consisteva in 16,000 casse di Tè , ed appartengono alla Compagnia dell’Indie. Nella seconda battaglia data dai Birmani agl’inglesi presso la città di Rangoun, con un'armata di 50,000 uomini che vole- vano cacciarne le truppe inglesi, Za Diana, bastimento a vapore comandato da un Tevente di vascello, ha manuvrato nel fiume contro una flotta di battelli da guerra nemici. La potenza del vapore ba portat» questo bastimento con tanta rapidità in mez- zo ad essì , che a malgrado della loro superiorità nell’ uso dei remi non hanno potuto scamparne , cosicchè investiti da esso con una 168 A forza irresistibile, di 3 battelli 30 sono stati rovesciati, spezzati!, disarmati, presi, o gettati a fondo. Per farsi un’ idea della po-_ tenza necessaria a produr tali effetti, convien sapere che i bat- telli da guerra dei Birmani riuniscono alla struttura dei canot la lunghezza dei nostri vascelli di linea , avendo non meno di 80 piedi di lunghezza sopra 7 di larghezza; che sono armati di 50 remi coi quali fanno due leghe all’ ora , e che ciascuno di essi porta fa- cilmente 150 uomini pronti a combattere. L’ eleganza di tali bat- telli non è minore della loro velocità , essendo dorati al di fuori, e tinti di rosso al di dentro. Una flotta di 32 di questi battelli do- veva portare almeno 4,000 uomini. 1 sigg. Seguin d' Annonay che furono i primi a costruire un ponte sostenuto da corde di filo di ferro ( vedi Antolog. N. XXXIV. ottobre 1823. pag. 182.), hanno ora diretto la costruzione d’ un s mile ma molto maggior ponte sul Rodano fra Tain e Tournon, che è stato aperto al pubblico servizio fino dal dì 25 agosto ul- timo, giorno di S. Luigi. Le prove fatte per riconoscerne la so- lidità hanno dato nel giorno 22 alimento alla curiosità d’ una folla di spettatori, i quali non hanno veduto senza sorpresa questa leggiera costrazione, caricata successivamente di 11, 26,45, e 58 mila chilogrammi; annunziare soltanto con leggiere inflessioni nella sua carva l’effetto di questi diversi pesi, poi riprendere la sua forma subito che era ristabilito l’ equilibrio. Questo carico era al- lora doppio di quello indicato per esplorarne la forza, e ciononostante un poco inferiore al peso di 200 chilogrammi per metro quadrato , che è stato preso in Francia per limite di quello che simili edi- fizii sono destinati a sostenere. I sigg. Seguin, per mostrare la loro intera sicurezza nella solidità dell’ opera loro fecero traver- sare il ponte da due carri gravemente carichi di pietre : il ponte non provò altra inflessione ; vi fu solo quel piccolo ondeggiamento che è inerente a simili costruzioni, e di cui non ci si accorge che standovi sopra. L’entusiasno degli spettatori giunse al colmo quando fu veduto in seguito passare una vettura da trasporto tirata da 7 cavalli , senza cagionare maggior commozione o inflessione di quella che il ponte aveva risentito nella prima prova. Ecco dunque costruito in soli 15 mesi, è colla spesa di soli 200 mila franchi, un ponte sul Rodano, adattato a qualunqae uso , e che riunisce ad una grande solidità una leggerezza ed una sveltezza di cui la vi- sta sola può dare un’ esatta idea. Un ponte egualmente sospeso a corde di fil di ferro si me- dita di costruire a Pisa per stabilire una quarta comunicazione 1,69 fra le due rive dell’ Aruo in un punto intermedio ai due ultimi dei tre ponti che cavalcano il fiume dentro quella città. Già di alquanti mesi l’ abile architetto ed ingegnere sig. Ridolfo Casti- nelli, previi gli opportuni esperimenti sulla tenacità dei fili di ferro, ed i calcoli relativi, ha non solo determinato la forma, le proporzioni, ed ogni altra particolarità del ponte da costruirsi, ma ne ha fatto eseguire un modello di legno, bastantemente grande, per dare una chiara idea della struttura, non meno che deli’ ef- fetto che dovrà produrre sì alla vista che nell’ uso. S.A.I.e R. il Granduca, che fino dal passato mese di marzo si degnò osservare questo modello, ha con Sovrano Rescritto per - messo l’esecuzione del progettato ponte, ad effettuare il quale ormai null’ altro manca , se non che il patriottismo dei Pisani gli animi a completare con numerose soscrizioni le somme necessarie ad arricchire la loro città d’un nuovo ornamento , ed il pubblico d’ un nuovo comodo. i Col seguente facil processo si prepara in Germania una carta che serve a pulire dalla ruggine gli oggetti di ferro e di acciaio. Si prende della pomice, e dopo averla fatta seccare al fuoco, si polverizza , indi si macina con vernice d’ olio di lino , delia quale si aggiunge in seguito la quantità necessaria a dare al me- scuglio la liquidità conveniente per distenderla sopra una carta con un pennello. Si possono dare con diverse materie diversi co- lori alla mescolanza, che bisogna stendere sulla carta più egual- mente che sia possibile, e farla asciugare all’aria. Asciugato il primo strato, se ne applica un secondo. Quelli che fanno com- mercio di questa carta , seccata che sia, la passano sotto un ci- lindro, per renderne più eguale la superficie. Il dott. Fuchs dell’Accademia delle scienze di Monaco è giunto a rendere incombustibile il legno, rivestendolo d’un eomposto di terra arenosa e d’alcali. Egli forma questa mestura facendo scio- gliere fino a saturazione della terra arenosa , precedentemente la- vata e purgata dalle materie estranee, in un liquore alcalino cau- stico. Essa non è scomposta nè per l’azione dell’aria nè per quella dell’ acqua. Stesa sul legno, vi forma uno strato vetroso , che re- siste a quei due agenti. Il Comitato delle costruzioni del teatro reale ha fatto eseguire un esperimento comparativo sopra due sale da spettacolo in compendio, di sei o otto piedi di lunghezza , e di larghezza ed altezza proporzionata, delle quali una preparata | | | ear È: | | | | 179 col mescuglio incombustibile , l’altra no. Il fuoco ha consumato questa e lasciato intatta l’ altra. ‘ Il burfto, salubre e grato alimento, è facilmente soggetto ad alterarsi, divenendo rancido. Sembra che sia causa di questa alterazione una certa quantità degli altri materiali del latte di- versi dal burro, e rimasti con lui. Il sig. Opoix ha insegnato il seguente processo per preservare il burro dall’irrancidirsi. Si prende il burro fresco, e postolo in una casseruola ben stagnata con un peso d’ acqua doppio del suo, si scalda dolcemente finchè sia li- quefatto. Allora si agita fortemente con un mestolo, per deter- minare il contatto successivo di tutte le parti del burro coll’ ac- qua , la quale ne separa i materiali estranei. Cessando d’agitare, il burro sale alla superficie, ove per il raffreddamento si rappi- glia formando una crosta, rotta la quale si fa sortire il liquido sottoposto, che è bianchissimo e latteo. Si ripete l’ operazione due o tre volte con nuova acqua, e finchè questa esca ben chiara. Spogliato così d'ogni materia estranea , il burro si conserva inal- terato un tempo assai lungo. Questo processo, che il sig. Opoix annunzia come muovo, probabilmente credendolo tale, era già stato descritto nel Dizio- nario di agricoltura di Deterville. Alla sezione di farmacia dell’Accademia di medicina di Parigi è stato fatto dal sig. Robiquet un rapporto sopra un nuovo pro- cesso molto comodo per produrre artificialmente del ghiaccio in qualunque stagione. Questo processo , che appartiene al sig. Cowr- demanche farmacista a Caen, consiste nel mescolare insieme in un piccolo barile cinque libbre di solfato di soda polverizzato, con quattro libbre d’ acido solforico a 36 gradi. Questo mescu- glio è capace di congelare subitamente una piccola quantità d’ac- qua contenuta in un vaso immerso nel mescuglio stesso. Una quan- tità maggiore d’acqua richiede per congelarsi che si rinnuovi più volte la mescolanza. Questo processo fondato sopra leggi fisiche ben note può riuscire utile e comodo in molti casi. Però ha ri- scosso l’ approvazione dell’Accademia suddetta. Il sig. Mill, avendo fatto pescare dei piccoli sermoni ,-la maggior parte dei quali erano lunghi 4 pollici, all’ epoca in cui questi pesci ritornavano al mare, li fece tosto mettere in un vi- vaio di 100 piedi in quadrato , e fondo tre o quattro piedi, spal- I 6, J mato d’argilla, e mantenuto da un filo d’acqua che vi affluiva. ‘fre anni dopo egli trovò in questo vivaio tre sermoni lunghi 8 pollici, che sembravano in buono stato di salute, benchè un poco magri. Dal che sembra potersi arguire che sarebbero probabil- mente arrivati alla loro grandezza naturale se si fossero trovati in una massa d’acqua più considerabile e più conforme alle loro abitudini, e se avessero avuto un nutrimento più abbondante. Se questi fatti sono esatti, provano che sarebbe facile naturaliz- zare i sermoni nei laghi e negli stagni d’una certa estensione. L’ 1. R. Accademia de’ Georgofili, nel giorno 25 del mese di settembre tenne l’ annua solenne adunanza. Fu aperta , secon- do l’uso; colla lettura che vi fece il segretario degli atti sig. Marchese Cosimo Ridolfi della storia dei lavori accademici , ana- lizzando le molte memorie lette nel corso dell’ anno da diversi .socii ordinarii, non poche delle quali vertenti sul commercio fru- mepntario. Fu udito in seguito il rapporto del segretario delle cor- rispondenze sig. dot. Ferdinando Tartini Salvatici, dal quale ri- sultò che anche alcuni socii corrispondenti avevano preso parte alla indicata celebre questione, inviando diversi scritti tendenti a dilucidarla. Indi il sig. cav. Francesco Inghirami pagò un giu- sto tributo di lodi alla memoria del socio emerito abate Luigi Fiacchi, mancato recentemente alle lettere, e pianto tuttora dai suoi Colleghi. Il sig. prof. Ottaviano Targioni Tozzetti , direttore dell’ orto sperimentale, esibì il consueto rapporto dell’ esperienze fatte nel cadente anno, le quali presentarono significantissime particolarità dipendenti dall’ eccessiva e straordinaria siccità delle stagioni. Quindi in nome della Deputazione ordinaria il sig. Av- vocato Collini diede ragionato ragguaglio di tutte le memorie ve- nute al concorso in risposta al quesito pubblicato l’ anno scorso, annunziando il giudizio proferito intorno ad esse dalla deputa- zione, e per il quale il premio veniva diviso infra due memo- rie, fatta onorevol menzione d’una terza, indicate ciascuna colla epigrafe respettivamente appostavi. Allora , aperti i biglietti sigil- lati, sull’esteriore dei quali le epigrafi stesse erano ripetute, fu riconosciuto che delle due memorie premiate una apparteneva al sig. Avvocato Aldobrando Paolini, P altra al sig. Lorenzo Corsi ingegnere in Val di Chiana, essendo la terza del sig. dot. Giu- seppe Passeri medico condotto a Colle di Val d’ Elsa. Finalmente furono annunziati i due seguenti programmi di premi, il primo dei quali era stato messo a disposizione dell’Accademia dalla generosi- tà delbenemerito suo Presidente, S. E. sig. March. Garzoni Venturi. 172 Primo programma. 3» Poichè l’esperienza ha fatto conoscere che vi sono in To- », cana dei terreni i quali si ricusano costantemente alla produ- zione della /upinella , e segnatamente quello che volgarmente 3) chiamasi focaiolo , l'accademia conferirà un premio di zecchini venticinque a chi mostrerà d’ aver trovato il modo di vincere » la natural resistenza di questo terreno alla vegetazione della lu- », pinella, o d'altro non meno util foraggio, e ne additerà i mezzi ,,. Le memorie , i documenti, ed i recapiti dovranno esser rimessi al segretario per la corrispondenza a tutto luglio 1826 fregiati d’un epigrafe da ripetersi sopra un biglietto sigillato che conterrà il nome e il domicilio dell’ autore. Secondo programma. », Se l’uso comune di solcare i campi seminati sia utile o dan- 3) noso alla rastica economia , e reputandosi utile, qual sia nelle »» diverse terre, esposizioni, e semente la giusta proporzione da »3 Stabilirsi fra l’area da occuparsi dai solchi e quella da rila- » Sciarsi alla produzione ?,, Gli scritti dovranno esser rimessi al segretario per la corri- spondenza a tutto luglio 1827, osservate le forme prescritte per l’altro concorso. Accademia Valdarnese. Quattro adunanze letterarie ha te- nuto quest’ Accademia nei tre mesi di luglio, agosto, e settem- bre del corrente ayno, la prima nel dì 14 luglio in Montevarchi, la seconda nel dì 22 agosto in S. Giovanvi, la terza nel dì 5 settemb. nuovamente in Montevarchi,la quarta il 26 dello stesso mese in Ter- ranuova. In ciascuna di esse furono lette da varii socii diverse prege- voli composizioni in prosa ed in verso , oltre le quali, nell'ultima il sig. dot. Giov. Bat. Dami presentò e fece conoscere un modello d’ un nuovo ordegno da sè imaginato in supplemento alle lunghe pertiche usate fin qui dai barocciai, e proibite colla recente notificazione del dì 19 agosto 1825; il quale ordegno consiste in un asta biforcata e ferrata nei due corni inferiori, la quale è imperniata fra due staffe di ferro in mezzo alla traversa raddoppiata che unisce le stanghe sul davanti del baroccio . All’ estremità superiore dell’asta stessa è attaccata una corda , che dopo esser passata a traverso del baroccio nel senso della sua lunghezza , entra in una puleggia 1753 fissata alla traversa di dietro. Tirando questa corda per mezzo d’un argavetto o in altro modo, si vengono a comprimere più o meno fortemente a terra i due corni inferiori e ferrati dell’asta , con che si ottiene il doppio effetto, e d’una leva che toglie /’ac- collo alla bestia da stanghe, e di due scarpe che , difficultando la discesa, rattengono il moto accelerato delle ruote. La Società italiana dei quaranta per le scienze , che aveva già perduto uno dei suoi membri nella persona del cav. Erme- negildo Pini, di cui si fè parola nel N°. 50 di questo giornale , feb- braio 1825, pag. 167, e più recentemente d’un’altro nel prof. Anton Maria Vassalli Eandi, di cui fu onorata la memoria nel n°. 55, laglio 1825, pag. 177, ba eletto in luogo del primo il sig. prof. cav. Giuliano Frullani direttore dell’ ufizio del Catasto, e si occupa attualmente dell’ elezione d’ un successore al secondo. I. R. Istituto di Milano. Adunanza del dì 21 aprile. Il sig. Inspettore Breisla4 lesse la prima parte d'una memoria sull’ ap- plicazione delle ipotesi geogoniche alla classificazione geognosti- ca delle rocce. Dopo di aver esposta la differenza che vi è tra le ricerche geogoniche, le quali non possono essere che ipotetiche, e le. _ geognostiche fondate sopra osservazioni, diede un breve prospetto delle due principali ipotesi geogoniche, cioè della soluzione acquosa e della liquefazione ignea, e passò ad esporre la classificazione geo- gnostica delle rocce, che generalmente è adottata nelle scuole. Di- mostrò quindi come ciascuna delle due ipotesi presa isolatamente non si può applicare a tale classificazione, non potendosi combinare la soluzione cquosa coi caratteri delle rocce dette primordiali, men- tre è d’accordo con quelli di molte rocce delle altre classi; e vicever- sa la liquefazione ignea , la quale al presente è molto promossa nelle opere di alcuni celebri mattematici, fisici e chimici, e che sarebbe in armonia coi caratteri delle rocce componenti la classe, primor- diale, non può applicarsi a parecchie rocce delle classi posteriori, Quindi propose un mezzo di conciliazione, nel quale le suddette ipotesi, invece d’escludersi a vicenda, si combinano ambedue; e sulla base delle duttrine adottate dai chimici relativamente al calorico considerato come sostanza di suo genere, alla sua propietà di combi- narsi con basi solide e ridurle alla forma gassosa, e di essere ora libero, ora latente, mostrando caratteri diversi secondo i due diversi stati, rese conto del modo col quale nell’ epoca primitiva poterono consolidarsi molte parti del globo, ed abbandonare lo stato di lique- fazione iguea; rimanendo per le formazioni posteriori appartenenti 174 alle classi di transizione secondaria una grande influenza all’ acqua dell’ antico oceano , la eui costituzione fisica, diversa da quella del presente mare sì nel grado di temperatura, come nella quantità e qualità dei principii chimici che vi erano disciolti, contribuiva alla formazione delle sostanze pietrose. Il professore Carminati comunicò poscia all’ Istituto l’ esito di alcune ricerche intraprese dal sig. dottor Pozzi, direttore dell’I. R. scuola veterinaria, al fine di scoprire, se fosse possibile, la base salificabile organica nella radice della valeriana salvatica, /aleriana Sylvestris Linn. Dalle esperienze fatte cogli eteri, coll’ alcoole , e cogli alcali, usando nell’ eseguirle ogni più opportuna lavatura e feltrazione, non ottenne il sunnominato dottor Pozzi la base ricer- cata, ma ebbe invece una sostanza la quale era densa, spirava l’ odo= re della stessa radice, e ne aveva il medesimo disgustoso sapore; di essa in vano si tentò la cristallizzazione. Adunanza del dì 5 maggio. Il sig. cav. Bossi presentò all’ Isti- tuto un ragionato sunto di due opuscoli del sig. di Lewenan tra- smesso all’ Istitato dall’ I. R. Governo; l’ uno sul miglioramento dei vini, l’altro sopra un nuovo metodo d’amministrazione de’ beni stabili.A ppresso il sig. inspettore Breisl/ak fecelettura della +econda parte della memoria sull’ applicazione! delle ipotesi geogoniche alla classificazione geognostica delle rocce. Ritenendo la classificazione già annunziata di rocce primordiali, di transizione, e secondarie , alle quali corrispondono tre epoche diverse, espose le difficoltà che sovente s’ incontrano nel determinare cou precisione i loro confini. Siccome poi non è presumibile che le rocce appartenenti a ciascuna delle tre epoche sieno state prodotte simultaneamente , così queste difficoltà ed anche maggiori si trovano ugniqualvolta , suddividendo quelle tre epoche in diversi periodi, s1 vogliano spingere !e ricerche al punto di determinare l’ ordine di successione nelle formazioni corrispondenti a quei periodi, e che eoinponzono ciascuna delle grandi classi, Espose quindi le eccezioni alle quali sono sogette le regole principali proposte sino ad ora , fondate sopra caratteri presi dalla stratificazione o dalla presenza de’ corpi organici e delle loro tracce, ecc. Fece in fine osservare che se ancora non conosciamo le leggi che hanno regolato la costruzione di questo nostro pianeta, è necessario l’ esaminare le combinazioni che più sovente sono accadate; ciò che è molto importante , non solo per la scienza, ma ancora per gli usi civili, allorchè si tratta di alcune sostanze o ter- rose, o metalliche, o combustibili, o saline , che sovente formano la ricchezza delle popolazioni che le posseggono, che in molte com- binazioni concorrono ad accrescere i comodi della vita, e la cui 179 ricerca esigerebbe considerevoli spese e fatiche , talvolta inutili, se le dottrine geologiche non ci mostrassero quale ne sia l’ ordinaria giacitura, ed in quali circostanze geognostiche la prudenza permet- ta di fondare la speranza di un esito felice. NECROLOGIA. Nella notte del giorno 19 del cadente mese d’ ottobre mancò di vita in compendio qui in Firenze, divenuta da più anni suo do- micilio, il marchese Girolamo Lucchesini di Lucca , uomo non solo coltissimo nelle lettere e nelle scienze , e d’ amenissimo consorzio, ma anche perito della politica e delle arti governative per modo, che potè figurare con distinzione in uno dei principali Gabinetti d’ Europa e presso un gran monarca , di cui seppe conquistare la stima ; e l’ affezione . Limitandoci qui a deplorarne la perdita , tor- neremo a parlarne più opportunamente. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). N.° XXIV. Ottobre 1825. .N.° 187. Memorie della Società Italiana delle scienze residente in Modena. Tomo XIX. Fascicolo secondo delle Memorie di Ma- tematica , in 4. Modena 1825. tipografia camerale. Comincia questo fascicolo dagli elogi dei due matematici Paolo Ruffini e Pietro Cossali : dappoi s'incontrano le seguenti me- morie. r.° Sulle funzioni generatrici Memoria I. del sig. march. Luigè Rangoni. 2.° Oservazioni intorno all’ ecclisse solare del giorno 7 settem. dell’anno 1820 , del sig. Giovanni Santini. 3.° Nuovo metodo per misurare la velocità delle acque che scor- rono pei fiumi, ossia della squadra reometrica , del sig. Geminiano Poleiti. 1 (*) I giudizi letteravi, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redaitori dell'Antologia. Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse , e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia me» desima, siano come estratti o analisi, siano come annunzì di opere. 176 4.° Brevissimo cenno geometrico sopra alcune linee ‘curve di- pendenti dalle sezioni coniche , del sig. Pietro Ferroni. 5.° Sopra un problema dei signori Daniele Bernoulli e De-la_ Grange, del sig. conte Pietro Abbati Marescotti. 6.° Illustrazione di un’ antico documento relativo all’ originario rapporto tra le acque dell’Arno e quelle della Chiana, del sig conte Vittorio Fossombroni. 7.° Sulla stereometria, del sig. Antorio Maria Bordoni. 8.° Riflessioni sul moto permanente dell’ acqua nei canali oriz- zontali , del sig. Giorgio Bidone. g° Sul moto dell’ acqua nei canali , del sig. Ottaviano Fabbri- zio Mossotti. 10.° Sulle funzioni generatrici, Memoria II. del sig. march. Luigi Rangoni. 188. Catalogo di documenti manoscritti e stampati relativi alla sto- ria Politica, Militare, Ecclesiastica e Letteraria del regno di Pollonia, raccolti negli anni 1823, 1824, 1825 dal prof. Sebastiano Ciampi, corrispondente attivo di Scienze e Lettere in Italia del regno di Pollonia. In questo catalogo oltre i molti docamenti che riguardano alla storia di Pollonia , ve ne sono molti d’ un’ interesse speciale per gl’ Italtani e per gli eruditi d'ogni nazione , come quelli ne’ quali si contengono notizie letterarie, fatti curiosissimi intorno a'Gesuiti che cercavano di stabilirsi in Pollonia ed in Russia; e non poche rela- zioni appartenenti al commercio , alle arti, ed altro degli Italiani stabiliti in Pollonia;delle quali notizie farà uso il prof. Ciampi nella già da lui annunziata opera della /talia in Pollonia. 189. Biografia universale antica e moderna, ossia storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni , talenti, virtù e delitti, opera affatto nuova, compilata jn Francia da una socîetà di dotti , ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni. — Venezia 1825 presso G. Bat. Missiaglia. Volum. XXHI. (FO-GE) — ln Firenze, presso Giusep. Molini. 190. Le bellezze della letteratura italiana, raccolte per cura di Gio. Batista Niccolini e di Davide Bertolotti. Opera che si com- porrà di 50 volumi in carattere testino con rami; al prezzo di 4 paoli ogni volume. Tomo primo ora useito in luce. Bellezze di Ricordano Malispini, di Dino Compagni, di Giovanni , di Matteo e di Fi- lippo Villani , e dell’anonimo autore delle storie Pistolesi. Que- st’opera è intesa a cogliere i più bei fiori della letteratura italiana da ogni suo ramo , e ad ordinarli in cinquanta volumi di piccola mo- le ; e di prezzo accostevole anche a’ mene agiati. La quale impresa UL ‘ = conduce al nobile scopo di far più comune la cognizione degli ici - jenti modelli, promuovere lo studio del bel parlare, e introdursi ogni qualità di lettori nel santuario delle Lettere, gloria principa- lissima della nazione Italiana. Il primo volume, ora venuto a luce, è formato dagli storici del dugento e del trecento, In mezzo a molte favole de’ tempi auteriori; e ad assai particolarità meramente municipali , questi storici con- tengono la viva e fedele pittura de’ più notabili avvenimenti dell’età loro. I quali racconti appunto si ebbe cura di scegliere , disponen- doli in guisa da formarne come un prospetto istorico del secolo 13.* e 14.° Gli stessi letterati, a quali finora parea riserbato lo studio del Malispini, del Compagni, de’ tre Villani, sentiran maraviglia in veggendo l’interesse d’ universale naturaj, che destano que’ racconti, sciolti dalle antiche fole, dalle speculazioni astrologiche e dalle nar- razioni intermedie di accidenti affatto diversi. Per tal maniera si presentano in nuovo aspetto gli scrittori che fanno testo di lingua, si collega l’ importanza della materia istorica colle grazie del dire , e si nobilita lo studio delle parole con quel delle cose. Il secondo volume , già sotto il torchio, conterrà la scelta dei Novellieri, anteriori o contemporanei al Boccaccio. I due rami del primo volume rappresentano il Carroccio e la Martinella. Firenze, dalla Tipografia delle Bellezze della Letteratura Italiana, a dì 21 ottobre 1825. 191. Dei Sublime e di Michelangiolo. Discorso di Gio. Bat. Nicca- ini, letto in occasione della solenne distribuzione dei premi triennali, nella R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, il dì ro ottobre 1825. Firenze presso Guglielmo Piatti 3. di p. 36, prezzo lire 1. 192. Saggio sullo stato attuale della letteratura italiana, di Gzov. Hobhouse. Con note dell’ autore. Traduzione dall’ inglese di M. Pe - gna. Italia 1825. — 8. di p. 186. prezzo, paoli 5. È vendibile a Li- vorno presso Glauco Masi. 193. Collezione portatile di Classici Italiani. Firenze 1825 presso Borghi e c. Vol. III. e IV. Drammi di Pietro Metastasio. IM. e LV. vol. ( ved. l’ annunzio di quest’ intrapresa al n.° 146 del Bullettino di laglio p. p.). 194. Napoleone e la grand’armata in Russia,ossia esame critico del- l opera del conte di Segur, scritto dal Gener. Gourgaud. ‘Traduz. dal francese. Jtalza 1825. — Vol. 2 in 8.° —In Firenze al Gabinetto di Vieusseux. Livorno , da G. P. Pozzolini. Prezzo paoli 10. 195./iaggi ai Vulcani spenti d’Italia nello stato romano verso il mediterraneo, di Yzto Procaccini Ricci, socio dell’ Accademia ita- liana , ec. Ziaggio primo. Dalla foce dell’ Esio nell'Adriatico al lago T. XX. Ottobre. 12 173 di Bolsena e suoi contorni, diviso in due parti. Firenze 1814 presso G. Piatti. Vol. 2. in 8. prezzo paoli 10. Viaggio secondo. Da Bolsena ai contorni orvietani ed al lago Ciminio e di lui adiacenze, diviso in due parti. Firenze 1825. Nell Stamperia di s. Giuseppe Calasanzio. Vol. 2 in 8, paoli 10. Raccolta di vedute disegnata sulla faccia del proprio luogo per servir di corredo al secondo viaggio ai vulcani spenti d’Italia, di Vito Procaccini Ricci. Tavole XI. dalla litografia Targioni, prezzo paoli 10. I due viaggi e le raccolte sono vendibili al Gabinetto scientifico e letterario di G. P. Vieasseux al prezzo di paoli 30. 196. Storia della rigenerazione dalla Grecia dal 1740al 1824. di S. C. H. L. PoUQUEVILLE. Tradotta ed illustrata da Stefano Ticozzi. Jta- zia 1825. Vol. IV. e V. Vendibile presso i /’ratelli Giachetti di Prato. 197. Lettere inedite di Sebastiano Erizzo tratte da un manoscritto della biblioteca municipale di Vicenza ,* pubblicate dal march. G. Melchiorri. Roma, 1825. Tipografia Consedini. 8. di pag. 40. 198. Esame degli argomenti a favore della libertà illimitata del commercio delle granaglie , addotti da alcuni accademici nelle loro memorie , lette all’ I. e KR. Accademia de’ Georgofili in diverse adu- nanze , ed inserite in vari fascicoli dell’ Antologia. — Ragionamento econdo, letto nell’ adunanza di detta I. e R. Accademia, li 1o aprile 1325. dal dott. Francesco Chiarenti socio ordinario della medesima - Firenze 1825. Pezzati 8. p ag. 32. 199. Rime edite ed inedite di Jacopo Vittorelli, colla traduzione latina a fronte dell’ab. Giuseppe A. Trivellato già maestro nel se- minario di Padova. Fadova pei tipi della Minerva. 1825, 8. Vol. pri- mo di pag. 240. 200. Dell’ utilità di estendere all’ estero il commercio dei ‘vini toscani, ed il modo di migliorarne la manifettura. Memoria letta nell'adunanza dell’I, e R. Accademia de’'Georgofili dei 2 maggio 1825. da FERDINANDO TARTINI SALVATICI. Firenze 1825. presso G. Piatti. 8. di pagine 43. 201. Saggiosopra l’utilità di ben conservare, e preservare le foreste, del sacerdote DON ANTONIO FORNAINI socio corrispondente dell’I. e R. Accademia de’Georgofili. Firenze 1825. Ricci 8. pag. 116. 202. Eusebius seu de Christiana educatione. Libri quatuor- Florentiae. 1825. typis Josephi Molini. 8. di pag. 78. 203. Storia dell’ Isola dell’ Elba di G. A. N., adorna di un esatta carta topografica Italia. 1815. un volume in 4° di fogl 64. Si vende in renze , presso G. Piatti. 179. 204. Opere e continuazioni pubblicate da Guglielmo Piatti stampatore , e libraio in Firenze, nell’anno 1825. PiERI(M.) Compendio della storia del risorgimento'della Grecia dal 1740 al 1824 , 2 vol. 18. Paoli MIGNET (F.A.) Storia della rivoluzione francese dal 1789 . al 1814 trad. dal francese colla giunta del governo dei 100 giorni. Ù9 FRANK (G. P.) del metodo di curare le malattie dell’uo- mo, compendio per servire alle proprie lezioni ; traduz. italia- na con molte annotazioni del prof. Luigi Morelli. Firenze 1816-1825, 11 vol. 8. Opera completata col vol. XI. > NiccoLini (G. B.) Tragedie ; 1’ Edipo ; Ino e Temisto; Medea; la Matilde ; la Polissena. Si vendono anco separate a paoli 3 ciascuna. ;a — Prose, 2 vol. 8. Si vendono separati ciascuno a p.5. ,, SaBATIER (R. B.) della medicina operatoria; trad. dal francese sulla nuova ediz. del 1822-24, fatta sotto gli occhi del Barone Dupuytren, ed aumentata coll’anatomia chirurgica delle parti , coll’indicazioni dei metodi recentemente scoperti, col confronto e valore dei metodi e dei processi relativi a cia- scuna operazione dai sigg. L. G. Sanson e L. G. Bégin. Fi- renze 1822-25, 7 vol. 8. L’opera è compita col vol. VII. ,, TARGIONI TOZZETTI (Ottav.) Dizionario botanico ita- liano, che comprende i nomi volgari italiani specialmente toscani e vernacoli delle piante, raccolti da diversi autori e dalla gente di campagna , col corrispondente latino botanico; seconda ediz. interamente refusa e quasi duplicata per l’ag- giunta delle materie. PLUTARCO, Opere complete, volgarizzate da Marcello Adriani, Pompei e Ciampi; 13 vol. 8. con figure, PA — Le medesime carta grande fine. » Si vendono separate le appresso : — Opere morali e miste , versione inedita del celebre Marcello Adriani, supplita ‘da Serao Ciampi, 6 vol. 8 — Le medesime carta fine. n — Le Vite degli uomini illustri volgarizzate dal Pom- pei, decorate di Ritratti tirati dall’ Iconografia Greca e Romana del Visconti. Si è pubblicato il 7 vol. in 8. aa — Le medesime carta fine, Pa — Iside e Osiride tradotto da Ciampi con note filologico- eritiche ed osservazioni al testo , con fig. in 8. Pr 2499 35 12 125 160 780 HAUY, trattato elementare di fisica, traduz. sulla quarta ediz. francese con aggiunte. Firenze 1824 , 2 vol. 8. con fig. ;, AccADEMIA I. e R. economico-agraria de’ Georgofili di Firenze , memorie lette nella medesima : è pubblicato il vol. IV. che si vende al prezzo di paoli 9. Il prezzo dei 4 volumi è di » TARTINI-SALVATICI (Ferd.) Memoria sull’utilità d’esten- dere all’estero il commercio dei vini toscani, e del modo di migliorarne lamanifattura. Questa memoria fu letta nell’adu- nanza dell’. e R. Accademia de’ Georgofili it 2 mag. 1825. ,, DAVILA (Arr. Cat.) Storia delle Guerre Civili di Francia, nuova ediz. Firenze 1823-24, 6 vol. 8. ” BoyER, trattato delle malattie chirurgiche e delle ope- razioni che loro convengono, trad. dal frane. Fir. 1817 a 1825, 10 vol. 8. È I vol. IX. e X., ultimi di quest’ opera , saranno pub- blieati alla fine del prossimo novembre. 49 48 18 48 80 e OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. . SETTEMBRE 1825. ——-Ttzrt--se—--— —==>; —_—_—___l w l'ermo. — Lo] Li D be; CE) de a < || E|S|ss' n Stato del ciel Ora È z Z| 8 (3 al Bi tato del cielo _ x vi E Ò ò B.ilrgal © DURE - mat. |28. 1,9 | 1G;7 Pa | 64 Tram. Ser. ra gnato Vento I| mezzog. |28. 1,7 | 19,7 18,9 | 46 Gr. Tr. Ser. con nuv. Vento rr;sera 28. 1;5 |.20;2-16;44 SI | \Gr. Tr. Sereno Vento 7 mat. |28. 1,2 | 19,1{16,0 | 61 Tram. Sereno - Ventic. 2| mezzog. [28., 0,6 | 19,1j19,0 | 4o ‘Tra. Ser. con nuv. Vento Ir sera 28. 1,2 | 19;9[17,0 | 47 Ostro. | Sereno Vento | 7 mat. 28. 1,0 18,9 15,6 53 Gr. Tr.|Sereno Calma 3| mezzog. |28.. 0,7 | 18,918,0 | 44° Gr. Le.|Ser. con nuv. Vento | rr sera |28. 0,9 | 19,5:15,0 | 56 Lev. |[Ser. Ventic. | 7 mat. ns 0,0, 18,2/12,0 | 61 Scir. |Bel ser. Calma 4 mezzog. 127. 9,1 | 18,4/19,0| 4o Po. Li. |Ser. Ventic. Ir sera |27. OE | 19,7 16,3 | 62 |Po. Li. Nuvolo Calma. 7 mat. |27. 9;3 | 19,1|16,0 | 72 | 0,02 Gr. Le. Nuvolo Calma. mezzog. |27. 7,3 | 19;2/20;9 | 48 Os. Li. Nuvoloso Ventic. ti sera |27. 10,1 > 18, 6:13,5 | 70 Grec. |Sereno Ventic. 7 mat. 27. 10,6 | 17,9 13,0| 72 | Gr. Le.| Sereno Ventic. mezzog. 27. 10,8 | 17,9 17,9| 39 | Sc. Le.|Ser.con nuv. ai m.1Calma Ir sera |27. II)l | 18,8 15,5 | 51] Ponen.|Sereno Calma 7 mat. [27. 11,1 | 17,9 13,3 | 88 Sc. Le.| Nuvolo Ventic® Z| mezzog. (27. 11,0 | 18,0 18,6 | 62 O:tro. iNuvolo Calma 1: sera |27. 11,6 19,7. 15,1 | 81 498 Li.|Sereno Ventic. FIA ANTA SCANIA PON TIR (>) A SR? de 10 È 7 S| Ora S 2 DI Ss |F 5 2.5 Stato del cielo 3 Es; ni S po B n DIE se | 7 mat. |27. 11,2 | 17,9 slo! 85 IScir. \Sereno Ventic.jB — 8; mezzog. 27. 11,8 | 18,3|19,5 | 56 Po. Li. Ber con neb. Calma [Bf , tt sera |27. 1132 18,8 16,1 | 63 Tram. |Ser. ragn. Calma [Bf 7 mat. |27. 10;1 18,5 148 80 | Sc. Le.|Sere. ragn. Calna i gl mezzog. /27. 10,5 | 19;0[21,2 46 Lev, |Caliginoso Calma 11 sera /27. 11,4 | 19,7|16,2 | 93 '| 1,01 Lev. |Nuvoloso Ventic. i 7 mat. |27. 11,2 | 19,1 15,8. 82, Sci. Nuvoloso Ventic. 10 mezzog. |27. 11,0 | 19;3 20,9 54 | Î "Tram. |Nuvolo Ventic. cilugiinli da) 11,6, pi 17,9 17,7. 90. ‘Gr. Tr. Sereno Calma 7 mat. |27. 11,7 | 19;2 15,6. 80. | Gr. Tr. Bel Sereno Calma Ir mezzog. 27. 11,8 . 19,5.20,9 40 | ‘Tram. ‘Sereno Calma rt sera 28. 0,4 20, 59 18,0 i 69, Tram. m. Sereno — Calma 7 mat. |28. 1,5 | 20,0 15, 3 | | 80 Sc.Lev Sereno neb. Calma 12| mezzog. |28. 1,3 | 20;2 20, 3 61 Tram. Ser. rag. Calma 11 sera |28. 2,0 | 21 33:18; Ri: ne Po. Li. Velato Calma | mat. |28. 2,0 20,4 si Sc.Lev Ser. neb. Ventic® 13 mezzog. |28. 1,2 agri 20, si Po. Li. Ser. rag. Calma | 11 sera |28. 0,6 I 21,4 19; hi di dl 0,04 Os.Lib Nuvolo Ventie | 7 mat. (27. pe : 20,5115,6 | gir | 042 Sci.Lev Nuvolo Ventic.|B 1/4 mezzog. 27. 56 | 20,61 20,3 | 7a 'Po.Ma. Nuvolo Ventic.|B Irsera 27. 5 | 17,9! 18, 3! 53 10s. Sc. Se. con nuv. ven, for.ifl. 7 mat. | 27. Pa 19,2 15,8 3. 82 |o ,27 Lib 'Nuvolo Ventic.|B 15 mezzog. 27. 9,1 | 18,9 18,8 | 62 \Q;0t Lib. :Nuvolo Ven. fo.,8 | 11 sera ‘27. 10,0 | 191|16,2 89) Lib. {Nuvoloso Ventic.|f | 7 mat. lc neghi 118,5 15,2] 93 di pri ' Navoloso Ventic. I (16° mezzog. (27. 11,0 18,8 10,8 64 | Lib. [Nuvoloso Vento |Y° __|_3t sera ar 1159 19,2 15,6 88_ e Lib. | Sereno Calma i mat. ‘28. 0,0 18,4 14,9 90 iScir. ‘Sereno Ventic.|B 17 Jieluog. 28. 1,2 18,6 18,8: 66 Os. Sc. Sereno rag. Calma ; 11 sera 28. 0,5 198 16,7 96 IMaest. Sereno Calma |B 7 mat. |28. 0,5 | 19,1|15,0. 89; Gr.Tr.|Sereno Calma i 18| mezzog. |28. 0,9 | 19,3|19,2: 73 Tram. lipalic rag. Vertic.|f 11 sera 128. 1,2 20,6, mo 84 __|Pon. Sereno Calma |B° 7 mat. 28.1 6 19,7 16,0 95 mg e E ‘Nebbia Ventic.|B 19| mezzog. 28. 1,9 | 19,7 19,0 63 Pon. Sere. rag. Calma |B 11 sera 28. 2,2 | 20,4 168 88 Po.Lib Sereno Calma D O 3 e| Ora 3 E. > le] ° 7 mat. |28. 2,3 20) mezzog. |28. 3,0 Il r1sera |28. 4,0 i Ì 7 mat. |28. 3,1 _{{21| mezzog. |28. 2,8 11 sera |28. 2,2 Lo mat. 28. 1,6 :22| mezzog. 28. 1,3 11 sera 28. 0,4 7 mat. ,28 0,0 |:23) mezzog. 28. 0,2 11 sera j28. 1,2 ; 1 7 mat. 28. 2,5 |l 124 mezzog. 28. 2,6 rr sera 28. 3,2 o mat. 28. 3,2 129, mezzog. 28. sa rr sera 28. 3,4 7 mat. i i ) 126| mezzog. 11 sera |28. 2 26 mat. 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Lev | Nuvolo Calma Tr.Ma.|Ser. rag. Calma | [Gr Tr. |\Sereno. Calma Grec. |Sere. ragn. Calma | Gr. Tr.|Ser. rag. Ventic. | Tram. 'Sereno Calma |! Lev. (Sereno Ventio. Gr. Tr. (Ser. rag. Ventic, 'Gree. !Sereno Calma | Scir. {Sereno Ventic..$ Sc. Lev| Sereno Ventic. Sc. Lev! Sereno Ventic. —_—|Sc.Lev Ser. neb. Ventic. Tr.Ma. Ser. ragn, Calina Lib. Nuvoloso Ventic. Gr. Le.| Nuvolo ven. bur , Tram. |Ser. con nuv. Ven. fo». Tram. |Sereno Venne, (Tram. Sere. nuvoloso —Ventic. \Grec. |Ser. con quai. nuv. ve. for. ‘Tram. |Sereno Ventic.. Tram. [Sereno Calma | Grec. |Sereno ve. fo... 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D ‘ASSOCIAZIONE da pagarsi snuicipatamente Per Li Toscana, 1 Le 36 toscane. per I anno 3 franco :R porto ‘franco ‘di porte 25 franco alle frontiere | franco di porto ce onze 3. 12. più complete, e la collezione per la posta per.la posta per la posta per la posta compreso ìl porto ed il dazio. compres) il Sn sino a Palermo . “franco Torino o- Milano franco Parigi | per la posta Intorno cdi lettera di P, , Giorglani Lettera. IL dalla 6 Gerima ia — Discorsi i ‘Bullettino A na SI Ballettino ste Ra ni RE i Tavole meteorologiche par Ma mese di settembre i GIORNALE DI “Anno V. Vol. XX. Sa cm G: Pi "VIEUSSEDX | Danartors E Eprrona. i RS TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI <> SEGRE osi quid ogni mese; per ea non È La di 10 fogli. Tre fascicoli compongono un ‘volume, ed’ ogni — EL ‘accompagnato. E un indice east) delle materie. 3 CA » n Le associazioni si. prendono i «In Firenze, ua Direttore Editore G. Pi Vieusseuz. ; LR 1 in i Mano, per tutto il regno A Sedie delle ( zzetti ‘Lombardo Veneto POR Ie R. ito delle Posté | in Torino per tutti st Stati Sad alle respeltì ve. Diresiohi de }j o GENOVA «Spedizioni delle Gazzette; ; presso la R. Direz. delle Posté in MODENA è - ci presso. Gem. Vincenzi e C:° libi in PARMA tr presso il sig. Derviè sotto direttore delle. Posti in Roma per tutto lo Stato Pontificio » presso il sig. ‘Pietro Cap bianchi, impieg. nell’Ammin n A SUO, gen. delle Poste Ponti È NapoL1,. © * RE | presso i 586: W. EL. Rey Dr 8 ZA i “nholds, e C. in PaLermo; per tutta la Sicilia. | presso il sig. P. Gruis; sd 350 ee dele nr ce def bai Lenzitai: (A OR cin Ginevra rana ‘ presso J. J.Paschoud.. SA în Parior on Di presso Barroîs l'aine lib. Rue d ; RSI Seine N. 10... | im Lonpra. — va “presso C. F. Moni N. 41 Paternoster Roi ANTOLOGIA 9 N. LIX. Novembre, 1825. Storia di Sardegna, del cav, Don GroserPe MANNO primo ufficiale nella reale secreteria di Stato per gli affari dell’interno, consi- gliere nel S. supremo R. consiglio di Sardegna, e segretario privato di S. M. Tome-primo. Torino per Alliana e Paravia 1823. 8.° di pag. 329 Ta Sardegna , isola più considerabile e più celebre, dopo la Si- cilia , tra quelle che giacciono intorno alla gran penisola d’ Italia , ha sino da' tempi più antichi richiamato a sè l’ interesse e l’ atten- zione delle popolazioni de’ continenti tra’quali giace , l’ Affrica, la Spagna, la Grecia e l’ Italia , e di quelle genti che scorrendo i mari eercavano o nuove sedi, o nuove comunicazioni per ampliare if commercio. Quindi è che la Sicilia più comoda alle navigazioni d’ Italia , di Grecia e d’ Asia fu anche uno più frequentato scalo da quelle popolazioni ; ove che la Sardegna più prossima pe’ Libici e per gli Iberi la riguardarono come un punto d’ appoggio d’ onde poi stendersi nel vicino continente d’ Italia. La rivalità che presto nac- que tra lo romana potenza e la punica rese l’ Isola di Sardegna l’ og- getto degli sforzi di ambedue per averne il possesso e valersene ca- me di baluardo a propria difesa, o ad offesa dell’inimico. Queste me- desime ragioni produssero le mutazioni di stato , e le vicende del- l’ Isola dai tempi meno remoti sino direi quasi a’ dì nostri. Ma come è facile il ravvisare in complesso la causa, che debbe aver dato fo- mento alle mire, ai contrasti , all’ importanza del dominio di questa isola sin da’ tempi antichissimi , è altrettanto incerta , oscura ed in- tralciata la storia che alle memorie di lei appartiene , prima de’ tem- pi romani. Vari scrittori specialmente nazionali si accinsero a rin tracciarne le notizie antichissime; tra’quali si annoverano il /4ra De rebus Sardois; Vico Historia general de la ysla y reyno de Sardegna; il Vitale Annales Sardiniae; Il Ma2daoDelle sarde antichità; il Cluverio Sardinia Avtiqua; Stefanini De vetéribus Sardiniae laudibus; Cossù Notizie di Cagliari ed altri, sin che non s’ accinse il sig. cavaliere T. XX. Wovembre. L 2 Manno a nuova impresa richiamando ad esime con imparziale e severa critica lo scritto dai Greci, dai Latini, e dai posteriori sul pro- prosito delle origini e della storia della Sardegna, e presentando alla dotta curosità il resultamento delle sue ricerche. Noi dunque non altro ci proporremo che di far conoscere ai nostri lettori su quali tracce egli proceda in questo primo tomo, sì che da per loro stessi possano stimare il valore dell’ opera senza prevenirli col nostro giu- dizio. Nel primo libro di questo volume diviso in cinque libri , pre- mette alcune considerazioni generali sopra l’ incertezza delle prime origini delle nazioni , e di qui si fa strada a non dissimulare la trop- pa facilità d’ alcuni scrittori sardi nell’ adottare le più strane opi- niovi. « Le prime origini delle nazioni, scrive il sig. Manno, coperte sono di tenebre anche presso a que’ popoli i quali ebbero in tempo scrittori atti ad investigare le cose antiche, ed a tramandare ai po- steri i fatti celebri della lorofetà. La greca mitologia‘ impadronitasi d’una gran parte delle scarse ed inesatte tradizioni dell’antichità volendo tutto abbellire-ha tutto svisato .... Non è dunque da ma- ravigliare se la storia d’un pacse , gual’è la Sardegna, privo nell’ an- tichità d’illastratori proprii , presenti a chi fassi ad indagarne i pri- mi tempi molta oscurità , se passate essendo nelle sue terre colle gre- che colonie le greche illusioni, non inferiore alla mancanza sia l’ipcertezza degli storici monumenti. A chi non voglia perciò la- sciarsi sedurre dal bagliore de’ nomi eroici, ed a chi rinanciar non sappia a quella severa critica , la quale libra anche le più rispetta- bili autorità, forza è di.avanzarsi con cauto ragguardamento nella di- samina delle classiche narrazioni nelle quali più facile sia nulla omet- tere, che tutto accettare. Molti de’ sardi scrittori invece di arrestarsi a tale difficoltà , cedettero alle lusinghe della fantasia , ed impiegan- do maggiore diligenza , che discernimento nel raggranellare quanto l’ antichità ci lasciò, poco curarono la strana mescolanza delle gesta mitologiche, purchè un talquale collegamento ne derivasse d’ epo- che istoriche ,,. « Altri de’ nostri annalisti non paghi d’ accreditare Je chimere greche, vollero anche dilatare la sfera della invenzione , e dove man- cava il soccorso dalla favola, cimentaronsi a trarre mensognere con- getture dalla verità. Vi fu infatti (il Vitale) chi senza punto peri- tarsi prese ad affermare aver la famiglia di Cettim, terzo genito di Giavano , scelto sua sede nella Sardegna, e ciò non bastandogli, il nome pure dell’ Isola tentò di porre d’ accordo con quello del novel- lo colono, Cizia chiamolla, e da Cizia derivò con dure eontorsioni di 3 voonboli quante mai appellazioni approssimanti potè frugare nella sarda topografia. Non mancò anzi chi con maggior franchezza (Ma- dao ) salì ai tempi stessi antidiluviani, e volle che il principio delle sarde istorie fosse quasi contemporaneo alla Genesi ,,. Noi credemino a_ proposito il trascrivere queste parole dell’Au- tore, perchè nel giudizio che egli fa degli scrittori sardi,' vedasi quello, che debbe farsi di quasi tutti i vecchi autori di storie mu- nicipali delle varie provincie e città d’Italia; i quali tenendosi all’e- sempio ‘deli volgo dei Greci e de’ Romani, credettero che le anti- chissime narrazioni fossero più rispettabili presentandole come dice Livio: poeticis magis decora fabulis, quam incorruptis rerum gesta- rum monumentis. Ciò premesso : l’Autore inclina a credere che fra le colonie entrate in Sardegna quella de'Fenici sia stata una delle prime , nè di soli Fenici , ma d’ altri stranieri che si accompagnavan con loro. Le ragioni che lo muovono, specialmente sono : Le antiche e frequenti navigazioni de’ Fenici pel mediterraneo, che in quanto alla Sardegna possono , secondo lui, essere avvalorate anche dal ri- trovamento d’ un’antica lapida con caratteri fenici esistente -pres- ‘so il luogo di Pula , ed incastrata al di fuori del Casino ivi apparte- nente ai padri detti della Mercede , di Cagliari. L’ iscrizione fu fatta incidere la prima volta dal profess. di s. Scrittura e lingue orientali in quella università padre Giacinto /7irz, e quindi illustrata dal ch. ab. Giovanni Bernardo de Rossi ; la lettera del quale su tal proposito è stampata nelle Efemeridi letterarie di Roma del 1774, pag. 348. Si viene a sapere da tale illustrazione che quella lapida indicava il sepolero d’ un “ Sosimo straniero , che ivi avea fissato la sua tenda nella sua vecchiaja consumata, ed al quale il suo figlio Lehmanno o Lemano principe forastiero consacrò quel ricordo, deponendolo nell’ orto sepolcrale ,,. L’ illustratore niuna cosa soggiunge sull’ età dell’iscrizione ; tuttavia non sembra irragionevole, osserva il sig. Manno, l’ orgomentare che la menzione fattavi della tenda fissata dal defunto accenni que’ remoti tempi della vita pastorale, nei quali d’ uopo era insieme colle altre proprietà movibili aver mobile anche la magione. Nel riferire queste notizie della Iscrizione fenicia abbiamo vo- luto piuttosto servire alla erudizione, che a convalidare peressa l’ opi- nione d’ una antichissima colonia fenicia prima d’ ogni altra stabilita in Sardegna, ed in ciò sembraci di non dissentire gran fatto dall’Au- tore , il quale ha posto questa notizia in una nota come BEE di più, e non già per concludente prova nel testo. Se non vi sono dati bastanti a farla giudicare per apocrifa; po- 4 trà senza timore di grande opposizione credersi d’ nn’ età molto po- steriore al tempo, al quale farebbesi risalire da chi la credesse anti- chissima. Infatti i nomi Sosimo, e Lehmanno, o Lemano paiono piuttosto greci che fenici (1). « Che che sia di ciò , continua l'Autore, se non alle colonie, alla navigazione almeno fenicia dovuti sono li molti vestigi di costuman- ze o momumenti orientali che ricordano il lungo soggiorno fatto nella Sardegna da popoli usi alla vita pastorale. Fra questi li più degni dell’attenzione degli eruditi son que’ vetusti edifizi conosciuti nell’ Isola col nome volgare di Moraghes, e su i quali varie opinioni si pubblicarono , perchè largo era in tanta distanza di tempi ed oscu- rità di notizie il campo alla libertà delle conghietture ,,. « I momumenti così chiamati , che in numero di più centinaja sussistono ancora presso che intatti, costrutti sono di smisurati sassi commessi ed accozzati maestrevolmente senz'aicun collegamento di calce o di cemento )ed elevantisi in foggia di torre, la quale si ri- stringa gradatamente in un cono. Veggonsi per lo più inalzati or nelle falde dei monti, ed ora sulla cima delle colline; hanno un’ aper- tura nel fondo, che serve d’unico adito per entrarvi; al didentro con- tengono or una sola, or più stanzuole oscure, coperte in arco dai me- desimi sassi, i quali talvolta sono di sì gran mole, da formar da sè soli tutta la grossezza delle muraglie. Entro alcuni di questi Woraghes, e segnatamente in que’ due che esistono fra il villaggio di /Vulvi, e la chiesa detta /a Madonna di Terga trovaronsi sepolture e vie sot- terranee , che metteano capo ad altri Voraghes. Qualche lume po- trebbe trarsi per iscuoprire' maggiormente l’antichità dei Voraghes da un ricordo rimasto presso l’autore dell’ opuscolo attribuito volgar- mente ad Aristotile , ed intitolato de mirabilibus Auscubationibus. Racconta egli che esistevano a tempo suo in Sardegna varle fabbri- che di greca maniera , ed inoltre alcune moli designate col nome di tholos e polite con egregie proporzioni. Il vocabolo greco di tholos è quello che maggiormente ne porge ajuto a riconoscere, se non f 9 x (1) Cwakuos Vitalis- tepaga (7) Cocipa monstra vivere nequeunt n DI ‘Alexand. Aphrod. Zemanus può tirarsi da MY genit. dnévos sinus maris e Asuevkiw sum in portu. Senza stimare apocrifa questa iscrizione può cre- dersi d’un tempo assri posteriore quando già gli orientali aveano, adottato no- mi e costumanze greche. Il vocabolo tradotto col nome di tenda in vece;di pren- derlo nel senso proprio, potè essere in senso traslato per soggiorno ed abita- zione ; e sebbene il sig. De Rossi l'abbia tradotto tenda , potè nell’ originale avere il senso traslato di abitazione, dimora ec. Sappiamo quanto estendessero ed eatendano gli orientali il senso proprio delle parole al traslato ed al metaforieo» 5 etattamente descritti , figurati almeno io quel luogo , quanto basta i sardi Moraghes ; non avendo quella parola altro significato che quello d’un edificio , il quale và a restringersi gradatamente ia ar- co sino a giungere al suo fastigio o cima ; lo che ne dà un modello pienamente adattato alla forma conica di quelle moli ,,. ‘ La natura della presente opera non permette che io ne in- traprenda una scientifica disamina : non perciò mì terrò di accen- nare che la forma conica dei Moraghes la forma è pure dei pia no- bili ad un tempo ; e dei più rozzi monumenti dell’ antichità, dei quali dura anche al dì d’ oggi il ricordo nelle piramidi dell’ Egitto, non méno che nelle capanne del pastore ; come la costrazione loro; la quale altro non è che un’ adunamento di grosse pietre rion colle- gate da alcun cemento, una è del pari di quelle struttare, ché nella infanzia dell’ arti dovettero le prime saggiarsi dagli uomini. Per la qual eosa sino a quando migliori argomenti non iscuopransi d’ un età meno remota, ogni ragion persuade , che friferir si debba l'edificazione dei Moraghes alli più antichi popolatori della Sar- degna, e non già ad alcune delle colonie posteriori o greche @ spagnuole , o libiche, le quali meglio conosceano le arti dello edificare ,,. Noi non rifiutiamo di concedere all’Autore che l’uso di questi monumenti in origine appartenga a genti orientali; e forse a quella specie di fabbricare che i Greci chiamavano opera dei Ciclopi , come le mura della città d’ Atene, di Micene e di Ti- rinto; o dei Pelasgi (1); co’ quali nomi vollero i Greci significare un modo di fabbrica antichissima; e che delle senti che lo pra- ticavano non restava memoria, quantunque non ogni fabbricato di quelle maniere avesse da credersi d’ tin tempo ugualmente ve- tusto, o delle genti che prime lo adoperarono ; imperciocehè se ne potè continuar l’ uso anche nell'età posteriori; cosicchè detto fosse ciclopico o pelasgico pel carattere dello stile e per 1’ an- tichità dell’invenzione, e non sempre per la esecuzione. Infatti nelle questioni non ha molti anni nate in Italia ed in Francia intorno all’età del modo di fabbricar ciclopico , si trovò che nelle muraglie di fabbriche romane talvolta allo stile greco o romano era soprapposto lo stile chiamato ciclopico. Anche i mo. numenti sepolcrali di fresco trovati dal sig. profes. Orioli nel (1) E nota l'opinione anche modernamente riprodotta e confermata dal prof. Ciampi , che il nome Pelasgo in origine non altro significasse che genti vagabonde © d'ignota provenienza, che specialmente per mare andassero a stabilirsi in un © în un'altro paese. V. Osservazioni intorno a'moderni sistemi sile antichità strurche di Sebastiano Ciampi. Poligrafia ficsotana; 1824. 6 distretto viterbese si manifestano di stile piuttosto orientale, € diverso dal comunemente conosciuto per etrusco; ma le iscri- zioni celi presentano per opere etrusche forse delle più antiche e più vicine all’ origine di quella nazione. E come si è continuato in Toscana e specialmente in Firenze a fabbricare a bugnato si- no al secolo 15, sebbene lo stile fosse etrusco, antichissimo , così potevano in Sardegna continuarsi a fabbricare i Moraghes dagli antichi abitanti anche nei tempi posteriori. Ma che debbano que’ Voraghes, tali quali ce li descrive il sig. Manno, attribuirsi a de’ primi abitanti orientali di Sardegna , popoli nomadi, che menas- ,sero vita pastorale, e sotto capanne o tende campestri nol pos- siamo credere così facilmente , giacchè il costruire fabbriche di sassi smisurati, commessi ed accozzati muestrevolmente senz'alcun collegamento di calce e di cemento, e polite con egregie proporzio- ni mostra una bravura, ed una meccanica che non si combinan troppo con l’ infanzia dell’ arte . Che la figura conica dei Noraghes e delle piramidi si rasso- migli in qualche modo alla figara delle rozze capanne, non ci sembra bastante argomento per istabilirne l’uso nei tempi d'in- fanzia. Infatti veggiamo l’antico Dorico ed il così detto stile Go- tico ravvicinarsi in qualche modo alla figura delle capanve ; ma la somiglianza di figura è molto superata dalla maestria dell'ar- te , lo che non ci permette di porre in ugual tempo ed uso uguale colle capanne il modo di fabbricare Dorico ed il così detto Gotico: tracce del quale troviamo anche ne’ monumenti etruschi , greci e romani. In conseguenza non ci sembra di potere applicare alli Noraghes quanto aggiunge il sig. Cav. Manno. “ Ora qual materia a tal uopo più acconcia e più durevole potea offrirsi alle popolazioni nomadi della Sardegna in que’tempi di tanta semplicità, se non l’ ammasso delle grosse, pietre sparse nella cam- pagna , od accamulate talvolta dai pastori per sgomberare le prate- rie? Di non dissimili monumenti giovavansi gli antichi patriarchi ogni volta che volevano perpetuare qualche rimembranza. Allor- quando Giacobbe strinse con Labano' il suo accordo tolse egli una pietra,e dopo averla inalzata ordinò agli astanti che ne portassero dell’altre, e formatone quindi un cumulo disse: questo monumento e queste pietre servano di memoria fra te e me,,. Se tutto ciò mostra costami orientali , mostra del pari la diversità dei tempi e del progresso dell’ arte, I tempi di Giacobbe non furon li stessi di quando gli Ebrei del deserto mostraronsi tanto avanzati vell’arti, come osserva l’Autore (pag. 35.). Potè ben in- cominciarsi da un mucchio di sassi, da un rozzo pozzo, da un ine ti |» 7 cumulo di terra, con buca scavata al disotto, ciò che poi diventò una magnifica Cisterna, una Piramide, un bel Sepolcro , un No- raghes di smisurati sassi commessi maestrevolmente senza calce 0 cemento, e politi con egregie proporzioni. Siano dunque stati au- tori dei /Voraghes e d’ altre traccie d’orientalismo , colonie orien- tali, o i fenici navigatori, ed altri che venuti d'Oriente fermas- sero lungo soggiorno in Sardegna; ma ci permetta il sig. Manno, che non concediamo essere stati tanto rozzi negli usi della vita e nell’arte di fabbricare quanto egli suppone quelli che furono gli autori dei /Voraghes, se queste moli meritano d'esser descritte quali esso ce le rappresenta. Lo stato di vita quasi selvaggia ir cui pongono la gente sarda Strabone , e Diodoro siculo mostrerebbe piuttosto la degenerazione in barbarie succeduta ad una qualche antichissima cultura ; nel che abbiamo consenziente anche lo stesso sig. Manno (pag. 18), o se vuolsi, se ne può congetturare, che i popoli orientali che vi introdussero una cultura, non la diffon- dessero nell’universale degli indigeni abitatori, e ne’ succedati di poi; mantenendovisi come segregati ed in rivalità con li stessi più antichi abitatori, e con altri competitori ; lo che sembra esser con- fermato dal racconto di Solino che or ora vedremo. Dalle congetture intorno a’più antichi popolatori della Sardegna passa l'Autore a discorrere delle colonie che la tradizione, e la favola dei Greci insegnavano esser passate in quell’ Isola. Aristeo, secondo ì racconti storico-mitici , il primo insegnò agli Isolani sardi le re- gole dell’ agricoltura, il governo delle pecchie , e l’arte di coa- gulare il latte. Diodoro siculo descrive il viaggio di lui da Coo nella Sardegna, e come vi si fermò allettato dalla vaghezza del luogo. L’ autore del libro delle cose mirabili attribuito ad Ari- stotile, predicando la gran fertilità dell’ Isola , 1’ attribuisce alla influenza del soggiorno di lui. Solino (Polyst. Gap. IV.) lo chiama fondatore di Cagliari e pacificatore delle nazioni rivali esistenti nell’ Isola, le quali di buon grado lo riconobbero per loro signore. “ Se si può, dice l'Autore, sotto il velame degli strani racconti rin- tracciare qualche verità nascosta , forse non sarà incoerente il de- terminare colla scorta delle mutazioni attribuite ad Aristeo l’ epoca del primo cangiamento dalla vita errante pastorale alla vita più agiata dell’ agricoltore, dandone il pregio alle colonie greche approdate nell’Isola nei secoli chiamati eroici. Soprasta alla co- lonia d’ Aristeo per valore di monumenti quella che dicesi con- dotta dall’ Iberia sotto il governo di Norace, della quale fanno men- zione Solino (Polys. Cap. X.) e Pausania (lib. X.). La città di Nora che ne trasse il nome è da Pausania supposta la più antica di 8 i delle città sarde; l’esistenza dei Popoli Noresi noverasi da Plis nio tra i più celebri della Sardegna ( Hist. nat. lib, II— n.° 13); le reliquie de’ vetusti monumenti, che anch’ oggi veggonsi in que’ contorni , ed ai quali la tradizione serba il nome antico, fanno sufficiente testimonianza che un’ uomo di quel nome oecupò, o sot- tomise qualche tratto dell’ Isola , od introdussevi mutazioni tali da meritare che una derivazione del di lui nome vi si perpetuasse. L’istesso nome non sarebbe estraneo a quelle moli, ehe dissi già orientali, quando in tanta successione di secoli si fosse serbata’ senza alterazione di vocabolo la vecchia denominazione; ma non: esistendo migliori congetture dee pensarsi piuttosto, che accre- sciutasi coll’ andar del tempo la confusione dell’ antiche memorie. siasi poscia spenta la tradizione più veritiera ; per la qual cosa. potè il volgo, colpito dall'aspetto di quelle moli attribuirle ad uno” o ad altro de’ primi condottieri di colonie maggiormente venerate: in Sardegna , senza che ciò basti ad assegnare a que’ monumenti una diversa origine; che l’aver anzi i popoli Noresi inalzato pron- tamente una città gli mostra già sì avanzati nell'arte di edifica- re, ehe la costruttura di quelle strane e rozze moli sarebbe stata per essi o troppo semplice, o senz'utile scopo. E Noresi oltre a ciò non occuparon mai in Sardegna un’ estensione tale di domi- nio da esercitarvi influenza generale, e quelle moli essendo sparse sulla superficie intiera dell’ Isola, devono certamente l’ esistenza a popolazioni o di conformi costumanze, o di vita vagante; lo che non può altramente intendersi che ricorrendo alle primitive orientali colonie ,,. Così ragiona fl sig. Manno. Ma per dire schiet- tamente quel che a noi pare , sembraci tutto questo racconto della colonia di Norace assai favorevole a quanto divisammo sopra i NWò- raghes. colonie, e navigatori orientali come in Sardegna anda- rono nell’ Tboitai È detto dalli scrittori che la' colonia di Norace dalla Iberia passò in Sardegna, ma non si nega ch’esser potesse d'origine o di costumi orientali. Tracce d’ orientalismo non man- cano nelle vetustissime memorie Iberiche. Or se alla Colonia di Norace sì concedono tanti vanti anehe nell’ esercizio del fabbri- care, se la somiglianza del nome tuttavia serve di testimone alla verità delle antiche memorie; perchè il nome dei Noraghes e la loro costruzione non ci comduifanita a supporne l’origine da quella colonia ? l’esser moli di smisurati sassi commessi ed accozzati maestrevolmente senza alcun collegamento di calce o di cemento, e politi con egregie proporzioni, dà ben altra idea che di rozze moli; e certamente non si disdicono a popolo capace dî fabbricar cittadi, è ‘case per abitarvi. Nè può dirsì ehe fossero pe’ Noresi 9 senz’ utile. seopo tutta volta ebe dovettero servire di sepoleri, La religione , ed altre ragioni ne poterono mantener questa forma inal- terabile, come la storia ci mostra d’altri popoli non peranche in- dotti dalla mollezza, dal lusso, e dalia corruttela ad alterare le costumanze civili e religiose de’ padri. Questa osservazione po- trebbe comprovarsi per gli esempi innegabili d’antiche e moderne nazioni ; finalmente qual mai difficoltà può trovarsi nell’ammet- tere che se i soli Noresi non occuparono tatta l’ Isola , v' intro- ducessero peraltro col loro esempio simil foggia di costruire i se- polcri, ed altre costumanze ; o che popoli d’ uguale origine e di costumanze conformi vi si fermassero, come osserva anche l’Au- tore? Ma se il sig. Manno vuol credere che non dai Noraci come primi introduttori di tali moli in Sardegna siano veramente chia- mati. Noraghes, e che piuttosto prendessero quel nome pel tra- slato fattone dal volgo nel modo da lui accennato, non gli contradi- remo; e soltanto torneremo a dire che non ci sembrano lontane dal- l’età che ci fanno concepire le tradizioni della colonia di Norace; e che per esser opera di popoli orientali, non ci par necessario d’ammettere che siano stati la prima e più rozza colonia , e genti di vita nomada e pastorale quegli Orientali che le costruirono ; sembrandoci piuttosto ehe pretti nomadi e pastori fossero i po- poli non peranco dagli Orientali visitati, mentre è ormai fuor di dubbio che primi degli uownni conobbero non solo i comodi del vivere, ma l’edificatoria , e l’altre arti, la scrittura , e le scienze da tempo immemorabile le genti d'Oriente. Il supporre dunque che la Sardegna fosse abitata prima da popoli rozzi e nomadi di Oriente capaci peraltro di costruire moli quali descrivonsi i /Vo- raghes ci pajono, per le ragioni dette, cose che non bene si ac- cordino ; oltre di che: come potrebbe sostenersi che in Sardegna andassero gli Orientali più rozzi di quelli che andarono ad inci- vilire la Grecia, e tant’ altre nazioni ? Ciò bisognerebbe sup- porre qualora si ammettesse che i Greci con Aristeo , posteriori alfa colonia orientale andata in Sardegna, vi fossero stati autori del primo passo dalla vita errante pastorale, alla vita più agia- ta dell’ agricoltore. Si ammettano dunque genti orientali anda- te in Sardegna, si riconoscano , se così piace, per opere di loro o derivaziona delle castumanze orientali i /Noraghes , ma non si voglia sostenere che ne fossero primi abitatori semplici e rozzi popoli nomadi e pastorali d’ Oriente, ed insieme capaci di fab- bricar quelle moli. L’Autore dopo quella di Norace continua a parlare d’ altre eolonie, come della celtica condotta da Galata figliolo d’ Olbio re de’Galli, fondatore di Olbia; ma la mancanza 10 di qual si voglia argomento che appoggi questa pretesa colonia’ fa sì che l’Autore si contenti d’averla indicata. Delle colonie to- scane menzionate da Strabone (Geogr. lib. V.) gli sembra dover- sene far più conto ; tranne le mitologiche mescolanze introdottevi da coloro che ai nomi di Forco e di Medusa connesi con i rac- conti delle colonie etrusche assegnano |’ epoca e la durata pre- cisa del loro regno, ed intrecciandovi le gesta di Atlante, e la vittoria di Perseo , trasportano nelle severe pagine dell’ istoria le fole dei fanciulli. (Fara lib. 1. Vico lib. 1. pag. 11.). ‘ Non questi soli, continua il sig. Manno, furono i popoli italiani che si tra- sferirono in Sardegna. Tolomeo annovera tra gli abitatori dell’ isola a'suoi tempi i popoli Siculesi stabiliti nella parte orientale, nel lato cioè più accomodato allo sbarco degli italiani. A questi si- culesi , de’ quali il nome si conservò inalterato sino ai tempi di quello scrittore, sono da riferire le più antiche colonie che si credon mosse dall’ Italia (1). Pausania (lib. X.) vi fa passare gran quantità di abitanti dalla vicina Corsica per iscansare le vicende d’ una sollevazione insorta nell’Isola di loro ,,. Altre celebri colonie greche ricordano li scrittori ; e di que- ste la più famosa è quella d’ Iolao , riferita principalmente da Pau- sania. L’ unico argomento apprezzabile in faccia alla storia critica; sembra al sig. Manno la venerazione sino ai tempi romani durata nell’ Isola per la memoria di Iolao, e la frequente menzione degli scrittori greci e latini fatta dei popoli, terre, e castella che ne serbavano il nome. Pausania ascrivendo ad Iolao la fondazione di Olbia lo fa duce di sceltissima gente, cioè de’ Tespiadi, frutto dei cinquanta talami d’ Ercole, ai quali tenea dietro un’ esercito collettizio di Ateniesi, che altra città inalzarono chiamata Ogrilla sia per conservare il nome di qualche luogo del natio paese, sia perché Grillo fosse uno dei capitani della spedizione. Strabone e più diffusamente Diodoro siculo (lib. IV. e V. ) dicono lo s*esso; e Dio- doro aggiunge che vi editicò preclare città, e fra le altre Cagliari. Secondo alcuni divise a tratta i campi, e chiamata col suo nome quel- la gente, palestre e templi ed altri momumenti costrusse , che sino a’suoi tempi esistevano. Or qualunque rifiorimento sia stato fatto (1) Furono i Siculi i più antichi stranieri che venissero in Italia. Ma chi ci assicura che in Sardegna emigrassero dall'Italia? Come Tolomeo a suo tempo li nomina esistenti in Sardegna, noi sino a’ di nostri troviamo i Sicali in Tran- silvania; popolo distinto dal resto delle popolazioni di quella regione; ma chi dirà esservi passati dall’Italia? Furono i Siculi popoli asiatici che si sparsero per I° occidente, e poterono fermarsi, oltre all’ Italia, lungo il Danubio, verso Illirico € Pannonia, e passare anche in Sardegna. | | TI dalla greca ambizfone , sembra non doversi negar totalmente fede al racconto, L’altra colonia fu quella del Libico Sardo che diede il nome se non a tutta, almeno in prima alla parte occidentale , e poi al- l’Isola intiera che dai Greci sino a quel tempo ebbe nome Ichnusa da ty vos vestigium pedis a cui si rassomiglia. Vi trovarono abitatori , e con loro s’ unirono in buon’ armonia. Pausania racconta con molta diligenza tutto quel che conobbe esser detto della Sardegna; ma secondo lui nè Sardo, nè gli antichi abitanti sapeano fabbricare; dunque come avranno saputo fondere una statua in bronzo per mandarla in dono al tempio di Delfo ? La difficoltà è presto sciolta: poterono farla fondere, e comprar- la in Grecia, o chiamare artisti a farla nel loro paese, giacchè i Greci vi navigavano pel commercio. Nè possiamo convenire col sig. Manno in ciò che dice sù questo proposito, imperciocchéè se gli anti- chi e primi coloni di Sardegna, gli Orientali, farono secondo lui rozzi popoli nomadi e pastori, come ora vuole che alle più antiche colo- nie orientali si riferisca l'introduzione in Sardegna d’ un’ arte che ri- chiede il complesso di scientifiche teorie , ed il maestrevole artificio richiesto nella fasione d’un monumento di metallo ?( pag. 35, 36): Ma eran pure quelle medesime colonie orientali più antiche en- trate in Sardegna, e que’più antichi popolatori di essa (sostenuti per orientali ) che meno delle colonie posteriori o greche o spagnuole o libiche conoscevano l’ arte di edificare ; quei popoli nomadi e pastori che abitavano senza case, che non sapeano coagulare il latte; se fosse probabile che gli Isolani n’ avessero appreso il modo dai seguaci di Aristeo , come poco sopra videmo concedersi dall’Autore. In tanta incertezza e mancanza di argomenti cronologici non sa- rà egli molto preferibile l' ammettere dietro a tradizioni non affatto mitologiche, ma riferite da scrittori di senno quali correvano, che cioè i primi stranieri , 0 primi abitatori della Sardegna fossero par- titi dai continenti che la riguardano, sia dell’ Iberia, della Libia, della Grecia e dell'Italia; che questi poi fossero dirozzati ed istraiti da altri che sopraggiunsero più inciviliti , specialmente dai naviga- tori orientafi che aveano incivilito la Grecia , l’ Italia e 1’ Iberia? Anche le medaglie rammentate dall’Autore, che presentano l’ effigie di Sardo mostrano certamente la persuasione e la tradizione dei Sar- di sino a’ tempi romani, che Sardo fosse stato autore del nome loro. Si chiude il primo libro rammentando con scelta, e giu- sta critica altre memorie e testimonianze antichissime appartenti alla Sardegna sino a Dario. Se ci siamo permessi di andar me- scolando qualche osservazione forse troppo diffusa sopra alcune 12 opinioni dell'Autore intorno a’tempi oscurissinti non miramme'a dé- trarre alla. stima di esso, che mostra tanta premura di non abusar della critica nell’adottare le sue opinioni , nè a voler dissentire da lui, ima soltanto a proporre alcune riflessioni in argomento non meno disputabile e tenebroso , quanto solleticante la curiosità degli amatori di tali ricerche. Più brevi saremo nel dar’conto dei libri rimanenti , perchè vi si tratta di fatti o poco , o niente sog- gelti a questione, perchè a’tempi storici si avvicinano, o ad essi appartengono. Che presto dominassero in Sardegna i Cartaginesi, almeno sin dal primo secolo di Roma in una parte di essa, molte probabili congetture , in mancanza di documenti certi, lo rendono assai ve- rosimile. L'Autore propende a fissarne la soggezione al dominio car- taginese molto prima dell’ambasciata de’Sardi ad Alessandro il Macedone , contro l’ opinione dello storico Gazzano , che da quel- l’ambaciata vuol dedurne all’ opposto l’indipendenza. Il sig. Manno raccoglie dei fatti narrati da Diodoro siculo (lib. XV.) che danno a on se non la total soggezione, per lo meno una dipeodenza dell’ Isola dal dominio dei Cartaginesi, i quali sino dal tempo del- linvasione di Serse mandarono a vettovagliare ed a raccorre genti in Sardegna per la guerra che aveano in Sicilia ; a questi fatti sì aggiunge il tentativo dei Sardi per iscuotere la dipendenza da Cartagine quando gli Affricani poco dopo si ribellarono. Un do- cumento anche più concludente lo trova nel trattato riferito da Po- libio (Hist. lib. III.) che stipularono Cartagine e Roma sotto î consoli Giunio Bruto, e Marco Orazio, nel quale si proibiva ai Romani di navigare al di là del capo Bello fuori che per causa di commercio ; ed a condizione che in Affrica ed in Sardegna si fa- cesse la vendita ; nissuna pruova, dice il sig. Manno, più ap- pagante per far rimontare ai tempi anteriori all’ impero d'Ales- sandro il dominio punico in Sardegna, di queste aperte testimo- nianze di Diodoro e di Polibio. Ma quantunque tali siano che non escludano una piena sudditanza , neppure ci sembra ehe manife- stamente la provino; potendosi tutto ciò combinare con una con- federazione , e dipendenza per la preponderanza di Cartagine, senza un dominio intiero di questa; specialmente se si considerino le difficoltà che l'Autore stessò rileva per l’ assoggettamento dei Sardi, incontrato in tempo posteriore dai Cartaginesi, e poi dai Romani. Tale infatti era anche nei secoli bassi la confederazione, e dipendenza di varie repubbliche toscane da Firenze; che si governavano con leggi proprie a nome proprio, e Firenze le riconosceva col ca- carattere di Socie ; le quali ricevevano e davano ajuti , accettavana 13 semumissarj eon autorità per accordo , ed eran comprese nelle sti - pulazioni fatte dai Fiorentini con i forestieri, ma esse non erano dominate, e rompevano gli accordi senza taccia di ribellione, e continuavano a chiamarsi libere. Supposto un simile stato dei Sardi, e che non stà in opposizione co’ fatti dal sig. Manno rife- riti s'intende, come potessero dipendere da Cartagine, e man- dare ambiasciatori in proprio nome ad Alessandro. Cresciuta in seguito la potenza cartaginese, è ben da presu- mere che l’ antica dipendenza della Sardegna passasse allo stato di assoluta dominazione ; solita metamorfosi de’ patti del più de- bole col più potente ; ed il sig. Manno rende assai probabile que- sto evento co’ fatti che va esponendo ; la durezza dei trattamenti usati verso essi dai Cartaginesi, e la consueta barbarie delle loro istituzioni spinsero più volte i Sardi a scuoterne la dipendenza’; e giusto, dice il sig. Manno, riconoscesi lo sforzo adoperato dai Sardi per liberarsi da una signoria per tanti riguardi sì aspra ( pag. 65.). Cagliari città prituaria non'ha fondatori sicuri ; Solino come vedemmo, ne fa primo autore Aristeo, altri la danno ad Iolao per congetture dedotte dalle parole di Diodoro siculo (vedi il n. a p. 2g.). La voglion fondata dai Cartaginesi Pausania (lib. X.) e Claudiano (de bello Gild.). Il sig. Manno concilia le diverse sentenze : “ i primordj d’una città nascente così tenui sono talvolta e così limitati che svanisce il ricordo delle prime opere, ed a coloro che poscia le accrebbero si volta tutto l'onore della fon- dazione ; i Cartaginesi verosimilmente ampliarono, o ripopolarono l’ antichissima Cagliari, e ne meritarono il nome dì fontatori ,,. Ac- cese le mieidiali guerre tra Cartagine e Roma, dovette la Sar- degna essere spesso il teatro dei combattimenti, e servire alle forze ed ai bisogni della travagliata rivale dei Romani, e poi seguitarne la sorte. Prima cessione dell’ Isola fecero i Cartaginesi l’anno di Roma 5:15, ma dopo varie turbolenze fu dichiarata provincia vo- mana l’anno di Roma 518, dopo che T. M. Torquato |’ ebbe ri- vendicata dalla rivolta fomentata dai Cartaginesi, perlochè n’ ebbe l’ onor del trionfo. L'Autore nel descrivere gli sforzi de’ Sardi per iscuotere il giogo romano non si limita ai soli fatti; ma, come în proposito dei Cartaginesi già fece, ne fa conoscere lo spirito e la nazional vigoria. ‘ Nè ad alcuno, ei scrive, cada in pensiero, che siccome con un laconico cenno di sconfitta o di trionfo no- tansi melle antishe storie questi frequenti scontri degli eserciti romani con que’ poco domabili provinciali, così od agevoli, o di poco momento sieno stati. Battaglie, e battaglie sanguinose do- veitere assor sesterutà da un canto da tatta la disciplina roma- 14 - na, e mal governate nell’altro da un disordinato spirito d’ indi - pendenza. Vaglia a ciò comprovare e la cerna di copiosi eserciti ordinata in tali frangenti in Roma e la personale direzione dei consoli, o dei primi personaggi della repablica per varj anni pro- gressivamente richiesta ; lo che non può intendersi senza fermar per vero che grandi stragi siano conseguite; nota essendo la legge che la barbara condizione imparava ai postulanti il trionfo |’ uc- cisione aimeno di cinque mila nemici in una sola giornata. Ben - chè dunque manchi ‘allo scrittore la materia di pompose guer- resche descrizioni, non mancò ai Sardi o l'animo indipendente, o la costanza nei pericoli, ma solamente mancò od un nemico meno sprezzante, o la fortuna dell’armi , o la presenza d’ un’ uomo grande, che, raccolti attorno a sè i migliori, dirigesse con senno una turba tanto più sfrenata, quanto più confidente nelle proprie forze ,, (pag-38. e seg.). Da qui incomincia la storia della Sardegna congiun- tamente a quella di Roma, sino all'Imperatore Costantino il Grande. .Ci dispenseremo dall'analisi di questi rimanenti tre libri perchè troppo lunga riuscirebbe, e di cose trattandovisi, le quali non presentano che riuniti gli avvenimenti di varj secoli, e già moti dagli scrittori greci e latini. Non negheremo pertanto la debita lode al sig. Manno d‘ aver con buon garbo e criterio fatto questo collegamento, sen- za perder nulla di vista, procurando specialmente di porre in buo- na luce ciò che appartiene allo schiarimento dei luoghi, che s’ in- contrano nei classici, massime in Cicerone, ed alle persone na- tive dell’ Isola, o che vi dimorarono, come i Pretori romani di maggior nome, tra’ quali M. Scauro, ed altri; Giulio Cesare ec. Degli Isolani è specialmente ricordato quel Tigellio passato alla Poste- rità per la grazia che godeva di Cesare e di Ottaviano; per le invettive scagliategli da Cicerone ; e per la faceta menzione fattane da Orazio. Feconda vena egli avea di genio verseggiatore , ed invi- tato , cantava con subita ispirazione; ei fa nella casa di Cesare e nella corte d'Augusto ciò che nei tempi di mezzo furono i Trovatori che poi tennero luogo di buffoni stipendiati per servire di passa- tempo; sinchè andarono affatto in disuso quando si cominciò ad amare più le cose, che le sole parole , più le onorate fatiche perma- nenti dei dotti, che il bagliore verboso dei cortigiani Tigelli. Non trascura |’ A. di rammentare i monumenti della romana domina- zione che si vedono negli acquedotti ed in altri ruderi, nelle iseri- zioni ec. e principalmente s’ occupa nel confrontare le memorie to- pografiche sparse negli antichi scrittori con le moderne situazioni - Merita su questo articolo singolare attenzione la lunga nota alle pag. 295 e seg. dove illustra la topografia delle città sarde rammen- 15 tate da Tolomeo e da Antonino, e ne dà la corrispondenza mo- derna ; alla qual nota ne vien di seguito un’altra sul numero delle nazioni o schiatte diverse degli abitanti della Sardegna , le quali per la memoria d’una separata origine , o per l'importanza delle re- gioni occupate, erano nei tempi romani appellate con distinti nomi. \sesL'agricoltura, le leggi economiche ; la statistica, 1’ odeporico , ed al- * tro dell’antica Sardegna non vi sono dimenticati. La lettura di questo primo volume ci ha destato un vivo desiderio di presto averne sott’ occhio la continuazione, che all’Au- tore debbe dar maggior campo di far brillare le prerogative , che mostra di possedere per iscriver la storia; perchè s’incontrerà in messe amplissima di monumenti sicuri, di fatti più importanti e più legati co’ nostri costumi , colle nostre circostanze , ed in una parola , colla storia nostra ; e per conseguenza debbe riuscire anche più grato ai lettori tutto quello che loro presenterà il sig. Manno. In questa occasione colghiamo volentieri 1’ opportunità di ralle- grarci che sotto |’ influenza del Piemontese Governo, benemerito de’ buoni studi vedansi fiorire , oltre le scienze severe, gli studi dell’ archeologia e della storia ; studi che in Italia han preso final- mente quel carattere che lor mancava quasi affatto per l’ innanzi, quantunque avesser aperto la strada il Segretario fiorentino e qualcun’ altro, cioè d’ esser diretti allo studio dell’ uomo ed alla utilità della vita. 1 più de’ nostri scrittori storici , furono solleciti di raccogliere soli fatti, non dirado , come il sig. Manno osserva più ammiratori del favoloso che del vero, e dimentichi essere la storia testis temporem, lux veritatis , magistra vitae (1) si contenta- rono di servire o all’ambizione o al diletto ; ed i più sinceri , alla ‘vera narrazione de’ fatti. Oggi riguardiamo la storia come la pie- tra di paragone degli avvenimenti moderni; dove si scuopre nel suo vero aspetto tutto ciò che con falsi nomi si applaude, o si disapprova dall’ ambizione , e dall’ interesse : in una parola, dalle passioni degli uomini viventi; i quali in contradizione con sé medesimi lodano spesso nella storia quel che sdegnano di approvare nella vita; ed a vicenda vi biasimano quel che non di rado pra- ticano pure eglino stessi. S. C. (1) Cic. De Orat. lib. 1. 36. 16 Motizia storiea dell Isola di San-Domixge, ora repubblica d' Haiti ( Traduzione dal francese). L’ Isola di San-Domingo è una delle grandi Antille, che Cristo- foro Colombo scoperse nel suo primo viaggio il 6 dieembre «Sfa Questa tra le Antille era una delle più popolate ; gl’ indigeni che , al dire di Bartolommeo de Las Cases famoso Vescovo di Chiapa, erano un popolo dolce e pacifico che ascendeva a tre millioni , perirono dipoi nello scavare le miniere d’ oro e d’argento, vittime dell’ avidità dei conquistatori spagnuoli. Questi isolani la chiamavano Haiti ; Co- lombo le aveva dato il nome d’ Hispaniola; ma quello di San-Do- mingo dato allo stabilimento che eravisi formato, e che divenne la capitale di tutta l’isola , prevalse sopra di ogni altro, Gli spagnoli, dopo di aver fatto una guerra crudele all’ in- digeni che soggiogarono , si mantennero nell’ intero possesso di questa isola importante fino al 5630, in cui furon costretti a di- viderla con i francesi. Una trappa di venturieri francesi ed inglesi , che verso la metà del secolo decimosettimo si resero celebri nella storia delle Antille, cognominati Bucanieri o Flibustieri, si stabilì dapprima nella piccola isola della Tortue , o ‘Tortuga ; situata presso la costa nord-ovest di San-Domingo, e dipoi sulla costa medesima di quest’ isola. Ad onta di tutti gli sforzi degli spagnuoli per discacciar- neli, vi si mantennero ; costoro feeero prodigi di valore ed acqui- starono grandi ricchezze , il che gli rese terribili ai loro nemici, ed il loro stabilimento ne divenne famoso» Tuttavia nel 1665 la fortana che avea condotte felicemente tutte le imprese di questi animosi vevtarieri , risvegliò l’ attenzione del governo francese, che gli accolse sotto ia sua putente protezione, e nel 1697 ne fece una colonia. La Francia ottenne allora da Carlo I{ nella pace di Riswick la cessione della parte occidentale di S. Do- mingo, i confini della quale non faron fissati senvonchè nel 1776. Questa parte , dove l’ industria francese si sviluppò con vantaggio » sorse rapidamente ad un grado di prosperità marayigliosa ; mentre- chè la parte spagnola rimase in uno stato quasi incolto, che faceva un singolar contrasto cui rimanente dell’isola, diveutata allora la più preziosa colonia della Francia. Questa colonia era giunta, per gl’interessi della Francia, al più alto grado di prosperità , quando la rivoluzione francese scoppiò nel 1789, e propagossi benpresto i questa parte del nuovo-mondo. La popolazione del pari che nelle altre Antille era composta di bianchi, iquali erano i padror:i , di uomini di eolore e di sehiavi neri. I bian- : #7 chi , i quali reputavano gli uomini di colore ed i neri come classi de- gradate dalla specie umana, coi quali fosse cosa vituperevole il trat- tar da pari a pari, godevano soli tutte le ricchezze, e la in- fluenza che deriva dal dominio esclusivo. I neri schiavi collocati nek l’infima classe, provavano i mali tutti della schiavitù e della più bas- sa degradazione civile. Una società composta di elementi così contrari avea in sè i germi:della rivoluzione che la colse.La violenza delle fazio- ni della madre patria rimbombò nella colonia, e vi diffuse la discordia tra i bianchi, i neri, ed i mulatti. Quel famaoso decreto della convenzio - ne che dichiarava tutti gli uomini eguali innanzi alla legge, distrusse ad un tratto le istituzioni particolari di San-Domingo , e divenne il pretesto della guerra civile, che finì coll’ eccidio di tutti i bianchi nel 1791, fuorché di quelli che se ne fuggirono agli Stati-Uniti, o si refugiarono nelle isole vicine. Gl’ inglesi destri n-1 trar profitto dai mali dell’ altre nazioni si impossessarono dell’ isola nel 1793 ; ma non avendo potuto mante- nervisi , |’ abbandonarono nel 1798. La Spagna inabile a difendere quella parte che ella possedeva , la cedè alla Francia col trattato di Basilea nel 1799. Il dì 1. di Luglio 1801 San-Domingo proclamò la sua indipendenza sotto Toussaint l’ Ouverture. Nel mese di dicembre dell’anno medesimo un’ armata francese, forte di cinquantamila uomini capitanati da Leclerc, fece la conqui - sta temporanea dell’ isola, ma non potè conservarla. Il cognato di Napoleone, inalzato dal favore, più presuntuoso che prudente, non aveva lo spirito conciliatorio abbastanza per poter condurre a buon fine un’ impresa di tal fatta, della quale gli tolse la morte di veder- ne l’ esito lacrimevole. Ei lasciò il supremo comando al general Rochambaud: allora i neri da ogni banda detter di piglio alle armi, ed il costrinsero a lasciar vacua l’ isola all'improvviso nell’ anno 1803. Dopo la partenza dell’ armata, nella parte francese si forma- rono due stati indipendenti , cioè una repubblica di mulatti sotto Pethion, ed un regno di neri sotto Dessalines, ch’ ebbe Cristoforo per successore. Il primo reggeva la parte settentrionale, ed il secondo la meridionale. Dopo aver lungamente guerreggiato tra loro, fecero finalmente la pace, ed ambi atiesero con tutto l’ impegno a far fiorire quella parte dell’ isola ch’ era loro toccata in sorte. Colla morte violenta di Cristoforo avvenuta l’anno 1820 ebbe fine il re- gno dei neri, che nel 1811 aveva avuto il suo cominciamento; di- manierachè più non rimaneavi che la repubblica dei muiatti, colla quale sonosi riuniti e il regno de’ neri , e la parte spagnola , che nel 1821. aveva dichiarata la sua indipendenza. Dopo la morte di Po ihion, che dee reputarsi qual fundatore diquesto nuovo stato, che ha I. XX. MVovembre. 2 18 fatto resuscitare l’ antico nome d’ Z/aiti, la presidenza è passata nelle mani del general mulatto Boyer, ch’ esercita il. potere esecutivo di quel governo, che si è talmente assodato, che la Francia e la Spagna (alla quale il trattato di Parigi del 1814 ha restituito quella parte che già era di sua pertinenza) non hanno più sperato di poterla sog- giogare colla forza delle armi. La Francia ha preso il savio partito di riconoscere la sua indipendenza per l'utilità del suo commercio, e degl’ infelici coloni dei quali si è essa indossata gl’ interessi colla indennizzazione in lor prò da essa stipulata. Il presidente vien eletto dal senato; la sua carica è a vita; egli ha una rendita di 40,000 colonnati. Egli ha il diritto di designare il suo successore in- una lettera sigillata diretta al senato , che non pertanto è libero nella sua scelta ; il presidente può anco essere accusato da quello. Il presidente esercita il potere esecu- tivo ; egli è il dispensatore degli onori, e nomina a tatti gl’ im- pieghi. Il potere legislativo è diviso tra il senato e la camera dei deputati. Questa è composta di un deputato per ogni comune, e di due per le città capitali: questi debbon esser possidenti ed aver com- pito ventitrè anni; eglino sono eletti per cinque anni. Gli. elettori che rendono i loro voti sono esclusi di diritto da tutti gl’ im pieghi del governo. Ogni anno il dì 1.° d’ aprile si aduna la camera dei deputati a Porto-al-Principe; le sue sessioni durano tre mesi. Il se- nato è composto di ventiquattro membri, i quali sono eletti per nove anni dalla camera dei deputati sopra una triplice nota (che non dee contenere il nome di alcun deputato) presentata dal presidente. Per esser senatore, bisogna aver trent’ anni, e nessuno può essere rieletto se non che dopo tre anvi. Il senato è specialmente incaricato di tutto ciò che concerne l’ amministrazione; egli è permanente, ed ogni senatore gode di una pensione di 1,600 colonnati. Le leggi molto si avvicinano a quelle di Francia , perchè il codice civile francese serve loro di fondamento , come pure il co- dice di procedura ch’è in uso avanti ai tribunali. Vi è una corte di cassazione , una corte d’appello e dei trubunali di prima istanza, come anco de’ giudici di pace. Le classi principali degli abitanti del Capo Enrico , e di Porto- al-Principe, che son le più ragguardevoli piazze di commercio dell’isola, gareggiano tra di loro nel porgere ai forestieri una buona opinione del loro carattere coll’ affabilità , colla franchezza e colla civiltà. Si accolgono i forestieri con i maggiori riguardi ; essi sono sotto la protezione immediata del governo , e gli abitanti si danno tatto il pensiero di osservare in verso di loro tutti i doveri della ospitalità. 19 Tutto ivi coopera ad accelerare i progressi delle cogmiz.iuni e della civiltà: per gli sforzi lodevoli del governo la istruzione si diffonde per ogni dove: egli ha fondato degli stabilimenti nci quali s’ insegnano i primi elementi delle scienze: Vi sono quat- tro grandi scuole nazionali in ciascuna di queste città, cioè di Capo Enrico , di Port-la-Paix , di Sansgonci , e di Gonaives. Quelia di Porto-al-Principe ha un liceo, ed in ogni parrocchia v'è un maestro mantenuto dal governo, oltre i molti istituti particolari. Si segue il metodo di Lancaster o sia dell’ingegnamento reciproco. Ivi s'insegnano generalmente la lingua francese e la latina, le ma- tematiche ed i classici. Vi è una università fondata dal fu re En- rico per lo studio delle scienze sublimi, ed una scuola di chirur- gia con i maestri francesi. Vi si è pure introdotta la vaccinazione. Il medesimo Enrico parimente ha fondato un’ accademia di mu- sica e di pittura, ha fatto costruire un teatro, e da ogni banda si erigono fabbriche ed edifizi che mostrano la nascente prosperità ,. di cui da qualche tempo per la savia amministrazione del governo gode quella repubblica. La religione dominante è la cattolica romana, dichiarata dalla costituzione la religione dello stato , con una gerarchia simile a quella dell’ Europa. V’ è un arcivescovo per tutta l’isola, la di cui sede episcopale è San- Domingo l’ antica capitale d’ Haiti, ma che ha il palazzo arcivescovile al capo Haiti, detto per l’avanti il Capo Francese , ch’ è la sede del governo, destinata a diventar la nuova capitale, Egli è al gr. 19, 46', 30” di lat. nord. V’é una bella cattedrale dedicata a Nostra Signora ; essa è la sede della università, dell'accademia di musica e di pittura ; v’ è un teatro, che col ballo e colla musica è il divertimento prediletto degli Haitiani. La popolazione di questa città non ascende per anco che a seimila abitanti. Quantunque la religion cattolica sia dominante, tutti gli altri culti son ivi saviamente tollerati. Circa ai bianchi stabiliti nel- l'isola , il governo ha dichiarato , ch’ esso non s’ immischierebbe ne’loro affari domestici , nè nella loro credenza religiosa (lo che riguarda gl’Inglesi e gli Anglo-Americani), fino a che essi non cercassero di far proseliti, e non turbassero quelli di diversa 0 pi- nione, La istruzione non solo è generalmente diffusa per l'isola, ma il governo con molto zelo ha pensato ad una cosa di solumo ri- lievo, e forse troppo trascurata nell’ antica Europa, quella cioè di formare al buon costume la gioventù coll’invigilare ch’ ella sia allevata nei sentimenti di morale, di pietà e di virtù , che soli 20 possono assicurar la felicità alla società, e renderla rispettabile agli occhi degli altri popoli. Perciò il matrimonio, sorgente di popolazione e di buoni costumi nelle famiglie, è dovunque inco- raggito e onorato ; ed i fanciulli attentamente educati nei veri principj della religion cristiana, il più bel trionfo della quale si è quello di render gli uomini migliori e virtuosi. Quest’ isola fa conoscere al mondo che la differenza del co- lore non diversifica l'intelletto e le qualità morali dell’ uomo, che in ogni clima la natura benefica ha dotato dei medesimi sen- timenti (con poca differenza), delle stesse facoltà intellettuali, che d’altro non abbisognano che di esser coltivate dalla educa- zione per produrre i resultati medesimi sì nell’antico che nel nuovo mondo. Gli Haitiani fattisi celebri nella storia delle An- tille, e noi diremo anco in quella della umanità , proveranno col loro esempio , che gli uomini di colore ed i neri, allorchè si trovan liberi da ceppi, son atti al pari dei bianchi a ricevere ana civiltà europea. La repubblica d’ Haiti era giunta ad un alto grado di prosperità nel breve spazio di tempo in cui essa ha goduto di fatto della sua indipendenza ; ora che il decreto del 17 aprile di S. M. Carlo X. ha inalzato di diritto gli Haitiani al rango delle nazioni sovrane ;, si può prevedere a qual grado di grandezza e di potenza potranno essi arrivare colla energia e colla pradenza del loro governo, collocati , quali essi sono, nel clima il più bello, e nel centro di tutte le ricchezze del nuovo mondo. Non si può non andar d’ accordo che tra tutte le Antille San- Domingo non sia quella che in ogni tempo ha risvegliato il mag- giore interesse, tanto per la ricchezza dei suoi prodotti, e per l’importanza del suo commercio, che per il vantaggio della sua situazione. Quest’ isola, diventata omai celebre per la sua indipendenza, e per la sua recente emancipazione, è più di 2000 leghe lontana dalla Francia. Dopo Cuba ell’ è la più grande tra le Antille, van- taggiosamente situata tra la Giammaica e Cuba all’ ovest , Porto- ricco all’est, ed i Bahamas al sud-est, dal 17°, 13’, 20!” fino al 20° grado di latitudine nord, e tra il 70°, 45' a", ed il 76°, 55° o'' di longitudine ovest. Ell’ è lontana 27 miglia geografiche (di 15 per grado) all’ovest dalla Giammaica , 13 all’ ovest da Cuba, e 17 } all’est da Portoricco, avendo a mezzogiorno il mare dei Caraibi che la separa dall'America meridionale. Ell’ha la forma di un parallelogrammo, la di cui maggior lunghezza è di 170. leghe dall’est all’ovest. La sua larghezza varia dal nord al sud, ed è di 30, di 50, o di Go. leghe. Ell’ha circa a 360 leghe di circonferenza e 2I ‘ “eon una superficie di 3,200. leghe quadrate , che da Carey è stata fù, valutata 1,428 miglia geografiche. Il territorio di San-Domingo presenta un aspetto il più bello che si possa vedere, e racchiude de’ siti i più pittoreschi. Egli è vagamente variato non solo per la sua forma che per la natura del suolo, e per la moltiplicità de’ suoi prodotti. Sulla riva oc- cidentale, come pure sulla orientale vi sono due penisole. La gran catena di montagne , che si dilata dal nord-ovest al sud-est dal capo S. Niccola fino al Capo Espada, e che si dirama per l’isola in varie direzioni , contribuisce non solo alla ubertosità ma anco alla bellezza romantica di essa, per i fiumi innumerevoli che da quelle derivano , e perchè difendono le valli dall’ impeto dei venti e degli uragani. Queste montagne non arrivano ad un’altezza mag- giore di 6000 piedi sopra il livello del mare. Si concentra soprat- tutto in mezzo all’ isola dov'è la catena scoscesa ed arida che si chiama Cibao , la quale dev’ esser ricca di metalli. Questa catena centrale è formata di molte altre, che attraversano tutta l’isola da levante a ponente, e racchiude molte gole come anco delle savane , dove gli armenti posson trovare un abbondante pastura. Queste montagne son coperte d’ogni specie di alberi dei tropici ; e secondo la loro altezza anco di quelli delle zone temperate. I fiumi ed i torrenti, che si precipitano da esse, diffondono una pia- cevol freschezza, e concorrono alla fertilità delle valli e delle pianure, adorne della più vigorosa vegetazione e d’ ana perpetua verzura. Sugli alberi fruttiferi le fratta vengono continuamente dietro ai fiori, ch’esalano i più grati profumi. Il mare forma molti golfi, tra i quali i riguardevoli son quelli di Leogane sulla costa occidentale , e di Samana sulla co- sta orientale. Il primo, che è formato da due penisole , contiene l’ isola di Gonaives, che è molto grande, come pure parecchi altri golfi. San-Domingo è bagnato da molti fiumi, i più notabili dei quali sono la Reiva sulla costa meridionale, l’ Artibonito sulla costa orientale, come pure molti altri che troppo lungo sarebbe il descrivere. Noi peraltro non dobbiamo passar sotto silenzio l’Ozama , che scende dalla gran catena di Cibao. Questo fiume vicino alla sua foce riceve l’ Isabella, che ha 90 piedi di lar- ghezza, e che bagna la città di San-Domingo. L’ Ozama acquista allora una larghezza di 360 piedi, ed una profondità di 10 brace - cia: egli è navigabile dalla sua foce per una dozzina di leghe : le navi mercantili dalle 4 alle 500 tonnellate come ancora le cor. vette possono risalirlo per 5 o 6 leghe. L’ Enriquillo è il maggior lago dell’isola: egli ha una cir- 22 conferenza di circa a 13 miglia geografiche; esso è lontano 14 leghe a levante da Porto-al-Principe. Questo lago contiene la iso- letta di Cabrito, che ha 1 miglio geografico di lunghezza ; e mezzo di larghezza. V' è una bella sorgerte d’acqua fresca. Questo lugo , come ancora parecchi fiumi dell’isola, contiene dei serpenti al- ligatori, alcuni de’ quali hanno dai 18 ai 22 piedi di lunghezza , dei caimani, che, sono una specie di coccodrilli, e varie sorte di pesci. Haiti fin dal 1795 è diviso in cinque dipartimenti: cioè 1.° il dipartimento del nord , che abbraccia la costa settentrionale della parte occidentale dell’isola dal capo S. Niccola fino alla punta Isabellica, contenendo coll’isola della Tortue trentatre cantoni, ed il Capo Francese, ora Capo Haiti. 2.° Il dipartimento occidentale , che si stende sulla costa occi- dentale dal Capo Lamentino fino al golfo di Gonaives, racehiu- dendo tredici cantoni colla città di Porto-al-Principe, ch'è di- ventata la nuova capitale di tutta l’ isola. 3.° Il dipartimento meridionale, che comprende la penisola del sud-ovest dil capo di Tiburon, l’estremità la più occiden- tale dell’isola , fino al Capo di Lamentino. Esso contiene colle isole Cayennites, della Vacca, e di Beata, venticinque cantoni, avendo per cap»-laogo la città di Leogane , che giace sulla costa occidentale, dove si fa un gran commercio. i 4.° Il dipartimento d' Enganno, dove si trova il promontorio dell’ istesso nome. Esso racchiude la parte sud-est dell’isola, e si estende dal fiume Nisao fino al capo d’ Enganno, lungo la costa meridionale, e da questo capo fino alla foce dell’ Yana , o del fiume Cotuy, sulla costa orientale. Esso comprende colle isole Caterina e Saona dieci cantoni, come anco l’antica capitale San- Domingo. 5.9 Il dipartimento di Samana comprende la parte setten- trionale dell’isola. Questo dilatasi sulla costa settentrionale del- )’ isola, dalla punta Isabellica fino al capo di Samana, e da questo capo sulla costa orientale fino alla foce del fiume di Yana o Cotuy. Esso racchiude cinque cantoni, con la città di San-Iago o Yago, che vien chiamata de Zos Cavalleros, la quale è una delle prin- cipali città , situata sulla ripa orientale del finme San-Giacomo, che , secondo Alcédo, ba una popolazione di 26000 abitanti Questa isola, ch’ è stata chiamata con varj nomi, ha avuto anche diverse capitàli : la città di San-Domingo è stata la capi- tale di tutta l’isola sotto il dominio della Spagna, e dipoi lo è stata di quella parte dell’isola che apparteneva a questa potenza. 23 Questa è la più antica città non solo di San-Domingo, ma di tutte le Indie occidentali. Essa è stata fondata nel 1494 da Bar- tolommeo Colombo ( fratello del celebre Cristoforo Colombo) ; ma, essendo stata quasi affatto distrutta da un oragano, fu tra- piantata da Ovando nel sito in cui di presente si trova. La chiesa cattedrale fu inalzata a vescovado dal papa Urbano II. nel (512. Don Gerardino Romano fu uno de’ primi prelati che abbiano occupato questa sede , predicato il Vangelo, e portati gli Or- dini nel Nuovo-Mondo. Paolo III. nel 1574 eresse questo vesco- vado a metropoli, ed a sede arcivescovile, che ha per suffraga- nei i vescovi di Cuba e di Porto-Ricco. La cattedrale, sebbene piccola, è molto bella e riccamente adorna. Essa racchiudeva le spoglie mortali di Cristoforo Colombo , le quali sono state tra- sportate nella nuova cattedrale dell’Avana (isola di Caba), quando fa ceduta alla Francia la parte spagnola. Senza contare la chiesa parrocchiale , vi sono due succursali, cinque conventi di frati, e due di monache , uno dei quali era prima collegio dei gesniti , una università , ed uno spedale riccamente dotato, che una volta «aveva un’ entrata di 20000 ducati. La popolazione ascende a 30000 persone, creoli, europei, mulatti, e neri. Essa è lontana 54 mi- glia geografiche dal Capo Francese o Haiti, ch’è stato la capi- tale dell’isola sotto il dominio francese, e quella del regno dei neri sotto il re Enrico. La sede del governo è ora .a Porto-al-Principe situato sulla costa occidentale al 18° 31° 30” di latitudine nord. Questa citta è la residenza del presidente. Ogni giorno si erigono nuove fab- briche sulle rovine dell’ antica città. V'è un liceo, una stam- peria, una scuola alla Jancaster , e molte altre scuole elementari. La popolazione non ascende peranco che a circa a Joooo abitanti. Vi si fa un gran commercio di derraie coloniali. Vi sono due porti, uno per le navi da guerra, e l’altro per le navi mer- cantili. La popolazione della parte spagnola di S. Domingo ascen- deva secondo il censimento del 1785 a 152,640 , e secondo un geografo spagnolo (Alcédo) nel 1798, a 125,000 individui, tra i quali 110,000 bianchi, o sia uomini di colore liberi, e 15,000 schiavi neri. Secondo Walton questo numero era scemato nel 1810 fino a 104,000 anime. La parte francese era molto più popolata. In quel tempo si contavano 38,360 bianchi: 8,370 uomini di colore liberi, e 455,000 schiavi neri: il che ammontava gene- ralmente a 626,730, anime. Secondo Prud’homme , la popolazione non ascendeva nei cinque dipartimenti che dividono tutta l’iso- 24 la, dopo la cessione alla Francia della parte spagnola , che a 575,089 anime. La Croix ha valutato la popolazione dei due stati neri e mulatti , ch’ eransi formati nella parte francese, a 480,000 neri, 20,000 di colore e 1,000 bianchi, che in tutto fanno 501000 anime. ll sig. de Pradt l’ ha valutata 840,000, dei quali 520,000 nella repubblica dei neri e 320,000 nel regno dei mulatti, tra i quali verano 32,000 uomini di colore. Secondo una nuova recognizione ( Revue Encyclopédique del mese di dicembre 1824) che dicesi fatta nell’ anno scorso , la po- polazione d'Haiti o di San Domingo ascenderebbe a 935,335 in- dividui, compatandovi 113,328 uomini di guardie nazionali, e 5.520 uomini di truppe che componevano l’armata ; cioè , nella parte Srpampla: e Sagra a ftt eni 61,468 individui Nell’antico regno di Ceri Al ata 367,721 idem. Nella parte governata prima da Pethion. 506,146 idem. Totale . . 935,335 individui. Se il numero dei bianchi è molto scemato per effetto di quella terribile rivoluzione, che gli ha scacciati dall'isola, quello dei neri si è molto accresciuto come l’ osserva Rouzeau: l’ attual go- verno dell’ isola dona dei terreni agli affricani , come anco a quei di colore che vi vanno dagli Stati-Uniti d'America. Ve ne sono andati circa a 200 nel 1824. Esso gli paga una parte del viaggio, gli somministra tutto il necessario finchè possano procurarselo da lo- ro medesimi: il che presto si fa in un paese favorito di tutti i doni della natura. Più non vi sono classi privilegiate , nè schiavi. Il re Enrico aveva istituito nel suo regno l’ ordine d’ Enrico che aveva per im- presa pour prix de la valeur, con una nobiltà, dei duchi e dei barovi. Ma la costituzione della nuova repubblica d’ Haiti ha abo- lito tutte queste distinzioni: essa ha assicurato una perfetta egua- glianza dei diritti civili a tutti gli abitanti, il maggior numero dei quali son neri ; gli uomini di colore vengon dopo : circa ai bian= chi, il numero dei quali è piccolo, sono sotto la protezione spe- ciale del governo, Sonovi non pertanto tra i popoli d’ Haiti quelle medesime di- stinzioni di convenienza che si trovano in tutti gli stati civilizzati, gli abitanti dei quali si dividono in varie classi. La prima è compo- sta a San-Domingo delle autorità superiori , degl’impiegati civili e militari, che per la maggior parte sono mulatti che posseggono le più grosse tenute. La seconda classe abbraccia gli artisti , e gli arti- giani, che per la maggior parte son neri, come ancora i soldati , ai 25 quali sono stati dati dei terreni. La terza classe sono i neri con- tadini, i quàli hanno l’incarico di coltivare, mediante un certo canone che pagano ai padroni del terreno. Molti fra questi pos- seggono delle grandi piantate, ed hanno acquistato grandi ricchezze. I maulatti, essendo superiori nelle cognizioni, nell’ attività, e nella civiltà , formano una specie d’ aristocrazia. Hanno i mag- giori impieghi, e formano la classe più colta e che ha maggiore influenza nelle città. Hanno dolci e piacevoli costumi al par dei francesi , dei quali parlano la lingua coll’accento creolo.Godono d’una certa agiatezza che ha diffuso tra loro l’ amore dei comodi della vita, donde è nato il lusso che alimenta il commercio e l’ indu- stria. Il governo , illuminato nel suo andamento , seconda per quan- to sta in lui così felici disposizioni. Favorisce le belle arti e l’ indu- stria. I neri incoraggiti dai ricchi e dall’ autorità son diventati in poco tempo pittori e scultori, le produzioni dei quali richiamano già l’ attenzione dei forestieri. Altri si son dedicati all’ architet- tura, alle arti utili della meccanica , ed alla fabbricazione di va- rie stoffe. Sono arrivati a scavare delle miniere di zolfo ; hanno fatto del salnitro che non la cede a quello d’ Europa. Hanno edi- ficato de’ molini dove fanno una polvere da cannone eccellente , ‘ che non hanno più bisogno di far venir di fuori. Cosicchè Haiti possiede tatti quelli elementi che possono rapidamente sollevare ad un alto grado di prosperità ; essa è destinata a fare un giorno una gran figura tra gli stati indipendenti del nuovo mondo. Le rendite del governo provengono principalmente dalle ga- belle sopra ai diversi rami d’ industria , dalle imposizioni su i beni stabili, dal bollo, e dai dazi sulla importazione e sulla esporta- zione d’ ogni sorta di mercanzie. La rendita annua che percipe il governo si valuta circa a 30 millioni di franchi. Ognuno dei due stati manteneva un’ armata assai ragguarde- vole, vale a dire il regno de’ neri , non compresa la guardia, due reggimenti d'artiglieria , due di cavalleria , e trentadue reggimenti d’ infanteria , che in tutto fanno 30,000 uomini. La repubblica dei mulatti, senza la guardia , aveva pure due reggimenti d’artiglieria, due reggimenti di dragoni, e ventiquattro reggimenti d’ infante- ria, in tutto 25,000 uomini, Haiti mantiene al presente 10,000 uomini di truppe regolari che sono ben disciplinate ed equi- paggiate, al pari delle truppe europee. In caso di bisogno il governo può metter sul piede di guerra 30,000 uomini di più , senza la guardia nazionale che è numerosa, poichè ogni abitante che tocca sedici anni è obbligato ad arrolarsi. 26 \ & I forti, come ancora i depositi militari son provveduti abbon- dantemente d’ armi e di munizioni. L’ artiglieria è sotto la dire- zione d’ ufiziali esperti e istruiti. I soldati di quest’ arme si re- clutano da un corpo di cadetti , i quali son destinati ad essere ufiziali del genio come anco d'artiglieria. Una delle fortezze più im- portanti dell’ isola è la cittadella Henri, che il re nero di que- sto nome bha fatto fabbricare sopra una montagna quasi inacces- sibile, vicino alla sua residenza a Sansgouci. La marina militare sotto Pethion era composta di quattro vascelli da guerra di novantasei pezzi d’ artiglieria ; il regno dei neri aveva due corvette, nove brigantini, come anco alcune go- lette. Dopo la riunione, il governo non ha trascurato di rivol- gere tutte le sue cure ed accrescere la sua marina, di cui cono- sce tutta l’ importanza. 1 In caso di attacco ogni Haitiano atto a portar le armi dee correre in soccorso della sua patria per difendere la sua indipenden- za; lo che aggiunto alla posizione nataralmente forte dell’ isola , ch’ è anco aumentata dall’ arte, ed allo stato militare imponente che ha il governo, rende Haiti poco atta ad essere omai soggio- gata da truppe europee, ie quali avrebbero inoltre a lottare contro l’ influenza del clima , i di cui perniciosi effetti hanno provato le due armate inglese e francese , che sono state costrette ambedue ad onta della loro superiorità ad abbandonarla. Gli affricani finalmente hanno trovato nel nuovo emisfero, in una delle isole più ricche e più importanti di quella parte del mondo , una nuova patria , meno ingrata del loro paese natio, in cui sventuratamente è consacrata da’ secoli la schiavitù. Haiti è diven- tata per loro la terra promessa ,, che dee consolarli dei mali da loro sofferti , e dove l'umanità non avrà più da gemere della in- giustizia o della avidità degli uomini. Non è del nostro argomento l esporre le conseguenze che la emancipazione degli Haitiani potrà avere sul destino delle Antille ; ma se ci fosse permesso di parago- nare gli avvenimenti del secolo passato ,1n cui la Francia ha cotanto generosamente contribuito alla indipendenza degli Anglo-America- ni, con quelli del secolo presente , potrebbesi forse alzar quel velo che asconde il futuro , e supponendo che le medesime cause pro- ducano i medesimi effetti, prevedere il cangiamento che questa emancipazione potrà un giorno arrecare al sistema coloniale delle Indie occidentali. Il filantropo potrebbe lusingarsi che questo di- verrà più favorevole all’ abolimento della schiavitù nel nuovo emi- sfero , che tutte le misure che ha prese la Gran-Brettagna ad ono- re o a vantaggio dell’ umanità. o #7 Prima della rivoluzione quest’ isola si segnalava per 1’ im- mensa quantità , e per la ricchezza dei suoi preziosi prodotti. Per . questo lato essa meritava il nome di regina delle Antille col quale chiamavasi. Non eravi per altro che la parte francese che fosse col- tivata con diligenza. La parte spagnola , quantunque più grande ed anche più favorita dalla natura, non era quasi da paragonarsi alla parte francese per le sue produzioni. L’ indolenza spagnola vi avea lasciato nell’ infanzia la coltivazione dei più ricchi prodotti. Quel suolo così ubertoso sotto il più bel clima del mondo, dalla negli- genza o dalla non curanza era stato avvilito ad esser di pascolo ai bestiami ;, mentre che la coltivazione delle più ricche derrate co- loniali era limitata al solo bisogno degli abitanti. Non già che in quel suolo favorito dalla natura sia stata del tutto trascurata la coltiva- zione dei commestibili così necessari alla vita degl’ isolani. V’erano alcuni terreni specialmente destinati a tal uopo, i quali eran d’una mediocre qualità, situati sui poggi o in vicinanza delle città o de’ borghi, dove si potevano facilmente spacciare queste derrate. Si coltivava ogni sorta di cereali e di erbaggi tanto d’Eu- ropa che dell’ Indie. Vi si trovava raccolto tutto quello che di più prezioso producono i tropici : il suolo , che è fertilissimo, altro non aspetta che la mano produttrice dell’uomo per far mostra di tutte le sue ricchezze , e per ricompensare con prodigalità le fati- che del coltivatore. Cosicchè nel regno vegetabile quest'isola fa pompa della sua | maggior ricchezza. Essa produce abbondantemente le canne da .zucchero , il caffè, il cotone, l’indaco , il caccao , il tabacco, lo zenzero , il riso, il gran turco, la minioca o cassava, i fichi d’Adamo, le arance , i cedri, i limoni, gli alberi de’ gamani , i fichi d'India, le albicocche, le pesche, le melagrane, gli ananassi, la casca- ‘rilla, le di cui foglie danno un buon thè, il rocu ,i grani di paradi- so , la scialappa , la china , i legni da tinta di parecchie. specie , co- me il legno del Brasile ed il campeggio. Vi sono de’ boschi interi dei ‘ legni i più preziosi da stipettajo , come il mocogon, il legno ferrato, l’acoma , il manchinello , il legno rosa, il guaiaco, la bignonia, ‘(quercia indiana ) i cipressi, i cedri, le acacie , gli alberi che produ- cono l’ incenso , i lieni , che si moltiplicano all’ infinito. Le viscere della terra gareggiano colla superficie , e racchiu- . dono dei tesori non solo abbondanti ma anche preziosi. In pa- . recchi luoghi sono sparse le miniere d’ oro e d’argento, e non hanno bisogno che d°’ essere scavate da mani esperte, per arric- | chire, come a tempo della conquista, gli abitatori di quest’ isola fortanata. Parecchie montagne non solo racchiudono in seno ognl 28 sorta di metalli, ma ancora molti fiumi portano dell’ oro, ed altri l’ argento, come il Rio verde (il fiume verde) la rena del qua- le è spesso mescolata con oro purissimo. Le altre materie minera- logiche consistono in rame, argento, stagno, piombo, mercurio, ferro (veggansi Giovanni Rieto e Levay de Soulastre), calamita, antimo- nio , zolfo in pietra, vetriolo, salgemma , spato, quarzo , talco , cri- stallo di monte, marmo, alabastro, lapislazzali, porfido', calcedonia, ambra, ocra, delle sorgenti minerali ec. Il regno animale pure è moltissimo variato; è provvede ab- bondantemente a tutti i bisogni degli abitanti, e ne avanza. Vi si alleva una gran moltitudine di tutti gli animali domestici d’ Eu- ropa , principalmente in quella parte che una volta era spagnola , dove vi sono eccellenti pasture: la carne di questi è anco più de- licata che in Europa. V’ è parimente an gran numero di uccelli dei tropici, che hanno bellissime penne, come pappagalli, e co- libri. I fiumi ed i laghi sono abbondanti di pesce, e porgono agli abitanti un salubre alimento , come anco la pesca che si fa lungo le coste. 1 i Il clima è simile a quello dell’altre Antille e dei tropici: sebben sia eccessivamente caldo, v'è nondimeno una gran differenza di tem- peratura , secondo la posizione e le varie elevazioni dei luoghi. Il caldo viene spesso mitigato da’ venti , principalmente da quello di levante, e soprattutto dalle dirotte pioggie che cadono di tem- po in tempo. L’ aria generalmente è umida e fresca dopo il tra- montar del sole. Il termometro di Reaumur segna nell’ inverno il 12°. la mattina , ed il 17°. a mezzogiorno sopra lo zero. Nelle notti di estate sale ordinariamente dal 22°. al 23°. È questo il tempo delle burrasche , che vengono ad un tratto, ma son di corta du- rata; mentrechè nell’ inverno le piogge son più frequenti e più scarse. Il sole sorge velocemente fuori dell’orizzonte , e si preci- pita nella stessa guisa di sotto; talchè non vi sono nè i crepuscoli nè l’aurora delle zone temperate. Nella parte orientale e meri- dionale dell’ isola l’anno si divide in due sole stagioni : non v'è nè primavera nè autunno. La stagione che chiamasi inverno è il tem- po degli oragani, e delle tempeste che durano dal mese d’ aprile fino a novembre. Nella parte settentrionale l’ inverno comincia dal mese d’agosto e finisce in aprile. E questo il tempo delle nebbie e delle pioggie , in cui le notti son fresche del pari che le mattina. A questo inverno succede una primavera la più bella del mondo, che dura fino nel giugno, dopo il quale viene un caldo eccessivo , che dura fino nell’ ottobre ; !’ autunno finisce in novem- bre: questo è il tempo delle burrasche e delle malattie. Quantuh- 29 que l’improvviso alternar del caldo e del freddo produca molte ma- lattie endemiche ed ancora epidemiche, delle quali è vittima una gran moltitudine di neri e di bianchi, nondimeno l’aria gene- ralmente è salubre , ed allorchè gli europei sonosi assuefatti a quel clima , e menano una vita regolata , arrivano alla decrepi- tezza. In questo momento, in cui la giustizia illuminata del governo piglia l'espediente adattato per risarcire quelli sventurati coloni de- gl’immensi danvi sofferti nei loro averi , non sarà fuor di proposito il mettere sott’ occhio , come in un quadro , non solamente le terre coltivate, ma ancora le piantazioni, e gli altri stabilimenti che eglino possedevano prima di quella tremenda catastrofe che tutto rapigli. Giusta il parere di Rainsford tutte le terre coltivate nella parte francese occupavano una superficie di 763,923 quadrati francesi , o acri inglesi 2,289;480, che fanno una superficie di 170 e mezzo miglia geografiche quadrate (di 15 per grado). Herben la valuta 771,275 quadrati di terra a coltivazione, e la superficie della parte francese a 2,601,000 quadrati. Secondo una dimostrazione che com- parve in Francia nel 1802, la parte francese occupava 2,500,000 quadrati di terra adattati alla coltivazione , dei quali 1,500,000 era- no realmente messi a entrata. Si contavano nella parte coltivata le piantazioni, delle quali ec- co la dimostrazione con il loro valore respettivo, cioè: V' eran nel 1798. Nel 1789. Valore in lire a quel tempo 192 Piantazioni di canne da zucchero 813. . . . 203,730,000 2810 Idem di caffè. . . . . +. .3It7. . . +. 70,200,000 705 Idem di cotone . . +. . +. . 789. . . . 30,000,000 3097 Idem d’indaco . . . . . .3151, . . . 100;000,000 bplidera di Cateao n iraniani na Dal 900,000 157 Distillerie di rhum . . +... 182. . . . 200,000 3 Conce . © . 2 DI RA MIA i, IDRA 950,000 313 Fornelli da Bbltaatiai Vi vitro 28 Fabbriche di stoviglie. . . . 299 - . . 6,600,000 33 Fornaci da tegoli . . . . +. 36 7387 Stabilimenti . . . . . + + 8547. Valore totale412,580,000 i Scorgesi da questo quadro che la più preziosa cultura era quel- fa dei generi coloniali, tra i quali quelli delle canne da zucchero e del caffè erano di maggior rilievo , lo che vien anche provato dalla esportazione che ne fu fatta nel r789. Quella dello zucchero greggio do arrivò a 93,573,300 libbre di peso ; quella dello zucchero bianco a 47,516,531, e quella del caffè a 76,835 ,219. i Noi siamo privi di dati onde poter determinare la quantità del prodotto di questi due articoli sotto l’attual governo d’Haiti. Sem- bra per altro che formino come un tempoi principali oggetti della coltivazione dell’ isola. Si sono eretti sulle rovine degli antichi mo- lini da zucchero più di 70 molini nuovi nel solo distretto posto nelle adiacenze di Porto-al- Principe. Quest’ isola è anco in oggi una di quelle che produce caffè in maggior copia nell’ Indie occidentali. Circa al cotone la coltivazione era in un florido stato, poichè nel 1789 fu esportata la quantità di 7,004,278 , come'pure quella dell’ in- daco che fu di 758,688 , e del cacao che arrivò a 150 , ooo libbre di peso. La parte spagnola era quasi deserta, poichè in uno spazio di circa a quaranta leghe da San-Domingo a Cotuy, si trovava appena un piccolo villaggo, e alcune case sparse quà e là. Dalla capitale in fuori non vi si trovavano che poche città,eduno scarsissimo numero di stabilimenti, che non meritavano il nome di piantazioni. Vi erano appena ventidace piantazioni di canne da zucchero , il prodotto delle quali era consumato nella colonia. Il caffè, il cotone, del pari che l’indaco vi vengono benissimo, come ancora il caccao, ma erane tra- scurata la coltivazione. Quella del tabacco era più in voga , la di cui buona qaalità lo rendeva eguale a quello di Cuba o dell’Avana. Ilipa- scolo dei bestiami formava il principale oggetto dei coloni, ed il nu- mero delle mandre era ivi assai maggiore che nella parte francese. Lo scavo delle miniere potrebbe diventare un oggetto da pro- durre maggiori ricchezze in più breve tempo che la coltivazione dei terreni, poichè secondo le ricerche di un dotto mineralogista spagnolo (Jouan Rieto)la sola parte spagnola racchiude nelle mon- tagne ogni sorta di ricchezze mineralogiche, come ancora dei metalli preziosi che sono affatto negletti, quantunque ne’ primi tempi della conquista con grande utilità sieno state scavate quelle miniere. Il che aveva impegnato il governo d’ Haiti a mandare un agente a Londra per formarvi una società per lo scavo delle miniere. A_qual fine la Francia lascerebbe queste ricchezze in preda di quella poten- za navale, che si è appropriate le preziose miniere del Messico ? Una compagnia creata a Parigi per questo oggetto potrebbe ritrarne il maggiore utile per la Francia, e per il governo d’ Huiti; ne sareb- be altrettanto più facile l’ esecuzione , giacchè di presente passa la migliore intelligenza tra la Francia e questa repubblica. Senza l’ oro che si ricava dalla lavatara della rena di que’ fiu- mi che trasportano questo metallo, v’ è nei contorni di Cotuy una 3I ricca miniera d’ oro, che anticamente produceva oltre a tre millioni di franchi in oro l’ anno. Havvenne un’altra sulla riva del fiume di liao, vicino a Quaraguno lungi tredici leghe da San-Jago, nei canto - ne di Samy. Ve ne sono parecchie altre nei montì Barucos. Vi sono anco delle miniere d’ argento in vicinanza del fiume San-Giacomo pressu ad Isliguey, ed un’altra a Juyna vicino a Bonaventura. Son- vi delle miniere di rame nelle adiacenze di Cotuy; il qual rame con- ‘tiene dell’ oro. Vi sono delle miniere di ferro nella Sierra-Piéta ; una miniera di sal gemma nella vallata di Neiba, e parecchie altre in vari luoghi. Si dee ben credere che un popolo il quale possiede tante ric- chezze naturali, e dei prodotti, la coltivazione dei quali è di un pre- gio tanto grande, non può avere che una limitatissima industria ma- nifattrice, e ristretta soltanto alle cose le più necessarie, potendosi agevolmente procarare tutti gli altri oggetti di lusso dall’ estero in permuta dei preziosi prodotti del suo territorio, Dimanieraché tutta l’ industria consiste in alcune fabbriche di stoviglie, fornaci da cal- cina, come distillerie di rbum, raffinerie di zucchero. Il commercio che si faceva tra la Francia e San-Domingo era uno dei più ricchi e dei più ragguardevoli dell’ Indie occidentali , come si può vedere dalla dimostrazione seguente. La parte francese dava lei sola nel commercio nel 1782. cioè : , Quadro della esportazione la San-Domingo nel 1788. Quantità delle merci. Valore di quella in Francia 163,405,500 libbre di peso di zucchero. . . . .70,979,000 68,181,000 idem di caffè . 6,289,000 idem di cotone. . . . . . + + + 12;572;000 930,000 idem d’ indaco... . . . + + +. +. 8,091,000 150,000 idem di caccao. . ‘. . ++ + + 112,000 34,453,000 idem di melazzo (0 a » +. *- 2,067,000 RO D:CUOTA NI e at te et IRE JIA ME 85,000 5,500 tartarughe . . . PRIA AE 66,000 1,300,000 legnaini da tinte ed stri rear ae 7o00 MAr 4 PINA A 00 i Somma totale del valore . 135,620,000 Importazione a San-Domingo nel 1788. La Francia importava a San-Domingo pel valore di 54,578,000 franchi, che in parte consisteva in articoli delle sue manifatture , e 32 in parte nei suoi propri prodotti , ed fn altri oggetti. Questo conì- mercio teneva occupate 465 navi che portavano 138,624 tonnellate, delle quali Bordeaux ne dava 176 che portavano :54,405 tonnellate, Fu importato a San-Domingo dall’ estero dopo la permission che ne fa accordata, per il valore di 7,000,032, franchi di varie merci ,e fu esportato dalle colonie francesi per l’ estero , pel valore di 3,707,000 franchi di derrate coloniali. Furono esportate nel 1789 da San-Domingo , 141,089,891 lib- bre di zucchero, 76,835,219 libbre di caffè, 7,004,278 libbre di co- tone , e 758,628 libbre d’ indaco, Queste esportazioni si diminuirono nel 1800, a 167,850 quinta. li di zucchero greggio, 277,441 quintali di caffè ,945 quintali di caccao , 23,419 quintali di cotone, e 19 quintali d’ indaco. Il commercio della parte spagnola non è mai stato grande in alcun tempo. Questo consisteva principalmente in cavalli, muli, animali cornuti, porco affammicato , ed una piccola quantità di zuc- chero, di pelli, e di legni da tinta che si esportavano nei porti della parte francese di San-Domingo. Dopo l’ indipendenza di quest’ isola , il commercio ha preso un altro andamento , che ha privato la Francia di tutti i vantaggi che essa ritraeva da questo importante possesso. Gli inglesi e gli ame- ricani degli Stati uniti son quelli che fino al giorno d’ oggi vi hanno preso più parte. Essi hanno ivi importato tutti gli articoli d’ Europa, dei quali gl abitanti avean di bisogno yed hanno preso in concam- bio i ricchi prodotti del suo terreno. Non vi fu fino alla nuova com- pagnia dell’ Indie occidentali stabilita a Elberfed negli stati papesr= ni ; che non spedisse a San-Domingo delle navi cariche di articoli d* manifatture della Germania. La Francia sola non vi pigliava una parte diretta ; i mercatanti erano ridotti alla vergognosa necessità di simulare i loro carichi , e di mettere le loro navi sotto un’ altra ban- diera, L'ordinanza del 17 aprile ultimo che è stata mandata ad ese- cuzione , ha di nuovo aperto alla Francia il commercio di quest’ iso- la sopra basi più favorevoli di quelle di qualunque altra nazione. Il commercio degli inglesi diventava ogni giorno più grande. Questi importarono a San-Domirgo nel 1814 pel sega di 1,200,000 lire sterline in articoli delle loro manifatture. A tenore dei registri autentici di quell’isola, nei primi sette mesi dell’ anno 1817 sono ar- rivate 107 navi, la maggior parte delle quali erano americane e in- glesi, che tutte insieme aveano una portata di 12,00) tonnellate. Le esportazioni in zucchero ed in caffè ammontarono nel medesimo spazio di tempo a 17;084,000 lire. Nel 1821 le asporlazioni d’ Haiti 33 per gli Stati-Uniti dell'America, asceso al valore di 2,246,275 lire, e le importazioni di questi stati ad Haiti soltanto in merci di loro suolo al valore di 740,383 lire sterline. Secondo una dimostrazione pubblicata a Portw-al-Principe nel 1823 dello stato del commercio d’Haiti, il valore delle mercanzie importate in quest'isola dagli americani degli Stati-Uniti, ascendeva a 6,641,670 colonnati, sopra i quali la somma di 812,862 colonnati fu pagata per i dazi. Gli inglesi l’ anno medesimo importarono pel va- lore di 3,661,244 colonnati, e pagarono per la somma di 248,536 colonnati di gabelle. Le esportazioni agli Stati- Uniti ammontarono a 3,398,892 colonnati, i dazi dei quali furono di 388,928 colonnati. Tutte le gabelle percepite ascesero alla somma di 2,842,480 colon- nati. Il solo commercio degli inglesi e degli americani ne soffrì i due terzi. Sovente accade che il governo d’ Haiti compra a suo conto una parte del carico importato; ne paga la valuta in zucchero, in caffè, in melazzo, in cotone e in altri prodotti. Tatti gli articoli, o sia d’im- portazione, o sia di esportazione , pagano delle gabelle molto alte, fuorchè le munizioni da guerra, come le armi, la polvere, il ferro, il rame ec. Ivini e l’acquavite pagano all’ entrata un grave dazio, perchè arrecan danno al consumo del tafia, di cuii neri fanno uso in vece del rhum, del quale hanno dimenticato la distillazione, e sul quale il governo ha messo una fortissima imposizione. Le piazze di commercio principali sono il capo Haiti, detto una volta il Capo Francese, il Porto-al. Principe, e parimente Léo- ganes, Gonaives, Cayes, Jacquemel, ec. Manca generalmente il dana - ro contante. Si conta a gourdes o a dollari (colonnati)la valuta dei quali è dì circa a cinque franchi. luris civilis anteiustinianei reliquiae ineditae ex codice rescripto bibliothecae pontificiae vaticanae, curante Angelo Maio bibliothe- cae eiusdem praefecto, Si aggiungono. Symmachi orationum partes.C. Iuliù Victoris ars rhetorica. Lucii Caeciliù Minutiani Apuleii fragmenta de orthographia. Romac 1823. 8.° Le opere degli antichi autori, che monsignor Mai ha dai eodici rescritti dell’Ambrosiana e della Vaticana nel volger di pochi anni re- cato in luce, sono tante, sì varie , e con tale abbondanza di scelta dottrina, e sì bel criterio illustrate, che sembraci lavoro non di un T. XX. Novembre. 3 34 sol uomo , ma di molti, e tutti degni di passar con onore alla memo- ria dei posteri. Il nostro giornale che hà dato più volte la meritata lode a que- sto dott’ uomo, che grandemente onora l’ Italia, or fa a lui nuovo plauso per gli scritti che ha ultimamente richiamato alla luce del giorno. Eccone un brevissimo ragguaglio. Il codice, onde è estratto il diritto civile , contiene nella secon- da scrittura parte delle collezioni di Cassiano ed appartenne alla celebre biblioteca di Bobio. Le membrane d’ esso non solo furon la - vate da quello che le riscrisse , ma tagliate eziandio per dare al li- bro un diverso formato : ciò , onde venne molesta cura al sig. Mai, di cui dà contezza diligentissima al suo lettore. Questi frammenti di civile diritto paiono appartenere al tem- po che corse dal codice Ermogeniano alla collezione ‘Teodosiana , dacchè se più volte vi si fa menzione di quello, si tace affatto di questa , siccome delle Pandette di Giustiniano ; nè autore alcuno , 0 alcun Cesare vi si cita, che abbia vissuto dopo i tempi di Valenti - niano il seniore. Anzi la più moderna legge data è nell’ anno sesto di questo Imperatore , corrispondente al 369.° dell’ era Cristiana. Non può definirsi poi se la collezione vaticana si compilasse per pubblica autorità , o se debba credersi opera di privato scritto- re. Giova essa bensì ad emendare alcun passo del civile diritto già conosciuto in quei luoghi , nei quali è parola delle cose medesime. Nalla osta perchè questo codice si reputi scritto nel quinto se- colo o nel sesto, Che esser nol possa in quello , nel quale fu l'opera composta , par mostrarsi dagli scolii marginali , che raramente sono contemporanei ai libri, che per essi. s° illustrano. Altre buone ragio- ni ad avvalorare questa sentenza si adducono da monsignor Mai; il quale per quel candore, che è proprio dei veri sapienti , e che in lui ha forza di natura , confessa lietamente di avere sperimentata utile }’ opera del ch. ala Federigo Bluhmio nel far nuovo con- fronto della sua copia col codice , ch’ è in più luoghi di difficilissima lettara. Sono pure in questo palinsesto alcuni frammenti del codice ‘Teodosiano, e appartengono alla porzion d’ esso ,che è fino a noi pervenuta. Giovano però in questo, che dan buone varianti (1) e distruggono molte delle emendazioni del Gotofredo. (1) Le quali varianti confrontate coll’ edizione del Cuiacio si recano dal sig, Mai alla fine del libro insieme col frammento della legge dei Borgognoni , la quale è pure nel medesimo Palinsesto, e di miglior lezione che nel codice Ottoboniano dato in Juce dall’ Amaduzzi. 35 Le emendazioni che si fan dai critrici alle opere degli antichi senza punto curar autorità di codice , sono non di rado come i più dei restauri delle vecchie statue, mercè dei quali un Apollo diventa un Bacco, una Venere si cangia in una Musa , un Esculapio in un G ov.. Se gli antichi scrittori e gli antichi artisti tornar potessero a riveder le stelle , quanto non riderebber essi, e di quanti errori non convincerebbero molti di quelli che tanto si piacciono dopo avet ardito di por le cieche mani sulle illustri lor opere ! Del resto i ti- toli di questi frammenti sono: 1. Ex empto et vendito. 2. De usu fructu. 3. De dotibus et re urxoria. 4. De excusatione. 5. Quando donator intelligatur revocasse voluntatem, 6, De donationibus ad Legem Cinciam. n. De cognitoribus, et Procuratoribus. Nelle brevissime annotazioni a questo libro apparisce l’ usata diligenza e l’ usato cri- terio del sig. Mai. Egli cita ai respettivi luoghi le altre autorità del - l'antica giurispradenza romana , che servono ad illustrargli , e dà esattissimo conto dello stato del codice in quelle parole che emenda. Queste emendazioni sono molte , e sono sempre parute a noi e vere e felicissime , degne , in una parola , del sig. Mai che sente sì innan- gi nella cognizione dei codici e nella greca e latina paleografia. Nel primo titolo, cioè in quello ex empto et vendito, sono alla pag. 9. queste parole : subselZlia , vel ut vulgo aiunt, scamna; alle quali parole scrive giustamente il sig. Mai: notemus verbum illa aetate subrusticum, quum tamen sit classicum. La parola scarinum valse in principio gradino da salire, e poi significò se- dile per similitudine. Questo significato di similitudine si mantenne vivo nella lingua del popolo , da cui, quand’ essa giunse al colmo della corruzione, passò nella nostra , ed è frequente negli scrittori del buon secolo. La lingua popolare del Lazio, il successivo suo de- cadimento e l’ ultima corruzione sono il principal fondamento della nostra. Perciò le origini di questa ben s’ illustrano con gli anti- chi comici, con le autorità degli scrittori dei tempi più bassi e con le carte, onde il suo glossario compilò il Du-Cange. Al che se aggiungasi la soppressione di alcune lettere nel fine delle parole per vizio di profferenza , e il cangiamento delle vocali affini, ciò di che danno esempio e le dette carte e le iscrizioni ; s'intenderà come le desinenze latine si siano a mano a mano cangiate nelle nostre. Ma il disputar di questo ci trarrebbe a troppa lunghezza. Ritornisi al libro del sig. Mai, e si prendano a considerare i prolegomeni riguar- danti Quinto Simmaco e la sua gente. Nacque egli in Roma di Lucio Aurelio Avianio Simmaco, studiò nella Gallia, e si ren- dette illustre per eloquenza , per cariche e per morali virtù, mas- sime per la modestia. Fu però tenacissimo della già cadente ido- 36 latria , ed avverso ai Cristiani. Ebbe palazzo in sul Celio , e segna- tamente ov'ora è quello dei Casali; siccome indicano le molte iseri- zioni di sua gente , che qui si trovarono e che qui si conservano. Possedè molto, e molt’oro profuse nel dare i pubblici giuochi per le sue cariche e per quelle del figlio suo Quinto Fabiano Memmio Simmaco, del quale e dei posteri suoi parla con erudizione e saviez- za il sig. Mai. E celebre tra questi Quinto Aurelio Memmio Sim- maco , oratore anch'esso , e, per quanto pare, il primo dei Sim- machi, che, lasciato l'errore della legge pagana, la soavissima abbracciasse di Gesù Cristo. Furon figlie a lui Rusticiana , Galla’, e Proba, femmine insigni; le ultime due innalzate all’onor de- gli altari, e la prima resa illustre dalle lodi di Boezio , cui fu mo- glie, e più dalla costanza , onde , invasa Roma da Totila , sosten- ne lunghe e gravissime sciagure. Può dubitarsi , che il Santo Pon- tefice Simmaco, il quale governò la*chiesa dall’ anno 498 al 514 appartenesse alla patrizia famiglia dei Simmachi. Che però egli vi avesse almeno affinità, provato è con molti e validi argomenti dal sig. Mai; il quale , fatta parola di altri Simmachi, torna a dire del più celebre di tutti, che è l'oratore mentovato di sopra cui appartengono questi frammenti. Novera egli le edizioni dell’ epi- stole di lui, motando come a mano a mano sì sono rendute più copiose e avvertendo che dai codici, che si conoscono, non può forse sperarsene messe maggiore. Sapeasi, che Simmaco avea scritto orazioni, ma nemmeno un. saggio d’ esse era a noi pervenuto. Ne incontrò frammenti il sig. Mai in un palinsesto dell’ Ambrosiana , e pubblicogli: ne scoperse altri poscia in un codice riscritto della Vaticana, e ne fece più ricca la presente edizione, Altre più orazioni compose Sim- maco;.e presso lui stesso sono i titoli d’ assai delle perdute. Gli reca il sig. Mai, e di poi ragiona ottimamente dello stile di Simmaco, di- cendo : Quid sua aetate faceret Symmachus, quum iam pluribusan- te saeculis tot latina eloquentia quateretur erroribus, quot ille auctor dialogi, quot Seneca et Fronto et Fabius in cassum reprehenderunt nec ipsi satis vitare potuerunt? Quamquam igitur esset. Symmachus monetae veteris spectator aequus et iudex,nihilominus temporis sui usibus victus dabat sedulo operam , ut poetico descriptionum nitore densitate sententiarum , altitudine sensuum ,translatorum licentia, plurimo denique ingeniîù acumine , acclamationem audientiun peteret. Quare ct filium erudiens, scintillare acuminibus atque sententiis scripta eius gaudebat. Profecto sententiosum symma- chiani cloquii genus per id tempus maxime viguit. ... Sed tamen in antiquitatis thesauris omne genus artificiorum studiosi homines | | | | | 37 libenter spectare solent. Et quidem in Symmacho multa sunt adiu- menta ad historiam romani imperii plenius cognoscendam (E ciò solo basterebbe per veder buona ragione nell’ aver fatti pubblici questi frammenti. Ve ne ha però un’altra; ed è quella , che as- sai importa il conoscere in ogni materia i progressi e i decadi- menti dello spirito umano). am tres laudes Augustales (cioè le due riguardanti Valentiniano il Seniore , e quella che concerne Graziano ) totae historicae sunt : in ceteris orationibus , practer hi- storica lumina , ius illorum temporum, curiae potestas, honorum cursus, notitia hominum ac dignitatum et consuetudinum passim elucent. Per esempio, dal frammento dell’ orazione ad Patres si rileva che nei tempi di Simmaco si eleggevano i consoli dal se- nato , per esser poscia approvati dall’ Imperatore , e che era ito in disuso il consolato bimestre, che sotto 11 dominio degli Antonini era sempre in vigore. I difetti che giustamente trova in Simmaco il sig. Mai, ci sono paruti più gravi nei due frammenti delle lodi di Valentiniano, che in quelli delle altre orazioni. Chi infatti non vedrà un falso maravi- glioso e una insopportabile esagerazione nelle parole con che si loda Valentiniano dell’ aversi associato il fratello nell’imperio ? Sono ie seguenti : .S7 qua inter cognatas caelitum potestates huiusmodi es- set aequatio , paribus cum sole lumrnibus globus sororis arderet : nec radiis fratris obnoxia precarium raperet luna fulgorem: iisdem curriculis utrumque sidus emergeret , pari exortu diem germana renovaret, per casdem coeli lineas laberetur, nec menstruo pi- gra discursu aut in senescendo varias mutaret effigies , aut in renascendo parvas pateretur aetates. Ecce formam beneficii tui astra nesciunt aemulari: illis nihil est in mundana luce,consimile , vobis totum est in orbe commune (2). Della stessa natura è il passo ; onde !odasi il ponte di barche costruito da Valentiniano pel passag- gio del Reno. Eat nunc, dice Simmaco, troiani carminis auctor in- lustris , et pro clade popularium Xanthum fingat iratum; armatas cadaveribus undas scriptor decorus educat. Nescivit flumina posse frenari. Tantumne valuit rivus iliacus , ut in auxilium Vulcani flamma peteretur ? Profundus didicit, quid parvus evaserit ? De- fensio ipsa caelestium tuo operi non meretur aeguari. Fluvium in-’ cendisse vindicta est , calcasse victoria. Ecco dove finalmente ro- ‘ vina/l’ oratoria quando travalica i confini stabiliti dal vero e dal bel- lo! Frontone , ch’ è sì da Tullio lontano, diviene quasi un miracolo (2) Laud. prima in Valentinian. p. 12. 38 dell’ arte posto a confronto con Simmaco, e con quelli dell’ età sua, che tutti, siccome bene osserva il sig. Mai , vestirono di falsi orna- venti le loro orazioni. E ciò che dicesi dell’oratoria, dir si può della poetica e delle arti del disegno, dipendendo anch’es:e dal genio e dal gusto, î quali dalle massime , che corrono prendon sem- pre l’ effigie. Ancor qui lodar dobbiam il sig. Mai per le note ond: illustra questi frammenti, nelle quali apparisce un sommo possesso degli au- tori contemporanei : modo il più sicuro per comentar con profitto gli antichi scrittori. Segue l’arte rettorica di C. Giulio Vittore. Questi da molti re- tori ne attinse i precetti. Fra essi è Ermagora, e noi troviam giustis- sima l’ opinione del sig. Mai, il quale è d’ avviso che dei due retori di questo nome, citi Vittore il più antico, quello eioè , che disputò in Rodi con Posidonio al tempo del gran Pompeo. Siam pur d’ ac- cordo col dotto editore quando sospetta, essere sbaglio nei nomi Aquilius e ‘Tatianus, citati come suoi fonti da Vittore. Par da legge- re Aquila e Titianus. Aquilio è nome ignoto tra'retori, laddove Aquila scrisse un trattato delle figure rettoriche. Taziano poi can- giato fu coll’autorità dei codici in Tiziano dal Casaubono e dal Vos- sio nel passo di Capitolino che diceva usus est Maximinus oratore latino Tatiano filio Tatiani senioris. Caio Giulio Vittore è nuov’ uomo pel sig. Mai, ed è pure per noi. Non sa egli poi definire se questo suo scritto siasi in avanti pub- blicato : modestissimo dubbio; ma necessario iv tanta copia di libri onde tutto non può essere a tutti noto. Pare che questo Vitto- re appartenga al quarto secolo; nè è da dispregiare l’ opinione av- venturata dal sig: Mai, ch’ ei nascesse e fiorisse nella Gallia, cele- bre di quei giorni negli studj della rettorica. Si pubblica ora que- sto trattato col mezzo di un codice ottoboniano scritto intorno al se- colo XII. e adducesi in buon motivo di questa pubblicazione l’ esem- pio di quei dotti, i quali non han creduto di perder l’opera nel da- re a luce somiglianti lavori degli antichi. Non l’ha certo perduta il sig. Mai; e questo trattato di Giulio Vittore è degno d’ esser tenuto in qualche pregio, derivando esso oltre agli autori rammemorati , da Cicerone , da Quintiliano e da Marcomanno, retore citato pure da Fortunaziano , da Vîttorino, e da Sulpicio Vittore. Nè è già una disordinata compilazione delle ope re di loro , masì un libro che procede con giusta disposizione di parti, e con la necessaria perizia della materia che vi si tratta. Si sminuzza questa in ogni suo particolare(ciò che a difetto non può ascriversi 39 in chi insegna nudi elementi) ; e a meglio insinuarla negli animi al- trui, si afforza con la opportunità degli esempi; metodo, onde ri- cuperati si sono alcuni luoghi smarriti di Cicerone, e di altri Latini . scrittori. E se le regole non fossero presso che sempre superiori alla pratica , noi diremmo che questo trattato è troppa cosa considerato il tempo nel quale fu scritto. Abbia il lettor nostro prova del buon criterio di Vittore nel capitolo XXII. intitolato de obliguitate cui solo il rimandiamo, e l’abbia nel capitolo primo, ove trattasi dell’ invena zione, e di cui riportar piace il passo che segue : [Von idem est or- do prosequendae ac proferendae actionis , qui esse debet disponen- dae , atque meditandac. In proferenda namque actione saepe pri- mus locus prooemio datur, dehinc plerumque narrationi , post egressibus , tum quaestionibus , et novissime epilogo. Sed in cogita- tione nihil antiquius versandum est quam status causae: in quo plerique falluntur , qui quod primum dicendum sibi esse vident , id primum requirunt, id est principium: dehinc de narratione cogitare insistunt ; tunc ad cetera descendunt : cum hoc sit commode dicere volentibus perquam contrarium ct inpeditum et multae caliginis plenum: fieri enim non potest aut probabile, aut favorabile , aut pertinens principium , sì se vel narratio vel ulla sententia , qut verba denique ad rem agendam strenue offerant , nisi ei qui peni- tus causae viscera per statum ipsum , et singula membra quaestio- num et species, cogilatione tacita apud se omnium quae prosint causae quaeque obsint , alta ratione discussit (3). Hoc est quod Cicero ait (4) , ex rerum cogitatione effiorescat , et redundet ora- tio: ac nisi res sit aboratore percepta et cognita, inanem quandam elocutionem existere ac paene puerilem. Socrates quoque dicere so- lebat, omnes în eo quod scirent satis esse eloquentes. Scire autem est rem,de qua dicturus sis, universam ante pernoscere : (in hanc rem constat etiam Catonis praeceptum'paene divinum, qui ait (5) rem te- ne, verba sequentur :) et peristasin causae quam susceperis, et in ca iudicatum, Tò KpivÒjLevov ; per singulos proprii status articulos investigare: et tunc ad statuenda principia et ceteras orationis par- tes cogitatione respicere: ideo quod illa prima, quae dicuntur , si vehementer velis congruere et cohaerere cum causa , ex his ducas oportet quae secuntur. Brevissime sono le note apposte dal sig. Mai a questa rettorica ; ma però tali, che manifestano stadio non picco- lo ; citandovisi ben sovente i passi simili degli altri retori, e additan- (3) Pro discusserit (4) De Or. I. 6. (5) Fortasse in libro de Oratore, quem memorant prisci aliquot 40 dovisi i luoghi precisi, onde Vittore trasse le autorità che recò senza citarne il fonte, o questo nominando senz’ altra indicazione. Vengono i frammenti del trattato di ortografia di Lucio Ceci- lio Minuziano Apuleio tratti da un manoscritto , ch’ è copia di più antico codice, e di mano del Portughese Achille Stazio riputato pe’ suoi dotti comenti a Catullo e ai grammatici di Svetonio. Questi frammenti furon noti a Celio rodigino , e a Giglio Giraldi, che gli citarono, e non debbon punto confondersi col trattatello del- l’ortografia , che porta pure il nome di Apuleio , e che si serba in cinque manoscritti della Vaticana e in.uno della Riccardiana, È que- sto assai più moderno del primo, e d’ uomo cristiano, citandovisi la sacra scrittura , S. Girolamo, S. Agostino ed altri n Pare però che questo Apuleio (nome vero o falso ch’ egli abbia) le opere co- noscesse dell'altro, che nè si sa quando fiorisse , in qual patria si avesse. E però savissimo il divisamento del sig. Mai, che inclina a crederlo nativo dell’Affrica, in che sono frequenti i nomi di Apuleio e di Cecilio. Mancano in questi frammenti gli esempi presso che tutti dei moltissimi autori, che vi si citano, del che è cagione , come riflette e prova il sig. Mai, l'uso; ch’ebber gli antichi copisti di lasciar negli apografi gli spazi opportuni per le autorità d'altri scrittori, che vi si doveano inserire, e per le quali si adoperava spesso e diversa lettera, e inchiostro diverso. Ma non sempre quegli spazj si riempierono. Perciò vuoti si veggono nell’ apografo d’ Achil- le Stazio; e così certamente esser dovettero nel codice, che a lui servi d’originale. Sebbene però questo scritto d’Apuleio sia cosiffatto, pur nondimeno ne reca utili notizie, alle quali sempre pon mente il sig. Mai nelle diligentissime annotazioni. Il lirico Rufo mento- vato da Ovidio (6) non sapeasi a qual famiglia appartenesse. Noto è ora per Apuleio, ch'ei fu della Cornelia, Egli stesso ci dà notizia, che il Cotta mentovato da Ovidio tra’ poeti del suo tempo cantò pur la guerra di Farsaglia, e che quel Gracco , il qual sapeasi avere scritto tragedie , fa anche autore di versi amorosi. Altri e più piccioli scritti s’ inseriscono in questo libro , e d’ al- tri in esso unicamente si parla; ne vien però sempre suo vantaggio al lettore. A. questo ha ognora inteso monsignor Mai; e i dotti lo han ricambiato di gratitudine, d’ ammirazione, e d’ira contro gl’ ingiusti e invidiosi censori. G, B ZANNONI. (6) De Ponto IV.16. 28. LETTERE DALLA GERMANIA. Lirrgna IV. Visita a Dannecker. Stutgardia 12 Agosto 1825. E pur dolce il sentimento che provasi nel trovare unita a un gran genio un anima bella! È pur sublime l’ entusiasmo delle arti, quando lo spirito che ne riceve le inspirazioni, le rivolge ad oggetti che le innalzano sopra sè stesso! E quanto felice deve esser l’ uomo cui fu prodigo il cielo di sì bel dono !... Questi pensieri m’ empiono l’animo dacchè, dopo lungo intervallo, sono tornato a visitare Dan- necker; nè mi vergogno di dire che ho lasciato trascorrere lungo tempo senza vederlo, perchè mi trattengo dal farlo, in parte conside- rando come rapita alla gloria delle arti ogni ora in cui l’ interrompo ne’ suoi lavori, e in parte temendo per me medesimo, che potessero per la troppa frequenza indebolirsi quelle impressioni che una tal visita in me produce. Prima di entrare nel suo studio passammo per una stanza nella quale è disposto il gruppo delle Niobi, qui giunto non è gran tempo; nè vi dirò quanto mi fosse grato il potermi credere per un istante trasportato nella galleria di Firenze. Le figure sono qui disposte a piramide; se non che per la ristrettezza del luogo, vengono a formare quasi un semicerchio, il che in singolar modo accresce l’ effetto del- l’ insieme. Godeva Dannecker nel contemplarle, nè si stancava di ammirarle analizzandone le bellezze, e sopra tutto trattenendosi intorno alla madre e a quelle due tralle figlie, che obliando il proprio periglio, non mostrano che il dolore pel trafitto fratello che giace loro a’ piedi. Egli ripeteva non poter meglio esprimersi l’ angoscia e la tenerezza materna che in quel moto della testa, delle braccia e dell’ intero corpo, con cui tenta fare scudo di sè all’atterrita fi- glinolina contro ai colpi delle divine saette, e che del pari indescri- vibile era l’ affetto fraterno che spirava dalle altre due figure. Ma gli doleva veder queste accanto a due altre, che appena poteva per- suadersi dovessero appartenere allo stesso gruppo; e sono, da una parte il pedagogo, dall'altra una delle figlie, che in tanto lutto mo- strasi quasi fredda e insensibile ; se non che trovava che le fattezze dozzinali del primo erano atte a far risaltare la bellezza ideale delle altre figure, e che ugual contrasto produceva fa calma della se- »® 42 i conda con l’agitazione che regna nel resto del gruppo. Non vi ripeterò quante belle considerazioni aggiungesse sopra questi pre- ziosi avanzi di antica scultura , poichè già sarete impazienti ch’ io mi faccia a parlarvi delle proprie sue opere ; ed io mi affretto a sodisfarvi, Entrati in contigua stanza , vi cadeva dall'alto la luce sopra una statua di grandezza minore del naturale , che or ora compita dalla mano dell’ artefice , e in placida attitudine , parea lieta di ri- manersi ancora al posto ove era stata creata , onde premiare con la propria vista il suo autore. Questa è Psiche. Semplicetta e in- nocente , le sue pure fattezze non sono agitate dall’ impulso di alcuna passione; tutto candore è la fronte , tutto calma Jo sguardo gentilmente inclinato. Il braccio sinistro piegandosi con natural movimento sotto il nudo seno, la mano vien leggermente a po- sarsi sulla parte anteriore del braccio destro , col quale sostiene verecondo un vago panneggiamento ché gli discende fino ai piedi, che sono di straordinaria bellezza. Di quanta grazia è animata que- sta statuetta, e quanta è la finitezza"d’ ogni sua parte! Dannecker avea la compiacenza di farla lentamente rivolgere sul centro della sua base , e ad ogni istante i raggi di luce che veniano a lambire la superficie in questa parte o in quella , ne palesavano all’ oc- chio 1’ incredibile esecuzione. Eppur dopo avere ammirata l'arte, lo spirito la ponea quasi in oblio, e non vedea più d’ innanzi che una cara immagine inspiratrice di dolci pensieri. Certo non altrimenti può rappresentarsi quella Psiche che tanto c’ interessa e c’ incanta nell’ingegnosa favola d’Apuleio ; quella Psiche sì cara alla poesia, e le sventure della quale tanto ci vanno a cuore, perchè traspa_ rente è pur troppo il velo dell’ allegoria che le cuopre, e tenue l’ om- bra onde avvolgono soavi misteri. La Psiche di Dannecker come quella della favola è destinata ad esser compagna d’Amore; questo già da lungo tempo l’ attende nella residenza del re, e le due figure poste vicino l'una all’ al- tra, si gioveranno con scambievole effetto. — Io ne ho veduti ravvicinati i modelli, nè può vedersi più perfetta armonia ; ep- pure non formano gruppo , ognuno apparisce indipendente l’ uno dall’altro, e neppure si guardano ;... ma Psiche che timidetta ab- bassa gli occhi, Amore che tenta col dito la punta d’uno strale, dicono assai , perchè ogni cuore intenda ch’ essi vivono l’ uno per l’altro. Un più grandioso lavoro occupa da lungo tempo Dannecker. Questa è la statua, di grandezza iaggiore del naturale , dell’Evan- gelista S. Giovanni , che insieme a quelle de’ tre altri Sita , che 43 sotto la direzione di Thorwaldsen si esegniscono in'Roma da due alunni del Dannecker, adornerà la cappella sepolcrale sul Rothenberg- Questa cappella , che in forma di nobil tempio rotondo s’innalza su vago colle in vicinanza di questa città, è un edifizio che fa grande onore al genio dell’ architetto sig. Salucci : quattro nicchie che tro- vansi nell’ interno son destinate a ricevere le suddette statue, che però esigono somma semplicità nella composizione. Ma quest'obbligo non è in questo caso un vincolo ; perchè trattandosi di un personag- gio sacro , come mai potrebbesi altrimenti rappresentarlo che nella semplicità del suo sublime carattere 2? Se ancor vi rammentate quanto vi scrissi sulla statua di Cristo, vedrete che quello spirito che concepì l’immagine del divino Maestro , non si è smentito in quella del prediletto discepolo. — La figura di Giovanni è sempre stata con amore trattata da’ più grandi artisti, e certo chi ha famigliari le sacre carte, vi trova tanti bei tratti che lo dipingono, che deve serbarne in cuore amabilissima immagine; ma fin quì gli artisti Sembrano per lo più averlo studiato nel Vangelo o nell’ Apocalisse, e però lo hanno sempre rappresentato o ardente di sacro amore vi- cino a Cristo , o a’ piedi della sua croce , o acceso d° inspirazione di- vina , simile all’ aquila che gli hanno dato per simbolo, — Danne- cker non poteva rappresentarlo in alcuna attitudine che potesse la- sciar supporre la presenza di Cristo, perchè incompleta sarebbe sempre riuscita una tale composizione, nè adattata al luogo destina- tole, ove dee formare per sè stessa un tutto. — E neppure ha egli scelto un momento di quell’entusiasmo che rapiva l’ evangelista in celesti visioni. Più adattata alla solenne tranquillità del luogo ha egli trovata l’espressione d’una profonda e sublime emozione che spira dal volto del santo , che sollevando al cielo lo sguardo e la de- stra mano, sembra in procinto di rivelare al mondo qualcuna di quelle divine verità che trovansi annunziate nelle sue epistole , che Dannecker ha principalmente meditate. Folti i capelli gli ondeg- giano in belle masse intorno al capo e alle spalle , e sulla fronte libera e spaziosa è impresso il carattere della meditazione , Sem- plice è la veste cinta al di sotto del petto, alla quale è sovrap- posto un manto, che ripiegandosi intorno alle braccia, ne ricade in grandiose pieghe, Leggiero è il moto della figura, e l’ effetto che produce è quello d’ un’ intima e tenera contemplazione. — Questo effetto è ancora accresciuto dalla vicinanza del modello di Cristo, servendo a stabilire un rapporto fra queste due figure. Giovanni è un uomo caro al cielo, che riceve per ispirazione l’ alta dottrina che annunzia ; ma Cristo è il mediatore divino, che trae dal proprio seno i precetti che debbono condur l’uomo a Dio. 44 Vi annuziai l’anno scorsò la partenza della statua di Cristo per Pietroburgo. Essa vi è giunta felicemente, e una ca ppella vieneja bella posta innalzata nel parco di Zarsko-Selo onde contenerla.Intanto l’'Tm- peratore ha conferito a Dannecker la croce dell’ordine di S. Wiladimir, che l’ Imperatrice madre ha accompagnata d’un prezioso anello. — Ma gli onori e i doni de’grandi non vagliono a ricompensare il genio , e questo trova solo in sé stesso un premio degno di lui : lo spirito di Dannecker si aggira di nuovo nella sfera di quegli alti pensieri che prodassero il suo Cristo , e il suo scalpello ripete questo su- blime lavoro ; ma è facile il concepire che un tale artista non sa copiare servilmente neppur sè stesso, nè rinunziare alla libertà del suo ingegno creatore. — E gran danno per gli amatori delle arti che nissuna stampa o litografia bene eseguita, abbia, per quanto è possibile al disegno di farlo , moltiplicate degnamente le copie di questa statua, e tanto più doloroso riesce l' aver veduto pubblicarsi in Germania un disegno litografico di certo Giuseppe Peroux, che pretende esser fatto dietro alla statua di Dannecker , ma che questi si è veduto costretto per la propria gloria a di- chiarare pubblicamente nel Kunst8/2t non rappresentare il suo Cri- sto. Io ho creduto mio dovere di farvene avvertiti, in caso che simili litografie si fossero fatte strada in Italia. E pure sul puoto di essere terminata una copia del suo busto di Schiller, del quale già vi ho parlato. Questa copia è destinata per un monumento che il Conte di Schonborn sta per erigere al gran poeta nel suo giardino presso Gaybach, e per lo stesso monamento servirà forse ancora un piccolo basso-rilievo già da lungo tempo modellato da Dannecker, e*che ora viene eseguito sotto la sua dire- zione. Esso rappresenta Melpomene intenta ad ascoltar Clio che legge. Più che rifletto su questa composizione, più sento quanto parla allo spirito, e come lo scultore ha saputo in un felice mo- mento risolvere il gran problema sul rapporto della musa tragica con la storica. Mentre Clio tien l'occhio fisso sulle carte ove eter- nizza le azioni degli uomini, Melpomene appoggiata alla sorella in- nalza al tempo stesso verso il cielo lo sguardo; non basta che Clio le esponga i fatti, essa ha bisogno d’ una inspirazione celeste per in- nalzarli alla poetica dignità. Melpomene di gran lunga sovrasta per grandezza alla sorella, la quale apparisce di ordinaria statura: per- chè la storia non deve innalzarsi al di sopra della realtà, mentre la tragedia infonde nella vita un’ideale grandezza, che fa parer gli uo- mini maggior di sè stessi.... Il pensare che questo lavoro adornerà probabilmente un mo- numento di Schiller, mi fa rammentare , che qualche tempo addie- 45 tro, occorrendo il vigesimo anniversario della morte del poeta, il bel busto di Dannecker, innalzato sopra un piedistallo e incoronato d’al- loro , fu collocato sotto una specie di volta formata di lauri e di ci- pressi in un pubblico giardino, ove erasi raccolto numeroso concorso di spettatori , ed ove alcuni socii di una società di armonia formata in questa città, recitarono de’discorsi e de’ versi in lode del îoro im- mortale concittadino, ai quali succedette il canto di alcune delle sue poesie liriche. Fu allora formato il progetto di aprire una soscri- zione per erigere un pubblico monumento a Schiller, e questo pro- getto verrà probabilmente eseguito. Non sono ingrati i tedeschi ver- so i loro grandi uomini, e ne tengono sacra la memoria, Un monu- mento fa eretto l’anno scorso a Klopstock, e tutta la Germania prese parte alla festa secolare celebrata l’anniversario della sua na- scita. Chi negherà l’ effetto che produce sull’ animo la vista de’ mo- numenti che una nazione riconoscente consacra a coloro che la illu- strarono ? Chi nel porre il piede in S. Croce non saluterà Firenze con quelle parole del Foscolo : O tu beata che in un tempio accolte Serbi l° Itale glorie!... So che l’immortalità dell’ ingegno è maggiore di quella de’ marmi, e che colui che ha dilatati i confini di una scienza , o che in modo qualunque ha contribuito al bene de’suoi simili , ha lasciato dietro a sè tal monumento, da potersi ripetere a suo riguardo quella su- sublime iscrizione che in S. Paolo di Londra ricuopre l’ ossa dell’ ar- chitetto: Si monumentum quaceris, circumspice ! Ma so ancora che se non cresce la gloria de’ grandi estinti, non son vaneîquelle urne a mantener quella de’ posteri , e che fin tanto che un popolo onora i suoi illustri antenati, può avere speranza di veder escire dal suo seno de’ cittadini che sappiano ancora emularli. Questa breve digressione non mi ha fatto obliare Dannecker. Mentre egli consacra all’ altrui memoria l’ opera del suo scalpello , vi si rende egli stesso immortale, e nel vederlo così felice nell’ eser- cizio della sua arte , si sente la verità di quella sentenza che ,, ogni opera d’un artista è un monumento, ch’egli consacra alle più belle ore della sua esistenza ,,. 46 LETTERA V. Continuazione delle memorie biografiche di Goethe , Libri VI—X. ( Ved. Antologia V. XIX. B. pag. 1. ) Stetten 20 d4gosto. Le assidue cure ei saggi consigli d’ un amico, che in questa circostanza fu dato. per compagno al giovinetto , contribuirono a rendergli la salute e la quiete dell’animo , tanto che pensò di nuo- vo a riprendere i suoi studi per prepararsi alla carriera accademica. Ma nissuna delle sue prime occupazioni sapea più piacerli, e il suo spirito avea bisogno d’un nuovo pascolo. Il suo amico, che avea fatto studii regolari sulle dottrine e sui sistemi della filosofia specalativa » cercò d’ inspirargliene l’amore, e comminciò dal tentare di dimo- strargliene la connessione ; ‘ ma per disgrazia ( dice Goethe con » forse miglior filosofia di quella che non sapeva intendere ) queste 3, cose non volevano ordinarsi nella mia testa nel modo desiderato. 3» Io gli faceva delle domande , alle quali prometteva egli rispon- » der più tardi, e gli proponea delle questioni sulle quali impegna - », vasi di appagarmi in futuro. Tuttavia il prinicipal punto in cui dif- »» ferivamo era questo, che io sosteneva non esser necessaria una filo- 3) Sofia a parte, mentre essa era intieramente contenuta nella religione 3, e nella poesia.Questo non voleva egli per modo alcuno concedermi, », cercando anzi di dimostrarmi doveresser queste fondate su quella, ,> il che ostinatamente io negava , trovando ad ogui passo a misura che progredivamo argomenti per la mia opinione. Imperciocchè » dovendo nella poesia trovarsi una certa fede nell’ impossibile , e ,» nella religione ancora una simil fede nell’ imperscrutabile , così », mi apparivano i filosofi in una situazione assai difficile , mentre 3, volevano dimostrare e spiegare l’ uno e l’ altro ; la qual perples- » Sità si rendea tosto manifesta dalla storia della filosofia , trovan- » dosi che ogni filosofo cercava sempre un altro appoggio che l’ al- 3, tro, sin tanto che lo scettico dichiarava il tutto privo di fonda- i mento ,,. ( Tom. II. p. 12.) Con tali disposizioni lo studio della fitosofia nel senso che l’ intendeva l’amico non ebbe gran presa sul- l’ animo di Goethe , che ne studiò la storia senza dichiararsi per un sistema ‘o per un altro , e solo rallegrandosi di vederla unita nelle più antiche scuole alla poesia e alla religione, Era intanto tornata la primavera , e il cuore di Goethe , cui la vista degli uomini dopo la sua trista avventura riusciva molesta , 47 sentivasi tratto da un sentimento melanconico a cercar sollievo nel solitario consorzio colla natura. « To però traea meco nelle selve il mio amico, e faggendo i mo- notoni abeti, cercava que’ bei boschetti fronzuti, che in vero non cuoprono grande estensione di terreno , ma son però sempre spaziosi assai, perchè un povero cuore piagato vi si possa nascon- dere. Nel più profondo del bosco mi era trascelto un luogo, ove quercie e faggi antichissimi formavano un maestoso spazio om- breggiato. ll terreno era alquanto declive, e lasciava osservar maggiormente la bellezza de’vetusti tronchi. Questo libero spazio era chiuso intorno da boscaglie foltissime, dalle quali sporgevano con dignitosa grandezza muscose rupi, procacciando precipitosa cascata a turgido ruscelletto ,,. “ Appena ebbi io qui condotto quasi per forza l’amico mio, al quale era più grata l’aperta campagna e la vicinanza degli uo- mini, ch’egli mi assicurò scherzando ch’io mi mostrava un vero tedesco, e minutamente mi venne raccontando secondo Tacito come i nostri maggiori trovavan piacere in que’ sentimenti, ai quali la natura in tali solitudini ci prepara sotto le sue volte di non studiata architettura. Non erasi molto inoltrato nella sua nar- razione quando io l’interruppi esclamando: Ob! perchè questo luogo delizioso non è posto in mezzo alla più selvaggia solitudine! Oh perchè non possiamo noi cingerlo d’impenetrabile siepe, e con- sacrarlo insieme con noi stessi, e separarci dal mondo!..Certo non vi è più bella adorazione della divinità, che quella per la quale non v'è bisogno d’alcuna immagine, e che risulta soltanto dall’al- terna corrispondenza della natura nel nostro seno.—Ciò ch’io al- lora provassi l’ho ancor presente; ma ciò ch’io dissi, non saprei più ripeterlo. Ma questo è certo, che i'sentimenti indistinti e vasti della gioventù e de’popoli incolti sono soli capaci di quella subli- mità , la quale allorchè deve in noi eccitarsi da oggetti esterni, ci apparisce o informe o inconcepibile, e ci circonda di una grandezza alla quale il nostro spirito non giunge ,,. « Una tale disposizione dell'anima provano più o meno tutti gli 3» Womini, e in vario modo cercano di appagare questo nobil bisogno 2) 2) del cuore. Ma siccome al sublime è favorevole l’incertezza della luce e l’oscurità della notte che ammassa le immagini, mentre contrario gli è il giorno che tutto distingue e separa, così del pari si distrugge al crescere della cultura, se pure per una rara fortu- na non si ricorra presso al Bello, e intimamente con lui si con- giunga , tantochè divengano entrambi del pari indistruttibili ed eterni ,,. 48 « I brevi momenti di simili godimenti mi venivano ancora in- »» terrotti dal mio pensoso amico, e quando io usciva nel mondo, » tentava invano in mezzo agli oggetti magri e distinti che mi cir- »» condavano, di eccitar nuovamente in me una tale impressione; », anzi neppure poteva io ridestarmene la memoria. Pure il mio »» cuore ne era già stato troppo male avvezzo onde trovare riposo. 3» Avea sentito l’amore, e gliera stato rapito l’oggetto dell’amor suo; ,» avea sentito la vita, e questa vita gli era stata amareggiata. Un », amico, che lascia troppo chiaramente apparire di essere occupato 3, a formarvi, non desta un effetto gradevole; mentre una donna che 1, vi forma, quando sembra appunto avvezzarvi male, viene adorata », come un essere divino apportatore di gioia. Ma quell’immagine 3» sotto la quale mi si era presentata l’idea del Bello era svanita in » regioni lontane; e se mi visitava sovente sotto l’ombra delle mie »» quercie, pure io non potea ritenerla, e provava in me un violento 3, impalso di ricercare in altri luoghi una simile immagine. ;, ( p. 16-19). Intanto in mezzo agli oggetti della natura si ridestò in Goethe l’amore del disegno , e quantunque egli provasse che la natura non lo avea creato più disegnatore di cose parziali che poeta descrittivo, pure il suo padre sentiva tanto piacere nel vederlo in tal guisa oc- cupato, che raccoglieva e ordinava ogni suo schizzo, è dirigeva con amore il figlio, esortandolo a finire ciò che per lo più rimaneva ab- bozzato, e permettevagli di fare de’giri ne’luoghi vicini per eserci- tare il suo talento e sollevare il suo spirito. Il padre di Goethe era un esatto osservatore dell’ordine e della precisione, e quantunque il suo esempio non rimanesse senza effetto pel figlio come egli stesso lo confessa (p. 27), pure la rigorosa perseveranza con la quale agiva a suo riguardo, alienò il suo cuore, e da più luoghi di queste memorie pur troppo apparisce, che Goethe non ha avuto la felicità di provare le dolcezze dell’amor figliale. Il suo cuore è stato troppo presto di- stratto da affetti stranieri, e la violenza della loro impressione ha nuociuto a quella di emozioni più pure ma più tranquille. Mentre sono costfetto di riconoscere questo vuoto terribile nell'animo di Goethe, mi rallegro di poter dire che pur vi era un nodo di famiglia che fortemente stringealo, e le pagine ch'egli ha consacrato alla me- moria della sua amata sorella saranno lette con interesse da ogni persona sensibile, quantunque potrebbero desiderarvisi alcune sop- pressioni. Passo sopra alcuni avvenimenti stranieri al soggetto principale, e vengo al tempo in cui Goethe si dispone a visitare una università. Chi nou sentirà curiosità di sapere gual piano si formasse egli in quel 49 tempo per la sua vita, e che sperasse di divenire? “ Io rigettava dal » pensiero gli studii giuristici, e risolvea di dedicarmi unicamente »» alle lingue, all’antiquaria, alla storia, e a tutto ciò che ne dipen- »3 de. In ogni tempo l’imitazione poetica di ciò ch'io aveva osservato 3) in me stesso, in altri e nella natura, mi avea procurato il più gran 3; piacere. Io vi riusciva con sempre maggior facilità, perchè guidato 3, da un istinto naturale, e non disviato da alcuna critica; e quan- 3 tunque non avessi piena fiducia nelle mie produzioni, pure le con- 33 siderava, bensì come difeitose, ma non come del tutto disprege- » voli. Ciò che in esse veniva ripreso non mi toglieva la tacita con- is vinzione, che a poco a poco diverrebbero sempre migliori, e che > ben potrei un giorno esser nominato con onore insieme con Ha- »» gedorn, con Gellerted altri uomini simili. Ma una tale destinazio- ,) ne senza più mi parea troppo vana e insufficiente: io volea pro- » fessare seriamente que’profondi studii, e mentre pensava che una », più completa conoscenza dell’antichità mi farebbe più rapida- » mente progredire ne’proprii lavori, volea rendermi atto ad occu- , pare una cattedra accademica, che mi appariva il più degno scopo » de’desiderii di un giovine che avesse in mente di compire la pro- » pria coltura, e di contribuire a coltivare altrui ,,,—-(p. 60-61). A ciò limitavansi le speranze del giovinetto !... Con questi pensieri , e lieto di abbandonare Frankforte, partì Goethe per Lipsia ; ed or lo vedremo agire abbandonato a sè stesso in un circolo più vasto e più interessante. Per obbedire al padre non trascurò dapprima le lezioni di giurisprudenza e di filosofia, ma pure in modo da lasciarsi tempo di proseguire i suoi stadii letterarii, nei quali avea per istitutore il celebre Gellert; e così continuò a seguire nell'università quel metodo spezzato di studii, che unito alle distra- zioni della società , alla quale pur si studiava di piacere , divideva per così dire il suo spirito, nè mai lo lasciava contento di sè stes- so; e quel che è forse più da compiangersi , l’ incertezza in che vacillava in que tempi in Germania la critica letteraria , sopra tutto per ciò che riguardava la poesia , giunse talmente a disanimar Goe- the, che non solo per lungo tempo cessò di scrivere un verso , ma gettò nelle fiamme tutte le sue giovenili composizioni. Era quella un’ epoca di effervescenza per la letteratura tede- sca , e il quadro che fa |’ autore de’ primi sforzi fatti per ordinare e sparger di luce la massa di opposti elementi, che disputavansi l’ onore di servir di base all’edifizio delle lettere, sarà studiato non senza vantaggio anche da coloro ai quali già per altre opere fosse nota quell’ epoca. Anzi questi soli potranno intendere questo set- timo libro delle memorie, perchè Goethe non descrive non narra, T. XX. Iovembre. 4 50 ma segna con mano tmaestra i prineipali contorni di una compli- cata composizione ch’ egli ha presente allo spirito , e che il lettore deve poter del pari rappresentarsi. Sarebbe dunque vano il ten- tarne un'analisi, che altro non riuscirebbe che una sconcia mauti- lazione ; ma non posso trattenermi dal farvi considerare , quanto per un letterato di qual siasi nazione possa riuscire interessante di esaminare i principii della letteratura tedesca , la quale è la sola che sia nata in epoca sì recente, da potersene con istorica certezza seguir gli andamenti; la sola nella quale la poesia, dopo essersi già innalzata alla grandezza d’ una epopea nazionale al tempo de’ tro- vatori del medio evo , si è per più secoli addormentata, nè sì è ridestata che dopo la critica ; la sola nella quale e critica e poesia hanno dapprima combattuto congiunte per liberarsi dall’ influenza straniera che infestava lo spirito nazionale , è poi si sono divise, restando per la poesia un campo sì vasto e sì libero, eppur sì pieno di precipizi, che gli stranieri non sanno se sia più da am- mirarsi il genio o la temerità di coloro che vi si avventarano ; la sola infine che abbia saputo trar lustro dal disprezzo medesimo de’ Principi, celebrando quasi suo malgrado in modo nazionale quel gran Federigo , che d’altro non si curava che della lettera- tura francese. “ Nissuna età d’Augusto fiorì per l’arte tedesca , », nissun favor Mediceo le sorrise ; non crebbe all’ ombra della fa-. 3» ma , non aperse i suoi fiori al raggio della grazia de’ princi- »» Pi (1) 0 Ma esaminiamo qual effetto producesse sull' animo di Goethe questo stato di cose. Egli ci dice che se le sue osservazioni hanno potuto mettere in confusione i suoi lettori, gli sarà riuscito d! dar loro un'idea dello stato caotico nel quale trovavasi allora il suo povero cervello ( p. 163). Molti volumi manoscritti pieni di lavori abbozzati e abbandonati potevano farne fede; ma pur tanto gianse a riconoscere, che per distinguersi dalla massa degli scrittori di que’ tempi , ché con eccessiva prolissità trattavano materie di poco momento , era necessario scegliere un soggetto importante, e formarsi uno stile preciso e breve. Ma dove cercare argomenti importanti per la poesia? Goethe, quasi per mancanza d’al- tri che invano cercava negli oggetti che lo circondavano ,; fu con- dotto a trovare i veri cercandoli in sè medesimo : ‘ Se io desiderava s alle mie poesie un vero fondo di sentimento 0 di riflessione , non »; avea che a trarlo dal mio seno ; se per la rappresentazione poetica », avea bisogno di una immediata intuizione del soggetto e dell’ av- (1) Schiller , ia Musa tedesca. dI vevimefito, non mi era necessario di uscire da quel circolo che 3» era proprio a commuovermi e a interessarmi. In questo modo, » scrissi dapprima certe piccole poesie in forma di canzoni o con », metro libero; esse sono frutto della riflessione , trattano del pas- 2, sato, e prendono per lo più un giro epigrammatico ,,. ‘ E così prese origine quella disposizione che più non mi ab- » bandonò in tutta la mia vita; di trasformare in una immagine , », in una poesia, tutto ciò che mi rallegrava o mi tormentava, o in » altra guisa teneami occupato, e così renderne conto a me stes- 3» 80, tanto per rettificare le mie idee sulle cose esterne , quanto », per calmare me stesso. Una tal facoltà non era ad alcun più »» che a me necessaria, che per natura era sempre gettato da un », estremo in un altro. E però tutto ciò che finora è di me ve- », nuto alla luce, non. si compone che di frammenti di una gran 3» confessione, che questo libro tenta di completare (p. 165—166) ,,. Così un nuovo amore , nel quale Goethe trovò un crudo pia- cere di tormentare l'amato oggetto per mettere alla prova la sua costanza, diede luogo alla sua prima composizione drammatica che intitolò : 1 capricci degli amanti ; così la parte attiva, che per giovenile imprudenza, ma col desio di esser utile, prese in varii av- venimenti di straniere famiglie, avendogli fatto , e pur troppo da vicino , conoscere i vizii della società , ne risultarono varii drammi e commedie ; ma di queste composizioni, la sola che tarminasse sono: { complici. — Sempre irrequieto, e cercando in vano porsi in equilibrio con sè stesso e con altri, non erano i casi umani i soli che lo agitassero ; in un cuore ardente come era il suo, non poteva , anche in mezzo alle dissipazioni della vita, tacer quella voce che invita l’uomo a meditare sui suoi rapporti con Dio ; molte ore solitarie consacrò egli alla religione; molti dubbi lo tormen- tarono , molti timori lo angosciarono , e da questo penoso stato, dal quale una sincera fede avrebbe potuto sì facilmente ritrarlo, non ne uscì in que’ tempi che strascinato da quella fatale indif- ferenza, con che pur troppo da taluno recavasi a vanto di riguardare gli oggetti i più sacri. Grande fa il danno che il mondo fece an- cora al suo cuore , nel rendergli sospetta la virtù degli uomini ch’ egli più stimava, e la grandezza degli eroi ch’ egli più ammi- rava. Fatale è questo veleno di che si pasce l’invidia dei molti, e con cui tenta denigrare il metodo di que’ pochi il cui splendore l’offende; e questo veleno spargendosi nel cuore de’ giovani, può estinguere le speranze d’ una intiera generazione. Fu gran ventura che non ne fosse estinto il genio di Goethe , e che il suo cuore ne uscisse ancora tanto sincero e retto, da deporre nella sua vec- 52 chiezza una tal confessione de’ suoi giovenili errori. — Ma svol- giamo rapidamente queste pagine, e torniamo a veder Goethe sotto un altro punto di vista, ove ci sia più grato il trattenerci con lui, L’amore per le belle arti, che mai non avealo abbandonato ; ricevè nuovo impulso dalla conoscenza che fece con Oeser artista distinto, grande amico'di Winckelmann, e direttore della scuola di disegno in Lipsia. Se non furono grandi i suoi progressi nella parte tennica della pittura, pure si perfezionò il suo gusto, si estesero le sue cognizioni storiche , e si ridestò il suo talento poetico , men- tre figurandosi di vedere in azione le persone rappresentate , e dando loro e movimento e voce, ne escirono varie composizioni, che servirono a fargli sentire l'unione delle arti fra loro. A pprese ancora a conoscere le migliori opere tanto straniere che tedesche intorno alle belle arti, visitò le collezioni pubbliche e private di pitture e di stampe, “ e così (dice egli) l’ università, dove io tra- 3» scurava le mire della mia famiglia , anzi le proprie , pose il fon- 3» damento a ciò che dovea procurarmi nella vita la maggior conten- »» tezza ,,. Mala sua mente avea bisogno di una nuova luce per po- ter internarsi in questa nuova sfera di cognizioni, e abbandonarsi senza timore di perdersi nel laberinto delle nuove idee, che la massa di tanti oggetti gli suscitava nell’ animo. Questa luce gli venne dalla celebre opera di Lessing, i Zaocoonte, che senza dubbio vi è nota o per sè stessa o almeno per ciò che ne dice Aug. Guglielmo Schlegel nel suo corso di letteratura drammatica. Io citerò ciò che dice Goethe dell’ effetto sa di lui e sopra altri prodotto da questo scritto , perchè è interessante di esaminare ciò che ad altri do- vesse quel genio , al quale poi tanto andarono debitrici le lettere. « Bisogna esser giovine (son queste le sae parole ) per rap- presentarsi quale azione esercitàsse sopra di noi il Laocoonte del Lessing, mentre quest’ opera ci trasse dalla regione di una pe- nosa intuizione nei liberi campi del pensiero. Quel precetto sì lungo tempo mal’inteso: ut pictura poesis, venne ad un tratto rimosso; la differenza fralle arti del disegno e quella della pa- rola si fece mamfesta , e le lor cime apparvero separate , per quanto potessero ancora le loro basi esser congiunte. L'artista che effigia dovea sempre tenersi ne’limiti del bello, mentre quello che parla, non dovendo mancare di alcan mezzo di significare le sue idee, potea permettersi di oltrepassarli. Il primo lavora per il senso esterno, che il solo bello può appagare ; il secondo per l’ immaginazione , che può anche accordarsi col brutto. Come allo splendore d’ un lampo ci si fecero chiare tutte le conse- » guenze di questo bel pensiero ; ogni critica che finora avea dato 53 >, regola e sentenza venne rigettata come una veste logora ; noi », ci tenemmo a un tratto liberati da ogni male, e credemmo po- » ter riguardare con compassione quel secolo decimosesto , d’ al- ,, tronde sì chiaro, darante il quale nelle immagini e nelle poesie »» de’ tedeschi rappresentavasi la vita sotto la forma di un matto » agitando sonagli, la morte sotto la deformità di uno scheletro ,» scricchiolante , e i mali necessarii o accidentali del mondo sotto la 33 figura d’ un ridicol demonio ,,. », Principalmente incantavaci la bellezza di quel concetto ; », che gli antichi riguardavano la morte e il sonno ‘come fratel- . >» li, e li rappresentavano amendue , come si conviene a Me- », nemmi, tanto simili da confonderili. Quì ci era dato di celebrare » altamente il trionfo del bello, e se il brutto d’ogni sorte non po - ;» teva essere sbandito dal mondo , di relegarlo almeno nel regno », delle arti al basso circolo del ridicolo ( p.a48—250) ,,. Ben continua l’autore a osservare che il merito di tali idee, non può pienamente sentirsi che nel tempo in cui si vedono svilup- parsi, e da coloro il cui spirito se ne nutrisce e ne prova l’ infinita influenza. Mosso da questa, Goethe tosto determinossi a visitare Dresda per contemplare un maggior numero di gran monumenti d’arte, ei pochi giorni che si trattenne in questa città ( ove per sin- golar circostanza alloggiò presso un calzolaio) furono unicamente consacrati alla galleria , avendo ricusato di vedere qualunque altra curiosità di Dresda. Tornato a Lipsia estese ancora le sue cognizioni pratiche, esercitandosi a incidere, e le teoriche, studiando gli scritti del Winkelmann, che eccitavano in patria universale entusiasmo. Già quel grand’ uomo aspettavasi di ritorno dall’Italia, e Goethe e i suoi giovani amici rallegravansi all’idea di vederlo , quando giunse la nuova della sua morte , che fu a tutti cagione d’ indicibile co- sternazione. Poco dopo fu Goethe assalito da seria malattia, che minacciò la sua vita , ma uscito di pericolo gli fu di gran consolazione ed anche di benefizio morale la bontà di molti amici, i quali benchè avessero più o meno cagione di dolersi di lui, pure obliando ogni risenti- mento, gli fecero provare tutte le dolcezze dell’amicizia. A varii di questi egli rende in queste pagine pubblico tributo di riconoscenza, e soprattutto a un certo Langer che fu poi bibliotecario in Wolfenbut-. tel, e che gli fece provare, che se una similitudine nelle occupazioni, ne'gusti e nelle passioni concilia fiducia nell’ amicizia ‘ pure esi- »» ste qualche cosa di più profondo che deve unirsi per render com- 3» pleta l'unione , e questo è il rapporto ne’ sentimenti religiosi , ne- »» gli interessi del cuore che si riferiscono all’ eternità, e i quali tan- x 54 3; to consolidano la base dell’ amicizia quanto ne adornavano l’api- »» Ce- »» (291 ) Un tale amico giunse a rendere a Goethe il tesoro di que’ principii che nel tumulto del mondo erano restati assopiti ma non estinti, e i due giovani non si divisero che quando Goethe do- vette partire da Lipsia, per continuare nella casa paterna la cura ne- cessaria per la perfetta sua guarigione. Il suo medico avea fede nell’alchimia, e cominciò a parlagli d’un rimedio universale che intendeva impiegare per guarirlo. Per acquistarsi fede cominciò a parlargli de’ misteri della natura, e a raccommandargli lo studio di libri di alchimia, dicendogli che ognuno potea giungere alla scoperta di questo rimedio, che sotto varie forme poteva esser prodotto. Una amica di casa, il di cui spirito era imbevuto delle dottrine mistiche d’ogni natura, aggiunse la sua influenza a qaella del medico , e una notte in cui il male era al col- mo, il gran rimedio fu inghiottito ; e fosse la disposizione morale, o fosse la fisica che vi contribuisse , lo stato della malattia cominciò a migliorare. — Ed ecco Goethe che già avea impiegate con la sua amica le lunghe serate d’inverno a studiar le opere di Paracelso , di Basilio Valentino e /’ Opus mago — cabalisticum , e \' Aurea catena Homeri, e non sò quanti altri siffatti libri , appena potè lasciare la sua stanza , si mise a stabilireun piccolo laboratorio in una soffitta per far preparazioni alchimiche, ‘ Mi preparai un fornello e un ba- »» gno di rena; presto imparai a cangiare con una miccia ardente » boccie di vetro in vasi ne’ quali doveano svaporarsi le varie mi- ») sture; poi vennero trattati con modi misteriosi e bizzarri gli strani 3» ingredienti del macrocosmo e del microcosmo , e sopra tutto cer- » cai di produrre con mezzi inauditi sali medii. Ma ciò che per 3, lungo tempo mi tenne principalmente occupato, fu ilcosì detto 3» Liquor Silicum o sugo di selce, che si forma quando si fondono » pure pietre silicee di quarzo con una proporzionata quantità di al. 3, cali; ne nasce un vetro trasparente , che liquefacendosi presenta » all'aria un bel fluido chiaro ..... Io aveva acquistata una partico- » lare speditezza in preparare questo sugo di selce ; le belle pietre » silicee bianche che si trovano nel Meno me ne fornivano un per- » fetto materiale, e non mancava il resto, come neppure l’ assidui- » tà (pi 343) 0 Goethe dice che da queste straordinarie occupazioni trasse il vantaggio di conoscere varii oggetti naturali, e di sentire in sè nascere il desiderio di apprender la vera chimica, studiando il compendio chimico del Boerhave, e successivamente altri suoi scritti, e princi- palmente gli aforismi. A questo vantaggio avrebbe potuto aggiunger quello che si affaccierà alla mente di tutti coloro che conoscono il 56 Fausto , cioè che a quella angusta soffitta va debitrice la poesia di quello squarcio impareggiabile in cui Fausto contende con sè stesso e con la natura, sul principio della tragedia romantica che porta il suo nome. Un'altra occupazione di più immediata utilità per 1’ avanza- mento della propria coltura', fu di rileggere le lettere ch'egli avea dirette da Lipsia alla sua famiglia, e che il suo padre avea con cura raccolte e ordinate. Egli trovò occasione di rettificare varii suoi giu- «dizii, e di fare varie osservazioni sul modo in cui avea impiegato in Lipsia il suo tempo. Certo ei non avea molto avanzato ne’ suoi studii accademici, e in quanto ai suoi lavori letterarii se ne trovò sì poco contento, che prima di abbandonare la casa paterna per andare a una seconda università , li consegnò con poche eccezioni alle fiamme. Noi non siam giunti ancora che al vigesimo anno di Goethe. E necessario leggendo la sua vita di ricercare di tempo in tempo le date , perchè tutto è sì precoce in lui , che isuoi anni paragonati al- l’attività del suo spirito sembrano scorrere con inconcepibile len- tezza. Noi or lo vediamo recarsi per studiare in Strasburgo , e ascen- dendo con lui sulla torre della magnifica cattedrale, partecipia- mo delle impressioni da lui provate alla vista del bel paese ove era chiamato a vivere. Egli poi c’introduce alla sua società , e ci porge nuova occasione di ammirare il suo talento di penetrare il carattere delle persone a cui si avvicina, e di descriverle in modo che noi pure crediamo conoscerle e conversare con esse. — Era restato a Goethe della sua malattia una certa irritabilità nervosa, per cui varii oggetti gli cagionavano disgusto, il guardare da un’altura gli dava vertigini, ed altri simili effetti.Egli risolvette di far forza a sè stesso, visitò il cli- nico e la sala di notomia, e si guarì delle vertigini sull’ alta cima della torre del Duomo. “Ma non solo contro queste impressioni de’ sensi , soggiunge l’autore, cercai di armarmi, ma contro quelle ancora della 3» Immaginazione. Giunsi a rendermi indifferenti quegli effetti di ap- », prensione e di ribrezzo che producono le tenebre, i cimiterii, i luo- »» Qhi solitarii, le chiese e le cappelle in tempo di notte, ed altri simili 3» Oggetti ; e a tanto pervenni, che il giorno e la notte e qualsiasi lo- »» cale era per melo stesso ; anzi quando in tempi posteriori trovan- 3, domi in tali luoghi sentiva voglia di riprovare i dolci brividi della 3) gioventù, poteva appena ridestarli forzatamente per mezzo delle » più strane e più terribili immagini ., (p. 390) Sembrami questo un tristo trionfo riportato sulla propria sensibilità. Questa è per così dire l’ immaginazione del cuore, e l’ indebolirla è un privare il cuore di molte dolci emozioni. Vi sono degli oggetti che già sulla terra sembrano appartenere al mondo degli spiriti ; salutare è 1’ ef- 56 fetto che esercitano sull’ animo, e col distruggerlo si rompe un anello che ci unisce col mondo invisibile. Ma torniamo a Goethe. La cattedrale di Strasburgo, grandioso monumento di architettura te- desca , dovea naturalmente occupare il suo spirito tanto propenso a meditare sulle arti. Egli consacrò molto tempo a comprendere, e a rendersi conto dell’effetto prodotto da quella smisurata mole;.a concepire il piano dell'insieme, a intendere la relazione delle varie sue parti. Ne risultò uno scritto che il celebre Herder pubblicò con altri opuscoli sulle arti tedesche , e le considerazioni sullo stesso ar- gomento, che trovansi in queste memorie, sono atte a dare idee ben diverse da quelle ricevute generalmente intorno a un genere di ar- chitettura, sui meriti delquale Goethe fu uno de’ primi a richiamare in Germania l’attenzione generale. L’ autore pensando quanto que- sta attenzione è poi andata crescendo, e quanto sono state illustrate l’arti patrie durante la sua vita, compiendosi da altri ciò che egli nella sua giovinezza non avea fatto che accennare , si abbando- na ad alcune riflessioni che mi sembrano sì belle , che voglio in par- te cercar di tradurle. “ Quando la gioventù d’ un uomo cade in un ») secolo fecondo , in cui la forza produttiva vince la distruzione , e 3» Che in lui si desta per tempo il presentimento di ciò che una tale »» epoca richiede e promette; allora egli, spinto a prendervi una »» parte attiva , si volgerà in forza di esterni motivi ora ad un punto », ora ad unaltro , e vivo si farà in lui il desiderio di agire in varie » direzioni. Tuttavia all’umana debolezza unisconsi ancora tanti 3, Ostacoli accidentali, che ora abbandoniamo ciò che avevamo in- ,» trapreso , ora ci cade di mano ciò che credevamo tenere, e una 3) speranza dopo l'altra svanisce. Ma se queste speranze erano uscite da un puro cuore e conformi al bisogno de’ tempi , possiamo tran- quillamente lasciar cadere e abbandonar questo e quello , sicuri che non solamente sarà ciò ritrovato e ripreso, ma che verranno alla luce molte altre cose ancora che vi hanno rapporto , che non ,) avevamo mai toccate , anzi alle quali non avevamo neppur mai »» pensato. Or quando vediamo durante la nostra vita adempirsi da » altri , ciò che dapprima ci eravamo noi stessi sentiti chiamati a tentare, ma che avevamo dovuto con molte altre cose abbando- nare ;allora entra in noi il bel sentimento, che l’ umanità eon- giunta costituisce il vero uomo ; e che l’ individuo può realmente » andar lieto e felice , allor quando ha l’ animo di sentir sè stesso » Nel tutto ,, ( p. 420. 2t.). Ecco de’sentimenti di un cuor generoso, e che ogni cuor generoso si approprierà con trasporto. Con questo estratto piacemi di terminare |’ analisi di questo nono libro , passan- do sotto silenzio le singolari avventure dell’ autore con le due figlie 3) 9) 2) 2) ” >» 2) 97 del suo maestro di ballo. Quantunque narrate con grazia e con effet- to quasi drammatico, mi dofrebbe, per farvene parte, doverle rileg- gere, e scemare in me stesso l’ impressione del precedente squarcio, Più interessante è 1’ udir Goethe parlar nuovamente di poesia; e celebrare Klopstock e Gleim. Il cantore della Messiade è ! assai conosciuto come poeta , e per apprezzarlo come uomo basta parago- nare ciò che ne dice Goethe con quelle belle pagine che gli ha con- sacrato la Stael nel suo libro sulla Germania. La fama di Gleim non si è molto estesa fra gli stranieri, perchè tutte le forze del suo spi- rito e tuttii sentimenti del suo cuore furono consacrati alla sua na- zione. È sua minor lode l’aver intuonati i celebri Inni di guerra per le vittorie del gran Federigo, che neppur conobbe il suo poeta ; egli adunò intorno a sè un gran numero di giovanili ingegni che incorag- gì e protesse , e grandissima fu per tal modo la sua influenza sullo sviluppo dallarletteratura tedesca. Ma se Klopstock dalla Danimarca, e Gleim dalla Prussia, spargendo di nuova luce la poesia, ed animan- do i giovani tedeschi a percorrere le nuove vie ch’essi aprivano loro , riconciliavano Goethe co’ proprii sforzi poetici , la conoscenza che ‘fece con Herder lo guarì d’ ogni presunzione e° d’ ogni vanità , ed esercitò sul suo spirito una severa ma salutare influenza. Goethe passava con lui delle intiere giorr 4 e ne soffriva senza impazien- za il biasimo, vinto dalla ammi € vegpor crescente che gli inspi- ravano le cognizioni di quel Hi Vl quale benchè di soli cin- que anni a lui superiore in età, pi cà acquistato per molte opere un posto onorevole fra i più lag snitndivoli ingegni della Germania. La comunicazione di alcuni de’ suoi scritti , e più ancora quella dei suoi pensieri , apriva ogni giorno nell’ animo di Goethe nuove ve- dute filosofiche e letterarie. Si estesero le sue idee sulla vera essen- za della poesia , si accrebbe il suo amore per gli studi della natura , e siccome “ aggiunge egli , si ha sempre tempo abbastanza , quan - 33 do si vuol bene impiegarlo , così riuscivami di far due o tre volte 3 più che per l’ addietro. Per ciò che riguarda la piena degli og- » getti che riempirono queste poche settimane che passammo iu- » Sieme, posso ben dire , che già vi apparve in germe tutto ciò che » Herder ha di poi successivamente compito , e che io fui così posto »; nella felice situazione, non solo di completare quanto io avea fin »» quì meditato , appreso , e resomi proprio , ma di estenderlo e 3; collegarlo ad uno scopo più alto,, (p. 476.). Lascio molte altre con. siderazioni interessanti che fa l’ autore relativamente alla sua amici- zia con Herder; lascio come episodichele belle osservazioni sull’ope- retta di Goldsmith, J{ Vicario di IVakefield, ma ne raccomando la lettura a tutti coloro che conoscono quella - piccola gemma della let- 58 teratura inglese : neppure voglio seguirlo in un suo viaggetto fatto con alcuni amici nelle vicinanze di Strasburgo. Noterò piuttosto che già in quel temporivolgea nello spirito di rivestire di forma dram- matica la vita di Goetz di Berlichingen, ele avventure di Fausto ; ma questi pensieri non riempivano ancora che alcune sue ore solita - rie , senza che si occupasse a fissarli sulla carta. (sarà continuato). LETTERA VI. 1. Kunstblatt (1825.) — 2. Notizie su Carlo PVVitte. A dì 25 Settembre. Se potessi secondare il mio desiderio , risalirei fino al 1820 per richiamare la vostra attenzione sul gran numero d’interessanti articoli contenuti in questo giornale di belle arti , dall’epoca in cui il sig. Dr. Schorn ne assunse la redazione; ma debbo lasciare agli studiosi della storia e delle vicende delle avti, di cercare essi stessi in questi volumi una serie di notizie, di osservazioni, e di resultati importanti, che mi sembrano indispensabili a conoscersi da coloro che bramano avere un’ idea dello stato presente delle belle artî ne’varii paesi dell'Europa. Vi troveranno descritti e esaminati i lavori de’ più insigni artisti viventi d’ogni nazione; vi vedranno esposte le varie teorie che servono di norma alle varie scuole ; e se nella discussione di queste teorie i lettori italiani s'imbatteranno in giudizii differenti dal proprio, trarranno da questo ancora una sorgente d’interessanti considerazioni sulla diversa maniera di vedere de’due popoli, sopra un soggetto intorno al quale ogni questione parrebbe doversi riferire a un principio costante, generale, e lo stesso per tutti gli uomini , cioè la natura. Non è mio pensiero di abbandonarmi a simili considerazioni nel parlarvi di alcuni numeri del Kunstblatt venuti alla luce in quest'anno. Io non ho fatto che estrarne alcune notizie spettanti le cose della Germania, che intendo comunicarvi. I. N.° 6. Società di Belle Arti formata in Monaco. In un viaggetto da me fatto ultimamente in Baviera, ho avuto luogo di ammirare i bei monumenti d°’ arte che ne decorano la capitale. Basti nominare la Gliptoteca, magnifico edifizio destinato a contenere i marmi di Egina, ed altri preziosi avanzi di greca scultura acquistati dal Principe ereditario, ma che se non erro 99 farà più ancora la maraviglia degli stranieri, e desterà l’ orgoglio nazionale per,le belle pitture a fresco, di cui il direttore dell’ ac- cademia di Belle arti, sig. Cornelius, ne adorna in due stanze le volte e parte delle pareti. V’invito a leggere la descrizione di al- cune di queste pitture che trovasi nel Kunstblatt dello scorso anno; vi troverete ancora alcuni disegni, ma disgraziatamente assai pochi e non adeguati a dare un’idea di sì gran lavoro; pur trattenetevi alquanto su quello della Notte, che assisa in un carro tiene sulle ginocchia e fralle braccia due fanciulletti, che riconoscerete essere il Sonno e la Morte; e poi guardate in un compartimento triangolare l’Aurora a’piedi di Giove. È impossibile il dirvi ciò che si prova alla vista di queste due pitture, e quante altre ve ne sono intorno, che se non prodacono tanto effetto sull’animo, pur destano am- mirazione per il loro merito insigne. ll sig. Cornelius ha per com- pagni nel suo lavoro due altri insigni pittori, i sigg. Schlotthauer e Zimmermann; ed altri artisti troveranno ancora campo da dar prova di sè medesimi in questo augusto edifizio. E di artisti non manca Monaco ed in generale la Baviera; nè manca nella società l’amore delle arti, come ne fa fede l’associazione di cui vi annun- zio l’esistenza, e che si è formata dietro considerazioni e motivi che mi sembrano di sì generale applicazione, che non voglio tra- scurare di farveli conoscere. « Nel nostro paese (così presso a poco parlano i fondatori di questa società ) trovasi un numero considerabile di artisti, che hanno fama non solo in patria ma anche nell’estero. Numerosi del pari sono gli amatori delle arti, molti de’quali possiedono un te- soro di opere eccellenti spettanti ai varii rami delle arti. Con tutto ciò non esiste relazione alcuna fra i varii artisti del regno; e quelli stessi che vivono nella capitale, appena si conoscono, e vivono senza alcun scambievole rapporto. Non vi è alcun avvicinamento fra gli artisti e i possessori di opere d'arti, cosicchè restano sconosciuti e nascosti ne’ gabinetti e negli armadii tanti tesori, che avrebbero potuto contribuire al pregresso dell’arte. Il commercio delle idee, e i giudizii amichevoli pronunziati sopra i lavori di varii maestri in un circolo d? intelligenti ; le vicendevoli ‘osservazioni de’ pratici e de’ teorici , degli indagatori e degli esperti; non possono che pro- dorre de’ risultati favorevoli per l'avanzamento delle arti nella nostra patria. Altri motivi particolari vengono a convalidare queste generali considerazioni. Non di rado è avvenuto , che le opere de’ no- stri artisti, per mancanza di relazione fra questi e gli amatori , sono passate in altri stati, senza che siano state neppur vedute fra noi. 60 Ed è facile a concepirsi che così non solo soffre la fanîa pattia degli artisti e la storia delle nostre arti, ma ne riceve ancor detrimento la patria stessa , che ritrae gran parte della sua gloria da’ frutti del genio de’ suoi cittadini. La nostra città è inoltre visitata ogni anno da molti artisti ed amatori di belle arti provenienti dall’ estero , ai quali , non essendovi unione fra i nostri artisti, manca l’ occasione di conoscerne buon numero durante il loro soggiorno, o di vederne almeno i lavori. Così tali stranieri abbandonano questa capitale, por- tando seco un concetto molto inferiore al vero dello stato delle nostre arti, e i nostri artisti trovansi sovente defraudati di commissioni per l'estero , che facilmente avrebbero ottenute. Lo stato presente delle scienze e delle arti, le molte invenzioni e esperienze che ogni dì vi si fanno, rendono impossibile a un artista di restarne ignorante, senza che si trovi arrestato ne’ propri progressi. Ma i mezzi di tutto conoscere ciò che gli è necessario non sono in potere di cia- scuno, e non vi è che una società che possa facilitarglieli. Molti altri vantaggi deriveranno ancora da tale associazione , fra i quali quello di procurare maggiore occupazione agli artisti che fanno onore alla patria, e al tempo stesso di propagare in questa in modo sempre più esteso il buon gusto e l’amore delle arti ,,. E al n.° 54 parlasi di nuovo di questa associazione , e di quanto ha già operato in favore degli artisti. Il re se ne è fatto protettore, e la società si compone di più di trecento socii , le cui èontribuzioni mettono a sua disposizione una somma assai considerabile. — Questa associazione è aftatto distinta dall’accademia delle Belle Arti, e non pretende di competere in modo alcuno con quella. L'accademia è uno stabilimento d°’ istruzione e di scienza destinato a formare gli artisti, una mentre simile associazione tende a rendere in certo modo popolare il gusto per le arti ; l'accademia nelle sue grandi esposi- zioni triennali sembra fissare agli artisti un periodo di gareggiare per la gloria; mentre questa associazione raccogliendo di continuo le loro produzioni, sottomettendole ad amichevole esame , e pro- curando spaccio alle medesime , porge ai loro autori continuo inco- raggiamento. Non so quanto i due istituti possano reciprocamente giovarsi; non so neppure se l’incoraggire un troppo gran numero di mediocri talenti sia giovevole alle arti; ma so che molti che le col- tivano vi trovano la loro felicità , e che senza essere sommi in que- sta carriera, sarebbero miseri in ogni altra; onde il proteggerli, se non è un gran bene per le arti , ne è uno per l’ umanità , e in questo ri- spetto ancora merita lode una simile associazione. GI II. N.° 7. 8. e 9. Nova descrizione della città di Roma. Fra i tanti stranieri che vanno a visitare l'eterna città , o che vi dimorano, non sòno i tedeschi quelli che il meno vi si abbando- nano a profonde indagini, o a studii indefessi , per arricchirsi di co- $bizioni storiche ed antiquarie, o per illustrare la loro patria col lume delle arti. — Alla vista di tanti monumenti, lo spirito dei dotti della Germania , non può non sentir crescere la sua naturale pro- pensione alla meditazione, e questa appoggiata alla vasta erudizione, che è pure un carattere distintivo di questi dotti, divien fonte d’inte- ressanti ricerche, che sovente conducono a risultati importanti. E però vediamo uscire dalla loro penna opere, nelle quali potrebbe credersi che volessero contendere agl’ italiani la gloria d’ illustrare l’ Italia , se non dovessero anzi riguardarsi come tributi di ammira- zione e di gratitudine per la classica terra che seppe sì bene inspirar- gli. Se la comune aspettazione non va delusa , l’opera qui sopra an- nunziata, che vien pubblicata dalla stamperia Cotta , non temerà il paragone di qualunque altro lavoro sullo stesso argomento. Eccone il titolo Descrizione della città di Roma, di Ernesto Platner, Car- 3» lo Bunsen e Odoardo Gerhard, con uno schizzo storico del Sig. s» Barone di Niebuhr sulla progressiva grandezza e decadenza della »» antica città, e sulla ristaurazione della nuova. — Due voluml », corredati di piante di Roma antica , nel medio evo, e moderna, » di disegni e vedute di varii monumenti, e di un appendice con- », tenente documenti storici ,,, — Devo riferirvi al primo de’ citati numeri del Kunstblatt, perchè possiate giudicare del vasto e ben in- teso piano di questo lavoro , il quale ‘ riunirà quanto è ora disperso » in più di cento libri, dissertazioni, monografie ed altri scritti,,. Il solo nome di Niebuhr, che sembra in certo modo aver diretta l’im- presa, deve far creder non presuntuosa questa asserzione, e quasi saggio dell’ opera è stampato nei N. 8 e g lo schizzo storico di que- sto insigne letterato , che fa parte della Introduzione, e nel quale in ana rapida successione vedonsi, direi quasi, passare i secoli , e nel loro corso ora innalzare monumenti, ora atterrarli , e lasciar poi gli uni in rovina, agli altri sostituirne de’ nuovi. IlI, N.° 15. Monumento di Winkelmann in Trieste. Qual nome più di quello del Winkelmann può offrire lumino- sa prova di quanto or or vi diceva, che i monumenti romani sanno parlare allo spirito e al cuore de’ tedeschi ? Questo nome non andrà a 62 . mai disgiunto dalla storia della rigenerazione delle arti, alla quale ha sì potentemente contribuito; e le sue opere, che sembrano appar- tenere non meno all’Italia che alla Germania, non periranno che sul rogo del buon gusto. Non è dunque per rendere la sua memoria immortale che gli si è eretto un monumento in Trieste, ma piuttosto per espiare l’ atroce misfatto , per cui cessò di vivere in quella città. L'idea ne è dovuta al sig. Domenico de’ Rossetti, che è pur giunto a farla eseguire, e che ne ha pubblicata una estesa rela - zione unita a molte altre notizie sul Winkelinann nel libro intitolato; Il sepolcro di Finkelmann in Trieste. Venezia 1523 in 4.° con otto «disegni litografici e un facsimile. Ma come mai, (così parmi sentirmi interrom per da voi) mi faccio ad annunziarvi dalla Germania cose italiane? — Piacesse al cielo che a tal domanda io dovessi con confusione tacermi! Ma troppo spesso avviene che noi non curiamo o anche ignoriamo ciò che si fa fra noi, finchè vengano gli stra- nieri ad apprendercelo, e più sovente ancora a rapircene la gloria. Ciò dico in generale, perchè anzi nel caso, presente mi è grato il mostrarvi dal seguente estratto, come i tedeschi si mostrino rico- noscenti per l’ onore reso in una città italiana al loro illustre con- cittadino. “ Il zelo perseverante , coi quale il sig. Domenico de’ Rous- setti, mosso da un sentimento di profonda venerazione pel nostro gran Winckelmann, ha eseguito il suo pensiero di erigergli un mo- numento sul luogo ove riposano le sue ossa, merita la più onorevole riconoscenza , principalmente da noi tedeschi, che non abbiaîno ancor pagato questo debito ad uno de’ nostri genii più eccelsi ,,. « Ai 9g Giugno 1768, un giorno dopo la sua morte violenta, Win- kelmann era stato seppellito nella cattedrale di S. Giusto , nel se- polcro comune di una delle confraternite allora esistenti. Così le sue ossa si trovarono frammiste con altre di persone ignote ; e quando dopo molti anni fu necessario sgombrare il sepolcro , furono trasfe- rite con tutte le altre in un ossario generale, ove giacciono ancora sconosciute. Nissuno potea sodisfare lo straniero che chiedeva la tomba di Winkelmann , e sembrò infine dimenticarsi che fosse se- polto in Trieste. Anche in Roma al creatore dell’ Archeologia non era stato consacrato altro monumento che un busto collocato dal suo amico Reffenstein nel Panteon , che ora con tutti gli altri simili bu- sti si trova nel palazzo de’ conservatori sul campidoglio ,. « Questa quasi totale trascuranza mosse già nel 1808 il sig. De’ Rossetti , a innalzare a Winkelmann un monumento in Trieste, col privato aiuto di que’ cittadini. Ma in parte per l’insufficenza delle contribuzioni de’ Triestini, in parte per le agitazioni della 63 guerra , l'esecuzione non venne a termine. Non ne fa tuttavia ab- bandonato il progetto ; lo scultore veneziano Antonio Bosa comin- ciò nel 1818 a lavorare al monumento; e il sig. De Rossetti invitò nel 1820 tutta |’ Europa a contribuire al monumento di questo genio europeo , promettendo dopo la sua erezione di mandarne una stampa ad ogni contribuente insieme con una breve monografia. Con tutto ciò ha egli stesso sostenuto fino ad ora la maggior parte delle spese , e così ha fatto per sè solo più che il resto della culta Europa. Il monumento è compito, e solo rimangono alcune diffi- coltà sul luogo ove debba erigersi, mentre il posto determinato dap- prima nella cattredale non sembra intieramente adattarvisi, e il Rossetti ha per6 proposto di inalzare una piccola cappella sul luogo ove giacciono le ossa, e collocarvi ‘dentro il cenotafio ,,. « La composizione di questo monumento è la seguente: sopra un cippo inalzato su quattro gradini riposa il sarcofago, che avreb- be potuto esser di forma migliore. Sul suo coperchio riposa mesto un genio, che appoggia il braccio destro sopra un medaglione, ov’è il ritratto di Winkelmann; accanto è la face rovesciata, e sul davanti un pugnale per indicare la morte violenta. Sulla facciata anteriore del cippo vedesi un bassorilievo rappresentante Winckelmann, che con una face alla mano mostra le antichità egizie, greche e romane + alle tre artisorelle. Dietro queste figure feminili, che si riconoscono dagli attributi che giaccion loro a’ piedi, ne seguono altre cioè la sto- ria la critica e la filosofia, e assisa e occupata a scrivere scorgesi l’ archeologia. Le sculture sono di marmo statuario di Carrara, le parti architettoniche di marmo comune. La faccia principale del sarcofago deve contenere l’ iscrizione ,,. In questo articolo trovasi ancora analizzato e encomiato il libro del Rossetti più sopra citato, la compra del quale viene ancora ri- guardata come una contribuzione al monumento. IV. N.° 41-46. Sopra la famiglia romana de’ Cosimati, artisti del secolo XIII. Articolo di Carlo IVitte. Frutto di un viaggio scientifico intrapreso dall’ autore alcuni anni addietro è questo scritto, e lo sono ancora alcuni articoli inseriti in altri volumi del Kunstblattspettanti ai principii delle arti in Italia, ne’quali apparisce un sano giudizio, appoggiato a ben dirette indagini e ad accurate osservazioni. Nel presente articolo trovansi alcune im- portanti considerazioni sullo stato dell’ architettara e della scultura in Roma e in altre parti d’Italia nel medio evo, e l’autore combatten- do forse con soverchia arditezza l'opinione del sig. conte Cicognara, 64 che Giovanni Pisano avesse potuto esser maestro ai Cosimati, riven= dica l’ indipendenza dell’ arte romana nella sua rigenerazione. Sa- rebbe tedioso il seguire l’ autore nelle sue ricerche antiquarie, e vi confesso che non ho fatto parola di questo articolo che per trarne oc- casione di parlarvi di chi lo hascritto, il quale da’suoi più teneri anni ha destato l’ ammirazione de’ tedeschi, ed ha forse molti estimatori anche in Italia, ai quali non riusciranno discare le seguenti notizie intorno alla vita di questo giovine professore, tratte con poche ab- breviazioni dal Conversations Lexicon. « Carlo Witte è nato a Lochau, borgo vicino a Halle, nel 1800, Suo padre, parroco di quel borgo, conosciuto come uomo di molto sapere, aveva sempre mostrata molta inclinazione per la pedagogica, ed era stato quattro anni istitutore in unà famiglia. Le sue occupa- zioni e i suoi viaggi gli avevano fatto conoscere molti celebri edu- catori e molti stabilimenti di educazione in Germania, e a queste osservazioni aveva unite le proprie non interrotte riflessioni sulla scienza pedagogica. Alla nascita del figlio, si propose di educarlo egli stesso con ogni cura, e tuttavia in modo da secondare del tutto la natura. La sua intelligente moglie, ch’ egli pure aveva in gran parte educata, secondò con ardente zelo le sue premure, Nel quar- to anno il giovine Witte leggeva molto bene il tedesco , e calcolava di testa con numeri frazionarii in modo ammirabile. Nel quinto anno comminciò la sua istruzione regolare, principiando con la lin- gua francese, e unendovi successivamente l’italiauo, il latino, il greco e l’ inglese. Anche l’ ebraico fu imparato dal fanciullo con gusto e zelo, e lo scritto lo apprese da sè stesso senza direzione. Nell’ ottavo anno già eccitò l’ammirazione dè più distinti letterati e pedagogici, tanto più che fino all’ anno sesto compito non aveva avuto che da una mezz’ ora fino a un’ ora d' istruzione per giorno; nel settimo da una fino a un’ora e mezzo, e nell’ ottavo circa due ore e mezzo. La fama di uno sviluppo sì precoce andò spargendosi, e il padre fu mes- so in caso di porre il figlio all’ università di Lipsia, e di consacrarsi intieramente in questa città a secondarne gli studii, ne’quali il giovi- netto sostenne varii esami con universale sodisfazione. All’ età di 10 anni si trasferì col padre da Lipsia a Gottinga per desiderio del re di Westfalia, che tolse al padre la cura della sua parrocchia, e gli concesse una pensione di 2000 franchi. Il giovinetto scrisse qui nel suo duodecimo anno il suo primo saggio scientifico in latino , sopra un punto spettante le mattematiche sublimi, per le quali mostrava una speciale predilezione. Ne’quattro anni che passò in Gottinga stu- diò con molto ardore le lingue antiche e moderne , storia , geografia, mattematiche, fisica, chimica, storia naturale, filosofia ec; unendo a 65 questi studii lezioni private di mattematiche elementari e sublimi; A 13 anni ottenne il dottorato di filosofia a Giessen, e l’anno se- guente fu nominato socio della società di storia natarale nella Wet- teravia. Nel tempo stesso scrisse in tedesco il suo secondo lavoro sopra un argomento mattematico, e in quest’ epoca essendo tornato a esser suddito del re di Prussia, questi lo prese in protezione, e gli continuò la sua pensione per quattro anni. Allora studiò Witte la giurisprudenza e le scienze economiche e diplomatiche, trasferen- dosi per ciò in Heidelberga, dove ricevè nel 1816 la laurea dottorale. Di ritorno a Berlino volle dedicarvisi all’ istruzione accademica, ma in forza di alcuni disgusti con la facoltà giuristica, non fu creduto opportuno che sì tosto salisse in cattedra, e gli furono intanto procac- ciati da alti personaggi generosi mezzi per metterlo in caso d’ intra- prendere un viaggio scentifico di qualche anno; e al suo ritorno fu nominato professore di giurisprudenza all’ università di Breslavia, ove tuttora ritrovasi. La storia della sua educazione, che è stata pubblicata dal suo padre nel 1819 in 2 vol. in 8.°, contiene un gran numero di buone massime pedagogiche, e può esser utile a’ genitori e istitutori, Non ho potuto finora procurarmi quest’ opera, che certo deve essere interessante , se vi si trova bene esposto e sviluppato il meto- do che ha condotto a risultati sì portentosi , e più ancora se vi sono ingenuamente analizzate le facoltà intellettuali del giovinetto; perchè allora potrà giustamente apprezzarsi quanto sia dovuto al genio e quanto all'applicazione, quanto all’ intelligenza e quanto alla me- moria, Che questa in ogni caso debba essere stata di una forza stra- ordinaria può senza timore asserirsi, ma con ciò non scema la mara- viglia sopra la precoce capacità di abbracciare tante scienze, nelle quali la memoria va subordinata all’ intelligenza. V. N.° 79. Nuovo metodo per interpretare i geroglifici d'Egitto. « Il dott. Young e il sig. Champollion il giovane si erano lusingati di aver trovata la chiave de’ geroglifici degli Egizii, e gli scritti i più recenti del secondo sopra il museo di Torino, e quanto altro ha intrapreso nel suo soggiorno in Italia, provano quanto egli . si affidiall’infallibilità del suo sistema. Tanto maggiore interesse dee perciò destare uno scritto, che annunziato da Lipsia, promette di aprire una via affatto vuova per giungere alla definitiva soluzione del mistero. Le carte del defunto Spohn, il quale per lungo tempo e con assiduità erasi ‘consacrato allo studio de’ geroglifici, sono state confidate al sig. prof. Seyffarth, che già in parte le ha pubblicate. T. XX. Novembre. 5 66 Dal poco che era stato compito apparisce che lo Spohn erasi dato premura di dimostrare: che la scrittura demotica non meno che la geratica degli Egizii consisteva di semplici lettere; che la lingua espressa in ambedue queste scritture era l’ antica egizia , e che i ca- ratteri di ambedue accordavansi completamente in quanto all’essen- za. Su questa via crede ora il sig. prof. Seyffarth di aver anche scoperto il segreto di leggere con sicurezza la terza scrittura , cioè la geroglifica. Il suo sistema dee non solo confutare tutti quelli noti fin quì, ma anche porre in istato di decifrare i geroglifici die- tro un principio fisso. Per sviluppare questo sistema, e le leggi in generale , dietro le quali scrivevasi con figure, pubblica un’ opera sotto il titolo di Rudimenta Hieroglyphices, che fra poco verrà alla Iuce presso Gio. Ambr. Barth in Lipsia, stampata in 4.° gr. con molta eleganza. Vi saranno unite diciassette traduzioni di scritture geroglifiche, un glossario con tavole alfabetiche, e trantaquattro disegni litografici. Ogni amico delle antichità ave attendere con impazienza un tale scritto ,,. E. MAYER. f—rr———_———_—_—_—É_rT—r_—__r_———————_—__T—y7—m——————_—————_———————t@ PROGRESSI DELL’ INDUSTRIA IN INGHILTERRA. ( Estratto dal Globo , giornale francese). La moderna civiltà ha dato vita a un nuovo ramo d'’ istoria : a quello della ricchezza. Gli annali dell’ antichità non eran pieni che di vittorie e di conquiste : il discorrere di sanguinose battaglie e d’ imprese guerresche , era il solo interessante trattenimento de i padri nostri : la enumerazione degli schiavi e la stima del bottino, la sola loro statistica. Ma ora che l’indastria è succeduta alla guerra, i nostri sguardi si arrestano ad un nuovo spettacolo. Cessata la barbara lotta dell’ uo- mo coll’ uomo , è sorta la lotta innocente dell’ uomo colla natura. Sempre esercizio di potere, conquista , e vittoria. Wat è un con- quistatore come Cesare, ma i vinti non son più i nostri fratelli, ed il suo trionfo non è accompagnato dal pianto. Gli nomini, di guerrieri divenuti industriosi, volgono adesso la loro curiosità verso i progressi dell’industria , siccome prima verso i successi della guerra ; e ne è prova la passione generale per la sta- tistica, Poco interesse i nostri antenati del secolo decimoquinto avreb- bero preso ad udir ragionare dell’importazione della Jana, o dell’an- 67 mento della popolazione ; a dilettarli facca di mestieri la descrizio- ne di un torneo , o dell’assedio di un castello ; mentre ora maggior interesse c’ inspirano o _l’ invenzionefdi una macchina, o lo stabili- mento di una nuova manifattura, L’ Inghilterra, sovra ogni altra nazione, eccita la nostra ammi- razione col suo moto d’industria , la cui rapidità partecipa non po- co del portentoso. Noi danque crediamo far cosa grata ai nostri let- tori, schierando loro sotto gli occhi alcuni fatti, i quali possono far loro conoscere i progressi della ricchezza della Gran-Brettagna nei primi venti anni di questo secolo. Le notizie seguenti sono ofliciali. Desse si trovano sparse nei fogli parlamentari ; noi le abbiamo tratte da una rivista inglese, che le ha riunite sotto un solo articolo. Costruzioni. Il gran numero di nuove costruzioni annunzia l’ abbondanza dei capitali , e sotto un doppio aspetto : 1.° perchè non si può fab- bricare senza capitali; 2.° perchè siccome la spesa per l’abitazione si trova sempre in una determinata correlazione con le altre spese, ogni aumento di consumazione in questo genere indica un aumento proporzionale nella. consumazione totale, e in conseguenza nella ricchezza. Nel 1801 il numero delle case abitate dell’Inghilterra!, (non escluso il paese di Galles) era di 1,580,923; questo numero nel 1821 è cresciato fino a 2,088,156; così il loro aumento nello spa- zio di venti anni è stato di 507,233, ossia di circa un terzo. È osser- vabile che il numero delle case è aumentato con una proporzione meno rapida del numero degli abitanti: la differenza per il termine medio della Gran. Brettagna é fra il 30 e il 31 per cento. Nel 1801 Londra colle parrocchie esterne conteneva 121,229 case, 864,845 abitanti. Nel 1821, case 164,681, e 1,225,694 abitanti. Per ristabilire nel 1821 l'antica proporzione fra gli abitanti e le case, sarebbero state necessarie altre 12,000 case nuove. In alcune città manifatturiere la sproporzione è assai più grande, Dal 1801 al 1821 il numero degli abitanti crebbe a Manchester in ragione del 68 per cento; quello delle case in ragione del 56. A Birmingham il numero degli abitanti è aumentato in ragione del 49 per cento, quello delle case in ragione del 45. A Nottigham il numero degli abitanti è cresciuto fino al 48 per cento : quello delle case fino al £o. A Leads, a Derby , a Carlisle la proporzione del 1801 si è conservata nel 1821. La tassa sui mattoni stabilita nel 1784.ci offre il miglior crite- 68 rio del progresso delle costruzioni. Il numero dei mattoni che han- no pagato la tassa è stato: 1785, 6, 7, — ui ont ; î ‘+ _._: 3 1801, 2,3, — 728,447,0 mat- Termine medio degli anni é ,g, ua He 034,065,839 toniî. 1821,22,23, — 1,020,289,183 Canali. Ognuno sa, che l’ Inghilterra è ricoperta di canali; ma qual fratto producono i capitali impiegati in simili imprese ? In più di un opuscolo, ho letto essere dei canali siccome di una lotteria, e co- me in un lotto vi hanno molti biglietti nulli, così prendendo il ter- mine medio dei capitali impiegati alla costruzione dei canali, non fruttano neppure l’interesse usuale. E facile il conoscerne il perchè, La maggor parte dei canali appartiene a diverse compagnie. Eccovi i risultati che presentano i libri di ottanta di queste società. Trenta- trè compagnie hanno speso, o si propongono spendere 3,734 gro, lire sterline, e non hanno ancora pagati i dividendi ; 14 hanno speso 4,073,668 lire sterline, e pagano per dividendi 92,281 lire sterline ; 22 hanno speso 2,195,000 lire sterline, e pagano per dividendi 162,400 lire sterline; 11 hanno speso 2,073,300 lire sterline, e pagano in conto dividendi 216,924 lire sterline. Ne rimangono dieci, che hanno speso 1,127,230 lire sterline, e pagano 311,554 lire sterline di prodotti. iPer tal modo la spesa totale giunge a 13,205,117 lire sterline: i prodotti nello stato attuale a 782,257 lire sterline: il frut- to adunque è del 5 e tre quarti per cento circa. Macchine a vapore Non sono ancora scorsi 50 anni dall’ epoca dello stabilimento della prima macchina a vapore dietro i principii di Wat. Nel 1822, se si dee credere al sig. Partington, se ne trovavano in Inghilterra 10000 facenti le veci di 200,000 cavalli. Cotone , Lana, e Seta. In Inghilterra si cominciò a lavorare il cotone circa il 1600. Le fabbriche dei contorni di Manchester fiorivano già verso il 1641, ma fino al 1760 non era stato possibile l’ arrivare a tessere una tela di cotone puro. In appresso però , grazie all’ introduzione delle macchi- 69 ne, questo ramo d’industria si è enormemente sviluppato. L’ impor- tazione della materia prima non era, a cagione del prezzo medio degli anni 1765,6,7, che di 4,241,964 lire sterline . Essa è cresciuta a cagione del prezzo medio degli anni ) fi e 59,908,673. 2,23,24,4 153,799,302. La richiesta degli operai è aumentata con una proporzione an- che maggiore. Il progresso di questo ramo d’ industria non si può calcolare dalla sola richiesta della materia prima: conviene avere riguardo anche alla maggior perfezione dei tessuti. Non si fabbrica- vano prima col cotone che delle tele grossolane . Siamo giunti a tes- serne adesso delle finissime , e assai preziose , quali sono i velluti, e le mossoline. Talchè a’ nostri giorni una libbra di cotone del prezzo di tre scellini, si converte in un pezzo di mossolino del valore di sei lire sterline. Quarant’ anni fa 1’ Indie provvedevano di mossoline l’ Europa e l’ America; adesso le manifatture inglesi spediscono nell’ Indie le loro mossoline. Eccovi lv stato delle esportazioni dei cotoni in tre epoche di- verse. 1765,6,7, — 223,154 Prezzo medio degli anni è 1504,5,6, — 8.734,919 > lire sterline. 1822,3,4, — 26,128,221 L’ immenso progresso della fabbricazione della lana risale fino al principio del regno di Giorgio Terzo. Siamo arrivati adesso ad eseguire per via di macchine tutte le operazioni che prima esigeva- no la mano dell’ uomo ; e nonostante la concorrenza delle manifat- ture straniere, l'esportazione dei panni inglesi è sempre andata cre- scendo, Le lane d’ Inghilterra e di Spagna non sono state bastanti a sodisfare la domanda delle fabbriche inglesi: abbiamo dovuto ri- correre alla Prussia , alla Sassonia , e ad altre parti del continente , che mai finora nonne avevano provvedato la Gran Brettagna. L’ im- portazione della lana è enormemente cresciuta da trent’ anni in poi : il valore medio dell’ esportazione per i tre anni 1788. 1789. 1790. era di 2,91t,499 lire sterline. L’ importazione è cresciuta nei tre anni 1822. 1823. 1824. fino a 18,884 876 1. sterline, valore medio di ciaschedun anno. L' espor- tazione però non è aumentata nella medesima proporzione ; ciò sup- pone un aumento di consumazione interna. À 6 È 1765,6,7, — 4:630,38 Valore usdia dell esportazio- 1804,5,6, oi seo Mata pe pergli anti. me. -( i824)à,4,-6,200,548 A provare la singolare rapidità della fabbricazione dei panni , si narra; che Sir John Throgmorten presedè ad una riunione di i 70 fabbricanti , vestito di un panno, lacui lana allo spuntar del sole del giorno medesimo era indosso alla pecora: così che nello spazio di dodici ore , l’ animale fu tosato , la lana lavata, cardata , filata, e tessuta , il panno pulito , sodato , cimato, tinto , rifinito con tutti gli apparecchi necessari. Finalmente alle sette della sera il vestito era terminato : esempio quasi incredibile del poter dell’ industria ! La fabbricazione della seta è divenuta uno dei rami più im- portanti dell’ industria inglese : essa tiene occupate più centinaia di migliaia d’ operai, Un gran cangiamento si è operato nella produzio- ne della materia prima ; perciocchè la cultura della seta è stata per- fezionata ed estesa anche nell’ India. La seta del liengal , non la ce- de a quella d’ Italia peri drappi di qualità inferiore. Il progresso di questo ramo d’ industria aveva sul primo incontrato degli osta- coli, dall’essere la materia prima aggravata da un dazio esorbitante, e dall’avere stoltamente preteso il legislatore di determinare il sala- "rio degli operai. I torbidi cagionati da tali regolamenti , costrin- sero non pochi manifattori ad abbandonar Londra , ed a trasportare i loro stabilimenti in luoghi più tranquilli. A ciò appunto deve Paislys la propria prosperità. Intanto la fabbricazione della seta si è oltremodo sviluppata » come si può vedere dall’importazione che si fa della materia prima * è notabile che l’ importazione della seta torta non è aumentata, con una proporzione eguale a quella con cui è. cresciuta l’ importazione della seta greggia. seta greggia È seta torta 1765,6,7 — 352,130 — 363,498 1785,6,7 — 547,505 — 337,860 1802,3,3 — 967,805 — 384,506 1822,3,4 — 2,172/401 — 386,69r. Valore medio degli anni dedotta la quantità esportata ...... Lino. L’ industria inglese è gianta ad introdurre nella Gran Bretta- gna il commercio della seta , che la natura pareva le avesse ricusato. Di pari passo ha progredito la manifattura delle tele di lino. La pro- va sta nell’ aumento d’ importazione di lino greggio, ed esportazio- ne di lino lavorato. La produzione nazionale della materia prima è au- mentata , e nel tempo stesso è andata crescendo |’ importazione. Da 219,610 cantara, quantità media degli anvi 1788. 1789. 1790. dessa è cresciuta fino a 414,246. cant. negli anni 1804 1805. e 1806; ed è cresciuta a 601,887 negli anni 1821, 1822,e 1823. L’ esporta- zione è aumentata con una proporzione molto maggiore: la quantità : 7 I media degli anni 1765.1766. 1767. era di 4,681,806 iard: per gli anni 1804. 1805. e 1806 la quantità media è stata di 10,387,543.i42r4; e di 32,287,543. per il 1822. 1823. e 1824. Una tal prosperità non ha pregiudicato ai prodotti delle fab- briche irlandesi, perciocchè in Irlanda, siccome in Inghilterra, l'esportazione dal 1805. in qua è triplicata. Metalli. L’ Inghilterra ci presenta riguardo ai metalli ‘gl’ istessi pro- ‘ gressi d’ industria , che ci ha offerta finora intorno alle sostanze vegetabili. La produzione del ferro fuso è aumentata considerabil- mente. Nel 1750, essa non passava le 22,000. tonnellate. Nel 1806 è giunta a 250,000; a 380,000 nel 1816; finalmente a 600,000 nel 1824. Il ferro naziorale è succeduto nello spaccio interno al ferro forestiero , sebbene in certi casi neppure adesso sia capace ‘ a supplire il ferro svedese. L’esportazione è aumentata: verso il 1766 essa giungeva appena a 11,373 tonnellate, dato medio degli anni 1765. 1766. 1767. Nel 1804, 5, e 6, il dato medio dell’ esporta- zione è stato di 28,009; nel 1822, di 94,008. Non è stato cotanto rapido il progresso , rispetto alle miniere di rame : e ciò non pertanto , se si giudica dietro le vendite della contea di Corno- vailles, la prodazione negli ultimi venticinque anni è raddoppia- ta: ma la produzione nazionale non basta per le manifatture, ed è sempre necessaria un’importazione considerabile. - Si vuole egli una prova dello stato di prosperità di quest’im- portante ramo d’ industria , che gl’ inglesi chiamano Zordwace? (la fabbricazione di lavori metallici). Basta gettare un colpo d’occhio sopra le città , dove si lavorano i metalli. L’ aumento della loro popolazione mostra il progresso delle manifatture; ma bisogna os- servare che appunto a questo genere di lavori si applicano le mac- | chine. Nel 1801, Birmingham contava 73,670 abitanti; la sua po- polazione nel 1821 era di 106,722; nel medesimo spazio di tempo la popolazione di Scheffild , da 45,755 abitanti, è salita a 65,275 ; quella di Valverhampton da 12,565, è giunta a 18,380. Terraglie, Specchi ec. Simili progressi si rintracciano intorno al vasellame. (Carter EVace). Basta, per convincersene, considerare la perfezione dei la- vori, A LHERO della consumazione, e l’aumento della popolazio- ne impiegata in tal manifattura. 72 Il commercio degli specchi, del cuoio, e della carta, ha an- ch’esso seguito il moto generale ; ma le tasse che aggravano que- sti rami d’indastria, hanno nociuto all’esporiazione, Ecco gettato una rapida occhiata sui principali prodotti del- l’ industria inglese: dovunque, abbiamo riscontrato i progressi, e progressi sempre maggiori. Dopo avere esaminati i particolari , conviene gettare un colpo d’occhio sull’insieme. I prospetti doganali ci presentano nei loro risultati generali una misura dell'andamento del commercio e della ricchezza. Sono essi, egli è vero, documenti inesatti e cifre ingannevoli, per chi voglia calcolare il valore reale delle mercanzie importate , 0 esportate, in un anno determinato; perciocchè non possono darci conto del contrabbando, e perchè le loro stime non sono molta conformi alla realtà. Ma queste notizie però sono bastantissime, quando si vogliano soltanto paragonare tra loro due epoche diverse. Le stesse cause di errore, si riproducono in tal caso egualmente nei due termini di confronto ; ed il rapporto allora si trova esatto, e giusto il paragone. L’ esportazione dei prodotti del suolo e dell’ industria ingle- se, non era, dietro il dato medio degli anni 1783; 4, e 5, che di 11,099,718 lire sterline. Eccone, dopo quest'epoca, l'aumento progressivo. 1803, 4, 5 27,726,933 Dato medio degli anni lire sterl. 1821, 2; 3 45,283,359 La tassa sui legati presenta un'altro mezzo, onde calcolare l’ accrescimento delle proprietà mobiliare in Inghilterra. Benchè tutto si tenti onde evitare il pagamento di questa tassa, il di lei prodotto, ciò nonostante, è grandemente cresciuto. Egli era nel 1810, di 520,983 lire sterline; nel 1815 la tassa ha prodotto 675,807, nel 1819, 855,633, e nel 1823, 990,787 lire sterline. Ella è una verità, la cui certezza equivale al rigore di un assioma di matematiche, che da trent’ anni a questa parte , mal. grado le spese enormi per le guerre contro la Francia, e l’ au- mento spaventevole del debito pubblico, la ricchezza dell’Inghil- terra è cresciuta con una rapidità quasichè miracolosa. Si può disputare, se dopo la pace del 1760, la massa delle ricchezze sia triplicata o quintuplicata, nella Gran Brettagna : ma quello che è certo, si è, che qualunque si sia il grado preciso del di lei ac- crescimento, egli è stato però immenso ; ed è permesso al citta» 73 dino inglese di esclamar con orgoglio ; che la propria nazione è la più ricca del mondo, Or come mai questa vasta produzione si è ella distribuita ? ec- coci a una seconda questione di non poca importanza , imperciocchè la distribuzione delle ricchezze , interessa quanto la loro produzio- ne, La ricchezza si è forse coucentrata nelle mani di pochi indivi dui , o sì è sparsa in tutte le classi? Il di lei progresso , ha operato l’ inalzamento di un piccol numero d’ uomini al di sopra del resto della società ? o ha cresciuta |’ importanza sociale della classe me- dia ? L’ esposizione di alcuni fatti , potrà da per sè sola sciogliere il problema col mostrare : che la distribuzione di queste ricchezze si è operata più egualmente che sia possibile , secondo i voti cioè, del filosofo , e del pubblicista. Pare a prima vista , che per tal uopo farebbe di mestieri di un inventario di tutti i capitali, la cui redazione, oltre l’ essere impossi- bile , non potrebbe servire che per quel momento in cui sarebbe stato fatto: ma per giudicare dello stato generale di una nazione , non è necessaria una precisione sì accurata ; basta a dei dati stati- stici esatti , sostituire dei prospetti e degli indizii generali. Un primo documento , ci vien offerto dalla distribuizione del debito pubblico. Da una dimostrazione presentata al Parlamento ap- parisce : che nel 1823, il numero dei proprietari del debito pub- blico , era giunto fino a 288,473. elassati nel modo che segue. Fino a 10 lire sterline di rendita 92,223 da” 10.a-\-20 42,083 da 20 a 100 101,274 da 100 a 200 26,410 da 200a 400 15,604 da 4ooa 600 5,170 da 600 a 1000 3,260 da 1000 a 2000 1,741 da 2000 a 4000 490 al di sopra di 4000 218. Da un tal quadro si rileva che la maggior parte del debito pub- blico è in mano della classe media , e che per conseguenza la ric- chezza si è con giusta eguaglianza ripartita. La classe media è aumentata di pari passo colla ricchezza , la di cui più utile conseguenza si è quella di accrescere il nume- ro degl' individui indipendenti, e liberi dalla necessità del lavoro corporale. Le tasse dette assisced taxis, per mezzo dei lumi che cl- 74 leno ci porgono intorno alle consumazioni , ci portano agli stessi risultati. Il numero delle persone che mantengono un cavallo per lo+. ro comodo , è di 148,788; 23,493 ne mantengono due ; 15,794 ne mantengono da 3 a 8 — 1168 più di 8. ; 40,218. persone hanno’ al loro servizio un servitore : 6,761 ne hanno due ; 4,652 ne tengo- no da due fino a cinque ; 1,596 da cinque fino a otto : 610 danno il salario a più di 10. Vi sono 733,t10 case con meno di 10 finestre ; 178,334 da 10 a 20 ; 36,485 da 20 a 30 ; 10,673 da 30 a 40; 6,326 .da 40 a 60 ; 2,640 da 60 a 1001 al di sopra di 100 finestre 940. ° Dal 1804 al 1823, il numero delle earrozze di lusso a quattro ruote è raddoppiato ; da 13,250 , è salito a 26,799. Il numera de” le- gni a due ruote nel medesimo spazio di tempo è aumentato in ra- gione del 125 per cento ; da 20,145, è salito a 45,856. Per convincersi dello stato di prosperità delle classi medie, basta’ il percorrere le campagne, visitare le botteghe , esaminare le officine ed i magazzini. Da pertutto si scorge l’ agiatezza , che rende la sussi- stenza più facile, e piu dolce. Le abitazioni sono più ornate e più co- mode. Quegli oggetti di lusso che gl’ inglesi chiamano tanto a propo- sito comforts, quasi per indicare che non i soli e pochi ricchi gli pos- seggono , sono sparsi generalmente. Malgrado l’ aumento delle spese: dei commercianti , il numero dei fallimenti diminuisce propor - zionalmente ; da trent’ anni a questa parte , il numero dei commer- cianti in Londra è triplicato ; gli affari commerciali hanno acquista- ta un’ estensione proporzionalmente decupla; i fallimenti, d’ altron- de , non hanno subito lo stesso. aumento progressivo , come lo prova la tavola seguente. 1791, 2,3 — 816 Numero medio dei fallimenti 1801, 2, 3 — 1,168 Merilanal o ig a 1811,12,13 — 2,223 1821, 2,3 — 1,134. La condizione delle classi inferiori è migliorata , siccome quel - la delle classi medie. Sul principio del regno di Giorgio II. il pan di segale , d’ orzo, o di vena , formava il principale alimento della popolazione lavoratrice ; nel 1764 , la quantità dell’ orzo pro- dotto in Inghilterra, era eguale alla produzione del grano; oggi l’orzo sta al grano, come 1 a 3. E ciò nonostante , una maggiore quantità proporzionale d’ orzo si converte in birra . Il popolo si nutre adesso di pane di grano anche nelle contee le più remote della capitale, come quelle di Cornouailles , di Lancastro, e di Galles. Dal 1764 al 1824» la popolazione è aumentata in ragione del 78 per cento: il consumo della carne di-macello , del 115 per cento ; il che indica un aumento di consumo nelle classi inferiori. Il peso 75 dei bestiami è atmentato insieme coll’ anmento del numero delle be- stie macellate. Nel 1732 il peso medio di una bestia cornuta , era | di 370 libbre ; nel 1794 ; di 462 : oggi, dei rapporti ai quali può prestarsi fede , lo fanno giungere ad 800. Il peso medio dei castrati ha subito lo stesso progresso. Nel 1732, era uguale a 28. libbre; nel 1794 a 35 ; nel 1824 a 80. Il consumo del maiale fresco ; e di quello salato , del burro, e del formaggio, è aumentato con una propozione eguale. Il consumo del thè e dello zucchero è raddoppiato, mentre che il numero dei consumatori non è cresciuto che della metà. Un tal mig'ioramento si mostra chiaramente nelle abitazioni, nei mobili, e nei vestiti del- leclassi povere. L’ antica trascuranza ha ceduto il luogho alla pu- lizia : negli ultimi quarant'anni, il consumo del sapone, è giunto da 35 a go: milioni di libbre. Tali sono i resultati dell’ industria. Potenza per la nazione e ben’ essere , e indipendenza per gl’ individui. Qual differenza fra la popolazione inglese del secolo 19.°, nobi- litata da quel sentimento di dignità personale che inspirano l’agia- tezza , la libertà nel lavoro; e la popolazione del medio evo , abbru- tita dalla miseria e dalla schiavitù! E qual differenza sempre più vi sarà ( se la nostra civiltà prosegue il suo cammino) fra la specie umana attuale, e quella del secolo futuro! n iilimliltiii|i‘2 ‘O©5T iiÉ©YÉ> © fi { _: Sopra un sepolcro Chiusino degli Etruschi — Lettera del profes. F. OrIoLI di Bologna, al sig. conte G. B. VERMIGLIOLI profes. d’Archeologia nella università di Perugia. {n questo tempo autunnale , in che profittando del silenzio delle scuole voi correte il bel paese di Sicilia in cerca di pellegrine anti- chità, mi sono io volto alla bella Toscana, non meno abbondante che il suolo Trinacrio di nobilissimi monumenti d'ogni maniera ,ed ho te- stè insieme col sig. Vieusseux principale compilatore dell’Antologia, e col sig. Montani suo collega de’ più valenti, corso la fertilissima Val di Chiana e le città più notabili che in quella sono. — Oh foste voi stato meco ! E difficile-immaginare un più bel paese, e più ricco della ricchezza la quale viene dalla industria che la scienza ha di- retto. Ricorderanno i posteri che il cav. Fossombroni ha creato un’ intera provincia e nuovi mezzi di sostentamento per centomila toscani. Ne’ secoli della mitologia questo grande matematico e più grande ministro avrebbe ottenuto gli onori dell’ apoteosi , e i popoli 76 da lui beneficati lo avrebbono rappresentato sotto le forme d’ana divinità pantea. Sarebbe egli stato la Cerere ed il Triptolemo di que- ste terre. Lo avrebber coronato di pampano e di spiche , e avrebber detto ch'egli lottando col fiume Canis fiaccogli le due corna , e lo costrinse vinto a nascondere il capo nel suo letto. Io non vi dirò nulla di tatto il viaggio, perchè un libro dovrei scrivere, e non una lettera, se questo volessi imprendere. Solo non posso tacervi che mi sono recato alla bella grotta presso Chiusi, contenente le urne sepolcrali, le cui toscane iscrizioni illustraste colla vostra dotta dissertazione al nobile uomo sig. Flavio Paolozzi. Voi siete per ben due volte ritornato su questo argomento , in- torno il quale ha pure scritto il cl. architetto e mio pregiatissimo amico sig. cav. Giuseppe del Rosso; ma debbo ora dirvi con grave rincrescimento , che le copie dell’epigrafi a voi trasmesse , e molte altre particolarità espostevi non sono conformi al vero. Fui nella grotta col già lodato sig. Vieusseux, e per grande disgra- zia io non aveva meco il vostro bel libriccino, e però non ricordava le iscrizioni; ma ben mi ricorreva alla mente che su questo propo- sito avemmo insieme corrispondenza di lettere, e ch’io (siccome degnaste pure stampare nella seconda edizione del vostro scritto ), aveva sospettato nascondersi uno stesso gentilizio nelle diverse voci Peris, Perisalisai, Leris , Lerisalisa, Perisal. Perciò aveva grande curiosità d’ esaminare que’ sassi co’ miei medesimi occhi, e li ho esaminati con quella diligenza che per me si poteva maggiore , men- tre il sole con alzarvi su i raggi illuminava più che bastantemente }’ interno dell’ ipogeo. Vedete dunque che ‘si può prestare qualche fede a me trascrittore paziente provvisto d’ occhi, i quali sempre insino ad ora mi hanno ben servito , e non ignaro al tutto de’ misteri della etrusca paleografia. Ma permettete che innanzi tutto vi descriva il piccolo sotterraneo quale si offerse alla mia vista. Ei non occorre dire a voi che consiste il medesimo in una cella formata con pezzi di travertino di figura parallelepipeda, insieme congiunti senza cemento per semplice giusta posizione. Ella è in pianta un parallelogrammo rettangolo : ha in luogo di soffitto una volta a botte; intorno un gradino dove otto urne si posano; e d’avanti una porta , gli usci della quale sono anch’ essi di travertino , e gire- voli per mezzo di due appendici conoidee, che tengon vece di cardini e s’ inseriscono in due cavità scolpite sullo scaglione del limitare, e sull’ architrave. Ma a queste notizie che ancora più minutamente vi sono date dal lodato sig. Del Rosso, io stimo prezzo dell’opera di aggiungere che nasce sopra l’ architrave piano della porta un arco, dove alcuno de’ cunei risalta in fuori con modo irregolare, quasi 77 perchè non si è creduto di dover mettere perfezione di lavoro in una fronte destinata ad essere coperta di terra. E il vuoto sotto la conca- vità dell’arco, tra esso e l’ architrave, si è riempito con altri tra- vertini. E innanzi l’uscio s'è scavato un lungo viottolo rettilineo pel quale dalla campagna si scendeva all’ occorrenza nella grotta , adeguando tutto con terra quando il bisogno di scendervi non s’avea E l’una imposta di sasso suggellava bene sull’ altra, perchè s’ era usata la diligenza di scolpire nel lato vivo della giuntura la spe- cie di gradino o letto , che usiamo noi pure nel battente dei nostri usci. E per ultimo sembra che tutto fosse sbarrato di ferro , giacchè nel viottolo s’ è pur trovata una lunga verga di questo metallo in molti modi aggruppata e mezzo mangiata dalla ruggine. Ma parliamo di quello che più importa , vale a dire delle iscri- zioni. Pongo qui da un lato la loro leggenda com= voi la deste sulla fede di coloroche ve la mandarono, e dall'altro lato la medesima come io la trascrissi : Leggenda delle epigrafi secondo Secondo la copia che io la vostra stampa. ne trassi. 1. I° Au: Pol: phna : Peris : Au : Seiantial | Au : Pulphna: Peris: Au: Seiantjal 2. P) Pi Thana : Arinei : Perisalisai Thana : Arinei ; Perisalisaz È 3. Lth : Leris : Matusnal Lth : Peris : Matausnal : Au ; Pul : phna: beris: Au : Saiotial |] Au : Pulphna ; Peris : Pumpual 5 5 Thana : Arotnei : basico Thava : Arntnei : Perisalisa : 6 1a : Pal : phna : la : Seiantial la : Pulphna : la : Seiantial o] è . Thavia : Seianti : Perisal Thania : Seianti 2 pento s 2 8. Au : Pulph nala Seiantial Au : Pulphna : La : Seiantial Voi potete qui conoscere dal paragone, che vi ha dunque nota- bile differenza rispetto almeno ad alcune epigrafi tra le nostre due copie! Certo, se quando io stava nella grotta, avessi avuto in mano l’ operetta vostra, con più fiducia vorrei dire che la mia lezione è la sola vera. Nondimeno io nou dubito d’ affermare, che son sicaro di avere ben letto nella terza e nella quarta epigrafe Peris in luogo di Leris, ed ugualmente nella quinta Perisalisa in luogo di Lerisali- sa; poichè non solo ho guardato attentissimamente la lettera in che cade la differenza, ma ho fatto altresi testimonio il sig. Vieusseux che gli occhi non m’ingannavano. E per vero il P della terza e della quarta 78 iscrizione è molto ben solcato. Solamente quello della quinta è alquanto offeso da corrosione del travertino; ma per poco studio ei se ne spicca chiarissimo , restando evidente la sbarra obbliqua superiore, e ben segnata l’ asta verticale inferiore dall’ andamento stesso della cavità formatavi sopra. Ma non so nemmeno sospettare del Matausnal, che io leggo nel 3.° coperchio in luogo di Mazusra/, e che ho veduto poscia ugualmente letto in un’ altra copia dello stesso coperchio mandata in Firenze al ch. sig. M..... da non so qual trascrittore. E ciò medesimo dico del Pumpual nel 4:° sarcofago ch’io v ho trovato invece di Au: Saintial ; e così, per farla breve, di tutte le altre differenze, tranne quelle che ho notato in carattere corsivo, per far conoscere che ivi le lettere apparivano dubbie e corrose. Oh che direte ora se v aggiungo, che è pur nato qualche tur- bamento nelle carte trasmessevi e da voi stampate ; rispetto alla corrispondenza dei numeri dell’ epigrafi con quelli delle sculture descritte? E pure è così , e stimo opportuno di farvi avvertito, che “mentre queste procedono per ordine dalla prima urna sinistra , sino all’ ultima a destra , le leggende invece sono numerate per salto , e la vostra prima corrisponde alla urna quarta, e la vostra quarta al- l’arna prima, conservandosi regolari soltanto le altre. Nè in ciò finisce la poca esattezza della relazione a voi manda- ta: ma le descrizioni ancora delle scultare vi si mandarono imperfette, giacchè non vi si è detto per cagion d'esempio, che nella seconda urna sotto l’ Ippocanpo bicaudato è uno scudo peltato tra due roso- ni ; che nella terza, oltre al coperchio portante sopra di se figura vi- rile, per quel che pare , il capo meduseo alato ed anguifero, che sta dinanzi , è in mezzo ad uno de'’ soliti ornamenti di festoni , e bende ; che nella quarta il coperchio ha pur figura virile, e i due lati del sar- cofago hanno uno scudo peltato ; che nella quinta 1’ uomo a cavallo sulla tigre, o altra belva , anzichè lanciare alcuna cosa colla mano sembra avere soltanto un piccolo manto svolazzante sulle spalle , il quale può aver dato nascita a tale opinione ; che nella sesta è un ri- tratto ugualmente virile , secondo le apparenze ; nel coperchio ; ed infine che i sarcofagi non sono a rigore disposti dentro la grotta, co- me nella pianta è disegnato , ma tra il 2.° ed il 3.° v'è interruzione, e posto sufficiente a collocarvi un’altra urna, a quel modo medesi- mo, siccome si scorge del pari tra il 3*° ed il 4.° Dopo di ciò non farà maraviglia s’ egli è mestieri cangiare alquanto le vostre spiegazioni, che necessariamente voi faceste in accordo colle cose espostevi, I maschi è d’uopo che tornino maschi, e l’epigrafe 6 appar- tenente all’urna quarta scritta (notate bene) sul coperchio che ha egli 79 stesso figura maschile , bisognerà tradurla: Aulo Pulphna Perusio figliuolo d’Aulo, nato da Sejantia. Dico Pulphna e non Fulvio o Fulviano o Fulvinio , perchè in verità dove non v'è iscrizione bilingue che illumini, meglio è ritenere il nome etrusco tal quale sta, che latinizzarlo in modo arbitrario. E veramente chi volesse far latino il Pu/phna io lo sfido a decidere se debba tradurlo Fulvius, Fulvianus, Fulvinius, Pulvius, Pulvinius, Bulbius, Bulbianus o altrimenti. Dico Perusio, perchè sono disposto a credere che Perzs sia cognome tolto da patria, e precisamente dalla vicina Perugia, nè parlando a voi m’è d’uopo dimostrarvi la convenienza della con- gettura, poichè voi troppo bene sapete la piena affinità nell’etru- sco dell’; e dell’u, La seconda iscrizione la spiego: Zannia Arrinia nata da un Perusio figlio d’ un Perusio, disceso da un altro Perusio; ma . dubito forte che in essa il primo £ di Arinei, dovesse veramente essere un £, nel quale il quadratario per sua negligenza trascurò di scolpire la traversa; e m’induce a crederlo l’altra epigrafe del n.° 5, dove un’altra Tannia in luogo di Arinei è detta precisa- mente Arntnei cioè Aruntia o Aruntinia, come forse era colei da cui mosse il discorso, quando non si trovi più giusta |’ altra congettura, la quale esporrò altrove. Nè qui svelo le ragioni della traduzione da me data del Perisalisai, giacchè dovrò parlarne tra poco. La terza è da rendere Larte Perusio figliuolo di Mattonia ; ed è qui notabile la mancanza del gentilizio Pu/phna, che in questo sepolcreto agli uomini è sempre dato, e solo è tolto alle donne, per lo che io non sarei lontano dal pensare , tra per tale mancamento, tra pel prenome Lth. più frequentemente femmini. no, che la figura ambiguamente virile fosse in realtà di femmina e che la spiegazione da darsi fosse: Larzia Perusia figlia di Mat- tonia. Tuttavia non so risolvermi a così decidere, ea amo invece di credere, che per meglio distinguere questo ZLarte dal suo fra- tello Aulo del seguente sarcofago, gli si facesse tralasciare il ca- sato Pu/phna ; cosa che potè anche usarsi per amore di varietà, come per tale cagione $° usò infatti comunemente dai Romani ne'tempi imperiali. La quarta, s’ io ben lessi, dee voltarsi in italiano scrivendo ; Aulo Pulphna Ferusio nato di Pompia ovvero, di Pompea. La traduzione della quinta è per me: Tannia Aruntinia o Ar- | runtia figliuola d’un Perusio, nato da un altro Perusio. So Spiego la sesta; Lare Pul/phna, figlio di Lare, nato di Se- janzia. Penso che sia da voltarsi la settima: Tannia Sejanzia discesa da un Perusio. E finalmente traduco l’ultima: Aulo Pul/plna, figliuolo di La- re, nato di Sejanzia. Voi scorgerete alla prima occhiata la regolarità di tali inter pretazioni quanto al resto; ma egli è mestieri ch'io vi rafforzi di prove il mio modo di tradurre Perisul, Perisalisa , Perisalisai, E qui, sio parlassi ad altri che a voi, mi bisognerebber molte pa- role per farmi intendere, ma con voi mi è permesso di esser più breve. E prima già voi sospettaste giustamente che la terza voce avesse a leggersi Perisalisal in luogo di Perisalisai. Difatti quella è di più regolar forma che questa, secondo ciò che sappiamo della grammatica etrusca ; ed ora posso assicurarvi, che quell’ i è in realtà corroso, e concede molto bene di supporlo originariamente . una /. Ma sia che si voglia di ciò, egli è troppo evidente per l’ana- lisi di queste varie parole, che l’ una è chiaramente un derivato dell’ altra. à Certo non vorrete negarmi che Perisal viene direttamente da peris, che Perisalisa wene da Perisal, che Perisalisal da Perisalisa ; e se questo è, chi non dedurrà significare tali deri- vati, che coloro a cui servono di cognome sono successivamente figliuoli l'uno dell’ altro? Per questo io spiego Peris, Perusio ; Perisal, figliuola di Perusio; Perisalisa figliuola del figliuolo di Perusio; Perisalisal figliuola del figlio del figliuolo di Peru- sio. Se non che (tanta è l’incertezza dell’etrusco) si potrebbe an- cora pretendere che Perisalisa e Perisalisai o Perisalisal fos- sero due diverse inflessioni dello stesso Patronimico, pronunziate a questo diverso modo per distinguere l’ una dall’ altra le due germane Tannie Aruntinie, e forse per questa medesima cagione l’ana Tannia è detta Arrinia, Valtra Aruntinia, prendendo cia- scuna per suo nome uno di questi due derivati uguali d’una 4- runzia (per non dir d’un Arunte) madre ad entrambe, Che se alcuno mi dimandi per quale ragione io spiego Perisal, figliuola d’un Perusio, e non d'una Perusia , come più spesso si suole, risponderò ch’ io lo fo perchè tutti questi sepolti in uno stesso ipogeo mi par più naturale d’ ammettere che appartenessero ad uno stesso ramo maschile dei Pu/phna Perusit, non v° entrando le figlinole od i figli delle Perusie andate a marito fuori di ca- sa. E dopo ciò qual è l’albero genealogico della famiglia qui se- SI polta, dimanderà alcuno? Ed io rispondo che la risposta è diffi- cile a darsi. Tuttavia si può asserire con qualche probabilità, che i sepolti nel 3° sarcofago e nel 4° sono fratelli (?) nati da diversa madre, cioè da una Mattonia il 3°, da una Pompeja il 4 ; ch’essi eb- bero a moglie due Sejanzie ( forse due sorelle dello stesso casato) , “ da una delle quali a Au/o nacque l’Au/o figliuolo di Aulo e di Sejan- zia , sepolto nell’ urna del n° 1 ; che nacque invece a Larte dall’al- tra la Tannia Sejanzia del n° 7. laquale assunse il nome materno ; e gli nacquero del pari i due fratelli Larte ed Aulo de’'numeri 6. ed . 8. ; che finalmente l’ uno di costoro tolse a consorte un' Arrunzia , da cui gli provennero le due figlie Tannia Arrinia,e Tannia Ar- runzia od Arruntinia de’ numeri 2. e 5., denominate ambedue , quasi come la Sejanzia del n° 7., con un derivato del nome della ma- dre. Or se queste congetture si trovino confermate per altri confron- ti (e con altra mia dissertazione non mi sarà difficile il provarlo), noi potremo da ciò dedurre qualche maggiore cognizione , che quelle lasciateci dal Lanzi, intorno l° Onomatologia degli Etruschi , ed il metodo della medesima. Infatti si potrà quinci trarre che le fem- mine assumevano sovente per nome o quello della madre, o un altro nome da quello derivante ; che talora due fratelli a distin- guersi l’ uno dall’ altro , oltre la distinzione del prenome , usavano ancora l’ uno di prendere il nome e il cognome della famiglia, ?” al- tro di lasciare uno dei due ; che tal altra volta essi applicavano a se medesimi per maggior distinzione il derivato del nome materno con qualche variazione di desinenza tra l’ uno e l’ altro ; e molte partico- larità similia queste, e per avventura appartenenti solo agli ultimi tempi della nazione, su che, siccome ho detto , parlerò forse in al- tra occasione più distesamente. Ed eccomi giunto al termine della mia lunga lettera , poichè non ho voglia io di favellare delle cagioni perché sulle fronti de’ sar- cofagi, o ne’ loro lati, si scolpirono le figure da me noverate. Di ciò ha trattato con molta erudizione e acutezza il sig. cav. Inghirami ne’ suoi Monumenti etruschi 0 d’ etrusco nome, riferendo tutto a un sistema d' allegorie ,al quale non manca certo it merito di essere ben ragionato ; e voi stesso ne avete detto quanto avanza al nostro biso- gno. Ancora l’ eruditissimo sig. del Rosso corse rispetto al nostro ipogeo la sualancia, cavando dall’ esame ingegnoso delle sue dimen- sioni la misura dell’ antico piede Chiusino, Io fo plauso volentieri alle altrui pratiche, e quì chiudo il rivo limaccioso delle mia ciance poichè , sal prata biberunt. 'T. XX. Novembre, 6 82 Leggenda di Tobia e di Tobiolo , ora per la prima volta pubbli- cata con note, e con un’indice delle voci più notabili testo del buon secolo della lingua. Milano per Cristoforo Rivolta. 1825. in 8. Due volgarizzamenti diversi del sacro libro di Tobia si hanno alle stampe , per opera del Poggiali il primo , e del P. Cesari il se- condo. Nè inutile è per ciò questa leggenda da un dotto anonimo , della nostra lingua intendentissimo, pubblicata. Imperciocchè da quei volgarizzamenti è diversa tanto, che nè pure è volgarizzamen- | to, ma come avverte l’ editore p. VI. si può dire piuttosto uno scrit- to originale, in cui narrasi dall’ autore ciò che nel libro di Tobia si contiene , aggiugnendo o togliendo quà e là qualche cosa. Anzi coloro tutti che amano la nostra lingua sapranno grado all’editore , che ha fatto di pubblica ragione questo libretto di purissima lingua e disanta morale. Il testo a penna della leggenda conservasi nella libreria riccardiana di Firenze , e Ì’ editore fattone trarre copia l’ ha pubblicata col corredo di parecchie sue annotazioni. Queste o spiegano alcuni luoghi oscuri, o indicano i modi più leggiadri di di - re, 0 fanno avvertito il lettore di non imitarne qualche altro : le quali cose si fanno sempre con avvedutezza molta. In fine il signor Mi- chele Vannucci ha posto un indice de’vocaboli e de’ modi della leg- genda, che o gli stessi , 0 simili si trovano in altre opere del secolo XIV , e che nel vocabolario della Crusca o non sono notati o man- cano di opportuni esempi. Questo da lui chiamato col modesto no- me d’ indice parmi cosa pregievole molto nel fatto della nostra lin- gua, e tanto più caro quanto è più modesto, Vi si vedono dunque le voci della leggenda che non sono nel Vocabolario, o non vi sono con quel significato , o non vi hanno esempio , o l’ hanno sol di poeta , 0 di scrittor più recente. Nè vi si danno solamente gli esempi della leg- genda , ma questi si avvalorano con altri parecchi d’ antichi scrit- tori che fanno testoin lingua, nella qual cosa egli mostra e buon giudizio e pratica di questi scrittori. Il signor Vannucci indirizza quest’ utile libretto al signor marchese Febo d’ Adda i teneri figli del quale egli conduce per la via de’ costumi buoni e delle buone lettere, e gli dice , che a darlo in luce l’ ha indotto la speranza ; che la lettura del medesimo contribuisca per qualche parte a instillare in quegli animi ancora teneri e novelli bei principii di virtù, e in- sieme la maggior purità della nostra lingua. Nè può ingannarlo questa speranza , perchè la lingua vi è purissima , e la moralità è 83 tutta immacolata e santa , siccome quella che deriva da uno de’ li- bri divini unica fonte della vera virtù. CESARE LUCCHESINI. crt” T———_—____1212À4=————————————————————— LE STORIE DI PoLIBIO DA MEGALOPOLI , volgarizzate sul testo greco dello Schwerghauser , e corredate di note dal dottore J. COHEN da Trieste. Milano coi tipi da' fratelli Sonzogno. T.1.e 2. 1824. in 8. Fra tanti antichi libri, de’ quali dobbiamo pianger la per- dita, vuolsi dare un luogo distinto alla storia di Polibio. Egli non asseguì gran fatto l’ eleganza dello stile, di che lo ripiglia Dionisio d’ Alicarnasso de verd. comp. cap. 4; ma in ciò che spetta all’ altre parti di buono storico , ha pochi pari, e forse niun superiore. Fu valoroso guerriero, avveduto politico , buon filosofo, e scevro d’ amor di parte: laonde si adoperò di dire la verità, accu- ratamente descrisse i fatti guerreschi e riempì le sue carte d’ utili insegnamenti. Molto gli giovò il suo molto sapere e l’ amicizia di Scipione, quantunque assai più dall’ altra parte dovesse questi ritrar da lui giovamento. Per le quali cose era Polibio tenuto presso l’antichità in conto di storico sommamente autorevole, siccome ne fa fede il giudizio , che ai lui dà Cicerone (de off. L 3.C.32, Ne Rep. L. 2. C. 14.) e ciò che ne scrisse T. Livio (L. 30. c. 45. L. 33.c. 10.) i{ quale trasportò nel latino quasi a parola a parola de? libri suoi intieri, e Strabone(L. 9. p. 422), e Gioseffo (contra Apion, L. 2) e Plutarco (Reip. ger. praec. p. 814.) come dice il nostro chiarissimo traduttore. Ottimo divisamento dunque è stato di rendere nel nostro volgare così pregevole storia. Tutta l’ aveva tradotta solo il Dome- nichi, ma infelicemente ; chè egli scriveva in fretta, nè sapeva la lingua greca. Il signor Cohen, che fornito è di molta erudizione , ed è dottissimo grecista, vi ha posto il debito studio, e l’ha volgarizzato in. modo, che per mio avviso ha tolto altrui la speranza di far cosa mi- gliore. Egli ha preso il tesio dello Schweighauser, che supera di gran lunga tutti quelli delle precedenti edizioni. Non lo ha però seguitato tanto che talvolta non se ne allontani, come dirò fra poco. La tra- duzione è fedele, ma non servile, e scritta con purità di lingua ed eleganza. Nè vi mancano quegli ornamenti e sussidi , che in un libro di questo genere si potevano desiderare. Imperciocchè precede la vita di Polibio accuratamente descritta , e il novero e il giudizio delle edizioni del testo greco , e delle traduzioni latine, italiane, 84 tedesche, francesi , e inglesi. A ogni libro succedono le annotazioni copiosissime , e ricche di sana critica , e d’ erudizione . Queste pos- sono dirsi di tre sorti. Alcune esaminano i racconti dell’ autore, e li paragonano colle narrazioni degli altri antichi storici greci e latini. In questo confronto avviene talvolta che le narrazioni di Polibio di- scordino da quelle di Livio, e allora il sig. Cohen vuole che al primo si presti credenza più tosto che al secondo. E a dir vero credo , che abbia operato assennatamente , chè quel Greco scriveva sine ira et studio , era vicino d’ età ai fatti raccontati, e ad ogni tratto si mu- stra sollecito indagatore della verità. Livio medesimo lo seguitò so- vente, ora copiando senza citarlo , ora citandolo, come là dovejdice: nos Polybium secuti sumus , non incertum auctorem, quum om- nium Romanarum rerum, tum pracecipue in Graecia gestarum (1). Altre annotazioni vi sono che spiegano il testo , o scegliendo fra le cose dette dai precedenti interpreti quelle che hanno aspetto, di maggior probabilità , o recando nuove spiegazioni : il che fa con belle ragioni che domandano l’altrui approvazione , e spesso ancora con sottile avvedimento, talchè gli procacceranno lode d’acuto inge- gno. Altre annotazioni finalmente vi sono, che le emendazioni da al- tri fatte al testo prendono in esame e le approvano o le correggono con nuove lezioni. Ciò però sì fa parcamente, di che vuolsi dargli lode. Io mi sdegno talvolta vedendo certi intemperanti commentatori che lasciata al testo una piccolina parte d’ogni facciata, usurpano il ri- manente per battagliare fra loro facendo a gara a chi più lo guasta. Non così il sig. Cohen. Egli corregge il testo allora solamente che un vero bisogno lo richiede ; di che addurrei esempi se non temessi di rendermi noioso a parecchi lettori , che non amano sì fatto gene- re di discussioni. Per la qual cosa lasciando ciò dirò piuttosto di due annotazioni , che appartengono all’ eradizione. Polibio nel libro I, cap. XX. fa ricordo delle prime navi , che farono dai Romani fabbricate , e nomina le quinqueremi e le trire- mi , ossia da cinque e da tre ordini di remi, Il sig. Cohen nella nota 58.dice, che eran questi ordini l’uno all’altro sovrapposti per modo, che i superiori , quasi a gradini, sempre più in fuori sporgevanto, affinchè remi non si impacciassero reciprocamente. Tale è la sen- tenza comune . Ma è poi vero ciò ? Il signor Pietro Franchini dotto professore di calcolo sublime nel Real Liceo di Lucca ha esaminato la questione nel supplemento al suo saggio sulla storia delle mat- tematiche ( p. 139. e seg.) con quella acutezza d’ ingegno , di cui ha dato molte e insigni prove. Egli ha proposto una opinion nuova , (1) XXXIII. 10. Si veda anche XXX. 45. XXXIV. 50,e XXXXI. 19. 85 cui parmi difficile poter contradire. Non ne ha fatto parola il sig. Cohen , nè poteva farla , perchè nell’anno stesso è stampato il suo Polibio , e il supplemento allegato del signor Franchini, Io poi sa- rò contento d’ averla ricordata , chè troppo lungo discorso richie- derebbe il descriverla . L’ altra annotazione, di cui ho detto di voler fave llare ,"è piut- tosto un ragionamento , e così appunto è intitolata , considerando- visi qual via tenesse Ancibale venendo in Italia. Molti scrissero su questo argomento negli antichi tempi e ne’ moderni. Ne’ primi sono L. Cincio Alimento , Fabio Pittore, e L. Celio Antipatro fra i Latini, Filino e Sileno fra i Greci : ma le opere loro sono perdute. Degli antichi non ci rimane che Polibio e Livio , che sono discordi , e non tutto hanno detto , nè tutti i luoghi hanno nominato. Uopo è dun- que scegliere fra questi due , e supplire colle congetture al loro si- lenzio. Polibio era verace storico, visse poco dopo la guerra punica, e viaggiò per la Gallia visitando i luoghi pe’ quali poteva credersi che Annibale fosse passato. Livio al contrario si accusa di credulità, visse intorno a due secoli dopoil fatto , nè mai fu là, Oltre a ciò nel suo racconto sono alcune cose che difficilmente otterranno l’ altrui assenso. Il sig. Cohen le accenna p. 269 e 270.; ma non vorrei che contanta asseveranza dicesse, Annibale esser condotto da Livio fino a Lione. Imperciocchè è vero che in questo storico lib. 21 cap. 31 si legge : quartis castris ad Insulam pervenit : ibi Arar Rhodanusque amnes diversis ex alpibus decurrentes, agri aliquantum amplexi, confluunt in unum ,edivi appunto è Lione. Ma in luogo di Arar altri leggono Isara , che mette foce nel Rodano sopra Valenza hi dove anche secondo Polibio arrivò Annibale veramente. Che che però sia di questo, non è da credersi almeno che tanto avanti ito l’eser- cito cartaginese tornasse addietro fino alla Duranza, come ivi dice Livio poco dopo. Per le quali cose savio consiglio è attenersi a Polibio,e così ha fatto il sig. Cohen, Egli crede che Annibale passasse il Rodano a Raquemaure , e Annone a Pont S. Esprit. Di là lo con- duce lungo quel fiume fin dove a lui si unisce l' Isara ,poi a Bour= gain, S. Genix, Yenne, Aix, Chambery , Conflans , Moutiers, e Lans- le-bourg. Gli fa passare il Montcenis , e per Susa lo guida a Tori- no. Questa via ha segnata in una carta geografica , dove pure si ve- dono delineate quelle proposte da Folard , e dal De Luc : ma nel ragionamento la descrizione è accompagnata da buoni argomenti, che | rendono molto probabile la sua opinione. Tutto il volgarizzamento , come ho detto , è scritto con puri- tà di lingua e gravità di stile, qual si conviene alla storia, e alla sto- ria Polibiana, Le annotazioni sono seritte più semplicemente ; e a ta- 86 luno forse certi modi potrebbono parere anche triviali, come dare in ciampanelle 'T. 1. 155, beccarsi il cervello ivi p. 157: senza mol- to strologare, e simili. Sarebbe però questa una severità soverchia, principalmente se si considera, che sì fatte maniere s’ incontrano solo nelle annotazioni . CESARE LUCCHESINI. __———_—_—_—_—_————_—_—_—_—_—_—_—_——1zkì@m@__—_7_—_—zy_—_—m——_____—— = | Della casa di Giovanni Boccaccio in Certaldo. Lettera del prof. IPPOLITO iROSELLINI al prof. FRANCESCO ROSASPINA di Bologna. Negli ultimi giorni del già scorso Settembre mi portai , o mio ottimo Francesco , alla patria di Giovanni Boccaccio, la quale egli certo predilesse, e fu solito dirsi da Certaldo, comecchè per acci- dente altrove nascesse ; e scelsela in più tempi della vita a soggior- no di pace , ed ivi infine morte lo colse e viebbe sepoltura. Io co- me sempre ho desiderato e desidero di esserti vicino , così in tale occasione avrei più che in ogni altra voiuto averti compagno, onde visitassimo insieme quel luogo tutto pieno delle memorie di un tal uomo , al quale debbe l’Italia non solo il primo e grandissimo esem- pio della patria eloquenza , ma l’ eccitamento ed i mezzi ezandio di attingere all’ inesausto fonte delle greche dottrine. E invero di re- carsi a Certaldo si ha adesso più giusta cagione che per l’ innanzi si avesse, dopochè una generosa Dama fiorentina , la signora Carlotta de’ Medici nei Lenzoni ; fece acquisto della casa di Giovanni , e ri- parolla da nuove ingiurie del tempo e delle persone , ad onorar mag- giormente la memoria di quel grande , ed a meglio appagare la di- vota curiosità di chi vi concorre. Tu vedresti una piccola e modesta abitazione costruita di mattoni secondo il costume del tempo; ed innalzarsi al destro lato di quella una torre quadrata assai comoda per larghezza ed alta a proporzione , dalla cui sommità ( ove age- volmente si sale per nuova opera della prelodata Signora ) tutte va- stamente in giro si dominano le adiacenti colline , sparse qua e là di villaggi a rallegrarne la scena. Lì presso al lato meridionale della torre s'innalza dalla soggetta valle un piccolo colle in forma di cono tronco nella sua cima, e Colle del Boccaccio da quelli abitatori an- che adesso si appella , essendosi conservata tradizione che egli tra le ombre del vago boschetto , che ne vestiva la cima, usasse recarsi a dar opera nella stagione più calda ai suoi studi tranquilli. Quello stesso boschetto esisteva fino agli ultimi nostri giorni; rispettollo il | “ 87 ‘tempo ; una langa serie di possessori lo conservò ; ma l’ altrui ava- ra intolleranza non seppe sentirne il prezzo , e lo recise. La casa è quale si vede delineata dal Manni nella vita ch’ ei scfisse di Giovanni Boccaccio , e nulla più vi ha aggiunto la nuova Posseditrice , che rifabbricarne la scala , per essere l’ antica intera- mente rovinata dal tempo ; e con modesti ornamenti allontanar lo squallore della vetustà , come può intendersi dalla marmorea iscri- zione , ch’ io qui ti trascrivo, opera del peritissimo nostro P. Mauro Bernardini delle scuole Pie , e che sta murata nella parete sinistra al capo della scala medesima: AEDES AB - IOANNE - BOCCACCIO HABITATAS CAROLOTTA * MEDICEA © LENZONIA ANNO * MDCCCXXII - IN * MANCIPIVM * ADEPTA AB © INTERITY * VINDICAVIT ET ‘ SQVALORE * VETVSTATIS - TANTVM * AMOTO CONCLAVE © PROXIMVM MODICIS * ORNAMENTIS * HONESTAVIT SCALAM * ADEVNTIBVS © COMMODIOREM - EXTRVXIT GENIO - LOCI \ SATIS * PER * SE © FACTVM © RATA SI * SEDEM TANTI ‘ NOMINIS * ET * LITERARVM * ALTRICEM INCOLVMEM-* POSTERITATI © SERVARET Ma di ciò non contenta la Dama generosa , volle che la estrema parete della stanza , la quale mostra essere stata l’ abitazione perma- nente di Giovanni, fosse decorata da un fresco del celebre nostro cav: Pietro Benvenuti. JI dipinto rappresenta una loggia aperta dai lati , se non che la parte anteriore vien chiusa da una tenda , la quale , convenientemente sospesa , lascia vedere la figura di Giovanni se- dente e grande al naturale , in atto di pensare a ciò che scriva sulle carte, che posano sù di una tavola modellata ad uso di studiare e di scrivere . La mano sinistra ei tien ferma leggermente sul petto, e la destra che ha tra le dita la penna , abbandonata appoggia sul- l’ uno dei bracci della sedia. La persora e l’ atteggiamento è tutto pieno di dignità ; ed al solo vederlo diresti che spira , e che or ora solleva il braccio a vergar sulla carta il maturato concetto. Le altre pareti tinte di un modesto colore sono ornate di pochi mobili di vecchia usanza , e di qualche urnetta cineraria etrusca ; 88 ed appesi alla sinistra si veggono due palchetti , essi pure di già di- susata forma , i quali sostengono le varie opere del’nostro Giovanni, Tu vedi, o mio carissimo, quanto laudevole sia e degna d’ utile imi- tazione l’ opera della signora Lenzoni , della quale nè può parlarsi senza offendere la modestia , nè tacersi senza incorrere nella taccia d’ ingrati. Di tutto questo farà anche fede ai posteri un’ altra iscrizione , italiana , opera del celebre Pietro Giordani, la quale sarà posta nel« la stessa camera di Giovanni , ed è la seguente. MDCCCXXV. Carlotta Lenzoni de’ Medici in questa camera abitata dal Boccaccio raccolse le opere di lui collocò il titolo del suo distrutto sepolcro fece dipinger l’ effigie dal Cav. Pietro Benvenuti E qui sembrami a proposito di narrarti brevemente un fatto del quale non potrai a meno di non dolerti colla malvagia fortuna. Una vecchia donna , che non ha molti anni, lavorava di tessitrice nella piccola stanza che è contigua alla già descritta, col battere e lo scuotere spesso della sua macchina , produsse la rovina di un pezzo di parete che chiudeva una specie di armarietto formato nel vuoto della muraglia ; e da quella apertura uscì un grosso involto di scritte carte. Lo crederesti ? quella vecchia , d'altronde incolpa- bile, per quella massima con grave danno incalcata dalla più colpe- vole ignoranza che si veste talora del manto della dottrina e della istruzione , credè di far opera laudevole e santa a dar quelle carte alle fiamme. Esse furono tutte e irreparabilmente perdute ! Quel- l’ apertura è anche intatta , e sarà presto decorata di una iscrizione. Tu ben vedi tutto concorrere a persuaderci che quelli scritti fosse- ro autografi del nostro Boccaccio, e di cose forse che non videro mai la luce. Poichè , ritiratosi egli, negli ultimi tempi di sua vita , in quella stanza tranquilla , dovette occuparsi di nuovi lavori ( nè il genio può stare inoperoso ) e certamente di un genere non meno giovevole alla erudizione ed alle lettere , e più utile al costume. Av- vegnachètutti sanno che dalla eccessiva riforma alla quale voleva condurlo l’ altrui zelo intemperante , con efficaci parole lo trasse il doîcissimo amico e maestro di lui Francesco Petrarca ; e in quel te- nore di vita, cui la moderazione dei saggi consiglia, amorevolmente ilridusse, Ma soprattutto mi rende amara la perdita di quelli scritti 89 un certo mio pensiero , che dovesse trovarsi tra quelli uno sfogo dell’ immenso dolore che sentì Giovanni all’ annunzio di morte del più caro degli amici suoi , del Petrarca. Un anno solo gli sopravvis- se, menando una vita angosciosa per le infermità del corpo , e pei travagli dello spirito. E comecchè breve fosse questo tempo ed in- terrotto dall’ acerbità di un vivere molesto ) io non so appagarmi che non cercasse a sollievo dei mali il benefizio del pianto , e del- \’ esprimere in carta i lamenti sì convenienti alla perdita di un tan- to amico. Io non valgo ; o mio ottimo Francesco , a ricordar senza lagrime una sì rara coppia di amici , i quali scevri d'invidia e di ogni vituperevole affetto , ora veggo farsi cooperatori ardenti della migliore istruzione ; ora modelli eglino stessi di elegantissimo stile e di esquisiti concetti; ora finalmente , animati da fratellevole ca- rità, soccorrere l’uno validamente ai privati bisogni dell’altro e colle sostanze'e colle parole , cui imoveva l’ amicizia ; e |’ estimazione e la fede sapeva accogliere. Tutti sanno, nè io voglio far cosa super- flua ripetendolo a te , quali privati amichevoli uffici passassero tra Boccaccio e Petrarca. Seppe questi non insolente e non grave soc- correre all’ amico ; seppe quegli senza viltà e rossore valersi del benefizio : potè l’ uno prestare l’ opportuno consiglio; seppe crede» re l’ altro , e giovarsene. Rara coppia d’ amici , ripeterei mille vol- te ,e ben degna d’ imitars1 in ogni tempo , onde spesso riprodotta , se ne cogliessero i frutti ; e dell esserne abbandonato l’ esempio cessassero le tante vergogne che l’ umana specie deturpano ! Per dirti in fine alcuna cosa intorno al luogo ove furono sepol- te le ceneri di quel rarissimo Ingegno, esse ebber tomba lì prossima alla sua abitazione , nel mezzo della chiesa parrocchiale di Certaldo sotto il titolo dei santi Iacopo, e Michele( altri disse erroneamente Filippo). Furono , com'è noto, scritti sulla lapida quei quattro ver- si, che egli stesso compose, non belli invero , se voglia eccettuarsi l’ultimo, ove fa fede della sua patria, e de’ suoi studi, Patria Certaldum, studium fuit alma poesis. Quel sepolcro fu, parecchi anni sono, scavato, e niun altro avanzo, che pure ceneri visi trovò. La pietra che le copriva fu, non so come, dispersa ; un sol frammento ne rimane , che la signo- ra Le nzoni raccolse , e fè murare in una parete interna della casa con iscrizione che ne dichiara l’antico uso , l'autenticità del quale frammento è provata dalla testimonianza ancor viva di chi lo trasse dall’ antico suo luogo. In un angolo della chiesa era collocato il monumento che per communal concorrenza gli fu eretto, consistente in un busto assai 94 ben modellato nella testa, che n’ è il vero ritratto, tenente fermo colle braccia sul petto un libro ove stà scritto, Decameron: sotto al busto son poste due iscrizioni, quali riporta il Manni, che di queste e di quello diede il disegno. Questo stesso monumento non andò sal- vo interamente dal pazzo furore degli uomini. La superstizione ar- bitraria , e il fanatismo ultimamente lo tolse del suo luogo per av- ‘vilirlo , ma la saggia Autorità impose che anche in miglior parte della chiesa si collocasse ; ed ora si vede in faccia al pergamo. La plebe di Certaldo ( e plebe sono tutti gli abitatori di quel picciol villaggio) guarda attonita le Memorie di messer Giovanni, che ve- de così riverite dagli stranieri che vi concorrono je secondo la ri- cevuta superstizione ne racconta favole e maraviglie. : Stà sano , ed ama sempre l’ amico tuo. P. S. Non avendo la presente lettera potuto aver luogo nel quaderno di ottobre pel quale era destinata , il ritardo mi ha dato agio di vedere un’ articolo sopra la Tomba del Boccaccio, inse- rito nel giornale di Pisa (N.° XXIII) ed opera del sig. canonico Pier Francesco Cateni, professor di eloquenza nel Seminario di Colle di Val d’Elsa. L’ A. si propone a scopo principale di mo- strar false le parole di Lord Byron dette intorno alla tomba del Boccaccio nel Child. Harold, e quelle del commentatore di lui Hobhouse. Ma Byron, il commentatore e il sig. Canonico, gli uni accusando , l’ altro difendendo , sono ugualmente in errore. Ciò mi ha dato occasione di aggiungere alla mia lettera il presente P. S. Dice Byron che “ la tomba del Boccaccio ha provato gli ol- traggi dei fanatici crudeli, che fu turbata e respinta a rimaner senza onore in luogo oscuro ,,. Il Commentatore che © le jene di- gotte di Certaldo demolirono la sua tomba, e ne gettarono le ro- vine fuori della chiesa, ov’ era stata costrutta ,,. Il sig. Canonico impugna il fatto, e sostiene che la tomba di Giovanni non fu mai turbata, e che, quale adesso si vede, è stata sempre fino dal tempo che fu costrutta; essendo falso, aggiunge, che una volta fosse ricoperta di una gran lastra di marmo, ove si vedesse de- lineata la figura del defunto. Errano Byron ed il Comentatore, ma più solennemente il sig. Canonico. L? errore del primo vien facilmente corretto dalla debita distinzione che si faccia tra la tomba ove Giovanni fa tu- mulato, scavata nel pavimento in mezzo della chiesa; e il monu- mento che gli fu poscia eretto nell’ alto di una parete laterale , e che consiste in un busto di marmo, e due iscrizioni, come ho sopra notato. Quello che Byron afferma della tomba, dee dirsi 9I del monumento. Nello stesso errore è caduto il commentatore Hobhouse, il quale però ha soggiunto con verità che “ il mo- «pumento innalzato al Boccaccio fu tolto e gettato da banda nel fondo della chiesa ,,. Aggiunge poi che la signora Lenzoni ven- dicò quella tomba dal disprezzo , e le assegnò un posto onorevo- le nel proprio palazzo. E questo ognun vede essere un male inteso di quello scrittore, il quale dir vuoleva che la prelodata signo- ra aveva fatto acquisto della casa di Giovanni per difenderla dal- le ingiurie del tempo e degli uomini, e che in quella stessa aveva collocato un avanzo della pietra che cuopriva le ceneri dell’illa- stre defunto, della quale il sig. Canonico nega l’esistenza. Ora, se egli si fosse meglio informato di questi fatti, non avrebbe certo impugnata una verità che affatto non nuoce all’ onore toscano, come cosa intieramente parziale; e nel confessare che il monumento di Giovanni (il busto cioè e le iscrizioni) fu vilipeso, avrebbe potuto soggiungere che per ordine superiore fa in luogo onore- vole ricollocato, conforme ho detto brevemente nel fine della mia lettera, Avrebbe poi il sig. Canonico potuto sapere che dopo la legge del 1783 intorno alle sepolture, la tomba di Giovanni esi- stente nel mezzo della chiesa, e coperta di ‘una lapida ov’ era delineata in graffito l’arme della famiglia, e la figura del Boc- caccio , fu scavata, e dentro vi si trovò un teschio , ed un tubo di latta rosi. dal tempo, e dentro al tubo tredici pergamene scritte, non intese dai circostanti, Ciò valga a correggere quanto nella lettera ho detto, che niuna cosa, fuor che cenere, vi si trovasse. Queste più esatte notizie le ho rilevate da un documento autentico, in forma di pubblico strumento, del passato mese, nel quale da più vecchi si attesta con giuramento, come testimoni oculari, che tale quale ho detto era la lapida esteriore; che eglino stessi furon presenti allo scavo, e videro gli oggetti ivi entro tro- vati. Il Documento, per chi volesse vederlo , esiste presso la stessa signora Carlotta de’ Medici nei Lenzoni, la quale, come acquistò l’ unico frammento superstite della lapida da quelle persone che fino d’ aliora la comperarono, così si dà ogni premura per rin- venire il teschio e le pergamene, delle quali non è rimasto no- tizia. Forse caddero in mano di persone, che al pari della vec= chia tessitrice ne fecero un sacrifizio alla superstiziosa e alla bi- gotta ignoranza. Mal’ a proposito adunque il sig. Canonico difende i tos can non colpevoli del fanatismo di pochi ignoranti; poichè chi volesse da questo fatto dedurre argomento contro di loro, peccherebbe ugualmente che se ragionasse in questa guisa, ‘ Il sig. canonico Ca- 92 teni ha nelle sue correzioni ed apologie errato; dunque tatti i toscani, correggendo e difendendo, errano ,,. Le scolastiche’regole degli argomenti , ch’ egli non può ignorare, non concedono che da tali premesse si deducano simili conseguenze. Iterum Vale. @e@ee..te ttt tieti———_———_—_—_———TT2 la risposta che gli porge questo veggente , nel cui petto sembra spenta anche la debo- le fiducia che rimane in quello di chi lo interroga: Ai Numi Odio e ludibrio , abbiam retaggio eterno O l’ errore o la colpa. Aride foglie Aflaticate dal furor dei venti Il ciel vi sdegna e vi respinge il suolo; Nulla per voi fuor che il dolore è certo, Ma già egli ne ha temperato l’ effetto » dicendo ad Edippo : ricorda Che son mortale : io della mente il raggio Non spengo in te : né temerario duce Dentro la notte de’ misteri eterni Traggo ragione incatenata e cieca. Ciascuno sente in questi versi quella modestia filosofica , la quale non sembra che il tardo fratto dell’ esperienza , ossia dell’ is- truzione ricevuta da tanti errori, a cui la superbia dottrinale espo- se gli uomini, Quindi potrebbe dubitare se nella bocca sin cui.so- no posti, non siano una prolepsi troppo anticipata , e appena verisi- Iile in bocca d’uoo che avesse conversato cun Socrate o con Anag; 100 ‘ sagora. Ma io credo che il buon senso, quanto è raro, altrettanto sia antico nel mondo, e godo che per fargli acquistar credito , si presti a chi pure non avrebbe avuto come altri così preciso obbligo di mo- strarlo. Dico ciò, pensando quante yolte nel corso de’secoli si è fatta l' interrogazione che qui ascoltiamo da Edipo, e quante volte vi si è risposto dai filosofi -con assai meno circospezione che dal sacerdote supremo dell' Eumenidi. La dottrina dei due principj ; quella del caso, quella dell’ ottimismo riprodotte alternativamente da Zo- roastro a Y’ope, o a chiunque sia il vero autore del sistema posto in versi da questo poeta, contengono risposte assolute che nessun uomo ha diritto di pronunziare.Quelle del gran sacerdote, a chi ben le guar- di, pare che si possano conchiudere con questi due versi d’ un nostro lirico dello scorso secolo: î/ vel che copre tante sorti e tante — vedi che ha scritto in fronte : adora e taci, Risposte più sodisfacenti solite de- sumersi dalla natura del male , che recandoci dolore ne avvisa di te- nerci nella via del bene, o da quella delle nostre morali facoltà , che il dolore perfeziona , o dalla prospettiva de’ compensi , che mai non sembrano mancarci nemmeno nella condizione più infelice, sarebbero state nella sua bocca non solo troppo sottili , ma contrarie all’ idea del fato inesorabile, contro cui all’ uomo non rimane altro schermo che la coscienza o il sentimento di un’invitta volontà.Quando in fat- ti Edipo chiede che possa opporre a quest’ arbitro degli umani de- stini , il qual Zo elesse a tanti orrori e il cui sdegno su gli altri pas- sa e sovra lui si posa , voi udite il divino interprete rispondergli so- lennemente : dl cor che senti puro. Così il nostro poeta, di cui non troveresti facilmente altro più dot- to, serba le ragioni dell’antica filosofia e con esse il costume de’ suoi personaggi . Ma quest’ idea di costume è una delle più complesse, che possano presentarsi alla nostra mente ; e non è raro che chi l’ha meglio approfondita sia ne’ casi particolari accusato di non essersela formata abbastanza precisa. Il gran sacerdote dell’ Eamenidi, come può argomentarsi dai pochi versi recati più sopra, parla del fato se- condo la comune credenza e l’ indole speciale del suo ministero. Ciò potrebbe sicuramente bastare alla verosimiglianza; ma nel concetto del poeta ciò non basterebbe alla forza e all’ evidenza. Nel lin- guaggio d'ogni uomo , che parli con libertà 0 con autorità, vi è sempre qualche traccia profonda dell’ epoca in cui vive, o de’ senti. menti da cui gli uomini, fra cui si trova, sono dominati. L’ epoca del gran sacerdote era quella di una grande mutazione politica per la Grecia ; i sentimenti, che dominavano con tutta la forza della no- vità i suoi concittadini, erano ì sentimenti repubblicani. Ciò intendia- mo allor ch’ egli dice al re tebano con una veemenza, che in altra IOI epoca o anteriore 0 ata più non ci sembrerebbe egualmente caratteristica : O forse aduna Sul capo tuo colpe e sventure il cielo , Onde cadano i troni e alfin tra i greci Cessi l’infamia d’ assoluto impero. Nè lungi è l’ ora : ma il sublime esempio Breve sarà : fra i miseri mortali Anco il servaggio è fato , e voto eterno D’ umano orgoglio il trono : oga’uom sul soglio, Trovasse i falli che cominise Edipo, E figli avesse alla sua prole eguali! La religione e la guerra occupavano tuttii pensieri de’ greci ne’ tempi eroici ; la religione e la politica occupavano tuttii pensie- ri de'greci ne’tempi posteriori da Teseo fino ad Alessandro. Il ben di- pingerli, dimenticando o l’ una o l’ altra , non è niente più possibile ai moderni di quello che lo fosse agli antichi . Schlegel ha dubitato a ragione , se le greche tragedie fossero, come sì crede comune- mente , dirette ad ispirare l’ odio dello stato monarchico. Non può dblitaisi per altro che fossero dirette ad ispirare o a nutrire la com- piacenza dello stato repubblicano. I mezzi , che i loro autori impie- garono a tal fine, sono varj; ma questo fine mi sembra evidente. Le discussioni politiche, a cui Corneille e Alfieri hanno data sì grande estensione , non erano del gusto di Sofocle , appena ce ne offre qual- che esempio ilsuo predecessore Eschilo , e non si può dire ch’ Eu- ripide ne facesse grand’ uso. Ma il pensiero della patria e del suo go- verno è nelle parole di ciascuno di loro, com’ era nel cuore di tut- ti quelli che li ascoltavano. Le lodi frequenti di Teseo , primo au- tore dello stato sì caro ai greci, ne sono prova bastante. Una tragedia che si riferisce , come questa del Niccolini , al tempo dell’ eroe , anzi in cui l’eroe ha tanta parte , non potea mancarne senza manca- re in certo modo al costume. Il gran sacerdote , fino dal primo atto dichiara con nobile orgoglio d’essere cittadino della libera Atene ove sullo stesso re la legge impera. E questi, allor che si presenta in iscena, giustifica, per così esprimermi, siffatta dichiarazione , mostrandosi qual la storia ci autorizza ad immaginarcelo. S°io vo- lessi , egli dice, nel superbo dialogo con Polinice , che chiude il se- condo atto , Contaminar nell’ empia guerra un brando , Che i tiranni punì , trovar seguaci Al mio furor potrei ? Io qui non sono Che nelle pugne il duce , a sacre leggi E custode e roggetto , a tutti eguale 102 ‘Tranne sol nella gloria , e quando i figli La patria chiami , ad ubbidirla il primo. Questo ed altri passi analoghi della‘tragedia faranno forse doman- dare a qualche critico se potessero essere scritti prima dell’età che vide Wasington e Bolivar. Pare il loro germe, come quello di più altre cose che non sembrassero del tutto conformi all’idee de’greci, è nell’Edipo Coloneo. Volendo riprodurre sulle scene un soggetto di tanta sempli- cità e già trattato con sì mirabile perfezione, rimanea poco altro al no- stro poeta, ond' essere nuovo , che entrare nello spirito di chi primo lo trattò , e spiegare ciò ch’ egli avea soltanto accennato. A. que- st'uopo era ben naturale ch'egli si valesse di quella sagacia ch’ è il frutto dell’ istruzione ricevuta dai secoli. Ma il vedere più profonda- mente o più distintamente di un antico sarà mai cagione, che un moderno ci presenti le cose con minore verità ? Il pensar ciò sareb - be come pensare che un osservatore , ajatato da strumenti ottici di recente invenzione, quanto più vede bene un corpo lontano, tanto più corra pericolo di descrivercelo arbitrariamente. Con che non in- tendo far credere che il Niccolini mai non sia uscito dai limiti del - l’ interpretazione de’ pensieri di Sofocle , permessagli dalla verosi- miglianza , o in altri termini che mai non abbia prestato ai perso- naggi del suo Edipo un linguaggio più proprio ad uomini d’ età posteriore. Intendo solo avvertire che il mostrarsi egli tanto filosofo non deve farci diffidare ad ogni passo della convenienza di quel lin- guaggio , di cui sovente il colorito è moderno , ma la sostanza è an- tica. Quanto all’ azione dell’ Edipo medesimo, l’anico mezzo di dar- le novità era forse quello di dare in essa qualche parte a Polinice , il quale nella tragedia di Sofocle non si mostra che per fare inutili suppliche e partire più aggravato dalle paterne maledizioni. Ciò consigliava anche il gusto nostro per certa ricchezza d’intreccio, di cui pare che non avessero bisogno gli antichi ; e ciò il Niccolini non ha trascurato. Quindi al commovente cominciamento del primo Edipo egli ha sostituito il terribile di questo che ora leggiamo, pre- sentandoci il giovane principe condotto dai disegni della sua ambizione in quel bosco, ove suo padre fra poco troverà riposo, ed egli trova nel canto notturno che vi ascolta l’augurio della sua imminente puni- zione. La coscienza è un eco terribile, che si appropria le voci più lontane come fossero a lei dirette. Chi voglia , per così esprimermi, vedere personificata questa verità legga la seconda scena del primo at- to nella tragedia di cui si ragiona, e dica se dopo il dramma introdot- to nel dramma d’ Hamlet , sia stata imaginata per le scene cosa di più gagliardo effetto. Un critico valente ( v. il n. 79. del giornale ar- 103 dico) considerando quella scena come parte dell’esposizione sembra non averla trovata chiara abbastanza ; e tal difetto può dipendere dall’ omissione di qualche particolarità ch’ io non saprei indicare. In Atene , ove il soggetto di un dramma non avea d’ uopo che d’es- sere annunciato per essere inteso , quella scena probabilmente non avrebbe lasciata nell'animo la minima oscurità. Forse.il Niccolini , guardando alla popolarità della storia «d’ Edipo, si è creduto in si- tuazione simile a quella di un tragico greco , e ha creduto che non fosse necessario dir tutto a chi già tutto sapeva. Ma io non mi sono proposto d’ esaminare la condotta di nessuna delle sue tragiche com- posizioni, officio che lascio volentieri a chi esaminando quella del- l’ Edipo ha già data prova che può adempirlo assai meglio di me. Jo voglio parlare soltanto del talento poetico , che in esse si manife- sta, indipendentemente dall’arte delle combinazioni teatrali, cui è facile perfezionare ogni giorno per mezzo dell’ osservazione e della pratica , mentre l’ altro non è capace d’ aumento. L’ Italia riguarda a ragione le tragedie d’ Alfieri, come le più perfette composizioni del loro genere ch’ella possegga. Pare non è bestemmia il dire che in quelle tragedie avvi ancor più sapienza che poesia. Io non so se il Niccolini dia a vedere o almeno prometta sapienza pari; credo però che a quest’ ora ci abbia dati saggi di poesia più vera. Non ignoro certe rigorose teorie, per cui sotto pretesto di naturalezza e di sem- plicità si vorrebbe ridurre il linguaggio tragico ad una specie di pro- sa ritmica; teorie sostenute a vicenda e da classicisti e da romantici, i quali malgrado la loro divisione di nome s° incontrano spesso nel campo della critica letteraria , e si confondono insieme quasi senza saperlo. Ma io non mi sento panto inclinato per le teorie rigorose , smentite quasi sempre dalla natura delle cose e dai bisogni dell’ar- ti. Certo fra il linguaggio lirico o epico e il linguaggio tragico vi deb- b’ essere una differenza. Ma chi può stabilirla irrevocabilmente , chi può definire sinu a qual segno l’uno possa o non possa mescolarsi coll’ altro? La diversità dei soggetti, delle situazioni , dei caratteri presi a rappresentare; l’ indole particolare degli scrittori , cento al- tre cause produrranno sempre delle modificazioni imprevedute alle nostre teorie , e della convenienza di queste modificazioni parmi che non possa giudicarsi che dal loro effetto. Ora se il linguaggio, per esempio , delle tragedie o d’ alcune parti delle tragedie di Monti , ben lungi dal pregiudicare colla sua armonia e col suo colorito alla forza e alla verità, accresce l’ impressione che voi ricevete dalle tra- gedie medesime, perchè vorrete voi dirlo meno tragico che quello delle tragedie di tale o tal altro che vi piaccia di preferire! Del resto nel confronto che suol farsi del linguaggio usato dai varj autori par- 194 mi che si mostri ordinariamente più prevenzione che avvedutezza. Si cita quello de’tragici greci, e di Sofocle specialmente, qual modello di nobile semplicità. Ma non si pensa quando e per chi scriveva quel tvagico; non si pensa che il suo linguaggio, semplicissimo per noi, era elevatissimo per uomini avvezzi in tutto a ben maggiore semplicità. Considerate le diverse circostanze di tempo e di paese, ben lungi dal trovare il linguaggio di Calderon oppure di Shakespeare nelle parti veramente poetiche delle sue composizioni meno semplice del lin- guaggio de’ greci, dovremo convenire ch' esso non ha se non quel grado proporzionato d’elevatezza, che lo distingue dal linguaggio del. la prosa. La qual mia asserzione desidero che s’ intenda in un senso molto generale, poichè applicata ai casi particolari potrebbe, lo sen- to benissimo, soffrire malte eccezioni, Così riguardo alle tragedie del Niccolini io non presumo di asserire che non possano trovarvisi e versi e frasi che meglio suonerebbero in componimenti d’ altra na- tura. Ma l’ indole del linguaggio in esse usato, per quanto differisca da quella del linguaggio d’Alfieri o d’ altro qualunque, mi pare ap- propriatissima all’ effetto delle tragedie medesime , e all’ intenzione con cui sono composte. A me par di vedere questo nostro Niccolini , che tutti conosciamo sì bene poi ch'egli a nessuno si occulta , nauseato dell’ insipidezza prosaica della vita ordinaria, lanciarsi con tutta l’attività dell’ inge- gno in un mondo poetico d’ antica creazione , ed ivi sorgere libera- mente e talvolta dispettosamente, in grazia della noia sofferta , fino a quell'altezza ove ogni uomo della sua tempra amerebbe sempre di trovarsi. Certo non gli sarebbe difficile, volendo, il camminar solo. Ma sia bisogno d’ ispirare a sè stesso maggiore sicurezza, sia piacere di trovarsi con scrittori che educarono la sua anima a sen. tire come il volgo non sente, ei si mette sulle loro orme , e trae per così dire dalla loro vicinanza un nuovo entusiasmo. Chi volesse cer- care qualche relazione fra lui e i tragici greci, troverebbe forse ch’e- gli ha comune con Euripide il gusto degli sviluppi morali e 1’ uso e non di rado l'abuso delle sentenze. Per l’impeto e per l’ ardire direbbe che talvolta si accosta ad Eschilo, verso il quale si indovi- nerebbe la sua predilezione sapendo quella che ha manifestata per Michelangelo. È però mirabile il vedere come a quell’impeto e a_ quell’ardire egli sappia congiungere quella politezza e quell’ar- monia, di cui Sofocle gli è maestro. Il pacato e maestoso andamento delle tragedie di questo poeta si è voluto presentare da alcuni come il tipo di tutte le greche composizioni del medesimo genere, ma non varmi che si abbia avuto ragione. Tale andamento, più che al carat- tere nazionale, si deve, io credo, alle qualità personali del poeta me= | | | | 105 desimo , alla tranquilla dignità dell’ anima sua, non mai soggetta a violente agitazioni. Il Niccolini , ove pure fosse stato suo contempo- raneo, avrebbe dato alle proprie composizioni maggiore movimento, e avrebbe vestito ogni pensiero ed ogni affetto di più forti colori. Potrei recare vari passi analoghi dell’uno e dell’altro, per far notare la differenza che trovasi nella loro somiglianza. Mi contenterò d’uno solo ma insigne, che mostrerà ad un tempo ciò che il Niccolini potr eb- be facendo interamente da sè. I lettori si ricordano probabilmente di ‘ quello sì tenero dell’ Edipo Coloneo , quando il cieco re accoglie la sua Antigone ela sua Ismene rapitegli dal perfido Creonte e restitui- tegli da Teseo: al padre — accostatevi 0 figlie ; il non sperato — vostro corpocon man fate ch'io tocchi. Di qual modo imitare o emu- lare tanta verità , per la quale non sembra darsi in natura che una sola espressione ? Pur vedete la scena prima dell’atto quarto dell’Edi- po nel bosco dell’Eumenidi : OM! se a miei sguardi Nol contende l’orror di questa selva, In mezzo all’armela tua figlia io veggo gli dice il gran sacerdote, dopo avergli annunziato il ritorno del re d’Atene , segno certo, al parer suo , che avea tratta Antigone dalle mani del rapitore. La risposta d’Edipo è una di quelle , di cui può presagirsi che saranno citate nella posterità : Come! come! che dici? il cieco volto Donde ella vien mi volgi. Questo concetto , trovato veramente nelle profondità della natura, è come una scintilla del fuoco tuttavia ardente nell’ anima del povero vecchio , quale il Niccolini ce lo rappresenta. Dico ciò, perchè seb- bene il Coloneo di Sofocle serbi un poco di quella vivezza o subi- taneità sì conosciuta dell’ Edipo re, pur deve sembrare temperatis- simo in confronto di questo del nostro autore. Anche la sua Antigo- ne è a luogo a luogo ben diversa da quella di Sofocle , di che non sa- prei trovare altra ragione che l’averci forse il poeta voluto far sentire quanto fosse grande una sventura , che potè alterare la più gran dol- cezza. Così il suo Creonte non si mostra sì astuto, che non si mo- stri ancor più intrattabile e offensivo. Potrebbe dirsi in generale dei caratteri da lui dipinti che prendono colore dalla scena , il terribile bosco , ove hanno sede le Dee che i mitologi fan nascere dal sangue, e che s’ intitolano dal furore ispirato a’ mortali. Sofocle tempera il terrore della scena medesima, avendo riguardo al nome d’ Eu- menidi cioè di benigne ch’ivi è loro dato. Quindi la sua Antigone fino dal principio della tragedia la descrive al padre dicendo ; sacro par questo suol, di lauri e viti e d’ulivi selvoso ; e dolce canto 106 — fan di molti usignuoli entro la frasca. Il gusto dei greci, che tutto sacrificava alla bellezza , può spiegare bastantemente una tal descrizione, se pur non era conformissima al vero. Altri ne cercherà forse ragione migliore nell’ indole tanto serena del poeta, o nella sua tenerezza per Colono ond’era nativo,e di cui pone in bocca del primo coro uvleggiadrissimo encomio. Altri dirà per avventura ch’ei volle lusingare cun essa gli ateniesi richiamando un’idea già messa in azione. da Eschilo: che le Dee, per tutto altrove furenti, nella loro terra di giustizia più non avevano ad esercitare che un pacifico ministero. Il Niccolini, a cui nè il nome d’Eumenidi, che per noi è sinonimo diFu- rie, nè veruna considerazione estranea all’effetto della sua tragedia , consigliava il minimo temperamento, ha collocati i suoi personaggi tra ferali cipressi ed orride rupi percosse dal fulmine, e comin- ciata l’azione col terribile coro dei sacerdoti, che fra le tenebre notturne rotte dalla funerea luce delle loro faci cantano severa- mente : Volgete i. passi agli obliati avelli Atroci Dee della memoria eterna. Il terrore del quale cominciamento , sostenuto sino alla fine , parmi che conferisca potentemente allo scopo della tragedia, non punto diverso da quello della tragedia di Sofocle. L’ Edipo a Colono, dice Schlegel, è la consecrazione degli ultimi istanti d’ Edipo medesimo, la celebrazione dei misteri augusti della morte. Sofocle ha voluto mostrare in esso l’ innocenza d’ uno sventurato alfin riconosciuta da- gli Dei, la vergogna della sua vita cancellata dalla gloria della sua tomba. Ma forse, egli prosegue , quel bosco sacro delle Furie , ove il misero trova alfine riposo, racchiude un altro senso profondo. Poichè Edipo non ha mai imposto silenzio alla voce della coscienza, poichè l’ anima sua non ha mai preso parte a’ suoi delitti, ei muore tranquillo , quasi addormentandosi ne’ luoghi oscuri e formidabili , che riempiono di spavento il cuore del colpevole. Ora queste ultime parole si applicano assai meglio alla scena dell’ Edipo di Niccolini, che a quella dell’Edipo di Sofocle; a ciò ch’ivi prova Polinice in con: fronto di ciò che vi prova il padre suo, secondo l’invenzione del mo- derno poeta, che non a ciò ch’ivi provano ambidue secondo l’inven- zione dell’antico. Solo l’idea del riposo d’un'innocente non si saprebbe conciliare troppo bene col genere di morte dell’ ultimo Edipo , che il nostro Niccolini fa come Ducis nella sua tragedia dell’ istesso no- me percuotere dal fulmine , castigo degli empi, giusta le opinioni dell'antichità. Ma e il Ducis e il Niccolini hanno fatto cosa degna dell'anima di Sofocle, preparando Edipo all’ ultimo riposo coll’ ob- blio de’ suoi risentimenti verso chi l’ aveva più offeso, ma che nel 107 nome di figlio serbava sempre la ragione del suo perdono. Andrieux ha resa giustizia al poeta suo connazionale (la cui composizione pe- raltro è debole e inferiore al Lear, |’ Edipo della scena inglese da lui posto sulla francese) rammentando in uno de’ suoi belli ar- ticoli sul teatro de’ greci , che si videro l’ anno scorso nella Rivista enciclopedica , quel verso dimenticato da La-Harpe: Viens dans mes bras ingrat ; retrouve enfin ton père. Non è a dire quanto sia più venerabile e più commovente anche l’ Edipo del Niceolini, dopo avere pronunciato nella quinta scena dell'atto quarto, abbracciando il pentito Polinice : Chiamami padre ; Torna mio figlio j io ti perdono. Chi in mezzo a tanto e sì giusto sdegno, onde Edipo doveva essere compreso, ha trovati gli accenti del cuore d’un padre, avrà pur trovato facilmente quelli del cuor materno, mettendo in iscena la SlebileTno , come: Orazio la chiama , e la tragedia , di cui sono per parlare, la rappresenta. Una favola d’Igino , argomento o sommario d'una tragedia perduta d’Earipide, è stata pel Niccolini bella fonte d’invenzione, come già altra favola di quel mitografo lo fu pel Maffei quando compose la sua Merope. E non senza cagione io nomino questa prima tragedia italiana in proposito dell’ altra che per ora possiamo dir ultima. In ambidae si sente quasi l’ istessa ispirazione del greco poeta pur ora nominato e celebre special- mente per la pittura degli affetti; in ambidue si trovano situa- zioni analoghe o somiglianti. Ino al par di Merope è obbligata ad infingersi con chi è oggetto del suo più grande abborrimento ; il figlio dell’una come quello dell’ altra è costretto , benchè per diverse ragioni, a temere nella madre una crudele nemica. Sarà materia d’ utile studio, per chi si occupa specialmente dell’ arte drammatica , il confrontare la diversa maniera con cui il nuovo poeta ha trattate le parti, nelle quali per necessità dell’ argomento doveva incontrarsi col poeta dello scorso secolo. Io citerò non molti versi d’ una, di cui nella Merope non so trovare corrispondenza , e questi versi basteranno ad introdurci ne’ secreti dell’ anima d’ Ino, riguardata qual madre. La favola d’Igino fa supporre ch’ Euripide avesse fatto di questa sposa tradita d’ Atamante un’ ancella di Temi- sto, succedutale nel talamo come nel trono. Il Niccolini, e per darle più dignità , e per condurre con più verosimiglianza l’intreccio della sua tragedia, ne fa una delle Baccanti del Citerone, che ha saputo pei fini che medita guadagnarsi la confidenza della nemica , RETI ENO" CANAPA 108 da cui non è conosciata che sotto il nome d’ Argea. La quarta scena del secondo atto comincia così : Ino. Ioqui Temisto attendo: in faccia all’. empia Non tradirmi o natura; il mio secreto Non strapparmi dal seno. Ohicor materno Come tu tremi!,. Oh Dio: chi veggo!.. il figlio!,., Figlio... : Learco. Qual voce! Oh chi sei tu ? Ino. Learco... A me, che per età madre ti sono, L’ uso perdona di sì dolce nome. Learco. Dolce! Argea che dicesti ? È muto il labbro Che al cor mandò que’desiati accenti , E sol dal padre io con orror gli ascolto. Ma questo nome, che rendean fatale Il delitto , la morte , e un’altra ancora , Ch' io sol conosco , Deità tremenda, Deh come dalle tue labbra fuggia O di Temisto amica! Il dialogo si fa quindi per l’una parte sempre più incalzante e per l’altra sempre più pericoloso. Ino giugne fino a scoprire al gio- vanetto che la madre sua ancor vive. Quindi egli esclama per su- bito trasporto : i Oh fosse î Oh fosse qui!... tra gl’iterati amplessi... In questo momento ciascuno degli spettatori si aspetta, o per me- glio dire paventa, ch’ ella si getti fra lesue braccia, e gli dichiari un segreto, che riuscirebbe ad ambidue funesto. Ma ella si fa forza e risponde : Se fosse qui la misera dovrebbe Mirar l’ empia sul trono. . .al figlio appresso Starsi e non abbracciarlo. . .in lui furtivi Volger gli sguardi, e poi ritrarli...oh pena! E noi questa pena la risentiamo veramente con lei, e ammiriamo il poeta che sa così maestrevolmente dipingere la natura. Learco in- tanto prosegue: Se il vederla m° è tolto, almen ch’ io sappia Le sue sciagure. | Ino. E che dimandi o figlio ? Pietà n’avrebbe anco Temisto. E’ noto A te che Cadmo il padre suo peria Nel doloroso esilio. Learco. E gli altri amici Tutti fuggiro colla sua fortuna ? Ino. Deh sii felice o giovinetto! amici Il misero non ha, 109 Learco. Le sue sventure Fede, pietà non ritrovaro? Tro. O figlio Poco si crede agli infelici: apria I suoi tuguri la virtù mendica E ogni suo bene alla dolente offerse , Scarso cibo , una lacrima: il potente, Che la fede mutò colla fortuna, I lari suoi le chiuse. Oh quante volte Desio di morte sull’ emonie rupi Ino guidò! ma la tua cara immago Si vide al fianco, e tollerò la vita: E quante volte, allor che a lei la fama Narrò l’ imprese di Temisto atroce, Palpitava al pensier de’ tuoi perigli. Che fea Learco allora ? Io non so se Euripide, tanto lodato per la dolcezza e l'affetto , avrà poste in bocca della sua Ino cose più tenere o più commoventi. ©Ove il Niccolini già non ci avesse dato da più anni la sua Polissena, si direbbe che in questa nuova tragedia avesse voluto far prova del- la flessibilità del suo ingegno , di cui tutti credono caratteristica la forza. Se i contrasti sono l’anima della drammatica , l’ arte di ben colorirli dopo averli saputi concepire è un’arte preziosa, e parmi che la tragedia, di cui si parla , ne contenga saggi bellissimi. L’ au- tore nella sua prefazione ci parla soltanto del contrasto principale, ch'egli ebbe in veduta ; quello cioè ,, dei vizi di Temisto colle vir- tù della tenera Dirce e particolarmente di Learco ,,. Ma quello che trovasi fra Temisto medesima e la madre di questo giovane virtuoso e infelice non è men notabile , per essere più delicato. Quantanque Ino abbia in cuore la vendetta contro colei , ch’ è cagione d’ ogni suo male , pur si sente ch'è d’ indole troppo diversa dalla sua. Si po- trebbe anche dire con una sola frase per distinguere Je due nemiche: Ino è vendicativa perchè adora un figlio degno di tutto il suo affetto, e Temisto è crudele poichè non ama che sè stessa, Ascoltiamole un istante ambidue in quel colloquio, in cui la cradeltà dell’una apre una via non pensata alla vendetta dell’ altra. La-Harpe rimproverò a Lagrange, uno degli autori che Voltaire fece sparire dalla scena francese , d’ avere senza ragione indotta Temisto a svelare i suoi atroci disegni ad Ino, la quale non era per lei che una schiava oscu- ra. Niccolini ha evitato simile inconveniente facendo, come già si accennò , della scacciata regina una sacerdotessa di Bacco, anzi quella a cui Temisto commise il contrastato impero sull’emule Bac- canti. Potrà taluno dubitare in sulle prime , se il linguaggio, ch’ ei presta alla crudele, sia il più verosimile in bocca di donna passata in 110 antichissimi tempi della reggia tessalica a quella di Tebe. Nella sce- na quarta del primo atto ella va tentando, con quanta destrezza il suo impetuoso carattere le permette, l’ animo d’Ino ; la quale ri- sponde mezzo spaventata: Chiude arcani ogni detto... Quindi colei , gradatamente glieli viene spiegando : E d’essi indegna Esser non puoi tu, quanto presso all’ara, Tanto lontana dal pensier del volgo. Ino. Io non comprendo: più conosco i Numi, E più gli adoro. Temisto: Qui non sei nel tempio , Favelli a me che son regina, e suno Maggior del sesso. Allor che tu mi vedi Prostrata innanzi ai simulacri, Argea; Credilo , io rido dell’ altrui timore , Degli Dei, di me stessa. Ino. ( Empia!) che pensi De’ Numi? Temisto. Il dissi, Ino. Al cor dimanda, al core Se Dei vi sono, e quella Furia il dica, Che sul pallido volto d’ Atamante Segna l’ire del cielo e i suoi rimorsi. Qaesti ultimi versi, che a me sembrano un tratto da maestro, avrebbero dovuto rendere più lenta la regina ad aprirle il suo se- creto. E nondimeno, più Ino le si mostra ripugnante, più ella sì mostra impaziente, sicchè non tarda a pronunziare la terribile pa- rola , che tutto disvela : 70 chieggo sangue. Ino. Ai Numi sangue ! n Temisto. Argea Poco Tebe conoscì e i suoi furori. Qui dell’ altare all'ombra ogni delitto Divien virtude , ed ogni ferro è pio Se vendica gli Dei. Qui di natura Le sacre leggi in ogni tempo offese Dell’orgie vostre il rito: il figlio , il figlio Svenasti, Agave , e qual trofeo recavi Sopra il tirso infamato il teschio inciso. Solite imprese io chieggo : è grato il sangue A questo Dio di Tebe. Così il poeta la fa rientrare in quello che chiamasi costume, e ciò fa d’una maniera finissima, poichè la rimembranza di Penteo ci stringe l’anima per la povera Ino , la quale più non deve dubitare che le si chiegga il sangue di Learco. E un altro accorgimento egli ebbe forse, di rendere cioè per queste rimembranze , e per le riflessioni che i naar LZ I IRE ne i ?Ir le accompagnano , meno inverosimile il dispregio di 'Temisto per gli ‘Dei nel cui nome si commiseroi più atroci delitti. Così negli atti seguenti , dipingendoci l’ irreligiosa regina sempre più cieca di fu- rore e d’ambizione, sicchè mai non sospetta delle intenzioni d’ Ino, rese più verosimile la terribilissima catastrofe , che questa prepara quasi senza difficoltà. Dico prepara , poi ch’essa è veramente opera sua, benchè secondo il suo disegno dovesse riuscire assai meno terribile. Non è facile congetturare se Euripide avesse dipinto la sua Temisto egualmente dispregiatrice degli Dei come degli uomini. Ma avendola così dipinta, per servire all’indole della greca tragedia, essenzialmente religiosa , non avrebbe potuto imaginare catastrofe più conveniente di questa del Niccolini, che fa trovare ad un’ empia la più grande e la più impensata punizione fra i riti sacri che pro- fana. Schlegel, rimproverando giustamente a Voltaire di aver fatto del più sublime fanatico , di cui ci parli Ja storia , voglio dire di Maometto, un freddo impostore, ha fotse avuto torto di non vedere in questo impostore che un carattere di raffinata atrocità , il qual sembra smentire la natura comune. Bisognava pure che dal poeta gli si serbasse un lato vulnerabile , cioè a dire qualche affetto nol- to profondo , perchè in esso fosse alfine punito. La Temisto del Nic- lini, benchè ci presenti in sè medesima una specie di Capaneo femmi- nile, benchè per non avere ostacolo nella sua ambizione sia avvezza a comprimere l’ unico affetto , di cui la natura non permette che si spogli, pur lo sente alfine risvegliarsi con insolita forza per darle il più gran dolore, di cui cuor di donna sia capace. Perocchè, mentr'es- sa pensa di avere, nella oscurità delle iniziazioni ai misteri di Bac- co , trapassato il cuore di Learco, e grida con una gioia veramente infernale alla misera Ino , che pes disperazione si manifesta ; Tu ben rivivi , Mancava, o Numi, per la mia vendetta Spettatrice la madre, scopre di aver uccisa la sua Dirce, e col solo esclamare o figlia ci fa'sentire tutto l’ orrore che prova di sè stessa in tale momento. Ella infatti più non apre bocca se non per pronunziare contro di sè una sentenza di morte , che la sua mano tosto eseguisce. Non mi sono mostrato contento abbastanza di Antigone, che nel nuovo Edipo ba perduto alquanto di quella virginea dolcezza chece la rende sì cara nell’ antico. Della tenera e sventurata Dirce in questa nuova Ino e Temisto non so tanto lodarmi, che non mi ‘sembri ancor poco. Qual figlia, e quale amante! La madre sua | (poteva ella intendere il cuore di quest’adorabile fanciulla così da lei dissimile? ) è stata non so s’io dico sì barbara o sì imprudente da 112 rivelarle il destino , che sovrastava all’ingannato Learco. Ei dovea ; giusta i suoi ordini feroci, cadere fra pochi istanti sotto il ferro della sacerdotessa, la quale confidava per sua parte di far cadere lei mede- sima sotto il ferro del figlio, persuadendola , come riuscì facilmente, a soddisfare da sè il proprio furore. Dirce nel dolor suo, non volendo accusare la madre, e volendo salvare l'amante, va a ricevere ella stessa il colpo che gli è destinato, e muore per mano di colei che già le diè vita. Se qualche cosa potesse dirsi contro questa catastrofe, si è che in mezzo alla pietà ispirataci dalla giovinetta, l’orribile Teî- sto scompare dai nostri occhi , e più non ci curiamo della sua puni- zione. Dirce è uno di quegli esseri, che quasi nun ci permettono ye- runa attenzione per alcun altro, ove per avventura non formi parte di loro, come speciale oggetto del loro amore; uno di quegli esseri, in cui ci sembra di trovare non solo un abbellimento ma una giusti- ficazione della natura , e nel cui infortunio ci sentiamo per così dire annichilati. Del carattere d’ Atamante non è agevole il dir cosa che sia da tutti approvata. Per difenderlo del poco , ch’ egli fa o dice nella tragedia , io non citerò i greci, a cui bastava talvolta indicare la situazione d’un personaggio ; testimonio il Pilade nelle due Elet- tre di Sofocle e d’ Euripide, il quale pronunzia appena qualche pa- rola. Io non ricorro volentieri all’autorità , persuaso come sono, che in tutto il regno dell’ arti non vi sia tribunale legittimo fuor che quello della ragione. Ino, per meglio riuscire nel suo disegno, di assicurare cioè i giorni del figlio , spegnendo la nemica, ha fatto precorrere la novella della propria morte, mandandone in pegno alla reggia di Tebe l’urna ove si suppongono racchiuse le sue ceneri, Ciò risveglia le più crude agitazioni nel cuore d’Atamante , il quale fra i suoi pensieri di tarda espiazione non si accorge di quello che si trami intorno a lui o non sa prendere alcun fermo partito. Il Nic- colini forse ha voluto darci una grande lezione : mostrarci come si perde l’attività dell’anima anche pel bene che più si desidera, quando sì è perduta la stima di sè stesso operando il male. Del resto il pentimento del vecchio è commovente, e la sua colpa è quasi can- cellata dell’emenda che vuol farne, rimettendo il regno a Learco che lo rifiuta. Queste nostre osservazioni ci sembrano concordi con quanto dice l’autore alla fine della sua prefazione , e che qui trascri- viamo, ‘ In Atamante, personaggio secondario, ho rappresentato un vecchio re, che la ferocia di Temisto, i propri rimorsi e le virtà del figlio puniscono a gara e conducono, come narrano i mitologi , sino al farore, quando, pel magnanimo rifiuto di Learco , il delitto che gli sembrava più necessario ( quello di sacrificare Ino a Temisto per salvare il regno ) vano gli torna ,,. 113 Si vorrebbe; nel dramma tragico della Medea , poter rial- zare ai proprii occhi il carattare di Giasone; e nonè colpa del poeta se questo .carattere ci riesce pur sempre quel medesimo , ch’ Euripide e Seneca ne aveano dipinto. Medea, a compenso , è piena di tanta passione, è circondata di tale prestigio , che ci fa in qualche modo sorpassare all’ orrore de’ suoi delitti: Ma essa non ci si presenta che come un sogno magico , e si crede ad ogni istante che sia per dileguarsi dai nostri sguardi, I suoi mali estremi e le sue estreme vendette sono cosa troppo straordinaria e troppo violenta , perchè possano empir le scene d’un lungo dramma. Nè ciò verame:te desideriamo, quasi presaghi, che un solo moinento di riflessione, che ci sia permesso , può nuocere moltissimo all’ interesse teatrale. Pare che al poeta, non isgomentato dalla difficoltà del soggetto, si affac- ciasse a principio una grande e morale veduta, da cui poteva derivare alla sua composizione qualche felice novità. Nella scena seconda del primo alto Giasone, rispondendo alle istanze che Rodope gli fa perchè non cacci la desolata Medea onde unirsi ad altra sposa, così si esprime: L Negar nol voglio, Amai Medea ; ma quando Incrudelì nelle fraterne membra , E con nuovo delitto . Trattenne il corso del furor paterno , Dal mio seno atterrito amor fuggia. Io paventai gli amplessi E soffersì tremando i baci istessi. Ove il pensiero, che si racchiude in questi versi, fusse stato ‘0 avesse potuto essere sostenuto, le parole che pronuncia Creonte nella scena terza dell’atto secondo: ed è Medea—misera perchè rea sarebbero giu- stissime e di mirabile effetto. Ma poichè non l’orrore dei delitti dj Medea, ma la sempre equivoca necessità di regno (come dice Creonte medesimo nella scena pur or citata e Giasone confessa anteriormen- te) è quella che rende ambidue inflessibili ; ciò che sarebbe stato punizione diventa oltraggio , e il dramma perde, se non m'inganno, gran parte di quell’ importanza che speravamo di trovarvi. Non è facile decidere per quali ragioni l’ autore abbia voluto chiamare il suo componimento piuttosto dramma che tragedia. La prima, che ci si presenta, è quella del metro , misto d’ endecasillabi; e di settenari talvolta rimati. Per un argomento cone la Medea , il quale appartiene per così dire al più alto dominio dell’imaginazione e della passione , questo metro pieghevole, che si presta a tutti i mo- vimenti lirici, è benissimo scelto. Ma se la tragedia, qualunque ne sia il soggetto, non è semplicemente una storia in dialogo, se l’ im - T. XX. /Vovembre. $ 8 rI4 maginazione e la passione specialmente vi hanno sempre gran par- te, non veggo che fra essa ed il metro, di cui si tratta, possa esservi ripugnanza. Chi sa dire se la ragione o il comodo abbia fra noi sta- bilito nello scorso secolo 1° uso di un metro sempre eguale? E per- chè non potrebhe conciliarsi il comodo colla ragione, facendo servi- re il metro misto di questa Medea per quelle circostanze in cui nel- la greca tragedia si adoperava il trimetro trocaico, e serbando gli sciolti per quelle meno rilevanti, in cui adoperavasi il trimetro giambico 2 Com’ io credo quasi dell’ essenza dalla tragedia il lin- guaggio metrico o il verso che vogliamo dire ( nel che mi discosto da alcuni romantici ) così inclino a credere quasi della sua essenza la varietà de’metri. I greci amavano questa varietà per quel sentimen - to squisito , che li avvertiva della secreta corrispondenza posta dal- la natura fra le idee ed i suoni, dai quali è variato in mille guise l’effetto della loro espressione. Shakespeare, l’ altro gran tragico, il quale possa nominarsi confidentemente quando si nominano Eschilo e Sofocle , non imitando ma creando, pensò di dovere ne’ momenti di maggior passione passare da metro a metro, se dettava le sue tragedie del tatto in versi, o dalla prosa alla rima se talvolta in altre gli piacea che anche la forma del linguaggio di- stinguesse le persone o le situazioni altamente poetiche da quelle che non erano tali. Lope de Vega e Calderon, i quali non so che ab- biano mai mescolata nelle loro tragedie la prosa al verso, furono però guidati da un istinto simile a quello di Shakespeare quanto al - la mescolanza de’ versi di varia misura. Si può dire ch’ essi mai non si scordarono delle due forme primitive della drammatica spagnuola, ja canzone e la romanza , come i greci mai non si scordarono della forma primitiva della drammatica di loro nazione , cioè dell’ode o del coro. Non parlo di varj tragici italiani del secolo decimosesto e deci- mosettimo. Imitatori più o meno esatti de’greci per ciò che riguarda l’esterno delle loro composizioni, essi non solo credettero che un metro misto fosse permesso alla tragedia, ma non pensarono pure che potesse convenirgliene alcun altro. Poichè dunque, non in grazia del metro, può il Niccolini aver negato alla sua Medea il nome di trage- dia, siamo indotti a credere ch’ei l’abbia fatto per qualche ragione più intrinseca, cioè per non essersi obbligato in essa a maggior rigore d’a- zione di quelio che richiederebbesi in un dramma. Egli ha aggiunto a questo titolo, onde la volle distinta, l’epiteto di tragico, poichè in essa mirò ad una pittura più vera delle passioni, ed usò uno stile troppo più grave che non avrebbe fatto in un componimento destinato alla scena musicale, Quanto al piano, vedendo forse che il solo conveniente a tra- gedia era stato scelto dal Ventignano, e non volendo per ciò rinunciare Pe er 115 ad un soggetto che accendeva gagliardamente la sua fantasia, pare che dicesse a sè medesimo: esperimentiamo quel che può una libera ispi - razione. Gettatosi quindi di primo impeto nella parte più poetica del soggetto, giunse in due atti a quel segno, oltre il quale non gli rima- neva che di affrettar la catastrofe. Perchè egli abbia voluto servire all’ uso , aggiugnendone tre altri quando forse uno solo gli bastava, io nol so. Questo so bene che per ciò stesso che il proseguimento del suo dramma doveva in qualche modo allentarsi, il cominciamento do- veva essere pieno di vita. L’ Edipo è stato applauditissimo alla rap- presentazione, principalmente pel vigore de’ pensieri ; l’ Ino e 'Lemi- sto per la varietà degli affetti e la bellezza delle situazioni ; il primo e il secondo atto della Medea per l’estro vivacissimo che vi risplen- de. Ne? tre atti seguenti quest ‘estro , mal sostenuto dal soggetto, non si mostra che d’ una maniera secondaria , vale a dire per mezzo dei DE del discorso , i quali riescono talvolta anche troppo abbaglian- . Ma quando parla Medea , chi non si aspetta un linguaggio fuori del comune delle persone tragiche , un linguaggio quasi così stra- ordinario come le sue azioni? Se Rodope, la sua antica nutrice ; è talvolta ne’ suoi modi o troppo pomposa o troppo imperiosa, Medea mi pare quasi sempre naturale. Il poeta ci ha con molt’arte solle- vati fin da principio all’ altezza del suo carattere , onde siamo pre- parati ad udire dalla sua bocca quanto può scuotere più fortemente il nostro animo e la nostra immaginazione. Siane di prova un breve ma bellissimo passo della seconda scena dell’ atto secondo. Medea E come L’ ingrato accolse i prieghì miei ? .:.».. nè diede Una lacrima sola ai nostri figli ?...,.. Rodope Deh per pietà , Medea, L' oblia.... Medea Gli affanni miei Rodope . Al mio dolor lo credi : Tutto io gli dissi , ein vano...... Medea Ah no che tutto Dir non potevi a lui quello ch’ io sento , E l’ atroce tormento Che il cor mi sbrana , e queste ree ch’ io verso Lacrime a un tempo di dolore e d° ira, E quel che può Medea quando s’ adira. Sono state grandemente ammirate , nelle varie tragedie che da lei s’intitolano, alcune parti di dialogo notabili per la vibratezza e la for- za, o sublimi, come il famoso wm207 di Corneille, per la somma conci - sione. La sola scena terza dell’atto già citato nel dramma del nostro Niccolini racchiude quanto basterebbe per questo riguardo ad ab- T_T 116 : bellire il dramma intero. Eccone alcuni saggi, incominciando da al- cune più brevi risposte. Creonte Sai che ogni infamia nel tuo nome è chiusa. Medea E in quello di Giasone ogni mia scusa, Creonte Quai sono i falli di Giasone ? Medea 1 miei. Creonte E chi ti diede O di colpe maestra eterni dritti Sulla fe di Giasone ? Medea I miei delitti. Ma vediamo esempi di luminosa insieme e vigorosa eloquenza. Cre- onte ha detto a Medea ch'egli mai non confuse la sventura, in nome di cui ella chiede asilo, coi delitti che ne la rendono indegna , e che per serbare l’onor di Giasone è costretto a separarlo da lei. Quindi ella replica : Da che Giason dividi Dalla moglie crudel, rendi, se il puoi, Quanto ha rapito a noi ; la pace , il regno, La fama , il padre e tutto; E poi di tante colpe usurpa il frutto. La vecchiezzae più ancora lo sforzo di coprire col nome di giustizia un atto di viltà rendono molto aspro quel re. Più ha torto, e più si adira, mancando a quei riguardi che pur deve ad una donna infelice , ond’ ella esce in queste parole che tanto più ci colpiscono, quanto > può esserne più frequente l’applicazione : Rimprovera ai potenti I I felici delitti , e lascia al volgo Dannar le colpe che punì fortuna. Egli incalzato da’ suoi argomenti si rifugia, come già si accennò, in quella ragione di stato , che chiamata francamente ragione del più forte sarebbe in mille occasioni meno odiosa : A Corinto funesta La mia pietà sarebbe ; e 8° io le schiere Opponessi alle giuste Armi d’ Acasto, la vergogna e l’ ira Da quelle mani strapperebbe il btando Difensor della colpa : Quai Numi invocherei nei dubbj casì ? Medea ancor più nauseata , io penso , \di tanta ipocrisia , che non offesa da tanta durezza, dopo aver risposto con bellissimo impeto: Quei che la Grecia a me giurò sul Fasi , prosegue con inimitabile abbandono : Ma dalla fe promessa Sciolgo gli Argivi. A me la fuga imponi? Della fuga il compagno 117 Mi si renda in Giasone; allor Corinto Lasciar fia lieve e con asciutto ciglio: Non è da’regni tuoi pena l’esiglio. Non so quantonella scena seguente convenga il farle dire a Giasone, il qual cerca di giustificare i rigori usati verso di lei rinfacciandole egli pure le sue colpe : 7uoi la mia vita, vuoi — ch'io divenga più rea? Ma so che la risposta all’ infedele marito , che quì riferiremo, come ultimo saggio del talento poetico dell’ autore, è come l’anima di tutto il dramma, è quella che tempera sino alla fine il ribrezzo ispi- ratoci dai furori di Medea, facendoci pensare all’ eccesso del suo amore. Giasone Minaccia Acasto, Ci abbandona Creonte, ambo sdegnati Ed ambo re......Donna\all’ idea non tremi Dello sdegno d’ un re ? Medea Tremenda immago Per me non v'è, che il rimirarti in braccio Alla rivale mia. Con questa forza di sentire , con questa felice disposizione ad investirsi del carattere delle persone rappresentate , il nostro Niccolini ha cominciata la sua carriera drammatica, di cui i tre componimenti pur ora stampati, ma scritti poco dopo la Polissena, sono anch’ essi le primizie. Un’ educazione eminentemente classica , la direzione comune data al pensiero dei cultori delle lettere in Italia , gh ha fatto scegliere argomenti mitologici, di non facile riu - scimento sulle nostre scene, ma capaci de’ più splendidi colori, e sommamente piacevoli per una giovanile imaginazione. Altre con- siderazioni, suggeritegli dall’ esperienza e dalla profondità de’ suoi studi, gli avrebbero più tardo fatto fare altra scelta. Egli ha sentito, non ne dubitiamo, come quegli argomenti poco servano ai nostr * bisogni , e poco per conseguenza all’ arte del poeta. Noi abbiamo d’ uopo di veder rappresentata la vita reale, ed essi non danno luogo che alla rappresentazione d’ una vita imaginaria ; noi desi- deriamo di conoscere gli effetti delle libere azioni, che soli pos- sono istruirci , ed essi pongono l’uomo sotto l’ impero d'un fato capriccioso , contro cui la lotta è sempre vana , per quanto possa essere ammirabile ; noi cerchiamo la verità , nostro più necessario alimento , ed essi quasi non ci presentano che il prodigio. Vuole il poeta, a cui manca l'appoggio delle popolari credenze, lascia- re da parte ciò che produceva maggiore impressione quando que- ste erano vive? Ei toglie a quegli argomenti il lor colore carat- teristico , e si trova fra le mani una storia povera o poco vero- simile. Pieno delle idee del suo tempo, desideroso di giovarci mentre 118 ci commove, si studia egli di trattarli come siltratterebBero le cose ve- re ? Ei può dar prova di molta destrezza e di molto ingegno, ma non - può ottenere che imperfettamente il suo fine. Lodò il Sismondi, fra molti altri pregi, nella Polissena del nostro Niccolini la forza del linguaggio nadrito di pensieri e di sentimenti energici, e la verità si può dir locale delle pitture, piene di tutte le rimem- branze della Grecia antica. Questa lode può sicuramente appli carsi ai tre ultimi componimenti, di cui finora si è discorso. Ma io mi appello al Niccolini medesimo, per sapere quanto gli sia costato il conciliare l’ un pregio coll’altro , quante volte alle Gre- cia antica egli abbia dovuto sacrificare l’ Europa moderna, quante velte egli abbia dubitato se ì personaggi de’suoi componimenti fos- seroì veri personaggi della mitologia,o se i personaggi della mitologia possano sostenersi sulle nostre scene senz’essere in qualche modo tra- sformati. Quindi io mi tengo sicuro che i suoi pensieri siano oggi ri- volti agli argomenti storici, e fra questi di preferenza ai moderni e na- zionali, in cui un poeta ritroverà sempre le migliori ispirazioni, e il let- tore o lospettatore il più vivo interesse, Ora, trattando simili argo- menti, vorrà egli farlo secondo ilsistema,a cui si dà per eccellenza il titolo di storico , o preferirà l’ altro che si crede provato migliore perchè porta il titolo di classico ? Se il Niccolini fosse uomo da lasciarsi impaurire dai clamori, se non fosse, come vediamo dai suoi scritti e di prosa e di verso, avvezzo a seguire franchissimamente le proprie idee , potrebbe forse pel quieto vivere dire a sè stesso: giova non dipartirsi dagli esempi che si chiamano autorevoli , e lasciare a chi vuole il cercar gloria con molto pericolo. Ma il quieto vivere non è quello a cui pensino i forti ingegni. Correre una via non battuta, allargare i confini dell’arte, servire ai bisogni del pro- prio tempo, è per loro una felice necessità. Il Niccolini la sente da lunga stagione; e non ce ne bisognano altre prove che gli ardimenti di pensiero e di stile, che ci colpiscono ad ognì passo nelle com posi- zioni di cui abbiamo parlato. Or egli debb’ essersi accorto che gli sarebbero pure abbisognati altri ardimenti quanto all’azione, che sebbene semplicissima, pure vincolata alle unità di tempo e di luo- g0, è riuscita spesso o meno verosimile o meno piena che la perfezio- ne dell’ arte non vorrebbe. Quand’ egli penserà a mettere in iscena grandi e importanti avvenimenti , quando si proporrà la vera e pro- fonda pittura de’ caratteri , quando aspirerà a fare della tragedia una vasta rappresentazione della vita , con tutti quei punti di pro- spettiva che le danno insieme varietà e compimento , vedrà che la via additata dal più potente de' drammatici , voglio dire da Shake- speare, è l’unica per cui gli convenga andare. Che gli ingegni minori ——@____@@___ __—__——_——_« 119 del suo possano in questa ampiissima via trovarsi smarriti, che gli uomini di gusto incerto possano, fra la moltitudine di cose che in essa si presentano, confondersi e non sapere a che sì ap- piglino per conciliare le abitudini nazionali col sentimento uni- versale della società europea , ben lo comprendo. Ma egli capace di ben discernere il vero punto a cui questa via conduce, di far servire a quell’ unità , senza di cui non avvi nè ordine nè bellezza , la maggior possibile varietà , vorrà sicuramente insegnare all’Ita- lia (acui per ispogliarsi delle sue dubbiezze bisognano illustri esempi ) che il rinunciare all’antica via non è capriccio ma ragione, non è a detrimento ma ad accrescimento di piacere e d°’ utilità . Se l’ arte è specchio della natura , come tutti ripetono e pochissimi intendono , che si può fare di meglio per l’ una che guardare al modo, onde l’altra compone l’ opere sue ? Chi prende ad imi- tare quelle della natura fisica , le campestri per esempio, for- mandone giardii, ha bandita da un pezzo la fredda simmetria e tut- to ciò che, sotto pretesto di abbellimento , accorcia gli oggetti , impicciolisce le vedute, guasta senza vantaggio la verità. Chi prende.ad imitare quelle della natura morale, formandone trage- die, non è ora che bandisca egli pure le regole arbitrarie e dan- ‘nose, che prenda così riguardo al luogo ed al tempo, come ri- guardo ad ogn’ altra cosa, le sue norme dalla storia cioè dalla realtà? La natura, si oppone da alcuni, essa pure ha de’ limiti, e dove è più bella è necessariamente più circoscritta. Ah la na- tura, ha già risposto il Niccolini in quel suo nobile e filosofico discorso , che abbiamo pocanzi udito dalle sue labbra e che l’An- tologia ha raccolto, si offre a’ nostri sguardi sotto sembianze troppo varie , ed è troppo più vasta di tutti gli umani concepimenti. Quin- di ha pregato che nell’ imitarla gli ingegni si guardino dal ser- vire con improvido consiglio a quelle massime (altri direbbe a quelle regole classiche) le quali nella loro generalità si fanno pe- ricolose. Nella natura tutto è varietà, tutto è spontaneità, e la grande bellezza risulta da accordi impercettibili i quali si fanno piuttosto sentire che vedere. L’imitazione che più saprà avvici- narsele sarà la più perfetta, e produrrà sull’ animo degli uomi- ni le più profonde impressioni. Essa deve sgomentare, lo ripeto; tutti i mediocri , alcuni de’ quali la discreditano ipocritamente, co- me si discreditano nel mondo tante ottime cose da chi non ha spe- ranza di conseguirle. Il Niccolini, in cui il coraggio va di pari coll’ ingegno, guardando non agli usi del teatro italiano o alle dottrine accademiche che lo governano, ma al bisogno d’ Italia e di tutta Europa, sì sentirà stimolato a cominciare una nuova 120 epoca nell’ arte , di cui ancor giovanetto si era formata un’ alta e severa idea. ,, Ad ogni raro intelletto (ricordiamo queste parole del suo discorso che ci sembrano un presagio di ciò ch'egli è per fare) dice il suo genio: seguimi ; intatta è la via nella quale entreremo; ove la fortuna ci neghi superarne gli ostacoli , il cadere sull’ orme proprie a noi sarà gloria e conforto ,,. 4 M. _——_———t—r—r—r_.-.—__ttt:mo(|0m:6ro(—r+<——— rr LA FLOTTA SARDA A TRIPOLI (*) ODE DI G. BORGHI. Te sulle cozie cime Non prende il sonno vincitor de’ forti ; Ma come onor t’ appella, (*) Il 25 settembre la squadra di S. M. il Re di Sardegna si presenta in- nanzi a Tripoli, e il capitano cav. Sivori, che la comanda, chiede e ottiene di entrare in negoziazioni col Bey. All’ indomani, sceso a terra e recatosi al con- solato inglese, ha con uno de’ generali del Bey medesimo un abboccamento ; da cui si promette l’ esito il più felice. Ma il dì seguente gli è, con sua grande sorpresa, presentata una nota contraria non solo agli ultimi discorsi , ma ai trat- tati già conchiusi con lord Exmouth , onde tronca le conferenze le si ritira, dichiarando che se fra quattro ore non gli vengono fatte proposizioni più giuste sarà costretto di ricorrere all’ armi. La sua minaccia è stimata vana; il tempo prefisso trascorre inutilmente; ed egli alfine si determina ad attaccare il porto e la città. Ma, come il mare gli è contrario, spedisce prima il suo luogotenente cav. Mambelli con alquante lancie contro la flottiglia armata del Bey, che fra la sera e la notte, malgrado l’ aiuto che riceve dai cannoni delle fortezze, è presa e distrutta. Un prode , il piloto Capurro , si distingue in quest’ impresa fra molti valorosi (nel numero loro è un toscano) salendo il primo a bordo del maggior le- gno nemico , ove lo aspettava una morte gloriosa. 77o fatto il mio dovere, egli dice ai compagni spirando , rimane a voi a fare il resto ; e queste parole in- fiamimano vie più il loro ardore. La mattina seguente il cav. Sivori è pronto ad avvicinarsi a Tripoli con tutte le sue forze rese formidabili per l’ antecedente vittoria. Quando , per mezzo del console inglese , gli è fatto proporre dal Bey un accomodamento amichevole , ch’ egli accetta. Però all’ indomani egli entra pacifico nella città , ove riceve coi suoi le testimonianze della più viva ammi- razione , e al bravo Capurro sono resi splendidamente , d’ ordine del Bey me- desimo, i funebri onori. Queste cose , notabilissime pel Piemonte e per la Li- gucia , anzi per l’ Italia tutta, di cui da un pezzo non sì ricordano l' armi ma- rittime che nelle storie di tempi già lontani, doveano accendere la fantasia de’poe- ti, naturali encomiatori di quanto accresce il decoro della patria comune, L’Antologia presenta l'ode del sig. Borghi , i due sonetti del marchese di Negro; e quello del sig. Bertolotti come primizie di nuovi canti naziogali 12I O Allobroga Donzella , Della natia virtù ti riconforti , E stampi ovunque muovi orma sublime. L’Itala gente han doma Fraterni sdegni e congiurate sorti: Par quale offender osa Questo leon che posa , Vedrà se ancor gli artigli Distender sappia e scompigliar la chioma; Vedrà se nei perigli Membri le antiche posse, E agl’ insulti risponda e alle percosse. Dell’ African tiranno : Te provocàr gli scherni e i patti avari ; Chéè in ozio vil tranquilli Gl'’ Italici vessilli Più nen solcavan trionfando i mari, E dovuto parea l’ oltraggio e il danno: Ma ben la gente infida Sollecite difese oggi prepari; - Oggi sull’ empia terra Oda il clangor di guerra ; Senta fra gli urli e i pianti Come scende a punir |’ asta omicida: Nè trascinar si vanti Per entro ai sozzi tetti Dolorosi vegliardi e giovinetti. Deh punga omai vergogna Quanti ha seguaci la purpurea Croce ! Ben cento petti e cento Al barbaro talento Servon colà del Musulman feroce; O piegano all’ altar della menzogna. Frattanto invan s’invoca Della vendetta la terribil voce; Chè pochi velli ed oro Ligi ne fanno al Moro, E parteggiando siede Pur sempre Europa irresoluta e fioca! Oh cangi almen di Fede, Se aver piena desira E tregua e pace col figliuol dell’ ira. 122 Non io, di regni vago, O di rapine, inviterò la folle Bellona a trar la spada Sulla lieta contrada Ove scettri e tesor Cristo non volle, E fessi all’ uom di caritade immago. Taccian l’ età furenti D’ abbominose crudeltà satolle , Quando iracondo zelo Alla ragion del cielo Mescea terren guadagno , E del lor sangue lo bruttàr le genti: No, non son io compagno A chi contra il fratello , Perchè seco non è, leva il coltello. Ma nè per tema indegna Piacemi lento contemplar dal lito Le minacciose vele Del popolo crudele , Derisor d’ogni patto e d'ogni rito Là dove miri peregrina insegna. Però mi sdegno, e all’ armi Faccio de’ Grandi generoso invito , Sicchè per noi gl’ insulti Non tornin sempre inulti , E tregua omai sincera Col pentito ladron si scriva in marmi. Sol gridi Europa intera, Nè. più nomar s’ udranno Gli archi lunati, e l’ Africano inganno. Ben d’ Albion le navi Guerra portàr sulla profana riva, E speme in cor ne venne Di securtà perenne, ‘ Poichè immensa riedea plebe cattiva Il dolce suolo a riveder degli Avi. Ma troppo ahimè! si rese Incostante quell’ aura e faggitiva ; Chè segreto livore Sedea col vincitore , Vivo lasciando il seme Del comun danno e delle usate offese. 123 Quinci pur or ne preme L'indomito nemico , E cresce odio novello all’ odio antico. Però correr dovesti, O reina dell’ Alpi, alla battaglia, Ratta così che meno Sall’ ali del baleno La procellosa folgore sì scaglia, E dietti palma il ciel come giungesti. Or chi d’Italia mia Il generoso ardir, chi l’armi eguaglia , Se de’ suoi tanti un regno Valse a fiaccar lo sdegno Di tal che spesso in giostra Contro mille triremi e mille uscia ? Oh alfin la gloria nostra Torni a brillar qual era, E i tiranni vedran l’ ultima sera! Nè ta, mia bella Flora , Sarai tarda a volar per l’oceàno, Nè migliori destini Aibarbarici pini Preparerai colla gagliarda mano, Ché le vittorie tue son conte ancora , E ancor ne serba il raggio L’emulo illustre del cantor Tebano. O Voi cui scorre in petto Sangue di prodi eletto, Meglio era i carmi adorni Mertar pugnando, e degli eroi l'omaggio, Che trapassare i giorni Ne” beati recessi, Colla patria scordando anco sè stessi. re _1.@—@—.@—@—@—È—È—È————11À1ÀÉ meme ERGrE ne) Al comandante SIvoRI di Genova. Sonetta del marchese GiANcARLO Di-NEGRO No che spenta non è la gloria avita, Nè degeneri son di Giano i figli Sall’ onde e in terra ad affrontar perigli Ed a porre in non cal fortuna e vita. 124 Tu che a sommo valor hai l’ arte unita ; O condottier dei liguri navigli , Fede ne fai, chè vinci, ardi , scompigli Tripoli infida ed a ragion pentita. E oh di qual grata a noi sei rimembranza ! | Allorchei Doria, i Spinola, i Fregosi Di Bisanzio tremar fer la possanza ! E se ne segui le difficil orme, Abbia il tuo crine i lauri gloriosi, Ch’ in le nostr’ alme il patrio amor non dorme. A CaPURRO dî Genova, che morì dando egli primo l’ assalto al Brigantino tripolitano che fu poi incendiato. Sonetto dello stesso. E dove sono i tuoi trionfi, o morte, Onde ten vai per lunga strage , altera ? Forse tua ingorda feritate spera Pari al prode del vil render Ja sorte ? Non muore no chi della patria il forte Sprone ha nel sen, e d’ onor fiamma vera : Nè la sua fama mai si volse a sera; Anzi de’ numi in ciel si fa consorte. Cadde è ver di Liguria il degno figlio, ’ Chè più l’ onor gli calse della vita , Primo le vie calcando del periglio. Ma eterno or vive; e Tripoli atterrita Piega alle voci di miglior consiglio , E all’ Affrica la sacra ombra ne addita. L'Armata Navale di S. M. il Re di Sardegna a Tripoli. Sonetta di DAVIDE BERTOLOTTI. Tre grandi Ombre vid’io, di luna al raggio, Fra i pisani trofei tener consiglio. L’una è Ruggier (r)., che a Carlo tolse il figlio, E di Cicilia vendicò l’ oltraggio. L’ altra è il nocchier (2), che a incognit’ orbe il saggio Temo sospinse , e mesto ancor n’ ha il ciglio. (1) Ruggieri di Loria, (2) Colombo. - 125 Terzo è il veneto eroe (3) , che al tracio artiglio Un regno svelse , e ne fe’ all’ Adria omaggio. € Plauso!,, l’ Ombre sclamar, ‘° Plauso all’ erede Del nostro ardir, che sui fulminei abeti Pianger fe’ al Mauro la tradita fede, Ch’ ove è l’ azzurra insegna , ivi è Vittoria : Nè l’alpi or sol, ma 1 regni ampii di Teti Del sabaudo valor narran la gloria. Vi (3) Morosini, detto il Peloponnesiaco« # areo_r—--.-—««“«'' f«Wéi]R)RRRcùV e] LA GRECIA NELLA PRIMAVERA DEL 1825. Lettere diun Viaggiatore. I. Napoli di Romania — Il Governo. Ogni cosa prometteva felici successi alla Grecia quando io lasciai l’ Inghilterra ai primi giorni di marzo. La ricoguizio» ne delle repubbliche dell’ America meridionale dava natural- mente speranza che un atto simile si preparasse in figvore dei Greci ; un secondo accatto che il loro governo avea contrattato gli somministrava i mezzi di aprire la campagna vigorosamen= te ; il discioglimento della compagnia inglese del Levante toglie va l’ ostacolo che gl’ interessi d° un corpo di mercadanti pri- vilegiati potevano opporre all’ indipendenza ; un comitato fran- cese formato da uomini segnalati, stabilito in Parigi per favo- rire l’ istruzione della greca gioventù, sembrava che dovesse eccitare nella nazione francese l’ amore della causa de’ Greci; il governo finalmente superato aveva i suoi interni nemici, Io ‘partiva dunque colla fiducia di aver ad essere testimonio dell’ul- timo trionfo d’ un popolo che da quattr’ anni combatteva con esito vario per la sua libertà. Ma il mio presentimento non era che un’illusione: la fortuna de’ Greci mutavasi 1n un tratto, ed al mio arrivo mi si offerse agli occhi un prospetto ben diverso da quello ch” io m° era imaginato ; le mie speranze tutte in timori sì trasformarono. Dopo un viaggio di cinquanta giorni , noi gettammo final- 126 mente l’ancora innanzi a Napoli di Romania. Questa città ri- mane appiè d’ un’ alta rupe tagliata a piombo: i forti del Pa- lamidi , inespugnabili in apparenza , drizzati sulla sommità ; la palma che alza il suo capo sopra le mura guarnite di torricelle , siccome la bandiera del paese ; Argo e la bella pianura di Argo che forma il seno del golfo ; a manca, la vetta coperta di neve del tetro Taigeto ; la campagna che circonda la città; ogni cosa concorre a far sì che l’aspetto di Napoli di Romania sia una del- le viste più pittoresche del mondo. Ma come lo straniero mette ìl piè sulla riva , il suo entusiasmo si ammorza , e l’ incantesimo si dilegua : le anguste vie , le case mal fabbricate, l’ aria grave e pregna di fetidi miasmi gli destano fastidio ; tal è insomma la sordidezza, che avrebbesi mestieri delle fatiche d’ Ercole per farla sparire ; e questa è certamente una delle cause di quella febbre epidemica che fece tanto scempio l’ultimo anno. Quando io mi sbarcai quel flagello era appena cessato , e s incontravano per le vie le facce livide che portavano ancora l’ orma dell’ in- fezione. Egli è verisimile che il calore della state abbia a rac- cendere quell’ epidemia , poichè il governo non usò alcuna cau- tela per impedirnela : i Greci ereditarono in parte il fatalismo de’ Turclgi ; questi sonosi addimesticati colla peste , gli altri cominciano ad addimesticarsi coll’ epidemie. Napoli di romania fu chiamata, per causa del suo sito e del suo aspetto , la Gibilterra dell’ Arcipelago. Infatti , nel ve- derla, ella si merita un tal nome; ma io temo forte che ella non sia la vecchia Gibilterra nelle mani degli spagnuoli. Alcu- ni uffiziali che la esaminarono coll’ occhio dell’ esperienza mi dissero com°ella era in uno stato meschino di difesa ; sprovvedu- ta di munizioni , d’ artiglieria , e d’ artiglieri; i pochi cannnoni montati che ivi si trovano non hanno letti atti a sostenere una dozzina di scariche : tutta la forza della sua difesa è riposta nel comandante de’ forti del Palamidi , il generale Fotomara , Su- liotto incanutito sotto le armi e nel sentimento dell'onore. I piace- ri di Napoli sono ben pochi: alcune meschine botteghe da caffè» dei vecchi trucchi , il passeggio della sera in una piccola piazza ombreggiata da platani maestosi ; aggiungete il piacere della cu- riosità suscitato sempre e soddisfatto da una quantità di no- tizie e novelle. Le donne , quel sollievo di tutt’ i mali e di tutte 127 le privazioni, sono invisibili ; gli uomini proibiscono loro di farsi vedere. Corrono venticinque secoli e più , che il bel sesso di questo paese è sotto vari pretesti condannato alla solitudine domestica: i Greci antichi , per conservare in lui puri i costu- mi, lo toglievano all’ aere aperto e lo rinserravano ne” ginecei ; più tardi i Turchi lo rinchiusero negli Rarem ; ed i Greci mo- derni per gelosia lo tengono separato dalla compagnia degli uo- minl. La popolazione di Napoli cresce o cala secondo gli av- venimenti. Nulladimeno si può valutarla a circa quindicimila uomini. Questa città, per la sua grandezza, è senza dubbio la più popolosa del mondo: le case sono sì piccole ed il po- polo vi sta così stretto che tre o quattro persone alloggiano d’ ordinario una stessa camera. Io era curioso di fare una visita ai membri del gover- no; nè perciò ebbi mestieri che alcuno mi v'introducesse, poichè eglino sono di facile accesso per tutti, ed in tutte le ore del giorno. Eglino non albergano un palazzo; nè la casa del governo mostra ordine alcuno d’ architettura ; ma in qual luogo ed in qual tempo la libertà nascente ebbe una culla d’ oro? Una cattiva scala di legno mi condusse in una camera dove io trovai i membri del governo seduti o più tosto sdraiati sopra guanciali, che venivano a formare intorno alla camera una specie di sofà. Il loro vestimento , al loro attitudine , e l'immobile gravità del loro contegno, mi fecero credere a prima giunta ch’ io fossi alla presenza d’ un divano. Il vi- ce-presidente signor Botazì di Spezia, colle gambe incrocic- chiate, contava i granelli d’ un rosario orientale. Tutti gli altri, in una veste mezza greca e mezza turca, fumavano, o svolgevano pure i granelli d’ una corona. In Parigi ed in Londra vorrebbesi che i Greci non re- stassero Turchi più a lungo, e che, prossimi come sono ad entrare nella gran famiglia europea, deponessero i loro usi antichi, per prendere le vesti e le costumanze della nuovà fa miglia che loro stende le braccia come a tanti fratelli. Sì fatto desiderio è giusto, ma prematuro. Non si può cangiare il vestimento e le usanze d’un popolo intero come le deco- razioni d’ un teatro di Parigi o di Londra. Quanti ostacoli 128 non ebbe a vincere Pietro il Grande per fare rader la barba a’ suoi Moscoviti, e ravvolgerli in una divisa prussiana ! Il fatto è che i Greci si mettono a sedere alla turca, mangiano il pilaf alla turca, fumano in lunghe pipe, e che i capi non escono mai fuorchè accompagnati d’uno stuolo d’ uomini ar- mati, salutano, dormono , e si sollazzano alla turca. In una parola, in vece di rinunziare alle abitudini de’ loro oppres- sori , egli sembra .che dopo la rivoluzione ei vi sieno sempre più affezionati. Eglino mettono un punto d’ onore nel portare il turbante meschiato di bianco e di rosso, e nell’avvolgersi, cosa orrenda a dirsi, del caftan verde, cose che a loro erane proibite sotto le più terribili pene dal dispotismo de’ Turchi. In tal guisa per ispirito di vendetta e segno di trionfo , eglino si compiacciono a fare tutto ciò che i loro tiranni ad essi vietavano per mostrare la differenza del padrone e dello schia- vo. Senzachè i Greci sono avvezzi a rispettare i vestiti cari- chi d’oro, d’argento, e di perle, perchè i bassà strappava- no loro un tale rispetto facendosi sempre seguire da carne- fici; e sotto le nostre vesti europee il popolo non vede che anti medici che passeggiano. Le donne, prese mai sempre dallo splendore e dalla magnificenza, non sanno sopportare la vista della nostra semplicità , meschina cotanto a lato della pompa orientale. Sì fatta predilezione del bel sesso opporrà per gran tempo un ostacolo al cangiamento dell’ abito naZfo- nale de’ Greci. Il governo è composto da cinque persone e da un segre- tario di stato. Il presidente ed il segretario di stato erano as- senti al tempo del mio arrivo ; essi erano al campo di Na- varino; io avrò occasione di ragionarne più tardi. Botazì , che occupa il posto di vice-presidente, è un ricco mercadante di Spezia, forse il più ricco di tutti. Egli è un vecchio rubizzo e di buon aspetto , nè parla altra lingua che la greca. S'egli fosse entrato presto ne’ pubblici affari sarebbe un magistrato eccellente ; egli gode la riputazione di sicuro e fedele patrio- ta. Mavromicali spartano, ed uno di quella famiglia di Pe- tron-bei che fece i più penosi sacrifizi alla libertà del suo paese, non parla pure nessuna lingua straniera. Egli può es- sere sperimentato nell’arte della diplomazia; ma mostra nei 129 Buoi tratti e nel suo contegno i segni d’ una indole nobile ch’ ei non ha smentito giammai, Io non ebbi occasione di co- noscere Spiliotaki, altro membro del governo, nativo del Peloponneso ; e, non intesi dire di lui nè bene nè male. Fi- nalmente Coletti è alla tesia d’un partito che unisce ai talenti naturali molte cognizioni acquistate in Europa. Egli è nativo dell'Epiro, e fin dalla sua gioventù fu stimato dall’ Alì-bassà, il quale mandollo a studiare nell’ università di Pavia. Indi fu medico di Muctar figliuolo d’ Alì; parla e scrive l’ italia- no assai bene. Egli affetta una guisa di vestire più turca che greca. Sotto la gravità imperturbabile d'un Turco, osservasi in lui la inquieta vivacità de’ Greci. All’alterigia del suo por- tamento , si riconosce di leggieri com’ egli è stato cresciuto nel serraglio d’un despota dell’ oriente. Sarebbe vano il ragionare dei sette ministri, giacch’ essi non esercitano nessuna autorità: il governo non lascia loro altro che il nome della loro carica, ed egli ne serba tutte le facoltà ; non essendosi ancora conosciuto quanto sia utile il separare una dall’altra funzioni tanto diverse. Il corpo legislativo è male albergato. Ma in breve egli terrà le sue sessioni in una moschea convertita in camera se- natoria. Il numero dei legislatori passa gli ottanta ; solo cin- quanta sono presenti, gli altri hanno il carico di funzioni straordinarie. Parecchi fra essi sono vestiti all’ europea. Il presidente Notarà è rispettato generalmente, non tanto per l’ antichità della sua famiglia ch'è forse la più illustre della Morea, quanto per la sincerità del suo patriotismo. Tricupi, di Missolongi, è il più eloquente de’ loro oratori. Quantun- que sieno nell’ assemblea parecchi partiti animatissimi, nul- ladimeno le discussioni sono state sempre condotte con la maggiore decenza. Tre giorni dopo il mio arrivo a Napoli, cioè ai 24 di aprile, fu annunziato come l’esercito greco era stato sconfitto dagli Egiziani, con la perdita di cento qua- ranta uomini, tra’ quali i generali Zafiropulo e Xidi, ed i colonnelli Eleuteri e Cormoriti. T. XX. Novembre. 9 130 II. Tenzone de’ capitani Moraiti contra il Governo. Viaggio ad Argo. Durante 1’ ultimo autunno, i capi della Morea, Zaimi, Londo, Delijani, e Sessini, bramosi di prender parte al go- verno , dichiararono, colle armi in mano , che secondo l’atto costituzionale il potere esecutivo ed il potere legislativo an- davano rinnovati, poichè l’ anno della loro durazione legitti- ma era spirato. Colocotroni si aggiunse ad essi con altri gene- rali , acconsentendo a servir loro di strumento, nella mira d’impadronirsi poscia per sè solo del potere. Il governo, at- taccato in quel momento su mille punti diversi dall’ inimico, stimava un simile cangiamento pericoloso e poco praticabile. Egli prese dunque le armi con gran vigore per rispingere una inchiesta, che mostrava inoltre i segni anzi d’ una solle- vazione che d’ un semplice richiamo. Non risparmiò nè a da- nari, nè a lusinghe per far muovere i principali capi de’Ro- meliotti, ed impegnarli ad entrare nella Morea. Coletti ebbe l’ incarico di questa spedizione; e con una celerità non pre- veduta ed abili disposizioni, egli sconfisse, disperse, e di- sarmò i sollevati, e sforzò i capi a rimettersi alla discrezio- ne del governo, tranne Zaimi e Londo, i quali cercarono un ricovero fuori della Morea. Dopo un tale successo, il gover- no volendo mettere a profitto le schiere adunatesi in Morea, che salivano a sette od otto mila uomini, venne in seria de- terminazione di porre l’ assedio a Patrasso e stringerlo con tutta la forza. Il successo ottenuto contra i sollevati, ed il potere che aveva sugli animi dei capitani romeliotti sembra- va che dessero naturalmente al Coletti il comando supremo di tale impresa; ma i suoi emuli, che temevano di veder crescere la potenza e la riputazione di Jui, presero ad invi- diarlo, e giunsero a rapirgli una sì bella e sì luminosa oc- casione. Frattanto Ibraim-bassà , ragguagliato delle divisioni che agitavano i Greci, risolvette di farne suc profitto, di fare uno sbarco nella Morea, e di sorprendere Navarino (Filoca- stro). Difatti, verso la metà di febbrajo , egli sbarcossi a 131 Modone con quattordici mila uomini di milizie regolate , ed alcuni giorni dopo ‘egli investiva quella piazza. Coletti, ch’era il solo atto a far fronte agli Egiziani per la sua incredibile attività, era stato richiamato al centro del governo ; ed il presidente, che mai non avea guerreggiato, prese il comando delle schiere. Alla sua inesperienza si aggiungeva eziandio un’ assai fragile salute, e la febbre gli fece perdere parecchi giorni in Tripolizza. Oltrecciò egli commise l’errore inescu- sabile di fissare il suo quartier generale a Scala , lontano quattro leghe dal campo greco , distanza troppo grande per dargli facoltà di governare facilmente le operazioni : egli fu dunque costretto di deputare un altro generale al co- mando. Ill presidente, sia per isfuggire le gare fra i ca- pitani romeliotti, i quali tutti aspiravano al comando supre- mo, sia per preferenza verso un suo concittadino , elesse per generalissimo un capitano idriotto nominato Scurti, che non avea nessuna esperienza della milizia terrestre. Questa scelta sciagurata ebbe conseguenze ancora più sciagurate. La mattina dei 1g di Aprile i Greci furono d’ improvviso attaccati dagli Egiziani : la maggior parte de’ capi romeliotti combatterono in questa gior- nata con sommo valore; taluni, e fra gli altri Piavella, tra- sportati da un ardore soverchio , scesero incautamente nella pia- nura. Il nemico, superiore di cavalleria di numero e disciplina, sconfisse i greci su varj punti, uccise loro cento quaranta uomini, fra i quali quattro comandanti. Quando tale sciagurata notizia giunse a Napoli sparse la costernazione in tutti gli ordini di persone. Fin dalla battaglia di Peta , nell’ anno 1822, nella quale i Greci perdettero dugento uomini , essi non avevano pro- vato un infortunio uguale. In tutte le altre battaglie essi non per- devano d’ ordinario più di dieci, sedici , o venti uomini. Quan- do Marco Bozzari restò ucciso , non perirono con lui che undi- ci soli combattenti. Un soldato di Wagram e di Waterloo sorri- derà forse alla descrizione di tali battaglie , come noi sorridia- mo leggendo la pugna de’ topi e delle ranocchie in Omero. Ma il destino delle nazioni non sempre dipende dal numero de’mor- ti. In Maratona, gli Ateniesi salvarono il Joro paese a prezzo del sangue di soli 192 uomini valorosi ; e più d’ una volta la morte Li di alcuni uomini s’ è tratto dietro la rovina delle repubbliche 132 italiane del medio evo. E che sono le battaglie di. Bolivar se non se tante scaramucce , se si vuol raffrontarle con quelle di Napoleone? Nulladimeno le loro conseguenze saranno ben più durevoli e più gloriose. Una tale sconfitta toccata dai Suliotti e dai Romeliotti, che sono le migliori truppe della Grecia, umiliava anche perciò ed avviliva sempre più i Greci. In una nazione poco numerosa , i combattenti eccitano più vivamente l’ altrui premura e affezio- ne che fra un gran popolo: tu:ti conoscono la topografia del pae- e, tutti sanno il nome dei combattenti ; ciascuno è consapevo- le delle azioni del suo vicino, del suo amico, del suo congiunto; ed io quanto a me provava un gran piacere a meschiarmi fra i crocchi che incontrava nelle vie , ed ascoltare le maraviglie che ciascuno veniva narrando intorno alle persone da lui conosciute. I Greci sono sempre gran parlatori, ed era per me un vivo pia- cere il vedere ripresentarsi agli occhi miei le scene descritteci da Demostene , e quella folla oziosa, curiosa , ciarliera, che chiedeva dappertutto le nuove di Filippo. Io era premuroso di soddisfare a’ miei impegni, ch’ eran quelli di consegnare al- cune lettere al presidente in persona, e nello stesso tempo io erami posto in cuore di vedere co’ miei propri occhi il teatro della guerra. Io mi prevalsi dunque della compagnia del generale Roche che aveva l’incarico d’una commissione presso il presidente. Egli era spedito in Grecia dal comitato greco di Parigi, a cui tale scelta fa onore. Il generale Roche è un soldato veterano, ha un’aria marziale, cuore gentile, è fran- co, amabile, insomma un francese a vecchi mustacchi. Io ringraziai la ventura che mi dava un COETRE di viaggio tanto utile e caro. Noi entrammo in cammino circondati da dieci pe ch’ erano la nostra scorta , sopra cattivi e magri cavalli seguiti da sei asini o muli che portavano i nostri famigli e Te ‘nostre robe.La nostra piccola carovana entrò in Argo al cader della notte. Questa metropoli dell’antica monarchia del possente Aga- mevnone comprende al presente ‘al più al più dieci mila abi- tanti. Le vie sono larghe e regolari; le case quasi tutte di legno, con portici pur di legno, hanno una forma svelta ed elegante. Dal tempo della rivoluzione essa fu saccheggiata mi- ' 133 seramente prima dai Turchi , e poscia dai Greci ; orà comincia a risorgere dalle sue ruine. Mentre ci si stava preparando la cena, l’eparco o prefetto , co’ suoi consiglieri e cogli altri capi della città, ci condusse a vedere il sito della nuova uni- versità. Un ricco negoziante greco, nominato Varvaki , lasciò morendo un fondo di più di cento mila franchi per fornire le spese di questo istituto. La città comperò il vasto sito d° un bazar o mercato turco, del quale altro più non resta che il muro di circuito con una fontana nel mezzo. Ma qual non fu il mio piacere nel trovare una scuola di mutuo insegnamento, fabbricata espessamente dal governo, ed aperta solo dal mese dell’ ultimo decembre? La scuola è costruita sopra il disegno delle scuole inglesi; ma è troppo piccola pei dugento ragazzi che la frequentano. Vicino affatto ed attenente alla scuola ri- mane l'albergo del maestro, il quale studiò tal metodo d’ in- segnamento a Buckarest sotto il signore Cleobulo , che seguì, com’io credo, le scuole di Parigi. L’ istituto serve tanto per le giovinette che pei giovanetti, e i due sessi vi sono ‘ sepa= rati un dall’ altro. Per evitare l’ inconveniente di unirli in- sieme in uno stesso edifizio, ed assicurare ad un tempo una educazione così diligente alle fanciulle, una egregia donna di Scio propone di fabbricare per esse una scuola adiacente , ed ormai sì sta trattando su i mezzi di porre in esecuzione un tale proponimento. Io insisto su tale materia affinch’ essa venga conosciuta dalle pie e generose dame d’ Edimburgo , le quali si sono poste in cuore di diffondere l’ istruzione fra le gre- che donzelle. Oltrecciò noi vedemmo le mura sorgenti d’una chiesa greca, che si sta fabbricando colle rovine d’una mo- schea, costruita ancor essa cogli avanzi d’una vecchia chiesa greca, che forse dovea pur la sua origine ai resti di qual- che antico tempio : in tal guisa gira la ruota della fortuna, e questo mondo nou è altro che una distruzione ed una rige- nerazione degli stessi elementi. Al nostro ritorno una giovinetta venne a dar l’acqua alle mani di tutti: sa Una schiava cortese arreca una brocca d’ oro piena » d’acqua fresca .e trasparente, e la versa in un gran lava- » tojo d’argento; ciascuno si lava ,,. (Omero , Odiss.). 134 Dopo questo lavamento , noi ci mettemmo a sedere colle gambe incrocicchiate sopra tappeti, intorno ad una mensa, ov’ erano apparecchiati agnello, capretto , e pilaf, latte rap- preso che si mescola col pilaf, cacio fresco di capra, e delle arancie. Tratto tratto un giovane palicari portava all’ intorno una coppa d’argento piena di vino: », Alcuni giovanetti, vivaci ed allegri, facevano il giro », ed empievano le nostre coppe infino al colmo ,,. (Odiss.). Dopo aver bevuto alla salute dell’independenza della Grecia, ed aver lavato un’altra volta le nostre mani, noi ci levammo di tavola, e la stessa giovinetta stese sopra i t:ppeti delle pelli e delle coperte che ci servirono di letti : »» Frattanto gli schiavi d'Achille apprestarono un letto ;, con pelli tappeti e molli stofe. Quivi il venerando Fenice 3, dormì un sonno pacifico infino all’ora in cui l’ aurora be- »» nefica venne a ricondurre il giorno ,,. (Iliad. IX.). Io cito Omero , ron per far mostra della mia scienza, ma per far vedere al lettore con qual fedeltà la Grecia ha conservato le sue più antiche costumanze dopo tanti secoli d’invasioni, di conquiste, e di sciagure. ( saranno contiruate ). [—————_—T—_—r—rm—_—_tm—m——__mr——————T_—_—_—_——__—_—m——_—_—_Ém—ÉÈ—m_t__z__tm_——__tt tb BULLETTINO SCIENTIFICO. N.° XXVI. MVovembre 1825. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il giorno 19 marzo di quest’ anno 1825 fra le ro e le 11 ore del- la sera fa veduto all'orizzonte di Edimburgo un arco luminoso ri- splendentissimo , che comprendeva Polluce e la maggior parte delle stelle della grande Orsa. Si stendeva dall’est all’ ovest , e passava al sud della cintara d’ Orione ad una distanza eguale alla lunghezza della stessa cintura. L’ arco che passava sopra lo zemth era in que- sto punto più largo , e si andava ristringendo secondochè si avwici - nava all’ orizzonte; ma a circa 10 gradi al disopra dell’ orizzonte stesso dalla parte d’ occidente l'arco si curvava verso il nord , ed al 135 punto della curvatura la luce dell’ aurora appariva. più intensa. Per un certo tempo questa luce parve perfettamente fissa, ma allorquan- do cominciò a rischiararsi presentò lo spettacolo delle vacillazioni ir-» regolari che si osservano nella luce della aurora boreale.Nel medesimo istante questa comparve al nord, ma senza confondersi col suddetto arco che rimase isolato. Per riconoscere secondo qual legge la rugiada si depositi a di- verse altezze al disopra delle superficie del terreno , il sig. Harvey ha fatto delle osservazioni insieme col sig. Pridham in cima della torre di S. Andrea a Plimouth , e sopra un prato vicino. La notte del 21 maggio 1825 fu serena e tranquilla, ma il cie- lo non era perfettamente puro. La temperatura era di 8°,44 Aéaum. tanto in cima alla torre, quanto tre piedi sopra il suolo , e sì man- tenne costante per tutta la notte. La temperatura dell’ i era di 7°,77- Alcune lastre di vetro e di stagno, sopra le quali erano dei fiocchi di lana del peso di 12 grani, e che presentavano all’ aria un egual superficie raggiante furono poste sull’erba, ed altre similmen- te in cima della torre. La mattina seguente a 6 ore , pesati i diversi fiocchi di lana per riconoscere dall’ aumento di peso la quantità del- la rugiada depositata respettivamente sopra di essi , fa trovata di 14. grani indistintamente su tutti quelli del prato, e 7 e mezzo indistin- tamente su tutti quelli della torre. Così la quantità fu molto minore in alto che presso al terreno, ma eguale nelle due stagioni sopra masse della stessa materia collocate sopra corpi d’ inegual raggia- mento. Siccome Gersten aveva osservato che si deposita assai più ru- giada sopra una superficie orizzontale che sopra una verticale, il sig. Harvey per verificarlo espose in una notte perfettamente serena due pollici al disopra dell’ erba un cubo di stagno vuoto di 6 pollici di lato , dopo aver collocato sulle di lui quattro facce verticali e sulla superficie dei fiocchi di lana d’ un egual superficie raggiante. Pesati questi la mattina seguente a ore 5 trovò che mentre nel fiocco delia faccia superiore si erano depositati 15 grani di rugiada, non ge ne era depositato sopra ciascuna delle facce verticali che 5 grani. Ri- sulta da ciò che se le quantità di rugiada depositate sono la misura del raggiamento della superficie, quella della faccia superiore sta a quella delle laterali come 3 a 1, differenza che non può provenire se non dalla posizione delle superficie. Le goccie di ragiada di cui, tutte le facce laterali del cubo erano coperte erano assai più grand" in alto che in basso, e gradatamente decrescenti. Ripetuta l’ esperienza in una notte in cui soffiava un leggiero 136 vento di levante ; con voltare direttamente di contro a questo una delle facce laterali del cubo , sulle quali egualmente che sulla supe- riore erano stati posti i soliti fiocchi di lana, fu trovato che sulla lana della faccia superiore si erano depositati grani to di rugiada , e che mentre su quella della faccia esposta al vento non se n’era depo- sitato che grani 1 e mezzo, sulla lana della faccia opposta ben difesa dal vento se n’ erano depositati grani 5 e mezzo. La lana poi di cia- scuna delle altre due faccie laterali ne aveva ricevuto 2 grani. Il sig. Harvey pensa che l’ azione del vento sopra la lana di queste due ultime facce diminuisca l’effetto del suo raggiamento ; ma sembra piuttosto ad altri che il rinnuovamento dell’ aria opera- to dal vento restituisse ai fiocchi di lana il calorico che andavano perdendo per raggiamento. Nel dì =6 del decorso mese d'Agosto il Sig. Edmondo Clark di Londra, ed il capitano Markham Shewill! montarono sulla cima del Monte bianco alle ore tre dopo mezzo giorno. Sette guide li accom- ‘pagnavano. Tutti provarono un freddo estremo, specialmente al di sopra della Rocca-rossa ove erano direttamente esposti al vento di tramontana. Il basso dell’ orizzonte era un poco coperto , il cielo di colore azzurro molto intenso, La luce del sole era abbagliante, ed il di lui diametro apparente non eccedeva tre pollici e mezzo. Sulla ci- ma estrema della montagna il barometro era a 15, 9, 6, ed il termo- metro esposto al sole dalla parte d’Italia , dove il freddo era meno intenso segnava zero, In quel medesimo tempo a Chamouni il baro- metro cera a 25, 4, 5 ed il termometro a 14 sopra a zero. Presso la ‘cima i viaggiatori videro due cornacchie col becco e coi piedi gial- li. Anche il sig. dot. Paccard che il primo salì su questa cima nel 1786 vi osservò due simili animali. Tutta la comitiva non senza avere in- contrato notabili ostacoli, ed anche corso qualche pericolo , giunse senza alcun sinistro accidente la sera di quel giorno stesso al luogo detto i grands mulets , ed il giorno seguente a Chamouni. Fisica e Chimica I fisici non sono concordi nello spiegare come accada la separa- zione degli elementi d’ un liquido composto, impegnato nel circuito elettro-voltaico , per cui se il liquido sia salieno comparisce al polo positivo l’ acido, al negativo la base. Alcuni col sig. Biot pensano che il liquido condattore si divida in due porzioni investite da elettrici- tà opposte, e che dei componenti il sale ciascano in forza dell’ elet- trieità propria passi in quella porzione del liquido che possiede un* 137 elettricità contraria. Altri spiegano la separazione ed il trasporto de- gli elementi ammettendo una scomposizione del liquido nei puoti di contatto con ciascuno dei poli della ‘pila , ed una ricomposizione fra tutti gli elementi intermedii. Il sig. Augusto De la Rive, dotto fisico ginevrino , ha intrapre- so a schiarire una tal questione per mezzo d’ ingegnosi esperimenti. Fissati due diaframmi verticali di vescica nell’ interno d’un va- so , e divisane così la capacità iv tre caselle, che ha riempiute d’ una soluzione d’idroclorato di soda, ha immerso nelle due estreme j poli della pila. La soluzione salina , precedentemente colorata in turchino con tintura di viole , è divenuta rossa nella casella-in cui/ era immerso il polo positivo , verde in quella del negativo, restando del color primitivo nella casella intermedia ; lo che prova non divi- dersi il liquido in due porzioni una acida l’ altra alcalina, ma can- giarsi il colore per la presenza dell’ acido e dell’ alcali , che s1 ac- cumulano intorno ai poli respettivi. Nell’ intenzione di riconoscere donde vengano le molecole isola- te sì dell’acido che della base, l’autore , per mezzo di due pezzi di vescica , ha.diviso la capacità interna d’ un tubo di vetro chiuso in tre compartimenti, da ciascuno dei quali partiva un sottilissimo tubo ascendente. Fatti comunicare i due poli della pila col liquido delle due caselle estreme , e dato luogo ad una sufficiente ‘scompo- sizione , intendeva egli di riconoscere dall’ alzamento o abbassamento del liquido nei tre tubi le variazioni di volume sofferte dal liquido di ciascuna casella. L'esperimento fatto con acqua pura non ha dato risultamento soddifacente , a motivo d’un fenomeno d'impulsione osservato per la prima volta dal sig. Porret, per cui il liquido è spinto a traverso della vescica nella direzione dal polo positivo al negativo , cosicchè essendo piena la prima casella e quasi vuota la seconda , il liquido passa da quella in questa , non solo fino a livellarsi, ma anche ele- vandosi più nella seconda che nella prima. Questo fenomeno singo- lare, che il sig. De la Rive non ha osservato se non operando con ac- qua pura , sembrerebbe provare l’ esistenza d’ una sola corrente dal polo positivo al negativo. Sostituita all’ acqua pura una soluzione salina , la scomposizia» ne del sale non lascia distinguere i risaltamenti della scomposizione dell’acqua, poiché la base e l’acido accumul andosi respettivamente ‘a ciascuno dei poli, fanno variare inegualmente il volume del li- quido nelle due caselle estreme. Tuttavolta l’ autore crede poter ‘ concludere dai suoi esperimenti che la scomposizione ha luogo itte torno a ciascuno dei poli. 138 Quanto all’ altra ipotesi proposta da Grotthas per spiegare il trasporto degli elementi , e nella quale si ammette una ricomposi- zione del liquido in tutta la sua estensione da un polo all’altro, vi ripugnano due fatti, uno dei quali osservato dai sigg. Hisinger e Ber- zelius, 1’ altro dallo stesso sig. De la Rive. I primi due fisici hanno riconosciuto che facendo comunicare fra loro per mezzo d’ un sifone pieno d’ acqua pura due soluzioni di sali diversi, in ciascuna delle quali sia immerso uno dei poli della pila, ambidue le basi si trova- no al polo negativo, ambidue gli acidi,al positivo. Il sig. De la Rive poi, divisa per mezzo d’ una vescica la capacità d’ un vaso in due caselle, e posta in una di queste della soluzione di solfato di zinco , e nell’altra dell’acqua, ha veduto comparire al polo negativo immer- so nell’ acqua l’ ossido di zinco , il quale traversando l’acqua non aveva potuto combinarsi di mano in mano coll’ acido solforico. Nell’ insufficienza di queste spiegazioni, 1’ autore ne produce una nuova, e sua propria : eccola. Dal momento in cuii due poli della pila sono immersi in un li- quido condattore ; si stabiliscono le due correnti elementari della pila stessa , ciascuna delle quali è dotata d’ un’affinità molto energi- ca per le molecole di natura opposta. La corrente che esce dal polo positivo investe la molecola contigua , s’ impadronisce del suo idro- gene, se è acqua, della sua base se è un sale , e lascia 1’ ossigene e l’acido , che restano liberi in quel punto stesso , cioè presso il polo. Questa corrente tendendo con una certa forza d’impulsione verso il polo negativo , trasporta seco a traverso del conduttore umido le particelle a sè unite; ma non potendo farle entrar seco in un con- duttore secco , qual’ è il metallo, le abbandona entrando nel polo. La corrente negativa agisce nel modo stesso sull’ossigene e l’ acido delle molecole che incontra sortendo dal polo. In questo modo di vedere , gli elementi accumulati intorno a ciascano dei poli proven- gono da due sorgenti: 1.° dal distacco dell’ altro elemento corri- spondente portato via dalla corrente ; 2.° dall’elemento simile ap- portato dalla corrente che arriva dal polo opposto. Nelle fabbriche nelle quali si riduce l’ olio in gas per\illumina- re , sì trova nel serbatoi ove il gas resta compresso un sliquido sen- za colore, meno pesante dell’ acqua, la quale non lo discioglie , so- lubile nell’ alcool, nell’ etere, e negli olii, che discioglie ottima- mente il caoutchouc, o gomma elastica, e che arde con fiamma tran- quilla. Il sig. F2raday distillandolo ne ha ricavato una serie di pro- dotti diversi i primi dei quali assai volatili, gli altri gradatamente meno, di modo che alcuni dopo più rettificazioni, e mediante il raf- \ 139 freddamento , si sono convertiti in una massa solida e cristallizzata. La pressione operata a basse temperature , gli ha procurato una s0- stanza particolare , che egli ha riconosciuto per un nuovo composto di carbonio e d’ idrogene. Questa sostanza alle ordinarie temperatu- re si mantien liquida , trasparente , e senza colore ; il suo peso spe- cifico è 0, 85. Al di sotto dei gradi 4 e mezzo del termometro di Réau- mur si solidifica in cristalli dendritici, A 14 sotto zero diviene una so_ stanza bianca, trasparente , friabile, polverulenta. Scaldata a 72, bolle dando un vapore assai pesante , e che ad una temperatura un poco più elevata si scompone, depositando del carbonio. Il sig Faraday ha analizzato questa materia combustibile , fa- cendola passare sull’ ossido di rame infuocato, e facendo detonare il suo vapore col gas ossigene. Così ha riconosciuto essere ella formata di due proporzioni di carbonio e d’ una d’ idrogene ; però le ha da- to il nome di dicarburo d’ idrogene. Dalle porzioni più volatili di quel primo liquore ottenne poi un prodotto, che conservando lo stato di gas alle temperature ordina- rie, si condensa a quella di 14 sotto zero in un liquido del peso spe- cifico di o, 627, che è perciò il più leggiero liquido che si conosca » e che sebbene composto d’ una proporzione di carbonio una d’ idro- gene, come il gas oleofacente, pure presenta allo stato di gas un vo- lame di metà minore per una più grande condensazione dei suoi due componenti. Il sig. Berzelius avendointrapreso una nuova analisi delle acque minerali di Boemia, ha scoperto in esse la Litina , sostanza alcalina non trovata fin qui che in alcuni minerali. Il processo di cuì si serve per riconoscere la presenza di questa base in un’acqua minerale con- siste nel versarsi una soluzione di fosfato di soda , quindi evaporare fino a secchezza , e ridisciogliere in acqua fredda. Se vi esiste liti- na, essa rimane unita all’ acido solforico ed alla soda in stato di fos- fato doppio insolubile di litina e di soda, Il sig. Berzelius presume che questa stessa base alcalina esista nell’ acqua del mare. Il sig. Henry, che nella prima parte d’una sua memoria, di cui fu parlato nel precedente bullettino, aveva esposto gli effetti dell’ a- cido carbonico sugli idrosolfati , fa conoscere nella seconda parte quelli che produce l’ acido solforico sui carbonati o neutri o sopra- saturati. Le sue esperienze gli hanno dimostrato che mentre dai sot- tocarbonati di potassa e di soda si sprigiona prontamente per l’azione dell’ acido idrosolforico , l’ acido carbonico , questo non si sprigiona dai carbonati neutri se non dopo uno spazio di tempo lunghissimo , 140 ‘formandosi bensì in questo caso dei bicarbonati, lo che ha ricono- sciuto per mezzo d’ un sale di magnesia, che non produsse precipi- tazione a freddo , ma soltanto coll’aiuto del calore. Questi risulta menti lo hanno condotto a concludere che siccome l'acido carbonico scompone gl’ idrosolfati alcalini e quello di magnesia , così il gas aci- do idrosolforico scompone i carbonati di potassa e di soda saturati o neutri, eliminando l’ acido carbonico ; che questa scomposizione è difficilissima ad operarsi completamente, ed esige una corrente di gas acido idrosolforico continuata per un tempo lunghissimo ; che sebbene si effettui tanto nei bicarbonati quanto nei carbonati neutri; vi è la differenza che dai primi comincia subito a sprigionarsi l’ a- cido carbonico , il quale non si sprigiona dai secondi se non dopo uncerto tempo , e quando tutto il sale è divenuto bicarbonato ; che cominciando da questo punto a sprigionarsi, continua fino alla totale eliminazione, ed alla intera trasformazione del sale in idrosolfato; che in fine dei carbonati di calce, e di barite, contenenti acqua, e di- sciolti per mezzo d’acido sono poco alterati dall’acido idrosolforico. Il sig. Payen , dopo aver considerato che |’ acido borico prepa- rato col metodo comune , cioè precipitandolo da una soluzione di borace per mezzo dell’ acido solforico è sempre impuro, contenen- do del solfato di soda e dell’acido solforico , propone di sostituirgli l’acido borico nativo di Toscana, che da alcuni anni estraendosi abbon- dantemente per evaporazione dalle acque dei così detti /agoni del territorio volterrano , si trova a facil prezzo in commercio , e che si ottiene puro disciogliendolo, e facendolo cristallizzare una o due volte. Il sig. Pajot Descharmes ha insegnato il seguente processo per rettificare o rendere più spiritosa 1’ acqua vite, o i liquori alcoolici senza distillazione, e però senza fuoco. Si pone in un vaso a fon- do piano, proporzionatamente largo e poco fondo l’acquavite , o al- tro liquido da concentrarsi e privarsi d’acqua. Dentro a questo vaso se ne pone un secondo alquanto meno fondo del primo, an- ch’ esso di larga superficie, e sostenuto sopra tre o più piedi , pieno d’un sale deliquescente, come gl’idroclorati di calce o di manganese, perfettamente disseccati, e ridotti in polvere non troppo fine. Si chiude ermeticamente il maggior vaso con striscie di carta incollata © impastata, ed aperto dopo tre o quattro giorni , si trova il sale al- quanto inumidato per l’ acqua assorbita dal liquore alcoolico o sa- lino , che si trova proporzionatamente rettificato o concentrato. Rin- novando un certo numero di volte il sale deliquescente con tornare a I4r chiudere e respettivamente aprire l’ apparato , si giunge a portare l’acquavite da dieci o quindici gradi del pesaliquori di Baumé a qua- ranta o quarantadue, ed a concentrare proporzionatamente i liquidi salini, ed altri. ‘ Noi stessi abbiamo da lungo tempo impiegato un simil mezzo , bensì con una differenza , che ci sembra comoda e vantaggiosa. In- vece del sale deliquescente in polvere , introduciamo nell’ apparato un certo numero di dischi di tela d’un diametro poco minore di quello del vaso esterno , e per noi unico , imbevuti d’ una soluzione concentrata del sale deliquescente , fortemente disseccati alla stufa e disposti in un insieme o sistema, che li ritiene in un piccolo spa- zio, e nel tempo stesso separati uno dall’ altro da intervalli suffi- cienti a permettere la circolazione o almeno il libero accesso dell’a- ria interna dell’ apparato. Avendo due di questi sistemi di dischi, possiamo sostituire immediatamente a quello che si estrae inumidi- to l’ altro convenientemente disseccato. Raccomandiamo caldamente ai farmacisti quest’ apparato per tutti quei casi nei quali si tratta di evaporare sughi vegetabili, o al- tri liquidi facilmente alterabili per il calore, o per l’ azione prolan- gata dell’ aria atmosferica. La disposizione più semplice consiste nel cuoprire il vaso che contiene il liquido da eva porarsi con una campa- na di vetro, alla volta interna della quale si è adattato un uncino per altaccarvi l’ indicato sistema di dischi. Mineralogia. Un minerale trovato a Pargas in globi raggiati, e giudicato dapprima per una tremolite , il sig. Bornsdor/f, avendolo analizzato, lo ha trovato composto di un bisilicato di calce, e perciò da aggregarsi allo spato in tavole. Lo stesso errore era occorso per un minerale di Perhoniéme , che il sig. iose ha parimente tro- vato essere un zafelspath dei Tedeschi mineralogisti. Una varietà d’ idocraso trovata a Christiansand nella Norve- gia , oltre l’ avere un volume straordinario , si distingue per la scalatura sensibilissima degli strati secondarii sul nucleo del cri- stallo, e molto si assomiglia nella forma ad una già nota, e che il sig. Hauy ha descritta nella sua opera. Alcuni cristalli com pleti di rame piritoso esaminati dal sig. M/aidinger lo hanno po_ sto in grado di giudicare che l’ottaedro regolare non sia la forma primitiva di questo minerale, ma invece un ottaedro a base qua- drata, lochè è confermato dalle osservazioni del sig. Wollaston 142 ) » per mezzo del suo goniometro di riflessione. A queste osservazioni il sig. Haidinger ha aggiunto un più completo sviluppo della storia cristallografica di questo minerale, come pure la descri- zione di otto altre nuove forme. Paleontografia. Le ossa fossili di mammiferi, per un numero grande di 0s- servazioni esatte, sembra che non appartengano se non a terreni più recenti della Calce carbonata terrosa , craie de’ Francesi , men- tre in terreni più antichi di ossa , s'incontrano fossili delle classi inferiori, particolarmente d’invertebrati ; il qual fatto ci assicura di un altro, che la terra sia stata più tardi popolata dagli ani- mali delle classi più perfette, e che gli ultimi animali; che vi abbiano preso abitazione, sono l’uomo, ed i mammiferi a lui più somiglianti, de’ quali, checchè ne sia stato detto , non si trovano vestigii fossili. Pure , nonostante questa osservazione eretta in ca- none da una consonanza di fatti concordi, la massima parte dei geologi inglesi hanno annunziato che negli schisti calcari oolitici di Stonesfield presso Oxford, i quali essi riguardano come subor- dinati alla formazione oolitica media , o calcario giurassico, si racchiudono molluschi , crustacei, insetti , pesci, rettili, ossa di uccelli, e di un piccolo mammifero, che hanno creduto essere ìl Didelphis Opossum , ma che meglio osservate sembrano appartenere ad un nuovo genere d’insettivori, in qualche parte però analogo ai didelfi. Il sig. Prevost però, osservando con maggior accuratezza questi schisti, nei quali sono involte le ossa, non ha trovato motivi di riguardare come evidente che essi facciano parte della formazione oolitica ; che anzi trova motivo di dubitarne assai dal vedere , che essi sono particolari ad una sola località, che non sono evidente- mente ricoperti dagli strati, che si credono più recenti di essi, che a poca distanza questi medesimi strati che sono passati per essere più recenti , ricuoprono immediatamente altri, che bisognerebbe riguardare come più antichi degli schisti oolitici ossiferi , senza che questi si trovino collocati tra i due sistemi, che la massima parte dei fossili che accompagnano le ossa dei mammiferi non si veggono riu- niti che in un altro luogo solo, ma ivi però in assise superiori alla oolitica, talchè gli strati di Stonesfield compariscono piuttosto al sig. Prevost come un terreno rimosso , e come rimpastato , e deposto in un bacino particolare della cavità del suolo oolitico. In una caverna calcaria situata sulla destra del canal di Cassano 143 nella Spezia , il sig. Prof. Paolo Savi ha riscontrato |’ esistenza di varie ossa, fra le quali, oltre ad alcuni frammenti di ossa di ruminanti, ne ha trovato di Leone, e di Tigre, e dell'Orso Speleo. All’occasione di tale ritrovamento, egli esamina in qual’epoca questi animali sieno vissuti , e dal non appartenere, l’ossa dell’ Orso in specie, alle spe- cie viventi , ne deduce , che questi animali vissero avanti il sistema attuale degli esseriorganizzati , e dall’essere i loro ossami non roton- dati, o smussati punto da ruotolamento, dedace col sig. Cuvier col sig. Bukcland ed altri osservatori , che essi hanno vissuto , ov’ ora si trovano le loro ossa , e che le caverne erano il loro ricovero, al quale trascinavano questi carnivori le loro prede per divorarsele, lo chè è stato posto nella più chiara evidenza dal sig. Buckland che ba trovato nelle caverne inglesi le ossa degli animali frugi- vori mezze rose, e che mediante la scarsezza dei pezzi, che il sig. Savi ha potuto raccogliere, non si è per anco veduto in quelle di Cassano. Vicino a Montpeiller il sig. Marcel de Serres ha pure tro- vato una caverna abbondantissima in ossì fossili, i quali sono am- massati confusamente, e senza rappresentare punto nella loro posizione quella , la quale essi avevano nei respettivi scheletri. Fra queste ossa se ne trovano di Leoni, di Orsi, di Pantere, di ‘Tigri, di Iene, di Lupi, di Volpi, di Cani, di Tassi, mescolate con varie di animali erbivori, come [ppopotami, Cignali, Pecore, Cavalli, Cervi, Alci, Daini, Caprioli, Montoni , Bovi, Topi, Conigli, ed anco di Cam- melli, della quale specie non si sono per anco trovate ossa fossili. Inoltre, queste ossa non vi sono intiere, e poichè la caverna giace in un terreno di alluvione con ghiaie, potrebbe credersi, che vi sieno state spinte , e cacciate nell’ alluvione medesima : su di che però il | sig. Serres ha sospeso il formare qualsisia ipotesi prima d’ avere esa- minato a fondo tutto il complesso dei fatti. Le ossa contengono della sostanza animale , e più delle ossa medesime , la terra che le com- prende. Zoologia. L’ Accademia delle Scienze di Francia avendo incaricato i sigg. Cavier, e Latreille di darle relazione di ciò che i sigg. Lesson, e Gar- not medici di marina hanno portato di animali dal loro viaggio fatto col Cap. Duperrey , irelatori hanno primieramente osservato di quanta maggiore utilità , e di più gran pregio per la storia natu- rale sieno per ogni riguardo riescite le ultime spedizioni , nelle quali 144 sono stati incaricati di raccogliere oggetti naturali i medici di marina addetti alla spedizione, istruiti anticipatamente nella pratica di'prepa- rare e conservare gli animali , adatti, per la loro istruzione come me- dici , ad osservare in modo più utile , e congruente alla scienza, e per la loro posizione, secondati meglio dagl’impiegati sul vascello, ed in. sieme vincolati al governo, sicchè per questo motivo , e le loro note ed appunti non vengano a smarrirsi in caso di morte dialcuno di loro, e la loro raccolta venga ad esser consegnata interamente allo stato, che ne. fa depositario e giudice il primo stabilimento scientifico della francia, e possiamo ancor dire dell’ Europa. Queste mede- sime spedizioni hanno avuto ancora il vantaggio, che gli oggetti so- no stati eccellentemente conservati , e preparati, che molti, più facili ad alterarsi nei loro colori o forme, sono stati disegnati, che sulla massima parte ne sono state prese le congruenti note , relative alla regione, alle abitudini, alla stagione, agli usi, per servire di materiale alla loro storia, sw di che i soprannominati Lesson, e Garnot , come pure Quoy, e Gaymard riportano il vanto su tutti i precedenti viaggiatori. Della spedizione di questi ultimi, e dei frutti diessa, il pubblico è informato per mezzo della grand® opera che si stampa , nella quale essi van registrando le loro osservazioni e la descrizione degli oggetti nuovi, o che meritano di essere illa- strati, ed hanno a parte pubblicate varie osservazioni , fra le quali recentemente alcune sulle difore, sulle deroe, e su varii nuovi generi di molluschi , e di zoofiti, ed il loro compagno sig. Lesson ha pub- blicato, a spese del governo , una memoria sulla distribuzione geo- grafica degli uccelli marini. In quanto poi ai primi , essi hanno portato varii cranii di diffe - renti razze della specie umana , fra gli altri quegli di una popolazio- ne poco conosciuta , abitatrice dell’ interno della N. Guinea, 12. specie di quadrupedi, uno dei quali è una lepre di specie nera, sconosciuta finora ai naturalisti, 2 cranii del delfino a scapolare bianco di Peron, 254. specie d’ uccelli, 46. delle quali proba- bilmente nuove, 63 rettili, circa un terzo de’ quali non descrit- ti da alcun naturalista, nel qual caso pure sono 80 specie di pesci sopra 288 che ne hanno portate ; 120 specie di conchiglie , 60 cru- stacei, vari molluschi , zoofiti, ed echinodermi. M. Darville unito ad essi lia aggiunto una collezione di 1200 insetti» 3o0 dei quali di specie nuove , e gli ha depositati pure al museo. Frutto del viaggio del vascello della conchiglia si è parimente una memoria del sig. Lesson sulla distribuzione geografica di varìi uccelli marini, e sulle diverse specie, le quali sono state da esso 145 osservate, alcune delle quali sonò nuove, come pure sopra certe loro abitudini. ARTI INDUSTRIALI, Il barone Car/o Dupin, membro dell’ Istituto di Francia , ha intrapreso la pubblicazione d’un corso di geometria e di meccanica applicata alle arti, ai mestieri, ed alle belle arti, opera che riuscirà sommamente utile ad un gran numero di professioni industriali, per essere a portata d’ogni genere d’artigiani, non supponendo in quelli che vorranno studiarla altre cognizioni che quelle delle quattro re- gole dell’aritmetica. Mentre un gran vascello a vapore viaggia per l’ Oceano dalle bocche del Tamigi a quelle del Gange ; mentre altri bastimenti in- glesi dello stesso genere son destinati a stabilire delle comunica- zioni fra Alessandria e l’ isola di Malta, diverse intraprese simili, benchè meno vaste , tendono giornalmente a rendere più attiva la navigazione fra le città di commercio , sui fiumi, laghi, e nei mari interni dell’ Europa. È. Un battello a vapore va da Amburgo a Londra in 60 ore. Un altro naviga fra Kiel e Coppenaghen a traverso del Baltico. Una com- pagnia si forma in questo momento a Coppenaghen stessa per sta- bilire un battello a vapore sul Katégat. Un pacbotto a vapore naviga sul golfo di Finlandia fra le capi=/ tali della Russia e della Svezia. Un battello di nuova costruzione è arrivato a Stockolm per essere impiegato nei grandi laghi interni, e nei canali che, unendo questi laghi, aprono alla Svezia una na» vigazione indipendente dal passaggio del Sund. L'esperimento d’ un battello a vapore sul Danubio fra Vienna e Semelino non è interamente riuscito; ma si crede che alcuni mi- glioramenti nella costruzione del bastimento rimedieranno agl’ in- convenienti incontrati. Questa comunicazione faciliterà il commer ciò con Costantinopoli e con tutto il commercio della Tarchia. I bei laghi delle Alpi cominciano ad empirsi di battelli a vapo- re. Tre ne sono in piena attività sul lago di Costanza, se ne costrai= sce uno sul lago Maggiore. Questi battelli e le nuove strade rende- ranno per metà più rapide le comunicazioni fra Augusta da un lato, e Milano, Genova, Torino dall’altro. Un’ intrapresa che interessa più direttamente la Francia è quella della navigazione a vapore sul Reno. Ecco il ristretto delle nuore pubblicate su questo proposito. | Il battello a vapore i/ Reno ha impiegato 46 ore e 12 minuti T. XX. Novembre. 10 146 nella sua corsa da Magonza a Kehl, e nell’ intero viaggio da Rot- terdam a Kehl quanto appresso : Da Rotterdam a Colonia 37 ore 30 minuti. Sono 59 leghe. Da Colonia a Coblentz 10 iO ai diet Da Coblentz a Magonza PR RR PRE Da Magonza a Manheim LA PR COMIZI) IVI REA SN AGINION i c° Da Manheim a Schrek : IMRE N PRE 2.) REV ESCI RERRRINO DetRo Da Schrek al Forte-Laigi LIRA: FIORE SS STARE 11) Dal Forte-Luigi a KRehl Ears e ti iI, 45 148 L’oggetto principale di questo viaggio d’esperimento , quello cioè di conoscere la forza della corrente , la profondità del fiume, la larghezza del canale , o via navigabile , le sinuosità, ec. è stato completamente ottenuto, e sì sa adesso qual forza e qual forma con- venga dare ai battelli destinati a fare il servizio sull’ alto Reno, anche fino a Bisilea. Il ritorno da Kehl è stato eseguito con una tale celerità , che nei luoghi ove la corrente era rapida, e la macchina spinta con tutta la forza del suo motore, è stata percorsa in dieci minuti quella distanza per la quale erano bisognate tre ore rimontando il fiume, Il tragitto da Kehl a Schrek, nel quale si erano impiegate 23 ore rimontando , è stato fatto in 5 ore. Così d’ ora in poi non bi- sogneranno che 11 0 12 ore per andare da Strasburgo a Magonza. La navigazione a vapore da Rotterdam a Strasburgo sarà messa in attività nell’anno prossimo. Allora si potrà fare il viaggio da Strasburgo a Rotterda m in 36 o al più 4o ore; e siccome anche da quest’ultima città parte un battello a vapore per Londra, col quale corrisponderà il servigio di tutti i battelli a vapore sul Reno , s1 po- trà partire la mattina da Strasburgo, dormire a Magonza, andare nel secondo giorno da Magonza a Dusseldorf, nel terzo a Rotterdam, ed arrivare nel quinto a Londra, attendendo nel viaggio alle sue occupazioni ordinarie, per essere l'interno dei battelli distribuito in modo da somministrare tutti i comodi per il passeggio e per i | lavori sedentarii. Risalendo il fiume si anderà da Rotterdam a Strasburgo in 8 giorni, con battelli opportunamente costruiti; lo che darà al tras- porto delle mercanzie sul Reno una tale celerità, che niun’altra via che maova da un altro porto di mare potrà sostenerne la con- correnza. Se l'Olanda , cedendo ai voti ed all’esempio della Prus- 147 sia, presta qualche facilità , la navigazione del Reno non può non divenire anche pìù florida di quello che lo fosse mai nei secoli passati. Un battello di nuova costruzione imaginato dal sig. T’ournasse di Parigi trasporterà da Parigi ad Havre e da Havre a Parigi le mercanzie a prezzo moderatissimo. Questo battello ha con grandi dimensioni la maggiore leggerezza possibile. Porterà una macchina a vapore della forza di 50 cavalli almeno, ad alta pressione, e senza condensatore. Un vericello mosso dalla macchina a vapore serve con un altro vericello a rimorchiare il battello in quei passaggi nei quali la corrente è troppo rapida, risparmiando così i cavalli. Con questo battello si può navigare in fiumi i quali non abbiano che 30 pollici d’ acqua. Gli abitanti della contea di Darham în Inghilterra hanno go- duto recentemente d’uno spettacolo altrettanto curioso, quanto i risultamenti dell’ esperienza che lo ha presentato potranno essere importanti per la prosperità del paese. È stata fatta con tutta la possibile solennità l'apertura d’ una strada di ferro da Barlington a Stockton. Una grande quantità di carri carichi, alcuni di carbon fossile, altri di farina, altri finalmente d’ artigiani e di curiosi, sono arrivati, tirati da cavalli, a piè del piano inclinato che forma la prima porzione della strada. Ivi i cavalli sono stati staccati. In cima a questo piano inclinato o a questa salita , la di cui lunghezza è di mezza lega , sono state stabilite a posto fisso due macchine a vapo- re, ciascuna della forza di 30 cavalli, destinate a far salire i carri. Dodici di questi, caricati ciascuno di quattromila libbre di carbo- ne , ed un altro che portava una grande quantità di sacchi di fari- na , essendo inoltre tutti tredici coperti di tanti uomini quanti ave- vano potuto collocarvisi giunsero alla sommità della strada in otto minuti. Ivi giunti furono attaccati uno dietro l’altro alla macchina a vapore locomotiva che doveva tirarli nella discesa. Altri carri disposti nel modo stesso furono attaccati appresso a quelli,e fu posta nel mezzo della fila la vettura del comitato e degliazionarii dell’intra presa. Que- sta vettura, nominata l’esperienza, destinata in seguito a trasportare i viaggiatori è della specie di quelle assai prolangate, nelle quali i viaggiatori sono disposti gli uni in faccia agli altri sui due lati. Essa [può contenerne 18. Il numero totale delle vetture che la macchina a vapore locomotiva poteva tirare era di 34, sopra una delle quali ‘era un corpo di suonatori ; tutte erano coperte d’ uomini e decorate di bandiere che portavano diverse divise , e principalmente quella 148 della compagnia : periculum privatum utilitas publica. Ad un se= gno dato, questa fila di vetture si mise in moto colle acclamazioni della moltitadine raccoltasi testimone di questo spettacolo altret- tanto nuovo quanto imponente, e percorse tutta la strada , primie= ramente fino a Barlington , ove fu messo del carbon fossile nei for- nelli e dell’acqua nella caldaia , ed in seguito fino a Strockton, con una celerità media di 10 a 12 miglia per ora. Alcune persone mon- tate sopra eccellenti cavalli da caccia e che correvano al di là delle siepi e dei fossati dai due lati della strada non poterono seguitare il convoglio, Il carico dei carri trascinati dalla macchina locomotrice era di circa 160 mila libbre , e si crede che vi fossero almeno 70 persone sopra queste vetture quando esse giunsero a Stonkton. Nel più forte della discesa , la celerità arrivò fino a 15 o 16 miglia per ora. Questa festa dell’ industria terminò con un gran banchetto. Il sig. Bonnard di Lione ha immaginato diversi meccanismi, medianti i quali è reso più facile, più economico e più perfetto il lavoro di trarre dai bozzoli la seta e filarla. Egli pensa dipendere la perfezione e la bellezza del prodotto specialmente dalle due ‘se- guenti condizioni : 1.° dall’ estrema precisione e regolarità del moto di rotazione dell’ aspo , 2.° da una tal combinazione di questo moto con quello della guida mobile del filo, che questo non torni a porsi nel luogo stesso dove era stato posto precedentemente , se non dopo 190 giri dell’ aspo. I nuovi mezzi del sig. Bonnard sono egualmente applicabili alla filatura o si eseguisca questa con acqua fredda , o con acqua tepida , o con acqua calda. Le sue mac- chine possono essere eseguite dovunque da un artefice intelligen- te, ed il suo processo può anche adattarsi a qualunque stabilimento a vapore montato alla maniera antica. La conservazione delle pitture a fresco esistenti sulla parete degli antichi edifizi che si discuoprono negli scavi di Pompei, ha da gran tempo richiamato le cure del governo e lo studio degli artisti , vedendosi con dolore in alcune pareti o del tutto cancellate dalle in- giurie dell’ aria e d’ altri agenti distruttori, ovvero più o meno dan- neggiate varie pittare a giusta ragione riputate capo-lavoro dell’ ar- te per purgatezza di stile, e molto pregevoli per freschezza di co- lorito , e per i fatti storici o mitologici che rappresentano. Tra gli altri professori di pittura che in Napoli si sono occupati in ricercare i mezzi di ovviare a tanto danno, merita particolare elogio il sig. Andrea Celestino , il quale in seguito di varii esperi- menti è giunto a comporre una vernice attussima a preservare dette 149 pitture dalle alterazioni cui ordinariamente vanno soggette ; ed ani- mato da lodevole zelo per la propagazione dei lumi utili all’ arte che egli professa con lode, anzichè far mistero del suo ritrovato|, ha rassegnato il processo per la preparazione d’una tal vernice a S. M. il re delle due Sicilie , il quale apprezzando il vantaggio che potreb - be risultare da questa utile scoperta, ne ha commesso l’ esame alla R. Accademia di belle Arti, unitamente alla Commissione incaricata dell analisi chimica delle sostanze naturali ed artificiali trovate a Pompei , composta dai sigg. Lancellotti e Covelli , socii della R. Ac- cademia delle scienze. Dalla comunicazione che il sig. Celestino ba fatto risulta che egli prepara la sua vernice facendo sciogliere la cera nell’ olio vola- tile di terebentina (acqua diragia) al semplice calore del sole, e che 1’ applica a freddo sulle pitture. Per riconoscere gli effettti di questa vernice, la commissione ha istituito degli esperimenti chimici, dai quali è risultato che essa non altera punto le tinte , che intercettando Y azione dell’ aria , del- l’umidità fe dell'acido carbonico preserva le pitture a fresco di Pompei dalle alterazioni alle quali altrimenti sogliono soggiacere , e da quella specie d’efflorescenza che suole formarsi sulle pareti, e che hanno riconosciuto consistere di solfato di soda. Quindi la stessa commissione; d’ accordo colla R. Accademia delle Belle Arti , ha proclamato l'utilità dell’ indicata vernice ,' ed ha suggerito le seguenti istruzioni intorno al modo di adoperarla. 1. Che l'intonaco debba essere ben disseccato , e la superficie ove trovasi la pittura ben pulita da quella crosta che ha prodotto l’ aderenza al terreno , e difesa anche con qualche mezzo la parte posteriore della parete dal contatto dell’ aria. 2.° Che la vernice debba essere preparata colla parte più pura della cera, che i chimici chiamano cerina ; sciogliendo un oncia di cera ordinaria in due libbre alcool bollente di gradi 42, filtrando a caldo e lasciando in riposo ; si separa per raffreddamento un deposi- to gelatinoso , che è appunto la cerina e che si separa decantando il liquore soprannotante. Sù tal precipitato non ancor secco si versa una libbra e mezzo di acqua di ragia , e si lascia in riposo per qual- che giorno, quindi si decanta il liquido allorchè sia ben chiaro, e si adopera. S. M. nell’ approvare l’ uso di questa vernice per la conserva- zione delle pitture di Pompei, volendo dimostrare all’ inventore sig, Celestino il sovrano suo gradimento per l'impegno e zelo da esso mostrato , lo ha nominato segretario perpetuo della R. Accademia 150 di Belle Arti, alla‘ quale era ascritto in qualità di socio ordinario, ed ha comandato che questa utile ed interessante scoperta si renda di pubblica ragione a vantaggio dell’ arte. Il sig. David Low ha imaginato ed eseguito una macchina de- stinata a svellere e sollevare le pietre di qualunque mole. Essa è com- posta di tre piedi di legno, forti e bastantemente langhi , riuniti su- periormente, ed in mezzo ai quali è sospesa in alto una puleggia; o un sistema di puleggie, la di cui corda si avvolge sopra un vericello a due manubrii. Si dispone la macchina al di sopra della pietra da sollevarsi in modo che questa non ne tocchi i piedi, o che la puleg- gia corrisponda al centro della pietra. Si fa in questa un foro cilin- drico e verticale, nel quale si introduce con forza un ferro che ter- mina superiormente in anello ; si attacca questo all’ uncino che pen- de dalle puleggie inferiori, si fanno girare i manubrii , con che la pietra è svelta dal luogo ove giaceva , e sollevata, qualunque ne sia il peso. La frequenza diavvenimenti deplorabili, cagionati dall’ esplosio= ne involontaria e fortuita delle armi da fuoco, ha mosso il sig. Somz- merville, ecclesiastico inglese, a ricercare un mezzo atto ad impedire simili accidenti ; egli Jo ha trovato. Consiste questo in una tal dispo- sizione del meccanismo per cui si effettua la scarica, che debba ne- cessariamente concorrere a determinarla |’ azione della mano sini- stra, con quella della destra, che opera sola la scarica delle armi or- dinarie. Questa disposizione richiedendo per la scarica due movi- menti diversi d’indole e di modo, e da effettuarsi in parti notabil- mente distanti, viene a rendersi estremamente difficile e quasi mo- ralmente impossibile la combinazione di due urti, inciampi , 0 scos- se, capaci ciascuna d’operare precisamente il richiesto movimento, e che operino nel medesimo istante. La mano sinistra muove un pezzo incanalato che teneva immobile il cane della batteria nel tempo stes- so che la diritta scocca il grilletto. SCIENZE AGRONOMICHE. Si citano diversi risultamenti di fatto, i quali provano che il se- me del lino riposato per alcuni anni, fino a sette o otto, acquista molto in qualità , arrivando a dare un prodotto comparabile al bel lino di Riga. Un’osservazione casuale ha anche fatto riconoscere un I5t eguale efficacia nel disseccamento del seme operato per l’azione di un discreto calore artificiale. Forse osservazioni consimili hanno sug- gerito il processo praticato dai russi di seccare in forno il grano de- stinato alla sementa. È da desiderarsi che i nostri agronomi s’ inducano a verificare l’ efficacia e l' utilità di queste pratiche, ed a studiare ogni altro mezzo per cui possa perfezionarsi fra noi la coltura del lino e della canapa , specialmente quanto alla qualità del prodotto, sembrando- . ci poter forse con maggior vantaggio di molte altre sostituirsi in par te a quella invilita del frumento. La piccola quantità di lino e di canapa, che si coltiva in Toscana, vi si coltivava egualmente quando il grano aveva un prezzo tre o quattro volte maggiore dell’ attuale. Quindi non si concepisce come i coltivatori toscani trovando allora convenienza a destinare una porzione qualunque dei loro terreni al- la coltura di queste piante fibrose , non s’ inducano a destinarvene una tre o quattro volte maggiore ora , che disceso il grano a prezzo vilissimo , quello del lino e della canapa è piuttosto aumentato che diminuito . La Società d'orticoltura di Londra ha ricevuto dalla nuova. Galles meridionale un bell’ alveare d’ api di quelle contrade. Esse differiscono essenzialmente dalle api d’ Europa per essere molto più piccole e prive di qualunque aculeo. Si dice che il loro miele è nel piccol numero di produzioni che servono al nutrimento degli indige- ni. Rimane a vedere se queste api delle terre australi potranno pro- durre in Inghilterra miele così buono, come lo producono nella Nuo- va-Galles meridionale, ove probabilmente si nutrivano sopra pian- te affatto diverse. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Viaggio del sig. Pacho nella Cirenaica. — I nostri lettori si ricorderanno che la società di geografia di Parigi (vedi Antolog. n. 42. giugno 1824 p. 168.) aveva offerto un premio di 300 fran- chi a quel viaggiatore che tornasse dalla Cirenaica dopo avere so- disfatto alle condizioni del programma della società stessa. Si cominciava a temere che queste misure fossero per restare senza alcun risultamento diretto, Il sig. Beechey, tenente della marina inglese, aveva percorso alcune coste della Cirenaica, ed era tornato a Londra verso la fine del 1824 con una grande col- lezione di disegni; ma questo viaggiatore , che non ha ancera pub- 152 MISA blicato cosa alcuna , sembra che non voglia presentarsi al concorso aperto datla società di geografia. À Un viaggiatore francese si è finalmente presentato. Il sig. Pachò, fortemente raccomandato al vicerè d’ Egitto, e munito di sue lettere per il Bey di Derna , partì dall’ Egitto nel mese di dicembre 1824 per traversare tutta la Cirenaica , ed arrivò a traversare i deserti della Marmarica sul territorio di Derna. Ivi cessa l’ influenza di Mehemet-Alì. Egli è vera che il sig. Pachò aveva ottenuto delle lettere di raccomandazione del Bey di Tri- poli presso il Bey di Bengazi, sul territorio del quale bisognava entrare per continuare il suo viaggio. Ma quest’ ultimo essendo stato chiamato a Tripoli , le tribù arabe della Pentapoli trovandosi senza governo , si abbandonavano senza riguardo al loro gusto per la depredazione } e si combattevano per fino gli uni gli altri, Il sig. Pachò accompagnato dal sig. Muller, giovane tedesco, non si lasciò arrestare da pericoli così Capici di spaventare uomini d’un coraggio ordinario; egli penetrò in mezzo alle campagne deserte nelle quali giacciono gli avanzi di Cirene, arrivò a disarmare l'avidità degli arabi, e rimase per tre mesi a disegnare i mo- numenti, ed a copiare le iscrizioni delle quali è coperto l’ im- menso cimitero, o /Vecropoli. Ecco un esempio dei pericoli ai quali il sig. Pachò si tro- vava esposto. Il console inglese di Bengazi, avendo caputo che un viaggiatore francese si occupava di ricerche nei deserti, gl’ inviò un cammello carico di zucchero e di caffè , condotto da due arabi della città, e da un suo schiavo. Alla distanza d’ una giornata da Cirene i Beduini li assalirono, uccisero uno dei con- duttori , ferirono gravemente lo schiavo, che essendo bene armato aveva cercato di difendersi, e s’ impadronirono del carico che il cammello portava. Riuscì allo schiavo di trascinarsi fino a Derna, ma ivi morì delle sue ferite.’ Finalmente il Bey di Bengazi essendo ritornato al suo posto si calmarono i disordini, ed il nostro viaggiatore potè esaminare tranquillamente le altre città della Cirenaica occidentale, della quale siamo assicurati che egli ha disegnato i monumenti, e co- piato le iscrizioni. Egli ha perfino potuto condursi sotto buona scorta a Audielah, oasi considerabile , visitata da Hornemann. In questa escursione agli ha raccolto cool oggetti di storia natu- rale . Il sig. Pachò è arrivato a Marsiglia colle sue ricche e belle eollezioni. Egli era aspettato a Parigi. Possa egli ottenere gl’in- 133 coraggiamenti ed i soccorsi necessari per intraprendere la pub- blicazione di tutte le cose nuove ed importanti che ha seco por- tate dal suo difficile viaggio. Ritorno del capitan Parry. Il ritorno di questo celebre na- vigatore nei porti dell’ Inghilterra , senza aver potuto ottenere il fine propostosi, è un avvenimento ‘tanto più dispiacevole per tutti gli amici delle scienze geografiche, quantochè il governo inglese non aveva trascurato cosa alcuna per assicurare il successo di questa spedizione. (Vedi Antol. n. 41. maggio p. 155.) Ecco ciò che ci dicono i giornali dei primi rapporti dell’ equipaggio. Se le scoperte geografiche non sono state avanzate per mezzo di questa spedizione, altre scienze guadagneranno per le osservazioni ed esperienze che sono state fatte. Fra le altre, si è sperimentato un apparato inventato dal sig. Barlow per conservare all’ ago ca- lamitato la virtù magnetica, che egli perde in queste alte lati- tudivi, a motivo della vicinanza del polo magnetico, di modo che attirato unicamente dal ferro del bastimento , diviene inutile per il navigante. L'apparato del sig. Barlow mette l’ago magne- tico al coperto dall’ azione del ferro del bastimento. Questo ap- parato può essere applicato con successo in tutti i paraggi. ‘Nel corso dell'inverno, che è stato di quasi dieci mesi, sono state fatte delle escursioni di 60 e di 80 miglia nelle terre arti- che. Vi sono stati raccolti diversi vegetabili ed animali. Questa spedizione ha somministrato una nuova prova del po- co pericolo a cui vanno incontro i naviganti in un viaggio polare riguardo alla vita ed alla salute. I swithes grouses, specie di vola- tili selvaggi, hanno somministrato spessissimo agli ufiziali ed ai marinari l’ occasione d’ una caccia dilettevole e la materia d’ un pranzo eccellente. Il cap. Parry è arrivato il giorno 16 d’ottobre all’ ammira- gliato. Egli aveva lasciato l’Ecla a Pethereod, donde andò a Londra per terra. Avendo svernato nel 1824 e 1825 nel porto di Bowen nello stretto del principe Reggente, i due bastimenti per. ‘correvano la costa occidentale di questo stretto quantlo sono stati arrestati il dì 1. di agosto dai ghiacci. Za Furia è stata gettata sulla costa, e vi si è spezzata , ma tutto l'equipaggio si è salvato ad eccezione d’un solo uomo. Sono stati fatti tutti li sforzi possibili per ridurre questo basti- mento in stato di resistere al mare, ma inutilmente : un colpo di ven- to ha finito di farlo naufragare ; e l’ Ecla, avendo a bordo gli equi- 154 paggi dei due bastimenti è stata obbligata a tornare indietro , non senza aver corso grave pericolo. Non è morto alcuno nel corso del viaggio. I due equipaggi al loro ritorno stavano anche meglio che al tempo della loro partenza dal- l’ Inghilterra. Il cap. Parry dice non essersi fatta alcuna scoperta im- portante. Uno degli ufiziali ha comunicate le seguenti particolarità. »» Noi siamo partiti dalla costa occidentale della Groenlandia il giorno 4 luglio 1824. Passando lo stretto di Davis siamo rimasti 58 giorni impegnati nel ghiaccio. Il g settembre ci trovammo liberi , ed il 13 dello stesso mese entrammo nello stretto di Barrow. Avvicinan- dosi l’ inverno, si fece il possibile per arrivare al porto Bown nello stretto del Principe Reggente , ove si giunse con difficoltà il giorno 23. Il 6 ottobre eramo interamente circondati da nuovi ghiacci ,,. »» Si è passato l’ inverno più piacevolmente che non si poteva sperarlo; avevamo a bordo una buona biblioteca , e si è trovato il’ modo di fare una mascherata passabile ogni 15 giorni. L'inverno era dolce per questa parte di mondo; il termometro non è mai sceso a più di 48 gradi Fahn (35 e mezzo Réaum ) sotto zero. Neli inverno siamo stati alla caccia degli orsi bianchi, e ne abbiamo uccisi do- dici. ,, 1» L’ estate, che è incominciata 1l dì 6 di giugno è stata bellis- sia. Il 19 luglio il ghiaccio si ruppe, e noi lasciammo il porto Bown, Ove avevamo passato quasi dieci mesi. Il 23 si vide il Nort—Som- merset e si andò costeggiando al sud fino alla mattina del 1 Agosto: allora /a Furia fu spinta a terra dal ghiaccio. Si è fatto di tutto per salvarla, ma inutilmente, e si è abbandonata il 19. Così terminaro- no le nostre speranze di scuoprire il passaggio del nord-ovest, ben- chè fino a quel momerto tutto fosse favorevole. Il 1 di settembre par- timmo dallo stretto del Principe Reggente per l’ Inghilterra , ed ar- rivammo sulla costa di Scozia il giorno 10 di ottobre. Si fa molto fortunati in questo viaggio , non avendo perduto alcun uomo per malattia o altrimenti ,,. Ragguaglio della stessa spedizione al polo Nord — Estrat- to dalla Gazetta letteraria di Londra N° 4og. * Con rin- rescimento dobbiamo assicurare come positivo il ritorno dell’ Ec/2 dai mari del Nord con la perdita dell'altro vascello suo compa- gno la Furia, sebbene fortunatamente il capitan Parry, i suoi uffiziali, ed uomini sieno statì tatti salvati e ricondotti fra noi sul vascello rimasto. Che noi non avevamo predetto verun resultato lusin- ghiero da questo. viaggio, ne fanno testimonianza molte delle nostre antecedenti gazzette ; tuttavia come aborriamo qualunque cattivo 155 presagio , specialmente allorgando wi sono interessate persone valo= rose ed intraprendenti, così ci siamo astenuti dal dire, quanto poca speranza avevanao di un buon evento , in seguito e di ciò che aveva- ino udito del piano e di ciò che era a nostra notizia delle parti com- ponenti il medesimo. Esso è totalmente andato a vuoto, ed è una for- tuna che in questo disastro niuno abbia perduta la vita, essendo av- venuti due soli casi sinistri ,,. « La spedizione, a quanto sembra, lasciò le coste della Groenlandia il dì 4 Luglio dell’ anno decorso , e fu per due mesi inceppata fra i ghiacci nello stretto di Davis, cosicchè tardò molto prima di giunge- re all’ ingresso del passo di Lancaster. Infatti i vascelli andarono allo stretto di Barrow soltanto in tempo d’ inverno , invece di trovarsi avanti il medesimo verso il mese di Agosto ( come nel primo viaggio in quella direzione) per proseguire il lor cammino. Con difficoltà gua- dagnarono Porto Bowen nell’ ingresso del Principe Reggente , dove si rinchiusero fra il 28 settembre ed il 6 ottobre, e rimasero fino al 19 di luglio prossimo passato. Circa undici giorni dopo quest’ultima data, la Furia, mentre manuvrava verso il sud, fu spinta a terra dal ghiaccio , e naufragò. Furono impiegate tre settimane in tentativi penosi per salvarla, ma inutilmente ; e l’ equipaggio e le provvisioni priucipali farono portati a bordo dell’ Ecla , il quale così carico, im- mediatamente fece vela verso la patria , e giunse felicemente sulle coste di Scozia nel dì 10 del presente Ottobre ,,. « Questa spedizione non essendo giunta se non poche miglia più al sud dell’ ingresso del Reggente , che nel primo viaggio , nè tanto all’ occidente , è chiaro, che non può aver ricavata veruna novità importante nè per la geografia , nè per la Storia Naturale , nè per la meteorologia ; (t) e l'esito infelice di essa è più da compiangersi, perchè nel tempo che accadde la perdita della Furia, il cielo, l’a- cqua, ed il ghiaccio promettevano una facile gita nel Mar Polare. Sopra tutto noi crediamo, che probabilmente meglio sarebbe nel proseguire queste ricerche il ritornare alquanto al vecchio sistema nel quale semplici bastimenti, che appartenevano ad interessi privati scoprirono quelle baie , quelle coste, e quei mari, i quali portano i momi di Forbisher, Davis, Baffin, Iones, Smith, Rowe, Ma- ckenzie , Hearne , ed altri distinti naviganti, amici del com- mercio e della scienza , al tempo de’ nostri ‘antenati. L’ esempio del Capitano /Weddel nell’ emisfero meridionale è una lezione dello stesso genere recente e persuasiva; e noi siamo convinti , (1) Così la questione interessante intorno la supposta posizione del Pola ma- gnetico non può aver ottenuta ulterior dilucidaziune. 156 che se il governo somministrasse mezzi sufficienti a tali nomini di mare quale è egli , o il capitano Scoreshy per proseguire i loro viag- gi oltre i confini, ne’ quali prudentemente son limitati dalla pesca delle balene 0 dalla raccolta delle pelli, si farebbe più in tre anni con simili operazioni che in trenta con',spedizioni nazionali dispen- ‘diose , le quali sono naturalmente vincolate dai sentimenti di una maggiore ansietà e responsabilità. Tutta l’ istoria navale ci dimostra quanto poco è stato fatto con questo mezzo in paragone di ciò che si è ottenato con l’altro ; ed il cattivo esito de’ quattro ultimi viaggi alle regioni artiche con vascelli equipaggiati nella miglior maniera pos- sibile somministra un forte argomento dell’inconvenienza ed inuti- lità di simili tentativi. Nel tempo che l’ altima spedizione fece vela, questo fu il parere di quasi tutte le persone adeguatamente informa- te dell’ affare, cioè, che non riuscirebbe; e fu apertamente, consi- gliato, che invece di quei bastimenti pesanti, i quali tentano di aprirci a forza il cammino fra le barriere di ghiaccio , che a loro si oppongono , sarebbe miglior partito lo stabilirne uno o due quasi quartier generale , a’ quali si potesse ricorrere in caso di bisogno, ed investigare le coste e i mari circonvicini con slitte, canot, lancie, e legni mercantili. Noi non dubitiamo, che se sarà destinata un altra spedizione verso quella parte , l’ammiragliato crederà bene di adot- tar questo metodo. Tal progetto fu per verità avuto parzialmente in mira nel caso presente ; perciocchéè fa inteso così di combinare i mo- ti dell’imbarco con quelli della spedizione terrestre del capitano Franklin, qualora questi fosse stato tanto fortunato da formare una riunione sulle spiagge settentrionali del continente americano. Cir- ca a quest’ ultimo i ragguagli fondati sopra i giornali non sembrano tanti accurati da meritare tutta la fiducia, Nel di 23 di aprile egli era per abbandonare il Lago Huron, ed ai 2 di giugno dicesi che fosse sul fiume Makenzie. Per eseguir ciò, fa d’ uopo che in trentot- to soli giorni, sia andato dal lago Huron al Lago Superiore, abbia quindi attraversato il lago superiore da un capo all'altro ; prosegui - to la paludosa via per i fiumi ascendendo e discendendo dal Lago Superiore al Lago Winnepek, varcato il lago della Pioggia, e il lago dei Boschi, sia entrato in 70,0 100 impostature dove bisogna sbarcare le provvisioni, e portare i canot a mano di uomini ; poscia fa di mestieri che abbia navigato per il lago Winnepek , che abbia trascorso il paese da questo lago al nord ovest fino al forte Camber- land e al forte Chippewyan, e che da questi ultimo si sia avanzato moo miglia varcando il lago Athapescow , e quello dello Schiavo, af- finchè abbia toccato il fiume Mackenzie, che esce dal lago ultimo rammentato , scorrendo verso il Mar Polare. A nostro credere, ciò pu Por sembra impossibile assolutamente con tanta quantità di gente, ed in paese di tantà difficoltà. La linea deve essere di circa duemila miglia (2);60 miglia per giorno sono una proporzione di viaggio ignota in quelle parti. E per altro favorevol cosa per la spedizione , che la stagione sia tardiva; anche alla latitudine dell’ Ingresso del Reggen- te le pioggie incominciarono nel dì 6 di giugno , cosicchè il capitano Franklin, ei suoi bravi compagni Lanno in vista un prospetto stra ordinariamente bello ,,. ‘ Dopo scritto l’antecedente articolo, osserviamo esser pubblica- mente assicurato, come se fosse emanato dall’ autorità dell’ am- miragliato, che un altro vascello probabilmente sia preparato in luogo della Furia ad oggetto di partire per tempo nella prossima primavera, per tentare di commanicare nel Mar Polare col capitano Franklin. Viene ancor rammentato , che mentre era a quartieri di inverno, il Capitan Parry spedì in varie direzioni a fare parziali sco- perte ; una di queste:spedizioni sotto il Capitano Hoppner andò al- le isole verso l'est; un altra sotto il tenente Sherer lungo le coste verso il sud , la terza sotto il tenente Ross verso il nord. La prima s’innoltrò per sessanta od ottanta miglia , la seconda giunse alla baia di Fitzgevald a 72 gradi e 20 minuti, la terza oltre il capo York a 73 gradi e 30 minuti. Queste scorrerie tanto limitate, e non estese a punti più intéressanti esaminati nel primo viaggio , possono naturalmente essere di poco valore. Nulladimeno si parla dei feno- meni magnetici osservati col mezzo dell’ apparato perfezionato del professore Barlow per tener l’ ago in attività ,,. G. GAZZERI. ‘ SOCIETA SCIENTIFICHE. ACCADEMIA GIOENIA DI CATANIA ; seduta dal dì 17 febbraio 1825. Il socio ordinario sig. Alvaro Paternò, principino di Sperlin- ga Manganelli lesse una sua memoria sopra l’ irrigazione dei campi che attorniano il Simeto. Plaudendo alla massima fissata negli sta- tuti dell’ Accademia , di doversi questa interessare principalmente delle acque e delle terre utili all’ agricoltura , articolo inoltre di non (2) Dal Lago Huron al Superiore miglia 40; il Lago Superiore 400 ; al La- go Winnepek 820, viaggio di circa 25 giorni; il Lago Winnepek 200 ; a Cum- berland house (dicesi) 100 miglia; e al di là di questa (per così dire) 700 dà una total distanza di circa 2200 miglia; molte delle quali contro la corrente, e dove i bastimenti, come sappiamo, debbon essere scaricati e trasportati per &erra + 158 lieve momento nella stabilita topografia fisica dell’Etna, egli ragionò sul modo d'’ utilizzare le acque del Simeto. Quindi il vicedirettore profess. Sa/vadore Scuderi fecesi a leg- gere la continuazione del secondo capo del suo Trattato dei boschi dell’ Etna , contenente il catalogo e la descrizione degli alberi indi- geni della regione selvosa. Questa lettura comprese g articoli dal ginepro al legno santo, alcuni dei quali assai interessanti. In seguito il segretario generale, prof. Carmelo Marovigna pre- sentò e lesse una sua nota sulla decomposizione dell’ ossisolfato di chinina per mezzo del fluido elettro-metallico , con una digressione sullo stato elettrico differente dei corpi considerato come causa della tendenza alla combinazione. Seduta del di 10 marzo. Il P. D. Gregorio la Via, segretario della sezione di storia naturale e direttore del gabinetto , dopo aver ricordato le due descrizioni da sé fatte dei contorni di Caltanissetta e di Sommatino , lesse alcune sue osservazioni geognostiche sui con- torni di Nicosìa. Dopo di luì il prof. dot. don Antonino di Giacomo lesse alcuni cenni intorno ad un feto umano senza testa e senza collo , trasmessi dal socio corrispondente sig abate Salvatore Portal. Il vicedirettore prof. Sa/vadore Scuderi proseguì la lettura del secondo capo del suo Yraetato dei boschi dell'Etna, concernente al catalogo degli alberi indigeni della regione selvosa , fra i quali sono principali due specie di Lentiscus, il Ligustrum vulgare , \° Amy- gdalus communis, il Rhamnus , Paliurus , il Pyrus malus, il Me- spilus germanica , il Corylus avellana, il Corylus sativa fructu ro- tando maximo , il Nux juglans, ’Olea silvestris , V)Ulmus campe- stris, il Pirus communis, il Pinus pinea , il Pinus silvestris, ec. Finalmente il sig. prof. Agostino Longo, segretario della sezio- ne delle scienze fisiche , lesse un articolo comunicato dal collabora- tore sig. Bartolommeo Fianchi di Nicosia riguardante i vantaggi di due paragrandini sperimentati in un suo podere. REALE ACCADEMIA DI SCIENZE , LETTERE, ED ARTI DI MODENA» Adunanza della Sezione di Scienze del 22. gennaio 1825. — Il socio ordinario sig. Prof. Geminiano Riccardi legge una sua me- moria intitolata — considerazioni dirette a generalizzare e promuove- re il nuovo rapporto fra la teoria del centro di gravità e quella della composizione delle forze scoperto ultimamente dal chiarissimo sig, Bordoni prof. nell’ I. R. università di Pavia , uno dei quaranta della Società Italiana ec. (V. mem. di matem. e di fis. della soc. It. delle ; 159 Se. T. XV. P. I. pag. 3or. e segg.) — Comincia l’A. di queste con- siderazioni a risolvere il problema del sig. Bordoni ravvisandolo sotto un aspetto più generale di quello sotto cui fu preso da questo geo- metra nella sopracitata memoria , e supponendo da prima, che le forze applicate al sistema sieno parailele ed esistenti o non esistenti in un medesimo piano , stabilisce formule da cui risultano come casi particolari quelle stesse trovate dal sig. Bordoni per le forze concor- renti ; e per una nuova applicazione delle formole ottenute dimostra speditamente le varie proposizioni, che formano parte della bella teoria intorno al movimento del centro di gravità di un sistema di corpi data dall’ illustre geometra Bossut, delle quali proposizioni vengono pure ad essere , stante il supposto parallelismo delle forze, altrettanti casi particolari quelle stesse del sig. Bordoni. In seguito lo stesso sig. prof. Riccardi intraprende con maggiorè generalità analoghe ricerche relative al caso delle forze concorrenti ed esistenti o non esistenti in uno stesso piano; e gli stessi casi particolari in questa ipotesi considerati dal sig. Bordoni sono da lui trattati con metodi differenti , semplici e diretti, che gli offrono dei risultati, di cui si può usare con vantaggo onde mettere in equilibrio tutto il sistema, Il socio ordinario sig. prof. Giovanni de’ Brignoli seguì leggendo un suo commentario inedito latino , che fa parte delle illustrazioni di lui alla filosofia botanica di Linneo, col quale, contro l’ opinione de’ moderni, sostiene il canone linneano , in cui si fa risiedere nella sensibilità la principale differenza onde gli animali si distinguono dai vegetabili: combattendo del pari l’ opinione di coloro che pre- tendono esservi analogia fra minerali ed alcuni vegetabili, e si oppone a quelli eziandio che vorrebbero ammettere più di tre regni in natura , non che a quelli che ne vorrebbero due soli. Adunanza della sezione di lettere del 29 gennaio — Il socio ordinario sîg. Dott. Giuseppe Rica legge una disamina di alcune note giustificative apposte dal sig. Quirico Viviani a parecchie lezioni del codice Bartoliniano della Divina commedia, dato fuori nel 1823, nella quale disamina intende a provare , che alle lezioni poste innanzi dal mentovato autore debbono preferirsi quelle che i più lessero in altri assai accreditati codici. Il socio ord. sig. prof. Giuseppe Lugli dà lode in versi sciolti a Geminiano Montanari chiarissimo astronomo , fisico, ingegnere ed economista modenese. Adunanza della sezione di scienze del 28 febbraio. —1Il socio ord. sig. prof. Bartolomeo Baroni espone l’analisi per lui fatta del Ye/dspato Apiro di Huiy , ossia dell’ Andalusite di Dela-Metherie , dalla quale 160 operazione è risultato , che il detto fossile deve riunirsi agli altri con- tenenti la litina; onde l’A. è persuaso, che in esso in vece della potas- sa, come fu annunziato e si ritiene dai mineralogisti , esistala litina ossia l’ ossido di Lithion. Il socio ord. sig. dott, Carlo Bosellini legge una parte di un suo opuscolo vertente sulla storia ed utilità delle Scienze Economiche, che ora trovasi già pubblicato. ( Veggasi li quaderni di marzo ed aprile del giornale Arcadico di Roma per |’ anno corrente). Adunanza della sezione di lettere del 24 marzo. + Il socio ordinario sig. D. Celestino Cavedoni legge alcune osservazioni sulla storia letteraria della Liguria (Tom. I. Genova 1824.) del sig. Giam» battista Spotorno , per difendere il Tiraboschi dalla ingiusta accusa di trascurato e parziale , e per emendare alcuni abbagli dell’ autore riguardo ai poeti provenzali di patria genovesi, e alla intelligenza dei loro componimenti che sono nei Manoscritti Estensi , ai quali si cresce ai troppo la taccia di scorrezione. Adunanza della sezrone di arti del 26 marzo. — Il socio or- - dinario sig. prof. Giovanni de’ Brignoli legge una lettera scrittagli dal Farmacista sig. Tommaso Severi Macchelli di Sassuolo, con cui gli dà notizia di avere unito i due metodi conosciuti di purificare l’ olio di noce, e gli altri olj grassi ; cioè, quello dell’acido solforico; e quello del carbone animale ; e di avere ottenuto che il primo olio riesca molto idoneo alla pittura , ed i secondi più scorrenti ed atti a diminuire l’ attrito delle macchine. Adunanza della sezione di scienze dell’ 11 aprile. — Il socio ordinario sig. prof. Bartolomeo Barani espone di aver con felice esito ripetuto alcune delle esperienze di Bussy relative all’acido sol. foroso anidro , e particolarmente quella della congelazione del mer- curio , e di essere altresì riuscito, seguendo il metodo proposto dallo stesso Bussy, a comunicare all’acido solforico del commercio quelle proprietà che caratterizzano l’ acido solforico fumante che si fabbrica nella Sassonia. Egli annunziò pure di aver preparato il Platino spugnoso col quale è riuscito, come già è noto per le spe- rienze di Dobereiner , ad infiammare una corrente d’idrogene che sorta da un piccol pertugio, e nel tempo stesso ha osservato che può accadere, che si ottenga un Platino spugaoso , il quale , benchè sia riscaldato e reso luminoso da una corrente di gas idrogene , non ar» rivi con tutto ciò alla temperatura necessaria perchè l’ idrogene arda con fiamma. Il socio ordinario sig. prof. Giambattista Amici legge ùna sua memoria intorno al grado di precisione al quale si può giungere nelle misure angolari, usando uno dei circoli meridiani di tre piedi 161 di Gifinerio come suòle costruirli il celebre artista Reickenbach. Questa memoria ora trovasi già pabblicata ( V. Correspondanoe Astronomique du Baron de Zach. Cahier 4. 1825.). Il socio ordinario sig. prof. Giuseppe Bianchi presenta alcune sue osservazioni delle grandi e numerose macchie solari che si son vedute nei mesi di febbraio e marzo di quest’ anno, le quali già, dopo singolari mutazioni ed apparenze, sì dileguarono; e passa a ri- flettere in genere sulla natura non ben conosciuta finora delle mac- chie del sole, sulla possibilità di conoscerla meglio, e sulle relazioni di questo con altri fenomeni fisici. Adunanza della sezione di lettere del 23 Aprile. — Il socio Ord. sig. ab. Severino Fabiani legge parte di una sua Dissertazione sulla Provvidenza di Dio nell’ ordine fisico e morale dell’ Universo. Il socio Ord. sig. Dott. Cesare Galvani legge un carme diretto alla Patria di Dante Alighieri. Adunanza della sezione d’ arti del g Maggio. — Il Socio ord. sig. Maggior del genio Giuseppe Ceraldini legge una memoria sul dipingere all’ encausto , e mostra varii saggi esegaiti in tal genere di Pittura con cui ha pure dimostrato l’utilità di farlo risorgere. Adunanza della sezione di scienze del 13 Maggio. = Il socio sig. Pro£. Antonio Boccabadati legge il giudizio da lui, insieme col socio Ord. sig. Prof. Antonio Goldoni, emesso per incarico ricevato- ne dall’ Accademia, intorno ad una memoria del sig. Dott. Arcange- lo Crespellani di Savignano, la quale tratta della malattia delle Ti- gne , e che dai Relatori fa trovata molto commendevole per medico criterio , per erudizione opportuna , e per vantaggio pratico di risul- tamenti ottenuti. Il socio sig. Cav. Leopoldo Nobili presenta un galvanometro di una sensibilità paragonabile a quella dei termoscopi, e le prove di fatto annunziate nella sua relazione di tale stromento, e che ne dimo- strano il grado di perfezione furono dal medesimo ripetute più volte sotto gli occhi degli Accademici, Questa relazione ora si trova già pubblicata. (V. Bibliothèque Universelle, Juin r825.) Il socio ordi. sig. D. Celestino Cavedoni legge alcune sue osser- vazioni sopra un manoscritto di Celio Calcagnini, che si conserva nel- la biblioteca Estense, ove sono descritte circa novecento medaglie d’ oro dell’antico Museo Estense, e colla testimonianza del quale di- mostrasi, che le medaglie con la contromarca moderna dell’ aquila incusa , ora sparse e conservate in grande numero in diversi musei d'Europa, appartennero un tempo al museo Estense, e non al Gonzaga. | Adunanza della sezione di lettere del 11 Giugno. — Il socio ord» T. XX. Novembre. 11 162 sig. Ab. Severino Fabiani ha letto 1’ altra parte della sua memoria sopra la Provvidenza di Dio nell’ordine fisico e moraleell’ univer- so. Questa Memoria ora trovasi già pubblicata. (V. il Tom. VII del- le memorie di Religione, di morale, e di Letteratura, di Modena. 1825. ) SCIENZE MATEMATICHE. Geometria. Utile senza dubbio è il narrare in particolari memorie itentativi e l’origine dei trovamenti fatti nelle scienze , chè questi sono pre- ziosi materiali sì per iscrivere la generale istoria delle medesime ; sì per istudiare l'umano intendimento. Laonde vuolsi tenere in pregio 1’ opera del sig. /Vahl stampata lo scorso anno in Lipsia (1), dove mostra gli sforzi tentati da tanti geometri, onde stabilire inconcus- samente l’ importante dottrina delle parallele. Nè soltanto riassume e discute le teorie , che di questo punto della geometria hanno scrit- to con poco frutto i moderni , ma benanche quelle che parimente indarno trattarono gli antichi; talchè cotesto libro riuscirà non dubitiamo , giovevole alla storia della geometria. Il sig. Diesterweg stando nella ferma e giusta opinione, che le opere di Apollonio di Perge nella Panfilia siano degne dello studio dei geometri , volle pubblicare lo scorso anno in Berlino la traduzio- ne in lingua alemanna di due trattati di quell’ antico discepolo della scuola Alessandrina ; cioè : de sectione rationibus, e de inclinationi- bus. Il primo hallo tradotto sul testo latino di Haller, da questi traslatato dall’ Arabo e stampato in Londra |’ anno 1700: la materia in esso sviluppata consiste in sostanza nella risoluzione dei differenti casi del seguente problema.—Date di posizione sur un medesimo piano due rette parallele o non parallele , e dati due punti sopra di esse , da un punto qualsivoglia posto in detto piano, e non apparte - nente alle date rette , condurre altra retta per modo , che i segmenti compresi fra i punti dati e quelli delle intersezioni stiano nella ragio- ne di m : r.— L'altro trattato delle inclinazioni fu prima cono- sciuto per quel tanto che ne riportò Pappo nel libro VII delle {sue collezioni matematiche, poscia lo resero meno imperfetto, e Horsley nell’Opuscolo — Appolloni Pergei indinationum libri duo — stam- pato in Oxford l’anno 1770, e Roberto Barow nel libro — £ restitu- (1) Die vosziielichlten versache welche seit Euklicles bis cruf unsre zeit bergrindung der theorie der parallelen gemacht reorden sind. > 163 tion of the geometrical'treatise of Appollonius Pergeùs on inclination — pubblicato in Londra l’anno 1779. Il sig. Diesteraveg però ha creduto doversi attenere all’ Opuscolo di Horsley; e di potersi pigliare maggiore licenza di quella, che a rigoroso traduttore si conviene completando parecchie costruzioni che quel Inglese Geometra aveva o senza più accennate, od anche omesse. L’ argomento poi dei libri delle inclinazioni è: — date di posizione due rette o due circonferen- ze, adattare fra di esse una retta di data lunghezza , che passi per un dato punto, o prolungata lo incontri —, Per verità , tutt’ altro che brevi riescono i ragionamenti , che si richiedono per la risoluzione sintetica e completa dei due enunciati problemi ; mentre per un altro verso agevolmente e brevemenie si possono risolvere applicandovi l’ analisi algebraica. Il che volendo apertamente mostrare , determineremo appunto le equazioni che danno lo scioglimento di essi problemi. Fissata 1’ origine delle coordinate rettangole x,y nel vertice dell’ angolo che formano le due date rette di posizione, il quale angolo designeremo con 4, e stabilita una di esse rette come asse delle ascisse ; l’ altra è rappresentata da =—xlang.@» \ Inoltre denominato 4la distanza del punto dato sull’asse delle ascisse dal vertice dell’angolo ;8,c le coordinate che determinano la posi- zione del punto dato sull’ altra retta ; Pg quella del punto da cuj dee partire la retta cercata : ed espresso con £ la distanza dall’ori- gine delle coordinate, che debbe avere il punto da determinarsi sull'asse delle ascisse ; con x, y l’ascissa e l’applicata dell’ altro punto : non è difficile ricavare dalle condizioni del problema le se- ‘guenti equazioni n($—a)=mV(x-bf4+(y—c) (p_S)y=g(E—-x). Ora mediante queste equazioni e la soprascritta, ad ognuno riuscirà agevole trovare i valori di £, x, y, che danno la ‘generale risolu- zione : e per adattarla ai diversi casi basterà aver riguardo ai segni e ai differenti valori delle incognite: e per le rette date parallele, si porrà nelle formule g—-0°. Rispetto al problema delle inclinazioni , si riferiscano le due rette e il punto dato a due assi ortogonali , e dicasi D la lunghezza della retta che si vuole adattare. Se si rappresentano con X, Y; x, y rispettivamente i sistemi delle coordinate delle date rette, cong, dl 164 p gli angoli che formano coll’ asse delle ascisse ; le equazioni delle rette saranno : (1) Y=(XY<4A)tang. x. (2) y=(xta)tang. fp, disegnando A, 2 le distanze dall’ origine delle coordinate ai punti d’ intersezione di ciascuna retta coll’ asse delle ascisse. E nominato qui pure p, 9 le coordinate del punto pel quale dee passare od in- contrare la retta di cui è porzione la lunghezza D: le condizioni del problema saranno espresse da (3) V (X-x)+(Y—yY=D (4) pY=qX, ovvero py=qx. Le equazioni (1); (2), (3), (4), seguendo i cogniti metodi di elimi- nazione , daranno i richiesti valori di X,Y;x,y: e tali valori ed i segni ne faranno conoscere tutte le possibili soluzioni. Se alla vece di due rette fossero date due circonferenze , si so» stituiranno alle equazioni (1), (2) quelle di due circoli. E quì non è disagevole lo scorgere, in qual modo il precedente problema si potrebbe risolvere con maggiore generalità , così enun- ciandolo , e proponendolo agli studenti di geometria: — Date due curve , e dato un punto , questo e quelle sopra lo stesso piano ; con- durre dal punto dato una retta la cui parte intercetta fra le curve sia la minima , ovvero agguaglia una data retta maggiore della minima — . Del quale quesito mentre non si saprebbe colla sintesi dare universale risoluzione , con poca fatica si ricava dall’ analisi » donde si scuopre la conosciuta ed incontrastabile preminenza dei metodi dell’ algebra sopra quelli della geometria (2). Il sig. /Vallace ha determinato una formula semplicissima , che dà l’area di un poligono, così formato. Da un punto qualsivoglia si abbassino tante perpendicolari sopra i lati di un poligono regola- re, indi si congiungano i punti d’incontro con tante rette, l’area del poligono risultante sarà espressa da 2 a ta 2 (rsen@+>:9°sen.24), disegnando r il numero dei lati del poligono regolare, r il raggio (2) Non sarebbe inutile opera, se mal non discerno , quella, in cui fosse il sa- per geometrico degli antichi raccolto e tradotto in linguaggio algebrico. 165 del cerchio in scritto ; a l'angolo al centro sotteso da uno dei lati, e v la distanza dal centro al punto da dove si abbassano le perpen- dicolari ( Edinb. philos. Journ. oct. 1824). Agevole riuscirà ai cul- tori della geometria determinare la soprascritta formula. Poichè riferito il poligono a due assi ortogonali, cioè ad una retta paral- lela ad un lato e alla perpendicolare calata sopra il medesimo, e posto l’origine delle coordinate al centro del poligono regolare , sì troveranno le equazioni dei differenti lati, e poscia 1 valori delle anzidette perpendicolari. Dappoi osservato che la superficie richie- sta si compone di r triangoli , che hanno per lati le perpendicolari , delle quali ciascuna coll’adiacente fa un angolo 4, si ricaverà la formula esprimente l’area del costruito poligono. La quale formula poi mediante adattati artifizii di calcolo si verrà di mano in mano trasformando in altre , e alla perfine si troverà la sopra riferita. È già noto che il sig. Hachette , e poscia il sig. Dupin risolvet- tero in modo anzi facile che no il problema . — Determinare il cir- colo osculatore spettante ad un punto dato sopra una curva di dop- pia curvatura , mediante i raggi e i centri d’ osculo delle projezioni sopra due piani corrispondenti al dato punto —. Ora il sig. Soucelet ne ha dato di questo problema la seguente semplicissima soluzione. Mercè i raggi e i centri osculatori delle projezioni che rispondono al punto dato sulla curva obiettiva , e colla teoria delle indicatrici , si determinino i raggi e i centri di curvatura dello stesso punto sulle sezioni normali fatte nei cilindri projettanti giusta la tangente al pro- posto punto : indi si congiungano questi due centri col mezzo di una retta, e per la tangente condotta dal punto dato alla curva di dop- pia curvatura si conduca un piano perpendicolare ad essa retta ; il punto d’ intersezione sarà il ricercato centro d’ osculo. ( V. Ann. de Math. par Gergonne Tom XV. ) Il sig. Sorlin in una sua memoria divisa in quattro parti ci ha dato una completa raccolta delle formule spettanti alla sferica tri- gonometria, deducendole con molta facilità lana dall’altra (V. Ann. de Math. par Gergonne tom. cit. ). Nella prima parte trova le fun- zioni simmetriche e non simmetriche di due o tre angoli qualsiensi sotto la forma del prodotto dei fattori. Nella seconda viene determi- nando le formale necessarie per la risoluzione sia analitica sia nume- rica dei triangoli sferici. Esprime nella terza in funzioni delle diver- se parti del triangolo i seni , i coseni e le tangenti degli archi s, sea, s-b, sc; S,S-A, SB, S—C, e delle loro metà dove a,b,c, rappresentano i lati del triangolo sferico A, B, C, gli 166 angoli respettivamente opposti , ed è 2s=44+-5+c; 2SzA4+B+C; e da quì poi ritrae la cognita formula di Lhuilier esprimente l’area di un triangolo sferico , ed altra analoga formala. Per fine tratta nella quarta parte di applicazioni , cioè determina la grandez- za e l’ inclinazione sia dell’arco di circolo massimo che passa per uno degli angoli del triangolo , e che divide il lato opposto per me- tà ; sia dell’ arco pure di circolo massimo che divide per metà uno degli angoli del triangolo; dappoi stabilisce la situazione dei poli e la lunghezza dei raggi sferici dei circoli sì circoscritto che iscritto adun triangolo: e dimostra; 1° la circonferenza di un circolo minore essere il [nogo geometrico di tutti i triangoli sferici della stessa ba- se , la cui somma degli angoli è costante, ch’ è il teorema di Lexell: 2.° la periferia di un cerchio minore essere pure la curva che invol- ve le basi di tatti i triangoli sferici, che hanno un angolo comune e lo stesso perimetro , che diremo il teorema di Sorlin. E non omette di osservare , potersi agevolmente applicare i resultati ottenuti pei triangoli sferici ai triangoli rettilinei , ponendo il raggio della sfe- ra infinito. Analisi Algebraica. Il sig. prof. Gug/. Libri ha trattato di alcuni punti della teoria dei numeri in una sua memoria, che fu presentata nello scorso anno alla Reale Accademia delle Scienze di Parigi, e la quale ha divisa in tre articoli. Il primo articolo si aggira intorno alla risoluzione delle equazioni indeterminate , il secondo sulla teoria delle congruenze, e ‘ nell’ultimo stabilisce alcune formule analitiche, onde colle medesime esprimere il numero delle soluzioni di una equazione indetermina- ta ,ela somma delle radici di tale equazione in funzione dei coef- ficienti. Di questo opuscolo diremo in breve quanto ne riferirono i signori Cauchy ed Ampère alla prelodata Accademia. Primieramente osservarono potersi risolvere le equazioni trat- tate dall’ autore nel primo articolo , molte altre della stessa indole ed anche;talune trascendenti col seguente principio. — Data un equa- zione indeterminata fra due variabili x, y, quandochè si trovi una funzione di questi variabili tale , che il valore numerico non oltre- passi un certo massimo e rimanga sempre intiero , allora non sarà malagevole calcolare i sistemi diversi dei valori interi di x 19 , che soddisfanno alla proposta equazione. Imperocchè ciascheduno di co- testi sistemi dovrà eziandio soddisfare ad una delle equazioni , che si ottengono quando si uguaglia successivamente l’ anzidetta funzio- ne , anche presa con segno contrario, ad uno dei numeri interi infe- 167 riori al suo più grande valore numerico —. Il quale principio può eziandio stendersi ad equazioni, che contengono oltre a due variabili. Rispetto poi alla determinazione di una funzione acconcia per so- disfare alle enunciate condizioni , il più delle volte può servire l’ uso delle serie. Ma il sig. Libri per tale oggetto dà una regola applica- bile a molti casi, e mostra il come si potesse determinare la cercata funzione per equazioni , che abbiano il primo membro scomponibi- le in razionali fattori. Oltre a questo espone un metodo , reso gene- rale dai sullodati Relatori , che si aggira intorno alla determinazio- ne delle soluzioni in numeri interi di un equazione indeterminata , che abbia le incognite distribuite per gruppi in parecchi termini , di cui ciascuno è una funzione intera ed omogenea delle incognite che vi s1 contengono. E risolve pure in numeri razionali altra equa- zione , ilcui primo membré è una funzione omogenea disecondo o di terzo grado , ed il secondo è numero intiero dato , purchè si co- nosca una soluzione relativa al caso che detto numero fosse nullo. Donde poi discende a diversi teoremi sulle forme dei numeri, Nel secondo articolo l’autore prendendo le mosse dalle cognite proprietà delle radici della equazione binomia, determina il numero delle soluzioni di una congruenza in funzione di quelle stesse radici. Da qui in modo semplice ricava una formula di Eulero relativa ai divisori dei numeri, ed altre formule di' consimile fatta. E dimo- strando poscia come alle congruenze, che hanno tutte le radici reali, si estendono le relazioni ch’esistono tra i coefficienti delle equazioni algebraiche , e le loro radici; ne ritrae diversi teoremi sopra i nu- meri primi, alcuni dei quali erano già stati dimostrati. Nell’ ultimo articolo poi l’autore trova alcune formule analiti- che sia per esprimere il numero delle soluzioni di una data equa- zione indeterminata, sia per esprimere la somma delle radici di questa equazione in funzione dei coefficienti : formule, che conten- gono quantità con esponenti negativi proporzionali ad una costante non determinata , per la quale risultano tanto più esatte, quanto di essa è maggiore il-valore. — ,, Sarebbero però, dissero i Relatori, >» tali formule di grande momento, dato che da esse si potessero » dedurre dei nuovi risultati sull’ essere o il non essere possibile » la soluzione di certe equazioni: ma quantunque l’ autore non ne », abbia ricavato conseguenze di tale sorta; cionnonostante ci sembra 3, debbano essere osservate sotto il rapporto analitico ,, — Mo- strarono puranche come quelle formule si potessero ricavare da un integrale definito , e terminarono la loro relazione , soggiungendo : »; averl’autore fatta prova d'istruzione e di sagacità nelle sue ricer- » Che sopra le difficili questioni delle teorie dei numeri. ,, Questo 168 opuscolo del sig. Zibri si troverà inserito nella Racoo?ta delle m e- morie dei dotti stranieri. Ritraggono le matematiche applicate dai trovamenti del cal- colo integrale moltissima utilità; onde parrebbe che dovessero i geometri più fervidamente coltivare questa parte dell’ analisi infi- nitesimale ; ma pochi ne sono i caltori; e pochissimi sì robusti quanto il sig. Poisson. Questo geometra ci ha ultimamente mostrato in qual modo si possano integrare le due equazioni lineari a difte- renziali parziali (V. Journ. de l'Ecole Polytech., 19 cahier , pag. 215). (1) i 0 lo ia dt (i 1 Ali (2) Lilia Ù d'3 paia dt (77° x Per integrare la (1), già trattata da Eulero, Lagrange e Laplace, 1 ’ vt —24 l’autore pone u=x » e la trasforma in altra equazione, che integra per serie ; e così trova k h+-1d.0x k+2d°0x' sx PL'+A,x ict + A4,x e: ec. dx' dx'2 dove x'e'=x+ at, krappresenta una costante determinata dalla equazione A2-—k—m o, e dà pure il termine generale dei cofficien- ti Ar; Aa; €G: Mettendo poi nella precedente serie l’uno dopo l’altro i due valori che si ottengono risolvendo l’ equazione in #, e che diremo k, k, ne risultano due serie, che sommate danno l’ integrale completo. Chese si fosse posto x—a=x', prova l’autore ottenersi lo stesso integrale : e provalo con esempi , e provalo osservando che gl’integrali ricavati non cangiano al variare del segno di 4. Poscia viene considerando; 1.° quando le due radici &, 4' sono positive si ottiene sotto forma finita un integrale completo, che contiene però degl’integrali definiti semplici : 2.° che qualora &=#4' non cangia la forma dell’integrale finito, ma soltanto è d’ uopo introdurre nel calcolo una indeterminata da porsi uguale allo zero al termine delle operazioni: 3.° che quando delle due radici 4, ' l’ una sia positiva , negativa l’altra, rientra questo caso nel precedente , ed essendo in- tera la radice negativa , la porzione delle serie che vi corrisponde risulta composta di un numero finito di termini, e non vi si con- tiene l’integrale definito; e 4.° in fine se risulti 4=2-+- 3, è essendo 169 an numero intero, la serie corrispondente alla &#'21—k parrebbe si dovesse espellere , stantechè la legge dei coefficienti li rende infi- niti, partendo da un certo termine. Ma l’autore dimostra che si pos- sono sopprimeré i termini , che addivengono infiniti , exche i rima- nenti si possono porre sotto forma finita. Appresso passando a determinare l'integrale completo del- l’ equazione (2) , trova esser composto di due serie, i cui coefficienti seguono la stessa legge di quelli dell’ equazione precedente , e con- tengono i medesimi esponenti X, 4'. Per la qual cosa dimostra g0- dere quella serie consimili proprietà a quelle esprimenti l’ integrale della (1). Oltre di che in questo caso se le radici 4, k' risultano po- sitive, allora l’integrale si ottiene sotto forma finita mediante gli integrali duplicati. Il che ne offre una nuova circostanza in analisi, cioè , che l’intregale tenga due funzioni indipendenti , quandochè una sola ve ne ha nella serie. Ma questa difficoltà risolve l’autore os- servando, che svolgendo le due parti dell’integrale giusta le potenze della variabile £, le due funzioni arbitrarie si riducono ad una sola. Per ultimo vuolsi dire che è di non lieve momeato 1’ intregale della (1), servendo a determinare ; sia le leggi delle pictole oscilla- zioni di una catena pesante omogenea di egual diametro sospesa ver- ticalmente alle sue estremità; sia le leggi delle onde sonore ugual- mente intense. Trattò il sig. Cauchy in parecchi suoi Opuscoli degl’ integrali definiti presi fra due limiti reali, e mostrò come un integrale defi- nito , qualora la funzione o coefficiente differenziale addivenga ;in- finita fra i limiti dell’integrazione , abbia una moltitudine di valori, fra’ quali ne distinse uno che nominò valore principale. Ora in altra sua memoria letta lo scorso febbraio alla Reale Accademia delle Scienze di Parigi, viene applicando i principii sopra indicati agl’in- tegrali estesi fra i limiti immaginarii. La quale materia fù svolta anche d’ alcun altro Geometra , e particolarmente dal Laplace : ma quivi l’ autore trattala con maggiore generalità , e ne fa conoscere il numero dei valori, che spettano ad un intregale definito; quando si estenda fra i limiti immaginarii. E così fatte indagini, che hanno fondamento nella dottrina degl’ integrali singolari , e nel calcolo del- le variazioni conducono a ‘formule molto acconcie ed universali sì per la valutazione, sì per la trasmutazione degli intregali definiti. Noi qui avremmo volentieri riferito il sunto , che di questo impor- tante lavoro ci ha dato l’autore({V. Bulletin Mathém. Avril. 1825), I 79 se non ci fosse vietato dalla ristrettezza alla quale siamo obbligati di attenerci. E qui ne piace annunziare , che lo scorso anno fu stampato in Londra una traduzione dal tedesco nell’ inglese idioma delle Tavole del calcolo integrale di Meyer Hirsch: opera utilissima , e la quale è a desiderare che sia pure traslatata nella nostra italiana favella. Matematiche applicate. Allorchè si debbono determinare le pressioni che soffrono più punti di appoggio, che sostengono una retta vd un piano, orizzontale sopra cui posa un corpo rigido e pesante , c’ insegna la statica es- sere questo problema generalmente indeterminato , e soltanto addi» venire determinato quando i punti di appoggio siano due , ovvero tre e questi non sieno situati nella stessa retta. Ma benchè ciù risal- ti dalla teoria, tuttavolta nel fatto non può avere laogo una tale in- determinazione. Laonde, il sig. /Vavier in una nota stampata nel Nuovo Bullettino delle scienze della società Filomatica ( V. marzo 1825 ) volendo conciliare questa discrepanza tra la teorica ed il fe- nomeno naturale, ne ha fatto osservare : che la teoria pone il corpo rigido, e gl’ ipomocli immobili ; il che non è : e che appunto in- troducendo le condizioni di elasticità e di flessione si toglie la inde- terminazione. Così, posto i corpi flessibili e sostenuti da fulcri im- mobili, si può domandare la flessione di codesti corpi e le pressioni dei falcri : dato che i corpi sieno rigidi e. portati da fuleri elastici, di questi si può chiedere la compressione e lo sforzo che soffrono ; e se i corpi si pongono flessibili e i fulcri elastici si può ricercare la flessione dei corpi, la compressione e la pressione dei sostegni, Sup- ponendo esempligrazia una verga elastica non pesante di data lun- ghezza sostenuta da un fulcro nel mezzo, e da altri due fuleri alla estremità , aggravata da due pesi p, p' posti in sulla metà degli in- tervalli fra gl’ ipomocli , trova l’ Autore le pressioni seguenti : pel fulcro di mezzo, per uno dei fuleri estremi, per l’altro falero 22p+-22p' 13p—3p' 13p'—3p 32 32 32, che sono valori determinati. E restano parimente tali, qualora fos- se la verga caricata di un solo peso : poichè fatto p'=0 ne risulta 22p 13p —3p . 32 32 32° | 1 7 I il che ne mostra, che una delle pressioni esterne è in senso oppòsto all’ altra. Ma qui domanderemo al sig. /Vavier avendo un solo peso ostenuto da due ipomocli, e tenendo conto dell’elasticità della ver- ga, il problema non addiverrà desso più che determinato ? E in ge- nerale i problemi relativi ai punti di appoggio, i quali seguendo la nota teorica son ora determinati, ove s’introducano nel calcolo le condizioni di elasticità e di flessione , addiverranno essi più che de- terminati ? Ciò essendo, per conciliare questa nuova dottrina col fatto converrà dimostrare che le condizioni , oltre a quelle che ne” cessitino per trovare i valori delle pressioni , rimangono soddisfatte da questi stessi valori. Si è osservato diminuire il tempo periodico di ciascuna rivolu- zione della cometa di Encke, comparsa di'nuovo, (V. Antologia mese di agosto pag. 160), il che da taluno si vuole possa accennare, esser disseminato da per tutto lo spazio un etere tenuissimo. Ma dato che questo sia, non rimarrebbe altresì alterato il movimento de’pia- neti? Della qual chiesta ne abbiamo risposta in una memoria del sig. Mossotti, che intitola — sopra la variazione del movi- mento medio della cometa di Encke prodotta dalla resistenza del- l’ etere, — che fu tradotta in lingua inglese dal sig.Gregory, e let- ta in una adunanza tenutasi dalla Società Astronomica di Londra il di rr giugno del passato anno. Ivi l’ autore nel calcolare il mo- vimento dell’ anzidetta cometa , non solamente tiene conto della resistenza cagionata dal fluido etereo, siccome fece Encke, ma di una condizione molto più difficile da sottoporre a calcolo, cio è della variazione di volume: perocchè, ben si sa che le comete si dilatano, e crescono rapidamente di volume in avvicinandosi al pe- rielio. E all’ effetto di poter appunto introdurre nel calcolo la rela- zione fra il volume della cometa e la sua distanza dal sole, l’ autore parte dalla supposizione, che la resistenza opposta dall’etere si pos - sa esprimere per una quantità trinomia , la quale abbia il primo termine costante, il secondo diviso pel quadrato del raggio vettore, e il terzo per la quarta potenza del raggio medesimo. La quale espres- sione introduce poi nelle formule, che rappesentano le variazioni secolari degli elementi delle orbite planetarie , e calcolando giugne al risultato ; che la densità dell’ etere all’ unità della distanza dal sole è 360000 milionidi volte minore di quella della nostra atmosfera. E ritenuta questa densità fa vedere, che sebbene Mercurio, per la sua vicinanza al sole e pel rapido suo moto, dovesse più d’ ogn’ altro pianeta soffrire dalla resistenza dell’ etere alterazione nel movimen- to ; cionnondimeno il tutto riducesi ad un aumento di 49" nella sua 172 anomalia media durante il corso di un secolo. Donde viene conchiu- dendo, potere la resistenza dell’ etere produrre l’osservata differen- za nel tempo periodico della cometa di Encke , e non essersi per an- che manifestato nel moto dei pianeti il piccolissimo effetto generato dalla stessa cagione. A noi però pare , che non sia sufficiente a provare l’esistenza di un etere il solo fenomeno di essa cometa , giacchè si potrebbe dubi- tare essere un effetto di perturbazioni. Allorquando le comete en- trano a scorrere pel nostro sistema planetario non potrebbero trova- re i pianeti in sì fatta reciproca posizione rispetto ad esse, or di ac- crescere, or di scemare per un certo periodo la durata delle loro ri- voluzioni ? Non converebbe innanzi tutto tentare per cotal guisa di dare la spiegazione e la misura di così insolito fenomeno? (1). Da un altro lato , come assicurarci che la resistenza dell’ etere segue una tal legge rispetto alle distanze dal sole? Se si considerino le tan- te difficoltà , che tuttora rimangono da superare , a mal grado dei molti sperimenti fatti da D’Alembert, Condorcet , Bossut , Ximenes ed Avanzini , onde scoprire la legge di resistenza di un corpo che sî muova per entro l’acqua ; ben si vedrà di quale difficilissima natura sarebbero quelle , che si dovrebbero vincere per investigare la legge di resistenza dell’ etere. L’ acqua è un liquido ponderabile , che si può racchiudere dentro vasi tubi e canali, che si può sottoporre agevolmente all’esperienza, mentre gli attributi, che si suppongono all’ etere di fluido imponderabile sommamente elastico e tenuissi- mo, renderebbero le sperienze , se non vogliamo dire impossibili , indubitatamente di una difficoltà pressochè insuperabile. Y Finora forse non si conoscono tatti i dati fisici per istabilire in- concussamente una teorìa analitica del calore; contuttociò saranno sempre laudabili le opere matematiche , che sommi geometri france. si vanno pubblicando sopra tale materia. E certo pregevole è pur (1) Sì fatte dubbiezze ci erano già insorte, allorquando abbiamo con godimen- to di animo appreso , essere altresì in certo modo poste in campo dalla Reale Ac. cademia delle Scienze di Parigi. Posciachè ella ha proposto per soggetto da coro- narsi l’ anno 1826, i metodo per calcolare le perturbazioni del movimento el- littico delle comete , applicato alla determinazione del prossimo ritorno della cometa del 1759, e al movimento di quella osservata gli anni 1815, 1819, 1822: ed ora si aggiunga anche l’anno 1825, com’ è detto sopra. Esposto poi nel program- ma il mentovato quesito si soggiunge : ,, Avere l’ accademia giudicato importante so indirizzare i pensieri dei geometri e degli astronomi sulla teoria delle perturba- 3» zioni delle comete , acciò di presentare loro occasione ad imprendere l’ esame 3» de’ conosciuti metodi, ed a calcolare le due principali applicazioni i cui elemen- 33 ti sono differentissimi, essendo l’una e l’altra applicazione di grave momento ,y. 173 l’ opuscoletto del sig Poisson , che si aggira sulla temperatura su- perficiale della terra ( V. Connaiss. des temps pour l’ ann. 1827. pag.303 ). Egli fondai suoi calcoli sopra i seguenti principii. Pone variare la temperatura sulla superficie terrestré, sia per la quantità del calorico sottratta dall’ aria che vi è a contatto, sia per la quantità del calore emesso dalla terra irradiando , sia per quella roveniente dall’ irraggjamento dell’atmosfera e del sole , ed assor- bita dalla terra: ì Rappresenta la sottrazione del calorico fatta dall’ aria per una fanzione delle due temperature spettanti alla superficie terrestre e alla aria che viè a contatto, moltiplicata per un coefficiente , che dipende dalla forza elastica dell’ aria , e dalla velocità quando che sia in movimento . i Esprime la quantità del calorico emesso dalla terra sotto forma d’ irradiazione pel prodotto di una quantità costante nella tempera- tura superficiale della medesima aumentato da una altra costante. Su di che , lasciando anche in disparte la questione sull’ irraggia- mento del calorico, e che quello interno della terra non induca mue tazione nella quantità del calore emesso , osiamo chiedere : se pel raffreddamento della terra diminuendosi continuamente il calorico emesso convenisse considerare questa quantità benanche funzione del tempo ? Rispetto poi alle quantità del calore proveniente dall’ irrag- giamento dell’ atmosfera e del sole , sono queste risguardate dall’ au- tore funzioni del tempo. Ma oltre le noverate cagioni sarebbe pure d’ uopo , se non an- diamoerrati , considerarne/qualcun altra, I vapori acquei che conti- nuamerte s’ innalzano dal nostro globo, non poca influenza debbo- no avere sulla temperatura della superficie terrestre. E mutazione di calore vi hanno da produrre anche le tante chimiche combinazio- ni e decomposizioni , che opera natura , sia alla superficie dei vege - tabili , sia alla superficie del mare e di tutti i liquidi che tengono in soluzione differenti sostanze : pure l’elettricità , che in quelle chimi- che operazioni si sviluppa , debbe avere parte a cangiare la quantità del calore superficiale della terra. In ogni caso a viemeglio determi- nare una teoria sulla temperatura della superficie terrestre ci parreb- be si dovesse considerarla divisa in due parti, continente e mare; altri essendo gli effetti prodotti dall’ esposte cagioni sulla materia solida 3 ed altri essendo quelli che si manifestano nelle acque. Osservò il sig» Fourier , nelle sue considerazioni generali sulle temperature del globo terrestre e degli spazj planetarj , rendere la presenza dell’at- mosfera e delle acque più uniforme la distribuzione del calorico» Nell’ oceano e nei laghi le molecole più fredde , vale a dire le più 174 dense , si dirigono di continuo verso le regioni inferiori , il perchè i movimenti del calor=» risultano più rapidi di quelli, che succedono neîle solide masse per la loro facoltà conduttrice. G. POLETTI. Astronomia. Firenze 27. Novembre 1825. La gazzetta Toscana annunziò in tempo la scoperta fatta il dì y Novembre dal sig. Pons di una nuova piccolissima Cometa nella Costellazione dell’Eridano ; e riportò le due seguenti osservazioni che nelle sere del 16. e 17. ne fecero in quest’ osservatorio Xime- niano i miei Cooperatori ed alunni. 16 nov. a ore 10. 44° 23” di T.° medio AR 52.° 1.'57.” Decl, Australe 19° 22° 50* 17 d.° aore 11,58. 4. — -— — AR Si. 52:7° Decl. Australe 17. 39. 12 La sera del dì 18. potè ripetersi una terza volta l’ osservazione, e si ebbe a ore 11. 27. 5. di T.° medio AR 51.° 43. o Decl. Australe 19. 55. 17 In seguito la ‘stagione contraria , e il chiaror della Luna hanno del tutto impedita la vista del nuovo Astro. Sappiamo che i sig. Astro- nomi di Bologna , diretti dalle indicazioni del sig. Pons e nostre, poterono osservarlo nelle due sere del 18. e del 21 ; ed altrettante volte fa osservato anche a Napoli. Questa è la quinta cometa veduta in quest’ anno , nè in verun altro tempo se ne sono mai scoperte in tanto numero dentro un sì breve intervallo. Quella del Zoro la più vistosa di tutte l’altre , e che per un tempo sì lungo fece tanto bella mostra di se , è da molti giorni passata a più australi latitudini, per poi ritornare alle no- stre nella ventura primavera. I calcoli , che sull'appoggio di sole tre osservazioni tra loro vicinissime in tempone furono istituiti a Vapoli dall’ astronomo sig. Ab. Capocci , aveano indotto a supporla identica all’ altra del 1793, ed a creder di più che per tutto l’anno corrente non dovesse abbandonare il nostro Cielo; ma nè l’una nè l’altra supposizione si è altrimenti verificata. Il nuovo Astronomo di See- berg sig. Hansen avendo riassunti questi calcoli in un modo più re- golare e sopra osservazioni meglio combinate , è già pervenuto con molta felicità a determinarne l’ orbita ellittica rigorosa , orbita che rappresenta nel modo il più soddisfaciente le numerose osservazioni fatte a Sceberg, a Napoli, a Torino, a Vienna e più che altrove in Firenze da noi, e dà a questa Cometa un periodo di 382 anni Giuliani. Tuttociò vien riportato a lungo nella notissima corrispon- denza astronomica del barone di Zach Vol. XIII pag. 495 e seg. 175 Il sig. Glausen astronomo aggiunto in Altona ha pure deter- minata l’ Orbita Parabolica della piccola Cometa del Cocchiere dietro le poche osservazioni fatte da noi nel decorso Agosto; e già pubblicate in questo giornale. Eccone gli elementi che il medesimo mi ha favoriti coljmezzo del sig. Schumacher professore di Astro- nomia a Copenhagen. Passaggio al Perielio 1825. Agosto 18, 4187 tempo medio d’ Al- © tona (a 30.' 25." in tempo all’ Ori. di Parigi). Longitudine distanza Perielia , 9467357. Longitudine del Perielio , meno quella del nodo—176.° 46.' 8.' Longitudine del nodo—193.3. 31. Inclinazione dell’ Orbita—88. 42. 36. E questi elementi pure rappresentano a sufficienza le nostre osser- vazioni, eccettuata quella del 25 agosto che se ne scosterebbe di g' in A. R. e di 8' in declinazione. Ma forse vi è dalla parte nostra ‘un’equivoco nella ricognizione della stella di confronto che si suppose essere il K.? d’Orione. P. INGHIRAMI. NECROLOGIA. L’ Europa dotta ha fatto nei primi giorni del mese d’ otto- bre decorso una gran perdita per la morte del Conte De Lacepede, membro dell’ Accademia reale delle scienze di Francia, uno degli uomini più distinti del suo secolo per le virtù e per il sapere. Noi non sapremmo far meglio per annunziarla al pubblico, che riferire una parte del discorso pronunziato sulla sua tomba dal suo degno confratello Conte Chaptal. »» Il sig. De Lacepède nacque ad Agen nel 1756. Dotato di un carattere dolce, d’una sensibilità profonda, appassionato per lo studio , egli cominciò da consacrarsi alla fisica ed alla musica. Ancora giovine pubblicò due volumi sopra ciascuna di queste parti. Ma arrivato a Parigi all’ età d’ anni 21, contrasse relazio- ne col celebre Buffon, e fino da quel momento abbracciò con predilezione lo studio della storia naturale. Allora egli si trovò nel suo vero elemento. La natura lo avea formato per essere il suo istorico. Il sig. de Buffon ne fece il suo amico, e lo designò «per continuatore delle sue opere. Pochi anni bastarono al sig. De Lacepede per giustificare la scelta che aveva fatto di lui il primo naturalista della Francia. Egli pubblicò successivamente la storia naturale dei cetacei , dei quadrupedi ovipari, dei pesci. Lo stile non meno elegante che corretto , e le viste profonde di cui egl ha adornato questo lavoro lo ravvicinano molto al suo modello ,,. « Chiamato all’ assemblea legislativa , egli lottò lungamente contro i principii d’ anarchia che cominciavano a svilupparsi, ma convinto che i suoi sforzi erano vani, si scelse un ritiro dal qua- Je non uscì che dopo il 9g thermidor per riprendere le sue lezio- ni al museo di storia naturale. Alcuni anni dopo la sua riputa- zione lo fece nominare senatore, e successivamente insignire della dignità di gran cancelliere della legione d'onore, e di quella d Pari di Francia. Nelle scienze, egualmente che nell’ amministra- zione ; il sig. De Lacepède si è sempre trovato al suo posto ; il suo buono spirito, la sua giustizia, le sue virtà, ed il suo sa- pere dirigevano la sua condotta nel tempo stesso che la sua af- fabilità gli conquistava tutti i cuori. Egli è del piccol numero di quegli uomini, che dopo avere adempiuto funzioni importanti ‘e pubbliche, non lasciano dopo di loro un sol nemico ,» La sera del 4. del corrente mese di novembre ha cessato di vivere in Firenze in età più che ottuagenaria il Prof. Pietro Fer- roni Matematico Regio. Il mondo dotto conosce abbastanza le sue opere analitiche, le quali gli valsero fino dalla sua. prima gio- ventù l’ elogio dei primi Algebristi del secolo ora trascorso, e l'aggregazione alle più illustri accademie scientifiche d’ Europa. Gli elogi del gran Galileo, e di tutti gli uomini celebri della sua scuola , recitati in più anni nelle adunanze della Reale Accade- mia fiorentina e corredati quindi da lui di copiose interessantis-. sime note istoriche e critiche, formerebbero un tesoro di questo ramo della nostra storia letteraria se vedessero un giorno la luce insieme riuniti. E l’ accademia attuale della Crusca , di cui fu il primo presidente all’ epoca della sua ristaurazione , e l’Economico- Agraria detta dei Georgofili hanno raccolte nei loro archivi molte sue dotte lezioni, oltre quelle pubblicate colla stampa. Dotato d’ in- geguo perspicacissimo , e di memoria maravigliosa , e dedicato allo studio in tutti i momenti della sua lunga carriera, fu un fonte di cognizioni scientifiche d’ ogni specie per chiunque ebbe bisogno di consultarlo. Ha conservato fino all’ ultimo la stessa sua chiarezza di mente, Nel giorno 7 del decorso settembre mancò di vita in Napoli Gio- vanni Maria Linguiti, nativo di Molfetta , cavaliere’ dell’ ordine Costantiniano, sacerdote dotto e filantropo , più specialmente noto 177 come direttore del celebre spedale dei pazzi d’Aversa, al qual posto gli prepararono la via le sue Ricerche sull’ alienazione men- tale , nelle quali aveva già esposti quei principii , che gli sugge- rirono i sistemi e le pratiche introdotte dipoi in quell’ insigne sta- bilimento. , G. GAZZERI. ea tI a_i: |]|]|]é-:«“« «i X -----«—«{: BWLLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). N.° XXIV. Novembre 1825. 205. Dizionario ortologico pratico della lingua italiana , pre- messivi brevi insegnamenti della pronunzia e della ortografia , ed aggiuntovi un saggio sull’ uso de’sinonimi. Opera elementare, ugual- mente utile a ehi si proponga d’ apprendere o d’ insegnare la detta lingua ; dell’ab. LoRENZO-Nesi Milano 1825. G. P. Giegler. Pavia ‘presso P. Brizzoni successore di Bolsani. Un vol. p. di p. 630. prez- zo:L. 9 italiane. 206. IL GALATEO DI MONSIGNOR DELLA CASA, ridotto a mi- glior lezione da NiccoLò ToMMASEO col compendio d’ un Galateo nuovo , ed un discorso intorno all’urbanità per cura del medesimo, aggiuntovi il dialogo di messer S. Speroni della cura famigliare. Mî- lano 1825. presso Ant. Fort, Stella e fig. Un volume, prezzo L. 3 italiane. 207. STORIA DELLA POLONIA,dal tempo dei Sarmati sino ai dì hostri, compilata dall’ab. SILVESTRO LIGURTI, e pubblicata in con- tinuazione al compendio della storia universale del conte di Segur. ‘Afilano 1825. Ant. Fort.Stella vol. 1 in 8. prezzo Lire 3. 5o il v. 208. Biografia medica piemontese. Torino 1824, dalla tipografia Blanco. di Giovanni GIACOMO BoniNO torinese. Vol. I, 8. di pag. 460. 209. Il PERTICARI confatato da DANTE. Cenifi di NiccoLò Tom- MASEO. Milano 1825. Sonzogno 12. di pag. 58. Un franco. (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redastori dell’Antologia, Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse , e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia me- desima, siano come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. T. XX. /Vovembre. 12 I 73 210. Le bellezze della letteratura italiana raceolte per cura di G10. BATISTA NiccoLINI e di DAVIDE BERTOLOTTI. Opera che si comporrà di 5o volumi in carattere testino con rami; al prezzo di 4 paoli ogni volume pei socii, e di 5 paoli per chi prende un volume separato. Zomo primo. Bellezze di Ricordano Malispini, di Dino Compagni , di Giovanni, di Matteo e di Filippo Villani , e dell’ anonimo autore delle sto- rie pistolesi. Tomo II ora uscito in luce. Bellezze delle cento novelle antiche, del Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, e di Franco Sacchetti. Il primo tomo di questa Raccolta contiene gli estratti de’ più antichi e più celebri scrittori di Storia in lingua volgare.Può avvenire che quello stile semplice e senz arte , le frequenti elissi, e i non pochi vocaboli andati in disuso, ne facciano parer a molti rincrescevole la lettura. Ma è d’uopo con- siderare, che più allo studio della lingua che al diletto servono siffatte scrit- iure, sopra delle quali il vocabolario della Crusca in grandissima parte è fon- dato. Da questi autori inoltre s’ impara che la trasposizione artificiosa delle parole non appartiene all’ indole vera della lingua italiana, e che il metod® naturale di scrivere, quale a’ di nostri è tornato in fiore, era pure usato dai buoni antichi che formano il Secolo d’ oro della nostra favella. Aggiungasi che i passi, recati in questa Raccolta, rappresentano avvenimenti importantissimi del medio evo; i quali ogni uomo assennato ama meglio studiare nel semplice racconto degli autori che ne furono testimoni di veduta , che non negli scritti più ornati, ma meno sinceri, de’ moderni. Il tomo secondo esibisce una scelta di Novelle, scritte prima o al tempo del Decamerone. Le Cento Novelle antiche , parecchie delle quali ascendono niente meno che all’ età di Federigo lI, hanno sì gran pregio per la grazia del dire, che furono chiamate il fiore del parlar gentile. Nel Pecorone si scurge unautore che ha già studiato l’arte dello scrivere, ed usa per lo più una lingua nobile e scelta 3 nè v’ ha per avventura alcuno fra i viventi autori che potendo scri- vere come Giovanni Fiorentino, non eleggesse di farlo. Nel Sacchetti s° incon- trano molte voci e maniere di dire, più proprie del parlar di Firenze che non della lingua adoperata dal più degli scrittori italiani. Non pertanto le sue No- velle piacciono per la brevità e naturalezza loro , per la moralità che 1’ autore ne trae , ed eziandio per essere la maggior parte istorie vere, Il terzo tomo accoglierà gli estratti della Storia d’Italia di Francesco Guic- ciardini, legati insieme col mezzo di sommari e postille in modo che vi siano i più gravi e più rilevanti racconti dell’ autore , e ne rimangano fuori le parti che meno dilettano , senza che ne venga guastata l’unità ed interrotta la continuità dell’ Istoria.Il lavoro è di un genere affatto muovo, e giova sperare che appaghi il desiderio de’ leggitori. Il tomo quarto comprenderà le Bellezze di Dante, ossia l’analisi della Divina Commedia, colla citazione de’ più bei passi di essa, una scelta delle Rime di Dante, e qualche brano de’ suoi scritti in prosa. 211. Collezione portatile di Classici Italiani. Firenze , presso BorcHi, C. 1825 vol. V.— Drammi di Pietro Metastasio vol, V. in 32. carta velina; prezzo di associazione L. 2 il volume; graziosissima e nitidissima edizione. 212. ILIADE D’OMERO , volgarizzata da M:cHELE LEONI. Tor?- 179 no 1825 Tip. Churio e Mina. Tomo 3 ed ultimo , che contiene i libri XIX a XXIV. 213. Biblioteca d’ educazione. Dispensa N. IV. — Viaggi d’ uno studente nelle cinque parti del mondo , scritti dal sig. Dep- ping. Tomo 3 ed ultimo. Firenze 1825. V. Batelli e C. 18. di 296. pagine. | 214. Della influenza dell’ opinione in medicina. Discorso let- to nella clinica medica della università di Bologna , nell’ ultimo gior- no dell’ anno scolastico 1823-24 dal prof. G. TOMMASINI, uno deà 4o della società italiana. Bologna 1825. presso A. Nobili C. 215. Plantarum brasiliensium nova genera et species novae ‘ vel minus cognitae, collggit, et descripsit 1oSEPHUS RADDIUS ex XL viris societatis italicaè scientiarum , academiarum georgophilo- rum , Helveticae , linneanae , et philomaticae Paris, aliarumqne so- dalis. Pars I. ( Filices) Florentia ex tipografia Aloisi Pezzati. 1825. Un vol. in fogl. di pag. 108. e 97 tavole litog. prezzo Lire 45. 216. Sulla Ottalmia pustolosa contagiosa , ragionamento del chirurgo GAETANO Buzzi: Prato 1825. F. Giachetti, 8. di p. 10. 217. Le acque di S. Ronano, romanzo storico di Walterscott volgarizzato dal prof. Gaetano Barbieri. Milano 1825. per Vincenzo Ferrario, vol. 4in 12. prezzo fr. 10. 17. Formano la dodecima distri- buzione dei Romanzi storici di Valter Scott. ed. Vincenzio Fer- rario. 218. Storia della rigenerazione della Grecia dal 1740 al 1814, di F. C. B. S. PouQuEVILLE tradotta ed illustrata da Stefano Ti- cozzi. Italia 1825. — È vendibile presso i fratelli Giachetti di Pra- to. — Sono pubblicati i volumi VI e VII. 219. Opere di MARCO TULLIO CICERONE recate in volgare con note , prolegomeni ed indici e col testo latino a riscontro. Antonio Fortunato Stella di Milano agli amatori dei buoni studi. Essendo in procinto di por mano alla stampa di tutte le Opere di Cice- rone recate in volgare, col loro testo latino, secondo la promessa fatta da me nell’avviso pubblicato in latino e in italiano ai 26 di febbraio del pre- sente anno, stimo conveniente di esporre a parte a parte la qualità del mio di- segno , e l’ ordine e il modo che si osserverà nella edizione. Il testo latino sarà nuovo , .cioè riveduto e ricorretto diligentemente da chiarissimo sig. abate Francesco Bentivoglio , Duttore del Collegio ambrosiano, il quale datosi già da parecchi anni addietro all’ immenso lavoro di ricorreggere tutte le opere ciceroniane, e riscontratele colle edizioni più famose, sì antiche come moderne, cioè con quelle dei Manuzi, del Vettori, del Lambipo , del Grutero, del Grevio, del Gronovio , dell’Ernesti e dello Schutz , e di più con un grandissimo numero di codici manoscritti, parte dell’ ambrosiana e parte di altre biblioteche, si è ora finalmente indotto a dare in luce il frutto delle sue fatiche e de’suoi studi. :180 Le traduzioni saranno per la maggior parte nuove. Tra le già stamapate si sceglieranno le migliori e più celebri, come a dire del Bonfadio , del Faccio- lati, del Cantova, del Napione e simili, e parimente alcune che fanno testo di lingua. Dovunque esse si discostino dal vero significato delle parole latine , non si mancherà di avvertirne il lettore con una noterella posta appiè della pagina, nella quale il passo di Cicerone sarà interpretato convenientemente « Le traduzioni nuove saranno opera di egregi letterati viventi, e fatte con sommo studio st della purità della nostra lingua, e sì della fedeltà e verità della ioterpretazione. Nell ordine delle opere ci discosteremo alquanto dall’ uso seguito comu- nemente dagli altri editori, e ciò per le ragioni che saranno distesamenge espo- ste dal sopraddetto sig. abate Bentivoglio nelle sue prefazioni Jatine. Porremo per tanto nel primo luogo le Lettere, e queste recheremo tutte in un corpo , e distribuiremo secondo l’ ordine dei tempi, aggiungendo alla fine una tavola di ragguaglio, per via della. quate—il lettore troverà senza niuna fatica a qual luogo nel nostro ordine nuovo corrisponda quel luogo che qualsivoglia Lettera teneva nell’ ordine vecchio. Seguiteranno alle Lettere i libri rettorici, a que- sti le Orazioni, alle Orazioni le Opere filosofiche; per ultimo verranno i frame» menti, raccolti tutti insieme, eccettuati solo quelli che per appartenere ad Opere delle quali resta ancora una gran parte , sì saranno dovuti inserire nelle dette Opere ai loro luoghi. Non meno i volgarizzamenti che il testo latino saranno compartiti in capitoli o vero articoli secondo la edizione dell’ Ernesu, nella quale la di- stribuzione del testo è migliore assai di quella che si usa comunemente. Non- dimeno per servire alla facilità dei riscontri, si porranno di continuo nel margine i numeri corrispondenti alla divisione usitata. A ciascuna opera © libro si preporrà l’ argomento latino dello Schutz ; e una prefazione o argomento italiano composto o volgarizzato dal traduttore del- Il opera. Mancando sì fatta prefazione o argomento del traduttore , si porrà in quella vece, ridotta dal francese nell’ italiano, la corsispondente introduzione o argomento che si trova nelle edizioni di tutte le Opere di Cicerone pubbli- cate di fresco con molta lode in latino e in francese dal sig. prof. Le-Clerc in Parigi. Si porranno appiè delle pagine latine le brevi note composte nuovamente o scelte tra quelle dei passati comentatori dal sig. abate Bentivoglio; nelle quali sì conterranno le varie lezioni più notabili, tratte in parte dalle altre e- dizioni, e in parte da codici manoscritti non mai per l’ addietro riscontrati; e oltre di ciò le osservazioni istoriche , critiche e filologiche più pellegrine ed opportune o dello stesso Bentivoglio o pur d' altri. Appiè delle pagine italiane (vltre le noterelle che apparterranno alla emendazione dei volgarizzamenti, le quali saranno opera di un acuto e diligente letterato ) si troveranno tradotte dal francese nel nostro idioma le belle ed ottime annotazioni composte o pubblicate dal predetto sig. prof. Le-Clerc nel suo Cicerone. Dei Prolegomeni basterà pervora il dire che saranno contenuti nel primo volume , il quale si pubblicherà dopo tutti gli altri; che quivi in una pre- fazione italiana si assegneranno distintamente le ragioni della scelta o del ‘ rifiuto dei volgarizzamenti pubblicati prima della nostra edizione; e che in esso primo volume intendiamo raccorre quelle operette antiche o moderne che ci parranuo da un lato maggiormente conferire alla illustrazione delle Opere ciceroniane , dall’ altro, esser meno coguite e divulgate. Alla scelta 181 delle quali si procederà con matura considerazione, nè si trascureranno ancor e manoscritte, o vecchie o nuove , che ci venissero alle mani. Un intiero volume sarà occupato da indici amplissimi e copiosissimi, tratti principalmente da quelli del Le-Clerc , ma non senza moltissime aggiunte e Ya. rie correzioni fatte dal Bentivoglio. Resta ch'io preghi caldamente gli uomini dotti e letterati, massime ita- liani, a voler favorire e promuovere questa intrapresa , protestando loro ch Se eglino per avventura non isdegneranno di concorrere con alcun frutto del loro ingegno e dei loro studi ad ornare e nobilitare la nostra edizione, oltre che io mi sforzerò , secondo il poter mio , di renderne loro il cambio, me ne sti- merò anche tenuto ad una singolare e perpetua gratitudine verso loro, I Milano , 15 ottobre 1825. Nel medesimo tempo che si eseguirà la stampa del testo colla traduzione italiana a riscontro, si eseguirà pur separatamente quella del solo testo in eguale forma, carta e caratteri del presente Prodromo , impresso nella stamperia della Società tipografica de’ Classici italiani, come lo saranno tutte le Opere di Ci- cerone qui promesse , le quali si venderanno sotto le seguenti condizioni. 1.° I volumi dell’ edizione latina e italiana saranno quaranta circa , € venti pure in circa quelli della latina soltanto. 2.° Il prezzo per la latina ed italiana è fissato a centesimi venti italiani al foglio; a venticinque quello della sola latina. La legatura e cilindratura a centesì- mì trenta al volume. 3.° Il prezzo per chi volesse Opere separate sia in latino ed in italiano , 0 in latino solamente , sarà aumentato d’ un terzo. 4.° Le poche copie che si stamperanno in carta velina sì dell’ una come dell’ altra edizione costeranno il doppio. 5.° I detti prezzi saranno mantenuti per tutto l’ anno 1826, scorso il quale potranno esser soggetti ad aumento. 6.° Nel prossimo anno non si pubblicheranno meno di sei volumi della edizione latina ed italiana , e di tre della latina. In ciascun anno dei susse- guenti, dodici dell’ una, e sei dell’ altra : di modo che entro il 1828, 0 qual- che mese dopo al più tardi, tutte e due le edizioni saranno compiute. # Si avverte che quantunque nella distribuzione delle materie sì seguirà un ordine esattissimo, nondimeno talvolta, secondo che si avrà pronta la ma- teria, si anticiperà la pubblicazione di un volume, e si posticiperaà quella di un altro.Il primo, il quale renderà conto di tutti i lavori eseguiti , ei conterrà, oltre i Prolegomeni; anche la Vita di Cicerone , nou sì potrà pub- blicare se non dopo che saranno stati stampati gli altri. Le associazioni si ricevono in Firenze presso Giuseppe Molini... Mele, ua darne di RENI DI PRA ARA rd + 4 La dra ld Mir. $ 7 MORAR sei » bi Apa So un Ad i THMOs: EVITO AR ca e) PA LI TARGET. N09 gà È Varg MALA I ì DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE OSSERVAZIONI | METEOROLOGICHE I ATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO Alto sopra il livello del mare piedi 205. GRIIZEL 4 Ventic.i! OTTOBRE 1825. rta Rota | Me Sec; bt ti Ò n D d Ora 3 ESS pas s.5 Stato del cielo Di ® DI & CI (©) 3 ° A 6 E O FCI ao, E 7 mat. |28. 3,15 | sii 9.4. 61,0 | \scir. ‘Ser. ragnato Ventic.|f 1| mezzog. |28. 3,4 {14,43 13,0 50,0 Tram. ‘Ser. ragnato ven. for.l; rt sera |28. 3,4 |14,65 10,2 57,0 Tram. PE Vento 7 mat. (28. 3,5 |13,98| 8,4 (67,0 \Scir. \Sereno Ventic.|1 2 mezzog. 128. 3,0 |13,76 13,5 [41,0 !Gr. Le. ‘Sereno Ventic.|i | | 11 sera 128. 3,0 13,43 11, 3 59,0 ___ Lev. \Nuvolo Calma. 7 mat. |28. 2,85 14,21 10,3. 87,0 o Gc.Le. Coperto . Vento 3] mezzog. (28. 2,95 |13,98|10,8 [93,0 | o,or Lev. |Coperto Vento ri sera |28. 2,7 113,76: 10,6 ig130 Sc. Le.|Ser. nebbioso Ventic.ii 7 mat. (28. 2,6 13,32/11,2 [83,0 ‘Scir. |Nuvolo Ventic.|{ 4| mezzog. |28, 2,75 13,10 12,9 [90,0 | 0,00 Sc. Le. Nuvolo Calma 11 sera |28. 2,75 13, ,3a! 120 199,0 o | 0,14 Gr. Tr. Nuvolo Calma o 7 mat. |28. Can (13, asa, (o) 76,0 o 0,03 Tram. | Nuvolo Vento 5| mezzog.|28. 3,1 13 ,54 15,4 (56,0 Tram. ! Nuvoloso ven. for.|f ri sera |28. 3,8 13,76 12,4 ‘65, o Grec. !Sereno Ventic.|i | 7 mat. (28. 46 (13,54 12,2| (70,0 | {Grec. |Bel ser. Vento |! 6 mezzog., 128. 4,6 (13,98. 15,7 | 147,0 Gr. Tr.|Bel ser. Vento 1r sera 128. 49 114, 65 10,5 177,0 Lev. {Sereno Calma 7 mat. ad. 4,5. 113,98, 9,0 ;81;0 Scir. {Sereno Ventic 7) mezzog. (ed: 4,25 ‘13,98 14,4 (53, o Scir. |Sereno Ventic | 11sera |28. 4,2 A 57 10,6. TAO! Scir. e ego | 1 [ee] tn lac] > Q 5 È G S ES Si Ora S El mi S/SE SÌ SE Stato del cielo È. E MO ae [KO 5 $ OE I ! È mat. e 4,2 |14,21| 9,0 {80,0 Sc. Le. 'Ragnato Ventic. $! mezzog.!28. 4,0 |13;98|14,3 157, O) Sc. Le. 'Caliginoso Ventic. 11 sera !28. 3,6 14,6 65 194. 175,0 Gr, Le. Nebbioso Calma 7 mat. 28. 3,3 {13,98 198| 10,2, ‘36,0 ——|Se. Le. Sereno con neb. Veotic, 3a 14,21|15,0 155,0 Le. Sc. Sere. ragn. Calma II seat 28. 3,5 ts mezzog. 28. î 7 mat. 28. 10 mezzog. 128. II sera 128. 7 mat. 128. 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Calma Stato del cielo Sc.Lev|Neb. folta ve. fo.iî ve. fo.|l Vento |ù Calma |f Ventic.|{ Vento |î Ventic- Ventic. Calma 3 DALLA PANNONIA ; Agosto del 1825. La numismatica , dopo le tante osservazioni e scoperte fatte da molti uomini sommi, si potea dire che fosse ridotta a vera scienza, mediante la quale sì avea un corso dell’Istoria Romana, la conoscenza delle epoche diverse » dei re delle tante dinastie, alcuni dei quali non co- nosciuti se non per mezzo delle medaglie ; le moltiplici magistrature tanto sacre che profane; l’ architettura dei diversi templi , basiliche , archi di trionfò, porti, fanali , edifizi pubblici, e cento altre e più cose, che s'imparano sulle medaglie greche e romane : ma questa scienza viene ora contaminata da certi sedicenti mercanti numismatici, e da alcuni falsificatori , a tal segno che gli amatori della medesima si sgomentano e perdono il gusto di siffatta scienza; e quei ai quali manca un tatto fino per ben co- noscerne la falsità, spesso si trovano ingannati, anco sulla buona fede. Un certo catalogista di medaglie ha voluto trionfare col mettere ad ogni medaglia, tanto greca che romana 5 dei prezzi stravaganti , e a dettare in bigoncia la sua arbi- traria autorità. Cosa n'è egli accaduto? N'è accaduto , che i falsificatori di medaglie avendo imparato che una pic- cola medaglia di qualche nuova città, spesso moltiplicata poco dopo la scoperta fattane, si potea vendere 100. 200. e 300. franchi; hanno considerato che facendo uso della loro abilità , si potevano imitarle e farvi uno non indiffe- rente guadagno. Io non parlerò dell’ abilità in questo ge- nere di un oltramontano , ebreo, o cristiano che sia , il quale ha saputo con i suoi bei conj in oro e in argento ingannare molti, e in particolar modo un direttore accorto d’un celebre museo d’ Italia, un amatore in Parigi, un altro di Torino, e non ha molto in Francoforte sul Meno , 2 | un nobile fiorentino molto gplto , il quale ne comprò per una non indifferente somma di franchi. Parlerò bensì di certi falsificatori stabiliti in Smirne , e di un medicastro residente in Costantinopoli, che suppongo ingannatore ‘in numistatica, perchè nell’atto della sua partenza per Costan- tinopoli,, un personaggio distinto e amatore molto della numismatica , l’ avea incombensato di comprare delle me- daglie greche e genuine, e non false : tale era il contratto stipulato, con pagarle a prezzi ragionevoli, i quali for- mano, per quanto mi vien supposto, più migliaia di fran- chi, e ciò per averlo amichevolmente ben servito, con frode e inganno manifesto, perchè ha rimesso medaglie d’ oro della fabbricazione di Smirne che dovea ben cono- scere , cioè. Una medaglia in oro del Chersoneso Taurico, Testa d’ Ercole B XEP. Clava, e grappolo d° uva. Una simile di Panticapeo, imitata da quella del mu- seo PA ora del museo del re di Francia. Due Sal d’Atene, dramma e mezza dramma , imi- tando quei d' argento. Diversi stateri simili. Un Pilemene re della Paflagonia , imitando il conio d’ una in rame. Un re del Bosforo colla testa d’ Augusto preso da quella genuina del museo Allier in rara Una di Nicomede II re di Bitinia. Una di Seleuco I. re di Soria. Una di Paros Isola. Una di Filippi città della Mace- donia. Una degli Dei Cabiri, (1) simile a quella d’argento (1) Questo medaglione in oro fu dato da un mio amico Ter- gestino , come falso al medicastro in questione, e come buono fu in seguito venduto a carissimo prezzo al un nobile signore. E non è questo un inganno manifesto ? 3 esistente nel museo di Francia, della quale seconda esiste un falso conio ancora. Le medaglie poi in argento di conio moderno sono per ora a mia conoscenza le appresso. Un medaglione d’ Evagora re di Cipro, loveni da un’ altro falso del museo Bim een stimato dal no- Un medaglione di Delfi imitato da quello di Pel- lerin, o da un'altro, se non è falso, con la leggendà AMSIKTIONON. Un medaglione d' Ismene. Uno di Tanagra. si Uno di Tebe collo scudo, e testa | Città tutte della di Bacco Indiano. Beozia. Altri primitivi di Tebe. Una medaglia di Pherae. Una di Aréo Fe) sul mula delle dramme d’Alessandro il grande. Uno di Neandria , e vari altri, che per ora non mi vengono alla memoria. Finalmente uno d’Argos colla fa- retra eretta tra due delfini. Non contenti questi perturbatori dell’ oro e dell’ar- gento , hanno in seguito fatto altri coni di medaglie gre - che in bronzo, imitandone le antiche, o creandone dei coni ad arbitrio , come una medaglia dei Peoni, con falsa leggenda in ITAONON. Altra di Ciciacné della Tessaglia, altre dei Diati, altra di Petra della Marmarica, (he fi porto e non città, altra di Metropoli degli Isauri, sul conio legittimo di quella di Faustina madre, e di M. Ga- lerio Antoniro. Altra imperiale di Minoa, con aver ritoc- che le lettere d’ un’ altra leggenda. Un conio falso impe- riale di Macrino, d’ Ocèa della Sirtica ; una di Pitio città 4 acedonica ; sul gusto quasi di quella genuina pubblicata da Millingen, ed esistente ora nel museo Imperiale e Reale di Milano. Un’ Ombites ; Nomo d’ Egitto. Ecco un piccolo saggio della contaminazione della bella e vaga scienza numismatica, e delle diverse meda- glie false , colle quali si è voluto, e si vuole ingannare le persone studiose, non solo, ma anco i gonzi e i poco esperti nell’ arte. Cosa si dovrebbe fare a simili perturba- tori della numismatica ?... Dopo ciò , un consiglio da darsi a tutti quei che danno le commissioni di far ricerca di me- daglie, per arricchire le loro collezioni, si è quello di non più fidarsi di simile genia ,-e d'avere occhi d’Argo, e astenersi anco da altri che vi cristerizzano la borsa un po alla volta, e in piccole siringate. Torna più a conto comprare delle piccole collezioni , che cadere nelle mani troppo artigliose di siffatti mercadanti. Ho sotto occhio un catalogo d'un mercante di medaglie, in numero di più di tremila; ma gli stravaganti prezzi messi ad ognuna, fanno, arricciare il pelo alle medaglie stesse. Vor plus ultra. Serva per ora questa piccola refocillazione di nor- ma agli amatori della numismatica , perchè la sopra de- scritta ben pestiferata mercanzia sia sbandita, avverten- doli, che vien rimessa in Germania, in Francia , in In- ghilterra, in Italia , e anco in Russia, e in Polonia, e che dai mercanti di tali parti vien propagata altrove. Dixi. SADIK-EL-BArA. Pa Me, x hi PREZZO D' ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente i Per la Toscana, Lire 36 toscane per. 1 anno ( franco di porto Sp eo x perla posta per tutto il SE > < 3 | Lombardo Veneto > franchi 36. e i Regno. Sardo: È i LL franco di porte ‘per la posta 1 Lai il Ducato di Parma;— franchi 36. + franco alle frontiere ; ni per la posta + per 2° Stato Ponti icio, — - scudi & 0. franco di porto = 0A 0 Saper la’ post&; peri ci Regno di i Napoli, — ducati 10, dl compreso il porto. ed. il dazio r la Sicilia; posto compres) il 9a, di TESTE onze 3. 12 1 i; P À P ‘in ‘ Palermo | sino a Palermo L } Estero == franchi 30. <> #. franco Torino SEO RE si “o Milano 0 franchi 52. ss - . franco Parigi per la posta: * i Le annate ana non si. trovano più a complete ,e la collezione. ia (UD MATERIE - CONTENUTE. NEL PRESENTE QUADERNO. 1; 7 Ù (i, i 28 t veul > Storia di Sardegna del.cav, D. Giuseppe Manno. 3 iS € Vr Notizia storica dell’isola di S. Domingo: . - É cv di, 3138 Di alcune opere di antichi scrittori parate recate in luce "# monsignor © Mai. . (G..B. Zannoni.) a Lettere dalla Cisdania; Visita a Dannecker. Gouitailine «delle. memorie: | na aa biografiche. di Goethe. Notizie su Carlo Witte. Società di betle tina ‘formata in Monaco. Nuova descrizione della città di Roma, Monumento” > di Wibekelmann in Trieste. Nuovo metodo per o snai ì gerogli- — i ci di ti fici d'Egitto. i Luni Mayer.) n» 46% Progressi dell’ industria in LogHilterni.: ) ‘009 Sopra un sepolcro chiusino degli Etruschi; |. —- (E Orioli.) 1, 95 Leggenda di Tobia e di dobiola, ora:per la prima ablita ‘pubblicata con 3 “mote eci ot fi CE Lucchesini.) sì. 830 ha storia di Polibio da Megnlogoli, REATO da J. Cohen: (39) 3 Si ca Della Casa di Giovanni Boccaccio in Certaldo.‘ -|{»’ ‘‘’‘(’p. Rowellihî,) » 86° Manifesto dell’opera intitolata gl’ Jealiani in Polonia: |. (Scb. Ciampi.) ,; 92° Essai sur l’emploi da tems, par M. A. sala SERI (4. B:):;, 95° ‘Tragedie di G. B. Niccolini... Tee (MG E La flotta Sarda a ‘Tripoli. Ode di } I (G. Borghi.) ,; 120% «Sonetti di .- : (GC: di Negro.) ,, 123) | *Sonettodi. (0.1 .(D. Bertolotti.) ;,- 124) : Lettere sulla Grecia nella “primavera del 1825: FER Ballettino scientifico... RADI > (G.Gazzeri.) +3 Bullettino bibliografico. TO RR Yavole mpg vos per il mese di dito: tt TI, SARE Dramorone ® Epironz.. i ANI | TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI e AD A “oneste matin | conren vre EL PaEseNtE QuaDtnmo. | | i i sa DICEMBRE; 1825." sali: n " Più MIS È rà PI . Storia delle febbri intermittenti perniciose di Roma nali an: ni dai dia 1821, scritta da F. Puccinotti (2. E. i Basevi ). Pag. Delle viti illa, di e ai ri Memoria sulle viti” ed.i vini delle Cinque -Terre:. ; USI Lettere dalia Germania. Notizie sulla’ vita di one LIT Goethe; ‘e i romantici italiani: Sta Mayer) y «Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca pic Osservazioni di F arinello Semoli fiorentino. — Dante rivendicato: i LOS 5 +8 Memorie sal secolo e la vita di Salvator De di fi Mor- di gan. v$ # (Carlo Botta) de “Saggio sopra l’uomo, di Alessandro Pope — Lettera d' Eloisa A ad Abelardo — Elegia ‘sopra un cimitero campestre. di:-.° T. ‘Grày; traduzioni di Lorenzo Mancini. ; (SIT Lettere sulla Grecia; continuazione. ANS Soreziennes; del. sig. H. Lada | (2) 6. c. ca Di Intorno al libro delle ‘dicerie. Lettera. al. sig. ‘cav. Luigi > Biondi veto; de, (de SI, iS “ © ANTOLOGIA N. LX. Dicembre, 1825. Storia delle febbri intermittenti perniciose di Roma negli anni 1819, 1820, 1821, scritta da F. PuccinoriI. Urbino 1824. Dea giungere alla cognizione esatta e completa dei fatti, è impossibile stabilire una fondata teoria, che riducen- do i medesimi a principii generali , li comprenda, li enunci, e li spieghi. Finchè l’osservazione e l’ esperienza , uniche, e severe guide della ragione , non constatano la realtà dei fenomeni e non ne abbracciano l’ intera serie, i principii della scienza che loro è relativa mancheranno di fondamento e di verità, imperciocchè in ultima analisi consistendo i medesimi nella concisa sposizione dei fatti, come potranno esser indicati se non sono pienamente conosciuti ? E posciachè la medicina , comunque strana possa sem- brare questa proposizione, valentemente dal Tommasini so- ‘stenuta , non presenta ancora tali fatti esatti e completi per dar base ad una teorica, bene s’ avvisano coloro che, anzichè penetrare nell’incerto campo delle astrazioni, si occupano di speciali argomenti, e che giovandosi della propria situazione, a preferenza studiano quei soggetti, esaminano quei fatti che loro offrono maggiore opportunità o circostanze più favo= revoli per chiarirsi. Tanto è l’impulso di questi riflessi, che molti sommi me- dici, atteso i progressi aelle scienze, e la migliore applicazio- ne del metodo nelle ricerche, nuovamente richiamano l’atten= zione sopra argomenti già trattati per completare lo studio 2 dei fatti, e per trarne illazioni più giuste. Percorsa e cono- sciuta la vasta sfera dei fatti, comparati fra loro, onde stabi- lirne od escluderne l’identità, e pervenienti alla cognizione dei fenomeni elementari che formano il soggetto della medi- cina , allora veramente essa potrà vantare vera teoria , certi principii, ed assumere il nome di scienza. Il D. Puccinotti, penetrato della necessità di studiare i fatti con una istoria , vera esposizione delle cose, vi soddisfà. La funesta influenza dell’agro romano sull’animale organismo, svolgendovi febbri perniciose, profitta della propria situazione, e nel suolo fera- ce di sì cosiziali malori, di esse fa argomento alla sua opera. Quantunque , e Torti, e Lancisi, e Mortori, e Notraja- ni, ed Alibert, e molti altri sommi e diligenti scrittori ab- bian pubblicate opere celebratissime sulle perniciose , 1’ au- tore, mosso dall’ amore della verità e dal desiderio di gio- vare ai malati, si accinse a scrivere l’ opera sua, niun idea di confronto arrestandolo. E bene ne avea d’onde , imperocchè osservatore esatto , erudito sommo e pensatore profondo , ricco delle cognizioni ausiliarie alla medicina, compilò il trattato il più completo per i fatti, il più esatto per le descrizioni , ed il più severo per i ragionamenti che giammai sia comparso sul soggetto: Descrive febbri rarissime , rettifica la loro storia, e di fre- quente vendicando la gloria della patria, dimostra la priorità dovuta agl’Italiani per il lato dell’ osservazione e della cura. Seguace-degl’ insegnamenti del gran Patologo di Cesena, ap- plica l’ analisi a queste malattie, ne sviluppa le elementari condizioni morbose, ed il metodo di cura, spesso vacillante ed incerto, a regole esatte sottopone. Tante peregrine doti sono pure accresciute dal pregio dello stile, e dalla precisa e classica lingua famigliare al nostro scrittore. CDA è il pericolo che sovrasta in queste febibei, e la somma oscurità che ne involve lo svolgimento e la natu- ra. Il suolo ed i luoghi che le producono niuna sensibile causa ci presentano. Le analisi chimiche], le indagini endiometri» che niun lume ci offrono ; quindi led i composti dell’ aria non vi hanno influenza , o sono di natura tale che si sottrag- gono al potere della chimica , ed all’ impero dei sensi. 3 È premessa all’ istoria delle febbri intermittenti perniciose di Roma negli anni 1819 , 20, 21 , la sposizione delle malat- tie che le precedettero , e che contemporaneamente domina- vano. Somma al certo è l’azione che esercitano le costituzioni morbose precedenti allo sviluppo delle malattie epidemiche, giacchè nel loro corso se ne manifestono indubitati contrasse- gni. La meditazione dei medici sulla condizione essenziale delle perniciose, a niuna cognizione positiva avendo guidato , l'A. tralascia ogni ricerca sopra questo difficile argomento, e ri- pete con Reil ,, esser uopo sapersi contentare della cognizione ss storica delle febbri , studiarle semplicemente dietro i loro s» segni, i loro accidenti , e le cause fisiche che le generano, »» poichè tutto il resto ci è incognito ,,. Quei cambiamenti che succedono nell’ atmosfera dei climi caldi, nelle stagioni d’ estate e d’ autunno, sono secondo il nostro autore la causa occasionale ,, che premuove nell’uma- no organismo la febbre così detta intermittente, la quale è un effetto immediato di niun altra causa che di quella condizione specifica atmosferica. E quindi il morbo viene ad acquistare una natura specifica, non vincibile che da rimedio d’ azione specifica, siccome è la corteccia peruviana ,,. Questa specifica ed essenziale, ma incognita condizione, è costante in ogni febbre intermittente, qualunque sia il sin- toma pernicioso, comunque apparisca l'alterazione delle fa- coltà vitali: tutto è accessorio a questo fondo denominato Protopatìa, la di cui cognita qualità costante consiste nella periodicità dei parossismi. Nelle perniciose, oltre la protopatica condizione feb- brile, offrendosi all’ osservazione varii fenomeni morbosi ac- cesori e concomitanti, l’autore si prevale dell’analisi per lo studio dei medesimi, li paragona tra loro, instituisce ricerche ed esperienze , ed investigando gli elementari e primordiali morbosi processi che li costituiscono e li producono, li ri- solve ivi quattro condizioni primarie che denomina Omopa- tic. Quindi fa consistere le pensibili patologiche condizioni delle febbri perniciose , nell’ omopatia flogistica , nella dilio- sa, nella scorbutica e nell’ atassica, differenti tra loro per propria diversa natura, per la diversità dei segni che le ma- 4 nifestano,e per la specialità di quei mezzi secondari di cura, in forza dei quali si guariscono le perniciose, nelle quali pre- dominano. Coll’ammissione di questi principii illustrandosi Ja pratica felice dei sommi medici , e con chiari precetti faci- litandosi quella d’ ogni cultore dell’ arte , s° intende la cagio- ne della cura delle perniciose , quali furono sempre scoglio ad ogni dottrina ; e non più ravviseremo incompatibilità tra la china ed il salasso , e trai purganti, gli emetici, e la china istessa, E quei dubbii che le teoriche promovevano, e quella incertezza che nell’animo del medico induceva 1 empirismo, a contrasto colla ragione, a detrimento della eura (nei mo- menti più opportuni per la medesima, nei quali anzichè in- decisione somma attività richiedesi ) giova sperare che ces- seranno mercè le ricerche del Puccinotti; e chiari precetti dalla pratica desunti, colla pratica dimostrati , serviranno di norma alle mediche prescrizioni. In queste omopatie non risiede già la causa della perio- dicità caratteristica delle febbri perniciose, imperocchè essa è un effetto della loro condizione primaria. La protopatia colle omopatie vicendevolmente si aggra- vano. Infatti se col salasso, coll’emetico , e col purgante, molte volte si perviene a trasmutare le perniciose in beni- gne , è evidentemente provato essere il pericolo e la gravez- za loro in ragione dell’ esistenza delle designate omopatie. La serie dei segni e delle circostanze che danno luogo a dimostrare od a far presumere le speciali omopatie , le dif- ficoltà che s’incontrano onde qualificarle, i mezzì ed i cri- teri per chiarirle , la cura che loro conviene, omettiamo di trascrivere, obbligandoci a tale reticenza l’indole di questo giornale. L’ autore comprese nella categoria delle perniciose varie febbri che altri forse avrebbe esitato dal farvele appartenere, ma vi s’ indusse, perchè compariscono nella stagione e nel suolo in cui le perniciose sono endemiche , perchè frenabili unicamente dalla china, perchè curate con quella dose di questo farmaco che adoprasi nelle semplici intermittenti non guariscono, perchè coloro che sono affetti di simili feh- bri terminano infaustamente in periodo brevissimo, perchè 5 il predominante sintoma febbrile segue in gran parte le fasi del parossismo , e per lo stato di prostrazione e di marcatis- sima debolezza chesi manifesta nell’ apiressia. Torna in acconcio riflettere che spesso l’ ignoranza ed il timore, in alcuni medici , ed il desiderio di gloria e di lucro in altri, fa ravvisare come perniciose febbri che tali nol sono. E valga in appoggio la irrefragabile testimonian- za del sommo medico G. P. Frank, il quale nella sua este- sissima pratica esercitata in quasi tutte le latitudini del- l'Europa, non incontrò che rarissimi casi di perriciose (1). Il medesimo ad istruzione dei medici offrì esempi di ma- lattie, che avendo somma analogia colle perniciose , pote- vano venire equivocate colle medesime , e compie il suo assunto somministrando sani precetti per ovviare alla pos- sibilità di simili errori. Ma quando la massima parte delle condizioni accennate dal Puccinotti si verificassero, non esiteremmo dal considerare come perniciose febbri che esi- gendo nina cura cognita , lo sbaglio nella diagnosi, e per ciò la maggior attività nella cura, non recherebbe che utili conseguenze. Bensì talune flogosi poco manifeste gene- rando febbri a periodo, richiedono cautela nella loro cura, imperocchè dovendosi questa istituire per la patologica con- dizione, anzichè per i di lei effetti, non sì dimentichi che la china in dose copiosa sebbene si risguardi dotata di virtù deprimente, oltre al riuscire inutile , in questi casi nuoce quando lo stomaco ed i visceri adiacenti sono affetti da flogosi, e che le fisico-chimiche qualità del sud- detto farmaco colla loro diretta impressione accrescono l’in- fiammazione allorchè esiste, e la provocano nelle parti ir- ritate ed in istato di turgore. Imprendendo l’ autore con breve discorso la ricerca della patogenia delle perniciose, ed instituendo un confronto colle altre periodiche , opina essere le perniciose semplici intermittenti che acquistano tale natura per effetto topico di esalazioni umide in tempi caldi ed in ‘certi climi. Esclude dalla serie delle cagioni che le producono il mia- (1) Vedi interpretationes clinicae. 6 sma, imperocchè se dal medesimo derivassero , non va= rierebbero come dice il Lancisi secondo iluoghi, le atmo- sferiche vicissitudini e le epidemiche costituzioni. Per lo che il miasma, supposto costituente delle palustri -esala- zioni, merita considerarsi tutto al più come una circostan= za aggravante la consueta annuale cagione delle intermit- tenti. Riflette l’autore che 1’ efficacia di un medesimo mezzo terapeutico, sì contro le semplici periodiche come contro le perniciose , e le analoghe circostanze locali che le svi- luppano, sono prove dell’ identità della loro natura, Con- sistendo adunque la differenza tra le benigne e le perni- ciose, nel richiedersi per la cura di queste maggior dose di china, e maggior sollecitudine, nell’amministrarla , se ‘ne deduce che esista una sola diversità di grado prove- niente dall’ associazione delle omopatie , che colle proto- patie vicendevolmente si ledono. Se nel copioso numero delle febbri perniciose che nel citato triennio ebbe a trattare l’autore , e che con tanta di- ligenza descrisse, taluna non fosse dai sistematici per tale risguardata , la consideri almeno come intermittente fatta più grave dalla concomitanza di altro morbo. Ma, poichè per la curagione vuolsi la china , questa qualificazione , oltre al risvegliare forse una vera idea del male , reca utilità alla cura, atteso la generalizzazione del metodo che conviene alla rispettiva protopatia ed omopatia. Oltre alle enunciate cause ordinarie delle suddette ma- laxtie , l’ istoria dell’arte ci fornisce esempi di vere perni- ciose dipendenti da organiche lesioni, come quella prodotta da Osteo-sarcoma all’ utero che generò un’ emetica per- niciosa, ed il di cui pezzo patologico si conserva in Pavia. L’ autore ebbe un caso di perniciosa sincopale, che l’au- topsia mostrò dipendere da vizio ai percordi. Senza sotti- lizzare , ardua impresa è conciliare questi fatti colle rife- rite dottrine, Ma esiste una condizione essenziale primaria che ge- nera i fenomeni sensibili delle febbri, ovvero queste non sono che sintomi comuni a molte lesioni? Le febbri sono 7 elleno independenti da quelle patalogiche condizioni che con speciali fenomeni si rendono evidenti? Conveniamo che non è da porsi in dubbio l’essenzialità delle febbri , ma debbesi limitarne il loro numero, giacchè spesso im- propriamente da taluno si considerano malattie febbrili es- senziali i fenomeni simpatici di parecchie lesioni. L’indu- bitata efficacia dell’ arte per mezzo della china, dimostra nelle febbri perniciose e nelle legittime intermittenti l’esi- stenza di un quid particolare che esige una speciale cura, comunque possa essere l’ effetto di qualche organica e pri- maria locale lesione , giacchè dirigendo unicamente alla medesima, secondo i precetti dell’arte , il piano curativo , non se ne conseguirebbe il bramato resultato , cioè,la ra- dicale guarigione. L’autore, zelante per gli studi d’ anatomia patologica, e persuaso dei lumi che da questa ponno trarsi per la co- gnizione dei morbi, e per la loro Terapìa , istituì molti- plicate ricerche sui cadaveri, e perchè furono appunto nu- merose, non si illuse nei suoi corollari, Infatti non di rado egli occorse dopo l’ ‘esame di sei o sette {cadaveri che presentavano peculiari caratteri, d’inferirne tali il- Jazioni, di cui le ulteriori osservazioni mostrano l’ inesat- tezza, e che sempre più lo convinsero dell’ errore di de- durre da pochi fatti teoremi generali. Omettendo di tra- scrivere tutte le resultanze delle fatte autopsie , che alta- mente chiariscono la dottrina dell’ autore, referiremo che le alterazioni trovate nei cadaveri hanno quasi sempre cor- risposto alle speciali omopatie delle perniciose, manife- stando i segni che loro corrispondono nei tessuti e negli umori. Con questi resultati maggior luce ed evidenza han- no acquistato i principii emessi dall’ autore, evidenza che ancora dalle osservazioni mecroscopiche di altri monogra- fi di perniciose, mercè le proprie riflessioni e considera zioni, si propose di far risaltare, Qui ha fine il nostro discorso sul volume pubblicato. L’au- tore si riserva nel secondo tomo tutt’ ora inedito a trattare del- l'etiologia, della cura, e della profilassi delle febbri perniciose, e terrà proposito dell’interessante argomentodelle flogosi nelle a) perniciose, delle loro conversioni , e successioni. Speria- mo che appagando i voti di tuttii cultori dell’ arte , tra breve renderà di pubblica ragione il prodotto delle sue meditazioni, ed i resultati delle sue ricerche sopra simili oggetti. Compita così la di lui opera a vantaggio dell’arte salutare, e della filosofia medica, si renderà benemerito della gloria e dell’incolumità d’Italia nostra, ove fatal- mente la frequenza di sì esiziali malori richiedendo prov- vedimenti efficaci, conviene desumerli dall’ osservazione , dall’ esperienza, e dal più retto modo di ragionare. L°af- frettiamo adunque coi nostri desiderii a dar compimento alla sua pregevole Istoria ; e confidiamo .che estendendosi nell’ importante argomento della profilassi, somministrerà ai privati insegnamenti opportuni per prevenire il male ed ovviare alle recidive, ed illuminerà i governi sulle mi- sure più atte a rimuovere e mitigare le cause topiche delle perniciose dall’ arte frenabili e vincibili, alla cui esi- stenza cospira spesso l’infelicità dei luoghi, non meno che gli errori e l’incuria del potere amministrativo. BASEVI. Delle viti italiane, di ciuserpre acerzi—Milano per G. Sil vestri 1825—Memoria sulle viti ed î vini delle Cinque terre, nuovamente corretta, ed ampliata—Genova, pres- so Yves Gravier 1829. Giugne opportuna una classificazione delle viti italiane in una stagione, in cni gli abitanti delle città rendendosi alla campagna, prendon parte alle festose vendemie, e si com- piacciono a osservare le variate foggie di vitigni, che cuopro- no i nostri colli. E cresce l’interesse quando, raccolti a lieta mensa , ad ogni rinnovar di bottiglia, nuove e curiose que- stioni insorgono sul beato paese che fornì quel liquore ; chi ne dà il vanto alla qualità della vite che il produsse, chi al- la natura del suolo che la nudrì , e chi tutto il pregio ama di ripeterne dagl’ ingegnosi processi della chimica moderna. 9 Di queste opinioni talvolta ride in disparte il rozzo vigna- jolo , cui ignoti affatto essendo i nomi di Chaptal , e Mad. Gervais, da null’ altro riconosce la buona qualità de’ suoi vini, che dalla scelta delle uve onde il compose , e da' luo- ghi propizj che seppe, scegliere a stanza delle sue viti. Nel fervore di questa discussione , dove più d’ una bottiglia si votò, e nulla si decise, ci piace di veder freddamente com- parire il Signor Acerbi, e qual egli si presenta, assistito da una parte dalla ionica per online in classi l’ incomposta turba delle viti italiane , e.dall’ altra fatto esperto dalla pro- pria esperienza per la copiosa raccolta di viti che possiede, ha buon diritto di essere riconosciuto legislatore in questo ramo di rurale economia. Vediamo dunque più addentro in questa materia, e esaminiamo;qual grado d’ importanza, nella nostra agricoltura, può avere la classificazione delle viti italiane, e quanta parte può prendere in esso l’ opera del nostro autore. Essendo la vite straniera di origine al suolo d’ Italia , è assai pnbabile che un solo ceppo di questa pianta benefica, ne' tempi i più remoti, fosse da lontane regioni trasportato tra noi. ili antichi, che per un sentimento assai lodevole so- levano riportare alla Divinità quanto nelle arti e nell’ agri- coltura era stato scoperto a vantaggio dell’ uomo, come fa- cevano cnore a Cerere della scoperta delle piante cereali, così tenevano Bacco per lo scopritore e propagatore della vi- te e del vino. È questi il) solo tra le greche divinità di ori- gine strzniera ; il quale non discendesse a stabilire il suo culto nela Grecia dalle alture del Parnaso e di Dodona ; chè quele cime nevose negavano ospizio alla pianta ov’ egli era simbleggiato. Anzi, per quanto possiam rilevare dal- la stessa mitologia, ov’ è deposta ila storia di que’ tempi remoti , la progressiva introduzione del culto di Bacco presso diversi popoli, può aversi per equivalente della propagazione presso gli :tessi della vite, e della manipolazione del vino. Poichè quarto sarebbe ridicolo il fondare , senz’altra riserva, sopra que’ favolosi racconti la storia de ipiaslii tempi, al- trettanto sarebìe indiscreto il non vedere in essi velata 1’ im- presa di un uonn benemerito, che movendo dalle australi 10 regioni dell’Asia approdò in Italia, recando seco quel vene- rando ceppo di vite, che da noi rapidamente si diffuse per tutta l’ Europa. È ormai convenuto tra i naturalisti che le assidue cure dell’uomo, non meno sulle piante, quanto sugli animali im- piegati a suo servigio , col lungo girare de’ secoli esercitano sì fatta inflnenza sulle loro esterne qualità e forme, che poco alla volta li fanno sensibilmente tralignare da’ loro tipi ori- ginali. Quindi furono inutilmente ricercate le natie sedi di questi esseri, nella supposizione di trovarli colà selvaggi, quali presso di noi si mostrano nel loro stato di domesticità. Costantemente trovati compagni dell’uomo , segnan ne? luo- ghi ove veggonsi introdotti il progresso dell’ umana specie dalle regioni orientali verso le occidentali, e il suo avvanza- mento nella vita sociale. V’ha dunque tutta la verosimiglianza per credere, che da una sola specie di vite emanarono tante variate maniere di vitigni, quante ne furono nel lungo volgere de’ secoli dalla umana industria assoggettate alla moltiplice e diversa azio- ne di clima, di suolo , e di coltura. Nè si creda di ficil riu- scita il ricondurre con brevi sperienze queste varietì al loro tipo primitivo ; come se i tentativi fatti in pochi giorni da ur osservatore bastassero a render nullo l’effetto accumulato nel giro di più secoli sulla stessa pianta. Ne avvien? pertan. to che queste varietà , mantenute per tanto tempoda cagio- ni perenni nell’abitudine di mostrarsi sotto certe forme e qualità , tendono a conservarle anche sotto l’ aziore di cir- costanze non affatto conformi. Non è però che questa lunga abitudine le renda insensibili affatto all’ influenzi di una nuova serie di esterne cagioni; chè anzi laddove l impres- sione di queste di molto. si scosta dalla maniera di agire delle prime, come appunto è il caso delle viti state intro- dotte sotto i tropici in America, l’ influenza di un nuovo cli- ma si fa tosto sentire nella qualità de’ vini ch: rendono, indi le fa progressivamente tralignare dalle loro natie forme. In questa guisa la natura, alterando le fattezze di que’ nuo» vi ospiti, va preparando nuove foggie di vitigni pe’ nostri nipoti; nè tarderanno ad essere trasportate in Europa , co- TI me viti americane, quelle stesse che ne partirono viti eu- ropee (1). In questo avvicendarsi di cagioni, che fanno tralignare le piante da’loro tipi originali, e di natia tendenza a conser= varli in essi e ricondurveli , sarebbe vano ogni sforzo per istabilire una classificazione delle viti, che non può essere fondata che sopra caratteri fissi e invariabili. Egli è vero però che trattandosi quì di una pianta, che da lunga pezza stanziata tra noi, mantiene ormai fissi quei caratteri che il tempo e la natura de’ luoghi le hanno impresso , possiam va” lerci delle forme e qualità diverse contratte nelle sue varia- zioni, per assoggettare a una classificazione queste varietà, come se fossero specie. E non si tratta quì di prendere in prestito dalla botani” ca tutti gli artifiz) di una classificazione, con un pomposo apparato di termini tennici , senz’ altro scopo che di uno scientifico tentativo. Conoscere le diverse foggie di vitigni equivale a saper la maniera di procurarci ottimi vini, e sa- per quelli che più vanno a grado al nostro gusto , e potere scegliere secondo le circostanze , tra un maggior prodotto e un vino debole, o tra un prodotto scarso, e un vino squisito. Se inoltre ponghiam mente che ciascheduna specie di vite. (1) Tn questi principii , a nostro avviso, sta tutta la teorica della nostra Pomona. Le varietà tanto moltiplicate delle nostre frutta sono l’effetto di questa variata serie di cagioni, che hanno a lungo agito sopra i tipi primitivi di un nu- mero assai limitato di specie. Noi ci troviamo a una immensa distanza dal primo termine di questa serie di alterazioni, e il voler giudicare della som- ma di queste dalle mutazioni che in breve periodo di tempo accadono sotto i mostri occhi, è un paragonare due quantità che non hanno una misura comune» Le false dottrine prodotte in questi ultimi tempi sopra questo argomento trag- gono da una falsa interpetrazione data a uu principio stabilito da Linneo, che le varietà di una piavta si riconducono al loro tipo specifico seminandole. Que- sto canone sarebbe fondato sulla supposizione che le cagioni che producono le variazioni non agiscono sulla sementa. Ma quel sommo botanico non ignorava certo che queste cagioni, non solo influiscono sulla sementa, ma di più tal- volta ne spengono affatto la facoltà germinativa, come appunto in alcune spe- cie di ananasso , di musa, e di garofani ; anzi in alcune , e ne sia di esem- pio il Pizzutello nelle viti, Ja sementa stessa ne resta abolita. Il canone lin- neano sta, ma ne sarebbe una indiscreta interpretazione il credere che Ja pri- ma seminagione di una varietà dovesse abolire l’ effetto di più secoli sopra la sua sementa. 12 è in tale relazione colla natura del suolo ove si coltiva; della sua esposizione e della maniera di essere coltivata, che da queste cognizioni dipende ogni buon successo ne’ suoi prodotti , verremo a comprendere che la classificazione delle viti, mettendo in mano dell’ agricoltore il filo per farglieli conoscere , e poterne fare scelta , è la più utile delle appli- cazioni che possa farsi della botanica all’ agricoltura. Ma al primo affrontare di questo lavoro, l’agronomo il più appassionato ne rimane sopraffatto e scoraggiato. Una fa- ragine di nomi le più volte barbari e insignificanti , riempie il quadro delle specie di viti coltivate da un estremità dell’I- talia all’altra. Ad ogni breve cambiar di paese la stessa specie cambia di nome, e come se dovesse esser aperta doppia Via al- l’errore, talvolta lo stesso nome è applicato a diverse qualità di vitigni. I depositari di questa nomenclatura sono rozzi vi- ‘gnajoli, che non sanno, e non hanno lingua acconcia a ren- der conto della maniera con cui a colpo d’ occhio distinguo- no le loro viti. Tenersene alle loro descrizioni è lo stesso che rendersi interpetri di tante lingue diverse quanti sono gli occhi che: osservano. Tutto , in breve, ributta dall’ av- venturarsi a un lavoro, ove tutti i materiali son ravvolti nel più alto disordine. Quando l'illustre Linneo concepì l’ alto disegno di or- dinare il regno vegetabile, cominciò dal fissare la lingua della scienza , esprimendo con altrettanti termini proprii tut- te le fattezze delle diverse parti di una pianta. In questa gui- sa la lingua creata da Linneo , divenuta quella de’ botanici » riuscì facile il rendersi interpetri delle loro descrizioni, messe all’ unisono da un linguaggio comune. L’ esempio del bo- tanico svedese è stato saviamente seguitato dal Sig. Acerbi, che dal vocabolario linneano ha attinto le voci per esprime- re le diverse forme delle parti che le viti compongono. Egli ha di più fornito un modello di descrizione generale , sul quale posson facilmente conformare le loro descrizioni coloro che non avessero bastantemente familiare la lingua e il me- todo de’botanici. Egli aveva pertanto giusta ragione di spe- rare che non solo i botanici, ma i vignajoli stessi meno istruiti, da un estremità dell’Italia all'altra, avrebbero potuto prender 13 parte al suo lavoro. A giudicarne dall’impegno con cui i dotti agronomi italiani hanno secondato il progetto del nostro au- tore, si direbbe che non fosse in essi men vivo il desiderio di provvedere a questo ranto importantissimo di economia rurale. I Professori Moretti e Pollini gli hanno trasmesso , il primo la descrizione delle viti delle colline pavesi d°’ oltre- pò , l’altro delle veronesi. Ed ebbe dal Frof. Sonsis descritte le viti cremonesi , e dal Signor Conte di Cardenas quelle dei contorni di Valenza. Dall’ Avvocato Nota quelle di S. Remo nel Genovesato ; le viti romane dalla Signora C. Fiorini, e quelle delle così dette Cinque terre nella Liguria Orientale dal Signor Guidoni ; ed ebbe inoltre descritte dal Signor Ma- lossi quelle de’ contorni di Chiari nel Bresciano, le vicentine dal Signor Garofano , e quelle delle vicinanze di Dignano nell’Istria dal Sig. Sandowich. E v’hanno per ultimo descrit- te da anonimi le viti de’ contorni di Termini, e le toscane. Tutte queste descrizioni, quali da’ loro autori furono tra- smesse al Signor Acerbi, formano almeno i nove decimi del» 1’ opera che il Signor Silvestri ha pubblicato a suo nome. Non era certo ;} e dobbiam crederlo , intenzione del Sig. Acerbi di fondare sopra queste locali e spesso discordi de- scrizioni degli agronomi italiani la generale classificazione delle nostre viti. Era bensì questa una parte de’ materiali , che ben comparati e corretti, sarebbero stati impiegati nel» 1’ edifizio ch’ egli aveva disegnato. Egli aveva inoltre fatto raccolta di 619 specie di vitigni nelle sue terre ; nè forse un maggior numero l’Italia ne possiede. E ci riesce ben grato il sapere che oltre a 400 varietà di viti gli furono a un tem- po regalate da due augusti Principi di Casa d’Austria (2); tan- to è l’interesse che tutta questa Imper. Famiglia prende per ogni scientifica ed utile impresa. Ma non sempre i progetti concepiti sotto gli auspizi i più fausti traggono a buon fine. Il Sig. Acerbi, chiamato a un onorevole carica fuori d’Italia, manca al suo lavoro appunto, quando cominciava la parte ch’ egli aveva a indossarsi ; e i materiali raccolti passano per le mani di uno stampatore , che dee aver creduto bastare a (2) Le loro Altezze Imperiali gli Arciduchi Ranieri e Giovanni. 14 far conoscere e classificare le viti italiane il pubblicare alla rinfusa le descrizioni quali da’ loro autori erano state tra- smesse al Signor Acerbi. Ma se questo corrisponda alle spe- ranze che avevamo cencepito del disegno del suo progetto, sarà messo in chiaro dalle seguenti riflessioni, nelle quali ci sia permesso distenderci alquanto, in grazia di coloro che amassero dar mano a quest’ utile impresa. Due maniere di descrizioni ammettono i botanici ; una detta raturale deserive partitamente tutti gli organî de’ quali una pianta si compone ; l’ altra detta essenziale , o differen- ziale supponendo la pianta già collocata nella sua classe e nel suo genere, si limita a fissare la specie con quei caratteri che esclusivamente le appartengono. Non sapremmo, a dir vero , a quale di queste due maniere si abbiano a riferire le descrizioni registrate in quest’ opera, le quali ci sembrano troppo concise per essere riportate alle naturali, e sover- chiamente lunghe per essere differenziali. In generale però si vede che a queste ultime, nella loro compilazione, mira- rono iloro autori, nè in ciò sapremmo rimproverarli. Co- loro per es. che presero a descrivere le viti romane, o vero- nesi, a null’ altro intesero che a fissare le differenze tra le specie comprese in quelle provincie. Nè potevano istituire comparazioni, e produrre nuovi caratteri di differenza tra viti che non conoscevano , o non intendevano a far cono- scere. Ma queste descrizioni, cui nulla manca finchè restan ne’ limiti ne’ quali furono compilate , divengon incerte e in= sufficienti quando hanno a presentare le differenze, non solo tra le viti delle provincie cui spettano, ma di quante va- rietà l’Italia tutta ne racchiude. Linneo, cui tutti î rami delle scienze naturali devono il loro rapido avanzamento, per avere imaginato e fissato le leggi di queste definizioni specifiche , voleva che ad ogni nuova edizione delle sue spe- cies plantarum, destinate a registrare le piante novamente scoperte , le prime definizioni specifiche fossero riformate e corrette. Nè poteva farsi diversamente, a voler evitare gli equivoci che l’ incontro di molti caratteri tra le specie anti- che e le nuove avrebbe cagionato. Ed era appunto di questa natura il lavoro che la classificazione delle viti ita- 15 liane attendeva dal signor Acerbi. Si trattava di paragonare tra loro le descrizioni ch’egli ne aveva avuto da un estremità dell’Italia all’ altra, onde ordinare sotto lo stesso nome quelle che fossero state riconosciute uguali, e dar nomi diversi a quelle che sotto la stessa denominazione fossero trovate discordi. La ricca raccolta di viti ch'egli a propo- sito si era procacciato, gli avrebbe di molto agevolato questa difficil parte di sue fatiche ; poichè quanto è. penoso il rile- vare le differenze tra descrizioni incomplete, o fatte da mano diversa , altrettanto riescon cospicue all’ osservatore che può schierarsi innanzi gli oggetti, e cogliere con occhio eserci- tato le loro diverse apparenze. Ma se tale era il disegno del signor Acerbi, l’opera che porta il suo nome è ben ici dal riempire le speranze che ne avevamo concepite. Coloro che prenderanno a valersi di questo libro per conoscere e classificare le loro viti, er- rando continuamente di provincia in provincia, e di vite in vite, sempre incerti tra nomi uguali e descrizioni di- scordi , o tra descrizioni concordi e nomi diversi , sopraf- fatti per ultimo da un eterna lista di nomi, e soli nomi di viti, francesi e tedeschi , ci diranno schiettamente se tra le centinaia che ne racchiude descritte, una sola sian riusciti nettamente a caratterizzare e distinguere. E per verità, lo stato in cui il libro pubblicato a nome del signor Acerbi lascia questo ramo importantissimo di rurale economia, ci rammenta precisamente quell’ epoca della botanica che pre- cedette i tempi di G. Batucino, durante la quale, descrivendo ciascuno con nuovi nomi quante piante gli venivano alle mani , senza curarsi di sapere se diversamente fossero già state da altri nominate, tanta faragine di nomi ingombrò la scienza, che 60 anni di vita appena bastarono a quell’il- lustre botanico a purgarnela e ricomporla. , Ora se il genio e la pazienza di un sol uomo venne a capo di ordinare e mettere all’unisono i nomi di quante spe- cie di piante eran conosciute a’ suoi tempi , dobbiam noi di- sperare che tra i valorosi cultori delle scienze naturali che l’ Italia racchiude, taluno non sorga a dar legge e ordine alle poche centinaia di viti che 1’ Italia possiede? Che se 16 l’impresa , sotto certi riguardi , eccede le forze di un par ticolare, abbiam giuste ragioni di sperare che non rimar- ranno per essa inoperosi quei governi pincipalmente, che contano i vini tra le più proficue derrate de’ loro stati. Una collezione di viti patrie , fatta ne’ giardini botanici delle ca- pitali d’Italia, o delle città centrali a provincie vitifere , co» mincerebbero a metter d’accordo quella diversità di nomi che la stessa vite prende sovente nella stessa provincia , © nelle provincie dello stesso stato. I botanici italiani, cui sono famigliari tutte le risorse della scienza, e hanno memoria e criterio esercitato a questo genere di lavori, visitando so- vente queste collezioni, non tarderebbero ad aver tutte presenti alla mente le specie di viti ivi raccolte, onde po- terne cogliere le differenze , e fissare i caratteri necessari a farle tra loro distinguere. Conosciute le viti, e fissate le provincie alle quali più particolarmente appartengono , fa- cil sarebbe il procurarsi tutti quegli schiarimenti che posson meglio renderci istruiti sulla natura del suolo , e de’ luoghi che esigono , e sulla qualità dei vini che fornicono. Nè io saprei , se fra quante opere di agraria sono state pubblicate a’ nostri giorni, una ve ne fosse che più di quella ove tutte queste cognizioni fossero registrate, riuscisse di maggiore utilità all’ Italia , e meritasse a’ suoi autori maggior diritto all’ universale applauso e riconoscenza. Avevamo condotto a fine questo articolo ,, quando ci venne alle mani una memoria sulle viti, ed i vini delle cinque terre nuovamente corretta ed ampliata , del sig. Guidoni, che è quegli stesso di cui la prima edizione di questa memoria si trova compresa nell’ opera del signor Acerbi. E ci piace trattenerci alquanto intorno ad essa, che dal signor Guidoni, che sappiamo aver fatti buoni studi nelle scienze naturali all’ università di Genova, e che possiede ricchi vigneti sulla costiera orientale della Liguria , e a’confini della Toscana, abbiam diritto di sperare almeno la concordanza tra’ nomi delle viti toscane e ligustiche. E sarebbe già un gran passo l’averla stabilita tra due regioni, che per la squisitezza dei loro vini sono o furono le più pregiate in Italia. E vaglia il vero, se a’vini toscani fu data la palma dal Redi toscano e 7] poeta , i ligustici furono ad essi anteposti da Plinio natura- lista, e non ligure, e dal Boccaccio , il quale per toscano che fosse, non fece da Chino di Tacco ristorare lo stomaco dell’abate di Clignì col Montepulciano, che d’ ogni vino è il re,ma bensì colla Vernaccia di Corniglia (3), cioè col vino di una delle cinque terre, soggetto della memoria del sig. Gui- doni. Saviamente il nostro autore ha fatto precedere il suo la- voro dalla descrizione fisica di quel tratto di paese che dal Golfo della Spezia si protende al Capo Mesco; e tutto spie- gato a mezzo dì in una schiena di monti che rapidamente scoscendono sul mare , offre la più propizia stanza alla cul- tura delle viti. Le sue osservazioni sulla natura calcarea di quel suolo, sull’ industria di quegli abitanti nella coltura delle loro viti, e sulle diverse qualità di vini che queste pro- ducono , sono appunto gli oggetti che devono aver in vista coloro che amano entrare in questa materia. Quanto all’epo- ca in cui la vite è stata introdotta in quella parte della Li- guria , le nostre idee vanno ben oltre quelle del Signor Gui- (3) Vernaccia, o volgarmente Vernazza è una delle cinque terre nella Liguria orientale, a poca distanza di Corniglia. La celebrità de’ suoi vini e le qualità delle viti, che lo producono , diffuse in seguito ne’ vigueti ita- liani, hanno fatto dimenticare il paese al punto , che in questo nome, gli accademici della Crusca sull’ autorità del Boccaccio , del Bandello, e del Soderini non hanno saputo veder altro che una qualità di vino , o il viti- gno che lo fornisce. È sia detto di passaggio, non è questo il solo esempio nella ligure geografia, di vederne i nomi vernacoli de’ luoghi contrafatti, e sovente distrutte in essi le preziose traccie dell’ antichissima loro prove- nienza, per averli voluti coreggere e tostanizzare. Chi direbbe mai, per esempio, che la città del Bigame ricordata da Gio. Villani, è Albenga che tanto ritiene del suo antico nome di A4/bingaunum ? Da quante ridicole etimologie si è fatto derivare il nome di Ventimiglia, laddove conservato quale da’ suoi abitanti è tuttora pronunziato, &ntimigia , tosto ci ricorda l’ illustre città Entemelion di Strabone. Perchè cambiare il capo Menire in capo Merula , e peggio ancora in capo delle Mele , e dileguare così fia la traccia del suo antico significato di capo di divisione tra lisuri intemetii e liguri albingaunii ? Quale doto geografo saprebbe trovarmi nel mare li- gustico il Porto delle Riccie di Matteo Villani,creato con pretto idiotismo toscano, per non avèr saputo ravvisare nel nome di Lerici, null'altra diffe- renza coll’antico spvÈ che nell’essersi appropriato 1’ apostrofo. Ma bastano, questi esempi sopra un soggetto troppo legato all’ antica geografia, per poter esser trattato quì per incidenza. T. XX. Dicembre. 2 doni. E sia detto in pace del Signor Micali, che nelle ricor- danze de’ prischi tempi conservate da’ poeti null’ altro vede che fole, e sole fole, in quel Bacco coronato di pampini che approda alle sponde della Tirrenia , e vi stabilisce paci- ficamente il suo culto , noi vediam chiaro il consenso di tut- ta l’ antichità nell’ accordare a questa regione italica, che allora comprendeva almeno gran parte della Liguria maritti- ma, l’onore di aver per la prima in Europa dato ospizio al propagatore delle viti. Se ben ci ricorda, tra le anticaglie scoperte nelle rovine dell’ etrusca Luni , ve n° hanno che at- testano il culto di Bacco , che ebbe in conseguenza altari in questa città assai prima che in Roma. I tempi storici vengono, benchè tardi, a confermare queste antiche rimembranze. Al riferire di Tito Livio, fino dall’anno 570 di Roma, A. Postu- mio bruciò i vigneti de’ liguri montani. Ora il tratto di paese devastato dal console romano non poteva essere sulla sini- stra della Magra, ove tutto era già stato nella stessa campa- gna involto nella totale rovina de’liguri appuani. Se non aves- simo a dilungarci troppo dal nostro argomento, sarebbe facile il dimostrare che i liguri montani abitavano quella catena di monti che scorre tramezzo il torrente della Vara e il litto- rale, ove appunto trovansi i vigneti delle Cinque terre. Era- no i vini squisitissimi di questo tratto di paese, che intro- dotti in Roma sotto il nome della loro capitale , reggevano al confronto del Cecubo e del Falerno, ed ottennero dal romano naturalista, sotto il nome di vini lunesi, la palma tra tutti i vini dell’Etruria. Ma basta ormai di questo argo- mento , e della classificazione delle viti italiane, intorno alla quale ci siamo alquanto distesi, perchè penetrati da molto tem. po della sua importanza, abbiam sovente rivolto nella mente le difficoltà che presenta,e abbiam colto di buon grado questa occasione per metter le nostre idee qualunque sieno sotto gli occhi di coloro che amassero prender parte in questa utilis- sima impresa. 4 V. 19 LETTERE DALLA GERMANIA. VII. Notizie sulla vita di Dannecker. Stetten. 20 Ottobre 1825. Se quanto vi ho scritto su questo distinto artefice può aver fatto nascere in voi il desiderio di meglio conoscer- lo, son lieto di poter farmi incontro alle vostre domande, comunicandovi le seguenti notizie , che potete considerare come uscite dalla bocca dello stesso Dannecker, avendole egli quasi dettate al sig. Prof. Schwab suo parente, al quale ne vado debitore. Giovanni Enrico Dannecker nacque in Stutgardia ai 15 ottobre 1758, in povera condizione. Suo padre era im- piegato nel servizio delle stalle del Duca Carlo allora re- gnante , e il fanciullo crebbe nella casa paterna, senza ri- cevere altra coltura che quella che conveniva allo stato de’ genitori. Pure in lui presto destossi il bisogno di dise- gnare , e quasi senza accorgersene o che altri se ne curas. se, lo andava appagando , cuoprendo di disegni, in man- canza di carta, le pietre d’ uno scarpellino che lavorava in una casa vicina. Così continuò fino al terzo decimo an- no, quando la Provvidenza seppe condurre le prospere cir- costanze, che doveano trarre dall’ oscurità questo genio. Il Duca Carlo avea fondata un’ accademia militare alla Solitudine, palazzo nelle vicinanze di Stutgardia ; anche le arti vi erano coltivate, e il Duca, che non escludeva dal numero degli allievi i figli de’ suoi servitori , ne fece far parola al padre del Dannecker. Questi venne di mal umore a casa a darne notizia, manifestando la sua avver- sione .a lasciar che il figlio studiasse. }l1 fancinllo al con. trario non potendo contener la sua gioia , disse voler egli quel giorno stesso portarsi dal Duca ; onde il padre sdegnato rinchiuselo in una stanza. Questa trovavasi a pian terreno, e il giovinetto, convocata dalla finestra una turba d'altri fan- 20 ciulli, saltò in mezzo ad essi, ed esortandoli a seguirlo, tutti mossero verso il palazzo del Duca, ove giunti esposero il loro desiderio di essere ammessi nel nuovo istituto. Ne fu avvertito il principe, e venne a passare in rivista la pic- cola schiera. Attentamente fissando ogni fanciullo , cominciò uno dopo l’altro a farli passare alla sua destra; tre soli ne rimanevano a sinistra, fra i quali Dannecker, che cre- dendosi escluso non sapeva dalla vergogna dove nascon- dersi. Ma questi tre appunto erano quelli che il Duca avea prescelto , e il giovine Dannecker fu ammesso nell’accade* mia. Non fu tuttavia che nel suo 16%° anno, quando l’isti- tuto fu rimosso dalla Solitudine alla città, dove gli studi ne furono meglio diretti, che il giovinetto incominciò a far rapidi progressi nell’ arte, tantochè già nel seguente anno meritò il premio nel solenne concorso degli alunni, per aver modellato un Milone di Crotona. Le cabale di alcuni invi- diosi,fche vollero contrastargli il meritato onore, e che giun- sero ancora all’ orecchio del Duca, non fecero che accre- scer la gloria di quel giovanile successo , avendo il suo isti- tutore Guibal data alla pubblica luce l'esposizione de’mo- tivi che lo avevano indotto ad aggiudicargli il premio. Ed oggi ancora Dannecker non condanna la composizione di quel Milone. Del resto egli dovette lungo tempo sottomet- tersi ad ingrati lavori di cariatidi e statuette per i palaz- zi del Duca, molte delle quali esistono ancora; ma soffrì con pazienza di piegarsi a tutti i voleri del principe , on- de ottenerne poi il permesso di viaggiare. Durante il suo soggiorno in questa accademia strinse intima amicizia con Schiller, al quale poi l’ arte sua eresse un monumento, che solo basterebbe a rendere ambedue immortali. Con Schiller abbandonò Dannecker l’ accademia nell’anno 1780, e fu nominato dal Duca scultore di corte, col tenue stipendio di 300 fiorini. Dopo tre anni ottenne finalmente la desiata approvazione di andare a Parigi, ma senza altro sostegno che un aumento di 1oo fiorini alla sua pensione, e ciò per un solo anno. Con questi scarsi mezzi intraprese Danne- cker a piedi il suo viaggio , e giunto in Parigi vi trovò un 21 altro alunno dell’accademia, il distinto scultore Scheffauer. L’ amor dell’arte feee sì che i due giovani sopportassero lietamente ogni privazione, obliando quasi le necessità della vita nella contemplazione di tanti preziosi monumenti che li circondavano. Dannecker ebbe in Parigi nel celebre Pajou un fido maestro, la cui memoria gli è cara, e al quale dice dover molto. Tuttavia egli si occupò qui maggiormente con lo studio della natura, che con lavori di propria inven- zione, e non mandò in patria che un modello di un Marte sedente. fel 1785 Dannecker e Scheffauer lasciarono in- sieme Parigi, e a piedi si recarono a Roma. Dapprima vis- se quì assai ritirato, ma poi fece conoscenza con Canova a lui quasi pari in età , che già allora cominciava ad acqui- star fama ed occupavasi del monumento di Ganganelli. Canova prese in breve .in affezione il nuovo scultore, ven- ne spesso a visitarlo ne’ suoi lavori, e rallegrandolo co’suoi giudizi, contribuì non poco a’suoi progressi. In Roma eseguì Dannecker i snoi primi lavori in marmo, che furono un Bacco e una Cerere, che gli erano stati ordinati da Stut- gardia. La bella esecuzione di queste statue gli valse di essere nominato socio delle accademie di Bologna e di Mi- lano. Così non senza nome tornò in patria nel 1790, e il Duca Carlo lo nominò professore di belle arti con un ono- rario di 800 fiorini, nella stessa accademia ove avea rice- vuta la propria istruzione. Così fu assicurata la sua sus- sistenza, mentre al tempo stesso una felice unione coniu- gale pose il fondamento alla sua domestica contentezza. Il suo primo lavoro fu : il modello d’ una fanciulla che piange per un uccello, che destinò per riconoscenza a un protettore della sua gioventù; poi ebbe molto a occuparsi pel Duca facendogli schizzi e modelli di varii. soggetti, fra i quali una Minerva con tavole di leggi per il pa- lazzo di Hohenheim, e per il gabinetto secreto del Duca un Alessandro che imprime un sigillo sulle labbra d’ Ife- stione, mentre questi di soppiatto legge una lettera del re. Nel 1796 cominciò nuovamente a lavorare in marmo, e la sua prima opera fu una Saffo, che ora trovasi nel palazzo di Monrepos. Più tardi gli fu commessa dall’ Elettore Fe- 22 derigo, poi re di Wurtemberg, un’ opeta di maggior im- portanza : ?° amicizia dolente appoggiata a un sepolero . che eseguita in marmo nel 1804, ammirasi nel monumento sepolcrale del conte di Zeppellin a Ludvisburgo. Nella composizione di questa figura si affacciò all’ artefice l’idea della sua Arianna, al modello della quale egli subito dopo si accinse. Sembra che il sentimento delle proprie forze , che vedea svilupparsi in questi lavori, raddoppiasse la sua attività, e da questo punto comincia una rapida serie di opere eccellenti. I busti del Duca Carlo Eugenio e della sua moglie, e quello dell’Arciduca Carlo, lo fecero ancora distinguere come ottimo ritrattista. Già nel 1797, trovan- dosi lo Schiller col Goethe in Stutgardia, avea Dannecker fatto un busto del sno amico in grandezza naturale. Ma dopo la morte del poeta , egli inspirato dall’ affetto e dal dolore ne creò un secondo colossale, che dovrà per sempre annoverarsi non solo fra le opere più perfette dell’ arte- fice, ma anche fra i più bei monumenti della moderna scultura. Dannecker non ha mai potuto risolversi a lasciar questo busto passare in mani straniere , e solo alcune co- pie in gesso e in marmo ne sono uscite al mondo. Una di queste orna la biblioteca dell’ università di Gottinga , un’ altra fu eseguita pel principe ereditario ora re di Ba- viera, pel quale furono fatti ancora i busti di Gluck edi Federigo il Vincitore. Questi lavori spargendo ne” paesi vi- cini la fama dell’ artista, ricevè questi da Monaco nel 1808 un’ onorevole invito; ma l’ amor della patria e de’suoi lo ritennero in Stutgardia, ed ebbe dallo stato qualche inden- nizzazione. Nel 1800 ccininciò ad eseguire in marmo /’Ari- anna sedente sulla pantera come sposa di Bacco. Questo capo d’ opera non fu terminato che nel 1816, e venne nelle mani del suo felice possessore sig. Bethman di Francfort, che lo ha esposto in modo degno dell’opera. Nel 1809 fece ancora il modello di due ninfe, che poi eseguite in pietra da altro artista, adornano il giardino del re. Ver- so il 1814 terminò per il re Federigo l'Amore che tenta la punta di un dardo, vaghissima statua che ora ammi- rasi nel real palazzo di Stutgardia. Il generale inglese Mur- 23 ray desiderò averne copia in marmo; ma Dannecker gli offerse in vece un contrapposto all’Amore ; e così ne risultò quella Psiche che poi dovè ripetere pel re Guglielmo di Wurtemberg , e della quale vi ho scritto in una delle mie lettere. - Tornando a parlare de’suoi busti, devono fra i mi- gliori annoverarsene due del re Federigo , quello di Lavater, che ho veduto nel museo di Zurigo e che quasi potrebbe dirsi emulo a quel di Schiller, quelli del gran Duca e di una gran-Duchessa di Baden, e finalmente quello del prin- cipe Paolo di Wurtemberg. Ma con particolare amore ese- guì il busto della defonta regina Caterina, che tre volte dovè ripetere, e quello dell’ attual re Guglielmo, che gli serve di contrapposto. Riusciranno ancora ammirabili i bu- sti o piuttosto le mezze figure del generale russo di Ben- kendorff e della defonta sua moglie, che unite in gruppo saranno collocate nel bel tempietto sepolcrale eretto a que- st'ultima dal sig. architetto regio Salucci, nelle vicinanze di Stutgardia. Della bella figura piangente , destinata alla tomba del Duca di Oldenburgo, vi ho già 1’ anno scorso parlato , e del suo Cristo più non mi è d’ uopo farvi pa- rola, benchè la sua vista desti sempre nuovi pensieri, e che ora vedendolo uscir nuovamente dallo scarpello del- l'artista, sembri veder imprimersi successivamente nelle varie parti la sublimità di quella divina composizione. Co- sì nell’anno 68 dell’ età sna lavora indefessamente Danne- cker con giovenile vigore. Semplice ne’ smoi motivi e nelle sue composizioni, anteponendo il sentimento alla fantasia , pieno di verità, di naturalezza e di vita, il suo genio può dirsi con ragione conforme a quello degli antichi, sulle opere de’ quali ha formato il suo gusto; e la real sala di statue antiche, che trovasi nella sua abitazione, non fa ver- gogna al vicino studio dell’ artista. La patria e i contem- poranei hanno riconosciuto il suo merito. Il re Federigo gli compartì l’ordine del merito, il re Guglielmo lo ha nominato consigliere aulico, e lo ha fregiato dell’ ordine della Corona di Wurtemberg; e simili onori, come già vi annunziai, ha ricevuto dall’imperatore di Russia. L°inge- nuità del suo carattere lo rende caro a tutti, e in quante 26 alla sua esistenza, non può farsi meglio che ripetergli l’epî» teto che non sono molti anni gli dava Canova, chiaman- dolo con mesto sorriso : il Beato . Così simile a Canova e a Thorwaldsen, nato Danne- cker in umile condizione, si è innalzato a dar tanto lustro. alla patria. Così questi tre luminari della moderna scul- tura hanno dovuto ne’ loro primi anni combattere. contro l’ avversa fortuna , e sono usciti vittoriosi dalla gloriosa pugna del genio contro la sorte . Che bel trionfo della forza morale dell’ uomo sovra gli opposti ostacoli! che bell’ esempio da tramandarsi ai posteri, e da registrarsi negli annali dell’umana società , ond’ essa veda di quanta gloria vada debitrice a tre individui di quella classe, ch’essa talvolta disprezza a segno da non voler nemmeno educaila! VII. GortHE, e i romantici italiani. Stetten 5 Novembre. Già da più anni pubblica Goethe in Stutgardia un giornale , il quale, quantunque sembri secondo il titolo consacrato soltanto a// arti e all’ antichità, abbraccia an- cora le lettere, e serve in generale a raccogliere le osser- vazioni di quel grand’ uomo, su quanto gli vien fatto di apprendere spettante ai lavori della culta Europa. È in que- sto giornale che trovansi le belle pagine consacrate al Man- zoni, nelle quali non solo parla del Carmagnola, ma an- che delle sue odi, una delle quali cioè quella del cinque Maggio vi si trova tradotta nello stesso metro dell’ origi- nale. E se queste pagine, alcune delle quali sono ristam- pate nell’edizione fiorentina delle opere del Manzoni, hanno dovuto interessar gl’i taliani, lo dovranno ancorale seguenti, che non hanno di mira un solo autore, ma tuttii roman- tici italiani e la loro contesa co’ classici. «< Romantico! ( così comincia il Goéthe in un articolo scritto al momento in cui stava per comparire in Italia lo sventurato Conciliatore ) Romantico! questa voce strana per le orecchie italiane, sconosciuta finora in Napoli e nella fe- 25 lice Campania, in Roma usatà tutto al più fra gli artisti tedeschi, muove da qualche tempo gran romore in Lombar- dia e particolarmente in Milano, Il pubblico si divide in due partiti che si stanno incontro in ordine di battaglia , e men- tre noi tedeschi ci serviamo tranquillamente dell’ aggettivo romantico, quando ne abbiamo occasione, indicano gl’ italia- ni due sette irreconciliabili con le denominazioni di Roman- ticismo e di Classicismo. Presso di noi la contesa, se pure esi- ste, essendo condotta più praticamente che teoricamente , i nostri poeti e scrittori romantici avendo dal canto loro il favore de’ contemporanei, nè mancando di editori o di letto- ri, e già da lungo tempo avendo noi cessato di ondeggiare fra l'incertezza di opposti principii, possiamo ora farci tran- quilli spettatori della fiamma che abbiamo accesa, e che ora si estende al di là dell’Alpi ,,. “ LacittàdiMilano è ottimamente addattata a servir di cam- po a questa pugna, perchè ivi più che in altro luogo d° Italia trovasi riunito buon numero di letterati e di artisti, i quali in mancanza di discussioni politiche cercano doppio interesse in letterarie contese. E tanto più doveva questa importante cit. tà esser la prima adagitar questa disputa, in quanto che la sua vicinanza e isuoi vari rapporti con la Germania , le danno occasione di acquistare idea della lingua e della coltura dei tedeschi ,,. ‘‘ E ben da credersi che presso gl’ italiani sia in gran venerazione quella coltura che deriva dalle lingue morte e dalle opere impareggiabili in esse composte , ed è anche na. turale che bramino unicamente ed esclusivamente appog- giarsi su questa base. Finalmente può anche scusarsi come _natural conseguenza che questo attaccamento degeneri tal- volta in una specie di caparbietà e di pedanteria, E non hanno forse gl'italiani nella lor propria lingua una simil contesa , nella quale un partito si tien fermo a Dante e agli antichi fiorentini citati dalla Crusca, non volendo poi ammettere per alcun modo le nuove voci e i nuovi modi di dire che la vita e la società inspirano a più giovani spiriti? ,,. “ Or non vogliamo negare che un tal modo di senti- 26 re abbia il suo fondamento e il suo merito; ma colui che si occupa soltanto del passato , cade finalmente in pe- ricolo di stringersi al petto ciò che non ha più vita, e che ci apparisce disseccato come le mummie. E questa fer- ma adesione a ciò che ha cessato di essere , produce sem- pre una crise rivoluzionaria , nella quale il nuovo che vuol farsi avanti non può più respingersi e frenarsi, ma si se- para dall’antico, e ricusa di più riconoscere le sue prerogative, o trar profitto da’ suoi vantaggi. D’ altra parte dee ricono- scersì che quando un genio si sforza di dar nuova vita all’ an- tichità, di ricondurre i suoi contemporanei in regioni lontane, di avvicinare ad essi ciò che è remoto , facendo che in grato modo si rifletta ai loro sguardi, incontra grandi difficoltà ; e facil per contro riesce a un artista di scegliersi ciò che è già caro ai suoi contemporanei, ciò cui aspirano, le verità che gustano , gli errori che accarezzano. Non è egli già per sè stes. so un moderno , in queste cose già dall’ infanzia iniziato , e la sua convinzione non è essa quella del suo secolo? Lasci egli dunque libero corso al suo talento , e non v’ è dubbio che egli strascinerà seco la maggior parte del pubblico ,,. “ Presso di noi tedeschi la direzione verso il romantico , dopo una coltura dovuta dapprima agli antichie poi ai fran- cesi, derivò in principio da sentimenti di religione , e fu poi favorita e confermata dalle fosche tradizioni eroiche del nord. E tanto prese radice e si estese questo modo di pensare, che rimase appena un poeta, un pittore, o uno scultore che non si abbandonasse a religiosi pensieri, e non trattasse soggetti analoghi ,,. “ Un simil corso prende ora anche in Italia la storia della poesia e delle arti. Come romantici pratici vengon Io- dati Giovanni Torti per la sua iscrizione poetica della Pas- sione di Cristo, e per le sue terzine sopra la poesia ; ed Ales- sandro Manzoni autore della tragedia i! Carmagnola , che si è acquistato fama con i suoi inni sacri. Ma quegli dal qua- le ognuno molto si ripromette teoricamente è Ermes Visconti, che ha scritto un dialogo sulle tre unità drammatiche, un articolo sopra i/ poetico , e idee sullo stile. Si loda in questo " giovine grande acutezza di spirito, perfetta chiarezza ne’pensie- ri, e profondo studio degli antichi, come de’moderni. Egli ha ‘dedicati più anni alla filosofia di Kant , e però ha imparato il tedesco e resosi proprio il linguaggio del filosofo di Konig- sberga. Ha egli egualmente studiati altri filosofi tedeschi, e i nostri migliori poeti; e da lui sperasi che porrà fine alla contesa , dileguando i malintesi che si fanno ogni dì più confusi ,,. “ Degna di osservazione è una circostanza assai singola- re. Monti, l’autore dell’ Aristodemo e del Caio Gracco, il tra- duttore dell’ Iliade , combatte con zelo e visore dalla parte de’ classici. I suoi amici e ammiratori sono per contro nel partito romantico, e sostengono che i suoi proprii più per- fetti lavori siano romantici, ed indicano quelli, pe’ quali l’autore infastidito e irritato ricusa di ricevere la falsa lode attribuitagli ,,. <“ Eppure questa disputa potrebbe facilmente calmarsi se si volesse riflettere che ognuno, il quale fin dalla sua gio- ventù va debitore della sua coltura a’ greci e a’ romani, non potrà mai smentire una certa origine antica , ma anzi ricono- scerà sempre con gratitudine ciò che deve a maestri che più mon sono , quando anche consacri all’ animato presente i suoi sviluppati talenti, e senza saperlo termini qual moder- no dopo aver qual antico incominciato ,,. “ Non maggiormente possiam negar la coltura che ci de- riva dalla Bibbia , raccolta di documenti importanti che eser- citano su di noi fino ai nostri ultimi giorni una viva influen- za , quantunque ci sia remota e straniera come ogni altra an- tichità. Quella più intima sersazione che ne proviamo , pro- viene da ciò ch’ essa agisce sulla fede e sulla più sublime morale, mentre le altre letterature sono più per il gusto e per un senso morale meno alto ,,. ‘ Or mostrerà il tempo quanto i teoretici italiani possano in pace accordarsi. Per ora non ve n'è apparenza; perchè se da una parte trovansi, come non vuol negarsi, nel sistema romantico varie idee astruse che non tosto si ‘fanno chiare ad ogni uomo, e forse ancora qualche abbaglio che non è da 28 difendersi, dall'altra non è meno precipitosa la moltitudine a chiamar romantico tutto ciò che è oscuro, inetto, confuso e incomprensibile ,,...... ‘ Noi tedeschi poi facciam bene di prestar attenzione a questi avvenimenti d’ Italia, perchè così come in uno spec- chio possiam riconoscere il nostro Operare passato e presente, più facilmente che se volessimo giudicare di noi stessi, senza uscire dal proprio circolo. Però vogliamo osservare ciò che intraprendono ancora in Milano alcuni spiriti culti e gentili, che con modi onesti e proprii cercano riavvicinare i diversi partiti, e condurli al punto d’ onde possano intendersi. Essi già annunziarono un giornale che dovea dirsi i/ Concilia- tore, ma il cui programma è già stato ricevuto con disde- gnoso insulto, mentre il pubblico secondo il solito ride dei due partiti ,e con ciò distrugge ogni vero interesse ,,. ‘ In ogni caso tuttavia avranno fra non molto anche'in Italia i romantici il più delle voci dal canto loro , perchè s'immedesimano con la vita attuale, rendono ognuno con- temporaneo di sè stesso, e però lo trasportano in un elemen- to aggradevole. Hanno di più il vantaggio di un malinteso , per cui tutto ciò che è patrio e nazionale viene anche ascrit- to alromantito ; e ciò perchè ilromantico , prendendo di mi- ra la vita, i costumi e la religione, trova il massimo pascolo nella lingua materna e nei sentimenti nazionali. Così per esempio, se invece di scrivere come per l’ innanzi le iscrizio- ni in latino, principiasi, per renderne più generale l’ intelli- genza, a comporle in italiano, ciò vien creduto derivar da’ro- mantici ; onde chiaramente apparisce che sotto questo nome vien compreso tutto ciò che appartiene al tempo presente , e che esercita viva e momentanea azione. E da ciò possiam trar- re un esempio come in forza dell’ uso possa una parola rice= vere un senso affatto opposto , non essendo ciò che è propria- mente romantico più prossimo ai nostri costumi che il greco e il romano ,,. Queste ultime parole s’intenderanno da colui che av- verta che i tedeschi pongono l’ origine del romanticismo propriamente detto ne’ tempi del medio evo, quando l’ uma” 29 na società, quasi rigogliosa di vigor giovinile, era spinta alle imprese cavalleresche , ubbedendo agl’ impulsi della religio- ne e dell’ amore, Così le crociate formano per così dire il nu- cleo dell’esistenza romantica , eil riposo di que’ prodi cam- pioni era sollevato da’ canti ora di Carlo Magno e de’ paladi- ni, ora di Arturo e de’ Cavalieri della tavola tonda, ai quali poi si unirono le canzoni più tenere de’ trovatori provenzali e siculi. Ora è facile il colprendera come i tedeschi si fac- ciano le maraviglie di ciò che gl’ italiani rigettino il romanti= co, mentre anzi ‘li riconoscono in questo genere come loro maestri, venerando qual capo-lavoro romantico 1° Orlando Furioso; e romantica in parte riguardano essi anche la Di- vina Commedia , e persino la Gerusalemme. — Or io con- siderando tanta diversità d’ opinione in Germania e in Italia sul medesimo punto di discussione , sospetto che più dai francesi che dai tedeschi abbiamo ereditata una tal di- sputa, e che questa si riduca in ultima analisi a quella più an- tica e già tante volte discussa sulle unità nell’ arte drammati- ca, e sulle forme esterne della poesia. — Perchè in quanto all’ essenza di quest'arte divina , chi vorrebbe seriamente contendere che l’ amor della patria e della religione non valga a inspirarci ? Chi negherà che la gloria della nostra nazione possa muoverci l’animo più di quella d’un popolo an- tico ? Quando sarà cessato il primo ardore di questa contesa, e che sarà riconosciuto che la poesia è unica e indivisibile, nè può farsi a brani per furor di partito , l’Italia mostrerà la sua epica, e i due partiti la venereranno ugualmente; mostrerà la sua lirica, e concorde sarà del pari ai culto d’ entrambi, mostrerà in Pa la sua drammatica, e qui per stabilire equi- librio s'innalzeranno nuovi canti tragici inspirati dal patriot- tismo , i soli che possano oggimai ridestare quello spirito poetico che languido si addormenta nella servilità dell’ imi- tazione. E. Mayer. 30 Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabo» lario della Crusca. Vol. III Part. Il. Milano 1824 dall’Imp. Real Stamperia, 8. di pag. 462. Osservazioni di Farinello Semoli fiorentino su l’ opera del Cav. V. Monni intitolata; proposta di alcune correzio- ni ed aggiunte al vocabolario della Crusca; Firenze 1819.-P. I. presso G. Mareningh. 1821. P. IL 1824. P. VI. 1825. Stamp. Ronchi e C. P. IV, in 8.0 Lettera di Farinello Semoli fiorentino , nella quale si esamina il libretto del Cav. Vincenzo Monti intitolato * saggio dei molti e gravi errori trascorsi in tutte l’ edizioni del convito di Dante. Firenze, 1813. 8.0 Dante rivendicato. Lettera al S. Cav. Monti, dell’ au- tore del prospetto del Parnaso italiano. Fuligno 1825. Zip. Tommasini, 8.° di p. 194. Coll’ aver premesso i titoli di quest’ opere ormai divul. gatissime , non intendiamo di esporne il contenuto, e nemme- no di estrarne alcuni particolari per saggio «delle questioni che vi si trattano , questioni in vero di poco interesse per chi non è italiano; ed anche per gli Italiani non molto pia- cevoli, o perchè le trovano ridondanti di ripetizioni delle vec- chie liti, o perchè, se alcune jcose buone hanno di nuovo, nell'insieme vi campeggiano gare municipali e personali ri- valità, più che una imparziale e tranquilla ricerca del vero. Laonde saremo contenti di cogliere da tutti questi libri la so- la opportunità di fare qualche parenetica riflessione diretta a confortare gl’ ingegni italiani, e specialmente i dotii autori di quest’ opere, e gli amatori e coltivatori della lingua del bel paese ove il si suona a far ogni sforzo per mantenersi in vicendevole concordia, ed a non prevalersi delle questioni scientifiche e letterarie per disbramare le gelosie, le invidie, e le municipali o personali rivalità. Ma pur troppo è mo- strato dalla storia che la concordia non è il partaggio più co- mune degli uomini, e molto meno degl’ italiani. Infatti sino 31 dall’età più remote fu l’Italia ricovero di popoli stranieri, vi- cendevolmente cacciati di sede i precedenti dagli arrivati poi; e se a patti vi si mantennero i vinti, presto co’ vincitori si odiarono, si guerreggiarono, sinchè forze preponderanti non compressero nuovamente le frequenti discordie. Di qui conti- nue guerre tra ì piccoli stati d’ Italia prima e dopo la fon- dazione di Roma, e lei crescente ; guerre civili dopo la sua stabilita grandezza; sino alla più tranquilla potestà d’ un so- lo. Ma poi tornata l’ Italia ad essere bersaglio di nuovi in- vasori, e degli avidi di dominarla, tornò anche all’antico stato d’ interne divisioni e discordie. Dopo lungo strazio di Jei, fatto meno dagli invasori e dominatori stranieri , che dalla ignoranza e disunione domestica (1) finalmente nel secolo XII cominciò a voltar gli occhi intorno a sè stessa, ed a piangere sulle proprie ruine, che l'antica grandezza le facevano rimembra- re. Allora fu che si vergognò della barbarie e dell’avvilimento suo; d’essere senza leggi certe, e per la maggior parte stra- (1) Tra le lettere latine di Stanislao Rescio, dotto Gesuita pollacco stampate iu Napoli l’anno 1594, ven’ è una scritta a Girolamo Podovio Canonico di Cra- covia , ed è nell'ordine numerico la 24 , in cui si mostra dal Rescio che più dei Gotì e dei Vandali hanno fatto danno a Roma gli stessi Romani, Tra le altre prove fa vedere quanti mali cagionassero le fazioni a'tempi dei Papi Martino V. e Nicco- lò IV. Parlando dell’obelisco inalzato da Sisto V. in Roc obelisco , dice, vidit ae- late sua Petrarcha aereas illigatas laminas quae quasi lumina magnum saxo ornamentum afferebant. Quis ea Gothus , quis Pundalus avulsit? Quis aene- um globum balistis , quem ille sanum adhuc viderat et integrumi per foravit ? E noto, che il re Teodorico comandò che fosse restaurata Roma, riedificò il tea- gro di Pompeo, rimise al posto gli elefanti di bronzo, rinnovò il palazzo, reparò i portici della curia, nettò le cloache, rifabbricò la muraglia, fece uu ponte sul Te- vere, ristabilì li spettacoli, rendette sicure le strade, pensò al mantenimento del. l’annona, diè vitto gratuito ai regolatori dell’ acque , volle che il soldato fosse contento del soldo, nè pretendesse altro dai cittadini 5 fece distribuire gratis la calcina per fabbricare; proibì di portar via dall’avfiteatro le pietre già smos- se e levate di sito; seppure non si trattava di bisogno pubblico; restaurò il se- polcro di Augusto ; ordinò che si conservassero e risarcissero le statue degl’ im- peratori ed altri principi, che aveano contribuito alla grandezza di Roma. Man- tenne a sue spese molti uomini dotti ; assegnò pubblico stipendio ai Professo- ri; condonò le gravezze pubbliche ai Campani afflitti dal Vesuvio; agli spo- letini riattò e ripuli i portici loro ; ai ravennati rimise iu piedi la basilica d’ Ercole; proibì le alienazioni de’ beni una volta conceduti alle chiese; accor- dò al clero ed ai vescovi privilegi ed immunità; difese l’ autorità del romano Pontefice, ed altre cose operò da non essere stato forse principe ugualefdopo che l’Ivalia ebbe scacciati i dominatori stranieri. ' 32 niere; senza splendore d’ arti belle ; se non spente affatto ; palpitanti tra le ruine ; o larvate di morte qualche volta fuor si mostravano. Ma subito che meditò concorde supra sè stes- sa, nacquero municipali statuti , sursero publici sontuosi edi- fizii , si ordinarono e si munirono e 8’ingrandirono città, aprironsi studi ; e gittò le fondamenta del suo risorgimento. Ma oh troppo breve concordia! Non sì tosto ebber fine i ti- mori d’ esterne invasioni, ed ebbe appena sugli ossi scarni rinvenuta la secca pella, che risursero nel seno di lei gare, gelosie ed invidie; nè da forza straniera, ma da’suoi pro- prii figliuoli fu lacerata, ruinata , incendiata. Peraltro fortuna volle che riassaggiatosi una volta dagli spiriti il dolce del sa- pere , e riaffacciatosi dinanzi agli occhi il bello delle arti, en- trassero le città stesse, non che i particolari, in gara non tanto di dominio e d’indipendenza , quanto d’ ambizione della dottrina e dell’esercizio dell’arti. Per lo che, sebbene in mez- zo delle civili discordie , viddersi dagli incendi e dalle ruine risorger più vasti e più nobili edifici, fondarsi più spesse uni- versità, ed altri minori studi; e non attaccati quasi al ter- reno i Professori, ma franchi maestri della sapienza, tanto più venivano apprezzati e ricercati, quante più -mostrar po- teano università e studi che li cercarono, che li premiarono (2). (2) Ecco una lettera dagli officiali della studio di Firenze e di Pisa scritta a Francesco Vertori a Roma; l’ autografo è presso l’ eruditiss. sig. ab. Parigi, che lo acquistò a Roma, e lo conserva nella sua preziosa collezione di autografi de'più grandi uomini che banno onorato l’Italia dal secolo XIV. iu-poi. 1» Di fuori. Maguifico Viro concivi nostro cariss. Francisco De Vectoris Reipub. Flor. Oratori dignissimo. (Ser Gio. Bat. fate buono servitio che importa) Dentro. Roma. 3» Magnifice Orator Concivis noster Carissime salutem etc. ‘ E?” ti può esser noto quanto sia utile et necessario per dar principio, et reputa- tione al nostro Studio Curare con ogni opportuno remedio che in epso sia Concorso d’huomini docti et di fama, etin qualunche facoltà excellentissimi. Hora haven- do notitia Come al presente dimorano Costi Mess. Hyeronimo Botticello doctore in leggie, il Sessa, et Mess. Giovanni Spagnuolo philosophi, huomioi litterati et di gran reputationes Et desiderando per quanto si extendono le forze nostre per uti- le et honore del nostro Studio justa il potere nostro Condurli di quà, ti preghiamo non ti sia grave particularmente Come da te tentarli, et con ogni industria curare d'intendere qual sia l’ animo loro, et se sono per venire di qua o no, et volendo venire qual sia il desiderio loro circa de'Salarii, et quello al presente sono soliti havere costi , et di che qualita sono e’ fiorini di che costi sono salariati. 33 Piena così l’ Italia d’ amor degli studi, e dell’arti, non di rado i portici delle scuole rimbombarono di letterari clamori, dove la studente gioventù ed il popolo sospesero anche gli odi delle civili discordie per intendere le decisioni dei pubblici e dei privati diritti e di guerra e di pace, e perfino delle pre- tensioni del sacerdozio o dell’imperio pendenti dall’ oracolo de’ giureconsulti assisi, non intorno ad una carta geografica , ma sulla Cattedra di Temi, invocata in que’ tempi, che pur barbari furon detti, dalla forza stessa dell’armi. In questo mo- do, gli spiriti a poco a poco fatti più umani, e presi costumi più miti , moderarono l'ambizione feroce; e se non affatto si astennero dalla discordia, almeno le mutaron bersaglio ; e fu cosa più agevole metter freno ai mali prodotti da lei. I piccoli stati liberi si piegarono alla direzione d’ un capo colla speranza della tranquillità, della protezione per l’ esercizio degli studi e dell’arti, che già tirato aveano a sè la più gran parte degli animi. L’ ambizione di dominio diventò scopo di pochi ricchi, i quali poteron sojare la volgare moltitudine coll’ oro, ed imporre con il timore, ed una volta entrati in po- sto, facilmente vi si mantennero colli stessi mezzi usati contro i molti vili, ed i rivoltosi pochi: aggiungendo premi ed ono- ri per que’ che alle scienze , alle lettere, ed all’arti s'erano dati. Ed o veramente celestiale amor della sapienza! ‘Tu pri- mo dalla vita solitaria ed agreste tirasti gli uomini a vita so» ciale! -@ potrà mai esser animo così barbaro che te per sor- gente di inali condanni ? che l'ignoranza per sorgente di beni desideri? In tal modo fu persuaso a’ popoli d’ Italia che le ci- vili discordie non potean partorir altro che perpetui mali, e rovine. Ma perchè gli animi degl’ Italiani erano incalliti nella discordia , invece di procurarne l’ estirpamento nel modo che sarebbesi potuto: si cercò di soraministrar loro un pascolo di tal discordia che non fosse nocevole a chi appunto nella di- Appresso intendendo tu esservi medico alchuno reputato per leggere pratica di medicina similmente il tenterai ch’animo sia il suo, Et di quanto ne ritrbai ci fia grato con prestezza intenderlo a Causa possiamo a tempo provedere, Èt tutto ti pre. ghiamo il conferisca con il Magnifico Lo. Tu intendi il desiderio nostro, seguirai tutto quello iudicherai esser a proposito. Nec Plura bene vale. Ex Florentia Die XV, Iavuarij MDXINII., Oficiales Studii Civitatis Florentiae et Pisarum, T. XX. Dicembre. ò 34 scordia sperava. Si mantennero le forme della antica divisio- ne politica , senza la forza; si alimentarono le gare munici- pali in tutto quello che al politico reggimento non si riferi- va, ma a preminenze e distinzioni d’ onore, ad ornamenti dell’arti, a nobiltà ed antichità d’ origini, ed altri vanti di simil matura. In questo stato di discordia concorde ne na- cque una quiete politica sì, non già la morale unione ; e così gl’ Italiani, spogliata la vecchia fortezza dell’ animo mantenuta in attività dai pericoli delle continue discordie civili , e gare dei nazionali vicini, senza nemico esterno da dover combat= tere, si trovarono esposti alle conseguenze , che diedero oc- casione all’ Ambasciatore veneto a Parigi Gio. Morosini di fare il segueate ritratto dell’Italia nella relazione da lui pre- sentata al suo Principe l’anno 1670. “ La generale disunio- ne de’ principi d’Italia nelle massime e negli interessi, la scarsa abilità loro nelle cose militari, la mancanza .dei capi, la scarsezza dell'oro, l’ozio che snerva la nazione, e l’in- clinazione soverchia a’ lussi, ed alle libidini fanno concepire scarsa la stima di questa provincia nell’ animo del re, e di chi governa. E fomentata questa opinione da chiunque ritor- na in Francia dopo averla girata ,,. (3). Ma se a questo ritratto il Morosini avesse aggiunto la di- sunione degli animi, l’avrebbe fatto anche più vero e parlante. Avvezzi ab antico gl’Italiani a riguardarsi tante nazioni in quan- ti governi erano divisi: mantennero sempre municipali rivalità , le quali se non più impararoto a fomentare nei pubblici consi- gli, e nelle ringhiere dei pubblici parlamenti , se non l’ eserci- tarono contro le parti nemiche , ne conservarono lo spirito nel- le private inimicizie ed invidie , e nelle questioni medesime che in materie scientifiche e letterarie si accendono. Nelle scuole si addestrò lungo tempo la gioventù a comporre sullo stile delle Catilinarie, e ad imitare le veementi contradizioni forensi ; si mise l’ avversario in materia di lettere , al posto dell’ inimico politico ; sì che di sovente venivasi ad aperta ingiuria ed avvi- limento del contradittore. Sù questo medesimo stile si esercita- rono i T'eologi, specialmente i Regolari, nelle pubbliche dispute (3) Relazion: che si trova presso Y autore di quest'articolo, n eni 35 o come le chiamavano Conclusioni, è tuonarono e fulminarono dai pergami i sacri oratori trasportati da zelo contro degli ete- rodossi e dei peccatori; e così l’Italia fu piena sempre di clamori convenienti più a’ seguaci della discordia, che della verità ; e non seppesi quasi mai far questione tranquilla e decente da chi per abitudine nazionale avea sin da fanciullo inteso riprendere o contradire sempre con fierezza , e nelle scuole imparò a litiga- re, più che a cercare tranquillamente la verità. Era questo lo stato morale degl’Italiani, quando invase gli animi la smania delle letterarie e scientifiche società dal secolo xvi al xvir. Fi- renze si distinse con quelle della Crusca (l'an. 1582.), delle Belle Arti e del Cimento. Quest ultima dal cardinale Leopoldo dei Me- dici istituita, non ebbe lunga durata , nè scandalose questioni ; l’altra presto si riempì di partiti e di rivalità (4). L’accade- mia della Crusca fu campo fertilissimo di accanite questioni. La sua prima cura esser dovea quella di conservare la purità del dialetto toscano , chiamato lingua toscana o parlar fioren- tino, il solo che in Italia dovesse dar norma, il solo che do- vesse esser tenuto per lingua culta italiana. Subito le si armò contro tutto il resto della Italia ; e fu l’ accademia della Cru- sca un segnale di nazional letteraria discordia , non veduta di malocchio da chi, senza suo pericolo, godea della disunione degli animi. La più gran parte dei dotti italiani si armarono gli uni contro gli altri d’aghi e di spille grammaticali , invece che di penne gravi e tranquille contro l’ errore; ed arsero sde- gni e sanguinose Zogomachie, o guerre per sole parole. Qual’ob- brobriosa istoria , quale rugginosa armeria Zogomachica non potremmo raccogliere , se tutte si riunissero le nate questio- ni, le persecuzioni d’aniori d’opere piene di saperé e di ge- nio, scientifiche , letterarie e poetiche , alle quali contro il vo- (4) In una lettera dell’Ammannato del 1563 conservata nell’Ar- chivio Mediceo tra la corrispondenza di Cosimo I, filza 172, è riferito il giudizio dell'Accademia intorno alle statue di Baccio Bandinelli, e del Sansovino che doveano esser poste in S. Maria del Fiore, ed a questo proposito l’Ammannato si’ lamenta dello Spirito di partito e delle rivalità che dominavano nell'Accademia. ... * 36 to de’cruscanti , o anticruscanti la posterità ha dato l’ onore di classico rango (5)? Chi può legger senza compassione ed insieme senza moto di sdegno le questioni del Bembo, del Ca- (5) Sono hen note le difficoltà incontrate dal Tasso. Forse non. fu colpa del corpo accademico della Crusca , ma n’ ebbe l’ adde- bito in faccia a tutta l’Italia; ed i fiorentini furono stimati ne- mici di lui. Certamente non ebbe la fortuna d’ esser molto lodato dal gran Galileo (lettera al sig. Francesco Rinuccini) che alzava alle stelle l’Ariosto. E perchè Galileo era fiorentino , cadde in so- spetto di partigiano dell’Accademia, come si rileva dalla nota po- sta, sotto questa lettera nell’ edizione prima , fatte dal Padre Bu. lifon tra le lettere memorabili stampate in Pozzuoli nel 1685, dove a pag. 209. © il sig. Galileo Galilei era fiorentino: quindi niuao si maravigli se vede in questa lettera tanto inalzato l’ Ariosto sopra il Tasso ,,. Ne fosse qualunqne il motivo; noù ebbe il Tasso for- tuna in Firenze nè pel suo libro, nè per la sua persona. Egli fu «dopo morte luminosa conferma della verità espressa in quel noto, verso : Majus ab exequiis nomen in ora venit Costa poco incensare i morti , a quelli stessi che sì perseguitano quando si potea dire di ciascuno di loro E mangia e beve e dorme e veste panni Dicea un tale che il mordo è pieno di panegirici de’ morti, e di devoti de’santi dipinti. Io stesso, mi son più volte trovato a ve- dere certi Sacia pile che con occhio di lince vedano da lontano le più piccole immagini dipinte nei tabernacoli per le strade , e si levano con profondo rispetto di cappello, e poi sono orgogliosi e suberbi con .i viventi, e fanno la vergognosa di campo-santo per vedere se prima son salutati, ed allora gravemente si degna - no risalutare. E nota l’opera de literatorum infelicitate. Oh fse potessero sapersi tutte l’ arti dell’ invidia , della gelosia , ed altre vili passioni adoperate contro tanti uomini che ora sono esaltati come sommi luminari, e se ne raccolgono le più minute reliquie de'loro scritti, de’loro autografi! finchè il Tasso chiedeva pane l'invidia lo perseguitò.; morto fu pianto, lodato desiderato da tutti. Per le medesime ragioni e tra le questioni letterarie si metteranno da un lato quelle che non appartengono ai viventi, e quelle che vertono tra vivi e vivi; queste supereranno di gran lunga le prime, non tanto pel numero, quanto per l’ abbondanza de’ difetti che condannammo. 37 stelvetro , le dicerie dei così detti Verazi, le questioni col Gi- gli, e cento e cento altre scritture e pro e contro il tosca- nesimo , il lombardismo , l’archeologismo , il latinismo? Non fu quasi provincia d° Italia a cui non entrasse in cuore 0 lam- bizione della primazia, o l’unione alla lega contro l’ esclusiva superiorità de’ Toscani in fatto di lingua; e persino un Napo- letano venne in campo con un libretto impresso in Napoli nel 1754 intitolato: L'eccellenza della lingua napoletana colla maggioranza alla toscana. S’ addormentarono alquanto le gare per causa di lingua, allora che dal Granduca di Toscana Leopoldo I fu soppressa l'Accademia della Crusca sostituendole un’Accademia Fioren- tina, e parve colla perdita del nome essere svanita ogni in- fluenza nelle contese. Allora li spiriti de’ dotti, messe in di- sparte le Zogomachie , si diedero con maggior calore alle que; stioni che precedettero gli avvenimenti succeduti a’ dì nostri. Ma poi l’ Imperatore Napoleone volendo, come nel resto dei suoi dominj , così in Italia ristabilire la politica interna tran quillità, procurò di nuovamente richiamare li spiriti a quei medesimi bersagli che furono con successo altra volta impiega- ti.Riaprì, ampliò, fondò accademie e licei con altri stabili- menti di scienze e lettere ed arti, propose premj e diè onori; persuaso che l’interna tranquillità più che dall’armi ed altri prov- vedimenti , poteasi sperare dal rivolgere gl’ ingegni, impazien= ti di riposo , alle gare d’ ambizione e di premio nelle pale- stre letterarie e dell’arti. Ristabilì dunque l'Accademia della Crusca, e permise l’uso della lingua italiana insieme colla fran. cese nel foro e negli atti de’ tribunali. I Toscani grati a que- sto favore, si credettero rimessi sul trono della dominazione in fatto di lingua; ma non patirono i Lombardi la sudditan- za; e subito si videro baleni di fulminanti burrasche. Primo bersaglio ne fu il discorso proemiale del nuovo Arciconsolo. Un Giornale, che parve fucina di municipali letterarie discor- die, ne riempì tutta Italia , specialmente delle cruscanti Zogo. machie, con riso e compiacenza di chi le fomentava. Uomini di sommo valore furon veduti entrare in questo arringo, che sotto l’ aspetto di fetterarie questioni non fu altro che ministro di disunione de’belli ingegni, i quali uniti in più nobil gara 38 avrebbero potuto far tornare per l’Italia que’ tempi in cui la sapienza e l’amore;del’l arti belle aprirono le braccia agli stan- chi delle politiche agitazioni. e È ormai tempo d’ aprir gli occhi una volta, Qual frutto è venuto all’ Italia della discordia? non altro certamente che Di servir sempre o vincitrice o vinta. ; Qual frutto è stato raccolto dalle Zogomachie de’ secoli scor- si? forse che finalmente siano state composte le liti? che i To- scani ed i Lombardi ed altre provincie d’ Italia siansi trovate d’ accordo o nel cedere gli uni agli altri, o nel venire a pat- ti con reciproca sodisfazione? Le liti che tuttavia sussistono, come se oggi cominciasse il contrasto, ‘servano di risposta al quesito. Nè coll’andar gridando pace, pace , pace intendiamo di proibire e disapprovare le dotte ricerche intorno alla lin- gua; solamente detestiamo quelle che son più. propriamente degne d° esser chiamate improperi; che in vece di prendere di mira il vero ed il falso, vanno a scaricarsi contro le perso ne o le popolazioni; che senza occuparsi dell’ utilità , dei ve- ri bisogni della lingua, versano intorno a cose omai sépolte nel- l'oblio, e che niuna buona ragione può mai farle resuscitare. A qual pro l’indiavolarsi contro la vecchia e nuova accademia ? a che tant’ ire contra un rancido vocabolo male adoperato, o mal corretto? E qualunque peso dar si voglia a queste. ricer. che, non posson farsi con dignità e con pace? Prima fu l’Italia a dar esempio d’un’accademia di lingua volgare alle straniere nazioni; ma non ha sinora raccolto que’ frutti che all’ altre insegnò seminare. | La Francia, la Germania, 1’ Inghilterra ed altre genti in pace e d’ accordo , migliorarono , perfezionarono i loro linguag- gi; e noi contrastiamo tutta via per fissare quale sia la buona: lingua d’ Italia, e non contrastiamo per accordarci, ma per disunirci sempre di più ! Ne sono una prova le opere che citam- moin capodi quest’ articolo. Stimiamo superiormente per la sua meritata fama di poetica eccellenza, di erudizione, e grande in- gegno ii Ch. Autore della Proposta. Ma non possiamo appro- vare tutto quello che si è lasciato cadere dalla penna nel caldo della fantasia. Abbiano pure errato e i vecchi ei nuovi accademici ] 39 in alcune, e forse anche in non poche cose; e con essi siano pur caduti in errore altri toscani: ma se ne mostrino gli sba- gli sine ira et odio, se ne lodi il molto, od il poco che han- no giovato 5 gli sbagli che sono della persona , e che in lei hanno principio e fine siano lasciati alla sorte comune di tan- ti sfarfalloni che, appena nati, muoiono e come nebbia si per- dono ; quelli che potrebbero aver conseguenza s’ avvertano in modo che l’ utile della correzione non sia distrutto dal fiele dell’ ira, e von rimanga sepolto in una massa di accessorj che non appartengono alla questione. Le osservazioni dell’ erudito Farinello Semoli ci sembrano*dirette più a bilanciare, non sen- za il buon peso, le mordacità del libro censurato, che a mo- starne li sbagli, senza dissimulare quanto di bello e di vero con- tiene; così provocando alla concordia chi all’ opposto incitò a nuove battaglie. Il buono di che ha sparso il suo libro non è conosciuto da chi ricusa di leggere i libri che s’ annunziano per armi di discordia ; non è accettato nè stimato dai con- tradittori. L'Autore del Dante ‘rivendicato mentre fa mostra d’ottimo criterio, e di non volgare erudizione, non se ne và assoluto dal nostro tribunale, perchè sino dal principio fa cono- scere di mescolare la causa pubbiica co’ suoi particolari dissapo- ri ; e la discordia comparisce essere stata una delle molle che l’ hanno spinto a comporre quella scrittura. Finiscano, giova ripeterlo , le gare della discordia, e subentri la virtuosa emu- lazione per cui gl’Italiani jurctis viridus procurino di conservare e perfezionare Il vago stil che lor fa tanto onore ; preferiscano al questionare la molta lettura de’ sommi scritto- ri da tutta Italia ricevuti per maestri ; e si persuadano una volta che non le accademie sole, non i dizionarj, noni grammati- ci soli, fecero gli Omeri, i Sofocli, gli Euripidi, gli Erodoti, i Senofonti , i Demosteni ; non i Ciceroni, i Titi Livj, i Virgi]j, gli Orazj; non i Danti, i Petrarchi, i Boccacci , i Tassi , gli Ariosti; ma che a dispetto di tutti i grammatici greci, dei Quintiliani, de’ Frontoni ed altri latini grammatici e studiosi delle vecchie parole, quelle lingue sen’ andavano di male in peggio, perchè non più regnava il gusto della lettura e dello 40 studio de’ sommi maestri. Oggi si questiona molto, si fanno e si ristampano grammatiche ; si va ‘a caccia de’ vecchj voca- boli, e questi s’intarsiano come tanti giojelli, e se ne fanno mosaici di lingua: ma ( sia lode al vero ) quanti scrittori di buona liagua vanta in oggi l’ Italia? Qual’ è quello scrittore , che quantunque colmo di pregi, ricco di vecchie belle pa- role e pien di filosofia la lingua e ’1 petto più o meno non scriva in stile inaudito a’ nostri padri? Nè vuolsi già dire che si debba imitare o il vorticoso periodo, o il troppo semplice degli antichi, e tenere il carattere d’ una o d’un’ altra età ; deb- besi anzi aver non schiavitù, ma franchezza, debbesi dare ai nostri scritti l'impronta del tempo nostro; e ci studieremo di conservare il nativo carattere della lingua , non ci sehiferemo d° usare i vocaboli buoni più ricevuti a’dì nostri in preferenza degli antiquati credendoli migliori perchè" più antichi; non adotteremo il periodo epigrammatico e rannicchiato senz’ar- monia, senza comoda giacitura; con parole talvolta così mes- se l’una a canto dell’ altra, che se non bene attendi al sen- timento, le accorderai fra loro contro la mente dello scrit- tore. La discordia dunque non giovò a far migliore la lin- gua (6). Lasciamo poi a” pizzicagnoli, ed alle botteghe delle droghe quella folla di scrittori italiani, che adoperano una lin= gua da chiamarsi piuttosto gergore che lingua. ‘ Chiuderemo questa parenesi della concordia, specialmente in fatto di lingua , con le parole d’ un vecchio scrittore , dalle quali si farà manifesto , che lo stato della questione era già ri dotto a termini di buona ragione sino dalla metà del secolo XVI. ‘“ Vera cosa è che li italiani non han voluto fare al modo de ’ Greci scrivendo altri nella lingua lombarda, altri nella lingua ve- neziana , altri nella romana; (7) ma han cercato di averne una sola, che sia tutta piena di perfezione ; e così tutti d’ un volere si son dati alla toscana sola, perchè è pure senza dubbio la più (6) In questa censura non intendiamo d’escludere affatto 1’ esistenza d’al- cuni bravi scrittori viveoti a’ dì nostri, ma vogliamo intendere del generale. (7) A que’giorni si chiamò lingua ciò che più propriamente dovea chia- marsi dialetto, che in italiano sì usa per indicare certe differenze di pronun- zia, e di vocaboli che non funno una lingua diversa, ma distinta per alcune particolarità. 7 d 4i bella che ci sia. Ma perchè non è al mondo cosa sì compiuta» che non habbia in sè qualche difetto, nè alcuna cosa ci è sì piena di difetti che non abbia in sè qualche buona parte : per questa ragione consiglio di tutta Italia è di aggiungere alla Toscana tutte le buone parti dell’ altre provincie ; e così farne una lingua tutta bella, tutta vaga, tutta ricca e tutta perfetta. E questo che io dico affermano non pur tutte le carte dei nostri dì( che degli ostinati e degli affettati non ho cura ) ma quelle del Petrarca medesimo, nelle quali veggiamo cose che ai dì suoi non erano della Toscana ; il che mostra che il Petrarca con tutto ciò ch’ei fosse toscano , non si lasciò però tanto vin- cere da quello troppo amor della patria , che tanti oggi ne gua- sta, nè si volse ligare a tant’ obbligo della Toscana , ch” ei non potesse pigliar delle bellezze per tutta l’ altra Italia sparse... Io non lodo la sfrenata licenza , no : ma biasimo l’ affettazione e la volontaria e nojosa servitù ,,. (Lettera di Alessandro Citolini in difesa della lingua wolgare. Vinegia 1551. ) Chi poi volesse aggiungervi l’autorità di moderni scrittori, e vedere in qual maniera si dovrebbe tener la concordia sul pro- posito della lingua: non ne mancano dei meritevoli di rispetto e di stima, che mettano il suggello a questa nostra esortazione, tra’ quali basterà che rammentiamo L’opera dell’ uso e dei pre- gj della lingua italianadel ch. sig. Conte Napione. Torino 17915 il Discorso del sig. Professore Niccolini , în cui si ricerca qual parte aver possa il popolo nella formazione d’una lingua , stampato in Firenze l’anno 1819 nella stamperia Piatti. Le- zioni sulle doti d'una colta favella con una non più stam- pata sullo stile da usarsi oggi dì. Parma 1820. L' appen- dice critica all’opera del sig. conte Giulio Perticari pub- blicata nel nostro Giornale Numero II. Marzo 1821. Ze osservazioni del sig. avvocato Angelo Pezzana biblioteca- rio ducale a Parma concernenti alla lingua italiana ed a’ suoi vocabolari. Parwa per Giuseppe Paganino 1823: ed ulti- mamente il libretto di Niccolò Tommaseo, che ha per titolo: Z Perticari confutato da Dante. Milano 1825, nelle quali opere son tranquillamente e con imparzialità trattati gli argomenti e le questioni con tanta rabbia da altri agitate, e vi sono propo- ste le ragioni, per le quali al popolo toscano non può esse- 42 te da tutta Italia ricusato il vanto di possessore del dialetto italiano il più bello e più ricco, e più corrispondente al ge - neralmente usato da’ buoni scrittori ; di modo che un Toscano a parità d’ ingegno e studio sarà sempre più puro , più dol- ce, più elegante scrittore, che altro qualsiasi italiano, come per ideali dichiara il latte ia sig. Tommaseo. La qual sentenza non toglie che in tutta Ttalia non sia- no stati eccellenti scrittori da potersi riguardare per maestri : non toglie che da tutta Italia possano prendersi e voci e frasi adoperate da buoni scrittori ; specialmente quando non si tro- vino le equivaleati nell’uso degli scrittori, che al dialetto gene- ralmente adoperato si sono attenuti ; che non è mica il solo parlar del popolo che dia la legge per li scrittori. Il popolo dà l'impronta al vocabolo; edi buoni scrittori fanno la scelta. Il popolo d’ Atene e di Roma adoperò certamente molte più pa- role, che non passarono nell’uso degli scrittori ; e perciò non ha da'‘pretendersi che ogni strambottolo di Mercato Nuovo o dei Camaldoli di Firenze debba raccogliersi come una gemma , se gli scrittori di buona lega nonlo adottarono; lo stesso con pra di ragione sia detto degli altri dialetti d’Italia; e ciò basti per esortare i dotti linguisti d’Italia a mettersi una volta in pace : dichiarando noi solennemente che da ora innanzi non faremo nel nostro Giornale neanche il. minimo cenno d’opere sulla lingua, che con decenza, e senza municipali, o personali ri- valità non trattino di cose utili e degne della Nazione italiana, che quanto può farsi rispettare e stimare colla concordia, altret= tanto sarà umiliata per la disunione, SE; Mémoires sur la vie et le sitcle de SALVATOR ROSA, par LADY MorGAN, London e Paris. 1824. E’ bisogna ben distinguere in quest’ opera ciò , che è positivo 5 5 q Ì ’ ’ da ciò, chè è frutto della facile fantasia dell’ autrice, La prima parte, sebbene non contenga cose nuove, può nondimeno riusci- re di non poca utilità, e diletto a chi, non conoscendo punto Salvator Rosa, 0 poco più conoscendo di lui, se non ch'egli fu b) 7 b) (d = 1,9 i e 43 abile pittore, e poeta di. non mediocre valore , desidera intendere ‘qualche maggior particolarità di un uomo, che acquistò nome onorato, non solamente nel secolo, in cui visse, ma ancora nella posterità. La vita di questo celebre pittore , e scrittore è nar- rata in questo libro con molta diligenza , e chi la leggerà, verrà a conoscere assar ,minutamente dove, quando, e donde nascesse, quali furono i suoi studj, quali i sussidj, ch’egli ebbe per diven- tare quello, che fu, quali Je sue vicende, ora liete, ora tristi , ora ordinarie, ora singolari, quale il suo modo di vivere, quali le fatiche, gli amici, i nemici, i protettori, gli emoli, e quale finalmente il fine, con gli onori, che gli furono fatti così in vi- ta come in morte. Gl’Italiani debbono saper grado all’ autrice dello avere con tanta cura particolarizzato la vita di un loro ce- lebre compatriota , ed oltre a ciò di averlo fatto con facilità di pen- na, e con istile singolarmente vivace, e spiritoso. Evvi poi in fi- ne dell’ opera una notizia molto accurata di tutte le pitture , che si hanno di mano di Salvator Rosa con l'indicazione degli attuali pos- sessori. L’ altra parte non ha intieramente riempiuto i nostri desiderj , non già perchè sia scarsa, ma perchè è troppo abbontante , cioè contenente alcune cose , siccome pare a noi , non vere, altre esage_ rate, altre raccontate in modo diverso da quello, che furono realmen- te. Dubito , che l’ingegnosa autrice , per voler parer nuova , abbia dato , quà nel lambiccato , là nel fantastico , servendo piuttosto od alle chimere , che la sua immaginazione le rappresentava , od a certe anticipate opinioni che alla verità. E primieramente si vede , che la Signora Morgan, credendo di avere scoperto nelle opere di pittura del suo Rosa certa selvatichezza, ne va ricercando le cagioni nell’ aspetto del paese, in cui visse ne’suoi più giovani anni Salvatore. Montagne , rocce, pini, deserti selvaggi, volcani che buttano , lave che corrono , tutto è posto in opera per ispiegare la disposizion d’animo del protagonista. A questo si ag- giungono , come suole addì nostri , le idee politiche : il dispotismo; che spopola , i soldati levati per difendere i tiranni , campagne deso- late , città deserte, miseria. insopportabile, Certo, detestabil cosa è il dispotismo , e quel di Carlo V fu uno dei peggiori ; ma parlarne, come si vede in questo libro , quasi ad ogni pagina , dimostra tut- t’altro pensiero , che quello di scrivere la storia di un artista. Tor- nando a Salvatore, |’ autrice ora. il vede , ancor fanciullo essendo, errante fra le rocce e le caverne di Raia , i tempj rovinati degli Dei , i ritiri delle Sibille, ora addormentato sulle terre incolte della Solfa- tara , sotto i rami di un albero secco, colla testa appoggiata sur un 44 pezzo di lava , ed invaghito di visioni poetiche :ed ecco perchè Sal vatore fu pittor fiero, e satirico severo. Queste cose sono molto ama- bilia dirsi, e danno occasione a molte belle descrizioni , ma sono più da romanzo , che da storia. Vide il Sannazzaro queste medesime campagne , ed era poeta , e gran poeta, e fu nonostante di dolcissima natura tanto nel fare quanto nello scrivere. Di questi luoghi incolti, ed agresti se ne trovano in ogni paese, senza che il dispotismo vi ab- bia a fare cosa del mondo. Qualcheduno ne vide Virgilio presso la sua Mantova , o nelle vicinanze di Roma, qualcheduno Orazio nel suo Abruzzo, qualcheduno Ariosto sulle rive del Po , qualcheduno Raffaello sulle cime degli sterili Apennini della Romagna, e non per questo pinsero , o scrissero , come Salvator Rosa. Senza tanta manifattura, e tante belle descrizioni si poteva dire semplicemente, che Rosa scrisse , e dipinse a suo modo, perchè così dava la sua na- tura , e gli altri anche così, perchè così portava medesimamente la natura loro. Ma ecco Salvatore fra i briganti della Calabria , e dell’ Abruz- zo. Or sì, che quì s'impara fierezza di penna, e di pennello! Questa certamente erano luoghi agresti, questi, uomini pittoreschi, come appunto gli chiama l’ autrice! Avrebbe anche potuto aggiungere poctici secondo lo stile di certa scuola , verso la quale pare, che la nostra autrice penda con qualche predilezione. State a vedere, che noialtri poveri galantuomini abbiamo torto, ed i briganti ragione, per- ciocchè noi siamo del tutto prosaici, ei briganti sono poetici, e pit- toreschi. Datemi quà un buon corsaro ; o un assassino : questi sì che sono da ammirarsi! Resta , che noi altri poveri prosaici ci lasciamo rubare, ed ammazzare di buon grado per far piacere alle muse in- ferme d’ oggidì. Non so che capriccio da ospedale sia questo di vole- re, che la poesia , ed anche la prosa consistano , per essere buone e belle, nell’ esser piene di non altro che di pianti, di dolore, di sangue, di sepolcri, di tempeste, di deserti, di volcani, di lave ; di briganti, di birbanti, di assassini, e di altre simili soavi immagi- nazioni, Credono costoro, quantunque ancora non s’ ardiscano dirlo, e forse già s’ ardiscono , che Virgilio, e Raffaello sono insulsi. Forse fan grazia ad Alfieri? Dovrebbero , perchè, come dicono, era di genio fiero. Pare ho da avvertire la Signora Morgan, la quale lo loda, che ne potrebbe scapitare co’suoi, se non si emenda; perchè è nata una raz- za di scrittori, che non hanno in nissuna stima Alfieri, nè il Tasso stimano , nè l’Ariosto, benchè la Signora gli lodi. Che famose oper e abbiano fatto costoro da parlare così impertinentemente , io non lo so. Torniamo ai briganti , fra cui vive Salvatore. Le più alte, e Le 4% selvagge montagne delle Calabrie , e degli Abruzzi erano abitate, come testimonia l’ autrice , da questi briganti , e solamente da loro. Aggiunge , che in quelle alte regioni 1’ antico spirito delle colonie greche si era conservato.Belcomplimento; che fa a quei Greci con far- gli simili a ladri , ed assassini! E se portarono, come si crede , nella magna Grecia la civiltà , e se è vero quello,'che la nostra Inglese di- ce , sarà forza confessare , che vi portarono una civiltà molto malan- drina. Onorati per l’ origine, l’ Inglese onora questi briganti anche’ per la compagnia; poichè fa, che a loro vengano a mescolarsi gen- tiluomini, e signori napolitani fuggitivi, come dice, dalle ruote, e dalle mannaje , selle quali erano stati condannati per aver difeso la causa del loro paese. Questi si fecero capi degli altri, sicchè in quei luoghi , nobili, e plebei, tatti erano briganti. Bel paese, per mia fè , doveva esser quello! Del resto, qual causa del loro paese difen- dessero i baroni napolitani, la storia lo narra, ed il mondo lo sa. Avevano essi combattuto , e combattevano, non per la libertà della patria , ma per Ja conservazione dei loro dritti feudatarj , e per poter» continuare la loro detestabile tirannide sui popoli a loro soggetti; nè bisogna credere, che l'insorgere contro il governo , qualunque ei sia, aucorchè fosse quel del diavolo, basti per santificare ogni cau- sa: tirannide quivi combatteva contro tirannide, nè so che cosa vi sia da lodare. Sonsi, e certo molto meritamente lodatii sovrani, che vollero restringere la tirannide feudale per dare maggior libertà ai comuni ; or vedo , che si fa il contrario, perchè si lodano i tiranni dei comuni. Ma ciò non fa maraviglia , ed è conforme al secolo ; im- perciocchè è vata l’ usanza fra certi pazzi moderni di andar a cer- car esempj di virtù , di amor patrio , di civiltà, d’altezza d’animo , di castità di costumi, e di libertà politica fra mezzo all’ atroce tiran- nide, ed alla spaventevole confusione del,medio evo. Questi soli si spasimano di dolcezza quando han nominato la cavalleria , della qua. le giudicano secondo |’ Ariosto. Eh, signori miei , le felicità del me - dio evo, e le dolcezze della cavalleria erano i dritti feudali, orribili per sè , ancor più orribili per la sevizia, colla quale si mettevano in ‘opera sì contro i comuni, come contro gl’individui. Questa è la ca- “valleria vera , non quella dell’ Ariosto ; ma le immaginazioni arioste- sche si pascono di quelle chimere per aver occasione di dire, come affermano, cose nuove, e fanno romanzi in copia sul medio evo , e sulla cavalleria. Sì, per certo, son cose nuove, ma sono ancora matte, e ridicole. i Signora Morgan, volendo mostrare, che il suo o Rosa era ama- tore della patria , e della libertà , il fa partecipare nelle congiure, che a quei tempi si tramarono nel regno di Napoli contro l’ imperio 46 degli Spagnuoli; ma ciò fa precipitarla in gravi errori. Ella afferma, che appunto Salvatore fece il suo viaggio in Calabria , quando si or- diva dal Gampanella quella cospirazione, il cui fine era di smembrare la Calabria dal regno di Napoli per fondarvi una repubblica. Ora questa cospirazione si ordiva , e finì nel 1599, ed in quest'anno ap- punto fu arrestato il Campanella , e condannato a lungo, e tormen- toso carcere. Da un altro canto Salvator Rosa nacque nel 1615. Egli è dunque impossibile , ch’ ei sia stato partecipe della congiura del Campanella. O merito , o colpa che ne segua, Rosa ne è del tutto innocente. ; i La Signora Morgan pretende, che Salvatore sia stato partecipe del moto eccitato da Massaniello in Napoli verso la metà del sette- cento. Ma di questa partecipazione non si vedono pruove sufficienti; ed io dubito assai, che quelle torce accese , ed appiccate alle fessu- re delle vecchie mura della torre del Carmine, che gettavano, se- condo la pittura , che ne fa la nostra vivace autrice , un lume rossi- gno , ed incerto sul volto dei compagni di Massaniello raccolti a con- siglio , non siano state° vedute da Salvatore. La descrizione di que- ste scene, per belle che siano , starebbero bene in capo ad un dram- ma per musica di Metastasio , ma in una storia sono ornamenti di- sdicevoli. Del resto, o che il Rosa fosse, o che non fosse con Massa- niello, la nostra dotta Inglese s° inganna sugli accidenti del moto del capitano generale del popolo napolitano. Temo anzi , che s’in- ganni volontariamente , od almeno tirata dalle sue anticipate opi- nioni sulla politica.Le estorsioni dei Vicerè spagnuoli nel regno di Na- poli erano enormi, ed odiose, e la Signora Morgan non potrà mai dire in questo tanto che non vi resti a dire molto più. Ma il moto suscitato da Massaniello non aveva alcun fine politico : solamente si voleva dai sollevati 1’ abolizione della gabella recentemente posta in Napoli sopra le frutta , ed i legumi, gabella insopportabile pei Napolitani, massime nella stagione estiva. E vero , che il popolo addomandava l’esecuzione del privilegio di Carlo V; e sebbene lo scrittore del pre- sente libro lo chiami Carca, forse perchè crede, o desidera , che si creda, ch’ei fosse una costituzione politica, ei non era altro che un decreto dell'Imperatore , il quale statuiva, che non si potessero mettere sul regno nuove gabelle senza un suo ordine espresso. Del resto , la gabella, di cui si tratta, non era punto arbitraria, anzi al contrario era stata posta secondo gli ordini fondamentali del re- gno ; il che però non dico per iscusarla. Il duca d’ Arcos aveva , a fine di procurar denaro allo stato , convocato un parlamento, il quale concesse un donativo di un milione di ducati; ma non trovan- 4 47 dosi altro modo di riscuotere questa somma, perchè tutte le altre cose erano aggravate ad un segno , che non potevano sopportar mag- gior peso, s' impose la gabella : le piazze ; cioè i capi delle vendite diedero il loro assenso. | Che poi Massaniello abbia impedito ogni violenza del popolo, e non abbia fatto sangue prima che il cervello gli desse volta , non è affermazione conforme alla verità. Massaniello , ‘dice con frase molto espressiva Jo storico Giannone , certamente di autorità non sospetta, Massaniello trucidava co’ cenni, ed incendiava co’ sguar- di;perchè dov’egl’ inchinava, si recidevan-le teste , e si portavan le fiamme. È verissimo però quello, che narra la nostra Inglese, che quando il popolo bruciò il mobile dei palazzi di coloro, e furo- no ventiquattro , che credeva essersi arricchiti per mezzo dell’ odia. te gabelle, non rapì neppur uno spillo. L'autrice avrebbe potuto aggiungere in questo proposito una particolarità molto più notabile, e quest’è , che avendo trovato nel palazzo di Valentino , uno degli arsi , dae barili di zecchini, non che gli rapisse , gli depositò pel Re. L’ autrice ci presenta come molta odiosa , ed odiata la persona del Duca d’ Arcos : pure il popolo tumultante gridava , viva il Re, viva il Duca d’ Arcos ; e quando Massaniello venne al suo cospetto nel castello , gli baciò, prostato con molta riverenza, la mano , né vedo , che il Duca l’ abbia fatto ammazzare , quando il teneva in suo possesso nel castello. Che nobiltà di pensiero fosse nel moto di Massaniello, si può dedurre da questo, che ei domandava , oltre l’uso e la pratica dei privilegi di Ferdinando , e di Carlo V, l'esecuzione e l’ adempimen- to dell’ investitura di Clemente settimo , proibente l’impor gabelle nel regno senza licenza della Sede apostolica. Quest’ era l’ amore dell’ indipendenza della sua patrià , che aveva il pescatore d’Amalfi; e se Salvator Rosa vi fu implicato, non vedo come si possa rappre- sentare qual patriota del secolo, come fa la Signora Morgan. Sta- rebbe paziente la Signora, se qualcheduno pretendesse nel parla- mento inglese , che non si possono impor tasse in Inghilterra senza licenza del Papa? Uno dei compagni all'impresa di Massaniello fin dal bel princi- pio fu il Perrone, uomo scellerato ,e capo bandito. O che voglio esser impiccato , disse Massaniello nel primo fervore della baruf- fa dei frutti, o che voglio aggiustare questa città.... bel soggetto per aggiustare la città di Napoli, gli fu risposto...... non ridete ,/s0g- giunse, che se to avessi due soli compagni dell’ umor mio, vedreste quello, che ro farei, e se volete esser voi quelli, datemi fede. Così fecero Perrone , ed un altro compagno. Gran coraggio, e presenza 48 di spi rito ciò dimostra in Massaniello , ma cattiva accompagratura. Che poi Perrone, nel progresso della cosa , sia diventato spla del Vicerè , io non lo so: certo egli era capace di questo, ed anche di peggio ; ma sul principio non era "certamente sulla piazza per is- piare Massaniello , poichè il moto fu improvviso. . Che Massaniello sia venuto pazzo per veleno datogli per opera del Vicerè , è sospetto non fondato ; poichè in primo luogo e’ biso- gnerebbe sapere qual sia il veleno , che fa fare le pazzie , che fece Massaniello : per.me, credo , che non ve n’ha di questa sorte. In se4 condo luogo gli storici di miglior fede non parlano punto di que- st’ accidente. Fatto sta , che voltò il capo al pescatore per essere sa - lito così repentinamente a tanta altezza. Son i0, gridava, il monarca generale , e ,non comando! ed intanto dava ordine di arder case, e di ammazzar gente , come già aveva fatto pritna della pazzia. Jas - saniello onorato dal Vicerè con eccessi, narra Giannone, siccome sua moglie dalla Regina, gonfio di vanità, cominciò ad agitarseli la mente , e finalmente dalle vigile, e dal vino ridotto a delirare , fat- to insopportabile a tutti , e contro tutti crudele, fu la mattina del 16 luglio da gente appostata nel convento del Carmine ucciso. Per vanilà adunque , e per ubbriachezza diventò pazzo, non per veleno. Da tutto ciò si vede , sesi può tirare a libertà politica la com- mozione di Massaniello , s’ ei sia stato quell’eroe di libertà , che pre- tende la Signora Morgan, e se il Rosa merita per questo fatto, caso ch’ egli vi abbia avuto parte, le lodi, ch'ella gli dà. Deplorabile cosa pare che sia l’aver genio. L’ autrice nostra pretende , che il gerzo, parola tanto in uso oggidì , e ch” ella ripete nel suo libro più di cento volte, e sino a sazietà , sia una malattia particolare , che renda gli uomini, che ne son dotati , rincrescevoli» litigiosi, schivi, strani, e burberi. Se il povero Tasso era così, ne ave- va ben anche il perchè, e se Salvatore aveva non so che di selvatico, io non lo so, quantunque la sua abilità singolarissima di far ridere in commedia , e le festevoli cenette, che dava, sembrino pruovare tutto il contrario. Virgilio non era burbero, nè Orazio era, nè Ariosto, nè Petrarca, nè Sannazzaro, nè Raffaello, nè Niccolò Poussin , nè Torquato medesimo prima delle sue disgrazie ; che anzi egli era cortese, socievole , ed amabilissimo. Che chimere son queste di volere che gli uomini di genio, cioè quelli, che hanno mente cre- atrice, siano tanti orsi? Gran contentezza ho ricevuto leggendo la descrizione, che la nostra amabile autrice fa delle maschere del teatro italiano, Ella ha veramante dato nel segno , e questa parte è scritta da mano maestra, Da un altro canto ho pruovato non poco dispiacere, che queste ma- ; 49 schere , che formavano per l’Italia un teatro veramente nazionale, siano andate in disuso. I melodrammacci francesi e tedeschi son ve- nuti in moda sotto il ridente cielo d' Italia, e vi si piange a rotta al- la commedia. Resta , che vi si rida alla tragedia , e odo , che già vi si va a questo cammino per le insulsaggini romantiche. Grave sdegno mostra la donna inglese contro la povera Crusca: pedanti ; seccatori, persecutori del merito! Pure vediamo. Si deve scrivere con purità di lingua, sì o no? — Certo sì, se la -sfrenatezza moderna non ha cambiato anche questo tasto. Pare a me, che vi sia tanta necessità di scrivere puramente, quanta di scrivere con orto- grafia. Se ciò è , perchè s’ ha da gridar la croce addosso alla Crusca , che altro fine nom aveva che quello d’insegnar a scrivere puramen- te ? — La Crusca ha fatto un vocabolario italiano , come Iohnson, ne ha fatto uno inglese, Adelung un tedesco , le accademie di Pari- gi, e di Madrid un francese , ed uno spagnuolo; per questo [ohnson 3 Adelung, la parigina, e la madriddese accademia sono tanti bei pez- zi di pedanti? — Che altro èun vocabolario se non se un repertorio» una conserva , un soppidiano della lingua pura, e regolare? — E gli scrittori non vi si dovranno conformare? — Son pedanti, perchè non conoscono, e non accettano altra lingua che quella del vocabolario, Volesse pur Dio, che non si scrivesse altra lingua italiana che quella del vocabolario della Crusca! Che si vedrebbero scritture di un’ al- tra sorte di quelle , che si vedono. Questa lingua non basta ai biso- gni moderni, Chi dice questo? Quelli, che non la sanno , perchè non l’hanno studiata : certi forestieri lo dicono, che vogliono far il dottoruzzo in casa altrui. Signor sì; lo dico, e lo affermo asseverantis- simamente , la lingua del vocabolario basta a qualunque parto d’ in- gegno, qualunque ei sia. Dunque si dee fermare una lingua vivente, e non mai ampliarla! — Sì, si deve ampliare , ma s’ intende’acqua e non tempesta, necessità , e non capriccio , dottrina e non ignoran- za, considerazione , e non leggerezza. Ciò debb’ esser permesso a chi bene scrive, non a chi male, non agli scrittoruzzi di gazzettacce, non agli autoruzzi di libercoletti, non ai contaminati dalla peste dei romanzi di Francia, e d’ Inghilterra, Ciò di diritto s' appartiene agli scrittori dotti, gravi, purgati, e riflessivi : ciò s° appartiene al popolo fiorentino ed a chi in Toscana dà ascolto al popolo fiorentino; non a quelli, che hanno studiato la lingua toscana nei libri francesi. Stu- diatela, Signori miei, la lingua italiana , dico quella del vocabolario, studiatela , e vedrete, che ella , non che manchi, ne ha di troppo. I cruscanti son pedanti; guardate i loro scritti. Certamente fra gli scritti usciti altre volte da alcuni accademici della Crusca, ve ne T. XX. Dicembre. 4 5o sono dei ridicoli, e pedanteschi. Ma ciò, che pruova? — Che questi soli accademici erano cattivi scrittori: Il vocabolario insegna la lin- gua , non l’arte dello scrivere, dà le locuzioni, non la capacità , e si può scrivere bestialmente in buona lingua, Queste cose son tanto trite, che ho vergogna di dirle: pure come gl’ ignoranti ci vo- gliono condurre alla barbarie, son costretto a dirle. / cruscanti so- no pedanti. Ma Francesco Redi, che l’ autrice tanto loda, ed a ra- gione , non era della Crusca? — Non era Magalotti della Crusca? — Per questo sono ancor essi pedanti? — Per questo non sapevano scrivere? 1cruscanti han condannato il Tasso.—E via, siamo sempre alle medesime. I cruscanti han condannato il Tasso a comparazione dell’ Ariosto , preponendo il poema di questo al poema di quello. Ma ‘ non è questa l’ opinione di molti? — Han da esser tutti pedanti colo- ro, che l'hanno? — Sarà anche pedante Galileo Galilei, che disse assai peggio della Gerusalemme liberata di quanto abbia detto l’ ac. cademia della Crusca? — Che la Signora Morgan legga lo scritto del Galileo , e poi, se vuol chiamar pedante anche questo gran lume di Toscana, anzi del mondo, mi rimetto. Del resto, queste cose io non dico , perchè io non abbia il Tasso in quel concetto, in cui tutto il mondo lo ha ; che anzi affermo, che solo in lui, fra gli epici mo- derni , si è trasfusa l’ anima di Virgilio, e che di tanto prepongo la Gerusalemme liberata all’Orlando farioso , di quanto si dee. prepor- re un poema sul serio ad un poema da burla. I forestieri farebbero meglio pensare alla lingua loro, non a quella d’altrui, e lasciare gl’ Italiani chiarir questo punto da per loro ; perchè queste predi- che , ed addrottrinamenti dei forestieri in ordine alla lingua italiana agl’italiani, mi pare, che non siano senza qualche grano d’ imperti- nenza. Non mi dimorerò più lungamente sui giudiz) della dotta Inglese intorno ai parti degl’ingegni italiani. Solo aggiungerò, che in Italia le satire del Rosa sono sempre state prezzate secondo il valor loro, cioè stimate buone, ed in qualche parte eccellenti. Ma far delle medesime inni supremi di lode, come fa l'Inglese nostra, è cosa certamente so- verchia, e sa dell’umorista del Tamigi. Bene poi ella trascorre in un detto, il quale, se fosse vero , darebbe assai cattivo concetto delle sa- tire del povero Salvatore, ancorchè ella il pronunzi come fondamento di lode. Cioè che le satire di lui si rassomigliano alle poesie del Mac- chiavelli. Ahimè, ahimè! Caro Salvator mio, se le vostre poesie si ras- somigliano a quelle del Macchiavelli, state fresco! Ma, Signora no; per buona sorte, e per onor di Salvatore, le sue poesie sono molto migliori 5I di quelle del segretario fiorentino. Macchiavelli non era poeta, Rosa era, ed anche buon poeta. [l dedurre poi, come fa l’ autrice, dalle satire del Rosa, ch'ei fosse patriota , e amico della libertà a quel modo che ciò s'intende a’ tempi nostri , perchè sferza con veemenza i vizj dell’età, è un'illusione prodotta da un’ idea predominante. Che ha da far la satira, se non fulmina il vizio , ed i viziosi, e non dice un pò di male di tutto, e di tutti? —Rosa l’ha fatto, e l’ ha fatto bene. Anche Menzini il fece, e il fece bene; e so dire, che in quest’ ultimo autore si trovano tante invettive contro la corruzione del secolo massimamente contro i vizj dei grandi , quante veramente si leggo- no nel Rosa. Solo, Menzini scrisse più elegantemente, e se questa è cosa da condannarsi , non so più che mi dire. La Signora Morgan tartassa Marini, ed ha ragione; ma avrebbe dovuto aggiungere , che ai tempi nostri si torna a precipizio nei con- cetti marineschi. E forse ella stessa esente da questo difetto? — Per me, ne stò in dubbio, perchè l'aristocrazia vegetale, che leggo nel suo libro , creata da Carlo Loreno, per dire, (a campagna ab- bellita dall’arte del pittore, mi pare, che sappia un poco del mari- nesco. Anzi non credo, che Marini sia uscito mai a dire una cosa tanto strafalciata. Questo solo esempio adduco; che ne potrei addar molti. Lessi con non mediocre piacere , che l’autrice condanna forte- mente il suo Rosa per non essersi ammogliato , e per aver preso con se; in vece di una moglie una bella serva. Dico , che ho letto ciò con molta satisfazione, perchè non me ne stava in questo propo- sito senza qualche timore, non già per motivo dell’ autrice, che donna illibata è , ma a cagione della scuola , verso cui ella pende ; conciossiachè nulla di più prosaico vi sia al mondo che il matrimo- nio, nulla di più poetico o pittoresco, che una bella serva. Insomma per restringere in poche parole il merito di questo li- bro, havvi biografia compiuta di Salvator Rosa, qualche sbaglio gra- ve nei fatti, altezza di pensieri, ma mescolata quà e là di opinioni stravaganti, ed erronee. CARLO BOTTA. 5a Saggio sopra l’Uomo, di aLessanpro PoPE — Lettera d’ Eloisa ad Abelardo, del medesimo Autore — Elegia sopra un cimitero campestre, di Tommaso GRAY; traduzioni di Lorenzo MANCINI fio-. rentino. Firenze 1825 — tip. Luigi Ciardetti. Il sig. Mancini, autore dell’_liade italiana, ha ora pubblicate queste tre poetiche produzioni voltate in terza rima. Egli ci dice nella prefa- zione che le precede, che il non essersi ancora conosciuto il primo dj questi poemi in buono e adattato volgarizzamento in Italia, fu la ragione che lo determinò ad intraprendere questo lavoro: poichè secondo il suo avviso ; le versioni già fatte hanno la colpa originale di essere scritte in verso sciolto , incapace di riprodurre |’ indole e il tuono, o sì vero la cadenza simmetrica e armoniosa del distico de- gli inglesi. Perciò senza esaminare se quelle fatte prima della sua abbiano merito o no, egli ha stimato doversi il Pope tradurre in versi rimati, pensando non potersi fare altrimenti, sotto pena di guastar- ne il carattere , ed alterarne la fisionomia. Concede però l'Autore essere stati in quelle adoperati gli sciol- ti ad oggetto di tener dietro con più fedeltà all’ originale; ma as-. serisce che in tal guisa vien sacrificato gran parte dell'armonia e del bello poetico del modello ; in conseguenza avere egli adottato il mo- do di verseggiare, che risponde esattamente al metodo del Pope, che in questo tersissimo scrittore deriva dal di lui grande amore per l’ eleganza dello stile, l'ordine dei pensieri e le cadenze rego- lari della poetica pernich Nè si creda già che ei faccia per questo professione di tradat- tore infedele , ed esiga che tale sia chi intende tradurre, ma vuole che , senza tener dietro ad una pedantesca uniformità di parole e di dizioni, le voci e i modi del testo sieno piegati al genio dell’ idio- ma in cui si traduce , in guisa da formare un tutto che piaccia , ed operi un effetto simile, più che si può, a quello che lo scrittore ori- ginale a’ suoi tempi e alla sua nazione produceva. Il lettore preoccupato dalla sentenza contenuta in questa pre- fazione, avrà tutta la ragione di sperare che nella presente versione troverà l'indole, il tuono e la cadenza simmetrica e armoniosa del distico degl’ inglesi ; if carattere e la fisonomia del Pope ; l’ armo- nia ; il bello poetico ; l’ eleganza dello stile ; l'ordine dei pensieri del suo originale ; i m20di e le dizioni del testo piegati al genio del- l’ idioma d’ Italia : e quindi procederà alla lettura. Ma prima di leggere non potrebbe egli avvenire ch’ei dicesse fra sè medesimo ? 53 »» Ma l’ indole, il carattere del Pope, il bello poetico , lo stile ele- » Gante,i pensieri ordinati non possono dunque rendersi scrivendo in i versi sciolti ? e le dizioni e i modi piegati al genio dell’ idioma ita- » liano coll’ aiuto della rima, si confaranno ai pensieri metafisici » pensati da un oltramontano, più che scrivendo in verso sciolto ?... , Dall’ altra parte l'A. non ci dice nulla della chiarezza, della spon- »» taneità , della lucida costruzione delle parole 2... Basta! queste 3» son cose che non ha creduto dover rammmentare , perchè ne darà 3) Continuo saggio ne’ suoi versi ,,. Il fatto sta che per agevolarmi l’ intendere questa versiune mi è convenuto giovarmi di alcune di quelle condannate dal Sig. Mancini per la loro colpa originale, per esempio di quella del sig. Leoni, che io non dirò se sia bella o brutta, buona o cattiva : ed ho creduto che forse altri avrà bisogno di far lo stesso: e in tal caso, inj pochi della sua nazione il sig. Man- cini opererà l’ effetto che ne’ suoi tempi e nella sua nazione produs- se il poeta inglese, Ma desiderando io pure leggere le terzine, nè volendo servirmi di un altra traduzione , o dell’ originale stesso per intendere una tra- duzione , ho pensato di tener miglior via , e di costruirle gramma- ticalmente, e ridurle a prosa, persuaso che elleno fossero formate da versi, quos si dissolvas ;..... Invenies etiam disjecti membra po- etae. Pure ciò non è bastato; ed ho dovuto supplirci qualche parola o qualche dichiarazione perchè almeno il senso delle parole corresse: ad onta di ciò mi è rimasta qualche oscarità. Il lettore faccia lo stes- so e giudichi se sia vera questa mia asserzione. E se a caso, dopo aver fatto ciò e colla più severa costruzione grammaticale, desse a leggere questa prosa ad alcuno il quale vi trovasse qualche oscurità e contorsione nello stile , come mai sareb- be possibile che ei credesse che le stesse stessissime parole per es- sere disposte in versi e coi ceppi della rima, potessero dare una lu- cida poesia ?— I sublimi pensieri metafisici del Pope esposti in pa- role e dizioni ordinati in regolar costruzione, dovranno esser più chiari che se saranno accomodati in terzine rimate. Or se non han bastante chiarezza in prosa, qual chiarezza avranno nella disposizione metrica del Sig. Mancini ? Io mi protesto formalmente di non presumere di dare un giudizio, ma mi pare che la rima e il metro abbia non poco messo a tortura lA. e tirauneggiata la di lui dettatura poetica. E quando ciò fosse vero , egli avrebbe certamente tratto poco vantaggio dall’ aver creduto con questo mezzo corrispondere alla simmetrica ed armoniosa ca- denza del distico degli inglesi, piattosto che alla spontaneità dell’ e- 54 spressione e alla proprietà della dizione e della frase, non piccola parte del bello poetico. Io per certo nello spiegar concetti che per essere intesi han bi- sogno di chiara , lucida e naturale espressione , non vorrei mai as- soggettarmi a leggi tiranniche per le quali fossi trascinato a velarne la bellezza e lo splendore. Tutti riconoscono per sommo pregio, per non dire parte essenziale della nostra poesia, la rima ; tutti con- vengono che il nostro idioma somministra moltiplici giri di poetica locuzione per esprimere uno stesso pensiero : ma niuno gradirà che il poeta dall’ impero della rima sia costretto ad usare costruzioni in- tralciate, dizioni non proprie o stranamente figurate , lunghe e ozio- se perifrasi, ellissi che con inopportuna brevità oscarano, anzi che abbellire con giudizioso artificio , il senso d’ una espressione. Ma perchè tutto ciò non sembri una gratuita asserzione ripor- tiamo un saggio dalla prima epistola, breve saggio e di sole sette ter- zine, alle quali faremo precedere l’originale inglese e il volgarizza- mento letterale in nostra lingua. Ep. I. $. 3. I. 3» Heav ”n from all creatures hides the book of fate, > All but the page prescrib’d, their present state. Il cielo a tutte le creature asconde il libro del fato, Tutto fuor che la pagina prescritta , il loro presente stato. Schiude il libro dei fati a ciascun ente Sue carte ad unà ad una , e quella ognora Ove il futuro è omai fatto presente. II. s From brutes (4ides) what men , from men what spirits know > Or who could suffer being here below ? ‘Ai bruti (asconde) ciò che gli uomini, agli uomini ciò che gli spiriti sanno, Altrimenti chi sopporterebbe l’ esser qui abbasso ? Avgelico saper qual tristo fora Dono al mortal, che vive in dolce inganno ; Gode di quanto sa, di quanto ignora. Qual farian d’ ogni vita orrido affanno Pensier d’ angelo all’uom, d’uomo alle fiere , Felici appien che sua ragion non hanno! II. so The lamb thy riot dooms to bleed to-day, »» Had he thy reason would he skip and play? 3» Pleas’d to the last he crops the flow’ry food; so And licks the hand just rais’d to shed his blood. 55 La tua gozzoviglia condanna l’ agnello a versare oggi il sangue. Avesse egli la tua ragione salterebbe egli e scherzerebbe ? Contento fino all’ ultimo egli mangia il fiorito pascolo , E lecca la mano appunto alzata per versare il suo sangue. Vedi l’ agnello che per te già pere Pascer lieto l’ erbette ; e saltellante Lambir la man che già s’inalza e il fere. IV. »» Oh! blindness to the future! kindly giv’n s> That each may fill the circle mark’d by Heav'n; O cecità del futuro benignamente data, Perchè ciascuno adempia il circolo segnato dal cielo ; Così ne vela ogni futuro istante Il nume,:e ciechi, onde a compir sì vaglia Da noi la strada; ne sospinge innante. V. s» Who sees with equal eye, as God of all, s» A hero perish, or a sparrow fall, 3» Atoms or systems into ruin burl’d 3» And now a buble bust, and now a world Che vede con eguale occhio , come Dio di tutto , Un eroe morire o un passero cadere , Atomi o sistemi gettati în rovina , Ed ora una bolla d’ acqua scoppiare , ed ora un mondo. E mentre tutto egli ordina, s’ agguaglia In sue bilance d’ ogni cosa il pondo, E nulla è mai che là trabocchi e saglia. Con occhio eguale ei vede or moribondo Un verme, ed ora un re; spengersi or faci, Or soli; e un fumo dileguarsi e un mondo. Mi sia lecito fare alcune osservazioni su queste cinque citazioni. 1. In questi due primi versi il Pope dice che il cielo w4- sconpe alle creature tutto il libro del destino, fuorchè la pagina del presente; — e il sig. M. dice che il libro dei fati APRE a tutti gli enti le sue carte ad una ad una, e sempre quella ove il fu- turo è reso presente. Le quali parole dicono che il libro «tel de- stino mostra a tutti tutte le sue pagine , e sempre quella del fa- turo, giacchè il futuro fatto presente non è sicuramente il pre- sente, ma il faturo che ha cessato di esser tale, ed è diventato presente. Lascio considerare al lettore se la sentenza del Pope sia resa fedelmente o stranamente trasfigurata, anzi rivoltata af- fatto a dire il contrario. Il Pope dice Aides, il sig. M. schiude: il Pope dice: il presente , il sig. M. il futuro divenuto presente. il Pope dice: nasconde tutto fuorchè (60) una pagina, il sig. E 56 Mancini : schiude totte le pagine ad una ad una e ognora quella pagina, ec. II. Segue il Pope: che il cielo nasconde ai bruti ciò che l’uomo sa, agli nomini ciò che gli spiriti sanno ; altrimenti chi potrebbe stare in questa terra ? 1! sig. Mancini dice: che il saper angelico sarebbe tristo dono all’ uomo che vive in dolce in- ganno , che gode di quel che sa e di quel che non sa. Che pen- sieri d’ angiolo farebbero all’uomo orrido affanno d’ogni vita , pen- sieri d'uomo farebbero orrido affanno d’ogni vita alle fiere che sono appieno felici, perchè non hanno sua ragione. Giudichi il lettore come il pensiero del Pope sia stranamente ed oscuramente amplificato per legge della terzina e della rima. III. Continuando il Pope, dimanda all’ uomo! se l'agnello che oggi è condannato dalla tua golosità a morire, avesse la tua ra- gione , pascolerebbe contento sino all’ ultimo momento , salte- rebbe, leccherebbe la mano alzata per ferirlo? Il sig. Mancini dice che l’agnello (non già condannato a morire ) ma che già muore, pasce lieto l’erbette (si noti la simultaneità di queste due azioni ) e saltella e lecca la mano che s'alza e lo ferisce; lasciando di dire che non farebbe così se avesse la ragione dell’uomo; lo che pare che l’A. abbia inopportunamente detto delle fiere in generale, facendo consistere nel loro esser prive dell’ umana ragione la loro piena felicità. IV. Esclama il Pope: o cecità del futuro, benigno dono per- chè ciascuno possa compiere il circolo segnato dal cielo. Il sig. Mancini dice presso appoco lo stesso, ma con infelice giro di — espressione : il nume nasconde ogni futuro istante e ci sospinge innanzi ciechi, onde da noi si vaglia a compir la strada. V. Finalmente il Pope dice che il cielo , come Dio di tatto, vede con occhio eguale morire un eroe e cadere un passero, an- dare in rovina atomi e sistemi, scoppiare una gallozzola d’ ac- qua e un mondo, Ma il sig. M. non è stato contento a questo pensiero, e lo ha amplificato così: mentre il nume ordina tutto, il peso di ogni cosa si agguaglia nelle sue bilance, e non vi è mai nulla che in quelle trabocchi e saglia ; con écchio eguale vede moribondo ora un verme ora un re, spengersi ora facelle or soli, e dileguarsi un fumo e un mondo. — Senza la necessità del metro e delle rime forse ei si sarebbe risparmiata la terzina delle bi- lance ove si agguaglia il peso d’ogni cosa senza che esse traboc- chino o si alzino. O sono io in errore o è vero che, in sole sette terzine che ho citate del sig. Mancini, si vede che la tirannia del metro e 57 della rimalo ha tratto, 1.° ad amplificare i pensieri del poeta filo- sofo inglese, 2.° a rendergli più oscuri,3.° a cambiare la loro fisiono- mia, 4.° e per sino a fardire al Pope il contrario di ciò che ha detto. Se il senso non fosse affatto stravisato ; forse potrebbe dirsi esservi un errore di stampa, e doversi correggere CHIUDE, Ove dice SCHIUDE; ma nonostante il senso non correrebbe. Io prego il lettore a volere paragonare questo squarcio da me citato con la traduzione fatta già in versi sciolti dal sig. Leoni, e lodata, almeno come fedele, dal nostro cooperatore Antonio Benci nel tomo quarto di questo giornale pag. 270; che a comodo dei lettori qui riportiamo. Dell’immutabil fato il gran volume Chiude a’ viventi il ciel ; sol del presente La necessaria pagina lor mostra. Quel che ai bruti nasconde all’ uom discopre, Nasconde all’ uom quel che agli spirti svela. Qual senza opposto vel fora la vita! L’ agnello a morte il tuo piacer condanna. Se fosse in lui di tua ragion scintilla Scherzar vorria ! perfino all’ ultim’ ora Pago sì pasce delle molli erbette, La man lambendo che a ferirlo è pronta. Oh! del futuro provida iguoranza, Onde la via compie ciascun prescritta Dal comun padre , che con ciglio eguale Il passero perir mira e l’eroe, Confusi andar sossòpra atomi e sfere, Acqueo globo scoppiar, disfarsi un mondo. Or chi sarà colui che non desidererà che il sig. Mancini, ‘piuttosto che sagrificare la fedeltà e chiarezza dei pensieri de ll’ ori- ginale, avesse fatto un sacrifizio del metro legato in terzine e delle rime, e ci avesse recato in buoni versi sciolti gli schietti pen- samenti dell'inglese filosofo ? Ma se io trovo nel lavoro del Sig. Mancini certe piccole cose che mi sembrano macchie, non per questo intendo di asserire presuntuo- samente che queste macchie vi sieno : e un solo individuo che tali le creda o le trovi, è un nulla appetto a un pubblico che non le cre- de o non le trova, Il retto giudicio , che si manifesta non per via di discorso o di parole, è quello che dà il pubblico leggendo o trascu- rando di leggere una data opera. Sicchè il Sig. Mancini non curi le mie sofisticherie, per non dire la mia poca levatura , che io non vo- glio che abbiano peso veruno sull’altrui opinione: ma non corra a ‘ precipizio a darmi torto, nè ad offendersi di qualche amara critica 58 che gli potesse venir fatta da altri, dando una mentita a quel noto assioma genus irritabile vatum: ma si trattenga altresì dal intumi- dirsi se alcuno gridasse pu/chre, bene, recte! e piuttosto esamini bene se la lode sia sincera e ragionata. Ss. LA GRECIA NELLA PRIMAVERA DEL 1825. Lettere di un viaggiatore. N. III. Ricevimento del Generale Roche a Ti ripolizza. Suoi ab- boccamenti coi capi Suliotti. — Xidi, Caraiscaki, Zavella , Costantino Bozzari. Dopo un cammino di nove ore molto noioso, noi giun- gemmo a Tripolizza. Questa città rimane in fondo ad una bella pianura che porta il suo nome. Noi fummo maravi- gliati di trovare fuori delle porte della città una folla di popolo , ed una lunga fila di palicari; ed ancor più nel vedere un uomo riccamente vestito con un turbante in capo che ci veniva incontro di galoppo montato sopra un ca- vallo turco. Si sarebbe detto ch’ egli fosse uno di quegli Abanceraggi di cui trovasi menzione nelle guerre di Gra- nata. Tutto questo apparecchio di cerimonia riguardava al generale Roche, a cui gli abitanti di Missolongi voleano fare buona accoglienza. Il Cavalliere che correvaci incontro era il colonnello Xidi, comandante della piazza, e fratello del generale ucciso nel fatto d’ arme del 19 di aprile. Co- m’ ei fu presso a noi , scaricò le sue due pistole , e ci salutò alla greca, ponendosi sul cuore la sua mano destra. Il ge- nerale gli manifestò il suo rammarico per la morte del fra- tello di lui. “° Quanti Greci siamo, noi saremmo ben for= tunati di morire come lui, ,, rispose il colonnello. Noi entrammo nella città in mezzo a folto popolo, e andammo ad albergare nella casa del ministro dell’ interno, una delle poche case turche risparmiate dalla rabbia e dalla vendetta de’ Greci. Girandomi gli occhi intorno , altro io non iscor- 59 geva che mucchi di ruine. Il serraglio o palazzo del Bassà che risiedeva innanzi la rivoluzione in quell’ antica me- tropoli della Morea fu spianato da capo a fondo, core pure l’harem, i bagni, e la muschea che rinchiudeva nel suo circuito. I soli cimiteri turchi restano intatti, Tripo- lizza comincia”a ripopolarsi e ad uscire dello stato misero dove il sacco del 1822 ridotta l’ aveva. Questa città, quando era la metropoli della Morea e la residenza del Bassà, conteneva circa trentacinque o quaranta mila abitanti, tra cui non si contava più di tre mila greci cristiani. Oggigiorno il numero degli abitanti sale a quindici mila, mercè del concorso del popolo che trae da ogni parte a cercarvi un ricovero. Per un migliaio di dollari si può comperare in Tripolizza una casa con un giardino sotto il più bel cielo ed in un sito ameno. Lascittà rimane all’ estremità d’ una vasta pianura attorniata di monti , fra le tre antiche città di Tegea Mantinea e Pallantea ; forse ch’ ella sia stata fab- bricata de’ loro avanzi; così almeno sembra indicare il suo nome. Essa non è nè forte, nè atta a sostenere un asse- dio: è circondata da un muro fortificato di barbacani, e fiancheggiato da torri drizzate dai Turchi per difendersi dalle scorrerie dei Klefti che abitano le vicine montagne. Colocotroni, innanzi alla rivoluzione , vi entrò più volte per sorpresa ad onta delle sue mura : non per tanto ella sostenne un assedio nel 1822; e vi erano. rinchiusi nove mila Turchi e tre mila Albanesi; ma i Greci non avevano altro che una frotta di contadini armati di strumenti d’agri- coltura e di mazze, appena un migliaio di moschetti, e di pochissimi e cattivissimi cannoni. I Greci impararono dai Turchi l’arte di perdere il tenipo. In Grecia , cominciano le visite fin dalle sette ore della mattina; ed ogni uomo di buona compagnia sti- masi in dovere di visitare gli stranieri qualificati. Il per- chè , alla dimane fin dalle ore sette la nostra stanza era piena di visitatori. In mezzo a questo appartamento mo- bilitato alla turca, colle sue vetriate colorite , i suoi muri ingombri da versetti del Corano e dipinti in arabeschi, fregi e soffitti inverniciati che gareggiano collo smeraldo, 60 offrivano uno spettacolo singolare quelle gravi e taciturne fisure , le quali, dopo aver posto la mano destra sul loro cuore in segno di saluto , sedevano in cerchio su i tappeti, e prendevano il caffè senza far motto, e fumavano la pipa che l’ospite non manca mai di offerire. La /evata d’ una corte europea è forse meno grave e meno solenne che tali visite di cerimonia in Levante. Alcune ore dopo, secondo l’uso del paese, noi ci cre- demmo in dovere di restituire la visita a coloro che ci avevano onorato della loro grave e taciturna presenza. Il colonnello Xidi sedeva a pranzo con alcuni de’ suoi com- militoni in una camera fornita delle più belle armi tur- che , di briglie , di selle ricamate, ed altre masserizie guer- resche. Stava appesa al muro una scimitarra turca con fodero d’ argento indorato , che per lo innanzi apparteneva al generale Xidi; del valore di cento buone lire sterline. Presso i Turchi ed i Greci, il gusto delle armi ricche e splendide è una passione, come presso di noi la smania de’ vasi etruschi, de’ quadri, e delle medaglie. Noi ve- demmo altresì uno di que’larghi reliquiarii di argento in- dorato , guernito di corallo e di frangie d’ oro , che i capi- tani greci si appendono al collo nel momento di dar bat- taglia. San Demetrio, San Costantino, Sant’ Elena, sono al presente i protettori de’ Greci nelle pugne, come altre volte Marte, Apollo, e Minerva. La bandiera del gene» rale morto era piegata in segno di lutto. Vi si leggevano queste parole: Dio, patria, speranza, carità. Essa era una picca sopravi un cuore, uscente d’una palla, sotto la quale sono le armi della Croce: x 3 Tutto è risplendente d’ oro , e sulla cima s’ erge 59 La santa Croce luminosa quanto il giorno. ,j (antica ballata). Ci fu additato in un crocchio di soldati romeliotti, che ci osservavano con curiosità, quel prode nomo che nella bat- taglia avea salvato la bandiera, inseguito per più ore dalla cavalleria nemica. Noi vedemmo pure un giovanetto di quattordici anni, che non volle abbandonare il generale Xidi; il quale , sentendosi ferito mortalmente , gli ordinava di fuggire; ma egli si rimpiattò in un burrone , uccise un 61 Egiziano che passava, e gli tolse il moschetto che portò qual trofeo nella Romelia. Poco lunge dall’ appartamento era steso in terra un soldato ferito, il quale fece sforzi incredibili di valore per salvare il suo generale. Il colon- nello pasceva il suo dolore con queste triste rimembranze, e nel salutarei ci disse com? egli non vivea che per ven- dicar suo fratello. Fra le persone che ci accolsero gentil. mente in Tripolizza non va dimenticato il principe De- metrio Ipsilanti. Egli ci accolse con quella cortesia ch’ ei suol usare ai viaggiatori che vanno a visitarlo: egli è calvo, piccolo , gracile; ma se la natura non gli diede un’ aria militare , fui assicurato che in guerra egli mostrossi in- trepido sempre. Egli è vestito all’europea, e parla bene il francese. Egli servì in Russia col grado di maggiore , e ragiona ancora dei Russi con una specie di affetto. Dopo aver combattuto ne’primi anni della rivoluzione per la libertà del suo paese , egli vive da due anni a questa parte in Tripolizza lontano dalle pubbliche faccende. Sieno pure quali si vogliano i motivi del suo ritiro, Solone non gli avrebbe comportato una tale neutralità. Uscendo dalla mensa , che era coperta di vivande alla turca, taluno mi disse all’ orecchio : Il principe ha il palato d’un turco, la testa d’ un russo, ed il cuore d’ un greco ,,. Il giorno seguente fu annunziato che i Romeliotti ed i Suliotti, che facevano parte del campo di Cremidi , avevano abbandonato l’esercito s ed eransi venuti a stabilire presso _ Tripolizza. Di fatti, i capi offesi dalla preferenza che il pre- sidente avea manifestata per l’Idriota Scurti dandogli il co- mando , e della sconfitta vergognosa che n’era stata la con- seguenza , mossi oltracciò dalla fazione contraria al presiden- te ed a Maurocordato , ricusavano di più combattere sotto gli ordini del presidente, ed erano risoluti di ritornare nella Grecia occidentale a difendere le proprie case e famiglie. Io aveva letto nell’eccellente raccolta delle canzoni greche, pubblicata dal sig. Fauriel, le prodezze mirabili di questa nazione guerriera, ed io ardeva della brama di conoscere questi audaci montanari, i quali, anzichè abitare co’ Turchi, 62 ““ tolgono di vivere come le belve nelle loro solitudini, e nel seno delle montagne ,, (Stergio). La prima persona ch'io visitai col generale Roche si fu il generale Giorgio Caraiscaki, nativo dell’Arta. Egli era albergato in una piccola casa fuori delle mura presso la*por- ta di Argo : noi vel trovammo seduto sopra un tappeto , in vesti magnifiche ricamate d’oro e d’argento. Stava appeso al muro il suo moschetto coperto d’ arabeschi in argento. La stanza era piena di soldati , alcuno de’ quali non lasciavano mai il loro capo e lo seguivano in ogni luogo. Egli fu Klefti di professione infino al tempo della rivoluzione : statura me- diocre ; aspri modi ed astuti; pronto nelle risposte e nei motti. Il generale Roche, mediante un interpetre, intavolò una discussione su diversi punti di politica, Il nostro ospite , con aria ironica e gran destrezza, faceasi giuoco delle questioni più dilicate. Il generale, domandandogli se non andava bene che l’assemblea nazionale , la quale doveva adunarsi nel me- se dell'ottobre seguente , allungasse la durazione del gover= no a cinque anni invece di uno , egli rispose. “ I soldati non devono punto entrare in simili faccende , il loro ufizio è di ubbidire ,,, — ‘ Voi poteste vedere nell’ultima battaglia quanto la disciplina europea sia superiore al coraggio, ag- giunse il generale ; non credete voi che sarebbe utile per la Grecia lo impiegare un corpo regolare di milizie americane per porlo a fronte delle milizie 'opolizi d’Ibraim?,,— ‘Io credo che ciò potrebb” essere , rispose l’ astuto Klefti ; ma te- io che la Grecia non si trovi in istato di accoglierle e di trattarle come sono trattate in Europa ,,. Il generale prose= guendo il suo discorso : ‘ Vi sembra egli conveniente, che il governo perdoni al Colocotroni, e lo rimetta alla testa del- l’esercito in questo critico istante? ,, — A questa domanda, unvecchio guerriero, che stavasi accanto a me, rispose: ‘Guai a quel popolo la cui fortuna dipende da un solo uomo! meglio perire che dipendere da un solo uomo,,. Colui che aperse un tale sentimento degno de’ tempi antichi era un Piola Pano di Suli, luogotenente colonello. Egli ha servito sran tempo in uno de’ reggimenti albanesi , i quali, molti 63 anni sono, erano stipendiati dall’Inghilterra. Egli trovavasi in Gaeta quando Massena vi pose l’ assedio. Il generale Roche, udito ciò , gli porse la mano e gli disse :‘ Stringetemi la mano ; noi siamo due vecchi nemici, diventiamo amici fin da questo giorno; io faceva parte dell’ esercito che assediava Gaeta. ,, Un tal segno d’amicizia mosse un sorriso di com- piacenza in quelle facce severe che ci stavano osservando. La statura di granatiere , e i modi franchi del generale anda- vano a sangue a quei guerrieri selvaggi. Indi noi andammo a visitare Zavella. Kizzo Zavella di Suli è figliuolo di Foto Zavella, uno de’più valorosi e de’ più sinceri patrioti di quella parte della Grecia. Quando i su- liotti vollero trattare coll’Alì-bassà, Foto diede fuoco alla propria casa, volendo piuttosto vederla in cenere che profa- nata dai satelliti di Alì. All’ età di quattordici anni , egli re- stò come ostaggio per suo padre fra le mani di Alì. Velì, fi- glio di quel tiranno, avendogli detto come aspettava un or- dine per abbruciarlo vivo, perciocchè suo padre non aveva attenuto la promessa fatta di confermare una capitolazione svantaggiosa a’ suoi compatriotti, egli rispose : ‘* Bene! ma mio padre ucciderà i vostri Albanesi, e forse piglierà te stes- so con tuo padre , e vi abbrucierà parimente ,,. Il suo figliuo- lo è un uomo di trent’ anni ,di statura mediocre, occhi vivi, e scintillanti, coraggio impetuoso: nella battaglia del 19 mancò poco che la sua temerità nol facesse tagliare a. pezzi dalla cavalleria turca. Le sue vesti e le sue armi splendevano d’oro e d’argento ; il sio pesseli (specie di veste) era di vel- | luto verde orlato di rosso e ricamato in argento. Le vesti e l’ armatura d’ un capitano costano sovente più di dieci mila franchi. Il generale Roche domandò a lui pure s’egli credesse che un corpo di milizie regolari fosse necessario alla Grecia ; egli rispose di esserne più che mai convinto, specialmente dopo la funesta esperienza dell’ ultima battaglia. Il generale gli fece sapere com’egli avea consigliato il ministro della guerra, Adamo Duca, di formare in Grecia una guardia nazio- nale divisa in due corpi , l’uno attivo e l’altro sedentario, come in molti stati d’ Europa. Zavella rispose , ch’ egli sti- 64 mava utile una tale istituzione , e che la sosterrebbe innanzi al ministro. Un pittore avrebbe potuto fare un bel quadro di Costan- tino Bozzari, nel momento in cui noi ci recammo a visitarlo nel suo posto di guardia. Egli stavasi ritto sotto un largo pioppo ; i suoi guerrieri tutti in piedi formavano un circolo intorno a lui: nè l’oro, nè l’ argento splendevano sopra la ‘sua persona ; il suo abito era semplice e modesto come l’in- dole sua. Egli portava sopra un pesselì di panno celeste una cappa bianca a lungo pelo di capra, veste ordinaria de’ Su- liotti. Essendo noi assuefatti a discernere i capi greci alla ricchezza de’ loro vestiti e delle loro armi, noi l’ andavamo cercando tra la folla mentre già eravamo innanzi a lui. Un tappeto steso sull’ erba per suo comodo era la sua sola di- stinzione; Silenzio profondo regnava in quell’assemblea di guerrieri immobili. Costantino Bozzari fumava tranquilla» mente: egli ci accolse freddamente benchè con civiltà. Egli è di Suli , e fratello di Marco Bozzari , il Leonida della greca rivoluzione. Egli è di robustissima complessione , benchè pic- colo di statura ; dicesi che somiglia a suo fratello. Il suo no- me è il più caro ai Suliotti di tutti gli altri che restano di questa guerriera tribù. I suoi soldati sono quasi tutti Suliotti, ed ha fra essi un gran numero de’ suoi proprii parenti che il seguono alla guerra , e combattono a’ suoi fianchi più per af- fezione che per dovere. il generale Roche gli annunziò che il comitato francese avea scelto .il figlinolo di Marco Bozzari per dover essere educato in Francia. Egli rispose che ne sa pea molto grado al comitato , e che bramava che il sno nipote diventasse dottissimo. — 4J/ Gen.: Siete voi versato nella storia degli antichi Greci e delle loro imprese sublimi? — Bozz.: Noi non abbiamo letto la loro istoria, ma la sappia- mo per tradizione. — // Gen. : La strada che voi battete vi renderà illustre nel vostro secolo , ed immortale nella poste- rità. — Bozz. : Il solo scopo delle nostre azioni si è il bene del nostro paese. — IZ Gen. : La morte di vostro fratello sarà eternamente gloriosa pei Greci. — Bozz. :I Greci non bra- mano che una morte come la sua. — // Gen; : Avete voi fra i G5 Suliotti alcuno di que’ nomi gloriosi dell’ antichità? — A ta- le interrogazione, un cugino del Bozzari , che stavasi ac- canto a lui, rispose con alterigia : Non è il nome, ma bensì il cuore oli fa gli eroi. — Il Gen. : Vorreste voi avere un re in Grecia? — Bozz. :Io mi credo che un re serebbe da desi- derarsi pel bene della Grecia nello stato presente di cose. Il generale fece a bella posta la stessa interrogazione a molti altri capi : le loro risposte s’ accordarono tutte a quelle del Bozzari. Io non so , per parlare liberamente , se l’ uomo deve por fede alla sincerità di tali risposte. Mi parve che i capitani , per civiltà o per dissimulazione , vi condiscendes- sero troppo di leggeri. Costantino Bozzari , com’ io dissi, è l’ idolo de’suoi com- militoni. Nell’ ultimo fatto d’arme dei 19 di aprile , eglino lo salvarono a prezzo del loro sangue. Egli era stato abbattu= to da cavallo da un uffiziale egiziano ghe stava in procinto di farlo prigione. I soldati edi parenti di lui, vergognando di perdere in tal guisa il loro capo, risolvettero di salvarlo a qualunque costo. Ei'gli formano una barriera de’ loro corpi, combattono, ritirandosi, il traggono seco loro per.un buon miglio; quando l’inimico gl’ lreara ei gli voltan la fronte, combattono , cadono, e ne vengono sostituiti di nuovi; ed in tal guisa, lasciando diciassette della loro gente sul campo di battaglia, giungono a procacciarli salvezza; e non solo . eglino ricuperarono il cavallo di lui, ma dodici altri ancora | ne rapirono agl’inimici. In quella pugna, che rammenta quelle dell’ /Ziade , sei fratelli parenti del Bozzari morirono per salvare la vita di lui e l’onore dei Sulliotti, Costantino Bozzari, nel lasciarci, ci baciò sulla bocca; ch’ è il baciò più tenero d’ amicizia che si possa dare in Gre- cia. Io m’ era sempre imaginato che i pittori italiani, rappre» sentando i fatti della storia romana, esageravano il colore e le forme de’soldati romani. Quelle fisonomie severe, quelle membra atletiche , quella carnagione scura, mi sembravano caricate. Ma dopo aver veduto i Romeliotti edi Suliotti , io sono persuaso che in que’ dipinti non ha nulta ch’esea dei limiti della natura. I Romeliotti ed i Suliotti sono la più bella e la più forte razza d’ uomini ch'io m’abbia ancora T. XX. Dicembre. 5 66 veduta. La loro pelle esposta mai sempre al sole, ha preci- samente il colore del bronzo: il loro petto è largo come una corazza: oltracciò la natura diede loro una forte capellatura ch’ ei portano sempre folta e ondeggiante , e che sarebbe an= cora molto più bella , s*ei non avessero preso l’uso di radersi le tempie. I Greci amarono sempre di molto una lunga chio» ma, ed Omero , fra gli epiteti ch'egli suol dare a’ suoi nazio- nali, usa quello di Greci den chiomati. Il maggior numero di loro nascono e muojono soldati. Fin dalla più tenera età, essi portano al fianco le pistole e la sciabola che non lascia - no mai. Eglino sono obbligati, come gli altri soldati della Grecia, di procacciarsi a proprie spese armie vestiti: rice- vono a stipendio una razione di pane e dodici parà al giorno per loro alimento, e venticinque piastre al mese per le loro al- tre spese: non hanno nè tende, nè letto, nè coperta: usano per letto una cappa, per guanciale una pietra, ed un cielo sempre sereno per padiglione. Per tutto il corso d’ una campagna non si spogliano mai, nè mutano la camicia : così le loro cami» cie sono ben sudice ; ma in compenso le loro armi sono sem- pre pulite e lucide; giacchè, appena desti , il loro primo pensiero si è quello di nettarle e porle in ordine. Eglino sono appassionati pazzi verso le armi belle e ricche , le quali, splendenti d’ oro e d’argento, formano uno strano contrap= posto colle loro camicie annerite, Inoltre essi non hanno nè bi- saccia, nè cos’alcuna propria a portare il bagaglio. Uomini per la guerra perfetti, eglino hanno la forza de’leoni e l’agilità dei cervi. Io vidi i nobili granatieri di Napoleone, vidi la super= ba guardia inglese , io metto i Suliotti sopra di loro. L’arma- tura ed il portamento di questi ultimi hanno qualche cosa di veramente teatrale. Essi combattono sempre in disordine , e ciascuno sceglie il suo posto: non accostumano di esporre i loro corpi combattendo : come gli antichi che si coprivano dello scudo , eglino si rimpiattono dietro ad un sasso che li nasconde in parte ; e fino a tanto che hanno in tal guisa un pezzo di roccia, ei sono invulnerabili, abilissimi essendo a servirsi .di quel riparo e a caricare e scaricare le loro armi. Peringannare i loro nemici; quando sono ad una certa distane za di essi, mettono d’ ordinario in vista un berretto rosso 67 presso al luogo ove si stanno appiattati: non hanno l’uso di trincerarsi ;e quando vogliono combattere insieme e fortifi- earsi , eglino formano un tamburo ;} così essi chiamano uno spazio chiuso da un riparo di pietre ; donde ei fanno sull’ini- mico un fuoco micidialissimo quasi sempre , come quelli che generalmente non falliscono la loro mira. Ai 17 di aprile, il generale Caratazzo , postosi in uno di questi tamburi, fece morder la polve a parecchie centinaia di Egiziani che vol- lero sforzare la sua posizione. Si dice che i Suliotti non so- gliono fare più di tre scariche co’ loro moschetti, anche su le file più serrate; dopo di che gettando via le armi da fuoco e le loro cappe, sfoderano le sciabole e piombano sull’ inimico ; e perciò eglino si servono della sciabola in vece del jatagan che portano i soldati moreotti. Se il loro attacco non riesce felice , essi perdono le loro cappe edi loro moschetti. I Romeliotti, e più ancora i Suliotti , stimano per una grande sventura la perdita del loro capitano , in qualun- que modo essa succeda ; e perciò talvolta non gli permet» tono di esporsi molto nelle pugne , e lo trattengono in qualche distanza. Eglino seguono e abbandonano il loro gonfalone secondo va loro a grado, e tale diserzione non porta seco nè gastigo nè disonore, perchè il levarsi da uno stendardo per ascriversi in un altro , non è secondo loro disertare. Chi paragonasse sì fatte bande militari alle an= tiche compagnie italiane de’ condottieri , o alle guerillas della Spagna , non ne avrebbe una giusta idea ; esse of- frono una p'ù forte rassomiglianza colle antiche tribù della Scozia. I corpi robusti di que’ guerrieri e il modo del ve- stire che somiglia a quello deglî Scozzesi rendono ancor più esatto il confronto. Nella Romelia, il comando rimane in alcune famiglie che il meritarono col loro valore , e viene generalmente trasmesso da padre in figlio. I Suliotti giu- rarono guerra eterna ai Turchi , ed osservarono il loro giuramento meglio di tanti altri. Più di cencinquanta di que’ valent’ uomini rimasero morti nel fatto d’ arme del 19 di aprile. Un sangue prezioso si è sparso ; giacchè dal tempo hce i Suliotti perdettero il loro paese, altro non 68 resta della loro nazione che ‘circa un migliaio d’ uomini dispersi nella Grecia e nelle isole Ionie. Non per tanto i loro corpi sono sempre numerosi, nerchè una grande quan- tità di Romeliotti , tratti dalla riputazione del loro valore, amano d’unirsi con essi per combattere, e divengono alla loro scuola soldati eccellenti ; e così, alla guisa degli Spar= tani, i Suliotti sono in guerra seguiti sempre da molti al tri Greci che sotto gli ordini loro combattono. N. IV. Seguito del soggiorno in Tripolizza: conferenza del Generale Roche e di Costantino Bozzari: onori funebri ren- duti alla memoria del Generale Xidi : scuole di grammatica e di mutuo insegnamento: un improvvisatore greco : — Viag- gio nella Messenia: descrizione di quei paese: superstizione dei Palicari. — Arrivo a Calamata: il principe Maurocor- dato. Quando noi lasciammo i capi suliotti, ragionai seria- mente col generale Roche della disubbidienza di quelle milizie verso il capo del governo, facendogli osservare quale scandalo funesto era quello in tempo di guerra, e come la partenza di due mila buoni soldati affretterebbe senza fallo la perdita di Navarino. Io dunque lo consi- gliai di avere una conferenza privata con Costantino Boz- zari, il quale sembrava essere il più forte e più sincero di tutii, ed offerirgli la sua mediazione presso il presi- dente a fine di concludere una riconciliazione onorevole ai due partiti e tanto necessaria al loro comune interesse, Il generale , già persuaso di quanto momento fosse il mu-° tare la risoluzione de’ Romeliotti , invitò Costantino Boz- zari a recarsi nel giorno seguente al nostro albergo. per una conferenza privata. Il Bozzari venne solo , e l’ aiu» tante del generale servì d’ interprete. Il generale: “ Voi siete soldato, Bozzari, e conoscete > la necessità della subordinazione ; mi fareste voi il pia- », cere di dirmi se avete lasciato l’esercito coll’ assenso »» del presidente ? ,, Bozzari : Il presidente avrebbe certo voluto tratte- 69 ‘, nerci al campo; ma noi fummo costretti di lasciarlo, ., come ci venne inteso che l’inimico volgeva i suoi passi ,» sopra Missolongi, e stava per invadere la Grecia occi- so dentale ,,. Il generale: « Qualunque sia la causa che a ciò fare ,, vi mosse, voi disubbidiste al capo del Governo con », esempio funesto. Volete voi rimanervi in Tripolizza? 3 Io, che sono un amico de’ Greci, e che porto ferma », credenza ch’ essi non possono vincere che colla concor- ,;3 dia, sono pronto ad offerirmi per mediatore. Se voi vo- ,» lete sospendere la vostra partenza, io sono certo che » gli altri capi muteranno risoluzione ,,. Bozzari : “ Noi lasciato abbiamo l’ esercito, per ve- s; Tità, senza il consentimento del presidente, ma non ,» siamo suoi nemici. Noi non possiamo sospendere la no- ;3 stra partenza ; il nostro paese è minacciato ; i nostri soldati vedono le loro case e le loro famiglie in peri- ,» colo; eglino ci abbandonerebbero se noi restassimo più 5 a lungo in Morea; e quando i miei soldati fossero par- ,» titi, qual frutto potrebbe ritrarre da me il presidente? ,; Jo diverrei inutile alla Morea e alla Grecia occiden- », tale in un tratto ,,. Il generale : “* Poichè voi siete fermo nella vostra ri- ,; soluzione , datemi almeno la vostra parola, che voi ri- s3 marrete amico del presidente e dedito al governo. Bozzari: « Io vi giuro che non nutro alenn senti- 5, mento di odio contra il presidente; e vi prometto di 3» restargli sempre amico ,,. Malgrado delle ragioni speciose con cni sostenne il Boz- zari la sua risoluzione , l’ esito provò anche troppo che la partenza di quelle schiere fu una delle cause principali della presa di Navarino. In questo mezzo furono renduti gli onori funebri alla memoria del generale Xidi. La bara, che mostrava di rin- chiudere il corpo di lui, fu coperta di fiori. Io non so da chi si abbiano i Greci un tal uso di ornare di fiori la bara, se dai Turchi, o pure dagli antichi Ateniesi, presso i quali era un simil costume. Tutte le altre cerimonie sono quelle 2? 70 stesse che vengono osservate ne’funerali de’ cattolicî; nè io so recarmi alla mente cos’alcuna che meriti di esser notata , se non fosse che i sacerdoti coperti di vesti su- dicie e miserabili cantavano i loro salmi con una voce nasale ancora più monotona di quella de’ cappuccini d° Italia. In que’canti, il popolo salmeggia sullo stesso tuono, e sente tanto piacere in tal musica quanto ne potevano sen- tire i suoi antenati ne’ concerti di Lino e d’ Orfeo. * In Tripolizza ha una scuola di lingua, ove s’ insegna il greco antico, e si spiega Erodoto, Tucidide , e Seno- fonte. Agli 8 di maggio venne aperta una scuola di mutuo insegnamento in una moschea disposta a tal uso, e che può contenere quattrocento scolari. Dietro ad essa è un piccolo giardino, ed innanzi al vestibolo corre una fonte. Il maestro è Giorgio Costantino di Cipro, il quale imparò tal metodo nella grande scuola di Borus-Road in Londra. Parecchi abitanti riguardevoli di Tripolizza vegliano la scuola , ed il principe Ipsilanti vi piglia un pensiero par- ticolare. Io ebbi occasione di conoscere un inspettore della pubblica istruzione (eparos) il signor Gregorio Costantà, e lo pregai di volermi dare qualche ragguaglio particolare sullo stato dell'istruzione in Grecia. Quel dotto e vene= rando ecclesiastico ebbe la compiacenza di scrivermi sopra tale argomento una lettera piena di notizie importanti. Qualche tempo dopo morì in Tripolizza un certo Cavà di Dimizzana , cognominato il Sabanaco , il quale, sendo de-. forme e gobbo davanti e di dietro, ebbe da natura il dono d’improvvisare. Senza sapere nè leggere nè scrivere, egli cantava in versi la storia della greca rivoluzione : io non potei raccogliere che circa i due terzi di questi canti im- provvisati. Essi comprendono in quà e in là de’ tratti fe- lici, ma nel totale non meritano più attenzione della mag- gior parte delle poesie degl’ improvvisatori italiani; pure ei sono una prova che il greco idioma attuale ed i Greci moderni sono atti alla poesia estemporanea del paro che gli antichi. Dopo la partenza dei Romeliotti, il presidente si con- 71 dusse da Sala a Calamata, di dove egli scrisse al gene- rale Roche come a lui sarebbe spiaciuto di fargli fare un viaggio molto incomodo, e che il pregava di rimanersi a Tripolizza. Il generale stimò bene di dover fare il piacere del presidente. Con gran rammarico io mi separai da una persona , verso la quale la mia stima veniva sempre più crescendo. La dimane (ai 30 di luglio) nel mezzogiorno io entrai nella via di Calamata. Nel primo giorno io non feci che sei leghe, e mi fermai la sera in una casa a un miglio di Leondari, in una deliziosa vallata, e degna almeno almeno di essere paragonata con taluna di quelle descritte sì bene dal di- vino Ariosto. Limpidi ruscelli che mai non inaridiscono, un aere fresco , il canto degli augelli, boschi d’ ulivi sem- pre verdi, aspettano il viaggiatore anelante pel caldo del giorno e per la noia d’una cattiva mula o d’un cattivo cavallo. Gli usignuoli popolano i boschi, ed il gufo me- schia le aspre ed acute sue grida alla loro melodia. Come fummo giunti, i due fedeli palicari che ci scor- tavano , più attivi e più indefessi de’ soldati spagnuoli , si posero tosto ad apparecchiarci la cena. Un agnello è la vittima sontuosa di tali sacrifizi. In un momento, fu scan- nato , scorticato, sventrato, salato, ed in mancanza di spiedo , conficcato in un piuolo, e posto ad arrostire in. nanzi ad un fuoco ardente : s, Achille presiede all’ apparecchio del desinare : egli »» va foracchiando le carni palpitanti, e tagliandone i pezzi », con arte ; nel mentre che Patroclo molle di sudore de- » sta il fuoco: la tenda è illuminata dalla fiamma che sì Salza ,, ( Omero, Iliad. IX.). Nel tempo della cena io notai che uno de’ palicari veniva osservando uno degli ossi dell’agnello (la scapula) colla stessa attenzione con cui gli antichi osservavano le vi- scere degli agnelli offerti in sacrifizio. Io domandai ciò ch'egli osservava sì attentamente. L’ uno di loro , che par- lava l'italiano, mi rispose ch’egli indagava il futuro. Egli aggiunse , con un’aria tra seria e scherzosa, che potevasi presagir l’ avvenire coll’ osservazione di quell’osso, e èhe va uno de’ lore compagni, nella notte che precedette la bat- taglia dei 19 di aprile, ne aveva in tal guisa annunziato l'esito deplorabile , a tal che quell’osso chiamasi in Gre- cia la gazzetta de’ Palicari. Io risi a prima giunta di tale superstiziosa credulità , ma poscia ella svegliommi alla mente il pensiero spiacevole che la superstizione è una malattia incurabile presso i popoli, della quale non vanno esenti nè anche i popoli meno civili; giacchè , con tutta la vergogna di questa specie d’ oroscopo , io porto opinione che i Greci moderni sieno meno superstiziosi de’ contemporanei di Socrate , i quali avevano da per tutto ì loro oracoli, i templi, le divinazioni, e le sibille. I Greci moderni, benchè fortemente affezionati alla loro re- ligione , non sono tanto inclinati a donare la propria mo- neta ed i propri beni ai loro sacerdoti com'erano gli an- i s i quali, senza contare i doni onde arricchivano i templi, avevano l’ uso di confidare il loro danaro alla custodia de’ sacerdoti : i Greci de’ nostri giorni amano me- glio di portarlo nella loro cintura o sotterrarlo di quello che consegnarlo in deposito al clero. Il popolo in Grecia è povero, e così il clero, e le chiese ancor più. In Tripo- lizza, non ha neppure campane per invitare alla messa, Dopo quattro anni di libertà, si servono ancora d’ una piastra di ferro fermata alla porta della chiesa, come allora che il dispotismo turco proibiva l’uso delle campane: vi battono d’ una pietra, e a quello strepito i cristiani si radunano intorno alla chiesa come uno sciame d’ api. Un altro sito delizioso, che lasciommi una grata me- moria, si è la sorgente del Pamiso, dove noi ci fermam- mo a prendere un pasto frugale di olive, aglio novello, e formagio di capra, giacchè , a fine di meglio conoscere gli usi del paese, io non ho mai ricusato di seguirli. Quel luogo era famoso presso gli antichi per la salubrità del- l’aria; i quali credevanlo propizio specialmente alle ma- lattie de’ fanciulli. Un ruscello che scorgesi zampillate dalla sua sorgente, e che va serpeggiando intorno ad una fertile prateria, ombreggiato da alcuni bei platani, mi richiamò alla mente quella bella canzone del Petrarca: 72 Chiare , fresche, e dolci acque, Ove le belle membra Pose colei che sola a me par donna, ec. In Grecia, il viaggiatore si appresta d’ ordinario la mensa , con la sua compagnia, in mezzo a qualche vaga scena della natura. Trovasi di molti ruscelli e fontane che furono rispettati infino dalla più selvaggia soldatesca,; e la cui freschezza è deliziosa soprammodo in un clima, ove il sole per lo spazio di più mesi è prodigo troppo delle sue fiamme. Quante sorgenti, vallate, boschetti io potrei ad- ditare in questa terra, ove il genio della desolazione regnò per ben quattro secoli! Non vi sono nè palagi, nè ville, nè parchi ; la tirannia de’ Turchi non rispettò cos’ alcuna; non vi resta che il sole ed il terreno. La provincia di Calamata, ch’è una parte dell’antica Messenia, è ben coltivata : essa è fertile in fichi, vini, seta, e in ogni genere di produzioni , forse quanto nell’antichità ; ma ebbe sempre vicini incomodi. Per lo spazio di quattro secoli, gli Spartani saccheggiarono quel paese, nè lascia- rono altro a’ suoi abitanti che il potere scegliere la guerra o l’esilio , la morte o la schiavità ; ed ora i Maniotti, successori degli Spartani se non sono i loro discendenti, la disertano colle loro scorrerie; calano di tempo in tempo dalle loro montagne , e danno il guasto a quelle. vaghe pianure , da colline e da ruscelli bellamente variate. To sono entrato a Calamata verso sera , ed andato a smontare nella casa del presidente. Eravi intorno raccolta di gran gente che si urtava come la folla che accorre ad uno spettacolo gratisdato. Io m'avanzai col torrente, in mezzo al quale io trovai il principe Maurocordato , che mi fece la più civile accoglienza. La sua fisonomia sembrom- mi molto più bella ed espressiva che in que? ritratti di lui che si vedono in Londra. Egli veste alla francese. La pri ma volta ch'io lo vidi a Calamata, ei portava de’ vestiti lacerati anzi in brani; e in ciò mi parve di scorgere più affettazione che povertà. Ei parla il francese con eleganza e facilità. La sua conversazione è viva, piacevole, e molto spiritosa. Egli ha le risposte prontissime, Un giorno il ge- 74 nerale Roche gli diceva: ‘ Fa stupore che si ragioni degli , affari della Grecia più in Parigi che nella Grecia me- > desima. — “ Ciò avviene, soggiunse Maurocordato, per- ,3 ciò ch’è più facile il parlare che l’ operare ,,, — Il ge- merale rispose : ‘ Io credo che ciò proceda più tosto dal s; piacere che noi proviamo a ragionare, come gli amanti, », degli oggetti della nostra tenerezza. — Per mala sorte , o» riprese Maurocordato , finora il vostro non fu che un amor » platonico ,,. Egli ha in sè tutte le qualità che si può desiderare in un segretario di stato ; prontissimo nell’ inten- dere e nello spedire le faccende ; e quindi i suoi nemici, non potendogli contendere l’ abilità , dicono ch’ egli sa me- glio maneggiare la penna che la spada. Egli non ha tanto potere in Grecia quanto a lui dare dovrebbero i suoi ta- lenti ed il suo patriotismo, Fanarioto , senza stretti vincoli d’amicizie o di parentele nella Grecia, ed anche senza il sostegno delle ricchezze, egli fu costretto a combattere da sè solo contra le fazioni e le cabale ; lo che il gitta so- vente nella necessità d’usare le armi stesse de’ suoi nemi- ci. Gli riuscirà malagevole di salire all’ autorità suprema in Grecia. Egli conosce a fondo la politica europea, e rivolge tutta 1’ abilità sua a far sì che la Grecia riman- ga indipendente ; ma se mai dovess’ ella essere ridotta a scegliere un protettore, io credo che Maurocordato da- rebbe la preferenza alla Gran Brettagna, siccome allo stato più possente. ( saranno continuate } —————_——tm6__m_mrnoco—m___É_____m_____m__rP—_———PT——_———i SOREZIENNES, par M. H. Faris 1324. Soreze è una piccola città della provincia di Linguadoca , di- stante 24. miglia in circa da Tolosa, e poco più di due dal ce- lebre serbatoio d’ acque di S, Ferreol , opera mirabile, di Ri- quet (1). Quivi era una badìa comoda, e tranquilla dimora di (1) € Il serbatoio d'acque di S. Ferreol è un oggetto di ammirazione per ss tutti gli stranieri che fanno apposta il viaggio per visitare questo bel monu- 75 monaci Benedittini dell’ ordine di S. Mauro, di quei che pazievti e studiosi cooperarono alla gran compilazione della Istoria di Fran- cia, rimasta poi interrotta per la loro soppressione. Ma i Bene- dettini di Soreze vollero acquistare un’ altro titolo alla riconoscenza de’ francesi, instituendo un collegio, che dal Re Luigi XV ot- tenne il titolo e i privilegi di regia scuola militare. Ne fu l’ultimo rettore D. Despaux, uomo venerando , e tanto fornito di dottrina, quanto alieno da quella tediosa pratica d’ insegnamento , che i francesi dicono routine, e che dominava allora in quasi tutti gli altri collegi del regno. Era D. Despaux secondato dai suoi confra- tell con molto zelo ed intelligenza, e primeggiava fra questi D. Francesco Ferlus professore di rettorica. La rivoluzione francese portò seco l'abolizione degli ordini monastici, e con essa quella de’collegi, cui presiedevano. Ma quello di Soreze risorse dalla comane rovina, mercè gli sforzi ed i sa- erifizii di Francesco Ferlus. Nascosto dapprima in que’ contorni, e secondato poi da alcuni parenti ed amici; fece offrire dell’ oro , e riscattò da distrazione certa la Badia ed il Collegio, ed anzi vi ‘fondò un nuovo stabilimento ad imitazione sid antico, ma più completo e più vasto. Era Francesco uomo dottissimo, e fu membro dell’ institato di Francia. Egli amava la gioventù; con zelo affatto disinteressato, Ebbe inoltre compagno a sì lodevole impresa il suo minor fratello Raimondo Drmenico , letterato e poeta gentile (2), già dedicato egli pure da gran tempo alla pubblica istruzione nel collegio dell’ora- torio di Bordeaux , allora allora soppresso con gli altri. Quanti ss mento delle arti, e la scuola di Soreze non meno interessante nel suo genere. Nessuna opera fu mai concepita con maggiore ingegno e ardimento di quella 33 di Riquet. Egli raccolse in una valle, lunga una lega,e larga della metà tutte 35 le acque somministrate da diversi ruscelli abbondantissimi, e dalle pioggie. 3» La valle è chiusa in tutta la sua larghezza da una diga, che trattiene le acque, s» e sotto la quale sono state praticate tre volte profonde, che s’ inoltrano molto 33 innanzi sotto quel lago artificiale. All'estremità delle volte sono collocati enormi ss chiavette che apronsi a certe epoche, e dalle quali precipitasi l’acqua con 3, orrendo fracasso in un’ abisso sotterraneo, donde esce. per recarsi ad ali- ss mentare il canale che congiunge i due mari. Poche persone possono ga- so rantirsi da un fremito di spavento , nel visitare quelle volte , nel pensare 33 che hanno una tal massa d’acqua sospesa sopra la testa (Il serbatoio s ha in quel punto fino a 180 piedi d'altezza alla più alta crescenza delle » acque ). L'urto prodotto dal precipitarsi delle acque cagiora un’involontaria 33 scossa nervosa ,y.( Soréziennes , Annotazioni all’Epistola2,). (2) Oltre alcune sue poesie originali, hanno riscosso molti applausi le sbe imitazioni di satire e sermoni di Giovenale e di Orazio, in cui ha innestato i costumi e gli avvenimenti moderni alle invenzioni de’ dae poeti latini. 76 ostacoli al risorgimento di quello di Sorèze in mezzo a tanta de- solazione ! e quanto coraggio , quanta perseveranza per condurre a buon fine un sì arduo progetto! I fratelli Ferlus non solo re- staurarono l’antico fabbricato; ma vi aggiunsero nuovi edifizii ed ampie sale per gli studii e gli esercizii ginnastici , e cortili abbel- liti da lunghi viali di alberi, da logge e da fontane. L’ antiea scuola militare non contenne mai più di cento convittori : il nuovo collegio fu fatto capace di quattrocento , e salì presto in tanta reputazione che vi accorrevano gli alunni non solo dalle diverse provincie di Francia, ma dalla Spagna ancora , dall’Italia, dall’Olan- da, e perfino dal continente di America , e dall’ isole di Francia e di S. Domingo. — Ed ecco il concorso de’ giovanetti coloni riescir ben presto di sommo aggravio ai fratelli Ferlus ; impercioc- chè la guerra con la gran Brettagna , e l’ occupazione di alcune fra quelle oltremarine provincie troncarono quasi ogni comunica- zione con esse ; ed a queste cagioni si aggiunse più lacrimoso evento, e fu l’eccidio de’ bianchi di S. Domingo , e l'invasione di ogni loro possesso per parte de’ neri stanchi di servitù, e spinti a vendetta da crudelissime sevizie. — I congiunti di quei giovani che educa- varisia Soréze, o perirono , o rimasero privi di ogni risorsa: che dunque restava a que’ miseri abbandonati , gettati in terra stra- niera, se non l'umano core de’ Ferlus! Essi seguitarono a nu- trirli e ad educarlial pari degli altri, e per vari anni li tennero come figli, e quando fu terminata la loro educazione , o furono impie- gati in qualità di prefetti o di maestri, o furono avviati per l’ eser- cizio di alcuna professione. - Tali sagrifizi e dispendi ascesero a_ più di franchi dugentomila , e dissestarono alquanto le finanze de’ gene- rosi institutori. Un atto sì bello di filantropia destò l’ ammirazio- ne de’ francesi , ed i parenti , gli amici, edi compatriotti degli alunni così pietosamente soccorsi, manifestarono la loro riconoscenza ai fratelli Ferlus per mezzo di un indirizzo che fa stampato , e distri- buitone un gran numero di esemplari : nè altro che grazie potevansi rendere allora dai beneficati: ma un’avvenimento politico , il quale ha sorpreso non ha guari l’ Europa , mette adesso i coloni in grado di rendere ai fratelli Ferlus altro che grazie. — In forza dell’atto che dichiara l’ indipendenza dell’ isola di Haiti ossia di S. Domin- go , debbono gli abitanti di essa sborsare al Governo francese la vi- stosissima somma di 150 millioni di franchi, e questa dovrà essere repartita con giusta proporzione tra i coloni che erano stati altre volte spogliati dai neri : e fra questi saranno pur coloro che ebbero asilo, e nutrimento; ed instruzione a Sorèze ; nè può dubitarsi un momento che la gratitudine non gli muova tosto ad una restituzione, 77 chela giustizia altronde richiede. — Francesco Ferlus più non vive, ma Raimondo è stato l’ erede de’ nobili debiti contratti dal fratello per soddisfare alla sua benefica pietà,ed è tempo omai che abbia alcun premio di tanti sagrifizi, e di tanti disborsi il compenso. Grave è la spesa che annualmente richiedesi a sostenere la com- plicata montatura del collegio , ed a conservare un tanto numero di professori e maestri quanti abbisognano, onde percorrere tutti gli stadi della instruzione scientifica e letteraria dalla più elementare fino alla più sublime. Non si creda però che tanta moltiplicità di studi sia di- retta a formare uomini enciclopedici, o piuttosto, siccome real- mente avverrebbe , miseri superficiali pedantelli. - Anzi ognuno dee prenderne quanto gli occorra e non più; ma il gran merito dell’ instituto di Sorèze consiste nel potere offrire a ciascuno quello appunto che può convenirgli, anzichè una educazione generica » la quale non può supplire ai differenti bisogni di tutti. — Varii sono gl’ ingegni, e varia la destinazione de’ giovanetti : a questi sia l’ instruzione conforme , e li ritroveremo poi preparati e disposti ad entrare in carriera, e non come tanti altri costretti a dimenticare quanto appresero , ed a ricominciare la luro educazione. Ma que- sto sistema, di cui niuno impugnar potrebbe la ragionevolezza , da molti però si crede unicamente applicabile all’ educazione privata col soccorso di molti precettori e con grandissimo dispendio, mentre all’ opposto si giudica ineseguibile ne’ grandi instituti , ove gli alun- ni distribuiti per classi , devono marciare per così dire a drappelli , eseguire gli stessi movimenti, ed allo stesso punto tutti uniti con- dursi . Una tal credenza è un errore ; la pretesa impossibilità non de- riva che dallo scarso numero degl’ institutori , e dall’ irragionevole preferenza che si dà a certi metodi. Si consulti l’ inclinazione de- gli alunni , si determini lo scopo, a cui ciascuno deve mirare, e gli studii che ve lo debbono condurre: si abbiano molte classi e ben graduate, professori abili e pazienti , e si vedrà che in mez- zo ancora al più vasto stabilimento, non che fra le pareti do- mestiche , può darsi ad ognuno una educazione adeguata e spe- ciale. - Sorèze offre luminose riprove di una tal verità. Sono gli stu- denti quattrocento in circa; pochissimi hanno le stesse occupazio- pi, ed anzi ognuno segue que’Corsi, che sono più appropriati al suo ingegno , ed al suo oggetto. - Il figlio del militare si applica prin- cipalmente alle mattematiche, e trova uomini profondi in quelle scienze, che lo rendono capace di subire felicemente l'esame per la scuola politennica di Parigi. Egli stadia inoltre la geografia e l’istoria, ma soprattutto muella moderna, la fortificazione, e 78 le lingae viventi, senza troppo fondarsi nelle antiche ; egli con- sacra molto tempo alla ginnastica , esercitandosi nelle evoluzioni 4 nella scherma, nella equitazione, e nel nuoto ; che per tutto que- sto vi sono esperti maestri , e cavallerizze coperte , e vasti piaz- rali e palestre. — Egli è certo che uscendo dal collegio brillerà nelle scuole superiori militari, ed entrando poi graduato in qualche corpo, non sarà per certo il ludibrio de’ camerati, per le sue goffe e pesanti maniere, Il che ben gli potrebbe accadere, se invece delle mattematiche avesse studiato le belle lettere e le lingue dotte, o se trascurate le armi ed i cavalli si fosse fatto pallido e curvo sui volumi della filosofia. Io da queste osservazioni non voglio già inferire che coloro , i quali sanno far risparmio del tempo, non possano arricchire ed ornare il loro spirito di molte e varie nozioni oltre quelle necessarie al loro scopo ,, nè ciò si vieta a Soreze : dico. però che debbono sempre venire dopo le altre, ed è questo a cui ‘molto si osserva colà, e pochissimo al. trove. Che se alcuno, dotato dalla fortuna di beni sufficienti per non dover faticando guadaguarsi la vita, sdegni bensì di trapassarla oziosa ed inutile; se altri sentasi chiamato dal genio naturale a coltivare le scienze o le lettere; può il primo studiarne quanto gli basta, onde gustarne le dolcezze, e coglierne i più bei fiori, e può il secondo acquistare sì profonda e scelta dottrina da porsi in grado di aspirare un giorno ai più gloriosi e durevoli successi. A Soreze si studiano molto la lingua e la letteratara francese : taluni, non sapendo che biasimare, hanno preteso che vi si stu- diasse troppo. - I ragazzetti incominciano con la grammatica di Lho- mond, ma passano poi a quella generale di Condillac applicata al- l’ idioma francese: nell’anno successivo si comincia a studiare la prosa e la poesia; di quella il genere epistolare e narrativo; di questa I’ apologo , il sermone, la satira ec. Seguono la didascalica j la liri- ca , la drammatica, l’epica, edi generi della prosa che più a questi si accostano , e si và progredendo così fino alla eloquenza: i gio- vani si esercitano scrivendo molto in prosa, ed anche in versi in- torno a subietti di morale, di storia , ed altri importanti;-o. non futili almeno (3). Si finisce come si era incominciato con la scorta di (3) Havvi anche una piccola Accademia. Ella è puramente letteraria : le sue alunanze pubbliche son rare; quelle private frequenti, e vi si fanno a ciascuna quattro lezioni di turno; cioè. 1.° L'analisi di qualche prosa o poesia classica francese. 2.° La traduzione in versi di uno squarcio di poesia classica latina. 3.° Un saggio di osservazioni nuove intorno ai sinonimi francesi. 4.° Un componimento originale in verso, o in prosa, — I soci soli sono ammessi a que- 79 Condillac , di cui si studia allora l’ arte di scrivere , resultato gene- rale di tanti particolari precetti. - Il corso di belle lettere dura sei anni, altrettanti ne ha quello di lingua e letterratura latina , che procede per così dire parallello al primo, ma senza confondersi l'uno con l'altro; bensì nella lettura de’ classici trovano gli stu- diosi splendidi esempii di quel bello , che in altra classe hanno ap- preso teoricamente a conoscere. Colui che vuole attingere a più recondite fonti e sublimi, può anche attendere allo stadio della lingua greca. — E chi all’ op- posto vuol farsi dotto della moderna letteratura europea, può ;a suo talento applicarsi alla lingua italiana, inglese, tedesca, e spa- gnola, che di ciascuna vi sono ottimi maestri. — Anche la sto- ria viene insegnata a Soreze con un bel metodo. — A quella sacra seguitano l’antica e la mitologia, quindi la moderna divisa in tre epoche, l’ultima delle quali ai miei tempi estendevasi fino all’ in- nalzamento di Napoleone all’impero , e sempre all’ istoria si vuol compagna la geografia, che inverotè da lei inseparabile, e si termina il Corso con l'insegnamento di una scienza che n'è quasi corolla- rio, ed esser dovrebbe poi guida a molte altre , la statistica. — A coloro che vogliono coltivare le scienze fisiche non mancano mezzi ed istruzioni. Vi s’insegnano la fisica, la chimica, la storia natu- rale e la botanica, non senza il soccorso di ‘un sufficiente orto e di un mediocre gabinetto. Ognun vede come fra tante utili nozioni e discipline possa farsi un’ opportuna scelta per coloro che vogliono dedicarsi al foro , all’ arte salutare, allo stato ecclesiastico , alla diplomazia , ed agli impieghi amministrativi o civili. Nè finalmente resta cosa alcuna da desiderarsi pel lato di quella educazione che può dirsi d’ornamento; che anzi taluno potrebbe chia - marla soverchia, se dalle cose da me accennate non fosse manifesto in vece che essa altro non è che un mero complemento dell’ altra più solida e profonda. — A quanti fanciulli arrivano a Soreze (e si am- mettono fino dall’ età di sette anni ) viene assegnata un’ora, ed anche due pel disegno Non è già che tutti debbano seguitarlo egualmente; anzi coloro che mostrano scarse disposizioni, per lo più domandano e ottengono di abbandonarlo : ma gli altri lo colti- vano , ed alcuni vi fanno rapidi progressi fino a copiare dal gesso , ed anche dipingere col pastello ed all’ olio. Vi sono poi tutte le ap- ste sedute, ed ognuno può, e deve fare quelle osservazioni critiche che erede opportune, onde ne seguono amichevoli ed instruttive discussioni. Havvi alcuna Accademia composta di uomini letterati che per avventura non farebbe tanto male, adottando questo regolamento di una accademia di ragazzi. 80 plicazioni del disegno alle altre belle ed utili arti : la geometria descrittiva , l’architettara , la prospettiva , la. topografia ec, — Oltre la lettura della musica, ed il canto ,,vi s’ insegnano tutti gli strumenti da corda # da fiato, e gli allievi che meglio riescono vengono ascritti ad un piccolo conservatorio, e danno frequenti ac- cademie. Ognun può credere che la danza non è trascurata da educatori francesi. Ma v' era pare un altro, non so s’ io dica sta- dio importante o piacevole esercizio, a cui potevano gli scolari de- dicare a Sorèze alcune ore della settimana: ed era questo l’arte di ben porgere, di leggere ad alta voce, e declamare: ed anche recitavansi alcuni componimenti drammatici sopra un piccolo teatro fatto edifi- care in tempi migliori dai buoni padri Benedettini, che ne prendevano innocente diletto ; ma si sono suscitati grandi reclami, ora che in Francia gli animi sonosi fatti per quanto sembra più timorosi e se- veri. Questa rigidità ci sorprende , noi che vediamo simili diverti- menti praticarsi senza aleuno scandolo anche nelle case d’ educa- zione presiedute dai religiosi. — Ed ecco brevemente indicato tut- tociò che s’ insegna, e come s’ insegna in Sorèze (4). Dal carattere dei rettori, già da me delineato con verità, si può argomentare qual fosse il loro sistema di educazione morale. Mo- derati ed infrequenti castighi, paterne riprensioni , conforti al ben fare , e ricompensa ad ogni lodevole operato. — Il grandissimo nu- mero degli alunni vietava ai fratelli Ferlus di trattare familiar- mente ed in particolare con alcuno di essi , lo che d° altronde esclu- deva perfino il sospetto della predilezione; ma erano però sempre accessibili alle giuste domande , ed agli onesti reclami di ognuno. Raimondo che possiede una soave facondia arringava non di rado gli studenti riuniti, e quando ancora veniva a portare parole di rimprovero, piaceva la sua venuta. Egli coglieva le varie oppor- tunità, onde inculcare l’ esatto adeta pimente de'doveri morali e religiosi ,ed insinuava la pace e la concordia. I suoi discorsi erano seme di sentimenti gentili, e fruttavano amicizie vere e durevoli , ed un attaccamento sincero ai compagni e al dolce luogo, che pocl i lasciavano senza pianto , e che molti tornavano spesso a rivedere desiosi. — Pensavano i Ferlus che l' emulazione fosse un gran mez- 20, e l’adopravano con molto effetto. — Essa colà non eccitava, co- (4) Affinchè nessun creda che si esiga un prezzo a parte per quelle fra le tante accennate lezioni, che posson ben dirsi di puro lusso, mi affretto a sog- giungere che qualunque sia l’iustruzione che si riceve in Sorèze, la retta è di soli franchi mille. In questa somma restano pure compresi la ‘Biumebiaria > il vestiario, la cura in caso di malattia , 1 medicinali , il dentista , ed ogni altra cosa necessaria ed occorrente. 81 me forse altrove la vanità e l'ambizione, e quel che è peggio l’astio e l’invidia ne’ giovani cori. — Ognuno conosceva il giusto valore delle lodi e de’ premii, ed anche i piccoli meriti aveano i loro pro- porzionati. La più esatta imparzialità presiedeva alla loro distri- buzione, e que’ che soccombevano erano i primi a riconoscere il merito de’ premiati. E questo io vidi sovente e provai. Al chiudersi dell’anno, e dopo quattro giorni intieri di lette- rari e scientifici sperimenti , e di variati esercizi ginnastici, si con- ferivano le medaglie (5) e le corone. Allora soleva Raimondo, se- dendo in luogo elevato, intuonare ai vincitori festosi versi di ap- plauso, quasi Pindaro in Olimpia. — Altre volte egli toccava la lira di Pope o di Boileau, e trattava argomenti di morale e di criti- ca. L’anno 1815 comparve decorato della croce d’ onore confe- ritagli dal re Luigi XVIII. Mai non era stato sì prospero il colle- gio nè sì brillante. Tutte le primarie autorità di quelle provin- cie erano accorse per assistere a sì bella pompa, e si congratu- lavato con Ferlus , in vedere tanta gioia circordare la sua vec- chiezza, E la felicità della sua vecchiezza fu appunto in quel giorno il subietto de’ suoi versi, in cui dipinse con vivi colori i molti anni trascorsi, sempre educando utili cittadini alla patria. Ecco alcuni passi più belli e commoventi di quel poetico discorso: Le'temps, chargé de fleurs et de palmes nouvelles, A ramené, vingt fois , ces fétes solennelles, Depuis que, de la foule evitant les regards, J'enseigne dans ces lieux les vertus et les arts. Au seul poste, où mon choix fixa mes destinées, Jai doucement atteint mes dernières années , Sans aspirer plus haut , sans regairder plus loin, De- mille changemens immuable témoin. J’aurois pu, comme un autre, affranchi de l’école, Devenir des partis l’instrument, ou l’idole, Echapper, par l’intrigue , à mon obscurité ; J'ai préféré l’honneur è la célébrité. Modeste précepteur, j'aime mieux, sous ce titre, Former des citoyens , que d’en étre l’arbitre. Quand le ciel, ramenant l’aurore de mes jours, Permettroit qu’ mon gré jen reglàsse le cours, Par le mème sentier que suivit ma jeunesse, Je voudrois arriver à la méme vieillesse, Il m’est doux de me voir entrainé , par le temps, Parmi les jeux du Pinde et les fleurs du printemps, (5) Queste sono tutte espressamente coniate in argento, ma quelle delle classi primbrie sono indorate, T. XX. Dicembre. 6 32 Comme un tronc, déjà vieux, déguise son grand àge, Sous les bouquets naissans et le tendre feuillage, Ainsi mes nourrissons couronnent mon déclin. Si le cultivateur, au retour du matin, Jouit des plasts féconds , des moissons qu'il fait naftre, Si l’oeuvre de sa main rit aux yeux de son maître; De quel charme, à mon tour, ne suis-je pas épris, Quand je vois, par mes soins , éclove les esprits, Fructifier les moeurs et germer la pensée ? L'àge affoiblit en vaio ma parole oppressée, De la sagesse encore elle dicte la loi, Et formé des vertus qui vivrout après moi. De ces fruits, trop souveut, l’espérance flétrie, Coùte, il est vrai, des pleurs à mon àme attendrie ; Vai vu trahir mes soins et mes voeux le plus chers, Mais aussi quels succès J'oppose è ces revers! Un noble sentiment, une pensée heureuse, Dont j'ai su pénétrer une ame généreuse, Circule, mène au bien tout un peuple abusé, Tel, ea un riche fond, un germe déposé, Invisible long-temps , enfin S'ouvre un passage , Croît, étale déjà ses fleurs et son ombrage, Et, comblant le vallon de sa fécondité , Il fait bénir au loin les mains qui l’ont plante. En dépit de l'orgueil qui me plaiut, et s'admire , Il est beau, croyez-moi, de pouvoir se redire , Ea voyant triompher quelque principe saln, Ceux, qui l’ont propagé ; l’ont puisé dans mon sein. 3 È 2 . A - . 4 . 4 ‘ Si je porte mes yeux sur la scène du monde, Quel tableau vient charmer ma viellesse féconde,! De son sein maternel, comme autrefois Memphis Voyoit mille cités se peupler de ses fils, Sorèze voit partout ses glorieux élèves De mon superbe espoir justifier les réves , Dans les camps, à la cour, au temple de la loi, Leur noble caractère illustre leur emploi ; Les uns savent tenir, d'une. main ferme et sure, Le glaive de Thémis , l’aviron de Mercure ; Par le charme des arts d'autres sont entraînés , De splendeur, ou du moins d’estime environnés? x Ù " È è . . . . 3 Tels ils prospèrent tous. Vavois, dès leur enfance, Pressenti le talent qui brille sur la France , Yadmirois sur leur front leurs vertus en espoir , Les goùts qu'ils n’avoient pas, mais qu'ils devoient avoir, Ils me redisent tous rues notes prophétiques; Chacun, en me pressant de ses bras énergiques., Rapporte son bonheur à ma tendre amitié ; De vingt ans de travaux cet aveu m'a payé, Ca 83 Fin quì ognuno applaudiva , e gli astanti simpatizzavano col venerando vecchio , ed i figli rispondevano agli slanci amorosi del padre , quando con mesta sorpresa si udì chiudere il festoso poema con versi, che annunziavano l'amaro presentimento di non lon- tane disgrazie, e ad un tempo il conforto di una schietta e di- gnitosa coscienza. I versi erano i seguenti: Qui fit beaucoup de bien n’ est jamais malheureux. Je brave la fortune et l’àge rigoureux. Peut-étre, contre moi, l’ opinion légère Va faire triompher une voix: mensongère ; Ce temple des beaux-arts, par mes mains élevé, Ceédaut, peut-étre ;/aux coups dont je l’ai préservé, Ne sera bientòt plus qu’un amas de décombres, Où je resterai seul, sous des nuages sombres; Mais j'ai l’espoir qu’alors mes élèves chéris, Voyant mes pas tremblans au milieu des débris, Daus ce triste abandon sauront me reconnaître, Ils me tendront les bras, cui, tous! et leur \vieux maître, Par la douce tendresse auprès d’eux ranimé , Vivra long temps encor du bonheur d’ètre aimé. Or come il presentimento quasi si avverasse, di quali perse- cuzioni fosse bersaglio quel virtuoso , e come tutti gli uomini pensanti e generosi di Francia assumessero le sue difese, e come venisse finalmente superata quell’aspra guerra , i giornali politici lo narrarono a suo tempo, nè giova il richiamare queste memorie miste pur troppo di molta amarezza. Dirò piuttosto come tutti gli antichi ed i recenti alunni della scuola di Sorèze si commoves- sero al pericolo di colui, che avevano sempre amato e rispet- tato quasi secondo padre, e come alcuni si affrettassero di difen- dere pubblicamente la di lui fama ingiustamente oltraggiata. Fra questi fu l’ autore delle Soreziennes, il quale essendo stato edu- cato molti anni addietro in Sorèze, ed avendo confidato a vicen- da l’ educazione de’tre suoi figli a quello stesso asilo della sua ado- lescenza, volle dare altra più solenne riprova del suo affetto verso Raimondo Ferlus. Egli pubblicò varie poesie sotto il titolo suddetto, e vi unì quel discorso dello stesso Ferlus, che ho quì referito in gran parte; confronto che non poteva essere a di lui vantag- gio, ma che, lungi dallo sfuggirlo , modestamente cercò ; onde negli umili non spregevoli versi, più deve cercarsi il sentimente che non il valore del poeta. Anche il sig. Don de Cepian , che fu già mio condiscepolo , ha pagato il suo tributo di riconoscenza all'antico maestro in un opuscolo intitolato : Elogio di P. P. de Bonrepos autore del canal 34 di Linguadoca. La rivista Enciclopedica $} dopo averne dato fa- vorevolissimo conto nel fascicolo del marzo 1825, ha soggiunte queste parole : « È nella celebre scuola di Sorèze collocata allato ;» del serbatoio d’ acque di S. Ferreol , immensa ed inesausta con- » serva del canale di Riquet , che il sig. Don De Cepian ha ri- » cevuto il benefizio dell’ istruzione, ed il gusto più raro di col- ., tivarla , ed estenderla in mezzo al vortice degli affari e degli »; svaghi del mondo. Un simile alunno ( e non è già il solo che po- ,, tremmo citare ) fa l’elogio e l’apologia di uno stabilimento di 3» pubblica istruzione destinato ad essere a lungo il più del fregio »» delle provincie meridionali , or che ha trionfato omai delle in- 3) giuste persecuzioni, che aveagli suscitate contro lo spirito di »» parte,,. Emmi dolce il referire questo encomio spontaneo di giudici illuminati ed imparziali cotanto, mentre godo io stesso di conte- stare pubblicamente all’ egregio Ferlus (cui non ha guari con trasporto ho rivisto nel suo breve pellegrinaggio per questa clas- sica terra ) che oltre le Alpi ancora vive la gratitudine nell’ ani- mo degli antichi allievi di Sorèze: “ Quis est enim nostrum libe- » raliter educatus , cui non educatores, cui non magistri atque 3» doctores, cui non locus ille mutus, ubi ipse altus, aut doctus ,; est eum grata recordatione in mente versetur? ,,, ( Cic. pro. Cn. Planco c. 23.). A. G. C. Intorno al libro delle dicerie. Antonio BencI d/ cav. Lurci Bionpr. Firenze a dì 15 di dicembre 1825. Quando mi diedi onore serivendovi nel passato mese di giugno (1) per rispetto alle dicerie , tratte per opera vostra da un manoscritto del Ceffi , non volli mentovare un codice del- la Marciana (2) di Venezia : perchè dubitava se quelle mede- sime o altre dicerie non fossero ivi trascritte, ll Morelli (3) (c) Vedi Antologia N. 54. (2) N.° 31. Naniano , classe II. cod. L XXI. CII. 2. Codice cartaceo in 4.° del sec. XIV. (3) Codices manuscripti bibliothecae Nanianae a Jacobo Morellio relati. Ve- ncetiis, typis Antonii Zattae 1776. p. 50. 35 m’indicava soltanto: 3» essere in quel codice l’ Etica d’ Ari- stotele ; ed alla fine del volume collo stesso carattere del- l’Etica essere stati aggiunti alcuni esemplari d’orazioni da recitarsi per affari pubblici da capitani, ambasciatori, ed altre simili persone, ed esser pur essi d’ ottima dettatura n Ora io conosco il codice. Esso è mutilo in principio, in mez- zo , ed in fine : sicchè non dà indizio nè dell’ autore, nè del copiatore , e nemmeno del titolo del libro. Ma le dicerie, in esso copiate , sono quelle stesse come ne’ manoscritti di Fi- renze , con simile scrittura senese e con simili frasi, locuzio- ni, e pensieri; diversificandosi perciò alquanto dal codice della Vaticana. Ed è il Naniano antico , siccome dichiara il Morelli , quanto il codice vostro. Onde abbiamo intanto quattro codici e pari antichità da contrapporre al manoscrit- to della Vaticana. Concedete che vi ripeta i dubbi proposti nella prima lettera. Io vi domadava: sono dunque questi di- scorsi veramente relativi a fatti storici particolari e determi- nati? non possono forse ì medesimi discorsi, quasi tutti, ri- ferirsi ad altri fatti » ad altri luoghi , ad altri personaggi che ‘non a quelli mentovati nel codice vostro ? se queste dicerie son fatte per esercitar la gioventù a ben dire, non è conse- guenza più naturale , che elle fossero dettate in modo che il giovane potesse ripeterle in qualunque simile occorrenza ? se sono veramente storiche (cioè tratte dalla storia in quel breve spazio di tempo che voi le assegnaste, dal 1325 al 1328) il Cef- fi non può averle se non compilate (e avrei dovuto dire rico- piate o tradotte o compendiate, dappoichè sono brevissime : non potendo presupporre che il Ceffi avesse voluto mentire, attribuendosi que’ discorsi che secondo il codice della Vati- cana sarebbero stati recitati da’ di lui coetanei in occasione e fatto particolare) . Io proposi questi dubbi a voi, uomo va- lentissimo , non per desìo di contradirvi , ma per averne più presto la soluzione, cooperata per la vostra sagacità e senno. Nè più mi sarei intromesso in tale discorso (non piacendomi cavillar delle opinioni da vano interlocutore) se non avessi da aggiungere qualche dichiarazione positiva alle mie prime proposte. Io ne riparlo al presente, perchè posso ormai dimostrare e certificare le mie congetture. Nel codice na- VOSPIOTONIUEt It. * VINI 86 niano tutte le dicerie sono dettate con parole generali ; ; più generali eziandio che non ne’ codici fiorentini. Se si ha da produrre l’ oratore d’un comune , vi si legge d’una provincia. Se il discorso si fa ad un principe, vi si legge papa, impera- tore , 0 re: per esempio : ,, semo venuti alli piedi della vostra santità, si est pp., si est imperator, a li piedi de la vostra maiestà :,, ein un’altra diceria :,, dinanzi a li piedi della vostra santità, si est pp. ; si est imperator vel rex, dinanzi a li piedi de la vostra maestà. ,, Non del solo potestà, ma de’ giudici ancora si legge nel seguente titolo : ,, quando alcuno abbia a diciare per cascione di alcuno maleficio dinanzi a po- destà o a iudici dei mali d’ alcuna terra ,,. i Non vi sembra, mio stimabile amico , che queste gene- ralità impediscano la vostra supposizione, per cui sarebbero questi discorsi relativi a fatti storici e determinati? A me sembra che siada concedere più originalità allo scrittore delle dicerie , le quali hanno certo una qualità istorica, ma quella sola che io intendeva dicendovi : tolti anche i segni partico- lari di nomi e di fatti, sempre rimangono storici questi di- scorsi, perchè a noi posteri ritraggono gli umori di quella ge nerazione , cioè come essi pensassero , scrivessero, e consi- gliassero alle opere. Del resto, quando avrete esaminato la mia seguente annotazione , spero che vi converrete al tutto con me, togliendo pure al Ceffi (4) ogni titolo a queste dice- (4) Il sig. Luigi Gori, che intende sempre a raccogliere le memorie storiche patrie, copiando de verbo ad verbum quelle scritture che più sono esposte ad es- sere smarrite, e cercando le più recondite, mha favorito le tre seguenti no- tizie, relative tutte e tre a’ notari , di che ho parlato nella lettera precedente. 1. In un’ imposta del comune di Firenze di fiorini cinquantamila fatta a? cit- tadini nell’anno 1325, e che esisteva già nell’ archivio delle decime granduca- li, ed oggi è perduta, si leggeva in fra gli altri: 1325, 15 marzo, da ser Al- berto di ser Ruggieri della Piagentina, popolo S. Romeo (cioè S. Remigio) f, 8. . Spoglio d’ un libro di contratti rogati da ser Benedetto di maestro Marti- no dal 1304 al 1329, esistente nell’ archivio della mensa arcivescovile fiorentina. 1322. Ind. VI. Stefano del fu Neri del popolo di S. Felice in piazza prende affitto per un auno beni del vescovato fiorentino: promettono per esso Matteo di Ceffo del popolo di S. Pier maggiore , e Francesco di Gherardo del popolo di s. Lucia d’Ognissanti. 3. Protocolli di ser Lapo di Gianni. Ser Opizo da Pontremoli O. 2. protocollo primo dal 1303 al 1311: nel 1305 ser Guglielmus Gherardi de la Piagentina novarus. è 37 rie , sé non forse quello solo di compendiatore di esse. Il prof. Pietro Bettìo , ora bibliotecario della Marciana in Venezia, uomo valente, e caro per le dolci sue maniere, ospitale, pa- ziente, e utilissimo a chi vuole apprendere , mi fece obbliga- to a lui nello scorso autunno, aprendomi i tesori della libre- ria, cui presiede, tostochè fui a lui condotto dal nostro ce- lebre amico( il quale vi riverisce, siccome vi ama e stima ) Andrea Mustoxidi. Onde senza perder tempo e provveduto di buoni consigli potei far nuove ed importanti ricerche nella Marciana, parte delle quali si riferiscono all’opera vostra- Oltre il suddetto codice ne trovai un altro , più antico di quelli conosciuti, e opportuno a togliere ogni dubbiezza. In esso sì legge un trattato compiuto del fiore di parlare, ovve- To somma d’ aringare ; diviso in due parti , secondo la teorica, cioè l’ insegnamento delle regole necessarie al dicitore , e se- condo la pratica , cioè molti esemplari di dicerie. Queste son molto più ample , e di maggior numero che non quelle de- gli altri codici; ma è manifesto che ne sono il primo esem- plare , tuttochè non autografo , ed anzi bruttato dal copista. Ed hanno le dicerie tutta quella generalità che allo scopo dell’ autore si conviene , e sono chiaramente attribuite a ser Gianni fiorentino notaio, nome conosciuto ne’ nostri archi- vi (5), ed appellato nel codice Giovanni davignano, cioè da Vi- gnano, o forse come credo da Ugnano , villaggio prossimo a Firenze. Nè rimane in dubbio se sola la prima parte del trat- tato sia di ser Gianni, perchè appunto dove comincia la pra- tica dell’ aringare , cioè al principio delle dicerie , è ripetuto che fu fatta nuovamente per lo detto Giovanni fiorentino. Ho tratto dal codice quanto basta a darvene raggua- glio, Non velo propongo per la stampa, perchè ha troppi er- rori nella dettatura , quantunque sia con bel carattere co- piato. Esso non giova che a dinotare per chi, da chi, e co- (5) Ésaminando i fogli de’ nostri archivii ho vedato io stesso il nome di questo notaio: e nella nota precedente favoritami dal sig. Gori sono chiaramente in- dicati i protocolli di ser Lapo di Gianni colla data del 1303. Ser Gianni debbe dunque essere più antico : tantochè si potrebbero assegnare queste dicerie al se- colo XIII, rendendo al tutto impossibile le loro derivazione da’fatti storici ac- caduti dal 1325 al 1328, 88 me fossero le dicer:e dettate. I compendii , da voi pubblicati, restano sempre preziosi , avendo il pregio della dicitura e del- la concisione de’ pensieri. Essi soli possono servire all’ am- maestramento de’ giovani , finchè non si trovi la scrittura originaria o una buona copia del trattato di ser Giovanni fio- rentino. Così non scema l'obbligazione nostra a voi , poichè ci deste un sì bel modello, Degnatevi adesso di leggere la se- guente annotazione. Nel codice della Marciana in Venezia, membranaceo , in folio, di scrittura bella e vicina al 1300, numerato Classe VIII. cod. XVII, CHI. 4, si legge dapprima / fiore della rettorica di Marco Tullio. Quindi è scritto dalla medesima antica penna, e nel me- desimo modo (cioè con parole tralignate dalla primitiva scrittura e inoltre stroppiate ) 2/ fiore di parlare , ovvero somma d’aringare, E così ho letto nel codice , come trascrivo nel principio , nel fine, e in qualche luogo intermedio, « Questo libro è nominato flore de parlare, goè somma d’ a- rengare, facta brevemente e novamente conposta per Goanne Flo- rentino davignano notaro ad ulità che desidrano (ad utilità dî quelli che desiderano ) sapere arengare. $i « Qui se comenga la somma del arengare , il quale comen- gamento se mostra alcuna cosa del facto. In nome de Deo. amen. « Per quelo che lo parlare è prencepo, dux, e advocato de li conse’, le quali en | consigli , li quali enno, o sono) clarega e lume de li savii homigni e tenebre de li stolti, di (4ee) gascaduno deletare e intendere cun tuto so coro a savere ben parlare : onde Seneca, lo quale fo (/u) grande filosofo (disse ): plu vale lo sa- vio parlare che la forga de molti combatedore , e pla l’ orna- mento de le parole che lo fortisimo de quili. E per quelo che l’arengare è quela maynera de parlare che più se presia e vale, intendemo alquante cose sopra quela parte tratare in questo li- bro ; per le qua’ mostreremo apertamente arengare , e le soe parte e ordene, a quili chi desidrano ben parlare , se loro ingigno e fatica poneranno a gò savere. E considerando che lo bene aren- gare è de maior tema e de più modi e a più branche, nui non intendemo de tractare de tute singularemente, ma de quelo so- lamente che basti a gò savere. E no faremo questa brevità per temenza d’afanno, ma pergò che quelo che nue diremo, serà ba- stevole e darà perfetto intendimento a go sapere , sicomo basta al savio insengnare la cità , mostrando a lu la porta. E sicome iii Pia 89 è sofficiente al pigro nigligentia , et al prompto in affecto mo- strare incomengamento , goè de le vixende ; cusì bastarà nostro dire a quili, li qua’ saran impronti, voluntarosi ,e nitenti de im- prendere arengare. « Qui se mostra quante parte de essere l'arengare. “ Chi vole intendere e disidra veramente de savere arengare, convene ch’elo inprimeramente intenda quelo chi (che) è da dire, e pensi per que modo e forma; pergòchè Sallamon dixe: a despresio et a schernie induxe si medexemo quilo, lo quale primo(prima)ch’el sa- pia, dixe. E quando e’lo ha inteso da quili, per chì dee arengare: e se per si medexemo intendese arengare, quando ello avrà formato in sie quel ch’el di (dee) dire: convene ch’el sapia en quante parti, e que acti, e que loquela dibiano esser quili de l’ arengare. Digi (digli, cioè de’ ) quai acti e loquela più inange apertamente, ma qui solamente de le parte, diremo, Nota dunque tu chi vo’ esser arrengatore, che sex sono le parte de l’arengare, avvegnachè po- sono essere meno alcuna fiata in certi caxi, sicomo nu mostraremo per ordene pla inange. In la prima parte , con alquanti colori d’exordio se di (si dee ) reportar salu. In la segonda denno essere commendati quili , ay qua’ se dixe l’ambaxata , ed a coloro da chu per te se dixe, e de quili chi sono compagni de l’ arenga- tore. In la terza di (dee ) essere la narratione de l’ ambaxata. In la quarta dino ( debbono ) essere li preghi e la domanda de que- lo, per che è imposta l’ambaxata ; digando parole, le qua’ per- tegnano ad indutione de quelo chi se (cle st) domanda. In la quinta parte se di (sé dee) exponere et alegare modo o via , per le qua’ se possa fare quelo chi se (che sé) domanda. In la sexta se die (si dee ) poner exempli de cose facte e oservate in sumien- te ( simile) caso overo in altro chi faga (che faccia ) per quelo chi se (che sé) domanda : ponando in questa sexta et ultima , deretro a lo exemplo , alcuno colore de concluxione, goè la fini de l’ arengare. “ Da che cose se de guardare l’ arengatore, agò ch’ el non sia represo en lo so arengare. “ Agòe che l’ arengatore non sia represo d’ arogantia reci- procha ,i goè de poco retoricale senno e costumi, dise ( dedbe- st) guardare in lo so dire ch’el non ponesse nè dicisse si (se stesso) essere da loldare per merito de’so’ custami o senno ; ange sempre se di (si dee) fare menore in so dire, agò che i altri per debita raxon vegendo gi so custumi humiltà e senno costantemente pos- sano loldare lue.... de lo dicitore loldare altrui e non si medesi- mo. Ét a generale amagistramento: de (dec) loldare e reportare 90 salue; de l’ arengatore honorare c conponere le lolde destinta= mente, segondo la conditione del’essere, e segondo la dignità e la posanga dele persone o cumunanza...,., e piacque a Tulio che fo padre de retoricha : che se lo menore mandase ambaxata al so maore (maggiore ), che per mostramento de subietione se posa ( possa ) senga reprensione de l’ arengatore tacere lo loldo del me- nore. Ma dise (debbdesi ) intendere che Tulio non parlò general- mente in questa parte.... « Qui se mostra che l’arengare non contene tal fiata tute le parte , ma tal fiata è de due, e quando d’una solamente se ta. ‘* Per quelo che avemo dito denango , 'coè che le parte de l’arengare sono sex segondo retorica generale ; azò che tu no ara- degasi in le spitialità deverse chi avegnono spese volte, nota che la vixenda de l’ ambaxata po esser de tal condiction, de tal te- ma, e de tal caxon, ch’ela no requere tute le dite parte, me tal volta puro una sola o due o tre o quatro o cinque o tute sey ; sicomo la materia del facto requere.., “ Qui se mostra que usanza, que acti , e que modo de avere in si quelio che vole essere urrengadore , for de l’ arengare. « Avvegnachè ’l para cosa grosa, non pergò demeno se de dire e scrivere quelo chi (che) reporta utilitae.... il buon dicitore di(dee) essere ben custumato, e de avere in sie acti boni e apro- bati, e de essere costante , fermo , e ben parlante, e de servar quelo modo e forma chi (che) se convene in lo so dire, azò che sia gradita la soa diceria, .. « Qui se mostra que acti l’ arengatore de avere in sie quan ello arrenga. « Per quelo che quanto al efecto non basta a savere recto- richa senza pratica, e’ conviene considerare sichè modo se de ti- gnire praticando l’ arte impresa, e nui avemo vizuto (veduto ) de sopra que vita de esser for de l’ arengare. Vezamo (vediamo ) dunque que modo , que loquela , que acti de avere in sie l’ aren- .gatore quando elo arenga... « Questo è lo modo e la pratica de l’arengatore , e la som- ma como lo novo arengatore premamente de dire en arepgo , overo en conseio , facta novamente per lo ditto Coanne Florentino. ‘ Per quelo che zascauna persona ae dotrina e amagistra- mento de l’ apostolo san Polo, lo quale dixe che tuto quelo chi (che ) se fa in dito o în facto, de l’omo fare in lo nome de Deo, lo quale dona e dà la sua gratia habundevelmente , ed eo voio primieramente clamare marzè a lue, chè elo per la sua santissi- ma pietà voia, piazali, e faza che sia, che questa mia primie- gI ra levata sia alo so loldo (a//a sua Zaude) santissimo e honore, e sia per lo meio de quelo per que esonto (forse eo mi son ) le- vato in questo conseio denanze da vue.... (e così seguita la di- ceria , finchè a mezzo è dinotato dall’ autore, Giovanni Fioren- tino, ciò che segue :) ed bora comenzi ( |’ aringatore ) a dire lo ditto so sopra quello che propone di dire, e in la fine diga (le quali parole sono scritte in carattere rosso per dinotare che non risguardano alla diceria, ma all’ aringatore, dandogli solo l’avviso di ciò che egli debbe fare. Nè v’ è indicato affatto quello che l’ aringatore debbe dire , essendo formule generali queste che dà Giovanni fiorentino : e solo vi si legge subito dipoi quetlo che si ha da dire in fine, cioè le scuse dell’aringatore se non avesse ri- sposto all aspensativa degli uditori, e la conclusione della sua di- ceria , la quale pure è significata i in generale.) 33 Como possono dir i ambasadore d’ alcuna terra derive da messer lo re ch’ el vegna a retrovare per hereditario lo regno so e tutta la patria. 3, Siccomo lo devoto fiolo po e de andare denanze dal so padre; aisì zascuno fedele e bon citadino e subiecto posono cun clara faza andare denanze a la presentia del so segnore ; per la quale cosa nu chi semo vostri fra tuti altri devotissimi de quela terra e de quela vostra contrata, considerando vostro exaltamento grandeza et ho- nore, semo venuti agi (2g) vostri pe cam reverentia de iure, sico- mo fo a nu inposto per la potestà e per gi savii homigni de quelo comune, li quae sono tuti vostri como plu posono essere. ... (e co- sì con simili pensieri , con simile fine, e talvolta colle medesime pa- role,siccome la corrispondente diceria, dal cav. Biondi attribuita al Ceffi: benchè questo primo esemplare di Giovanni fiorentino sia molto amplificato , se pure non sieno dell’ idiota copista molte am- plificazioni a fine di dichiarare quella lingua che egli forse, copian- do , non intendeva. La rispondente diceria , pubblic ata dal Biondi sì comincia: ,, sì come il devoto agilnolo sicuramente puote e dee ricorrere al suo padre; così noi che siamo vostri fedeli, lubera- mente siamo venuti alli vostri piedi, si come imposto ne fue per lo nostro comune. ,, ) (Dopo questa diceria si leggono le tre seguenti, che mancano del tutto nel manoscritto del Ceffi,e che pure sono tutte e tre ne- cessarie per rispondere alla precedente secondo le particolari in- tenzioni. ) ) 1. ,, Come po respondere lo re se ‘1 vuole fare le cose ademan- date in la dita ambaxata, ge 3) Per quelo che da vue presentemente avemo inteso ; audito e compreso , del vostro amabele e savio dire, conoscamo..., 2. ,, Resposta de lo re se no vole fare le cose adimandate en la dita ambaxata , se no le vole celare en la resposta ch’ el fa ai an- baxadore quando l’avesse certa raxon de non volere. »,) La vostra vegnuta, segnore ambaxadori, per quelo che vue representati le persone... 3. ,, Resposta de quello re quando vole celare quello ch’ ello en- tende de fare sopra la dita visenda, reservando in sie la veraxe re- sposta ad altro tempo fare. »» Per la exposition... | (Seguitano le dicerie come qui pongo per titoli , in alcune del- le quali son pure indicati i nomi di fiorentini, pisani, ec. ma in generalità , e solo per esempio ). I ,) Como gl'ambaxaduri debono dire quando per la loro terra, — o una cità , da una altra cità zurata con la loro voiono sopra nova | guerra domandare aiuto. 3) Molte cose sono quele chi dibono (che debbono ) inducere caschauna persona , chi a (che fa) sano intendimento , a dire soa ambaxata denanze dal so segnore speciale , e denanze da quigi chi sono sicomo lo medexemo per ligame de grande devocion e amore. E quanta.., 3) Como po dire la podestà presente a i anbaxaduri, azò che possano li conseieri e la podestà diliberare lo meiore de la visenda absente quelli. i, Per lo vostro avignimento e dicto.... »» Como alcun conseiero pò dire en conseio perchè non se faza lo serviso demandato en l’ ambaxata. 3 E’ (io) vorave bene , e serave a mi molto a piacere. . , 3) Como po dire alcuno d’ alcuno dal conseio , voiando che ’l se faza le cose dimandate en la dita ambaxata , e digando con lo dito de ’l altro conseiero, ca (che 4a) dicto. »» Eo so ben e cognosco chein mie non è tanto senno che eo sa- vesse nè voia retractare nè corezere quelo chi a (che fa) dito Mes. Mar.....(anche in mezzo di questa diceria è dato in carattere ros- so il seguente avviso all’ aringatore , senza soggiungere quello che ha da dire :),, ediga qui per ordine quelle fatighe e danni che ’l comune de Luca avesse sostenuto sicomo amico en serviso de l’’al- Y tro ,,. 3» Come possono dire i ambaxaduri d’alcuna terra se voieno aiuto dal papa o da l’ emperadore o da lo re per guerreiare. Y 93 » Sicomo nataral cosa è che ’1 nudrigamento de l’arboro de- scende e vene tuto dala radice, e del bon nudrigamento l’ arboro s’ acrexe e se mantene, e senza nudrigamento mantinire non se poe: cusì è natural cosa che per prosperità del capo le membre se con- veno confortare. Unde perzò che vu siti nostro capo , lo nostro re. ponso , e tuta nostra speranza , per nu medesime e da parte del co- mune de Fiorenza ch’ è vostro in fra li altri vostri devoti, semo agi (a’) vostri pe seguramente venu, esperando'che la vostra santità (se l'è papa: se l’è emperadore o re) sperando che la vostra maiestà mandarà la nostra domanda a quelo complimento de bene che tutti quili chi sono devoti ala santa madre eclesia e a la vostra paternità (se l’è papa: se l’è emperadore ose l’è re) che tuti quili che sono devoti de la corona, ne prenderanno gran conforto e baldanza, e che ’l nostro boni stato porà rimanere... ( Ze parole sel’è papa; se l'è emperadore o re che ho chiuse tra parentesi in questa diceria, sono nel codice scritte in rosso, e similmente ripetute ancor più volte , per dare il solito av- viso all’ aringatore. Questa diceria risponde alla seguente del ms. del Ceffi , scambiata però la generalità del primo esemplare ad un particolare fatto de’ fedeli fiorentini che si facevano oppressori, contro i perfidi pisani che erano gli oppressi, fatto ricorso al re Iìo- berto), siccome egli è natural cosa, che’l notrimento dell’albore viene dalla radice , e senza essa vivere e verzicare non puote; così è naturale cosa , che le membra , acciò che possano durare e mante- nersi , ricevano notricamento dal ca po. Onde gli cittadini di Firenze ricorrono a voi, messer lo re Ruberto, siccome a loro capo; e umil- mente priegano la vostra magestade , che porgiate il vostro trionfale soccorso al loro grande bisogno. E però che tra tutti li vostri amici e servitori elli si confessano li più devoti, più sicuramente ricorro- no alla vostra potente amistade. Onde messer G. ed io appresso lui siamo mandati ambasciadori alla vostra magestade, sperando che per la nostra ambasciata voi vi ricorderete della loro antica e intera fede: in tale inodo che per lo vostro savio consiglio e glorioso aiuto rice- veranno lieta vittoria con grande abbassamento dei vicini, li quali sono principalmente al presente li perfidi pisani, ...;; 17 Como po dire alcuno quando nasce briga tra li parenti. 3, Siccome la natura vuole che de la semenza nasca simile fru- ctu, cusì convene che molte volte per la semente de |’ umana gene. razione li homigai de questo mondo sustegnano dampno e briga, in- criximento e dolore , per zò che quela nostra sementa faiando ( fal- Lando) fo desubidieute a Deo. E questa raxon , per la quale nu sem- mo qui avante, è tale che la recrexe a Deo nostro segnore... (e seguita così , benchè molto amplificata , come la seguente del ms. 94 del Ceffi :),, Per la mala sementa del nemico dell’ umana genera- zione l’ uomo spesse volte in questo mondo sostiene dolore e grave danno. Onde il comune e ’l1 popolo di Siena....,, 3) Como se po dire su quela medesima vixenda per uno altro arengadore , e.che ’l se vegna a far l’ accordo. ») Molto me sarave Karo... (A questa diceria ne conseguitano altre sessanta nove, di al- cune delle quali sono brevi e particolari compendii tutte quelle del ms. del Ceffi ; e ve ne sono d'ogni specie , anche come dee dire chi riceve ordini di cavalleria. Due si riferiscono allo scolaro ver- so î suoi parenti. In tutte è generalità , non tralasciati mai gli aw- vertimenti in carettere rosso, quando sono necessarii, In fine del codice non è neuna indicazione.) RIVISTA LETTERARIA. Saggio sulla vita e sulle opere d'ANTONIO CANOVA, scritto da Gio. Rosini. Pisa , Capurro 1825 in 8.° fig. Chi può saziarsi di veder ripetuta un' imagine sommamente-di- letta ? E quale imagine per noi più diletta che quella dell’ anima e dell'ingegno di Canova ? Sarebbe veramente assai doloroso che da nessuno de’ nostri scrittori si fosse fin qui pensato a delinearla ; che ancor si gareggi fra essi a renderla più perfetta, mi sembra assai consolante , nè credo che alcuno vorrà dir loro : basta. Il nostro se- colo è accusato di fredda indifferenza per tutto ciò che non è calco- lo o interesse materiale della vita. Vorrei poter conoscere più fatti onorevoli che non conosco , onde persuadere a me stesso che l’ac- cusa è ingiusta Ma tra questi fatti dubiterò io d’ annoverare tanta sollecitudine degli italiani per la memoria d’un uomo come Canova? Gli scrittori che si studiano , e i lettori che bramano di penetrare ognor più addentro il segreto de’suoi alti pensieri e delle sue vir- tuose inclinazioni , certo non sono indifferenti a ciò che più nobilita la nostra natura. Pare che il sig. Rosini, componendo il suo saggro , abbia sem- pre avuta innanzi alla mente questa sua osservazione , che ‘ l’ee- cellenza dell’arte assai raramente s’ incontra senza l'eccellenza del cuore ;,; anzi che abbia volato mostrare la verità di quel detto di Qaintiliano ch’ei cita, essere cioè impossibile ad uno spirito “ l’occuparsi ad un tempo di quanto v’ha di migliore e di quanto wha 95 di più tristo nella natura. ,, Quindi egli unisce di continuo ciò che distingue nel Canova l’ artefice sommo e ciò che distingue l’ ottimo uomo, onde mai non si perda di vista l’ intima corrispondenza del valore e della bontà di chi per |’ uno e per l’altra fù egualmente «celebrato. Volendo accennare alcune delle cose più nuove che tro- vansi nel suo saggio , non debbo dimenticare la sua filosofica inten- zione , che mi sembra anch’ essa una felice novità. Poco egli si trattiene intorno ai primi anni del Canova , già de- scritti da altri assai circostanziatamente , ma di picciola importanza per lo scopo del suo saggio. Verso quell'epoca peraltro, in cui il giovane “ che ben si ricordava ciò che solea dir Michelangelo, che degli artefici sommi l’arte sola debb'essere la sposa, fu vicino a per- dere la libertà ,, pare ch’ei cominci a guardarlo con ispecial solleci- tudine. Mai prospettiva di nozze, com'egli narra, non parve più lusinghiera che quella delle nozze preparategli in Roma da chi eb- be, forse più d’ogni altro, a coore la sua fama e la sua fortuna ; e sì belle nozze non furono celebrate, Altra volta , scrivendo io del Canova in questo giornale, mi mostrai meravigliato dell’ accidente, non sapendo a qual cagione attribuirlo. Un uomo coltissimo, volen- do poco dopo togliermi alla mia perplessità , mi narrò l’ aneddoto d’un grazioso travestimento, per mezzo del quale il giovane artefice venne in chiaro de’ sentimenti che nudriva per lui la persona già vi- cina ad essergli sposa, ond’egli poi trovò oneste ragioni di rinunciarvi. Questo racconto concorda con ciò che scrive il Rosini ad enconio della bontà dell’artefice medesimo. “ Offertagli dall’amico , adorna di non volgare avvenenza , di spirito colto e di gran vivacità , la fi- glia del Volpato parve destinata e divider seco la vita. Ed a chi su- perficialmente riguardava parve da primo che anch’ essa lieta ne fos- se. Ma non fu pago perciò delle sole apparenze il Canova: la sua ani:na delicata, pura ed altissima non contentavasi di ricevere una vaga donzella per compagna , ma desiderava in essa l’ amore. ,, Do- po ciò il resto si sottintende. ‘ Volle il Canova apprendere il vero, prosegue lo scrittore , e l’ apprese. Non se ne turbò, non se ne dolse; ma fece in modo che non si stringesse il nodo proposto ,,. Chi fosse per attribuire ad indifferenza ciò che l’autore attri- buisce a molta virtù, formerà forse altro concetto, leggendo ciò ch’ei narra d’una potente seduzione a cui il Canova fu per soggiacere in età più matura. “ Un mite ingegno , gran soavità di maviere, due begli occhi celesti, un'anima candida, e un dolcissimo favel- lare furono le armi, onde venne assalito il tenero cuore del Ca- nova. E chi fu più capace di provarne l’ irresistibile forza, sé dell’età di cinque anni ricordava egli stesso d’aver sentite le sima- 96 patie dell’ amore? Scrive il Cicognara che nol ritenne se non una terna gagliarda d’una perturbazione che potesse distorlo dall’amo- re dell' arte : altri pensa che il Canova ne facesse a più alte ed oneste considerazioni il sacrifizio ,,, E quest’ opinione è realmente la più conforine alla verità. L’ amata fanciulla, che l’ artefice co- nobbe in Pisa, era già , come nota l’autore , promessa sposa ad un generale spagnolo : indi la necessità del sagrificio per un uomo del- l’indole sua. Se tale sagrificio dovesse costargli, argomentiamolo da quella lettera al suo Cicognara in Firenze, pubblicata dal Silve- stri nell’ottavo delle Pittoriche , e di cui fu recata una parte nell’ul- tima rivista. Era opportuno il qui ricordare questa rivista , poichè le parole del Rosini servono a rettificare ciò che in essa fu detto sulla fede di una nota apposta alla lettera medesima , che il Canova cioè tu per legare indissolubilmente la sua vita alla bella Minette (la baronessa d'Avvendaris ) di cui dopo molti anni parla ancora con sì tenera ammirazione. La delicatezza ne’sentimenti , che sogliono essere più impetuosi o più tirannici, è certamente una prova di gran ‘purezza d’animo ; e non so che vi sia gran purezza scompagnata da grande bontà. Il Rosini non ha omesso alcuno de’ tanti fatti, che provano di- rettamente questa preziosa qualità del Canova e che già sono da tutti conosciuti. Talvolta egli dà loro impensato risalto per mezzo de’ contrasti , che si offrono sgraziatamente sotto la sua penna, come sotto quella d'ogni iserittore che lodi qualsiasi uomo veramente buono. Una lunga narrazione in proposito del monumento d'’Alfieri, estratta da un manoscritto comunicatogli e intitolato : commentarj per servire alla vita di celebri artisti viventi, mostra fino a qual segno fosse buono il Canova. Basti dire ch’ egli esitava a sostenere il proprio decoro, di cui non avea nulla di più caro, per tema di offendere quello ci chi si faceva indegno giuoco di lui. È facile cre- dere che con simile disposizione d’ animo egli non solo era lontano da ogni bassezza verso gli artisti di qualunque classe , ma inclinato a trattarli colla massima generosità, i documenti positivi di questa sua inclinazione non ci mancano, e l’ aatore del saggio ne ha tenuto conto. Imaginiamoci cone a fronte di tali documenti ei putesse non risentirsi delle accuse di poca giustizia date al Canova in qualche biografia scritta fuori d’Italia. Si può soffrire pazientemente ciò che gli stranieri si lasciano talvolta sfuggire dalla penna contro l’ec- cellenza dell’ arte di quell’ uomo unico; ma quando movono dubbio intorno all’ eccellenza del suo cuore ci cagionano troppa pena, per- chè si rimanga in silenzio.’ Del resto questa sua eccellenza di cuore ha pur avuto degli ot- 97 timi giudici anche in mezzo a de’ giudici poco benevoli ; e il Rosini ne reca fra l’ altre una testimonianza di gran momento. In pro- posito del primo viaggio di Canova a Parigi egli ci avea. detto quanto la Giuseppina , anch’ ella sì buona, simpatizzasse con lui. « Tenera, dolce, affettuosa, protettrice dell’arti e più degli in- felici, prossima a salire sopra un trono, ch’ella non avea am- bito giammai, si mostrava semplice e schietta; come cortese , gentile e pietosa vi si mantenne dipoi. Trovò in essa il Canova un'anima che somigliava alla sua ; essa nel Canova un amico ,,. Quest'ultima asserzione è giustificata da un aneddoto relativo al secondo viaggio del Canova medesimo alla capitale della Francia , aneddotto che l’autore dice nelle note di avere udito dalla sua bocca. ‘ Nel visitare la Giuseppina nella solitudine di Saint-Cloud, ella non potè ritener le lacrime in vederlo ,,, Altri invidino al Canova il sorriso de’ potenti: io gl’ invidio queste lacrime della povera Giuseppina. Versandole ella gli ha detto meglio che non po- teva colle più eloquenti parole quanto credesse alla sua bontà. L’autore del saggio , svolgendo per così dire i più delicati sentimenti dell’anima del Canova, dovuti a questa qualità carat- teristica , viene indicando la parte ch’ essi ebbero nelle sue opere più squisite. È dolce l’ intendere da quale ispirazione per esem- pio nacque l’Ebe od il Socrate, la Venere vincitrice od il Wa- sington. Queste figure, già piene di vita, diventano allora vie più parlanti per noi, e quasi figlie immortali dell’uomo che non è più ci sembra di poterle interrogare sui secreti del padre. L’ar- tificio , con cui le principali almeno fra le opere canoviane seno composte , è anch’ esso oggetto di belle considerazioni per l’ au- tore del saggio, e duolmi che lo spazio assai breve , concedutomi per ciascun libro di cui debbo render conto in questi fogli, mi vieti di trattenermi sopra di esse. Parecchie meriterebbero d’ es- sere trascritte, ed io forse presceglierei quelle che riguardano le ripetizioni dell’ Ebe, e la trasformazione del monumento già ideato per Tiziano, dalle quali può conchiudersi che i primi ,concetti d’un grande artefice , come sono ordinariamente i più semplici, sono anche i più felici. Ma già suppovgo che il saggio :del sig. Rosini, destinato ad accompagnare le opere del Canova descritte dalla contessa Albrizzi ed incise dal giovane Lasinio ( l’ Antolo- gia ne darà conto più presto che potrà ) debba trovarsi in bre- ve fra Je mani di molti; ciò che rende men necessarie le no- stre parole, Il suo merito altronde, per ciò che riguarda le consi- derazioni sull’arte, è già stato troppo autorevolmente indicato dal «conte Cicognara in un articolo che può leggersi nel n. 22. del T. XX, Dicembre. 7 98 nuovo giornale de’letterati che stampasi in Pisa. A qualche annotazio- ne erudita dello storico della scultura intorno a' primi studj del Ca- nova mi piacerebbe di aggiugnere qualche noterella critica in- torno ad alcuni principj del Canova medesimo sulla filosofia del- l arte ( un breve colloquio avuto con due amici intorno all’ ab- bigliamento del Wasington mi ci fa pensare ) ; ma conviene che ne aspetti più comoda occasione. Torno adunque alla bontà , per accennare, conchiudendo, come da essa l’autore del saggio ripete ingegnosamente quell’ eccesso di grazia, che potrebbe talvolta rim- proverarsi al Canova , se tale eccesso è veramente rimproverabile, o piuttosto se nella grazia può esservi eccesso. La morte della Giulj, pel dolor della quale il grande artefice fu per morire egli stesso , lo portò per poco al genere severo, di cui si lodano come grandi modelli l’ Ettore , il Teseo , la Polinnia e specialmente l’Ajace. “ Con esso , dice il Rosini, parmi che giugnesse il Ca- nova alla perfezione in tal genere ; e che rispondesse trionfante- mente a coloro che di mollezza l’accusavano. Ma siccome il suo ingegno era veramente rivolto alla soavità, doveva egli vincere sè stesso nello scolpire le Grazie ,,. À I posteri, che contemplando le sue opere e leggendo la sua vita, imagini e l’una e l'altra della bontà del suo cuore, crede- ranno che dovesse essere vera parte di felicità il vivere con lui, cercheranno ansiosamente quanto egli medesimo fosse felice. Qual senso doloroso faranno loro queste parole che succedono nel sag- gio ad un circostanziato ragguaglio sulla Venere vincitrice , la Leopoldina Licthestein , le tre Danzatrici, la Madre sedente di Napoleone , ed il Paride , cose tutte di maravigliosa perfezione! <« E mentre questi miracoli egli operava, quando generosamente inalzava la tomba all’ amico Volpato ; quando impetrava che del suo peculio s’ ornasse il Panteon colle imagini de’ più grandi fra gl’ ingegni italiani ; quando con affetto filiale scolpiva e donava un monumento pel suo primo Mecenate Falier; un sottile ed esperto forense, con melate parole e falsate scritture carpivagli ben quat- tro migliaia di scudi ,,, Tuttavia , riflettendo , sentiranno che le offese della viltà rapace non sono quelle che facciano piaga in un cuore generoso. Le offese dell’ invidia che il Canova , come scrive l’autore del saggio , “ cercò sempre di evitare colla modestia e colla cortesia ,, quando pure fossero state maggiori contro di lui, non ancora avrebbero potuto per sè stesse cagionargli grande tormento. Ma unite a quelle dell’ ipocrisia e della sconoscenza portarono al suo cuore lealissimo e riconoscentissimo una fatale ferita. ‘ Essa , scrive l’ autore del saggio, doveva affrettargli, come invero gli 99 affrettò , il cammino del sepolcro ,. Terribili parole che non si possono leggere senza pianto, e che accrescono a dismisura la commozione cagionataci dal pateticissimo racconto che il Rosini ci fa de’ suoi estremi momenti. Vedi qual mondo è il nostro (mi ricordo che mi scriveva appassionatamente un illustre ami- co nell’ ottobre del 1822) ove un Canova è fatto morir di do- lore! I compianti dell’ amicizia e i tributi della pubblica ammi- razione occupano fortunatamente le ultime pagine del saggio , la cui lettura altrimenti si terminerebbe con una specie di spasimo. Le parole che lo chiudono sono consentanee a quelle che lo co- minciano , ma più notabili, e saranno materia di gravi riflessioni. Tutto il saggio fa ricordare ciò che vi si legge quasi a principio : € scrivendo del Canova sembra che cessino perfino gli stimoli del- l’amor proprio : non si scrive per vanto o per fama , si scrive per affetto e per dovere ; e anzi che inalzare un monumento al me- vito si reca un tributo alla virtù ,,. Operette varie del conte LORENZO MAGALOTTI, aggiuntevi le let- tere sui Buccheri. Milano , Silvestri 1825 in 12.° Nell’ ultima adunanza solenne dell’accademia della Crusca, il secretario , rendendo conto de’ lavori che occuparono |’ accademia medesima durante l’ anno che ormai volge al suo termine, nominava la raccolta delle operette varie del Magalotti come uno de’ libri, di cui era stato presentato lo spoglio per le aggiunte che si stanno fa- cendo al vocabolario. Non dubito che un altr’anno sentirò nominare anche le lettere sui buccheri, ora pubblicate per la prima jvolta dal Silvestri dietro copia tratta dall’autrografo posseduto dal conte Arese di Milano, e abbondanti pur esse di voci, che possono arricchire il tesoro di nostra lingua. L’ottimo Giordani, che animò il tipogra- fo alla loro pubblicazione , scrivendogli che avrebbe fatto un bel regalo agli associati alla sua biblioteca scelta, meritò bene di lui e di noi tutti, a cui il secolo non è sì prodigo di scritture leggiadre , che non dobbiamo desiderar molto quelle ancor nascoste de’ secoli passati. L'argomento di queste lettere , è vero , ha perduto assai del- l’attrattiva che poteva avere quando furono scritte , quando cioè i buccheri, come dice l’autore, faceano figura “ di rarità ne’ musei, d’ arredo galante ne’ gabinetti, e di suppellettile preziosa nelle profumerie , nelle credenze e nelle bottiglierie ,, ed erano accolti in tutte le corti d’ Europa ‘ per servire alla curiosità , al lusso, al regalo ,,. L’ erudizione , peraltro, 1’ amenità e soprattutto la grazia d’elocuzione con cui è trattato lo rendono assai aggradevole, € 100 nessuno degli studiosi , donandogli poche ore, crederà d’ averle _ perdute. E possibilissimo annojarsi colla Bucchereide del Bellini , quantunque l’oro della lingua vi sia profuso , e l’ ingegno vi scin- tilli per ogni parte. Colle lettere sui buccheri del nostro Maga- lotti mi sembra quasi impossibile; e tutti già ne intendono la ragio- ne. Il Bellini era un gran sapiente, uno spirito vivace , un uomo | raro a tutti i riguardi, ma non un poeta. Il Magalotti, malgrado qualche viziarello dovuto ai tempi e alle circostanze in cui vis- se, era prosator vero, prosator tale , che negli argomenti scienti- fici in ispecie se ha chi lo agguagli, non ha chi lo superi. Io non so dire se il Salvini avesse vedute manoscritte queste sue lettere sui buccheri. Ma si crederebbe ch’ ei le tenesse sotto gli occhi , quando in una lezione da recitarsi all’accademia lodava lo scrivere del Magalotti pei lumi dell’ ingegno , le squisitezze dello spirito, l’uso del mondo e l'aria delle gran corti che vi si fa sentire, e lo chiamava scrivere da signore , come fa chiamato quello dell’ an- tico Messala. Le operette varie, a cui in questa raccolta silvestriana si ag- giungono le lettere delle quali si è fatto cenno, penso che per le stampe antecedenti siano abbastanza conosciute. Esse, ove n’ ec- cettui una sola, consistono in estratti o libere versioni che vo- gliano dirsi, ma tali che tu non sai quando furono scritte più ur- banamente opere originali. Il Magalotti, discepolo dei discepoli di Galileo, pratico di molte lingue, siccome lo era di molte scienze, e attentissimo ai progressi dell’ umano sapere in tutta la terra , bramava ardentemente che nessuna scoperta , nessuna utile cogni- zione fosse nascosta a’ suoî concittadini. Amantissimo dei viaggi , la cui importanza è sì grande per lo studio dell’ universale natu- ra, e ricercatore curioso delle relazioni de’ viaggiatori , pareva che volesse ispirare a tutti il medesimo suo gusto , sperandone ingran- dimento nelle loro idee, non che accrescimento di onesti diletti» Quindi gli scrittarelli, che leggiamo nella raccolta di cui si parla, sul Mar rosso, sul Nilo, sull’ imperadore degli Abissinj , sull’ Unicor- no, sulla Fenice , sull’ uccello del Paradiso, sul Pellicano, sulla Palma, tratti da una versione inglese d’ originale portoghese, Che se, per desiderio della comune istrazione in cose, che poteano ignorarsi da molti senza danno del vivere civile, prese volentieri le parti d’ umile estrattista e quasi di volgarizzatore , tanto più volentieri il fece in argomento interessantissimo alla pubblica pro- sperità. Con ciò voglio alludere all’ avere egli dato veste italiana ad un libretto francese intitolato : il mendicare abolito nella città di Montalbano , che ricompare nella raccolta fra l’ operetta ori. 101 ginale che si accennò, e le lettere aggiante. Parve al Magalotti che questo libretto presentasse un esempio degno d’ imitazione , e racchiudesse principj degni di molta considerazione. A’ suoi gior- ni probabilmente non si era ancor riflettuto se non da pochi a ciò che ivi si legge: “ sarebbe una carità cradele quella che per via di limosine indiscrete, o, per dir meglio , di profasioni avven- tate , s’ ostinasse a voler mantenere lo scandalo e la ribalderia di quelli che non sono poveri se non in apparenza, o che, se lo sono in realtà, non lo sono per altra ragione se non perchè fa loro più paura la fatica che la miseria ,,, Molto meno, io credo, si era riflettuto , che ‘ siccome quei piccoli rivi, i quali, mancando loro appoco appoco il declive, si smarrirebbero per la pianura , deri- vati in un comune alveo , formano in lungo tratto quei fiumi, che sono poi la ricchezza della città e delle campagne ; così quelle minute limosine che , fatte secondo l'istinto d’ una pietà arbitra- ria, giovano poco al particolare e nulla o quasi nuila all’ univer- sale, condotte in una massa comune e amministrate col discerni- mento d’una carità universale, sono capaci di divenire fondi con- siderabili da supplire a sufficienza al sostentamento de’ poveri di una città intera. ,, I due periodi , che ho citati , racchiudono per così dire lo spirito di tutto il libretto , ov’ è trattata (almeno come a que’ tempi si potea ) la questione della mendicità sotto il du- plice riguardo della morale ‘e dell’ economia. Due terzi di esso sono impiegati a sciogliere obbiezioni parte assai frivole e. parte abba- stanza speciose, che l’autore certamente non avea imaginate ma raccolte dalle voci della moltitudine. Il Magalotti, probabilmente, ne udiva delle. somiglianti anche da gente che non avrebbe vo- luto esser confusa colla moltitudine ; e ciò accresceva a’suoi sguardi l’importanza del libretto, di cui si parla. Vorrei potermi persua- dere che , dopo tanti progressi della scienza economica, un tal libretto fosse quasi inutile. Ma forse v’è ancora una classe d’uo- mini assai numerosa, per cui può essere molto opportano. Chi ‘iguora gli ostacoli, che i più saggi governi hanno incontrato nelle comuni prevenzioni , volendo assicurare all’ indigenza i soccorsi che le sono dovuti, e impedire all’ infingardaggine di usurparseli ? Ancor si cita come cosa mirabile che il conte di Pontecoulant , oggi pari di Francia , vi fosse pienamente riuscito in non so quale dipar- timento del Belgio , ove fu prefetto sotto l'impero. Vivente il Ma- galotti , non che far nulla per l’ abolizione della mendicità , credo che pochi avrebbero osato parlarne. Quindi non è piccolo vanto per lui l’averlo fatto benchè per bocca d’ altri. Così forse fu di lunga mano agevolata la strada ai ministri del gran Leopoldo , i quali più 102 non ebbero a pensare ehe alle case d’ industria. Il libretto della mendicità abolita mi sembra per la nitidezza e la semplicità una delle migliori cose del Magalotti dopo i suoi saggi di naturali espe- rienze. L’operetta originale, che succede al libretto, racchiude un ra- gionamento che un missionario , passato di Firenze nel 1663, ebbe col Magalotti e il Dati intorno alla Cina , da cui veniva. Questo ra- gionamento ha tutta l'aria d’ una cosa antica, e, grazie all’immu- tabilità de’ costumi cinesi, tutta l’ attrattiva delle cose moderne. È molto opportunamente intitolato relazione, poichè in esso il mis- sionario va ragguagliando i due gentiluomini di ciò che in quel regno lontano ha veduto ed inteso. Essendo egli molto istruito , e avendo per interrogatori un Magalotti ed un Dati, è facile pen- sare che si fa molto onore. Non so perchè alla relazione sulla Cina non siansi aggiunti i ragionamenti del Carletti sopra le due Indie ed altri paesi, che il Magalotti fece quasi suoi emendandoli, e corre- dandoli d’indici copiosi. Anch’essi avvalorerebbero l’esempio che que- sto gentiluomo ha'dato in tante guiseai nostri scrittori di usare l’arte della parola a vantaggio del nostro intelletto. Così, a rendere più efficace quest' esempio, si disseppellissero una volta dagli archivj e dalle biblioteche gli altri suoi scritti che vi rimangono, e di cui ci parlano le biografie o le opere de’ suoi contemporanei. Già da un pezzo si è mosso lamento che quella descrizione de’ suoi viaggi fatti in compagnia di Cosimo II , la quale si trova autografa nella Lau- renziana, non siasi finora potuta conoscere che per una versione inglese pubblicatane a Londra. Nè mi piace punto la ragione che ho sentito addurre del tenerla occulta , cioè che dopo tanti cangia- menti delle cose e delle idee di questo mondo non può essere più di alcun uso. Le idee di un Magalotti sopra le cose del suo tempo mi pare che debbano ancora eccitare la nostra curiosità ; e il garbo con cui sicuramente saranno espresse porgerci non poco diletto. Il Sil- vestri nel suo avviso ai lettori, premesso alla raccolta di cui si è par- lato, ci dice che va ristampando le lettere del Magalotti sull’ateismo, a cui non so perchè si è dato lungamente ne” frontespizii l'epiteto di familiari. Non dubito che dopo di esse vorrà pur ristampare quelle , a cui quest’ epiteto si conviene propriamente, e che sono per la lin- gua assai più pregiate. Gli auguro intanto che gli possa venire alle mani tanta materia di aggiunte quanta ne venne al Fabbroni allor- chè ce ne diede la seconda edizione fiorentina nel 1768. 103 *Poesie anacreontiche di PASQUALE NEGRI. Venezia, Contarini 1825 in 12.° Il faut de l’ adresse pour bien cueillir les roses mi pare che dica un vecchio poeta francese. Io ho guardato per tutta la raccolta delle rose poetiche del sig. Negri con quanta cura ho saputo, onde scoprire qualche segno di questa destrezza, e dargliene qualche lode; ma la mia cura è riuscita vana. Sup- pongo ch'egli sia assai giovane e possa non disdegnare un con- siglio leale. I giardini delle Muse, massime nella primavera della vita, sono per noi oltremodo deliziosi. Egli può sicuramente passeggiarvi, goderne la vista , respirarne la fragranza. Ma, quanto al comporvi mazzolini , sebbene vegga molti che in ciò si affac- cendano , creda che la più parte perdono il loro tempo, e non si lasci sedurre dal loro esempio. Nella prima strofetta della prima delle sue anacreotiche ei si dichiara amante de’ profondi studii » ed io me ne rallegro sinceramente con lui. Confesso che non l’ avrei facilmente indovinato nè dalle anacreontiche medesime, nè dalle note , di cui le correda, ed ove ci racconta che Amore è figliuolo di Venere e di Marte ; che Apollo è figliuolo di Giove e di Latona; che Ciprigna così vien chiamata dall’ isola di Cipro; che Elena era di singolare bellezza , e moglie di Menelao figlio d’ Atreo e fratello di Agamennone. Queste erudizioni, deve convenirne egli medesimo, sono tanto profonde quanto son nuove. Ma io voglio credere che egli ne possegga ben altre, anzi che possegga ben altro che del- le erudizioni, le quali sono d’ assai picciolo prezzo in confronto delle vere cognizioni. Su via, vada pure accrescendo ogni gior- no il suo capitale, e quando si sentirà veramente ricco , faccia parte anche a noi di quello che possiede, nè tema di trovarci in- grati. S’ egli un giorno per esempio ci illustrerà qualche punto importante di storia, qualche fenomeno singolare della natura, qual- che principio di diritto, qualche massima di pubblica economia ; se per mezzo di qualche finzione ingegnosa o di qualche scritto eloquente ci farà sentire il prezzo di qualche virtù civile o do- mestica, o patrocinerà dinanzi al tribunale della ragione la causa sacra dell’umanità , noi lo acclameremo sinceramente , e lo ante- porremo a tutti gli intrecciatori di rime anche più destri, ove non sappiano che lusingare vanamente la nostra fantasia e i nostri orecchi. Beato lui ch’ è nel fiore degli anni, ,ed ha ancora tanto tempo per istruirsi e per fare del bene! 104 Il palazzo di Scauro del sig. MAzOIS , tradotto dal sig. SERGENT.- Milano , Giusti 18»5 in 12.° fig.° Mi pare che un elegante giornalista, parlando nel Mercario francese di questo palazzo, abbia poeticamente paragonato il suo autore ad- Anfione, che al suono della cetra , secondo le favole, alzava sontuose città. Il paragone è forse un po’ troppo magnifico e sarebbe convenuto meglio parlando della descrizione di Pompeja; dataci dall’autore medesimo. E però vero che nel palazzo di Sca- uro, sebbene opera più ristretta , il merito della creazione è mag- giore. E questo merito bisogna ben dire che sia stato vivamente sentito, poichè si moltiplicano le traduzioni dell’opera stessa quan- tunque assai recente, il che accade a pochissime anche di vec- chia riputazione. Nella penultima rivista si rese conto di quella del sig. Longhena, stampata con certo lusso dai fratelli Sonzogno. Or abbiamo dinanzi questa del sig. Sergent impressa dal Giusti con certa grazia che gli è propria, e ch'egli sa accoppiare ad una modestia economica, veramente comodissima alla pluralità de- gli studiosi, i quali fra tante imprese tipografiche vanno forse ripetendo: “ lo spirto è pronto, ma / dorse/lo è stanco. ,, Noi non possiamo che congratularci e col nuovo traduttore e col nuo- vo editore, i quali ci sembra che abbiano ambidue adempite as- sai bene le loro parti. Non ci farebbe meraviglia che alcani uomini difficili, alcuni biasimatori di tutto quello che caratterizza il nostro secolo, dicessero loro: voi non fate che diffondere il gusto d’una frivola erudizione; un argomento d’architettura va trattato architet- tonicamenie e non romanzescamente ; ormai si sono confusi tutti i generi di comporre, e come non bastassero gli esempi di bizzarrie straniere che ci abbondano nelle cose d’ imaginazione , voi vi affret- tate a propagerne di più pericolosi , che ci guasteranno anche l’ope- re d’istrazione. — Che rispondere a questi signori, senza attirarsi anche più forti censure? Ad altri meno prevenuti è agevole il far in- tendere che l’istruzione si può benissimo accoppiare al diletto, la dot- trina all’ imaginazione , la profondità all’eleganza , e che nel palazzo di Scauro si trovano appunto unite queste qualità. Sarebbe a deside- rarsi che opere di simil pregio, massime in argomenti che riguar- dano le antichità italiane, fossero scritte originalmente da italiani. In mancanza d’ opere originali, le traduzioni ben fatte sono per noi di gran momento e meritano d’essere ben accolte. In verità non con- viene fare i superbi quando si sente d’ essere bisognosi. 105 Osservazioni critiche sulla Storia d’Italia di CARLO BOTTA. Fie- sole, poligrafia Inghirami 1825 in 8°. Soddisfatta la curiosità , che mai forse non fu maggiore per alcun’ altra opera storica, siccome per la penultima del nostro Botta, che qui nel titolo è nominata , dovea necessariamente inco- minciare l'esame. I fatti in essa narrati, le opinioni or chiaramente era oscuramente esternate , destavano troppe rimembranze, tocca- vano troppi interessi , perchè non divenissero oggetto di critiche os- servazioni. Molte già a quest’ ora ne abbiamo vedute in istampa; e in tutte , benchè dettate da spirito differente , ci pare che gli amici del vero possano trovare qualche lume desiderato. Lodare la mode- razione e la decenza che v’ è serbata, sarebbe un mostrarcene mera- vigliati , quasi avessimo le polemica italiana in concetto d’ iraconda e d’impolita, e però ce ne astenghiamo. Ci rallegriamo però col nostro secolo d’un visibile passo fatto dalla ragione e dal civile costume, ricordandoci come un tempo le osservazioni critiche , in certi argomenti specialmente, erano per lo più o satire amare o furiose declamazioni. Che se mai alcune di quelle , comparse fino ad oggi sulla storia d’ Italia del Botta e a noi non pervenute, parteci- passero alcun poco del mal vezzo antico , le ultime , che qui annun- ziamo , servirebbero d’ eccellente correttivo. I loro autori , e per la propria gentilezza e pel rispetto dovuto alla propria fama , non poteano esprimersi/che rispettosamente per l’autore dell’opera a tanti riguardi nobilissima che censuravano. Questi autori sono il conte Giovanni Paradisi e il marchese Girolamo Lucchesini pocanzi da noi perduto , ambidue sì celebri per la loro carriera politica ei loro talenti letterarj , che non ci è uopo di aggiugnere nulla al loro mome. I lettori, che suppliscono da sè medesimi a quanto da noi potesse dirsene in encomio , non solo si sentono sicuri che le osser- vazioni uscite dalla loro penna sono piene d’urbanità, ma si aspet- tano altresì di trovarle piene e d’eleganza e d’importanza. Della prima di queste due ultime qualità potranno formare giudizio dai brevi saggi che recheremo ; dell’altra più particolarmente da quanto verremo accennando.'Certo pochissimi letterati italiani furono, come il Paradisi e il Lucchesini, così bene collocati dalla fortuna , per vedere addentro le cose del loro paese e rettificarne la storia. Qua- lunque però ne sia la cagione (e ciò dobbiamo premettere perchè i lettori, aspettandosi troppo , non si lagnino del troppo poco) non vollero scrivere che una parte di ciò che sapevano , lasciando a chi 106 il volesse l’ incarico d’ una critica generale , e litnitandosi.ad alcune osservazioni affatto particolari. Il conte Paradisi anzi dichiara d’ essersi ristretto eon esse a poche cose riguardanti la propria persona , dicendo al Botta : ‘‘ di quel lungo e sudato lavoro (cioè della vostra storia ) non ho letto che i soli paragrafi in cui faceste al mio nome l’ onore di ricordar- lo ,,, Queste parole , senza dubbio , cagioneranno ai lettori un senti- mento di pena, togliendo loro quasi di primo colpo la speranza d’ i- struirsi intorno a’ punti , dei quali va disputando con somma ansietà l’intera nazione. Come però l’ autore che: le pronunzia ebbe parte sì principale in tutto il corso degli avvenimenti che lo storico ci de- scrive , non deve diffidarsi che al discorso dalle sue cose particola- ri s' intrecci quello delle più generali e importanti. Le prime fra le. sue osservazioni, a cui egli ha data forma di lettera, vertono in- torno alle disposizioni degli animi in Italia, e massime di quella parte ove l’autore viveva , all’ epoca della conquista francese. Il Botta, dopo esser giunto fino alla creazione della Cisalpina e del suo direttorio , nominando sul principio del suo libro duodecimo i primi che da Bonaparte furono eletti a comporlo, qualifica il Paradisi come “ autore assai celebrato per bello scrivere, e malveduto dagli au- striaci per essere stato co’ reggiani nel fatto di Montechiarugolo ,,- La lode in bocca dello storico è lusinghiera, ma l’ asserzione del fatto è tale , che il Paradisi non può a meno di contraddirla. Citere- mo alcuni periodi della sua risposta graziosi per la loro festività e notabili per alcuni tratti che servono alla pittura de’ tempi. “ Delle due qualità, che n’ attribuite in questo passo, la prima solletiche- rebbe assai l’ orgoglio mio, se potessi parsuadermi fche mi venisse appropriata dal vostro giudizio medesimo, e non piuttosto da un'’opi- nione fattavi di me sulla fede di qualche amico mio. E mi piacereb- be di poter ritenermi ancora quel carattere guerriero di cui vorre- ste insigniti: ma la coscienza e il pudore mi rimordono così forte che mi è necessità di rinunziarvi, Egli è ben vero peraltro che in- sieme col resto de’ cittadini fui soldato anch’ io della guardia urba- na, e che non per alcuna prodezza , ma per mero favore di chi ini propose, salii in quella milizia di pari col vescovo al grado di ca pora- le , ed è vero altresì che per volere dell’imperatore mi sono trovato una volta nel consiglio di stato a capo degli affari di guerra. In ogni modo non avendo per tutta la mia vita nè portato lo schioppo nè fatta alcuna fazione militare , deggio per onestà ammonirvi che incontrerete grandissima difficoltà , volendomi far credere per un campione di quella impresa , e ad ogni buon fine confidarvi schiet- 107 tamente che non vi fui. ,, Quanto alle disposizioni degli animi ita- liani, di cui si diceva, egli è d’avviso , comunque il Botta ne pensi in contrario, che fossero assai deboli ed incerte ; e questo passo, con cui conchiude il suo ragionamento in tale proposito , ci è sembrato assai notabile. ‘ Tutti coloro , i quali attesero seguitamente allo svi- lupparsi dell’ amore di libertà nell’ Italia, bene oculati per non con - fonderlo con altre passioni, lo videro di que’ giorni nato appena , e al par de’ bambini mal consapevole di sè stesso e della propria vo- lontà ; nè s’ accorsero della sua adolescenza che molto più tardi, quando già la repubblica degenerava nel regno , sotto il quale con- tinuò ad invigorirsi quasi a misura che lo scettro s’affaticava di com- primerlo e di rintuzzarlo ,,. Nel libro decimoterzo lo storico dice che Paradisi, come uno dei direttori che si erano opposti al trattato d’alleanza della re- pubblica cisalpina colla francese, avea col suo collega Moscati , e nove de’ consigli legislativi ‘° ricevuta forzata licenza dal diret- torio di Francia ,,. Paradisi, reca questa forzata licenza alla sua vera cagione, cioè al disegno di Brune, succeduto a Berthier con pieni poteri nella repubblica pupilla ‘ di rimondar l’ amministra - zione da tutti coloro che si chiamavano aristocratici. ,, Nota che a lui e al Moscati, forse per rispetto a Bonaparte di cui erano creature (uso le sue ‘parole) la licenza fu onestata di qualche crean- za. Quella de’ nove de’ consigli ei la chiama solenne proscrizione. « Codesta scena (altro passo degno d’ esser. riferito ) che i proscritti medesimi si recavano in ischerzo , ebbe per me solo un’ amarez- za, della quale favellerò, per farne un nuovo ed insigne esempio ai potenti, di non riposarsi troppo sulla fede e l'amicizia di chi toro aderisce nella fortuna. Un uomo d’ acutissimo ingegno e di molte lettere, col quale io viveva di continuo nella più abban- donata corrispondenza di pensieri ed affetti, alla prima novella della mia discesa,senza più vedermi, corse sotto i vessilli di chi mi movea guerra e si fece compagno a chi mi detraeva. Eppu- re alla bonarietà de’ modi, alla semplicità quasi infantile del con- versare io lo teneva per un Nasica , ed alcuni valenti poeti lo celebrarono per la candidezza de’ costumi. Questo solo abbando- no mi punse l’ animo di sì acuta ferita , che il pensarvi me la riapre ancor di presente ,,. La parte più importante delle sue osservazioni è forse quel- la che segue, e riguarda “ l’ultima catastrofe della monarchia italiana ,,, Qui il conte Paradisi per meglio sostenere l’officio di critico, si fa storico egli medesimo , opponendo a ciò, ch’ egli chia- ma romanzo leggiadro, una narrazione della cui esattezza può 108 darsi per mallevadore. “ Poichè il vostro quadro ; egli dice al Bot. ta , esce tanto fuori d’ogni verosimiglianza che non sì vede nè dove nè come si avesse a ritoccare per accostarvelo, mi risolvo di riordinare io stesso la narrazione del tutto , affinchè si scorga- no le cose nella loro schietta sembiauza ,,. Di queste cose ei fu, giusta le sue proprie parole, testimonio e parte. Nondimeno a con- ciliare maggior fede alla propria narrazione, la correda d’ un es» tratto delle note perpetue alla storia del Botta , attribuite, parmi, all’avvocato Parenti, il quale anch'egli può dir sovente : questo io vidi; questo io seppi da chi lo propose o l’ operò. Quest’ ag- giunta di note, e le ragioni istesse che indussero il conte Para- disi a tessere per disteso la sua narrazione ne rendono quasi im- possibile ogni citazione. E come altronde non parmi che il Botta abbia scritto nulla nell’ argomento controverso , che non si fon- di sopra voci ;nolto diffuse negli ultimi giorni del regno italiano; la più parte dei lettori, persuasissima forse al par di lui della veracità de’suoi detti, sarà curiosissima di leggere nella sua integrità ciò che ad essi viene opposto. Del rimanente anche senza questa cir- costanza chi è, che trattandosi d’uno de’più grandi avvenimenti de’no_ stri giorni, non ami conoscere un frammento storico , il cui au- tore può dire con tanta sicurezza come il conte Paradisi: “ conob- bi le cose, ho avuto l’animo di narrarle fedelmente, e le ho nar- rate siccome fur viste succedere? ,, Molti si aspetteranno che il marchese Lucchesini abbia nelle sue osservazioni parlato specialmente di quella parte che la Prus- sia , di cui fu ministro , prese negli affari d’Italia e d’ Europa , durante il dominio napoleonico. Infatti sono da lui esaminati , ol- tre un luogo d’uno de’ primi libri della storia del Botta sulle cau- se della ritirata de’ prussiani dalla Sciampagna nel 1792, tre pas- si del libro decimonono, riguardanti la domanda di Napoleone a Federigo Guglielmo, dopo la battaglia di Marengo , perchè s’ in- tromettesse della pace coll’ Austria e colla Russia ; le supposte esortazioni del secondo al primo, perchè dal seggio consolare sa- lisse al trono; e i motivi della missione dell’inviato prussiano al guerriero già coronato imperadore de’ francesi, e venuto a pren- dere la corona d’Italia. Le altre sue osservazioni riguardano al- tri punti di storia, e volendone recare qualche saggio, non mi allontanerò forse dal gusto de’ lettori scegliendone due che hanno fissata più particolarmente la mia attenzione. L’ una riguarda le diffidenze mal celate , come dice il Botta, sotto le finte accoglienze fatte dal direttorio francese al pacificatore di Campo Formio,in cui vedeva un ambizioso rivale del suo potere, e forse un nomo non I 09 alieno dal tentare un rivolgimento in favore de’ Borboni. “ Io come ognuno se l’ immagina (così il Lucchesini) non ho letto dentro ai protocolli di Montebello e di Campo Formio ; nè sono venuto in co- gnizione de’ confidenti colloqui tra ’l conte di Cobentzl e il generale Bonaparte nella città di Selz vicino al Reno. Ma facendo congettara dall’ alto dispregio, in che Napoleone teneva l'ignoranza e la presun- zione de’ membri del direttorio , io son portato ad inferire ch’ egli avesse giudicato confacente a’ suoi fini di lasciar trapelare in quel. le consulte co’ plenipotenziari austriaci l’ intenzione di levar pri- ma o poi dalle mani degli avvocati \l governo della Francia. Ma che sarebbegli profittato di promettere in pro de’ Borboni quello ch’ egli certamente,non voleva attenere ? Essendo che chiunque del- le condizioni di que’ tempi , e delle inclinazioni degli animi in Fran- cia , avesse allora il più leggiero sentore , era persuaso che quand’an- ch’ egli l’avesse voluto, non vi sarebbe riuscito ,,. L’ altra osservazione è intorno ad una nuova, e come dice il marchese , impreveduta opinione del Botta sulle segrete cause del- la spedizione d'Egitto. “ Presupponendo (basti il trascriverne que- sta sola parte) nella mente de’ ministri brittannici un incredibile spa - vento per i minacciosi apparecchi d’ invasione, che romoreggia- vano sulle prossime coste di Francia, ed inferendo dalle cose segui- te poi le loro segrete mire di raccendere la guerra sul continente, il nostro autore attribuisce all’ arti de! Pitt ed all’ oro dell’ Inghil- terra i disegni e i mezzi adoperati per indurre il direttorio france - se a liberar sè e l’ Inghilterra dall’ importuna presenza di Napoleo - ne. Repugnerà forse a taluno di credere, che per allettare 1 capi del governo francese all’ acquisto dell’ Egitto gli agenti dell’ insi- dioso ministro fossero entrati ne’ più minuti particolari per la dimo- strazione dell’ utilità che da quel possesso, e dalla dominazione del- 1’ acque del Nilo, deriverebbero fal commercio e ail’ industria della nazione francese. Che se i mandatari di Guglielmo Pitt fossero cadu - ti in queste semplicità, il direttorio esecutivo li avrebbe de’ loro consigli riconosciuti colle due risoluzioni del dì 12 aprile 1798}, per le quali al comandante dell’ esercito d’ Oriente fa imposto , appena fermato il piede in Egitto , di porre a sacco ed a fuoco tutte le pro - prictà degl’ inglesi in Oriente, tagliar l’istmo di Suez, estendere il dominio della repubblica sul inar Rosso, escludendone , per quanto Sli potrebbe venir fatto , la bandiera britannica e i traffichi di quella nazione. E senza gli effetti della segnalata vittoria del Nelson, senza i talenti e la pertinacia di Sidney-Smith nella difesa di San Giovanni d’ Acri ; o se li tradimento o il fanatismo non avesse levato di vita il general Kleber ; chi può antivedere se gli sforzi d’ esito incerto e di TIIO certo dispendio per la cacciata de’ francesi di Egitto e dell’isola di Malta , non avrebbero maggior danno recato alla prosperità del- l’ Inghilterra , che non le profittò la breve durata della guerra con- dotta con lieti preludi , ma con varia fortuna sul continente in as- senza di Napoleone. ,, Potrebbe opporsi , per avventura, a questo ra- gionamento la speranza non inverosimile nel ministro inglese di ve- dere perir presto fra |’ arene della Libia il maggiore de’ capitani e il fiore dell'esercito che avea concquistata l’ Italia. Del resto non ab- bisognavano al direttorio francese stimoli stranieri per un’ impresa , di cui gli era facile vedere da se medesimo l’ importanza. La conqui. sta d' Egitto , siccome leggiamo in un colloquio riferito nel quinto volume del Memoriale di S. Elena , era secondo Napoleone la con- quista dell’ Indie, che verrebbe a farsi meno per la forza dell’ armi; che per quella delle cose. E tale doveva pur essere la persuasione del direttorio, poichè in quel colloquio medesimo l’ esule impera- dore dice ch’ era con esso perfettamente d’ accordo. Che se vera- mente il direttorio, più che da qualunque veduta, era mosso all’ im- presa del desiderio di allontanare l’ uomo che lo minacciava , que- st’ uomo era egualmente inclinato a secondarlo e dal proprio genio e dalla propria ambizione. Nelle memorie per servire alla storia del suo tempo, scritte da’ suoi generali quasi sotto i suoi occhi nell’ esi- lio ove l’accompagnarono, e pubblicate in quest'anno , troviamo un singolare periodo , il quale c’ induce a credere che potesse egli medesimo essere consigliatore del proprio allontanamento. Il senso ; per quanto me ne rammento, è questo: a divenir padrone della Fran- cia era necessario ch’ella perdesse al partir suo il frutto delle passa- te vittorie e lo riacquistasse al suo ritorno. Alle osservazioni , di cui finora si è parlato, | editore aggia- gne quanto fin qui è uscito di notabile ne’ giornali esteri e nostri sul- la storia a cui quelle osservazioni si riferiscono. Il più importante è un articolo del Ved4ts su ciò che dice il Botta contro l’asserzione del conte Darù intorno alla caduta della repubblica di Venezia. Que- st’ articolo è molto conosciuto, e però ci basta di qui ricordarlo. Chi voglia altri lumi intorno ai motivi della condotta di Napoleone ver- so quella repubblica li troverà nelle memorie de’ suoi generali poco sopra citate, e in un eccellente articolo , di cui esse formano il sog- getto nel penultimo numero della Rivista enciclopedica. Lo spirito d’ indagine , che caratterizza il nostro tempo, e la pubblicazione di tante specie di documenti , che altra volta sarebbero stati sepolti in un secreto impenetrabile , debbono agevolare di molto al nostro storico la revisione dell’ opera sua. Gli amici della sua fama (e non credo che siano pochi ) desiderano ardentemente ch’ei voglia, per IlI quanto ad uomo è possibile , far disparire da quell’ opera ciò che , dietro maturo esame, si è trovato o fosse per trovarsi non conforme alla verità. Io sono ben lungi dal convenire con quelli , che al dire del Lucchesini ‘‘ gli appongono quella stessa parzialità ne? giudizii per lui recati sulle cose e sulle persone , ch’ ei davasi vanto d’avere sbandita dalle sue storie. ,, Credo fermamente ch’ ei siasi proposto di scrivere come Tacito sine ira et sine studio , di presentarci uno specchio sincero di ciò che pur dianzi avvenne fra noi, onde ne ca- vassimo pronta istruzione per l’avvenire. Non ogni voce contro l’ap- passionatezza ch’ ei mostra, al dire del critico pur ora citato, per certe sue favorite opinioni , mi scuote di leggieri, ma piuttosto mi fa cercare se non sia mosso da appassionatezza per opinioni contra- rie. Noi abbiamo sventuratamente perduto, vo io dicendo a me stesso , i libri della storia di Livio, che trattavano della guerra civile fra Cesare e Pompeo , e della gran mutazione del governo di Roma. Sappiamo che Augusto chiamava lo storico pompejano, e tutti quelli, a cui più che la repubblica era gradito l'impero , gli avranno dato probabilmente lo stesso appellativo. Chi sa peraltro che i repubblicani malcontenti , s'egli non avea scritto come un de- ciso partigiano di Cassio e di Bruto, nol dicessero cesariano? In verità s'è difficile dettare una storia contemporanea imparzialmente, è pur difficile il leggerla con assoluta imparzialità. Ad ogni modo , ove il Botta si accorga che le opinioni de’ più illuminati e leali siano talvolta opposte alle sue , non isdegni di mettere in bilancia le une e le altre, per meglio assicurarsi di non cedere, suo malgrado, ad alcuna prevenzione. Quanto ai fatti in sè stessi , com’ è troppo facile che sia stato più volte indotto in errore da poco esatte informazio - mi, non deve rincrescergli , ove riceva informazioni migliori , il mo- dificare la propria narrazione. Acquistata, per la piena coscienza della propria integrità , nuova fiducia in sè stesso ; allargate , per le successive ricerche e meditazioni, le proprie idee, faccia , ne lo pre- ghiamo, sparire dalla narrazione medesima tutte le indecisioni d’ opi- nione, le dia coraggiosamente lo scopo o almeno l’unità che le manca, ed ove pure dovesse sentirsi intorno altri clamori, che quelli che si sono sollevati contro di lui , compassioni chi li move , si consoli col pensiero del bene che può produrre, e guardi alla posterità. Prose e versi d'ILARIO CASAROTTI. Milano , Silvestri 1824 in 12° E giusto ‘applaudire all’ingegno che si solleva"; ma è forse ancor più giusto mostrarsi grati a quello che si abbassa per esserci utile. Ci sono de’ lavori letterari sì importanti insieme e sì umili, 112 che il solo ingegno può bene eseguirli , ed è raro che non li sdegni. Quand’ egli ci si presenta, come il buon Casarotti , dicendoci con Ovidio: da veniam scriptis, quorum non gloria nobis — causa ; sed utilitas officiumque fuit, noi siamo quasi obbligati a risponder- gli con quel sentimento che merita una buona azione. Ognuno sa che nella nostra grammatica , già trattata sì bene in quasi tutte le sue parti, restava una gran lacuna, quella cioè dei dittonghi. Non potendo aver lumi sicuri per la teorica , si cercava nella pratica di supplirvi alla meglio con dizionari in cui fosse indi- cata la pronuncia , siccome la famosa Ortografia italiana ed altre opere posteriori. Fra esse collocheremo in primo luogo il rimario del Rosasco, meno cercato sicuramente come rimario, che come una specie di gran prosodia o di deposito delle voci di nostra lingua, ordinate secondo le lor relazioni di suono. Ma esso, dice il Casarotti, non era immune da gravi mende , che indarno si sperarono corrette nella recente ristampa. Qualunque però fosse la sua perfezione e quindi la sicurezza delle norme , che potessero dedursene riguardo ai dittonghi, sempre rimarrebbe il desiderio di un buon trattato, in cui queste norme fossero fondate e sull’esempio e sul ragionamento. Ciò si assunse di fare il Casarotti, usandovi tutta quella diligenza che il soggetto richiedeva, massime da uno studioso'di nostra lingua , il qual viva fuori di Toscana; e mi pare che vi sia riuscito così bene, come poteva quel suo Antonio Evangeli tanto dotto , col cui elogio ha termine il suo non breve trattato. Quest’elogio viene spontaneo spontaneo sotto la penna dell’au- tore (a cui nasce dubbio se l' Evangeli abbia mai scritto de’dittonghi come il giornale di Padova asserisce) ed è dettato con somma semplicità. L'altro , che segue, di Carlo Rovelli vescovo di Como, come cosa d’apparato, sente un poco di quel solito stile panegirico, il quale si direbbe una vernice fatta per coprire la povertà de’ sog- getti. Pure questa volta pare che il soggetto fosse eccellente, poichè la vita del Rovelli ci vien dipinta dall’ oratore come un’ opera continua di carità. C’ è tanto poco bisogao di far da retore, quando la qualità delle cose dà naturalmente a chi le tratta la vena d’ un poeta! Potrei citare varie parti dell’ elogio in cui il Casarotti me. rita questo nome. Lo merita , per esempio, ove dopo averci esposti i saggi principj , da cui fu mosso il Rovelli a promovere con quanta forza seppe la fondazione della casa d’ industria nella propria città , ci dipinge gli effetti morali della fondazione medesima. Lo merita , ove dopo averci detto che il suo encomiato sostenne quasi solo quella casa in tempi disastrosissimi , ci descrive l’ altra maggiore che si proponeva di erigere , avendo sempre il pensiero a que’ tera- 113 pi; in cui nella chiesa erano molti poveri e nessuno mendico. L'ora- tore ci dice che questo vescovo era assai dotto. Avrà dunque avuto in molto pregio i lumi e quindi favorita l’ istruzione. Ci narra che, sentendosi invecchiare, tornò spontaneo al vivere privato. Egli dun- que avea del suo e d’ogni pubblico ministero un’ idea molto ele- vata. Se l’ oratore avesse creduto di trattenersi intorno a queste cose, potea sicuramente , senza caricare i colori dell’ eloquenza, usare il linguaggio d’ una bellissima poesia. E se questa consiste principal- mente nell’ affetto , la fine dell’ introduzione e tutta la perorazione dell’ elogio , ambidue dirette ai poveri ch'erano la famiglia del Rovelli, mi paiono cosa poeticissima. Mi paiono anche scritte con più semplicità che il rimanente ; e ciò è quanto dire che mi paiono scritte come conveniva all’ elogio d’un uomo, che, come; tutti quelli che hanno grandi idee e vere virtù , fu semplicissimo. I versi , che succedono alle due prose, cioè al trattato de’ dit- tonghi e all’ orazione pel Rovelli, sono le poesie bibliche, recate dal Casarotti in vari de’ nostri metri e abbastanza conosciute per le an- tecedenti edizioni. Le accompagna in questa un articolo , che il ti- pografo si fa lecito di chiamare giudizio in onta dell’articolo mede- simo, ove il dare giudizio in cose letterarie è chiamato misera pedan- teria. Però tutto l'articolo si compone di passi della volgata colle versioni del Mattei, del Venini, del Ceruti, del Bettinelli, perchè ciascuno , com’ ivi si dice , possa farne confronto colle versioni cor. rispondenti del Casarotti. Veramente , dopo che questo confronto si sarà fatto, e si sarà veduto,com’io non dubito, che le ultime versioni racchiudono in sè maggiori pregi che le antecedenti, non si saprà ancor nulla sul loro merito assoluto, Il venirlo esaminando sarebbe qui opera troppo lunga e perla più parte dei lettori poco dilettevole. Due parole soddisferanno abbastanza i più curiosi, e non annoie- ranno alcun impaziente. Chi guardi alle poesie bibliche del Ca- sarotti (ecco le due parole ) sia che le confronti o non le confronti con quelle d’altri, deve trovare in esse molta cultura, molta pra- tica di stile, molto studio di conciliare la semplicità e 1’ eleganza. Quanto a quel sincero entusiasmo , a quell’ energia, a quella subli- mità , che il Casarotti dice con Lowth essere i caratteri della poe- sia profetica , forse vi vorrebbe un orientale, che si trovasse im- provvisamente in possesso di tutta la nostra lingua poetica, per darcene , traducendo, una vera idea. T. XX. Dicembre. 8 114 Dizionario ortologico della lingua italiana, di LORENZO NESI. Milano, Giegler e Pavia, Bizzoni 1825 in $.* Dizionario ortologico vuol dire dizionario, in cui ogni voce, che vi si registra , è accompagnata da segni i quali indicano la ma- niera di ben pronunziarla. Se pochi fuor del centro d’ Italia sanno la lingua che chiamasi italiana, per isperanza , credo, che un dì o I’ altro lo divenga ; ancor più pochi mostrano di saperne la vera pronuncia. Nè parlo già di quella inimitabile , che fa sembrare la lingua nostra veramente divina in bocca di queste donne gentili fio- rentine o sanesì. Parlo di quella che consiste nell’alzare o depri- mere , anche senza vezzo , ma con giusta norma , gli accenti, allar- gnre o restringere quando conviene le vocali , raddoppiare ove si deve le consonanti, rinforzarne o raddolcirne il suono opportuna- mente. Dalla buona pronuncia dipende e la buona ortografia, di cui è gran vergogna mancare scrivendo , e la cara eufonia senza di cui nessun discorso ha grazia compita. Ora questa buona pronuncia non indovinasi niente più che la buona lingua colla quale è nata ; e chi non l’udì bambino bisogna che l’ apprenda adulto in quel modo che apprende la lingua medesima. Quindi la necessità di un dizionario ortologico , di cui in vari tempi si sono veduti vari saggi, e che, fra tanto fervore oggi mostrato generalmente per la cultura della lingua , dovea più che mai desiderarsi perfetto. I saggi, ch' io accennava, furono la più parte , se ben mi ricordo , opera di filo- logi non toscani , stimolati ad occuparsene da quelle circostanze stesse che la rendevano loro più malagevole. E, come da non to- scani si sono avute eccellenti grammatiche, poteva al fine ottenersi anche un perfetto dizionario della specie di cui si favella. Ma a comporre le une bastava lo studio posto negli scritti de’ grandi maestri della lingua ; e a comporre l’altro facea pur d’uopo la lunga conversazione coi naturali eredi e della lingua e della pronuncia di que’ maestri. L’ autore del dizionario ortologico , che qui si annun- cia , è per sorte uno degli eredi medesimi, il quale sebbene viva langi dalla terra nativa , pur deve ancora sentirsi , per la dolce me- moria della prima gioventù , suonar nell’ orecchio /’ idioma gentil sonante e puro , che la fa oggetto d’invidia al rimanente d’ Italia. Se questa è ragione perchè si richiegga nel dizionario del sig. Nesi particolare esattezza, è anche ragione perchè questo dizionario si accolga con particolare fiducia. Ma potrebbe esso porgerci una guida pratica per la retta pro- 115 nunzia delle parole, indipendentemente da una guida teorica ? Sup- posto pure che contenesse tatti i principali nomi e i principali verbi della nostra lingaa , non per questo conterrebbe nè tutte le circo- stanze de’ primi nè tutte le inflessioni de’ secondi. La pratica al- tronde riceve lume dalla teorica, sebbene questa nasca da quella; come i fenomeni della natura ricevono spiegazione dalle leggi fisi- che, benchè queste siano dedotte dai fenomeni medesimi. Però saviamente il sig. Nesi ha preposte al dizionario ortologico le re- gole dell’ortologia, di cui il dizionario vien così ad essere una conferma o un’ applicazione perpetua. Ma l’ortologia è madre del- l’ ortografia , della quale ha pur d’ uopo ond’ essere presentata agli occhi , quando non può essere fatta sentire all’ orecchio. Quindi le regole ortografiche aggiunte dall’autore alle ortologiche e formanti con esse un solo trattato. Io non oserei dire che tutto in queste regole sia incontrovertibile ;'che fra le ortologiche specialmente non se ne incontri alcuna, dalla cui materiale osservanza risulterebbe una pronuncia assai differente dalla vera. Ma come mai in fatto di pronuncia , ch’ è tutta per gli orecchi, spiegarsi agli occhi senza qualche ambiguità ? Come con un piccolo numero di segni visibili rappresentare tante delicate modificazioni di suono ? Chi ha qual- che pratica di lingue straniere sa bene qual differenza passi tra la pronuncia che si crede imparare dalla grammatica, e quella che s'impara dalla viva voce di chi usa naturalmente sì fatte lingue. Lo stesso, benchè in proporzione assai rimota , deve avvenire nella nostra, sebbene si parli presso a poco siccome è scritta, e non abbia in se quasi nulla di gutturale, di nasale o d’ altro che ne fac- cia si può dire una lingua diversa da quella che i segni scritti ci rappresentano. Resta dunque a sapere se il sig. Nesi, dandoci le regole dell’ortologia, e applicandole ad ogni parola del suo dizionario, abbia fatto non quanto sarebbe desiderabile ma quanto presso a poco era possibile, e a me sembra che sì. Confesso che non ho scorse che ducencinquanta in trecento circa delle parole da lui re- gistrate. Ciò mi fa timido a dire non solo del merito ortologico del suo dizionario, ma anche del suo merito filologico. Siccome però quelle poche centinaia di parole, che ho accennate, non le ho prese tutte casualmente ma la maggior parte con qualche scelta, mi è sembrato di trovarvi un pegno sufficiente della diligenza dell’ au- tore nel raccogliere quanto e il linguaggio ordinario e quello del- l’arti e delle scienze poteano somministrare ad un dizionario com- pendioso come il suo. Qualche mancanza di voci vecchie o nuove, di cui ho dovuto accorgermi, qualche insafficienza nelle defini- zioni , tanto più sentita , che a ben intendere le voci non ci soccor- 1:16 rono gli esempi, debbono anch’ esse attribuirsi al suo stadio di bre- vità. « Quello, egli dice, che più malagevolmente potevasi con- ciliare coll’andamento del dizionario , nel cui piccolo volume non poteva aver laogo il confronto de’ passi autorevoli degli scrittori, era il notare le differenze di significato, o le modificazioni delle idee semplici espresse dalle voci sinonime , le quali non sono vano lasso di lingua , ma proprietà essenziali della medesima. Per dare una qualche idea anche di queste, ho raccolto una serie non così picciola di tali voci sinonime , che ho registrate a parte, e che ri- dotte in ordine numerico ed alfabetico corrispondente ai richia” mi delle respettive rubriche del dizionario, formano una delle ap- pendici al medesimo sotto il titolo di saggio sull’ uso de’ sinonimi ,,. Quindi più sotto prosegue. “ In ultimo , acciò nulla rimanga a de- siderare in questo dizionario manuale, sarà aggiunta in fine qual seconda appendice (giovi notare che nella stampa essa trovasi la prima) una serie alfabetica de’ nomi propri , storici , mitologici e geografici, de’ quali non a tutti gli inesperti nelle lingue estere è così facile la lettara e la pronunzia ; quelli eccettuati , ai quali, o perchè fosse prezzo dell’opera il determinarne i segni simbolici relativi alle arti, o perchè abbiano dato origine ad alcuna frase o proverbio di qualche eleganza, fu giudicato bene di dar luogo nel corpo del dizionario stesso ,, Questi due passi , e le cose dette antecedentemente , credo che basteranno a dare idea di un tale dizionario , ‘il quale, in ciò che ha di comune con altri, potreb- be loro in più incontri supplire , e in ciò che ha di proprio, cioè le indicazioni della pronunzia , non può essere supplito da alcuno. Ciò è un dire abbastanza ch’ esso è per tutti gli studiosi un libro d’ assoluta necessità. Dialogo tra la torre degli Asinelli e la torre della Magione. Modena , Vincenzi 1825 in 16.° La prima di queste due torri, edificata circa il 1109 da Ghe- rardo Asinelli ond'ebbe il nome,é sempre là nel mezzo dell’ il- lustre Bologna , di cui sembra speculare il paese all’ intorno, e annanziare da lungi la grandezza ai viaggiatori. La povera torre che s’ intitolava della Magione (casa e chiesa de’ cavalieri gero- solimitani e già de’ templari) a cui era vicina, or non è più che una rimembranza. La sua demolizione cominciata nel marzo di quest’ anno, e terminata nel luglio o nell’ agosto, fu alla più parte de’ bologuesi cagione di dolore, e meritamente. Questa torre, co- II 7 me ognun sa, era un gran monumento della meccanica italiana. Del tempo della sua costruzione, dice l’ autore del dialogo in una delle sue note, non si è potuto ritrovare notizia sicura, Ma pare che debba credersi, ben anteriore..a quello , in cui fu edificata la Magione , che certo è molto antica. La sua altezza, paragonata all’altezza della torre degli Asinelli, era assai mediocre ;, poichè oltrepassava di poco i 65 piedi bolognesi, mentre 1’ altra oltre- passa i 257. Ma ciò che fermava in essa gli occhi non volgari era un altro. pregio, che la torre degli /sinelli nel dialogo vorrebbe avvilire, e di cui può il lettore prendere idea da questa parte di risposta. ‘ Sia come vuoi (le replica la torre della Magione. che già si sente ne’ fianchi il ferro de’ distruttori) : chiamerai tu ad ogni modo e l’obelisco del Vaticano , ed ìl sasso di Pietroburgo ; contro la fama comune, inonorati ; l’ uno de’ quali fa trasportato con arte fino allora pe’ moderni scomosciuta , e l’ altro con somma disin- voltura dal Caburi ? Ma io fui rimossa dal mio luogo assai pri- ma del trasporto di questi massi, in tempo che a nessun altro forse sarebbe venuta in mente sì ardua impresa fuorché al dotto Bartolommeo di Ridoifo Fioravanti, a cui l’ eccellenza dell’inge- gno fece il glorioso sopranome d'Aristotele , e che a tanta opera si accinse per far cosà grata al mio padrone d'allora cav. Achil- le Malvezzi, il quale mi do a credere che, olire esser ricco , sarà stato anche dotto ; od almeno , con esempio degno ne’ suoi pari d’imitazione , fautore dei dotti ,,. i Questo Malvezzi; secondo che lo dipinge il Ghirardacci nel terzo tomo inedito della sua storia citato dall’ autore del dialogo; fa uomo di grande ingegno ed ardire, ed arbitro del senato “ che tanto faceva quanto a lui piaceva ,;. E fu certo cosa da uomo in- gegnosissimo e arditissimo il far traslocare una torre; la quale se- condo i calcoli fatti pochi giorni prima della sua demolizione (ciò sappiamo da una lettera dell’ autore del dialogo ) pesava , com- presevi le campane trasportate con essa , quasi un milione di lib- bre bolognesi. Essa, come narrail Ghirardacci , era allora lontana dalla Magione, 35 piedi all’ incirca, e dava non piccolo impaccio alla pubblica via. Capitò in Bologna il Fioravanti ( conosciuto più generalmente sotto il nome d’Aristotele Alberti) e il Malvezzi se l’intese con lui per avvicinarla alla Magione; togliendo l’ impaccio che si accennava. « E così, dice il Ghirardacci, a dì 8 agosto 1455 il detto ingegnere, avendola posta sopra certe catene grossissime di legno, e fatti li fondamenti al luogo ove trasportare si dovea, la cominciò a muovere, e nel primo movimento si rappero due asi- nari da un lato di essa di quei che erano posti sotto per fonda- 118 mevto , e perciò si piegò la torre da quella parte verso la porta della chiesa sopradetta incirca 3 piedi comuni. Nondimeno Ari- stotele tosto la ridusse al suo primiero stato e felicemente la con- dasse al luogo destinato ,,.. Pare che il suo ultimo proprietario (ci scriveva mesi sono l’autore del dialogo ) si promettesse di tro- vare ne’ suoi fondamenti de’ cilindri ed altri pezzi di metallo , che doveano , secondo lui, aver servito al suo trasporto. Ma nessuno storico fa menzione di questi cilindri o di questi pezzi ; e il Nadi, che operò sotto la direzione del Fioravanti, dicendoci nella sua cronaca manoscritta che il trasporto non costò che lire 100 ( som- ma certamente modicissima, qualunque ne sia il ragguaglio colla presente moneta ) non ci permette di credere che vi fossero im- piegati strumenti , i quali ne avrebbero di molto accresciuto il valore. La torre degli Asinelli verso la fine del dialogo dice ironi- camente alla sentenziata compagna ; ‘ datti pace: la tua passata esistenza vivrà nella memoria de’ posteri per una iscrizione del bolognese Morcelli, la quale nel luogo, ove ora posi, sarà col- locata ,,.. Però questa risponde: “ alla spietatezza ti piace anche d’ accoppiare la derisione e l’insulto?,, La prima delle due torri ci rappresenta molto al vivo certe persone favorite dalla fortuna , disprezzatrici insieme e gelose dell’ altrui merito , che non posso- no tenersi dal mostrare la loro gioja secreta allorchè questo me- rito è oppresso. La seconda, sebbene sembri un istante compia- cersi nel tarbare la gioja a quella superba, mostrandole quanto la fortuna sia mutabile, si occupa tosto di pensieri più generosi e si prepara a cadere con dignità. Il dialogo d’ambidue , mentre ser- virà un giorno di documento istorico , potrà anche esser preso per un apologo istruttivo. Nuova scelta di rime piacevoli d'un LomsARDO. Milano , Silvestri 1824 in 12° La nuova scelta, se mi rammento bene di quella che ora chiameremo la vecchia, non differisce da essa che ad un solo ri- guardo. Ne differisce cioè come un’ edizioncella espurgata di Mar- ziale , che nel secento si dava a’ fanciulli, da un’ edizione integra riserbata alle librerie de’ barbuti. E nomino Marziale piuttosto che altro poeta, poichè fra gli epigrammi di quest’ aragonese e le rime piacevoli d’ un lombardo mi pare che ci sia molta affinità e di genere e di stile. Si loderà sicuramente il rispetto del pia- cevole rimatore per quello , a cui si è convenuti di dare particolar 119 mente il nome di buon costume. Si vorrebbe peraltro poter lodare anche il suo rispetto pel buon gusto e pel civile costume , che n’ è inseparabile , e che si può anch’ esso chiamar buono. Amico, io v assicuro = Che qual censor di merito — Vi ho nel presente e vi avrò nel futuro — Siccome v' ebbi sempre nel preterito sono una tal conclusione che basta alla censura di tutta la scelta. Le mot pour rire è una cosa preziosa nella vita ove quasi tutto fa piangere. Ma non debb'essere parmi nè preso dal trivio , co- m' è quasi sempre nelle rime piacevoli, nè lanciato , com’ è non di rado , contro quelle imperfezioni esteriori, che non sì possono » in- facciare all’ uomo senza una specie di crudeltà. So quanto un certo atticismo d’ espressione, impossibile ad indovinarsi lungi da questo suolo , ov’esso è naturale, giovi a far sembrare lo scherzo o più fine o più gentile. Ma avvi, parmi, un certo atticismo d’idee, un certo fiore di spirito , che si fa sentire anche malgrado la poca squi- sitezza della frase , e questo mi duole sommamente che manchi alle rime piacevoli. In una delle prime composizioncelle, che portano questo ti- tolo , il poeta si chiama pittore de' costumi. Veramente egli non ne dipinge che la parte più volgare o più superficiale , sicchè lascia in noi un’ impressione o poco gradita o troppo leggiera. Nondimeno alcune delle sue pitture meritano, per la loro vivacità e la loro na- turalezza , d’ esser ricordate con certa distinzione. Fra esse notere - mo i sonetti in morte del Barbetta, prototipo de’ pedanti, Ja cui specie vo sperando che presto non si conosca più che per le memo- rie de’ tempi trascorsi; quello in cui la vajassa napoletana magni- fica le grazie del suo picerillo ; e qualch’ altro, in cui si accomoda- no destramente al racconto le arguzie de’ gondolieri veneziani. Alla pittura de’ costumi potrebbe riferirsi quest’ epigrammetto , che darà gusto a taluno de’ nostri buoni vecchj, a cui rammenterà forse qualche aneddoto personale : Un cavalier di moda e giovinotto Invitò a pranzo un vecchio all’ore otto; Questi rispose: non posso signore, Perchè ho un invito a cena alle settore. Ne recheremo un altro , unico della sua specie in tutta la scelta, e che ci ha fatto, malgrado qualche verso insignificante , moltissimo piacere. Vi è dipinto quel nobile orgoglio , che fortunatamente può mostrare in faccia agli stranieri ogni italiano, dacchè non avvi forse terra sì oscura del nostro paese , la quale non vanti qualche uomo insigne , che in qualche tempo l’ abbia illustrata. - 120 Federigo il grande e Soretti Fed. Chi sei? Sor. Soretti. Fed: Ove nascesti ? Sor. In Bergamo. Fed. Ahi sfortunato ! Ahi lasso ! La patria di Arlecchine Sor. Patria del Tasso. ì Proverbj latini e italiani. Venezia y Molinari, 1825 in 12°. Dice un proverbio latino: nimium ne crede colori. Il volgare equivalente è questo comunissimo; spesso l apparenza inganna. Se la nostra fosse ancora età di proverbi , credo che si creerebbe quest'altro: non istare a’frontispizj. Suppongo , o lettore , che ne abbiate vedati di molti. Ove o ’l bisogno o la curiosità vi abbia fatto passare alcun poco al di tà di essi, avrete avuto sovente occasione di accorgervi se ai frontispizi sogliono corrispondere i libri.Quello del libriccino, che qui si annuncia; promette de’proverbj; ma, a conti fatti, i proverbi non sono al più che due terzi del libric- cino medesimo; il resto si riduce a frasi, di cui ben poche si possono dire proverbiali. E notate che il raccoglitore dichiara nella sua pre- fazione d’avere, fra moltissimi proverbj a noi tramandati da’nostri avoli, scelti quelli di maggior uso o di maggior sapore e quindi più meritevoli che si conservino. Ignoro s’ei conoscesse quella vecchia raccolta di proverbj greci e latini fatta da Erasmo, o qualcuna delle italiane che hanno acquistata maggiore celebrità. Ma debbo pensare che no, vedendo com’ egli, con tutto il suo desiderio di scegliere, non ha fatto che adunare ciò che gli veniva fortuita- mente alle mani. In quelle raccolte avrebbe almeno esercitato il suo gusto a distinguere i veri proverbj da quelli che nol sono. Egli nella sua prefazione ci definisce il proverbio un ammaestra- mento utile alla vita, E tale è questo, per esempio: Doce facienda et doce faciendo; ovvero quest'altro: Chi den comincia è alla metà dell’opra. La sua definizione, per vero dire, confonde i proverbj colle sentenze, come si raccoglie dai due esempi recati. Ogni proverbio, potrebbe opporsegli, racchiude un ammaestramento, ma non ogni ammaestramento è proverbio. Il semplice ammaestra- mento è senza alcun velo ; il proverbio ammaestra per figura , onde in un libro sacro è detto del sapiente che occulta proverbio rum exquiret, Quindi le due addotte sentenze non possiamo averle 12I perlegittimi proverbj come questi: Vexat censura columbas, ovvero, Il granchio vuol mordere le balene. Ma io mi accomoderei volentieri a ricevere le sentenze per buoni proverbj, ove tra esse non vedessi il Von impune feres o il Te ispum inispice ; il Doveva esser così, o il Detto e fatto, cosucce appena degne d’ esser registrate in un piccolo frasario. Due parti ha la raccoltella, di cui favelliamo. L’una è inti- tolata proverbj d’origine latina; l’altra proverbi d'origine italiana. Sotto ciascuno de’ latini è posto l’ italiano equivalente; e sotto ciascuno degli italiani è poste il latino, Io non voglio disputare adesso quanto tutti questi proverbj si corrispondano veramente fra loro; quanto tutti i latini siano propriamente d’origine latina, e gli italiani d’italiana. Lo scopo della piccola raccolta è visi- bilmente doppio: l’uno filologico ; l’altro morale. Per ottenere lo scopo filologico bisognavano certamente delle spiegazioni erudite; per ottenere il morale bisognavano delle spiegazioni tratte dalla scienza del costume. E graziosissimo il /Von e quovis ligno Mer- curius fingitur, o l’Eleusina servat quod ostendat. È espressivis- simo il Chiudere la stalla scappati i buoi , ovvero il Non dir quattro se non è nel sacco. Ma ove non si risalga all'origine di ciascuno , o appena se ne intende il significato, o non s'intende che d’ una maniera per così dire senza vita. Vedete gli Adagi d’ Erasmo, che mi sembrano il modello delle raccolte del loro genere. Il Menagio, compilando le origini delle voci italiane , si era proposta anche la dichiarazione de’proverbj, per la quale varj de' nostri accademici della Crusca facevano a gara nel mandargli materiali. Ignoro se questa dichiarazione ei l'abbia mai pubblicata. E conosciutissima quella del Paoli contemporaneo: del Menagio, e merita d’ esserlo quella assai più antica del Cecchi, illustrata e pubblicata modernamente dal benemerito Fiacchi pocanzi perduto. Così in Italia si era cercato assai di buom’ora non solo di raccogliere ma di spiegare ciò che forma insieme il vezzo della lingua; e una specie di tesoro della scienza popolare ; mentre in Francia, anche al tempo de’ primi enciclopedisti che se ne lagnavano, fa- cevansi raccolte; e non si pensava a renderle utili, rendendole bene intelligibili. Né so che alcuno vi abbia pensato fino a questi giorni, in cui non v'è cosa buona e trascurata che non si faccia , o cosa ben fatta che non sì perfezioni. Esiste in Parigi da qualche anno una società che s’ intitola dall’istrazione elementare. Nella sua ultima seduta, di cui abbiamo notizia, quella cioè dei 16 dello scorso novembre (seduta memorabile, a cui assistevano. tra molti stra- nieri un senatore d'Haiti, un generale della Colopabia eil segre- 122 tario del comitato greco di Londra, e in cui De Gerando propo- neva che sì facesse della società il centro dell’istruzione dei due mondi ) il sig. Basset, già direttore degli studi nella scuola nor- male, fece dono d’un libro con questo titolo: spiegazione morale dei proverbi popolari francesi destinata al popolo. La spiegazione morale fa supporre la filologica, senza di cui sarebbe quasi im- possibile. Noi de’nostri proverbi o d’una gran parte di essi, come si accennò, l'abbiamo da un pezzo, Resta che da qualche brav' no- mo ci sia data anche la morale. In passato la filologia si riguar: dava qual cosa molto importante per sè stessa. Oggi nè la. filolo- gia nè altra parte qualunque dell ’umano sapere può molto ap- prezzarsi, ove non serva ai progressi del viver civile. Il cittadino di republica d’ ALEssANDBO CEBA. Milano , Silvestri 1825. in 12.° Una delle opere più notabili, fra quante distinguono gli odier- ni avanzamenti delle scienze morali e politiche, è quella di Du- noyer, la quale ha per titolo: L’industrie et la morale consid érées dans leurs rapports aver la liberté. Egualmente che inel. Censo- re europeo, ove troviamo per così dire i primi esercizii della mente dell’autore, anche nella nuova opera la libertà è da lui riguar- data come il fine d'ogni ordine sociale. Egli però più non ne cerca il principio nelle leggi e nelle istituzioni, poichè queste , al dir suo, hanno esse medesime un principio, ‘che è lo stato in- tellettuale della società . Da questo punto sublime di veduta ei va scorrendo la storia politica de’popoli, e mostrando come sempre furono più liberi a misura che furono più illuminati. Ora questo suo punto di veduta mi pare di trovarlo nelle prime linee di un libro composto quasi due secoli innanzi, ed'or ristampato, il cit- tadino di repubblica che qui annunciamo. “ Fra le memorie che conserva Plutarco del parlare de’lacedemoni, dice che uno di loro interrogato una volta di ciò che sapesse fare, rispose che sapeva esser libero. La qual parola averdo io (il Geba) talvolta fra me stesso considerata, e ritrovato in essa che la libertà presuppone scienza, m’è caduto in mente di dubitare che pochi oggi siano quelli che possono propriamente chiamarsi liberi, poichè son rari coloro che della libertà la scienza procurino. ;, Queste parole dette degli individui applicatele ai popoli, e vi parrà di ‘veder nascere il sistema di Dunoyer, che ha già ricevute a quest’ ora tante e sì giuste lodi. Anzi come il Ceba non tratta dell’istrazione degli individui, se non perchè se ne formino popoli degni della libertà, 123 può dirsi che fra l’idea ond’egli parte e quella sviluppata da Du- noyer non siavi alcuna vera differenza. “ L’uomo il più temperante negli appetiti (riflette chi ha scritto il proemio del cittadino di repubblica a nome degli editori), il più prudente nelle delibera- zioni, il più magnanimo nelle imprese, il più giusto in ogni sua privata e publica relazione di famiglia e di società, l’uomo insom- ma che fosse il meglio istruito ed abitaato a concordare il suo par- ziale ben essere col miglior essere dello stato , fa per Ansaldo Ceba l’ottimo cittadino, e ih conseguenza l’uomo più caro ed utile, noh solo ad una repubblica , ma per sentenza di Socrate, testificata da Senofonte, ad ogni regno civilmente ordinato, affinchè possa, per la concordia, affezione e virtù ingenua degli animi, prosperare ,,. All’istruzione il Dunoyer unisce l’industria, come secondo fon- damento della morale; e per essa della libertà. L'industria egual- mente che l’istruzione è il carattere distintivo del nostro secolo , o almeno l’oggetto degli encomi e de’voti di tutti gli odierni publicisti. Potrebbe temersi che il Ceba, pieno d’antichi pensieri, non le des- se che pochissima o quasi nessuna importanza. Pure avvertendo com’egli era ligure di nazione, vale a dire nato da gente fra le itali- che industrosissima, possiamo affidarci anche a questo riguardo. In- fatti verso il mezzo dell’opera sua , ove parla della ricchezza a cui il cittadino può aspirare, si esprime così: “ I mezzi per arrivarvi deb- bono essere più onorevoli che sia possibile, come, poniamo, la colti- vazione della terra sopra ogni altra cosa; e, appresso questa , quei traffici di mercanzie e quelle permutazioni di monete , che son più usate dai nobili nelle città libere , e che possono essere esercitate senza indegnità di ministerio: il quale però, ancorchè s’abbassasse in qualche parte, poco verrebbe a montare, mentre il fine , a cui per esso si riguarda, non è semplicemente per arricchire sè medesimo ,,. Così sempre più apparisce la conformità del pubblicista italiano del secolo decimosettimo col francese del decimunono ; o piuttosto di questo con quello. Quindi tornano opportunissime le parole dell’au- tore del proemio, il quale e colle idee e collo stile ci si dà ‘a cono- scere per un vero valentuomo. È utile rivendicare la gloria degli ingegni italiani anche in quella parte delle umane cognizioni , nella quale anche i più zelanti dell’onor della patria sembra che cedano più volentieri agli stranieri; ed utilissimo formar la mente de’nostri giovani con idee che dir si possano nostre, e che per questa ragione saranno più efficaci e più opportune ‘all’uso ed ai bisogni del nostro paese. Ha ottenuto gran parte della pubblica felicità colui il quale, proteggendo nella nativa sua terra o tra i suoi concittadini’ gli studi della morale e della legislazione, e formando così una ragion publica, 124 la quale dir si possa propria, ha fatto sì ehe si evitino i mali, i qual vengono inevitabilmente dietro l’oblio, la corruzione de’ principj, e il troppo frequente cangiar de’ medesimi, di cui cagione prin- cipale è il non aver principj propri. Fra tutte le nazioni quelle sono dotate di maggior energia e di maggiore prosperità, che più coltivano la morale e la legislazione . E noi italiani, noi siamo ridotti ad ap- prenderla da qualche libro che ci venga dallo straniero! Noi danque perchè tacerlo? finchè non l’avremo nostra, non ne avremo d’alcuna spezie. ,; Nè egli, oculato come si mostra e amante della patria, racco- manderebbe il cittadino di republica , ove lo trovasse opera inetta a’ nostri bisogni. Del resto egli conchiude: quando questo libro non fosse raccomandabile per la solidità della scienza e per la. mae- stria dell’eraduzione, dovrebbe esserlo per la vaghezza e purità dello stile, essendo tale la proprietà de’ vocaboli , tale le leggiadria delle frasi, tale 1’ armonica disposizione d'ogni sillaba e il maestoso anda- mento della sintassi, che poche opere ha pari in qualunque lingaa per venustà ed eleganza; cosicchè tutta è condita da quell’odore di urbanità, che Cicerone amò tanto, e che stimò ad ogni opera necessarissimo, quantunque confessasse di non saper defirirlo. ,, Versi di PIER ALESSANDRO PARAVIA. Venezia, Orlandelli 1825 in 12°. Il sig. Paravia riguarderà, speriamo, qual prova della nostra stima per lui se, non potendo far qui intorno a’suoi versi che bre- vissime parole, sceglieremo tra essi quelli che più gli è caro d’aver composti. Certo più cose potrebbero lodarsi nelle sue liriche, e specialmente certa dolcezza di affetto e certa gentilezza di stile. Ma egli si compiace particolarmente delle sue epistole , genere di composizione forse più adattato all’indole sua, e in cui perciò egli è sicuro d’essere meglio riuscito. Ma un altro motivo ei reca della sua compiacenza ; e questo motivo. è troppo bello perchè sia da noi taciuto. “ Io vi confesso ; egli scrive al suo editore, che queste epistole, in preferenza di tutti gli altri miei com poni- menti, vorrei che fossero ben ricevute dal publico; e sapete perche? Perchè in esse, e singolarmente nelle ultime, ho procurato d’ine serire qualche salutevole precetto, qualche riobile sentimento, qualche affetto gentile ; le quali cose tutte non vi so dire abba- stanza quanto goderei che passassero nell’ animo di que’ pochi o molti che mi leggeranno. Imperciocchè , mio carissimo, che im- porta che noi ci affatichiamo con prose e con versi a dilettare i 125 nostri simili, se poi non gli facciamo migliori ? ,, Egli mostra così di ben intendere il vero officio del poeta ( officio da cui si era molto deviato, ma a cuiil secolo vuole assolutamente che si ritorni) e captiva anticipatamente la nostra attenzione, Nella rivista del dicembre dello scorso anno. lodammo assai una prima sua epistola , che ci giunse alle mani, e fu probabil- mente la prima uscita dalla sua penna, poi ch’essa occupa il primo posto fra le cinque ch’egli aggiunge agli altri suoi versi, Or dob- biamo notare, per la verità, ch’ essa ci sembra la più poetica di tutte, qualunque ne sia la cagione, o la qualità del soggetto, © l’estro più spontaneo con cui fu composta. Nelle quattro seguenti però quello che manca o di vivacità o di vaghezza è compensato abbastanza dalla bontà de’ sentimenti, E ben ciascuno può argo- mentarla ove legga soltanto questi versi della terza epistola: E se il modesto stato ahi !non m’assente Terger, siccome il buon desìo vorrebbe, La mal celata lacrima sul ciglio Dell'infelice , almen questo conforto Non mi torrà: di lacrimar con esso ; © s’ incontri in pochi altri dell’epistola che vien di seguito = Però a questi sospiri e a questi pianti Più che a’densi teatri e a’tardi balli Frequente assisto ; non perchè diletto Mi sia degli altri il lagrimar, ma solo Perchè bella fra pianti e fra sospiri La pietà 6’ alimenta e sempre mite Si fa quel cor, cui da’ suoi giovani anni Erudia la sventura a le sue scole. Quindi la pietà è celebrata dal poeta nell’ultima sua epistola come il più prezioso de’sentimenti, come quella che dà insieme origine e pregio alla più nobile beneficenza; Chè il versato tesor non è sì caro A chi sul proprio mal sospira e piange, Che a lui più cara la pietà non torni Di chi sui mali altrui piange e sospira: Da tre citazioni d’un colore somigliante chi legge non si argomenti che le epistole del sig. Paravia non abbiano che un solo colore. Il dominante , sicuramente, è non so qual colore di mestizia, ordinaria compagna della bontà delicata e della tenerezza degli affetti; ma esso non ne esclude certa varietà. Ove non si trattasse di epistole, potrebbe forse notarsi che il poeta parla troppo di sè, e non si abbandona tanto alle proprie commozioni , che non pensi all’ idea vantaggiosa che queste daranno di lui. Ma egli è ancora in quell'età 126 in cui si desidera vivamente d’interessare; ed è gran lode per lui e per le amabili persone a cui indirizza le sae epistole che cerchi &i riuscirvi coll’attrattiva de’sentimenti più virtuosi. A misura che, avan- zandosi negli anni e nella cognizione delle cose , egli uscirà sempre più disè stesso per occuparsi de'tanti e sì urgenti bisogni degli uomini, il campo della morale, ch'egli sembra avere prescelto al suo poetare, gli si aprirà innanzi più largo , e i suoi versi , non ne dubito, scor- reranno più franchi e più caldi. Se l’arte si perfezionerà in lui coll’esercizio, il suo talento poetico s' ingrandirà colla grandezza delle sue vedute e col suo zelo per la grande causa del genere umano. Prose di Pietro BeMzO intorno alla volgar lingua. Milano , Silvestri 18af.in 12.° Regole ed osservazioni della lingua toscana di SALVADORE Con- TICELLI. Milano , Silvestri 1828 in 12.° Della lingua toscana , dialoghi di GiroLamo Rosasco. Milano , Silvestri 1824. tom. 2 in 12.° La lingua toscana , pervenuta nel secolo decimoquarto a quel grado mirabile di bellezza e di copia, a cui nessuna delle lingue inoderne potea per allora sperar di salire, avea invaghito di sé quanti spiriti gentili albergavano in tutta la nostra penisola. Lo studio , che di essa cominciò a farsi, fu interrotto , come ognun sa, nel secolo susseguente , per varie cagioni, fra cui annovereremo l’arrivo in Italia di tanti greci fuggiaschi e l’invenzione della stampa, onde ogni pensiero si rivolse ai tesori della greca e della latina letteratura. Ma al cominciare del deciiosesto fu ripre so con più ardore che mai; e le prose del Bembo, fra molte altre scrit- ture, ne sono un singolare testimonio. L’ illustre veneto non fu già, come altri asserì , il primo regolatore della lingua da lui chiamata volgare, per ossequio alle opinioni de’contemporanei, i quali non cre- deano lingua da letterati se non la latina, Dalla città di Firenze e da'suoi scrittori , egli dice quasi sul bel principio delle sue prose, indirizzandole al card. Giulio de Medici, hanno le leggi della lin- gua e principio e accrescimento e perfezione avuta. Egli fu dunque primo raccoglitore o espositore di queste leggi, che ai toscani , i quali n° erano autori e osservatori fedeli , era inutile proporre , ma che bene importava di far conoscere al resto degli italiani. Nel secolo decimosettimo , col gusto delle buone lettere , parve perdersi anche quello della buona lingua; e il male sarebbe forse stato maggiore, o ir- rimediabile se in Toscana il gusto delle buone lettere non avesse tro- 127 vata la sua difesa in quello della buona lingua che vi è naturale, Al- cuni eletti ingegni, come il Mambelli ed il Bartoli specialmente, cer- carono ,e per salute delle lettere e per,jamore della lingua da loro sì ben coltivata , di tener vivo lo studio di questa anche nell’ altre parti d’ Italia. Ma non ottennero d'essere così generalmente ascol- tati, come nel secolo prossimo , cioè dopo il risorgimento delle let - tere , frutto per avventura della riforma cominciata nelle scienze, fu ascoltato il Corticelli, maestro più compito del Bembo, e direi quasi più toscano di lui, guardando alla maggiore naturalezza con cui adopera la toscana lingua. Ho letto, non è gran tempo, o in qualche parte della grammatica del Romani o nella prefazione al suo dizionario de’ sinonimi parole di poca stima per l’autore delle regole ed osservazioni della lingua medesima ; nè me ne sono punto meravigliato. Il Romani, che pur era molto avanti nello studio della gramatica generale , e aveva analizzato filosoficamente il va- lore di molte parole della nostra lingua , mancava assolutamente di quello che può chiamarsi gusto o sentimento delle sue proprietà. Ora il Corticelli fu tutto il contrario : niente ideologo e tutto pratico , siccome portavano gli studi del tempo in cui visse, ma pratico sì eccellente , che tuttavia è preso per guida, e lo sarà, io penso, ancor lungo tempo dopo di noi. Che se egli sta bene accompagnato col Bembo, come quegli che più di tutti, dopo lui, servì a promovere fra i non toscani lo studio grammaticale della lingua; il Rosasco, suo intrinseco e spesso suo interprete, mi pare che stia anche meglio in sua compagnia. Il Corticelli è il personaggio principale dei dialoghi di questo scrittore, ove si spiega diffusamente quanto appartiene all'origine, all’in- dole e alle prerogative della toscana lingua, da ambidue tanto amata che nessuna cosa al mondo sembra che fosse loro più cara, Tutte le quistioni già agitate intorno ad essa fino del secolo decimosesto , e rinnovate nel nostro con tanto calore, sono trattate nei dialoghi con egual vivezza che erudizione; e, dopo quello che è si accennato, appena fa d'uopo d’indicare come vi siano risolute. Pare che il marchese Gargallo nella sua prefazione all' Orazio ponga il Rosasco fra coloro, de’ quali dice che cercano mercarsi la cittadinanza to- scana a prezzo d’ adulazioni verso i toscani. Qui si (tratta, come ognuno vede, di quella cittadinanza letteraria, cioè di quella aggre- gazione al corpo de’ conservatori della lingua, cui il marchese certa- mente non ha ottenuta adulando. Il Rosasco potrebbe aver fatto parlare il Corticelli, come dal Gargallo non si vorrebbe, intorno al primato de’ toscani in materia di lingua, piuttosto per gratitudine che per altre cagioni; dacchè quando scrisse i suoi dialoghi portava \ 128 già il titolo di socio dell'accademia della Crusca. Nel qual caso dire- mo che mai la gratitudine si accordò meglio coll’intima persuasione, giacchè gli argomenti, ond’ egli in tutto il corso de’ suoi dialoghi ci prepara ad accogliere le proposizioni che si notano specialmente nell'ultimo, doveano pur avere sal suo animo quella forza che hanno sopra quello di molti fra’suoi lettori. Il pieno encomio o trattato della lingua richiedea che il Ro- sasco ne discorresse ampiamente l’uso. vario che può farsene in qualunque o grave o piacevole materia. Il suo Corticelli , come ognun sa , si era distinto e come gramatico , dettando le sue regole ed osservazioni della lingua, e come retore scrivendo i cento di- scorsi della toscana eloquenza. Parve dunque naturalissimo al Ro- sasco il fargli sostenere la doppia parte e di grammatico e di retore, e dobbiamo lagnarci anzi col suo tempo che con lui, se la se- conda non vale la prima. Non parlo della poca destrezza , con cuì è posta in bocca del Corticelli tanta retorica, Il buon Rosasco mo- stra di acorgersene egli medesimo e di provarne un po’ di rossore, poichè cerca alla meglio di giustificarla. Ma la sua giustificazione migliore è nel vizio intrinseco di tanta rettorica, giacchè non so qual destrezza potesse bastare a renderla men noiosa. Chi però non avesse pronti gli scrittori greci e latini, ond’ essa è desunta , o bra- masse trovar raccolti e volgarizzati con certa elegante facilità i loro principali pensieri sull’ arte del dire, può tenersi ben cari que- sti dialoghì del Rosasco. L’età , in cui egli visse, era pur troppo età senza nerbo e-senza colore; nè quasi poteva allora aspirarsi nelle lettere che al vanto della pulitezza e dell’ erudizione. Questa puli- tezza intanto ci salvò il gusto, e quest’erudizione ci salvò i forti pensieri e i generosi sentimenti , di cui era piena l’antichità, Se mai nella prima metà dello scorso secolo vi furono in Italia spiriti ga- gliardi , certo il Corticelli e il Rosasco non furono tra questi. Pure chi brami vedere ciò che abbia sempre potuto sopra gli spiriti lo studio degli antichi guardi al paragrafo vigesimoquinto del terzo di questi dialoghi, ove si adducono i motivi perchè non siasi ancor veduto un Cicerone fra noi, Ivi è curioso sentire il buon Corticelli che taciteggia , se così posso esprimermi, più di Tacito stesso, sup- posto autore del dialogo della perduta eloquenza ; e si accalora e gli oppone il rara temporum felicitate ubi sentire quae velis , et quae sentias dicere licet; sentenza che di ispira tanta fiducia fino dal principio delle storie di qael latino. È curioso il sentirgli citare gran parte dell’ ultima sezione di Longino , ove leggonsi queste parole : « Ma noi d’ oggidì sembra che allevati siamo fin da ragazzi in una giusta e legittima servitù, e ne’costumi e negli istituti di quella 129 poco meno che in culla fasciati, senza gustare il bellissimo e fe- condissimo fonte dell’eloquenza, dico la libertà. Perocchè a niun’al- tra cosa siamo buovi che ad essere magnifici adulatori. ,, Le grandi vedute degli antichi intorno al legame, che unisce la morale e la po- litica alla letteratura, sono riprodotte ne’ dialoghi, di cui si favella, colle parole medesime di quegli antichi , senza dei quali ben poco si sarebbero avanzati i moderni. Se oggi è lecito esclamare talvolta: qui nous délivrera des Grecs et des Romain; ; sarebbe grande scia- gura , che ciò si fosse esclamato in altra età. La filosofia delle let- tere , di cui mi sembrano ormai visibili i progressi anche fra noi, è il frutto delle antiche idee le quali, se non ci fossere state per secoli ripetute, oggi forse non sarebbero ancora fecondate. L'America libera , ode di G. Von MENTLEN. Lugano , Vanelli 1825 in 8.° Il tempo corre più che mai rapido. Quando Alfieri scriveva le cinque odi, a cui ci richiama il titolo della presente , era ben lungi dal pensare che La Fayette , visitando nella sua vecchiezza i campi ove giovane aveva militato al fianco di Washington, vi incontre- rebbe i commilitoni di un Bolivar, e celebrerebbe con loro l’amicizia delle due Americhe egualmente rinate alla libertà. In quell’odi il nostro gran tragico si mostrava pieno d’ indignazione contro la più potente delle nazioni, che abborrendo per sè stessa ogni servitù parea minacciarla a tutte l’ altre. L” ode del sig. Von Mentlen è un inno a quella potente, la quale dopo aver conceduto mal suo grado la libertà all’ una delle Americhe, or riconosce spontanea quella dell’altra. Alfieri, col cuore pieno di sinistri presagi, che in parte sì avverarono, terminava l’ultima delle sue odi, che pur doveva essere un canto di gioja, rappresentandosi il dispotismo, pronto a turbar di nuovo colle sue armi il vasto continente appena rasserenato dalla pa- ce. Il nuovo poeta pon five alla sua ode coi più fausti vaticini , rap- presentandosi i beni che dal commercio vicendevole debbono prove- nire ai due mondi,i quali,abbastanza vicini per giovarsi e troppo lonta- ni per nuocersi, non gareggieranno fra loro che d’industria edi civiltà. Quest’ ode non è notabile nè per artifizio, nè per altri pregi poetici, ma lo è pel calore de’ sentimenti. Perchè vi manca una strofa sul degno uso che l’America del mezzogiorno ha falto immediatamente della propria libertà, proscrivendo la tratta e la schiavità de’ mi- seri negri? Perchè nessun pensiero alla terra nativa di questi nostri fratelli, destinata, per quel che sembra, ad uscire fra non molto dalla sua barbarie e a dare novi membri alla gran famiglia di tutti T. XX. Dicembre. 9 130 i popoli inciviliti? La coloniadi Sierra Leona, onde la civiltà comincia a penetrare per mezzo del commercio nell'interno dell’Africa, potea ricordarsi dal poeta, e come uno de’ più bei titoli di gloria del- l’odierna Inghilterra, e come una delle più belle speranze degli amici dell’ umanità. Delle mutazioni de’ regni di OTTAVIO SAMMARCO , con un di- scorso di LIONARDO SALVIATI sopra quelle del governo di Ro- ma. Milano , Silvestri 1825 in12.° Benchè il carattere dell’ argomento trattato dal Sammarco , dicono gli editori della sua opera’, fosse tale che permettesse al più severo intelletto di spiegare il più gran lusso d’ erudizione , egli amò piuttosto con temperata scienza impegnare l' altrai giudi- zio a riflettere, che frastornarlo ed opprimerlo con importuna loqua- cità. Nessuno certo,essi proseguono, lo avanzò nell’ uso degno ed autorevole de’ fatti somministrati dalla storia. Questi però sono da lui piuttosto accennati che dichiarati ; e si direbbe talvolta ch'egli sdegni la cura di connetterli, per non rompere l'ordine de’ propri pensieri. Ma ciò che rende le sue civili specalazioni più rispetta- bili è il sentimento che gaidalo d’an’incorrotta morale. ‘ Egli è pur dolce veder l’ ingegno di quest’ autore continuamente aggirarsi per argomenti di confusione e di scandalo , ma sempre curar l'or- dine, raccomandare il riposo, allontanare ogni storpio che mai po- tesse venire da tristi affetti alla pace delle nazioni. Quindi lo sti- le, che d’ordinario è conciso e placido, alcuna volta s’ infiamma di nobil ira, ed abbandonasi al fremito della virtù. Ei non ha certo la dottamente variata soavità de’ numeri d’Ansaldo Ceba, e molto meno la nitida e schietta sua purità, talmentechè può av- venire che, in esso a caso incontrandosi , abbiano di che rincre- sparsi le schife orecchie de’ retori. Ha tuttavia quell’ armonica gra- vità, che pel carattere di nostra lingua si associa spontaneamente all’indole de’ concetti, quando la mente li genera con ordine con- veniente al senso profondamente ispiratole dalle cose ,,. Quanto al discorso aggiunto , in cui si ricerca onde avvenne che Roma, non avendo mai provato a viver libera, potè mettersi in libertà, ed avendo perduta questa non potè mai riacquistarla , pare , dicono gli editori medesimi , che il Salviati si fosse pro- posto di gareggiare coll'Ammirato ragionando sopra Tacito, e d'imi- tare Machiavello in ciò che scrisse sopra Livio. Ma la immatura morte, che il tolse di cinquant’ anni alle risse grammaticali, ruppe anche il filo de’ suoi disegni politici, onde non ci rimane altro è “ 131 frutto di essi che il discorso di cui si tratta. ‘ Qual relazione l’unisca all’ opera del Sammarco lo mostra l’ opera stessa , la quale invita frequentemente a riflettere sui due politici avvenimenti, che dal Salviati espongonsi per avverare i principj.,, che partorirono effetti così fra loro dissimili, che mentre il primo fu a Roma ori- gine d’inestimabile grandezza , l’ altro fu al mondo causa di pianto infinito. Che se da questo discorso deesi inferire che Tacito mai non avrebbe eccitato così profondo e sublime ragionatore che Li- vio ( qui si è forse voluto dire@mai non avrebbe avuto nel Sal- viati un commentatore simile a quello che Livio ebbe in Machia- velli) dobbiamo peraltro apprezzare l’ ordine , la chiarezza, 1’ in- genuità e soprattutto ammirare quella, di cui il Salviati è mae- stro, non diremo attica venustà ma fiorentina eleganza. Sia pure per molti l’ Infarinato un nome da far paura ai grammatici, Noi siamo certi che i più ritrosi alle grazie di nostra lingua sapranno coglierne in questo ragionamento il fiore , che se non move nell’al- tre opere dell’ autor suo diletto eguale , colpa non è certamente dell' idioma gentile, ma de’ concetti squallidi a cui prestò le ma- niere. Imperocchè le parole non sono che segni dell’intelletto , e l’ orazione avvivasi del pensiero ,,. Il perfetto cavaliere, opera d’ ANTONIO LocaATELLI. Milano , Son- zogno 1525 in 4° con tavole miniate. Una città edificata per mausoleo d’un cavallo certo è una stranezza gigantesca, assai più insultante per la specie umana che nop la gran piramide inalzata per sepolcro d’ un re. Ma tutto doveva essere smisurato nel grande avventuriere , il quale piangeva perchè non vi fossero due mondi da concquistare, e voleva esser creduto , o fors’ anche si credeva , prole di Giove. Quel suo cavallo , indomabi- le ad ogn’ altra mano 4a alla sua, avea con lui passato l’ Isso soil Granico , il Cidno , il Nilo, il Jassarte, l' Indo, 1’ Idaspe, era il com- pagno delle sue imprese , e parea fatto per partecipare alle sue glo- rie. Ognuno de’ nostri giovani, che cavalcando abbia corso con Merita vanto i passeggi delle nostre capitali, si sente pel proprio ginnetto il cuore d’Alessandro. Ed io non me ne meraviglio niente più che dell’ arabo del deserto , il quale vive per così due in una perfetta fratellanza col suo cavallo, agile, focoso, instancabile, e sprez- zatore, com’esso, d’ ogni pericolo. Quella, che si pena ad intendere da chi non conosca per propria esperienza i piaceri del lasso, è la pas- sione pei cavalli. Quando passate lango il Brenta andando a Vene- 132 zia o tornandone, e vedete quel palazzo inalzato da un gentiluomo a’ suoi barberi , danesi, andalusi o d'altra razza, voi cercate na- taralmente qual sia fra essi il suo prediletto, per trovar ragione dell'onore compartito agli altri. La passione per un bello e brio- so cavallo, che vi porta come il vento, che vi attira tutti gli sguardi, che pare si studii co’ suoi movimenti di accrescere grazia alla vostra persona, che sdegna ogn’ altro freno che il vostro , che risponde alla vostra voce , che mostra intendere i vostri voleri e i vostri affetti, è passione ben naturale. Questa passione si accresce a misura che i pregi del vostro cavallo attestano il vostro discernimento e le vostre sollecitudini. E già non vi è bravo cavallo senza bravo cavaliere. Il cavaliere perfetto , secondo l’idea che ne porge nella sua opera il sig. Lo- catelli, sarà quello che alla più compita cognizione di quanto si appartiene alia natura del nobile animale , in cui si compiace , uni- rà il più squisito esercizio in tutto ciò che riguarda il suo maneg- gio. Tale veduta abbraccia tutta quanta l’ippologia. Quindi nel- l’opera di cui si parla voi troverete quanto può soddisfare la vo- stra curiosità scientifica ed erudita intorno al cavallo, e quanto può giovarvi a ben addestrarlo , cioè tutto il meglio che può rac- cogliersi intorno a quest*’animale dai naturalisti, dagli storici e per- fino da'poeti;e tutta la teorica di quella che chiamiarho cavallerizza. Ma un eccellente cavallo , come tatto ciò che nel mondo ba van- to di eccellenza , è cosa assai delicata. Esso è minacciato di conti- nuo da quella natura stessa che tanto lo privilegiò. Dopo l’ uomo, per ciò che sembra, è fra tutti gli animali il più soggetto a fatali infermità; cuiimporta conoscere quanto importa il conservarlo. L’opera del sig. Locatelli racchiuderà perciò, oltre più altre parti scientifiche, l’igiene e la veterinaria del cavallo , ossia l’arte di mantenerlo sano e di guarirlo ammalato. Questa e ogui altra parte discorsiva dell’ opera stessa, componendosi di estratti d’ altre opere stimate magistrali , non ha d’uopo che se ne dica davvantaggio per conciliarle nel publico buona aspettazione. La parte fatta per gli occhi,se possiamo ben giudi- carne dai tre fascicoli che abbiamo dinanzi, deve riuscire assai bril- lante. Questi fascicoli contengono nove tavole, ove si veggono al- trettante delle più belle specie di cavalli, disegnate e incise quasi tutte o dietro natura o dietro celebri dipinti dal sig. Locatelli, il cui valore è abbastanza conosciuto , e winiate per quello che ci sembra con molta vaghezza , benchè non si oserebbe dire con egua- le verità. Fra i nomi de’ loro disegnatori troviamo con piacere quello del sig. Palagi, dipintore di quel merito che ognuno sa. Il l' 133 sig. Locatelli ci dà in esso un nuovo pegno della cura che ha po- sta nel rendere l’opera sua degna dell’approvazione degli uomin! intelligenti. Ei la dedica ad uno de’ giovani principi Belgiojoso , lodando in lui l’ingegno penetrante e quella brama di sapere, che lo por- ta ad alternare gli studj utili cogli esercizi piacevoli. “ Che se , gli dice, rimaneva inoltre che il libro portasse in fronte un nome splendido ed illustre, io ben l’avea trovato e pienamente nel vo- stro. Se non che in voi, che vantate una prosapia delle più co- spicue della patria nostra, io ammirai più volentieri l’animo ve- racemente nobile che vi distingue, per cui non solamente vi di- mostrate ma vi sentite l’eguale d'ogni uomo d° onesti e gentili sensi dotato ,,. Ho trascritte testualmente queste parole , poichè mi sembrano un documente perla storia dello spirito umano. In una de- dicatoria, specialmente, esse debbono apparire così nuove quanto sono onorevoli e per chi le usa e per chi le riceve. Anche il titolo del- l’ opera merita qualche considerazione , poi ch'esso pure addita un gran cangiamento nelle comuni idee, Ciò che importasse perfetto cavaliere a’ tempi feudali nessuno lo ignora. Ne’ tempi repubbli- cani, che loro succedettero , potea significare per alcuni ottimo soldato a cavallo; per tutti gli altri non avea sicuramente che il vecchio significato. Indi, fino quasi ai nostri giorni, trovandolo scritto in fronte ad un libro, voi l’ avreste preso per sinonimo del perfetto gentiluomo di Graciano o del perfetto cortegiano del Ca- stiglione. Oggi lo prendete nel suo senso più semplice e più an- tico, e al complesso delle idee , a cui simile titolo corrisponde nel vostro pensiero , non aggiugnete di moderno che l’ idea d’un poco di scienza. L’età nostra è invasa da questa singolare opinione, che per far bene si debba saper bene quello che si fa; o in altri termi- mi che la scienza sia indivisibile da ogni perfezione. L’ inondazione di Pietroburgo, canti quattro d’' ANTONIO MEZ- ZANOTTE. Perugia, Baduel 1825 in 8.° Poco è mancato che questo poemetto , al suo primo diffonder- si fuori della patria dell'autore, non ci colpisse di doppia tri- stezza , ravvivando una terribile rimembranza e facendo insieme una dolorosa allusione. Il 2t ottobre di quest'anno la capitale della Russia è stata, come ognuno sa, minacciata dell’ istesso di- sastro , che il 19 novembre dello scorso anno la coprì di tanto lutto. Fortunatamente, quando il pericolo sembrava più imminen- 134 te e lo spavento era più grande, rinacquero a un tratto i moti- vi della speranza, e questa non fu delusa. Il pensiero frattanto del nuovo pericolo ci rende in qualche modo più attenti al poemet- to che ci rammenta il passato disastro. Pochi temi più poetici di questo saprebbero oggi proporsi a chi brami lasciare ne’ suoi versi una traccia distiota dell'età in cui vive, o a chi per comporli creda aver d’uopo di una vera commozione. Può dubitarsi pe- raltro se lontano da Pietroburgo, o non conoscendone minutamente ogni particolarità , sia facile dipiogerne l’ inondazione d’ un modo che non sembri o debole o indeterminato. I due primi canti del poemetto , infatti, destinati particolarmente a metterla sotto gli occhi della nostra fantasia, mancano troppo di quello che chia- masi color locale, e potrebbero con lievissimi cangiamenti appli- carsi a molt'altre inondazioni. I due seguenti, in cui è celebrato il coraggio d’ alcuni prodi a salvezza di molti derelitti, e la pie- tà del monarca verso tanti infelici a cui l’ estrema miseria avreb- be fatta o perdere più infelicemente , od odiare la vita che fu loro serbata , hanno.in sè qualche cosa di più particolare, che v’inte- ressa assai più vivamente, Nel canto terzo, per esempio, chi non si ferma volentieri a que’ versi che il poeta consacra all’ ajutan- te Beckendorff, il quale si precipitò più volte nell’ acque, sot- traendo al naufragio or uomini ora navi, finchè oppresso dalla stanchezza giacque svenuto nel palazzo imperiale, ove Alessan- dro lo fece coprire delle proprie vesti, gli porse di sua mano una bevanda ristoratrice , e lo decorò d’ insegne che attestassero a tutti il suo amore e la sua ammirazione per lui ? Chi nel canto seguente non torna a que’ versi , ove si ricordano le singolari nutrici date dal monarca ad alcuni orfani bambini, e la commissione istituita per sovvenire agli adulti, e di cui pose a capo il principe Kourakiu, scrivendogli : ‘ io per quanto posso darò soccorso agli indigenti, che haono diritto alla mia paterna protezione ; i sentimenti di pietà e di vero amore del prossimo vi guideranno in questa grand’ ope- ra di beneficenza ,,? Se non c’inganna la nostra commozione, questo quarto canto è il meglio di tutto il poemetto. Noi ci a- stenghiamo dal dire ciò che in tutti quattro ci è alquanto dispia- ciuto, poichè non possiamo indicare cosa che ci sia grandemente piaciuta. 135 Viaggio ai tre laghi, Maggiore, di Lugano e di Como scritto da CARLO AMORETTI, colla vita dell’autore scritta da Gio. LABUS. Milano, Silvestri 1824. in 12.° Eccoci alla sesta edizione di questo viaggio abbastanza conosciuto. Essa dà naova forza alla sentenza d'un erudito, citata dal dott. Labus nella vita dell'autore: essere il viaggio ai tre laghi uno” di que’libri, che bene ideati e per così dire hene architettati da prima si continueranno forse a migliorare e a ristampare per più secoli, si leggeranno avidamente da tutti e passeranno alla più tarda posterità ,,. Questa nuova edizione ha in confronto delle antecedenti il pregio d’essere la più conforme alla mente dell’autore, poichè fatta sopra un esemplare ove trovansi le sue ultime cor- rezioni. Ricorrette son pure le note erudite che la fregiano, e di cui il biografo avea già corredata la quinta. Allorchè quell’ edi- zione uscì in luce, un giornale, se ben mi ricordo, gridò contro tali note, piene, come ognun sa, di antiche iscrizioni latine. In- tendo bene che a molti le antiche e latine iscrizioni non impor- tino niente più che ad una bella i calcoli algebrici o le formole de’causidici, Ma poichè ad alcuni son care, e il trovarle a piè di pagina, ove occupano moderatissimo spazio, può risparmiar loro e passi e ricerche talvolta noiose, godiamo del loro comodo, che a noi non costa verun disagio, Del resto quelle iscrizioni, raccolte con molta dil.genza ed illustrate con molta perizia, non sono punto fuor di luogo nelle note ad un viaggio come questo ai tre laghi. Poichè, sebbene sia viaggio più da naturalista che da erudito, pure è ‘fatto in modo che debba piacere all’erudito niente meno di quel che piace allo studioso della natura. L’ erudizione e le lettere, siccome il dott. Labus ci narra , farono coltivate dall’ Amoretti quasi al pari delle scienze . Solo farono da lui coltivate in tempo diverso, o piuttosto furono in di- versi tempi coltivate diversamente. Poichè, dopo aver dato loro tutti i pensieri della prima gioventù, ei parve in seguito non occu- parsene che per farle servire alle scienze, a cui si era partico- larmente dedicato. Il nome dell’Amoretti si associa a tutti i nomi più rispettabili, che ci ricordano il cominciamento del regno delle scienze nella capitale della Lombardia, ove ci teniamo certi che mai non verrà meno. Prima dell’epoca dell’istitato italiano, a cui ‘ogni cuore gentile augura pronti compensi di tante perdite fatte in questi ultimi anni, la storia ci addita l’epoca memorabile della società patriotica di Milano, di cui la buona e saggia Maria Te- NESTOR 136 resa fu istitutrice e ricusò d'essere protettrice per non scemarle la libertà , e da cui l’ Amoretti ancor giovane venne scelto per segretario. Cio è un dire abbastanza ch'egli fu de’più potenti coope- ratori alle fatiche di un corpo laboriosissimo, a cui l’istruzione, l'industria, l'economia, il publico ben essere debbono tanto. La società patriotica è considerata dal Verri, come si nota dal Labus, il compimento di quanto fece la benemerita imperatrice «pel ri-. sorgimento della Lombardia, Le sue liberalissime istituzioni, egli dice, sarebbero forse tornate meno proficue, se non avesse altresì raccolta quell’unione d’uomini valentissimi in ogni genere di scien- tifiche discipline, i quali animati dalla gloria più nobile di tutte, ch'è il bene pubblico, mediatori si fecero tra il dotto fisico ed il meccanico operatore, ed ispirando nella classe meno colta del popolo quel soffio di vita che le arti più utili , comecchè dette infine, dalle più sublimi ricevono, presentarono all’agricoltore , all’argentiere, al legnaiolo, più in breve all’artigiano, de sublimi verità temperate al senno dalla moltitudine, ed appianate al livello della sua capacità ,,. L’ Amoretti , come potrà vedersi nelle sua vita, fu sempre fedele al mandato dell’ illustre Maria Teresa; fa sempre, anche spenta la società patriotica, un membro attivo della medesima società. D'una gemma etrusca del museo reale di Parigi e dell’ etrusca numerazione, discorso di F. OnIOLI. Bologna, Nobili 1825. in 8.° fig.” La testa del bravo Orioli è piena di varia e sicura dottrina. Ei professa fisica nell’università di Bologna, ma non so quant’ altre cose potrebbe professare in qualunque università. Quelle parti d’erudizione più recondita, che per altri sarebbero una grande oc- cupazione, per lui non sembrano che un trastullo. Poco di certo si sa della storia degli etruschi; meno ancora della loro lingua e de’ loro studi. L’ Orioli non solo ne sa quello che finora se n° è scoperto; ma, ogni volta che vi ripensa un poco a suo agio, mette i dotti sulla via di scoprirne di più. Con questa frase misurata fo per così dire la corte alla sua modestia, poichè i dotti gli davno ben maggior vanto. Varie sue scritture già conosciute at- testano ch'egli vi ha dritto; l’ultima, che qui si annuncia, non può che renderlo ancor più manifesto. Nella cinquantesimaquarta delle tavole, che compongono l’a- tlante, onde si adorna l’Italia del nostro Micali, vedesi il disegno d’una gemma etrusca del museo reale di Parigi, singolarissima | 137 fra quante se ne conoscano, e di cui nonsi era ancor data spie- gazione. Essa rappresenta un uomo sedente innanzi ad una piccola tavola di tre piedi, su cui sono gettati tre piccoli globi all’ uno de’ quali ei stende la destra, mentre colla rnanca sostiene una ta- voletta, segnata nella sua parte visibile da otto caratteri. Ove la leggenda che ha intorno non la dimostrasse etrusca, guardando al buon garbo con cui è lavorata, si prenderebbe per greca; e l’Orioli infatti inclina a crederla degli ultimi tempi dell'Etruria, quando sicaramente erano in questo paese penetrate l’ arti della Grecia . La leggenda è da lui interpretata per Abecar o Abacarius cioè calcolatore , i piccioli globi per abacali o calculi vitrei , come i latini li chiamavano , e gli otto caratteri per cifre numeriche , d’alcune delle quali è da lui assicurato il valore, e d’ altre con- getturato. , Una cosa, come ognuno può accorgersi , riceve in questa gemma gran lume dall’ altra. Gli abaculi e gli altri indizii di calcolo agevolano la spiegazione della leggenda , e lo scoprimento dell’appellativo onde fra gli etruschi denominavasi il calcolatore. La leggenda spiegata assicura il significato generale degli otto caratteri, di cui più non resta che a cercare il particolar valore numerico. Qui però cominciano per l’illustratore tali difficoltà, che un mediocre sape- re non gli basterebbe a vincerle. Ei deve entrare nel sistema dell’etru- sca numerazione, il quale, come ognun sa, è tuttora sì oscuro, e impaurisce chiunque gli si accosti per rischiararlo. Il nostro Orioli però fa rinascere la speranza che il giorno de’ grandi rischiara- menti non debba essere lontano. Dandoci in disegno la gemma di cui si tratta, ei ci dà pure una tavola preziosa la qual contiene tre serie di cifre: quella cioè delle elementari onde componsi la numerazione etrusca finor conosciuta ; quella delle loro combina- zioni più ordinarie; e quella d’altre meno frequenti, cui la gemma lo aiuta a determinare. Io non posso ‘recar qui verun saggio dei ragionamenti, con cui procede alla formazione in ispecie di que- stultima serie. Dirò soltanto il loro risultato, che sembrerà a tutti ben importante , poi ch'è lo scoprimento della nota numerica del 100, e di quella del 500 finora ignorate. Del resto, egli conchiude» è possibile che nuovi monumenti accrescano o modifichino il mio catalogo, e prego i lettori che, mentre ciò si aspetta, s’acconten- tino del pochissimo che loro potei dire. Noi lo ringrazieremo vi- vamente di questo pochissimo , che val bene il moltissimo facile a dirsi in altre materie, 138 Enciclopedia domestica, 0 raccolta d’istruzioni concernenti l’arti, i mestieri , l’economia ec. compilata da A** F** e tradotta dal francese. Milano, Giusti 1823—25, tomi @ in 12.° \ Giorni sono, alla tavola modesta del ristoratore dello Scudo di Francia, ove alcuni artisti e uomini di lettere si trovano spesso riuniti, cadde il discorso intorno alla nostra maremma e alle vipere che talvolta vi s° incontrano. Uno de’ commensali narrò di certo contadino che morso da una di esse nel pollice d’una mano, im- pugnò coll’altra la sua falcetta, e immediatamente se lo tagliò. — Che coraggio! fu questa, come doveva essere , l’esclamazione uni- versale.—-Sì, che coraggio ! io replicai dopo un momento di si- lenzio, a cui mi obbligava la mia ammirazione, ma che disgrazia che il coraggio manchi quasi sempre quando bisogna, e si abbia quando non bisogna! Una forte legatara al disopra della parte morsa bastava, come vedete, ad impedire che il veleno della vipera si comunicasse col sangue al resto del corpo, e salvava il dito del bravo contadino. —Oh i contadini non sanno più là; ed è gran cosa che questi avesse udito qualche ragionamento o qualche rac- conto, per, cui prevenne con un male più piccolo un male più grande.—Che peccato, dirò dunque, che i contadini non siano più istruiti!—Sì, ma ad istruirli, signor mio, come si fa?— Io conosco alcuni valentuomini, che vanno pensando seriamente ad un gior- nale, atto a diffondere fra essi tutte le cognizioni che loro biso- gnano maggiormente intorno alle cose agrarie e domestiche , alla condotta della vita, alla cura della salute. Intanto mi pare che non manchino libri elementari, i quali, scompagnati dal giornale, ne farebbero in parte le veci, e accompagnati con esso lo ren- derebbero più utile. Vi nominerò un’opera appena finita di stam- pare, ov'io ho letto ciò che si diceva pur dianzi della stretta le- gatara in caso di morso viperino, e cento altre cose meno co- gnite di questa , e importantissime a sapersi dalla gente di cam- pagna. Essa porta il titolo d’Enciclopedia domestica, è tratta da molte opere d’uomini insigni, Appert, Berthollet, Chaptal, Fourcroy, Parmentier, Thénard, Virey, e tradotta da un vero valentuomo, il quale, benchè dica di non aver preso a guida il vocabolario della Crusca, si è studiato d’usare quanto meglio poteva la lingua registrata in questo vocabolario, ed ha cercata all'uopo quella che vi si registrerà. Quindi la sua versione deve fuori di Toscana es- sere accolta come un picciolo tesoro di parole proprie d’ un uso giornaliero, che molti senza di essa non avrebbero mai sapute; e 139 in Toscana deve sembrare pressochè indigena. E alla bontà della lingua corrisponde in essa la chiarezza dello stile , quale si cun- veniva ad un’opera, che, non intesa facilmente, sarebbe affatto inutile. Ma l’intenderla, direte, non dipende solo dallo stile: di- pende molto più dalla qualità deli cose , le quali essendo tolte alle scienze debbono per la maggior parte de’lettori , e de’conta- dini specialmente, riuscire oscure. Confesso, amici miei , che gli zotici e gli stupidi, se v'è fra questi chi sappia leggere, non capi- ranno dell’enciclopedia domestica più che capirebbero della me- todica o di quella che chiamasi grande. Ma gli zotici e gli stupidi sono così rari in Toscana, com’ erano e sono rari in Grecia. Nel nostro contado , ove si cantano e si gustano le ottave del Cecco da Varlungo, e s’improvvisano versi d’indicibile grazia e di giustis- sima misura, può bene intendersi un articoletto sulla maniera di conservare il radicchio , o di far l’acqua di spigo. Quanto a cose di maggior rilievo e difficoltà basta che le intendano i pochi, per- chè in breve tempo le sappiano i molti. Qui i fattori, altrove i fittainoli, ove ne entrasse loro in cuore l’ onesta ambizione, potreb- bero farsi i principali maestri delle laboriose popolazioni che da loro dipendono. E più di essi il potrebbero quegli uomini rispet- tabili, a cui è già affidata l’istruzione religiosa e morale, e a cui nessun bene è impossibile nelle campagne . Fra essi la Toscana conta de’ maestri sommi dell’opere rurali; altre parti d’Italia ne contano d’assai distinti. Perchè il loro numero non potrebbe ac- crescersi dappertutto, e alle loro cognizioni agronomiche non po- trebbero aggiungersene molte altre, che diffuse gradatamente in- torno a loro accrescerebbero di tanto ‘il ben essere di tutti ? Il re d’ Olanda ha istituito ultimamente un collegio filosofico, ove i giovani cattolici destinati al ministero sacro possano studiare la - scienza della natura; e i più dotti ecclesiastici si sono affrettati a fargliene solenni ringraziamenti con quell’indirizzo che abbiamo veduto in quasi tutti i giornali. Quel collegio probabilmente era necessarissimo nel Belgio. Altrove le cattedre delle università, i buoni libri elementari che si hanno in copia, la conversazione facilissima cogli scienziati, che non sono scarsi, potrebbero tenerne luogo. Io mi vo imaginando in tutti i parochi di campagna un sapere esteso e sicuro , niente per loro difficile ad acquistarsi. L’Enciclopedia domestica diverrebbe allora una specie di testo a molti discorsi e a molti piccoli esperimenti, che, ne’giorni di ri- poso particolar mente, empirebbero alcune dell’ ore che avanzano agli escrcizii della religione, e convertirebbero Ja picciola piazza ombreggiata dagli alberi, che d’ordinario sta innanzi alle chiese cam- 140 pestri, in una specie di rustico ateneo, To non sono in grado di decidere se quest’ Enciclopedia valga in ogni sua parte ciò che dovrebbe , per servire potentemente all’istrazione po polare. Come le scienze fanno ogm giorno qualche progresso, ogni giorno sicuramente debbo- no accrescersi i mezzi di perfezionarla. In proposito, per esem- pio, de! morso delle vipere, le belle esperienze del dottor Bar- ty, replicate dall’ accademia delle scienze di Parigi , hanno mostrato ultimamente che a guarirlo sono efficacissime le ven- tose. Resta a provarsi che lo siano del pari a guarire il morso de’ serpenti e di tutti gli animali rabbiosi come l'analogia vuol che si creda. Ove anche ciò sia provato , ecco materia di due o tre aggiunte importanti all’Enciclopedia domestica, a cui ne bisogne- ranno, mi figuro, ben molte altre qualora si ristampi. Basta intanto, perchè si raccomandi qual opera utilissima, ch’ essa contenga quasi tatto il meglio di ciò che già si sapeva fino a pochi anni addietro intorno alle cose in essa trattate. Queste cose sono in gran numero : argomentatelo da quello degli articoli che giungono quasi a tremila. Io vi ho parlato dell’ Enciclopedia domestica, come d'opera che vorrei vedere diffusa fra i contadini; ma non la credo meno importante pei cittadini e specialmente per gli artigiani. —Di grazia fra questi annoverate anche coloro che eser- citano l’arte applauditissima della cucina?—Sì certo, e non du- bito che la piccola Enciclopedia, regalata per ceppo al nostro risto- ratore, produrrebbe alla nostra tavola i migliori effetti, e ci farebbe chiamare benemeriti da tutti quelli che la frequentano . Del resto possiamo riguardare l’Enciclopedia medesima come una tavola ab- bondante insieme ed economica destinata a nutrire l’intelligenza del popolo , a cuiè bene farla conoscere perchè voglia approfittarne. Lettere di CArRLo ROBERTO DATI. Firenze, Magheri 1825 in 8° Bisogna unire queste lettere del Dati finora inedite alle al- tre edite da un pezzo, che trovansi nelle mesco/anze del Mena- gio. Noi le dobbiamo, come pocanzi molte lettere del Redi, alla ra- ra diligenza del nostro Moreni, che parte ne ha tratte dai codici della Magliabechiana, parte dalla collezione del conte Tomitano d’Oderzo. Sono esse quasi tutte del genere medesimo di quelle che il Menagio pubblicò , vale a dire filologiche. Il nome dell’ au- tore basta sicuramente a loro commendazione quanto alla dicitu- ra: quanto ai particolari del loro contenuto è probabile che si ami qualche ragguaglio, onde sapere se anche per essi meritino di venir ricercate. 14 Una delle accase date da più lungo tempo all’ accademia della Crusca è , come nota l’ editore nella sua prefazione , quella di avere trascurate le etimologie , difficilissime sicuramente a rintrac- ciarsi, ma importantissime per la filosofia della lingua. Se que- st’ accusa sia giusta il mostra, fra molt’altri documenti , una lettera del Dati al Menagio inserita nelle mescolanze, di cui poco sopra si è fatto cenno. Ma poichè ben pochi ne hanno tenuto conto, vengono opportune molte lettere al Falconieri e due al Marucelli, che tengono il primo luogo nella serie di queste inedite che an. nunziamo, Da esse ricavasi come il Redi ,il Chimentelli , il Pan- ciatichi, il Dini, il Bruni ed altri accademici , fra cui il Dati medesimo con più fervore di tutti, prima che il Menagio o altri pensasse ad origini italiane si erano occupati di un etimologico toscano. Nè i loro antecessori furono affatto alieni da questo stu- dio , di che si hanno gli indizii nella seconda edizione del voca- bolario. I motivi, per cui nella terza si posero interamente da banda le etimologie , sono esposti dal Dati al Falconieri, il quale ne avea mandate non poche per l’ edizione medesima al principe Leopoldo. Quelli, per cui dopo tante fatiche fu lasciata l’ impresa dell’etimologico non sono facili a congetturarsi. Pare tanto era negli accademici il desiderio di arricchirne la nostra letteratura, che sebbene a principio avessero veduto mal volentieri che il Me- nagio, da loro invitato a contribuirvi, prendesse a stampare da sè le sue origini, alfine tutti lo ajutarono, com’egli medesimo attesta , e nelle lettere del Dati se ne ha chiaro documento. Fra le poche al Marucelli e le molte al Falconieri, di cui si diceva , ne troviamo alcune del Chimentelli al Falconieri medesimo, a cui propone varj quesiti relativi ad una sua opera assai nota, la quale ha per titolo de honore diselli. Uno de’ più curiosi, di- ce il dotto editore, sì è questo : se i romani - pontefici, dopo il ri- torno d’Avignone, riassumessero nella cerimonia del loro esaltamento l’uso antico della sedia detta stercoraria da quel versetto biblico ec de stercore erigit pauperem , che gli anziani del sacro collegio pro- nanziavano sollevandoli con essa. Come la risposta si è perduta o giace occulta , l’editore cerca supplirvi, e prova che l’uso della sedia indicata fa riassunto nel 1485 dall’ ottavo Innocenzo , e di- smesso dopo il 1513, vale a dire dopo il possesso che Leon decimo prese del pontificato. Quella sedia (di cui lo Spanemio, il Banck e forse altri ci hanno dato il disegno) fa quindi trasportata nel chiostro della basilica silvestriana ove stette più secoli , finchè sotto Pio sesto passò al museo pio-clementino, e di là nel 1796 a Pa- rigi, d'onde me l'imagino tornata a Roma nel 1815. 142 Ricordando la vasta erudizione del Falconieri, l’ editore ac- cenna per incidenza la spiegazione d’ una gran medaglia degli Apa- mensi, in cui lo Zeno asserì ch’ egli avea dottamente vaneggiato. Quindi riflette quanto anche ai più eruditi sia facile il prendere abbagli, e passa con breve digressione a parlare d' uno assai re- cente , estraneo affatto a quello del Falconieri, ma su cui ci è uopo di trattenerci. Nell’ ultima rivista, rendendo conto d’un libriccio - lo intitolato alcune memorie di Michelangelo Buonarroti, mostram- mo di credere che quello, che il cav. Wicar e il prof. Sangiacomo giudicarono suo monumento nel chiostro della basilica de’ ss, Apo- stoli in Roma, lo fosse realmente. Sapevamo i dubbj espressi dal nostro Moreni nella sua illustrazione d’ una medaglia rappresentante Bin do Altoviti, che da:noi si citò. Ma que’ dubbj, fondati principal- mente sul silenzio degli scrittori, ci parvero di poca forza con- tro l’asserita somiglianza tra la figura semigiacente sul monu- menti e il ritratto di Mîchelangelo , per non dir nulla degli ac- cessori di quella figura, come l'abito d'artista che, giusta le in- dicate memorie, ne avvolge le membra, e gli emblemi dell’arti che la circondano. Il nostro Moreni, risuscitando la quistione, pubblica una lettera a lui diretta da un esperto archeologo , il sig. Ratti, la quale sembra fatta per dissipare ogni illusione. Secondo questa lettera, la somiglianza, che si diceva, è affatto supposta ; l’abito non è punto d'artista ma di cattedratico ; gliemblemi circostanti non si riferiscono già all’ arti , ma alla scienza dell’ anatomia. Quindi l’au- tore della lettera, appoggiato anche ad altre considerazioni che qui sarebbe lungo il riferire, pensa che il monumento di cui si tratta sia tato posto a Ferdinando Eustachio , celebre professore di medicina nella Sapienza di Roma, come lo fu Bartolommeo suo padre, il primo che introdusse negli spedali di quella città le di- mostrazioni anatomiche. Alle lettere sovrindicate , le quali, come dicemmo , si dirigono quasi tutte al Falconieri, ne succedono altre al card. Delfino autore conosciuto di tragedie oggi lette da pochi, ma da non obbliarsi per la storia dell’arte. Queste lettere si aggirano pressochè interamente sopra certi dialoghi filosofici scritti in versi dal cardinale, e sottoposti per ciò che riguarda la lingua al giudizio della Crusca, la quale com- mise di stenderlo al Dati suo segretario. Vengono in seguito altre let- iere al principe Leopoldo, fra le quali è notabile quella intorno alla riforma del teatro progettata dal principe medesimo, che avea scritti sovr’essa alcuni avvertimenti. Trovansi in questa lettera alcune idee che possono fare al proposito delle odierne questioni fra i classi» cisti e i romantici. Non dico nulla di poche lettere di complimen- 143 o al Colbert e ad altri francesi che aveano ottenuto al Dati i fa- vori di Luigi decimoquarto. La lettera a questo monafca , quella al duca Gustavo Adolfo di Meclemburgo, e l’altra a Cristina di Svezia, che lo avea inviato a Stocolma, provano |’ imbarazzo in cui sì tovano i letterati quando scrivono ai grandi, L’ editore , par- lando delia lettera al re di Francia , reca due sonetti inediti del Dati al re medesimo. Questi sonetti non mostrano sicuramente che il nostro epistolografo erudito fosse poeta. Nondimeno egli dettò alcuna volta versi felici, benchè di quel genere concettoso ch’era la passione del suo sede! I lettori si ricorderanno del sonetto sulla Venere di Coo dipinta da Apelle, il quale trovasi fra le note alla vita di questo pittore, e si distingue fra molti del secolo decimo- settimo. Dopo le lettere a’ principi ne vengono varie ad anonimi» in alcune delle quali il, Dati parla delle sue Veglie , opera assai dotta se dobbiamo giudicarne da qualche saggio che si conosce, e forse perduta, ove per accidente non si trovi fra gli scritti del Dati medesimo , di cui l’editore del codice bartaliniano di Dante ci ha fatta sperare la pubblicazione, L’ epistolario finisce con va- rie lettere al Magliabechi, sommamente beneficato dal Dati, il quale, come nota il nostro Moreni , lo trasse pel gran talento che vide in lui da una bottega d’ orefice , lo raccomandò caldamente ai principi, e lo avvicinò ai tanti nobili della sua patria, che ga- reggiavano allora nel coltivare le lettere e favorirne gli studiosi. Pare da queste lettere che fra il beneficato e il benefattore fos- se nato, probabilmente per opera di malevoli, qualche dissapo- _, re, ll Dati mostra in esse molta schiettezza e bontà d’ animo, che accresce il pregio de’suoi talenti. Molte particolarità si potrebbero notare in tatto l’ epistolario e nelle illustrazioni del suo editore, che desterebbero in chi legge non piccola curiosità. In alcune, per esempio, delle lettere al Fal- conieri parlasi dell’ aggregazione del Pallavicino alla Crusca, e del suo gran desiderio che la storia da lui composta del concilio di ‘Trento venisse citata nel vocabolario. L'editore cita in questo pro- posito una lettera del Magalotti, ove si assicura che il Pallavicino « stimerebbe un tale onore quanto il cardinalato. ,, In altre lettere al Falconieri medesimo il Dati si lagna dello sparlare che il Bartoli facea di lui, imputandogli molto male a proposito di volersi appro- priare l’ opera del Cinonio , che gli era stata mandata da rivedere. Su di che l’ editore facendo ì suoi commenti cita una lettera del Segni, il quale scrive al principe Leopoldo che il Dati ‘‘ avea in- contrato l’ inimicizia di tutta la monarchia gesuitica, avendo il ge- nerale al suo solito fatta causa universale della religione la privata 144 Msi querela del p. Bartoli. ,, In altre Îettere si trovano speciali ragguagli sopra alcune opere allora inedite di dottissimi fiorentini, come la Roma di Bernardo Rucellai, e la Meta//oteca vaticana di Michele Mercati, allievo del Cesalpino, che il Dati acquistò a caro prezzo, ma non ebbe mezzi di publicare, e i figli suoi cedettero a Clemente unde- cimo) per la cui munificenza fu magnificamente stampata colle note del Lancisi. In altre si parla di quel codice germanico della repw- blica di Cicerone, già altre volte da noi rammentato, e di un Dante postillato dal Tasso , che dicevasi essere in Roma, e che qualcuno di questi letterati avea veduto, In altre d’ un divertimento dato al card. Delfino nel suo passaggio per Firenze , cioè di un’accademia , in cui alle composizioni letterarie si frammischiarono le dispute scientifiche, interloquendovi i discepoli del gran Galileo, e special- mente il Rucellai e il Viviani. Ciò basti a porgere idea del piacere che il colto lettore può promettersi da tutto l’ epistolario. L’ editore , appassionatissimo come ognun sa per tutto ciò che attesta le dovizie della favella toscana, aggiugne alle lettere una cicalata inedita del Dati, la quale s'intitola dal nostro canto alla Cuculia,e promette al solo annunciarsi molta malizia e molta letizia. Essa è scritta non solamente con fiore d’elocuzione, come possiamo aspettarci dal famoso Smarrito autore del discorso sull’ obbligo di ben parlare la propria lingua, ma altresì con fiore d’erudizione, come possiamo prometterci da quello che il Redi chimava or Plutarco or Varrone della Toscana. Che sia pure scritta coll’ arguzia festiva di cui l'argomento era capace , noi non vogliamo assicurarlo. Que - st’ arguzia festiva, la quale fu prima ateniese e poi fiorentina , pare che al tempo del Dati diventasse parigina , per rimaner tale in per- petuo. Quindi se il nostro fosse tempo di cicalate , in nessun luogo sicuramente esse potrebbero farsi meglio che a Parigi. Anche là però nol potrebber che da pochissimi: ì Picard e i Jouy sono certi enfans gités de la nature, i quali è più facile che abbiano degli invidiosi che dei rivali. Ignoriamo se debba riferirsi al genere delle cicalate certo discorso intorno agli effetti del sonno nelle produzioni letterarie ivi recitato quest'anno all'apertura dell'Ateneo. Sappiamo però che nessun discorso è mai dispiaciuto più di questo. Veramente non potea scegliersi per recitarlo occasione meno opportuna. Dopo un discorso gravissimo di Beniamino Costant, la cui perorazione fece rinnovare le lagrime sparse qualche giorno innanzi sulla tomba d’ uno de’ più grandi cittadini, il generale Foy, ogni leggerezza quantunque spiritosa doveva sembrare insoffribile. Qui le cicalate non si recitarono mai nello studio publico , o dopo l’encomio degli uomini illustri , ma solo negli stravizzi accademici. Supposta però | 145 l'opportunità dell’occasione, anche in Parigi la cicàlata o prosa co- mica , se così vuol chiamarsi, deve riuscire la più difficile delle prose. In Firenze, al tempo del Dati, per ragioni affa tto estranee all’indole de’ fiorentini, essa era ancor più difficile. Se il Lasca o il Gelli , o altro di que' bizzarri ingegni del tempo antecedente fos- sero ancora stati al mondo, se ne sarebbero essi pure sgomentati. Il canto alla Cuculia porgeva un bellissimo destro di cuculiare cento cose cucaliabili. Ma quando non si può mostrare spirito senza pericolo della quiete che rimane , buon Dio , se non il divagare nei campi dell’ erudizione ? APPENDICE. Nel secondo articoletto di questa rivista, parlandosi d’ una prosa del Magalotti, la quale ha per titolo relazione della Cina ; si è detto che grazie agli immutabili costumi di quell’ impero essa ha tuttavia il pregio della novità. Nessuno, speriamo, avrà presa alla lettera la nostra sentenza un po’ ironica. In un secolo e mezzo, trascorso dal tempo in cui fa scritta la relazione fino a questo della sua ristampa, anche l’immutabilità cinese deve aver subita qualche modificazione. E l’ ha subita infatti, come può vedersi dal ragguaglio che siamo per aggiugnere, ma che pochi giorni fa eravano lontani dall’aspettarci. Tutto ormai si sa facilmente dal- l’uno all’altro polo del mondo, fuor che quello che accade nel celeste impero della Cina. Pure, malgrado la severa custodia de’man- darini, ha potuto uscirne e giugnere a Londra un libro poetico stam- pato l’anno scorso a Macao , e corredato d’ una statistica dell’ im- pero medesimo , la prima forse che siasi veduta in Europa. Da questa statistica è tratto il ragguaglio , che noi caviamo dal nu- mero 190 del Globo, a cui lo ha fornito un giornale britannico. Della sua esattezza vi sia pegno l’ autenticità della statistica indi- cata, e dell’ autenticità di quella statistica vi siano mallevadrici le leggi cinesi, che pupiscono qual delitto capitale ogni alterazione, benchè involontaria, dei documenti istorici e di tutto ciò che si comprende sotto il nome d’ atti del governo. «' L’' impero della Cina è diviso in venti provincie. Vi si con- tano 185 capitali ed altrettante città secondarie. « La somma delle tasse, che vi si riscuotono annualmente, arriva presso a poco a 265,316,000 franchi. Vi sono di più re- quisite ,. per alimento delle truppe e mantenimento de’ pubblici granai, 1,912,000 botti di grano e di riso { 26 milioni d’ettolitri) cioè la sesta parte all'incirca della ricolta. T. XX. Dicembre. 10 146 « Il servizio civile non costa che 28,984,000 franchi; mail militare è sei volte più dispendioso, poichè ne costa 167,072,000, Gli impiegati addetti al primo sono precisamente 9,611; gli uffi- ciali che regolano il secondo sono invece 7,552. L’ intero esercito forma la massa enor:ne di 1,263,000 uomini, 821,000 dei quali appartengono all’infanteria , 410,000 alla cavalleria e 31,000 alla marina. “ Fra gli articoli del bilancio trovansi 8 milioni per l’ opere che richiede il fiume giallo, 2 pei giardini d’Yuon-Ming , e forti somme per gli stipendj de’ ministri di stato di prima e seconda classe , i qaali non sono meno di 3,525. « Tutta l’entrata, così in danaro che in generi , si valuta di 595,693,000 franchi. A. questi bisogna aggiugnerne 13,36000 , che si riscuotono a Canton pei diritti d’ingresso e d'uscita delle navi inglesi ed americane , e formano con essi 609 milioni. L’ entrata dell’ Inghilterra , la quale non conta che 22 milioni d' abitanti, è salita nel 1824 ad 1 miliardo e 213 milioni , cioè al doppio di quel- la della Cina , la quale, secondo I’ ultimo censo , è abitata da 146 milioni di persone, due dei quali vivono sopr' acqua. « Le spese dello stato essendo nella Cina superiori all’ entrata, si cerca di supplirvi colla vendita degli impieghi, e pare che oggi, per l’ urgenza del bisogno , si badi assai poco alla qualità de’ com- pratori. Infatti si trascura perfino di richiederne il certificato , altra volta indispensabile, che nelle loro famiglie mai non abbiano avuto luogo nè spie nè ciarlatani nè meretrici, « Due ministri di stato hanno fatto all’ imperatore serie rimo- stranze su quest’abuso; gli banno esposte le estorsioni che commetto- no tanti magistrati mercatanti; gli hanno mostrato che il prodotto di tanti impieghi dati al più offerente non produce in diec’anni quello che consuma in un solo la corte dell'imperatrice ; gli hanno propo- ste delle saggie economie , sugli 800,000 franchi innanzi tutto che costa ogn’ anno il palazzo imperiale ; sui 960,000 assegnati ai temp) della metropoli ; sal 1,600,000, che si suol spendere in abbellimento de’ giardini della corte ; sui 4,;600,000 che importano i salarj degli impiegati in questi giardini; sui 2,000,000 infine che costano i regali dell’imperadore alle dame ne’ giardini medesimi, “ Dovessimo , di- cono i due leali e coraggiosi consiglieri , perire sotto la mannaja , 0 essere gettati in una caldaia d'olio bollente, noi sosteniamo che tanto danaro meglio impiegato rimedierebbe a molti mali del nostro paese, e gioverebbe alla sua prosperità ,,, L'imperatore, lungi dal punire il loro ardimento, ha dichiarato ch’essi aveano fedelmente adempito il loro dovere e ben meritato dalla patria, come que’ mi- | 147 nistri ohe pel loro amore verso di essa si erano resi celebri nell’ an- tichità. « Raccogliamo intanto il risaltato di questo ragguaglio, il quale ne fa conoscere l’impero della Cina meglio de’ più grossi volumi. « La popolazione di quest’ impero si uguaglia a tre quarti di quella d’ Europa. Essa è sì grande che il suolo non può bastarle, ed uno sopra 71 di quelli che la compongono deve stabilire la sua di- mora sull’acque de’ fiumi. L’ amministrazione è sì semplice che non . avvi se non un impiegato civile per 14,600 persone. L’ esercito consuma al di là del quarto della publica entrata. Pure non è sì numeroso che vi abbia più d'un soldato sopra 100 individui, ossia sopra 25 in istato di portare le armi. Gli officiali ( cosa notabile ) sono sì pochi, che appena se ne conta uno per 156 soldati. Di tutto l’esercito la metà è di cavalleria ; la quarantesima parte è di ma- rina. Le tasse in danaro ed in.generi non giungono pure al valore di 4 franchi per ciascun individuo. Dedotti i generi , si riducono a meno di 2 franchi, dacchè di tutto il denaro non si fanno 280 mi- lioni. In nessun paese del mondo si paga tanto poco. In Russia la tassa d’ogni abitante si valuta d’ 8 franchi , in Polonia di 9g, in Ger- mania di 16, in Danimarca di 20, in Francia di 30 , in Inghilterra di 74. 6 Noteremo da ultimo una singolarità ben rimarchevole. Il monarca del celeste impero , che regna dispoticamente sopra una popolazione cinque o sei volte maggiore di quella dell’ isole britan- niche , e che può fare a piacer suo gettare i suoi ministri in una caldaia d’ olio bollente, non può disporre della modica somma d’8 milioni di franchi, senza cagionare un vuoto nell’erario, e incon- trare un’opposizione , che stida i supplizi , e ch’ egli è costretto di rispettare. ,, M. ce>>oO ca». Grammatica compita della lingua greca di Augusto Matthiae, dottore in filosofia ec. volgarizzata, con aggiunte, da Amedeo Peyron professore di lingue orientali ec. Torino dalla stampe- ria reale. 1823. in 8. Vol. 2.° Fu anvunziato in questo giornale il primo volume di questa grammatica , e si palesò il vivo desiderio di veder presto il secondo, che essendo destinato a dar le regole e gli usi della sintassi era molto 143 più interessante del primo. Ora solamente quel desiderio è stato adempito, quantunque il libro porti segnato in fronte l’anno 1823, e vuolsi renderne grazie al chiarissimo signor abate Peyron, che fra le molte e gravi sue cure ha trovato modo di compiere ?’ incominciata impressione , ed arricchire anche questo di parecchie sue egregie correzioni e illustrazioni. Matthiae, Blomfield, e Peyron son tali nomi , che ciascuno basta di per sè solo per raccomandare un libro che l’abbia nel suo titolo. Quanto più dunque sarà coramendabile la presente grammatica , cui tutti tre que’dottissimi si sono adoperati di rendere l’ ottima delle grammatiche ! Quali sieno i difetti delle greche grammatiche per ciò che spet- ta al trattato della sintassi , si è per me detto altra volta, nè giova ora il ripeterlo. Basta dir solamente , che o sono brevi troppo , e tralasciano molte cose necessarie, o vogliono parer filosofiche, e dubito che talvolta si allontanino dalla verità , unico scopo della vera filosofia. Si pone studio nelle lingue che diconsi morte , sol per intendere i loro scrittori. Uopo è dunque indagare , non ciò che noi vorremmo che avessero detto , ma ciò che dissero veramente. Nè in altro modo è scritta la presente grammatica , traendosi le regole dall’ uso degli antichi autori. Segue essa l'ordine delle parti del- l’ orazione , e così fedelmente lo segue, che nè pure le è d’uopo di ragionare separatamente delle figure grammaticali , perchè ragio- nando di ciascuna parte dell’ orazione ne ha detto le cose più utili, Solo dell’ ellissi , del pleonasmo , e di quella che dicono anacolu- thon si aggiange alcuna cosa in fine , che meno comodamente sareb- besi adagiata altrove. Spiegata la natura dell’ articolo , e detto quando si debba met- tere o tralasciare, si danno le regole tutte a sapersi opportune per tutti i casi, considerandolo ne’ vari suoi usi d’ articolo , di pronome; e di relativo. p. 3—48. Lo stesso dicasi del nome, e del pronome che vengono dopo. E qui parlando dei casì si mostra quali sieno ri- chiesti dai diversi verbi , come si esprima lo stato in luogo , il moto, il tempo, la distanza , ed altrettali cose, che alcuni grammatici s0- gliono porre in un trattato separato , che intitolano de’ casi comuni. Vi si dano altresì le regole per la sintassi dei diversi adiettivi , del comparativo e del superlativo , p. 48—318. Segue il trattato de’ ver- bi , dove , spiegato che sieno i verbi attivo passivo e medio , si ragio- na ampiamente ed accuratamente de’ tempi e de’ modi, p. 318— 437. Lungo discorso richiedeva ancora il participio , di cui tanto erano amanti i greci , e l’ ha ottenuto dall’ autore, p. 437—487. Suc- cedono le preposizioni p. 487-528 , gli avverbi p. 528—539, le 149 congiunzioni p.539—548 , e finalmente poche parole sopra alcune figure grammaticali p. 549-554, sulla quantità e su gli accenti p. 35395—573. Dopo avere enumerato così i diversi trattati , io non credo do- ver esporre le dottrine dell’ autore , chè ciò sarebbe spiace vole trop- po ai nostri lettori, i quali non amerebbono veder qui descritte regole grammaticali per una lingua che si coltiva da pochi. Ma que- sti pochi leggano questa grammatica, che se sono iniziati è joro necessaria , se sono dotti utile almeno la troveranno. T ale tu da tutti riconosciuta fin dal primo suo nascere, e tale vie più l’ hanno resa le belle correzioni ed aggiunte che vi hanno fatto prima il Blomfield troducendola nella lingua inglese, ed ora il signor abate Peyron troducendola nell’ italiana. Per la ragione già detta no n volendo io diffondermi in parole;per dimostrare l’ im portanza de!le cose in essa insegnate , ho indicato il numero delle pagine , le quali occupa ogni trattato , affinchè in qualche modo possa farsene congettura. Dubi- terà forse taluno che troppo succinto sia stato l’ autore ragionando degli avverbj e delle congiunzioni. Ma è da considerarsi che la dif- ficoltà delle seconde, e d’ una parte de’ primi, cons iste solo nel reg- gimento de’ verbi , e questa difficoltà egli ha già vinta parlando dei verbi , dove ha mostrato quali modi sieno richiesti da certi avverbj e dalle congiunzioni. Brevissimo bensì è parlando della quantità del- le sillabe e degli accenti; ma sì fatte materie non appartenevano al suo instituto. Io però intorno agli accenti mi tratterrò alcun poco. E certo che gli antichi greci favellando pronunziavano ogni vocale secondo la sua quantità , ed es primevano nel tempo stesso gli accenti. Alzavano la voce per l’ acuto , e ì’ abbassavano pel grave. Era questa una specie di musica , come ho detto in altra occasione. Il Matthiae ha adoperato le note musicali per metter ciò sotto gli occhi , ed io adoprerò i nomi di queste note , il c he torna allo stesso. Se a cagion d’ esempio taluno pronunziava in do le vocali d’ accento grave , pronunziava in re quelle d’ accento acato. Il circonflesso si considera da lui, come un com posto del grave e dell’ acuto , e vuole che si pronunziasse in due tuoni distinti , cioè in re do. Questa sup- posizione parrà che sia confermata da quei circonflessi posti a una vocale o dittongo contratto da una vocale acuta e da una grave. Ma per quelle rare contrazioni, che nascono da due vocali gravi come Xpwyr0vs, che viene da Ypdoeos, come potremo essere condotti a quel- Ja supposizione? Come vi saremo condotti per quei circonflessi che non posano sopra una contrazione , come scopo? V’ha di più. Si sa che la vocale breve aveva un solo tempo , e due la lunga : e ciò si otteneva a mio credere non col pronunciare la vocale con doppio suono , come 150 se fossero due vocali (il che si pretende da alcuni) , ma con un sempli- ce nè molto sensibile prolungamento dello stesso suono. La lingua tedesca che ha vocali lunghe e brevi serve d’ esempio di ciò che intendo dire. E vero che le iscrizioni del Fourmont hanno due epsilon in luogo dell’ eta, e due 0 micron in luogo dell’o meega : ma sono snichni e ciò solo bagtosdbilia a mostrarle false , ove ancora con altri argomenti tali nonle avesse dichiarate il might Or se questo pro- lungamento era non molto sensibile , mi par difficile che si potesse dargli un doppio suono diverso , per esempio di re do. Io penso più tosto , che il circonflesso si pronunciasse con un ‘tuono medio tra il grave e l’acuto : onde chi pronunciava il primo in do, e il secondo in re, pronunciasse il circonflesso in do maggiore. So bene che que- ste espressioni , che appartengono alla musica , mal si adattano al discorso o alla declamazione degli oratori. Ma come l’ autore ha ado- perato le note della musica , così io. ho adoperato i nomi d’ alcune note , per dimostrare, come forse secondo i diversi accenti si alza- va o si abbassava iltuono della voce. Se questo è un sogno parmi almeno un sogno verisimile. Ove però fosse giusto questo mio divi- samento , ciò non iscemerebbe punto il pregio sommo dell’ opera. Ottima la giudicano tutti i grecisti stranieri. Resta solo che ancor gl’Italiani le facciano bella accoglienza: e tutti quelli debbon farglie- la , che amano d’ apprender veramente la lingua greca. CESARE LUCCHESINI. Commedie di ANTONIO CAMPAGNA. Prato pe’ Fratelli Giachetti 1825. Nella penuria in cui trovasi ilteatro comico italiano , ci ricon- forta il sentire che alcuno si accinga a diminuire questa nostra po- vertà ; € ad ogni scrittore che annunzi una nuova commedia fa- remo plauso e felici auguri perchè felicemente percorra questa so- litaria carriera. Auguri felici, ed animo facciamo adunque al sig. Campagna che ora ci dà tre commedie, cui desideriamo che altre laro sorelle facciano compagnia: così l'esempio di lui serva di sprone ad altri onde venga ad arricchirsi il nostro povero patri- monio teatrale. Intanto egli ha pubblicato I{ fanatico antifrance- se, il Curioso e l’ Incognito. Noi ci asterremo dal dar giudizio di queste tre prodazioni, non tunto perchè troppo lungo sarebbe il darne una chiara analisi onde avere idea della loro orditura, quan- to ancora perchè in opere di tal fatta |’ esperimento della rappresen» tanza più che la lettura può mettere in istato di giudicarne. Cre- diamo anzi che lo stesso autore potrebbe da questo sperimen- x 151 to conoscere se la sceneggiatura particolarmente sia naturale, se i personaggi compariscano necessariamente ed opportunamente, se i caratteri sieno di quella verità e di quel rilievo che è neces- sario che abbiano per risaltare in teatro , e se sveglino un certo interesse. E per parlar con sincerità, dubitiamo che dopo !’ espe- Fimento della recita l’autore istesso troverebbe necessaria qual- che correzione rispetto a quanto abbiano notato, e forse ancora relativamente alla spontaneità del dialogo , e alla proprietà del di- scorso familiare. Me 1 sette salmi penitenziali tradotti in versi italiani da A. B. Fi- renze, pel Ba/atresi 1825. Ci dà vero contento il sapere, come per cosa certa sappiamo» che il presente volgarizzamente è stato dall’ anonimo autore in- trapreso per acconsentire alle replicate istanze fattegli da un con- servatorio di educazione di questa nostra città ; argomentando dalla giudiziosa richiesta qual sia lo spirito delle educatrici e del l’ educande, le quali vogliono intendere quali debbano essere ì sentimenti religiosi d’un cuore contrito che alza la voce al suo Creatore ; intelligenza generalmente contrastata da una lingua che pochi conoscono. A noi sembra semplice, chiara e spontanea la versione di questi salmi, convenientemente scelto il metro elegia- co della terzina, facile la connessione di alcune idee apparente- mente fra loro staccate , senza che il volgarizzatore assuma le ve- ci di espositore; e soprattutto ci va a genio un certo fare schiet- to ed affettuoso, che confidiamo dovere renderne a chicchesia in- teressante la lettura. E perchè i nostri lettori possano far giudizio di questo la- voro sacro-poetico , crediamo dovere darne un saggio, riportando il principio del salmo 21, Beati quorum tecta sunt peccata cc. nel quale il penitente profeta pone a confronto lo stato d’ un’ anima involta nel peccato con quello d’ un anima volta a penitenza. O voi beati, che pietoso il cielo Sciolse dai lacci della colpa, e pago, Del pentimento, la coprì d’un velo. Oh fortunato più quei, che presago Della mercè cuì l’innocenza ho dritto, Pura nel cor ne custodì l’imago! Ber lungo volger d’ anni io nel delitto Vissi; e lo tacqui: or mi querelo, e il tardo Rimorso accuso ond’ é il mio cor trafitto. _ — _] g]“°"[{“{]dud uou\\]/\tÒt0tunaurTDThD0mnmR[RPRR e Rea RR i 152 \ Ferimmi o Dio la destra tua d’ un dardo, Che non dà tregua, o sia che il sol tramonte, O sia che rieda al faticato sguardo. Tutte allora svelai l’offese e l’onte Onde ho nel sen la rimembranza impressa , *Allor versai d’ amaro pianto un fonte. Ecco, diss' io, del ciel la voce; è dessa Che mi suona d’ intorno, ah si palesi La colpa: e fu la colpa a me rimessa. éc. Ring Discorso premesso alle Lezioni di Clinica del 1825, dal pro- Sessore ANGELO NESPOLI. Firenze 1825. Con ottimo divisamento e con non minore successo’, suole il professore Nespoli premettere ai suoi corsi giudiziose prolusioni che servendo a riassumere i clinici esercizii, trattano questioni in- teressanti la semiotica, la diagnostica e la patologica notomia, de- sunte e chiarite dalla pratica istessa cui furono spettatori i swoi alunni. Con ciò dimostra quanto sia zelante e saggio cultore del- l’arte, e che per esso |’ osservazione , anzichè sterile contempla- zione dei fenomeni, diviene sorgente di utili conseguenze. Vor. remmo che tale esempio venisse imitato da tutti i professori di clinica , tanta è l’ utilità che si ritrae dall’attendere e ragionare sopra fatti di cui siamo testimoni. Con modestia pari alla verità , dirigendosi agli alunni, il no- stro professore ripete dalla pratica educazione che acquistò nel_ l'ospedale la di lui capacità a prevenirli nella recognizione delle malattie, e sollecito per la loro istruzione, e per gli studii prati. ci offre di consacrare il suo tempo e la sua attività all’ ospedale, . e di trascurare se fia d’uopo ,, il capriccioso e circostante cur- ro della pratica esterna. Infatti, il primo fondamento della eura delle malattie consiste nella retta cognizione delle medesime , e nel distinguerle tra loro. Parla della prodigiosa frequenza delle malattie del polmone, nelle quali , il coltello anotomico distingue differenze notevoli per sede , qualità , e grado. Confessa l’ oscurità che talune ne invol- ve, non fraudando della debita lode que’ sommi medici per le cui indagini siamo pervenuti in questi ultimi tempi a somma preci- sione di diagnosi. In mezzo a questi avvantaggi discorre della difficoltà di ri- conoscere la raccolta di liquido in uno dei sacchi della pleura. 153 Cimentando a tale ricerca tuttii ritrovati di esplorazione, con- sidera che la succussione indicata da Ippocrate manifesta ramo- reggiamento quando congiuntamente al liquido esiste un ftuido aeri- forme che permette lo svolgimento del suono. Indica l’ equivoco e l'errore che induce la percussione di Avembragger e l’ insuffi- cienza ne mostra. Prova che la compressione sugl’ipocondri im- maginata da Bichat a poche innormalità del polmone servendo di criterio, oltre al non denotare le di lui peculiari alterazioni , a molti errori di sede nelle affezioni di altri visceri dà nascimento. Lo stetoscopo di Laennec, che tanti sussidi presta alla dia- gnostica delle malattie toraciche, non è valevole a constatare l’ em- piema ; solo in questo caso indica lesione indeterminata al pol- mone. Per altro se tali mezzi isolatamente adoperati non chiarisco- no il morbo, simultaneamente usati riescono utilissimi; e l’ au tore soggiunge ,, essi ci saranno nei nostri studii sommamente » proficui, come altre volte servirono a me di guida per confer- 3) mare ciò che un altro segno anche meno sicuro di questo mi », aveva fatto supporre ,,. Egli allude con questi detti al battito del cuore nella parte destra del petto, fenomeno, che quantunque da altri avvertito , non figara quanto basta nella somma dei se- gni diagnostici che rendono manifesto l’empiema della. sinistra cavità toracica. In appoggio della patognomia di questo segno, ci- ta alcuni casi nei quali l’ autopsia , e l'artificiale evacuazione del liquido ne confermarono il valore; ed è commendevole il criterio che il nostro autore ha spiegato per escludere nella seconda isto- ria altra affezione, colla quale poteva confondersi l’ empiema. Certamente tanta suppellettile di cognizioni, e tanta profon- dità di giudizi m chi ha l’incarico di ammaestrare ia gioventù studiosa ; ripromette gloria ed utilità alla medicina italiana, che ripovellerà ancor più brillanti i tempi dei Redi , dei Cocchi, e dei Morgagni. Notò che l’escreato di alcuni individui affetti da lenta pneu- monitide, esalava disgustosissimo odore simile a quello dell’ assa- fetida, ma più penetrante e più acido. Osservò che pari odore gli manifestarono le materie che uscivano dalla cavità toracica per esterna apertura, e riscontrò nella necroscopia di un indi- viduo che vivente presentava tale carattere , raccolta di siero pu- riforme nella pleura, ed ulcera fistolosa in quella membrana. Con- siderando inoltre che molti autori Marchetti, Haller, Morgagni, Willis, Larrey, e Broussais analoghi fatti hanno registrato , il no- stro autore opina che allorquando l’umore raccolto ed. esalato f 154 dalla pleura comunica coll’ aria, acquista tale fetore. Ammette perciò, come probabile congettura, valere questo segno ad indica- re l’accaduta comunicazione del sacco interno coll'aria esterna , ciò che ha verificato in altri casi. Nel comunicare queste poche osservazioni avverte quanto sia assurdo riconoscere in questo fe- tore il segno patognomonico del citato esito morboso, ma ne fa menzione affinchè questo carattere congiuntamente agli altri serva alla diagnosi. Infatti importa raccogliere da ogni parte materiali per estendere la semiotica che concerne queste malattie , innpe- rocchè malgrado tanta copia di segni il nostro autore adduce esempiì di proprii e di altrui errori nella diagnosi delle affezioni toraciche, Applicando utilmente i suoi pensamenti alla terapeutica, pone fine alla prolusione , concludendo che la pantura offre minor pro- babilità di successo per la guarigione dell’ empiema, quando esso è effetto di genuina pleuritide, che quando è la resultanza di rottura di parziale ascesso o di qualunque altra contingenza che riempia di fluido il cavo toracico. E valga in appoggio di questo teorema i resultati della pratica classica , e le ragioni che dalle teorie e dal- l’ autopsia desunte svolge con sommo talento. Fa conoscere che talora nell’empiema derivante da cronica pleuritide benefica la natura vi ovvia coll’ assorbimento e con variazioni consecutive di struttura conformativa. Dimostra che sebbene di frequente infrut. tuosa e grave riesca la paracentesi nell’ idrope successivo a croniea pleuritide, pure non devesi onninamente proscrivere , ma conviene nei casi congrui intraprendersi con questa cautela. Fatta l'incisione, ed applicato lo stetoscopo, istrumento atto a trasmettere all’udito i minimi movimenti della respirazione, se a misura che sorte il liquido, il polmone non si espande per respirare , dobbiamo richiudere l'apertura, giacchè allora non essendosi conseguito l’ oggetto per cui l'operazione è istituita, l’ aria penetrando nel cavo toracico, è capace di peggiorare le condizioni morbose. BASEVI. Sull’azione del solfato di chinina nelle febbri periodiche, opinione del dott. GIORGIO FRANCHI. Pesaro 1825. Poche pagine, ma di sommo interesse, pubblica sopra questo soggetto il dott." Franchi. Il solfato di chinina amministrato nella cura delle febbri periodiche, manifestando efficacia"pari alla china, ed offrendo inoltre molti vantaggi particolari alla sua prepara- zione, perciò merita preferirsi in ogni caso alla corteccia peruviana. DO % " 155 È nell’agro romano , luogo ove maggiormente imperversano le feb- bri, che i medici i più valenti confermarono coi fatti simili sen- tenze. Ligio l’autore alle teorie dinamiche del controstimolo, si sforza di conciliare tutte le difficoltà che la guarigione delle febbri, ot- tenuta per mezzo delle varie preparazioni di china, oppone alle do- minanti dottrine. Ravvisa nella condizione febbrile un processo di stimolo, e riconosce nel solfato di chinina due qualità simultanee, la controslimolante, e l’antiperiodica. Deduce dalla propria pra- tica , e con essa dimostra che il suddetto medicamento riesce più utile somministrandosi nell’ invasione e nell’ accesso della febbre, che nell’apiressia , ciò che non si osserva nè s’ insegna rap- porto alla china. Questi requisiti raccomandano altamente il sud- detto farmaco, imperoccbé non aspetteremo l’a piressia per istituire la valevole curagione delle febbri, e potendole curare in ogni te mpo, giammai non mancherà a tale oggetto l’ occasione. A dduce dieci istorie per provare la sua opinione, che applicata alla terapeutica c' istruisce cha il solfato di chinina va preferibil- mente somministrato nel vigore e nella declinazione della febbre anzichè nell'intermissione , nel quale stato se ne richiedono però alcune poche dosi. Desideriamo che fatti più. numerosi indichino quanto sia esatto e vero il precetto del nostro serittore, e confidiamo che l’ impor- tanza dell’argomento inviterà i medici ad istituire le necessarie esperienze , sia per confermarlo e rettificarlo , ovvero per mostrarne l’ insussistenza, ed i dannosi effetti della di lui applicazione. BASEVI. La Chimica insegnata in ventisei lezioni. Torino, 1825. — Al- liana e Paravia. Q vesto libro, che già dal sig. Payen tradotto dall’ inglese nell’ idioma francese leggesi ora nel nostro volgare per opera dell’egre- gio sig. Prof. Cantù di Torino, è senza dubbio meritevole d’ atten- zione per la precisione, brevità e chiarezza con cui vi son trattati gli elementi di chimica generale applicata alle arti. Noi siamo inti- mamente convinti che fra i non pochi libri elementari che si pubbli- cano, e che son diretti a spargere nelle classi numerose degli artigiani il gusto e le cognizioni dei principj sui quali la pratica loro si appoggia, altri. non ve ne siano che sull’attuale portino il vanto, E se si considera di quante note importanti abbia arricchita la sua traduzione il Prof. Cantù, noi ci vedremo astrettia molta riconoscenza a suoriguardo, per 156 aver dato all’ Italia un libro eccellente, ed alla scienza un ajuto nelle aggiunte da lui redatte. Tra le quali ne sembra che sia particolarmen- te da ricordarsi quella che leggesi a pagine 86. relativa alle chimi- che scomposizioni operate per la corrente Voltaica, Alla famosa pila del Fisico di Pavia prima sorgente delle più grandi scoperte chimi- co-fisiche del nostro secolo, deve anche il sig. Prof. Cantù la certezza dell’ esistenza dell’ Iodio in alcune acque minerali del Piemonte, fatto non meno prezioso per la scienza che per l’arte salutare. Nè vogliam farci carico d’ esaminare se veramente ilch, Prof. sia stato sempre fedele alla sua promessa , di non dimenticare cioè di valersi di buona frase italiana nella sua traduzione ; basti l'aver accennato un semplice dubbio sopra di questo , ad oggetto d’invitare chiunque si accingerà a ristampare quel libro, la di cui prima edizione sarà cer- to esaurita fra poco, a darsi la briga di accuratamente rivederlo da questo lato. C. R. T_— 180 Spedizione nei mari antartici. Il viaggio del capitano Weddel ha fatto nascere l’ idea d’ una spedizione officiale alla terra magel- lanica, o terra di fuoco ; il cap. King, dopo la pubblicazione del suo viaggio nella nuova-Olanda, comanderà questa spedizione; egli deve formare la carta completa dell’ Arcipelago al sud dell’ Ame- rica, e profittare dei momenti favorevoli per fare un incursione nell’ Oceano polare del sud. NECROLOGIA. Nel dì rr. dicembre 1825. mancò di vita Giuseppe Pagnozzi , nostro stimabile collaboratore. Egli nacque in Pistoia il dì 25. gen- najo 1785. , di famiglia patrizia , non favorita dalla fortuna. Fece in patria i suoi studi nel collegio vescovile: parve dapprima dispos- to ad abbracciare lo stato ecclesiastico : mutato quindi consiglio , nel collegio Ferdinando di Pisa intraprese lo studio delle leggi. Non giunse al termine della carriera , che mosso da fervor giovanile , 0 forse sospinto da circostanze domestiche , palesò il desiderio di cor- rer quella degl’ impieghi civili. Fu nel 1808. ammesso a servire nel- la nascente Prefettura dell’Arno ; vi restò qualche tempo in quali- tà di commesso alla sezione dell’ interno; passò successivamente alle prefettare di Montepulciano e di Firenze; più tardi richiamato al- Ja prefettura del Dipartimento vi occupò il posto di capo di divisione della guerra in momenti diflicili e tempestosi , come quelli che pre- sagivano vicina la caduta di un grande impero. Cessato il governo francese in Toscana nel 1814. ; la prefettura non ebbe più che at- tribuzioni pacifiche , e fa sciolta la divisione a cui il Pagnozzi era addetto. Il prefettointerino del dipartimento, Luigi Pratesi, lo man- dò tosto ad assumere la gestione della cassa delle contribuzioni di- rette in Pistoia, abbandonata dal percettore francese : poco dopo, per cagioni che varo sarebbe del pari e doloroso il ricordare , fu permutato dalla esazione di Pistoia a quella di Seravalle ; impiego che egli non accettò. Dopo qualche infruttuoso tentativo per rien- trare inattività di servizio, si determinò a passare in Levante, ove per raccomandazione di un amico gli era offerto un posto di precet- tore presso i figli di un rispettabile negoziante di Smirne. Qui, parte per dovere, parte per elezione , si applicò indefessamente agli studi di storia e di geografia ; e durante lo spazio di tre anni, quanti il contratto impegno ve lo ritenne , raccolse porzione dell’ immensa inole di materiali che hanno servito di poi alla compilazione della sua geografia universale, la quale si pubblica per le stampe di Ba- 131 telli in Firenze. Sul cadere del 1817. , ritornò il Pagnozzi in 'L'osca- na ricongiungendosi alla famiglia, da cui, pochi mesi dopo la morte del padre , nel 1820. , si separò nuovamente per prender moglie, col - la quale ha conservato intima e dolce unione fino alla morte sua , accaduta dopo lunga e crudel malattia li 11. decembre 1825. L> ha seguitato alla tomba il compianto de’ congiunti e degli amici , che pochi ebbe ma ottimi. Debbon trovarsi fra le mani della vedova di lui erede, oltre i manoscritti preparatia completare la sua opera, un trattato della sfera e un compendio di geografia ad uso delle scuo- le , che più tardi egli non preoccupato da morte , disegnava dare al- la ee. Fu amico alle lettere ed alle scienze ; ebbe in \dote una pru- digiosa attitudine al lavoro , perseverante in esso fino alla ostinazio- ne. Visse ritirato ed ignoto, menu per disgusto della società, che per indole ed attitudine. Parco lodatore; non invido alle lodi altrui tri- batate: schietto sempre anzi libero forse soverchiamente nell’ emet- tere Ja sua opinione ; non perciò tenace tanto di essa che non vi ri- nunciasse ove fosse convinto d’ errore : ebbe costumi , non manie- re : più talento di tavolino, che spirito di società. Fu uomo infine non immune da difetti; ma questi nè lesivi dell’ onore che ebbe costantemente per guida , nè della morale di cui vantò e seguì sem- pre i precetti. { ———-—_ —.— - ——_—————@——@_@—————@—_—_——enmmÒmnumr@@t_r@t@.@te@c@-t BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Ne XXVI. Dicembre 1825. N.° 220. MANIFESTO. — Alla fine dell’ entrante gennajo 1826 ver- ranno alla luce le Istituzioni d’ aritmetica promesse già col ma- nifesto de’ 30 settembre passato, con quel metodo precettivo pre- fisso, e con tutte quelle operazioni necessarie a detta scienza. Un nuovo Sistema, per prendere in porzione tutto ciò che è Frazio- ne, formerà il maggior pregio dell’ O pera sopra del quale sono ba. (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunzi ate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redartori dell’Antologia. Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse , e hoit bisogna confonderli, con gli lips che si trovano sparsi nell’ Antologia me- desima, siano come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 192 sate quelle regole dette di brevità del rinomato e sublime arit- metico sig. Luigi Fontani di Pisa;ciò, è di somma utilità per la studiosa gioventù, e facilita le operazioni di commercio. Sarà resa buona e valida ragione delle tante regole che si osservano in aritmetica, niente sarà lasciato a desiderare dal lato della chia- rezza , e precisione , affinchè resti allo studente facile 1’ appren- dere, L'autore ha creduto bene di aggiungere a dette istituzioni diverse tavole le quali non solo sono utili all’aritmetico, quanto ancora utilissime ad ogni persona che sia al commercio d'ogni na- zione. Esse dimostreranno i ragguagli dei Pesi, misure, monete estere con quelle toscane. Riduzione della Zira toscana , colla lira ridotta in centesimi relativa alla montatura del nuovo catasto in Toscana ; Essa serve ancora per la misura. Il sistema cambiario che tiene Firenze secondo i corsi più recenti. Gli wsi dei paga- menti delle Lettere di cambio in Toscana. Quali scadenze hanno le cambiali tratte da Livorno e Firenze sopra le principali piaz» ze dell’Europa. Sistema di Pesare le Mercanzie in Livorno. De- ncminazione di tutte le Fiazze dell’ Europa colle quali cambiano Livorno, e Firenze. Come si Capitalizza qualunque rendita ; tanto a contanti che in generi. Modo di conoscere a colpo d’ oc+ chio il frutto d'un giorno, quello di un mese, e dell’anno, in- cominciando dall’ 1. per cento l’anno, fino al 12 inclusive , sopra un capitale qualanque. Essa diminuisce l’ operazioni di quei ca/- coli da farsi a scaletta , allsr quando viene rimesso un capitale tenuto per diverso tempo fruttifero, e che dal debitore sono stati fatti in differenti tempi dei pagamenti. Il beneficio dell’assocazione durerà tutto il mese di gennajo prossimo avvenire, al termine di qual tempo il prezzo sarà au- mentato di un terzo. Il prezzo per gli associati è di paoli 5. Quelli che vorranno riceverla franca di porto per tutta la Toscana saranno paoli 5 e mezzo. L'associazioni si riceveranno in Pisa alla stamperia di Ranieri Prosperi, in Firenze dal sig. Filippo Borbotti al burò d’ Indica- zione in via Condotta, dal sig. Pasquale Albizi alla dispensa dellà gazzetta, e nelle altre città dai primari libraj. Firenze 30 Di- cembre 1825. 221. Saggio di rime di diversi buoni autori che fiorirono dal XIV. fino al XVIII. secolo. Firenze 1825. nella Stamperia Ron» chi e C. 8.° pag. XXVII. e 334, prezzo lire 7. tt 4 222. BIBLIOTECA AMENA ED ISTRUTTIVA. /Milano presso Ant. Ù 183 fort. Stella e figli. Volumetti XXI a XXV — contengono il ro- manzo storico intitolato Maria Menzikoff, diviso in cinque parti. Mitano 1825 — 5 volumetti , prezzo d’ associazione L. 1, italian, il vol 223. Un sogno della vita ed il lamento di Dante di ANGELO BrorrERIo, Milano 1825 — presso A. f. Stella e figli in. 8.° di pag. 40. — 224. Igiene degli occhi, ovvero consigli per preservare la vi- sta. Opera indispensabile agli uomini di studio e di governo , agli artisti; agli artigiani, ec. dedicata al dottoi Carlo Donegana, ag- giuntevi alcune considerazioni sulla cagione della miopia o vista corta. Milano 1825. presso A. f. Stella e figli. 225. Enimmi storici, ossia l’arte di ritenere e di richiamare alla memoria i fatti della storia più utili e più dilettevoli. Milano 1825. Ant. F. Stella e figli 8.° di p. 136. 226. BIOGRAFIA UNIVERSALE ANTICA E MODERNA, ossia storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone ‘che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù)e delitti. Opera af- fatto nuova compilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni. Venezia 1823-1825. , presso G. 8. Missiaglia. Tipogr. Alvisopoli. Volume XXIX. (GE—GI ) Le associazioni si ricevono in Firenze presso G. Molini. 227. Scelta di lettere familiari del commendatore Annibal Caro. Milano 1825. Silvestri 12.° di p. 510, prezzo lir. 3. So ital. 228. Nuovo metodo economico-pratico di fare e conservare il vino , del canonico PIETRO STANCOVICH , socio di varie accade- mie, con una tavola in rame di XVII. Gao. Milano 1825. Sil- vestri. 8.° di p. 140. Lire 2. 6o. ital. 229. Nuovo DIZIONARIO GRECO ANTICO. Il professor Cuma conosciuto per molte lodate opere a vantaggio de’ greci suoi nazionali, sta per pubblicare ora in Vienna un dizionario greco- antico in due tomi in quarto grande . Ha preso per guida i di- zionari di Schneider e di Riemeg, secondo le ultime edizioni. Al- l'etimologia aggiunge egli le interpretazioni nella così detta lingua greco-moderna , e istituisce quando il può opportuni paragoni “fra essa e l’ antica. —. Gli esempi de’ migliori scrittori vengono in aiuto degli studiosi , e molte avvertenze raccomandano questo la- voro come degno della filosofia e della critica. Il prezzo di tutti e due tomi insieme uniti è di fiorini 25 in Austria, da pagarsi al momento della consegna. 230. Collezione portatile di Classici lialiani. Firenze , presso 134 BorcHi C. 1825 vol. VI*.—Drammi di Pietro Metastasio vol, VI.° in 32. carta velina; prezzo di associazione L. 2 il volume; graziosissima e nitidissima edizione. i 231. MANIFESTO D’ ASSOCIAZIONE. — I LOMBARDI ALLA PRI- MA CROCIATA. Canti quindici di Tommaso Grossi, Verranno pub- blicati in tre fascicoli: il primo, quando vi sia un numero con- veniente d’ associati, si darà fuori nel mese di marzo 1326 , gli altri nei due mesi susseguenti. Ogni fascicolo avrà circa dieci fo- gli di stampa in ottavo. Gli esemplari pei soli associati prima del 15 febbraio prossimo venturo saranno in carta velina cilindrata ; il resto dell’ edizione sarà in carta leon-pavia sopraffina , il carat- tere simile al presente manifesto. Il prezzo di ciascun fascicolo tanto in carta velina quanto in carta comune è di lir. 4. austria- che, pari ad italiane lir. 3, 48. Chi bramasse associarsi si compiacerà di firmarsi qui sotto colle necessarie indicazioni. Milano 1825, dalla tip. di Vincenzo Ferrario. 232. Delle Viti italiane, ossia materiali per servire alla clas- sificazione, monografia e sinonimia , preceduti dal tentativo di una classificazione geoponica delle viti, di GiusePPE AcERBI di Castel Goffredo, Direttore della Biblioteca Italiana, con diverse tavole. Mi- luno, 1825, Silvestri. 8.° di p. 336. 233. Della vita di ANTONIO CANOVA. Libri quattro compi- lati da MELCHIOR MISSIRINI. "Terza ediz. con correzioni, aggiunte e medaglie. .Wilano 1825. Silvestri 12° di pag. 500, prezzo lire k. 50. italiane. 234. MATILDE ; Tragedia di G. B. Niccolini. Firenze 1825. presso G. Pi uti. Fine del Tomo XX, INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VIGESIMO VOLUME. D SCIENZE MORALI E POLITICHE. , fio ad una lettera di Pietro Giordani , lettera di (G. Bianchetti) A. Pag. 3 Lettere dalla Germania III. Libri di educazione — Di- scorso alle donne sull’amore per la vita domestica — Educazione generale — Educazione delle donne. (E. Mayer) » Essai sur l’éducation des femmes par mad. le comtesse de Rémusat. (MM); Lettera del sig. Jomard al redattore del giornale di edu- cazione, pubblicato dalla società d’ insegnamento ele- mentare di Parigi. » La Mitologia , sermone del cav. Vincenzo Monti. ( M) Storia di Sardegna del cav. Gius, Manno. (SC) B. Notizia storica dell’isola di San Domingo. > Essai sur l’emploi du tems par M. A. Jullien. (A. B.) ,, La Grecia nella primavera del 1825. Lettere d’un viaggiatore. » Tdein. C. Soreziennes, par. M. H. (4G.C.), SCIENZE ECONOMICHE. Delle cause d’ incremento delle manifatture dei cap- pelli di paglia in Toscana, e quanto sia, come a MAE Rei DO 76 PE) 102 ” LI » 16 » 99 37129 » ‘98 »3 74. 681 tutte le altre cose, dannoso il vincolarla o favorirla. ( Lapo de’ Ricci) A. Pag. Progressi dell'industria in Inghilterra. Bi Osservazioni in risposta alla Memoria del comm. Lapo Ricci intorno ai cappelli di paglia di G. M. (C. R.) C. ,, GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI, Viaggio del sig. Pacho nella Cirenaica. Billo Ritorno del cap. Parry. » » Luogo presunto del naufragio di Lapeyrouse , e nuovo viaggio di scoperte. Ci; Viaggio del cap. King nell’Australia. ssh Australia. ” Viaggio del cap. Sabine al polo nord. » » Spedizione nei mari antartici. ” >” FILOLOGIA , CRITICA LETTERARIA , POESIE, E@. Adunanza solenne dell’Accademia della Crusca. (P.) A. ,; Opere di antichi autori recentemente da monsignor Mai recate in luce. (Zannoni ) B. ,, Lettere dalla Germania. Continuazione delle Memorie biografiche di Goethe. (E. Mayer) , » Leggenda di Tobia e di Tobiolo , ora per la prima volta pubblicata. con note, e con un indice delle voci più notabili. (C. Lucchesini) B. ,; Le storie di Polibio da Megalopoli, volgarizzate da G. Cohen. 3 » Della casa di Giovanni Boccaccio a Certaldo. © (4. Rosellini) ;, » Gli Italiani in Polonia (S. Ciampi), » Tragedie di G. B. Niccolini. (04) La flotta sarda a Tripoli. Ode di (G. Borghi) ,; » Sonetti di (G. B. di Negro) ;) » Sonetto di (D. Bertolotti) ,) » Goethe e i romantici italiani. (E. Mayer) G ) Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al, vocabo- rio della Crusca — Osservazioni di Farinello Semoli — Lettera di Farinello Semoli — Dante rivendi cato. (SCI 30 Li Memoires sur la vie et le siècle de Salv. Rosa par Lady Morgan. (C. Botta.) Traduzioni del cav Lorenzo Mancini. (S.) Intorno al libro delle dicerie. (A. Benci) Saggio sulla vita e sull’opere di A. Canova, di G., Ro- sini. -(2.) Operette varie del conte Lorenzo Magalotti, la Poesie anacreontiche, di Pasquale Negri. a Jl palazzo di Scauro, di Mazois. Osservazioni critiche alla storia d’Italia di Carlo Bot- * ta. ” Proverbi e versi di Ilario Casarotti. i Dizionario ortologico della lingua italiana, di L. Ne- SL » Dialogo tra la torre degli Asinelli, e la torre della Ma- gione. » Nuova scelta. di rime piacevoli di un lombardo. 3 Proverbi latini e italiani. | » Il cittadino di repubblica, d'Alessandro Ceba SA Versi di Pier Alessandro Paravia. ” Prose di Pietro Bembo intorno alla volgar lingua — Regole ed osservazioni della lingua toscana, di Salv. Corticelli— Dialoghi di Girolamo Rosasco. 5 — L’America libera , ode di Van Mentlen. 5 Delle mutazioni de’ regni di Oltavio Sammarco. ” Il perfetto cavaliere, opera di A. Locatelli. 5 L’inondazione di Pietroburgo, canti quattro di Ant. Mezzanotte. ” Viaggio a’ tre laghi, di Carlo Amoretti. » Di una gemma etrusca del museo di Parigi , discorso del prof. O ioli. ” Enciclopedia domestica. PA Leitere di Carlo Roberto Dati, PE Grammatica compita della lingua greca di A. Mattiae. ( C. Lucchesini) Commedie di A. Campagna. (R.) I sette salini penitenziali tradotti in versi italiani. ,, i De ludo musico auspiciis Regis Celsissimi Saxonie nuper edito brevis narratio. (C. A. Boettiger ) CoRrRISPONDENZA. — Lettera ‘al Direttore dell’Antolo- gia. (L. P.) Idem. (P.C.) PE) ” » » >» ” ” »” ” » 42 52 84 94 99 103 104 105 I1I 114 »16 118 120 122 124 126 129 130 131 133 135 139 138 140 147 150 151 156 159 161 Mme 188 BELLE ARTI. Del Sublime e di Michelangiolo. Discorso letto in oc- casione della solenne distribuzioni dei premi trien - nali nella R. Accademia delle Belle Arti in Firen- ze, da (G. B. Niccolini) A, Pag. Lettere dalla Germania. Visita a Dannecker. — Notizie su Carlo Witte. — Società di belle arti in Monaco. — Nuova descrizione della città di Roma. — Monu- mento di Winckelmann in Trieste. — Sopra la fa- miglia romana de’ Cosiinati. (E. Mayer). Bi. Notizie sulla vita di Dannecker. ha Po: ARCHEOLOGIA, Colpo d’ occhio sopra lo studio della lingua e delle an- tichità etrusche in Italia. (Seb. Ciampi) A Dell'urna con basso-rilievo ed epigrafe di Lare trion- fatore etrusco, dissertazione di Vincenzo Campanari. (0.) Lettera IV. d’un socio dell’Accademia archeologica di Roma , ad altro socio della medesima in Firenze. (G. M.) » Nuovo metodo per interpretare i geroglifici d’ Egitto. (E. Mayer) B Sopra un sepolcro chiusino degli etruschi. (Orioli) ;, SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Ballettino scientifico N.° XXV. A. 3, XXVI: B. 3 XXVII. C. Fisica e chimica. Ballett. scientifico. ,, XXV. A. » XXVI B. » XXVII C. Mineralogia. Bullettino scientifico. ,, XXV. A. pi XXVI B. Geologia. Bullettino scientifico . » XXV. A. Botanica e.agricoltura. Bull. scientif. ,, XXV. A. » XXVI B. »0 XXVII C. »”» 2) ra 19 5i 61 93 65 75 14I 134 161 142 136 163 153 141 157 158 150 169 Zoologia. Bullettino scientifico. Mo A. Delle viti italiane, di Giuseppe Acerbi. — Memoria sulle viti ed i vini delle Cinque terre. (E) G La chimica insegnata in ventisei lezioni. (G-R.)., Tavole meteorologiche per i mesi di Settembre , Ot- tobre, Novembre e Dicembre. DD SCIENZE MATEMATICHE. Ballettino scientifico. N.° XXVI. Geometria. (Poletti) B. Analisi algebraica ,, ) ) Matematiche applicate,, ,, Astronomia (Inghirami), ,, SCIENZE MEDICHE. Storia delle febbri intermittenti perniciose di Roma ne- gli anni 1819 20-21, scritta da F. Puccinotti. 1 ( Basevi) GC. Discorso pre:nesso alle lezioni di clinica del 1825 dal profes. A. Nespoli. PES Sull’azione del solfato di chinina nelle febbri periodi- che, del dott. G. Franchi, BIN VARIETA , SCOPERTE , INVENZIONI , ARTI INDUSTRIALI , Bullettino scientifico N.° XXV. AG i CEDE, B. 1 SOCIETA SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza solenne del 25 settembre. ; i A. Accademia Valdarnese. Società italiana dei 4o. Istituto di Milano. Accademia Gioenia di Catania. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena. 2) 2) 162 166 170 174 171 172 173 173 197 od 4] 190 190 NECROLOGIA. Marchese Girolamo Lucchesini. Conte de Lacépéède. Prof. Pietro Feroni. Cav. Giovanni Maria Linguiti. Giuseppe Pagnozzi. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO, N.° XXIV. Ottobre. XXV. Novembre. XXVI. Diceinbre. Om> »» REL, 175 175 176 176 150 175 177 181 asta tetta in Pig. 2 lin, ERRORI. 3 pervenienti 11 cosiziali 12 Mortori 36 endiometriche 34 ivi 35 pensibili 22 mostrano 32 mecroscopiche CORREZIONI. pervenuti esiziali Morton eudiometriche in sensibili mostrarono necroscopiche î 9, 24 RI A ANI dia te* Le, \ , piani Ju sE), En i md \ ti amotunzo MI - ERFPIELISANE LO i dI è va i OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. NOVEMBRE. 1825. [co] l'ermo, pe mo > de parti) sl E] ee o| Ora 5 5 |g|8s |a Stato del cielo 5. © CRE ge ò Sad Wald ES P ° | 7 mat. |28. 1,1 [10,2 | 6,0 /100 Scir. {Nebbia folta Calma 1| mezzog. |28. 1,2 [10,2 |10,2| 96 Scir. {Se. cop nuv. all’oriz. Cal. rt sera |28. 1,5 |rI,r | 9,0] 9% Lev. |Nuvolo Calma 7 mat. (28. 1,0 |11,1 | 9,0 | 96 Sc. Le. Nuvolo Calma 2| mezzog. |28. 0,6 |10,9 j12,0 | QI Gr. Le. Nuv. nebbioso Ventic.|} 11 sera |28. 0,0 |11,d {11,0 | 92 Scir. : |Nuvolo Calma 7 miat. |27. 11,8 [11,7 |11,0 92 Scir. |Nuvolo Calma | 3] mezzog. |27. ti,7 |1t,3 [12,6 | SI Sc. Le.|Nuvolo Ventic.|| |_{ rx sera |27. 11,0 lt1,7 111,9] 94 0,09)Ostro |Navolo Calma |l | 7 mat. |27. 10,0 {11,7 |12,0| 92 Scir. |Nuvolo Calma |É i 4| mezzog. |27. 99 [12,1 |14,3| 78 Os. Li.! Nuvolo Vento 11 sera |27. 94 |12,9 [13,0 | 83 Sc. Le. Nuv. rotti î Ventic.|| «a sa) 4 LL. | 7 mat. |27. 9,0 [12,6 |11,5| 92 [0,23 Sc. Le. Ser. nuv. Calma 5| mezzog. {27. 9,2 {12,6 |13,6| 82 Sc. Le.| Nuvolo Vento ti sera |27. 11,5 |12,6 |ro,o | 96 l'Tr. Gr.|Ser. con nuv. Calma | 7 mat. |28. 0,3 [12,0 | 8,0| 99 Sc. Le.|Ser. neb. in basso Calma #6 mezzog. 128. 0,4 |12,0 {12,3 | QI Gr. Tr.|Se, connuv.all’oriz. vent || It sera |27. r1,4 |12,6 |10,0| 99 Os. Sc.|Sereno Ventic. 7 mat. |27. 10,0 |12,2 |10,0 | 99 | 0,05|Sc. Le.|Ser. nav. all’oriz. Calma 7| mezzog. |27. 90 |12,4 |13,3 | 65 Ostro |Ser. nuv. ven. for. Irsera |27. 8,3 112,6 111,8] 89 | 0,13|Ostro |Nuvoli gonfi Vento P ap gt Ddl 3 Q = (e A ® °| Ora S 5 Di 3 zi 5. 8 Stato del cielo A È PA BALI [EI UE | 7 mat. |27. 8,2 |12,2 [10,8] 90 Ape Li.{Nuv. all’oriz. Ventic.|W. 8! mezzog.[27. 8,8 |12,2 {12,4 | 75 Po.Lib |Nuv. ser. Vento |î 11 sera |27. 10,3 |12,1 | 5,5 | 90 Sc. Le.|Velato Ventic. Pr 7 mat. mi 10,1 |tx,3 { 7,3 | 95 Scir.. |Nuvolo Calma g| mezzog.[27. 10,3 |t1,r | 9,9 | 98 FRATALeY, Nuv. neb. Ventic.]f ri sera ap 11,0 |11,1 | 9,5] 99 /0,05 Lev. |Ser.nuv, Calma |j | 7 mat. {27. 10,9 |10,7 10,0 | 96 Lev. |Sereno con neb. Calma 10 mezzog.|27. 10,0 {10,8 12,2 85 Ostro |Nuvolo Vento || II sera |27. t0,0 |12,0 13,0 9 ‘0,27\0s. Li.|Nuv. ser. Ventic. 7 mat. |27. 11,0 {12,4 |12,0 99 Lib. |Ser. con nebbie. Calma II1| mezzog. 27. 11,2 112,6 Y9,L 84 Os. Li. Navolo Ventic.|8 rtisera 27: 11,5 |12,9 13,5) 81 Sc. Le. Ser. nebbioso Ventic. 7mat. |27. 11,9 |12,9 [12,9] 77 Sc. Le.| Nuyolo Ventic. 12| mezzog.|27. 11,8 {12,9 |14,9 | 70 Lev. |Nuvolo Ventic.I|f 11 sera |28. 0,5 |13,2 {13 8 Br Sc. Le.|Nuvolo Ventic. (| 7 mat. |28. 0,5 |13,2 [13, 2 79 ehi 10% Le. Nuvolo Ventic. 13 mezzog. |28. 0,0 {13,3 15, o | 70 Sc. Le. Nuvolo Vento | 11 sera |27. 11,7 |13,5 ripa 84 Sc. Le. Navolo Ventic. 7 mat. [27. 10,9 13,9 |11,7 | 98 | 0,26|Po. Li.|Nuv. . ventic. con piog. 14| mezzog.|27. 10,4 {13,4 [12,3 | 97 004 14h. Nuv. ventic. con piog. leg. II Sera |27. 10,2 12,4 |10,0 | 86 | 0,19|Lib. Nuvolo ser. . Ventic, 7 mat. |27. 9,5 |11,5 | 8,5 | 92 0,52 Lev Nuvolo rotto Vento (15 mezzog.[27.- 9,9 |11,3 | 8,7| 96 | o,ro Lev. {Nuvolo cal. con piog.|i | 11 sera |27. 10,2 10,7 | 79 | 99 | 0,77 Lev. |Pioggia Ventic, 7 mat. |27. 10,0 |10,2 | 7,1 | 95 | 0,03|Tram. |Nuvolo Calma 16| mezzog.|27. 10,1 |10,0 | 92 | 77 Tram. |Ser. con nuvoli Vento __| 11 sera |27. 10,8 99 6,7 |_78. i Tram Se. con qual. nuv. Ventic. 7 mat. 27. 11,9 | 97 1732 | 66 Tram. |Ser. e nuv. neb. ven. for.|8 17] mezzog.[28. 0,3 | 9,1 | 8,9| 53 Tram. |Ser. con nuvy. Ventie. rx.sera.|28. 0,7.| 9,1 | 7,9 | 67 Tram. |Nuvolo ser. Vento 7 mat. )28. 0,8 | 8,4 4,0 90 Gr. Tr.| Sereno Ventic. 18] mezzog.(28. 0,6 | 8,6 | 7,3) 77 Tram. |Ser. ragnato Ventic. 11 sera.|28..1,0 | 9,0} 4,4 | 92 Grec. |Sereno Ventie, 7 mat. [28. 1,6 | 8,0 | 2,9 | 95 \Scir. |Se. con quaf. neb. Calma 19| mezzog.:28. 1,6 | 8,0 I 6,0 | 85 Scir. |Sereno Calma 11 sera.|28. 1,3 | 8,2 | 4,5! 89 Sc. Le.'Ser neb. Ventic. Stato del cielo 0179Wwoteg onawo1Sf |j 017 -QUIOIAN]qT ord -00s0w9UY |È sie Coperto Calma |l 20 mezzog. |28. Scir. |Coperto Ventic.|f 1) sera |28. i | 6,6 Tram. |Ser. neb. Vento |l 7 mat. 28. .| 6 ( Grec. {Sereno Vento i:21| mezzog. ; Tram. |Ser. e nuv. al sad Vento Ii sera ; 5,3 Lev. |Ser. con neb. Ventic |É 7 mat. |28. È Lev. |Nuvolo Ventic. 22|mezzog. |28. Lev. {Nuvolo Calma 11 sera |28. 0,2 9 Scir. |Ser. nuv. Ventic.|é 7 mat. |28. È Gr. Le.|Ser. rag. Vento , 23|mezzog. |23. Gr. Tr.|Ser. con nuv. ven. imp. II sera ; Gr. Le.|Ser. con neb. Vento 7 mat. |28. 7 Gr. Le.|Sereno Vento {l 24|mezzog. Gr. Tr.|Sereno ve. fo. tr sera |28. 3,4 | 8,0 Tram. |Sereno Vento 6,7 © |Scir. |Sereno Ventic, 28. 7,3 Scir. |Sere. ragn. Ventic. ixr.sera..28. ..2,3. | 8,0 Scir. !Nebbioso Ventic. | | 7 mat. |28. 2,6 | 7,1 Scir. |Sereno Ventic.|f 26 mezzog. |28. . 2,6 | 7,7 | 3 Gr. Tr.|Sereno Ventic.|f 11 sera |28. 3,0 | 8,0 ‘ Lev. |Sereno Ventie.li 7 mat. (28. 2,6 | 7,1 96 Sc. Le.|Sereno Ventic, 27|mezzog. |28. 1,9 | 7,1 ( Sc. Le.|Ser.con neb.all’ori. Calma | ri sera {28. 0,9 | 7,6 1! C Sc. Le.| Nuv. sereno Ventic.|} Sc. Le.| Nuvoli rotti. Calma |f Scir. |Se.con neb. all’oriz.Calma Os. Sc.|Piovigginoso Calma |l | 7 mat. |28. 0,3 8,5 95 0,02 |Ostro |Nuvolo Ventic.|f 129 mezzos. 28. 9,4 7 {10,4 | 93 Po. Lib| Nuvolo Ventic.|i il | rrsera|27. 11,9! 9,8 [10,0 | 85 Ostro |Ser.inuv. Vento — 7 mat. |28. 0,8 128|mezzog. |28. 0,8 ri sera |28. 0,5 _. DO LIS ADI = o! , il | 7 mat.[27. 10,3 | 9,8 [10,5] 90 Scir. {|Nuvolo rotto Vento 3o|mezzog. |27. 9,5 |10,4 |124 | 81 Lib. {Nuvolo ser. ve. fo. rr sera |27. 7,4 {10,7 | 9,7| 99 |0,98[Lib. [Pioggia Vento a —_—_______—_ — di pi dì Deep | £ 3 i vati. ptt 0 LR gl Dir | sven; 4 ad i nt. han . gloria snai dit IA a pa qua nidi, ù vom * pros Tad Vi ) l'ap dat SRI ht RIT Lo rA Ha Po 15 dt 0 i | wr s2 AROOIA LD RETTA +0-2%@ Rit SPILLA 1 be) nese ” 4 a LÀ pi SE da; i isninà | Read lia 7 noia «esi: Mi: 10 per Tuba sv Li due sSMIN ovati | Vi - OY. lug OHORI bi. Riso) Cern pui iv 053 vu. (RI, pra); , midi OVE ce I ORIO AE O da oasta ia i at i ii Gia af OO teetacnant sN. ansia; I > sd.irg'Ub,ifso Again! o sd al J “ { > : Mat “a Ja " QRS TAA 14! Ji pre dsl ERA Î dot sa sa) ,Ì ws. bic] peri pr OSS Sito le dan rta SR, l'Eaza Mel ins Co e) Dago ari ‘pais 014,9 Kits E sa coi Baar ‘godi o je, rr ina "e pazzo ò 4 pipa a n... 4 la] larayi ) RA ERI ola) qdi A n BEZITO LTD Î SET otte NY SI Lil A pi, ea olé rd Mi, goi' - è “ta "a da +. CR 4 METEOROLOGICHE OSSERVAZIONI FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. DICEMBRE 1825. o 1 1.055 ae] > Q Soir [tl 3 (lt e| Ora 5 5 ||g8s |A S. RE Stato del cielo 3, a I ea E 5 beit..d ; ASSI | Ì 7 mat. |27. S$,1 (10,2 | 8,2 | 99 | 0,32 Lib. STA Ventic.|| 1| mezzog. |27. 9,1 |t10,2 |10,7. 67 Lib. |Nuv. ser. ven. for. It sera |27. 10,0 |10,7 | 3,7 100 | 0j0g Os. Li. Pioggia Ventic. 7 mat. |27. 10,4 | 9,8 | 8,0 [100 | 0,18/Os Li. Nuv. rotto Calma 2| mezzog. |27. 10,3 | 9,9 | 99 [too Os. Li. Cop. e neb. all’or. Ventic. 11 sera |27. 10,5 {10,4 |11,0 {100 | 0,21|O». Li.|Nuvolo Ventic. 7 mat. |27. 11,1 |10,3 | 10,6 100 | 0,02|Os. Li.|Nuvolo Ventic. 3| mezzog. |28. 0,0 {10,7 |12,4 | 9t Lib. |Nuvolo Vento 11 sera |28. 0,7 |t0,7 110,1 | 96 Lib. |Nuvolo Calma 7 mat. Pe 0,4 |t0,2 | 8,0 |100 Lib. [Ser neb. Ventic. 4| mezzog. 128. 0,4 [10,8 |12,3 | 87 Lib. {Nuvoli rotti. Vento ri sera |28. 0,3 [11,4 [11,4 | 87 Os. Li.iSer. con nuvoli Ventic.i: I 7 mat. |28. 0,2 11,3 |11,3 | 84 Sc. Le. Nuvolo Vento f{ 5| mezzog.|28. 0,3 (11,4 13,1 73 Sc. Le. Nuvolo ser. Vento ti sera |28. 0,2 [12,0 |12,0 | 75 Sc. Le. 'Nuvolo Ventic. 7 mat. }28. 0,4 [11,5 [11,5] 74 Scir. |Nuvolo Vento mezzog. 128. 0,2 [11,7 |12,9| 69 Sc. Le.|Nuv. neb. Vento dr db sera -|27. t1,7 {11,7 |11,7 | 85 Sc. Le.|Ser. neb. Ventic, 7 mat. |27. 10,0 |11,5 {11,7 | 78 Lev. |Nuvolo Vento 7| mezzog. |27. 9,0 |11,5 |13,8| 48 Sc. Le.|Nuv. neb. Vento 1rsera |2r. #3 {12,0 |13,3 | 94 |o,og]Sc. Le.|Pioggia Vento lo È; Lermo & s| 5 S| Ora È || |s Bs Stato del cielo 2. - S|S|2 B © s SE RE au | 7 mat. |27. 6,9 [11,5 [11,6] 90 MA Le.|Nuvolo ven. imp. 8! mezzog.|27. 9,7 |tt1,7 |12,3| 89 Sc. Le.{Nuvolo Vento tt sera |27. 5,8 |11,5 [12,0] 94 Lev. |Piovigginoso Vento 7 mat. |27- 6,0 |tr,5 |10,3 | 99 ‘0,02 Lev. Pioggia Vento 9 gg 6,0 |t1,5 |11,3| 90 [o,ot Lev. |Nuvolo Ventic. rIsera |27. 7,7 |11,0 | 9,1 | 97! \Scir. Se. conneb. al nor. Ventie. | 7 mat. |27. 9,0 |10,9 | 9,8 100 | 0,03 Scir. |Navolo Ventic. 10 mezzog.|27. 9,4 |10,7 | g| 98 | 0,52 Tram. [Pioggia Ventic. II sera |27. 10,0 |10,2 | 9,0 100 ‘Scir. |Pioviggine Calma 7 mat. (27. 10,0 {10,2 | 9;7 ‘100 | 0,40 Sc. Le. Pioggia Ventic. II mezzog. 27. 10,2 |10,5 !I1,4! 99 Scir.. ‘Nuvolo Ventic. | rt sera 27. 10,2 |10,7 (10,0 100 Tram. |Nuvolo Calma 7 mat. |27. 10,6 10,2 9,1 [100 Grec. |Nuvolo Calma 12| mezzog.|27. 11,0 |10,4 |10,3 [100 Grec. ;Nuv. nebbioso Ventic. II sera |27. 11,7 |10,2 |10,0 {100 Grec. |Pioggia Calma 7 mat. 27. 11,7 |t0,2 | 9,9 |100 [i0,14 Ostro |Nuvolo Calma 13 mezzog. [28. 0,6 |10,5 |10,8 | 99 Os. Sc.|Nuv. nebbioso — Ventic. | 11 sera |28. 1,0 |10,7 |10;0 |100 Os. Sc.|Nuvolo Calma 7 mat. bei 1,0 |10,2 | 9,8 | 95 \Lev. |Nuvolo Ventic. 14 mezzog.128. 1,4 |ro,4 | 9,8 | 96 | 0,08 Sc. Le. Nuvolo Vento 11 sera 128. 1,2 |10;2 | 9,0 |roo | Lev. \Nuvolo Calma 7 mat. 28. 0,9 | 9,8 | 8,9| 96 (Ostro |Ser.nav. Ventic. 15 mezzog.'28. 0,9 {20,3 [11,4 | 78 Lib. INuvolo rotto Vento | 11 sera j28. 00 j10,2 | 9,0 | 96 Os. Le. |Nuvolo Ventic. | 7 mat. |28. 2,7 |10,2 ; 7,0 [106 | o,rg]Ostro [Sereno Ventic. 16! mezzog.|28. 3,0 |10,0 | 9,0 | 90 Scir. |Ser. rag. Ventic. 17 sera |28. 4;0 | 99 6,4| 97 Sc Le.|Bel sereno Ventic. 7 mat. 128. 3,3 | 8,9 | 4.0 [100 Sc. Le.!|Be! sereno Ventic. 17| mezzog. 28. 3,3 | 8,7 | 6,4| 96 Scir. |Sereno Ventic. rr sera 28. 3,4 | 84 | 5,6) 97 Scir. |Sereno Calma 18| mezzog. 28. 2,3 | 7,8 | 6,6| 96 !Sci.. |Nuvolo neb. Vente. 11 sera (28. 0,4 | 7,6 | 7,0| 97 | 0,04 Gr. Le. Piovigginoso” Calma 7 mat. |27- 11,6 | 7,5 | 7:2| 92 | o,or Tram. |Pioggia Ventic. 19| mezzog. 27. 11;4 | 78.1 8,7 | 94 | 0,03 Scir. |Navolo Ventic. | 11 sera lam. 11,6 | 7,1. 92 ‘Scirr |Nuvo'o Ventic. lo, Termo = _ > O 5 Piras FLEUR S Ora 5 = Ca 5 5 DI 3.3 Stato del cielo Z. S 3,| SS] 2 ij 3 5 n (ee) (e) o Mi 1: 0 i ° Ù 9 7 mat. |28. O,I 8,0 | 7,0| 98 Scir. |Nuvolo: Vent || 20 mezzog. 28. 0,9 | 8,2 | 8,71 95 Lev. |Navolo Veu Li, 11 sera |28. 1,0 | 8,2 | 9,0 | 95 0,32 Lev. |Nuv. sereno Vini | 7 mat. |28. 1,0 | 8,0 9,5 87 Sc. Le. |Nuvolo Ven 21/mezzog. |28. 1,2 | 8,4 | 9,3 | 93 | 00,3 Os. Li. |Nuvolo Vis Nesera [28 1,1 _t rt sera [28. 1,1 | 8,4 10,0 | 79 Lev. |Nauv. nebbioso ©. 7 mat. È ost | 8,4 !1t1,1 | 62 ;Sc, Le: Nuvolo Ven. 4122] mezzog. |27. 11,7 | 9;2 |12,4 | 67 |Sc. Le.| Nuvolo ven. _|_1s sera 28, 0,0 | 9,3 | 9,0 |100 sca a cl Le.| Nuvolo Cis i| 7 mat. 27 11 ,8 9,8 9,9 | 99 0,59 Lib. Nuvolo Giro 23'mezzog. :27. 10,8 | 9,5 [12,1 | 78 | 0,04;Sc. Le.| Nuvolo Via di LI sera 127. 11,6 | 11,6 | 9,6 | 9,9 | 99 j 0117|Ostro |Pioggia Csi | 7 mat. |27. 10,9 | 9,3 | 8,0] 95 Lev. |Sereno Cai. 24 mezzog. |27. 10,7 | 93 [10,7 | 84 Sc. pol Teypor Coi __| tt sera |27. 11,2 | 91 | 91 78 RAR ai Tr.' Sereno Vito m mat. Pep 11,2 8,9 9:09 | 90 ‘0,04 Hal: Rea "AR 5 .H 7 125 mezzog. 27. 11,4 8,9 | 9,2 9' 0,01| Tram. Pioviggine Vuirn II sera 27. I1,2 8,9 || 8,0 | 94 |tey. Sereno Cola i | 7 mat. |27. 10,3 8,4 | 9,9 | di Gr. Tr.|Sereno Meri». I 6 1? mezzog. ‘an. 9,0 | 8,6, | 9.4. I Tram. |Ser. con nuv. Vos DI Ir sera sera |27. 7,8 7,8 34° i da 0,01| Tram. Pioggia Vialo Ri 7 mat. 27. 7. hr 8, 6,0 | 90 | 0,26|Tram. :Piovoso Vigo 27 mezzog. 27. 4, 3 8,3 | 6,7| 84 Tram. Nuvolo Vito ti sera 127. 4,9 7,5 5,0 | 78 | 0,03|Tram. .Nuvolo Vira | 7 mat. |27. 4,6 | 7,1 | 50| 72 ‘lram |Nuvolo II, 28 mezzog. |27. 5,2 | 6,9 | 6,7 | 69 Tram. {Ser nuv. Vea MR sera 27. 7,8 DI St Eee Grec. Nuv. ser. Ven : 7 mat. |a. 88| 6,7 | 4.0 | 72 nera Sereno Vert 29 mezzog. |27. 9,2 | 6,7 | 6,0 | 9I Lev. |Ragnato Clic; tir sera 27. 9,8! 7,1 | 6,1 | 86 Sc. Le.| Nuvolo Vivi! , 7 mat. |27. 9.1 7,5 | 5,51 98 Sc. Le.] Nuvolo Vi Se o\mezzog. |27- 94 | 73 [10,3 | 89 | 0,02[Sc. Le.{Nuvolo Vie | —_|_1t sera [27.92 8, 3 9,1 | 94 | 0,20fScir. |Nuv. ser. Vos la 7 mat. (27. 99|81 7,2 | 96 | 0,21[Os. Li.|Nuv. e ser. neb. Vert | I|mezzog. |27. 10,5 | 8,2 | gol 72 Lib. |Nuv. neb. Veni _{ si sera |27. 11,9 | 7,9 | 5,5 | 88 Sc. Le.|Ser. nuv. Veste La PROSPETTO METEOROLOGICO DELL'ANNO 1825. Barometro | Termom.medio Eco ee Giorni Veùt ; di mensuale RON RE ento Mesi medio 38l58 bali | (9°) . . . mensuale | Inter. | Ester. {3 3 E | Sereni [Piovosi| ‘ominante . , Gennajo | 28. 1,4 4 4a 71,8 1,81 14 2 | Grec, Tram, Febbrajo | 28... 1,7 6,1 4,6 {63,0|0,47| 20 3 | Scirocco Marzo 28. 0,9 7 6;9 | 66,5] 2,35] 13 3 | Tramont. A prile 28. 1,0 | 13,61 f 11,6 |63,4|0,0a] 16 tr | Libeccio Maggio | 28. 0,5 | 15,8 | 13,9 [68,6[1,6r| 18 5 | Libeccio Giugno | 28, 0,2 | 18,4 | 17,3 [64,3] 0,98] 14 3 | Libeccio Luglio | 28. 0,5 | 20,8 | 19,6 | 58,9/0,58} 18 a Tramon. Agosto 28. 0,6 | 20,9 | 19,4 {6:1,8|0,gg| 23 I Libeccio ISettemb. | 28. 0,7 | 19,0 { 16,6 | 66,6| 1,77| 20 3. | Tramont. Ottobre | 20. 1,6 | 13,2 | 11,0 |73,5|2,77] 17 2 | Scirocco '{Novemb. | 27. 11,8 | 10,2 9,1 | 85,6| 4,95] 13 5 Scirocco Dicembre] 27. 9,3 8,6 | 89,7]6,62 3 | ra Scir. Lev. | Barom. massimo 28. 6» 3. il 1.° Gennajo Termom. mass. 26,5 il 20. Luglio a ore 3 1/2 pomerid. minimo 27. 2,18.il 20 Ottobre minimo —o°,6 il 15 Marzo | medio dituttol’anno 28. 0,6 medio di tutto l’anno 11,9 Totale dei giorni piovosi 40; dei sereni 189, della pioggia poll. 24,27, poco più di 7 decimi di quella caduta nell’anno scorso. Rivista "Lari. ‘Rosini: saggio sopra la vita e_ v opere del Cono: pag: 94. — ‘Magaloîti > operette. varie coll’ aggianta di lettere inedi- te. p: 99. — Negri, poesie anacreontiche » p. 103. — Mazois; il pa- - lazzo di Seauro ; tradotto da Sergent y p. 104. — Paradisi è Tue- chesini , osservazioni sopra la storia d’Italia del. Botta, p. 105. — x Casarottî, prose e versi, p. 1f1. — /Vesî dizionario -ortologico. dellas | d liagua italiana, p. 114. — Dialogo ‘fra la torre degli .4sinelli e la . pio torre ‘della Magione ,: p. 116. — ‘Rime piacevoli d'un Lombardo, Sa 18. Proverbi latini e italiani, p. 120. — Ceba, il cittadino di Ùna ‘repubblica, p. 122. — Paravia , versi, p. 124. — Bembo, prose }. < Corticelli ; osservazioni; Rosasco, dialoghi intorno alla lingua tosca- st na, P..126. — Zon Menilen, l'America libera; p. 129 — Samimar- È ‘00, delle mutazioni de’ regni con un discorso. del Salviati, p. 130. — " LE Locatelli ,. il perfetto ddr » pi 131, — Mezzanotte, l' inonda zione , di Pietroburgo; p. 133% Amoretti, viaggio ai tre laghi ; p. 135. Sr Orioli d’ana gemma etrusca e dell’ etrusca numerazione’, p. 136. c2 e Fot entictopedia- domestica tradotta!, p. 139. — Dati, lettere ine= - dite, p. 140. — Appendice , in cui. pàrlasi dello stato attuale della ‘Cina a proposito d'una ‘relazione ch’ è fra le perse del Magalotti , i POpas 45. got n M.. Grasomi tica Gompita ale lingua "RPaca, di Augusto Matthiae. ( C. Euc--; chesini) Pag. Crime ‘di Ant. Campagna. Pad ED. SERA AR) TUE “I sette salmi penitenziali tradotti. i o i ‘Discorso premesso alle lezioni di clinica, dal prof. Nespoli. "(Basevi) 5 “Ball azione del. solfato di chinina nelle. febbri aaa, del dott. G. ‘Franchi. 1» La chimica ‘insegnata în 26 lentgni ti LC. n. ia De Judo musico BIRiCE Cos celsissimi Saxonie nuper edito brevis nar- Bullettino bibliografico. È \ Osservazioni jn risposta ‘alla memoria. del comm. A de’ Ricci. sulla SIA esportazione della paglia da ‘cappelli. Ri i dà Ass: R:) 5 Terole PARERESIAGIGa per i.mesi di bovembre e dicembre. ES i.) Vr oralio. ove (6.4. Boettiger) Corrispondenza Lettera al Dirett, dell’ Antologia. (en B)I330) j A, % 3.239 ; ) (P. G.) ,} ‘ Bollettino scientifico a: È '(G. Gazzeri.) ,;